Everything smells of you.

di MartiSpunk
(/viewuser.php?uid=150539)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just sex. ***
Capitolo 2: *** Sorry, baby. ***
Capitolo 3: *** Unexpected moments. ***
Capitolo 4: *** Don't wait long. ***



Capitolo 1
*** Just sex. ***


Image and video hosting by TinyPic

Everything smells of you.
Capitolo 1 - Just sex.
 
Pov Robert 

 
Londra, 23 Maggio 2011.
 
Fin da ragazzino ho sempre paragonato la mia vita a una merda totale. Sbronze, seghe, scopate alla bella meglio e una serie di problemi che mi hanno portato alla depressione. Insomma, una vita da invidiare, no?
Cazzo. E pensare che fino a due anni fa vivevo di questo. Nulla era importante nella mia vita, a parte la mia chitarra e le sterline. Nulla era fondamentale se paragonato al sesso estremo. E niente mi rendeva fiero come il mio grande interesse per le donne da poter consumare. Una presa e una mollata, e il gioco è fatto. Sentire il loro piacere su di me - certo è una gran cosa - è sempre stato l'unico passo per la vittoria.
Il mio portafoglio strapieno di monetine che non servivano a una minchia, mi raccomandava un'accurata attenzione: anche solo perderne una significava meno per me stesso. Ma perlopiù, me ne fottevo sempre.
Il mio lavoro? Se suonare e cantare per la strada e per qualche pub del cazzo è chiamato "lavoro", allora, be'. Forse non proprio ma... diciamo che almeno ci ho provato. Una paghetta idiota ogni venerdì, sabato e domenica sera mi bastava per comprare una maglietta e qualcosa da mangiare. Una monetina ogni giorno dentro la custodia della chitarra, bastava per comprare una coca o un thè. Cercare di sopravvivere non era facile. 
Fino a quando, be'... fino a quando non ho incontrato quel piccolo corpicino e quegli occhi verde smeraldo che mi hanno promesso sempre un futuro adatto, e mi hanno regalato ogni singolo istante quella parola astratta in cui non ho mai creduto: speranza. 
 
Londra, 12 Dicembre 2009.
 
«Pattz? Su andiamo, mi sono rotto il cazzo di stare qui. Sto crepando dal freddo, mi si stanno congelando le palle e tu stai ancora lì a scrivere? Muovi il culo o ti uccido». 
«Cazzo Tom, ancora cinque minuti».
«Robert Douglas Thomas Pattinson, muovi il culo o ti sparo nel... »
«Ah, non ci provare stronzo». Afferro il libretto congelato dal marciapiede e lo infilo nello zainetto. Tom mi guarda male per diversi secondi, poi scoppia in una risata fragorosa. 
«Che c'è?», chiedo decisamente preoccupato. Lo vedo indicare un punto indefinito nel fondo della strada e seguendo il suo sguardo rimango a bocca aperta. 
«Porca troia, mi hanno fottuto le sterline!».
Faccio per correre verso quei cazzo di ragazzini ma Tom mi ferma, come per rimproverarmi. Sembriamo dei barboni. Abbiamo la barba lunga chilometri, i vestiti che fanno un feto penoso e gli occhi rossi a causa del poco sonno e della sbronza. Sono le otto di sera e dovrei continuare a suonare alla gente, ma grazie alla fottuta premura di Tom, sono costretto a dimenticare tutti i miei piani per la serata. A Londra fa abbastanza freddo, è Dicembre e mi sembra anche ovvio. Il cielo è coperto da nubi e c'è un po' di pioggia. Mi stringo nel giubotto bucherellato e seguo i passi lenti di Tom, mentre canticchio ciò che stavo scrivendo pochi minuti fa.
«Cazzo dici?». Tom mi guarda sorpreso e io sorrido automaticamente. Lo afferro per la manica, dandogli una pacca sulla spalla.
«E' la canzone che stavo scrivendo poco fa».
Sbuffa sonoramente prima di rispondermi. «Sotto la pioggia e con un freddo cane. Amico, ti dai da fare».
«Vuoi guadagnare qualche sterlina? Scommettere sulle donne non basta, quindi dobbiamo impegnarci di più».
Entriamo dentro un bar affollato e mentre Tom va a prendere posto, io mi dirigo verso il bancone. A darci il benvenuto c'è sempre Helen, la rossa piuttosto carina che viene dall'Irlanda. Le faccio l'occhiolino e le sorrido.
«Ehi Rob. Il solito?», mi chiede maliziosa.
«Sì, grazie. Mi raccomando, devono essere caldi».
«Come sempre». Mi lancia un ultimo sguardo sexy e io ridacchio. 
C'è un tizio pelato e robusto che mi guarda male da diversi secondi e essendomi rotto il cazzo di quegli sguardi tormentati gli punto il dito medio contro: poi mi giro.
Cosa vogliono le persone da me? Sono una specie di barbone e allora? Vorrei vedere loro al mio posto. Una famiglia di merda che non ti considera minimamente e un lavoro da puttaniere e artista di strada. 
Helen mi distrae poggiando le due tazze bollenti di fronte a me. «Ecco qui, dolcezza».
Mi mordo il labbro inferiore e le faccio l'occhiolino, ringraziandola. E' così carina. Forse potrei.... no, lasciamo stare. Ho già consumato abbastanza donne per oggi. 
Mi alzo dallo sgabello bruscamente, pago e seguo gli occhi di Tom, seduto in fondo e con aria pensosa. Poso le due tazze di thè caldo sul tavolo e mi butto sulla sedia, esausto.
«Che hai?». 
«Helen è carina», commento, portandomi una mano al capo. Lui scoppia a ridere e da un pugno al tavolo, facendo tremare le tazzine.
«Prenotata, amico». 
«Tranquillo. Tanto ho finito con le donne».
La sua risata aumenta. Io prendo una tazza e la porto alle labbra. E' molto bollente e mi scotto la lingua, così inizio a berla lentamente.
«Tu? Certo, certo. Non so fino a che punto».
«Che vuoi dire?». La mia curiosità comincia a venire a galla. Cosa starà pianificando questo qui?
«Ho organizzato una serata speciale. Oggi alle 23:00, allo strip club che si trova a pochi passi da qui, dentro il vicoletto».
Spero stia scherzando. «E con quali soldi?».
Tom ridacchia e esce dalla tasca dei jeans fetenti un mazzetto di... non so indentificare a occhio quante sterline.
«E quelle da dove escono?».
«Da 'sto cazzo! Insomma Pattinson. Chi è che lavora qui? Lavoro pure io, e siccome mi scopo più donne di te, dato che sei entrato in depressione totale, guadagno più di te».
E' il discorso più sensato che abbia mai fatto in vita sua. «E' vero, a me non me ne fotte più un cazzo delle donne. Posso solo dire che sono belle o brutte, poi, non me le porto a letto».
«Ma perché?». Il viso pallido di Tom si fa tormentato. Come se stesse cercando la mia felicità, invano. Ma quella non è la mia felicità; non posso vivere di quella roba.
«Perché sono stanco di questa vita. Cantiamo ogni venerdì, sabato e domenica notte in quel piccolo pub, suoniamo in mezzo alla strada, per qualche monetina, ogni santo giorno... perché dobbiamo violentare anche le donne?».
«Perché sarà il nostro stile di vita, Robert», sbotta, decisamente sarcastico.
Poso la mia tazzina completamente prosciugata e guardo in segno di sfida Tom. «Scommettiamo?».
«Dimmi quanto».
«Trecentocinquanta sterline».
«Ci sto».
Gli faccio l'occhiolino e fisso l'orologio bianco che si trova al centro della sala. Dio, sono già le 21:10. Striscio le mie converse sbiadite, causando un rumore assurdo, e infine parlo: «Stasera andrò allo slip club con te. Non toccherò nessuna donna che mi passerà davanti, e vincerò».
«E se così non fosse... se toccherai e farai sesso con una delle spogliarelliste...», Tom inizia a irritarmi, «darai le trecentocinquanta sterline al sottoscritto e da domani in poi, violenterai tutte le ragazze che incroci per strada, sotto gli occhi di tutti. Così vincerò».
Deglutisco prima di rispondere. Possibile che la sua mente sia così perversa? «D'acc...d'accordo».
Tom stringe i pugni, alzandosi dal tavolo. Borbotta qualcosa di incomprensibile e si dilegua, lasciandomi solo. La tazza di thè è ancora lì, intatta e ghiacciata. Starà andando sicuramente nel piccolo appartemento - o come lo chiamo io: "ripostiglio che odora di pesce andato a male"- che ci ritroviamo come casa.
Devo assolutamente vincere stasera. Devo uccidere il masochismo che è in me. Devo combattere contro di lui, contro me stesso. Basta donne, ho chiuso. 
Afferro con forza la tazza e inizio a berne il contenuto gelido.
La porta del bar si apre e si chiude continuamente e un brivido di freddo percorre la mia schiena. La folla comincia ad aumentare, si vede che stiamo entrando nell'orario. 
Scuoto la testa ogni nano secondo, costrigendo la mia mente a non pensare.
 
Pov Kristen
 
"Piccola mia, oggi torno tardi. Mi dispiace davvero tanto ma ho da fare. Ti voglio tanto bene, stai tranquilla e non fare sciocchezze. A dopo".
 
Rileggo il messaggio ben dieci volte prima di lanciare il cellulare contro la parete. Merda. Ha da fare? Sì, certo. Infatti scopare con il suo nuovo fidanzato significa avere impegni super importanti, intrascurabili. 
La verità è che da quando si è lasciata con papà, la sua vita è solo denaro e sesso. E sta trasformando anche la mia. Bastarda, non la riconosco più. Niente paghetta, mangiare da schifo e una vita sociale da buttare nel cesso. Ecco, in poche parole ho descritto ciò che mi offre mia madre quando ogni quattro mesi vado a trovarla qui a Londra. 
Pertanto sono stata costretta a fare una cosa. Se lei ha deciso di ospitarmi in questo modo così indecente, ho creduto e credo tuttora, che sia stata ed è la scelta più ovvia, fare quello che faccio tutte le sere. La puttana.
Sì, faccio la puttana. Lavoro in uno strip club a pochi isolati da casa mia. E' l'unico modo per potermi guadagnare da vivere in questi cazzo di quattro fottuti mesi. Finora i guadagni sono stati minimi - sono una specie di novellina del resto. Ancora non ho trombato con nessuno, ho solamente fatto seghe. Direi che come inizio non è male. 
Mi vesto come una trasandata, cercando di camuffare la mia vera indentità. Fumo come una pazza e mi sbronzo ogni ora. Sono un mito. Sono consapevole delle mie scelte, ancora nessun rimorso è andato a farmi visita. Mi sono persuasa da sola, in un momento di pura crisi. Possiedo due identità: una Kristen di Los Angeles, dolce e solare. Un'altra di Londra: depressa, trasandata e che è considerata solamente una puttana. 
Basta illusioni, questa è la vera vita. Devo solo farmene una ragione e andare avanti. Forse questo lavoro è anche un modo per scollare di dosso tutte le delusioni che mi sono passate davanti in questi periodi. Sì, è probabile.
Ripenso a quando ho cercato questo passatempo, e mi sembra sia passato un anno, invece che cinque giorni. 
 
«Io pretendo questo lavoro».
«Hai solo diciannove anni. Non posso farti fare la spogliarellista».
Afferro una busta con non so quanti dollari e gliela porgo. Era un regalo di mio padre. Avevo promesso che li avrei spesi in una macchina, ma mi sembra inutile, dato che si guida dal lato opposto. «Tieni. In banca li cambi in sterline e mi accetti».
Il tizio apre la busta e sgrana gli occhi, compiaciuto. Poi si apre in un sorriso. «Assunta».
 
Osservo l'orologio della mia camera - è tardi e devo sbrigarmi se proprio questa sera voglio farmi qualcuno. E quel qualcuno si lascerà andare? In ogni caso lo rinchiuderò nella gabbia della mia brama.
 
Pov Robert
 
La pioggia batte sul marciapiede, mentre mi dirigo verso lo strip club. Appena trovo la porta d'ingresso entro e una luce rossa mi acceca, facendomi barcollare. Il posto non è molto affollato; ci sono pochi uomini e quasi tutti sono occupati in faccende alquanto porche - afferro la maniglia della porta e la chiudo. La musica è chiassosa al massimo e mi rompe i timpani, mentre cerco disperatamente la sagoma di Tom. 
Dopo un po' la trovo. E' appoggiato al muro, sorridente. Sembra assorto dai suoi pensieri e non si accorge minimamente di me, quando inizio a sbracciarmi per farmi notare. Faccio per avvicinarmi a lui, ma mi blocco immediatamente. C'è una tipa sotto di lui che lo fa godere. Chiudo gli occhi come un disperato - ho già visto abbastanza.
Mi avvio verso il bancone deserto e tiro fuori dalle tasche dei pantaloni delle sterline, che porgo al negoziante. 
«Una birra, grazie». Tanto so che ne prenderò più di una, stasera.
L'uomo annuisce e prende velocemente un bicchiere, su cui poi verserà la birra fresca. Sbadiglio, stanco della giornata e socchiudo gli occhi, cercando in qualche modo, di non farmi sedurre dal corpo di una delle spogliarelliste.
Ho promesso, ho scommesso, ho giurato. Non devo farmi tentare o perdo tutti i soldi, e poi sono cazzi. Quindi basta, voltiamo pagina una volta per tutte. Non devo farmi divorare dalla voglia fisica che possiedo, devo sconfiggerla, devo mandarla a puttane.
Improvvisamente sento qualcosa sfiorarmi le palpebre e le gambe; un qualcosa che mi provoca il solletico e mi fa rabbrividire. Faccio per spostarmi, ma la stretta è praticamente ferrea. Una risatina femminile mi sconvolge e mi fa spalancare la bocca gelata, rimanendo decisamente sorpreso. Oh cazzo.
«'Sera, bellezza». La voce è piccola. E non è inglese, per niente. Ha un non so che di accento particolare. Americana? Probabile.
«Mmm, lo sai che sei irresistibile?». Sento quelle mani disegnare ghirigori sul mio petto, e giocherellare con la camicia malconcia. Vorrei aprire gli occhi, ma non ci riesco. Devo assolutamente vincere la scommessa.
«Andiamo, apri gli occhi».
Basta, la tentazione mi sta divorando, sto per morire. Spalanco gli occhi color ghiaccio e rimango folgorato. La spogliarellista che è sopra di me è un piccolo corpicino, incastrato sui vestiti di una puttana. Tieni gli occhi bassi, concentrati sul mio petto, mentre le sue mani minuscole mi toccano. 
Sono ancora a bocca aperta. Le luci rosse le illuminano il viso bianco e lo fanno sembrare più trasgressivo. Alza gli occhi verso di me e sorride debolmente: è un po' imbarazzata, sarà una novellina. 
Dio mio, quegli occhi. Sono grandi e incredibilmente verdi. Color smeraldo o color speranza - senza la luce del sole sono difficili da identificare. Le prendo la mano e la osservo con più attenzione: le unghia sono tutte mangiucchiate e la pelle è screpolata e con qualche taglietto. E' una ragazzina, non c'è dubbio. Ma vestita in quel modo... e con quei movimenti felini, appare come una donna vissuta. Una donna facile all'amore fisico.
«Non dovresti essere a nanna, eh?». 
Sembra delusa e offesa allo stesso tempo, ma scoppia in una risata fragorosa. «Non sono una poppante».
«Quanti anni hai? Sedici?».
«Ne ho... ehm, ventinove».
Cazzo, è più grande di me? Impossibile! «Davvero? Ti facevo più piccola».
«E tu quanti ne hai bel maschione?».
«Ne ho ventitre», rispondo, in tutta sincerità.
Alza una gamba e mi rapisce, portandomi con sé. Sembra titubante ma eccitata allo stesso tempo. I suoi movimenti sono incerti e con grande insicurezza mi sbatte al muro. 
«Che hai intenzione di fare?», chiedo, deglutendo.
«Trombarti, è ovvio».
«Non credo sia necessario. Sei troppo fragile per i miei gusti».
«Oh, andiamo. Sento che ti piacerebbe». Abbassa la cerniera dei miei jeans scoloriti e fa per infilare la mano, ma la blocco sul nascere.
«Non ci provare».
«Taci, dolcezza».
Con grande volontà, stavolta, allontana la mano, ma non chiude la cerniera. Mi sbatte nuovamente al muro e si accavalla a me. Le sue mani mi circondano il viso con violenza, e il respiro si spezza. Mi prende il volto tra le mani e lo avvicina al suo. Sicura di se stessa, si lascia andare in un respiro profondo e mi bacia. 
Sento le sue labbra premere con foga esagerata sulle mie, morderle e succhiarle.
Mi sta letteralmente facendo impazzire, e la cosa non va affatto bene; tra qualche secondo ci ritroveremo dentro qualche bagno schifoso a fare sesso. No, non posso perdere così. Mi umilierei davanti a Tom, non posso farlo! 
Senza preavviso infila la mano piccola dentro i miei jeans e inizia a muoverla così velocemente da farmi ansimare come un coglione. Vorrei fermarla, ma questo piccolo corpo bianco è praticamente attaccato a me - come se fosse incollato con una super colla -, e liberarsi è una possibilità inesistente. Sembra godere anche lei, sembra soddisfatta del suo lavoro, pazzesco.
Getto un urlo soffocato che fa voltare tutti quanti e mi lascio andare, trascinandola dentro uno sgabbuzino buio e  che puzza di scarpe. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sorry, baby. ***


Image and video hosting by TinyPic

Everything smells of you.
Capitolo 2 - Sorry, baby.
Pov Kristen
 
«Ti prego... ti scongiuro, basta».
Mentre cerco di spogliarlo con una prepotenza assurda, quel ragazzo sembra ansimare dal tormento. I tocchi dimunuiscono; la ragione batte l'istinto e la tensione prende il sopravvento.
Non è possibile.
Inutile illudermi che stia facendo sul serio. Forse è solamente preoccupato di farmi male... forse il mio fragile aspetto lo ha intimorito.
Mi ritraggo emettendo un respiro profondo; la mia mente è in cerca di spiegazioni e il mio cuore rimbalza frettolosamente. 
Lo vedo rialzarsi la cerniera dei jeans. Tiene la testa bassa, evitando il mio sguardo. Vorrei poterlo toccare nuovamente; il suo corpo mi attrae in maniera pazzesca. I suoi movimenti sono decisamente controllati e felini, la sua bocca decisa e deliziosa. 
Forse... forse dovrebbe sapere la verità. No, ma che minchia dici Kristen? Non puoi dirgli che tu, be', è decisamente imbarazzante. Mentire sull'età è okay, fingerti una ventinovenne vissuta e con una vita alle spalle invece di una diciannovenne idiota e... vergine. 
Sarebbe totalmente imbarazzante confessare tutto ciò. Avere diciannove anni e non aver mai provato a scopare è davvero... non va bene, assolutamente. Qui le inglesi a diciotto anni magari hanno pure figli; per non parlare delle americane, oh sì. Quelle se non escono incinta a sedici anni muoiono di vergogna. Ecco, io muoio di vergogna. Non che abbia voglia di entrare in maternità... no. Ho solo quella fottuta tentazione di farlo con qualcuno, con chiunque. 
Il problema è che a ogni occasione mi blocco ingenuamente. La voglia si placa e il sangue m'inonda le guancie. Le mani si arrestano e il corpo si affloscia, come svenuto. Sono una merda, è ufficiale. Porca troia, che cazzo posso fare?
«Senti». La sua voce rotta si perde nei miei pensieri e mi riporta alla terra ferma. Gli lancio uno sguardo dispiaciuto mentre mi nascondo il viso.
«So che la tua delusione per adesso è grande quanto il mondo. Ma io non posso. Mi sono già mostrato abbastanza e, anzi, credo di aver fatto troppo. Scusami».
«Pensi che io sia troppo piccola? O fragile? Oppure non ti piaccio e basta? Spiegati». All'improvviso l'irritazione s'impossessa del mio corpo.
Soffoca una risata prima di guardarmi intensamente. I suoi occhi sono così... profondi. Non ci avevo fatto caso. 
«No, assolutamente. Sei più grande di me del resto. Solo che... io... non posso». 
«Perché? Hai paura di farmi male? Cazzo, ascoltami... aspetta come ti chiami?».
«Robert», sussurra. Mi lancia un sorriso sincero mentre aspetta una conclusione alle presentazioni.
«Io sono Kristen. Kristen Stewart». 
«Pattinson. Sei americana? Il tuo accento è strano. Le parole che usi sono così... strascicate».
Intuisco immediatamente che Robert vuole cambiare discorso, così gli punto un dito contro, guardandolo torvo. 
«Non riesci a distrarmi. E comunque, sì, sono americana. Problemi? Il mio accento è perfetto, le parole che uso sono grammaticalmente corrette e il modo in cui le esprimo è okay, stop».
Scuote la testa, frustrato. «Gli sbalzi d'umore dominano, mi sa».
«Dammi una risposta».
«Non voglio dartela, d'accordo?».
Senza preavviso mi afferra per i fianchi e mi soffia sul collo; il suo respiro mi provoca un brivido fortissimo. Dio mio, questo qui si contraddice continuamente. Non aveva detto che non poteva? I suoi pensieri dannatamente riservati mi irritano. Vorrei potergli urlare contro e farmi spiegare la situazione una volta per tutte, ma la mia incredibile innocenza e paura di poterlo fare arrabbiare prevale.
«Sei sicura di volerlo sapere?». Afferra la mia mano e la stringe tra la sua. Le sue dita si intrecciano alle mie, veloci e allo stesso tempo tese. «Ti avviso, non ti piacerebbe».
«Adoro gli horror».
Nasconde un risolino e molla la presa. Peccato. «Conosci i senzatetto?».
«Quelli senza casa? Quelli che vivono in mezzo alla strada come barboni?», azzardo, ironica.
«Esattamente».
«Arriva al sodo. Non voglio sprecare tutto il mio tempo a blaterare. Sai, ho degli uomini da consumare. Si chiama lavoro. Il mio lavoro».
Mi alza il mento e mi tocca le labbra con un dito, giocandoci un po'. «Ne hai uno davanti».
«Spero sia uno scherzo».
Non riesco a immaginare un ben di Dio come lui nei panni di un barbone. Che banalità. «Ma non hai l'aspetto... di quelli lì.». Lo osservo con più attenzione: i capelli sono scombinati, hanno una vita propria. La camicia è parecchio malconcia ma può andare. Le scarpe un po' vecchie e forse strette... ma del resto sono okay. Il viso pallido e cicatrizzato non da giustizia ai suoi occhi; il mento è tagliuzzato... si sarà fatto la barba da poco o di fretta, oppure senza posizionarsi davanti lo specchio.
«Scandalizzata?». Il suo tono di voce suona come speranzoso. Faccio no con la testa.
«Ehi, non lo sono. Non bado a questo genere di cose. Davvero, non importa».
«Sei pazza? Una ragazzina al posto tuo urlerebbe dallo schifo».
«Ti ripeto che non m'interessa. Adesso per favore puoi dirmi perché non vuoi portarmi a letto?».
Il suo tono di voce si trasforma in severità. Mi afferra i polsi e li stringe; sento il sangue placarsi e puoi riprendere il percorso. «Sei così ingenua. Tu non sai cosa potrei farti. Canto in mezzo alla strada e a qualche pub, vivendo di monetine. Violento donne su richiesta e vivo in uno sgabuzzino insieme al mio migliore amico. Il mio unico pensiero è questo nel corso della giornata: sopravvivere. E adesso che voglio ampliare la mia fottuta vita, voglio migliorare questa cazzo di situazione, arrivi tu. E mi rovini tutto. Non ci scopo con te, fattene una ragione».
Getta un urlo furioso prima di aprire la porta e sbatterla. Tutti si voltano a guardare confusi, sorpresi, scioccati. La sua ira ha dato un pugno netto al mio stomaco e mi ha uccisa. 
Prima di lasciarlo andare esco anch'io dal ripostiglio, ignorando gli sguardi sospetti e le risatine di sottofondo che circondano il locale. 
Lo afferro per il braccio, stritolandolo con forza e trascinandolo verso me. «E allora che ci facevi qui? Eh? Sei... oddio, ti odio».

«Era per una scommessa», sbotta sarcastico. «E ho vinto, grazie».
«'Fanculo! Stronzo! Stronzo! Ti odio, figlio di puttana! Ti odio!».
Inizio ad urlare come una pazza. Ho voglia di sputargli in faccia, di picchiarlo. Istintivamente corro verso di lui e faccio per allungare il pugno verso la sua guancia, ma qualcuno mi blocca sul nascere. 
E' Mark, il proprietario dello strip club. Cerco di liberarmi dalla presa ma è impossibile; le sue mani mi schiacciono il ventre prepotentemente e la sua gamba mi imprigiona la coscia. 
Stringo maggiormente il pugno destro, quello in cui la mira è più decisa e la forza più potente. Lo allungo, lo avvicino, lo stringo fino a sentirmi le dita indolenzite.
«Basta Kristen! Ehi, ehi, calma. Sta andando via, vedi? Basta problemi, sta andando via. Ritorna in te, ti prego. Kristen!».
Prima di poter oppormi sono già sprofondata tra le sue braccia. 

 


 


Pov Robert

«Mi odio! Mi odio, sono un emerito coglione! Cazzo! Cosa mi passa per la testa, Tom?».
«Non chiederlo a me. La zucca è tua».
«Ora cosa faccio? Porca troia, mi sento estremamente confuso. Dammi una mano, invece di stare lì a ingozzarti come un maiale!».
«Con i soldi che mi hai regalato, sono riuscito a rifornirmi per bene. Fammi godere questo momento di gloria».
Mentre afferra l'ennesimo panino da triturare lo precedo, prendendolo di scatto e mettendomelo sotto al piede. Lo schiaccio tentennando e sorrido, beffardo.
«'Fanculo, Pattz. Mi devi altre sterline per ricomprarlo».
Alzo gli occhi al cielo, sbuffando. Decido di assecondarlo, altrimenti inizierà a lagnarsi come un bambino dell'asilo. «D'accordo, però prima dammi ascolto».
Scoppia a ridere. «Esprimiti».
Emetto un respiro profondo, conto fino a tre e mi lascio persuadere dal mio ragionamento. Lui mi guarda disorientato e in attesa; sembra assorto dai suoi pensieri impuri, talmente indifferente da calare la testa e battere nervosamente le dita sul tavolino mezzo rotto. 
Sono le sette del mattino, sto crepando letteralmente dal sonno, e il mio migliore amico - l'unico oltrettutto - fa come se non esistessi. Proprio adesso che ho bisogno di uno dei suoi "saggi" pareri. 
«Vuoi darmi ascolto? Ho bisogno di una mano, per favore».
«Sei insopportabile. Basta, è tutto finito! La prossima volta conterai fino a dieci prima di farti scappare una certa preda».
«Non me ne fotte più un cazzo della ragazza, Tom!», urlo prepotentemente. Mi lascio scappare un piccolo sospiro e increspo le labbra, pensante. A dire la verità la penso ancora; mi sono comportato da stronzo nelle ultime ore, e rivederla - nei ricordi sfumati - incazzata, piagnucolosa, combattiva... pronta a saltarmi nuovamente addosso e a dirmene più di quattro mentre cerco di proteggermi dai suoi pugni violenti, dai suoi sputi, e dai suoi calci forti verso il basso del mio corpo, nel tentativo di farmela pagare, mi impetiosisce. 
Poi però è arrivato quell'omone e l'ha trattenuta. Lei cercava si liberarsi, si dimenava con disperazione e mi lanciava occhiate che inizialmente sembravano imploranti, poi però, in pochissimo tempo si trasformavano in crudeli e torve. Voleva provare a uccidermi con un solo sguardo carico d'odio, capace di farmi sentire tutto ciò in cui le aveva creduto in quei brevissimi minuti passati insieme a me, chiusi in quel ripostiglio fetente, spinti dai gesti e dalla brama di piacere che ci invadeva.
E io mi ero comportato da bugiardo: avevo voglia di sesso, sì. Il suo corpo mi attraeva - e tuttora se lo penso, inizio a sudare dalla voglia di toccarlo -, ma dovevo massacrare quel dannato masochismo che mi mi incatena... che mi vessa continuamente senza paura di potermi danneggiare, di poter modificare giorno per giorno il mio stile di vita, ormai basato su questo passatempo.
«A che pensi? So perfettamente che non sei un tipo loquace, però potresti almeno darmi un segno di vita, no?».
«Scusami. Stavo solamente... riflettendo».
Si apre in un sorriso caustico. «Facciamo passi da gigante!».
«Il tuo senso dell'umorismo non aiuta di certo, Stu».

Sento il cellulare scassato vibrarmi dentro la tasca. Infilo la mano e lo cerco; appena lo afferro bruscamente e senza badare al numero, rispondo: «Pronto?».
La voce in risposta ha un tono infantile e viziato. Sembra la vocina di Barbie, di una ragazza vanitosa e tremendamente irritante. «Ehi Rob, sono io Helen».
Caspita, non l'avevo neanche riconosciuta. «Ciao! Che succede? Avete finito il thè?», ridacchio.
La sua risata si unisce alla mia. «Divertente. No, ne abbiamo a quantità!».
«E allora cosa c'è?».
«Be', volevo avvisarti che sono pronta», il suo tono diventa intrigante e felino. «Passa quando vuoi, tesoro».
Mi rabbuio, scuotendo la testa. «Pronta per cosa?».
«Oh! Quanto amo il tuo essere così teatrale! Ti aspetto, bellezza». E riattacca, sogghignando soddisfatta.
Istintivamente scatto verso Tom e lo blocco sbattendolo al muro. «Dimmi che non c'entri nulla con questa storia, ti prego».
«Ehm... ops?». 
Gli ringhio contro, esasperato fino al midollo e gli urlo dentro un orecchio. «Perché?!».
Fa spallucce, offeso. «Ho vinto la scommessa. Ho ricevuto i miei soldi e adesso ti tocca sopportare le conseguenze della tua autolesionia».
«Facendo sesso con Helen? Violentandola?», sbraito, «ti rendi conto, eh?!».
«Amico, con me le sorprese non finiscono mai».
Getto un grido terrificante. Sto uscendo fuori di senno. «Ma cazzo!».
Mi guarda con nolechance e si apre in un sorriso lucente: «Poi si passa al piano b, ovviamente».

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Unexpected moments. ***


Image and video hosting by TinyPic

Everything smells of you.
Capitolo 3
Unexpected moments.

 
Pov Robert
 
 
14 Dicembre 2009

«Rob? Puoi spiegarmi chi è questa nanerottola qua?».
Nanerottola? Di quale nanerottola sta parlando? 
Mi alzo dal letto, confuso, strizzo gli occhi e apro la porta della camera, uscendone mezzo addormentato. Giungo verso Tom che è affacciato alla piccola finestra della cucina e sbraita parole pesanti a qualcuno, fuori, in mezzo alla strada. Lo guardo interdetto e gli poggio una mano sulla spalla, poi mormoro con voce rauca: «Che succede?».
«Qui c'è una che ti cerca. Dice che ti conosce da un po' e deve parlarti. Ma chi minchia è? Adesso te la fai anche con le nanerottole?».
«Aspetta, ci penso io».
Spalanco la finestra più che posso e esco la testa fuori. Mi guardo intorno ma non riesco a vedere nessuno. Eppure Tom diceva che c'era qualcuno per me. Che si fosse sbagliato? 
Poi, una voce mi chiama dal basso. 
«Ehi, qui sotto, testa bionda!».
Testa bionda. Ricordo che qualcuno mi chiamava così... tanto tempo fa. E quel tempo è stato pessimo o forse per qualche piccolo o grande dettaglio insignificante. 
«Dove sei?», chiedo alla voce piccola e dolce che proviene dal vuoto.
«Suvvia, Rob. Non riesci a capire chi sono? E comunque... sotto!».
Non riesco a crederci. E' lei, la mia piccola. E' lei! L'unica persona al mondo che mi abbia mai capito... lei! 
Mi apro in un sorriso lucente, ridacchiando di gioia e dando un colpo al davanzale della finestra. «Dio, non ci posso credere! Caroline! Piccola mia. Caroline, amore mio!».
«Quanto mi sei mancato, fratellone».
«Aspetta, ti faccio salire». Sbatto la finestra e mi precito al piano di sotto; apro la porta d'ingresso senza problemi - serratura scassata - e a velocità disumana percorro tutto il pianerottolo, fino ad arrivare alla porta principale. 
Ed eccola lì. Lì, che mi aspetta a braccia aperte e con un sorriso timido e poco accennato stampato in viso. 
I capelli biondi le arrivano alla vita, è fatta più alta e ha un po' più di guanciotte. Il suo nasino è tenero come sempre e le simpatizza il volto. Porta gli occhiali e spesso li aggiusta, tentando di non farli scivolare. 
Tiene un libro e una cartella giallo canarino in mano: la vedo stringere a sé quegli oggetti in maniera esageratamente forte. Sembra che si spaventi che qualcuno glieli rubi e glieli porti via da lei.
Senza neanche pensarci un secondo la prendo per le gambe e l'avvicino al mio viso, sfiorando il mio naso con il suo e posizionandola fra le mie braccia. Le dò un piccolo bacio in fronte e mi lascio scappare un risolino. 
«Sei cresciuta parecchio. Mi piaci, mi piaci», commento, cercando di raggiungere il piano di sopra a passo lento e pesante.
«Tu puzzi di sigarette e birra allo stesso tempo. Non mi piaci», confessa, scuotendo la testa. 
Sbuffo. «Be', abituati. Perché mi ritroverai sempre in questo stato, giorno e notte, notte e giorno».
«Dov'è finito il mio Robert? Il mio fratellone? Il mio fesso messo in piedi? Il mio orsachiotto da sbaciucchiare? Il ragazzo con cui giocavo con le Barbie quando ero piccola?». Si lascia andare ad una risata fragorosa, cercando di sfottermi.
Riapro la porta e la metto giù. Le faccio segno di entrare, alzando un sopracciglio e facendola passare, gentilmente. «Benvenuta nella mia dimora, signorina».
«Dimora?», chiede, scettica. «Io la paragonerei perlopiù a un rifugio per topi».
«Mi sei mancata, topolina».
«Ehi, non chiamarmi così. Mi sento una cretina», mi accusa, puntandomi un dito contro.
«Oh, mi scusi. Accetterà il mio umile perdono, Miss Caroline?». La guardo di sottecchi.
Alza gli occhi al cielo. «D'accordo, non cambi mai. E... anche tu mi sei mancato, ma penso di avertelo già detto, no?».
«Sentirselo dire più di una volta non è poi così male».
Sorride. «Oh. Mi sei mancato, Rob».
«Chi cazzo era?». La voce di Tom ci fa voltare entrambi. Si trova dall'altro lato della stanza con tanto di dentifricio in mano e spazzolino tra i denti.
Lo guardo senza tradire emozioni. «Tom, ti presento mia sorella, Caroline. Caroline, ti presento il mio compagno di "dimora", nonché migliore amico e minchione allo stato puro, Tom».
Lui mi guarda esasperato, poi ridacchia. «Tuo fratello è sempre molto gentile e sincero. Piacere di conoscerti, Caroline». Si avvicina verso di noi e stringe con serietà la mano di mia sorella, poi mi da un pugno leggero sul petto. 
Si volta per andare via. «Ah, Caroline?». Errato.
«Sì?».
Si lecca il labbro inferiore. «Vedi spesso Lizzy?».
«Praticamente dormo, vivo, respiro, con lei».
«E' fidanzata?».
Caroline lo osserva, interessata. Ha capito tutto. «Per tua fortuna si è appena lasciata. Ma non cercare di acchiapparla, non ne vale la pena. Vuole restare da sola e... non desidera condividere il letto con qualcun altro, se non con la sottoscritta».
Tom spalanca la bocca, sorpreso. Non si aspettava una risposta del genere, glielo si legge negli occhi. «Ehm, puoi dirmi quanti anni hai?».
«Ehi, amico. Non si chiede l'età ad una donna. E' maleducazione», gli faccio notare, trattenendo una risata. Caroline mi stringe mi abbraccia all'improvviso, e, lusingato da quel gesto spontaneo, le accarezzo la guancia rosea. 
«Ne ho undici. Ma ne dimostro molti di più, mentalmente, lo ammetto. Okay?».
«Caroline Pattinson, sei tale e quale a tuo fratello», abbozza un sorriso. «Credo che andremo molto d'accordo noi due», aggiunge.
«Tom, per piacere, puoi andare a farti fottere?», chiedo in maniera teatrale e sfoggiando uno sguardo esasperato. Solo Tom può cogliere il tutto il doppiosenso. «Vorrei restare da solo con la mia sorellina. E' da tipo... un secolo che non ci vediamo, e sto letterlamente impazzendo». 
«Mi dileguo. Caroline, è stato un piacere conoscerti, e... salutami Lizzy, okay?». Prende un'asciugamano e se lo mette in spalla. 
«Certamente. Ma non illuderti troppo, io ti avviso».
Tom trattiene una risata, dondolandosi. «Allora mi piacerà illudermi».
E' praticamente fissato. E' super convinto che mia sorella Lizzy sia segretamente innamorata di lui dalla prima volta che l'ha visto. Cioè, tre anni fa; ma contento lui una volta tanto.
Come può una donna innamorarsi di un uomo del genere? Un uomo che per campare suona in mezzo alla strada e violenta donne? Un uomo di questo tipo? Un uomo come me e lui. 
Pur vedendola ogni morte di papa, conosco perfettamente mia sorella Lizzy. Come del resto conosco Victoria o Caroline. 
Lizzy non è una ragazza che uscirebbe con Tom. Non lo farebbe mai. Lizzy è romantica, un'incredibile sognatrice che vive in un mondo tutto suo. E' un'idealista al cento per cento, desidera una vita serena e fuori da ogni regola. Vorrebbe vivere dentro una fiaba: brama dalla voglia di incontrare un vero e proprio principe azzurro. 
Sono davvero sorpreso che si sia lasciata con Alex. Dall'ultima volta che ci siamo visti, erano entrambi uniti e sdolcinati. Mi davano il vomito, ecco. La loro separazione sarà dovuta a qualcosa di molto grave, senza dubbio.
Ma in ogni caso... se l'incantevole "Dall'ultima volta che ci siamo visti", risale ad anni fa... be', mi sto prendendo per il culo.
«D'accordo, adesso puoi lasciarci soli?», chiedo, indicando sia me che Caroline. 
Tom mi guardo comprensivo. «Okay. Io fra qualche minuto ho appuntamento con Helen e Cassie al bar. Ci si becca in giro, allora», risponde. Apre la porta del bagno dietro di lui, afferra dal divano dei vestiti puliti ma ugualmente malconci, e si chiude dentro.
«Allora, cosa facciamo?». Mia sorella mi lancia un'occhiata incuriostita e si butta sulla poltrona nero di fogna. 
«Non so, tu cosa vuoi fare?». 
«Non ne ho idea, lo stavo giusto chiedendo a te», sbotta, sarcastica.
Mi apro in un sorriso sghembo. «Ehi, cosa sono quelli?», chiedo, notando che porta ancora al petto quelle cartelle colorate. Mi avvicino per prenderle, ma le mi blocca improvvisamente.
«Scusa», ansima, rossa di vergogna. «Non credo sia una buona idea».
«Oh, scusa tu. Non pensavo...».
«No», continua nuovamente, «non pensare e basta. Sono solo delle cose praticamente insignificanti. Lascia stare».
«La prossima volta non mi impiccerò più, lo prometto», sospiro. 
La prossima volta? Quale prossima volta? Siamo sicuri che ritornerà da me? Per stare un po' con me? Per passare qualche oretta con il sottoscritto? Ma fammi il piacere. 
Non lo farebbe nessuno. E a questo punto... neanche lei. Passare del tempo con uno stronzo psicopatico come me? Meglio farsi sbranare interi da un leone. Molto meglio.
E allora perché è qui? Eh boh.
«E comunque», ribatto, deciso, «niente di ciò che fai tu è insignificante». Nel mio volto si sfuma un sorriso, cosa assolutamente insolita. 
Non sorrido, né rido mai. Non lo faccio da un tempo che sembra... eterno, lunghissimo. E con molti precedenti, altroché. 
Benché non sia un tipo loquace e gioioso già di mio... sento che nella mia vita non ci sarà mai un posto per la serenità. Sento che la felicità, lo star bene... non si adatterà mai alla mia persona. 
La mia anima tormentata è troppo forte. La depressione, il pessimismo, il masochismo, le crisi isteriche, le urla, la musica, la mia chitarra, i gemiti, il sesso, il calore...
Quella.
Lei.
«Rob?!».
Sento la voce di Tom rimbombare per la stanza. Ha urlato come un pazzo da chissà dove.
Mi guardo intorno, intontito e profondamente scettico. I suoi sbalzi d'umore frequenti mi danno alla testa. Che cazzo gli prende?
Caroline arrossisce e mi lancia uno sguardo incerto e allo stesso tempo terribilmente imbarazzato. Mi mordo un labbro e faccio una smorfia d'orrore, mentre becco Tom in boxer neri attillati, nascosto tra la porta di camera sua, e la finestra del soggiorno. 
«Ehi, che succede?», chiedo.
«Ma ancora qui stai?». Mi guarda male, infilando i pantaloni sotto il letto e ammassandoli insieme ad altri. «Devi andare subito via. E portati anche la bambina».
«Perché? Fino a prova contraria qui ci vivo pure io».
«Helen e Cassie hanno cambiato programma all'ultimo minuto, merda», si lagna, guardandomi. «I loro fidanzati vogliono vederle adesso e quindi non posso andarle a trovare a casa loro. Arrivano fra qualche minuto... diciamo fra dieci. Dunque, se non vuoi scandalizzare Caroline con le mie porcate... fuori di qui».
«Ti rendi conto? Adesso sono privato pure di stare dentro "casa" mia, e con mia sorella... che oltretutto, non vedo da un secolo!», sbotto, digrignando fra i denti.
«Oh!». Tom mi da un cazzotto alquanto forte, facendomi sbattere contro la parete e barcollare all'indietro. Mi riprendo poco dopo. Ho la faccia tutta rossa, il che significa che se continua lo mando all'ospedale.
«Devi finirla con queste merdate da introverso. Sembri un fantasma! Non esci mai, non violenti mai nessuna, non fai sesso da un bel po'!».
«Tre giorni non sono un bel po'. Devi smetterla tu, okay? Non voglio stop».
Il mio migliore amico. Perché non mi capisce, davvero? Perché sono tutti attaccati al sesso? 
«Porto Caroline al parco. Voglio uscire di qui. Sai, hai ragione. E' molto meglio», sbotto, dandogli le spalle bruscamente e dileguandomi, dirigendomi verso mia sorella.
«Caroline, vieni qui. Andiamo al parco, ti va?». Il mio tono di voce è piuttosto incazzato. Dovrei sembrar carino e spensierato, come qualsiasi bravo fratello, ma è inutile. 
Lei annuisce solamente e mi da la mano. La stringo forte e apro la porta.
«Fanculizzati!», urlo, sbattendola forte. 
Finalmente un po' di pace.
 
§§§
 
«Quindi... papà e mamma sentono la mia mancanza?», sbuffo, portando una sigaretta alla bocca. L'ennesima della giornata.
«Lo dicono sempre. Ancora non capiscono perché tu te ne sia andato», sospira. Mi lancia un'occhiata burbera e si porta una mano alla testa.
Alza gli occhi al cielo. «Buttala via quella sigaretta!».
«Neanche per idea!».
«Hai la ragazza?», chiede, improvvisamente.
Potrei rispondere: "Sì, cioè, nella mia testa da cazzo. E' una ragazza che ho conosciuto al pub tre sere fa e ne sono perdutamente innamorato... si dice così? Be', forse. So solo che è più grande di me - davvero? - e che ha un fondoschiena da urlo. Mi faccio seghe mentali su di lei ogni secondo della mia vita. Insomma, è una prostituta, perciò diciamo... sì, diciamo che comprende il mio lavoro. Mi piace, quindi?"
No, meglio dire la verità.
«Mi piace una ragazza, ma... l'avrò vista mezza volta, e forse lei non si ricorda neanche come cazzo ho il volto, per cui».
«Come si chiama?».
Allarme. Come si chiama? Dio, non lo ricordo. Inizia con la "K" se non ricordo male... 
Karen, Kate, Kim, Kimberlee... KRISTEN.
«Kristen!», urlo come un coglione. Tutti si voltano a squadrarmi con gli occhi sgranati. 
Cazzo.
«Carino», commenta Caroline, regandomi un dolce sorriso. Quanto mi è mancata? Quanto? Un casino, Dio.
Ricambio e abbasso lo sguardo. 
Davvero. Dove è andata a finire quella prostituta? E quegli occhioni verdi? Li penso ancora e ancora e ancora...
Il suo corpo, i suoi movimenti, il suo accento americano, i suoi denti a castoro terribilemente teneri e innocenti. La sua bocca. 
E come scordarsi quel bacio selvaggio? Violento e aggressivo, potente e disperato.
Qualcuno mi tamburella la spalla. E' una mano fredda e piccola, molto piccola. Ma non è di mia sorella Caroline.
«Scusa, ti sei seduto sopra la mia giacchetta». Non ci posso credere.
La penso e appare dal nulla? Come diavolo è possibile? Manco avessi i poteri magici. 
Spalanco la bocca, trattenendo a stento la sorpresa. Rivederla non era nei miei piani, semmai nei miei sogni. E adesso, SBAM, eccola qui. Che mi chiede di alzarmi perché le sto sgualcendo la giacchetta con il culo. 
Perfetto. Davvero molto romantico.
Mi giro, sorridendo come un idiota. «Ciao, Kristen».
Spero non se la prendi molto. Cioè, ricordo almeno il suo nome. 
L'unica risposta sono degli occhi verdi e raggianti, sgranati e interdetti.
 
Pov Kristen
 
Rimango immobile per minuti interminabili, battendo le palpebre in maniera veloce e sconcertata. Ho la testa fra le nuvole, il corpo molle e la testa vuota. Completamente vuota.
Riesco solo a pensare: "E' lui. Il ragazzo del pub. Quel belloccio da quattro soldi. Quello stronzo".
Vorrei chiedergli perché mi sta rivolgendo la parola. O meglio, perché sta riscaldando con il culo la mia giacchetta. Maleducato.
Vorrei piombargli addosso, farlo mio e magari baciarlo un po'. E allo stesso tempo vorrei prenderlo con forza, scaraventarlo contro la statua che si trova a pochi passi da noi, e dargli un violentissimo calcio nelle palle.
Che confusione. 
Attenzione Kristen Jaymes Stewart. Ripensa a ciò che ti ha detto tre sere fa. Ripensa a tutto il dolore che ti ha fatto provare quella dannata sera, anche solo conoscendoti da poco.
Stai attenta. Non farti illudere dal visetto d'angelo che si ritrova: non essere così ingenua e cretina.
Intanto che la mia mente fantastica e si interroga continuamente sul che fare, lì, imbabolata davanti a lui, con un'espressione indecifrabile e da perfetta idiota, lui entra ed esce costantemente una sigaretta dalla labbra. 
E ci gioca. Mi sta letteralmente provocando, e la cosa non va affatto bene.
Una nuvoletta di fumo mi arriva in piena faccia, entrando su per il naso e facendomi tossire. E poi ne arriva un'alta, e un'altra, e un'altra...
«Ti hanno mangiato la lingua?», sbotta senza preavviso.
Abbozzo un sorrisetto sarcastico e incrocio entrambe le braccia, puntando i miei occhi sui suoi. Azzurri, ma spenti e senza ombra di felicità.
«Piacere di rivederti, anch'io», rispondo, con la lingua fra i denti. 
Ridacchia. «Che ci fai da queste parti? Niente seghe oggi?». Durante l'ultima frase abbassa la voce, ricordando che non siamo soli. C'è una bambina accanto a noi.
«Chi è lei?», chiedo, ignorando la sua domanda.
Mi guarda scettico, come se la domanda sia così insensata da divertirlo. Come se sia così ovvia.
«Mia sorella, Caroline». 
La biondina mi passa accanto, sfiorando il mio braccio contro il suo. Mi porge la mano, gentilmente, e io la stringo, mimando un "ciao" appena accennato.
«Tu sei la ragazza di Robert?», mi chiede, tutto a d'un tratto. 
Merda. Merda. Merda.
«Le hai detto che sono la tua ragazza?», urlo, allarmata.
Un tizio chiede di abbassare la voce, ma io lo ignoro del tutto e fisso con gli occhi di fuori il viso furbetto di Robert Pattinson.
Lui si apre in un sorriso mozzafiato. Ho bisogno di aria, cazzo. 
«Certo che no. Le ho solo detto che sei interessante», dichiara, come se fosse così naturale.
Improvvisamente una luce chiara proveniente dal cielo, limpido e azzurrino, mi investe, facendomi intontire, più di quanto non l'abbia già fatto Robert con i suoi sorrisi.
E la scena inizia a girare proprio sotto i miei occhi. 
 
"«Era per una scommessa», sbotta sarcastico. «E ho vinto, grazie».
«'Fanculo! Stronzo! Stronzo! Ti odio, figlio di puttana! Ti odio!».
Inizio ad urlare come una pazza. Ho voglia di sputargli in faccia, di picchiarlo. Istintivamente corro verso di lui e faccio per allungare il pugno verso la sua guancia, ma qualcuno mi blocca sul nascere. 
E' Mark, il proprietario dello strip club. Cerco di liberarmi dalla presa ma è impossibile; le sue mani mi schiacciono il ventre prepotentemente e la sua gamba mi imprigiona la coscia. 
Stringo maggiormente il pugno destro, quello in cui la mira è più decisa e la forza più potente. Lo allungo, lo avvicino, lo stringo fino a sentirmi le dita indolenzite.
«Basta Kristen! Ehi, ehi, calma. Sta andando via, vedi? Basta problemi, sta andando via. Ritorna in te, ti prego. Kristen!».
Prima di poter oppormi sono già sprofondata tra le sue braccia."
 
§§§
 
«Kristen? Kristen, mi senti? Kristen?».
«Come sta?».
«Cazzo, è da tre ore esatte che non si sveglia».
Una mano calda e rassicurante mi accarezza la guancia infreddolita. Gemo, portandomi una mano alla testa e farfugliando parole insensate.
«Grazie a Dio, ti sei ripresa». Un respiro ugualmente vellutato mi tocca in maniera impercettibile e si allunga su tutto il viso.
Non posso credere che sia la persona a cui sto pensando.
«Rob... Robert?», impasto, agitandomi.
«Ehi, ehi». Pur non vedendolo, sento e sono sicura, che sta sorridendo. E' una bella sensazione.
«Che cosa è successo? D-d-dove mi trovo?». Dico l'ultima frase balbettando, e lui mi sfiora nuovamente.
Soltanto dopo aver sentito un leggero fruscio passare tra le mie gambe, e tra i capelli, scompigliandoli, capisco che siamo fuori.
«Sei svenuta improvvisamente e... Dio, mi hai fatto prendere un colpo», ansima, ancora preoccupato.
«Non era mia intenzione, scusa», rispondo, arrossendo. «E' che oggi non ho mangiato... per... praticamente tutto il giorno».
Il suo tono di voce suona severo. «E perché mai?».
Fissa il mio corpo scheletrico e sospira.  Abbasso lo sguardo verso il prato verde. Siamo entrambi accucciati in una panchina, sotto un albero di quercia, grande e spettacolare. La mia testa si trova tra le sue gambe e i miei capelli volano insieme al vento che ci circonda.
«Non lo so».
«Sei strana forte», sussurra. Sembra che non stia scherzando.
Mi lascio scappare una risata, involontariamente. Lui inclina leggermente la testa, fino a toccare la mia fronte e la sua risata si unisce alla mia, immediatamente.
Per mia fortuna non c'è nessuno al parco. Il deserto, ecco cos'è. 
E così...
«Aspetta, ma dov'è tua sorella?», chiedo, disorientata.
Corruga la fronte. «E' venuta a prenderla l'altra mia sorella, Lizzy».
«Okay, fammi capire. Sei l'unico uomo della casa?».
«Tralasciando mio padre, be', sì». Il suo sguardo si ghiaccia, ma scuote la testa, e ritorna in sé. «Non ho voglia di parlarne».
Evito altre domande che potrebbero solamente irritarlo, e alzo la testa per guardarlo meglio.
«Com'è strana la vita. Fino a poco fa ti odiavo, e adesso mi stai quasi simpatico», sorrido.
«Uuuh...».
«Ho detto quasi, coglione», rispondo acida. Robert respira a fondo e sprofonda nello schienale della panchina, socchiundendo gli occhi.
«Kristen?», sussurra, a fior di labbra.
«Che c'è?».
«Perdonami. Sono solo uno stronzo. Scusami, non dovevo giocarti in quel modo così meschino», dice con voce tremante. Sembra sia sull'orlo del pianto. «Con te non ho alcuna intenzione di giocare», aggiunge, serio.
Sorrido spontaneamente e mi lascio coccolare dalla sua mano, intenta a lambire ogni particolare del mio viso. 
Odoro il suo profumo. Non faccio conto del fumo, della birra, di niente. Ha un non so che di caramellato; davvero molto dolce.
«Solo un ragazzo speciale può dire certe cose», mormoro, mordendomi un labbro.
E forse, Kristen, quel ragazzo speciale che intendi tu, è molto di più di quanto tu creda. E questi momenti inaspettati, ne sono la prova più concreta.



 
OKAY. OKAY. OKAY.
Ritardo assurdo, completamente assurdo.

Ho lavorato un casino su questo capitolo, ci ho fatto i bagni, i sudori, i pianti e blablabla, sicuramente non vi interessa.
Spero vi sia piaciuto e... be', alla prossima, gentaglia. (♥)
- MartiSpunk.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Don't wait long. ***


Image and video hosting by TinyPic

Everything smells of you.
Capitolo 4 - Don't wait long.


 
Pov Kristen
 
«Chi era? Dove lo hai conosciuto? A quale famiglia appartiene? Ha frequentato la scuola? Adesso va all'Università? E' un bravo ragazzo? E' volenteroso ed educato? Quanto ragazze ha avuto? Sicura di conoscerlo veramente? Cosa vi siete detti? Gli hai già parlato di te? Gli piaci?».
La voce di mia madre ronza rumorosamente per tutta la casa. 
Ieri sera, Robert, mi ha gentilmente riaccompagnata a casa. Dopo lo svenimento improvviso e le confessioni inaspettate di tutto il tardo pomeriggio, mi sentivo ancora un po' intontita e il suo gesto è stato davvero molto carino. Sembrava preoccupato, quasi allarmato, cosa che mi stranizzava parecchio, ma decisi di lasciarmi andare.
Nessun ragazzo ha mai fatto una cosa del genere per me; tranne Robert, ovviamente. 
Di solito la gente mi ignora. Cerca di evitarmi, insomma. Quelle poche amiche che avevo a scuola erano del tutto svampite e irritanti, talmente tanto da farmi sclerare. 
Adesso, sì, ho delle amiche - magari anche più sincere delle precedenti - però, è come se fossi sempre sola. Margot, la mia migliore amica della California, mi aveva promesso di farsi sentire subito dopo la mia partenza per Londra, invece, toh, sono passate due settimane e ancora nessuna notizia.
Mia madre - fino a pochi giorni fa - sembrava non accorgersi neanche della mia presenza, e del mio rincasare così tardi. Per non parlare della mia solitudine: oh, quella la sottolavutava del tutto.
Ma ieri, per la mia felicità, la luna era girata dall'altra parte. Mia madre non era uscita con David (il suo nuovo compagno) per via del forte raffreddore e della tosse incessante, ed era rimasta a casa a guardare film drammatici per tutta la sera. 
Aprendo la porta d'ingresso, la trovai in stato di zombie, distesa sul divano, coperta da innumerevoli fazzolettini e con il viso rigato dalle lacrime. Con me, un piccolo e impercettibile particolare: Robert.
Ovviamente credevo che non fosse in casa. Chi poteva mai aspettarsi una cosa del genere? Sono abituata alle sue uscite senza fine, del resto.
Invece era lì. E appena vide Robert si rabbuiò, corrugò la fronte e spense la tv senza neanche pensarci. Il suo comportamento mi spaventò e abbassai lo sguardo, nascondendo la vergogna.
Come mi aspettavo, rivolse al mio accompagnatore infinite domande sul suo conto. Fortunatamente Robert rispose con naturalezza, annuendo e sorridendo a ognuna di quelle. Un po' mi rilassai.
Rob mi ha lasciato il suo numero di cellulare. Non pensavo fosse una persona così dolce e disponibile, è sul serio una scoperta. Dice che se ho o avrò bisogno di qualcosa, lui sarà pronto ad aiutarmi.
In pratica mi ha fatto capire che vuole ripagare per bene la figura di merda che ha fatto l'altra sera allo Strip-Club. Okay...
«Kristen? Devi dirmi ogni cosa, chiaro? Ogni singola cosa», abbaia mia madre, lanciadomi un'occhiataccia.
«Ma ieri sera ti ha già spiegato tutto lui!», puntualizzo. «Non è necessario».
«Mi sembra ridicolo ciò che mi ha raccontato ieri. E' assolutamente puerile incontrarsi al parco, svenire, e portare in salvo. E' una cosa irreale».
Alzo gli occhi al cielo, infastidita. «E' successo, mamma. E lui è stato così carino da riaccompagnarmi a casa, dato che ero ancora un po' stordita. Cosa c'è di male?». 
Cosa c'è di male, Kristen? Che stai mentendo di brutto, tesoro. Non vi siete conosciuti al parco, ma in un fottuto strip club alle due di notte. Tu lo hai provocato, lui ha ceduto, ti ha baciata e stava per scoparti. Poi però si è tirato indietro, perché non voleva essere masochista. Allora tu ti sei incazzata e stavi quasi per picchiarlo, ma fortunatamente Mark ti ha bloccata e Robert è andato via, dicendo che ti aveva ammaliata e poi piantata solo per una scommessa. 
Niente di male, guarda, proprio niente.
«Comunque, non azzardarti a frequentarlo più. Potrebbe portarti in una brutta situazione, e la cosa non mi garba». Tira su con il naso e poi incrocia nuovamente i miei occhi. «Non bisogna fidarsi degli sconosciuti, anche quando hanno la faccia d'angelo».
«Mamma stai dicendo solo stronzate. E poi, scusa, che cazzo te ne fotte? Non ti è mai importato nulla della mia vita, nulla. E adesso, Dio, spunta un ragazzo bello come il sole e magari sei gelosa di tua figlia? Non diciamo puttanate, ti prego».
Non ho mai rivolto la parola a mia madre, in questo modo così sgarbato e volgare. 
E' come se mi fossi liberata, tolta via un peso che ho sempre portato addosso, pur di non ferirla. Pur di non dimostrarle una persona che non sono io, per lei. 
E adesso che la fisso, con gli occhi sgranati dalla sorpresa, mi sento un gigante. Pronta a difendermi, pronta a non farmi mettere i piedi in testa, pronta a spaccare i culi a tutti.
«Scusa, forse ho esagerato un po'...», farfuglio, posando la tazza di latte sul tavolo della cucina, e alzandomi dalla sedia.
Ho ancora addosso il pigiama, e fra due ore esatte ho appuntamento alla caffetteria con Mark. Dice che deve mostrarmi dei libri che mi possono istruire per bene, nel mio nuovo lavoro... ma non sono molto convinta, lo ammetto.
Mia madre è ancora immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto, e la bocca spenta in una smorfia delusa. Forse ho davvero esagerato. Magari adesso si sente in colpa, così tanto da scoppiare in un pianto isterico.
No, cazzo, Kristen.
Non stare al suo gioco. Gioco al tuo, semmai. Fai ciò che ti pare, fregatene dei giudizi della gente. Chi sono loro per dirti quello che devi fare e comandarti a bacchetta? Non sono onnipotenti di chiunque, solo di loro stessi. E adesso, perché non crei un'onnipotenza anche nella tua vita? Dominati, pensa solo al tuo piacere. 
Pensa a lui.
Pensa a quanto saresti felice con lui. Pensa a quanto amore potrebbe donarti. Pensa a quanto è bello e gentile. Pensalo, costantemente.
Non lasciarti trascinare inconsciantemente dai pareri personali degli estranei; da quelli dei tuoi, e dei conoscenti. L'unica a mente a cui puoi pensare è la tua. Gli unici consigli, ricavateli da te stessa. Non perdere tempo con gente che non ti considera, fai da te.
Ti piace, Kristen? Ti piace? Allora, su! Sei pazza di lui e te lo si legge negli occhi. Lui ti trova interessante, oltretutto. Cosa aspetti? Muovi il culo, sbatti la porta in faccia a tutti e vola oltre i confini della ragione. Devi darti una mossa.
Entro in camera mia, chiudo la porta a chiave, e mi appoggio ad essa. Riflettere con me stessa è molto complicato, non riesco mai a prendere una decisione giusta, cado sempre nel basso. 
Decido di chiamare Robert. Ho voglia di sentirlo, di incontrarlo, di parlagli, di sorridergli, e di abbraccialo. Sarà stupido, ma è così. Questo ragazzo mi incanta, mi persuade con ogni suo gesto e mi lascia senza fiato. Sarà pure uno stronzo, a volte, ma è pur sempre un uomo. E quando vuole, sa sorprenderti come non ha mai fatto con nessuno.
Afferro il cellulare e con le dita che tremano - maledizione -, cerco di inviargli un messaggio, magari. Evito di abbreviare o cosa, non voglio passare per la sgrammaticata proprio adesso che il mio umore non è granché. E non voglio mettermi a discutere sul mio modo di scrivere. Voglio solamente conversare con lui, seneramente.
"Salve! Cosa stai facendo, eh? Avrei voglia di vederti... se per te non è un problema, certo :)" - invio frettolosamente, e socchiudo gli occhi.
Attendo, attendo, attendo. Quando sento vibrare le mie mani, capisco che mi ha risposto, e senza volerlo, sorrido.
"Kristen. Niente di che, cazzeggio con Tom, il mio migliore amico. Tu? Oh, non lo so. Hai scelto il momento meno adatto, fra mezz'ora scendo per sbrigare delle cose. Facciamo stasera? Che ne dici?"
Sbrigare delle cose.
Che cosa in particolare? E perché non mi ha specificato nulla? 
Oh, andiamo, Stewart. Non sei la sua ragazza, per cui non è costretto a dirti tutto. Ragiona, baby! Si sa però che vorresti esserlo...
Scuoto la testa. La seconda me mi sta letteralmente facendo arrabbiare.
"Oh. Tranquillo, fa come ti pare. Non me la prendo, capisco che hai i tuoi impegni. Forse sono un po' troppo appiccicosa..."
"Ma cosa dici! Ti giuro, stasera sono tutto tuo. Abbi un po' di pazienza e verrai ripagata per bene."
Soffoco una risata di fronte a quel "verrai ripagata per bene" . Cos'è una proposta alletante? Oppure è solo un modo per potermi portare a letto liberamente, senza sforzi, e con un buon allenamento? 
Non saprei.
Annuisco a me stessa, rispondendogli. 
"Come vuoi. A che ora ci vediamo?"
"Incontriamoci al bar vicino casa tua verso le otto e mezza. Non vengo a prenderti perché non vorrei causare problemi, sai..."
Giusto. Mia madre uguale problemi. Poco fa mi ero totalmente dimenticata di questo piccolissimo dettaglio. Ma una volta tanto, l'importante è vederlo e stare un po' con lui. Niente ha più importanza, neanche che faccia il cavaliere e mi venga a prendere lui stesso per uscire, neanche questo. 
"Ci sarò! :)"
"Non vedo l'ora, baby."
Prendo tutto il necessario dalla mia borsa da viaggio - ancora colma di roba da indossare - e mi chiudo in bagno, rigirando la chiave. Ho bisogno di qualche minuto per me stessa, senza pensare ad altro.
Preparo l'acqua calda nella vasca bianca e immacolata, mi spoglio, m'infilo dentro, tentennando, e mi lascio andare, respirando profondamente.
Apro l'acqua, e pur essendo presa di freddo, poiché è Dicembre inoltrato, non bado alla pelle d'oca che mi attraversa la schiena nuda, e, chiudendo gli occhi di scatto, mi sciolgo nell'acqua bollente appena preparata.
 
§§§
 
«Ehi, Kristen, sei arrivata. Accomodati».
Mark mi stringe la mano cordialmente, sorridendo bonario sotto i baffi color cenere. Ricambio il saluto e mi accomodo, sedendomi su una sedia color cachi. 
«Sì, infatti. Allora, dimmi tutto», lo incalzo, incrociando i suoi occhi piccoli e indecifrabili. 
«Vorrei parlare di te», sussurra, guardando altrove. «Cioè, del tuo modo di relazionarti con gli altri...».
«Ho fatto qualcosa che non va, Mark?», lo interrompo bruscamente.
«Kris, è impossibile, decisamente assurdo che non ti ancora portata dietro nessuno», mormora a occhi bassi e un po' imbarazzato prosegue. «Io le spogliarelliste le pago per il loro lavoro non per altro. Loro si spogliano, appunto, per gli uomini. Tu ancora non lo hai fatto».
«Ma, Mark...».
«E», mi ignora, «fare solamente seghe non è una buona ragione per definirsi una mia assistente. Devo buttarti fuori a calci? Eh, Kristen? Dimmelo tu».
«Non è questo il punto», obbietto, guardandolo di traverso. «Il punto è... che non sono ancora pronta. Mi spiego: è da poco che mi immedesimo in certi ruoli, attività, lavori, chiamali come ti pare. Ma imparerò, te lo prometto».
«No, no, non hai capito! Qui non esistono promesse. Io ti ho assunta perché pensavo di potermi fidare della tua sconosciuta esperienza. Invece mi hai solamente dimostrato che non hai mai fatto nulla di tutto ciò, e io ci perdo, capisci?».
Il suo ragionamento non fa una piega. Certo, lui assume soltanto persone con una esperienza abbastanza ampia alle spalle. Ed io, invece?
Io non ho mai avuto rapporti intimi con nessuno. Quando ero adolescente ho baciato un paio di ragazzi, a volte per interesse, a volte anche per gioco. Ma non li ho mai ammaliati così tanto da trascinarmeli sotto le coperte. Ho sempre cercato di rinchiudermi dentro la mia ingenuità, fregandomene dei giudizi altrui.
Giudizi che poi ho cominciato a prendere sul serio un paio d'anni a questa parte. Verso diciassette, diciotto anni, precisamente. Quando nel gruppo della scuola, tutti gioivano, raccontando le loro esperienze sessuali con i ragazzi più grandicelli e sbattevano in faccia la delusione, a chi ancora stava lì, inerme di fronte a tutto e tutti. 
E fra quelle povere persone, c'ero e ci sono anch'io.
E adesso mi ritrovo a diciannove anni, inetta, totalmente incapace di conquistare qualcuno e farlo inebriare col mio corpo, arma perfetta per incantare gli uomini. 
E allora perché faccio questo lavoro? Semplice: perché mi serve.
«Per non parlare di quella scenata, l'altra sera!», si lagna Mark, riducendo gli occhi ad una forma irreale. Assentandomi e girovagando nella mia mente non mi sono accorta che lui intanto è andato avanti con la sua riflessione.
«Non voglio più che succeda. Non deve succedere, okay? Non vuole scoparti? Va bene. Punta su un altro ragazzo, fottitene. Pensa al tuo lavoro».
Peccato che Mark non sappia quanto sia estremamente difficile puntare su un ragazzo che non sia Robert. O almeno, quanto lo sia per ora.
«Abbiamo bisogno di grana. Abbiamo bisogno di donne, donne, donne!». Mi guarda con un'aria da indemoniato. Quest'uomo, quando vuole, sa suscitarti una paura tremenda. 
Alzo un sopracciglio e mi mordo il labbro lentamente. «D'accordo. Facciamo un patto. Sei libero di riufiutarlo».
«Sentiamo», dice, interessato. Inclina la testa leggermente verso di me.
«Mettimi alla prova, stasera. Lasciami spogliare davanti a tutti: voglio stupirti. Lasciami fare. In questo modo nel tempo, imparerò il mestiere. E...», azzardo allungando la mia mano chiusa verso la sua. La apro velocemente e mostro delle banconote inviate da mio padre, due giorni fa. «verrai anche ricompensato».
Abbozza un sorriso, scuotendo la testa. «Sempre la solita. Ma... va bene».
Sembra la stessa e identica scena di due settimane fa. Quando mi ero ribellata nuovamente a mia madre, ed ero corsa in cerca di qualcosa di completamente inadatto a me. Qualcosa che la punisse, la punisse per davvero.
«E' un problema se stanotte arrivo verso l'una?», chiedo. «Prima sono fuori... motivi personali».
«Che c'è? Nuova regola?», ridacchia. «Dai, magari te lo concedo, per stavolta».
Sospiro, lanciando occhiate furtive al locale. Tutti appaiono così spensierati e rilassati. Alcuni si dimostrano stanchi, ma non troppo. La maggioranza tocca i senza pensieri.
Chissà se Robert mi bacerà stasera...
Perché tirarsi indietro? Chi me lo impone? Adesso sono indipendente, non ho bisogno di comandamenti a bacchetta, giusto? 
E se devo aspettare la fine di questi quattro mesi, nella città più glaciale in cui abbia mai messo piede, be', tanto vale spenderli come si deve, no?
 
 
Pov Robert
 
Ansimo, e ancora, ansimo. Sì.
«Ahi, ah, ah...», gemo, portandomi una mano alla testa e stringendomi i capelli bagnati tra le dita. Un respiro spezzato segue l'altro, in fila indiana, mentre un fuoco mi brucia il corpo. 
«Shhh», sussurra lei, sfiorando il mio naso con il suo e posizionando la bocca sul mio collo. La apre con più forza e morde con prepotenza, gemendo insieme a me.
Non dovrei farlo, in realtà. Avevo promesso e ogni pensiero buono è andato a farsi fottere dal momento in cui mi è piombata addosso.
Non sono riuscito a fermarla.
E lasciamola passare questa notte, ormai, no? Tanto ci ho preso l'abitudine. E' impossibile, praticamente impossibile riuscire a  placarmi di fronte a richieste e bisogni del genere.
Però... con lei. Non che io ne sia pazzo, anzi. Sinceramente non mi fa né caldo, né freddo questa donna. E' solo una ragazza, punto e basta. Lei mi lancia sguardi maliziosi spesso, e io ricambio, giustamente. Ma... cioè.
Non è...
«Helen», sussurro, giungendo all'apice del piacere.
 
§§§
 
 
«E come è stato? Ci sa fare? Racconta, su, sono curioso!».
«Ma scusa, tu non ci avevi già fatto sesso con lei?».
«Non esattamente... più con Cassie... però...».
Ridacchio, guardandolo di sbieco. Indossa una camicia rossa a quadri e dei jeans strappati accompagnati da delle converse blu che gli calzano a pennello. La sua espressione non tradisce il fatto che stia morendo dalla voglia di sapere ogni dettaglio.
Dopo una mia notte di sesso sfrenato con Helen Cooper, la sua smania di intimità con certe ragazze è aumentata di molto. Oltre a desiderare bramosamente mia sorella, Lizzy, prova qualcosa di molto intenso anche per questa rossa.
«Mmm, normale». Soffoco un'altra risata.
Mentre attraversiamo una delle tante strade gelide e affollate di Londra, mi tira un calcio sullo stomaco, leggermente.
«D'accordo, mi stai pigliando per il culo. Cazzo dici, Pattinson? E' un gran pezzo di donna». 
«Non sono interessato a lei, ricordi? E' lei che è interessata a me. E' stata lei a piombarmi di sopra, io le ho solo concesso tutto ciò», obbietto.
Accende una sigaretta e me ne porge un'altra: «Sei proprio un coglione».
Alzo un sopracciglio, tenendo le mani dentro la tasca dei pantaloni. Il suo modo di pensare e prendere a genio le cose è alquanto insolito. La sua mentalità lo è. 
Altrimenti non sarebbe Tom Sturridge.
Entriamo dentro ad un bar molto piccolo, stretto e lungo. C'è una musica rilassante in sottofondo e la gente sembra assorta dai suoi pensieri.
Mi guardo intorno, sbadigliando. I miei occhi riescono a percepire solo gente di mezza età e qualche anziano che prende il caffè.  Alzo un po' di più il capo, e quasi non oscillo all'indietro. 
«Kristen!», urlo, sbracciandomi. La risposta è un sorriso a trentadue denti.
Si alza dallo sgabbello su cui era seduta e cerca di raggiungermi. I suoi occhi sono lucenti e festosi, è davvero contenta di vedermi. Be', del resto lo sono anch'io.
Appena mi raggiunge mi abbraccia istintivamente, ne sono lusingato. «Ehi».
«Che fai, anticipi gli appuntamenti?».
«Veramente sei tu quello che mi ha chiamata», puntualizza, passandosi una mano sui capelli.
Stesso vizio mio: perfetto.
«Già», sospiro. Imprigiono con una mano Tom e lo avvicino a  noi. «Ehi, conosci Tom?».
Si rabbuia un po' prima di rispondermi. «Ehm, dovrei?».
«Lui è il mio migliore amico».
«Oh, capisco», mormora, ironica. «Cose importanti».
«Piacere, Kristen. Ti conoscevo solo di vista, comunque», azzarda Tom, studiando le sue gambe.
Gli pesto un piede, lasciandogli scappare un urletto di dolore. Ma perché è sempre il solito? Perché è Tom, certo.
Lancio un'occhiatina anch'io alle gambe della mia nuova amica. Indossa una gonna molto corta, gialla, accompagnata da delle calze di lana abbinate al completo. 
Wow.
Lo ammetto: sto sbavando. Ha delle gambe da urlo. Così... così... da urlo, proprio. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso, e adesso posso comprendere tutta la malizia di Tom di fronte a certi esseri. 
E il fondoschiena...
«Ehi, ragazzi?». Kristen ci schiocca le mani di davanti, facendoci ritornare nel mondo dei terrestri.
Scuoto la testa e i capelli, ridendo. «Sono qui». 
«Io invece ho bisogno di un dottore», annuncia Tom, con la bocca spalancata e gli occhi ancora fissi sulle gambe della Stewart.
«Lascialo perdere», dico, avvicinandomi di più a Kristen e cingendole la vita con un braccio. «Le uniche gambe  da urlo che ha mai visto in vita sua sono quelle di sua madre».
Kristen scoppia a ridere insieme a me, mentre Tom ci guarda offeso e irritato. 
«Sai che non è affatto vero, eh, Pattinson?», sbraita, scherzoso.
«In ogni caso sono occupate».
Kristen arrossisce e mi tira un colpo netto sulla spalla. «Non parlare troppo, signorino».
«Stai tranquilla. Non ho intenzione di portarti a letto... non adesso».
E per "non adesso" intendo non ora, con questa gente a guardarci, e con, per giunta, Tom. Magari stasera, eh?
«Sei proprio uno stronzo!», sbotta, come se avesse letto i miei pensieri. Poi, scoppia nuovamente a ridere.
«Stronzo è il suo secondo nome», ridacchia Stu.
Mi allontano da lui insieme a Kristen e mi eclisso dal bar, mettendomi accanto a un orologio enorme e bianco latte.
Lo fisso e poi, Kristen, interdetta, mi domanda: «Che c'è?».
«Voglio fare le cose per bene. Anche se il tempo non mi è d'aiuto». 
Sì, perché pochi giorni fa mi aveva detto che dopo quattro mesi sarebbe andata via e avrebbe salutato Londra, per rivederla l'anno successivo.
 Se devo conquistarla, devo farlo entro un fascia d'orario ed entro un determinato tempo. Senza alcuna pausa.
Le alzo il mento, accostando il suo viso al mio. Sento i suoi respiri regolari addosso, e ciò mi inebria fortemente. «Entro quattro mesi riuscirò ad averti. Perché lo sento. Perché è ciò che desidero di più al mondo, Kristen», sussurro, emettendo un respiro profondo. 






 
Sono stata più veloce del previsto, eh? Be', chi non muore si rivede.
Comunque, i rapporti tra Rob e Kris stanno migliorando come ben vedete e Tom... lui ha bisogno di una cura alquanto forte, AHAHAHA.
Ma è tenero, dai. :3
Robert è proprio stronzo, scusate. Prima si fa Helen e poi vuole conquistare Kristen? Almeno sconfiggesse quel dannato masochismo e quella dannata voglia di farsi tutte, e poi si vede. 
Kristen... be'. Lei è più confusa che persuasa. Ancora non riesce a muoversi come si deve e sbaglia sempre strada. Ma migliorerà nel tempo, per ora lasciamola spogliare davanti a tutti, poi si renderà conto dei suoi sbagli, ehehe.
Alla prossima, percore (?). 


- MartiSpunk.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=904789