Figlia di una strega

di Sheylen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova malattia ***
Capitolo 2: *** Morte nell'aria ***
Capitolo 3: *** Confusione ***
Capitolo 4: *** Fuga ***
Capitolo 5: *** Strega ***
Capitolo 6: *** Fuoco azzurro ***



Capitolo 1
*** Una nuova malattia ***


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L’aria aveva un fresco odore di tiglio, portato dal vento che soffiava da ovest, oltre le montagne. Un profumo intenso, tanto che alcuni bambini si fermavano in mezzo alle strade, in punta di piedi e con il naso all’insù, per riempire i polmoni di quella fragranza piacevole.
Anne non era tra quelli, Anne procedeva spedita cercando un punto riparato dove quell’odore di natura non arrivasse alle sue piccole narici.
Si staccò dal gruppo di bambini con cui aveva giocato quella mattina quando arrivarono all’altezza del vicolo che portava a casa sua, imboccandolo frettolosamente.
Davanti all’abitazione trovò Rufy, un randagio che ormai si era praticamente stabilito a casa loro. Se non fosse stato per François a quell’ora lei e la mamma l’avrebbero già cacciato via, ma François se n’era semplicemente innamorato, quindi si erano rassegnate a tenerlo.
Avrebbero fatto qualsiasi cosa, anche allevare un intero esercito di cani randagi, pur che François fosse felice.
La ragazzina scostò le pelli che facevano da porta d’ingresso, risistemandole dietro di sé dopo che fu entrata nella sala principale.
-Anne, sei tu?-
Sua madre doveva essere alle prese con una pentola sul fuoco, perché la voce proveniva dal cortiletto laterale, dove cucinavano in estate dato che all’interno dell’abitazione faceva troppo caldo.
-Sì, mamma, sono io.- rispose, affacciandosi dalla porta per salutare la madre.
Sua mamma era una giovane donna, sulla trentina, scura di capelli e chiara di occhi. Anne osservò il corpo magro e slanciato della madre, coperto come al solito dal vestito di lino beige e dal grembiule grigio chiaro, chiazzato da alcune macchie di terra e di gocce di intrugli. Sua madre lavorava con le erbe e con gli infusi, perché di mestiere faceva la guaritrice, anche se non era vista di buon occhio dalle donne del villaggio perché aveva due figli nonostante non si fosse mai sposata.
Anne soffermò lo sguardo sulle occhiaie scure che segnavano la carnagione pallida della donna, chiedendosi quanto avesse dormito quella notte.
-Vado a salutare François.- si congedò la ragazzina, spezzando il silenzio teso che spesso si creava quando restava sola con lei.
Non si era mai fatta fermare dal fatto che sua madre fosse vista con disprezzo dagli altri abitanti ed era riuscita, dopo anni di sacrifici e delusioni, a farsi accettare nel gruppo di bambini e ragazzini della città e, con un po’ più di tempo e non ancora da tutti, dai loro genitori.
Entrò nella stanza dove dormivano, prendendo una candela per farsi luce. La camera infatti era sempre buia, le finestre oscurate da pelli e teli, quindi sua madre aveva disposto alle pareti dei mozziconi di candela, in modo che la luce arrivasse solo fiocamente al grande giaciglio di paglia dove riposavano tutti e tre.
Suo fratello era steso supino, la coperta tirata su fino al mento nonostante il caldo estivo, con gli occhi chiusi e il respiro lento e regolare. Dormiva per la maggior parte del tempo e il resto delle giornate lo passava sempre rilegato in quella stanza, o al massimo nella sala principale seduto al tavolo.
In tutti i suoi sei anni di vita aveva messo piede fuori di casa una dozzina di volte, non di più.
Non appena la sentì entrare, François subito spalancò la palpebre, come svegliandosi da un sogno, e voltò il capo verso di lei.
La luce della candela illuminò le sue iridi bianche, che si muovevano senza meta nella sua direzione, senza però vederla.
-Sorellona…- sussurrò lui, abbozzando un sorriso di benvenuto.
-Ciao fratellino.- rispose lei, accucciandosi al suo fianco. -Hai sognato qualcosa di bello questa notte?-
-Oh si! È stato veramente bellissimo! Ho sognato di nuovo la Signora Bella! E poi una musica dolce, che veniva suonata dal vento del mattino.- spiegò il bambino, illuminandosi.
Anne sentì le guance che prendevano fuoco, mentre le mani si stringevano convulsamente fra di loro e nella mente riaffioravano tutte le maledicerie nei confronti della sua famiglia.
-François, lo vuoi capire che non sono cose belle?! Sono cose malvagie, da sacerdoti pagani e stregoni cattivi!-
Il bambino scosse la testa, sereno, ignorando la rabbia della sorella.
-La Signora Bella non è cattiva: lei mi vuole bene, me lo dice sempre, e dice anche che sono un bravo bambino, che mi comporto bene.-
Anne gli prese le manine, poggiandoci sopra la fronte.
-François, ti prego non dire così! Gli abitanti dei boschi sono crudeli, sono loro che…- iniziò, ma non ebbe la forza di continuare e corse fuori dalla stanza.
Riuscì a smettere di correre solo quando arrivò nella piazza principale del villaggio, dove si teneva il mercato. Si sedette sul muretto vicino al pozzo, in un angolo riparato dagli sguardi altrui.
Anche suo fratello credeva in quelle cose pagane.
Erano mesi ormai che sognava i boschi e le ninfe, come chiamava lui le fate malvagie.
Non bastava la mamma, anche suo fratello doveva essere stregato da quelle magie oscure. Dopotutto quello che gli avevano fatto, François seguiva quelle stregonerie, quelle fate malvagie. Già, perché non potevano essere state che le fate malvagie a portargli via la vista, a farlo diventare cieco dopo la prima notte dalla nascita. Un momento prima dormiva sereno con i suoi bellissimi occhi verdi e il momento dopo gli occhi si erano trasformati in iridi bianche vuote e buie.
Allora Anne aveva solo quattro anni, ma si ricordava benissimo che cosa avevano iniziato a dire le donne del villaggio quando si era sparsa la notizia.
"Ecco, questa è la punizione che si merita quella strega, è la prova che è una pagana: Dio l’ha castigata perché andava a letto col diavolo!" mormoravano le donne quando passava sua madre, additandola senza pudore.
Ma nonostante questo, ogni volta che qualcuno si sentiva male chiamavano lei, che si impegnava al massimo per curare il malato utilizzando tutte le conoscenze e le erbe di cui disponeva, ma di tanto in tanto qualcuno moriva e allora risaltava fuori la faccenda della strega malvagia amante del demonio.
Anche lei era stata emarginata all’inizio e per potersi creare il barlume di una vita sociale si era dovuta rimboccare le maniche e ingoiare insulti e occhiatacce, facendo buon viso a cattivo gioco, mentre sua madre accettava la situazione serenamente, continuando a portare con sé amuleti e oggetti pagani e saltando puntualmente la messa domenicale. Inoltre aveva posizionato in casa la statuetta di una donna che rappresentava la Dea Madre, quella che suo fratello chiamava la Signora Bella, e ogni sera posava un fiore ai suoi piedi, facendosi un segno con il dito sulla fronte.
Tutto questo nonostante sapesse benissimo che erano state proprio quelle creature pagane a rovinare la vita a tutta la loro famiglia, più di tutti al piccolo François, che non aveva mai potuto vedere la luce e che era sempre costretto a letto dalla malattia e la debolezza.
Anne immaginò per l’ennesima volta quello che poteva essere successo quella notte, mentre lei e la mamma dormivano tranquille.
Una creatura mostruosa, dagli arti lunghi e sproporzionati, che si intrufolava in casa loro dalla finestra, ed entrava silenziosa nella camera da letto, ritirando le gigantesche ali che crescevano sul suo dorso squamato, e che allungava le mani verso gli occhi del suo fratellino, trafiggendoli con i suoi terribili artigli.
La mamma non aveva mai pianto per quello, anzi aveva detto a François che lui era il più fortunato del mondo perché poteva immaginare le cose come voleva lui e poteva vederle con il cuore e la mente. Era la mamma che descriveva gli oggetti a François, era lei che gli aveva spiegato cos’erano il sole, le nuvole, il cielo, la neve e il fuoco, perché Anne non ne aveva la forza. Ogni volta che entravano in argomento cecità, Anne andava in panne, non ci capiva più niente e iniziava a piangere.
 
-Aiuto! Vi prego aiutatemi!-
Le grida distrassero la ragazzina dai suoi pensieri, mettendola sull’allerta.
Le donne che giravano per le bancarelle interruppero i loro acquisti e, come Anne, si mossero verso la direzione da cui provenivano le urla per capirne la natura.
-Santa Misericordia!- invocarono le donne vicino a lei non appena videro l’uomo che chiedeva aiuto.
Era steso prono per terra, la mano alzata come per trovare qualcosa a cui reggersi, e il braccio scoperto era chiazzato da orribili macchie nere, che si intravedevano anche sul volto dell’uomo, sotto la barba grigia. Emanava un fetore putrescente, di morte.
Una delle donne urlò, coprendosi la bocca con la mano, mentre altre si allontanarono quasi di corsa, come per scappare da una maledizione. La fornaia, accorsa anch’ella, si girò subito verso di Anne.
Per un momento la ragazzina temette di essere accusata la causa di quella nuova malattia e gli occhi le si riempirono di lacrime.
-Va’ subito a chiamare tua madre,  dille di venire in fretta e di portare i medicamenti!-
Anne annuì spaventata, iniziando a correre il più veloce che poteva.
Arrivò trafelata alla sua casa, tenendosi la pancia con una mano.
Cercò il fiato necessario per chiamare sua mamma, ma i suoi polmoni imploravano ossigeno senza pietà.
Fu con sollievo che notò che sua madre aveva scostato le pelli per uscire, probabilmente per andare a prendere dell’acqua al pozzo.
La donna prese subito fra le mani il volto della figlia, domandando preoccupata cosa le fosse successo.
-In piazza…- ansimò la bambina, indicando la via da cui era venuta -Servono le medicine…-
-Corro.- rispose la madre, rientrando in casa per poi sparire rapidamente dietro l’angolo.
Anne aspettò ancora qualche minuto davanti all’uscio, attendendo che il cuore rallentasse il suo battito ritmico, poi si incamminò anch’ella verso la piazza.

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Capitolo 2
*** Morte nell'aria ***


L’aria si era fatta pesante, rendendo l’atmosfera opprimente.
La gente nelle strade si era volatilizzata, rinchiusa nelle proprie case dalle finestre sprangate.
I lamenti dell’uomo con la morte sul volto erano l’unico suono percepibile nella piazza, oltre allo scricchiolio sinistro di alcune assi di legno.
Anne strizzò gli occhi, cercando di mettere bene a fuoco le due sagome solitarie in mezzo alla piazza.
Aveva tentato di avvicinarsi più volte, ma sua madre le aveva sempre fatto cenno di restare il più lontano possibile.
Come lei, anche alcune donne del villaggio sbirciavano da dietro le porte, mentre la bambina studiava la scena accucciata dietro il carro di un mercante.
Lo straniero gemette più forte.
La malattia che aveva doveva essere davvero terribile, considerando l’espressione angosciata dell’erborista.
Anne si morse il labbro, corrugando la fronte. Non aveva mai visto sua madre così preoccupata… doveva essere qualcosa di grosso.
“Oh Dio, fa’ che riesca a guarirlo…” pregò mentalmente la bambina, facendosi il segno della croce come le aveva insegnato il prete.
Sua madre tirò fuori una fiala dalla bisaccia, avvicinandola alle labbra del malato.
Per alcuni secondi, il silenzio regnò nella piazza, poi lo straniero urlò.
Anne sentì un brivido salirle lungo la schiena.
-Quella strega lo sta ammazzando!- commentò una donna anziana, rintanata in una casa poco dietro di lei.
Anne si girò verso la vecchia, lanciandole un’occhiata bieca.
-Andate voi a salvarlo, allora!- rispose sibilando, senza preoccuparsi delle buone maniere.
-Zitta mocciosa!- le ordinò la vecchia, battendo per terra con il suo bastone.
Altri gemiti dello straniero riportarono l’attenzione generale al centro della piazza, dove la madre di Anne era ancora inginocchiata di fianco al malato.
Se la vista non la ingannava, Anne era certa che sua mamma stesse ansimando.
-Ti scongiuro, aiutala…- pregò ancora sottovoce, alzando gli occhi al cielo.
Di nuovo i gemiti dell’uomo riempirono l’aria, facendosi sempre più flebili.
“No!” urlò una voce nella testa della bambina, quando vide la madre alzarsi e chinare il capo portandosi la mano sul petto.
La vecchia con la quale Anne aveva litigato poco prima si fece il segno della croce, mormorando qualche parola in latino. Dopo aver lanciato un’ultima occhiata torva verso la bambina, chiuse lentamente la porta, facendo cigolare i vecchi cardini.
La madre di Anne si diresse rapidamente verso la figlia, prendendola per mano.
-Dobbiamo tornare a casa.- sentenziò, affrettando ancora il passo.
 
-Che cosa sta succedendo?
Erano ritornate a casa quasi di corsa, inseguite dalle occhiate maligne degli abitanti del villaggio.
Anne guardò implorante la madre, che stava radunando le stoviglie in una cesta.
-Dobbiamo andarcene.- fu la risposta laconica della donna, pallida in volto.
-In che senso dobbiamo andarcene?!- domandò sconvolta la bambina.
Dopo tutto quello che aveva passato, dopo tutte le offese che aveva dovuto ingoiare…
Era finalmente riuscita a costruire un fragile equilibrio non di serenità, quello no, ma almeno di… normalità, e adesso sua madre le diceva che se ne dovevano andare.
-Non possiamo restare qui. La Morte arriverà presto in questo posto.-

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Altre lacrime rotolarono lungo le guance morbide di Anne, che si passò rapidamente il dorso delle mani sul viso.
-Tesoro…- le disse sua madre, accarezzandole i capelli.
-Non mi toccare!- strillò la bambina, scostandosi rapidamente.
Senza accorgersi, inciampò nella radice di un grande albero, cadendo per terra.
Rimase stesa per terra per qualche minuto, continuando a piangere in silenzio.
Detestava quel bosco.
Detestava sua madre.
Detestava quel dannatissimo uomo che era venuto a morire proprio nel loro villaggio.
Si rannicchiò abbracciandosi le ginocchia, seppellendo la testa fra le braccia.
 
Sua madre ravvivò il fuocherello che erano riusciti ad accendere con qualche foglia secca, mentre François recitava una filastrocca.
Anne guardò il fratellino, chiedendosi come faceva ad essere così sereno.
Erano ormai passati tre giorni da quando erano scappati dal loro villaggio, tre giorni che si nascondevano in quei boschi selvaggi di montagna.
Un rumore giunse fino alle orecchie della bambina, che si girò di scatto verso l’oscurità che avanzava.
-Non possono farci niente.- la rassicurò sua madre, sorridendo comprensiva.
Ma Anne non ci credeva. Come poteva quella stupida statuetta di pietra proteggerli dai lupi? Forse usandola per colpirli sul muso, allora sì che a qualcosa sarebbe servita…
François chiese ancora alla madre di poter toccare la “scultura della Signora Bella”, suscitando lo sdegno di Anne.
-Pagani!- li rimproverò, con la voce roca per tutte le volte che l’aveva ripetuto.
Suo fratello la ignorò, accarezzando di nuovo la statuetta.
-Siamo nel tuo regno, Signora Bella- sussurrò all’orecchio dell’idolo –Continua a proteggerci, ti prego.-
La madre sorrise, accarezzando i capelli scuri del suo bambino. Da quando si erano stabiliti in quella radura, François sembrava essere quasi rinato: restava seduto senza nessuna difficoltà, riusciva ad alzarsi da solo e aveva persino fatto una piccola corsa. Il miglioramento delle sue condizioni salutari era l’unica cosa che rabboniva Anne, seppur la bimba fosse sempre in agitazione per la presenza degli animali selvatici.
 
-Come si chiama questo?-
Anne lanciò una rapida occhiata all’oggetto scuro che suo fratello stringeva fra le dita, mentre il bambino lo studiava con i polpastrelli.
-È una pigna. Cade dagli alberi.-
-Di che colore è?-
Anne sospirò in silenzio. -È marrone, con dei punti più scuri e altri più chiari.-
Sua madre l’aveva invitata a cercare della legna per il focolare, perché avevano esaurito quella che si erano portati da casa già la sera prima, ma François aveva insistito per venire con lei, promettendo che non si sarebbe allontanato dalla sorella.
Giravano in quel bosco da quasi mezz’ora, ognuno con il suo fascio di legna (quello di François contava solo una decina di bastoni, in modo che il bambino non si affaticasse troppo), quando Anne sentì il peso del fratello che la tirava verso il basso.
“Oh no” pensò per una frazione di secondo, temendo che il bambino fosse svenuto o si stesse sentendo male, ma quando posò i suoi occhi sul fratello  rimase incredula.
François era inginocchiato, con le manine chiuse in pugno e il volto rivolto in avanti.
-Signora Bella…!- chiamò il bambino.
Anne girò la testa verso il punto che sembrava stare fissando suo fratello, e trattenne il fiato.
Ad una dozzina di braccia da dove erano era posizionata una grossa statua della Dea Madre, avvolta dalle braccia del bosco in un abbraccio di foglie e rampicanti.
-Come hai fatto a vederla?- domandò sconvolta la bambina.
-Non la vedi anche tu, sorellona? Lei è qui.-
Fu allora che Anne capì che suo fratello non si stava riferendo alla statua, ma a qualcosa di molto più grande e di estremamente pagano.
La Signora Bella in persona. La vera Dea Madre.

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Capitolo 3
*** Confusione ***


Un intenso profumo di selvaggio, di libero e fiero come il vento del mattino.
Anne tremò, un brivido freddo le percorse la schiena.
“È impossibile. Lei non esiste. È solo una stupida divinità pagana.”
Eppure più si ripeteva quelle frasi, più un preoccupante senso di inquietudine l’assaliva.
Sentì l’impulso di scappare, di fuggire da quella sensazione terribile e da quel luogo malvagio.
Si girò verso il fratello per prenderlo in braccio e trascinarlo con sé, ma l’espressione del bambino la sconvolse.
François sorrideva beato, il volto che emanava pura contentezza.
Anne soffocò un gemito, spaventata.
Dovevano andarsene, di corsa, o quella dea malvagia avrebbe fatto del male a suo fratello.
-Vieni via.- sussurrò.
François si voltò verso di lei, come se si fosse dimenticato della sua presenza.
-No. Non voglio.-
-Vieni via. Dobbiamo scappare.-
-No.-
Anne tremò, trattenendo le lacrime a stento.
Aveva paura, tanta paura.
-Dobbiamo scappare!- ripeté, afferrando per un braccio il fratello.
-Lasciami!- le ordinò, con voce incredibilmente autoritaria.
Anne trattenne il fiato, sconvolta.
Il suo fratellino.
Il suo adorato fratellino.
Lui non aveva mai alzato la voce. Mai. Neanche quando piangeva da bambino.
Non si era mai rivolto a nessuno con quel tono duro, men che mai a lei.
Le lacrime scesero calde lungo le guance, mentre un singhiozzo le spezzava la voce.
-Fratellino…-
La forza che sembrava opprimerle il cuore aumentò, mentre le sue gambe si mossero senza il suo permesso.
Fu l’istinto. Fu la paura.
Scappò.
 
-Come hai potuto lasciarlo solo?!- urlò sua madre.
-Avevo paura! E lui non voleva venire!- rispose piangendo Anne.
-Ma ha solo sei anni!-
-Non mi ha dato ascolto!-
-Sei sua sorella: non dovevi abbandonarlo!-
Le loro voci si confusero, interrotte poi di colpo da un suono secco.
Anne si portò una mano alla guancia, singhiozzando.
L’eco dello schiaffo di sua madre le rimbombò nella testa, intontendola.
Prima suo fratello che alzava la voce, ora sua madre che alzava le mani su di lei.
Cose impossibili anche solo da pensare nella loro vita di prima, quando non era ancora arrivato quell’uomo con la morte sul volto.
Il palmo che un attimo prima l’aveva colpita tornò ad accarezzare con apprensione la testolina scura che sbucava fra le braccia della donna.
Anne guardò il fratellino, il cuore stretto in una morsa di angoscia e rimorso.
Sua madre era corsa a cercarlo non appena la bambina aveva fatto ritorno alla radura, e aveva trovato il figlio sdraiato davanti alla statua di pietra, privo di coscienza.
Potevano essere passate quattro o cinque ore, ma François non aveva dato segni di miglioramento.
Ed era tutta colpa di Anne.
 
Dolore.
Tristezza.
Indecisione.
Ansia.
Lacrime bollenti sulle sue guance fredde.
Anne si alzò in piedi nella notte, una cupa rassegnazione nello sguardo.
Guardò per qualche istante la madre e il fratello che dormivano, poi si allontanò nell’oscurità.

 

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Capitolo 4
*** Fuga ***


Gli arbusti le graffiavano le gambe, i rami la trattenevano come braccia dai lunghi artigli.
Era come se la foresta stessa le stesse urlando contro, ordinandole di fermarsi e tornare indietro. Ma Anne non poteva smettere di correre: lei aveva bisogno di scappare.
Quello non era il suo posto, non lo era mai stato.
Sua madre e suo fratello sembravano nati per quei boschi, quegli ambienti selvaggi e liberi, come l’entità che aveva percepito qualche ora prima, quando François si era inginocchiato davanti a quella statua che lui non poteva vedere, ma che aveva percepito.
Lei aveva bisogno di un luogo al chiuso, di un posto dove si potesse sentire al sicuro fra quattro mura di pietre o di mattoni. La sicurezza del metallo delle armi con cui proteggersi, una lama con la quale difendersi dai lupi, dalle belve feroci, non una inutile statuetta di una donna mezza nuda.
Non aveva mai avuto un buon rapporto con la Natura, non da quando aveva iniziato a capire cosa dicevano le donne riguardo a sua madre.
Se la Natura non fosse esistita, se la Signora Bella non fosse esistita, sua madre sarebbe stata una paesana come tutte le altre.
Anne sarebbe andata con lei al mercato, il sabato mattina, a gironzolare per le bancarelle dei mercanti, comprando le stoffe per i vestiti e la frutta fresca da mangiare a merenda; e avrebbe osservato con curiosità gli oggetti esposti nelle botteghe, indicando con un ditino gli arnesi più strani chiedendo come si chiamavano, come facevano tutti i bambini.
Lei invece doveva osservarle da lontano, le botteghe, perché altrimenti i mercanti si lamentavano e la incolpavano di dissuadere con la sua presenza i clienti ad entrare.
Il messaggio era chiaro: “Non sei la ben accetta qui.”
Sua madre e François non avevano mai dato peso alle parole della gente del villaggio, ma era ovvio che non potessero farlo: sua madre si relazionava con le altre persone solo quando erano malate o stavano per morire, mentre suo fratello, per via della cecità e della sua debolezza, non poteva uscire spesso, quindi il suo mondo si limitava al letto e ad una sedia con un cuscino, nulla di più.
Anne sembrava essere l’unica a desiderare una vita “normale”: lei voleva delle amiche con cui chiacchierare, con cui giocare con il cerchio e intrecciarsi i capelli, voleva innamorarsi di qualche bambino più grande di lei, voleva semplicemente essere accettata.
Si, in fondo le sarebbe bastato che qualcuno, anche solo una volta, le avesse detto “Fai parte del villaggio, sei una di noi.”
 
Quanto era passato?
Un minuto?
Un’ora?
Un giorno?
Una vita?
Anne non lo sapeva, sapeva solo che non riusciva più a sentire le gambe.
Aveva corso fino a quando aveva trovato la forza per farlo, ora si limitava a trascinare i piedi nudi nella terra umida, mentre un fastidioso sapore di sangue le riempiva la gola. Il cuore scandiva ritmicamente il passare del tempo, qualcosa sotto le costole le faceva male, implorandole di riposare almeno un po’.
Ma come poteva riposare, dopo aver perso una vita che non era una vita?
Senza di lei tutto sarebbe stato perfetto.
Sua madre avrebbe continuato a vivere nel bosco insieme a François, che sembrava aver ritrovato nuove energie in mezzo alla natura: era un segnale preciso, lui era fatto per abitare in quei luoghi, esattamente come sua madre. 
Senza di lei avrebbero passato felici il resto della loro esistenza, venerando la Signora Bella senza dover sentire i lamenti di una stupida bambina.
Perché in fondo era tutta colpa sua.
Se lei non avesse avvisato sua madre dell’uomo con la morte sul volto, quel vecchio sarebbe morto per i cavoli suoi, senza macchiare per l’ennesima volta la coscienza della sua famiglia. Loro non sarebbero stati costretti a scappare, lei avrebbe potuto continuare a costruire il mondo in cui voleva vivere rimboccandosi le maniche come al solito.
Ma François non avrebbe mai scoperto che stando nel bosco i suoi malanni si attenuavano…
Allora forse le sue colpe iniziavano da quando l’aveva abbandonato davanti alla statua di pietra.
Già, se lei fosse rimasta con suo fratello, François non sarebbe mai caduto in quel sonno così profondo, così simile alla morte.
Anne ripensò all’ultimo istante in cui aveva visto coloro che componevano la sua unica famiglia.
Una giovane donna con un bambino stretto fra le braccia, come le statue di legno dipinto della Santa Vergine e di suo figlio.
Se solo sua madre avesse scelto di adorare la Madonna nelle chiese e non la Dea sugli altarini, la loro vita sarebbe stata molto diversa.
Ma erano solo “se” quelli che riempivano la mente di Anne.
La sua fuga invece non era un “se”, era reale.
Anche il fatto che si fosse persa era reale.
Aveva perso l’orientamento. Aveva anche perso se stessa. Aveva perso le uniche due persone che le avevano voluto bene. Aveva consumato tutte le sue forze.
Si appoggiò ad un albero, cadendo lentamente a terra.
Le sue lacrime bagnarono il terreno, mischiandosi alla rugiada dell’alba.
I suoi capelli si confusero fra i fili sottili di erba.
Poi le tenebre la avvolsero.
 
Incubi frammentati. Pensieri e ricordi che si fondevano nel suono dello schiaffo di sua madre.
Sembravano essere passati anni da quel momento, come da quando lei era fuggita dalla sua famiglia e da se stessa.
La bambina realizzò di non sentire nessuna parte del suo corpo.
Forse era morta.
Una debole luce la raggiunse.
Se era davvero morta, allora era in Paradiso!
“O forse all’Inferno…” le sussurrò una vocina nella testa.
Cercò di socchiudere quelli che credeva fossero i suoi occhi.
Alberi.
“Non sei in Paradiso.” concluse saccente la sua coscienza.
“Ma all’Inferno c’è il fuoco, non ci sono gli alberi…” commentò in silenzio Anne.
“Allora apri di più gli occhi e cerca di capire dove sei.” gli rispose la vocina.
Uno strano brusio si alzò per qualche istante mentre la bambina si sforzava di sollevare la testa da terra.
-Si sta svegliando…- mormorò una voce flebile dietro di lei.
Anne spalancò gli occhi, il cuore che pareva improvvisamente esserle salito in gola.
La bambina alzò il capo, appoggiando le mani sotto il petto per sollevarsi in piedi, e girando il volto guardò nella direzione da cui era venuta la voce.
Un’ onda di sospetto e preoccupazione la attraversò, facendola tremare come una foglia.
-Cosa…?- domandò, senza trovare la forza di continuare la frase.
La voce di poco prima le rispose, questa volta in un tono rassicurante.
-Ben svegliata, piccola Anne.-


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Piccolo angolo dell'autrice
Ciao a tutti, ho aggiunto questo piccolo spazio solo dopo una prima pubblicazione ma l'ho ritenuto indispensabile per ringraziare tutte le persone che hanno trovato il tempo e la voglia di arrivare fino a questo quinto capitolo :) Un grazie particolare a Deilantha (ricambio finalmente il favore omonima: per chiunque abbia voglia di leggere una storia che fa ridere, piangere e riflettere, correte alla sua serie romantica "Rosso come il Destino") e a camomilla 17 (di cui invece potete leggere il racconto "Gli occhi del cielo"). Grazie ragazze, le vostre recensioni sono importanti per me.
Ringrazio però anche tutti quelli che seguono silenziosamente questa storia, ci capitano per caso o la aprono per sbaglio e sempre per sbaglio ne leggono anche solo qualche riga.
GRAZIE!

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Capitolo 5
*** Strega ***


Aveva imparato ad ignorare gli sguardi che le lanciavano le donne del paese molto presto.
I mormorii al mercato, le espressioni corrucciate dei venditori, le occhiate dei bambini che giocavano quando passava nella piazza… tutte cose che ormai la facevano quasi sorridere.
Potevano dire quello che volevano, tutto ciò che avrebbe fatto scalpore e che sarebbe passato di bocca in bocca: nessuna di quelle dicerie l’avrebbe toccata davvero.
In fondo, le comari del mercato dovevano pur sparlare di qualcuno, ai vescovi serviva qualcuno da additare dall’alto dei loro seggi d’oro, i contadini avevano bisogno di qualcunoda incolpare per il cattivo raccolto.
E quel qualcuno era lei.
Non era una posizione comoda, la sua, ma a volte ci si può abituare, a dormire sulle spine.
Non che lei dormisse davvero sui rovi, aveva un letto di paglia anche abbastanza morbido, ma si fa per dire, si sa. Dormire sulle spine è una buona metafora, sì. Perché quando dormi sulle spine ti puoi rigirare quanto vuoi, anche se un po’ di male ce l’hai sempre, ma puoi anche spostarti ed andare via. Anche lei in fondo poteva spostarsi, cambiare, diventare come tutte le altre.
Ma aveva scelto.
E non aveva intenzione di ritornare sui suoi passi.
 
 
“Malelingue e sguardi colmi di rancore,
il prezzo da pagare,
Strega,
 per un neonato,  della mamma l’amore,
per la cura della dell'influenza.
 
Guaritrice,
anche se gli altri preferiscono dire
ciò che suona migliore,
ciò che più fa rumore:
Strega.
Guaritrice,
anche se gli altri preferiscono dire
ciò che suona migliore,
ciò che più fa rumore:
Strega.
 
Testa alta e sguardo fiero,
nella bisaccia erbe e fiale.
Guaritrice.
Non scomporre il pensiero
ti indicheranno e diranno il male.
 
Strega,
quello che gli altri preferiscono dire,
perché suona migliore
perché fa più rumore:
Strega,
Strega,
il prezzo da pagare,
per un neonato, della mamma l’amore:
Strega.”
 
 
Gliel’avevano insegnata quando aveva cinque anni. Una canzoncina simpatica, vero? Perfetta per preparare una bambina alle conseguenze della scelta che avrebbe dovuto compiere da grande.
La cantavano saltellando in cerchio e battendo le mani ritmicamente, sottolineando le parole “Strega” e “Guaritrice” con un giro su se stesse, facendo la ruota con la gonna come le principesse.
La musica era semplice, un comunissimo giro di note in minore, che di solito era suonata da un flauto e, nelle occasioni speciali, accompagnata da un tamburo.
Per “occasioni speciali”si intendono i giorni della Scelta.
Lì, le bambine esprimevano pubblicamente la loro decisione. Le possibilità erano due: andarsene per la propria strada e rinnegare il proprio sangue in cambio di una vita tranquilla e comune; o restare ad apprendere l’Arte e i suoi segreti, affidandosi alla Dea e consacrandosi a lei.
Nel giorno della propria Scelta, che coincideva con la data del proprio dodicesimo compleanno, dopo aver pronunciato il Giuramento, si cantava e ballava quella filastrocca, accompagnate dalle donne adulte.
E da lì incominciava la vita al servizio della Dea, al servizio della arti mediche.
La propria vita da Strega.
 
Ma la sua vita sarebbe stata in ogni caso diversa da quella delle altre bambine, sia che avesse scelto di andarsene sia che avesse deciso di restare.
Perché? Perché il suo sangue era puro.
Sangue puro, come quello dei cavalli migliori, animali liberi e possenti, proprio come lei.
Sangue puro non si diventava, si nasceva.
Se lei era aveva questo dono, era perché sua madre, sua nonna, la madre di sua nonna, e così via fin dagli inizi della loro civiltà, erano state streghe.
Streghe di altissimo livello.
Sacerdotesse della Dea.
Ed il suo destino prevedeva che anche lei diventasse tale, che servisse la Dea con tutta se stessa.
Con il suo corpo, con la sua mente, con le sue parole.
Con i suoi figli.
 
 
L’aria si era fatta umida.
L’estate avanzava, il tempo del raccolto era quasi finito.
Eppure in mezzo a quei meravigliosi alberi si stava d’incanto: le enormi fronde facevano ombra in tutto il sottobosco, dove si trovava riparo dall’afa soffocante della stagione. Doveva però essere da poco passata la notte, perché l’erba scintillava di rugiada e il terreno era fresco.
Il vento cantò la sua melodia, danzando tra le foglie. Era un suono leggero e delicato, solo chi faceva attenzione poteva sentirlo.
La donna socchiuse gli occhi, portandosi una mano sul volto stanco. Aveva dormito in una posizione scomoda, e scoprì di avere il piede sinistro addormentato. Sensazione alquanto fastidiosa.
Ancora confusa dalla sonnolenza, fece per alzarsi, ma si accorse che un peso le bloccava il busto.
Abbassò il mento per controllare cosa la stesse ostacolando, ed incontrò lo splendido viso addormentato di suo figlio.
Per qualche istante, la donna si perse ad ammirare i lineamenti del bambino, sorridendogli con infinito amore. La luce dei suoi occhi, l’angelo che il cielo le aveva concesso di avere come figlio.
Poi arrivò la consapevolezza.
Stava ancora dormendo.
Dopo quasi un giorno, il suo François non aveva ancora ripreso coscienza.
 

Anne si alzò in piedi di scatto, aggrappandosi ad un tronco quando le girò la testa.
Le figure nere la circondavano.
Reggevano in mano degli oggetti lunghi e a forma di cono. Forse la volevano picchiare.
Quella che aveva parlato prima mosse un passo verso di lei, alzando le mani all’altezza della testa.
Il sole non era ancora sorto e l’aurora doveva essere ancora lontana, perché l’unica cosa che Anne riusciva a vedere era una sagoma indistinta fra le ombre.
Un terrore cieco quasi la immobilizzò.
Voleva la mamma, desiderava con tutta se stessa che sua madre spuntasse da uno di quei cespugli e la venisse ad abbracciare, dicendole che era tutto sotto controllo. Ma cosa avrebbero fatto, poi? Sua madre non era abbastanza forte da combattere, e quelle figure reggevano quegli strani coni…
 
 
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Piccolo angolo dell’autrice
Ciao a tutti! Con moooooolto ritardo sulla tabella di marcia (colpa di una serie di compiti ed interrogazioni che non erano stati minimamente previsti -.-“) sono riuscita a pubblicare anche questo capitolo (alleluia)
Rimando ancora di un capitolo il momento in cui svelerò l’identità della voce per purissime ragioni tecniche, quindi non me ne vogliate u.u
La storia, per fortuna, sta incominciando a trovare un suo senso, visto che prima era ancora forse un po’ troppo confusa, ma che volete che vi dica, la mia povera testolina malata alle volte fa un po’ le bizze xD
La filastrocca che c’è all’inizio avevo intenzione di scriverla in francese, ma dato che non sono molto pratica della lingua e trovare una metrica che andasse bene era più complicato del previsto, mi sono dovuta rassegnare alla versione italiana, che però non suona bene quanto l’originale…
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui, in particolare a camomilla 17, Deilantha ed Emily Dickinson (che ha praticamente colonizzato ogni mio scritto ahahah grazie!!!). Grazie infinite ragazze, per aver recensito puntualmente ogni capitolo! Un grazie anche a tutti i lettori silenziosi, che però continuano a seguire questo racconto ;)
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Fuoco azzurro ***


“Morirò”
Era l’unico pensiero sensato che la sua mente agitata riusciva a comporre.
La figura aveva allargato le braccia, distendendole lungo l’asse delle spalle, più o meno come l’uomo scolpito sui crocifissi. Il suo cono era caduto a terra, aveva rotolato per un po’ sull’erba e poi si era fermato vicino al piede di Anne.
-Non avere paura…- mormorò la figura, le braccia ancora aperte.
Ah, bella questa. In piena notte, in un bosco pericoloso, circondata da figure nere, le si diceva di non avere paura. Umorismo puro, davvero.
Anne guardò con timore le braccia e le mani della figura: sicuramente erano armate di artigli affilatissimi, che avrebbero dilaniato la sua carne.
L’immagine che si era creata nella sua mente la sconvolse, le lacrime che le rigavano ormai il volto, e agì d’istinto.
Fino ad un momento prima, non riusciva neppure a pensare di contrarre un muscolo. Ora il suo corpo era incontrollabile.
Si staccò dal tronco, gettandosi sulla figura scura.
Non le importava più nulla, tanto sarebbe morta comunque.
Agitò le braccia e le gambe, chiuse i pugni e con le sue minuscole braccia tentò di colpire quell’essere nero.
Era lei contro tutti. Sarebbe morta. In ogni caso.
Riuscì a raggiungere la testa della figura, e immaginò le sue mani che attaccavano un muso animale con zanne affilate e squame al posto della pelle.
Invece, sotto i suoi polpastrelli sentì per qualche secondo delle guance morbide, delicate, quasi fragili, graffiate dalle sue piccole unghie di bambina.
La figura ebbe un attimo di incertezza, poi allontanò la piccola con le braccia, difendendosi istintivamente.
Anne finì a terra, in ginocchio.
I suoi occhi corsero lungo la figura davanti a lei, ricapitolando in un attimo di lucidità ciò che aveva sentito nel momento del contatto.
Niente squame. Niente artigli. Niente zanne.
Un petto morbido, come quello della mamma. Una pelle umana. Dei lunghi capelli ricci che l’avevano sfiorata per alcuni istanti.
Un’altra figura si mosse davanti a lei, muovendosi verso quella che lei aveva attaccato come per aiutarla, ma fu fermata da un gesto di quest’ultima.
-Non è grave.-
Anne annuì impercettibilmente. Lo sapeva anche lei di non aver fatto tanto danno: le sue unghie mangiucchiate non potevano certo considerarsi pericolose.
L’adrenalina che scorreva nel suo corpo le rese più limpidi i ragionamenti, mentre si alzava in piedi per mettersi ancora una volta in posizione di difesa.
-State lontani! Non vi avvicinate o…-
-O cosa? Ci prenderai tutte ad unghiate? domandò ridendo una figura poco più alta di lei, con una voce abbastanza acuta.
Altre figure ridacchiarono, per poi tornare silenziose. La bambina si accorse che si erano zittite quando la persona davanti a lei aveva alzato la mano destra.
-Non umiliatela. È solo spaventata.-
Anne abbassò lo sguardo, pensando a cosa fosse meglio fare. Incredibilmente, la figura che aveva attaccato sembrava essere dalla sua parte… forse però lo faceva solo per farle abbassare la guardia per poi aggredirla.
Eppure, quelle non erano bestie, non erano creature malvagie inviate dal diavolo per ucciderla, una vocina nella sua testa glielo confermava silenziosamente.
La piccola esitò, ancora timorosa. Dieci anni non sono poi così tanti. Anche se in molte occasioni si era sentita grande e degna di responsabilità, in realtà era poco più che una mocciosetta.
-Che cosa volete da me?-
Le figure intorno a lei sembrarono rilassarsi, come capendo che ormai avevano avuto la meglio.
Quella che Anne aveva capito essere il capo si avvicinò di un altro passo.
-Ti abbiamo trovato sola nella foresta, piccola Anne, vogliamo solo proteggerti dai pericoli della Dama delle Ombre, della notte che priva ogni cosa della luce del Sole e che ammanta con il suo velo nero anche questa selva. Gli alberi hanno percepito la tua presenza, il vento ha cantato trasportando il tuo profumo attraverso i sentieri di questo luogo e ci ha condotte a te prima che qualche fiera potesse attaccarti..-
Anne guardò attonita la figura, analizzando le sue parole.
Erano lì per aiutarla. Volevano salvarla dalle bestie feroci della foresta.
Ma quella figura aveva detto delle parole che l’avevano toccata nel profondo.
Gli alberi. Il canto del vento.
Quelle figure…
-Voi siete…- le mancò il coraggio quando cercò di terminare la frase.
La figura davanti a lei sembrò gonfiare il petto d’orgoglio, diventando più alta ed imponente.
Raccolse il suo cono da terra, portandolo all’altezza del busto. Con la mano libera toccò qualcosa che le era appeso al fianco, poi passò la mano sopra al cono.
Improvvisamente un fuoco azzurro illuminò la figura, e spezzò il respiro di Anne.
Quella che fino a poco prima era solo una sagoma scura, ora era una bellissima donna vestita di un lungo abito blu. I capelli rossi le ricadevano in stupendi boccoli sulle spalle, ornando il delicato viso come una corona di fiori cremisi. Gli occhi sembravano di ghiaccio, davanti a quel fuoco che splendeva su un bastone a forma conica, fatto di rampicanti intrecciati e radici nodose ornate da nastri e fiori.
La donna alzò leggermente il mento, mantenendo lo sguardo fiero fisso sulla bambina.
-Ci hanno chiamato in molti modi nel corso dei secoli, piccola Anne. Abbiamo prestato le nostre conoscenze mediche a questo mondo arretrato, e ci hanno benedette chiamandoci Salvatrici e Guaritrici. Abbiamo offerto a molti la nostra fede nella Natura e nella Dea, e i più colti ci hanno esaltato come Sacerdotesse e Profetesse. Poi è arrivata la Disgrazia Nera, e le Grandi Potenze dovevano pur condannare qualcuno per questo male sconosciuto e letale. È da allora che siamo conosciute come tu sai…-
Tutte le figure fecero comparire una alla volta un fuoco azzurro sulle loro torce, rivelando a turno il loro volto e il loro corpo, mentre la donna dai ricci rossi ancora parlava.
Man mano che procedevano, come in un rituale, il bosco intorno ad Anne si tingeva di sfumature blu ed azzurre, mentre un’atmosfera antica e potente si faceva spazio nell’aria.
Quando la donna iniziò l’ultima frase, ormai tutti i fuochi erano accesi nel buio della notte.
Una ventina di voci femminili terminarono la frase all’unisono, dando voce ai pensieri di Anne.
-Noi siamo Streghe.-
 
 
-Piccolo mio…- sussurrò la donna, ancora china sul figlio.
François, piccolo angelo cieco… perché il tuo sonno non ha ancora avuto fine?
Accarezzò i capelli scuri del suo bambino, poi alzò lo sguardo.
L’altro mio angelo però riposa ancora al sicuro, protetta fra le braccia delicate della Dea…pensò rassicurandosi, cercando il bel viso della sua adorata piccola.
Dove ti sei accucciata, tesoro mio? si domandò, osservando gli alberi intorno a lei.
Forse Anne nel sonno si era rotolata sull’erba, finendo nascosta in qualche cespuglio.
Piccola imbranata…commentò con un sorriso, appoggiando per un momento François sull’erba per capire dove stava dormendo sua figlia.
Iniziò a camminare per la radura sussurrando con dolcezza il nome della bambina, aspettandosi di trovarla da un momento all’altro sdraiata da qualche parte addormentata.
-Bimba mia dove ti sei cacciata?-
Alzò per l’ennesima volta le fronde di un cespuglio, cercando un segno che la potesse aiutare.
Anne dove sei…?
Frugò fra le piante e le sterpaglie, l’apprensione che man mano cresceva.
-Anne? Anne?-
Sua figlia.
La sua bambina.
Era sparita.
-Anne!-
 
 
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Piccolo angolo dell’autrice
Ehy :D eccoci al settimo capitolo, dopo un intero mese dall’uscita del sesto u.u scusate, linciatemi pure perché ne avete il diritto, ma se lo fate poi non saprete come andrà a finire muahahaha xD
Allora, che ne dite di questo capitoletto? :3 e così la piccola e timorosa Anne, che odia il paganesimo con tutta se stessa per ciò che le ha fatto passare, si trova ad avere a che fare con delle vere e proprie streghe u.u
E la sua cara mammuzza si è appena accorta che le manca un pezzo di prole. (contenta camomilla? XD) A quanto pare non è poi così indifferente alla sua bambina, insomma è sua figlia dai! Se l’ha schiaffeggiata è solo perché era un po’… come dire?.. scossa u.u
Adesso inizia la parte più esoterica della storia (my favourite **) quindi per chi non sopporta simboli magici, riferimenti alla religione celtica e sabba, può tranquillamente abbandonare la storia. A chi invece interessano queste cose, beh, può fare quello che vuole ;)
Le Grandi Potenze di cui parla Capo Donna Dai Capelli Rossi, dovevano teoricamente essere i regnanti dell’epoca e, ovviamente, il Vaticano dell’epoca, che come sapete condannò la stregoneria e mandò al rogo oltre 50.000 (alcuni storici parlano di 5 milioni, ma le cifre nella storia sono sempre state un grosso interrogativo) donne innocenti, chiamandole Streghe ed Amanti del Diavolo. In questo racconto però si parlerà solo di Grandi Potenze, non ho intenzione di specificare…
Siamo arrivati al classico angolo dei ringraziamenti, e come le altre volte ringrazio camomilla 17, Deilantha ed Aldibah ma inserisco nell’elenco due “nuovi” nomi:
Aryna, a cui devo la prima recensione di questo racconto e che è gloriosamente ricomparsa nel sito (grazieeee! :D)
E terry5, che ha inserito la storia nelle ricordate e nelle seguite :3 grazie per il tuo silenzioso sostegno, mi fa molto piacere sapere che hai apprezzato questa umile storiella ^-^
Detto questo, termino di rompervi le scatole che sono logorroica mi sa xD
Ciao a tutti, alla prossima!
 

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