Dolce languore

di Canada
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presa ***
Capitolo 2: *** Prigioniera ***
Capitolo 3: *** Mia ... ***
Capitolo 4: *** [Sonno d'oblio] ***
Capitolo 5: *** ... Per sempre ***



Capitolo 1
*** Presa ***


Presa

Un urlò squarciò il silenzio e Vincent lo inseguì.
Era riuscito a colpire nel segno: il suo bersaglio era stato abbattuto.
Ed era vicina, molto vicina, ne riusciva a sentire persino l’odore, quell’aroma così intenso e penetrante. Prese a camminare con passo sempre più rapido, non voleva lasciarsela sfuggire. Sarebbe stato comunque improbabile perdere le sue tracce, irregolari e marcate, ben visibili sul terreno fresco appena smosso. A volte sapeva essere davvero sgraziata.
E poi quel profumo! Dio, il suo profumo lo mandava in estasi.
Gli riusciva talmente facile ubriacarsi di lei da esserne diventato dipendente.
E la sua droga gli mancava.
Prese a gridare al buio della notte, "Lilith! Lilith!", ripeteva continuamente, come se non fosse sicuro che la ragazza lo avesse sentito. Era certo che si trovasse pochi metri più avanti di lui, ma non riusciva a vederla molto bene. La luna era coperta dalle nuvole.
Ad un tratto sentì un lieve sospiro. Rivolse la sua attenzione in quella direzione e andò incontro all’origine di tutto quell’affanno e di tutto quel mormorio.
"Lilith", ripeté nuovamente, "Mene fugis1?".
La ragazza giaceva dinnanzi a lui, ne era certo.
"Lo sai da quanto ti sto cercando? E tu, invece, stavi scappando. Non si fa Lilith, questo è da maleducate". Le sorrise e, nonostante l’oscurità avvolgente, a Lilith parve proprio di vederlo. Una fila di denti bianchissimi che formavano un ghigno terrificante. Il ghigno di Vincent.
La ragazza sputò il sangue che le stava inondando la gola a furia di sgorgare dal profondo squarcio che aveva in bocca. Incominciò allora ad esprimersi con una lunga serie lamentosa di versi e grugniti, piangendo e singhiozzando.
Non riusciva a muoversi: le aveva spezzato le gambe.
"Cosa c’è Lilith, il gatto ti ha morso la lingua?" e ancora quell’insostenibile sensazione di disagio, l’impressione di avere davanti agli occhi quel sorriso, falso e malvagio.
Stronzo, riuscì a pensare, ma soltanto per un secondo.
Subito dopo venne inghiottita dal terrore.


1. dal libro IV dell’Eneide di Virgilio, domanda pronunciata da Didone ad Enea. La traduzione letterale è “Dunque fuggi me?”, che riassume le supposizioni della donna, convinta che il giovane troiano la volesse abbandonare non tanto perché dovesse proseguire il suo viaggio e portare a termine la sua missione, ma perché volesse andarsene da lei stessa.

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Capitolo 2
*** Prigioniera ***


Prigioniera


Non le ci volle molto per capire di essere stata totalmente immobilizzata. Braccia e busto erano stati preventivamente legati su quello che intuitivamente le pareva essere un tavolo. Per le gambe non c’era stato alcun bisogno di ricorrere agli stessi metodi: sarebbe stato difficile credere che una persona con le gambe spezzate potesse tentare di fuggire.
Vincent, però, pensò che sarebbe stato comunque necessario provvedere al resto. Dopotutto si trattava sempre di Lilith.
A volte sapeva essere davvero imprevedibile.
Alla ragazza doleva il punto in cui era stata colpita alla testa. Prima di svenire, infatti, era stata percossa dal ragazzo dopodiché si era risvegliata in quella stanza poco illuminata e fredda. Ma nel momento in cui comprese veramente quello che le era capitato e chi ne era stato il colpevole si irrigidì di colpo. Il dolore alle gambe prese a tormentala e non le lasciava modo di pensare. L’unica cosa che parve risparmiarla fu il gran pulsare della bocca, che era andato via via scemando, lasciandole la sensazione di un gran gonfiore.
Sono proprio nella merda riuscì a formulare il suo cervello.
Mosse lievemente la testa, guardandosi intorno e cercando di ignorare le sue gambe, che invocavano pietà. Quel posto cupo e tetro non le dava speranza. E mentre spostava lo sguardo alla disperata ricerca di qualcosa che le sarebbe potuto tornare utile si chiedeva quanto avrebbe aspettato prima di rivedere il volto di Vincent. Per un certo aspetto si sentiva sollevata e al sicuro per non averlo accanto, per un altro, però, sentiva un disperato bisogno di qualcuno che colmasse la sua solitudine. Si sentiva così persa e così vulnerabile.
Ma la giovane donna non pensava affatto che le sarebbe potuto accadere qualcosa di ancora peggio di ciò che era già successo: era convinta che, qual’ora il ragazzo fosse apparso sulla soglia di quella stanza angusta, se gli avesse parlato sarebbe stata capace di farlo ragionare. Era certa che in qualche modo sarebbe sfuggita a quella situazione.
Non le fu concesso molto tempo per riflettere sul da farsi che Vincent fece inaspettatamente irruzione. Prese a girarsi intorno, in cerca di qualcosa. Era tutto intento nella sua ricerca da ignorarla completamente. Si avvicinò ad un ripiano poco distante da Lilith e iniziò a rovistare tra le cose sparse su di esso, lanciandone alcune dietro di sé, buttandone altre a terra con rabbia.
La ragazza non riusciva a capire quale fosse l’origine di tutto quel tormento e rimase in silenzio ad osservarlo intento nelle sue faccende.
Prese in mano di tutto: fogli di carta, matite, utensili da lavoro e pezzi di legno. Frugò anche nei cassetti, ma sembrava non essere mai soddisfatto di quello che trovava. Era intenzionato a non darsi pace finché non sarebbe stato accontentato.
Dopo aver messo a soqquadro tutta la stanza si fermò; Lilith pensò che avesse finalmente ottenuto quello che voleva. Vincent si voltò verso di lei e la ragazza vide un bastoncino di metallo poco più lungo di 15 centimetri tenuto saldamente nella sua mano destra. Notò una specie di lama molto affilata all’estremità dell’oggetto.
Il ragazzo incominciò ad avvicinarsi al tavolo al quale era legata e mano a mano che la distanza tra loro si accorciava l’arma che stava sfoggiando diventava sempre più chiara: si trattava di un bisturi.
Lilith incrociò il suo sguardo sbarrando gli occhi, in preda al terrore e allo spavento.
E lui le sorrise.

 

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Capitolo 3
*** Mia ... ***


Mia …


“Perché piangi, Lilith?”
Vincent incominciò ad accarezzare dolcemente il viso tumefatto della donna, asciugandole le lacrime con le dita. Anche se aveva un livido violaceo poco sotto l’attaccatura dei capelli e anche se le si era gonfiata la bocca, sporca di sangue rappreso, ella manteneva quel fascino irresistibile, a cui l’uomo non riusciva a stare indifferente. A volte sapeva essere davvero attraente.
La guardò con tristezza, consapevole di essere stato la causa di tutto il suo dolore che poteva leggerle negli occhi. Lui l’amava, eppure non si era fatto nessun problema a farle quelle cose. Spostò lo sguardo su tutto il corpo di lei, studiandolo e ammirandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta. Poi incrociò nuovamente gli occhi della ragazza e per una frazione di secondo Lilith riconobbe il volto del suo fidanzato, il suo vero volto.
Subito dopo, però, la faccia di Vincent si trasformò in una maschera di rabbia e di odio; una collera incontrollabile lo stava trascinando inesorabilmente verso la pazzia.
L’uomo incominciò a prenderla a schiaffi e a colpirla ripetutamente alla testa, provocandole altre ferite e altra agonia. La percosse con tanta forza e con risentimento. Stava facendo del male alla sua unica ragione di vita, ma era giusto così: lei doveva essere punita. Era stata una cattiva bambina.
“Non dovevi farlo, Lilith. Non dovevi!”. Mentre urlava e gridava si scagliò sugli oggetti posti sui tavoli poco distanti da lei, scaraventandoli per terra e rompendoli.
“Solo io ti posso amare!” disse avvicinandosi alla bocca della giovane donna “Nessun altro può. Nessuno.” E prese a toccarle i capelli, appoggiando la propria guancia sulla sua. Sentiva il suo profumo, il suo dolce profumo, quello che gli piaceva tanto.
Lilith non smetteva di piangere e tremava in preda alle convulsioni vedendo il bisturi dell’uomo appoggiato a pochi centimetri da lei. In cuor suo sapeva che non avrebbe avuto scampo alla follia di Vincent. Immobilizzata al tavolo e dolorante, si maledisse per non essere stata attenta, per non aver usato le parole giuste. Per aver provocato l’estrema gelosia dell’uomo che amava e che ora, lo sapeva, l’avrebbe uccisa.
“Tu sei mia. Non ti può aver nessun altro uomo” le sussurrò all’orecchio, spostando la mano verso il suo collo, accarezzandolo. Mentre incominciava a sbottonarle la camicetta Lilith ebbe un sussultò: cosa vuoi fare, Vincent? pensò all’istante. Odiava quell’handicap momentaneo che le impediva di parlare. Aveva una voglia matta di urlare.
La mano dell’uomo si intrufolò nell’intimo della ragazza, appropinquandosi delle sue nudità e giocando con i suoi seni, senza stringere troppo forte. Si stava eccitando nel toccare quel corpo così familiare, l’oggetto del suo desiderio.
Ma la giovane donna non provava le sue stesse emozioni: si sentiva terribilmente a disagio e imbarazzata. No, in realtà si stava sentendo più che mai umiliata.
Cercò di liberare le braccia per potergli impedire di continuare, però Vincent interpretò quel gesto come una reazione di piacere, e continuò a soddisfare i propri istinti.
Prima che l’uomo potesse stancarsi e cercare un altro stimolo, indirizzando le sue attenzioni verso il suo sesso, Lilith riuscì a sottrarsi alla stretta morsa delle cinghie che le bloccavano gli arti. Trionfante, colpì Vincent, assestandogli uno schiaffo in pieno volto.
I loro sguardi si incrociarono: l’uomo era stato colto totalmente alla sprovvista, e lo stupore improvviso si stava trasformando sempre più velocemente in rabbia; Lilith, sprezzante, lo guardò con astio e disprezzo. Sapeva che non avrebbe avuto scampo ora che aveva dato a Vincent una ragione ancora più valida per poterla uccidere.
Ripresosi dallo schiaffo, il giovane uomo afferrò con prontezza il bisturi e lanciò uno sguardo di sfida alla ragazza, che fece altrettanto. Tutto quello che aveva potuto fare lo aveva fatto, e pazienza se avesse potuto prendere altre scorciatoie. Lilith non era quel tipo di donna, pronta a tutto pur di salvarsi la vita, anche a sacrificare la propria dignità.
Accettò il suo destino, ma lo fece a testa alta.
E in quel momento Vincent la odiò più che mai.
“Se la metti così, Lilith...”


 

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Capitolo 4
*** [Sonno d'oblio] ***


[Sonno d’oblio]

 
La lama del bisturi affondava nelle carni delle braccia di Lilith ad intervalli irregolari.
Vincent stava sfogando tutta la sua ira nei confronti della ragazza proprio verso di lei, verso il suo corpo. Quanto avrebbe voluto sfregiarle quel suo bel visetto, deturparlo fino a che non ne sarebbe rimasto nulla che avesse potuto ricondurre a lei. Non ci sarebbero più stati grandi occhi da cerbiatto, neri come la pece. Non ci sarebbero più state labbra piene, rosse come lamponi maturati sotto il sole d’estate. Nessun naso leggermente schiacciato, niente più guance rosee, niente più carne, niente di niente.
Le azioni dell’uomo erano tanto improvvise e scatenate quanto lo erano i suoi pensieri, che vorticavano nella sua mente, privi di una guida, privi del buon senso.
Vincent aveva perso il senno della ragione. E Lilith era convinta che non avrebbe avuto alcun senso chiedere perché. La mente umana è così difficile da capire, da prevedere, che persino noi stessi fatichiamo a comprendere le ragioni che ci spingono ad agire in determinate situazione. Questo, Lilith, lo sapeva bene. Esattamente come sapeva le motivazioni che avevano persuaso Vincent a trasformarsi in un pazzo furioso.
Il giovane si fermò, bloccando l’arma a mezz’aria, irrigidendo i muscoli. Preso da un ennesimo raptus di follia, lanciò il bisturi contro la parete dietro di lui, urlando e sbraitando, portandosi le mani sul viso. Gridava cose senza senso e i versi che fuoriuscivano dalla sua bocca a Lilith sembravano proprio singhiozzi. Che Vincent fosse riuscito a vincere per qualche attimo il proprio mostro interiore, mosso dal rimpianto?
Lilith non aveva mai studiato psicologia a scuola, e non le era mai interessata. Aveva sempre creduto, però, di essere in grado di capire le persone al primo sguardo.
Si era innamorata di Vincent perché era stato il primo che lei non era riuscita pienamente a comprendere. In particolar modo lo adorava per la sua imprevedibilità, per le sue sorprese inaspettate. Ma lo detestava profondamente per i suoi cambiamenti di umore improvvisi e per la sua gelosia. Soprattutto per quella.
Si ricordò, proprio in quel momento, di come era iniziata quella follia. Di come si erano messi a discutere, per l’ennesima volta, di Alan. Era solo un amico per lei, eppure, per lui era sempre stato difficile crederlo, quasi impossibile. Stava diventando un’ossessione, era diventata un’ossessione.
Si ricordò di come, presa dalla rabbia e dallo sconforto, gli aveva gridato di volersi prendere una pausa e poi, di come lui l’aggredì, per la prima volta, colpendola al viso.
Era stato come sentirsi mancare la terra sotto i piedi, come se la realtà si fosse improvvisamente attorcigliata permettendo che cose come quelle accadessero anche a lei. Lei, che aveva sempre promesso a se stessa che mai si sarebbe cacciata in brutte situazioni e che mai avrebbe lasciato ad un uomo l’opportunità di trattarla così. Mai avrebbe accettato un compromesso pur di stare insieme ad una persona. Mai se questo compromesso avesse significato rinunciare a se stessa.
Valeva la pena, quindi, tentare l’impossibile per quell’uomo, che tanto aveva amato ma che adesso odiava allo stesso modo? Più lo osservava, più provava orrore verso di lui. Non c’era nessun sentimento d’affetto nei suoi confronti. Non era rimasto più niente.
Spostò lo sguardo verso le sue nuove ferite, così profonde da non avvertirne neanche il dolore. Ne era diventata totalmente insensibile. Ciò nonostante, la vista le si stava annebbiando e la mente le si stava offuscando: anche se il suo cervello aveva deciso di ignorare le condizioni del corpo, il suo fisico non poteva fare altrettanto. Stava perdendo molto sangue.
Si domandò se quelle ferite si sarebbero mai rimarginate. Sicuramente, quelle del sue cuore sarebbero rimaste aperte per molto tempo.
Ma che sto dicendo?, non poté fare a meno di pensare Lilith, io non ho più tempo. Io sto per morire.
 
Mentre Vincent si era abbandonato alla depressione in un angolo di quella che le era parsa una specie di cantina, Lilith si mise a tastare il tavolo su cui era ancora parzialmente legata. Strisciava a fatica le sue belle mani, parzialmente sanguinanti, sulla superficie ruvida del legno su cui giaceva. Alcune schegge le si conficcarono nelle carni, ma non vi badò, vinta com’era dal suo istinto di sopravvivenza. Non si lasciò sfuggire nessuno spazio e prese anche ad esplorare, entro i limiti permessi dalle cinghie, il lato inferiore della tavola. Cercava disperatamente quella cosa. Doveva esserci. Nel posto in cui era, sarebbe stato d’obbligo.
Si allungò fino a che poté e, proprio quando si ritrovò nella posizione più scomoda, lo sentì: la piccola estremità di un chiodo conficcato nel legno. Le venne da piangere, felice che la dea bendata non l’avesse del tutto abbandonata. Usò tutte le forze che aveva, pur di toglierlo da lì, e si aiutò disperatamente con le unghie. Ancora una volta la fortuna l’assistette, permettendole di vincere contro il tavolo su cui era legata. Si riposizionò più comodamente e osservò l’oggetto che era riuscita a recuperare con tanta fatica: era più grosso di quel che si aspettava, per niente arrugginito, ed era lungo quasi quanto il palmo della sua mano. Non era piegato ed era ancora abbastanza affilato.
“Perché mi hai detto quelle cose?” Lilith sussultò: si era completamente dimenticata di Vincent.
Lui si voltò verso di lei, guardandola con occhi arrossati, probabilmente a causa del pianto.
La ragazza prese coraggio e disse: “E ‘u ‘e moivo aei di ‘armi ‘uesto? ‘Uardami!1
A fatica riuscì a ribellarsi al gonfiore della sua bocca e rispose al suo sguardo con lacrime amare.
“Te lo sei meritato, invece. Ti avevo detto di non frequentarlo più, ma tu hai voluto fare di testa tua.” proseguì a dire con tono stranamente pacato.
“Per me è ‘empe ‘ato un amico...3” non riuscì ad aggiungere altro che Vincent le si lanciò contro.
Lilith ebbe la prontezza di nascondere il chiodo nella mano e l’uomo iniziò prenderle a pugni non solo il viso, ormai livido e dolorante, ma anche il busto e il ventre. La giovane donna cercava di urlare il meno possibile, pur di non dargli alcuna soddisfazione. Purtroppo, non era così semplice fare finta che tutti quei traumi fisici non stavano avvenendo.
“È solo un amico, non c’è niente tra noi e bla bla bla! Pensi che ci creda?! Sei una bugiarda!”.
Le attorcigliò le mani attorno al collo e prese a stringere, sempre più forte. Stringeva e stringeva e faceva pressione nel tentativo di strangolarla. La ragazza non ce la faceva più a sopportare tutto quello e, allo stremo delle forze, impugnò saldamento il chiodo colpendo a sua volta Vincent. Dapprima il colpo fu casuale e abbastanza blando, ma subito dopo la rabbia prese il controllo del suo corpo e Lilith iniziò ad affondare quella piccola arma nella testa del giovane uomo, cercando di conficcarlo nel cervello con più potenza possibile. Eppure, l’uomo non dava segno di voler allentare la presa e sembrava, anzi, come ipnotizzato dal suo scopo ripugnante. La fissava con uno sguardo folle, da animale imbizzarrito, e sul suo volto si stava sempre di più delineando un ghigno. Mentre le stringeva il collo, un filo di saliva fuoriusciva dal suo sorriso maligno. Più lui non allentava la presa, più lei colpiva.
“Puttana...”. Quella parola, pronunciata flebilmente, le diede ancora più forza da concentrare contro quell’uomo che le aveva rubato tutto. Finalmente Vincent cedette e, ritornato improvvisamente alla realtà, si allontanò da lei, barcollante e dolorante, premendosi la ferita che aveva alla base delle tempie e dalla quale stava spillando sangue a fiotti.
Lilith si sollevò sul tavolo, cercando mettersi seduta, per quanto le gambe glielo permettessero.
Si osservò stremata ma felice e si rivolse trionfante verso il ragazzo ai suoi piedi.
“Io ‘on ‘ono una ‘uttana2”. Affermò determinata.
“Oh, sì che lo sei”, sentì pronunciare a pochi centimetri dal suo viso.
La giovane donna aprì gli occhi e quello che vide la terrorizzò. L’orrore fu tale che non poté trattenersi e velocemente il suoi pantaloni si macchiarono di orina.
Vincent era lì, la osservava. Non c’era nessuno squarcio sul capo, nessun chiodo tra le sue mani.
Le sue ferite alle braccia dolevano tantissimo e lei aveva già ripreso a piangere.
L’unica cosa che era rimasta tale e quale era il suo ghigno terribile.
“Per quello che hai fatto ti meriti tutto questo”.
Che patetica che sono,si disse Lilith. Davvero ho creduto di potermi salvare?
A volte so essere davvero ingenua.
Vincent impugnò nuovamente il bisturi e lei chiuse gli occhi.
Era stato solo un sogno.
 
 
1 “E tu che motivo avevi di farmi questo? Guardami!”
2 “Per me è sempre stato un amico”
3 “Io non sono una puttana”

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Capitolo 5
*** ... Per sempre ***


... Per sempre

 
“Per quanto io ti detesti, non posso fare a meno di amarti”.
 
Questa volta non ci sarebbe stato scampo, Lilith lo sapeva.
Niente più svenimenti, niente più sogni. Nessuna via d’uscita.
Si rassegnò a dover subire per l’ennesima, e forse ultima volta, l’ira di Vincent.
In cuor suo sperava solo che tutto potesse finire in fretta, ma sarebbe stato troppo semplice.
Il giovane la legò con la cinghia dalla quale si era precedentemente liberata, stringendo molto forte, per impedirle di ripetere quello che aveva fatto. Mentre la sistemava non smise mai di guardarla negli occhi: era diventato irriconoscibile e non vi era più alcuna traccia del vecchio Vincent. Ora c’era solamente un mostro orribile, intenzionato a farla soffrire.
“... Ma tu non vuoi proprio saperne di fare come ti dico”. Disse nuovamente con tono calmo e pacato, senza nascondere una lieve stizza mentre pronunciava quelle parole.
Lilith lo osservava senza sapere cosa fare o cosa tentare di dire. Tutto ciò le appariva troppo anomalo e strano: dove credeva che Vincent le si sarebbe scagliato contro, lui si comportava pacatamente, quasi amorevolmente, benché nelle sue parole non fosse difficile avvertire una nota di amaro. Una nota acuta, sintomo che di lì a breve qualcosa sarebbe sicuramente cambiato nel suo comportamento.
Dopo che ebbe rovistato tra le cose sparse sul pavimento, esibì trionfante il bisturi ritrovato.
A Lilith non restò altro che attendere.
Fu questione di attimi, la ragazza non si rese nemmeno conto che lui aveva già cominciato a farla a pezzi. Ad ogni taglio sentiva una piccola scossa, dapprima lieve ed insignificante, ma col tempo sempre più atroce ed insopportabile. Le azioni di Vincent erano così fulminee e letali che non si rendeva nemmeno conto che stava urlando.
L’uomo incise la lama con forza sempre maggiore sugli arti della ragazza e ad ogni suo grido il suo sorriso si allargava. Si allargò sino a che sul suo volto non comparve di nuovo quel ghigno, quella maschera d’odio e pazzia che sconvolse ulteriormente Lilith.
Dagli squarci aperti su gambe e braccia zampillava copiosamente liquido scarlatto ancora caldo. Vincent provò piacere nel sentire quell’odore ferreo propagarsi attorno a lui e si eccitò al sentire su di sé quei rivoli di sangue, che lo ricoprivano ad ogni fendente.
Assieme alle urla strazianti di Lilith si unì la sua risata macabra.
“Non ne vuoi sapere di essere mia, vero?”. Le domandò senza smettere si sorridere.
Non attese nessuna risposta e scorse la lama sul volto della giovane donna, senza badare alla sua reazione e ai suoi tentativi di divincolarsi. Incise profondamente, lasciando solchi e squarci ovunque il bisturi andasse a segno. Si concentrò sulle mani, tagliandole per sbaglio il mignolo destro. Altri fiotti di sangue lo colpirono e bagnarono il tavolo che lentamente si stava inondando.
“Non mi dici niente? Non mi rispondi?”, e mentre le parlava proseguì nella sua opera, ricoprendole il collo di tagli e accanendosi ancora contro il viso di lei. Si sentiva leggero ed appagato: non si era mai sentito meglio in vita sua.
“Eh no Lilith! Non si fa così!”.
La ragazza riusciva a stento a rimanere cosciente di fronte a quelle parole e ormai aveva perso il conto delle ferite che le erano state inferte.  Non aveva più lacrime da versare, non aveva più resistenza da opporre. Aveva perso tutto, persino se stessa.
Con sguardo del tutto vacuo accolse le minacce del giovane uomo che un tempo aveva amato e si abbandonò al lento e dolce scorrere del sonno della sua mente insieme allo scorrere del sangue.
Ma nonostante tutto, non poté fare a meno di sorridere nel vedersi immersa in tutto quel rosso e si spense con quell’espressione dipinta sul viso, quasi divertita e compiaciuta. Nemmeno da morta perse del tutto la sua dignità.
A volte sapeva essere davvero ostinata e combattiva.
Vincent non riuscì a sopportare quell’ennesimo affronto e sfogò tutta la sua insoddisfazione su quelle labbra, di cui ben poco era rimasto. Ma più la colpiva, più quel sorriso si rafforzava nella sua mente e non voleva saperne di abbandonarlo.
“Smettila! Tu sei mia, hai capito?! Mia!”. Gridò contro le spoglie della ragazza oramai senza vita.
Il giovane non volle più accontentarsi di ciò che aveva fatto e finì di slacciarle la camicetta precedentemente sbottonata. Stette a guardare il corpo della donna, ansioso di infliggerle altre ferite e di veder scorrere altro sangue. Incise a fondo partendo dalla base del collo, proseguendo centralmente sino all’inguine, creando uno squarcio in mezzo al petto. Il reggiseno della donna venne tagliato tra le coppe dopo il passaggio del bisturi, lasciandole i seni scoperti. Quando Vincent vide altro sangue defluire dal corpo di Lilith, ormai senza vita, si rallegrò e decise come avrebbe concluso la sua opera. Abbandonò il bisturi sul tavolo e si mise a tastare la gabbia toracica della donna: era una sensazione stupenda poterle toccare le ossa più vicine al suo cuore. Iniziò ad incrinare le coste di sinistra, stando ben attento a non lacerare la carne, ansioso di lasciare tutti i suoi organi indifesi. Quando ebbe fatto inserì la mano nel petto della donna e ne estrasse con cautela il cuore, ancora roseo e caldo, felice di averlo tra le mani. Non badò più a nulla, né a Lilith e al suo sorriso, né al corpo senza vita che giaceva su quel tavolo ricoperto di sangue. No, ora aveva quello di cui aveva bisogno. Il cuore di Lilith era suo, e nessuno glielo avrebbe portato via.
Si rifugiò in una delle scrivanie della stanza e si sedette su una sedia malferma, appoggiando il cuore di Lilith sul tavolo con una mano e brandendo il bisturi con l'altra.
“Sarai mia, Lilith. Mia per sempre”.
E saziò la sua fame banchettando con le sue carni.
 
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NOTA DELL'AUTRICE

 
Il titolo di questo capitolo conclusivo allude al titolo del terzo capitolo. Infatti, i puntini inseriti in “Mia ...”sarebbero dovuti continuare con “... Per sempre”. Purtroppo, per necessità, ho dovuto inserire un altro capitolo tra questi due, [Sonno d’oblio], che, per l’appunto, ho contrassegnato con le due parentesi quadre cercando di farlo apparire come un piccolo stacco dalla realtà e per concentrare l’attenzione sul titolo spezzato.

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