L'ultima Black

di DeaPotteriana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 28 Dicembre ***
Capitolo 3: *** 28 dicembre - parte 2 ***
Capitolo 4: *** 29 dicembre ***
Capitolo 5: *** Primi di gennaio ***
Capitolo 6: *** Con l'arrivo della primavera - parte 1 ***
Capitolo 7: *** Con l'arrivo della primavera - parte 2 ***
Capitolo 8: *** Primi di aprile ***
Capitolo 9: *** Prima settimana di giugno ***
Capitolo 10: *** 9 giugno ***
Capitolo 11: *** Giugno ***
Capitolo 12: *** Quel lontano periodo di molto tempo fa ***
Capitolo 13: *** 29 giugno ***
Capitolo 14: *** Un giorno imprecisato di un mese altrettanto imprecisato ***
Capitolo 15: *** Primi mesi del 1991 ***
Capitolo 16: *** Primo settembre - parte 1 ***
Capitolo 17: *** Primo settembre - parte 2 ***
Capitolo 18: *** Da settembre in poi ***
Capitolo 19: *** Autunno ***
Capitolo 20: *** Novembre ***
Capitolo 21: *** Inverno - parte 1 ***
Capitolo 22: *** Inverno - parte 2 ***
Capitolo 23: *** Periodo natalizio ***
Capitolo 24: *** Il tempo passa ***
Capitolo 25: *** Giugno 1992 ***
Capitolo 26: *** Luglio 1992 ***
Capitolo 27: *** Agosto 1992 ***
Capitolo 28: *** Con l'inizio del secondo anno ***
Capitolo 29: *** Settembre 1992 ***
Capitolo 30: *** Autunno e tutto ciò che esso comporta ***
Capitolo 31: *** Nei sogni ***
Capitolo 32: *** Con l'arrivo dell'inverno e dei suoi problemi ***
Capitolo 33: *** Nel pieno di quell’orribile freddo che ti congela le ossa ***
Capitolo 35: *** Sogno o son desta? ***
Capitolo 35: *** Il freddo passerà ***
Capitolo 36: *** Non ci credo ***
Capitolo 37: *** Serpe, Tasso, Grifone, Corvo ***
Capitolo 38: *** Doni, stanze segrete e rivelazioni ***
Capitolo 39: *** La tranquillità non fa parte di Hogwarts ***
Capitolo 40: *** Qualcosa ***
Capitolo 41: *** Fine dell'anno ***
Capitolo 42: *** Calore ***
Capitolo 43: *** Innocenza ***
Capitolo 44: *** Criminale ***
Capitolo 45: *** Ritorno a scuola ***
Capitolo 46: *** Esserci ***
Capitolo 47: *** Crescere ***
Capitolo 48: *** Timori ***
Capitolo 49: *** Come loro ***
Capitolo 50: *** Egoista ***
Capitolo 51: *** Cambia qualcosa ***
Capitolo 52: *** Verità e giustizia ***
Capitolo 53: *** L'ultima luna piena ***
Capitolo 54: *** Promesso ***
Capitolo 55: *** Un orribile inizio estate ***
Capitolo 56: *** Ritorno ***
Capitolo 57: *** Estranei a Hogwarts ***
Capitolo 58: *** I Campioni ***
Capitolo 59: *** Cambiamenti ***
Capitolo 60: *** Amore in ballo ***
Capitolo 61: *** La fine... E l'inizio ***
Capitolo 62: *** Prova ***
Capitolo 63: *** L'Ordine della Fenice ***
Capitolo 64: *** Vita dell'Ordine ***
Capitolo 65: *** La Casata dei Black ***
Capitolo 66: *** See you later, alligator! ***
Capitolo 67: *** Possibilità fanfiction ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




 
 


Prologo
 

“Quindi è lei?” domandò con incertezza una calda voce di donna.

“Si, non ci sono dubbi. E’ perfetta,” rispose un uomo dai tratti serpenteschi.

“Devo dire che un po’ mi dispiace per lei. Ma solo un po’, sia chiaro,” bisbigliò un’altra donna, stavolta dall’aspetto severo.

“Non c’è più tempo. E’ ora di agire,” sbottò una quarta persona, un uomo dai capelli rossi e lo sguardo vispo.

I quattro entrarono nel cerchio di gesso.

Una persona per ogni elemento, una per ogni affinità, una per ogni animale.

Una per ogni Casa.

I Fondatori erano pronti per procedere.

Il loro piano era appena cominciato.

 

 
Nota dell'Autrice (se è possibile definirmi tale):
Allora... come ho già scritto, questa è la "messa a nuovo" della mia vecchia storia, "L'Ultima Black", che ormai non mi piaceva più e non riuscivo a continuare. Ho deciso di riscriverla completamente e quindi questo è il prologo. Spero vi intrighi almeno un po' ;D
Ho già tutta la storia in mente, perciò non dovrei metterci molto a scriverla, sebbene alcune volte io possa perdere l'ispirazione o avere impegni improrogabili.
Bene, direi che è tutto.
Se vi è piaciuta, se vi sembra interessante o anche se vi fa schifo e ci tenete a dirmelo, commentate ;D a me fa piacere anche se non sono critiche positive
 
Alla prossima, con il primo capitolo
Sofi


Un'ultima cosa. Voglio ringraziare Alyssia Black per il banner, lo adoro!

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Capitolo 2
*** 28 Dicembre ***


28 dicembre

 

Era da giorni che non uscivano. Settimane, forse mesi. Non avevano il permesso di uscire, di giocare all’aperto, di alzare troppo la voce, guardare fuori dalla finestra troppo spesso e di litigare.
In realtà l’ultima non era una vera e propria regola, ma i tre bambini se l’erano imposta per evitare che il clima di tensione li potesse dividere. Cosa molto facile quando si era chiusi in pochi metri quadrati.
In realtà la villetta era piuttosto grande e confortevole, purtroppo però neanche un castello avrebbe potuto dare ai tre la stessa piacevole sensazione che provavano a non avere niente sulla testa, a parte il cielo. Sensazione che a malapena ricordavano, dato che era più di un anno che quelle regole impedivano loro l’uscita.

Era dicembre, da poco passato il Natale. La neve cadeva a grossi fiocchi e rendeva bianca ogni cosa al di fuori della finestra della cameretta. Dagli alberi sempre-verdi, al bosco che circondava la villetta, alle montagne che si scorgevano in lontananza: tutto era bianco, tanto che pareva dipinto.
Helena guardava fuori dalla finestra con evidente malinconia. Si sentiva un animale chiuso in gabbia. Sbuffò, facendo appannare il vetro, poi con uno scatto si allontanò da esso. La sua sorella gemella, Hannah, stava cantando una delle sue solite canzoni e seguendo la musica Helena fece qualche piroetta, muovendo poi le anche e le braccia. Hannah la fissò con divertito interesse, continuando a cantare e abbassando progressivamente la voce, mentre la melodia volgeva lentamente al termine. Helena terminò sull’ultima nota il balletto improvvisato; sua sorella la raggiunse e insieme si inchinarono ad un pubblico immaginario.
Poi arrivò l’applauso.
Nathan, il loro fratello maggiore, batteva le mani con foga, fischiando e chiedendo loro il bis. Hannah raccolse una penna sporca di inchiostro da per terra, la fissò intensamente e sorrise, mentre l’oggetto si trasformava in un fiore. Poi mandò un sacco di baci con la mano libera, come una diva dopo un vero concerto. Helena scoppiò a ridere, rubò il fiore alla sorella e si lasciò andare in tre piroette, che fecero sorridere il fratello maggiore. Nathan si avvicinò alle due bimbe, le accolse tra le braccia e le strinse con forza.
Poi arrivarono le parole, che lapidare distrussero l’allegria appena creatasi.
“Mamma è uscita.”
I tre bambini odiavano quando questo accadeva, perché non potevano mai sapere se sarebbe tornata.
Quello era, infatti, un periodo molto buio nella storia della magia. Dopo la caduta di Voldemort di tre anni prima, la maggior parte dei Mangiamorte erano scomparsi; chi era stato catturato e portato ad Azkaban, chi si era protetto con, come scusa, l’essere sotto Maledizione Imperio. E poi c’erano i Malinconici, come li definiva Gillian, la madre dei tre bambini. Questi “Malinconici”, coloro che desideravano ardentemente il ritorno di Colui-Che-Non-Dev’Essere-Nominato, erano le stesse persone che ogni giorno davano la caccia agli Auror, ai maghi di origine babbana e a tutti coloro che si erano messi contro Voldemort durante la guerra.
E sulla famiglia Gilbert-Black, con Gillian e Sirius in testa, non c’erano mai stati dubbi: i membri di quella famiglia erano dei traditori del loro sangue, ex membri dell’Ordine della Fenice, nemici del Signore Oscuro.

I tre piccoli eredi della Casata dei Black si diressero in salotto, le due gemelle a braccetto e Nathan dietro. Hannah si sedette sul divano, incitando il fratello a fare lo stesso. Helena invece si diresse alla finestra, scostando lievemente la tenda e guardando la neve.
“Usciamo,” disse la bimba, dimostrando un’impulsività degna dei Grifondoro. Suo fratello chiuse gli occhi e negò immediatamente, mentre spiegava che era pericoloso e che loro due erano sotto la sua responsabilità. Helena sapeva di non avere molte possibilità di convincerlo, ma sapeva anche che se fossero state due contro uno, lui le avrebbe seguite. Così la piccola, di soli cinque anni, fissò la sorella gemella, in una muta richiesta di aiuto. Le due gemelle vivevano quasi in simbiosi. Erano identiche, quasi impossibili da distinguere. Quasi, perché Helena era una metaphormagus e quando voleva poteva essere il contrario della sorella. Ma al naturale avevano entrambe i capelli biondo-scuro, gli occhi tra l’azzurro e il grigio, quasi di ghiaccio, e la pelle chiara, ricordante la porcellana. Hannah cantava, con una voce talmente incredibile che persino gli uccellini si fermavano ad ascoltare le sue note, e Helena ballava, muovendosi come una professionista e tenendo sempre il tempo della sorella, la quale la seguiva con la voce, neanche fosse la sua direttrice d’orchestra. Le due gemelle si amavano e condividevano tutto, dal letto alla vasca da bagno. Erano le due facce di una stessa medaglia. Hannah era la parte di luce, di dolcezza, di bontà. Helena, d’altra parte, non era una bambina cattiva, ma amava la notte anziché il giorno, era casinista e trovava piacere in alcune semplici cose che mai nessun altro avrebbe apprezzato. Inoltre Helena era una persona vendicativa, per quanto lo potesse essere una bimba di cinque anni.
Comunque, la gemella nata prima, ovvero Helena, sapeva che Hannah non l’avrebbe mai lasciata sola. Tre secondi dopo, infatti, anche la piccola di casa Black desiderava uscire nella neve. A Nathan non restò altro da fare che seguire le due sorelline per evitare che si facessero male. Dopotutto, erano sotto la sua responsabilità!
“Fidati Nan. Non succede niente. Mamma non lo saprà mai!” esclamò Helena usando il soprannome di suo fratello e strascicando la “s”, che ancora non diceva alla perfezione.
I tre bambini si buttarono nella neve, creando palle con essa e lanciandosele contro. Costruirono poi un pupazzo - un po’ storto e molto basso, ma c’era comunque di ché esser soddisfatti - e infine disegnarono angeli sul terreno, muovendo braccia e gambe nella neve.
Fu un pomeriggio memorabile, la giornata perfetta.

O almeno, lo fu fino a ché il Marchio Nero non comparve sopra la loro casa.

I tre bambini non se ne accorsero subito. Giocavano, dimenticando la regola ferrea della loro madre, ovvero “non uscite di casa”. Gillian diceva che lì l’Incanto Fidelius non arrivava e perciò erano esposti ai Mangiamorte. Cosa questo significasse, né le gemelle, né Nathan lo sapevano. Quella era semplicemente un’altra di quelle regole, di quelle stupide regole che la mamma aveva adottato quando Sirius era stato portato ad Azkaban.
Giocavano tutti e tre nella neve, mentre Helena ringhiava scherzosamente e faceva finta di essere un lupo; Nathan si distese a terra, ignorando il freddo, e in quel momento vide strane luci nel cielo. In poco tempo una figura cominciò a formarsi. Prima il teschio. Poi il serpente.
E poi Nan urlò.

Con una velocità sorprendente fece rientrare le gemelle dentro casa, mentre le due si lamentavano a gran voce, ma prima il bambino fece in tempo a vedere due uomini uscire dal bosco. Sbarrò la porta come gli aveva insegnato la mamma, poi portò le sorelline in una parte più interna della casa, dove sarebbero state più protette. Infine corse alla libreria, strappò un foglio da un libro, - era troppo spaventato per mettersi a cercare un quaderno - afferrò al volo una penna d’oca, la intinse nell’inchiostro, che per la fretta si rovesciò sul pavimento, e scrisse una semplice parola. “Pericolo”.
Sapeva che la mamma sarebbe arrivata subito, una volta letto il messaggio.
Nathan liberò il gufo delle emergenze, un volatile di nome Darko, addestrato per portare messaggi d’aiuto e di pericolo. Lo portò alla finestra della cucina, ovvero dall’altra parte dell’entrata, e lo liberò. Darko sfrecciò nel cielo e il piccolo Black corse dalle sorelle.
“Ascoltatemi bene. Dobbiamo prendere la Passaporta! E dobbiamo prenderla insieme. Okay?”
I volti delle gemelle erano il ritratto della paura. Paura che si trasformò in terrore quando i Mangiamorte sfondarono la porta e con pochi e semplici incantesimi mandarono all’aria l’intero salotto. E la passaporta era proprio lì, ormai sotterrata sotto cumuli di cianfrusaglie e frammenti di mobili.
“Okay, cambio di programma,” borbottò Nathan con il sudore che gli imperlava la fronte. Provava un gran caldo, benché fosse dicembre.
Prese le gemelle per mano e sentì distrattamente che entrambe tremavano. Poi i tre cominciarono a camminare, molto lentamente per non far rumore, verso una parte più nascosta della casa. Il piano B di Nathan consisteva nell’andare in cantina, uscire dalla porta secondaria e correre nel bosco finché qualcuno non fosse venuto ad aiutarli.

Fu proprio mentre faceva questi pensieri che l’ingresso esplose e Gillian Gilbert entrò, bacchetta alla mano, pronta a combattere.

Combattere per la vita dei suoi figli.

 





Angolo Autrice:
Ehilà, Buona Pasqua a tuttiiiiiiiiiiiiiii!
Ed ecco qua il primo capitolo ;D

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Capitolo 3
*** 28 dicembre - parte 2 ***


28 dicembre - parte 2

Gillian Gilbert conosceva abbastanza i Mangiamorte per sapere che se due erano in casa, sicuramente ce n’era un terzo fuori, nascosto nell’ombra, pronto ad attaccare nel caso le cose fossero andate male, o eventualmente a scappare per riferire l’accaduto. La donna già si immaginava la prima pagina della Gazzetta del Profeta del giorno dopo: “Mangiamorte attaccano famiglia Purosangue: mrs. Black li mette in fuga!”
Purtroppo però anche la parte più ottimista di lei stava tremando di paura. E se quei mostri avessero ucciso uno dei suoi bambini?
Gillian strinse la presa sulla bacchetta, il cuore che le martellava nel petto, riempiendo il silenzio con quel ripetitivo battito. Non riusciva a sentire niente se non esso; il suo cuore scandiva lo scorrere del tempo, uno, due, tre secondi e avanti così. Il tempo passava e Gillian non dava segno di volersi muovere, così come i due Mangiamorte, ancora fermi nelle precedenti posizioni. Era un gioco basato sull’udito. La ex-Corvonero teneva la bacchetta puntata contro il muro che la divideva dai due uomini; appena avesse sentito un rumore, un qualcosa che le avesse detto dove esattamente erano nella stanza, avrebbe lanciato un potente incantesimo, magari un “bombarda”, o forse un “reducto”. Ciò che la preoccupava erano i bambini. Come faceva a essere sicura che loro non fossero nella stanza? Uno dei due Mangiamorte parve leggerla nel pensiero, perché sghignazzò e con voce minacciosa disse: “Esci fuori, Gilbert! Abbiamo i tuoi figli!” L’uomo prese un respiro, poi continuò, sapendo che prima o poi la donna avrebbe reagito. “Devo dire che le tue figlie sono davvero carine. Quasi quasi un pensierino ce lo faccio... sai, carne fresca...” Gillian impallidì riconoscendo la voce di Greyback, forse il licantropo più pericoloso mai esistito. E aveva le sue bambine... “Non ascoltarlo, mamma! Sono entrambe con me!”
Nathan Black, con tutto il coraggio che aveva, urlò quelle semplici parole, che ebbero due effetti molto diversi. Greyback e il Mangiamorte si voltarono verso la voce e si mossero per andare a prendere i bimbi, mentre Gillian sorrise e puntò la bacchetta. Ciò che restava del salotto esplose (per la seconda volta in un giorno) e i due uomini si ritrovarono di fronte ad una donna, ad una madre, molto arrabbiata. Inutile dire che la strega era infuriata e che avrebbe difeso i suoi figli con le unghie e con i denti, fino alla morte.
La Gilbert avanzò con decisione, mentre le nocche sbiancavano per la forza con cui stringeva la bacchetta. I bambini gemettero, terrorizzati all’idea di perdere la loro madre, che stava di fronte ai due uomini e non dava segno di preoccupazione. Sarebbe stata bene a Grifondoro, pensò Helena senza rendersene nemmeno conto.
La bimba si bloccò, incerta.
Lei non sapeva quasi niente sulle Case di Hogwarts, eppure in quel momento le sentì terribilmente familiari. Come se sapesse tutto di esse, come se le avesse studiate per una vita intera.
Come se fossero parte di lei.
Helena ragionava su cosa l’avesse spinta a fare quei pensieri e non si rendeva conto di cosa accadeva nel frattempo nel salotto ormai distrutto. Vide solo sua madre lanciare qualche incantesimo ai due intrusi, i quali risposero con cattiveria e potenti magie.
Fu allora che accadde.
E il mondo di Helena Kaitlyn Black andò in frantumi.

Gillian Gilbert era stata colpita da una Maledizione Senza Perdono, che la fece gridare di dolore. E mentre la donna urlava e scivolava a terra, accadde l’impensabile. La più piccola dei tre fratelli, la dolce Hannah, gridò e si lanciò in avanti, sfuggendo alla presa protettiva del maggiore e posizionandosi di fronte alla madre. La bambina, di soli cinque anni, le dava le spalle; teneva le braccia aperte, assumendo così una posizione protettiva nei confronti della genitrice.
Fu un attimo.
Una forte luce colpì Hannah, che venne sbalzata indietro, finendo all’entrata della cucina, ovvero ai piedi della gemella Helena. La metaphormagus non gridò solo perché la mano del fratello, che le copriva la bocca, glielo impediva.
In un attimo si sentì svuotata, senza più energie o voglia di muoversi.
Senza più voglia di vivere.
Poi sua sorella fece un respiro roco (che pareva più un rantolo) e il cuore di Helena tornò a fare il suo lavoro, mentre ella si ripeteva che sua sorella stava bene e che tutto sarebbe andato per il meglio.
Bugie, solo e soltanto bugie.
Nathan chiuse gli occhi, obbligandosi a non piangere e a reagire, reagire in fretta. Prese in braccio la sorella ferita, facendo segno a Helena di seguirlo. Corsero fino alla cantina, dove entrarono, sbarrando la porta subito dopo. “E la mamma?” domandò Helena con i capelli che passavano a gran velocità da bianco ( per la paura), a grigio ( per il dolore provocato dal veder star male la sorella). Nathan non ebbe il coraggio di dirle che aveva visto la madre cadere sotto una sequela di Anatemi che Uccidono. Non ne ebbe il coraggio, quindi fece un gesto della mano e le disse che se la sarebbe cavata.
Hannah, il petto ricoperto di graffi profondi da cui colava molto sangue, scoppiò in un pianto disperato. “Non voglio morire!” gridò con voce roca. “HELENA!
Nathan non sapeva cosa fare. Conosceva ( avendo solo otto anni) ben pochi incantesimi, solo qualche magia che la mamma gli aveva mostrato. E tra questi, purtroppo, non c’era nulla che anche solo assomigliasse a quello che aveva colpito la sorella, un certo “Settumtempa”, o qualcosa del genere. Nathan non sapeva come agire e il pianto di Hannah non lo aiutava. Poi il bambino si bloccò, incerto. La piccola Hannah, coperta di sangue, si stava calmando. La gemella Helena le aveva fatto appoggiare la testa sulle sue gambe e le accarezzava i capelli con infinita dolcezza. Nathan sapeva che si stava sforzando per non piangere e si domandò come facesse una bimba di soli cinque anni a fingere così bene. Poi pensò che non importava come ci riuscisse, ma solo che lo stesse facendo. Helena tranquillizzava la sorella, la aiutava a calmarsi e quindi a respirare meglio.
“Va tutto bene, Han. Capito? Andrà...andrà tutto bene.”
“Me lo prometti?” domandò Hannah in un sussurro. “Parola di Helena Kaitlyn Black.”
E nessuno metteva in dubbio la parola di un Black.
Nemmeno un altro Black.

Nathan assottigliò lo sguardo. I Mangiamorte li avrebbero trovati a breve: dovevano scappare, e i fretta! Ma, purtroppo, non c’era verso di far muovere le gemelle, con Hannah ferita e Helena immobilizzata dalla paura. Il bambino cominciò a camminare su e giù per la stanza, cosa che, per un attimo, lo fece sembrare adulto.
“Rimarremo per sempre gemelle?” chiese Hannah in un gemito. “Per sempre, lo prometto,” arrivò veloce e senza esitazione la risposta della sorella. “Canta,” disse allora la bimba morente. Nathan si voltò, corrugando le sopracciglia e Helena chiuse gli occhi, sospirando. Era sempre stata Hannah quella che cantava, Helena invece ballava. Mai il contrario.
Mai.
Ma quella volta era diverso, Helena lo sapeva.
E fu per questo che cantò.
Cantò, cantò con voce inizialmente esitante e poi con sempre più forza. Cantò con una voce bellissima, uguale in tutto e per tutto a quella della sorella. Cantò per quella che parve un’eternità. Cantò e al termine della melodia (una ninna nanna che la loro madre era solita ripetere), Nathan udì i passi. Con un veloce movimento prese Helena e la tirò verso la porta che dava verso il bosco. Perché, mentre la voce della bambina si spegneva e Nan udiva i passi, Hannah chiudeva gli occhi e moriva.
Nathan dovette trascinare la sorella tenendola con una presa ferrea per il braccio, mentre la piccola urlava e si dibatteva. “Hannah! No! No! Non posso lasciarla sola, non posso! E’ la mia gemella, ha bisogno di me! No! Hannah!”
Ma la verità era che Hannah non aveva bisogno di Helena. Era Helena ad aver bisogno di lei. Nathan diede un forte scossone alla sorella, che tremò e scoppiò in lacrime. “Devi essere forte, Hele. Forte! Fallo per me, fallo per Hannah!”
Poi, mentre Greyback e lo sconosciuto sfondavano la porta, il primo con la bocca piena di sangue e il secondo con un orribile ghigno sul volto, il maggiore dei piccoli Black corse nella neve, trascinando la sorella e piangendo disperato. Fuori faceva freddo, si congelava, e la luminosità era scarsa. La poca luce che c’era era verdognola ed era fornita dallo scintillante Marchio Nero nel cielo, direttamente sopra la casa. I due bambini arrancavano nella neve, che li rallentava e bagnava i loro vestiti, facendoli tremare. Camminarono per qualche minuto, cercando di mettere più spazio possibile tra loro e gli assassini, senza però riuscirci dato che i due continuavano a guadagnare terreno. Nathan e la sorella caddero nella neve e fu lì che avvenne il cambiamento. Accadde qualcosa, qualcosa di invisibile agli occhi dei due bambini, qualcosa che era destinato a rimanere per sempre. L’ombra di Helena tremolò, quasi fosse indecisa su che forma prendere, e la bimba scattò in piedi, pronta a correre come non lo era mai stata in vita sua. Ma poi, voltandosi verso il fratello, notò i Mangiamorte proprio dietro di lui. “Scappa, Helena, corri!” urlò Nathan prima di essere colpito da una forte luce verde. Helena non se lo fece ripetere due volte e cominciò a correre verso il centro del bosco, mentre l’aria si riempiva di odore di bruciato - che risultò essere la casa, completamente in fiamme - e di strani rumori. “Crack”. Decine di quei suoni si susseguirono per qualche istante, poi un grido: “Auror!”
E altri due Crack.

Auror, pensò Helena. Sono salva!
Scoppiò a ridere e piangere insieme, voltandosi verso dove immaginava fosse la sua casa, anche se non la vedeva perché troppo lontana dal centro del bosco. Helena era troppo sollevata per guardare dove metteva i piedi; inciampò, cadde a terra e sbatté la testa su un masso appuntito. L’ultima cosa che vide, mentre si abbandonava al sonno e al gelo, fu il Marchio Nero ancora alto nel cielo.
Poi un improvviso calore ai fianchi, qualcosa di umido sulla guancia destra e dei lunghi e strazianti ululati.

Infine il buio.

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Capitolo 4
*** 29 dicembre ***


29 dicembre

 

“Incredibile, ti dico! Tre lupi erano attorno a lei, due la scaldavano con il loro calore corporeo, mentre il terzo ululava e rendeva nota la loro posizione agli Auror. Quando l’hanno trovata, al centro del bosco, respirava a malapena, era ricoperta di sangue - anche non suo - e aveva una commozione celebrale, ma era viva! I lupi hanno impedito che morisse di ipotermia.”
“Cavolo, però! La Black poteva anche trovare un posto migliore dove nascondersi coi suoi figli, senza rifugiarsi in mezzo alla montagna! Comunque non so... lupi, dici?”
“Credimi, Miles, tre lupi!”
“Si, si, ti credo, però pens... hai sentito?”
“Merda, è in fibrillazione!”
“La stiamo perdendo!”
“Resisti, piccola Black! E’ troppo presto per andarsene!”

“Forza piccola!"
“Qualcuno ha chiamato il tutore della bambina? Credo si chiami Romolo Lupin... Ram...Rem... Oh, al diavolo!”
“Passami quell’unguento... dovremo farle ingoiare a forza la pozione...”
Ma poi tutte le voci divennero confuse, mischiandosi in un unico brusio.


“Helena."
Quella voce però si alzava su tutte le altre, arrivando, così, chiara e forte alle orecchie della bambina.
“Helena, è ora!”
Helena aprì gli occhi, incontrando lo sguardo di una strana donna. “Ciao piccola, mi chiamo Milena. Sono l’Unità del 1915... ma tu non hai idea di cosa io stia dicendo, eh?”
La bambina fece un timido sorriso e si passò una mano nei capelli. Poi si bloccò, toccando il punto dove aveva sbattuto la testa sul masso, nel bosco. Aveva un bernoccolo e le pizzicava, ma a parte questo stava bene.
Si guardò le mani.
Non erano più coperte del sangue di Hannah; la gola non le bruciava più e gli occhi non erano più irritati a causa dei lunghi pianti.
Stava bene.
E, guardandosi meglio, Helena notò che qualcuno le aveva cambiato i vestiti. Ora portava un lungo abitino bianco con i bordini neri, senza maniche e piuttosto scollato. Mentre faceva questi pensieri, la donna, Milena, si schiarì la voce. “Ti stanno aspettando, Helena. Devi andare!” disse con voce dolce, spingendo la bambina a camminare. E muovendo lentamente le gambe e dirigendosi verso una porta mai notata prima (colorata in quattro modi diversi, rosso, verde, blu e giallo), Helena sentì un incredibile fastidio. Non sapeva perché, ma essere chiamata per nome le provocava rabbia.
Entrò, ritrovandosi in un’enorme e strana stanza bianca. Al centro, quattro persone la guardavano, due uomini e due donne, sorridenti.
Fondatori.

I Fondatori erano due uomini e due donne, e in quel momento si trovavano in fila, di fronte a Helena. Il primo era un uomo dai capelli quasi bianchi, ma che stranamente non gli davano un'aria da vecchio. L'uomo, infatti, non dimostrava più di trent'anni. Era vestito con una lunga veste verde scuro, con dei ricami d'argento sulle maniche e sul petto. Sulle spalle e attorno ad un braccio, era poggiato un serpente. Gli occhi del signore, di un banale castano, la scrutavano in modo talmente invadente da far accendere una scintilla di rabbia in Helena. Rabbia che però non superò la paura.
Si trovava in una stanza completamente bianca, di cui non vedeva la fine, era sola e aveva quattro sconosciuti davanti. Non molto rassicurante, soprattutto dopo ciò che aveva passato! L'uomo dai capelli bianchi fece un passo avanti e la guardò con rinnovato interesse. "Helena, benvenuta," disse con voce profonda; troppo, per il volto e il fisico che si ritrovava. Anche se queste erano cavolate.
"Ognuno di noi ti farà un dono. Perché sei speciale. Il mio nome è Salazar Serpeverde e il mio regalo è l'ambizione."
Le parole del primo Fondatore bloccarono la bambina, che però venne riportata al presente quando una delle due donne parlò. Aveva i capelli biondo scuro e gli occhi verdi colmi d'amore. Non era molto alta, nella media, ma aveva un fisico spettacolare. Un vestito giallo canarino le scendeva fino alla vita, con solo qualche perlina nera a decorarlo. "Mi chiamo Tosca Tassorosso, e non devi avere paura. Sei al sicuro, qui." Helena non poté fare a meno di notare il "qui". Guardò la donna, attendendo. "Il mio dono è la perseveranza."
Alla giovane Black sembrò di essere finita in una fiaba, in cui le buone fatine aiutavano la protagonista. Un po' come la favola babbana “La Bella Addormentata Nel Bosco”.
Fu dunque il turno della seconda donna, una moretta dagli occhi blu e lo sguardo vispo. "Priscilla Corvonero, piacere. Il regalo che ti farò io è... l'astuzia. Usala bene."
Priscilla si sistemò con un gesto il vestito blu lungo fino ai piedi, riccamente abbellito con gioielli e decorazioni. Gesto che fece vedere una bacchetta...
Alla fine, Helena si fermò di fronte all'ultimo Fondatore, certamente non per importanza. Era un uomo bellissimo, dai capelli rosso fuoco e lo sguardo acceso di... gioia di vivere. Era l'unico termine possibile. I suoi vestiti non erano belli o importanti come quelli degli altri Fondatori, anche se certamente erano begli abiti. Tanto, Helena non riusciva a staccare lo sguardo dal volto dell'uomo, che le si avvicinò e parlò. "Il mio dono è il coraggio, anche se già ora ne hai una discreta quantità. Sono Godric Grifondoro," disse a voce alta, facendole l’occhiolino. Poi, al suo orecchio, "E ti aspetto... nella mia Casa."

Furono queste le parole che Helena si ripeté sempre quando si sentì fuori posto nel mondo. E furono queste le prime parole pronunciate da sveglia. Perché, sotto lo sguardo incredulo di Silente, Remus Lupin e i Guaritori del San Mungo, Helena Kaitlyn Black si svegliò, prendendo fiato come se fosse annegata.

Sono Godric Grifondoro e ti aspetto... Nella mia Casa.
Cosa questo significasse, però, la bambina non l’aveva ancora capito.

Remus Lupin si avvicinò al suo letto, presentandosi, il volto distrutto e gli occhi rossi. Alla piccola Black parve di aver già sentito il suo nome. Si, lui era certamente quello che la mamma chiamava “Lunastorta”. E’ uno dei suoi migliori amici, pensò la piccola. Le farà piacere sapere che è qui. Fu solo dopo qualche secondo che si rese conto di ciò che era accaduto. Sua madre non la avrebbe più abbracciata. Suo fratello non l’avrebbe più applaudita.
E Hannah...
Solo a pensare quel nome, la bimba sentì una fitta di dolore al cuore.
Un cuore dimezzato.
Perché metà se l’era portato via la gemella.
Scoppiò a piangere con forza, mentre Lupin le si avvicinava e la cingeva in un abbraccio dolce, protettivo.
Fragile.

“Andrà tutto bene. Te lo prometto, Helena.”

HELENA!
La bambina si sentì svenire, sentendo ancora la voce distrutta della sorella che la chiamava, disperata. Piena di paura e di dolore. Invocando aiuto, protezione e amore con un’unica parola.
HELENA!
“Helena, piccola...”

HELENA!

La Black sobbalzò. Ogni volta che Remus la chiamava per nome, prepotente arrivava il ricordo della sorella che la chiamava, che piangeva sulla sua pelle, ricoperta di sangue. La bimba chiuse forte gli occhi, portando le mani alle orecchie. 
HELENA!
Scosse più volte la testa. Non poteva sentirla, si disse. Non era possibile, Hannah non poteva starla chiamando. Non poteva, perché era morta! E mentre lo pensava, la voce nella sua testa tacque, come scottata da quelle parole, come spaventata dalla loro veridicità.
Come fosse improvvisamente in lutto.
Remus si voltò verso il vecchio preside di Hogwarts, che con una sola occhiata gli infuse coraggio. Per Godric, fa che mi accetti!, pensò il lupo mannaro, il cuore colmo di angoscia e di dolore. “Helena...” provò con voce dolce. “NON MI CHIAMARE HELENA!” urlò la bambina, mentre i capelli le cambiavano furiosamente colore, passando dal rosso al grigio, al bianco, al nero, al viola e al blu, in un turbinio di colori che avrebbero fatto invidia all’arcobaleno.
“Ma Helena, sii ragionev...”
“Non mi chiamare così! Non lo fare!”
Più Remus provava a farla ragionare, più la bimba urlava forte, impuntandosi. Continuava a piangere e ogni volta che la chiamava con il suo nome di battesimo, Helena intensificava il pianto e portava le mani alle orecchie, come se le facessero male. Fu così che, insieme, padrino e figlioccia decisero che ella avrebbe mantenuto quel nome sulle carte, ma si sarebbe fatta chiamare con il suo secondo nome.
Quel giorno, al San Mungo, Helena Black morì, andando a ricongiungersi con la sorella gemella.
Helena morì.
E nacque Kaitlyn.
Kaitlyn, l’ultima Black.


Mangiamorte attaccano famiglia Purosangue: sopravvive solo una bambina!”
La Gazzetta del Profeta, prima pagina

 




Note:
Ho deciso che, sebbene io non stia ricevendo recensioni, continuerò comunque questa storia, non solo perché ho molte amiche che aspettano il continuo, ma anche perché è una storia che fa parte di me, che mi ha...toccato il cuore, e quindi ho deciso che la continuerò nonostante tutto.

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Capitolo 5
*** Primi di gennaio ***


Primi di gennaio

 

Kaitlyn si lisciò la gonna con alcuni tocchi esperti delle mani, per poi infilare le ballerine e dirigersi con calma verso il bagno comune. Stava ragionando su che acconciatura sfoggiare all’udienza, quando una ragazza di nome Rachel la spintonò, superandola e scomparendo dentro al bagno.
“Ci sono prima io, sgorbio!” esclamò ghignando la diciassettenne. Kaitlyn si fermò, mentre le lacrime le salivano agli occhi. Non posso farcela, si disse con un gemito, appoggiandosi al muro accanto al bagno. Voglio andare a casa!, urlò nella sua mente, con le labbra serrate così che neanche un fiato le sfuggisse. Non voleva attirare l’attenzione su di sé. Dopotutto, mancava così poco all’udienza che avrebbe deciso chi si sarebbe preso cura di lei da quel momento in poi! Poche ore e avrebbe lasciato quell’orribile orfanotrofio femminile, per andare al Ministero e, in seguito, nella sua nuova casa. Chissà chi vincerà, si disse.
Kaitlyn non l’aveva detto a nessuno, ma sperava davvero che ad ottenere la sua custodia fosse il vecchio amico di sua madre, quel Remus. Anche perché l’altra scelta, i Malfoy, non la rassicurava molto. Sapeva cosa avrebbe detto la sua mamma. Sono pericolosi. Mangiamorte, o comunque in quel giro. Kait non voleva immischiarsi in cose del genere. Qualche minuto dopo l’orfana Rachel uscì dalla stanza, grugnendo e spingendola di nuovo. Con le lacrime agli occhi, Kait entrò in bagno e ci si chiuse dentro.

Remus sospirò di sollievo, avvicinandosi alla figlioccia, che lo fissava fiduciosa. Il mannaro congedò l’assistente sociale con un cenno della testa, allungò le braccia e afferrò Kaitlyn, traendola a sé. La bimba rimase tesa per qualche secondo, poi si aggrappò con forza al padrino, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
“Sono con te?” domandò con voce flebile.
“Sei con me,” rispose Lunastorta ricambiando la forte stretta. Non aveva il coraggio di dirle che una volta al mese, alla luna piena, sarebbe dovuta andare via, magari dai Weasley, o forse da Andromeda. Non intendeva certo rovinare il momento!
L’unica cosa che aveva intenzione di fare era portare Kait a casa sua, dove si sarebbe trasferita.

Kaitlyn chiuse la porta della sua camera con un gesto secco. Remus l’aveva lasciata per andare in cucina a preparare la cena, che sarebbe stata in tavola circa mezz’ora dopo. La bambina non era molto felice all’idea di restare sola, ma capiva il padrino e una piccola parte di lei era contenta di quella piccola porzione di libertà, che le permetteva di squadrare con occhio critico la sua camera senza timore di ferire Lunastorta. Chiusa la porta, la stanza calò nella più completa oscurità, a cui gli occhi della bimba non erano abituati. La piccola desiderò ardentemente di avere un po’ di luce - il buio non le piaceva per niente - e immediatamente le candele della camera si accesero.
Magia spontanea?
La camera della bambina si rivelò essere più spaziosa di quanto lei non si aspettasse; all’entrata, sulla destra, si trovava un letto a baldacchino, dalle coperte azzurre, con accanto un comodino. Alla destra del letto c’era una porta che conduceva ad un piccolo bagno. Dall’altro lato della stanza c’era una scrivania, una cassettiera e uno specchio a muro. La camera aveva una sola finestra, che però era molto ampia, con un piccolo davanzale su cui ci si poteva sedere guardando fuori. Di fronte al davanzale, ovvero dall’altra parte della stanza, era situato un armadio, per il momento ancora vuoto. Si avvicinò ad esso e lo aprì, per poi prendere il suo baule e cominciare a spostare tutti i suoi vestiti. Ci si sarebbe dovuta abituare, era inutile rimuginarci troppo sopra.
Kaitlyn guardò la stanza che ormai era divenuta sua, desiderando ardentemente di essere ancora in quella villetta in mezzo al bosco che le aveva fatto da casa per molti anni. Fu mentre formulava questi pensieri che vide una scatola nascosta sul fondo dell’armadio. La sollevò, grugnendo per lo sforzo, quindi la posò a terra e le si inginocchiò vicino. Con gesti curiosi e affrettati la aprì, guardando cosa ci fosse dentro.
Il cuore le cominciò a battere fortissimo; allungò le mani e afferrò l’oggetto impolverato, prima di posarselo in grembo e sorridere con le lacrime agli occhi. Kait soffiò via la cenere che si era posata sopra il carillon appartenuto a sua madre. Lo aprì ed esso cominciò a sprigionare una dolce ninna nanna, la stessa che lei aveva cantato ad Hannah solo pochi giorni prima. La ballerina del Carillon non c'era, al suo posto stava Sirius Black che sorrideva, amorevole, e stringeva a sé tre splendidi bambini, un maschio, più grande e con l'espressione seria, e due femmine, piccoline, identiche e dallo sguardo felice. Con uno sforzo immane Kaitlyn trattenne le lacrime, poi posò accanto a sé il carillon ormai spento e guardò nuovamente nella scatola. Trovò una vecchia foto rappresentante la sua famiglia al completo, con anche Sirius, evidentemente non ancora accusato di omicidio. Il terzo oggetto che la bimba afferrò fu un coltello di argento con il manico di osso di drago, estremamente pregiato. Aveva una G incisa nell’osso, così Kay capì che era di sua madre, in quanto la G stava per Gilbert. La scatola ormai conteneva un ultimo ricordo, ovvero un album di foto che però la bambina trovò... vuoto. Soltanto le prime pagine erano occupate; lì c’erano alcune foto, tutte raffiguranti Kaitlyn. A parte la terza immagine, in cui Kait era se stessa, tutte le altre fotografie la ritraevano diversa; con i capelli biondi, rossi, una volta addirittura blu, una foto con gli occhi azzurri, una neri come la notte... Immagini sempre diverse ritraenti sempre la stessa persona. La Black continuò a sfogliare quelle poche pagine, pensando che avrebbe messo parecchio a riempire tutto l’album. Eppure, si disse in un moto d’orgoglio, io ce la farò.
Kait ripose gli oggetti sulla scrivania dall’altra parte della stanza e sorrise, immersa nei ricordi. Alzando lo sguardo vide lo specchio a muro, finemente decorato, che rifletteva la sua immagine. La bimba si avvicinò ad esso, toccandone la superficie e socchiudendo gli occhi, squadrando il suo volto. Kay fissò i suoi stessi occhi, immaginando che appartenessero a suo fratello e, in un gesto, scurendoli di qualche tonalità. Sostituì i suoi lunghi capelli biondi - che in futuro avrebbe sempre tenuto neri come la pece - con ciuffi castani corti ai lati e poco più lunghi nella parte superiore; infine fece coprire leggermente gli occhi dai capelli ribelli che Nathan adorava tanto.
Quando era ancora in vita, certo.
Cercò di immaginare il volto di suo fratello, l’espressione da duro che usava con tutti tranne che con lei e Hannah, il sorriso dolce e allo stesso tempo spavaldo che scoccava loro quando, ficcatosi nei guai, se la cavava con un semplice e falsissimo “Non lo farò più!”.
Le bruciarono gli occhi per diversi istanti, prima che Kait riprendesse il controllo delle sue emozioni. Guardò nuovamente lo specchio e poi cambiò velocemente colore di capelli, rendendoli biondi, in modo da essere perfettamente identica alla sorella defunta. Infine Kaitlyn fece sì che i suoi occhi grigi, ghiacciati dal gelo nel suo cuore, si trasformassero lentamente in un dolcissimo color cioccolato. I capelli si allungarono e schiarirono, l’espressione si addolcì, il sorriso si allargò. Kay inclinò la testa, guardando sua madre, o meglio, il ricordo di lei. Era una delle paure più grandi della bambina: dimenticarsi il viso della sua mamma, o di qualcuno della sua famiglia. Anche se ovviamente non lo avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura.

Mentre Kait, chiusa nella sua stanza, formulava questi pensieri, un ticchettio alla finestra distrasse Remus dallo stufato sul fuoco. Sul davanzale trovò un falco - scelta molto insolita per il trasporto della posta - e gli prese la lettera che teneva tra le zampe. L’uccello quasi morse un dito al mannaro, che chiuse subito la finestra e aprì la pergamena finemente decorata, cominciando a leggere.

Signor Lupin,
mi sento in dovere di informarLa del fatto che, se Lei non mi permetterà di vedere almeno una volta al mese mia nipote Helena Kaitlyn Black, l’intera faccenda finirà nuovamente in tribunale.
Ho il diritto, - e il dovere - Signor Lupin, di educare la bambina al mondo dei Purosangue. Non intendo permettere che la giovane diventi emarginata dall’alta società.
La educherò in modo che diventi una Purosangue degna del suo nome e se Lei cercherà di impedirmelo, allora sarò costretta a richiedere la custodia della bambina, fino alla sua maggiore età. E stavolta vincerò la causa, mi creda.
Se non vuole che Helena abbia un altro trauma e si debba separare da Lei a causa della mia adozione, La prego cortesemente di accettare i termini della condizione.
Sarà il tutore della bambina, ma almeno una volta al mese ella dovrà essere portata a Malfoy Manor per le lezioni di bon ton, di canto, di danza classica, di ballo da sala e di latino. Inoltre la giovane imparerà ogni nome e ogni ramo delle famiglie Purosangue più in vista del Paese, prima a tutti la propria.
Grazie dell’attenzione, attendo con ansia la Sua risposta.

Cordiali saluti,
Narcissa Black Malfoy



Quando Kaitlyn arrivò a Malfoy Manor per la prima volta, si domandò cosa avesse fatto di male per finire lì. Un luogo spettrale, grigio e triste, che spense immediatamente l'eccitazione che provava la bambina al pensiero di avere quella villa enorme da esplorare e scoprire. La zia della giovane, la bella bionda Narcissa, aprì la porta alla nipote, guardandola dall'alto in basso e cercando di capire come avrebbe potuto renderla una Black. Cioè... degna di essere considerata una Black.
Cissy posò lo sguardo sui capelli - il cui colore continuava a cambiare - della bambina, sugli occhi grigio-azzurro e lo sguardo timoroso, che però non nascondeva del tutto il lato strafottente. Assomigliava così tanto al padre... Una cosa talmente dura da far vacillare l'autocontrollo della bionda, che si era quasi totalmente dimenticata il viso del cugino.
Kait capì che qualcosa non andava, ma non si fermò a riflettere; entrò nell'ingresso e venne condotta in un salotto lussuoso, addobbato con i colori verde e argento. Al centro stavano due persone. L'uomo, quello che poi Kaitlyn avrebbe scoperto chiamarsi Lucius Malfoy, aveva i capelli biondo chiarissimo, lunghi fino alle spalle. Portava un vestito completamente nero e aveva gli occhi estremamente chiari, grigi come i suoi. Di ghiaccio, quasi.
Il bambino che gli stava accanto era molto simile; aveva però i capelli corti, e lo sguardo era timoroso e non sfacciatamente padrone come quello del padre. I due giovani si guardarono per qualche secondo, senza sfidarsi, più alla ricerca di qualche cosa, qualche dettaglio, che rivelasse la posizione dell'altro. Nemico? Imparziale? Potenziale alleato?
Solo in seguito Kait capì che non sarebbe stato nulla di ciò. Amico. Quella era la parola che più spesso la giovane Black accostò al nome Draco Malfoy. Difendendolo dai Grifondoro che lo insultavano, parlandogli e convincendolo che anche lui era degno di amore.
A Malfoy Manor, era calato il silenzio. A romperlo fu lo zio acquisito della bambina. "Spero tu non sia come tuo padre," disse, la voce dura e... fredda, Lucius. Una morsa strinse il cuore di Kait e il gelo cominciò a salire, facendola rabbrividire. "Io spero di si," rispose con astio la Black. Sua madre le aveva sempre detto che Sirius era innocente, che era stato incastrato. E lei ci credeva.
Kait ci credeva. E solo questo contava.
Quindi, per lei fu normale rispondere così: a casa sua dire la verità era normale, c'era la "libertà di parola". Ma come capì la bambina in seguito, con i Malfoy era diverso.
Con i Malfoy sarebbe sempre stato diverso.
E a questo pensiero, senza riuscire a spiegarsi il perché, Kaitlyn rabbrividì.

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Capitolo 6
*** Con l'arrivo della primavera - parte 1 ***


Note:
Prima di iniziare, avverto che ho, per esigenza di trama, cambiato alcuni fatti temporali. Ho inserito un personaggio che, in realtà, muore prima della fine della 1 guerra magica, ma io ho fatto sì che sopravvivesse, in modo da inserirlo nella mia storia. Spero non vi dispiaccia questo piccolo cambiamento!



Con l’arrivo della primavera - parte 1

 

Kaitlyn non era mai stata una bambina molto facile, da gestire. Non come si sarebbe aspettato Remus, per lo meno. Lui si aspettava una bimba triste per la perdita della famiglia, che si chiudeva in se stessa e che avrebbe reso impossibile comunicare. Invece, Kait si impose di essere brava e buona, almeno davanti al padrino. Probabilmente lui stava già soffrendo di suo. Non serviva creare altri problemi. Per questo, per fare ciò di cui aveva voglia, la giovane Black aspettava la notte.
Stare a casa di Remus era bello e divertente, a parte qualche giorno al mese, quando la bimba era costretta ad andare dai Malfoy.
In breve tempo tra Remus e la figlioccia si instaurò un forte legame, anche se il Malandrino continuava a stupirsi ogni volta che la bambina sorrideva, o era di buon umore. Non poteva mica sapere che, appena lui si girava, Kait si incupiva. Lupin non poteva sapere nemmeno che la notte la bimba piangeva e aveva spesso incubi. Non poteva sapere che Kaitlyn aveva quasi sempre il labbro inferiore spaccato per la forza con cui lo mordeva, nel buio della sua camera, a notte inoltrata, per impedirsi di singhiozzare troppo forte.
Quando però lui capì che qualcosa non andava ( e non ci mise nemmeno tanto, ad accorgersene), quando capì che avere occhiaie così segnate non era normale, e quando notò che il cuscino di Kait era sempre umido, la mattina, Remus cominciò ad andare a controllare che andasse tutto bene. Spesso il Malandrino si metteva fuori dalla camera della bimba, l'orecchio appoggiato alla porta, ad ascoltare i singhiozzi. E allora entrava e si sedeva sul letto, impedendosi di cedere alla tristezza; abbracciava Kait e non la lasciava andare finché lei non si stancava abbastanza da scivolare in un sonno senza sogni. E presto padrino e figlioccia capirono come evitare gli incubi. Bastava stancare la bambina.

Ma come fare?
Remus non aveva intenzione di lasciarla fare dello sport, non se questo voleva dire andare in un posto nuovo, senza la protezione di un ex membro dell’Ordine o di un Auror, senza nessuno pronto ad aiutare Kait in caso i Mangiamorte l’avessero trovata. La questione, quindi, rimaneva in sospeso.
Un altro problema che il Malandrino dovette risolvere in fretta fu quello del lavoro. Per i Lupi Mannari non era facile trovare un impiego; non solo non erano in grado di lavorare per un’intera settimana al mese, ma erano anche ritenuti inaffidabili e pericolosi dall’intera comunità magica. Fortunatamente Remus aveva trovato un datore di lavoro tollerante verso la sua natura, che però non accettava nemmeno un ritardo e odiava i bambini; questo rendeva impossibile, per il Mannaro, portarsi la figlioccia dietro. A casa da sola, però, lei non ci poteva stare, così Remus dovette trovarle una baby-sitter che fosse in grado di proteggerla e che non chiedesse molti soldi. Fortunatamente la donna che contattarono non chiese nemmeno di essere pagata. Per il saper proteggere... poteva sempre chiamare qualcuno dell’Ordine - la signora, infatti, era costantemente in contatto con Silente per affari che riguardavano il Bambino-Che-E’-Sopravvissuto.
Remus quindi si sentiva piuttosto sicuro quando lasciava la figlioccia con la “baby-sitter”, sotto gli sguardi truci di Kait, che pur essendo piccola si reputava in grado di proteggersi da sola.
Kaitlyn sospirò, sapendo che non avrebbe mai vinto contro il padrino e guardandolo andare al lavoro, come ogni giorno. La signora Figg era una donna allegra, che adorava sfornare dolcetti e fare smorfie: Kay ricordava ancora quando l’arzilla vecchietta si era messa a fare boccacce a Remus, per prenderlo in giro e, come sospettava la bimba, per farle venire il buon umore. Purtroppo, la fantasmagorica signora Figg era anche la babysitter e, in quanto tale, almeno un po’ doveva imporsi, dandole fastidio con ordini simili a “Metti in ordine camera tua!”. In quei momenti Kaitlyn sapeva sempre cosa fare. Accettava l’incarico come se fosse qualcosa di piacevole, “parcheggiava” la signora Figg sulla sedia a dondolo del portico che dava sul giardino, le porgeva il suo libro e la lasciava lì, all’ombra e al fresco.
In media la vecchietta impiegava tre minuti per addormentarsi.
Scaduto il tempo, Kait - come le aveva ordinato di fare Narcissa in caso di bisogno - chiamava il suo elfo domestico, il cui strano nome era Kreacher, e gli diceva di ordinare la camera, con tono fermo ma gentile. Ogni volta che parlava con l’elfo, - poco più basso di lei - la Black provava un pizzicore sulla nuca, come se qualcuno la stesse osservando, o tenendo d’occhio. Kait se ne infischiava tranquillamente, pensando che se a guardarla fosse stato un cattivo, lei sarebbe già stata morta. Se ne andava a giocare e quando Kreacher le si avvicinava per riferirle di aver fatto il suo dovere, la bambina tirava fuori dalla tasca un Mago Famoso delle Cioccorane - una carta doppia, ovviamente. Questo mandava l’elfo al settimo cielo, il ché le assicurava un egregio lavoro, una buona dose di lealtà e perfino gentilezza. Poi l’elfo se ne andava e Kait prendeva il merito del suo lavoro. E ancora, lo strano formicolio alla nuca.
Quel giorno di metà marzo non andò molto diversamente.
Kait lasciò la signora Figg in salotto, - convincendola che al sole era troppo caldo - mentre si domandava cosa stesse facendo il cugino Draco quel giorno. Andò a chiamare l’elfo, che arrivò subito, e gli disse di lavare per terra; poi lei uscì a giocare in giardino. La bambina si sedette sull’altalena, spingendosi lentamente con i piedi e desiderando di avere suo padre accanto. Come fosse stata chiamata dall’espressione triste di Kait, una figura si avvicinò a Casa Lupin. L’uomo oltrepassò con un agile movimento le aiuole e con lentezza snervante si avvicinò alla bimba.
Il cervello di Kaitlyn, in quel momento, era del tutto assente.
 La piccola non pensò che potesse trattarsi di un pedofilo, o peggio, di un Mangiamorte. Era troppo occupata a fissare incantata l’uomo, dai capelli neri e lo sguardo di ghiaccio. Kait lasciò vagare lo sguardo su tutta la sua figura, inarcando un sopracciglio. Il ragazzo - non doveva essere molto grande, anche se non ne sapeva dire l'età - ricambiò lo sguardo, finché Kait non distolse il proprio, spostandolo sulla mano destra dell’uomo. Sull’indice, attorcigliato come se fosse vero, era infilato un anello d’argento a forma di... serpente. Gli occhi, due piccole pietre verdi, ebbero il potere di affascinare la bambina, che in tutti i suoi cinque anni non aveva mai visto un gioiello più bello.
L’uomo si mosse, a disagio per l’insistenza dello sguardo, o forse per l’essere esposto al sole e allo sguardo dei vicini in modo così esplicito. A Kait non interessava quale dei motivi fosse; sentiva però di desiderare la felicità del ragazzo.
“Se vai lì in quel punto sei al riparo dal sole e dagli altri. E’ una specie di punto cieco,” disse con voce sicura la bambina, indicando un punto alla base di un albero. Il moro si avvicinò al posto indicato con riluttanza, sedendosi poi per terra e vergognandosi di aver anche solo pensato di domandare una sedia. Squadrò con diffidenza la bambina, che ricambiò l’occhiata in un gesto di... sfida?
Guardando il mento alzato della bimba, - uno scricciolo indifeso - l’espressione strafottente, il mezzo ghigno sulle labbra e gli occhi grigi accesi di insolenza e determinazione, il ragazzo scoppiò a ridere di gusto.
Era da tempo che la tensione non gli permetteva di ridere così e fu un vero sollievo e una vera sorpresa ritrovarsi a sghignazzare in quel modo, seduto sull’erba, - sull’erba!!! - sotto lo sguardo inebetito della bimba. Questa si morse il labbro, riflettendo su ciò che sarebbe stato meglio fare. Poi però, mandando mentalmente al diavolo Narcissa, Lucius e tutti gli altri, rise anche lei, per la prima volta dopo tanto tempo.
Appena lo scampanellio - che era la risata di Kait - arrivò alle orecchie dell’uomo, esso si voltò incredulo. Mai aveva udito suono più splendido, più armonioso, più limpido di quella risata, che appena si fece un po’ più grossa cominciò a cambiare, divenendo sempre più simile ad un latrato.
“Io sono Helena, ma chiamami Kaitlyn,” si presentò la bambina, allungando una mano, senza però aspettarsi davvero che lui l’afferrasse. L’uomo sorrise, stringendo la mano offerta e tirandola leggermente. Kait, sbilanciata, cadde dall’altalena a schienata e si sarebbe fatta senza dubbio molto male se lui non l’avesse presa al volo. Ritornando seduto, lo sconosciuto trasse a sé la bimba, stringendola forte ed affondando il viso nei suoi capelli, annusando il suo dolce odore. Per qualche secondo lei si sentì estremamente a disagio, ma poi si rilassò tra le braccia dell’uomo, come se quello fosse il suo posto. Il suo posto nel mondo, un posto su misura per lei. Il posto in cui brillare, brillare come la stella di cui avrebbe dovuto portare il nome.
“Dimmi il tuo nome,” sussurrò la piccola, accoccolandosi ancor più sul ragazzo. Un respiro spezzato, un labbro morso, un luccichio nello sguardo di ghiaccio. 
“Regulus.”     

Accoccolata tra le braccia di Regulus, seduta tra le sue gambe aperte, con il suo respiro caldo sulla schiena e sul collo, e le sue grandi mani a circondare le sue, sul petto, a Kaitlyn venne quasi da dormire. Quasi, perché ad un certo punto la manica sinistra della maglia dell’uomo si alzò leggermente, rivelando una piccola macchia nera. La curiosità della Black prevalse velocemente su di lei, che alzò ulteriormente la manica, rivelando il...
“Marchio Nero!”
La piccola fece un salto, cercando di divincolarsi dalla presa ferrea del giovane uomo, che si rafforzò ulteriormente. Kait sentì montare il panico, mentre veniva costretta al petto di Regulus, il quale sembrava star quasi... ringhiando. La bambina annaspò in cerca d’aria, il torace compresso e gli occhi improvvisamente lucidi. In un gesto di magia involontaria da parte di Kait, un sasso si scagliò sulla testa del Mangiamorte, che mollò la presa sulla giovane. La bimba gattonò rapida, allontanandosi da lui e toccandosi la gola. Lì, dove Regulus l’aveva toccata per ultimo, la pelle bruciava.
Kaitlyn pensò che il Mangiamorte fosse lì per ucciderla, poi capì che non avrebbe atteso tanto se avesse voluto farle del male. Dopotutto, era da tempo che la osservava, no? Ragionò sull’abbraccio e sullo sguardo del ragazzo.

Kait chiuse gli occhi, fissata da Regulus.
Loro avevano ucciso la sua famiglia. Loro le avevano tolto tutto. Loro l’avevano distrutta.
Sapeva di star sbagliando. Sapeva che avrebbe dovuto scappare, o per lo meno urlare. Lo sapeva, l’aveva imparato: ne era perfettamente conscia. I Mangiamorte erano pericolosi. Sempre. Non importava che avessero dei modi di fare gentili, lo sguardo dolce e protettivo. Non importava, i Mangiamorte erano e sempre sarebbero stati pericolosi.

Lo sapeva, era abbastanza intelligente per capirlo, per ragionarci su e comprendere la sciocchezza dei suoi gesti.
Aprì gli occhi.
Kait lo sapeva.

Ma non le interessava affatto.

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Capitolo 7
*** Con l'arrivo della primavera - parte 2 ***


Con l’arrivo della primavera - parte 2

Dallo scorso capitolo: Sapeva di star sbagliando. Sapeva che avrebbe dovuto scappare, o per lo meno urlare. Lo sapeva, l’aveva imparato: ne era perfettamente conscia. I Mangiamorte erano pericolosi. Sempre. Non importava che avessero dei modi di fare gentili, lo sguardo dolce e protettivo. Non importava, i Mangiamorte erano e sempre sarebbero stati pericolosi.
Lo sapeva, era abbastanza intelligente per capirlo, per ragionarci su e comprendere la sciocchezza dei suoi gesti.
Aprì gli occhi.
Kait lo sapeva.
Ma non le interessava affatto.

 




Si alzò in piedi, lo gli occhi puntati sulle sue scarpe. “I Black non abbassano lo sguardo. Mai.”
La voce di Regulus la colpì come uno schiaffo, mentre con rapidità alzava gli occhi e fissava l’uomo.
“Non volevo reagire in quel modo. Ne sono estremamente dispiaciuta,” mormorò con la voce che solitamente usava con i Purosangue aristocratici amici di Narcissa. Con due o tre passi, Kait cancellò dai suoi gesti l’esitazione. Il ragazzo la fissò con sguardo incomprensibile, smettendo di respirare per qualche secondo quando la bambina si sedette al posto di prima, tra le sue gambe, tra le sue braccia. Con la differenza che ora si costringeva a ricacciare indietro le lacrime e a non tremare. Regulus se ne accorse e, circondandole il petto con le braccia, le fece la domanda che più gli premeva, in quel momento. “Hai paura?”
Sapeva già la risposta. Sì. Anche se non credeva che lei lo avrebbe ammesso.
“No.”
Come pensava. Orgogliosa come Sirius, pensò con dolore il Mangiamorte, posando il capo sulla testa della bimba.
“Tu non mi farai del male.”
Non c’era traccia d’esitazione nella voce di Kaitlyn, la quale si sorprese di credere davvero alle sue parole. Lui non l’avrebbe ferita. Mai. Non volontariamente, almeno.
“Perché ne sei così sicura?”
“Perché mi ricordi il mio papà. E lui non mi farebbe mai del male.”
Kait ne era convinta, ed era uno dei motivi per cui non aveva reagito alla vista dell’uomo. Quell’uomo così simile a suo padre da farle venire la pelle d’oca.
“Ero suo fratello.”
Fu questa la risposta di Regulus. Solo un sussurro, un bisbiglio perso nel vento, svanito nel nulla meno di un secondo dopo, eppure sempre vivo nei loro cuori. Si strinsero l’uno all’altro, il Mangiamorte e la Sopravvissuta, il futuro Traditore e la futura Auror.
“Lo sei ancora.”
Fu così che il ragazzo e la bambina divennero amici. Non se ne resero conto subito, ma il legame che crearono crebbe sempre più, rafforzandosi, finché Kaitlyn desiderò di essere affidata a lui, anziché a Remus. Ovviamente era impossibile che il suo desiderio si avverasse e quasi quasi la piccola ne era contenta. Lasciare il padrino l’avrebbe distrutta, ma non avrebbe nemmeno esitato e questo pensiero la destabilizzava tantissimo: era quindi felice di non dover scegliere.
Non sapeva che, anni e anni dopo, avrebbe dovuto fare scelte molto più difficili, come Lato Oscuro o Ordine della Fenice, Sangue o amore, Draco o Harry e perfino padre o padrino.
Regulus tornò ogni giorno, alla stessa ora, con il sole e con la pioggia, con il vento o con la neve. I due parlarono di tutto, da Hogwarts ai Mangiamorte, dal rimpianto al rimorso, dai Purosangue alle regole infrante, al dolore di una perdita.
Regulus tornò il giorno dopo e quello dopo ancora, facendosi persino strappare la promessa che mai e poi mai avrebbe abbandonato il SUO Scricciolo, la sua Helena.
Quella che sarebbe benissimo potuta essere sua figlia.

Kait non sapeva il perché, ma aveva dato il permesso a Regulus di chiamarla con il suo vero nome. Helena, non Kaitlyn. Era stato qualcosa di istintivo e la bimba non se ne pentiva, anche se continuava a preferire il suo secondo nome.
Kait non vedeva l’ora che fossero le quattro. Il giorno prima Regulus le aveva fatto promettere di non dire a Remus della loro chiacchierata, e di non farlo mai. Immaginando la reazione che avrebbe avuto il licantropo, che quando si arrabbiava faceva davvero paura, la piccola accettò senza fare storie. “In cambio però anche tu devi promettermi una cosa. Prometti che non mi lascerai, che non mi abbandonerai mai come invece ha fatto il mio papà. Prometti.”
“Ti do la mia parola, Scricciolo.”


Kaitlyn aspettava impaziente l’arrivo di Regulus. Erano le quattro meno un minuto e l’attesa cominciava a farsi sempre più pressante. Fu solo quando si sentì toccare la spalla da una mano adulta che l’agitazione sparì. Aveva avuto paura che lui non venisse, invece era lì, un sorriso arrogante sulle labbra. Si sedettero a terra come il giorno prima e cominciarono a chiacchierare. Parlarono di tutto, senza preoccuparsi di nulla se non della persona che avevano accanto. Kait tirò fuori ogni cosa, senza riserve. Descrisse il suo odio verso coloro che le avevano distrutto la vita, la confusione che spesso l’assaliva quando, la mattina, si svegliava credendo di essere ancora a casa con la sua famiglia. Parlò di quanto le mancasse Hannah e di quanto avesse implorato il cielo di poter morire insieme alla sorella. Raccontò di Remus e di quanto lei si sforzasse per non farlo preoccupare, facendolo inevitabilmente agitare ancor di più. Spiegò la rabbia e la gelosia che provava a vedere i Malfoy uniti, finendo poi con il raccontare di tutti gli innumerevoli sport che, secondo il suo padrino, lei avrebbe dovuto praticare per non avere più gli incubi.
Regulus la ascoltò per tutto il tempo, interrompendola più volte per capire bene un concetto. Kait era pur sempre una bambina di cinque anni, dopotutto.
Stettero lì, all’ombra di quei due alberi vicini; Kaitlyn parlava, lui ascoltava. Quando il Mangiamorte se ne andò, a sera, la bambina si sentiva incredibilmente più leggera, cosa che insospettì Remus non poco, il quale però era troppo stanco dal lavoro per poter anche solo cercare di indagare.
Il pomeriggio dopo fu turno di Regulus. Fu la piccola a stare in silenzio, mentre il ragazzo parlava dei doveri da Purosangue che lo avevano obbligato a seguire una strada non adatta a lui, del desiderio di scappare insieme al fratello e del dolore causatogli dalla fuga solitaria di quest’ultimo. Con acidità spiegò alla nipote che tanto Sirius aveva un altro fratello, di nome James Potter, da cui si era rifugiato. Regulus parlò per ore del Signore Oscuro e di quanto lui gli avesse fatto paura, anni prima. Spiegò che il potere e prestigio dei Black, corrompendo le persone giuste, aveva fatto in modo di esonerarlo dalle indagini, così non era finito in galera con gli altri Mangiamorte, ma disse anche che ogni tanto avrebbe voluto esserci, soltanto per poter parlare ancora una volta con Sirius. Regulus raccontò di come avesse spiato Kait per molto tempo, prima di decidersi ad andare da lei; fece a meno di dire che lui aveva preso parte all’attacco verso la famiglia del fratello e che da codardo era rimasto in disparte, non avendo il coraggio di aiutare i suoi nipoti. Erano passate ormai due ore e la gola di Regulus ne risentiva parecchio, così la bambina corse a prendergli un bicchiere di acqua fresca. Il Mangiamorte non commentò la bibita - o meglio la NON bibita - e Kaitlyn lo fissò bere, soddisfatta di sé. Lo sguardo le andò nuovamente sulla mano dello zio, com’era successo almeno altre sei volte. Regulus mosse il dito con l’anello, un serpente attorcigliato dagli occhi verdi. “Vedo che ti piace Gyaki.”
Dal modo in cui lo disse e dal sorriso che le rivolse, la Black capì che il parente era tranquillo, a suo agio. “Gyaki? Il tuo anello ha un nome?” domandò allora la bambina, incuriosita, avvicinandosi leggermente ad esso. Fu proprio mentre lo guardava, a pochi centimetri da esso, che la testa del serpente fece uno scatto, muovendosi leggermente a sinistra. Arretrando in fretta, Kait strabuzzò gli occhi, fissando Regulus con aria incredula. “Si è mosso! Il tuo anello si è mosso!”
Non le venne nemmeno in mente che poteva essere stregato con la magia.
“Questo non è un semplice anello. Gyaki, falle vedere.”
Sotto l’ordine del padrone, l’anello - o meglio dire il serpente argentato - prese vita, strisciando sulle sue dita e attorcigliando attorno al polso, come un bracciale. Così, Kait apprese che Gyaki era un oggetto che i Black si tramandavano da generazioni e che riceveva l’erede della Casata al compimento dei diciassette anni. Sirius, allontanatosi prima, aveva lasciato l’eredità del titolo, dell’anello e delle responsabilità al fratello minore. Gyaki poteva cambiare lunghezza a piacimento e si trasformava in anello, in cavigliera, bracciale, orecchino e collana, oltre a poter essere messo nei capelli come fermaglio, nei casi delle femmine. Il serpente era un Black Mamba, ragion per cui si addiceva anche al nome. Non solo: essendo un serpente velenoso, Gyaki fungeva da protezione/attacco per gli altri o, in sfortunati casi, come metodo di suicidio. Regulus fu molto soddisfatto dell’interesse suscitato nella nipote, che non riusciva a staccare gli occhi dal gioiello, ora trasformatosi in una collana.
“Forse potrebbe apparire perfino come un collare,” pensò Kaitlyn, stupendosi immediatamente del suo irrazionale pensiero. Cosa se ne faceva lei di un collare? Non aveva un cane! Non sapeva che, tempo dopo, guardando un gatto e successivamente inseguendolo, avrebbe capito di potersi trasformare in un lupo dal manto bianco-grigio.
La giornata volgeva lentamente al termine. Chiacchierando e ridendo i due Black non si accorsero di quanto fosse tardi, quindi quando la Signora Figg uscì in giardino per controllare dove fosse la bambina e si ritrovò davanti lei e un ragazzo con il Marchio Nero esposto sul braccio, li colse di sorpresa. Regulus afferrò velocemente la bacchetta, ma prima che potesse fare qualcosa, Kaitlyn si mise in mezzo.
“Non sei cattivo. Non comportarti come se lo fossi,” sussurrò così che la sentisse soltanto lui. Il Mangiamorte annuì, dubbioso, poi scoccò un bacio sulla testa della nipote - mentre l’anziana donna assisteva incredula e terrorizzata - e in una scia di fumo nero, si smaterializzò. Quella sera, aspettando il ritorno del padrino e la sua sfuriata, Kaitlyn pregò per la prima volta in vita sua. Pregò quel Signore a cui i Babbani si affidavano. Pregò che Dio le concedesse un altro giorno con Regulus.

E per una volta Kait venne ascoltata.

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Capitolo 8
*** Primi di aprile ***


Allora... ecco qui il capitolo, non lunghissimo. Mi è piaciuto scriverlo, però =D
Siamo rimasti con una Signora Figg sconvolta, che ha visto Regulus e Kait insieme e che ha anche visto il Marchio Nero sul braccio dell'uomo. Ora vedrete che succede!

 

 

Primi di aprile


Remus arrivò alle otto di sera, trovando la Signora Figg in piedi e con le braccia incrociate a fissare arrabbiata Kait. Questa non aveva ancora detto una parola, mostrando tanta lealtà - incredibile per una bambina di cinque anni - verso lo zio. Quella stessa lealtà che avrebbe spinto Silente, in futuro, a far entrare la Black nell’Ordine della Fenice, sebbene fosse ancora una ragazzina, a quindici anni.
“Che cosa è successo?” domandò Remus, togliendosi il cappotto e entrando in cucina per prendere da bere. “E’ successo che mi sono appisolata e quando mi sono svegliata ho trovato Kaitlyn in giardino con un Mangiamorte vicino! E ci stava ridendo assieme!” urlò la Signora Figg, furibonda, toccandosi il cuore. La Black sperò - con una cattiveria degna del suo cognome - che le prendesse un infarto. Il licantropo, intanto, era sbiancato. Mandò a casa l’anziana donna e rimase a guardare la sua figlioccia con occhi di ghiaccio. Dentro, però, Remus bruciava. Si impose di restare calmo e di farsi spiegare la situazione.
“Parla. Ora,” le ordinò incrociando le braccia al petto. Anni dopo Kaitlyn lo avrebbe paragonato alla McGrannitt quando scopriva una loro festa clandestina. La Black scosse la testa, mordendosi il labbro e ricacciando indietro le lacrime. Era stanca, assetata ed accaldata: le scappava inoltre la pipì, ma sapeva di non poter andare in bagno senza prima parlare di Regulus, cosa che non intendeva fare. Lo stomaco le brontolava, segno di una discreta fame, conseguenza dell’intera giornata senza cibo e la testa le girava leggermente. Per la disidratazione o la malnutrizione? 
Remus sbuffò, contrariato dalla muta risposta e si inginocchiò di fronte alla figlioccia. La rabbia si stava pian piano impadronendo dell’uomo, che cercava in tutti i modi di non cedere alla furia cieca del lupo. “Helena, ti fidi di me?” domandò stringendo i pugni. “Si,” sussurrò la bambina, dopo una brevissima esitazione che non sfuggì al furibondo padrino. Inoltre, il fatto che lei non avesse reagito all’uso del suo vero nome non gli quadrava per niente.
“Bene. Dato che ti fidi, che te ne pare se ci sediamo e parliamo un po’?”
Il tono usato dall’uomo non fu per niente d’aiuto per la bimba, la quale si accomodò sul secondo gradino che portava al piano superiore, accanto al licantropo. “Non posso. Ho promesso.”
“Kaitlyn ascoltami! E’ pericoloso! E’ stato un gesto sconsiderato! I tuoi non sono morti per lasciarti giocare con i Mangiamorte!” urlò Remus, scattando in piedi, senza pensare a nulla oltre che alla sua rabbia. Aveva perso il controllo e si vedeva: le mani gli tremavano, mentre il volto arrossato si apriva in una smorfia. Per un attimo alla bambina parve di udire un ringhio. “I miei? Mio padre non è morto! Anche se tu lo consideri già morto, lui non lo è!”
Gridò di rimando la bimba, avvicinandosi al tutore, che la fissò male. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, lei sarebbe stata già sotto terra. “Kailyn calmati.”
La Black non capì: lui le diceva di calmarsi? Lui, che aveva urlato per primo?
“Non prendo ordini da un ibrido!” sputò con cattiveria Kait, ricordando gli insegnamenti di Narcissa. Appena disse quelle parole la piccola se ne pentì: lei solitamente non era così perfida e soprattutto non discriminava mai. Mai! Il senso di colpa scomparve immediatamente, però, quando un forte - fin troppo, a dire il vero - schiaffo non la colpì. Sentì lo spostamento d’aria e qualcosa di freddo sul viso, che poi prese a bruciare. La rabbia, il gene licantropo o la paura che qualcosa di brutto potesse accadere alla Black resero lo schiaffo più forte di quanto non lo fosse in realtà e Kait, debole e gracile, cadde a terra su un fianco.
Il suo braccio sinistro corse a coprire il volto, mentre il destro, sotto il peso del corpo e la botta subita nella caduta, pulsava da impazzire. Per qualche secondo rimase in silenzio, poi prese coraggio: si alzò, il braccio che doleva sempre più, e senza fiatare salì le scale (sbattendo forte i piedi), dirigendosi in camera sua. Non fece che pochi passi, in realtà, perché due mani forti le circondarono la vita.
Kait scalciò e Remus la abbracciò imperterrito, sotto lo sguardo impassibile di Regulus, fuori dalla finestra, nascosto nell’ombra.
Si chiese se fosse il caso di intervenire, ma poi decise di star fermo, al sicuro da occhi indiscreti, a osservare la scena. Allo schiaffo aveva fatto un salto, mentre Gyaki gli sibilava di fermarsi. Gli tremò il labbro inferiore, per un secondo; si passò una mano nei capelli e rimase a guardare.
Il giorno dopo non sarebbe tornato.
Avrebbe aspettato che le acque si calmassero almeno un po’. Raddrizzando la schiena, si preparò alla sicura ramanzina di sua madre. Prima o poi ucciderò quella donna, si disse il ragazzo tirando fuori la bacchetta per smaterializzarsi. Si preparò alla scena a cui avrebbe assistito una volta entrato in casa: le urla subito seguite dalle Cruciatus di quella pazza isterica (diventata matta dopo l’incarcerazione del figlio maggiore). Il rancore che portava nel cuore cominciava a essere davvero troppo, trasformandosi lentamente ma inesorabilmente in odio. Era colpa di quella pazza se suo fratello era scappato. Colpa sua se i suoi eredi erano considerati rinnegati anch’essi. Colpa sua se Regulus aveva dovuto unirsi all’Oscuro Signore. Sempre e solo colpa sua, si disse il ragazzo. Ma un giorno anche lei avrebbe pagato, pensò Regulus decidendo di rimanere dov’era e di rimandare la visita alla madre.
Un giorno pagherà.


Una settimana dopo la donna fu trovata morta.
Qualcuno aveva messo del veleno nel suo the delle cinque.

Remus non era mai stato così arrabbiato in vita sua, a parte forse il giorno del tradimento di Sirius. Gli assassinii dei Potter e dei Gilbert-Black l’avevano scosso e riempito di dolore, certo, ma non aveva provato tanta rabbia. Si era sentito solamente... vuoto.
In quel momento, invece, era furioso.
Furioso con sé stesso - evidentemente non adatto a gestire una bambina - e con Kait, che aveva ignorato bellamente tutti i suoi insegnamenti sulla pericolosità dei Mangiamorte. La bimba era decisa a non parlare, come Remus aveva immaginato appena visto la sua espressione determinata. Si chiese se fosse per lealtà verso l’uomo misterioso o per paura di una ripercussione da parte di uno dei due. Lo schiaffo doveva averla scossa parecchio.
Erano l’una di fronte all’altro, lui inginocchiato lei in piedi. “Perché non capisci?” domandò il licantropo con un sussurro. “Lui mi vuole bene. Davvero. Non è come gli altri,” rispose scoppiando in lacrime e coprendosi il volto bagnato con le mani. “Dimmi il suo nome, solo il suo nome, per favore piccola.”
Remus non avrebbe certo lasciato perdere la questione così, ma sapere l’identità del Mangiamorte che aveva messo gli occhi sulla sua figlioccia lo avrebbe portato un passo avanti rispetto a dov’era in quel momento. Kait si morse il labbro, indecisa, poi scosse la testa. Non avrebbe detto nulla.
“Helena Kaitlyn Black, parla!” ordinò arrabbiato Remus. Strinse la presa su di lei, tenendola sempre più forte per i giovani ed acerbi fianchi. Alla bambina sfuggì un gemito, mentre cercava di tirarsi indietro. Invano, ovviamente, data la forza dell’uomo.
Remus Lupin non era una persona forte: la sua aria perennemente malaticcia non favoriva, certo, ma anche durante i giorni lontani dalla luna piena il licantropo non pareva molto forzuto e... uomo. Eppure, messo a confronto con uno Scricciolo come la bambina, sembrava un gigante. Quando si accorse della quantità di energia con cui teneva la bimba, Remus allentò un po’ la stretta, non volendole fare del mare.
Troppo tardi: Kaitlyn era già scoppiata a piangere, un po’ per il dolore, un po’ per la tensione e la paura di non poter mai più rivedere Regulus. Si allontanò bruscamente dal padrino, cercando di risalendo velocemente le scale. Voleva scappare da quella persona così... diversa, da quella che aveva sempre conosciuto, da quando aveva memoria. Indietreggiò sempre più in fretta, ma sottovalutò il licantropo che, preso da una furia inaspettata stile “luna piena”, la afferrò per la vita e la portò in salotto, mettendosi di fronte a lei e impedendole una qualsiasi fuga. La bimba pianse ancora più forte; il padrino la prese in braccio e la tenne stretta, alzandosi e stringendola a sé. Kait cercò di liberarsi, tirando microscopici pugni sul suo petto e ringhiandogli di lasciarla andare immediatamente, sotto lo sguardo furioso - o forse sarebbe meglio dire omicida - di Regulus.
Remus si sentì strattonare all’indietro e lasciò la presa sulla figlioccia, che scivolò a terra, asciugandosi le lacrime. Il licantropo fu spinto contro il muro e fece appena in tempo ad aprire gli occhi che vide arrivare un pugno contro di lui, in pieno viso. Lo schivò parzialmente, venendo colpito di striscio.
Reagì con un calcio - che andò a segno - e prese al volo la bacchetta. Con lo sguardo offuscato riuscì a vedere lo sconosciuto afferrare anch’esso l’arma.
Remus si impietrì.

“Sirius tutto bene?”
“No! Non c’è niente che va bene! Regulus sta per diventare un Mangiamorte e nemmeno mi riesce a guardare negli occhi!”
Un calcio contro il muro, calcio che sarebbe destinato a suo fratello minore.
“Dovresti parlargli. Magari ha bisogno di te.”
“No. Non gli parlerò. Non voglio avere più niente a che fare con lui. Non è più mio fratello. Sarebbe meglio se fosse morto.”


“R...Regulus?”
“Giù le mani da lei, sporco ibrido mezzosangue! Non osare toccarla mai più!”
Ci volle un po’ di tempo, a Remus, per poter capire bene cosa accadde quella sera. Kait si frappose tra i due, che si bloccarono immediatamente. La disperazione che i due adulti videro sul volto della bambina fu enorme e per qualche secondo li mandò nel panico più totale. Poi Regulus si inginocchiò e allargò le braccia: Kait si buttò su di lui, aggrappandosi con forza e smettendo immediatamente di singhiozzare. Remus scivolò lentamente a terra, appoggiato al muro. La sua figlioccia, la sua bambina, era abbracciata ad un Mangiamorte. Ma non era solo il fatto che stesse appiccicata ad un Mangiamorte ciò che gli provocava dolore. Lei era felice di starci vicino. Aveva smesso di piangere e si aggrappava a Regulus come se ne andasse della sua vita.
“Non vi fate male, per favore,” mormorò Kait con voce flebile flebile, ancorata al collo dello zio. Il licantropo chiuse gli occhi, un istante prima di Regulus, il cui corpo bollente era pressato su quello della bimba. Lei si meravigliava del calore del parente; a vederlo sembrava congelato, mentre invece...
Pochi minuti dopo quello che era stato un fedele servo del Signore Oscuro si smaterializzò, lasciando la nipotina in lacrime.









Ed eccoci qui :)
Il prossimo capitolo sarà, purtroppo, corto, ma farò in modo di postare quello dopo in breve tempo :D

Allora. Come vi è sembrato? Mi lasciate un commentino? Sono solo poche frasi, per voi, ma per me valgono un sacco. Me lo fate questo favore?
Inoltre ho una domanda.
Che ve ne pare se, in qualche modo, immettessi nei capitoli anche qualche ricordo di quando Kait era piccola piccola, e quindi aveva ancora i genitori accanto? Vi piacerebbe?

Fatemi sapere! =D
Alla prossima!!!


Un bacio ;)

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Capitolo 9
*** Prima settimana di giugno ***


Purtroppo (scusatemi D: ) questo è un capitolo un po' cortino...
Mi rifarò, ve lo prometto.



Prima settimana di giugno


Regulus se n’era andato ormai da settimane. Dal litigio con Remus non si era più fatto vivo e Kait cominciava a temere di non poterlo vedere mai più. Fu solo dopo due mesi che ricevette sue notizie. Era notte fonda e il suo padrino dormiva beato; la bimba sedeva sul suo letto, appoggiata alla dura spalliera. La schiena le doleva, eppure Kaitlyn non accennava a cambiare posizione. Aspettava, in silenzio. Le era arrivato un biglietto, quella stessa mattina, con disegnato un piccolo serpente, che la bambina aveva riconosciuto subito: Gyaki.
Il mamba nero, animale chiamato anche “ombra della morte” per la sua pericolosità, la sua bocca nera e la testa ricordante la forma di una bara, era riprodotto con una fedeltà di dettagli impressionante. Che Regulus fosse un artista?
I pensieri confusi di Kait - che data la tarda ora faticava a rimanere sveglia - si interruppero immediatamente a uno strano ticchettio. La piccola si avvicinò alla finestra, notando una figura scura nel bel mezzo del giardino, che lanciava sassolini sul vetro. Emise un gridolino di felicità, correndo giù dalle scale ed infischiandosi bellamente del rumore che continuava a provocare. Uscì dalla porta sul retro e sorridendo saltò in braccio allo zio.
Quello vero.

“Devo parlarti, Helena,” sussurrò Reg, seduto sotto la tettoia accanto alla nipote. “Dimmi tutto,” rispose lei sorridendo nell’oscurità. La notte non la spaventava e a dir la verità nemmeno ciò che essa conteneva. Finché a essere in pericolo fosse stata lei, - e non le persone che amava - allora non le importava.
“Sto per andarmene. Ho trovato... Beh io... Ho capito cosa devo fare nella vita. Ho capito e ti prego di fare altrettanto, Helena,” Regulus si interruppe per qualche secondo, cercando le parole giuste per spiegare ad una bambina di cinque anni il motivo della sua futura lontananza. Infatti, il Mangiamorte aveva optato per una bugia, piuttosto che dire alla piccola che sarebbe presto morto. Non se la sentiva: le avrebbe parlato qualcuno dopo il suo decesso. Kait si dimostrò confusa, mentre Gyaki sibilava la sua frustrazione e la pioggia cominciava a cadere. “Cioè? Vai via? Posso venire con te?”
A Reg si strinse il cuore alla richiesta impossibile da esaudire della nipote. “No, non puoi venire con me, mi dispiace. Ti voglio bene, bimba mia, te lo giuro sul mio nome. Ma non posso lasciarti venire con me.”
Regulus si chinò sulla piccola, posandole un bacio sulla fronte e stringendola forte a sé per qualche secondo. Ignorando la tempesta che il cielo aveva scatenato, il Mangiamorte si allontanò nel buio, da cui venne inghiottito. Kaitlyn cercò di rincorrerlo, bloccandosi alla fine del giardino, delimitato da un’alta siepe. Bagnata fino al midollo, la bimba cominciò a urlare, piangere e disperarsi per l’allontanamento dello zio. “Avevi promesso!” urlò al vento. Fu solo quando due forti mani la presero per le spalle e la trascinarono in casa che Kaitlyn si acquietò, addormentandosi in pochi secondi tra le braccia del padrino, sfinita. Remus sospirò e la portò in camera sua, mentre la bambina si perdeva in un sogno sul Mannaro.
 L’unico che veramente non l’avrebbe mai abbandonata.
O almeno, questo era ciò che pensava.

La mattina dopo, quando Kaitlyn si svegliò, sul comodino giaceva una lettera nera, scritta con inchiostro argentato. Sulla pergamena c’erano poche parole, che fecero sprofondare la bambina nel dolore.
“Sei l’ultima. L’ultima Black.”

Kaitlyn fissò con interesse l’interno della busta, nera come il suo cognome. Un serpente dagli occhi verde smeraldo ricambiò lo sguardo. In un sibilo, Gyaki le si attorcigliò all’indice della mano sinistra.
Aveva trovato il suo nuovo padrone.


Quando Kait andò dai Malfoy, la settimana dopo, si chiuse in biblioteca con sua zia Narcissa. Le mostrò un libro e, facendole gli occhi dolci, le disse: “Zia, posso portarlo in camera? Vorrei... ripassare.”
Perplessa, Narcissa afferrò il tomo dalle mani della nipote, leggendone il titolo. Il buon umore che provava da quella mattina si stava lentamente rovinando e sicuramente si sarebbe spento all’idea di suo marito, che l’attendeva nel letto. Quel matto si era messo in testa che voleva un altro erede, maschio o femmina non importava. Cissy non intendeva partorire ancora: aveva deciso che avrebbe fatto un incantesimo di prevenzione all’insaputa del marito. Comunque, vedendo il libro preso dalla nipote, “L’antica e potente casata dei Black”, l’umore di Narcissa migliorò decisamente. Aveva sempre dovuto costringere quella bambina a comportarsi come una Purosangue, a studiare il latino e ballare senza pestare i piedi del compagno, a fingere simpatia anche con chi odiava e a danzare in modo aggraziato, senza lamentarsi del male dovuto alle scarpette da ballerina classica. Era un bene che, finalmente, Kaitlyn dimostrasse interesse, anche se Narcissa non aveva idea del motivo che spingeva la Black a studiare la sua famiglia.
Kait doveva sapere. Doveva sapere.
Avendo avuto il consenso della zia, la ragazzina poté portarsi in camera l’enorme tomo, interamente sui Black. Come le aveva detto Cissy una volta, il libro era rafforzato da un incantesimo che, oltre ad evitare che le pagine si rovinassero per via del tempo, scriveva automaticamente le novità. Così non sarebbe servito qualcuno che scrivesse la morte o la nascita di un Black, i matrimoni e i nuovi eredi: l’incanto pensava a tutto. Kaitlyn sapeva che, nella vecchia Gilbert Manor, la villa della famiglia di sua madre, - ormai abbandonata da tempo - un incantesimo simile era stato applicato ad un quadro. Ogni volta che un Gilbert si sposava, sul ritratto appariva la nuova famiglia appena creata.
Kait si distese sul letto, aprendo il libro a circa metà. Trovò subito quello che cercava. Accanto al nome “Sirius Black” e sotto “Walburga e Orion Black”, svettava il nome di colui che cercava. Regulus.
Kaitlyn portò l’indice alle labbra, bagnandolo leggermente di saliva, - gesto molto Purosangue, a sentire Lucius - e voltò pagina. Cominciò a leggere, sentendo gli occhi divenire lucidi. Dopo le tre frasi sul destino che era toccato ai Gilbert-Black, ecco che il libro cominciava a raccontare del figlio minore di Walburga.
C’era una data, risalente a pochi giorni prima, seguita da parole che Kait avrebbe voluto cancellare, parole che le fecero tremare il labbro inferiore, mentre gli occhi - e ancor di più l’anima - minacciavano il pianto. “Regulus Arcturus Black scompare. Due giorni dopo ne viene dichiarato il decesso. Tradimento verso il Signore Oscuro.
Tra lacrime amare e singhiozzi repressi, Kait si mise su un fianco, stringendo a sé il libro ormai chiuso e tutte le dolorose notizie racchiuse al suo interno. Tremò per qualche interminabile istante: poi scattò. Con velocità sorprendente, lanciò il manoscritto giù dal letto. Afferrò il cuscino e corse ad aprire l’anta dell’armadio, in cui si nascose. Una manciata di secondi dopo, nel buio della sua camera, rinchiusa nell’armadio in mezzo ai vestiti, con il cuscino di piume premuto sulla bocca e sull’intero viso, Kait urlò tutto il suo dolore e tutto il suo smarrimento. Poi si rannicchiò sui vestiti che lei stessa aveva stropicciato, piangendo sul cuscino e addormentandosi dopo un’ora, cullata dal ricordo di suo zio, il suo primo vero amico.
Regulus.
Un Mangiamorte dal passato verde-argento.
Un Mangiamorte il cui futuro era stato strappato.
Un Mangiamorte dal cuore d’oro.

...Il suo, Mangiamorte.










Lo so, è corto ç.ç scusssssatemi
Allora, che ne pensate?
Per chi amava Regulus: mi dispiace, ma l'ho dovuto far morire! Sto (circa) seguendo la storia originale, già è stato un bel cambiamento di tempo, dato che doveva essere morto già da tempo.
Bene, il prossimo capitolo dovrebbe arrivare a breve :)

Mi lasciate un commentino?
Grassssssie <3 *Nel prossimo capitolo entra in scena Moody xD *

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Capitolo 10
*** 9 giugno ***


9 giugno

 

Dopo la scomparsa di Regulus, andare avanti per Kaitlyn fu difficile, soprattutto a causa dei sempre più frequenti incubi che doveva affrontare con il calare della notte. Inutile dire che Remus era ancora più preoccupato di prima.
Fu per questo - e forse anche per allontanarla dai Mangiamorte - che il Malandrino decise di prendere provvedimenti.
Era il 9 giugno e Kait si era appena svegliata. Scese le scale con passo felpato e si diresse in cucina, la cui porta era chiusa.
“No, mi dispiace. Io, con me, non la prendo.”
“Ne ha bisogno, ne ha davvero bisogno. Ti ho detto cosa è successo con Regulus, no? Devo essere sicuro che sappia difendersi, oltre al fatto che con questo programma capirebbe di doversi tenere alla larga da lor...”
Io creo combattenti, non codardi. E comunque non mi fido. Lei è una di loro. Ha il loro sangue, il loro viso, il loro modo di fare e le loro tendenze. Non mi fido.”
“Un bambino segue l’esempio di chi ha davanti. Se riesco a tenerla lontano da loro ancora per un po’, il tempo che basta perché lei cominci a capire...”
“Sappi che questa conversazione non è più riservata, in quanto la tua figlioccia è dall’altra parte della porta.”
Kait si immobilizzò, chiedendosi come avesse fatto lo sconosciuto a scoprirla. “Ma non cambierò idea, Lupin. Non mi fido dei Black, come non mi fido dei Malfoy, dei Lestrange o dei Nott e tutto ciò non cambierà.”
Ovviamente, quello stesso pomeriggio, lo sconosciuto aveva già accettato. Padrino e figlioccia - che avevano scelto di passare sopra al litigio avuto - uscirono di casa alle due e mezza del pomeriggio, diretti al Ministero. Quando ci arrivarono, Kait artigliò il braccio di Remus, oltremodo spaventata da ciò che vedeva attorno a sé. L’ultima volta che la bambina era stata lì aveva dovuto subire un’udienza per il suo affidamento. Remus cominciò a camminare e la sua figlioccia si affrettò a seguirlo. Si fermarono di fronte ad una statua, posta al centro di tutta la stanza e Kaitlyn portò la sua attenzione sul suo padrino, che si guardava attorno, accigliato. “Eppure aveva detto... primo piano... a destra... 15:30...”

Mentre Remus continuava a borbottare, la Black si sentì la nuca pizzicare. Quando si voltò, la piccola incrociò lo sguardo freddo di una donna dall’aspetto severo. Una donna così familiare...
Con un’impulsività degna di Godric Grifondoro in persona, Kaitlyn scattò verso la sconosciuta, che le diede le spalle e svoltò l’angolo. Il lupo mannaro ci mise meno di un secondo per capire che la sua figlioccia si era allontanata: appena in tempo per vederla correre verso uno dei tanti corridoi del Ministero. La seguì un secondo dopo, imprecando. Kait girò l’angolo, convinta di riuscire a seguire la donna, ma andò a sbattere contro un signore e la perse di vista. La Black, caduta per terra per la botta, si rialzò istantaneamente e guardò l’uomo che l’aveva “distratta” dalla sua ricerca. Senza riuscire a controllarsi, la bimba trasalì; fortunatamente lo sconosciuto non se ne accorse, perché guardava dietro di lei, dov’era appena comparso Remus. Kait piegò la testa da un lato, osservando il mago con interesse. Inizialmente l’aveva trovato spaventoso, con un occhio finto che roteava incessantemente finendo, talvolta, per restare totalmente bianco, ma a guardarlo meglio non le sembrava tanto male.
Un po’, comunque, la spaventava ancora - e l’avrebbe sempre spaventata, anche se solo quel tanto che bastava per farle eseguire gli ordini senza fiatare.
“Moody! Ti aspettavamo là della statua, quando Kaitlyn è scattata verso questo corridoio e...” cominciò Remus e la sua figlioccia smise presto di ascoltare. La sua attenzione era per la donna di poco prima, che aveva raggiunto due uomini e un’altra signora. In un lampo, la sua identità fu chiara a Kait, che sorrise e mormorò: “Priscilla.”

“Black,” la richiamò freddamente lo sconosciuto che Remus aveva chiamato “Moody”. “Seguimi,” ordinò voltandosi e cominciando a camminare. Si fermarono cinque minuti dopo, in quello che aveva tutta l’aria di essere uno spogliatoio. Su una delle due panche presenti nella stanza, era appoggiato un grosso borsone, da cui si intravedeva una scarpa maschile. Di fronte, sulla seconda panca, c’era un pacchetto ancora chiuso. Moody si voltò verso Kait e le lanciò di scatto il pacchetto, che la piccola prese al volo. Un lampo di soddisfazione passò negli occhi dell’Auror; un secondo dopo era già sparito. “Cambiati,” le ordinò prima di uscire dallo spogliatoio, seguito da Remus. Kait si sfilò velocemente la maglietta e la gonna, che finirono a terra, vicino alle ballerine precedentemente tolte. Rimasta in mutande, - avendo cinque anni non necessitava ancora del reggiseno, ovviamente - la piccola afferrò i vestiti che trovò una volta aperto il pacchetto. I pantaloncini erano talmente corti che, se Kaitlyn avesse posseduto un po’ di pudore, si sarebbe rifiutata di indossarli. Essendo una Black, però, il problema non esisteva. Dopo i pantaloncini neri, Kait prese dal pacchetto un fazzoletto bianco. La purosangue fissò il “fazzoletto”, senza capire. Fu quando vide due spalline, che comprese.
Una volta indossato il top, Kaitlyn abbassò lo sguardo per guardarne la lunghezza. O, in quel caso, la cortezza. Due piccole spalline sostenevano quei pochi centimetri di stoffa che le coprivano il seno - o almeno, lo avrebbero fatto quando le fosse cresciuto - e poca pelle ancora. Gran parte della pancia, sia sopra che sotto l’ombelico, era nuda. Kait si accigliò di fronte al suo abbigliamento, poi guardò il sacchetto, alla ricerca delle scarpe, che non trovò. A piedi nudi, senza nemmeno darsi la briga di coprirsi con le mani, la bambina uscì dallo spogliatoio ed entrò in quella che scoprì essere una grande, grandissima, enorme palestra.
Ma cosa volevano che facesse?
La palestra, oltre ad essere di proporzioni gigantesche, era piena zeppa di attrezzi, pesi, spalliere, armi - dalle spade alle pistole babbane, agli archi con le frecce e i pugnali - e una grande quantità di manichini, che avevano dei bersagli disegnati addosso.
Moody e Remus si voltarono a guardarla, il primo imbronciato e il secondo sorridente. “Bene allora! Io vado! Torno a prenderla per le sette, Malocchio!” esclamò il malandrino con un sorriso, passando accanto alla figlioccia e salutandola con una pacca leggera sulla spalla. Kait si voltò a guardarlo mentre usciva, sospirando e inveendo silenziosamente contro di lui, che la stava abbandonando lì da sola con quello sconosciuto dall’aria inquietante.
“Black,” la richiamò Moody, esasperato dal suo continuo perdersi tra le nuvole. “Fai cinque giri di campo e venti flessioni. Poi una quindicina di addominali. Quando torno voglio vedere che ti alleni, chiaro? Arrivo subito.”
Detto questo, anche Malocchio se ne andò. Rimasta sola, Kait cominciò a guardarsi intorno, valutando l’intera situazione e come avrebbe potuto agire. Si passò le mani sulle braccia, indecisa, e sobbalzò di paura quando udì una voce calda e profonda. “Helena, mia cara, carissima Helena.”
Kait si voltò, senza nemmeno pensare di correggere l’uomo che aveva parlato. La bambina non rispose e non gli si avvicinò; non fece altro che fissarlo, incantata dal suo sguardo comprensivo e... vivo. Godric aprì la bocca, in procinto di dire qualcosa, ma poi si bloccò, alzando lo sguardo e sorridendo. Un secondo dopo era scomparso.
Kaitlyn corrugò le sopracciglia, cercando di capire cosa fosse successo, quando una voce la distolse dai suoi pensieri. “Io comincerei ad allenarmi, sai? Se Malocchio ti vede a non fare niente, si infuria.”
La voce apparteneva sicuramente ad un ragazzo, qualcuno giovane, di pochi anni più grande di Kait. Ella si lanciò qualche occhiata attorno, cercando di capire da dove quel suono fosse provenuto, quindi, insoddisfatta ed esasperata, alzò lo sguardo al soffitto.
Due occhi scuri la fissarono di rimando.
Un giovane, la cui età - come d’altronde l’identità - era sconosciuta, era “appollaiato”, come un uccello che scruta la preda dall’alto, a meno di un metro dal soffitto. Quest’ultimo era ricoperto da cinghie e fasce di tessuto che, intrecciate abilmente tra loro, creavano appigli dove tenersi con le mani. Mentre un lampo di interesse le accendeva gli occhi di ghiaccio, Kait capì che il ragazzo dondolava nel vuoto, facendo affidamento alla forza nelle braccia per muoversi da una parte all’altra della stanza. Lo sconosciuto si lasciò andare e, ad appena pochi metri di distanza da terra, afferrò una sbarra metallica, una di quelle usate nella ginnastica artistica. Si dondolò per qualche secondo, quindi lasciò la presa sull’attrezzo, fece una capriola in aria ed atterrò di fronte a Kait. Erano tanto vicini che il volto del ragazzo era ad un soffio di distanza da quello della bambina. Solo il suo essere una purosangue e, soprattutto, una Black, le impedirono di indietreggiare, cosa che però fece il giovane, allungando nel frattempo la mano destra. “Sono Jackson. Everdeen,” disse con un sorriso sghembo.
Con finta indifferenza per lui, Kait decise che doveva essere educata, doveva! Era una questione di classe e educazione, sebbene il ragazzo fosse senza maglia ed indossasse dei pantaloni scandalosamente aderenti. Fortunatamente, essendo lei piccola, Kait non ne rimase particolarmente colpita. Anni dopo, nel pieno dell’adolescenza, le cose sarebbero decisamente cambiate.
“Kaitlyn Black,” rispose la purosangue, l’intero corpo in tensione ed in attesa di sentire le solite esclamazioni soffocate e la solita diffidenza nei suoi confronti. Tutto ciò che vide in Jackson, invece, fu comprensione. Le passò un braccio attorno alle spalle - lei era già pronta a urlare aiuto, ma qualcosa nei suoi gesti la bloccarono - e la strinse a sé. “Benvenuta a bordo, Kay.”
“Ho detto Kaitlyn,” ripeté la bambina, scostandosi lentamente dalla stretta dell’altro. “Se vuoi, mi va bene anche Kait.”
“Nah, mi piace di più Kay.”
Non fu solo il tono con cui lo disse, ma anche il sorriso sfacciato che Jackson fece, a mandare in tilt il cervello della purosangue, che accennò ad un ringhio molto poco signorile. Il ragazzo scoppiò a ridere di gusto e, nello stesso istante in cui Moody entrava per accertarsi che i due si stessero allenando, Kait perse il controllo, sentendosi derisa. Trascinato da una forza invisibile, Jackson venne sospinto in aria; subito dopo fu scagliato dall’altra parte della stanza, finendo su due paia di manichini, che caddero per l’impatto. La Black si portò le mani alla bocca, esterrefatta, e Malocchio la fissò intensamente, prima di aiutare Jackson a rialzarsi. Il vecchio auror la guardò con un sopracciglio inarcato e sospinse il giovane verso di lei; ingoiando l’orgoglio, Kait mormorò un paio di scuse, mentre Salazar la guardava da dietro alcuni pannelli di armi.
“Cavolo, sei stata fortissima!” esclamò Jackson stiracchiandosi, una smorfia di dolore a deformare il volto. “Ne avrei fatto a meno, però immagino di essermela cercata. Mai stuzzicare un Black. Recepito il messaggio.”
Jackson continuò a parlare, senza che lei realmente lo ascoltasse. Fissava Moody, in cerca di una risposta a ciò che era accaduto. “Che livello sei? Scommetto sopra il cinque...”
A queste parole Kaitlyn alzò lo sguardo sul ragazzo, chiedendogli cosa intendesse. Fu Malocchio a spiegarglielo. “Ogni bambino, - ovviamente parlo di tutti coloro che hanno almeno un mago in famiglia - ad una certa età subisce un test con cui si capisce quanto potenziale magico ha in sé. Più il livello è alto, più il mago o la strega sarà potente. Lo si fa verso i tre-quattro anni.”*
Poi l’auror sembrò ricordarsi che lei, a quell’età, era ancora nascosta con la sua famiglia, e non usciva mai di casa. Decise quindi che, a fine allenamento, avrebbero scoperto il suo livello.
Quella fu la giornata più faticosa che Kait avesse mai vissuto.

(CONTINUA...)



*L'ho inventato, non esiste.
Così come ho inventato questo tipo di allenamenti (Moody, in realtà, dovrebbe essere già in pensione). Non temete, nei capitoli dopo si capirà meglio.

Purtroppo ho dovuto interrompere il capitolo, altrimenti sarebbe risultato fin troppo lungo :/
alla prossima! =D

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Capitolo 11
*** Giugno ***


Giugno


Quella fu la giornata più faticosa che Kait avesse mai vissuto. Moody controllò il suo livello fisico di base, reputandola perfetta per quanto riguardava l’agilità e la velocità, ma molto scadente in resistenza e forza fisica. In sostanza, non era abituata a faticare e non aveva muscoli, ma a quanto disse l’uomo, quelle erano qualità che lei avrebbe sviluppato con l’allenamento. Poi le domandò se avesse mai fatto un qualche sport, - aveva bisogno di saperlo per capire che tipo di lotta le sarebbe andato più a genio, per cominciare - e grugnì quando seppe che tutto ciò che Kait aveva praticato era la danza, classica e moderna.
“Okay,” sospirò stancamente l’auror. “Partiremo con la capoeira.”
L’unico modo di combattere che ricordasse vagamente la danza. Jackson li osservò l’intero pomeriggio, mentre si allenava con i pesi o faceva addominali a testa in giù, aggrappato con le gambe ad una spalliera. Alle 18:30 l’allenamento terminò e il ragazzo si avvicinò alla purosangue, mentre Moody li osservava in disparte, fingendo di non prestar loro attenzione. “Ehi, Kay...” esclamò il giovane a petto nudo, appoggiandole una mano sulla spalla e quindi prendendosi fin troppe libertà, per i gusti di "Kay".
Kait sbuffò, sperando che Jackson smettesse definitivamente di parlarle. “Tu sei una Black... non dovresti essere schifata da quelli come me, i Mezzosangue?" continuò imperterrito il biondo, voltandosi impercettibilmente verso Moody, che fece due passi nella sua direzione. "Ho detto che sono una Black, non che sono una stronza!" rispose Kaitlyn prima di rendersene conto; scoccò la lingua infastidita e si allontanò velocemente, non capendo nemmeno da dove le fossero uscite quelle parole, per nulla adatte ad una bimba così piccola. Dietro di lei, Jackson sorrise soddisfatto, dando una giocosa gomitata a Moody, che gli lanciò un’occhiata truce. Dentro di sé, però, fece un piccolo sorriso.
E mentre Kait si avvicinava alla dottoressa appena entrata nella palestra, dall’altra parte della stanza Godric sorrise, sapendo di aver fatto fare una bella figura alla sua Kaitlyn, sebbene per farlo avesse dovuto esercitare un po’ di controllo mentale, spingendola a dire quelle parole.
Ma finché quel gesto fosse restato segreto, nessuno avrebbe fatto domande.
Nemmeno gli altri Fondatori.

Dopotutto, quello non era imbrogliare. Era... dare una spintarella al destino.
Un destino che, Godric sperava, sarebbe stato rosso-oro.


La dottoressa si chiamava Megan Armstrong ed era dolcissima. Prese Kait per mano e la portò al centro della palestra, spiegando con voce calma in che cosa consisteva il test del livello magico. Non tutti i maghi avevano lo stesso potere e potenziale; più alto era il tuo livello da bambino, più forte saresti diventato una volta adulto. C’erano dieci livelli in tutto. La dottoressa rivelò che lei stessa, da piccola, era stata un banalissimo livello due. Jackson un cinque e Moody un sei, che era uno dei livelli più alti mai riscontrati nei bambini, che infatti arrivavano al massimo al sei, sei e mezzo. I più potenti erano un sette, - come era stato Silente da bambino - ma mai di più.
La dottoressa passò la bacchetta davanti al volto di Kait, ripetendo il gesto per tre volte e mormorando un incantesimo. La bacchetta cominciò a emettere uno strano bagliore, che si intensificò tanto che Kaitlyn fu costretta a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, la luce intensa era divenuta di un grigio molto scuro, con qualche traccia di nero e di argento. Appena il colore si fu stabilizzato, la dottoressa Armstrong afferrò un libro con la mano libera e cominciò a sfogliarne le pagine.
Moody pareva paralizzato.
Jackson, sempre più impaziente di scoprire il livello della compagna di allenamento, si sporse oltre la spalla del medico, cercando di capire qualcosa di utile. La dottoressa alzò lo sguardo su Kaitlyn, ammirandola come fosse un animale allo zoo; chiuse con uno scatto il libro e mise via la bacchetta. “Come hai detto che ti chiami, piccola?” domandò alzandosi in piedi e fissandola con evidente interesse. Kait valutò l’idea di fidarsi o meno. Non credeva che la donna le avrebbe fatto del male, ma la paura restava. Bastava un solo passo falso, una mossa avventata, e si sarebbe ritrovata in mano ai Mangiamorte. E Kaitlyn non ne aveva intenzione.
Malocchio sembrò capire i pensieri che affollavano la testa della Black, così spiegò  alla dottoressa che, per motivi di privacy e di sicurezza, il nome della bambina sarebbe rimasto segreto.
La Medimaga parve delusa. “Non dovreste fare così. Ha bisogno di qualcuno che la monitori ogni mese, per tutta la durata del suo sviluppo fisico, per evitare che diventi troppo potente e quindi pericolosa. Per sé stessa e per gli altri.”
Jackson, seguendo l’istinto, si mise di fronte a Kait, dandole la schiena e facendole, in qualche modo, da scudo. La dottoressa la prese sul personale, ritenendosi offesa per quella mancanza di fiducia.
“Voi non capite, è pericolosa. Nelle mani sbagliate, quel... lei potrebbe... con il suo potere, in futuro, potrebbe essere peggio di quanto è stato Voi-Sapete-Chi!” esclamò istericamente la donna, mentre Moody portava la mano alla bacchetta, pronto ad obliviare la Armstrong.
“In questo caso, sarà meglio che si alleni per diventare un Auror fin da subito, così che non le passi mai per la testa di diventare il nuovo Voldemort. Non crede?” rispose Malocchio con uno strano tono di voce. Sembrava che le parole della donna l’avessero turbato, ma anche che considerasse la questione priva di fondamento e, soprattutto, chiusa.
L’ultima cosa che la dottoressa riuscì a dire, prima di subire l’Oblivio di Moody, fu che Kait era pericolosa.
Era pericolosa, in quanto livello otto.

Un livello che si era visto ben poche volte nei libri di storia.
E sembrava che Kaitlyn, in essi, fosse destinata ad entrarci.

Quando Remus venne a prenderla, alle sette, la bambina promise di tornare lì il giorno dopo e così fece. Anziché soltanto il pomeriggio, Kait cominciò ad allenarsi con Malocchio e Jackson dalla mattina alle nove fino a mezzogiorno e dalle tre fino alle sette. Era instancabile. Nessuno capiva da dove tirasse fuori tutta quella energia, ma a tutti andava bene così; in poco tempo la Black raggiunse il livello del compagno Jackson, che ormai si allenava da due anni.
Moody ne era entusiasta, sebbene spesso nascondesse le sue emozioni dietro un comportamento accigliato e burbero. Kaitlyn cominciò a praticare qualsiasi sport lui le proponesse, prediligendo il karate e la capoeira, dando però ottimi risultati anche nelle altre discipline, come la ginnastica o il judo. 
In poco tempo, oltre a leggermente più felice, Kait divenne quindi una grandissima sportiva. Non c'era un giorno in cui non faceva esercizi, in cui non si sfogava tirando pugni a un sacco da boxe, o non se la prendeva con una palla da calcio o da pallavolo.

Quella sera di fine giugno, come ormai succedeva spesso, Malocchio riportò a casa la giovane Black; lasciò la bambina con Remus e poi si Smaterializzò. Kaitlyn entrò in casa e abbracciò il padrino, che sorrise e la strinse a sé. Si appoggiavano l'uno all'altra, per superare tutto. Stavano diventando una vera e propria famiglia.
Ma Lunastorta, in quel momento, doveva superare una sfida ancora più importante: la cena. Lui non cucinava così male, era scarso, certo, ma riusciva a cavarsela, la maggior parte delle volte. Kait, però... non mangiava praticamente niente! Non che non le piacessero i cibi che il padrino le offriva: ogni tanto, alla fine, per non lasciarla senza cena, Remus le aveva dato del gelato. Ma la Black odiava mangiare e lo faceva solo se costretta.
Quella sera Lupin aveva preparato la pizza e gli era venuta anche molto bene. Ne tagliò un pezzo e lo diede alla figlioccia, la quale guardò il piatto come fosse pieno di serpenti velenosi. "Non ho fame," disse con un sospiro la bambina, allontanando di qualche centimetro la pizza. Remus la fissò severamente. E benché quell'occhiata non fosse stata tanto dolce, Kaitlyn non si fece intimidire. Ormai era abituata a Moody; cos’era Remus in confronto?
Il Malandrino, però, non si diede per vinto. I medici del San Mungo avevano detto che forse era un blocco psicologico e che la Black doveva essere costretta a mangiare, o si sarebbe indebolita, soprattutto pensando alla quantità di sport che faceva.
"Kait, mangia. O domani niente allenamento," ordinò Lunastorta, sapendo che toglierle lo sforzo fisico giornaliero era la minaccia più grande che le potesse fare. Kaitlyn sbiancò e si mosse incerta sul cuscino enorme che, appoggiato sopra la sedia, la faceva arrivare al tavolo. Con lo sguardo basso cominciò a mangiare, mentre Remus le accarezzava i capelli e si chiedeva cosa avrebbe potuto fare per nutrirla, se lei avesse smesso, un giorno, di fare sport.

Finita la cena Kait corse in camera sua, infilandosi il pigiama e mettendosi sul letto.  Azionò il carillon e osservò quella che era stata la sua famiglia, mentre cominciava a lasciarsi trasportare alla malinconia. Solo quando la canzone finì e l'immagine scomparve, Kaitlyn si accorse che Remus la stava guardando. La bimba si strinse nel cuscino e il padrino le si sedette accanto, accarezzandole i capelli.
"Domani mi porti a trovare papà? Ti prego!" sussurrò Kait, gli occhi lucidi. Occorrevano permessi speciali per poter andare ad Azkaban e comunque Remus non aveva mai accettato di portarcela perché gli era difficile pensare al suo ex-migliore amico senza soffrire. Provava una sorta di doloroso odio, per lui, e fargli vedere Kait gli sembrava un privilegio troppo grande per un traditore del genere. Però, guardando gli occhi lucidi e sofferenti della figlioccia, Lunastorta si sentì in dovere di accettare, anche se non fece parola del fatto che Sirius era stato avvisato della morte dell'intera famiglia e, per questo, non sapeva che la piccola era ancora in vita.
Probabilmente avrebbe preso la bambina come un'allucinazione data dal dolore.
"Zio? Mi racconti ancora di come si sono conosciuti?" domandò Kaitlyn, aggrappandosi al cuscino come fosse un'ancora di salvezza. Non c'era bisogno di specificare i soggetti della frase.
Remus annuì e, lo sguardo perso nel vuoto e la mano ad accarezzare i capelli di Kait, cominciò a raccontare.
"Era il primo giorno di primavera..."







Okay, non è lunghissimo, ma dal prossimo cominciano i "ricordi", quindi... perdonatemi, ok? =)
Parto per una settimana di vacanza e non credo di avere internet, lì, quindi per il prossimo capitolo dovrete aspettare. Credo però che verrete ricompensati... il prossimo cap mi piace un sacco e mi è piaciuto tanto scriverlo, quindi... =D enjoy!
=D
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Quel lontano periodo di molto tempo fa ***


Quel lontano periodo di molto tempo fa

Eravamo rimasti a...

"Zio? Mi racconti ancora di come si sono conosciuti?" domandò Kaitlyn, aggrappandosi al cuscino come fosse un'ancora di salvezza. Non c'era bisogno di specificare i soggetti della frase.
Remus annuì e, lo sguardo perso nel vuoto e la mano ad accarezzare i capelli di Kait, cominciò a raccontare.
"Era il primo giorno di primavera..."





"Era il primo giorno di primavera. Lily e James ancora non avevano capito quanto fossero fatti l'uno per l'altra. Dopo qualche mese, passato in attesa delle loro mosse, ci stufammo. Dico "ci" perché anche a me la cosa cominciava a stancare. Si guardavano ogni secondo, arrossivano senza motivo e balbettavano quando si trovavano l'uno vicino all'altra."
Remus sorrise stancamente, stoppando per pochi secondi il racconto. Parlare dei suoi vecchi amici gli faceva male, com'era naturale. Eppure, non poteva ignorare gli occhi limpidamente grigi di Kait , che attendevano con ansia la fine della storia, che ormai sapeva a memoria.
"Io e Peter però credevamo che dovessero cavarsela da soli. Avrebbero fatto tutto loro... Mai dire a un Grifondoro cosa fare! Sirius non la pensava come me e Codaliscia, ovviamente. Lui era troppo "agitato" per ascoltarci. Andò dritto da Gillian, una cara amica di Lily, e insieme a lei fece in modo che James e Lily ammettessero i loro sentimenti. Li chiusero in uno sgabuzzino, lasciandoli andare solo quando smisero di litigare."
Remus sorrise, trattenendo le lacrime, che invece scendevano tranquillamente sulle guance di Kait la quale, affascinata e persa nell'immaginare la scena, non vi aveva fatto caso.
"Quando fecero uscire Lily e James i due si erano messi insieme. E così... I tuoi genitori divennero amici e l'amicizia divenne amore. Solo che loro lo ammisero immediatamente. E si godettero il tempo insieme, fin da subito."
Con la voce roca e la vista appannata, Lunastorta si alzò. Diede un bacio sui capelli alla figlioccia, augurandole la buona notte, poi si allontanò ed andò in camera sua. Solamente lì, con un incantesimo insonorizzante a coprire la stanza, Remus si concesse di singhiozzare, il volto tra le mani. Non solo provava un dolore immenso nel ricordare tutti coloro che aveva perso, ma si sentiva anche un imbroglione. Come poteva continuare a mentire così a Kaitlyn? Era un’ingiustizia e Kait non se la meritava. Si disse che lei aveva il diritto di conoscere la verità, eppure Remus già sapeva che mai le avrebbe rivelato ciò che era realmente successo dopo la sua nascita. Il Malandrino si sedette sul letto. Con che coraggio, dopo tanto tempo, riusciva a continuare a fingere, a dire a Kaitlyn che Gillian era sua madre, lui non lo sapeva.
Ma sapeva che doveva tacere, per il bene della bambina.

Sirius ghignò, fissando il tavolo Corvonero. Remus e Peter seguirono il suo sguardo, mentre James rideva e scuoteva la testa, prima di infilarsi contemporaneamente due pasticcini alla crema in bocca. Lo scappellotto di Lily arrivò puntuale come sempre.
“La vedete?” sussurrò Felpato con fare da cospiratore. Remus corrugò le sopracciglia. Possibile che Sirius fosse ancora interessato a Gillian, sebbene l’avesse lasciata una settimana prima? Peter, che a quanto pare la pensava come Lunastorta, lo domandò al loro amico canino, per poi ritrarsi sulla sedia, cercando quasi di scomparire sotto l’occhiata truce di Sirius. 
“Non lei! Gill non significa più niente per me!”
Lily strinse forte la forchetta, pensando a quanto la sua amica fosse stata male per il maggiore dei Black e a quanto egli fosse invece passato semplicemente avanti.
Per un istante, uno soltanto, Lily lo odiò.
James, che alla fine era riuscito ad ingoiare l’enorme boccone di cibo, le strinse un braccio e le diede un casto bacio sulla guancia, cosa che ebbe il potere di sciogliere completamente la rabbia della compagna. Con un occhiolino, Ramoso guardò Felpato. “Di chi parli? Della tua nuova conquista?” domandò, un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Sirius fissò il suo migliore amico, improvvisamente serio. Non era sicuro che quella Corvonero sarebbe potuta essere una conquista. Una parte ben nascosta della sua mente arrivò persino a pensare che no, quella ragazza non poteva essere solo una delle tante. Meritava di più.

Al tavolo dei Corvonero, accanto alla sua bionda amica Gillian, una sedicenne alzò lo sguardo, posandolo sul Black rinnegato.
E trovandolo irrimediabilmente perfetto.


Remus soffocò un singhiozzo, distrutto.

“Signor Black?” lo chiamò una dottoressa, toccandogli la spalla. L’uomo alzò lo sguardo e le fece segno di aspettare; appoggiò il bambino che teneva in braccio su una sedia della sala d’aspetto e lo indicò a James e agli altri con un cenno della testa. Senza che dovessero parlare, i tre Malandrini si portarono accanto al piccolo Nathan, che dormiva profondamente. Ramoso e Lunastorta gli si misero ai fianchi e Codaliscia di fronte. Lily, che continuava a camminare su e giù per la stanza, osservò Sirius allontanarsi con la dottoressa; istintivamente prese la bacchetta.
Erano tempi duri, quelli.
Felpato seguì la Medimaga, la cui targhetta portava il nome M. Armstrong*, fino ad un corridoio deserto. “Allora?” esclamò impaziente il Malandrino, torturandosi le mani. Era già diventato padre una volta, eppure l’emozione era arrivata prepotente esattamente come era successo anni prima. Provava sentimenti talmente forti da farlo tremare.
Stava per diventare padre per la seconda volta. O forse, pensò con un sorriso, avrebbe dovuto dire per la seconda e 
terza.
La dottoressa abbassò lo sguardo, addolorata, e Sirius si sentì congelare. “Le bambine stanno bene?” quasi urlò Black, mettendole le mani sulle spalle e scuotendola. A pochi metri di distanza, i Malandrini alzarono lo sguardo, improvvisamente tesi.
“Si, si. Sono entrambe sane e molto forti, soprattutto la prima nata, che è anche una Metaphormagus.”
Sirius si lasciò andare in un sospiro di sollievo e sorrise, appoggiandosi al muro con la schiena. “Uff, dal suo tono sembrava fosse morto qualcuno!” esclamò con la sua risata tipicamente simile ad un latrato.
Un lungo silenzio seguì le sue parole.
Felpato si rimise dritto, allontanandosi di scatto dal muro ed avvicinandosi alla dottoressa. La donna aveva una faccia da funerale e lo fissava senza  il coraggio di dire nulla. Il giovane cominciò a scuotere la testa, mentre cominciava a mormorare incessanti “No”.
La Medimaga prese coraggio.
“Signor Black, sono spiacente di informarla che...”
“No!”
“Signore, ci sono state delle complicazioni e...”
“No!”
“Signore, la prego, mi deve ascoltare. La signor...”
“NO!”
Sirius scattò in avanti e, in quell’istante, James lo afferrò per le spalle e lo voltò verso di lui. Lo strinse a sé con forza, senza il coraggio di lasciarlo andare. Felpato cercò di divincolarsi, singhiozzando e urlando il suo dolore, ma Ramoso non mollò mai la presa.
Quando Sirius, tempo dopo, entrò nella sala d’aspetto e trovò i Malandrini - più Lily - in attesa di notizie, non riuscì nemmeno a guardarli in faccia. Sapeva che James, dietro di lui, avrebbe fatto capire a tutti cos’era successo.
E chi non c’era più.
Sirius si sedette, prendendo Nathan in braccio e stringendoselo forte al petto, affondando il volto nel suo collo profumato di bambino. Poi, alzando lo sguardo nero dal dolore, si lasciò andare in una risata.
 Una risata folle, isterica.
Una risata da Black.


Remus si distese sul letto e si passò una mano sul volto, per asciugarsi le lacrime.

Un lampo di dolore passò negli occhi color cielo di Silente. La McGrannitt, con le mani a coprire la bocca, si lasciò sfuggire un gemito. Lumacorno chiuse un secondo gli occhi e così fece la Sprite. Sirius, in piedi al centro dell’ufficio del preside, non notò niente di tutto ciò. Con il volto impassibile, domandò di poter firmare l’iscrizione a scuola delle sue due nuove eredi. “Non serve che ci sia anche la... madre, vero? Basto io, no?”
La McGrannitt singhiozzò e annuì.
“Basti tu.”
“Bene,” sussurrò Sirius con voce atona. Dopo aver completato l’iscrizione per le gemelle, si voltò e, senza salutare nessuno, fece per andarsene. “Signor Black, l’Ordine vuole aiutarla. Sappiamo che tre figli sono difficili da gestire...”
“Con tutto il rispetto, signore, ha dei figli?”
Il volto di Silente si indurì, ma continuò a parlare come nulla fosse.
“Le manderemo qualcuno per darle una mano.”
Sirius strinse forte la maniglia della porta, sibilando: ”Non ho bisogno di aiuto.”
I Black erano sempre stati bravi a mentire.


Remus si lasciò andare in un sonno agitato, pieno di ricordi dolorosi che avrebbe preferito dimenticare.

“Non ce la faccio, Rem,” sussurrò Sirius cullando la figlioletta. Solo il ciuffo che cambiava costantemente colore lasciava intendere l’identità della bambina, che con gli occhi grigi ben aperti guardava suo padre. La sua gemella dormiva nella culla, senza che niente la toccasse, nemmeno il dolore provato dal genitore. Nathan, nell’altra stanza, imitava la più piccola delle sorelle e riposava, controllato a vista dai Potter. Dei piccoli Black, l’unica sveglia era Helena, che continuava a piagnucolare e lamentarsi.
Remus fissò Sirius, senza sapere cosa dire.
“Ma perché fa così?” esclamò Felpato sull’orlo di una crisi isterica, mentre sua figlia continuava con i gemiti. Sembrava che non trovasse pace. “Non lo so...” rispose il mannaro, corrugando le sopracciglia. Non sapeva nemmeno tenere in braccio un bambino; come poteva Sir chiedere a lui?
Restarono così per ancora un’ora, mentre Helena piangeva e si lamentava. Quando finalmente si addormentò, Black rimise la figlia nella sua culla e si voltò, uscendo velocemente dalla stanza, seguito dall’amico. Se uno dei due si fosse voltato verso le gemelle, avrebbe notato che Helena aveva ritrovato la pace e dormiva profondamente, il volto accanto a quello della sorella e una coda di lupo bianca-grigia che le spuntava dalla parte bassa della schiena.

Toc Toc.
Sirius aprì un occhio, mentre Remus - l’unico che si era fermato lì per la notte - faceva lo stesso. Bacchette alle mani, i due avanzarono lentamente verso l’ingresso della casa. Sapevano che un Mangiamorte non avrebbe mai bussato, ma poteva pur sempre essere un inganno! E comunque, quelli, erano tempi molto duri.
Non ci si fidava di nessuno, se non delle persone più care.
Black guardò dallo spioncino e trasalì; poi aprì la porta.
“Gillian! Che ci fai qui?” esclamò sorpreso, senza abbassare la bacchetta. Lei gli sorrise tristemente, spiegando che Silente l’aveva mandata lì per aiutarlo con i bambini. Un istante prima che Sirius dicesse, con finto tono scandalizzato, “Non ho bisogno di aiuto!”, Remus puntò la bacchetta alla gola della ex-Corvonero e le domandò: ”Qual è il colore preferito di Sirius?”
“Rosso-oro,” rispose prontamente lei.
Dopodiché venne fatta entrare.


Remus si svegliò di scatto e fu come se non avesse mai chiuso occhio. Si morse il labbro e provò a riprendere sonno, il volto stanco di Gillian e quello tormentato di Sirius ancora nella mente.





Note dell'Autrice:
* la dottoressa M. Armstrong vi dice niente? La stessa dottoressa che ha conntrollato il livello di Kait... ci tenevo a farvelo sapere xD

Lo so, lo so. Vi aspettavate Azkaban e un Sirius un po' meno giovane, ma questo capitolo l'ho scritto seguendo il cuore ed è uno dei miei preferiti. So che non sono ricordi di Kait, però ho pesnato che sarebbero andati bene comunque... vi piacciono?
Ad ogni modo, nel prossimo capitolo... Azkaban!
Che dite della bomba che ho sganciato? Gillian non è la madre di Kait, ma lei non lo sa. Quando lo scoprirà, come e perché? E perché Remus continua a mentire? Sono stata proprio bastarda a farlo, ma ho letto una storia bellissima, prima di partire, e ho subito pensato cche Gill... beh... non mi sembrava abbastanza. Ora mi piace molto di più la storia. Ad ogni modo, Kait non ha perso una madre, quindi, ma DUE!!! vabbé, scappo prima che mi linciate per il dolore che infliggo a quella povera bimba.
(avviso che il prossimo capitolo non sarà lunghissimo. poco ma buono, diciamo così XD )
Alla prossima!

*lasciate un commentino?*

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Capitolo 13
*** 29 giugno ***


Eccomi qui, un po' prima del previsto :) sono riuscita ad allungare un po' il capitolo, spero che vi piaccia. Questo capitolo, per chi ha letto già l'altra versione de "l'ultima Black" risulterà un po' familiare, ma l'ho modificato un bel po' :)

Questo capitolo lo dedico a voi lettori, perché senza di voi non ce la farei.

Grazie.

 

29 giugno

 

Un teschio. Un serpente che esce dal teschio. Paura. Morte. Distruzione. Il Marchio Nero. Sopra una casa. Una villetta... "Corri. Corri. Corri!" Paura. Morte. Distruzione. Malocchio si avvicina. Il Marchio spaventa tutti... ma non lui. La villetta... è in cenere. I Mangiamorte non ne hanno lasciato niente. Remus piange.
Un rumore. Un uomo, dai capelli rossi e lo sguardo profondo li invita a entrare. La villetta è bruciata. Dell'uomo non c'è traccia. Remus e Malocchio entrano. Una donna. A terra.
"Gillian!" sussurra Lunastorta. La sua amica. Morta. Le chiude gli occhi. Entrano in quella che era la cantina, seguendo una scia di sangue. Una bambina. Una delle gemelle.  
Una donna, si avvicina. Capelli biondi, sguardo dolce. Fa loro cenno di seguirla. Fuori da casa. Nella neve. Una terza figura. Un bambino.
Vanno avanti. Nel bosco. Ululati. Strazianti. Una donna, rigida, severa. “Correte!”  Remus e Malocchio eseguono. Tracce di sangue. Dei lupi. Una bambina. Ha gli occhi socchiusi.  Un uomo dal volto serpentesco. "Lei deve vivere!"
Sparito. Non c'è più. Remus si avvicina alla bambina a terra. Le poggia una mano sul collo, accarezzandola. Pelle bianca, fanciullesca. Collo liscio. Le tocca il petto. Questo si alza.
"RESPIRA!"
Veloce. Più veloce. Forza, svelti! Più svelti!
Una stanza bianca. Un letto. Una flebo. Un bip. Un uomo, su una poltrona. 
Lei non si sveglia. Respira. Ma dorme. Dov'è? Con la mente, dov'è?

"Starà meglio." Silente. Lui sì che riesce a rassicurare Remus. "Non permetteranno che muoia."
"Chi?" Ingenuo, Remus. Ingenuamente dolce. "Non hai visto nessuno vicino a lei, stanotte?" Due donne. Due uomini. Tosca. Priscilla. Godric. Salazar. La vogliono. Lei deve vivere!
Lunastorta annuisce.
"Appunto."
Helena, nella stanza infinita. Li vede. Ci parla. Sorride. Accetta. Si sveglia.
"SI E' SVEGLIATA!"


Kait si svegliò di scatto, tutta sudata. Sbuffando, scivolò giù dal letto e andò in bagno, strisciando i piedi sul pavimento in modo poco decoroso per una Purosangue del suo rango. Aprì la porta del bagno, mugolando per la luce del sole estivo già alto a quell’ora, che la Black presumeva fosse presto. Coprendosi alla bell’e meglio gli occhi, avanzò fino alla vasca, in cui si sedette. Poi aprì l’acqua gelata, bagnandosi il viso e il pigiama e raffreddando la sua anima e la sua pelle, che bruciava come se fosse stata ancora lì, a contatto con i Fondatori. Kaitlyn si distese completamente nella vasca, mentre essa si riempiva sempre più. Nel freddo, la bambina chiuse il getto d’acqua e prese fiato, immergendosi e aprendo subito dopo gli occhi, accettando quasi con piacere il lieve bruciore che provava. L’aria cominciò a mancarle, ma lei non si mosse.
Si ritrovò a pensare a sua sorella, la sua gemella, e si sentì mancare. Non era a causa della mancanza d’aria nei polmoni, lei ne era certa. Era piuttosto il senso di vuoto che provava all’altezza del cuore, il peso di piombo che aveva sul petto, a farla stare male. Si ritrovò a pensare a tutto questo e a chiedersi cosa fosse la vita.
Senza gli affetti che la caratterizzavano, cos’era?
La sua famiglia era morta, Regulus se n’era andato, i Malfoy la trattavano spesso come se fosse un’estranea, e si era affezionata a due persone, Moody e Jackson, che mai nessun purosangue avrebbe approvato. Inoltre il suo padrino la abbandonava ogni mese.
Poteva andare peggio?
Kait uscì dall’acqua, si tolse il pigiama fradicio, si asciugò e cercò qualcosa da indossare. Non voleva rovinare alcun abito, - era cosa nota che Azkaban non fosse l’esempio di igiene - ma allo stesso tempo voleva fare una buona impressione al padre, di cui ricordava poco o niente. Sebbene inizialmente l’umore di Kait non fosse ottimo, con il passare del tempo migliorò sempre più, finché la bambina non divenne, una volta che Remus fu sveglio, raggiante. Sapeva che non avrebbe dovuto esserlo: Azkaban era un posto orribile, che lasciava sempre un senso si dolore e di vuoto in chi ci andava. Eppure, la piccola Black avrebbe visto il padre. Non c'era nulla di più bello.
Mangiò tutta la colazione senza fare storie, senza nemmeno un piccolo commento. Era troppo riconoscente verso il padrino per poter solo pensare di dargli fastidio con i suoi "non ho fame". Remus lo notò, ma tacque, ragionando su come distogliere Kaitlyn dal suo forte desiderio. Perché le avrebbe portato soltanto che dolore: non sapeva realmente se Sirius fosse a conoscenza di ciò che era successo alla sua famiglia. Lo avevano avvisato che una delle gemelle era sopravvissuta? Sapeva che non tutti erano morti? A Remus venne spontaneo dire che, probabilmente, Sir avrebbe pensato che lei fosse un'allucinazione. 
Comunque, anche se Felpato l’avesse accettata e non fosse impazzito, restava il fatto che fosse un traditore. Aveva venduto James e Lily a Voldemort; con che coraggio Remus l’avrebbe guardato? Come si sarebbe impedito, il mannaro, di vendicare i due amici? Lui non aveva intenzione di portare la sua bambina alla prigione dei maghi, ma sapeva che la piccola non lo avrebbe mai perdonato se si fosse rimangiato la parola. E forse, pensò Lunastorta, forse vedere suo padre le farà bene. Magari capirà cosa non deve diventare.
I due, per mano, andarono ad Azkaban. Bisognava sempre compilare un sacco di scartoffie, passare test magici e altri casini fin troppo lunghi. Soprattutto per una bambina, che dopo un po' cominciò a stancarsi: Remus quindi la prese in braccio e insieme camminarono tra le celle. Kaitlyn era riuscita a resistere coraggiosamente a tutti i rumori provenienti dai prigionieri, che fossero urla contro la "feccia" dei Nati Babbani, che fossero implorazioni di aiuto o gemiti di dolore. Kait era riuscita a resistere, fino a ché una mano femminile, sporca e ossuta, non l'aveva afferrata per un piedino. La bambina strillò e Remus la allontanò immediatamente dalla cella. Una donna, spaventosa, dai capelli neri tutti scompigliati, i vestiti sporchi e stracciati e gli occhi spalancati, li guardava. Una risata spaventosa si fece strada in Bellatrix Lestrange, o meglio, Bella Black. "Ciao nipote," la prese quasi in giro la Mangiamorte. Kait, a cui tremava la manina, si fece coraggio e socchiuse gli occhi, stringendo i pugni e guardando la donna incarcerata. "Spero capirai presto da che parte stare," sussurrò gelidamente Bellatrix, prima di ritirarsi nella sua cella, il braccio sinistro scoperto, con uno strano simbolo tatuato. Era un teschio, con un serpente... La donna lo accarezzava amorevolmente. Kait pensò fosse pazza.

Finalmente i due visitatori arrivarono alla cella di Sirius. L'uomo, dai vestiti lacerati e sporchi, il volto infangato e ossuto, fissava con sguardo vitreo la finestra con le sbarre. Sembrava non averli sentiti. La bambina volle essere lasciata a terra, quindi, una volta di nuovo sui suoi piedi, Kaitlyn si avvicinò alle sbarre.
"Papà?" domandò con vocina sottile. Nessuna risposta. Forse aveva parlato troppo piano, forse non l'aveva sentito. Si, certamente era così. "Papà?" provò un po' più forte e stavolta riuscì a captare un movimento da parte del padre. "Papà! Papà, sono Helena!" parlò ancora a voce più alta, certa che l'avrebbe sentito, così. Aveva dovuto usare il suo vero nome, dato che lui non era presente quando l’aveva cambiato.
Sul volto di Sirius comparve un sorriso triste, mentre lentamente si girava a guardarla. Quante volte aveva visto sua moglie, le  gemelle e Nathan davanti a lui, a sorridere? O persino Gillian? Odiava quelle allucinazioni, gli ricordavano che lui non li aveva aiutati. E ora erano morti tutti...
Ricordava ancora il suo carceriere, - l’unico umano - quando si era avvicinato a lui e gli aveva detto, quasi intristito: “Ehi, Black. Mi dispiace, sai, per... per la tua famiglia. Oggi... c’è stato un attacco dei Mangiamorte. Loro non... non ce l’hanno fatta.”
Sirius ricordava bene quel giorno; ricordava anche la risata sadica di Bellatrix, che incurante e anzi felice del dolore del cugino, non faceva che infierire. Loro non se lo meritavano, pensò Felpato. Erano solo dei bambini!
suoi bambini.
"Papà! Ti prego, papà! Ho bisogno di te!" gridò Kait in quel momento, gli occhi lucidi. Sirius si voltò a guardarla. Era più grande di Hannah (o Helena), ma di poco e le assomigliava parecchio. Accanto alla piccola, Remus. Il Grifondoro rinchiuso sgranò gli occhi; mai aveva visto, nelle allucinazioni, il vecchio amico. Forse, sussurrò una parte nascosta della sua mente, forse non è una visione.
"Papà! Non lasciarmi sola! Papà!” urlò Kait. Felpato si mise ad osservare meglio la piccola Black, che pareva essere caduta in trancecome se stesse ascoltando un suono che solo lei poteva udire. Poi la bambina allungò una mano nella cella, attraverso le sbarre e aprì la bocca per dire qualcosa. Non sembrava stesse realmente parlando lei, ma piuttosto che stesse ripetendo le parole che qualcuno le stava suggerendo.*
“Tocca la mia mano, papà.”
Sir la fissò ed era così bianca, pulita e piccola, che non riuscì a trattenersi. Si allungò verso di essa e... riuscì a toccarla.
Lei era viva. Lei era sopravvissuta. Lei c'era!
Con uno scatto forse troppo forte, la tirò verso le sbarre. I due volti erano vicini, dato che lui era inginocchiato.
Le braccia del padre corsero a stringere la figlia, che singhiozzava dall'altra parte delle sbarre. Adesso, Sirius aveva un motivo per provare a scappare. “Helena?” sussurrò, quasi spaventato di rovinare il momento. Sentì la bambina annuire e la abbracciò più forte. I due si strinsero ancora qualche secondo, poi Kaitlyn venne portata via dal padrino, mentre lei urlava e piangeva, cercando di liberarsi dalla stretta del mannaro, per lei troppo forte. "No, papà! Voglio stare con te! Papà! Non lasciarmi sola, papà, ti prego! Ho bisogno di te!" furono le ultime parole che Sirius sentì di sua figlia per molti anni.
Parole che lo tormentarono per tantissimo tempo.
“Ho bisogno di te!”


 

Il pianto disperato di Helena rompeva il silenzio della notte, senza dare pace alla donna che, invano, cercava di calmare la bimba. Gillian aveva fatto di tutto per farla tacere, ma niente aveva sortito l’effetto sperato; la Black continuava a piangere e lamentarsi. Fortuna che, intelligentemente, Gill aveva incantato la culla di Hannah e il lettino di Nathan perché non sentissero la sorella!
Una persona, però, riusciva ad udirla benissimo.
Sirius Black si alzò con uno scatto dal suo letto, mandando a quel paese la piccola peste che non faceva altro che piangere. L’ex-Grifondoro entrò nella camera della piccola e sbatté con forza la porta, infuriato. Il rumore improvviso lasciò la neonata sorpresa, il ché la fece tacere un secondo, prima che tornasse a urlare con più forza di prima. Gillian sospirò, maledicendosi per non aver insonorizzato completamente la stanza.
Gill! Avevi detto di potertene occupare! Che diavolo ha quella bambina?!” esclamò Sirius guardandola con i suoi occhi di ghiaccio.

Occhi ardenti.

Gillian abbassò lo sguardo e lui le si avvicinò. Per un istante pensò che l’avrebbe baciata, ma Sir non fece altro che afferrare la figlia, che tra le sue braccia smise immediatamente  di lamentarsi. Con un rumoroso sospiro fece per rimetterla nella culla, ma Helena tornò a piangere nel giro di un istante.
“Ma cos’ha?!” gemette Sirius. Non era adatto a gestire i bambini, non lo era mai stato. “Ti manca la tua mamma?” sussurrò nel buio della stanza, rivolgendosi direttamente alla neonata. “Perché in quel caso manca anche a me.”
La strinse a sé un secondo, quindi provò nuovamente a posarla giù. Prepotenti tornarono le lacrime e i pianti. Il volto di Felpato prese una piega talmente straziata, - sapere di non poter aiutare sua figlia lo riempiva di dolore - talmente disperata, che Gill provò a prendere in braccio la bimba, per aiutarlo ad alleviare il peso che portava sulle spalle.
Niente da fare, la piccola accettava soltanto il padre.
“Cos’ha?” ripeté Black in un sussurro.
“Non è ovvio?” rispose piano Gillian, scandendo lentamente le parole.
“Lei vuole te. Ne ha bisogno, lei... 
ha bisogno di te.”
E a quelle parole, Sirius seppe che non avrebbe potuto lasciare la figlia nella culla, quella notte. Se la sarebbe tenuta accanto, il volto di lei appoggiato il suo petto. L’avrebbe cullata fino a mattina, non importava quanto sonno lui avesse.
Helena aveva bisogno di lui.
Per la prima volta dalla morte di sua moglie, Sirius fece un sorriso. Il fantasma di un suo sorriso malandrino, certo, un sorriso strappato al dolore. Un sorriso, però, alla fin fine orgoglioso, perché, beh... lui serviva a qualcuno.
Cullata dal battito del cuore di suo padre, Helena si addormentò.

Aveva bisogno di lui.

E ne avrebbe avuto bisogno per tutta la vita.


 




Note:

Che ve ne pare? Qui troviamo un Sirius paterno che la Row non ci ha mai fatto conoscere, ma che io ho adorato descrivere. A voi? E' piaciuto?
*Per chi non se ne fosse accorto, ho deciso di farlo notare io. Sembrava che Kait stesse ascoltando qualcosa che solo lei era in grado di sentire, come se stesse sussurrando cose che le venivano suggerite. Vi dice niente? Chi avrebbe potuto aiutarla, da invisibile a tutti tranne che a lei? ;) questi piccoli dettagli si intensificheranno con l'andare dei capitoli, quindi prestateci attenzione xD

 

Vorrei ringraziare Ginny_P, iaele e Jeis che hanno recensito lo scorso capitolo e Tormenta ( ~ ) che si sta mettendo in pari xD

Ringrazio anche le 6 persone che hanno messo "L'ultima Black" tra le storie preferite ( ovvero Amisa, clacla_97, iaele santin, Sandyblack94, tata92 e ToujoursPurBlack ~ spero di non aver sbagliato a scrivere ;D )
E le 14 persone che l'hanno messa tra le seguite ( ovvero Allice_rosalie_blak, clacla_97, esmecullen, Fred_Deeks_Ben, Ginny_P, HaileyB, Iulia_E_Rose, Jeis, marco121184, Nihalooney, sackiko_chan, Tormenta, valepassion95, VSRB ~ perdonate eventuali errori di copiatura )
Inoltre ringrazio anche tutti i lettori silenziosi :)

 

 

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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)






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Se vi va, venite a dare un'occhiata alla Flashfic che ho scritto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1217488&i=1




Al prossimo capitolo!
Un bacione

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Capitolo 14
*** Un giorno imprecisato di un mese altrettanto imprecisato ***


Scusate, sono corsa un po' con i tempi... Spero capirete anche le età e... Okay, non dico niente che è meglio! Non è molto lungo, come capitolo.

 

Un giorno imprecisato di un mese altrettanto imprecisato

 

Due bambini giocavano ridendo, in un parco della piccola e tranquilla cittadina. Tutto normale, no?
No.
Perché di normale, in quella cittadina, non c'era proprio niente. Si chiamava Godric's Hollow. Era uno dei posti più famosi del Mondo Magico e i due bambini facevano parte di quel mondo. Il più piccolo si alzò dall'altalena e, con le mani in tasca, al caldo, cominciò a camminare verso l'uscita del parco. La cugina gli corse dietro, il volto arrossato e una simpatica "nuvoletta" che le usciva fuori dalla bocca a ogni respiro, per il freddo. "Ehi, Draco! Dove vai? Aspettami!" disse al biondino, sorridendo forzatamente. Insieme, mano nella mano, i due si avviarono per le strade di Godric's Hollow. Poco dopo si fermarono di fronte ad una casa, quasi completamente distrutta. Lupin aveva raccontato alla figlioccia cos'era successo ai Potter, ma vederlo di persona... Nuovamente, Kait si chiese come avesse fatto Harry, il Bambino-Che-E'-Sopravvissuto, a sconfiggere Voldemort. Era una storia così... impossibile.
Draco era rimasto immobile, a guardare una targa d'oro sul cancello d'ingresso della casa. Ci scrisse sopra le proprie iniziali e, spinta da un irrefrenabile desiderio, lo fece anche la giovane Black, scrivendo vicino "Siamo tutti con te". Non sapeva spiegare il motivo del suo gesto. Proprio non lo sapeva. "Chissà dov'è ora. Senza i genitori..." mormorò il biondino, rabbrividendo per il freddo invernale.
"So come si sente," sussurrò a voce bassissima la bimba. Malfoy fece fatica a sentirla, ma appena comprese ciò che la cugina aveva detto, la strinse a sé. Passarono qualche minuto così, a tenersi l'uno all'altra, fino a ché un fischio li fece voltare entrambi. Remus, le braccia incrociate sopra il suo logoro cappotto, guardava i ragazzini, con una smorfia sul volto. Non tanto perché non gli piaceva l'amicizia tra i due, ma perché Draco era entrato in casa loro, aveva preso Kait per mano e se ne erano andati, utilizzando una Passaporta. Lupin, terrorizzato che i Mangiamorte ( ancora sulle tracce della bambina) la potessero trovare, era corso a cercarla; fortunatamente era stato facile rintracciarli.
E’ tutta colpa di Malfoy, pensò il licantropo. Avrebbe certamente portato la piccola Black sulla cattiva strada. Eppure una speranza, a detta di Remus, c'era. Kait - sebbene il suo comportamento fosse spesso imprevedibile - sarebbe probabilmente andata a Grifondoro come il padre, mentre il biondino... non poteva nemmeno pensare a quella possibilità. Malfoy sarebbe andato a Serpeverde, dato il carattere. E lì, i due cugini si sarebbero certamente divisi. Lunastorta si avvicinò ai due bambini, dandosi mentalmente dello stupido per aver portato rancore ad un piccolino di sette anni, quando esso non c'entrava niente con gli affari del padre, Lucius. Li prese entrambi per mano e li condusse lontano da quella cittadina.
Godric's Hollow ospitava parecchi maghi e di quei tempi non si sapeva chi fosse dalla parte di chi... Anche se, come Lucius Malfoy, molti erano tornati dalla parte del "Bene" dopo la caduta di Voldemort. I tre si avviarono per una stradina, quindi, al riparo da occhiate indiscrete, Kait si attaccò al braccio del padrino. Draco la imitò, stringendola con l'altro braccio, e con una Materializzazione Congiunta si ritrovano tutti in casa di Remus.
Dopo cena, consumata senza troppe lamentele da parte di Kaitlyn ( grazie al cugino, molto convincente), Malfoy venne riaccompagnato a casa sua e lei lo seguì. Il giorno seguente, anche se lei non lo sapeva, ci sarebbe stata la luna piena.

Due anni dopo.
Kait, accompagnata da Remus, si diresse ad Hogwarts per un incontro con Silente. La giovane Black aveva dieci anni e mezzo e mancava poco al suo undicesimo compleanno. Narcissa già progettava un enorme party con tutti i Purosangue del Paese; Molly voleva invece radunare tutta la famiglia Weasley e i vecchi membri dell’Ordine per un grande pranzo alla Tana. Per quanto Kait le reputasse entrambe gentilissime, aveva rifiutato le loro proposte. I Malfoy parevano non aver compreso, - “Come niente festa? Sei impazzita?!” - mentre Molly, e soprattutto Remus, avevano capito al volo, per fortuna. Il fatto è che Kaitlyn odiava il suo compleanno; comprensibile, dato che quel giorno sarebbe stato completamente offuscato e inondato dal dolore che la bimba ancora provava al ricordo della gemella. Sapere che lei non avrebbe compiuto undici anni come invece Kait avrebbe fatto riempiva la Black di dolore.
Comunque, mancava poco alla fatidica data e Remus aveva insistito con la figlioccia perché ella parlasse con Silente. Il mannaro non aveva spiegato che era stato il preside in persona a desiderare quel colloquio, decidendo che sarebbe stato meglio sorvolare sopra l’informazione. Arrivarono a scuola quando le lezioni del mattino erano già cominciate, così che attraversarono senza problemi i corridoi deserti. Una volta nell’ufficio di Silente, l’anziano mago fissò con interesse la bambina, che si lasciò andare in una piccola riverenza e, con tutto l’orgoglio purosangue possibile, si presentò. L’uomo le sorrise, snocciolando una lunga lista di nomi che gli appartenevano, spiegandole di chiamarlo semplicemente “Professor Silente” o “Signore”. Kait apprezzò più il secondo modo.
Padrino e figlioccia si sedettero, attendendo che il mago spiegasse il motivo di quella convocazione.

La sera stessa Remus e Kaitlyn furono accolti alla Tana. La Black corse a giocare con i lontani cugini, mentre il mannaro si fermò in cucina con i signori Weasley. 
“Allora, cosa voleva Silente?” domandò Arthur, non riuscendo più a celare la curiosità. La moglie gli rifilò una mestolata sulla mano, sibilando che non erano affari suoi e che avrebbero capito se Rem non avesse voluto parlarne con loro. Poi però inchiodò il Malandrino con uno sguardo intimidatorio che, beh, lo intimidì parecchio.
“Kait non andrà ad Hogwarts, a settembre.”
Se avesse detto che Voldemort era tornato, probabilmente si sarebbero sorpresi di meno. “Ma... mio caro, come mai? Non ha... insomma... per caso ha dato segni di... impotenza magica?” sussurrò Molly sedendosi di fronte a Remus e parlando con fare cospiratorio. Arthur sussultò. “E’ una magonò?!” esclamò, prendendosi poi una seconda mestolata, con l’accusa di essere stato “poco gentile” e di “poco tatto”. Lupin scoppiò a ridere.
“No, anzi, direi che di magia ce n’è fin troppa, in lei. E’ molto, molto potente,” disse sistemandosi meglio sulla sedia della cucina dei Weasley.
“E allora perché?”
“La versione ufficiale è quella che Kait ha subito molti traumi ed è meglio che rimanga a casa un altro anno, così da poter prepararsi meglio ad Hogwarts e poterci andare con il cugino Draco. Sai, perché non resti sola,” spiegò Remus passandosi stancamente una mano tra i capelli. Quel gesto gli ricordò tremendamente James, che da ragazzo lo faceva in continuazione. Con una fitta di dolore, il mannaro fece finta di niente e continuò a parlare. “In realtà, anche se questo Silente non l’ha detto, io credo che lui stia giocando il suo gioco e Kait ne faccia parte.”
Ma era davvero così? La giovane Black sarebbe stata soltanto una pedina in una faccenda molto più grande di lei?
“Cosa te lo fa pensare?” indagò Arthur, mentre Remus scuoteva la testa. Spiegò che non ne aveva idea. “Eppure me lo sento. Non può essere una coincidenza. Non può.”
Il Malandrino si fece scuro in volto.
“Silente ha fatto in modo che Kait ritardasse la sua entrata ad Hogwarts di un anno, uno solo; perché?”
E mentre i signori Weasley lo rassicuravano, dicendo che era soltanto paranoico, mentre Kaitlyn giocava sulla schiena di Fred - o George - e George - o Fred - li rincorreva, mentre accadeva tutto ciò, al numero 4 di Privet Drive Harry Potter si avvicinava sempre più al suo decimo compleanno, e quindi anche al suo undicesimo.
Mancava poco, ormai.

“Dov’è la mia mamma?” sussurrò Nathan stringendosi nel piumino e parlando a bassa voce per non svegliare le gemelle, che dormivano serene nei due letti accanto al suo. Gillian fissò il bambino, con un groppo in gola. “E’ dovuta andare via...” si costrinse a dire. “E ora ci sei tu al suo posto?” il tono di Nathan era sofferente, come se non potesse credere di dover cambiare madre da un momento all’altro. Gill non seppe rispondere e il suo... e il bimbo la fissò, il labbro inferiore che tremava e minacciava il pianto. “Ora sei tu la mia mamma?”
Qualche secondo dopo Gillian si rifugiò in bagno, una mano a coprire la bocca per evitare che i suoi singhiozzi venissero sentiti. Scivolò a terra, appoggiandosi con la schiena alla porta chiusa e stringendosi le gambe al petto.
Restò chiusa lì tutta la notte, da sola con i suoi pensieri dolorosi.
Quando, a mattina inoltrata, si alzò e si incamminò per andare a svegliare i bambini, lo sguardo le cadde su una fotografia posta sul muro del corridoio. Rappresentava la famiglia Black, con un Sirius felice e sorridente accanto alla moglie e tre bambini dall’aspetto sereno.
Nessun dolore li aveva ancora toccati.
Prima che se ne potesse rendere conto, Gillian aveva già allungato una mano per toccare la fotografia. Con il pollice andò a coprire il volto della sua amica, immaginandosi il proprio al suo posto. Si sentì male, Gill, tanto male che le venne la nausea. Come poteva fare questo a quella che era stata la sua migliore amica? Come, come poteva?
Senza riuscire a rispondersi, Gillian andò a svegliare Nathan e le gemelle. Aveva preso una decisione. Non avrebbe insabbiato l’immagine dell’amica, avrebbe detto la verità ai bambini, per quanto potesse questo provocarle dolore.

Quando quella stessa mattina Nathan la chiamò mamma, però, Gill restò in silenzio ad assaporare il suono di quella parola.
E, se fosse stata ancora viva, nemmeno la sua migliore amica avrebbe potuto ignorare il sorriso felice sul volto della Corvonero.

“Mamma?”
“Sì, piccolo mio?”

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Capitolo 15
*** Primi mesi del 1991 ***


Primi mesi del 1991

 

“Ehi Jackson, in che Casa sei, a Hogwarts?” esclamò improvvisamente Kait, bloccandosi a metà del suo esercizio di concentrazione. Aveva da poco scoperto di poter diventare una lupa dal manto bianco-grigio e aveva ancora qualche problema a controllare le trasformazioni, che avvenivano spesso in modo involontario. Non avendo lei scelto di essere un'Animagus, ma essendo esso stato un fattore ereditario dovuto all’eccessiva forza magica della giovane, Kait aveva davvero poco potere su ciò che le accadeva. Però con alcuni esercizi, ideati da Moody, la Black stava lentamente riprendendo il controllo del suo corpo. Era un po’ come esercitarsi per diventare Occlumante, - Kaitlyn lo era ormai da dieci mesi - bisognava pensare ad un determinato oggetto e focalizzare tutta la propria attenzione su di esso. Con l’Occlumanzia Kait pensava ad un enorme castello nero, oscuro, di tenebra, impossibile da espugnare, mentre per controllare le trasformazioni aveva optato per un bel lupo - cominciava davvero a piacerle, quell’animale. “Io non vado a Hogwarts,” rispose Jackson riportandola con la mente su di lui. Kaitlyn lo fissò senza capire. “Non volevo smettere di allenarmi. Si può scegliere, sai? La scuola non è obbligatoria.”
Alla faccia incredula della Black, Jackson si sentì in dovere di difendere la sua decisione. “Tutto ciò che viene spiegato a Hogwarts e forse anche di più, me lo insegna Malocchio. E inoltre mi alleno tutto il giorno, così presto sarò un Auror.”
Kait sospirò. Anche a lei sarebbe piaciuto poter passare le sue prossime giornate in palestra, come faceva ormai da anni, ma non voleva rinunciare a Hogwarts! Per nulla al mondo l’avrebbe fatto. Non credeva nemmeno di poter pensare ad un’alternativa del genere. Loro non avrebbero mai approvato. La purosangue si alzò, diretta all’ufficio di Moody. Arrivata fuori dalla porta alzò il braccio, pronta per bussare, cosa che non riuscì a fare. Malocchio, infatti, le aveva già aperto, immaginando - o forse sbirciando con il suo occhio magico - che Kait sarebbe venuta a parlargli. La giovane gli si posizionò davanti, mentre lui si sistemava meglio sulla sedia dietro alla scrivania. “Allora, Black. Forza, sputa il rospo.”
Kaitlyn aprì la bocca per spiegare il motivo della sua visita, però ciò che le uscì non fu quello, ma bensì una critica. “Mi alleno qui da tanto, da cinque anni e mi continui a chiamare per cognome. Invece Jackson no! Perché io sì?” esclamò battendo ritmicamente il piede a terra. Malocchio la squadrò con aria di leggera sufficienza, poi le rispose che non le dovevano interessare le sue decisioni e che tanto non avrebbe mai cambiato idea, quindi non aveva senso impuntarsi. Kait mise il broncio, tranquillamente ignorato dall’allenatore, il quale si appoggiò allo schienale della sedia e attese.
Pochi secondi dopo la Black aveva abbandonato l’espressione strappalacrime, dato che non aveva sortito l’effetto sperato. Alzò lo sguardo e si fece coraggio. “Signore, io desidero andare ad Hogwarts, a settembre. Mancano solo sei mesi e... io... ci tengo davvero molto, signore.”
Moody la ascoltò senza interromperla, allungando nel frattempo una mano verso il primo cassetto della scrivania. Lo aprì silenziosamente ed afferrò una scatolina blu non più grande del suo pugno, mentre Kaitlyn si zittiva. Per poi ricominciare a parlare.
“Però non voglio rinunciare agli allenamenti. Adoro passare le giornate in palestra, ad ascoltarla brontolare perché sono schizzinosa e a vederla riprendere me e Jackson quando parliamo troppo. Mi piace poter sfidare il mio stesso corpo, sforzandolo fino al limite; mi piace fare gli esercizi, soprattutto quelli di ginnastica. Adoro quando mi riprendi perché sbaglio il doppio avvitamento all’indietro o ti arrabbi perché perdo tempo a lamentarmi, invece di cominciare a colpire il sacco da boxe,” disse, abbassando progressivamente la voce, un sorriso sognante e felice  sul volto. Malocchio non commentò le sue parole e nemmeno il cambiamento di persona, - la Black era passata da dargli del “tu” al “lei” e poi di nuovo al “tu” - ma anzi attese pazientemente che la giovane terminasse il suo discorso.
“E... anche se non dovrei dirlo, anche se Narcissa mi rifilerebbe uno schiaffo per ciò che sto per rivelare, beh...”
Moody si sporse dalla sedia, fissando Kaitlyn negli occhi e aspettando la fine della frase, molto più attento di quanto non lo fosse prima. “Adoro l’idea di poter essere un Auror, adoro il poter... scegliere, il non-essere un burattino della mia famiglia. Non voglio,” gli occhi le si fecero lucidi “non voglio che la mia unica possibilità di differenziarmi da loro scivoli via, capisce? Non perché voglio andare a Hogwarts, per lo meno!”
Kait si passò una mano sul volto e, senza farsi vedere, Malocchio sorrise. 
Non lo avrebbe mai ammesso, ma lui adorava quell’undicenne impertinente. La maggior parte delle volte, almeno. Ma soprattutto, lui adorava la sua diversità. Il fatto che lei fosse diversa dal resto della famiglia. Che a lei non interessasse il rango o il sangue. E le sue parole, il tono quasi disperato usato, lo convinsero di star facendo la cosa giusta.
L’auror si alzò e porse all’allieva la scatolina blu che teneva in mano. “Aprila la sera prima di partire per Hogwarts, poi chiedi al tuo padrino di spiegarti come si usa. E’ qualcosa che non si dona alla prima ragazzina che si incontra, perciò la dovrai usare con la massima cautela e, ascolta bene le mie parole, la userai solo soltanto per venire qui ad allenarti. Non cercherai di aiutare la tua famiglia e non cambierai nulla di ciò che è già accaduto. Sono stato chiaro?”
Kait annuì, chiedendosi cosa la scatolina contenesse.
“Voglio la tua parola,” si impuntò Moody, allungando la mano destra per sigillare l’accordo. “Parola di Helena Kaitlyn Black.”
La piccola strinse la grossa mano del maestro, quindi sorrise e disse che avrebbe portato l’oggetto in spogliatoio, per poi tornare ad allenarsi. Si passò una mano nei capelli - li teneva corti come un maschio, in palestra - e si voltò per uscire dall’ufficio. Mentre apriva la porta, però, Malocchio fece una domanda che la bloccò e la fece voltare. “Se avessi dovuto scegliere, cosa avresti fatto?”
Kait sospirò. “Sarei andata ad Hogwarts, signore. Loro non avrebbero permesso nient’altro.”
“Loro?” domandò l’uomo, sospettoso. “Loro chi?
“Nessuno!” rispose velocemente Kaitlyn, odiandosi per essere stata così stupida da lasciarsi scappare la verità. Moody la fissò inchiodandola con lo sguardo e facendola cedere immediatamente. Quando ci si metteva, l’auror sapeva incutere parecchio timore. “I... I Fondatori.”
Moody si risedette, implorando Merlino che non stesse davvero accadendo quello. Le chiese quindi di cosa stesse parlando e Kait glielo spiegò, ripensando al giorno in cui aveva realmente capito cosa le fosse successo all’età di cinque anni.

Kaitlyn aveva otto anni da poche settimane. Girovagava da sola nell’enorme biblioteca di Malfoy Manor, quando un libro blu dall’argenteo titolo “Hogwarts, storie non dette” ebbe il potere di attrarla. La Black si sistemò su una poltrona della sala, il tomo appoggiato sulle ginocchia; fece per aprire il libro alla prima pagina, quando una mano, maschile e fredda, sfogliò i diversi capitoli fino a fermarsi a “Leggende”. Kait si voltò, non del tutto sorpresa di essersi ritrovata accanto Salazar - ormai aveva imparato a riconoscerlo. Lui picchiettò il dito sul primo paragrafo e la invitò a leggere.
Così fece.
"L'Unità delle Case è uno studente, maschio o femmina che sia, della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. La leggenda vuole che un bambino o una bambina possedente poteri magici, ancora in tenera età, muoia. Si dice che poco prima di andarsene per sempre, all'ultimo battito del cuore, il bimbo o la bimba abbia una visione e si ritrovi in una stanza bianca, detta la "Stanza Infinita". Nella leggenda, il mago (o la strega) vede i Fondatori di Hogwarts, che riportano indietro il bambino, lo riportano alla vita, facendogli quattro doni, uno per Fondatore. Si dice anche che uno dei quattro prenda con sé il mago e lo voglia nella sua Casa.
Non ci sono prove che la storia sia vera, ma nel corso dei secoli diversi maghi e streghe hanno affermato di poter vedere i Fondatori e si sono distinti per le loro caratteristiche. Infatti, il/la giovane salvato avrà peculiarità di ognuno di loro, fino a diventare, con il passare del tempo, perfetto per ogni Casa. E' dal 1915 che non c'è un/una "Unità delle Case". Che la leggenda sia finita con Milena Morissette, Tassorosso*?"
Kait sgranò gli occhi, continuando a leggere, quasi ipnotizzata. Il racconto, infatti, continuava, spiegando che nessun "Unità delle Case" aveva mai avuto la vita facile. Diceva che l'intervento dei Fondatori nella vita del o della giovane creasse problemi in futuro.

Per quante volte si poteva ingannare la Morte?
Kait uscì dalla biblioteca, diretta da Cissy. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, urgentemente.
Mentre saliva con rapidità le scale, in un angolo comparve Tosca Tassorosso, l'espressione preoccupata. 
"Non correre così, potresti cadere," mormorò, toccandosi i capelli biondo scuro, seriamente in pena per Kaitlyn. Sembrava Molly Weasley, quasi. La Black si voltò verso la donna, o meglio, si voltò verso la sua apparizione, continuando però a salire le scale.
Nemmeno a dirlo, cadde.

"Certo che è intelligente, eh? Meno male che non sarà nella mia Casa, se no!" esclamò Priscilla Corvonero, leggermente inacidita. “Scivolare in quel modo... Dopo che la cara Tosca l'aveva pure avvisata!”
"Taci Priscilla. Non lo vedi che è spaventata?" la zittì Godric, guardando la bambina a terra, che chiudeva e riapriva ripetutamente gli occhi, quasi a sperare che le voci e le apparizioni se ne andassero."Credo di dover andare al San Mungo," pensò toccandosi la fronte con la mano. No, era fredda. Cavolo, allora non delirava per l’influenza...
Era forse pazza?
Perché, ovviamente, quella leggenda non poteva essere la realtà!

"Tutto bene, Helena. Non sei matta. Fidati di me," sussurrò Godric Grifondoro, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. La ragazzina accettò, incantata da quegli occhi color cielo, senza nemmeno chiedersi come avesse fatto il Fondatore a sentire i suoi pensieri. "Dov’è che stavi andando, bimba?" disse Salazar, scuro in volto. Guardò furente Godric, quasi a dire che Kait, in futuro, sarebbe dovuta essere nella sua Casa e non in quella Rosso-Oro.
“Da... da Narcissa,” rispose la bambina. “Non parlare di noi con nessuno, Helena. Non lo fare mai, a meno che tu non te ne fidi ciecamente. E Narcissa non è la persona adatta a cui raccontare l’intera faccenda.”
La Black annuì, sapendo che, alla fine, non avrebbe detto nulla neppure a Remus, per non farlo preoccupare. Salutò con un gesto timido della mano i Fondatori, quindi fece dietro-front e si chiuse in camera sua.

Kait chinò il capo, sentendo lo sguardo di Malocchio su di sé. Con un cenno della testa, l’undicenne si voltò e lasciò l’ufficio; arrivato allo spogliatoio nascose nella borsa la scatolina blu, sapendo che quel giorno non l’avrebbe aperta. Kaitlyn chiuse un secondo gli occhi, passandosi le mani nei capelli corti. Li teneva così perché, a detta di Moody, in quel caso durante la lotta sarebbe stato più difficile tirarglieli e fermarla. Lo stesso ragionamento andava fatto per gli abiti, eccessivamente corti, sebbene la Black non si fosse mai lamentata. Inoltre Jackson era più grande di lei, ormai aveva quasi quattordici anni e il suo fisico era...beh...
Kait arrossì, senza nemmeno finire la frase che stava pensando, poi corse in palestra e ricominciò ad allenarsi.

Nel suo ufficio, Malocchio abbandonò la testa tra le mani e si lasciò andare in un sospiro sofferente.
Kait avrebbe fatto la fine di tutti gli “Unità delle Case” della storia? Moody inghiottì a vuoto, continuando a tornare su quel pensiero.

Per quante volte si poteva ingannare la Morte?









*non so se vi ricordate la donna che Kait vede in uno dei primi capitoli, prima di incontrare i Fondatori...
“Ciao piccola, mi chiamo Milena. Sono l’Unità del 1915... ma tu non hai idea di cosa io stia dicendo, eh?”
non è niente, ma mi andava l'idea di farvelo notare xD

Sono sicura di dover dire qualcosa, ma non ricordo più cosa! vabbé, prima o poi mi verrà in mente. (spero)


 

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Capitolo 16
*** Primo settembre - parte 1 ***


E finalmente, signori e signore, HOGWARTS!!!

=D
Okay, avverto subito che questo capitolo ricorda un po' quello scritto dalla Row, per forza di cose. il prossimo sarà diverso XD

 

Ecco a voi...



 

Primo Settembre - parte 1


Kait si sistemò ancora una volta il vestito nero che indossava, fissandosi nello specchio e cambiando colore di capelli. Narcissa le aveva detto che stava davvero bene bionda, ma la dodicenne non ne era così convinta.
“Kaitlyn, forza! Faremo tardi!”
La voce di Remus arrivò lontana alle orecchie della Black, che rimase ancora qualche secondo di fronte allo specchio. Non dovrei essere io ad andare a Hogwarts, pensò sospirando e tornando ad avere i capelli neri come la pece. Dovrebbe esserci Hannah al mio posto.
Rifiutandosi di cedere alla tristezza, Kaitlyn lasciò vagare lo sguardo sulla sua stanza, così normale eppure così vuota e infine fissò il suo amato carillon, che aveva deciso di lasciare a casa. Non aveva intenzione di sembrare una debole piagnucolona agli occhi delle sue future compagne di stanza. Con un’ultima occhiata, Kait spense la luce e uscì dalla camera, chiudendo la porta dietro di sé e sapendo che non sarebbe tornata a casa per parecchio tempo. In preda all’agitazione più totale, Kaitlyn si diresse alla stazione del treno di Londra, accompagnata da Remus. Binario 9 e ¾, ovviamente.
Superata la barriera, si avvicinarono all’imponente Hogwarts Express. Il padrino della ragazzina stava parlando con Malocchio, che aveva accompagnati e Kait non se la sentì di interrompere la conversazione, che sembrava importante. Provò ad ascoltare, ma ciò che udì non fu molto soddisfacente. "Dovremmo tenerli d'occhio..." "Chissà se..." "James avrebbe voluto..."
Perciò, sapendo che non avrebbe capito nulla, la bambina lasciò scivolare lo sguardo - e l'attenzione - sulla gente presente al binario. C’erano tantissime famiglie e questo lasciò un po’ di amarezza in Kait, i cui pensieri andarono a suo padre, condannato all’ergastolo. Kaitlyn abbandonò quei ragionamenti e si voltò diverse volte, cercando una persona in particolare. Appena vide la testa bionda tanto aspettata, un sorriso le spuntò sul volto; corse verso Draco e gli saltò praticamente addosso. Per fortuna lei era piccola e esile, nonostante gli allenamenti, o il giovane Malfoy non sarebbe stato abbastanza forte da sostenerla. Si abbracciarono, staccandosi dopo qualche secondo, guardandosi negli occhi per interminabili momenti di dolcezza. Ovviamente, però, arrivò il momento di salire sul treno che li avrebbe portati ad Hogwarts: subito la bellezza creatasi nel momento svanì. Draco si sentì benissimo, incredibilmente leggero. Sarebbe stato libero dagli ordini dei genitori! Un lungo anno libero! Il massimo, ai suoi occhi. Kait aveva, invece, lo stomaco in subbuglio per la rabbia, il disgusto e il terrore. Lasciare il suo padrino, ritrovarsi di nuovo sola... Di nuovo! Senza nessuno accanto...
Ancora una volta, il giovane Malfoy dimostrò di conoscerla molto meglio degli altri, perché "intercettò" i suoi pensieri e la prese per mano, stringendola.
"Ci sono io. Ci sarò sempre," le sussurrò all'orecchio.
Kaitlyn annuì, rassicurata e sorridendo salutò Remus e Moody, abbracciando il primo e stringendo giocosamente la mano al secondo. "Ci vediamo presto, zio. Ti voglio bene!" disse la bambina al padrino, che con gli occhi lucidi, annuì e ricambiò la tenera dimostrazione d'affetto. Malocchio si avvicinò al suo orecchio, chiedendole se avesse aperto la scatolina che le aveva donato mesi prima. La Black annuì e gli mostrò il ciondolo che teneva al collo e che fino a poco prima era stato al sicuro sotto la sua maglietta. La Giratempo brillò, di riflesso alla luce, poi Kait la nascose nuovamente, sapendo che la aspettava un anno duro. Avrebbe affrontato ogni giorno due volte, per potersi allenare e contemporaneamente andare alle lezioni, ad Hogwarts.
Moody annuì e Remus la strinse nuovamente a sé, quindi i ragazzini salirono velocemente sul treno. Stavano cercando uno scompartimento, quando un ragazzo quasi cadde loro addosso. Aveva una scatola in mano e l'impulso di Kait, a terra, con la gamba di Draco sul braccio e lo sconosciuto più grande ad un centimetro dal suo piede sinistro, l'impulso fu di aprire la scatola. Così fece e la sua faccia dovette rappresentare tutto il disgusto per il ragno enorme nel contenitore, perché Lee Jordan scoppiò a ridere. Immediatamente sul posto arrivarono Fred e George Weasley, che presero ognuno per un braccio la (lontana) cugina e la tirarono su. "Ehilà, Kay. Visto che roba?"
I gemelli avevano preso la mania di Jackson di chiamarla con quello stupido nomignolo, che fece digrignare i denti alla Black. Lei e i Weasley, seguiti da Lee Jordan, rimasero a ridere per un po', chiacchierando, finché Draco non si schiarì la voce. Si alzò, spolverandosi i vestiti, quindi si allontanò con aria di sufficienza, tenendo la mano leggera, lungo il fianco. Kaitlyn salutò i ragazzi più grandi e strinse la mano di Malfoy, sapendo che quel gesto gli avrebbe fatto tornare il buon umore.
E così fu.
I due si cercarono uno scompartimento tutto per loro, ma non lo trovarono, perché in ognuno c'era già almeno una persona. Quindi decisero di accettare l'offerta di un amico di Draco e mettersi vicino a lui. Blaise Zabini era un ragazzo di colore, poco più alto di Malfoy, dagli zigomi pronunciati e gli occhi dolci. Ovviamente, come tutti i conoscenti del biondino, anche Blaise era un Purosangue. Che sorpresa!, pensò ironicamente Kaitlyn, il volto appoggiato sulle mani, guardando fuori dal finestrino. Zabini scoccò una sguardo all’amico biondo, indicandola con la testa e mimando con la bocca “E’ lei?”. Draco annuì.
Kait immaginò il perché della domanda e sospirò, rispondendo mentalmente che sì, era lei. La figlia del pluri-omicida Sirius Black. Quello che non sapeva era che, in realtà, Blaise voleva sapere se fosse lei la bambina di cui Malfoy parlava spesso e da cui sembrava tanto preso.
Con un sospiro rassegnato, Kaitlyn si perse a pensare ai suoi genitori, che entrambi erano stati ad Hogwarts.

"Sono Godric Grifondoro e ti aspetto... Nella mia Casa."

Era incredibile come semplici parole le infondessero coraggio. Cavolo, Godric! Come poteva essere così fortunata? Poter vedere i Fondatori, parlarci... era qualcosa di troppo grande da immaginare, eppure lei lo faceva, ogni giorno. Aveva avuto, per motivi a lei sconosciuti, il diritto di averli con sé. Una fortuna del genere non si era mai vista.
Kaitlyn si riscosse da quei pensieri, quando Draco saltò su dal sedile.
"Non è possibile! Davvero? Kait, andiamo!" e la prese per un braccio, uscendo dallo scompartimento, accompagnato da due bestioni, Tiger e Goyle. Questi due fissavano l'undicenne affascinati, - era davvero carina - ma un'occhiata di Malfoy bastò a farli arretrare. I quattro corsero lungo il treno, ignorando le proteste di un ragazzo dai capelli rossi e la spilla da prefetto. Percy?, pensò Kaitlyn confusa, ricordando che il cugino le aveva detto della sua "promozione" e di chiedergli di qualsiasi cosa avesse bisogno. Ignorò il parente e seguì Draco e le due "guardie del corpo". Senza bussare sulla porta dello scompartimento, il biondo entrò, con Tiger e Goyle alle spalle. Kait rimase dietro, dove poteva vedere gli undicenni sconosciuti, rimanendo però nascosta dal corpo di Tiger. La Black vide il lontano cugino Ron e decise che sarebbe intervenuta, se le cose si fossero messe male. L’espressione di Draco, infatti, non preannunciava nulla di buono.
"E' vero?" chiese il biondo. "Per tutto il treno vanno dicendo che Harry Potter si trova in questo scompartimento. Sei tu?" domandò ancora. Kaitlyn si bloccò e guardò il ragazzino con gli occhiali, confusa. Lui? Harry Potter?
Draco si riscosse allo sguardo indagatore che il moro rivolse ai due bestioni e li presentò svogliatamente.
"E io mi chiamo Malfoy. Draco Malfoy."
Poi il biondino se la prese con il povero Weasley, a cui faceva ridere il nome del Purosangue. Ne seguì una pesante frase di derisione da parte di Malfoy, che fece diventare Ron rosso fino alle orecchie e che fece irrigidire Kait, che si preparava ad intervenire. Non ce ne fu bisogno, però, perché Draco aveva ricominciato a parlare, stavolta con il il Bambino-Che-E'-Sopravvissuto. Kait smise per un attimo di guardare il cugino e rivolse un'occhiata a Potter. Tutto, di lui, la affascinava, a partire dagli occhi di uno splendido verde.
"Scoprirai che alcune famiglie di maghi sono migliori di altre, Potter. Non vorrai fare amicizia con le persone sbagliate. Posso aiutarti io," disse Draco, tendendo la mano destra. Purtroppo, o forse per fortuna, Harry rifiutò. Fu abbastanza coraggioso per negare la mano di Draco, abbastanza idiota da sfidarlo, guardandolo negli occhi e abbastanza intelligente da indietreggiare, una volta notato il cipiglio cattivo sul volto di Tiger e Goyle. Questo fu ciò che Kait ebbe bisogno di vedere, per schierarsi dalla parte di Potter. Fu qualcosa di... istintivo.
Sì, istintivamente Kaitlyn decise che lui, il Bambino-Che-E'-Sopravvissuto, sarebbe diventato suo amico. E i Black ottenevano sempre ciò che desideravano.
Draco sembrava pronto a prendere a botte Harry, così lei si mise in mezzo, facendosi vedere per la prima volta e posando una mano sul torace del cugino. Lo guardò e, come se ne fosse stregato, il Purosangue abbandonò ogni tipo di lotta.
Un minuto dopo Malfoy e i suoi scagnozzi erano tornati nel loro scompartimento, seguiti da Kaitlyn. La piccola Black entrò nello scompartimento di Blaise, ma una volta accomodata accanto al ragazzo, si sentì fuori posto. Come se non avesse dovuto stare lì con loro, a chiacchierare e ridere allegramente. O meglio, a sparlare e ridere degli altri. 
Già, quello non era il suo posto. Kait lo aveva appena capito e la verità di quel pensiero la fece sentire malissimo, come se un macigno le si fosse depositato sul petto. Diede un bacio sulla guancia al cugino, scompigliò i capelli di Zabini e trotterellò per il treno. Saltellava e si muoveva a ritmo di una musica che solo lei sentiva. Kait arrivò allo scompartimento di Potter e Weasley, scansò una ragazzina bassa e riccia che stava uscendo, con l'espressione più "superiore" che la Black avesse mai visto, quindi si affacciò dalla porta, appoggiandosi allo stipite ed incrociando le braccia. Allungò alcuni ciuffi di capelli, in modo che le ricadessero  di poco sugli occhi, poi fece un sorriso mozzafiato e si schiarì la voce. Immediatamente i due undicenni, che non si erano accorti del suo arrivo, si voltarono e la fissarono con occhi sgranati. Il primo a riprendersi fu Ron, che le sorrise e la salutò. 
Dopo una breve occhiata al cugino, Kaitlyn si avvicinò a Potter - che non le levava gli occhi di dosso - e si presentò. "Sono Helena Kaitlyn Black. Chiamami Kaitlyn, o Kait."
“Harry James Potter.”
Il ragazzino la guardò dubbioso, quando Kait non ebbe alcuna reazione al suo nome. “E’... strano. Mi ero quasi abituato al fatto che tutti sapessero di me.”
La Black sorrise, capendo al volo ciò che intendeva.
“Si beh,” rispose “non mi piacciono le persone che credono di conoscermi solo perché sanno il mio nome.”
La purosangue sorrise e Harry la imitò, fissandola come fosse la ragazza più bella del mondo. 
E lo era, ai suoi occhi.

(CONTINUA...)





Bene bene bene. Che ne dite? Harry sembra stregato da Kait, ma lei ricambierà? E soprattutto, quanto ci metterà ad accorgersene?
E in che Casa andrà? Ciò che Godric le ha detto si avvererà?
Lo saprete con il tempo! XD

Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui. Non ce la farei senza di voi!

S

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Capitolo 17
*** Primo settembre - parte 2 ***


Okay, lo so che ho postato soltanto ieri, ma il capitolo era lì, a guardarmi, e non sono riuscita a resistere! Anche perché sono mooooooooolto felice! La prima versione dell'ultima Black, in 32 capitoli, aveva avuto 52 recensioni (il ché significa che ho fatto moooolto bene a riscriverla completamente!). Attualmente, per 16 capitoli, ne ho 50 (mamma mia, sono super felice *v* ) quindi ne mancano 3 a superare lo scorso risultato. Ad ogni modo, già il fatto che io sia qui a postare mi rende felice, quindi...

GRAZIE

davvero, grazie a chiunque mi abbia recensito e chi lo farà, grazie a chi mi segue silenziosamente e, soprattutto, a chi è pronto a commentare ogni mia minchiat... ogni mio capitolo ( XD )

Grazie di cuore, davvero. Non ce la farei senza di voi <3

 

Ecco qui, dunque, il nuovo capitolo (è un po' lungo, scusate)

 


 

Primo Settembre - parte 2

 

Kaitlyn si guardò con interesse le unghie smaltate, ascoltando Ron ed Harry chiacchierare sulla Casa in cui sarebbero stati Smistati. Non se la sentì di rivelare ciò che le aveva detto Godric, perché non voleva che la prendessero per pazza, o qualcosa del genere. Quindi quando Harry le domandò dove, secondo lei, sarebbe stata smistata, la dodicenne rispose in modo vago. Alla fine, per lei era abbastanza uguale. O no?
Poi si perse nei ricordi di ciò che i Fondatori le avevano detto.
“Tutto bene, Kait?” chiese Harry titubante, sperando di non sembrare troppo curioso. Non voleva certo inimicarsi qualcun altro il primo giorno di scuola! Kay continuò a guardare le sue stesse scarpe, il ché fece capire al ragazzo di dover ripetere la domanda, perché lei non l’aveva sentita. “Kaitlyn, tutto bene?”
La ragazza rimase in silenzio, persa nei suoi pensieri. “Helena!” quasi gridò Potter, sobbalzando al gesto fulmineo della nuova conoscenza, che gli afferrò il mento con due dita e lo avvicinò al suo. “Non. Chiamarmi. Helena,” sibilò minacciosamente, ritraendosi subito dopo e rimettendosi composta sul sedile. Dopo quell’episodio, Harry non osò più chiamarla in quel modo, ma si sforzò comunque di rendere la ragazzina partecipe alle conversazioni con Ron. "Allora... Com’è la tua famiglia?" domandò mordendosi il labbro, non sapendo di aver toccato l’argomento di cui lei parlava meno volentieri. "Sono una Purosangue, quindi non ho parenti Babbani,“ spiegò la dodicenne con tono calmo, controllato e totalmente piatto. Freddo, quasi. “Ma tutta la mia famiglia è morta, a parte mio padre, che è in prigione. Vivo con il mio padrino, che non è... completamente puro, diciamo così."
Harry si sentì estremamente solidale nei confronti della nuova conoscenza, così decise di diventare suo amico. Lei sembrava a posto e, in ogni caso, Potter dubitava di poterci fare qualcosa; ne era stregato.
Il resto del tragitto verso Hogwarts passò in breve tempo.

Purtroppo, Draco Malfoy non riusciva ad accettare che sua cugina, la sua amica, la sua confidente, fosse accanto a Weasley - troppo povero perfino per guardarla - e Potter - talmente "importante" da poter rifiutare lui, il grande, unico, figlio della magnifica casata dei Malfoy. Quindi il futuro Serpeverde si accostò a Kait, appena avvicinatasi ad una barca per andare ad Hogwarts, la prese per mano e la portò con sé, lontano da cattive influenze.
Mezzosangue e Traditori che fossero.
Poi, con l'umore nuovamente buono e con gli occhi che brillavano, come se stesse mostrando il suo gioiello più prezioso, mise una mano sul braccio esile della parente e la presentò ai suoi amici Purosangue.


Entrarono in Sala Grande poco tempo dopo. I nuovi arrivati si posizionarono di fronte alla professoressa McGrannitt, che teneva in mano un cappello, un cappello... parlante. Kait sorrise, guardando Godric indicarle il copricapo e gesticolando con le mani, spiegandole a grandi linee quando e come l’aveva munito di cervello. Il Fondatore sostava accanto alla vicepreside, invisibile a tutti tranne che alla Black. Questa fece un sorriso ancora più ampio all’uomo, che la incitava con entrambi i pollici delle mani alzati; una ragazza - completamente insignificante,  con tutte le probabilità una mezzosangue - la fissò male.
Una semplice occhiata da parte di Draco bastò a far arretrare la sconosciuta.
Pochi secondi dopo lo Smistamento cominciò e Kaitlyn si rassegnò ad aspettarne la fine, per potervi prendere parte. Come le aveva spiegato Priscilla, infatti, lei sarebbe stata presentata all’intera scuola al termine di tutto, quando avrebbe anche scelto la Casa in cui stare. Essere l’Unità poteva risultare vantaggioso.
Kait assistette in silenzio alla selezione che il cappello stava facendo, sorridendo ogni volta che qualcuno la guardava.
Alla fine, dopo che Blaise Zabini fu smistato a Serpeverde, Kaitlyn avanzò fino allo sgabello, posto accanto alla McGrannitt. Non si sedette, ma afferrò con una mano il Cappello Parlante.
“Questo,” disse la Black con tono calmo, la voce amplificata grazie ad un incantesimo di Silente. “Questo fu il cappello di Godric Grifondoro, molto tempo fa. Come sapete, Godric e gli altri tre Fondatori, - Salazar, Priscilla e Tosca - crearono questa scuola dal nulla. Un tempo questa non era niente di più che semplice terra e roccia. I Fondatori erano i migliori maghi e streghe di quell’epoca e quando decisero di unirsi crearono Hogwarts, dove accolsero giovani talenti di tutto il mondo. Come sapete di certo tutti, i quattro avevano particolari abilità e predisposizioni, su cui basarono i loro criteri di divisione. I giovani ambiziosi, pieni di astuzia e di determinazione erano ben accolti da Salazar, il quale prediligeva i purosangue.”
L’intera scuola la ascoltava rapita; alle sue ultime parole la tavolata dei Serpeverde scoppiò in un applauso fiero. Salazar si fece improvvisamente quasi-corporeo, - ovvero di consistenza simile ad un fantasma - così da farsi vedere da tutti. Le mise la mano sulla spalla e ghignò, per poi scomparire. “Tra i quattro, era il più schivo.”
 Dopo aver atteso la fine degli schiamazzi degli alunni, Kait continuò.
“Godric apprezzava il senso di giustizia, il rispetto, il coraggio e una certa...” La Black si fermò poco prima di dire “indisciplina”. Sorrise sostituendo il termine, che era sicura avrebbe fatto irritare il Fondatore, con uno diverso, che rispecchiava un altro lato del carattere di Godric. “Una certa... impulsività.”
I Grifondoro applaudirono, mentre l’uomo di cui portavano il nome si faceva vedere e scompariva subito dopo, con un occhiolino. La sua Casa scoppiò in un boato e ci volle parecchio tempo per calmare i Grifoni, da sempre i più caotici. “Tra i quattro, era il più audace.”
“Priscilla voleva, nella sua Casa, le persone piene di intelletto, sagge, che usavano la logica e non si facevano distrarre. Tra i quattro, era la più severa.”
La donna comparve, dandole un piccolo scappellotto per la smorfia che aveva appena fatto, quindi si lasciò andare in un inchino e scomparve; i Corvonero alzarono i bicchieri, sorridendo e brindando alla loro Fondatrice.
“Tosca era la più buona di tutti. I cortesi, pazienti, tolleranti e perseveranti nel lavoro erano ben accetti in quella Casa... come anche tutti gli altri.”
Kait sorrise, venendo abbracciata da una dolce e commossa Tosca. I Tassorosso si alzarono in piedi, chi piangendo e chi con la mano sul cuore.
“Tra i quattro, lei era la più dolce.”
“Sapevano che qualcuno - o qualcosa, in questo caso - avrebbe dovuto smistare i ragazzi, una volta che i Fondatori fossero morti. Diedero, quindi, il potere di decidere al cappello di Grifondoro, che cominciò a svolgere il suo lavoro fin da subito.
Tutti conoscono la storia del litigio di Salazar e Godric, ma nessuno sa che Salazar tornò indietro dai suoi amici. Non era pentito, credeva ancora che bisognasse essere più... selettivi, però riuscì a mettere da parte le sue idee, per poter restare nel gruppo.”
Tutta la Sala guardava Kait rapita.
“Un giorno, a Hogwarts, arrivò un ragazzo di nome Jeremiah. Aveva undici anni e non vedeva l’ora di poter cominciare ad imparare. Jeremiah non sapeva di essere speciale; rimase con il cappello in testa per quarantacinque minuti. A quell’epoca non era una cerimonia pubblica, ma privata, solo i Fondatori assistevano. Cominciarono a dubitare della bravura del Cappello Parlante, che però si era rivelato ottimo per tutti gli altri giovani. Priscilla decise quindi che Jeremiah sarebbe stato esaminato da loro quattro in persona. Fu così che si trovarono di fronte a qualcosa che non avevano mai affrontato, nei tanti anni passati. L’undicenne era perfetto per ogni Casa. Era perseverante e leale, impulsivo, ambizioso ed aveva una logica di ferro. A che Casa assegnarlo, dunque?”
“Pensarono addirittura di creare una quinta Casa, ma poi capirono che era una cosa semplicemente assurda. A quel punto Priscilla ebbe un’idea: Jeremiah avrebbe scelto da solo la Casa a cui aggregarsi. Terrorizzato da quel “potere”, l’undicenne optò per la possibilità che meno lo spaventava e venne così accolto tra le file dei Tassorosso. Durante gli anni, però, Jeremiah cominciò ad avvicinarsi agli alunni delle altre Case, riuscendo a “stregare” tutti, rivelando ogni volta un lato diverso del carattere. Al suo sesto anno, l’essere costretto a stare solo con i suoi compagni di Casa rese Jeremiah sempre più difficile da gestire. Perdeva il controllo, mancava dal dormitorio per giorni e veniva trovato nelle Sale Comuni delle altre Case. Fu così che i Fondatori, che con il tempo si erano affezionati molto al ragazzo, gli permisero di cambiare dormitorio e trasferirsi ogni volta che desiderava. Tosca lo considerava come un figlio, come ormai facevano anche Salazar, Godric e Priscilla. Quando Jeremiah fece gli esami finali e uscì da Hogwarts, lasciò quindi un enorme vuoto nella scuola. Vuoto che fu riempito da un altro ragazzo, Baltazar, che pareva avere lo stesso problema di Jeremiah: nessuno sapeva dove smistarlo.”
“I Fondatori ci misero poco a capire che tutto ciò accadeva con ripetitività. Istituirono quindi il cosiddetto “Unità delle Case”, un alunno con le peculiarità dei quattro Fondatori. Solo in seguito scoprirono che poteva accadere anche alle femmine.”
Kait fece un respiro. Sentiva gli sguardi dei professori perforarle la schiena e quelli dei suoi compagni di scuola scrutarla in modo insistente da davanti.
“Con il tempo, i Fondatori capirono di poter scegliere il loro rappresentante cercando tra i bambini magici, quand’erano ancora piccoli. Un giorno Salazar trovò l’Unità perfetta in una bimba di tre anni, che però morì in seguito ad un incidente. Si chiamava Vivian e non meritava di certo la morte; fu così che i Fondatori, mettendo insieme i loro Poteri, la riportarono indietro, la riportarono al mondo dei vivi. Essa divenne una tradizione e così, da quel giorno, tutti gli Unità delle Case vennero salvati dai Fondatori, che fecero un potente incantesimo così che, pur essendo morti, le loro coscienze restassero sulla Terra. Un po’ come succede per i fantasmi, solo che i Fondatori possono decidere di mostrarsi a piacimento e solo l’Unità può parlarci direttamene, sebbene ormai non la trovino così spesso come prima. Ad ogni modo, il ruolo dell’Unità è stato modificato, con il tempo, fino a diventare un vero e proprio lavoro; l’alunno dovrà, infatti, aiutare quelli che si sentono fuori posto a Hogwarts e nella loro Casa. Inoltre dovrà cercare di mettere fine ai pregiudizi tra le Case, mettere fine alle discordie."
L’applauso fu talmente forte da far indietreggiare Kait, che si costrinse a continuare, mentre i Fondatori le comparivano accanto - visibili - e le mettevano le mani sulla spalle, due maghi per lato, per infonderle forza. Prese un respiro. Poi un altro e un altro ancora. Oh, Godric!, pensò la purosangue. Dammi coraggio!
Detto fatto, piccola, rispose lui.
“Il mio nome è Kaitlyn Black e sono l’Unità delle Case di questa generazione.”
La Sala scoppiò in un boato, gli applausi fecero tremare i tavoli e le urla spaventarono persino alcuni fantasmi. Tutti si alzarono, felici di avere l’Unità tra loro. Kait sorrise, ignorando la voglia di vomitare che le era presa.
Poi, rivolgendosi ai ragazzi e, soprattutto, agli insegnanti, Kaitlyn disse il nome della Casa in cui si sarebbe trasferita per il momento.

Dopo lo Smistamento, il disastroso Smistamento, per quanto riguardava Draco, tutti gli alunni del primo anno avrebbero dovuto seguire i rispettivi Prefetti. Due per ogni Casa. Il giovane Malfoy avrebbe tanto voluto parlare con la cugina; o meglio, avrebbe tanto voluto incazzarsi, con la cugina.
Una Grifondoro! Una stupida, inetta, rompiballe Grifondoro! Come aveva potuto fargli questo? Kait gli voleva bene, ma allora perché si era diretta al tavolo rosso-oro con il sorriso? E perché si era messa vicino a Potter e Weasley?
Perché, se aveva potuto scegliere, si era posizionata tra i Grifoni e non tra le Serpi? Perché, per Salazar, perché Kaitlyn non era vicino a lui? Perché Draco si ritrovava da solo, senza la sua adorata parente? Quella che aveva sempre considerato una sorella, o qualcosa del genere era... lontana. La vedeva lontana, dall'altra parte della Sala Grande, a mangiare e ridacchiare con i nuovi compagni. Senza degnarlo neanche di uno sguardo.
Malfoy non sapeva certo che, ogni qualvolta abbassava gli occhi dal volto della cugina, lei lo fissava, cercando di attirare la sua attenzione e, in un modo a lei ancora sconosciuto, consolarlo. Sembrava così triste... O meglio, non triste, ma... un misto tra arrabbiato e sofferente. Anche Kait, però, soffriva. Una delle poche persone che conosceva lì a Hogwarts, l'unico vero amico, sempre pronto a sostenerla, era dall'altra parte della Sala, in un altro tavolo, con altri colori e con altri compagni. Ma Kaitlyn non poteva farci nulla, aveva scelto con l’istinto e questo lo aveva portato a Grifondoro.
Il giovane Malfoy alzò gli occhi proprio in quel momento e gli sguardi dei due si incrociarono per qualche secondo. A Kait parve che l'intera Sala Grande fosse svanita; non sentiva più nulla, non vedeva altro che lui. Suo cugino, la sua fonte di sostentamento, l'unico della sua età - quasi - che riuscisse a capirla. Purtroppo il momento d'intesa, l'istante perfetto in cui si dimostravano l'un l'altra il proprio appoggio per la situazione spiacevole, venne interrotto. Harry Potter decise proprio in quel momento di rivolgere la parola a Kaitlyn; Draco assottigliò lo sguardo e la mandò mentalmente al diavolo, ignorandola per tutto il resto della cena, sebbene lei cercasse in tutti i modi di attirare la sua attenzione.
Poco tempo dopo andarono tutti nei propri dormitori e la giovane Black si allontanò dalla Sala Grande senza più guardare il cugino, che vide l'espressione offesa sul volto di lei e si adombrò. Forse, ma solo forse, aveva esagerato ad ignorarla così. Fu facile però, per Draco, dimenticare ciò che era successo, perché si distrasse da quei pensieri quando entrò nella sua nuova stanza, con un armadio e un letto a persona, qualcuno con anche il comodino. E la cosa più bella erano i colori dell'intera camera. Verde e Argento.
Dall'altra parte del castello, in un dormitorio Grifondoro, l'undicenne guardava ammirata la sua nuova stanza. "Ehi, ciao! Siamo compagne di stanza!" esclamò una ragazzina dall'aria saccente, la stessa che la Black aveva visto uscire dallo scompartimento del cugino Ron e di Harry Potter, sul treno. La giovane aveva i capelli castano chiaro, completamente aggrovigliati. Probabilmente, si disse Kait, sarebbe bastata una piccola magia per renderli bellissimi. La "saccente" aveva gli occhi scuri e, considerando il volto e il fisico, la Black pensò che la nuova compagna era del tutto insignificante. Non in senso cattivo, sia chiaro. Ma... be', non si poteva decisamente definire una bellezza! Aveva persino due denti assomiglianti a quelli di un castoro...  e poi, Kait ne era sicura, non era Purosangue. Questi ultimi si distinguevano, come le aveva spiegato la zia Narcissa, dall'eleganza e dalla postura. Mai e poi mai un purosangue si sarebbe mostrato scomposto di fronte ad altri.  La nuova arrivata si era distesa su un letto, il più vicino alla porta, senza nemmeno domandare se fosse davvero il suo posto quello.
"Mi chiamo Helena Kaitlyn Black. Piacere," esclamò attirando su di sé l'attenzione della riccia. "Hermione Jean Granger," rispose l'altra prendendo un libro e cominciando a... studiare?!
Kait si mise di fronte letto, ai cui piedi stava il baule dei Black. Aprì quest'ultimo e ci rovistò dentro, cercando il pigiama, costituito da dei pantaloncini corti blu, che le arrivavano a poco sopra la coscia e una maglietta bianca dalle maniche corte.
Non aveva freddo.
Senza badare alle chiacchiere insistenti delle sue compagne di stanza e ancor di più di quella "Hermione", Kait si mise a letto.
Nello stesso momento, ognuno pensando all’altro, Draco e Kaitlyn si addormentarono.
Nello stesso momento, ringraziando tutte le divinità che conosceva per essere lì, Harry chiuse gli occhi e si lasciò andare in un sonno ristoratore, mentre l’immagine della sua compagna di Casa Kait compariva nella sua mente.
Un sorriso si fece strada sul suo volto.








Lo so, lo Smistamento non ve lo immaginavate così, vero? Il fatto è che ho cambiato idea all'ultimo minuto :)
Prossimo Capitolo: Da settembre in poi.

Mi lasciate un commentino? *v*
Alla prossima!
S

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Capitolo 18
*** Da settembre in poi ***


Allora... devo comincare una cosa, prima che leggiate. Nei prossimi capitoli (e in generale quelli riguardanti la scuola) saranno pieni di sbalzi temporali, così da non dover descrivere giorno per giorno. Okay? :) spero che non vi dispiaccia!

 


Da settembre in poi

 

Quella mattina di inizio settembre Kaitlyn si svegliò di buon umore; si alzò e fece una lunga e rilassante doccia, fino a ché una ragazza del suo dormitorio, una mezzosangue di nome Lavanda Brown, minacciò di buttare giù la porta se Kait non le avesse lasciato usare il bagno. Sorridendo malandrina, - sorriso che presto si trasformò in un vero e proprio ghigno - la Black aprì la porta ed uscì camminando lentamente, coperta solo da un asciugamano. Si avvicinò al suo armadio e ci guardò dentro. Rimase a bocca aperta quando, prendendo la divisa, notò il colore della cravatta; rimase talmente di stucco che non si accorse nemmeno delle urla di Lavanda, che la maledicevano perché aveva finito l'acqua calda. Per fortuna che le altre si erano già tutte lavate!
Hermione si avvicinò a Kait, incuriosita della sua immobilità. Fissò anche lei la cravatta e... quasi non ci credette.
Non esisteva il colore rosso-oro che caratterizzava da sempre i Grifondoro. Al suo posto c'era, e da quel giorno ci sarebbe sempre stato per tutta la durata del soggiorno di Kait ad Hogwarts, un mix di colori. Verde, rosso, blu e anche giallo, con ghirigori oro e argento. Così che tutti, nessuno escluso, ricordassero chi lei fosse in verità. Tutto ciò non piacque a Kait, che però non diede a vedere le sue emozioni, sentendosi osservata insistentemente da una delle sue compagne di dormitorio, Hermione, con cui aveva scambiato al massimo qualche parola, da quando si erano conosciute. Al massimo parlavano di compiti, dato che Kaitlyn eccelleva nello studio - era una Black e doveva mantenere alto il suo nome.
Hermione Granger, guardando l’Unità, seppe subito quando qualcosa andava storto. Fu così che, immediatamente, mandò fuori dalla stanza Lavanda, Calì e le altre. Non mancava molto all'inizio delle lezioni, perciò nessuna di loro si lamentò della poca educazione della riccia. Decidendo di aiutare la compagna, però, Herm aveva probabilmente condannato il suo stomaco al digiuno fino a pranzo, dato che era praticamente impossibile che riuscisse ad arrivare a colazione in tempo; nello stesso momento si era schierata dalla parte di Kaitlyn.
Che stessero diventando... amiche?
La Black indossò la divisa, sotto lo sguardo critico dell'altra Grifondoro. "Troppo magra." sussurrò fissando la pancia di Kait, da cui si vedevano chiaramente alcune costole. Allo sguardo dell'altra, la Granger si sentì in dovere di spiegare.
"Va bene essere magre, ma così è troppo!" ci pensò ancora qualche secondo su, ma allo sguardo di Kaitlyn si dovette bloccare. Ella scosse la testa, mimando un no, prima di scomparire dietro alla camicetta. Possibile che capitassero tutte a lei? Ora doveva fare i conti anche con dei colori da pugno in un occhio, oltre che a delle costole troppo in vista e a dei Mangiamorte che adoravano cercare di ucciderla.
Non ce la faceva più.
Con sguardo da cucciolo bastonato, Kait domandò a Hermione se fosse tanto grave saltare un giorno di scuola. Non l'avesse mai fatto! La Granger cominciò un lungo discorso sull'importanza dello studio, sulla serietà che i professori pretendevano e, una volta arrivate a colazione, sul digiuno a cui la Black costringeva il suo corpo.
Kait però non poteva farci niente: non aveva fame!
E comunque mica erano questi i suoi pensieri. Ciò che le premeva di più, mentre stava seduta al tavolo dei Grifondoro, era capire se prima o poi i compagni di scuola avrebbero smesso di fissarla così intensamente. Solo che lei non sapeva il vero motivo. Come notò Draco, seduto tra le Serpi, l'attenzione per la cugina non era suscitata solo dagli strani colori della divisa, ma dalla strana luce che circondava la ragazzina. Sembrava risplendere. I capelli le si erano schiariti, gli occhi grigi brillavano e le labbra erano lucide, come se avesse messo un lucida labbra. Le guance erano tinte di un delizioso rossore e il fisico mingherlino la faceva sembrare una bambola di porcellana.
Da dietro gli occhiali a mezzaluna, il preside Silente fissava con piacere l'ultima dei Black risplendere in tutta la sua bellezza. I Fondatori avevano fatto il loro dovere, rendendola una persona che... sì, ispirava fiducia. Ora toccava a Kait. Da quel momento i ragazzi e le ragazze chiesero a Kaitlyn un consiglio, un aiuto, un sostegno. Lei era l'Unità delle Case, dopotutto. Doveva aiutarli, in ogni cosa.

___

Kaitlyn camminava per i corridoi del sesto piano, insieme a cinque persone: un simpatico ragazzo di nome Lucas Walker appartenente ai Tassorosso e due fratelli Corvonero, - una quindicenne e uno tredicenne - Lya e Michael Johnson: poi un Serpeverde del secondo anno, David Accola e per finire un Grifondoro come lei, un certo Seamus Finnigan. Molti ragazzi, al loro passaggio, si erano chiesti come avessero fatto a finire vicino a Kait, l’Unità delle Case, la ragazza di cui si parlava di più, a Hogwarts.

Kaitlyn non sapeva come spiegarlo: stava girovagando da sola per la scuola, quando il primo, ovvero la Serpe, le si era avvicinato, presentandosi. La sua mossa era stata logica, tra Purosangue era meglio conoscersi tutti. Poi però si erano aggiunti i due fratelli, che le avevano domandato se fosse lei la figlia della Gilbert - "una delle Corvonero più importanti mai esistite, l’inventrice * della Pozione Anti-Lupo", come dissero loro. Il Tassorosso era stato quasi trascinato a forza nel gruppo da Seamus, che non aveva capito la lezione di Incantesimi di qualche tempo prima. Aveva fatto esplodere la piuma!
Così Kait si ritrovò circondata.
Fu incredibile, perché un gruppo così stranamente assortito non si era mai visto.

___

Kaitlyn e Harry avevano appena finito i compiti di Trasfigurazione per l'ora dopo. Se ne erano completamente dimenticati, la sera prima, e solo un intervento tempestivo di Hermione ("Kait, hai trovato difficile l'esercizio di Trasfigurazione? Secondo me era abbastanza facile, l'ho fatto in..."), aveva salvato i due Grifoni. Così, durante un'ora buca dopo pranzo, Potter e Black avevano terminato il lavoro.
I due amici corsero in classe e si sedettero vicini, lasciando Ron con un ragazzino di nome Seamus, della loro stessa Casa. La lezione quindi passò, con lentezza esasperante ovviamente, ma passò. Ronald continuava a lanciare strani sguardi verso Harry e Kait, quasi... geloso. Purtroppo per lui e per fortuna di Kaitlyn, il Bambino-Che-E'-Sopravvissuto non era di proprietà di Weasley. Hermione invece, la piccola saputella vicina di letto della Black, era rimasta tutto il tempo con la mano alzata, pronta a rispondere a qualsiasi domanda.
Un po' snervante, effettivamente.
L'ora di Trasfigurazione passò e quella giornata scivolò via in fretta.

Harry Potter era entrato nella squadra di Quidditch, come Cercatore e quel pomeriggio c'erano gli allenamenti. Kaitlyn decise di assistere, stando sugli spalti, i capelli sciolti al vento. Giocava piuttosto bene a Quidditch e la McGrannitt le aveva proposto di entrare in squadra; la giovane Black aveva però rifiutato. Preferiva fare il tifo, diventando quella che Hermione aveva definito... Cheerle...no... Chee...Cheerleader? Kait non si ricordava bene in che modo la conoscente l'avesse chiamata e non le interessava nemmeno: termini babbani! Chi se ne frega! Lei, come le aveva detto mille volte Draco, non si doveva mischiare con i Sangue Sporco, Mezzosangue o Babbani. Essendo una Purosangue, la Black non poteva nemmeno rivolgere la parola alle persone a lei inferiori.
Ma Kait era la figlia di Sirius e Gillian, non era una Purosangue normale. Lei era diversa.
L'allenamento trascorse senza problemi, nessuno si fece male e l'esercitazione per una tattica di gioco venne proprio bene. Baston, il capitano della squadra, era raggiante: Harry era il miglior Cercatore da un sacco di tempo, forse persino da quando giocava Charlie Weasley.
Potter il Cercatore. Come suo padre, d'altronde.
La Black glielo volle far notare, quindi prese il ragazzo per un braccio e lo trascinò in Sala Trofei, assieme a Ron e Hermione, che seguiva l’Unità come un’ombra.
"Ce l'hai nel sangue," sussurrò Kait, mentre l'amico s'incupiva. Gli strinse la mano e Harry alzò immediatamente lo sguardo, incontrando gli occhi grigi della ragazzina. Kaitlyn ebbe il forte impulso di toccare il viso di Harry, accarezzargli una guancia, ma non si mosse.
I due non capirono bene quando Ron e Hermione si allontanarono, forse dopo aver visto la loro intesa, o forse dopo essersi stufati di guardarli. E i due non capirono nemmeno che qualcuno li spiava. Non si accorsero di nulla.
Potter e Black rimasero qualche tempo ancora a fissarsi, in silenzio, poi Harry si schiarì la voce e Kaitlyn immediatamente si allontanò di un passo. "Ah... Io... Andiamo in Sala Comune."
Si diressero verso il quadro della Signora Grassa, uno accanto all'altro, le mani che quasi si sfioravano. Erano amici, solamente amici. Ah ah! Certo, come no!
I due dissero la parola d'ordine e entrarono nella loro Sala Comune; il quadro si richiuse e “la spia” fu lasciata sola.
Draco sbuffò e si allontanò a grandi passi, arrabbiato. Arrabbiato con Kait, che da stupida si faceva abbindolare da quei Grifondoro, con Kait che si mischiava ai Sangue Sporco, ai Mezzosangue e ai Traditori, arrabbiato con Kait, che era vicino a Potter e non a lui.
Era infuriato.
Corse verso i Sotterranei, disse la parola d'ordine ed entrò nella sua Sala Comune. Non degnò di uno sguardo i Serpeverde del suo anno seduti sui divani a parlare, salì subito nel suo Dormitorio e si tuffò sul suo letto, a pancia in giù. Ficcò la testa sotto il cuscino e mormorò qualche imprecazione.
"Brutta cosa la gelosia," disse Blaise ridendo ed appoggiandosi sul muro vicino a Draco. Per tutta risposta il biondo gli lanciò il cuscino, borbottando qualcosa che assomigliava molto a "Io non sono geloso!", che lo fece sembrare ancor più "colpevole".
"No, non lo sei, certo che no! Perché allora non vieni a cena con noi?" continuò Zabini, indicando anche Nott, Tyler e Goyle. Gli ultimi due non stavano capendo niente, mentre Theodore stava saccentemente in silenzio. "In Sala Grande... con tua cugina e Potter seduti vicini al tavolo dei Grifondoro..." mormorò ancora Blaise. Il giovane Malfoy fece una smorfia e abbassò il capo, negando l'offerta.
"Appunto... Brutta cosa la gelosia."
E Draco non seppe ribattere.













*essendo Gillian Gilbert un personaggio da me inventato, non è assolutamente vero che ha inventato la Pozione Anti-Lupo, ma a me piaceva l'idea, dato che Remus è un licantropo ed è  il suo migliore amico.

Allora, che ne pensate? La scuola è cominciata, per i nostri maghetti. Cosa succederà?

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Capitolo 19
*** Autunno ***


Autunno


Era una bella giornata autunnale e tutti gli studenti si godevano quei momenti di relax, distesi al sole tiepido o appoggiati all'ombra di qualche albero, al parco. Altri invece leggevano tranquilli sulla riva del Lago Nero, mentre c’era chi rideva e chiacchierava, passeggiando ai confini della Foresta Proibita. Quasi tutti gli studenti erano fuori dal castello. L'aria cominciava ad essere fredda, ma al sole si stava davvero bene. Anche Kaitlyn lo pensava, dato che camminava lungo il parco assolato in cerca di un posto dove sedersi. L'unico problema era che non riusciva a stare da sola. Cioè, appena gli studenti la notavano le facevano cenno di avvicinarsi, anche se non si conoscevano. La maggior parte delle volte, la ragazzina rifiutava con un sorriso.
C'era, in quel dannatissimo castello, qualcuno che si facesse gli affari suoi?, si domandò Kait alla centesima richiesta.
Camminò ancora un po', fino a ché non decise di entrare nella scuola. Salutò quelli del suo anno, che la fissavano sorridendo, poi entrò nel castello. Cavolo, nessuno la lasciava in pace fuori, ma magari dentro...
Hermione sedeva al tavolo dei Grifondoro, da sola, in compagnia di un libro di più di cinquecento pagine. Una lettura leggera. Ah ah, certo, come no. La giovane si stava gustando quelle pagine come fossero la cosa più bella e importante al mondo, come se non ci fosse nulla di più speciale. Kait stava pensando di cambiare nuovamente strada per non incrociare la Grifondoro, ma proprio mentre si stava girando e si stava allontanando, notò l’aura di tranquillità che aleggiava attorno alla compagna. La Black fissò Hermione con interesse, poi sorrise e le si avvicinò, sedendole di fronte e prendendole una penna, la boccetta dell’inchiostro e una pergamena. La Granger la fissò, stralunata.
“Me li presti? Quando torniamo alla Torre ti ridò tutto,” disse Kait lanciandole un’occhiata e cominciando a scrivere. La curiosità della Grifondoro ebbe la meglio, così Hermione si sporse verso la compagna e le domandò cosa stesse scrivendo. “Mi porto avanti con i compiti.”
“Ma come, senza libri? Senza andare in biblioteca, senza avere accanto gli appunti...”
“Sì, Herm, - posso chiamarti così, vero? - io non uso i libri, non per una materia come Storia della Magia!”
La Nata-Babbana la fissò confusa. “E perché?”
“Perché mi basta chiedere ai Fondatori! Non ho bisogno degli appunti per sapere che Uric Testamatta fu un mago del medioevo, particolarmente eccentrico...”
Hermione le fece cenno di continuare, affascinata.
“Che aveva gli occhi azzurri e i capelli bianchi...” Herm la incitò a procedere. “Che fu un Corvonero...”
“Questo il libro non lo dice!”
“Ma Priscilla sì! Per la cronaca, è molto delusa, sai? Ti voleva nella sua Casa.”
La Granger arrossì vistosamente, poi fissò la compagna con una strana espressione.
Scosse la testa e sorrise, sentendosi bene come poche volte prima di allora. Stettero insieme tutto il pomeriggio e a lezione si misero l’una accanto all’altra.
A sera inoltrata, mentre Lavanda e Calì si preparavano per andare a dormire, Kait e Hermione entrarono nel dormitorio, ridendo.
“Allora,” esclamò la Black “ti va se continuiamo anche domani?”
La giovane Nata-Babbana non se lo aspettava, così la fissò incredula, mentre Kay allungava una mano verso di lei.
Kait sentiva su di sé lo sguardo dei Fondatori. "Si mischia ai Mezzosangue?" sussurrò incredulo Salazar, prima di arrabbiarsi seriamente, ferito quasi nel profondo. "E brava Helena!" disse invece Godric, sparendo subito dopo, insieme all’amico. La Granger non li poteva vedere...
Fu a quel punto, che Kait capì. Capì di essere diversa dalla sua famiglia, capì di essere come suo padre Sirius - come lei credeva che fosse - o addirittura meglio. Capì che avere un sangue diverso non voleva dire niente.
Quindi sostenne lo sguardo sorpreso di Hermione, che accettò la stretta di mano e sorrise. Quel sorriso perfettamente sbilenco: denti troppo grandi e labbra screpolate dal freddo. Eppure era il miglior sorriso che Kaitlyn avesse mai visto. Dopo quello di Harry, certo. Ma questa è un'altra storia, si disse la Black mentre arrossiva.
Le due ragazzine andarono a dormire, rilassate come non mai.
E chissà, un giorno sarebbero persino potute diventare amiche, forse addirittura migliori amiche.
Non sapevano che, poco tempo dopo, un Troll le avrebbe unite più che mai.
___


Quasi nessuno riusciva a distinguere i gemelli Weasley. Nemmeno Molly, la loro madre. Gli unici a sapere sempre chi era uno e chi era l'altro, erano Silente (no, dai, c'è mai qualcosa che gli sfugge?) e Kait. Lei non sapeva perché, ma vedeva la differenza di un ragazzo rispetto all'altro; forse perché lei stessa, quando la gemella era ancora in vita, giocava a scambiarsi con Hannah. Fu per questo che Fred e George la presero subito in simpatia. Non che l'avessero mai trattata male, certo. Però la situazione era diversa, dato che non erano più a casa, ma bensì a Hogwarts, dove avevano una reputazione da difendere. In ogni caso, quel giorno di metà settembre i tre camminavano tranquilli, a braccetto, l'undicenne al centro e i due ragazzi accanto, uno per lato. I gemelli avevano promesso a Kait di aiutarla e così stavano facendo. Avrebbero spiegato (e fatto vedere) come mandare una lettera alla famiglia, - se così quella di Kaitlyn poteva definirsi - le avrebbero insegnato a usare i gufi della scuola. Non erano dei veri e propri angeli? Angeli dai capelli rossi, angeli identici che si scambiavano spesso identità per confondere la gente, angeli che avevano appena fatto saltare un bagno, mandando il water a casa, come ricordo. Povera zia Molly, pensò Kait sorridendo. Come si faceva con due così?
I tre imboccarono un corridoio, poi i gemelli corsero giù dalle scale, che Kait percorreva un gradino alla volta. Proprio quando stava per mettere il piede giù dall’ultimo gradino della scala, questa si mosse e per poco la piccola non cadde nel vuoto. Ci pensarono due forti braccia che, prendendola per la vita sottile, la trattennero dal pericoloso volo che altrimenti Kaitlyn avrebbe fatto. Respirando a pieni polmoni, sotto lo sguardo preoccupato e al tempo stesso divertito dei gemelli Weasley, Kait si voltò verso il ragazzo che la teneva.  
“Alle Scale piace cambiare,“ sussurrò questo, rosso in viso. Molto lentamente mollò l’undicenne, che scese l’ultimo gradino, dato che la scala si era di nuovo fermata. Poi il ragazzo, che Kaitlyn riconobbe come un Tassorosso senza nemmeno dovergli guardare la divisa, la salutò e se ne andò, camminando come se sapesse di essere ammirato. George le si avvicinò, domandando intanto al fratello cosa ci facesse Diggory lì.
Appena Kait si fu ripresa dallo spavento, - e da Cedric - i tre ricominciarono a correre, mentre la Black si guardava attorno, per niente sicura del suo senso dell’orientamento. Per fortuna, però, quello dei gemelli era ottimo, quindi in pochi minuti arrivarono alla Guferia, cambiando strada per non incrociare Pix o Gazza.
"Come fate a sapere come evitare gli scocciatori?" domandò Kaitlyn prendendo fiato dopo la corsa. “Abitudine,” rispose Fred, guardando in direzione del fratello, un sorriso malandrino sulle labbra.
Pochi minuti dopo Kait si fece aiutare ad agguantare un gufo e gli allacciarono la pergamena piena di scritte alla zampa.
"Caro zio, indovina? Ho una sciarpa Rosso-Oro al collo! Non hai idea di quanto io sia felice! Beh... quasi del tutto, dato che Draco è invece a Serpeverde. Infondo, però, credo sia il posto migliore per lui... Abbiamo già litigato, ci credi? Comunque ho incontrato sul treno una persona che non avrei mai creduto di conoscere! Harry, Harry Potter! Ci credi? Anche lui a Grifondoro!
Adesso devo andare,
ti voglio bene.

H.K.B."

Poi guardarono volare il gufo sempre più lontano.
___

Quel giorno Harry e Kait erano stati quasi tutto il tempo vicini. A lezione avevano condiviso il banco, a pranzo e a colazione erano rimasti l'uno accanto all'altra, Kaitlyn era andata a vedere gli allenamenti di Quidditch dell'amico e avevano fatto i compiti insieme, gomito contro gomito.
Ed erano pure entrambi in punizione.
Infatti, quando il professor Piton aveva, secondo loro ingiustamente, sgridato Harry e questo aveva osato rispondere, Potter era stato messo in punizione. E la Black aveva fatto di tutto - incendiare il calderone di una Serpeverde di nome Millicent, fare boccacce dietro le spalle dell'insegnante, far levitare la cattedra con l'incanto Wingardium Leviosa (tra l'altro venuto benissimo, si sarebbe meritata una E in Incantesimi) - e alla fine era stata messa in punizione con l'amico.
Fortunatamente, rappresentando tutte le Case, a Kait non si poté sottrarre punti. E per questo la ragazzina si riempì di soddisfazione. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, ogni peggior cavolata e comunque non avrebbe messo nei casini la sua Casa. Certo, avrebbe potuto prendere una punizione, come quella che Piton le aveva appena affibbiato. Ma Kait ne era felice, tremendamente felice. Sarebbe stata con Harry! L'espressione di beatitudine sul volto della piccola undicenne suscitava molta rabbia in Severus Piton, che riconosceva James Potter nel giovane Grifondoro dagli occhi verdi che aveva di fronte e, in modo più sottile ma altrettanto forte e impetuoso, Sirius Black nella figlia. Ella, dagli occhi grigi - come ogni Black che si rispetti - e i capelli neri, lunghi e mossi, era di una somiglianza incredibile con suo padre e, un po' meno, con la madre.
Severus aveva conosciuto la madre di Kait quando frequentavano entrambi Hogwarts. Lei era stata l'unica, tra le amiche della Evans, a (quasi) approvare l'amicizia con un Serpeverde.
Svegliandosi da quei pensieri, si voltò e con stizza annunciò una verifica a sorpresa.
Fu uno dei giorni peggiori dell'anno, per Piton, soprattutto perché, alla fine dell'ora, Potter e Black si avviarono con tranquillità fuori dall'aula. Per un secondo, un breve istante, il professore rivide due dei Grifondoro che in passato gli avevano rovinato l'esistenza; un momento dopo i due undicenni gli rivolsero un cenno di saluto, prima di allontanarsi dall'aula, il sorriso sulle labbra.
Un sorriso... malandrino.
Le mani intrecciate tra loro, lo sguardo divertito e il passo quasi sincronizzato, Harry e Kait si avviarono verso la loro Sala Comune. Come entrambi si erano prefissati, erano diventati amici. E col tempo, crescendo, i due sarebbero diventati qualcosa di più, da amici a migliori amici, a prima cotta e fidanzati. La prima unione, il loro primo bacio, la loro prima volta: il Bambino-Che-E'-Sopravvissuto e l'Unità delle Case, sarebbero sempre stati insieme.
Più o meno.

Così, mano nella mano, i due camminavano per il castello, incuranti delle occhiate curiose che suscitavano. Dopotutto, pensava Kaitlyn sorridendo, siamo solo amici! E Harry, immaginando cosa stesse pensando la compagna, sospirò silenziosamente e si costrinse a sorridere, sapendo che per lui Kait valeva molto di più.










Le informazione che Kait fornisce a Hermione sono vere :)

Ed ecco i legami tra loro farsi sempre più forti... Hermione e Kait sono amiche e Harry... beh, Harry sta cercando di capire ciò che prova.
Il prossimo capitolo sarà -> Novembre.
=D
Alla prossima! =D

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Capitolo 20
*** Novembre ***


Novembre


Kait e Harry camminavano fianco a fianco, mentre Hermione e Ron li seguivano a pochi passi di distanza. Era passato poco meno di un mese dal piccolo “incidente” con il troll di montagna che aveva quasi ucciso la Granger - e non solo lei, considerato che, per cercare di proteggerla, Kait si era messa davanti al troll, a saltellare e cercare di distrarlo. Inutile dire che Harry aveva quasi rischiato un infarto.
Era passato poco meno di un mese da quell’episodio, che li aveva visti diventare amici, e con il tempo erano divenuti inseparabili. Non era strano, perciò, vederli camminare in gruppo, tutti e quattro, Harry in testa.
Si stavano dirigendo verso la Torre Grifondoro, quando Kait si bloccò. In fondo al corridoio, che parlava con il preside, c’era Remus. Sembrava molto concentrato, come se non riuscisse a credere alle parole di Silente, il quale borbottava incessantemente. I quattro giovani cercarono invano di leggere il labiale e intuirono che il preside parlasse in quel modo - muovendo la bocca il meno possibile - appunto per non far capire cosa stesse dicendo. O forse Kait era soltanto un po' paranoica. Ma di cosa stavano discutendo?! A scuola la piccola Black andava bene, aveva il massimo dei voti in quasi tutte le materie! Certo, ce n’erano alcune che le venivano meglio e altre peggio, come Incantesimi (in cui era un asso), e dall'altra parte Erbologia (faceva bruciare o morire ogni pianta toccasse, chissà perché). Ma aveva comunque una media alta.
Forse era del suo comportamento che Silente voleva parlare con zio Rem. Effettivamente, lasciava un po' a desiderare. Soprattutto se si considerava la materia del professor Piton. Anche se, come si diceva spesso Kait, la "repulsione" per Piton ce l'aveva nel sangue, già da suo padre Sirius.
Solo quando Harry le strinse forte la mano e la guardò stranito, Kaitlyn si accorse di aver parlato a voce alta.
Sorrise ai suoi amici e disse loro che si sarebbero visti nella loro Sala Comune. Con la coda dell'occhio la Black vide il padrino e il preside fissarla, dall'altra parte del corridoio, mentre lei guardava andare via i compagni. Kaitlyn trotterellò verso i due adulti, sorridendo e ostentando una tranquillità che non provava affatto. "Buongiorno," mormorò, osservando compostamente Remus, il quale sembrava voler fare di tutto tranne che star fermo. Fu allora che Silente, con fare paterno, fece un gesto della mano e lasciò la bambina libera di abbracciare il padrino. O meglio, lasciò che Kait saltasse addosso a Remus, gridando di gioia e ridendo a crepapelle. La famigliola, quella pseudo-famigliola, ora era riunita ed era felice.
Quando Kaitlyn riemerse dall'incavo del collo del padrino e fissò con un sorriso malandrino il preside, quest'ultimo non poté far altro che scoppiare a ridere. Merlino!, pensò Silente da dietro gli occhiali a mezzaluna. Merlino, è proprio figlia di suo padre! Eppure, anche se lontanamente e in modo meno evidente, ricordava anche la madre. Fu così che il preside decise di lasciare un po' da soli i due, che si sedettero su un muretto di una finestra, dando la schiena al giardino. "Sei l'Unità delle Case, allora," cominciò Remus riacquistando serietà. Era, infatti, una cosa abbastanza brutta. L'inganno che i Fondatori facevano alla morte, salvando il ragazzino che sarebbe diventato loro complice, era sempre stato distruttivo. Perché in un modo o nell'altro, la Morte riusciva a riprendersi il bambino o la bambina che era sfuggito alla sua presa e non sempre era clemente, non sempre dava alla persona in questione una morte facile e indolore. Ma di certo Remus non voleva spaventare Kait! Quest'ultima annuì, sorridendo mestamente e pensando anch'essa alla "vendetta" della Morte che un giorno si sarebbe abbattuta su di lei. Almeno però era viva, no?
“Scusa se non te l’ho detto, è che avevo paura che avresti... Preso paura e...” sussurrò la Black abbassando lo sguardo, triste; nel giro di un secondo, il Mannaro aveva afferrato la dodicenne e l’aveva stretta a sé in un abbraccio confortevole. Dopo di ché i due rimasero a parlare per un po' di tempo.
"E così... sei amica del figlio di James, eh?" domandò Remus, tornato tranquillo. La figlioccia ci mise qualche secondo a capire che stava parlando di Harry, - sì, quell'Harry! - quindi si apprestò a rispondere, le guance rosse. "Ehm... sì..." mormorò a mezza voce. Al padrino bastò quel mezzo sussurro per capire che Harry Potter - sì, quell'Harry Potter! - almeno un po’ le piaceva. Preso da un'inaspettata felicità, sorrise, un sorriso buono e divertito, un sorriso carico di aspettativa, un sorriso... malandrino.

Quando Kaitlyn tornò nella sua Sala Comune, quella sera, e vide che Harry l'aveva aspettata lì tutto il tempo, che dopo ore di lotta contro di esso alla fine aveva ceduto al sonno, quando vide gli occhiali storti, schiacciati contro il cuscino, quando vide tutto questo, sorrise.
E appena il Grifondoro aprì gli occhi, svegliato dalle dolci e insicure carezze di Kait sui capelli e sul volto, appena i loro sguardi si incrociarono, i due arrossirono di colpo e, subito dopo, sorrisero.

Un sorriso... malandrino.
~
“Perché hai scelto Grifondoro?” domandò Kaitlyn osservando Harry, incuriosita, mentre uscivano dall’aula di Incantesimi. “Tu come... come fai a...”
“Sono l’Unità delle Case, io so tutto!”
“Serpeverde non mi... beh... senti, dobbiamo proprio parlarne?”
La Black scoppiò a ridere. “No, non è importante.”
~
Ultima settimana di novembre.
Kait entrò nella Sala Comune dei Grifondoro con il sorriso sulle labbra. Vagò con lo sguardo per la stanza e, una volta trovati i suoi amici, corse loro incontro. Si sistemò tra Harry - impegnato in una partita di scacchi dei maghi con Ron - e Hermione, immersa nella lettura di un libro. Con un colpo di tosse, che in futuro non avrebbe mai più usato a causa di un’odiosa professoressa, Kaitlyn attirò l’attenzione dei suoi amici su di sé. Era da giorni che non chiacchierava un po’ con loro a causa degli obblighi da “Unità delle Case”.
“Stanotte ho sognato il troll di Halloween,” esclamò con un sorriso, parlando poi di come i suoi sogni si fossero intrecciati ai ricordi che aveva di quella sera. Harry fissò l’amica, deglutendo vistosamente e ripensando a ciò che era accaduto nel bagno delle ragazze.

Hermione, con qualche lacrima a bagnarle ancora il viso, pareva pietrificata. Spalle al muro ed espressione spaventata, la Granger non dava segni di voler o poter agire. Harry prese la bacchetta, mentre il troll avanzava verso la sua amica. Un urlo lo fece fermare. “Ehi, sono qui!” gridò Kait con tutto il fiato che aveva in corpo, muovendo le braccia e cercando di attirare l’attenzione del troll, che si girò verso di lei. Kaitlyn prese la rincorsa e si buttò a terra, scivolando tra le gambe aperte del mostro e rialzandosi subito dopo. “Brutto idiota, non vedi che sono qui?” urlò la Black, facendo cenno a Hermione di muoversi. Distratta per aver aiutato l’amica, Kait non vide il troll alzare la clava. La purosangue si voltò nel momento esatto in cui il mostro calava la sua arma su di lei.
Il cuore di Harry perse diversi battiti per la paura.


“Sì, ma anziché sgridarci, Minnie ci premiava con encomi speciali e alla fine vincevamo la Coppa delle Case!” esclamò Kait sorridendo. Ron la fissava con sguardo sognante, come se le sue parole potessero diventare improvvisamente vere. Hermione teneva lo sguardo basso, conscia che i suoi amici sarebbero potuti morire, per salvarla. Harry si toccava il petto con una mano, come se non fosse sicuro di avere ancora il cuore al suo posto. Alzò lo sguardo su Kait e lo sentì battere.
Che lo facesse più velocemente del normale non importava.

Kait vide la clava del troll avvicinarsi sempre di più e sgranò gli occhi, valutando la situazione in velocità, come le aveva insegnato Moody. Lanciarsi di lato era impossibile a causa dei water e delle loro cabine. Lo spazio tra il pavimento e la clava - calcolarne la traiettoria non era difficile - era troppo poco perché lei potesse buttarsi a terra e rimanerne illesa.
Cosa fare, dunque?


Harry gattonò più vicino a Kait, posizionandosi alle sue spalle e circondandole la vita con le braccia. Kait sorrise e si appoggiò al suo migliore amico, mentre lui inspirava il suo profumo e Hermione sorrideva soddisfatta.

Kaitlyn agì nell’unico modo possibile: saltò. Si diede la spinta e spiccò un balzo, schivando così la clava. Appoggiò i piedi su di essa per meno di un secondo e si lanciò in avanti, atterrando con una piccola capriola. Ron la fissò ammirato e Harry si lasciò andare in un sospiro di sollievo.
Meno di dieci secondi dopo, però, Kait giaceva sotto un lavandino, colpita dal troll, che evidentemente non aveva apprezzato l’acrobazia della Black. Con le urla di Hermione delle orecchie e lo sguardo sofferente di Kaitlyn addosso, Harry corse in avanti e si posizionò di fronte alla sua “migliore amica”, stringendola in una presa spaventata e proteggendola alla vista del mostro.


“Mi hai fatto prendere paura, quella sera,” mormorò Potter all’orecchio della compagna, rafforzando l’abbraccio.
“Tanta, tanta paura.”
“Non mi perderai, Harry,” sussurrò Kait in risposta, accoccolandosi ancora di più contro il Grifondoro e sospirando felice.
Quella sapeva molto di promessa tra fidanzati, ma nessuno disse nulla.
 ___

Stanza delle Necessità, ultimo anno.
“Perché non mi credi?”
“Perché tu, con le ragazze, ci giochi e basta! Guarda Gillian...”
“Gill non c’entra niente! E comunque tu sei diversa, non ti tratterei mai così!”
“Gillian è la mia migliore amica e tu l’hai distrutta! L’hai illusa, le hai fatto credere... Io... Tu...”
“Ti prego, ascoltami! Pensavo davvero che lei fosse adatta a me, okay? Non l’ho illusa, non volontariamente, almeno.”
“Ma l’hai ferita!”
“Non posso tornare indietro, altrimenti lo farei, credimi. Però ti giuro che non ti ferirò, davvero, te lo giuro. Non potrei mai farti del male.”
“Lo stai già facendo. Mi stai dicendo, mi stai... illudendo che staremo insieme per sempre e questo non è vero e...”
“Ti prego, non piangere.”
“Io non posso continuare così, Sirius. Non ho alcuna certezza e... Non ce la faccio, perché io... Vedi, io sono...”
“Tu sei...?”
“Incinta.”
Sirius boccheggiò, senza fiato, e cadde in ginocchio. La sua ragazza fece per voltarsi e correre via, singhiozzando, ma lui la fermò prendendola per un braccio. Poi, con le lacrime a bagnargli le guance, - e poco importava che i Black non piangessero - Sirius alzò la maglietta della compagna e le baciò con delicatezza l’addome ancora piatto.

“Ti amo, piccola.”
“E amerò nostro figlio.”









Allora, prima di cominciare a parlare, mi voglio scusare per la schifezza di questo capitolo. Non mi piace per niente D: ma ho deciso di postarlo lo stesso... spero non faccia così tanto schifo...
ORA! Passiamo ad altro.
Ho sconvolto parecchio le date, okay? Quindi don't worry, non siete impazziti. E' che ho fatto sì che tra la fine di Hogwarts e la nascità di Harry e company ci fosse un po' di tempo in più (un bel po', in effetti xD ) Spero non sia un problema...
E ora passiamo a qualcosa di più carino :D

Qui ci sono alcune cosette che ho creato per questa storia. Lasciate perdere gli attori, per alcuni non trovavo la persona adatta...
Okay, questa era per la visita ad Azkaban:
http://www.polyvore.com/lultima_black/set?id=27905266#stream_box

Qui è la famiglia di Kait (la mora è sua madre, la bionda è Gillian) Ho evitato di mettere i nomi per non spoilerare xD E per Nathan... non trovavo un attore piccolo, quindi pensate a lui come... "come sarebbe cresciuto", ok? :)
http://www.polyvore.com/lultima_black_family/set?id=28408894#stream_box

Qui è per l'Unità delle Case: (ho sbagliato di scrivere, lo so)
http://www.polyvore.com/unit%C3%A0_tra_le_case/set?id=29080819#stream_box

E anche qui Unità:
http://www.polyvore.com/lultima_black/set?id=29104523#stream_box

E questo è una cavolata fatta in un momento di noia:
http://www.polyvore.com/lultima_black/set?id=29210749#stream_box

E anche qui mi annoiavo:
http://www.polyvore.com/cgi/set?id=29912842#stream_box

Qui è un'emerita minch... ehm... sciocchezzuola:
http://www.polyvore.com/kaitlyn_black/set?id=31820881#stream_box

(Lo so, vi sto rompendo le palle, ma tra poco ho finito, lo giuro) :
http://www.polyvore.com/giuro_solennemente_di_non_dimenticarvi/set?id=31858918#stream_box

Qui Draco e Kait:
http://www.polyvore.com/cugini_amici/set?id=33084697#stream_box

Animagus:
http://www.polyvore.com/animagus/set?id=33980729#stream_box

Regulus:
http://www.polyvore.com/ti_voglio_bene_mi_manchi/set?id=36151700#stream_box

E ora smetto ufficialmente di rompervi le palle :D
Alla prossima!!!
S

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Capitolo 21
*** Inverno - parte 1 ***


Eccomi qui con un altro capitolo. Mi raccomando, poi leggete le note in fondo perché è importante (per me xD )




Inverno - parte 1

 

L’inverno era calato su Hogwarts con una coperta di neve, che si era stesa sul parco e su tutta la Foresta Proibita. Nonostante il freddo e la poca voglia di “lavorare”, Kaitlyn si costrinse ad aiutare chiunque le domandasse aiuto riguardo alle Case. La Black non rifiutò nemmeno quando un ragazzo la fermò, mentre lei camminava verso la sua Sala Comune, in ritardo; anzi si dimostrò cordiale, voltandosi verso lo sconosciuto, un sorriso falso e molto, molto stanco sulle labbra. "Ehi Kait! Non credo di essere adatto alla mia casa, Tassorosso. Mi chiamo Cedric Diggory... ho qualche dubbio... mi aiuti?"
"Perché credi di non essere adatto a Tassorosso?" chiese Kaitlyn con tono falsamente interessato. Dopo un giorno intero di complicate lezioni, di occhiate curiose e difficili domande a cui lei aveva sempre risposto e prestato attenzione, aveva il diritto di rilassarsi, no? No, a quanto pare no. I due ragazzi si sedettero su una panchina del giardino. Era sera e cominciava a fare freddo. Non che Kait avesse intenzione di lamentarsi, certo! Eppure non riuscì ad impedirsi di tremare. Fu allora che Cedric le mise sulle spalle il suo mantello. "Tieni, Unità," le sussurrò all'orecchio. Kaitlyn ebbe di nuovo un brivido, quasi impercettibile.
Ma non fu un brivido di freddo.
Cedric non era affatto brutto, per niente, purtroppo per la Black però era troppo grande. Chissà se lui è un Purosague, si chiese la dodicenne stringendosi nel mantello troppo grande per lei. Parlarono per un po' e Kait tentò di dissipare ogni dubbio in Cedric. Quest'ultimo temeva di non essere adatto a nessuna Casa. Non era coraggioso, intelligente o ambizioso, mentre Tassorosso non lo risaltava come lui desiderava. Kaitlyn tentò di spiegargli che Tosca era una persona buonissima, di cui ci si poteva fidare e che, se aveva voluto il ragazzo con sé, sicuramente aveva avuto validi motivi. “Lo credi davvero? E’ che... Tassorosso mi sembra una Casa così...”
“Cedric,” lo interruppe Kait “tutti vedono la Casa di Tosca come la più debole e insignificante, ma credimi, non è così! I Tassorosso sono i maghi più completi di tutti, davvero, puoi fidarti di me. Che tu faccia parte dei Tassi non è una cosa brutta, anzi! Te ne dovresti vantare.”
Diggory sembrò soddisfatto della risposta e dopo qualche altro dubbio abilmente dissipato dall'undicenne, la lasciò. Così, in solitudine, la giovane tornò dentro, sorridendo ogni qualvolta che incontrava un compagno o una compagna, salutando con garbo i professori e chiacchierando affabilmente con quadri e fantasmi. Però, inspiegabilmente, il sorriso le si spegneva appena si allontanava dalle persone incontrate. Come se la felicità si mantenesse solamente abbastanza da coprire il senso di oppressione che la Black provava, così che nessuno lo notasse. Come se, rimasta sola, la "maschera" si sgretolasse in mille piccoli pezzi. Kait non capiva, si sentiva confusa. Per tutto il giorno era stata brava, aveva sempre sorriso, - fino a sentire i muscoli del viso indolenziti - aveva aiutato chiunque. Accanto ai suoi amici, Kay aveva svolto il suo dovere, dalla mattina alla sera. E allora... perché si sentiva così male? Le dava piacere contribuire alla buona convivenza con i ragazzi di Hogwarts, era gratificante sapere che grazie a lei, un sacco di giovani si sarebbero trovati meglio nelle loro Case. Come Cedric, che da quel momento sarebbe stato fiero di Tassorosso e, quindi, di Tosca.
Un lampo di tristezza colpì Kait, seguito immediatamente da un'immagine, sfocata. Aprì gli occhi di scatto, cercando di ricordare cosa avesse appena visto. Chi, in quel momento, l'avesse fissata, avrebbe visto una ragazzina dai lunghi capelli neri, immobile e con lo sguardo opaco. L'immagine, la visione, l'aveva lasciata per un secondo senza fiato. Era... un ragazzo, a terra, un ragazzo vestito con due colori, giallo e nero, che portava con orgoglio. Era più grande, parecchio più grande di quanto lo fosse adesso. Aveva gli occhi aperti e non si muoveva. Un altro ragazzo, con la bacchetta in mano, gli stava vicino. O meglio, gli stava addosso. Quello, la persona con gli occhiali e i colori di Grifondoro, con i capelli scompigliati e l'espressione sofferente sul volto identico solo un po' cresciuto, era Harry.
E l'altro era Cedric. Ed era...
A Kaitlyn sfuggì un singhiozzo, appena si rese conto di ciò che aveva "immaginato". Perché non si poteva certo trattare della realtà! Cedric era con lei, un attimo fa! Ed era più piccolo. Si, era stata solo una stupidissima allucinazione.
Ancora con questi pensieri in testa, andò al suo dormitorio. Notò immediatamente che le sue compagne erano tutte lì e presa da momentaneo terrore, fece un passo indietro. Non sapeva bene dove andare, così salì nella camera dei ragazzi. Lì c'era solo Harry, chino sui compiti di Trasfigurazione, o Incantesimi che fossero. Appena udì la porta aprirsi, l'undicenne si voltò. Rimase molto sorpreso di vedere Kait, così si alzò, per salutarla. E lei gli si lanciò tra le braccia, scoppiando a piangere, distrutta in mille pezzi. Che fosse lo stress, la visione o la stanchezza, nessuno seppe dirlo. L'unica cosa certa è che, entrato nel suo dormitorio, Ron guardò il letto di Harry e... vi trovò l'amico e Kait Black, abbracciati. Con le guance ancora umide dal pianto, Kaitlyn si era messa sul letto, dando la schiena a Potter, che l'aveva stretta a sé.

Cedric Diggory, persona che Kait conosceva da quando era arrivata ad Hogwarts, era morto. La quattordicenne doveva essere devastata dal dolore di quella perdita, - e effettivamente lo era - ma allora perché non aveva ancora versato una lacrima?
Semplice, si disse Kaitlyn. 
Harry è vivosta bene!, pensò. E inconsciamente sorrise.
Harry stava bene. Solo questo contava.


Nel buio della notte una ragazzina si svegliò, spaventata. Nel silenzio della notte, un ragazzino posò un dolce bacio sui capelli della sua più cara amica. Nell'immensità della notte, una maschera si ruppe in mille piccoli pezzi.
E con essa, anche un cuore.

La mattina dopo nessuno fece parola di ciò che era accaduto. Harry, però, guardò e controllò Kait per tutto il giorno, e lei non si allontanò da lui fino a tarda sera, quando con l’espressione dubbiosa si alzò dal divano della Sala Comune. Hermione era già salita, intimando loro di non fare tardi; Ron si stiracchiò e salutò i due amici, facendo le scale con i piedi pesanti e sbadigliando sonoramente. Kaitlyn era ancora immobile, i pugni chiusi e lo sguardo basso. Harry le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla e stringendola successivamente in un caldo abbraccio.
“Mi vuoi dire cosa è successo, ieri?”
“Niente, ho... niente.”
“Quando ne vorrai parlare, sappi che sono qui, okay?”
Kait voltò il viso verso il suo migliore amico e gli posò un semplice bacio sulla sua guancia. Rosso in volto, Harry le diede la buona notte e si rifugiò nel suo letto, il cuore che batteva furiosamente. Qualche minuto dopo, però, scalciò le coperte e corse fuori dal dormitorio, facendo cenno a Ron di non preoccuparsi e chiudendo la porta dietro di sé. Il suo intendo era di correre fino alla Sala Comune e sperare che Kait fosse ancora lì, ma non riuscì a fare neanche un passo, perché le andò a sbattere contro, a meno di due metri dal dormitorio. Harry le afferrò istintivamente i polsi per evitare che cadesse a terra; così facendo si ritrovò a pochi centimetri dal volto della moretta.
Il suo cuore quasi si fermò e il suo volto andò a fuoco. Kait non sembrò nemmeno accorgersene, presa com’era dal cercare un modo per parlare con Harry.
“Ehm... io...”
“Si?”
Possovenireadormireconte?
Potter sgranò gli occhi, confuso. Cosa?! Le fece cenno di ripetere e Kaitlyn prese fiato e coraggio.
“Posso venire a dorm...”
Harry non le lasciò nemmeno il tempo di finire; aprì la porta e la sospinse gentilmente nel dormitorio, ordinando a Seamus di non lamentarsi. Si sistemarono l’uno disteso accanto all’altra, il mento di Harry nascosto nell’incavo del collo della compagna, con Kait che gli stringeva forte la mano e lui le accarezzava i capelli. Nessuno fiatò quando li videro dormire vicini.
Nessuno fiatò quando, tormentata dagl’incubi, Kaitlyn si strinse al ragazzo.
Nessuno fiatò quando si svegliarono con il volto a pochi centimetri l’uno dall’altro.
Nessuno fiatò, perché erano tanto, troppo dolci per poter rovinare quel momento. I  Grifondoro maschi del primo anno avrebbero lasciato che i due si immergessero nei sogni. Per le parole ci sarebbe stato tempo la mattina dopo.

“Te lo immagini, Sir? Magari un giorno i nostri figli si sposeranno e avranno dei figli a loro volta, e ci saranno dei “noi” in miniatura. Un miscuglio di noi due... te lo immagini?”
“Sarebbe bello, Ramoso. Sarebbe davvero bello... ma hai dimenticato un dettaglio.”
“E cioè?”
“Io ho Nathan. Se il tuo futuro figlio dovesse nascere maschio, i nostri sogni svanirebbero!”
“Ma io intendo avere tanti bambini, non uno solo! Tanti, tantissimi! E si chiameranno Harry James, Lily Mary, Sirius Remus, Alice...”
“Ah! E io ti do anche retta? Stupido cornuto...”
“A chi hai detto 
cornuto?! Taci, sacco di pulci, o ti compro una museruola!”

“Lily?”
“Sì?”
“Sbaglio o i nostri mariti si stanno picchiando?”
“Lasciali fare, sono come bambini. Stanno solo giocando.”
“Lily?”
“Sì?”
“Perché James continua a dare a Sirius del cagnaccio?”
“James dice molte cose senza senso, è nel suo carattere...”
“EHI! Io non dico cose senza senso, è Sir che...”
“Non parlare di me, stupido cervo!”

“Papà?”
“Sì, Nathan?”
“Perché stai picchiando zio James?
“Niente, piccolo, niente. Ti stavamo organizzando il matrimon... Ouch!”
“Mamma?”
“Sì, Nathan?”
“Perché hai picchiato papà?”
“Perché dice un sacco di cose senza senso, come tuo zio James.”
“Ehi! Liluccia mia, non mi difendi?”
“Chiamami ancora così, Potter, e ti affatturo.”











Okkkay, eccoci alla fine della parte 1. La 2 arriverà a breve.
Oggi sono stravolta, quindi non mi dilungo molto, ma ho bisogno del vostro aiuto. Se sapete cos'è Hunger Games continuate a leggere, altrimenti saltate pure. Partecipo a una specie di... gioco, diciamo. C'è una storia su Hunger Games e lo scopo del gioco era creare un tributo e farlo partecipare agli Hunger Games, come tributo e l'autore come mentore. Ora la mia tributa sta per entrare nell'arena e servono sponsor. Potete lasciare una recensione a capitolo, e per ogni recensione potete sponsorizzare un tributo. Mi fareste un favore se, nei prossimi capitoli riguardanti l'arena, voi sponsorizzaste Deborah Davis, la mia tributa. Se non volete, lasciate perdere xD
Qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1237136



 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:


Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.


Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)



Visto, Tormenta? Ho messo il messaggio xD
~ S

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Capitolo 22
*** Inverno - parte 2 ***


Inverno - parte 2

 

Avete presente quando, in un clima di completa serenità, una storia o un capitolo comincia dicendo "era una bella giornata di...", avete presente? Ecco... Era proprio il contrario, ad Hogwarts. Infatti, da ormai qualche giorno pioveva a dirotto, senza tregua; un vero disastro per quel che diceva Oliver Baston, al quale la professoressa McGrannitt aveva ordinato di sospendere gli allenamenti di Quidditch. E dato che dopo poco tempo ci sarebbe stata la tanto attesa partita Grifondoro-Corvonero, non c'era niente per cui stare tranquilli. Harry, che aveva visto questa "pausa" dallo sport come un segno del destino, continuava a confabulare con Kait, Ron e Hermione di una certa "Pietra Filosofale". Secondo Ron era solo una perdita di tempo, mentre Herm pensava - ma non l'avrebbe mai detto a nessuno - che dopo l'avventura con il troll il giovane Potter cercasse qualcosa di altrettanto... emozionante. E forse il Quidditch non lo era abbastanza.
Kait invece era d'accordo con Harry: c'era qualcosa sotto! Ma forse Piton non era la causa di tutto. Eppure, ogni volta che a parlare era Potter, automaticamente Kaitlyn ci credeva. Nemmeno fosse oro colato, quel che diceva! Lei pendeva dalle sue labbra!
Dopo infinite discussioni sulla colpevolezza o, al contrario, sull'innocenza dell'amatissimo professore di pozioni, - ah ah, amatissimo, certo come no - i quattro giovani cominciarono a mangiare. La Sala Grande si era man mano riempita e ormai, con tutti quei Grifoni, Tassi, Corvi e Serpi ( più i professori) era impossibile parlare indisturbati, senza che nessuno ascoltasse. Fu per questo motivo che decisero di rimandare l'argomento a un momento migliore.
Hermione dovette sforzarsi per non arrabbiarsi con Kait, che a pranzo aveva mangiato solo un misero boccone di pane, guardata da Malfoy. Lui, dall’altra parte della Sala, non si perdeva un suo movimento. Aveva mangiato solo un misero pezzo di pane, il contrario di Ron, pensò la Granger fissando disgustata l'amico. Faceva un po' senso vederlo nutrirsi. Sotto lo sguardo di fuoco della Nata Babbana, la Black si costrinse a servirsi una porzione di pasticcio di carne, che però mangiò solo per metà. Non ci poteva fare niente, non aveva fame!
Quando il gruppetto si alzò e uscì dalla Sala Grande, Kaitlyn venne bloccata da un ragazzo di seconda, che smarrito aveva bisogno di un consiglio. Stavolta era un Corvonero. Appena l'Unità delle Case finì di svolgere il suo compito, corse per i corridoi, cercando di arrivare alla sua Sala Comune ad un orario decente. Sfortunatamente fu di nuovo bloccata. Suo cugino Draco si trovava davanti a lei, un sorriso insolente sulle labbra, le braccia incrociate al petto. Dietro di lui, oltre ai due bestioni Tiger e Goyle, c'erano nientemeno che Blaise Zabini, - il quale sorrise amichevolmente a Kaitlyn - Pansy Parkinson - stranamente con un'espressione serena - e una biondina molto carina di nome Daphne Greengrass. Oltre all'equivalente femminile di Tiger e Goyle, ovvero Millicent Bulstrode.
Kaitlyn sorrise, o meglio ghignò: era incredibile! Appena si trovava vicino alle Serpi diventava come loro; con i Tassi era dolcissima, con i Corvi molto intelligente e con i Grifoni... Be', con loro era sé stessa.
"Ciao cugino. Come te la passi?" esclamò con disinvoltura la Black, sorridendo strafottente e tirando un giocoso pugnetto sul braccio di Draco. Quest'ultimo sorrise anch'esso, in un modo diverso da quello che i compagni gli avevano visto fare in quei mesi passati a scuola. Era un sorriso dolce, protettivo. "Meglio di te sicuramente. Sono molto meglio i sotterranei che la Torre e stare vicino allo Sfregiato, a Lenticchia e alla M-Granger," disse Draco riuscendo per un soffio a correggersi. Riprese con disinvoltura.
"Stare vicino a quei tre dev'essere... nauseante!"
Queste parole causarono sghignazzamenti generali dal gruppo alle spalle della Serpe, che fissò la cugina come se si aspettasse davvero che lei ridesse a quella sua sottospecie di battuta. Kait lo fissò truce, poi voltò la testa verso sinistra, cercando di non dare a vedere il ghigno che si era formato sul viso. Erano i suoi amici, certo, e sentirli venire presi in giro dava alla giovane fastidio, ma... la sua parte Serpeverde era riaffiorata con prepotenza in superficie, facendo diventare la ragazzina ancor più "Black" del solito. Salazar, che la fissava da quella mattina, sorrise malignamente e scomparse. Blaise Zabini, superando le compagne e i compagni di Casa, affiancò il suo migliore amico, guardando con interesse la morette che gli si presentava di fronte. Le si avvicinò con lentezza esasperante, prendendosi cinque secondi buoni per "riflettere", dopo ogni passo. Quando fu a circa un metro di distanza, Kaitlyn lo squadrò con gli occhi grigi, come a chiedergli con lo sguardo cosa lui intendesse fare. Blaise sorrise in modo quasi diabolico, quindi si posizionò alle spalle della Grifondoro, la quale rabbrividì, un po' per il tocco leggero del corpo del ragazzo appoggiato al suo, un po' per il fiato freddo di Zabini sul suo collo, un po' per una sensazione di ansia crescente che le attanagliava il petto. Tremò impercettibilmente tra le braccia dell'undicenne, che sogghignò. Kaitlyn non era abituata. Non era abituata a sentirsi... la preda.
Preda degli attacchi,
preda degli scherzi,
preda della paura,
preda di...
"Blaise Zabini!" urlò Kait con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il suddetto ragazzo, intanto, l'aveva presa in braccio, stringendosela al petto e aveva cominciato a camminare, sotto lo sguardo divertito e - al tempo stesso - geloso del cugino Draco. "Ti avverto, Blay, mettimi immediatamente giù o saranno guai!"
La voce stridula della Black giungeva ovattata ai Serpeverde dietro i due, perché la poveretta era stretta con forza al petto di Zabini, così che non potesse vedere dove la stavano portando. L'unica cosa certa è che erano all'aperto. Kait si aggrappò con forza alla camicia dell'amico, mentre nello stesso istante scalciava furiosamente per essere lasciata libera. Un comportamento un po' strano, discordante. Infatti, la Grifoncina voleva essere mollata, ma non per terra! Mica voleva farsi male!
Così continuò a strepitare, rifiutandosi categoricamente di essere la "preda" di una Serpe. Finalmente, dopo alcuni momenti d'inferno, Blaise si fermò. E alle ormai ripetitive parole "Mettimi giù!", il ragazzo di colore lasciò la presa sulla Black, che...

... Cadde, con un tonfo e uno spruzzo, nel Lago Nero.

"BLAISE ZABINI!"


Un uomo fissava il lago, un sorriso arrogante sulle labbra. Un ciuffo di capelli rossi gli ricadeva ribelle sugli occhi marroni, ma l'uomo non se ne curava, continuando indisturbato a seguire la scena che gli si presentava davanti. Vicino a lui, un eterno trentenne dai capelli chiari e dallo sguardo acceso da una scintilla di divertimento ghignava fastidiosamente. "Visto?" esclamò il biondo in direzione del rosso alla sua sinistra. "Loro sì che sanno come divertirsi! Altro che i tuoi bambini!"
Alle parole di sfida di Salazar, Godric scattò, ignorando l'urlo di Kaitlyn, appena gettata nel Lago Nero. Scattò stringendo i pugni, ma la dolcissima Tosca, in un impeto di coraggio, si mise in mezzo, posando le mani sul petto dell'uomo. "Dai, Ric (chiamarlo "God" era troppo pretenzioso), ora basta."
La voce della Tassorosso era dolce, calma. Fissava con uno sguardo serio il caro Godric, che si sentì sciogliere sotto l'occhiata della bellissima bionda di fronte a lui. Presto la composta Priscilla raggiunse i tre. "Ogni momento è buono per mettergli le mani addosso, eh Tosca?" commentò in modo quasi maligno la donna, fissando la pseudo-amica. Stare con Salazar aveva reso la Corvonero sempre più antipatica, agli occhi di Ric e Tosca. E non avevano tutti i torti, in effetti. Priscilla, il cui carattere duro e razionale non aveva mai facilitato la socializzazione, aveva trovato nel Serpeverde l'amore, che però aveva compromesso il suo già non semplice carattere. E come ogni volta, Godric e Tosca non poterono far altro che farlo notare ai due.

Ma spostiamo l'inquadratura: lasciamo perdere quei quattro e concentriamoci sulle Serpi, che indisturbate stanno ridendo dello scherzo ai danni di Kaitlyn.

Daphne Greengrass e Pansy Parkinson si avvicinarono alla piccola Grifondoro, allungando ciascuna una mano. La moretta, bagnata fradicia, accettò con un sorriso riconoscente l'aiuto delle due, che quando Blaise le aveva chiamate non sapevano ancora la fine che Kait avrebbe fatto. Quindi erano innocenti. Alla Black non restava altro che prendersela con Blaise e Draco, dato che Millicent era praticamente invisibile, insieme a Tiger e Goyle. Con un gesto di stizza si tolse i capelli gocciolanti dal viso, poco prima che una delle due giovani Purosangue - Kait non riuscì a capire quale delle due fosse - la asciugasse con un pratico incantesimo. "Dray! Cosa diavolo ti è preso!" urlò istericamente la Black. Draco, come quasi ogni volta che a parlare era sua cugina, sembrò confuso. Indicò l'amico, la bocca aperta in una smorfia non molto educata. "Ha fatto tutto lui! Cosa c'entro io, scusa?"
Kaitlyn strinse le labbra, fulminando il cugino con un'occhiata degna della McGrannitt ogni volta che uno studente faceva chiasso durante le sue ore o, come le suggerì un'oscura vocina nella sua mente, un'occhiata degna di quelle che Lily Evans scoccava a James Potter prima di schiantarlo dopo un'inopportuna richiesta di uscire. Lo sguardo dovette risultare efficace, perché sia Draco che Blaise fecero un passo indietro. "Voi dovete solo sperare che passi un professore a salvarvi il cu..." cominciò a dire con tono assassino la Grifoncina, quando venne interrotta. Un ragazzino del loro stesso anno, dagli occhi verdi coperti da occhiali tondi e i capelli neri completamente scompigliati, le stava correndo incontro, chiamandola.
"Kait!"
Le arrivò vicino e, come fosse un gesto involontario, circondò le spalle con un braccio. Anche se ormai non era più bagnata, la giovane rimaneva fredda come un ghiacciolo; Harry se ne accorse e immediatamente le posò il suo mantello sulle spalle, privandosene. La Black alzò il viso sull'amico, addolcendo immediatamente lo sguardo, sul volto un'espressione identica a quella di sua madre quando guardava suo marito, molti anni prima.
Potter si voltò verso i Serpeverde, calcolando in pochi secondi quanti essi fossero e chiedendosi perché Kait fosse in mezzo a loro. Non lo sfiorò nemmeno il pensiero che lei avrebbe potuto desiderare la compagnia di quelli là, infatti si mise subito sulla difensiva, tirando fuori con un gesto la bacchetta. Kait vide chiaramente negli occhi di Draco un lampo di sfida e di...consapevolezza. Capì che doveva fermarli adesso, o non ce l'avrebbe fatta. "No, Harry, per favore. Andiamo via."
La voce supplichevole dell'amica fece zittire e bloccare il Cercatore dei Grifondoro, il quale si domandò che cosa temesse la Black. Le era sempre sembrata una pronta a buttarsi nella mischia. E in quel momento invece le si rivelava così debole, fragile... bambina. Una “primina” come tutte gli altri.
Eppure diversa.
Quello che nessuno sapeva era, però, che Harry aveva tutta l'intenzione di capire e conoscere ogni lato del carattere della sua "amica". "Amica", perché non era certo dei sentimenti che lo legavano a lei. Quando guardi un'amica non hai le farfalle nello stomaco, non ti viene voglia di stringerla a te fino al calar della notte, non desideri essere la cosa più importante per lei. Quando Harry guardava Hermione era diverso che quando fissava Kait. Per quest'ultima, il giovane Potter avrebbe rinunciato a tutto, perfino alla magia. Per lei, come aveva scoperto quando l'aveva vista distrarre il Troll, per lei Harry avrebbe dato la vita.
Il maghetto più famoso di tutti i tempi fissò per qualche secondo l'amica, domandandosi perché non potesse evitare di rimanere incantato ogni volta dai suoi occhi grigi. Non lo faceva apposta, ma ogni volta che erano nella stessa stanza, ogni volta che in Sala Grande erano vicini, ogni volta che si davano la buona notte con un timido bacio sulla guancia, prima di andare nei rispettivi dormitori, ogni dannatissima volta, lui non riusciva a fare a meno di cercare il suo sguardo.
"Andiamo via. Ti prego."
Quell'ultimo sussurro e Harry si sentì sciogliere. Prese per mano Kait, quindi si diressero verso il castello. Da lontano, i due Grifondoro udirono la risata di scherno di Draco. E in quel momento, in un lampo di luce, Kait ebbe una visione, una di quelle che aveva già avuto, simile all'immagine di Cedric e Harry.
Ma stavolta c'era suo cugino Draco, al centro della scena. Era più grande e più carino, ma sembrava stanco e si teneva il braccio sinistro attaccato al petto, mentre litigava con un Potter più cresciuto e più arrogante. I loro discorsi erano confusi, come se mancassero alcune parti del puzzle.

"Non tradirà il suo sangue per te!"

Kaitlyn continuò a camminare vicino all'amico, sforzandosi di scacciare via le lacrime.

"Ti metti sempre in mezzo, Sfregiato! Nessuno ti ha chiesto niente, non sono affari tuoi!"

La Signora Grassa sorrise ai due Grifoni.

 "Tu cadrai, insieme al tuo Signore!"

Entrarono nella loro Sala Comune e Hermione e Ronald vennero loro incontro, sorridendo.

"La tua rabbia e la tua sete di potere te l'hanno già portata via."

La giovane Black si allontanò leggermente dal gruppo, cercando invano di riprendere fiato.

"Lei non è mai stata tua."

Con un tonfo, Kait cadde a terra, svenuta, mentre dal naso le colava sangue. Sangue nero.

"Io ti odio!"









=D Che ne pensate?
Vi è piaciuto?


 

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Capitolo 23
*** Periodo natalizio ***


Periodo natalizio

 

“Black, devi diventare una Occlumante.”
“Una CHE?”

“Oggi imparerai a contrastare la maledizione Imperio.”
Moody si voltò e Kait ne approfittò per avvicinarsi a Jackson.
“Ho paura!”
“Tranquilla, Malocchio sa il fatto suo.”

“Ho sempre usato la rabbia per combattere, per reagire. Ma adesso... adesso...”
“Adesso devi usare la felicità, Black. La felicità. Cercala, scava nella tua memoria e cercala. Trova bei ricordi. E poi pronuncia l’incantesimo “Expecto Patronum”. Forza, provaci.”
“Io non... non credo di poterci riuscire.”
“Si invece, Black. Abbandona la rabbia. Trova la felicità.”
 -
“Non ho ricordi belli a cui aggrapparmi, Malocchio!”
“Per oggi è finita... continuiamo un’altra volta.”

“Sei in ritardo, Black!”


Sono in ritardo.
Fu questo il primo pensiero che Kait formulò una volta sveglia. Si trovava in infermeria ed era notte - se ne rendeva conto grazie alla finestra accanto al suo letto, da cui entrava la poca luce della luna. Si stropicciò gli occhi, guardandosi intorno e trovando una lettera appoggiata sul comodino.
Cominciò a leggerla.

Helena Kaitlyn Black, mi hai fatto prendere un infarto! Stavo andando... beh, dov’ero diretto non ti interessa. Comunque, stavo camminando e mi sono ritrovato davanti la McGrannitt, con San Potter e gli altri due dietro, e tu che fluttuavi a due metri da terra, svenuta! Renditi conto! Ho pensato che fossi morta!
Si può sapere che ti è preso? Potter ha detto che eri accanto a lui e che sei svenuta e che sanguinavi e che sembrava non respirassi e che tremavi e che eri un pezzo di ghiaccio - si beh, forse di quello so il perché. E' stato il tuffo fuori programma, ma... che ti è successo? Appena posso vengo a trovarti, va bene?
Non farmi prendere mai più uno spavento del genere!

D. L. M.


Kaitlyn sorrise, stringendo la lettera al petto e tornando nel mondo dei sogni.
Quando si risvegliò era mattina e, di fronte a lei, si trovavano i Fondatori.
Va’ da Silente,” disse Godric sorridendo. Appena madama Chips la lasciò uscire dall’infermeria, dopo innumerevoli suppliche, - “Dai, Poppy! Ti prego!” “Poppy?! Non ha il diritto di chiamarmi così, Black! Tale e quale a suo padre, incredibile!” - Kait si diresse verso l’ufficio del preside, a passo svelto. Non ha senso correre, si disse mentre attraversava i corridoi di Hogwarts, guardandosi intorno, quasi preoccupata che dalle zone in ombra potessero uscire mostri. Mostri, come se lei ne avesse mai avuto paura. Non erano i mostri, gli alieni o il buio a spaventare la giovane. Nei suoi incubi c’erano il Marchio Nero e i Mangiamorte.
Scosse la testa e riprese a camminare velocemente, sforzandosi di non correre e di passare più o meno inosservata. Certo, quasi tutti gli studenti erano in classe, ma era meglio non dare comunque troppo nell'occhio. La ragazzina accelerò il passo ancora un po', scendendo le scale due gradini per volta e scivolando sui pavimenti fin troppo lisci. Girò a sinistra, ritrovandosi di fronte un suo coetaneo, a terra, che piangeva in balia degli scherzi di Pix.
"Ehi tu! Vattene immediatamente!" gridò Kait, in perfetto stile Grifondoro. Coraggiosamente stupida, sussurrò la voce di Salazar al suo orecchio. Pix tremò e si allontanò in tutta fretta, sussurrando uno “Scusa!”, che sembrava rivolto più al Fondatore che a lei. Kait si accucciò accanto al Tassorosso disteso a terra, in mezzo a libri con le pagine strappate e boccette d'inchiostro aperte e fatte colare sul pavimento. L'undicenne piangeva e non smise di farlo nemmeno quando con una magia la Black fece tornare i libri e le boccette allo stato originale. Si calmò solamente quando la Grifondoro gli porse la borsa; allora, e solo allora, il Tassorosso si asciugò il volto. Ringraziò, tutto rosso, poi corse via, a decantare a tutta Hogwarts ciò che era successo.
"Il preside ti sta aspettando," disse Salazar ghignando, prima di scomparire. Kait si allontanò, all'inizio camminando piano, poi correndo più veloce che poteva. Arrivò finalmente di fronte al Gargoyle, che la fece entrare senza una parola. Kaitlyn salutò cortesemente tutti i ritratti sui muri, poi diede il buongiorno anche a Silente. "Professore?" si azzardò a parlare la ragazzina, sedendosi e negando l'offerta di un buon the. "Signore, io... Io... Vedo... Io..."
La ragazzina sospirò, prendendosi qualche secondo per pensare.
"Kaitlyn, è normale. A quanto dicono i libri che ho letto in merito - e ti assicuro che sono tanti - da quando l' "Unità delle Case" arriva a Hogwarts, viene spesso messa al corrente di fatti non ancora accaduti... visioni, per così dire, riguardanti il futuro. Non averne paura, non sempre conoscere il futuro è una brutta cosa," disse il preside, con un sorriso. Kait non sapeva cosa dire. Possibile che ciò che aveva visto fosse...? Ma quindi...
“Signore, ho visto Cedric Diggory morire.”
Silente parve molto sorpreso, poi il suo volto si schiuse in un sorriso comprensivo. “Non farti prendere dal panico. Può essere che, avendolo visto, tu riesca a cambiare il futuro. E’ una cosa che in genere non si può fare, ma tu sei diversa."
Kait sospirò. Non le piaceva essere considerata “diversa”.
“Non ti preoccupare, va bene?” disse Silente, mascherando la sua paura. “Ci penseremo in futuro, semmai le visioni si dovessero fare più insistenti.”
Kait annuì. “Ora...” continuò il preside indicando il camino “Credo proprio che tu debba andare.”
Nel giro di un minuto Kaitlyn comparve nell’ufficio di Moody, ricoperta di fuliggine. Poco dopo si trovava già in palestra.
Si allenò tutto il giorno con Jackson, ma la stanchezza e la tensione accumulate sembravano giocarle brutti scherzi. Dopo la pausa-acqua delle cinque e mezza del pomeriggio, Malocchio fece la sua entrata in palestra per la prima volta da quella mattina. Immediatamente se la prese con Kaitlyn.
“Forza, Black, datti da fare!” ringhiò l’uomo, che quel giorno era particolarmente di cattivo umore. “Sì, signore!” si costrinse a rispondere Kait. “Sì, signore!” la scimmiottò Malocchio, afferrandola malamente per un braccio e fermando così la sequenza di mosse di karate in cui si stava cimentando la dodicenne. Jackson appoggiò a terra i pesi con cui si stava allenando, alzando lo sguardo sull’allenatore, che era molto più arrabbiato e nervoso del solito.
Sollevandola per un braccio come se non pesasse più di una piuma, Moody posizionò Kait su una delle tre travi usate per la ginnastica.
“Mostra il tuo equilibrio, Black!”
Cercando di ignorare il dolore che provava al braccio, la purosangue eseguì alcuni esercizi di ginnastica; dopo una capovolta avanti senza mani e una ruota, Kaitlyn fece una sforbiciata, durante la quale però si sbilanciò. Quando appoggiò nuovamente i piedi sulla trave, quindi, perse l’equilibrio e cadde a terra, rossa in volto. Senza emettere un solo lamento, la giovane risalì e fece la sua uscita, con una
rondata salto indietro, al cui termine purtroppo scivolò.
Dopo il disastroso esercizio ginnico della sua allieva, Moody la trascinò alla postazione di tiro con l’arco. Quando, al terzo tiro, Kait sbagliò clamorosamente, Malocchio la spinse a terra e si allontanò dalla palestra, furente, barricandosi nel suo ufficio. Solo il suo orgoglio Black impedì a Kaitlyn di scoppiare a piangere; portò le gambe al petto e si strinse le ginocchia con le braccia. Jackson le si avvicinò.
“Tutti sbagliano, Kay. Non è così grave, è solo che... Oggi Malocchio è di cattivo umore.”
Kait alzò lo sguardo sull’amico, notando solo in quel momento quanto fosse grande. Lui aveva ben tre anni in più di lei, in effetti.
“E’ che sono così stanca... Non posso nemmeno pensare al fatto che, quando saranno le venti e tu andrai a casa, io tornerò indietro nel tempo ed affronterò un’intera giornata scolastica; non posso davvero pensarci.” senza che lo volesse, lacrime di stanchezza bagnarono il volto di Kaitlyn.
“Il Ministro è indeciso se tenere aperta questa palestra. Manderà dei funzionari a valutarci,” Jackson indicò prima lei poi sé stesso, assaporando quel “noi” sottinteso “e se la valutazione non dovesse essere positiva...”
“Chiuderebbero il progetto,” continuò Kait al posto suo. Ecco spiegato il comportamento di Malocchio. Non voleva perdere la possibilità di allenarli!
Quando Kaitlyn fu nuovamente a Hogwarts si chiuse in un’aula in disuso e tirò fuori la giratempo. Poi, una volta tornata alle otto di mattina, affrontò una lunga ed estenuante giornata scolastica, dicendo ai suoi amici che lo svenimento era dovuto alla stanchezza. Non parlò delle visioni o degli allenamenti, sapendo che altrimenti Hermione si sarebbe opposta. Aveva deciso, infatti, che avrebbe dovuto dare il meglio davanti ai funzionari del Ministero e che quindi si sarebbe finta malata con gli insegnanti, per potersi concentrare sugli esercizi e non sulla scuola. Aveva completamente dimenticato che, a breve, sarebbero cominciate le vacanze di Natale.

Quando la McGrannitt chiese i nomi di chi sarebbe rimasto a Hogwarts, Kait tacque. Sotto l’occhiata triste di Harry, la Black disse di dover tornare dal padrino, che altrimenti sarebbe stato solo a Natale. Per tutta la durata della sua ultima giornata a scuola, Kait rimase in biblioteca con i suoi amici, cercando di capire chi diavolo fosse Nicolas Flamel. Quando, sbuffando, alzò lo sguardo dall’ennesimo libro inutile, Kaitlyn vide Priscilla fissarla incuriosita. 
“Ma certo!” esclamò la Black sbattendo con forza la mano sul tavolo. Hermione, Ron e Harry si voltarono verso di lei, mentre madama Pince la riprendeva con uno “SSSHHH!”. Ignorando le occhiate dubbiose dei suoi amici, che la vedevano parlare con il vuoto, Kaitlyn si sporse verso la Corvonero e le chiese: ”Cosa sai di Nicolas Flamel?”
La Fondatrice rimase impassibile. “Oh, andiamo, Priscilla! Devi aiutarmi!”
“Io non devo fare proprio niente!” rispose altezzosa. Ci pensò Tosca a spiegare la situazione, comparendo a fianco dell’amica. “Quello che intende dire, Kait, è che non può proprio dirti nulla. Ci è permesso interferire con te solo fino ad un certo punto! E’ il prezzo che paghiamo per averti salvato la vita... Persino se la Camera dei Segreti venisse riaperta, Salazar non potrebbe dirti niente!”
“La che?” esclamò Kait, confusa, ma al gesto di Tosca si zittì. “Alcune cose, piccola mia, le devi capire da sola.”
Detto questo le due Fondatrici scomparvero. “Sì, ma che palle!” fu il commento di Ron una volta spiegata la faccenda. L’occhiata che gli scoccò Hermione non era delle più gentili, ma l’espressione sul suo volto lasciò intendere che la pensava allo stesso modo.


Per Natale, Kait si costrinse a non comprare nulla di troppo costoso, per evitare di mettere in imbarazzo i suoi amici e, soprattutto, Ron.
A Harry regalò un paio di guanti da Cercatore - così avrebbe avuto un paio tutto suo e non avrebbe più dovuto usare quelli della scuola, in dotazione. Sui guanti era inciso il nome del ragazzo, che quando scartò il pacchetto non poté non sentirsi felice. Non sapeva che erano i guanti più costosi in commercio e a Kait andava bene così.
Per Hermione la scelta fu semplice; le comprò un libro, “Maghi di origine babbana entrati nella storia”. In più le regalò un segnalibro che girava automaticamente la pagina una volta finito di leggerla.
A Ron, Kait comprò un’enorme quantità di dolcetti e caramelle che avrebbe fatto invidia a Mielandia. In più gli costruì, con l’aiuto di Priscilla e Tosca, una scatolina di legno pregiato in cui, quando veniva aperta, compariva un nuovo dolce - era in diretto contatto con le cucine di Hogwarts. Poteva essere utilizzata tre volte al giorno e Ron parve adorare quell’oggetto, dicendo “è troppo bello per essere vero!”.
Kait gli disse che gliel’aveva regalata perché potesse soddisfare la sua voglia di dolci, ma in realtà pensava che, quando lui si fosse ritrovato senza abbastanza soldi per comprarli, avrebbe avuto la scatola a fornirglieli. Harry, che aveva capito il motivo del regalo, pensò che la Black si fosse dimostrata molto dolce.
Draco fu più difficile, ma alla fine gli regalò un costoso mantello nero con dei ghirigori in vero argento che formavano la lettera “M”. Il Serpeverde, orgoglioso del suo cognome, utilizzò il mantello ogni giorno d’inverno, facendo notare a tutti la lettera stampata.
A Jackson, Kait regalò accessori per gli allenamenti e i combattimenti, sorridendo  come un’ebete ed arrossendo al bacio sulla guancia che lui le scoccò in risposta.
Remus, che non voleva regali, - si sarebbe sentito inutile se la figlioccia avesse speso più di quanto lui aveva di stipendio - ricevette un grosso album di fotografie pieno di immagini di lui e Kait, fin da quando lui l’aveva adottata. Con le lacrime agli occhi l’uomo abbracciò la figlioccia.

Il 25 dicembre passò così, con i Malfoy seduti composti ad una tavolata verde-argento, i Weasley e Harry che si divertivano a Hogwarts, Hermione finalmente in famiglia, Jackson con Moody e Kait incollata a Remus.
Il giorno di Natale passò così, con Harry che scopriva gli usi del mantello dell’invisibilità e non vedeva l’ora di mostrarlo a Kait e con lei che, con l’andare avanti delle ore, si incupiva sempre di più, fino all’arrivo del 28 dicembre, anniversario della morte della sua famiglia.
Le feste scivolarono via con lentezza, lasciando gioia in alcuni e malinconia in altri, mentre i bigliettini di auguri venivano stipati in cassetti ricchi di atmosfera natalizia.
Un solo biglietto non fu messo via e dimenticato.

Fanne buon uso.


 


 


 

Okay, lo so che il regalo di Ron è strano, ma mi sono immaginata i 4 Fondatori al fianco di Kait e... tadan! Ecco il risultato xD

Che dire? Questo capitolo non mi convince molto, anzi... si può dire per nulla. Solo la fine mi ispira, con quel "Fanne buon uso." Per chi non se lo ricordasse, è sul biglietto che Silente lascia a Harry, accanto al Mantello dell'Invisibilità. Bene... direi che è tutto.
:)
Alla prossima!

 




 

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Capitolo 24
*** Il tempo passa ***


Okay, ammetto che questo capitolo non mi convince un granché... è che volevo togliermi questo primo anno dal mezzo e passare avanti. Spero non sia una schifezza completa D:
( avverto che ho fatto un bel po' di salti temporali)

Tormenta, non mi odiare per il comportamento di Kait, ok? ç.ç Ci sto lavorando xD


Le parti in corsivo (in realtà qui c'è solo una frase xD ) sono il futuro, ok?

Enjoy!

:3

 

Il tempo passa

 

Kaitlyn sbuffò, fingendosi arrabbiata. “Ma non è possibile! Mi batti sempre!” esclamò accettando l’aiuto dato dalla mano di Jackson e rimettendosi in piedi. “Arrenditi, Kay! Non vincerai mai, non con me!”
“Ragazzi!” li richiamò Moody. “Gli esaminatori saranno qui a momenti. Preparatevi.”
Jackson sospirò. “O la va, o la spacca!” citò un proverbio babbano. Pareva spaventato, al contrario di Kaitlyn. Lei sapeva di poterci riuscire.
~
“Ce l’abbiamo fattaaaaaaaaa! Terranno aperto il progetto!” urlò Jackson abbracciando Kait e facendole fare una giravolta. “Sei stata grande!”
La Black rise di gusto, abbracciando l’amico a sua volta. Si sentiva bene, si sentiva leggera. Jackson non fece altro che complimentarsi con lei, sebbene il suo sorriso valesse più di mille parole.
Quello di Malocchio, però... quello valeva anni di allenamento.
~
Era sera e tutti i ragazzi erano rintanati nelle rispettive Sale Comuni. Fuori faceva davvero freddo, essendo gennaio; il vento si era alzato e il suo sibilo arrivava attutito alle orecchie di Kait, che guardava fuori dalla finestra, mentre decine di Grifondoro impiegavano il tempo in modi ben più intelligenti. C'era chi studiava, come Hermione, c'era chi giocava a scacchi dei maghi o chi rideva seduto sui divani accanto al fuoco, chiacchierando con gli amici.
Kait, isolata dagli altri, non si era mai sentita così sola. Grifondoro... mai aveva pensato di trovarsi così male in quella Casa. O meglio, lei era contentissima di essere lì e le piaceva tantissimo la Casa Rosso-Oro. A momenti le mancava il cugino e lo sentiva distante, ma pareva che l’intera Hogwarts si sforzasse per farla sentire accettata. Sebbene fosse l’Unità delle Case e avesse scelto lei stessa di stare a Grifondoro, quella sera Kait capì cosa voleva dire sentirsi fuori posto. La giovane Black era una ragazzina forte e coraggiosa, per quanto a tredici anni lo si potesse essere, ma al tempo stesso era riservata, ogni tanto fredda e spesso distaccata. Non era sicura che Grifondoro fosse la Casa giusta per lei. Ma allora qual era?
Kaitlyn era una persona laboriosa, che non aveva paura della fatica, né fisica né mentale; Tosca l’avrebbe accolta a braccia aperte, però non l’aveva voluta, non tanto quanto Godric! Come la madre, Kait possedeva un'acuta intelligenza e riusciva sempre a trovare significati nascosti ai più. Priscilla Corvonero però non l'aveva accettata. La Black era ambiziosa e non esitava a giocare sporco pur di raggiungere i risultati sperati. Avrebbe dovuto forse andare a Serpeverde, come ripeteva sempre Salazar? Effettivamente, tutta la famiglia del padre, a parte quest'ultimo, era finita nella Casa Verde-Argento. E Salazar era l’unico, oltre a Godric, ad aver cercato di potarla nella sua casa, senza abbastanza volontà, però. A Kait era parso... svogliato. Come se Kaitlyn non valesse la pena di tutti quegli sforzi, come se lei non meritasse troppo dispendio di energie.
Mentre Godric, invece, l'aveva voluta con sé con tutte le sue forze. Godric in persona si era disturbato per averla nella sua Casa: perché? C'era forse un motivo?
~
Mi domando com’è vivere una vita tranquilla,”* disse Ron un giorno di primavera, alludendo al fatto che Hagrid sembrasse pronto ad accudire un cucciolo di drago, fortunatamente non ancora nato. Kait scoppiò a ridere e Harry si fece trascinare dalla sua allegria. Hermione era troppo presa dagli esami per poter anche solo pensare di sorridere. Potter e Black si fissarono negli occhi, pensando entrambi a tutto il tempo speso a girovagare per la scuola, sotto il mantello dell’invisibilità, quando la luna era ormai alta nel cielo. I due avevano deciso di non parlarne con Hermione, che li avrebbe fermati, o con Ron, che si sarebbe offeso a causa del mancato invito a partecipare.
Quella notte Harry e Kait si diressero verso il parco del castello. Si distesero sull’erba umida, coperti dal mantello dell’invisibilità, e rimasero lì, a guardare le stelle.
“Quella è Sirio, la vedi? La più luminosa... e quella laggiù invece è la costellazione del Drago; è da lì che Draco ha preso il nome,” esclamò Kait indicando con un dito le stelle e spiegando successivamente che l’intera famiglia Black prendeva nomi dalle stelle, a parte qualche rara eccezione. “Mio padre si chiama Sirius, da Sirio! Mio zio Regulus, poi c’è Draco, Andromeda, Bellatrix - la vedi? E’ quella stella laggiù!”
“Ma perché tu non hai il nome di una stella?” domandò Harry voltando il viso verso l’amica, senza avere il coraggio di ammettere che, per lui, Kait era una vista molto più piacevole di quella del cielo. La Black fece un’espressione indifferente. “Mio padre non... Apprezzava molto la famiglia, diciamo così. Dare a me e ai miei fratelli nomi... “Normali” era un modo per sfidarli.”
“Hai fratelli?” esclamò incredulo Potter. Kaitlyn annuì, sussurrando un “avevo”. Non aveva mai parlato di quella notte, con nessuno, nemmeno con Remus o Regulus. Hermione, Draco, Ron, Jackson... ne erano tutti all’oscuro. Kait non seppe mai con che coraggio cominciò a parlare. Ma lo fece, lo fece per quella che parve un’eternità. Lo fece piangendo e Harry ne rimase basito, - e leggermente terrorizzato - perché non l’aveva mai vista con il volto pieno di lacrime. Il solo sentire quanto dolore aveva provato l’amica bastò a farlo stare male, a fargli desiderare di poterle togliere la sofferenza.
Bastò a fargli capire quanto, realmente, lui tenesse alla ragazza.
“E quando mi svegliai, ero su un letto d’ospedale e loro... Erano...” Kait fece un respiro profondo. “Erano morti.”
Harry la strinse in un forte abbraccio, mentre l’amica si lasciava andare in singhiozzi. “Quindi è per questo che ti fai chiamare con il tuo secondo nome?”
“Quando mia sorella è morta ho... Deciso di cambiare nome... Nuova vita nuovo nome. E comunque... Era l’unico modo che avevo per andare avanti, l’unico.”
E, improvvisamente, Harry seppe perché, mesi prima, Silente lo avesse pregato di non raccontare a Kait dello Specchio delle Brame. “Le causerebbe soltanto altro dolore”, aveva detto il preside. E ora Potter capiva il perché.
~
"Non ho mai smesso di amarti... solo di dimostrartelo!"
~
Il giorno dopo Kait fu sempre di ottimo umore, fin dalla mattina, quando si svegliò nel suo letto e si sentì estremamente più leggera; parlare l’aveva liberata di un peso enorme. Così si diresse saltellando in Sala Grande, scoccando luminosi sorrisi a chiunque incrociasse sul suo cammino. Scendendo le scale incontrò il professor Piton, lo salutò ridendo e gli augurò buona giornata. Severus ebbe la sensazione di essere preso in giro, ma poi capì che la Black non l'aveva trattato così per creare fastidio, no, ma semplicemente perché era... felice.
Abbassando lo sguardo sui suoi piedi tornò ai sotterranei, nell'aula di pozioni. Lui non era felice da tempo. Guardò - come accadeva quasi ogni giorno - la foto di Lily Evans che teneva nascosta in un cassetto della cattedra.
No, lui non era felice da tempo. E per tanto tempo ancora non lo sarebbe stato.


Kait si era accomodata al tavolo Grifondoro. Si stava servendo una fetta di torta al limone, quando vide entrare in Sala Grande suo cugino, che le si diresse incontro, un sorriso arrogante sulle labbra. Si chinò su di lei e le posò un lieve bacio sulla testa. "Come stai, cugina?" domandò facendola alzare e abbracciandola. Kaitlyn fissò Draco, rispondendo alla domanda e tranquillizzandolo. Non era mai stata meglio!
Il cambiamento d'umore della dodicene non passò inosservato, chiunque in tutta Hogwarts capì che qualcosa di bello le era accaduto, senza che nessuno, però, ne sapesse il motivo. A lezione di Pozioni fu calma per l'intera durata dell'ora, senza disturbare o dar fastidio al professor Piton, il quale la fissava sempre più confuso e curioso. Nell'ora di Trasfigurazione, invece, non solo la Black si dimostrò davvero brava, riuscendo a svolgere l'esercizio al primo tentativo, - forse questo era merito di Moody, però - ma prese perfino più appunti di Hermione, consegnò un tema arretrato e si complimentò con l'insegnante per l'interessante lezione. La McGrannitt non riuscì quasi a crederci, quell'umore splendido era senza senso. Arrivò perfino, di soppiatto e senza farsi notare dagli altri professori, a chiedere a Severus se le avesse rifilato una pozione. L'uomo rispose, ghignando da perfetto Serpeverde, che se le avesse mai potuto dare una pozione, le avrebbe fatto bere il Distillato di Morte Vivente.
"Divertente," mormorò ironica Minerva, allontanandosi impettita. Si era appena rintanata nel suo ufficio per provvedere a delle scartoffie che Silente non aveva potuto finire, costretto ad andare al Ministero, quando le apparve di fronte la ragazzina dai capelli neri - come il suo nome - che le aveva occupato i pensieri per tutta la mattina.
"Signorina Black, si accomo..." stava ancora parlando, quando dietro della dodicenne comparvero Potter, Granger e Weasley. Avevano tutti e quattro il fiato corto ed avevano evidentemente corso. Domandarono alla McGrannitt di parlare con Silente e l'insegnante s'indispettì: potevano benissimo confidarsi con lei! Dopotutto, era Direttrice di Grifondoro, no? Forse solo la Black avrebbe potuto avere qualche problema, essendo l’Unità delle Case. Ma gli altri?
Stava per ritornare ai suoi doveri di Vice Preside, quando Potter sputò finalmente il rospo.
La Pietra Filosofale.
Oh be', da lei non avrebbero saputo nulla!
~
Ricominciarono a correre.
Kaitlyn tirò la manica di Harry, costringendolo a fermarsi. "Senti, per ieri notte..."

Il Bambino Che E' Sopravvissuto arrossì leggermente, ma riprese il controllo in pochi e brevi secondi. "Piton sta per rubare la pietra! Ci penseremo dopo!"
E, di nuovo fianco a fianco, ricominciarono a correre.

~
“Pix,” disse Kait trasformando la sua voce, con i suoi poteri di metaphormagus, in quella del fantasma dei Serpeverde. “Il Barone Sanguinario ha le sue buone ragioni per rendersi invisibile.”**
I tre undicenni sorrisero all’indirizzo dell’amica. Kaitlyn, quando ci si metteva, sapeva essere una vera strega.
~
“Oh ti prego, no!”
“Kait!” la riprese Harry sussurrando. “Tu stessa hai detto di saper cantare!”
“Sì, ma l’ho fatto una sola volta e comunque io odio cantare! Era mia sorella a farlo, io ballavo!”
Hermione si voltò di scatto. “Hai una sorella?!” Ron le fece segno di tacere e, chissà come, la Granger parve capire. Mimò all’amico una sola parola, con le labbra e lui annuì. Hermione abbassò lo sguardo, rattristata.
“Kait, ti prego! Il cane - Fuffy - si sveglierà, altrimenti!”
“OKAY! Ma non chiedermelo mai più!”
Forse Harry era di parte, ma gli sembrò di non aver mai udito una voce più bella.
~
“Allora, Harry, tu prendi il posto di quell’alfiere, e tu, Hermione, mettiti vicino a lui, al posto di quella torre.”
“E tu?”
“Io farò il cavallo. Kait, regina.”
Kaitlyn sorrise. “Proprio la pedina adatta a me!”
~
“Hermione, tu resta qui con Ron. Io vado avanti con Harry.”
~
“Oh, Priscilla, aiutami tu! Quali sono le pozioni giuste?”
“Spiacente, piccola. Devi cavartela da sola.”
~
“Kait, sei sicura?”
“Se ho davvero preso qualcosa da mia madre e, ancor di più, da Priscilla, allora sì. Sono sicura. Bevi.”
~
Per il magico quartetto di Grifondoro le vacanze arrivarono con una velocità spaventosa, creando un senso di pace in Ron e Hermione, indifferenza in Kait e nausea in Harry. Quest'ultimo si chiese, disteso sul sedile dello scompartimento dell'Espresso, appoggiato con la testa sulle ginocchia di Kaitlyn, se le cose con i Dursley sarebbero andate meglio, ora che poteva minacciarli con la bacchetta, che poi alla fine non avrebbe mai usato. Beh, la magia poteva risultare vantaggiosa, no? Passare quel tempo ad Hogwarts l'aveva trasformato... Harry era cambiato nel profondo; aveva capito il vero significato di “Casa" e aveva trovato una famiglia. Aveva conosciuto amici fantastici, come Ron e Hermione e poi... be'...
Poi c'era Kaitlyn.
Che era forse l'unica cosa che davvero, davvero gli importava.
La ragazza in questione lo riscosse dai suoi pensieri, accarezzandogli i capelli con fare materno. O forse non materno, ma... da fidanzata, quasi. Non era certo di ciò che la spingesse ad agire in quel modo, però non disse nulla, godendosi le carezze. Hermione sorrise, parlando delle sue prossime vacanze, le quali sarebbero state molto interessanti e piene di studio e bla bla bla.
Harry non prestava più attenzione alle parole dell'amica, troppo distratto dalle dolci carezze della Black. Sotto quelle mani si sentiva molto tranquillo, quasi come se tutte le tristezze del mondo fossero scomparse. Anni dopo, Potter avrebbe descritto Kait come la sua Anti-Dissennatori. Gli infondeva allegria, anziché dolore, tristezza e poi... qualcosa gli si muoveva, dentro, nello stomaco. Farfalle? I gufi gli sembravano più appropriati, a parer suo. Il ragazzino fissò la sua migliore amica, mentre la moretta ricambiava lo sguardo.
“Siamo arrivati!" la voce di Ron li riportò bruscamente alla realtà e Kait sobbalzò. Un movimento - subito seguito da un lamento - arrivò forte e chiaro dalle sue ginocchia, o meglio, da Harry. Si alzarono, prendendo i loro bagagli, poi scesero dal treno, rapidi, silenziosi, sorridenti e felici e... amici. 

Kait si voltò, dopo aver salutato i suoi migliori amici, e cercò con lo sguardo i Serpeverde. Remus l'aveva avvertita che avrebbe fatto un leggero ritardo, perciò perché non approfittarne per salutare come si deve il cugino e i suoi compagni? Draco, Blaise, Daphne, Pansy, Theo e tanti altri che l'aspettavano sorridendo. E mentre si avviava a passo svelto verso di loro, un pensiero le sfiorò la mente per un secondo e uno soltanto: "Che bella, la mia Famiglia!"

Quella vera poteva anche essere morta tanti anni prima, suo padre poteva anche dover scontare l'ergastolo; il suo padrino poteva anche essere infelice per la sua sfortunata natura, ma Kait possedeva comunque - e sempre avrebbe potuto farci affidamento - la famiglia più bella che avesse mai desiderato.
Hogwarts era questo. La giovane se ne rese conto realmente solo in quel momento, anche se probabilmente lo sapeva da sempre. La scuola di Hogwarts era e sempre sarebbe stata una casa, una famiglia, per i suoi alunni e i suoi professori.
"Ci sarà un party a casa mia, tra tre settimane. Siete tutti invitati: ci saranno tutti i purosangue d'Inghilterra. Sarà STREPITOSO!" esclamò Pansy Parkinson enfatizzando sull'ultima parola. Kait represse una smorfia, mentre con la coda dell'occhio vedeva Draco fare lo stesso. Entrambi odiavano quel tipo di feste, ingessate e insipide. Non si poteva fare niente, bisogna essere educati e perfetti come ogni adulto Purosangue si aspettava da loro. Si costrinsero ad accettare l'invito, - rifiutare sarebbe stata una grossa scortesia, nonché un affronto nei confronti della famiglia che organizzava l'evento - poi Kait ringraziò per l'offerta e salutò gli amici Serpeverde. Prima di allontanarsi abbracciò il cugino Draco, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo ed inspirando il buon profumo del ragazzo ormai dodicenne. Anche Kait lo era, dato che il suo compleanno era appena in settembre.
 "Sappi che ti voglio bene e che se avrai bisogno di me io ci sarò. Te lo prometto. Parola di Helena Kaitlyn Black." 
Detto questo, con un groppo in gola non indifferente, la giovane si allontanò verso l'uscita della stazione, trascinando con sé il proprio baule.
La ragazzina non dovette attendere molto, perché dopo soli due minuti, da un punto imprecisato della via, apparì Remus, quasi per "magia". 
Appena Kait incrociò lo sguardo felice e al tempo stesso stanco - come appariva ormai spesso - del padrino, mollò di scatto i bagagli, lasciandoli in mezzo al marciapiede, e corse incontro all'uomo dal volto scavato e dai vestiti logori. Gli saltò in braccio, attaccandosi a lui come un Koala e non accennando a voler mollare la presa, mentre urlava il suo nome e scoppiava in una risata simile ad un latrato. Remus la strinse a sé come se ne andasse della sua vita, posando le mani sulla schiena della figlioccia e poi, con un colpo di bacchetta non visto dai Babbani, smaterializzandosi, con accanto la bambina e i bagagli.
Erano a casa.


 

*Ron lo dice davvero, nel libro :3
** qui a dirlo è Harry, ma anche questa è una citazione del libro.
Spero di non aver fatto confusione con le età... e spero che vi piaccia.


 

PRIMO ANNO CONCLUSO!



Vorrei ringraziare chi ha messo questa storia tra le preferite:
Amisa, ARAYA479PA3, clacla_97, iaele santin, Minnie Weasley, Quadrifoglio27 (a cui va un ringraziamento speciale), Queen of the Night, Sandyblack94, tata92, ToujoursPurBlack.
Ringrazio anche chi l'ha messa tra le seguite:
Allice_rosalie_black, brando, clacla_97, Emerlith, esmecullen, Fred_Deeks_Ben, Ginny_P, giuly_bu, HaileyB, Isterica, Iulia_E_Rose, Jeis (che ringrazio anche per aver commentato lo scorso capitolo), Lady Boleyn, marco121184, medahmalfoy_, Mimy, Muffin alla Carota, namina89, Nene_92, Nihalooney, sackiko_chan, Sadako Kurokawa, Tintinalie, Tormenta (che ringrazio per esserci sempre e per sopportare i miei scleri), valepassion95 e VSRB.

Grazie a tutti, davvero. Non so che farei senza di voi.
S

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Capitolo 25
*** Giugno 1992 ***


Giugno 1992


Arrivata a casa, la Black si lasciò andare in un (lungo) riassunto delle sue giornate ad Hogwarts. Quando, sfinita e con la gola secca, non riuscì più a parlare, promise di raccontare il resto dopo una lauta cena.
Inutile dire che l'occasione venne colta al balzo da Remus, vero?
Infatti la giovane moretta aveva ancora problemi, per quanto riguardava la nutrizione. O meglio, per quanto riguardava la Non-Nutrizione. 
Quella sera, tra pasticci di carne e bottiglie di una strana sostanza che i Babbani chiamavano Coca-Cola, ma che a Kait faceva pizzicare il naso, il licantropo e l'Unità ritornarono a formare ciò che erano da ormai molti, molti anni: una famiglia.


"Hanno un bambino. Avevano un bambino," sussurrò Kaitlyn, appoggiandosi a quello che, da quel momento in avanti, sarebbe stato chiamato "il Salvatore del Mondo Magico". Lui la  lasciò parlare, capendo del bisogno della moretta di sfogarsi. "Credo sia questo ciò che mi fa più dolore. Hanno lasciato un bimbo orfano," 
Dopo la scenata in Sala Grande (o in quel che ne restava), Kait si era ripromessa di non piangere più, ma anzi di festeggiare il fatto che la Guerra fosse praticamente finita e che il suo padrino avesse trovato amore e famiglia. Se l'era ripromessa, però calde lacrime le stavano già rigando - di nuovo - le guance.
 "Devo dare la notizia ad Andromeda. Ma non credo di riuscire a farlo da sola. Vieni con me?" 

"Verrò sempre, con te. Non ti lascio sola, né lo farò mai."

"Capito? È stato Ron, ha giocato la migliore partita a scacchi di sempre - a proposito, è davvero bravo - e ci ha salvato la vita! Solo la migliore amica di un grande! E Hermione... Ti ho detto di lei, vero? Cioè, è stata così tenera! È rimasta indietro con Ron... Secondo me le piace.”
Sotto lo sguardo stupito del padrino, la ragazzina parlò senza prendere mai fiato, preoccupata dell'idea che Remus non sapesse esattamente TUTTO ciò che era successo a scuola. O meglio, quasi tutto.
 "Hai capito? Sono la migliore amica di una tenerissima e geniale Grifondoro... Ma non hai ancora sentito di me!"

Pausa per prendere fiato e bere un bicchier d'acqua.
 "Sono stata stupenda. Ho individuato la pozione giusta e così ho permesso a Harry di proseguire. Sono stata magnifica... Modestamente, io sono magnifica. Forse senza modestia... Ma lasciamo perdere, perché non ti ho ancora detto di Lui. Ha sconfitto Voldemort! Ah, Merlino! Il mio migliore amico è un EROE!"

A queste parole, mentre Remus si strozzava con la sua stessa saliva, andatagli di traverso, Kait si fece improvvisamente silenziosa. Alzando lo sguardo, il Mannaro notò che la giovane aveva perso la gioia e stava trattenendo il fiato, in attesa di una qualche reazione da parte sua. “V...Voldemort?”

“Sta cercando di tornare, zio.” sussurrò Kaitlyn mordendosi il labbro. “Lui sta... sta cercando di... Merlino!” mormorò Remus con sguardo spaventato. “Sì zio. Lui tornerà. E noi saremo pronti.”

Il licantropo fissò la figlioccia, basito. “Saremo pronti, zio. Io mi sto già allenando, con Jackson e Malocchio. Ricordi?”

Remus sospirò. “S... sì, certo.”

“Quando verrà il momento, saremo pronti. 
Io sarò pronta.”


“E’ troppo piccola! Ha appena finito il quarto anno...”

“E’ ciò di cui abbiamo bisogno, fidati di me, Minerva.”

“L’ultima volta non ero favorevole a dei diciassettenni, figuriamoci se ora lo posso essere per una ragazzina di quattordici...”

“In realtà, Minerva, a settembre ne fa sedici.”

“Non mi interessa, Albus! E’ comunque troppo picc...”

Toc. Toc.
“Signore, mi ha chiamata?”

“Sì, signorina Black. Si accomodi.”
“Grazie, ma preferisco stare in piedi.”

~

“Accetto.”
Stretta di mano.

"Benvenuta nell’Ordine della Fenice.”


~

Quella sera, cullata dal suono del suo carillon e dall’immagine della sua famiglia ( a cui magicamente si erano aggiunti i volti di Remus, Draco, Harry, Hermione, Ron, Jackson e i Fondatori), Kait si lasciò andare tra le braccia di Morfeo.
E mentre anche l’ultima immagine spariva, la giovane fece loro una tacita promessa.
Giuro solennemente di non dimenticarvi mai.

~

"Schiena dritta, pancia in dentro e petto in fuori. Perfetto, così," la voce della donna era ridotta ad un sussurro, mentre le sue mani toccavano esperte la giovane. La signora le strinse i lacci del vestito fino a quasi non farla respirare, prima di passarle una mano sul collo e, con un brusco movimento, alzarle il mento. "I Purosangue non abbassano lo sguardo. É chiaro? Nulla deve dare a vedere che tu sei figlia di tuo padre."
La donna le lanciò uno sguardo penetrante, mentre Kaitlyn si mordeva la lingua per evitare una risposta talmente tagliente che avrebbe fatto rabbrividire Salazar in persona.
"Madre?"
Draco entrò nella stanza, ammirando la bellezza della cugina, rovinata però dal fatto che, purtroppo, quello non era il contesto adatto alla moretta. Quest’ultima fissò da dietro la frangetta il dodicenne appena arrivato. "Siete attese nella stanza d’ingresso, madre."
Narcissa fece un minuscolo cenno del capo, congedando il figlio ed ammirando il suo capolavoro. Dopo ben un'ora spesa per lei, Kaitlyn pareva davvero una purosangue e sua zia poteva ritenersi soddisfatta. Il corpo magro e ben proporzionato della quasi-tredicenne era fasciato da un vestito nero, - su questo Kait si era impuntata: o nero o niente - le cui spalline erano ricoperte da un leggero strato di pizzo. La Black non si intendeva molto di moda, ma anche se ne avesse saputo qualcosa, certamente avrebbe etichettato quel vestito come "impossibile" da indossare. Le sembrava terribile, con quei fronzoli sulla gonna e quelle spalline di pizzo che, appunto, pizzicavano da morire. Senza contare che, essendo un abito di alta moda dei maghi, doveva pure essere costato un occhio della testa.
Ma il prezzo non era importante. Non per i Malfoy, i Black o qualsiasi altro purosangue dell'alta classe. Duecentotrentacinque galeoni per un solo vestito? Bazzecole!
Immediatamente il pensiero andò a Ron, che era povero e che però non chiedeva mai niente. Più di una volta la giovane aveva domandato all'amico se avesse bisogno di qualcosa. Doveva soltanto considerarlo come un regalo! Kait si morse il labbro al pensiero della feroce reazione del compagno di Casa. Il tatto non è il mio forte, pensò scuotendo la testa.
Narcissa la fece tornare alla realtà: si aggrappò al suo braccio, mentre Draco faceva la stessa cosa con il padre e tutti e quattro si smaterializzarono alla "festa". La villa non era certo imponente come quella dei Malfoy, suggestiva come quella abbandonata dei Gilbert o "moderna" come la villa posseduta dagli Zabini, ma faceva comunque uno strano effetto vederla in tutta la sua grandezza. L'edificio era quasi interamente ricoperto da quella che Kait riconobbe come edera, che lo rendeva più tenebroso, in un certo senso. Il Manor della famiglia Parkinson non è molto lontano da quello dei Malfoy, pensò Kait squadrando il cancello aperto e, con coraggio, decidendosi ad entrare nel parco. Eppure, per quanto fosse stato vicino a lei, la moretta non ci era mai stata.
Soprattutto a causa di Remus. Infatti, l'uomo non approvava per niente il fatto che la sua figlioccia socializzasse con quelli là, ovvero i figli degli Ex-Mangiamorte. L'unica famiglia di Purosangue che approvava, per quanto ne sapeva la Black, erano i Malfoy. La giovane però non era del tutto sicura che la parola giusta da usare fosse "approvare", dato che il licantropo (si, quello dall'animo gentile che conosciamo tutti, proprio lui) non faceva altro che criticarli. Spesso la dodicenne si domandava perché, se non si fidava di loro, Remus la mandasse comunque da quel ramo della famiglia.
Una mano le si posò sulla spalla.
Lucius - con cui non aveva mai avuto un buon rapporto - strinse la presa su di lei e la fece avanzare, tenendosela vicino. Kait non era sicura di seguire l'uomo soltanto per la mano che la spingeva. C'era qualcosa, infatti, nei modi di fare di Malfoy Senior, che non permetteva a nessuno di contraddirlo. E anche se la giovane non aveva mai approvato lo zio, anche se avrebbe voluto dargli torto solo per il gusto di vederlo arrabbiato, in quel momento stette buona. Si fece condurre per il grande e fiorito parco senza fiatare o ribellarsi. Ma quando arrivarono al portone d'ingresso, a Kait venne la nausea. Si sentì in trappola, nella tana del lupo. Voltò leggermente la testa, cercando con lo sguardo Draco, che notò la sua agitazione e le si avvicinò. Lucius lasciò la presa sulla nipote e affiancò la moglie: la Black ebbe la sgradevole sensazione che la coppia formata da lei e il cugino non fosse affatto casuale. Come se fosse decisa la loro vicinanza. Ma erano tutte sciocchezze, giusto?
Poco prima di entrare in casa Kait chiuse gli occhi per qualche secondo, facendo un bel respiro.
Draco è con me, pensò.
Niente può andare storto.

La serata non fu poi così male. A parte il dover essere presentata a tutti, ovviamente - a quello Kaitlyn si sarebbe sottratta volentieri.
Però, tutto sommato, non fu così male.
Gli adulti si trovavano in giardino, le donne a spettegolare sugli ultimi avvenimenti, sui maghi non puri e su tutto ciò che potevano; gli uomini, invece, parlavano sottovoce del "ritorno" di qualcuno. I ragazzi intanto stavano nel Manor, posto molto più fresco del giardino esposto al sole. Lontano dallo sguardo delle famiglie, i Serpeverde più giovani di Hogwarts si erano rilassati, rivelandosi come i semplici dodicenni che erano, sotto le cravatte e i gioielli fin troppo pesanti.
Fu proprio grazie a loro che, quando a tarda sera i coniugi Malfoy li fecero preparare per andarsene, Kait e Draco protestarono. Narcissa impallidì, voltandosi velocemente verso Lucius, il quale sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. “Niente storie! Si torna a casa! O saranno guai.”
A quelle parole nessuno dei due osò ribattere, mentre alle spalle di Kaitlyn Godric mormorava qualcosa come “rivolta, ribellione!”, tranquillamente ignorato dalla ragazzina.
Kaitlyn e Draco furono portati a casa di quest’ultimo, - se di casa si poteva parlare, data la grandezza - perché Remus era fuori città. Anzi, ancora più lontano: Remus era dovuto (o voluto) andare in America per presenziare ad un convegno, composto da lupi mannari, sulla società e su come essa trattava i licantropi. Ovviamente gli altri credevano che avesse una vecchia zia malata oltreoceano.

Per quanto riguardava Kait, era stato deciso che avrebbe passato tre settimane dagli zii, in compagnia del cugino. La Black aveva pensato di chiedere ospitalità ai Weasley, ma prevedendo la reazione dei Malfoy, aveva deciso di lasciar perdere. Non voleva scatenare più liti di quante non si creassero già ogni giorno.

Kaitlyn sorrise e pensò che, nonostante tutto, quell’estate sarebbe stata migliore della precedente.
Non vedeva l’ora che Harry rispondesse al suo gufo!







Ehilà, comment ça va? Oggi sono particolarmente presa dalle lingue...
Ad ogni modo, scusate il ritardo. Lo so, sono imperdonabile ç.ç
Ed eccoci a giugno (non ci credo che siamo già qui!!! D: )
Che ve ne pare di queto capitolo? Mi lasciate un commentino? :)

 

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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


 

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Capitolo 26
*** Luglio 1992 ***


Luglio 1992

 

Kaitlyn e Draco, quella sera, furono liberi di restare un po’ alzati, dopo essersi fatti lavare dagli elfi domestici - Kait aveva gentilmente rifiutato l’aiuto di Dobby, pretendendo di stare da sola nella stanza da bagno, rilassata nella vasca e immersa nell’acqua, con fuori solo la testa e i capelli raccolti in una crocchia. Dato che Kaitlyn e Draco non condividevano la stanza e anzi c’era perfino un lungo corridoio e una saletta per il te’ a dividerli, i dodicenni diedero appuntamento nella sala da lettura, adiacente alla biblioteca.
Quando la Black, in pigiama e con la pelle che ancora sapeva di bagnoschiuma al latte, arrivò dal cugino, questo era lì ad aspettarla da almeno una decina di minuti. Avendo usufruito dell’aiuto degli elfi domestici, infatti, Draco ci aveva messo meno tempo. Il biondino si voltò verso la lontana parente, accennando ad un sorriso. Dalla fine della scuola Kait  gli aveva dedicato la maggior parte del tempo, dato che a quanto pareva il suo “caro” Harry non rispondeva alle sue lettere. Malfoy era contento di questo, ma a vedere l’espressione triste della giovane, anche la felicità scemava. Al suo posto cresceva la rabbia. Come si poteva ignorare una ragazza del genere?
Il giovane Serpeverde si avvicinò alla Grifoncina, prendendola per mano e conducendola nella biblioteca, il luogo che i dodicenni apprezzavano maggiormente di tutto il Manor. Si misero a curiosare per la stanza, aprendo libri spaventosi e pieni zeppi di magia nera, leggendo saggi sull’uso della magia e ficcando il naso dove non avrebbero dovuto. Draco, salendo su una scala, afferrò un tomo di un migliaio di pagine sulla storia della magia. Non che gli interessasse, ovvio, ma Malfoy sapeva che nei libri più noiosi i suoi genitori nascondevano sempre documenti importanti. Evidentemente credevano che mai e poi mai due bambini avrebbero voluto sapere di più sulla storia. E difatti avevano ragione.
Draco tornò a terra e si sedette su una delle poltroncine nere della sala da lettura, appena a pochi passi dalla biblioteca. Appena sollevò (con non poco sforzo) il libro, da esso scivolarono tre lettere. “Ho fatto centro!” pensò, mentre con aria furtiva si guardava intorno. Sua cugina non si vedeva ancora.
Sospirò di sollievo, poi aprì la prima busta.
Essa conteneva una pergamena ammuffita, risalente alla nascita di Draco, probabilmente. C’erano scritte poche parole, che fecero tremare la mano del ragazzino.

“Lui è caduto. Siamo sciolti. Imperio.”


Malfoy Junior non ci mise molto a capire di cosa parlassero. Qualcuno aveva mandato una lettera, anni e anni prima, dicendo che Voldemort, - anche solo pensare quel nome fece rabbrividire Draco - che LUI era caduto e che i Mangiamorte si scioglievano, dividendosi e dicendo di essere stati sotto la maledizione “Imperio”. Draco scosse la testa, rimettendo la pergamena nella busta con delicatezza. Non gli interessavano gli affari del padre, finché fosse riuscito a tener lontano da lui ogni tipo di pericolo. Prese la seconda lettera e lo sguardo gli cadde sulla prima riga, dov’era scritto il suo nome.

Promessa di matrimonio: Draco Lucius Malfoy e
Firma di un genitore (o di chi ne fa le veci) dello sposo: Narcissa Black Malfoy
Firma di un genitore (o di chi ne fa le veci) della sposa: 


Draco rimase un secondo interdetto. Sul retro della pergamena svettavano due nomi, che fecero strabuzzare gli occhi al Serpeverde.
Helena Kaitlyn Black - Astoria Greengrass
Il giovane non poteva crederci. Quindi si sarebbe sposato con una delle due? O sua cugina, o una ragazza che non conosceva nemmeno?
Astoria Greengrass... il suo cervello elaborò il nome, riconoscendo la sconosciuta come la sorella minore della sua amica Daphne. Sconvolto, Draco si ritrovò a sperare di stare con Kait. Kait, una sua parente. Meglio lei di una sconosciuta, però.
Il Serpeverde inghiottì a vuoto, schiarendosi la gola e passandosi una mano tra i capelli. Udì uno scricchiolio, così rimise le due buste nel libro, in tutta fretta. L’Unità delle Case arrivò saltellando.
“Ehi, Draco! Dov’eri finito?”
Dopo la domanda scese il silenzio, nella stanza. Malfoy pensava al suo matrimonio, Kait fissava il libro di storia della magia, accanto al quale stava una lettera. La serpe seguì lo sguardo della cugina, maledicendosi mentalmente. L’ultima busta, quella che nemmeno lui aveva ancora letto, stava lì, a invogliarne la lettura. “Wow! L’hai trovata per caso?” domandò Kaitlyn e senza attendere una risposta afferrò la pergamena, avvicinandosi a Draco così che entrambi potessero vedere. Il Serpeverde sedeva su una poltrona; la Grifoncina si sistemò per terra, ai piedi dell’altro.
Quando aprirono il foglio, distendendolo su un basso tavolino di fronte a loro, ciò che videro li sorprese non poco. Era un disegno, di alta fattura, probabilmente. In basso a destra c’era la firma dell’autore. Era stato fatto una decina di anni prima, a giudicare dalla data sotto il nome.
Il disegno rappresentava Azkaban, la prigione dei maghi.
Con una freccia e due o tre parole in una lingua che Kait riconobbe come latino, era indicato il mare che circondava il carcere e la sua profondità. In una macchia scura e senza volto era disegnato un Dissennatore, accanto ad una cella. Segnata con una freccia che partiva da essa - che Draco sospettava fosse stata segnata di recente - c’era un ingrandimento della cella. Era scritto tutto, i turni dei visitatori (i pochi che avevano il fegato di andare lì), la larghezza delle sbarre e la distanza di una dall’altra. Una frettolosa scritta diceva che due volte al giorno, al mattino e alla sera, veniva servito il cibo; circa all’ora di pranzo, uno alla volta, i detenuti erano portati ad un bagno, per il tempo necessario per svuotare la vescica. Non potevano lavarsi, dato che non c’era né un lavandino, né una doccia o un catino d’acqua. A quanto diceva il “misterioso scrittore”, nove detenuti, nel corso della storia, erano deceduti ad Azkaban per motivi diversi dalla vecchiaia. Tre volte per malattie dovute alla sporcizia. Due persone a causa di una tentata fuga, quattro si erano suicidate.
Stavano leggendo l’ultima nota, quella che parlava delle guardie, i Dissennatori, quando udirono dei passi. In fretta e furia rimisero tutto al suo posto; Draco salì la scala accanto alla libreria e infilò il libro esattamente dov’era prima, per non destare sospetti.
Dietro di lui, all’insaputa del biondino, Kaitlyn piegò un certo foglio e se lo infilò in tasca, di nascosto.

~

Kait salutò Draco con due baci sulle guance, prima di accennare un inchino a Narcissa e Lucius. Si voltò con un groppo in gola e la sua mente descrisse quello strano malessere con un unico pensiero: mai dare le spalle al nemico.
Kaitlyn scosse la testa, ignorando il suo cervello, ma camminando suo malgrado più velocemente del normale. Fu solo quando uscì dal parco che riprese la sua naturale andatura, tornando a respirare dopo aver smesso senza nemmeno essersene resa conto. La dodicenne si fermò fuori dal cancello, appoggiandosi ad esso con la schiena ed aspettando con ansia sempre crescente l’arrivo del padrino.
Due minuti dopo qualcuno comparve di fronte a lei.
Ma non era Remus.
Alastor “Malocchio” Moody si Smaterializzò con un semplice movimento di bacchetta e Kait fece un passo indietro, scontrandosi contro il cancello del Manor, spaventata. Si ricompose immediatamente, rallentando il respiro e sistemandosi i capelli in modo da coprire almeno in parte gli occhi. “Sera, Malocchio,” disse con finta noncuranza, mentre l’uomo borbottava innervosito. Odiava che lei usasse il suo soprannome: chi si credeva di essere?
“Ragazzina impertinente,” mormorò trattenendo un sorriso. Kait sapeva bene che in realtà, sotto lo strato di vecchio e burbero Auror, si trovava un uomo buono come un cioccocalderone, o come una cioccorana. Insomma, buono come la cioccolata - era così che si diceva tra i Babbani, a quanto sembrava.* O forse no.

“Dai, vieni, piccoletta.”
Kait si strinse ad Alastor, mentre si Smaterializzavano. La Black ignorò il senso di nausea che le provocò la magia, cercando di sorridere e sembrare convincente. L’Auror ridacchiò alla sua espressione, poi la lasciò andare e si guardò intorno, soddisfatto. Kait non riconobbe immediatamente il luogo in cui era comparsa, ma dopo un secondo di confusione capì di chi fosse la casa che le stava di fronte. Capì anche che Remus non era ancora tornato e non si fidava a lasciarla sola. Malocchio le diede una spintarella per incitarla a camminare, così Kait si avvicinò all’abitazione della parente. Quando bussò, l’Auror scomparve.
La porta si aprì, rivelando un ampio ingresso dotato di un grande specchio a muro riccamente decorato. La bambina fissò incredula la cornice d’oro e pensò che fosse strano: una rinnegata senza eredità con uno specchio del genere? La signora alla porta distolse la sua attenzione con un colpetto di tosse, così Kaitlyn posò lo sguardo su di lei, rabbrividendo istintivamente. Fortunatamente la donna non diede segno di aver notato la breve esitazione.
“Ciao, piccola. Entra pure!” disse Andromeda sorridendo. Non sembrava più così simile alla sorella, la Mangiamorte rinchiusa ad Azkaban, e Kait si sentì rincuorata. “Saremo solo noi due oggi, purtroppo. Mio marito e mia figlia sono fuori.”
La signora Tonks si diresse in cucina, mentre dietro di lei la bambina osservava con occhi spalancati la casa che aveva visto sempre e solo dall’esterno. Remus non si teneva molto in contatto con i Black, infatti. Sarà per l’insana idea che avevano sulla purezza di sangue, si disse Kait. Purezza che a lei non era mai interessata. Non troppo, almeno. Andromeda tirò fuori dalla dispensa una fetta di torta, che la nipote non si sentì di rifiutare. Cominciò a mangiare in silenzio, sentendosi costantemente osservata dalla donna al suo fianco. In quel momento si udì uno strano picchiettio: era un gufo, che dalla finestra del soggiorno chiedeva di entrare. Zia Meda corse a rispondere alla  lettera appena arrivata, lasciando la dodicenne sola. La ragazzina posò la forchetta sul piatto ormai vuoto e si pulì la bocca, bevendo poi un bicchier d’acqua.
Andromeda tornò pochi minuti dopo, con un’espressione neutra sul volto che non lasciava intendere le emozioni provate. Kait la fissò cercando di capire, ma la zia non la lasciò fare: sparecchiò con un abile incantesimo e con un altro sventolio di bacchetta richiamò a sé la sua borsetta. La piccola Black ricordò vagamente il nome della formula. - Accio - ?  
“Dai, usciamo. Ti porto fuori... se ti va,” disse Meda con un sorriso, esitando alla fine della frase. Kait annuì, avviandosi all’ingresso, anche se dentro di sé pensava soltanto a quanto avrebbe voluto tornare a casa. Le due purosangue uscirono in pochi minuti, durante i quali Kaitlyn non fece altro che chiedersi quando il padrino sarebbe tornato. Decise di parlarne con la zia, la quale però purtroppo non sapeva niente. “Ha detto di stare con te tutto il pomeriggio e di non farti addormentare troppo tardi, la sera. Probabilmente arriverà dopo le due, o le tre.”
La moretta era già pronta a ribattere, ma fu distratta dalla Smaterializzazione Congiunta, con cui le due si ritrovarono nel bel mezzo di Diagon Alley. Immediatamente la dodicenne lasciò la mano della parente, avviandosi con passo spedito verso la vetrine di un negozio, su cui schiacciò il viso, per poter vedere dentro senza il riflesso fastidioso sul vetro. Ammirò l’interno della bottega - cercando di evitare l’espressione e lo sguardo critico che spontanei nascevano sul suo volto, quasi senza che se ne rendesse conto - e Kait pensò che forse sarebbe potuta entrare a dare un’occhiata alle ultime novità in campo di Quidditch. Dopotutto, anche se Harry non le rispondeva mai via gufo, un regalino poteva farglielo. Tanto per ricordargli la sua presenza e per augurargli buon compleanno.
La dodicenne arricciò il naso in una smorfia, pensando che il comportamento del ragazzo era del tutto sbagliato. Era forse un modo per dirle che non voleva essere più suo amico? Harry era così poco Grifondoro da non dirle niente, da lasciare il silenzio a parlare per lui? Kait non sapeva certo che in quello stesso istante il Bambino-Che-E’-Sopravvissuto stava ragionando sullo stesso pensiero.
Un colpo di tosse la fece tornare bruscamente alla realtà: Andromeda la stava guardando, un sorriso ad illuminare il volto stanco. “Ti va di aspettarmi qui? Io devo fare due o tre commissioni, e quando torno andiamo a prendere un bel gelato da Fortebraccio, con due palline, eh?” disse la donna, prima di esporle l’alternativa, che prevedeva Meda seguita passo passo da Kait. L’Unità preferì rimanere a guardare gli articoli di Quidditch, così salutò la zia ed entrò nel negozio, preceduta da un simpatico scampanellio.
Kaitlyn cominciò a vagare per gli scaffali, ammirando boccini d’oro che fremevano rinchiusi in orribili scatoline di vetro, divise firmate da importanti giocatori e manuali scritti da allenatori famosi. Trovò una vecchia Pluffa in un angolo, come se fosse stata dimenticata, con accanto una copia de “Il Quidditch attraverso i secoli”.
Poi la vide e pensò che Harry se ne sarebbe innamorato istantaneamente.
La Black avrebbe voluto comprargliela, ma sapeva che la sua ricchezza metteva spesso in imbarazzo gli altri. Ogni volta che Kait mostrava il suo stato sociale in modo così esplicito, tutti i suoi compagni di rango inferiore si imbarazzavano o si vergognavano dei propri averi, quasi insignificanti in confronto a quelli della Black. Peccato, pensò sospirando. Quella Nimbus 2001 è proprio bella!



Girovagando per Diagon Alley con Andromeda, Kaitlyn notò un sacco di undicenni che si preparavano ad andare a Hogwarts e pensò che, mesi prima, lei era stata al loro posto.
Senza ragionare su ciò che faceva, la Black si voltò e guardò dei ragazzini da oltre una vetrina; poi fece loro l’occhiolino.

A Hogwarts quell’anno, Kait lo sentiva, non si sarebbe annoiata.
Alle sue spalle Salazar sorrise cupamente.







*ovviamente mi riferisco al detto "Buono come il pane", ma essendo Kait una purosangue ho pensato di farle fare un po' di confusione ^^
Bene, in questo capitolo (manca ancora agosto e poi si torna a scuola) accadono alcune cosette di cui vorrei parlarvi.
Punto primo: Draco e Kait. So già che molti di voi non apprezzeranno questa coppia e devo ammettere che nemmeno io faccio i salti di gioia, ma è... com'è che si dice? ah già... è per esigenza di trama (credo si dica così). Ad ogni modo, mi serve, per intenderci.
Punto secondo: il disegno di Azkaban. Se non lo aveste capito, è quello il foglio che Kait si mette in tasca.
Punto terzo: Harry - ovviamente - non risponde alle lettere di Kait, ma non perché non la vuole più sentire, semplicemente perché... non può! Ricordate la storia di Dobby e tutto il casino derivato? Ecco.
Punto quarto: "Alle sue spalle Salazar sorrise cupamente." qui abbiamo già un accenno a ciò che succederà durante il secondo anno, anche se - ovviamente - Kait ancora non lo sa.

Bene, direi che ho finito :)
Alla prossima! :)
S

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Capitolo 27
*** Agosto 1992 ***


Here I am :)

Non mi perdo in chiacchiere e vi lascio alla lettura :D

 

 

Dedico questo capitolo a Quadrifoglio27 (Ja è qui per te <3 )

 

 

 

Agosto 1992

 

Gyaki sibilò svogliatamente, strisciando lungo il braccio, circondando il collo della sua padrona e trasformandosi in collana. A Kait sarebbe piaciuto poterlo mostrare in giro, ma aveva paura della reazione che avrebbero avuto i compagni di scuola nel vedere un serpente che le si muoveva su tutto il corpo. Non lo aveva mai indossato davanti agli altri per questo, o forse per il ricordo di Regulus, o magari  perché alla fin fine sentiva di non meritarselo. Anche perché in teoria il Black Mamba sarebbe spettato di diritto a Draco, essendo lui l’erede maschio dei Black. Era uno società all’antica: le femmine non contavano nulla.
Era quindi questo il motivo, la ragione che aveva spinto la ragazzina a non mostrarlo mai al cugino? Un istinto, una sensazione... una paura inconscia.
Draco non può avere Gyaki, si disse in un impeto di gelosia. Kait udì nuovamente il sibilo. Quel serpente era sempre così, a cercare di attirare la sua attenzione, mentre lei lo ignorava. Non poteva certo metterselo al dito come niente fosse, come se fosse suo, come se fosse un suo diritto...
Ma lo era. Magari qualcuno avrebbe potuto ribattere, ma Kaitlyn lo sapeva: era stato Regulus in persona, l’erede maschio dei Black, a donarglielo. Era un suo diritto indossarlo, mostrarlo al mondo intero. Quella doveva essere una sua scelta, dettata dall’istinto e non dalla ragione. Dal coraggio e non dalla paura.
Il serpente sibilò il suo assenso, strisciando ed alzandosi in modo da potersi avvicinare al volto della ragazzina. Ella sapeva che lui dimostrava il suo affetto e la sua lealtà in quel modo, posizionando la testa sul volto della padrona, così non si oppose quando lo sentì sfiorarle con esitazione il viso. Qualche minuto dopo si ritrasse, strisciando nuovamente lungo il braccio e sfiorando l’indice della sua mano sinistra. Quando le si attorcigliò addosso, la quasi tredicenne si sedette sul letto, contemplandolo. Non aveva il coraggio di toglierlo, ma sapeva che qualcuno - chi non era importante - avrebbe protestato. Gyaki si mosse, cercando una posizione migliore e stringendo la presa.
“Non così forte, mi fai male!” esclamò la Black con tono quasi materno.
“Con chi stai parlando?” domandò Andromeda spalancando la porta ed entrando nella camera, un largo sorriso sul volto. Sorriso che si congelò quando vide ciò che la nipote stava guardando. Meda era lì come baby-sitter, dato che Remus lavorava ancor più di prima.
Kait nascose la mano sinistra dietro la schiena e si sforzò di sorridere, sperando che la zia non avesse visto l’anello. “Ehm... cosa succede? Hai bisogno di qualcosa?” chiese ostentando calma. Zia Meda chiuse per qualche secondo gli occhi, tempo durante il quale Kait pensò a dieci modi diversi per scappare da quella situazione. Non per ultimo, togliersi il gioiello dal dito, impresa però quasi impossibile, data la forte presa del serpente. Sembrava che il rettile si rifiutasse ostinatamente di nascondersi ancora. La signora Tonks le si avvicinò, afferrando il suo braccio sinistro e tirandolo in modo da poter vedere bene la mano.
“Come fai ad averlo?”
Fu proprio mentre stava per rispondere che Andromeda sorrise amorevolmente. “Era da... Anni, che non lo vedevo.”
Kaitlyn non sapeva ancora come muoversi e come gestire la situazione, ma la parente parve capire, perché le si sedette accanto, mollando la presa su di lei e lasciandosi andare in un sorriso pieno di malinconia. “Quando eravamo ancora tutti uniti.”
Andromeda sembrava persa in un mondo tutto suo, colmo di ricordi e di rimpianti. La donna vide che la dodicenne aveva ancora la mano sinistra semi-nascosta, così gliela prese gentilmente e se la appoggiò sulle ginocchia. “Non nasconderlo mai, Kait. E soprattutto non nascondere mai te stessa. Non farlo. Combatti per i tuoi ideali, per i tuoi desideri e per le persone che ami. Non permettere che la paura ti renda prigioniera. Non sei una schiava, Kait. Sei una tredicenne con davanti a sé un intero mondo da scoprire, un fiore appena sbocciato che ha di fronte tutta la primavera. Tu sei una Black, Kaitlyn, e in quanto tale hai il diritto di portare quell’anello. Sei una Grifondoro coraggiosa, ma soprattutto, prima di ogni cosa, sei te stessa. E se te stessa ha bisogno di Gyaki... beh, non nasconderti. Non la fare mai, soprattutto per le cose che ami. Sii te stessa, sii fiera di te. E combatti anziché nasconderti.”

 

~

“Ricordati: o ti adatti o muori.”
“Io non mi adatto. Io combatto.”
“E allora morirai, piccola Black.”
“Non metterci la mano sul fuoco, Malocchio.”

~

“Quindi... adesso fai parte dell’Ordine?”
“Sì, signore.”
Moody annuì, improvvisamente di cattivo umore.
“Black, ti dico solo questo: prova a morire e dovrai vedertela con me!”
Kaitlyn sorrise malandrina.
“Anche io ti voglio bene, Malocchio.”
“Oh, ma sta’ zitta!”

~

Kait sospirò chiudendo il libro di trasfigurazione e scagliandolo dall’altra parte della camera. Ma perché dovevano esistere i compiti?
“Bah!” mormorò la purosangue afferrando il suo borsone. Scese le scale ed entrò in salotto, dove prese la metropolvere. Entrò in palestra pochi minuti dopo, già cambiata, e si sorprese nel trovare tutti gli attrezzi ai lati, accanto alle pareti. Al centro della stanza c’era un...
Kait fissò Moody a bocca aperta. “Cosa ci fa lui qui? Sei... sei impazzito?”
“Modera i termini, ragazzina!” esclamò Malocchio in risposta, facendole cenno di avvicinarsi. Jackson la affiancò immediatamente, prendendole la mano e stringendola forte. La situazione non gli piaceva per niente. “E questo cos’è?” domandò il ragazzo indicando Gyaki. Kait glielo spiegò, senza distogliere lo sguardo da Moody.
“Perché?” domandò arrabbiata.
“Perché non riesci a fare un Patrono. Ho pensato che con un Dissennatore davanti saresti stata più incline a...”
“Ma sei... Oh ma... Oh per Salazar!”
“Ehi, qui si fanno favoritismi!” esclamò Godric, prima di essere messo a tacere da una Black infuriata. “Malocchio, è un Dissennatore, un Dissennatore! Già a questa distanza,” e indicò i diversi metri che li separavano “mi sento uno schifo e ho la nausea. Prima devo imparare a fare l’incantesimo, poi e solo poi potrai farmi fare le esercitazioni pratiche. Non prima!”
Moody non volle sentire ragioni e Kait, la bacchetta stretta nel pugno, venne sospinta a un metro dalla guardia di Azkaban. La mano di Kaitlyn cominciò a tremare, mentre gli occhi le si facevano lucidi e il volto di sua sorella si faceva strada nella sua mente. “HELENA!” l’urlo di Hannah arrivò prepotente alle orecchie della sorella, a cui tremò pericolosamente il labbro inferiore.
Meno di un secondo dopo Kaitlyn giaceva a terra, svenuta.

“Riprova!”
“Sono tre giorni che non mi alleno su altro, per quanto tempo ancora pensi di volermi torturare così?!”
“Se ti ritrovassi uno di loro di fronte e volessi allontanarlo, non ci riusciresti! Sto cercando in tutti i modi di renderti più forte, così che niente ti distrugga, non un Dissennatore, un delinquente o cinque fottutissimi Mangiamorte!”
“Cinqu...” e allora Kait capì. Ricordò ciò che le aveva raccontato Molly, di come i suoi fratelli fossero stati allenati duramente da Moody e di come, purtroppo, l’allenamento non fosse bastato. Kait deglutì a vuoto, ripensando alla storia dei Prewett.
“Ma sai una cosa, razza di bambina viziata che non sei altro? Se vuoi, puoi andartene! Vai!”
“Resto,” sussurrò Kaitlyn, avvicinandosi nuovamente al Dissennatore e cercando nella sua mente un ricordo felice. Pensò alla voce di Hannah quando le cantava una canzone, spesso senza neanche saperne il vero testo. Ricordò la sorella che rideva, facendo gli angeli nella neve e dicendole “Saremo gemelle per sempre!”. Kait alzò la bacchetta e si preparò a pronunciare l’incantesimo. Era pronta e aveva il ricordo giusto.
O almeno, lo credeva.
La giovane Black svenne, il volto insanguinato e piangente della sorella ancora nella mente.

“Hai mai provato a pensare a qualcosa di... diverso?” domandò Jackson quando lei si svegliò. Come ogni volta che sveniva di fronte al Dissennatore, Kaitlyn si ritrovò tra le braccia dell’amico, con davanti il suo volto preoccupato. “Non ho molti ricordi felici, sai? Non è facile, per me.”
“Sì, ma provaci comunque. Al massimo Moody interverrà di nuovo e tu sverrai un’altra volta. Provare non costa nulla!”
Kaitlyn si alzò in piedi, sospirando. “Okay. Facciamolo!”
Malocchio la fissò, dubbioso, poi la esortò ad avvicinarsi al Dissennatore. Kait chiuse gli occhi e pensò a tutto ciò che le provocava felicità. Si ritrovò a ricordare il volto di Harry, i suoi occhi verdi, i suoi capelli indomabili e il suo sorriso timido. Poi passò a Hermione, con i denti storti e l’espressione concentrata. Di Ron fu spontaneo ricordare le lentiggini e il viso rosso fino alle orecchie.
Kait strinse la presa sulla bacchetta.
Draco e il suo modo di stringerla quando lei parlava della sua famiglia, o il suo forte desiderio di proteggerla; Jackson e il sorriso trionfante che le scoccava sempre quando la batteva, o la sua espressione dolce quando la tirava in piedi e si assicurava che stesse bene. Remus e la sua voce calda mentre le raccontava di come Sirius e Gillian si erano conosciuti. Moody e la sua espressione quando Kait rispondeva in modo troppo confidenziale e lui faceva finta di trovarla antipatica. Godric e i suoi continui incitamenti alla rivolta, Tosca e il suo dolce sorriso sempre pronto per lei; Priscilla e le sue mani calde che le scostavano i capelli dagli occhi e glieli intrecciavano mentre parlava. Salazar e i suoi ghigni divertiti quando la chiamava “serpentella”.
Il Dissennatore le si avvicinò.
“EXPECTO PATRONUM!”

“Ce l’ho fatta, Jackson! Ce l’ho fatta!” esclamò Kait saltando in braccio all’amico e stringendogli le gambe attorno alla vita, cosa che non sembrò dispiacergli. Moody le batté una mano sulla spalla, prima di voltarsi e occuparsi del Dissennatore, che andava riportato ad Azkaban. Kaitlyn rise, mentre Jackson le faceva fare una giravolta; poi si rese conto della posizione in cui erano. Arrossendo furiosamente, la Black si allontanò dal compagno, che aprì la bocca per parlare.
“Kay, io...”
“Jackson!” lo chiamò Malocchio, facendogli cenno di seguire lui e il Dissennatore.
La purosangue fu lasciata in palestra, dove ricominciò ad allenarsi, perplessa.

“Jackson, non ci provare.”
“Alastor...”
“No, ora taci e mi ascolti. Non è solo piccola, okay? E’ piccola e incasinata. E devi lasciarla in pace. Hai quindici anni, è normale che tu abbia gli ormoni a mille, ma vedi di controllarti.”
“Sì, signore.”








Okkkay, ecco qua :)
In questo capitolo si introduce un po' meglio il personaggio di Jackson, a cui non volevo nemmeno dare spazio, all'inizio. E' stata Quadrifoglio27 a mettermi in testa questa idea e... mi è piaciuta! Quindi... ecco qui <3
Alla prossima!
S

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Capitolo 28
*** Con l'inizio del secondo anno ***


Prima di cominciare, ho bisogno di un secondo della vostra attenzione, quindi non ignorate questa nota!
Prima di tutto mi vorrei scusare per l'enorme ritardo, il fatto è che mi si era cancellato il capitolo! Ero arrivata quasi alla fine della ri-stesura, quando mi sono ricordata che l'avevo inviato in anteprima ad un'amica e che, quindi, potevo riprenderlo da internet. Ovviamente l'ho ricordato solo dopo -.-

Ad ogni modo devo dire ancora una cosa, prima che cominciate a leggere, quindi non saltate subito alla storia. Questo capitolo e i due che ne seguono sono orripilanti. Non so perché, sarà che il secondo anno non mi fa impazzire, o che sto passando un periodo in cui non ho molto tempo... non lo so. So però che sono terrificanti e vi prego di non abbandonarmi solo per tre brutti capitoli, perché alla fine di essi riprendo il mio normale stile. Spero, dunque, che queste schifezze non compromettano la vostra "dedizione" - se così si chiama 0.o - alla mia storia. Trattenete il fiato, leggere i tre capitoli buttandoli giù come fossero sciroppo cattivo per la tosse e in men che non si dica tornerò "normale".
Grazie dell'attenzione,
S :)

 

 

 





Con l'inizio del secondo anno

 

“Magie Sinister?” sussurrò Kait, seguendo lo zio e il cugino all’interno del negozio. Non le piaceva per niente, quel posto. Mentre curiosavano tra gli scaffali, Draco inveì contro Harry e Kait si irritò, senza però avere il coraggio di riprenderlo di fronte a Malfoy Senior. Lui si trovò, suo malgrado, d’accordo con la nipote, sebbene per motivi diversi. Sì, pensò Kaitlyn, non è per niente prudente mostrarsi ostili a Potter, per la famiglia di un ex-Mangiamorte.
Lucius Malfoy si perse a parlare con il signor Sinister, e Kait e Draco ebbero la possibilità di curiosare in giro. Tutto, di quel posto, pareva urlare “Magia Oscura!”, ma ai due cugini questo non diede fastidio. Mentre Draco osservava una collana di opali dallla dubbia provenienza, Kaitlyn si avvicinò ad un armadio nero. Vide un’ombra al suo interno e, spinta dall’occhiata d’incitamento di Godric, aprì l’armadio, trovandosi Harry di fronte. “Che diavolo ci fai tu qui?!” sussurrò Kait, arrossendo suo malgrado. Potter le mormorò qualcosa riguardante la sua prima volta con la metropolvere, i Weasley e Diagon Alley e la Black capì il malinteso. “Oh cavolo... Harry, sei nel posto peggiore in cui potevi capitare. Non molti, qui a Notturn Alley, avrebbero riguardi per un ragazzino solo, soprattutto per colui che ha sconfitto l’Oscuro Signore!”
Harry corrugò le sopracciglia. Come aveva chiamato Voldemort? Stare con i Malfoy non le faceva bene, poco ma sicuro! E non era la prima volta che accadeva; anche l’anno prima era successa una cosa del genere. Lei stava parlando animatamente con Hermione riguardo ai purosangue e al loro modo di trattare il suo padrino, Re... Harry scosse la testa, abbandonando ogni tentativo di ricordare il nome del tutore di Kait. Ad ogni modo, si erano trovate a parlare di lui e alla Black era sfuggito il termine “mezzosangue”. E questo era accaduto dopo aver passato una giornata insieme ai Serpeverde, tra cui Malfoy e Zabini. Kait si era immediatamente corretta e Herm aveva finto di non aver notato la gaffe e in poco tempo si erano tutti dimenticati della questione - tutti tranne Harry, che ancora non era convinto della vicinanza tra Kait e le Serpi. Ogni volta che stava loro vicina, tornava diversa.
“Mi stai ascoltando?” esclamò la Black in quel momento, facendo sobbalzare il Grifone. “Uff... ti tirerò fuori da questo casino, okay? Tu non ti muovere.”
Harry aspettò, nascosto nell’armadio. Vide i Malfoy e Kaitlyn lasciare il negozio e credette che lei si fosse dimenticata di lui. Un minuto dopo, però, la vide tornare, così uscì dal suo nascondiglio.
“Sì, zio! Ci vediamo al Ghirigoro! Arrivo subito!” urlò la Black prima di entrare da Magie Sinister. “Ho dimenticato una cosa!” disse al negoziante, che annuì e sparì nel retro-bottega.
Mano nella mano, Kait e Harry uscirono in strada.
“Non devi venire qui mai più, Harry, mai più! E’ molto, molto pericoloso!” disse la giovane, aggiustandogli gli occhiali e pulendogli i vestiti con due pratici incantesimi.
“Anche per te, allora!”
“E’ diverso, io sono una Black e...”
“HARRY, KAIT! Che ci fate da ‘ste parti, ragazzi?”
Kaitlyn sospirò, sollevata. Con Hagrid vicino, nessuno avrebbe provato a far del male al Bambino Sopravvissuto.

~

Al Ghirigoro le cose non andarono per il meglio; Draco prese in giro Harry e, quando Ginny si fece avanti per difenderlo, il biondino esclamò, malignamente: “Potter, ti sei fatto la ragazza!”
La Weasley arrossì quasi più di Kait, che stinse forte i pugni e trattenne un ringhio. Chi diavolo era quella piccoletta? Senza capire perché, la Black si avvicinò al gruppetto, guardando Ginny dall’alto in basso e ghignando. “Lei?” rise afferrando la mano di Harry. “Ma per favore,” continuò a bassa voce. Hermione sorrise, sussurrandole all’orecchio “Oh-oh, quanta gelosia vedo!”
In risposta ricevette un ringhio arrabbiato.
Non era gelosia, la sua! Solo che quando si parlava di Harry, la Black diventava particolarmente suscettibile!

Chissà perché...

~

Il primo settembre del secondo anno di scuola, per Kaitlyn, non cominciò nel migliore dei modi. Non solo aveva quasi dimenticato Gyaki a casa, - proprio quando si era decisa a portarlo a scuola - ma a causa di quest’inconveniente era anche arrivata in ritardo, rischiando di perdere il treno. E non era finita! Perché di Harry e Ron non c’era traccia! Kait e Hermione avevano cercato ovunque, per tutto il treno, poi si erano rassegnate e si erano sistemate in uno scompartimento isolato, dove le due Grifondoro migliorarono il discorso che la Black avrebbe tenuto di fronte all’intera Sala Grande. Voleva che tutti si ricordassero di lei e non solo come Unità delle Case.
“Vieni, Kait! Di qua ci sono le carrozze che ci porteranno a Hogwarts!” esclamò Hermione una volta scese dal treno. “Si trainano da sole, non è... magico?” continuò euforica, dimenticandosi momentaneamente dei due migliori amici dispersi. Stavano camminando quando Kaitlyn li vide. Erano creature grosse, assomiglianti a dei cavalli, ma con le ali; non erano molto piacevoli alla vista, ma la Black si avvicinò comunque, fissandoli con gli occhi sgranati e alzando una mano per toccarli.
“Kait! Smettila di guardare il vuoto e sali!” le gridò Hermione, mentre Priscilla  si avvicinava all’Unità e le spiegava come e perché fosse l’unica a vedere quegli animali. Quando Herm le domandò cosa avesse fissato con tanta insistenza, Kaitlyn decise saggiamente di stare in silenzio.
Non aveva intenzione di passare per pazza.

~

A Smistamento finito Kait tenne il suo discorso, variandolo leggermente da quello dell’anno prima. Poi, mentre stava tornando al tavolo Grifondoro, la McGrannitt la chiamò e le fece segno di seguirla. Temendo di essere nei guai, Kaitlyn deglutì vistosamente e preparò la sua “faccia da cucciolo”, con tanto di occhi lucidi e labbro inferiore sporgente.
“Quell’espressione non ti servirà, Black. Non sei tu ad essere nei guai, ma i tuoi due compagni!”
Kait non aveva mai visto la McGrannitt tanto arrabbiata. Entrarono nell’ufficio di Piton e la professoressa intimò a Harry e Ron di raccontare ciò che era accaduto. Kaitlyn assisteva alla scena, senza mai smettere di guardare i due Grifondoro con gli occhi sgranati. La McGrannitt le aveva spiegato che, essendo l’Unità delle Case, la Black era tenuta a presenziare ai provvedimenti disciplinari. O almeno, a quelli più gravi.
“Professoressa, l’anno non era ancora iniziato, quando i miei compagni hanno... fatto questa bravata,” disse Kait e dal tono delle sue parole sembrava che lei non avesse mai disubbidito alle regole, cosa che invece aveva sempre fatto in abbondanza. “Non ritengo perciò necessario che alla Casa di Grifondoro vengano tolti dei punti.”
Il fatto che Kaitlyn fosse venuta in aiuto alla McGrannitt in questo modo, fu ben visto dall’insegnante, che le sorrise. Dopo qualche minuto, la professoressa tornò in Sala Grande, lasciando l’Unità a controllare i due giovani. Harry e Ron abbassarono il capo, aspettando che la Black li sgridasse. Kait, invece, scoppiò a ridere. “Una macchina volante?” esclamò abbracciando i due migliori amici. Quando ebbero tutti finito di mangiare, si diressero verso la torre dei Grifondoro.
“Parola d’ordine?” chiese la Signora Grassa. Kaitlyn la fissò, corrugando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto. “Sono l’Unità delle Case.”
“Sì, Unità, tu puoi entrare. Loro no, non senza parola d’ordine.”
Fortunatamente, meno di due minuti dopo arrivò Hermione.

~

“Ahi ahi!” mormorò Kait alzando lo sguardo. Harry la imitò, cercando di capire perché, guardando i gufi della posta arrivare, Kaitlyn si mostrasse così preoccupata. Quando glielo chiese, la Black si affrettò a correggerlo. “Non sono preoccupata, è che... beh...” le scappò un sorriso, anche se sarebbe stato meglio chiamarlo ghigno, in quel caso. “Povero Ron!”
Potter la fissò, confuso, e meno di un secondo dopo Errol era caduto nella ciotola di Hermione, che era colma di latte. Con un colpo di bacchetta Kait pulì tutto, indicando con la testa la lettera rossa attaccata alla zampa del pennuto. “Sta’ a vedere!” disse all’amico e Harry eseguì.
La Strillettera fu una delle cose più spaventose a cui Potter avesse mai assistito.

Quando passò la professoressa McGrannitt a distribuire gli orari Kaitlyn gemette, notando le due ore di Erbologia che avrebbero avuto a breve. “Dai, Kait. Se ti metti vicino a me ti aiuto!” la rassicurò Neville, che in quella materia era un asso. Paciock venne ringraziato con un sorriso smagliante, che lo fece arrossire.

~

“Allora, chi sa dirmi le proprietà della mandragola?” domandò la professoressa Sprite. “La mandragola è un efficace ricostituente e...” cominciò a spiegare Kait, ma l’insegnante la bloccò, dicendole: “Io non ti posso premiare, Black, rappresentando tu tutte le Case. Piuttosto, lascia parlare la tua compagna, che può guadagnare punti per il Grifondoro!”
Furente, Kaitlyn si chiuse in un ostinato silenzio, facendo cenno a Hermione di parlare. La riccia guadagnò venti punti e Kait si morse il labbro, abbassando lo sguardo e sapendo che avrebbe potuto spiegarlo mille volte meglio di come invece aveva fatto la Granger. Insomma, grazie a Malocchio Kait sapeva un sacco di cose e nemmeno poteva farlo notare agli altri! La Black sbuffò, appoggiando la testa sulla spalla di Ron e chiudendo gli occhi per qualche secondo.
Quando la professoressa Sprite cominciò a dare ordini per farli lavorare, un ragazzino le si avvicinò. “Ehi, mi chiamo Justin Finch-Fletchley, sono un Tassorosso.”
Kaitlyn sorrise, stringendogli la mano e presentandosi, mentre l’umore le migliorava visibilmente. “Ehm... scusa se te lo chiedo, Unità, ma... mi presenteresti Harry Potter?”

Quella non fu una buona giornata, per Kait.
Proprio no.

~

“Allora, come va a Hogwarts?” domandò Jackson mentre si allenavano con la spada. Kaitlyn parò il colpo dell’amico e provò un affondo, che però non ebbe l’esito sperato. “Come al solito,” rispose la Black riponendo la spada e togliendosi la maschera, imitata dal compagno. “Che succede?”
“Niente, niente. Ho solo un... brutto presentimento, diciamo così.”
“Che tipo di presentimento?”
“Non lo so, Jackson, non lo so. Ho come l’impressione che le cose non... beh...”
“Sì?”
“Questo non sarà un anno facile, secondo me. E credo che anche i Fondatori lo sappiano: dovresti vedere Salazar! Si guarda costantemente intorno, a Hogwarts, come se si aspettasse... non lo so, come se si aspettasse qualcosa! E non vuole dirmi niente!”
Jackson la fissò sorridendo, mentre si avvicinava al tavolino in fondo alla palestra, su cui aveva appoggiato la bottiglia d’acqua. Kait lo seguì, sbuffando e lamentandosi della scuola, lasciando che le braccia le dondolassero inermi sui fianchi. “Sai, Kay,” cominciò Jackson, dandole la schiena, "ti lamenti troppo.”
E prima ancora che Kay avesse il tempo per rispondere, fintamente scandalizzata, che non era vero, il ragazzo si voltò e la bagnò completamente, lanciando poi a terra la bottiglia ormai vuota.
“Everdeen,” ringhiò Kaitlyn scostandosi i capelli bagnati dal viso ed asciugandoselo con una mano “comincia a correre. ORA!”
Le risate dei due giovani furono talmente forti che Moody le udì dal suo ufficio.
Un sorriso si formò sul suo volto, mentre decideva che avrebbe finto di non sentire.



 

 

 

Lo so, fa schifo ç.ç
Vi prego di perdonare me, questo capitolo e i due che ne seguono.
Se ancora mi seguite senza avere i conati di vomito, ci vediamo alla prossima - non preoccupatevi per le recensioni, scrivetemi tutto ciò che pensate, positivo o negativo che sia il vostro giudizio.
S

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Capitolo 29
*** Settembre 1992 ***


Allora... eccomi qui con il secondo dei 3 orribili capitoli.

Ho un'unica nota, oggi: il capitolo non è terribile come il prossimo, a mio parere, ma è molto simile ad una scena del libro, per forza di cose. Non avrei voluto farlo, ma è un capitolo molto importante, in Harry Potter e la Camera dei Segreti, quindi non ho potuto cambiarlo più di tanto. Inoltre - lo so, avevo detto che ci sarebbe stata solo una nota, ma non importa xD - inoltre ho deciso di usare la traduzione dei libri per quanto riguarda alcuni termini, come "Mudblood" e "Halfblood", rispettivamente "Sanguesporco" e "Mezzosangue". So che nel doppiaggio italiano dei film i due significati sono confusi e racchiusi in un'unica parola, ovvero "mezzosangue", ma non mi sembrava giusto imitarli, anche perché la purezza di sangue è un argomento su cui tornerò più volte, perciò non voglio crearvi confusione. Ho anche cambiato alcuni discorsi - ad esempio, una frase viene detta, nel libro, da Ron e io l'ho fatta dire da Hagrid ecc...

Detto - scritto - questo, vi lascio al capitolo.
Enjoy!


 

 

Settembre 1992

 

“Allock è un idiota! Crede che io vada in giro a distribuire foto autografate e mi tratta come uno stupido!”
Le lamentele di Harry duravano ormai da parecchio e Kait cominciava ad annoiarsi. Represse uno sbadiglio, accoccolandosi ancor di più sull’amico. Erano seduti su uno dei divanetti della Sala Comune dei Grifondoro, in particolare su quello di fronte al camino, che però era spento. “Oh, Harry, dai! Non prendertela! Sappiamo tutti che tu sei molto più famoso di lui e che è un vero e proprio idiota, quello là! No, dico, la lezione con i folletti è stata... bah!” esclamò Kait, ricordando cos’era successo. “Neville ha ancora gl’incubi,” mormorò Harry all’orecchio dell’amica, tornando suo malgrado di buon umore. Kaitlyn gli si strinse addosso, ridacchiando e portando la conversazione su argomenti più divertenti.

~

Toc. Toc.
Kaitlyn aprì un occhio, ringhiando - le capitava spesso di farlo, ormai. Scivolò lentamente fuori dalle coperte e, con passo stanco, aprì la porta del dormitorio femminile. Ritrovandosi di fronte una ragazza del quinto anno con un gatto in braccio, Kait ripensò a com’era diventata un’Animaga.

“Pronta?” esclamò Remus ridendo e sollevando la mano con cui teneva la palla. Erano in giardino, sotto il sole, a giocare insieme. Una Kaitlyn bambina sorrideva felice, attendendo che il padrino le lanciasse la palla.
Il vento cambiò improvvisamente, soffiando verso di loro e portando al naso di Kait diversi odori. Uno in particolare la lasciò innervosita, con una smorfia disgustata sul volto. La Black si voltò verso la fonte di quell’odore, di quella puzza, e si sorprese nel vedere un gatto avvicinarsi lentamente. L’animale si sedette sul marciapiede, a diversi metri di distanza dal licantropo e dalla purosangue, cominciando a leccarsi in tutta tranquillità.
Un ringhio si fece strada in Kaitlyn, che non lo represse e, anzi, lo assecondò, arricciando le labbra in un’espressione rabbiosa. Remus si voltò verso la figlioccia, basito. La vide avanzare incerta e, con incredulità, osservò i suoi occhi cambiare.

“NO KAIT!”
L’urlo di Remus arrivò troppo tardi. La bambina era già scattata in avanti, cominciando a correre e inseguire il gatto. Il Malandrino la imitò, cercando di raggiungerla e fermarla. “Kait, ferma!” urlò senza essere udito.
“Kait!”
Ma la figlioccia non c’era più. Correndo, infatti, il suo corpo aveva cominciato una veloce trasformazione, che era culminata con la sparizione della bambina e la comparsa di una lupacchiotta dal manto bianco-grigio.
Gyaki, per la prima volta da quando era stato creato, si ritrovò a fungere da collare.


Kait fissò la quindicenne che sostava fuori dal suo dormitorio. “Che vuoi?” la apostrofò, stropicciandosi nel frattempo gli occhi. “Ron Weasley mi ha mandato a chiamare te e una certa Hermione. Ha detto qualcosa riguardo a Harry Potter e il Quidditch...”
Kaitlyn maledì mentalmente l’amico, poi annuì e ringraziò la ragazza. Rientrò nella sua amata stanza Rosso-Oro e sorrise malignamente, prendendo la rincorsa.
KAIT!
“Oh, scusa, Hermione! Ti ho svegliata? Non volevo...”
“Kaitlyn, non sei molto credibile, sai? Anche perché sei SULLA MIA PANCIA! LEVATI!”
“Oh, ma come siamo suscettibili, la mattina!”
“... Prima ti butto giù dalla torre, Black, poi ne riparliamo!”

Arrivarono al campo da Quidditch quando il sole era già alto nel cielo. Hermione stava sgridando Kait per il poco cibo che aveva mangiato e la purosangue era quasi al limite della sopportazione. Ron, che l’aveva capito, intimò alla Granger di smetterla.
Qualche minuto dopo, mentre la metaphormagus e il rosso progettavano un modo per rompere la macchina fotografica di Canon, i Serpeverde fecero la loro comparsa sul campo da Quidditch. Kait chiuse i pugni, alzandosi in piedi ed avvicinandosi alle due squadre, seguita passo-passo dai due amici Grifondoro.
Arrivarono giusto in tempo per vedere Draco Malfoy farsi spazio tra i compagni di Casa, mostrando le nuove scope e vantandosi di essere il nuovo Cercatore.
Kait, il cui istinto preannunciava tempesta, si preparò a mettersi in mezzo per sedare un’eventuale rissa. Come fosse una spettatrice a teatro, la Black osservò le due squadre darsi contro, fino a ché non udì qualcosa che le fece rizzare i peli delle braccio e che la lasciò senza fiato. Nel suo petto si formò un ringhio, che si sforzò di placare.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, brutta sanguesporco.
L’incantesimo che Ron provò a scagliare gli si ritorse contro, facendo ridere tutti i Serpeverde. Kaitlyn era immobile. “Ehi, Black! Visto che roba?” esclamò Flitt al suo indirizzo, facendola voltare. Kait lo guardò in cagnesco e poi fissò Draco, che smise immediatamente di ridere. “Ehi, cugina, scherz...” ma non poté finire la frase, perché la purosangue gli stampò un forte schiaffo in pieno volto. Quando si ritrasse, sul viso di Malfoy svettava il segno di cinque dita rosse.
I suoi tre migliori amici già correvano da Hagrid, ma Kait rimaneva immobile.
“Kaitlyn, ti prego...”
“Taci! Non ti voglio sentire, non ti voglio... vedere. Mi fai schifo,” l’ultima frase la disse con tono glaciale, allontanandosi da un giovane Malfoy sconvolto. La ragazzina provava un’enorme confusione, che cresceva sempre di più. Da una parte sapeva che non avrebbe dovuto avere quella reazione, - era una purosangue, dopotutto, no? - ma dall’altra si sentiva ferita, quasi offesa, dalle parole di Draco. Come se avesse insultato lei, anziché Hermione. I suoi pensieri, le sue emozioni... erano forse dovute ai Fondatori, che ogni giorno la costringevano a cercare di unire tutte le Case? O forse era la sua amicizia con la riccia ad averla fatta scattare in quel modo? Era così poco Black da preferire una sanguesporco al cugino purosangue?
Non trovava risposta a quelle domande.
E magari era meglio così.
Arrivati alla capanna di Hagrid, Kait si posizionò alla finestra, a guardare fuori, mentre il mezzogigante chiedeva spiegazioni. “Malfoy l’ha chiamata sanguesporco.”
La Black voltò leggermente il capo verso Hermione, che però disse di non sapere cosa la parola significasse. Con un macigno sul petto, Kaitlyn glielo spiegò. “Esistono diverse... categorie di maghi, a sentire i purosangue. Al primo posto ci sono, appunto, i “purosangue”, chi non ha nemmeno un babbano in famiglia.”
“Come te!” esclamò Harry. “Sì, come me. Poi ci sono i “mezzosangue”, ovvero i maghi che hanno un parente mago e uno babbano, o comunque hanno non-magici in famiglia.”
Harry indicò se stesso e Kait annuì. “Dopo ci sono i “traditori del proprio sangue”, considerati peggio dei mezzosangue, da alcuni. Sono... i purosangue che non credono nella loro superiorità e che sono babbanofili, ovvero amici dei babbani.”
“Come me e la mia famiglia,” riuscì a mormorare Ron prima di nascondere il viso nel secchio e vomitare tre grosse lumache. Kaitlyn si sforzò di continuare, un groppo in gola. “Poi c’è la categoria dei maghinò, ovvero purosangue che non ereditano la magia, che nascono... babbani. Sono considerati feccia, ma possono trasmettere comunque la magia, quindi i discendenti sono... quasi perfetti.”
“E infine ci sono i nati-babbani, i... sanguesporco. E’ la cosa peggiore che ti potesse dire e per questo io...” la voce le si spense in gola.
Hermione si avvicinò alla migliore amica, guardandola con le lacrime agli occhi. “Mi dispiace, Herm, te lo giuro.” esclamò la Black abbracciando la compagna. “Son solo stupidaggini, se vuoi sapere che penso io. Alcuni - come la famiglia di Malfoy o quella di Kait, per esempio - pensano di essere meglio di tutti perché sono “purosangue”, ma non è vero niente. Il sangue non conta,” disse Hagrid cercando di tirar su di morale la Granger. Kaitlyn, invece, si sentì soltanto peggio. Hermione le sorrise, rassicurandola. “Tu sei diversa da loro, io lo so.”
La Black la abbracciò di nuovo, stringendola forte a sé. “Non parlerò più a Draco...”
“Ma è tuo cugino!”
“Sì, e me ne vergogno.”
“Kait, non farlo. Non perdere qualcuno che ami solo per orgoglio. Lascia che io e lui ce la vediamo da soli, okay? Tu passaci sopra,” le sussurrò Hermione all’orecchio, venendo abbracciata ancora più forte. La Granger scherzò dicendo che, se l’avesse stretta un altro po’, l’avrebbe fatta soffocare. Quando Kaitlyn fece per lasciarla andare, però, la dodicenne si aggrappò con forza all’Unità.
Mai, prima di allora, si erano sentite più unite di così.
In un angolo ben nascosto della sua mente, la Black pensò che Hermione era molto fragile, sotto sotto, e che era una creatura innocente che non meritava di soffrire. In un angolo ben nascosto della sua mente, la Black desiderò di poter proteggere l’amica.
In un angolo ben nascosto della sua mente, la Black la paragonò a Hannah.

Sì, Kaitlyn l’avrebbe protetta.
Parola di Black... parola di Helena.

La voce che, nella sua testa, urlava sempre quando Kait veniva chiamata in quel modo, rimase in un placido silenzio.

~

“Kait, ti prego.”
“...”
“Oh, andiamo! Non vorrai rovinare tutto per una come lei?!”
Una come lei? Ma ti senti? Sei completamente impazzito?”
“Kait...”
Kait un cazzo. Non dirle mai più una cosa del genere, non quando io sono presente, Draco, o te la vedrai con me.”
“... va bene. Scusa.”
Kaitlyn annuì e accompagnò il cugino fino in Sala Grande. Lì, mentre buona parte della scuola li osservava facendo finta di niente, la giovane si schiarì la voce, attirando l’attenzione anche dei pochi che non la guardavano. “D’ora in avanti, se davanti a me accadrà un’altra cosa del genere, se davanti a me qualcuno oserà discriminare un compagno per il sangue, dovrà vedersela con me e non sarò clemente. Bisogna essere uniti, uniti! E insultare gli altri con parole come “sanguesporco” mi sembra un’enorme cazzata. Ti avverto, Draco, e avverto tutti voi altri: se vedrò una cosa del genere, dimostrerò a tutti quanto sia realmente pericoloso mettersi contro una come me. O come amate dire voi, una purosangue come me. Credetemi, non sarò buona. Parola di Black.”
E mentre nella Sala Grande calava il silenzio, l’Unità delle Case si voltò ed uscì a passo spedito.

~

“Quindi tu e Malfoy avete fatto pace?”
“Sì, Herm. Mi dispiace, ma...”
“No, tranquilla, hai fatto bene! E poi, a quanto dici, lui ti tratta sempre bene!”
Kait stava per ribattere, quando venne interrotta dai due migliori amici. “Ragazze, devo raccontarvi una cosa,” mormorò Harry sedendosi vicino alle Grifondoro. Ron si guardò furtivamente intorno, come se ciò che Potter era pronto a rivelare fosse un affare di Stato.
“Ieri ero da Allock per scontare la punizione e... ho sentito una cosa. Una voce.”


 






Okay, sono pronta per i pomodori.
S

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Capitolo 30
*** Autunno e tutto ciò che esso comporta ***


Allora... questo è l'ultimo dei capitoli orripilanti che avete già avuto modo di leggere. Dal prossimo torno alla "normale me", quindi.... esultate con me! XD

Ad ogni modo, alla fine della pagina ho un paio di cose da chiedervi e da dirvi.
Intanto, godetevi il capitolo - anche se è pessimo xD

L'asterisco * sta per una frase di un vecchio capitolo, ancora al primo anno :)






 

Autunno e tutto ciò che esso comporta

 

La Camera dei Segreti è stata aperta
Temete, Nemici dell’Erede

Silente posizionò la gatta - Mrs Purr - sulla scrivania di Allock, che aveva prestato momentaneamente il suo ufficio al preside. L’insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure cominciò a parlare delle possibili maledizioni con cui l’animale sarebbe potuto essere ucciso, mentre Silente osservava la gatta. Kaitlyn gli si avvicinò, ricordando alcuni insegnamenti di Malocchio. “Non vorrei dare false speranze a Gazza,” sussurrò la Black all’orecchio del preside “ma non mi sembra morta, signore.”
Lui le sorrise, annuendo impercettibilmente, poi entrambi si voltarono verso Allock. “Se ci fossi stato io...” continuava a dire e mai come allora Kait aveva odiato un professore. Persino Piton le era più simpatico, in quel momento, il ché significava parecchio.
Qualche minuto dopo, però, Piton parlò, accusando velatamente i quattro studenti - in particolare Harry - e Kaitlyn tornò ad odiarlo. Eh, già, cose che capitano.
Quando uscirono dall’ufficio del professor Allock, i ragazzi cominciarono a discutere dell’accaduto, mentre Kait ripensava alla scritta sul muro. “La Camera dei Segreti...” sussurrò la Black, non capendo dove l’avesse già sentita.
“Dai, Kait, è inutile che ci pensi tanto. Quando sarà il momento ti verrà in mente!” esclamò Ron sorridendole. “Sì, ma vorrei tanto...” mormorò la purosangue prima di bloccarsi in mezzo al corridoio, facendo fermare tutti.

“Ci è permesso interferire con te solo fino ad un certo punto! E’ il prezzo che paghiamo per averti salvato la vita... Persino se la Camera dei Segreti venisse riaperta, Salazar non potrebbe dirti niente!”
“Alcune cose, piccola mia, le devi capire da sola.”
 *

“Ma certo!” gridò Kait battendo il pugno chiuso sul palmo della mano. “E’ stata Tosca a parlarmene... mi spiegava che Salazar non avrebbe potuto riferirmi nulla...”
“Sì, però siamo al punto di partenza. L’hai detto tu stessa, lui non può dirti niente!”
La Black perse l’entusiasmo appena trovato e si imbronciò. “Beh,” la tranquillizzò Harry, lanciando un’occhiataccia a Hermione “almeno sappiamo che c’entra con i Serpeverde!”

Quella notte, mentre Hermione si addormentava nel letto accanto al suo, Kaitlyn parlò con i Fondatori, stando bene attenta che nessuna sua compagna fosse sveglia. Salazar le raccontò una storia, una storia che Kait avrebbe narrato a sua volta qualche giorno dopo, davanti a tutta la classe, durante l’ora di Storia della Magia. L’uomo parlò del grande litigio che aveva avuto con gli altri Fondatori e le raccontò della Camera dei Segreti. Cosa ci fosse dentro, dove fosse e come ci si entrasse, però, il mago non lo disse.

~

“Quindi la Camera esiste davvero?”
“Sì, ragazzi, esiste davvero.”
Kait abbassò lo sguardo, sentendosi del tutto insicura di fronte alle occhiate dei suoi amici. “E cosa contiene? E dov’è?” cominciò a chiedere Hermione, la fronte corrugata e l’espressione a metà tra lo spavento mal celato e quel suo desiderio infinito di sapere quante più cose possibili.
“Questo non me l’ha detto. A quanto pare essere l’Unità delle Case non è una fortuna così grande,” mormorò la Black sistemandosi meglio sul tappeto su cui era seduta. A parte loro quattro, la Sala Comune era quasi del tutto vuota, ma lei si ostinava a stare per terra. Trovava quella posizione davvero comoda.
Il signor Serpeverde...” e alle parole di Hermione, Kait inarcò un sopracciglio “Okay, okay. Salazar ti ha per caso detto chi è l’Erede?”
La tredicenne scosse la testa, mentre con la coda dell’occhio notava Ron sbuffare con insistenza, muovendo le labbra e scandendo un nome. Kaitlyn si voltò velocemente verso i suoi amici, guardandoli con incredulità. “Oh, andiamo! Non ci crederete davvero!”
“Kait, l’hai sentito anche tu! “La prossima volta tocca a voi, sanguesporco!” E’ ovvio, no? Malfoy è l’Erede di Serpeverde.”
“Ti dico di no, Ron. Voi non capite, non è lui!”
Hermione si morse il labbro, indecisa. “Tu ci hai parlato?”
“Sì, ci ho parlato e non è lui!”
Harry la fissò stranito, come se la risposta fosse ovvia. “Magari ti ha mentito,” mormorò, quasi temesse la reazione dell’amica. L’occhiataccia della Black bastò a farlo tacere. Si ritrasse sulla poltrona su cui era seduto, stringendo le braccia al petto e arricciando il naso nel tentativo di impedire la caduta degli occhiali. Con un gesto fluido, Kait si sporse verso Potter e gli inforcò meglio gli occhiali, sorridendogli e tornando seduta immediatamente dopo.
“Beh... un modo per scoprire la verità ci sarebbe...” mormorò Hermione con tono cospiratore, sebbene molto incerto. Kaitlyn le si avvicinò, spronandola a parlare senza riserve. “Basterebbe un po’ di Pozione Polisucco,” disse la riccia e la Black la fissò meravigliata. “Sono un bel po’ di regole infrante,” le fece notare con tono quasi maligno. Dopo di ché scoppiò a ridere e le batté il cinque. Le due spiegarono il piano a Ron e Harry, che le guardavano confusi, mentre nella testa di Kait le idee già vorticavano senza sosta.
Kaitlyn si lasciò scivolare a terra, distendendosi completamente sul tappeto di fronte al fuoco e chiudendo gli occhi, sotto l’occhiata interessata di Harry.
Hermione mormorò un “Ci metteremo nei guai, me lo sento”, ma nessuno ci fece caso o, se invece qualcuno lo notò, si limitò ad ignorarlo, perché Potter rimase a fissare la Black, lei si rilassò ancor di più sul tappeto e Ron...
“Ron? Tu che ne pensi?” domandò Herm, che si era accorta del silenzio dell’amico. Sembrava piuttosto titubante, il ché poteva significare la disfatta del piano. Erano un gruppo, dopotutto. Se uno di loro non fosse stato d’accordo, l’intero progetto sarebbe sfumato.
Ronald si guardò la punta delle scarpe, inghiottendo a vuoto, quindi alzò il volto fino ad incrociare gli occhi di Hermione e annuì semplicemente. Poi, mentre la riccia si alzava, li salutava e andava su nel dormitorio, lui la seguì con lo sguardo e si disse che era un buon piano. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, comunque, per evitare che le succedesse qualcosa.
Appena ebbe formulato il pensiero, Ron arrossì fino alla punta delle orecchie e si disse che tutto quell’interesse era dovuto alla scuola. Altrimenti, pensò, chi mi aiuterebbe in Pozioni e Storia della Magia?
Kait fissò Ronald, un sorrisetto malandrino sulle labbra, ragionando su lui e Hermione. “Ah, l’amour!” mormorò a voce bassissima la Black, senza nemmeno accorgersi dello sguardo perso che le stava rivolgendo Harry.

~

“Lei è un idiota!” esplose Kaitlyn, additando il professore che aveva di fronte. La Black si inginocchiò nel fango, - se l’avesse vista Narcissa! - ponendosi accanto a Harry e sporgendosi verso di lui, proteggendolo come avrebbe fatto una madre con il suo cucciolo. Allock, senza parole, la fissò sgranando gli occhi. “Si allontani,” ringhiò Kait, mentre si stringeva ancor di più a Harry. “Tu non puoi...” mormorò l’insegnante, ma la Black non lo stette a sentire, ripetendogli di andarsene, stavolta urlando.
VADA VIA!
Allock eseguì e Kaitlyn si voltò verso il suo migliore amico, stringendogli forte una mano e conficcandogli le unghie nel polso. “Stai bene?”
“Non sento niente, Kait. Mi ha... credo che mi abbia tolto tutte le ossa del braccio.”
Il ringhio della tredicenne si intensificò di potenza.
Hermione la fissò sorpresa, pensando che, in quel momento, lei assomigliasse molto a un cane, o un lupo. Chissà perché!

~

“Ieri è successa una cosa. In infermeria, è... io... Colin Canon è stato pietrificato.”
Il volto di Kaitlyn si congelò. “Devo andare!” mormorò prima di correre via. Harry non disse niente, mentre dentro di sé si domandava da quanto tempo l’amica avesse un anello a forma di serpente.
Kait corse più velocemente che poteva e, una volta trovata un’aula vuota, ci entrò, cominciando immediatamente a litigare con la persona che le era appena comparsa dietro.
“DIMMELO!”
“Non posso, non posso! Capisci? Io non ho il permesso di...”
“Un ragazzino è stato pietrificato! E’ al primo anno, okay? Ha solo due anni in meno di me e ora...”
“Vorrei poterti aiutare, credimi. Lo vorrei tanto, piccola.”
“Cazzate, Sal! Se lo volessi davvero, lo faresti!”
“NON MI PARLARE COSI’, STUPIDA RAGAZZINA!”
“Salazar...” lo riprese Tosca.
“Andatevene, tutti quanti. E’ una questione tra me e lei.”
Kaitlyn alzò il mento in una posa strafottente, mentre le due Fondatrici scomparivano. Godric non si mosse.
“Ric, va’ via. Lasciami solo con lei.”
“Io non me ne vado. Non la abbandonerò.”
Kait si voltò di scatto verso il Fondatore e lui le sorrise, abbracciandola. “E’ com’ero io da giovane. Ed è nella mia Casa. Non la lascio sola,” continuò e la Black annuì lentamente. “BENE!” fece Salazar. “Ma non ti intromettere!”
Kaitlyn si voltò verso Serpeverde. “Ho bisogno di sapere. Ti prego, Sal! Dimmelo!”
“Non posso,” sussurrò il mago abbassando la voce. “Non posso proprio.”
“Hermione è una sanguesporco! Se per colpa tua dovesse morire, non te lo perdonerei mai! Ti rifiuterei, non vorrei vederti mai più, ti... ti odierei!”
Salazar si ritrasse, scottato da quelle parole.
“Anche se ti dicessi la verità, tu non potresti comunque raccontarla in giro. Nessuno dovrebbe saperlo... ci sono cose che devono accadere per forza, anche se noi vorremmo intervenire.”
Kaitlyn abbassò lo sguardo e lo posò sui suoi piedi. “Per favore...”
“Devi giurare di non dirlo, prima.”
“Okay...”
Anche se la tua amica dovesse morire, anche se nessuno riuscisse ad indovinare la verità, anche se Hogwarts dovesse chiudere. Giura che, nemmeno in quel caso, ripeterai ciò che ti sto per dire.
“Lo giuro.”
“E’ passato molto tempo da quando ho creato la Camera dei Segreti, ma lo ricordo come se fosse ieri...”

~

“Dobby?!”
“Sì, perché? Lo conosci?”
“No, assolutamente! Non l’ho mai visto in vita mia!”
Harry le sorrise fiducioso e Kait si sentì invadere dalla nausea. Non era la prima volta che gli mentiva, ma quel giorno si sentì davvero in colpa.

~

Caro zio,
ti scrivo questa lettera per scusarmi con te. So che ti avevo promesso di tornare a casa per Natale, ma temo di dover cambiare un po’ i piani. Vedi... il fatto è che tutto va a rotoli, al momento, e non posso abbandonare i miei compagni. Devo svolgere il compito che i Fondatori mi hanno dato, anche se ciò significa che non ti vedrò per più di sei mesi. Mi dispiace tanto, davvero. Vorrei non doverlo fare. Scusa,
H.K.B.

 

“Resti a Natale, quest’anno?” domandò Ron sorpreso.
“Sì, non mi sembra il caso di lasciare la scuola proprio ora,” rispose Kait con un mesto sorriso. “Se l’Unità delle Case abbandonasse Hogwarts proprio nel momento del bisogno, gli alunni cadrebbero nel panico più totale!” spiegò la giovane. Era vero; tutti la vedevano come punto di riferimento e le si avvicinavano con ogni tipo di scusa. I ragazzi dei primi tre anni erano i più problematici, perché quelli più grandi si facevano forza, determinati a combattere e a scoprire che razza di mostro girasse per la scuola. I più piccoli invece erano terrorizzati, giravano per il castello guardandosi intorno spaventati, saltando ad ogni rumore forte. Ogni volta che vedevano l’Unità delle Case le correvano incontro; c’era chi la abbracciava, chi la implorava di passare un po’ di tempo insieme e chi le scoppiava a piangere addosso.
Non era un buon momento per abbandonare Hogwarts, Kait lo sapeva. E, alzando lo sguardo e incrociando quello preoccupato di Godric, la ragazzina capì di avere ragione.

~

“Signorina Black, permette una parola?” esclamò il professor Silente. “Sì, signore, certo!”
“Mi duole dirle che non può partecipare al Club dei Duellanti, non sarebbe corretto. Vincerebbe senza sforzo, dati gli allenamenti che lei pratica sotto la guida di Alastor.”
“Sì, signore. Capisco,” rispose Kait con voce bassa, congedandosi con un sorriso falso e correndo a lamentarsi con i suoi amici. Nel vedere Allock e Piton sfidarsi, però, Kaitlyn pensò che, forse, era stata fortunata.

“Paura, Potter?”
“Ti piacerebbe.”

Kaitlyn si voltò verso i due ragazzi, gli occhi sgranati ed un’espressione sorpresa sul volto.
Finirà male, pensò. Proprio male.







Okay, è l'ultimo degli orribili capitoli xD
Ho due cosette da dire, prima di andare a sotterrarmi.
La prima è che il prossimo capitolo è un vero e proprio sclero, okay? Quindi dovete scegliere tra SALTARE il capitolo SCLERO oppure sorbirvelo. Decidete voi, per me va bene tutto. Però, per sclero, intendo nosense okay?
Seconda cosa: sono in vena di pubblicità xD se vi piace il genere fantasy e romantico, (la storia è originale) andate a leggere http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1265846&i=1

Merita davvero :)

 

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Capitolo 31
*** Nei sogni ***


Allora... premetto che questo è un capitolo sclero, cioè... diciamo così: avevo un assurdo blocco dello scrittore, quindi ho cominciato a scrivere ciò che mi veniva in mente ed è uscito questo... questa cosaPotete tranquillamente saltare questo capitolo, perché si capisce tutto anche senza leggerlo ;D

Vi prego, nessun pomodoro.

[Non so neanche come mi sia uscito questo sclero, davvero]




 

 

Nei sogni

 

I Malandrini uscirono dalla Sala Comune dei Grifondoro poco prima di pranzo. Correndo e spingendosi giocosamente arrivarono presto alla Sala Grande, così rallentarono e si sistemarono le divise, un sorriso furbo sulle labbra. Stavano per spalancare la porta, quando il rumore di una Smaterializzazione li colse di sorpresa. Remus, che stava già per partire con una spiegazione degna di Hermione Granger su come non ci si potesse Smaterializzare entro i confini di Hogwarts, venne subito messo a tacere da Sirius, che si avvicinò al corridoio da cui era provenuto quel rumore. Girò l’angolo, bacchetta alla mano, lanciando un’occhiata alla persona appena comparsa.
Una Kaitlyn diciottenne ricambiò lo sguardo.
“E tu chi sei?!” esclamò il ragazzo abbassando la bacchetta e fissando affascinato la giovane, che pareva averlo stregato. I Malandrini - James Potter in testa - raggiunsero l’amico. Kaitlyn si sistemò il tubino nero che indossava, evitando così lo sguardo dei quattro.
Sirius osservò con attenzione i gesti della sconosciuta, pensando di non aver mai visto una persona più bella in vita sua. Aveva i capelli neri come la pece, di cui ogni tanto una ciocca diventava bionda. Gli occhi erano grigi come quelli del rampollo dei Black e la sua pelle sembrava porcellana.
Sir non aveva mai visto nulla di simile; pareva la sua copia al femminile.
Era la ragazza perfetta per lui.
“Mi chiamo Kait,” esclamò la sconosciuta, ghignando - come avrebbe fatto Sirius - e allungando la mano destra, per presentarsi. Essendo Black ancora immobile, fu James a prendere l’iniziativa. “James Potter, è un piacere conoscerti.”
“Non hai gli occhi di tua m... ehm... niente, James. Piacere mio.”
Kaitlyn si fece avanti e si presentò agli altri due Malandrini. Due, perché Sir era ancora imbambolato a fissarla.
“Così mi consumi, p-Sirius!”
“Come fai a sapere il mio nome?”
“Tutti conoscono Sirius Black.”

Senza sapere se stesse agendo per il luminoso sorriso che Kait gli aveva rivolto, per la sua vanità o per la gomitata nello stomaco che ricevette da Remus, Sirius sorrise a sua volta e strinse la mano della sconosciuta.
“Puoi scommetterci, bellezza!” rispose e la diciassettenne scoppiò a ridere. “Oh, sì! Mi divertirò molto, qui, me lo sento,” mormorò lei fissando i Malandrini.
“Da dove arrivi?” domandò Remus.
“Da molto lontano...”
Nessuno immaginava, però, che Kait provenisse dal futuro.


Kaitlyn si svegliò nel cuore della notte, confusa, cercando di ricordare il sogno appena fatto.
Ma che diavolo...?
Non desiderando altro che lasciarsi andare e cadere nel mondo dei sogni, la Black chiuse gli occhi e cercò di riaddormentarsi, ignorando i suoi assurdi pensieri.

“Devo parlare con Silente,” esclamò Kait sorridendo e Sirius la prese a braccetto, cominciando immediatamente a camminare verso l’ufficio del preside. “Ehm... Sir? E’ ora di cena, Silente è in Sala Grande...” si azzardò a dire Remus, mentre si mordeva il labbro e ignorava l’amico canico, che lo stava fulminando con lo sguardo.
Gli aveva fatto fare una figuraccia!
“Ha ragione!” disse Kait, voltandosi e cambiando direzione, senza però mollare la presa su Sirius, che si rilassò immediatamente. James lo fissò di sottecchi e lo seguì, evitando di commentare la stretta possessiva con cui Sir teneva la nuova arrivata. Sembrava che avesse paura di vederla svanire da un momento all’altro e che le dovesse qualcosa, come se stesse recuperando, in qualche modo, il tempo che non aveva mai passato con lei.
 Ma dopotutto, la sconosciuta - Kaitlyn - era appena arrivata, no?
Tornati di fronte alla Sala Grande, ne videro uscire Silente, che accolse la giovane come se l’avesse a lungo aspettata. “Mi segua, signorin...”
“Mi chiami Kait!” esclamò precipitosamente la ragazza.
“Ha detto...”
“Niente. Non ho detto loro niente.”


“Aspetta... quindi tu vieni dal futuro?” esclamò James, affascinato. Si erano accomodati nell’ufficio di Silente, - Kait e Sirius avevano preferito restare in piedi - sebbene l’ora di cena stesse passando e i loro stomachi ne stessero risentendo.
Soprattutto quello di Peter.
Kait sorrise all’indirizzo di Potter e annuì. “Wow, questo è... wow! E io sto ancora con Lily? Abbiamo tanti figli? Sono diventato nonno? E sono un Auror? E i nostri nipoti hanno gli occhi di Lily? E lei mi ama ancora? Siamo felici? E i miei figli come sono? Io sono ancora bellissimo, vero?”
Remus - e per qualche ragione capì di essere stato l’unico a notarlo - vide un lampo di dolore negli occhi della nuova arrivata, così si affrettò a liberarla dall’obbligo di rispondere.
“James, non ti può dire niente! Cambierebbe le cose!”
“Uffa, ma non è giusto...” brontolò Potter, perdendo l’entusiasmo che lo aveva animato fino a pochi attimi prima. Remus alzò lo sguardo su Kait e le sorrise dolcemente, sentendosi stranamente protettivo nei suoi confronti. Poi il mannaro vide l’espressione di Sirius - un misto di tristezza, sfida e gelosia - e si fermò. Mai prima di allora lo aveva visto in quello stato.
Chi era Kaitlyn e cosa aveva fatto a tutti loro?
“Dal futuro, eh? Che roba...” cominciò a dire James, uscendo dall’ufficio del preside. Silente aveva spiegato ai Malandrini che il giorno dopo Kait sarebbe stata presentata a tutti gli altri, ma che non avrebbe potuto dire nulla riguardante il futuro. Le aveva soltanto dato il permesso di rivelare qualche dettaglio di sé, come la famiglia di provenienza; lei, però, era stata irremovibile. Il suo cognome sarebbe rimasto segreto.

“Di noi non puoi dire niente, ma di te puoi parlare!” esclamò James ritrovando il sorriso. “Magari non qui, eh?” mormorò Remus che, Kaitlyn dovette ammettere, era piuttosto bravo a contenere i suoi tre scalmanati amici. Lo stomaco di Peter scelse quel momento per brontolare e, dopo qualche secondo di silenzio, i Malandrini e Kait scoppiarono a ridere.
“Che ne dite di fare un salto nelle cucine?” propose la giovane sorridendo e ricominciando a camminare. “Sai dove si trovano?”
“Certo, Sirius! Per chi mi hai preso? Non siete gli unici a conoscere Hogwarts così bene, sapete?”

“Sai, ho creduto che i Fondatori fossero impazziti, quando ho dovuto fare il solletico ad una pera per la prima volta.”
“Ehm... Remus, ragazzi, evitate... evitate di parlare male dei Fondatori con me presente, okay?”
“E perché?”
Kait si lasciò andare in una breve spiegazione sul suo essere l’Unità delle Case della sua generazione e Sirius si illuminò. “Vuoi dire che se io ora imprecassi contro uno di loro... lo sentirebbero? Porco Sa...”
Immediatamente Kaitlyn tappò con una mano la bocca del giovane Black, ritrovandoselo quindi a pochi centimetri di distanza. “Salazar è il più vendicativo. Non ti conviene sfidarlo, credimi.” mormorò prima di allontanarsi di qualche passo e lasciare la presa sul purosangue.
Sirius la fissò incantato. Chi era e che cosa gli stava facendo?
Remus la fissò confuso. Chi era e che cosa l’aveva portata lì nel loro tempo?

James la fissò sbalordito. Chi era e che cosa aveva intenzione di fare?
Peter la fissò e...
“Ragazzi, non vorrei dire, ma io ho davvero fame.”
Kait lanciò un’occhiataccia a Minus, gelandolo sul posto.
Chi era e che cosa aveva contro di lui?


“Amore, te lo giuro, dal futuro! Ieri siamo stati un po’ insieme, abbiamo chiacchierato.”
“E di cosa?”
“Di tutto e niente, alla fine. Abbiamo parlato del suo essere l’Unità delle Case del suo tempo e di ciò che il suo ruolo comporta. Poi siamo passati al cibo, dato che non ha mangiato quasi niente. Ci ha spiegato che non ha quasi mai fame...”
“Oh, una fissata con il cibo? Anoressica?”
“No, no! E’ solo... non ha fame. Non so come, dato che il viaggio del tempo dovrebbe averle tolto un sacco di energie... Comunque abbiamo parlato anche di Quidditch e di altri argomenti leggeri. Non ha detto nulla di sé e noi non abbiamo chiesto. Forse avremmo dovuto...”
“No, James, sono sicura che sia stata una buona idea aspettare. Dopotutto è appena arrivata, farle subito un interrogatorio sarebbe stato pesante!”
“Ma c’è qualcosa, in lei...”
“Vuoi che andiamo a parlarci?”
“Sì, Lily, credo che sia meglio. Vado a chiamare gli altri.”

“Ehi, Kait!” urlò Sirius raggiungendola, seguito da un bel po’ di gente. La giovane era appena uscita dalla Stanza delle Necessità, dove aveva dormito, e sembrò parecchio sorpresa alla vista di tutte quelle persone. “Ehm... volete... entrare?” domandò indicando la porta chiusa dietro di sé.

Entrarono nella Stanza e si sistemarono sui diversi divanetti che erano appena comparsi. Kaitlyn si tenne leggermente in disparte e si sedette su una poltrona; formavano un cerchio, così che tutti si potessero guardare in volto.
“Allora... questi sono Alice Prewett e Frank Paciock,” disse James indicandoli. Kait fece un cenno secco col capo e sorrise nella loro direzione, sforzandosi di togliere dalla sua mente i genitori di Neville del futuro, distesi su due letti d’ospedale. “Loro sono Gillian Gilbert, Mary McDonald e Dorcas Meadowes.”
L’intero corpo di Kait si fece teso, nel sentire il nome di sua madre.
Kaitlyn aprì la bocca per parlare, ma James non aveva ancora finito. “I Malandrini li conosci già, mentre lei è Lily Evans, la mia ragazza,” terminò con orgoglio. La purosangue osservò la madre di Harry e le sorrise calorosamente. “Hai dei bellissimi occhi,” mormorò mentre Lily arrossiva e ringraziava.


“Allora, Kait. Che cosa facevi... ehm... farai... insomma, cosa fai nel tuo tempo?” domandò Mary McDonald grattandosi la testa, confusa da tutti quei tempi verbali. “Sono un’Auror.”
“Di già? Così giovane?” esclamò James, che già programmava di iscriversi all’Accademia. Kait spiegò che si era allenata con Malocchio fin da quand’era bambina. “Wow! E i tuoi genitori approvano il tuo lavoro? E’... pericoloso,” disse Peter, sporgendosi verso la nuova arrivata e ritraendosi subito dopo, raggelato dal suo sguardo. Chissà perché, il Malandrino non riusciva ad essere accettato. Eppure, pensò Peter, io non ho fatto niente!
“Sono orfana,” rispose Kait indurendo l’espressione. Sirius sgranò gli occhi e si mosse incerto sul divano, indeciso se avvicinarsi alla ragazza o restare seduto. La gomitata di James lo fermò e lo riportò alla realtà, dove la sua fidanzata lo stava fissando. Cosa direbbe se vedesse la quantità di interesse che provo per Kait?, pensò Sirius, dandosi mentalmente dell’idiota. Doveva contenersi!

“Fratelli o sorelle?”
“Sono morti.”
Alice Prewett si morse la lingua, odiandosi per aver posto quella domanda inopportuna. “Come?”
“Peter zitto!”
Tutti tacquero al grido di Remus, che era più forte e sicuro di sé di quanto gli altri credessero. Kaitlyn si impietrì, voltandosi istantaneamente a guardarlo, e lui balzò in piedi, avvicinandosi alla ragazza. “Non rispondere, è una domanda orribile,” le disse sedendosi sul bracciolo della poltrona su cui lei era sistemata. Le accarezzò i capelli con un gesto amorevole e poi, con la voce spezzata, parlò ancora. “Io e te siamo legati, vero?  Me lo sento, noi due... in qualche modo...”
“Noi... ci conoscevamo...” E anche piuttosto bene, aggiunse Kait mentalmente. “Sai cosa sono?” tutti, in quella stanza, conoscevano il suo “piccolo problema peloso”. “Sì, certo, ma non mi interessa.”
“Tu sei una purosangue... non dovresti essere schifata da quelli come me?”*
“Ho detto che sono una purosangue, non che sono una stronza!”*


La sveglia suonò e Kait venne riportata alla realtà di soprassalto, trovandosi completamente sudata. Hermione, già in piedi, la fissò e le disse di averla sentita parlare durante la notte.
La giovane Black chiuse un secondo gli occhi, poi si alzò di scatto e corse in bagno a vomitare. Si sentiva uno straccio e aveva le lacrime agli occhi; era come se una parte di sé stesse cercando in tutti i modi di farla scoppiare a piangere, urlandole con forza che voleva riavere accanto le persone che avevano popolato i suoi sogni quella notte. Persone che, purtroppo, poteva vedere solo nella sua mente.



 



* non so se ve lo ricordate, ma Jackson aveva detto "Tu sei una Black, non dovresti essere schifata da quelli come me, i Mezzosangue?" e lei aveva risposto "Ho detto che sono una Black, non che sono una stronza."
Mi piaceva l'idea di ricreare, in qualche modo, la scena.


Okay, lo sclero è finito. Il prossimo capitolo ricomincia ad essere NORMALE. Yeeeeeeeeah esultate con me! XD Comunque, belli miei, sono a 97 recensioni <3

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Capitolo 32
*** Con l'arrivo dell'inverno e dei suoi problemi ***


Ecco qui un nuovo capitolo, bella gente :D
Ho solo una piccola nota da farvi notare, prima che cominciate a leggere: in italiano, il nome Jackson si legge (circa) "gecson", mentre all'americana - ovvero nel modo originale xD - si legge "giacs(o)n" (con quella O appena accennata..) insomma, se volete sapere come si pronuncia realmente cliccate qui e ascoltate: http://translate.google.it/#en/it/Jackson
Quindi il soprannome di Jackson - che non sarà Jack come qualcuno potrebbe pensare, bensì Ja - si pronuncia "gia" e non "ge". Era tanto per farvelo sapere xD

 

 

Dedico questo capitolo a Tormenta, che aspettava da tanto un certo avvenimento ~



 

 

Con l’arrivo dell’inverno e dei suoi problemi

 

Kait gemette, massaggiandosi il collo e avviandosi verso l’uscita della palestra.
“Black, dobbiamo assolutamente discutere dei tuoi allenamenti,” la bloccò Moody, riponendo nel frattempo le attrezzature con cui lei e Jackson si erano allenati fino a poco prima. “Possiamo parlarne domani? Sono distrutta,” disse Kait e, alla risposta affermativa del maestro, la ragazzina corse fuori, raggiungendo il compagno in spogliatoio.
“Ja? Ci sei?” esclamò Kaitlyn entrando nella stanza e trovandola vuota. Probabilmente, pensò, Jackson se n’era già andato. Essendo sola, si tolse la maglietta in tranquillità, restando in reggiseno sportivo e pantaloncini corti. La Black si guardò attorno e si diresse verso le docce, collegate allo spogliatoio attraverso una porta a vetri, al momento socchiusa. Camminando si levò anche i pantaloncini e, afferrato un asciugamano, entrò nella stanza da bagno, lo sguardo a terra. C’erano tre cabine doccia, di quelle sportive, l’una separata dall’altra attraverso un basso muro che copriva il corpo fino all’ombelico. Kaitlyn e Jackson facevano sempre la doccia lì, a turno, la prima per andare a scuola pulita, il secondo perché poteva rilassarsi e pensare ai fatti suoi.

Quando due piedi maschili entrarono nel suo campo visivo, Kait si fermò di scatto e alzò lo sguardo, posandolo su un Jackson Everdeen di schiena, pieno di sapone e con l’acqua che gli scivolava lungo la spina dorsale. Il ragazzo dovette udire il gemito di sorpresa - o, forse, ciò che sentì fu il rumore della mascella di Kait, che avrebbe potuto toccare il pavimento, da quanto la bocca era aperta - e così si voltò.
“KAITLYN!”
“JACKSON!”

“KAITLYN!
“
"JACKSON!”
Entrambi si fermarono, senza fiato e rossi in volto.
Il giovane era completamente bagnato e cercava di coprirsi nascondendosi dietro il muretto divisore, mentre le guance gli si facevano sempre più colorate. Kait si riscosse dal suo stato di trance e posò lo sguardo sull’asciugamano che teneva tra le mani, prima di lanciarlo all’amico, intimandogli di coprirsi. Jackson, afferrando il pezzo di stoffa al volo, fece come richiesto e fissò la Black, che si rese conto di essere in intimo.
“Cazzo!” esclamò, cercando in tutti i modi di coprirsi e chiedendo l’asciugamano indietro, cosa che le fu negata. Dopotutto, lei indossava l’intimo, lui no! Kaitlyn si voltò e cercò di uscire dal bagno il più velocemente possibile; purtroppo scivolò sul bagnato e cadde a schienata, sbattendo anche la testa.
La vista le si riempì di innumerevoli puntini bianchi e il fiato le si bloccò in gola.
“Ehm... Kay? Sei viva?”
“No, Ja, sono morta.”
“Ah okay. Peccato.”
Kaitlyn alzò di scatto la testa, fissando male l’amico, che rideva alle sue spalle per la caduta da lei fatta. La Black si portò seduta, una mano a toccare il capo, su cui a breve si sarebbe sicuramente formato un bernoccolo. “Beh? Mi vuoi aiutare o no?”
Jackson si affrettò a tirare in piedi l’amica, prendendola per un gomito. Le chiese se sentisse male a qualcosa e la giovane negò con un cenno, rispondendogli che non era delicata come lui credeva. Si guardarono negli occhi per qualche istante, respirando rumorosamente e tenendosi a vicenda per un braccio. Si stavano fissando intensamente e non davano segno di volersi muovere; a farli dividere ci pensò Moody, che con un cipiglio severo sul volto, entrò nella stanza e prese Jackson per un braccio, portandolo via con sé.
Kait chiuse gli occhi per un secondo, ritrovandosi sola nella stanza delle docce, poi si tolse l’intimo e si buttò sotto il getto dell’acqua. Chissà!, si disse, magari sarò fortunata! Magari annegherò qui e non dovrò affrontare di nuovo Jackson!
Senza che lo volesse, le guance le si tinsero di rosso.

“Cosa ti avevo detto, Jackson?” quasi gridò Moody portando il ragazzo in palestra e spingendolo in avanti, fino quasi a farlo cadere. “Signore, è stato un incidente. E’ entrata... in un momento poco opportuno,” si difese il quindicenne, mentre con una mano afferrava velocemente l’asciugamano che lo copriva e che gli stava scivolando. “Davvero, signore. Non si deve preoccupare, l’ho capito, lei è...”
“Piccola e incasinata, Jackson, sì. Piccola e incasinata.”

~

“Ragazzi, aspettate!” esclamò Kait rincorrendo i suoi tre migliori amici. Quel pomeriggio era stata nei Sotterranei, in compagnia di Draco e Pansy, che l’avevano poi convinta a cenare al tavolo verde-argento. Uscita dalla Sala Grande, la Black aveva dovuto fare i conti con due primini Tassorosso, terrorizzati e bisognosi di un paio di consigli. Era stata un’impresa liberarsene e, prima che se ne riuscisse ad accorgere, i suoi amici si stavano già allontanando.
I quattro Grifondoro si diressero verso la loro amata torre, ridendo e parlottando. Harry, da “bravo cavaliere” stava portando i libri della Black, che glieli aveva mollati in mano appena lo aveva visto. Hermione non aveva apprezzato il gesto della purosangue, ma Harry non aveva fiatato, quindi si era trovata costretta a tacere. Kait camminava pochi passi davanti a loro, procedendo all’indietro in modo da poterli guardare in volto mentre parlava.
“Non sapete cosa è successo stamattina!” esclamò Kaitlyn con un sorriso. “Ero appena uscita dall’ufficio di Silente, quando mi sono passate accanto due Grifondoro del quinto anno. Stavano parlando a voce talmente alta che... beh, non ho potuto fare a meno di sentire!”
Hermione scrutò sospettosa l’amica; conosceva il suo modo di “ascoltare casualmente” le conversazioni altrui! Non gliel’avrebbe mai detto, ma non le piaceva affatto che lei origliasse i discorsi degli altri, che di sicuro non la riguardavano. “Erano sa... nate-babbane, e parlavano di creare un gruppo “sportivo” di... com’è che l’hanno definito? Ah già! “Sostegno”. Un gruppo sportivo per sostenere i giocatori di Quidditch. Con tanto di divisa personalizzata e tutto il resto,” esclamò Kait con un enorme sorriso sul volto.
“Aspetta... Vorrebbero... Creare le Cheerleader a Hogwarts? Devono essere studentesse straniere, o appassionate di serie TV.”
La Black squadrò sospettosa l’amica.
“Un giorno ti farò vedere la televisione, Kait, non temere. Comunque intendevo dire che le Cheerleader sono nelle scuole americane... Mi sembra davvero strano che qualcuno voglia ricrearle qui.”
Kaitlyn scosse la testa, dicendo che, secondo lei, nessuno avrebbe accettato. “Andiamo, mi ci vedi a saltellare sulla sabbia del campo da Quidditch a urlare filastrocche?” continuò. “Siamo forti e coraggiosi, dei Grifondor siamo i tifosi!” esclamò in falsetto, muovendosi come se fosse davvero una Cheerleader e terminando il tutto con una spaccata. Ron le porse una mano per aiutarla a rialzarsi, guardandola sorpreso. “E quella da dove ti è venuta?”
“La spaccata?”
“No, la frase! Era anche in rima...”

Kait arrossì dalla vergogna, mentre i capelli le diventavano rossi come quelli di Ron; intimò ai suoi amici di muoversi e affrettò il passo. Stavano camminando in silenzio da qualche minuto, quando Harry li fece fermare. “Avete sentito?” sussurrò. Kaitlyn era già pronta ad assistere ad un’altra dimostrazione di Serpentese, - se solo avesse potuto dirlo ad Hermione! - ma Potter la sorprese, afferrandola per un braccio e spingendola a nascondersi dietro due armature. Herm e Ron li imitarono. 
Qualche secondo dopo Mrs Purr attraversò il corridoio, la coda ritta e lo sguardo attento. Kait assottigliò lo sguardo, sollevando appena un labbro e mettendo in mostra i denti. Stava per ringhiare, - e quindi rivelare la loro posizione - quando Mrs Purr si allontanò. “L’abbiamo scampata bella! Ti immagini che storie ci avrebbe fatto Gazza?” esclamò Ron dando il cinque a Harry e congratulandosi con lui per l’ottimo udito.
Kait si strofinò il naso con una mano, un’espressione schifata sul volto. Uscirono dal nascondiglio e ricominciarono a camminare. “Perché quella faccia?” le domandò la Granger. “Non mi piacciono i gatti,” rispose la Black facendo spallucce e chiedendole successivamente se lei, invece, li apprezzasse. Hermione non rispose, imitando l’amica con un’alzata di spalle, ma dentro di sé annuì. A lei i gatti erano sempre piaciuti.

~

“Hermione, ti devo dire una cosa molto importante... sulla Camera dei Segreti,” sussurrò Kait una volta nascosta sotto le coperte. Era molto tardi e le Grifondoro del secondo anno dormivano già da un pezzo: tutte tranne Kaitlyn, che proprio non riusciva a prendere sonno. La Granger biascicò qualcosa, voltandosi dall’altra parte e abbracciando il cuscino, del tutto addormentata. Kait si portò a pancia in su e si passò una mano sul volto, aspettandosi di trovarlo bagnato, cosa che però non accadde. Da quant’era che non piangeva? E quanto tempo ancora sarebbe passato, prima che lo facesse di nuovo? Di certo non molto, pensò la Black in uno slancio di pessimismo. Prima o poi quel dannatissimo basilisco vedrà qualcuno a cui tengo, e allora...

“Avrete un grande shock. C’è stato un altro attentato... duplice questa volta.”
“Hermione!”


Kait scattò in piedi, improvvisamente con il cuore a mille. Si portò le mani alla testa, passando le dita tra i capelli e stringendoli con forza, quasi a volerli strappare. Il dolore le riportò lucidità; non abbastanza, però, perché la sua mente le impedisse di correre a folle velocità fuori dal dormitorio.
“Helena, dove vai?!” urlò la voce straziata di Tosca, alle sue spalle. Kait non rispose, saltando un paio di gradini e scattando verso il ritratto della Signora Grassa, che le gridò dietro di tutto, minacciando di chiamare il preside. “Sono le tre di mattina, dove credi di andare?!”
La Black non si prese neanche la briga di rispondere; si limitò ad aumentare la velocità, sforzando i muscoli delle gambe e muovendo le braccia in sincrono, ricordando tutti gli insegnamenti di Moody. Raddrizzò il busto e prese a respirare in modo più costante, così che non le venisse il fiatone. Il pavimento freddo intorpidiva i piedi nudi della tredicenne, che cercava di ignorarli il più possibile, mentre accorciava i capelli per far sì che non le ricadessero sugli occhi.
Stava per voltare a destra e percorrere un corridoio, quando una mano maschile la afferrò con forza per un braccio e la strattonò, tirandola indietro. Kait imprecò a mezza voce, mentre l’arto le cominciava a pulsare in maniera più che insopportabile. Lo torse leggermente, cercando di capire l’entità del danno. Quando si fu accertata che non fosse rotto, alzò lo sguardo verso Salazar e gli intimò di lasciarla andare.
“Non puoi fare quello che vuoi, Helena!” la sgridò lui.
Kaitlyn sentì le guance arrossarsi dall’irritazione, così socchiuse gli occhi e gli rispose a tono: “Io sono una Black e... ”
“Buon per te, ora smettila di fare la bambina e cresci un po’. Non puoi fare ciò che vuoi solo perché di cognome fai “Black”, sai? Sei cocciuta come pochi, questo lo sapevo, ma mai prima d’ora avevo dubitato della tua intelligenza. Invece stasera ti stai comportando come un’emerita idiota.”
“Si tratta della mia migliore amica...”
“Di cosa avevamo parlato, eh? Anche se la tua amica dovesse morire, anche se nessuno riuscisse ad indovinare la verità, anche se Hogwarts dovesse chiudere. Non te l’avevo forse detto?”

Pur controvoglia, la giovane fu costretta ad annuire. Sì, Salazar le aveva imposto un giuramento, così che lei non potesse dire in giro fatti riguardanti la Camera dei Segreti. E lei avrebbe infranto la promessa, se Hermione non fosse già stata addormentata. “Io voglio solo...”
“Ora come ora, quello che vuoi tu non è importante. Devi capire, Helena, che il mondo non ruota attorno a te. Io non avrei potuto raccontarti niente, niente! Ma dicevi che mi avresti odiato, se non l’avessi fatto, quindi ti ho rivelato tutto. Tutto, Helena, tutto. Mi sono esposto, ho interferito con la tua vita quando non avrei dovuto. Ci saranno conseguenze, conseguenze gravi.”
Kait lo fissò con tanto d’occhi, mentre Salazar lasciava la presa sul suo braccio e le accarezzava il viso. “Conseguenze che vorrai non aver mai affrontato. Se tu, ora, rivelassi agli altri ciò che ti ho detto, sarebbe ancora peggio, credimi.”
La Black annuì, poi si voltò leggermente verso il corridoio che avrebbe voluto percorrere inizialmente. “Volevo solo...”
“Al momento non farlo, credimi. Verresti a conoscenza di qualcosa che ti impedirebbe di essere lucida...” rispose il Fondatore, dimostrando di conoscerla meglio di quanto lei pensasse.
“C’è l’Erede, lì, vero? In questo esatto momento.”
Salazar, l’espressione cupa e lo sguardo spento, annuì.
“Forza, torna alla tua amata Torre, dai tuoi coraggiosamente stupidi Grifondoro.
Il tono era scherzoso, ma quello sul suo volto era solo il fantasma del suo solito sorriso.

~

“Kait, sei davvero sicura?” domandò Hermione con tono triste. Non ci poteva credere, la sua migliore amica la stava lasciando sola! “Herm, mi dispiace un sacco, non sai quanto vorrei rimanerti vicina, ma proprio non posso ignorare la loro richiesta,” rispose la Black, piegando l’ultima maglietta e mettendola sopra le altre, chiudendo successivamente il baule. “Ma... ma sei sicura?”
“Ti prego, se me lo chiedi ancora una volta, finisce che non mi muovo più. Comunque non sarà molto diverso, sai? Ci vedremo a lezione...”
“Solo quelle condivise.”
“Hermione, ti prego, devi capire. Tassorosso ha la più alta quota di Nati-Babbani in tutta la scuola. Hanno bisogno di un po’ di sostegno, un po’ di coraggio... hanno bisogno di me,” la voce e l’espressione di Kait non lasciavano trasparire emozioni, sebbene dentro di sé lei morisse dalla voglia di disfare subito i bagagli. Hermione fissò l’amica, poi le fece un sorriso malinconico e le sistemò la cravatta allentata, che aveva cambiato colore, divenendo da rosso-oro a giallo-nero. Kait abbracciò Herm, quindi uscì dal dormitorio, seguita dal suo baule, incantato in modo tale da fluttuare a mezz’aria. La Granger fissò malinconicamente la porta ormai chiusa, sedendosi sul letto e stringendosi le ginocchia al petto.
Kait salutò Harry, Ron e i loro compagni di classe, poi uscì dalla Sala Comune dei Grifondoro e si diresse verso quella dei Tassorosso. I ragazzi la accolsero calorosamente e lei si dimostrò cordiale con tutti, sebbene dentro di sé rimpiangesse già la sua vera Casa.










Tadan! Ecco qui :)

Mi lasciate un commentino? ^^

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Capitolo 33
*** Nel pieno di quell’orribile freddo che ti congela le ossa ***


Mi scuso per l'enorme ritardo, ma non questo non è un periodo facile, per me.

Intanto godetevi il capitolo e please, recensite :)

 

 

 

Nel pieno di quell’orribile freddo che ti congela le ossa

 

“Malocchio, posso parlarti?” domandò Kait con voce flebile, la fronte imperlata da innumerevoli gocce di sudore. Alastor si voltò, incontrando lo sguardo sofferente dell’allieva, che gli spiegò di provare dolore alla pancia. L’uomo alzò un sopracciglio con fare inquisitore, poi le ordinò di tornare ad allenarsi. “M-ma... non sto mentendo, Malocchio! Ho dei crampi insopportabili...”
“E mi spieghi cosa faresti se questi crampi ti prendessero nel bel mezzo di un combattimento con un Mangiamorte?” il ragionamento dell’Auror filava, ma Kait non poteva credere alle sue parole, per il semplice fatto che stava male. “Fila ad allenarti, Black!”
Con l’umore a terra e un forte desiderio di picchiare Moody, la purosangue si diresse verso l’angolo più lontano della palestra, strisciando i piedi e tenendo una mano sulla pancia. Stava brontolando qualche insulto a bassa voce, quando Jackson la prese per mano e la trasse a sé. “Kay, vieni,” disse sotto lo sguardo attento di Malocchio. Il ragazzo la portò alla sezione pesi. “Fatti un po’ di muscoli. Alastor non si lamenterà, perché ti starai comunque allenando, ma magari da seduta starai un po’ meglio.”
Kait ringraziò Jackson, mentre lui le sorrideva calorosamente e si allontanava fischiettando. Quando il giovane passò accanto all’allenatore, che lo fissava male, non perse il suo buon umore e lo salutò con un cenno. “Sai, Alastor?” disse poi. “Credo proprio che non sia così piccola. Incasinata lo è di certo, però... sta crescendo. E chi può dire cosa accadrà in futuro?”

~

Kait si fermò, raggelata. Justin Finch-Fletchley, accanto a lei, si voltò immediatamente a fissarla e, prima che potesse cadere, si affrettò a sorreggerla. La Black si ritrovò tra le braccia del Tasso, mentre il respiro le si faceva affannoso e la vista sfocata. Strinse con forza la camicia del ragazzo, nascondendo il volto contro il suo petto e sentendosi le gambe deboli. “Kait?” la chiamò Justin, preoccupato. Fino ad un momento prima camminavano in tranquillità e poi, senza un apparente motivo, lei si era sentita male. Il giovane la aiutò a mettersi in piedi, tenendola per i fianchi e impedendo che scivolasse a terra. Abbassò lo sguardo - lei era più bassa - e cercò i suoi occhi. “Kait, stai bene?”
La Black stava per rispondere, quando Tosca la chiamò dall’altra parte del corridoio. Pareva spaventata e molto, molto triste. Kaitlyn si allontanò debolmente da Justin, avvicinandosi alla Fondatrice, che stava trattenendo le lacrime. Mai, prima di allora, l’aveva vista in quel modo. “Corri, piccola mia. Corri.” le disse Tosca, mentre le mani le tremavano e la sua immagine cominciava a divenire sfocata. Kait, spaventata, le afferrò un braccio semi-trasparente e le conficcò le unghie nella pelle. “Cosa succede? Non...” cominciò la purosangue, ma la Fondatrice era ormai scomparsa.
Justin raggiunse l’amica e le domandò cosa fosse successo. La Black stava per rispondere, quando udì un rumore strano, quasi un fruscio. Come se qualcosa stesse strisciando...
Kait sgranò gli occhi e prese in fretta la mano del Tassorosso, esortandolo a correre e a non voltarsi indietro. Corsero per qualche corridoio, poi la purosangue si arrischiò a voltarsi, per cercare di capire se il basilisco li stesse ancora seguendo. Non guardando dove stava andando, sbatté contro una Corvonero del terzo anno, dai lunghi capelli neri e i tratti orientali. Caddero entrambe a terra e, prima che se ne potesse rendere conto, anche Justin finì disteso sul pavimento. La sua bacchetta, che teneva in mano da quando Kait gli aveva intimato di correre, gli scivolò e rotolò a diversi metri di distanza, finendo all’inizio del corridoio che avevano superato di corsa poco prima. Il Tassorosso si alzò e fece uno scatto per riprendersi l’arma; distesa sotto la Corvonero, Kait sgranò gli occhi. “Alzati!” urlò alla ragazza, gridando poi a Justin di tornare indietro. Mentre ancora era a terra, la Black vide Sir Nicholas accorrere, attirato dalle loro voci. “Nick, vai!” ordinò Kaitlyn, riuscendo finalmente a mettersi in piedi. Afferrò velocemente le mani della Corvonero, quindi le ordinò di tornare da dov’era venuta, correndo più velocemente che poteva. “Chiama Silente, la McGrannitt, Piton o qualsiasi altro professore, ma fa’ in fretta!”
Nel giro di pochi secondi, la ragazza era sparita.
Kait prese coraggio e fece per voltarsi, pronta a correre e a dare una mano a Justin e a Nick, che era volato ad aiutarlo. Prima di poter agire, però, una mano maschile la afferrò per una spalla e, impotente, Kaitlyn assecondò i movimenti dello sconosciuto. Venne fatta sedere a terra, nascosta da due statue, tra le gambe aperte del ragazzo. Ci si appoggiò contro, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo. “Non ti muovere e non parlare,” sussurrò una voce giovane e calda, una voce che la Black conosceva particolarmente bene. “Sì, però tu chiudi gli occhi,” rispose lei. I due ragazzi si immobilizzarono, cercando di respirare il meno rumorosamente possibile e dandosi coraggio l’uno con l’altra. Aspettarono diversi minuti, quindi udirono dei passi e, alla voce rassicurante di Silente, aprirono gli occhi.
“Dovrete spiegarmi l’intera faccenda,” disse il preside facendo loro cenno di seguirlo. Kait si voltò un’unica volta, guardando Justin e Nick-Quasi-Senza-Testa venir portati via. La presa rassicurante del ragazzo accanto a lei la fece tornare con al mente al presente, sebbene il cuore le fosse rimasto schiacciato da un enorme macigno. Come aveva potuto abbandonarli?
Erano appena entrati nell’ufficio di Silente, quando furono raggiunti da Malocchio. “Jackson, Black, cosa diavolo è successo?” abbaiò appena li vide. Il preside gli fece segno di calmarsi, poi intimò loro di spiegare. Così fecero. “Stavo camminando con Justin Finch-Fletchley, quando mi sono improvvisamente sentita male. Era da stamattina che non stavo bene, ma i crampi erano passati e io... credevo di stare meglio! A quel punto è comparsa Tosca, che mi ha detto di correre,” evitò di parlare del tono spaventato della Fondatrice, perché le sembrava qualcosa di troppo privato. “Io e Justin abbiamo eseguito gli ordini, però ci siamo imbattuti in una Corvonero, Cho Chang, che ci ha fatto cadere e perdere tempo. Justin aveva perso la bacchetta, così è tornato indietro! Gli avevo detto di non farlo...”
Silente annuì, comprensivo. “Poi è arrivato Sir Nicholas, giusto?” la incitò. “Proprio così. Sono stata io a chiedergli di andare da Justin. Avevo un gran brutto presentimento. Stavo per correre ad aiutarli, quando Jackson mi ha fermata.”
Fu il suo turno, dunque, di spiegare. “Ero venuto qui a Hogwarts per parlare con lei, signore. Per... l’esame.”
Silente annuì. “Me ne stavo andando, quando una donna mi è comparsa davanti. Sarà forse difficile da credere, signore, ma credo che fosse proprio Tosca Tassorosso. Mi ha chiesto di correre ad aiutare Kait e io non ho esitato un istante.”
Moody lo fissò, corrugando le sopracciglia. “Signore, quando sono arrivato Kaitlyn si stava voltando per tornare indietro. Non sono riuscito a vedere il “mostro”, purtroppo, perché l’unica cosa a cui ho pensato è stata di trascinare Kay lontano da lì; così ci siamo nascosti tra due statue.”
Silente annuì, ma prima che potesse parlare, Malocchio si era fatto avanti e aveva afferrato il mento di Kaitlyn con la mano destra. “Cosa ti ho sempre detto, Black? Vigilanza costante! Se non ci fosse stato Jackson, probabilmente saresti morta! Devi fare attenzione, devi essere sempre vigile!”
La purosangue accettò la ramanzina e chinò il capo, ignorando la strana sensazione che l’aveva presa alla base dello stomaco. Pochi secondi dopo, Silente diede loro il permesso di andare. Mentre si alzava dalla sedia su cui era seduta, Kait fissò l’amico e gli domandò: “Di che esame stavi parlando?”
A rispondere fu Silente. “Il signor Everdeen non va a scuola, ma ha bisogno comunque di affrontare gli esami, altrimenti non potrà entrare all’Accademia Auror. Quest’anno affronterà i G.U.F.O., mentre tra due dovrà svolgere i M.A.G.O., come tutti gli studenti della sua età.”
Kait annuì distrattamente, chiedendosi come avesse potuto pensare a sé stessa a tal punto. Non si era mai interessata all’andamento scolastico di Jackson, a come avrebbe fatto con gli esami o con l’Accademia. Mai.
Che razza di amica era?

 “Jackson, posso dormire da te?”
“Certo, Kay, ogni volta che vuoi.”

~

“Ricordati: o ti adatti o muori.”*
“Io non mi adatto. Io combatto.”
“E allora morirai, piccola Black.”
“Non metterci la mano sul fuoco, Malocchio.”

~

“Sto facendo violenza fisica su me stessa, ma non piangerò.”
“Perché piangere è da deboli?”
“No. Perché le lacrime mi impedirebbero di vedere. Ricorda, Jackson. Vigilanza costan
te.”

~

“Quindi... adesso fai parte dell’Ordine?”
“Sì, signore.”
“Black, ti dico solo questo: prova a morire e dovrai vedertela con me!”
“Anche io ti voglio bene, Malocchio.”
“Oh, ma sta’ zitta!”


Kait sobbalzò, portando le mani alla testa e premendosi due dita sulle tempie. Sotto lo sguardo preoccupato di Moody, Jackson e Silente, la Black chiuse gli occhi e si piegò in due, mentre la testa cominciava a dolerle in modo quasi insopportabile. Sentì a malapena le voci delle persone accanto a sé, o le mani che la sostenevano. Era troppo presa dal suo dolore e dalle visioni a cui la sua mente era sottoposta.

“Oggi imparerai a contrastare la maledizione Imperio.”
“Ho paura!”
“Tranquilla, Malocchio sa il fatto suo.”

~

“Io creo combattenti, non codardi.”

~

“Ricordati: o ti adatti o muori. Decidi al volo: anche mentre dormi.”*

~

“Accetto.”

“Benvenuta nell’Ordine della Fenice.”


“Cosa sta succedendo?!” urlò Kait istericamente, mentre immagini del futuro le passavano nella testa. Ancora con gli occhi chiusi e le mani nei capelli, la giovane Black svenne.

~

“Lo sapevamo già, Tosca. Ma hai deciso di rischiare,” esordì Salazar, cercando in tutti i modi di tenere a freno la rabbia. “Non sono l’unica ad aver infranto le regole, mi sembra,” ribatté seccamente la Fondatrice, incrociando le braccia al petto e sbuffando stizzita. Godric, al suo fianco, le posò una mano sulla spalla e le si avvicinò ulteriormente. Con il volto nascosto nell’incavo del collo della donna, il rosso sospirò, beandosi del buon odore della compagna. “Calmati, ti prego,” sussurrò facendo immediatamente rilassare Tosca. Salazar, invece, rimase irritato come prima e indurì ancor di più il volto. “Lei sta bene,” esordì Priscilla entrando nella stanza e posizionandosi accanto a Serpeverde. Lui la strinse a sé, rassicurato da quelle parole. “L’hai vista?” domandò. “Sì, sono stata in infermeria e lei era lì.”
“Ti ha detto qualcosa?” chiese Tosca mordendosi un labbro.
“Dormiva.”
Godric sospirò pesantemente e Salazar lo imitò. “Non avremmo dovuto,” mormorò, il volto contratto dai sensi di colpa. “Sarebbe morta, se non avessimo agito! Dai, Sal! Lo sai che non avevamo scelta!”
“Non abbiamo il permesso di interferire così tanto con la sua vita! Questa volta è solamente svenuta, ma la prossima potrebbe andare peggio!”
Alle parole di Salazar, Tosca scoppiò in lacrime e cominciò a singhiozzare, le mani a coprire il volto e le gambe che le tremavano. Godric la fece sedere, abbracciandola e sussurrandole parole dolci all’orecchio; dopo averla fatta calmare, il Fondatore si mise in piedi e si avventò contro a Serpeverde, prendendolo per il colletto della camicia e avvicinando il viso al suo. “Se non fosse per il tuo animaletto domestico fin troppo cresciuto, tutto questo non starebbe accadendo!” tuonò con ira. Salazar si liberò dalla presa rabbiosa dell’amico e lo spinse. “Oh, andiamo! Non sta così male! Una buona notte di sonno e Helena starà bene!” esclamò Priscilla.
“Non si tratta di questo!”
“A no? Vuoi dirmi che non è per le visioni, che sei arrabbiato? E per cosa, allora?” riprese Salazar.
A quella domanda, però, Godric non rispose.
“Lo so che non dovrebbe accadere, ma per ora è stato solo un semplice sovraccarico. La sua mente è stata sommersa alle nostre interferenze, non ha retto e le visioni l’hanno invasa. Più continueremo, peggio Helena starà, lo sappiamo tutti,” spiegò Salazar. “Questo non vuol dire, però, che non possiamo interferire, ma solo che bisognerà stare più attenti, pensare a cosa dire e a che informazioni darle. Se saremo prudenti, beh... andrà tutto bene. Lei starà bene,” continuò Priscilla con una voce molto rassicurante, non molto consona alla sua figura. Abbracciò Tosca, quindi si voltò verso i due uomini al suo fianco, che ancora si guardavano in cagnesco. “Rilassatevi, la mente di Helena si riprenderà velocemente da questo... “sovraccarico” e noi potremo ricominciare a vegliare su di lei.”
Tosca singhiozzò un’ultima volta, tirando sù con il naso e annuendo. Priscilla la strinse a sé; lanciò un’altra occhiata a Godric e a Salazar, quindi sorrise tristemente e annuì a sua volta. “Helena starà bene.”








:) Ecco qui



*queste due frasi non sono mie, ma di un film di cui purtroppo non ricordo il nome, al momento D: credo si chiamasse Hannah. Boh.

Alla prossima! :)

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Capitolo 35
*** Sogno o son desta? ***


'Giorno!
Scusate il mio ENORME ritardo, tenterò di essere più puntuale, la prossima volta.

Temo di aver fatto un bel casino, in questo captiolo, e spero davvero di riuscire a risolverlo XD
Ricordo a tutti che Kait ha 13 anni, mentre Harry, Draco, Hermione e gli altri ne hanno 12.
Spero vi piaccia :)


 

Sogno o son desta?

 

Harry sbuffò, guardando con rabbia prima l’orologio e poi la porta del bagno. “Cosa stai aspettando?” domandò Hermione distrattamente, aggiungendo uno degli ultimi ingredienti che avrebbero portato al completamento della Pozione Polisucco. “Non cosa, ma chi! Kait si è dimenticata di nuovo di venire, non ci posso credere!”
Harry stava già per cominciare ad inveire contro l’amica, quando Ron gli spiegò il motivo della sua assenza. “In Infermeria? Che cosa è successo? Sta male? Da quanto è lì? E quando uscirà?”
Hermione sorrise, notando come, sebbene rimanesse arrabbiato, Harry fosse tremendamente preoccupato per l’Unità delle Case. “Sta bene. Ha solo un po’ di febbre.”
Eppure, per quanto le parole della giovane lasciassero intendere la poca gravità della situazione, Harry represse un brivido e alzò lo sguardo sulla porta della stanza. Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.

~

Nel frattempo, in un’altra ala del castello, Kait stava dormendo pacificamente, la temperatura ormai stabile e la mente persa nei sogni più dolci. Purtroppo, fu svegliata bruscamente da una coppia di alunni più grandi, forse dell’ultimo anno, che litigavano furiosamente.
“NO! Quante volte te lo devo ripetere?” urlò la ragazza, una Grifondoro dall’aria severa e dai capelli rosso fuoco. Kaitlyn la fissò, cercando di capire dove l’avesse già vista - le era familiare, eppure era certa che non fosse un’alunna della sua Casa. Kait era l’Unità, lei conosceva tutti. E quella non era una studentessa, anche se lo sembrava.
“Oh, andiamo! Solo una volta, dai,” il ragazzo afferrò per un braccio la rossa, voltandosi nel frattempo, e per poco la Black non urlò. Dovette comunque aver emesso un gemito - o un verso strozzato - perché i due si voltarono a fissarla. Lei quasi svenne.
“Hai visto che hai fatto, Potter? L’hai spaventata!”
“Se tu avessi accettato di uscire con me, Evans, anziché lanciarmi una fattura e costringermi ad andare in Infermeria, questo non sarebbe successo!”
Kaitlyn scosse lentamente la testa, terrorizzata e allo stesso tempo incuriosita dalle occhiate dei genitori di Harry - perché di loro si trattava, sebbene sembrassero molto giovani e... vivi. Muovendo il capo, la purosangue lasciò vagare lo sguardo per tutta la stanza, incrociando quello di una sua compagna di scuola, una Tassorosso. Hannah Abbott era distesa sul letto di fronte al suo e le lanciava  brevi occhiate indifferenti. “Hannah, che sta succedendo?”
“Dovresti cominciare a capire, ormai.”
“Cosa fai qui?” domandò allora Kait, guardando per un secondo verso i due “fantasmi”, che la fissavano a loro volta. Sembrava che non stessero seguendo realmente la conversazione che lei stava avendo con la Tassorosso. “Sto aspettando che Madama Chips mi visiti,” disse lei con un sorriso, passandosi una mano sul collo, rosso di sangue. “Hannah...”
“Presta attenzione ai segni. I segni, Kaitlyn, i segni.”
Poi, mentre l’eco della sua voce si spegneva lentamente, tutto si fece opaco, quindi evaporò e scomparve.

 

Kait si svegliò di soprassalto, sentendo i polmoni bruciare e il corpo implorare per avere una boccata d’aria. Il panico cominciò ad invaderla, impedendole di pensare lucidamente. Il petto le faceva un male cane, quasi quanto il collo, che oltretutto era bagnato di una sostanza appiccicosa. La mancanza d’aria l’avrebbe uccisa di lì a pochi minuti, ne era certa, e questa convinzione sopprimeva violentemente quel briciolo di lucidità che le era rimasta. Nonostante tutto, provò a pensare ad un modo per salvarsi. Si era addormentata in Infermeria, quindi se avesse urlato qualcuno l’avrebbe di sicuro udita. Ma come poteva gridare, se non aveva aria nei polmoni e se la gola era bloccata? Fu pensando a tutto questo, che Kait capì. La sua gola era bloccata e il suo collo era bagnato di una sostanza appiccicosa, - sangue? - dovuta alla stretta troppo forte di... qualcosa. Qualcosa che stringeva la presa sempre più, qualcosa che si muoveva lentamente, su e giù, con un sibilo familiare, qualcosa che la stava strozzando.
“G...” provò a chiamare Gyaki, per fermarlo e salvarsi la vita, senza però riuscire a parlare. Le gambe di Kaitlyn ebbero uno spasmo involontario; le sue mani, da strette al materasso che erano, corsero al collo e cercarono di agguantare il serpente d’argento che la stava per uccidere, col risultato di sentirsi stringere ancora di più. Guardò il soffitto bianco dell’Infermeria, rifiutandosi di credere che sarebbe stata l’ultima cosa che i suoi occhi avrebbero visto, e sentì le lacrime farsi strada sul suo volto, sparendo subito dopo nei capelli; a quel punto, pensò di essere stata fortunata, dopotutto. Aveva vissuto, anche se solo per pochi anni. 
Sempre più di Hannah, sussurrò la sua mente.
Il suo corpo fu scosso da altri due spasmi, poi abbandonò ogni tentativo di salvarsi. Hannah, Hannah, Hannah. Questo era il suo unico - e ultimo - pensiero.
La rivedrò.

 

Kait si svegliò con il fiatone, come se le mancasse l’aria nei polmoni, poi si sporse fuori dal letto e vomitò tutto ciò che aveva nello stomaco, ovvero una grossa quantità di bile. 
Da quanto non mangiava?
“Signorina Black!” esclamò Madama Chips, correndo verso di lei ed affrettandosi a tenerle la fronte. Quando lo stomaco della ragazzina smise di contrarsi e sforzarsi di rimettere, l’infermiera la fece distendere e pulì tutto con un colpo di bacchetta. “La febbre è salita,” disse toccando il volto della paziente, che abbandonò la testa sul cuscino e sospirò, senza saperne il motivo. Per il sollievo di essere viva o per il mal di testa che le martellava le tempie? Madama Chips le passò un panno freddo bagnato sulla fronte e Kait riacquistò improvvisamente lucidità, per poi ricominciare a perderla. “Cosa...” biascicò mentre le palpebre le si facevano incredibilmente pesanti. “Cosa mi sta succedendo?”
“Suvvia, signorina Black, è solo un’influenza.”
Ma Kaitlyn non ne era sicura, non era sicura per niente. Sentiva che qualcosa stava cambiando drasticamente, o forse era persino già accaduto. 
Arrivata la sera e quindi l’ora di andare a dormire, l’infermiera diede la buonanotte ai suoi pazienti e spense le luci. Come sua abitudine quando restava improvvisamente al buio, Kait sgranò gli occhi, come se questo gesto la aiutasse davvero a vedere meglio ciò che la circondava. Quasi il suo corpo l’avesse ascoltata, la vista le si acuì, rivelandole nuovi dettagli dell’Infermeria che non aveva mai notato prima. Con il respiro che le si faceva pesante e le mani che tremavano, Kaitlyn si tirò a sedere e scalciò le coperte, che le si erano arrotolate attorno alle gambe. Litigò per un po’ con il lenzuolo e, appena vinse la furiosa battaglia, si alzò silenziosamente. La giovane si guardò attorno, spaventata all’idea che Madama Chips la trovasse in piedi a quell’ora e, una volta appurato che non sarebbe stata scoperta, si diresse verso l’uscita dell’Infermeria. Si passò distrattamente una mano sulla fronte, trovandola fresca e capendo che la febbre se n’era ormai andata. Aprì la porta e si allontanò a passo svelto, senza una vera meta, con un semplice desiderio: poter respirare aria fresca. Velocizzando sempre più la camminata, finendo quasi per correre, Kait andò fino all’entrata del castello, dov’era situato l’enorme portone. 
Chiuso?, si domandò Kaitlyn corrugando le sopracciglia e spalancando leggermente la bocca, che richiuse arrossendo appena si rese conto del suo gesto poco educato. Ma com’era possibile che fosse chiuso? Perché? Che senso aveva?
“Forse il senso è proprio quello di impedire agli alunni di uscire dal castello, tu che dici?” esclamò una voce familiare alle spalle della ragazza. “Oh, Priscilla, tu fai sembrare tutti i miei dubbi delle enormi stupidaggini.”
La Fondatrice le lanciò un’occhiata eloquente, come a dire che infatti lo erano, e la giovane Tassorosso - ma Grifondoro nel cuore - tacque. “Non credi sia ora di svegliarti?”
“Svegliarmi?” domandò Kait, stupita e lievemente spaventata. “Io sono sveglia.”
“Ne sei certa?” 
Priscilla aveva un sorriso insopportabile sul volto, quasi una presa in giro, e la guardava dall’alto in basso. Le si avvicinò e le diede una spintarella, incitandola ad andarsene; dopodiché sparì. “No, non di nuovo...” sussurrò Kaitlyn chiudendo e riaprendo gli occhi più volte, già pronta a svegliarsi in preda al panico. Chissà che giorno era. Ormai aveva perso il conto del tempo che era passato. “Svegliati, svegliati, forza...” si disse la ragazza cominciando a camminare per il corridoio. Salì per qualche piano, continuando a ripetersi che era ora di tornare alla realtà, nel mondo reale. Oltrepassò alcune aule, ovviamente chiuse, ma si bloccò quando ne vide una aperta. Una strana luce viola proveniva dall’interno e Kait, spinta dalla curiosità, si avvicinò di qualche metro. Si fermò sullo stipite della porta e vi si appoggiò contro, sbirciando nella stanza.
La luce viola si intensificò e la investì con un’ondata di energia.

Kait si svegliò di soprassalto, ancora distesa sul letto dell’Infermeria, e subito sentì un forte mal di testa.
Non ne poteva più.
Cosa stava succedendo? Stava diventando pazza? E perché proprio in quei giorni? Perché non prima? Cos’era successo, cos’aveva “scatenato” tutto questo?
Proprio quando, stravolta da quei ragionamenti, stava per rimettersi a dormire, udì leggeri passi sul pavimento. Afferrò in velocità la bacchetta sul comodino e la puntò verso un punto indefinito all'entrata della stanza. Non vedeva nessuno, eppure avrebbe potuto giurare di aver sentito un rumore.
Qualche secondo dopo l'estremità del letto vicino ai piedi di Kait si abbassò con un cigolio. Sorridendo e sedendosi, Harry si tolse il mantello dell'invisibilità. "HARRY!" urlò la ragazza, felice, quasi saltandogli in braccio. Ridendo e scompigliandoli i capelli, si sentì rilassata come non lo era da giorni. Per qualche secondo si guardarono negli occhi, poi Kait ricordò la loro litigata e abbassò la testa, sciogliendosi dall’abbraccio. "Cosa ci fai qui?" domandò tornando seria. 
"Sono venuto a chiederti scusa," mormorò Harry avvicinandosi alla sua migliore amica, che per lui era qualcosa di più. 
Si avvicinò di qualche altro centimetro; gli occhi verdi risplendevano alla luce della luna, il sorriso che un giorno avrebbe fatto innamorare tutte le ragazze di Hogwarts faceva capolino sul volto felice e i capelli disordinati erano una massa scura indefinibile a causa del buio della stanza. Madama Chips era nel suo studio, poco lontano da lì; a quattro letti di distanza stava un Corvonero addormentato, ma niente di tutto questo importava a Kait, che accettò le scuse dell’amico e lo abbracciò nuovamente con forza.
Harry la fissava, nel buio dell'infermeria, con quegli occhi verdi che avrebbero fatto sciogliere chiunque. Kait non pensò a nulla, se non al viso di quello che era il suo migliore amico da ormai due anni. Non le importava più del fatto che la loro amicizia si sarebbe potuta distruggere in meno di un istante, non le importava di essere solo al secondo anno, e nemmeno di stare per fare qualcosa di totalmente senza senso. 
Harry era lì, insieme a lei, e solo questo importava, quindi chiuse gli occhi e sporse il volto, sfiorando le labbra dell’altro con le sue.

Lui provava qualcosa per la sua migliore amica già da tempo; lei, invece, non aveva mai pensato a Harry in quel modo. Eppure fu lui a ritrarsi, rosso in volto e con un’espressione terrorizzata, e fu lei a piangere al buio quando l’altro se ne andò.

Il giorno dopo Kait fu dimessa dall’Infermeria, sebbene - per la prima volta in vita sua - desiderasse il contrario.
Il giorno dopo Harry non si presentò alla lezione condivisa con i Tassorosso.




 

 



Mi defilo prima che possiate linciarmi.
Alla prossima! :D

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Capitolo 35
*** Il freddo passerà ***


Buon pomeriggio a tutti. Lo so, sono in un tremendo ritardo, ma vi chiedo di perdonarmi. Non è il mio periodo migliore, questo.
Senza indugi vi lascio al capitolo.






 

Il freddo passerà.

 

Kaitlyn si avvicinò al corpo del fratello, disteso in una bara bianca, e gli prese la mano. “E’ fredda" notò con la semplicità tipica dei bambini, cercando inutilmente di scaldarla. Sembrava che il gelo si fosse impossessato di Nathan; la sue dita erano ghiacciate, come d’altronde l’intero corpo. A contatto con Nathan, la mano di Kait si fece fredda, sebbene lei avesse cercato in tutti i modi di riscaldarla.
Remus le si avvicinò. Il funerale sarebbe durato ancora qualche tempo, ma la bambina doveva assolutamente tornare in ospedale il prima possibile. La prese per le spalle e la condusse lontano dalla bara; Kait contrasse e rilassò la mano destra più e più volte, cercando un po’ di calore. 
Tutto inutile.
La sua mano era fredda.
E fredda sarebbe restata.

 

Kait si svegliò madida di sudore. Scivolò fuori dal letto e barcollò fino al bagno, dove ci si chiuse. Si tolse il pigiama e, sfregandosi un occhio con fare assonnato, si infilò sotto l’acqua della doccia. Ne uscì mezz’ora dopo, rossa in volto e del tutto sveglia.
Tornò in camera, coperta solo da un grande asciugamano, e si sedette sul suo letto, guardando quasi con rabbia la sveglia, che segnava le cinque e mezzo di mattina. La sera prima aveva dovuto scontare una lunga punizione nell’ufficio di Piton, che l’aveva stancata un sacco; di conseguenza si era dovuta svegliare presto, perché non aveva neanche cominciato il tema di Trasfigurazione, di cui non ricordava nemmeno il titolo. Una volta scopertolo, Kait prese la pergamena, l’inchiostro e la piuma e cominciò a scrivere. 
Finì prima del previsto, il ché le diede tutto il tempo di vestirsi con calma, di sistemarsi i capelli - scelse, per quel giorno, di farsi una lunga treccia sul lato sinistro che partiva accanto all’orecchio destro e che le era stata insegnata da Narcissa - e di annoiarsi. Quando si fu stancata di guardare l’orizzonte dalla finestra socchiusa, Kait cominciò a riordinare il suo angolo di stanza, segno che era davvero preda della noia più totale. Fu sistemando uno dei cassetti del suo comodino, che si imbatté in un foglio che aveva ormai dimenticato. Lo aveva trovato quell’estate, a luglio, in uno degli innumerevoli libri della biblioteca di Malfoy Manor. Kaitlyn si sedette a terra e spiegò la pergamena, cominciando a leggere le informazioni su Azkaban che vi erano riportate. Nel frattempo afferrò un altro foglio, su cui prese qualche appunto. Kait continuò a scrivere e ad assimilare dettagli sulla prigione dei maghi, - la prigione dove suo padre era rinchiuso - fino a quando Hannah Abbott cominciò a lamentarsi a causa della sveglia, che aveva cominciato a suonare. Kaitlyn sobbalzò e, nel giro di pochi secondi, aveva già nascosto le due pergamene sotto il cuscino. Il soggiorno dai Tassorosso non si era rivelato tanto male; tutti erano molto dolci e sempre pronti ad aiutare il prossimo. Si interessavano della vita degli altri quanto bastava per non rimanere emarginati da ciò che accadeva agli studenti delle altre Case, ma non abbastanza per essere ritenuti “una banda di ficcanaso”, come invece succedeva ad altri ragazzi. Trattavano tutti con rispetto e, come Kait aveva piacevolmente avuto modo di scoprire, i Tassorosso avevano un vero e proprio talento per farti sentire a tuo agio. L’unico problema che la Black aveva riscontrato era Hannah Abbott, oltre alla nostalgia verso la ben diversa Torre di Grifondoro e i suoi occupanti, più eccitati ed eccitanti dei Tassi. I rosso-oro erano un’esplosione di potenza, impulsività e allegria, mentre nella Casa di Tosca si respirava bontà, dolcezza e... calma. Kait era sempre stata definita “una miccia pronta ad esplodere” e non era certo abituata a vedere una quantità tale di relax. La spaventava, quasi. Il secondo “problema” era stato dovuto ad una sua nuova compagna di dormitorio, ovvero Hannah Abbott. Ogni volta che qualcuno la chiamava, infatti, Kaitlyn sobbalzava. Non era un nome facile da sentire, per lei, e mai lo sarebbe stato.
Kait si alzò da terra, si sistemò la divisa multicolore, afferrò la borsa dei libri e si diresse a passo svelto fuori dal dormitorio, sorridendo soddisfatta del suo lavoro. Non sapeva il motivo, ma sentiva di dover continuare con le ricerche, magari dando anche un’occhiata in biblioteca, però senza farsi notare troppo. Era il suo istinto, a dirle come agire.
Arrivata in Sala Grande, Kait fece per accomodarsi al tavolo dei Tassorosso, quando vide una persona a lei familiare - con tanto di occhiali, saetta e capelli indomabili - e cambiò idea. Con una gioia sempre crescente, si sedette al tavolo dei Grifondoro e salutò Harry, che le stava accanto. “Ehi, tutto bene?” gli domandò una volta che l’ebbe guardato in viso. Profonde occhiaie segnavano i suoi occhi stanchi, mentre i capelli - come ogni Potter che si rispettasse - erano del tutto indomati e andavano da tutte le parti. Dal volto sembrava che qualcuno fosse salito sopra al povero dodicenne, magari una carrozza o direttamente una mandria di cavalli. “Sì, sì. Niente di che.” sussurrò in risposta Harry, girandosi per guardarla negli occhi. Kait sorrise e gli scompigliò i capelli, afferrando un croissant - inaspettatamente, quel giorno aveva fame - e addentandolo con espressione soddisfatta. Potter, invece, continuò a fissarla, prima di abbassare gli occhi a terra e sospirare. “Non hai dormito?” chiese Kaitlyn con fare cospiratore. 
“Non molto, in effetti.”
“Incubi?”
“Parecchi.”
“Raccontameli, dai,” alle parole della Black, Harry si irrigidì improvvisamente, fissando sempre con più insistenza il tavolo a cui era appoggiato. “Che c’è, non ti fidi?” disse allora Kait. Tutta quella tensione non le piaceva per niente. Le stava pure passando la fame!
Prese il tovagliolo e si pulì le mani sporche di zucchero a velo, - non era il genere di persona che si lecca le dita, lei - quindi si avvicinò leggermente al suo migliore amico, restato in un preoccupante silenzio. “Ti prego, Harry, dimmi cosa ti turba,” sussurrò Kaitlyn mordendosi un labbro, ormai del tutto a disagio. “Niente,” rispose. “Harry...”
“Ho detto che non è niente!”
L’arrivo di Hermione distrasse la ragazza quel tanto che bastava per non farle notare l’occhiata accusatrice del dodicenne, che si alzò da tavola di scatto e si allontanò in velocità. “Ma...” sussurrò la Black, senza parole. Hermione le sorrise stancamente, dicendole che aveva mancato due appuntamenti di seguito nel bagno delle ragazze. “Bagno delle ragazze? Oh, per Merlino, la pozione!” ricordò Kait allora. “Harry se l’è un po’ presa. Insomma... prima ci dedicavi tutto il tuo tempo o quasi, mentre ora te ne stai sempre con i Tassorosso. E hai pure dimenticato due volte di seguito l’appuntamento per la Polisucco.”
“E quindi è arrabbiato per questo?” esclamò la purosangue con sguardo ferito. Insomma, poteva capitare a tutti, no? E poi era l’Unità delle Case, non poteva certo chiudersi nella Torre e non muoversi più da lì! “Non è arrabbiato, Kait, non molto. Il fatto è che è molto stressato per tutta la situazione dell’Erede, lo sai. Tutti credono che sia lui! Harry è sempre più teso, ogni giorno di più, e così oggi si è sfogato su di te .”
“Oh, molto gentile, davvero!”
“Kait,” la riprese Hermione. “Non lo fa perché è arrabbiato con te, o perché hai dimenticato la pozione, capisci?”
“No, non capisco! Se non per questi motivi, allora perché lo fa?!”
“Perché gli manchi.”
L’aveva detto con tono calmo, Hermione, ma Kaitlyn incassò le sue parole come se lei gliele avesse urlate contro. Si alzò di scatto, troppo confusa - non sapeva se essere irritata, triste o nervosa - per fare qualcosa che non fosse andarsene a passo svelto dalla Sala Grande. 
“E comunque,” esclamò prima di allontanarsi, “digli che la prossima volta che gli manco, che venga da me a dirmelo e ad abbracciarmi, piuttosto che farmi sentire uno schifo in questo modo!” 
Uscendo dalla Sala si rese conto di avere gli occhi lucidi; con un gesto di stizza ingoiò le lacrime e corse a lezione, arrivando con venti minuti di anticipo e posizionandosi in ultimo banco. I Tassorosso avevano Trasfigurazione, a quell’ora, ma nemmeno la professoressa McGrannitt era ancora arrivata. Kait si appoggiò al banco, chiudendo gli occhi e maledicendo Harry in silenzio.

~

Kait continuava a pensare a lei, ma senza pensarci realmente. Era una presenza costante nella sua vita, magari nascosta in un angolino della sua mente, magari silenziosa e quasi invisibile, però sempre presente. Kait amava quel piccolo cassetto, nel suo cervello, da cui Hannah la osservava. Amava quello scompartimento con tutto il cuore, perché era l’unica cosa che le impediva di dimenticarsi di lei. Al tempo stesso, però, quelle memorie ben nascoste le ricordavano in ogni istante che la gemella non c’era più. Un pensiero straziante che le toglieva il fiato ogni volta e che la faceva quasi affogare nei sensi di colpa. 
Kait scosse la testa, cercando inutilmente di riportare l’attenzione sulla realtà che la circondava. Era dalla mattina di un paio di giorni prima che aveva una brutta emicrania e, considerato che non ne aveva mai sofferto e che di punto in bianco sembrava diventata abituale, Kait cominciava a preoccuparsi. Si diresse con aria assorta verso l’Infermeria, mentre la mente le tornava ancora sulla sorella gemella. I Fondatori sceglievano con cura il - o in questo caso la - giovane da salvare e da rendere la loro “Unità”; osservavano il soggetto, davano una sbirciata al futuro e esaminavano il carattere ed il suo mutamento nel corso degli anni. Allora e solo allora entravano realmente in azione, portando in salvo l’Unità. Kait si era chiesta più e più volte che cosa li avesse spinti ad agire in questo modo. Non che le dispiacesse, ovvio... anche se in realtà, pensò Kait muovendo la testa come se stesse parlando ad alta voce, in realtà avrebbe preferito non essere salvata. Era un pensiero orribile, se ne rendeva conto perfettamente, ma non riusciva ad impedirsi di formularlo. Perché io?, continuava a chiedersi. Perché sono sopravvissuta io, perché i Fondatori hanno scelto me?
Non aveva mai avuto il coraggio di domandarglielo e, probabilmente, mai lo avrebbe avuto.
Finalmente si trovò davanti all’ingresso dell’Infermeria; Kait si lisciò la divisa, strinse la cravatta allentata in precedenza e sistemò le maniche, che aveva rimboccato fino al gomito. Quindi alzò il mento ed entrò con il suo migliore sorriso malandrino. “Poppy, è permesso?”
La donna alzò lo sguardo, sorpresa, e le lanciò un’occhiataccia, ripetendole - per l’ennesima volta - che era un’alunna e che, in quanto tale, non si doveva permettere di chiamarla in quel modo. Kaitlyn esibì la sua espressione più dispiaciuta e dondolò sul posto, aspettando pazientemente che l’infermiera si liberasse dallo studente che stava aiutando. Assottigliando lo sguardo, la ragazza notò che si trattava di... “Theo!”
Sentendosi chiamato in causa, il giovane Serpeverde si voltò verso l’Unità delle Case, che l’aveva riconosciuto nonostante lui le stesse dando le spalle. La guardò con aria assorta, come se stesse ragionando su un argomento molto importante, poi le fece un piccolo sorriso. I Nott erano una delle famiglie di purosangue più importanti della società magica inglese, al pari dei Black e dei Malfoy, che però se ne erano sempre vantati. Theo, come d’altronde il padre, era un ragazzo taciturno e molto intelligente, che preferiva agire da solo e amava la solitudine. Kait lo ammirava e lo trovava strano al tempo stesso. Le piaceva molto, in ogni caso. Lui non sprecava fiato per dire stupidaggini o dare consigli inutili; a parte quando la conversazione era davvero interessante, parlava solo se necessario. 
Kaitlyn lo conosceva da anni, ma non si era mai confidata con lui. Comunque, sebbene non fossero migliori amici o simili, insieme avevano discusso a lungo su molti argomenti differenti. Theo non dava attenzione a chi non era al suo livello, alla sua altezza, e poter vantare decine di conversazioni interessanti con lui rendeva Kait particolarmente fiera di sé. 
Non si stupì, la Black, quando non ricevette alcun abbraccio o stretta di mano; conosceva Nott abbastanza bene da non aspettarselo. Si sorprese, invece, quando la invitò a sedersi sul letto di fronte a lui. Il purosangue la salutò con un gesto del capo, poi guardò Madama Chips, intenta a fasciargli la mano sinistra. “Ecco qui, signor Nott. Così dovrebbe andare bene,” disse la donna. “E’ libero di andare, però mi raccomando, stia più attento in futuro.”
Theo si alzò, salutò Kait con un altro cenno del capo, ringraziò l’infermiera e in pochi istanti si dileguò. “Che gli è successo?” domandò la Black. “Non sono affari che la riguardano. Piuttosto... perché è qui, signorinella?”
Kaitlyn corrugò le sopracciglia, fissando con insistenza la porta da cui Nott era sparito, dopodiché riportò controvoglia l’attenzione su Madama Chips. “Poppy, ho mal di testa da un paio di giorni e non ne capisco il motivo.”
“Sta bevendo abbastanza?” 
Kait annuì e fissò la strega passarle la bacchetta lungo tutto il corpo. “Mmm... la pressione non va molto bene, sai? E che mi dici di... Mmm... Vediamo... Sei molto stressata, vero? E non dormi molto, ne sono sicura... Mmm...”
La purosangue sospirò, pensando che forse avrebbe potuto evitare quella “visita”, dato che sicuramente non avrebbe portato a risultati rilevanti. “Il tuo corpo sta cedendo e la tua mente pure.”
“Oh bene, grazie mill... Ehi! Cosa?!”
“Ti alleni troppo e dormi troppo poco. Inoltre sembri molto sotto pressione.”
Kaitlyn guardò la donna, scuotendo lentamente la testa, come se non credesse a ciò che stava sentendo. “Signorina Black, deve capire che il corpo non è qualcosa da sottovalutare. Lei lo usa come se non ci fosse un domani, lo sfinisce, lo porta allo stremo delle forze. E la sua energia è finita; l’ha sostenuta per anni e ora si è esaurita.”
“La mia... Energia?”
“Sì, esatto.”
Poppy le si sedette di fronte e la guardò negli occhi, spiegandole che un mago era forte in base alla sua energia magica e che, una volta terminata, era molto raro che tornasse. “In poche parole... Se la finisco divento una Babbana?” domandò Kait con aria terrorizzata. “Sì. Oppure muori.” 
“E io sono... sono diventata...”
“Mi dispiace, signorina Black, ma il suo posto non è più Hogwarts. Lei non è più una strega.”
“NOOOOOOOOOOOOOOO!”

 

Kait si svegliò di scatto, muovendosi così rapidamente da sbilanciarsi e cadere dalla sedia su cui era seduta. Si guardò attorno, spaventata, e notò di essere nell’aula di Trasfigurazione. I suoi compagni Tassi cominciarono in quel momento ad entrare e lei si ricordò di aver litigato con Harry e di essere corsa in classe, molto in anticipo. “Devo essermi addormentata...” mormorò toccandosi una guancia con la punta delle dita e trovandola irrimediabilmente bollente. Si alzò, esitante, e si guardò intorno. La McGrannitt entrò in aula e tutti si affrettarono a sedersi; Kait rimase in piedi, a guardarsi intorno con aria spaventata e confusa, tanto che la professoressa le si avvicinò preoccupata. “Signorina Black, si sente bene?” 
Kaitlyn si voltò verso di lei senza nemmeno rendersene conto. Si sentiva un’estranea nel suo stesso corpo. Era una sensazione sconosciuta che la terrorizzava alquanto. Sentì una mano fresca sulla fronte e poi una voce - forse della docente - ordinare di andare a chiamare Madama Chips. 
A queste parole, Kaitlyn urlò.

 








Okay, giuro che tutto questo ha un senso - che voi scoprirete, prima o poi. E' un pochino troppo lungo, per cui e mi scuso anche per questo. 
Besos a todos



 

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Capitolo 36
*** Non ci credo ***


Non ci credo.

 

“Non ci credo.” 
Alle parole dell’amico, Kait sbuffò rumorosamente, sempre più nervosa. “Dai, Ja’, basta,” gli disse riponendo i pesi con cui si era allenata fino a pochi minuti prima. Aveva raccontato l’imbarazzante... cosa... a Jackson, il quale non aveva fatto altro che dimostrarsi scettico e incredulo.
“Scusa... è che sono esterrefatto, capisci?!”
“Non è così grave,” minimizzò la purosangue, che sì, apprezzava le attenzioni di Jackson, ma provava anche molta vergogna per l’accaduto e desiderava soltanto smettere di parlarne. “Tu lo hai baciato e lui è scappato, Kait!”
Appunto.
Improvvisamente il ragazzo tacque, fissandola con un’espressione strana sul volto. “Che succede?” gli chiese e lui scosse la testa, sorridendo in modo... malinconico? “Non è niente,” sussurrò, quindi le si avvicinò a grandi passi e la abbracciò da dietro, con forza, arrivando a toccarsi gli avambracci da tanto lei era esile. La strinse, abbassandosi un po’ e nascondendo il volto nell’incavo di quel collo femminile, dal profumo leggero, mischiato ad un accenno di sudore dovuto all’allenamento prolungato. “Non è niente,” ripeté, mentre nel profondo il suo animo ringhiava frustrato e la bile gli inondava la bocca. “Era il tuo primo bacio, congratulazioni.” 
“Sai, Jackson...” mormorò Kaitlyn, abbandonando la testa contro il corpo dell’amico e sospirando. Batté ripetutamente le palpebre per impedire che le lacrime le scivolassero lungo le guance e si chiese il motivo di tutta quella tristezza. La sua famiglia era morta, i Malfoy non l’avrebbero mai totalmente accettata e i Grifondoro nemmeno; eppure quasi piangeva per Harry. Harry!
“Parla, Kait,” la incitò Jackson.
E Kait parlò. Forse quelle parole potevano sembrare stupide, frutto di un pensiero utopico, forse se le sarebbe dimenticate il giorno dopo - lei, lei sola, perché Jackson le avrebbe ricordate a lungo, questo era certo. Forse quelle parole erano da bambina, ma lei le disse comunque.
“Credo che tu sia l’unica persona che non mi farà mai del male.”
Forse erano parole inutili, vuote, ma bastarono a scaldare il cuore di un ragazzo che prima pareva essersi ghiacciato.

 

Moody entrò nella palestra a passo svelto, tenendo con una mano un grosso plico di fogli. Ordinò ai due giovani di sedersi e diede loro alcune pagine fittamente scritte. “Oggi vi farò studiare,” mormorò l’Auror, mentre Kait sbuffava e si lamentava a gran voce. “Non ci credo, anche qui? Lo faccio già a Hogwarts!”
“Taci, Black.”
Kaitlyn lo guardò indispettita e Jackson rise, quindi Moody li richiamò all’ordine e cominciarono a leggere e imparare il modo migliore per uccidere - solo in caso di bisogno - i licantropi, i goblin, i vampiri e tutte le altre creature magiche.

~

L’allenamento - o meglio, la sessione di studio - era durato meno del previsto, così Kait aveva approfittato delle poche ore libere che aveva per fare una breve visita a Remus, prima di dover tornare ad Hogwarts. Arrivò a casa e bussò, ma nessuno rispose. Bussò nuovamente, e ancora e ancora.
Remus era fuori.
Ringhiando per la frustrazione si sedette sui gradini che precedevano l’entrata, si appoggiò con i gomiti a terra e lasciò ciondolare la testa all’indietro, guardando il cielo. Chiuse gli occhi per un po’, ascoltando una canzone che solo lei sentiva e muovendo i piedi a tempo di musica. Le venne voglia di ballare, voglia che non provava ormai da anni, da quando era morta Hannah, e, per il ricordo della sorella che ancora la feriva, smise immediatamente di muoversi e sedò il desiderio di danzare.
Quando capì che Remus non sarebbe tornato prima di sera, Kait si alzò e si pulì i pantaloni, quindi si diresse con aria stanca verso il retro della casa. Non capiva perché non ci avesse pensato prima; la porta secondaria era chiusa come quella principale, ma era decisamente più facile da aprire. Si guardò attorno per un attimo, poi tirò un calcio alla serratura, spalancò la porta ed entrò in casa, muovendosi nuovamente a tempo di musica. Dannazione!, pensò riprendendo velocemente il controllo delle sue azioni e fermandosi. Scosse la testa con forza, entrò in salotto e si buttò sul divano, chiudendo gli occhi e ripromettendosi di non fare tardi. Hogwarts l’attendeva.

 

“Tocca la mia mano, papà.”

"Era il primo giorno di primavera...”

“Non voglio che la mia unica possibilità di differenziarmi da loro scivoli via...”

“Che la leggenda sia finita con Milena Morissette, Tassorosso?"

“...riportano indietro il bambino, lo riportano alla vita...”

“Per quante volte si poteva ingannare la Morte?”

"Sono Godric Grifondoro e ti aspetto... nella mia Casa."

“Il mio nome è Kaitlyn Black e sono l’Unità delle Case di questa generazione.”

"E così... sei amica del figlio di James, eh?"

“Mi hai fatto prendere paura, quella sera.”

“Quando ne vorrai parlare, sappi che sono qui, okay?”

"Stare vicino a quei tre dev'essere... nauseante!"

“Tale e quale a suo padre, incredibile!”

“Signore, ho visto Cedric Diggory morire.”

“Mi domando com’è vivere una vita tranquilla.”

“Kait, regina.”

“Nulla deve dare a vedere che tu sei figlia di tuo padre.”

“Dai, vieni, piccoletta.”

“Sii te stessa, sii fiera di te.”

“No, non di nuovo...”

“Sono venuto a chiederti scusa.”

 

“Kait?”
La ragazza aprì gli occhi assonnati e si trovò di fronte il padrino, che la fissava con aria piacevolmente sorpresa. “Cosa ci fai qui?” Kaitlyn gli spiegò che era passata a trovarlo, dato il tempo libero, ma che non aveva pensato alla possibilità che lui non fosse in casa. Remus sorrise, raccontandole brevemente della sua giornata lavorativa, poi la abbracciò e le offrì un the. La Black rifiutò con un cenno del capo e l’uomo le propose di fare una passeggiata, cercando in tutti i modi di trattenerla per passare un po’ di tempo con lei.
“Certo,” acconsentì la figlioccia con un sorriso. Uscirono di casa e Kait assaporò con gioia il calore del sole - non doveva aver dormito molto, considerato che era ancora pomeriggio. Camminarono per qualche minuto, addentrandosi per le vie di Londra e chiacchierando del più e del meno. “Quindi a Hogwarts tutto bene?”
Kaitlyn si prese del tempo, prima di replicare, valutando e cercando una risposta che non lasciasse intendere il vero andamento della sua vita scolastica, - e sentimentale - ma che allo stesso tempo soddisfacesse il padrino e la sua voglia di sentirsi partecipe alla vita della figlioccia, ormai lontana da casa da diversi mesi. “Va un po’ come tutta la mia vita,” disse passandosi una mano tra i lunghi capelli neri. Remus le lanciò un’occhiata e aprì la bocca per replicare, chiudendola subito dopo e guardando dietro le spalle di Kait con aria spaventata. Kaitlyn si voltò di scatto, afferrando nel frattempo la bacchetta e rabbrividendo. Come mai la temperatura era scesa così tanto?
Si rispose da sola un secondo dopo, quando vide un Dissennatore a pochi passi da loro.
Le scappò un’imprecazione, poi alzò la bacchetta e pronunciò le parole che avrebbero allontanato la guardia di Azkaban, concentrandosi su tutto ciò che la rendeva felice. Appena la sua mente si fermò su Harry, l’incantesimo si affievolì e scomparve. “Non ci credo! L’avevo imparato!” esclamò, mentre una parte di sé si chiedeva perché Remus non avesse già agito. Si impose di concentrarsi, strinse con forza l’arma, pensò ai momenti felici che aveva passato e urlo “Expecto Patronum!”.
Ciò che uscì dalla bacchetta, però, non fu un animale argentato.

 

Kait e Remus camminarono verso casa a testa bassa, strisciando i piedi per terra.
“Devo dirti una cosa, Kaitlyn. Una cosa che... non credo ti piacerà,” le disse il padrino con voce flebile, senza il coraggio di guardarla negli occhi. Si fermarono all’inizio di una strada, sotto ad un lampione - quand’era divenuto tutto così buio? Era passato troppo poco tempo perché fosse già sera. “Remus, parla chiaro. Cosa succede?”
“Tu sai che ciò che ti è successo non è... normale.”
“Sì, lo so.”
“Non è... non è mai accaduto prima, perché... Perché non è mai... Beh...”
“Ti prego, sii sincero!”
“Non è... Kait, le persone hanno un solo patrono, okay? Ma c’è un motivo se tu te ne sei trovata due. Perché... beh, Hannah stava morendo.”
Kaitlyn sussultò, sorpresa, poi si riprese e sbottò, acidamente: “Certo che stava morendo, lei è... è morta! Sai, se non te ne fossi accorto...”
“No, io... Lasciami parlare, ti prego. Quando sei nata eri perfetta, eri sana e forte e già allora ti divertivi a cambiare il colore dei capelli.”
Kait sorrise debolmente, incitando il padrino a continuare. Remus cercò il modo di spiegarle la situazione senza doverle dire di sua madre; dopo una manciata di secondi, passati in silenzio, il mannaro parlò. “Ma tua sorella no. Hannah era debole, senza forze. Faticava a respirare e nemmeno i medimaghi riuscivano ad aiutarla. Sembrava destinata a morire lì, in ospedale...” Remus si fermò un secondo prima di dire “come vostra madre”.
Kaitlyn pareva scioccata. Il peggio, però, non era ancora arrivato.
“Dissero che sarebbe morta, la... Mandarono a casa, dicendo di darle la miglior vita possibile, sebbene essa sarebbe stata molto breve. Tuo pa... I tuoi genitori eseguirono, distrutti. Non erano pronti a perdere anc... A perdere una figlia.” 
“E tu piangevi, sempre, ogni momento. Sembravi non riuscire ad accettare la morte della tua gemella. Sembravi intenzionata a... ribellarti, ribellarti al destino che te la stava portando via. Avevate persino cominciato a dormire insieme, tu e lei. Eravate così dolci... a parte quando tentavano di allontanare Hannah da te; a quel punto cominciavi a ringhiare.”
Kaitlyn sorrise, le lacrime a rendere umidi i suoi occhi.
“Poi, un giorno, io e Sirius udimmo delle grida. Eri tu. Urlavi, urlavi a più non posso. Corremmo immediatamente in camera vostra; credevamo fosse un attacco... sai, dei Mangiamorte. E l’intera stanza era immersa di una fortissima luce bianca. Faceva paura... e tu continuavi a urlare. Nel giro di un istante, però, era tutto finito.”
“Scoprimmo in seguito ciò che era accaduto. Tu, non ho idea - nessuno ne ha - di come, eri riuscita a dare una parte delle tue energie a Hannah, che quel giorno guarì. Tu la sostenevi con la tua forza, le davi un appiglio, un modo per vivere. Tu le hai salvato la vita.”
Kaitlyn sbatté le palpebre, lasciando che le lacrime le scivolassero lungo le guance. “E il... Doppio patrono?” si costrinse a chiedere.
“Quando, anni dopo, i Mangiamorte sono entrati in casa tua, vostra, e hanno... E hanno ucciso Hannah, beh... La tua energia non le serviva più e... Neh...”
“Remus...”
“Morendo, Hannah ti ha ritornato una parte dell’energia che tu le avevi donato. Però... Qualcosa dev’essere andato storto, perché non ti ha tornato la tua energia, non solo. Insieme ad essa, Hannah ti ha dato... Una parte della sua anima.”
“CHE COSA?!”
“La tua anima ha inglobato quella minima parte della sua, quindi non c’è... Non cambia niente,” si affrettò a dire Remus, “ma è il motivo dei due animali, dei due patroni che sono usciti dalla tua bacchetta. Uno per ogni anima. Infatti... Uno dei due era meno potente, vero? Uno era più chiaro, meno corporeo... Perché rifletteva il fantasma dell’anima di Hannah, quel poco che hai assorbito tu. E’... è per questo che hai un livello così alto, capisci. Credo che il tuo livello normale sarebbe... Massimo cinque. Ma sommandosi al suo, è diventato un livello otto. È... è per questo che riesci ad allenarti tutto il giorno tutti i giorni senza problemi, senza essere stanca. Non cambia assolutamente nulla, lei non può tornare e non prenderà il controllo su di te. Non accadrà nulla, a parte il doppio patrono. Della sua anima, in te, c’è talmente poco che non... è quasi inesistente, capisci...”
“No, ti prego...” mormorò scostandosi dalla presa del padrino, che cercò di abbracciarla e stringerla a sé. “Kait, dai...”
“Non può essere vero!”
“Kaitlyn, ti prego, calmati.”
“CALMARMI? Come puoi chiedermi di calmarmi?! Hai idea... Sai cosa questo significhi per me? Per tutti i Fondatori, io... Io...” 
“Kait, respira. Forza, da brava. Respira.”
“Lasciami, ora.”

 

“Kaitlyn, svegliati.” 
La giovane Black aprì improvvisamente gli occhi, muovendosi di scatto e finendo giù dai gradini su cui era semi-distesa.
Gradini...?
“Cosa ci fai qui?” le domandò Remus con un sorriso, prima di abbracciarla con forza e chiederle per quanto avesse dormito. “Quindi era un ennesimo sogno,” sussurrò Kait ricambiando la stretta del padrino e cercando di scacciare le lacrime. Si guardò attorno e vide che ormai era buio, così spiegò velocemente a Remus che era passata per un saluto e, non trovandolo in casa, si era fermata ad aspettarlo sui quei gradini. Dentro di sé, intanto, si chiedeva chi avrebbe mai potuto aiutarla.
“Non ci credo,” mormorò. “Sto impazzendo.”

 











Allora... ci tengo a dirvi che mi sento uno schifo per la quantità di ritardo che ho accumulato.
Ci ho provato, a postare prima, davvero... è che le parole non venivano D:
Tutte queste "visioni" hanno un senso - o almeno per me ce l'hanno xD è un capitolo un po' lunghetto, scusate :S

Un abbraccio a tutti

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Capitolo 37
*** Serpe, Tasso, Grifone, Corvo ***


Serpe, Tasso, Grifone, Corvo

 

“Tu non le hai salvato la vita.”
Kaitlyn si voltò e guardò suo fratello, che ricambiò l’occhiata con aria severa. Gli si avvicinò, sorridendo tra le lacrime - quando aveva cominciato a piangere?
“Tu non le hai salvato la vita, Helena. Non le hai dato qualche anno in più, non l’hai fatta crescere. La tua forza interiore non l’ha aiutata. Erano bugie.”
Kait cominciò a singhiozzare disperatamente, coprendosi il volto con le mani e trattenendo le urla. Non sapeva il perché, ma ogni volta che si ritrovava a piangere le veniva l’istinto di gridare. Come se le lacrime non fossero già abbastanza! Se l’avesse vista Narcissa...
“Nathan, ti prego!” implorò senza saperne il motivo.
“Erano bugie. Tu devi solo seguire i segni, capire il dolore e tirare fuori il cuore. ”
Il ragazzino fissò la sorella, poi abbassò il volto e le sfiorò la guancia sinistra con le labbra fredde. Kaitlyn si fece forza, asciugandosi le lacrime e cercando di fare un sorriso.
“Devi imparare a riconoscere la finzione dalla realtà, Helena.”
“Come?”
Nathan alzò lo sguardo verso il cielo - quando erano usciti all’aperto?! - e respirò a pieni polmoni, quindi sorrise e si voltò, dandole così la schiena. “Mi sarebbe piaciuto andare ad Hogwarts, sai?” disse incamminandosi verso il castello, appena comparso; si fermò di fronte all’enorme portone e cominciò ad intonare una lenta canzone, il cui testo era formato da quattro semplici parole, continuamente ripetute.
“Serpe, Tasso, Grifone, Corvo. Serpe, Tasso, Grifone, Corvo. Serpe, Tasso, Grifone, Corvo.”
“Nathan!” urlò Kait, correndo dietro al fratello, che sorrise e attraversò l’imponente porta chiusa. La giovane Black, non potendolo imitare, cercò inutilmente di forzare la serratura e, una volta capito che non ci sarebbe mai riuscita, cominciò a tirare pugni contro il portone di legno, piangendo e gridando. “Ridammi mio fratello! Ridammelo!”
“Non otterrai nulla, così, piccola mia,” disse una voce femminile alle sue spalle. Kaitlyn, stremata e spaventata, non si voltò nemmeno; si lasciò cadere a terra e chiuse gli occhi, piangendo. “Svegliatemi, vi prego! Vi prego!” singhiozzò affondando le mani nella terra bagnata - quando aveva cominciato a piovere?
Un braccio femminile la circondò e una mano le venne posata sul petto. Senza rendersene conto, la purosangue si voltò, incrociando così gli occhi chiari di una donna; aveva i capelli castani, un sorriso stupendo e, in più, fissava Kait come se fosse un cucciolo di gatto appena nato. Aveva un’espressione dolce dipinta sul viso - un viso che le ricordava qualcuno, ma chi?
“Io sono qui, ricorda.” 
“Qui dove?” sussurrò la Black in risposta, mentre la donna le baciava una tempia e mormorava le parole “nel tuo cuore”. Kaitlyn smise di piangere, cominciando invece a darsi della pazza. Succedeva un po’ troppo spesso, ultimamente.
“Chi sei?” chiese in un ultimo barlume di lucidità. L’altra rispose con un nome sconosciuto, quindi si alzarono entrambe e si incamminarono in direzioni diverse; Kait si diresse verso il lago, mentre la donna puntò alla Foresta Proibita.
In quella fase di dormiveglia che precede la lucidità vera e propria, e che però non si può più considerare sogno, Kaitlyn schiuse le labbra e ripeté quel nome, ripromettendosi di chiedere a Remus chi mai fosse la sconosciuta.

 

Kait si vestì in fretta e furia; era particolarmente di cattivo umore, sebbene si fosse svegliata sorridendo, quindi cercava di agire in velocità così da non essere costretta ad incrociare i suoi compagni di Casa. Prese due magliette che erano finite sotto il letto e le lanciò nel baule, infilandoci anche un paio di pantaloncini e tre cravatte dai quattro colori. 
Aveva deciso di tornare a Grifondoro, per la gioia sua e di Godric.

Arrivata alla Torre, salutò la Signora Grassa con un mezzo inchino ed entrò sorridendo nella Sala Comune, già stranamente piena di ragazzi; tutti le corsero incontro, salutandola e abbracciandola con forza. Kaitlyn rise divertita, chiuse gli occhi e sospirò di sollievo; nella Casa di Grifondoro, così come in tutte le altre, non riusciva a sentirsi totalmente accettata, però era di certo il luogo in cui era più a suo agio. Sorridendo, Kait si sottrasse un abbraccio particolarmente appiccicoso di Seamus, poi si voltò verso le scale che portavano ai dormitori. La sua espressione cambiò, gelandosi. Ron superò Harry - rimasto fermo sull’ultimo gradino - e corse verso l’amica, che lo salutò con gioia. “Ciao!” esclamò, sentendosi stupida a non aver niente di più intelligente da dire. Fortunatamente il rosso non si scandalizzò, e le pose le solite domande di routine. “Sto bene, Ron, grazie. Molto meglio!”
Era vero; si sentiva decisamente più forte e tranquilla del giorno prima, sebbene il sogno di quella notte l’avesse lasciata molto confusa. “Prendo i libri,” disse Ron con un sorriso, “così andiamo insieme a lezione, come ai vecchi tempi.”
Kait sorrise a quelle parole, quindi seguì il rosso verso il dormitorio maschile. Si fermò sulle scale, di fronte ad un Harry particolarmente imbarazzato, mentre Weasley si offriva di prendere anche il materiale dell’amico. 
“Facciamo così: ignoriamo quello che è successo,” cominciò Kaitlyn appena Ron fu allontanato, “torniamo amici come prima.”
“Ma io...”
“Ti prego, Harry. Mi manca la nostra amicizia, non vedi? Mi manchi tu!”
Il ragazzino abbassò lo sguardo, indeciso su cosa dire, poi annuì titubante e fece un sorriso a quella che era tornata ad essere la sua migliore amica. In realtà le cose non erano così semplici, ma nessuno dei due, in quel momento, aprì bocca per esporre i propri dubbi. Ron li raggiunse qualche istante dopo, tendendo a Potter i libri e avviandosi verso il ritratto della Signora Grassa, seguito dagli amici. “Hermione dov’è?” domandò Kait, mentre la sua mano veniva irrimediabilmente attratta da quella di Harry. 
“Ma come, non gliel’hai detto?"
Le parole di Ron fecero preoccupare la Black, a cui si rizzarono i peli lungo le braccia. “Cosa... che cosa è successo?” chiese ansiosamente, pensando ad un attacco da parte del basilisco di Salazar. In quel caso, però, la notizia avrebbe già fatto il giro della scuola, e nessuno sarebbe stato così tranquillo. “Tu eri in infermeria, Kait. Non sapevamo quando saresti uscita e la Polisucco era pronta,” spiegò Harry, “così siamo andati da Malfoy senza di te.”
Si fermarono, facendosi superare dai vari compagni di Casa. Ron fissava l’amica, cercando di coglierne i pensieri. “Avete fatto bene, ragazzi. E come...” cominciò Kait con voce debole, cercando di risultare convincente, “Sì, insomma, com’è andata? Spero bene.” 
Harry annuì e, dopo essersi accertato che nessuno li stesse ascoltando, spiegò ciò che avevano scoperto - Malfoy non era l’Erede di Serpeverde e cinquanta anni prima la Camera era stata aperta. Poi, sussurrando, le raccontò del piccolo “incidente felino” di Hermione.

Kait affrontò le lezioni in modo decisamente più positivo dei giorni passati; stare con i Grifondoro la faceva sentire tranquilla e, soprattutto, a suo agio. I Tassorosso erano dolcissimi, si sapeva, ma i Grifondoro... ah! Loro erano semplicemente perfetti, per Kaitlyn. Mangiò al tavolo rosso-oro, divertendosi a guardare Ron abbuffarsi e prendendo il posto di Hermione nel rimproverarlo. Sotto il tavolo, intanto, la sua mano stringeva incessantemente quella di Harry, un po’ sudaticcia e poco più grande della sua. Le piaceva, tenerlo per mano. Le dava una sensazione di calore, di benessere, e solo la sua stessa mente, cercando i significati di quel gesto e di quelle emozioni, riusciva a intaccare la felicità di quel momento. 

~

Kaitlyn si diresse a passo svelto verso l’uscita dell’Infermeria. Cominciava a detestare quel posto, dove aveva trascorso fin troppo tempo, per i suoi gusti. “Il lavoro è lavoro,” si disse per giustificare la sua presenza in quell’ala del castello. Come se dovesse davvero spiegare a se stessa i motivi del suo gesto! 
“Ci vediamo, Padma!” esclamò con un sorriso, mentre la Corvonero con la caviglia fasciata la salutava con un cenno. Aveva richiesto il suo aiuto - il professor Piton aveva commentato acidamente una sua pozione e lei, demoralizzata, aveva cominciato a dubitare di sé e, ancora peggio, della sua Casa. Kait si era data da fare, consolandola come il suo ruolo di Unità prevedeva, però cominciava ad essere un po’ stanca. Il pensiero che il suo compito sarebbe durato altri quattro anni, poi, non aiutava di certo.
Kaitlyn cominciò a salire le scale, senza pensare ad una meta specifica; aveva pochi compiti, per il giorno seguente, perché li aveva già iniziati durante un’ora libera, quella mattina. Camminò indisturbata, curiosando per il castello e dondolando le braccia lungo i fianchi. Cominciò a canticchiare e ad accennare qualche passo di danza, conscia di essere sola a parte qualche personaggio curioso dei quadri. Senza rendersene conto la melodia che stava sussurrando fino ad un secondo prima divenne una vera e propria canzone; la stessa, si accorse con sgomento, che le aveva cantato suo fratello quella notte. 
“Serpe, Tasso, Grifone, Corvo...” sussurrò chiudendo gli occhi e fermandosi al centro del corridoio. Spinta dall’istinto si avvicinò alla parete più vicina, appoggiando la guancia destra al muro, che era talmente freddo da causare una lunga scarica di brividi lungo tutto il corpo della giovane. Sfiorò con due dita la pietra, dove incontrò un rilievo; improvvisamente attenta, cominciò ad osservare attentamente la parete. C’era un disegno, un semplice serpente stilizzato. Era in una posizione differente rispetto a quella raffigurata sullo stemma di Serpeverde, sembrava quasi... puntare qualcosa. Ma cosa? 
Sempre sfiorando il muro con due dita, Kait avanzò, seguendo l’ipotetica direzione indicata dal rettile. Camminò con gli occhi chiusi, fidandosi solo del tatto; pochi secondi dopo sentì un secondo rilievo, stavolta un tasso. Eccitata e con un luccichio folle nello sguardo, la ragazza continuò. Fu il turno di un semplice grifone stilizzato. Come gli altri due disegni, anche quello era diverso da quello rappresentante la Casa di Grifondoro. I colori, però, la rispecchiavano. Kait sorrise inconsciamente; come un eco lontano, sentì la voce di suo fratello sussurrarle quattro diverse parole, che ripeté ad alta voce. “Serpe,” cominciò, lanciando un’occhiata al disegno del rettile, il primo che aveva notato. “Tasso,” sorrise nel portare l’attenzione al secondo simbolo. “Grifone,” le sue dita si mossero lungo tutto l’animale stilizzato, accarezzandolo con dolcezza, quasi fosse vero. Se la sua deduzione era esatta, il disegno dopo avrebbe dovuto rappresentare un corvo. Corse avanti, eccitata da quella nuova scoperta, dimentica dei compiti da fare per l’indomani e del fatto che chiunque potesse vederla - non avrebbe fatto una grande figura, in effetti. Guardò un po’ ovunque e rimase delusa, quando notò che non c’era nulla. E il Corvo? Dov’era finito? Tornò indietro velocemente, osservando ogni imperfezione del muro, senza trovare il glifo appartenente a Priscilla. “Ma dove...?” sussurrò confusa. Eppure doveva essere lì! La sua mancanza non aveva assolutamente senso.
“Forza, Kait, pensa come una Corvonero. Dove può essere il simbolo?” si chiese con un sospiro. Posò distrattamente lo sguardo sui vari quadri che coprivano la parete e... “Ma certo! I quadri!” 
Sollevò delicatamente i vari dipinti, sorridendo apertamente e liberando un urletto al vedere il disegno mancante. Cos’aveva detto Nathan? “Tu devi solo seguire i segni, capire il dolore e tirare fuori il cuore”. Seguire i segni... senza pensare a ciò che faceva, Kait continuò ad avanzare; i glifi indicavano tutti quella direzione, quindi perché non tentare? Trovare lo stemma di Hogwarts sul muro fu quasi un sollievo, per l’Unità, perché - in qualche modo - significava che non era totalmente impazzita e che, al contrario, un po’ di astuzia ce l’aveva ancora. Kaitlyn sorrise e diede la schiena alla parete; il pavimento tremò, seguito da un rumore metallico. Un secondo dopo, senza che Kait avesse il tempo di reagire, il muro si mosse e lei cadde all’indietro.









Devo scusarmi con voi; tra le lezioni, il corso di canto, il nuoto, il blocco dello scrittore - orribile - e... beh, la mia vita, non sono proprio riuscita a scrivere. Mi dispiace infinitamente, ve lo giuro. Ci provo, sapete? Provo davvero ad essere puntuale, ma come vedete non mi riesce molto bene.
Mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto.
Un bacio e, per favore, recensite!

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Capitolo 38
*** Doni, stanze segrete e rivelazioni ***


Questo capitolo è dedicato a Shadowhunter, senza la quale non starei postando.
Grazie mille, Titana.




 

Doni, stanze segrete e rivelazioni

 

“Helena.“
La giovane schiuse le palpebre, ma l’oscurità attorno a lei le fece dubitare di aver aperto realmente gli occhi; non vedeva un accidente. 
“Helena.” 
La voce era familiare e femminile. Se Kait avesse dovuto definirla, l’avrebbe classificata come severa e molto, molto tesa. La sua mente cercò di identificarla per alcuni istanti, istanti che la donna utilizzò per chiamarla di nuovo. La Black aggrottò le sopracciglia, ragionando. “Priscilla?” azzardò con voce debole. La donna, che riluceva nell’oscurità, entrò nel suo campo visivo. I lineamenti del volto erano particolarmente tesi e la bocca era una linea sottile. La Fondatrice, pallida come un fantasma, tratteneva a stento la rabbia. Non era certo una che urlava, Priscilla; aveva un autocontrollo impressionante. L’unico vero segno visibile che mostrava a Kait quanto la donna fosse infuriata erano le mani, che tremavano impercettibilmente. “Da uno a dieci,” cominciò appoggiandosi sui gomiti e soffiando con la bocca affinché un antipatico ciuffo si spostasse dal suo occhio destro, “quanto sei arr...”
Non finì mai la frase, però. “Helena!” la interruppe la Fondatrice. “Cosa fai qui?! Non ne hai alcun diritto, vattene subito!”
Kaitlyn si mise seduta. Con lentezza si alzò, osservando attentamente la donna che aveva di fronte. Assomigliava in modo spaventoso alla McGrannitt, ora che ci pensava. “Sono arrivata per caso,” sussurrò. Poi si incamminò dietro a Priscilla, che si era voltata stizzita ed era scattata in avanti. Attraversarono un lungo corridoio, talmente buio che Kait non riuscì a vedere nulla. Immaginò di avere gli occhi completamente neri, con visibile solo la pupilla da tanto era dilatata.
“Non distrarti,” le consigliò la Fondatrice fermandosi e aprendo una porta dipinta con i colori delle quattro Case. Entrarono in una grande stanza molto accogliente e dall’aria vissuta; aveva cinque pareti, ognuna con lo stemma di una Casa e, nel caso dell’ultimo muro, il simbolo di Hogwarts. A coprire il pavimento, un raffinato tappeto dall’aria antica, mentre dal soffitto pendeva un elaborato lampadario ricco di pietre preziose. La camera era molto spaziosa ed arredata con stile: su un lato, un grosso divano ed una chaise longue erano posizionate di fronte ad un imponente caminetto. Dall’altra parte della stanza, invece, dava mostra di sé una libreria larga due metri ed alta fino al soffitto, talmente piena di libri che Kait si chiese come potesse essere solida. Un lungo tavolo di mogano abilmente intagliato era appoggiato al muro verde e le cinque sedie presenti nella stanza erano state anch’esse spostate verso la parete, così che non intralciassero. Nella parte dedicata a Tosca c’era una bellissima arpa dorata e, lì accanto, una chitarra e un pianoforte. Kaitlyn fissava estasiata quell’angolo di Paradiso che non aveva mai avuto la fortuna di vedere prima, senza capire come se lo fosse potuto perdere. “Miseriaccia!” sussurrò con un filo di voce. Quasi non si accorse di aver imitato il modo di parlare di Ron. Avanzò fino ad una sedia, su cui si accomodò. “Allora, Priscilla. Parla, cos’è questo posto?” domandò con espressione malandrina. 
“Ehi, sei tornata prim-Helena!”
Kaitlyn si voltò verso Tosca, appena entrata nella stanza attraverso una parete. La Fondatrice la fissava con tanto d’occhi, senza poter credere alla sua presenza lì. Una manciata di silenziosi secondi dopo, fecero il loro ingresso anche Godric e Salazar. “Non posso fermarlo, lo sai bene, Ric. Le cose devono andare così,” stava dicendo quest’ultimo, che si bloccò non appena vide l’Unità. “E tu perché sei qui?”
I quattro guardarono la tredicenne, che con una smorfia raccontò cos’era successo. Priscilla, poi, spiegò il modo in cui l’aveva trovata - distesa e con l’aria confusa - e di come avesse deciso di portarla al loro nascondiglio. “Che posto è?” domandò Kait guardandosi attorno ancora una volta. “Quando la scuola è divenuta operativa e sempre più studenti sono venuti qui per studiare,” disse Godric, “abbiamo sentito il bisogno di un posto tutto nostro.”
Kaitlyn fischiò, lasciando vagare lo sguardo lungo le pareti. Notò che c’era una porta chiusa, accanto al caminetto, e chiese spiegazioni. “Il bagno,” sussurrò Salazar indicandolo con un cenno e sedendosi stancamente su una delle sedie libere. Si passò una mano tra i capelli, spossato. In questo periodo sembrava costantemente nervoso e stanco. Distrattamente, la tredicenne si chiese il motivo di tale affaticamento. Forse la Camera dei Segreti? “È ora che tu te ne vada,” disse l’uomo mentre lei ancora lo osservava, persa nei suoi pensieri. Impiegò qualche secondo a capire che stava parlando con lei, così Salazar fu costretto a ripetersi, nonostante avesse sempre odiato farlo. Kaitlyn, stranamente, non si sentì arrabbiata o messa da parte; provava uno strano senso di leggerezza, o forse era semplice confusione, non lo sapeva, ma era un qualcosa di forte, talmente forte da annientare ogni altro pensiero formulato dalla sua mente. Si alzò con lentezza dalla sedia e, muovendo un piede dopo l’altro, si diresse verso l’entrata della camera. Fu quando si voltò che notò per la prima volta - e forse sarebbe meglio se non l’avesse fatto - una piccola nicchia nel muro, da cui provenivano bagliori multicolori e il tipico rumore di acqua che scorre. “E quella cos’è?” domandò ritrovando la curiosità intrinseca nel suo abituale carattere. Si avvicinò di qualche passo, sorridendo come una bambina di fronte ai regali di Natale in anticipo. Notò che nella nicchia si erano formate due colonne di acqua limpida, che attraverso un complicato sistema - o una complicata magia, era tutto da vedere - formavano una fontana liquida sempre in movimento. “Fenomenale.”
“Bella, vero?” Tosca sorrise, avvicinandosi insieme agli altri tre Fondatori. “Il suo nome è Aquam vitae. È ciò che mantiene vivi noi e rende te così forte,” spiegò. “Che intendi dire?” domandò Kait. “Ah, non penserai mica di essere nata così, vero?”
La Black, alle parole di Priscilla, corrugò le sopracciglia. Che cosa intendeva?
“Guarda qui,” disse Salazar indicando una delle due colonne d’acqua, che era decisamente più debole dell’altra. “Vedi che è diversa? Questa colonna definisce la nostra energia, mentre questa,” e mostrò la seconda, “è la tua. In origine erano uguali, ma poi abbiamo dovuto prendere una decisione.”
“Che tipo di decisione?”
“Noi salviamo dalla morte, Helena. Il fatto è che lei si prende la rivincita. Non la si può ingannare,” prese la parola Godric. “I ragazzi continuavano a morire giovani, alcuni non raggiungevano nemmeno la maggiore età!”
Sembrava parecchio scosso; probabilmente questi pensieri, questi ricordi, l’avevano tormentato per anni, e forse continuavano a farlo. “E così abbiamo deciso di donare ad ogni Unità una parte della nostra energia. Gli diamo dei doni, più di quanti immagini. E abbiamo fatto lo stesso con te,” spiegò. Godric la fissava come se lei avesse dovuto già capirlo da tempo. Chiudendo gli occhi, Kait cercò di ragionare. “Nessuno capiva come potessi allenarmi per una giornata intera senza essere abituata allo sforzo fisico e senza mai essere troppo stanca,” sussurrò. Priscilla, con un sorriso, annuì. “Non dimenticare, poi,” puntualizzò, “che solo perché tuo padre è un Animagus, non vuol dire che anche tu dovessi riuscire a trasformarti. Non è un fattore ereditario.”
“Quindi io sono un’Animagus grazie a voi.”
“Precisamente,” rispose Salazar. “E perché pensi di essere una Metaphormagus?”
“Voi.”
“E il tuo livello magico, così alto?”
“Voi.”
“E le visioni sul futuro?”
“Voi. Sempre voi, siete... siete ovunque. Niente, nella mia vita, è merito mio, in pratica,” disse mordendosi il labbro inferiore e sentendo subito la voglia di piangere e di essere abbracciata. Trovò conforto tra le braccia di Tosca, che la strinse forte a sé e la cullò contro il suo petto. “Noi ti abbiamo donato tutte queste capacità, piccola mia, ma sei stata tu a decidere come utilizzarle e come vivere la tua vita. Diciamo che noi... noi ti abbiamo soltanto dato una piccola spintarella,” mormorò la Fondatrice contro i suoi capelli. Kaitlyn annuì e si staccò dall’abbraccio, riportando nuovamente l’attenzione alla fontanella. Notò un dettaglio che prima non aveva colto, così si avvicinò di qualche passo ed allungò la mano. “Non toccare!” la fermò Priscilla, pallida in volto. Quasi in trance, la Black abbassò la mano, le dita che quasi scottavano dalla voglia di prendere quelle sfere di luce. C’erano, infatti, delle piccole sfere di luce di diversa grandezza, che vagavano senza peso nel piccolo spazio della nicchia, chiuse tra il muro e la fontana.
“Cosa sono?” domandò affascinata. “Energia. Tutto ciò che rimane degli Unità del passato,” spiegò Salazar sospirando e rassegnandosi all’idea di doverle spiegare. “Ogni volta che l’Unità muore,” raccontò, “l’Energia che gli abbiamo donato torna a noi, insieme ad una piccola parte della sua. È una delle poche cose che ci mantiene in questo stato di quasi-vita. Non saremmo qui, senza.”
“E perché sono così poche?” chiese Kait, notando la quantità - non di certo grande - di sfere di Energia. Insomma, i Fondatori erano in circolazione da tempo, no? Ormai avrebbero dovuto averne collezionate parecchie.
“Un tempo portavamo qui tutti i nostri “Protetti”, tutti gli Unità. Arrivò un ragazzo... lo avevamo salvato dopo che era stato ucciso da sua madre in persona, che lo annegò,” disse Godric. “Si chiamava Drake. Un Corvonero.”
Immediatamente Kaitlyn si voltò verso Priscilla che, appoggiata alla parete, fissava il vuoto con sguardo spento e molto, molto stanco. “Credevo che l’ultima Unità si chiamasse Milena,” sussurrò la Black. Tosca scosse la testa. “Lei è l’ultima di cui è stato scritto. Noi non... Non volevamo che la storia fosse divulgata.”
“Drake venne qui,” incitò Kait, “e poi?”
“Lui voleva essere grande, Helena. Potente. Desiderava essere l’Unità delle Case più forte mai vista prima,” continuò la Fondatrice. “Un giorno venne qui senza che noi fossimo presenti e cominciò a... a prendere...”
“Si appropriò di più di metà delle sfere di Energia, prima che ci accorgessimo del suo gesto,” la voce di Priscilla era debole, triste. Distrutta. Essere stata tradita in quel modo - da qualcuno della sua Casa, poi - l’aveva probabilmente corrosa dall’interno. “Lo fermammo,” disse Salazar e le sue parole sembrarono talmente definitive, che Kait dubitò che Drake fosse sopravvissuto all’ira e al rancore dei Fondatori. 
Come aveva potuto tradirli così? Chi avrebbe fatto una cosa del genere?
“Da allora ci siamo presi una pausa. Abbiamo aspettato anni, nascosti nel buio, senza abbastanza Energia per renderci visibili,” mormorò Godric, scuro in volto. Improvvisamente sorrise e alzò il viso, incontrando gli occhi di Kaitlyn. “E poi sei arrivata tu.”
“E poi sono arrivata io,” ripeté, scossa. “Quindi,” continuò, “voi spendete un sacco di Energia per me, per rendermi forte?”
“Esattamente. Abbiamo calcolato tutto perfettamente. Essere un’Animagus ti aiuterà il prossimo anno ed essere una Metaphormagus ti aiuterà dalla fine del quarto anno in poi, sopratutto dopo il sesto. Le visioni ti salveranno spesso da una brutta morte,” Kait trasalì, “e gli allenamenti pure.”
“Quindi... non potrei vivere senza questi doni?”
“No, beh, non ho detto questo. Ormai il tuo corpo è abituato allo sforzo fisico, quindi anche senza di noi potresti allenarti. E sono sicuro che troveresti rimedi anche per il resto... sai, la Polisucco non è come essere un Metaphormagus, ma è meglio di niente,” rispose Godric senza capire dove la ragazzina volesse andare a parare, “e trasformarsi in Animagus può semplificarti la vita, ma ce la faresti anche senza. Le visioni...”
“Quelle non mi interessano. La mia domanda è: sopravviverei senza il vostro dono?”
“Sì, Helena, sì. Sei abbastanza forte da farcela anche senza i nostri doni.”
“Bene, allora,” Kait sorrise, improvvisamente leggera, “toglietemeli.”

 

“Qualche miglioramento?” domandò Hermione, un sincero interesse ad illuminarle lo sguardo. “No,” sussurrò Harry in risposta. “Non è stato scritto con l’inchiostro simpatico e il Rivelatore non ha “rivelato” assolutamente niente,” mormorò continuando a sfogliare le pagine del diario di T.O. Riddle, trovato giorni prima. “Quindi che facciamo?” chiese ancora la riccia, afferrando delicatamente l’oggetto e squadrandolo con aria critica, quasi fosse convinta che, sotto il suo sguardo inquisitore, il diario avrebbe smesso di essere così misterioso e l’avrebbe messa al corrente dei suo segreti. Harry sbuffò, appoggiandosi meglio alla sedia su cui era seduto e allungando una mano sul tavolo, verso l’amica, per farsi tornare il quadernetto. Hermione glielo diede e si morse un labbro, guardandosi intorno con aria preoccupata. La Sala Comune dei Grifondoro era piena di gente, e da fuori sarebbe sembrato tutto a posto. 
Non era così, o almeno non per Harry.
Sentiva che stava per accadere qualcosa - cosa, però, ancora non lo sapeva.
Ron scese lentamente le scale che lo avrebbero portato alla Sala Comune; Hermione lo aveva mandato a prendere i libri e le pergamene per poter fare i compiti per il giorno dopo, e lui aveva eseguito a testa bassa. Nessuno, in quei giorni, aveva troppa voglia di litigare. Stringendo la presa sul pesante carico che teneva tra le braccia, il dodicenne si diresse verso i suoi migliori amici. Si sedette in mezzo ai due, sbuffando.  
Hermione prese il libro di Incantesi e lo sfogliò fino a trovare la pagina giusta, poi si lanciò in una spiegazione dettagliata sull’esercizio che avrebbero dovuto svolgere per il giorno dopo. Ron la ascoltò con attenzione, cercando di capire.
Harry, invece, non ci provò nemmeno.
Rimase a fissare l’entrata della Sala Comune, che però rimase chiusa per tutta la sera.
“Kait,” pensò disperato, “dove sei?”

 

 




 

Eccomi qui, dopo un'assenza decisamente troppo lunga. 
Ho cominciato a dubitare di me stessa e soprattutto della storia. Ho pensato di cancellarla e non riscriverla mai più, ma poi ho capito che amo questa fanfiction, la amo con tutto il mio cuore, fa parte di me! Eppure l'ispirazione e la voglia di scrivere non tornavano; perché? Mi ci è voluto un po', per capire che il problema non è mai stata la storia, ma il secondo anno. 
Ho già diverse parti scritte del terzo e, quando non riesco ad andare avanti, mi ritrovo a scrivere del quinto. È quindi il secondo anno, a darmi questi problemi.
Ho deciso, dunque, che tra un capitolo, massimo due, esso finirà. Poi ci sarà l'estate e via subito con il Prigioniero di Azkaban!
Spero che qualcuno ancora mi segua, nonostante l'enorme quantità di tempo che ho impiegato per scrivere e postare - non temete, il prossimo capitolo è già in lavorazione.

Un abbraccio forte,
S



 

 

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Capitolo 39
*** La tranquillità non fa parte di Hogwarts ***


La tranquillità non fa parte di Hogwarts

 

Kaitlyn tornò a frequentare le lezioni solo dopo molti giorni. Le ci era voluto parecchio tempo per convincere i Fondatori a toglierle i doni che le avevano fatto quando era solo una bambina, ma alla fine ci era riuscita. Aveva spiegato ai quattro di come fosse stata sul punto di andare al San Mungo, nel reparto “Malattie mentali” e a quel punto avevano accettato di liberarla da quegli ingombranti regali. “Il fatto che tu abbia avuto allucinazioni,” le aveva spiegato Priscilla, “non è assolutamente rilevante. L’Energia che ti consentiva di essere un’Animagus, una Metaphormagus, di avere visioni sul futuro e di allenarti così tanto, veniva da persone del passato. C’è una specie di orologio, nella testa. Non puoi “scombussolarlo” troppo, capisci. Quest’antica Energia l’ha fatto. Comunque sarebbe passata in fretta.”
“Sì, beh, preferisco non rischiare.”
“Come vuoi.”
Inizialmente i Fondatori si erano offesi per il desiderio della Black, - stava, in pratica, rispedendo al mittente degli splendidi regali, per cui i quattro avevano fatto sacrifici - ma dopo qualche giorno, in cui Kait li aveva tormentati con i suoi motivi, avevano cominciato a vedere il lato positivo della faccenda. Più Energia per loro, ad esempio - che la usassero per i loro scopi o per salvare Kaitlyn ancora una volta. Quindi avevano accettato.
“Sarà strano non poter più cambiare viso,” aveva sussurrato la Black guardandosi un’ultima volta allo specchio, per poi dirigersi al centro del cerchio di gesso che i Fondatori avevano tracciato per terra una volta tolto il tappeto. 
Non era pentita. Certo, un po’ le mancava allungare o accorciare i capelli a piacimento, o sentire le membra fremere durante la trasformazione in lupo, ma si sarebbe presto abituata, ne era sicura. Le visioni, comunque, non le mancavano affatto.
Era stato strano tornare ad allenarsi - ovviamente sotto le urla di Moody, che non poteva credere alla quantità di giorni di assenza che aveva fatto. Dopo un’ora di esercizi, Kaitlyn aveva sentito le braccia e le gambe bruciare dalla stanchezza, mentre la milza chiedeva una pausa. Ridendo per quelle sensazioni mai realmente provate prima, aveva continuato ad allenarsi. La sera, sentendosi tutta indolenzita, non si era lamentata ma, al contrario, era andata a ringraziare Malocchio.
Quando tornò a frequentare le lezioni a Hogwarts, trovò diversi cambiamenti. Era mattina e si stava dirigendo in Sala Grande, spinta dai suoi compagni di scuola, che fremevano per andare a mangiare. Una volta seduta accanto a Harry e Ron, la Black si preparò una colazione decisamente abbondante - aveva scoperto, infatti, che era la magia dei Fondatori a toglierle l’appetito, perché la riempiva dell’energia che altrimenti avrebbe dovuto ricavare dal cibo.
Harry e Ron erano silenziosi e guardavano ognuno il proprio piatto. “Ehi, ragazzi, che succede?” chiese addentando una frittella. Ron la guardò senza realmente vederla, pallido e con profonde occhiaie. “Ti abbiamo cercata tanto, Kait. Tanto. Ma tu sembravi sparita.”
La Black, a quel punto, si lanciò in una dettagliata descrizione dei giorni passati con i Fondatori, senza omettere neanche il più insignificante momento. Terminato il racconto, attese la reazione degli amici, che però non arrivò. “Ehi, ci siete? Mi stavate ascoltando o no?!”
“Sei sparita, Kait. Sei sparita per giorni e non riuscivamo a trovarti. Pensavamo che ti avesse presa il mostro, pensavamo fossi morta!” Harry, che aveva mantenuto la voce mediamente bassa fino a quel momento, urlò l’ultima parola, facendo voltare verso di loro tutti gli studenti presenti nella Sala Grande. Kaitlyn trasalì, mentre il Grifondoro le stringeva un braccio con forza. “Io... mi dispiace, non credevo che...”
Ron le lanciò un’occhiataccia. “Non ti sei nemmeno accorta che Hermione non c’è,” mormorò il rosso con un tono che probabilmente voleva essere di rimprovero, ma che risultò solo molto stanco. Quasi come se Ron non avesse l’energia sufficiente per discutere con lei. “Ehi, hai ragione!” esclamò la Black. “Dov’è?” continuò con un sorriso. “In Infermeria,” disse Harry a bassa voce. Kait voltò la testa verso di lui, chiedendogli spiegazioni.
“Scoprilo da sola,” rispose. Stizzita, la giovane si alzò con uno scatto, decisa ad andare a trovare la sua migliore amica. Aveva già fatto un paio di passi verso la porta della Sala Grande, quando si fermò, mordendosi un labbro. Era arrabbiata con Harry e Ron per la fredda accoglienza, sebbene una parte del suo cervello le suggerisse di nascondere i suoi sentimenti; aveva la sensazione, infatti, che fossero loro ad aver più ragione di essere infuriati.
Si voltò, incrociando gli sguardi dei due Grifondoro. “Ehm...” sussurrò, indecisa su cosa dire, “alla fine com’è andata con... con il diario?”
“Ci sono stati nuovi... sviluppi, diciamo così,” disse Potter. Felice di aver ottenuto una risposta cortese alla sua domanda, Kait invitò l’amico a continuare. Harry, però, abbassò lo sguardo e sbuffò, tornando a fissare il tavolo. Con un’espressione stupita sul volto, Kaitlyn si diresse velocemente verso l’uscita della Sala Grande, ma non prima di sentire un’ultima parola da parte di Ron. Corrugò le sopracciglia, confusa. Cosa diavolo c’entrava Hagrid con il diario?

 

“Poppy?”
“Signorina Black, non le è permesso di chiamarmi per nome. Prima o poi lo capirà?”
Kait sorrise. “Forse, un giorno...” sussurrò, evasiva, guardandosi intorno. Aveva passato talmente tanto tempo in Infermeria, distesa su uno dei letti, che ormai le sembrava strano entrarci per un motivo diverso da un infortunio o un malanno. Quell’ala del castello ancora le metteva soggezione, in realtà, ma stava imparando a controllare la cosa. “Sono qui per Hermione Granger,” disse lanciando un’occhiata ai letti, per la maggior parte vuoti. Alcuni, però, erano coperti alla sua vista attraverso tende bianche.
L’infermiera sembrò irritata. “È inutile parlare alle persone pietrificate. Non ti sentirà, ti avviso,” rispose conducendo Kait verso un letto occupato. Camminando, la Black registrò le parole della donna, ripetendole mentalmente per essere sicura di aver capito bene. Dunque trasalì, avanzando in velocità e superando Poppy, che la osservò con sguardo attento. Quando vide Hermione distesa e immobile, così piccola e fragile, Kaitlyn quasi si buttò ai suoi piedi. Un gemito risuonò nel silenzio; per un secondo si chiese chi l’avesse emesso. Poi, quasi in trance, la purosangue capì che proveniva da lei.
Una mano le si posò sulla spalla. “Non temere, le mandragole sono quasi pronte,” sussurrò l’infermiera, stringendo la presa per qualche secondo prima di allontanarsi a passo svelto. Rimasta sola, Kait si sedette sul letto e accarezzò con delicatezza i capelli dell’amica, mordendosi il labbro talmente forte da riuscire a sentire il sapore del sangue in bocca. Un altro gemito si fece strada in lei.
Continuò così per un po’ di tempo. Non pianse, non versò nemmeno una lacrima, ma strinse le mani chiuse a pugno talmente forte da far sanguinare i palmi, che si tinsero di rosso esattamente come le unghie ben curate. 
“Mi dispiace,” sussurrò a voce a malapena udibile.
“Anche a me.”
Kaitlyn chiuse gli occhi. Si sarebbe aspettata di sentire Salazar, Godric, persino Silente o la McGrannitt, ma di certo non Harry. La giovane si voltò lentamente; la stanza cadde nuovamente in silenzio, interrotto soltanto dal fruscio del lenzuolo bianco su cui era Kait era seduta. “Non avrei dovuto lasciarla da sola... Non mi sarei dovuta allontanare così, mi dispiace,” mormorò.
“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace,” ripeté quelle parole cinque, sei, addirittura sette volte, dondolando impercettibilmente in avanti, lo sguardo perso nel vuoto e la gola secca. Le guance, però, erano asciutte.
“Lo so,” disse Harry, facendo un passo in avanti. Abbassò il volto, incrociando gli occhi tristi di Kaitlyn, poi avanzò ancora e la strinse a sé. Non era una posizione molto comoda, in realtà, perché lei era seduta e lui in piedi, e quindi la testa di Kait era appoggiata al ventre dell’amico, che si muoveva ad ogni respiro, però non si mosse, chiudendo gli occhi e beandosi della presenza del Grifondoro.
“Mi dispiace,” ripeté un’ultima volta e Harry annuì. Quelle parole, lo capiva, erano dirette anche a lui.
Incerta su cosa fare, Kaitlyn si alzò dal letto, trovandosi così a pochi centimetri dal ragazzo. Prima che l’imbarazzo la cogliesse e le bloccasse i movimenti, la tredicenne lo cinse in un abbraccio, uno di quelli dati apposta per far sentire meglio l’altro. “Mi sei mancata, Kait,” sussurrò questo.
Prima che lei potesse rispondere, però, una voce li interruppe. “Sono di troppo, se mi aggrego?”
“Tu non sarai mai di troppo, Ron!” esclamò la Black, voltandosi verso il rosso appena entrato in Infermeria. Allargando le braccia, ma senza lasciare la presa sul Bambino-Che-È-Sopravvissuto, Kaitlyn abbracciò anche Weasley, costringendo i due ragazzi a stringersi a loro volta.
Era un abbraccio un po’ storto, considerato che Ron era parecchio più alto dei suoi amici e che Harry continuava a piegare il viso verso la spalla, nel vano tentativo di inforcare meglio gli occhiali, però andava bene così. Non erano perfetti, e nemmeno troppo compatibili. Erano semplicemente tre migliori amici che cercavano di darsi forza gli uni con gli altri. 
Sporgendosi dietro la schiena di Ronald, Kaitlyn allungò la mano verso quella di Hermione, per ricordarle - o ricordare a se stessa - che le cose sarebbero andate bene, fino a quando fossero stati tutti uniti.
La Granger, però, aveva già qualcosa tra le dita.
Smettendo momentaneamente di respirare, Harry si affrettò a liberare il foglietto di carta tenuto dall’amica.
E mentre Potter e Weasley cercavano di decifrare il messaggio di Hermione, Kait sorrise, in disparte, ritrovandosi a dar ragione a Priscilla. 
La Granger sarebbe dovuta essere una Corvonero.





 



Okay, so che è un titolo stupido, ma non mi veniva in mente niente di meglio.
Scusate il ritardo :(

Questo capitolo doveva andare diversamente, - doveva finire nella Camera dei Segreti - però mi sono voluta soffermare un po' sull'amicizia che lega Harry, Ron, Hermione e Kaitlyn, che temo di aver un po' lasciato indietro...
Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto.
Già mi piange il cuore a pensare al prossimo. C'è una cosa che deve accadere e che odierò scrivere.



SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:


Abbracciarlo le era sempre piaciuto, la faceva sentire al sicuro; era come se niente di brutto le potesse accadere, quando lui la stringeva. Quella sicurezza, però, svanì presto.

“Mi dispiace,” ripeté il ragazzo, prendendole i polsi con delicatezza e allontanandola con un gesto. Indietreggiò di qualche passo, cercando di aumentare la distanza tra loro. “Mi dispiace, Kaitlyn.”

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Capitolo 40
*** Qualcosa ***


Qualcosa

 

“E quindi, versando quest’ultimo ingrediente e mescolando in senso antiorario per tre volte, la pozione sarà pronta per essere utilizzata.”
Kait sbadigliò, appoggiandosi meglio al banco. “Black, la mia lezione la annoia tanto?” domandò acidamente il professor Piton, comparendo alle spalle dell’alunna, che di scatto tornò composta, con la schiena appoggiata alla sedia e l’espressione attenta. “Assolutamente no, signore,” rispose. L’uomo le lanciò un’occhiataccia, poi le diede le spalle e si avviò verso la cattedra. Sbadigliando nuovamente, Kaitlyn si voltò verso Harry, che sembrava perso nei suoi pensieri. “Psss!” lo chiamò. Improvvisamente sveglio, il Grifondoro guardò l’amica, inarcando un sopracciglio. “Che ti prende?” chiese. “Cosa prende a te, piuttosto! A che pensi?”
Potter sospirò gravemente.
“L’ora è terminata. Muovetevi a prendere le vostre cose, devo accompagnarvi alla prossima lezione,” esclamò, non senza un’occhiata raggelante verso di loro, il professor Piton. In fretta si sistemarono tutti in fila. 
“Dobbiamo fare una visita a Hagrid,” disse Harry una volta che Ron li ebbe raggiunti. “Tanto,” continuò con tono desolato, “il Quidditch è stato annullato.”



“Mai più, mai più!” strillò Kaitlyn tastandosi velocemente l’intero corpo per accertarsi che nessun ragno le si fosse appoggiato addosso. Ron, tremendamente pallido, sembrava sul punto di svenire. “Kait, non mi avevi detto che hai paura dei ragni,” esclamò Harry, interessato. La ragazzina lo fulminò con lo sguardo. “Io non ne ho paura,” lo corresse, “a me fanno solo schifo.”
Il Grifondoro voltò la testa, così che l’amica non lo vedesse sorridere. Uno scappellotto, però, gli arrivò comunque.
“Paura,” sussurrò indignata la purosangue. “Paura! Io!”+
Harry decise saggiamente di tacere.
“Ora vai ad allenarti?” domandò Ron mentre insieme, strisciando i piedi per terra dalla stanchezza, si dirigevano verso il castello. La Black annuì, pensierosa. “Cosa accadrà, adesso?” chiese mordendosi un labbro. “Insomma, con l’allontanamento di Silente e tutto il resto...”
I due ragazzi sospirarono, mentre il rosso inveiva con forza contro quel viscido di un Malfoy che, a detta del rosso, quella sera aveva dimostrato tutta la sua cattiveria. “Tale padre, tale figlio,” grugnì infine. Kait, ormai abituata a sentir offendere Draco, non aprì bocca, anche perché era segretamente convinta che Lucius lo avrebbe presto trasformato in una copia più giovane di se stesso, se lei o Narcissa non si fossero opposte. Non che Cissy avesse intenzione di intervenire, o che lei, ragionò, da piccola Grifondoro qual era, avrebbe potuto fare qualcosa, sia chiaro. 
Stava ancora pensando al futuro di Draco, quando arrivò in palestra. “Sei in ritardo,” la riprese Malocchio scrutandola con l’occhio magico, mentre quello sano osservava delle carte dall’aria importante. Kait biascicò una scusa, correndo a cambiarsi nello spogliatoio vuoto. E il borsone di Jackson dov’era finito? Con un’alzata di spalle, la ragazzina decise di rimandare la questione a dopo; si spogliò in fretta, afferrando il nuovo completo per allenarsi e indossandolo. Aveva dovuto comprare vestiti nuovi a causa del suo corpo, che ormai non poteva più cambiare. Mentre prima le bastava assottigliare i fianchi o diminuire la circonferenza del petto, ora doveva acquistare completi nuovi ogni volta che cresceva di qualche centimetro, o metteva su qualche chilo. 
Stava per uscire dallo spogliatoio, quando colse la sua immagine nel grande specchio vicino al bagno. Era cambiata, dal giorno in cui aveva restituito i doni dei Fondatori. I capelli, che prima colorava a piacimento, erano neri come la pece - come la maggior parte dei Black, d’altronde. Era curioso, però, che sua sorella avesse avuto i capelli biondi per tutta la breve durata della sua vita.
Una fitta al petto la costrinse a smettere di pensare ad Hannah.
Tornò dunque ad osservarsi, notando che i fianchi erano leggermente più larghi e che il seno stava cominciando a crescere, diversamente da quando cercava di essere più piatta possibile per esercitarsi più facilmente. Non che l’aspettasse un futuro da quarta o quinta di reggiseno, eh! Con le spalle che aveva! Kait, infatti, aveva notato che i muscoli si erano fatti più evidenti, non essendo più possibile nasconderli con la Metaphormagia. La pancia aveva un accenno di tartaruga e le gambe erano forte e toniche.
Tra gli Auror, il fisico di Kait sarebbe parso superbo; tra i ragazzi ad Hogwarts, però, le cose sarebbero state diverse. O almeno, questo era quello che pensava. Non le interessava molto cosa avrebbero pensato i suoi compagni, ma c’era una parte di lei, - quella vanitosa - che non approvava tutti quei muscoli e che li avrebbe scambiati volentieri per un corpo con le curve. Kaitlyn scosse la testa, osservandosi un’ultima volta e legando i capelli in una coda alta - il giorno in cui aveva restituito i Doni portava i capelli lunghi fino al bacino e, chissà perché, la lunghezza si era mantenuta. Guardò il volto privo di imperfezioni che lo specchio rifletteva e prestò particolare attenzione agli occhi color ghiaccio dei Black. 
Nonostante gli allenamenti, nonostante la Casa a cui apparteneva, era sempre più simile alla sua famiglia.
Kait sospirò, allontanandosi definitivamente dallo specchio e correndo in palestra. Moody la stava aspettando con una smorfia impaziente. “Oggi ti farò cavalcare,” le disse. “Cavalli? Bello!” rispose la giovane, ricordando alcune lezioni di Narcissa sull’argomento. “Un purosangue deve saper cavalcare con eleganza,” le aveva detto una volta, prima di farla montare su un bellissimo esemplare completamente bianco. “Non proprio,” rispose Malocchio con un sorriso cinico. Si diressero a passo svelto fuori dalla palestra, attraverso gli stretti corridoi del Ministero.
“Dov’è Jackson?” domandò a quel punto Kaitlyn, insospettita dall’assenza dell’amico. “Non lo sai?”
“Ovvio che sì, lui mi dice sempre tutto,” esclamò la Black, prima di rendersi conto che, però, quella volta non era stata messa al corrente di un bel niente. “No, aspetta. Cosa dovrei sapere, di preciso?” chiese quindi.
Malocchio si arrestò in mezzo al corridoio, osservando attentamente la sua allieva e il suo sguardo preoccupato.
“Ora, Black, voglio che tu mi stia a sentire senza dare di matto. Poi potrai andare da lui, rimandiamo la lezione,” disse l’uomo. Le afferrò una spalla e cercò invano di fare un sorriso rassicurante.
Un minuto dopo, con il volto che bruciava dalla rabbia, Kait si ritrovò a correre per il Ministero, incurante delle occhiate curiose che suscitava il suo passaggio. Si infilò in un camino, afferrando con foga un pugno di Polvere Volante; pronunciò l’indirizzo di casa Everdeen e, in un lampo di luce verde, la Black sparì.
Solo una volta arrivata a destinazione si rese conto dell’impulsività del suo gesto.
Uscì dal camino, trovandosi in un luminoso salotto dall’aspetto vissuto. Di fronte al camino c’era un divano color crema; alla sua destra era posizionata una chaise-longue rossa  rovinata dal tempo, appoggiata ad una grande vetrata, che dava su un giardino ben tenuto, con un ciliegio e un’altalena a completare il quadro. 
Kait azzardò qualche passo fuori dal salotto, lungo un corridoio breve e molto largo, pieno zeppo di fotografie di Jackson, una donna e Moody - a quanto ne sapeva lei, Malocchio era il padrino del giovane Everdeen. Non prestò molta attenzione alle cornici, troppo impegnata a cercare di fare meno rumore possibile. Il corridoio terminò con una porta socchiusa, da cui proveniva della luce e una melodia. Una donna - la stessa delle fotografie, solo più vecchia - era alle prese con una grossa pentola e stava canticchiando un orecchiabile motivetto, senza sapere di avere in casa un’intrusa spiona.
“Hai bisogno di qualcosa, piccola?” domandò a quel punto la signora. Presa alla sprovvista, Kait trasalì e scivolò in avanti, sbattendo contro la porta ed aprendola con uno scatto. “I-io... M-m-mi dispiace, io...” cercò di dire, in preda al panico, osservando il volto della padrona di casa, che scoppiò a ridere. Agitando un mestolo, la invitò ad avvicinarsi. “Non ti preoccupare, piccola!”
Kaitlyn avanzò di qualche passo, dandosi mentalmente dell’idiota per essersi presentata lì in tenuta d’allenamento, - ovvero vestiti molto corti - senza aver avvisato o detto niente. “Io stavo cercando Jackson...” sussurrò, il volto in fiamme. “Ma certo! È in camera sua,” le rispose la donna, quasi come se Kait fosse una di casa, abituata ad entrare e ad uscire quando voleva. “Grazie,” mormorò indietreggiando verso l’unica altra porta presente nella cucina. Si trovò in un corridoio, da cui si poteva entrare in tre stanze, al momento chiuse. La prima si rivelò essere un piccolo bagno color acquamarina. La seconda era una camera da letto semplice, con pochi arredi e molte fotografie. 
La porta della terza stanza era socchiusa. Sbirciando, Kait vide un ragazzo darle le spalle, alle prese con decine di magliette e pantaloni militari. Sul letto, una valigia.
“Quindi è vero: te ne vai!” esclamò entrando nella camera e rivelando la propria presenza. “Non si vede?” rispose acidamente Jackson, mentre in velocità faceva sparire lo stupore sul suo volto.
“Ma che... Che significa?”
“Scusa, sono stato un po’ brusco. È che pensavo... speravo che avrebbe potuto spiegartelo Malocchio dopo la mia partenza,” disse il giovane, continuando a sistemare completi nella valigia blu, che internamente era molto più spaziosa di quanto lo sembrasse da fuori.
“Jackson...”
“Mi dispiace, Kay.”
“Perché?”
Fu questa l’unica domanda che Kaitlyn riuscì a porre al suo migliore amico. Gli afferrò un braccio, costringendolo a fermarsi. “Perché... perché mi dispiace?” le domandò Jackson, guardandola intensamente negli occhi, quasi cercasse di farle capire qualcosa.
“Perché te ne vai, intendo.”
“È un’ottima occasione, se ci pensi. Un anno intero per allenarmi con i migliori Auror d’America. Sono grato a Malocchio per quest’opportunità,” spiegò con un’alzata di spalle che voleva mostrarlo indifferente, ma che sembrò malamente studiata. Per qualche secondo Kaitlyn non reagì, incredula, boccheggiando e sgranando gli occhi in modo poco signorile. 
“Mi lasci qui,” sussurrò infine.
“Non sarai sola, Kay. Non mi allontanerei mai, se tu non avessi nessuno. Ma la verità è che hai degli amici pronti a sostenerti in ogni situazione. Io non ti servo.”
Le parole di Jackson la colpirono come una pugnalata al cuore. Come poteva dire una cosa del genere? E perché la stava abbandonando? 
“Servirmi? Chi ha parlato di servire?!” esclamò ritrovando un po’ del carattere Grifondoro che tanto vantava di fronte alla famiglia Malfoy. Jackson la stava lasciando sola, partendo per l’America, - l’America! Dall’altra parte del mondo, quindi! - ma nelle sue parole non era riuscita a cogliere altro che una sottile accusa.
“Kay...”
“Jackson, ti prego.”
Non era da lei implorare in quel modo, però lui era il suo migliore amico e la stava abbandonando, quindi sentì di avere diritto persino di piangere. Per il momento, comunque, trattenne le lacrime. Si rese conto di stargli ancora tenendo il braccio, così lasciò la presa. Kait osservò Jackson per qualche secondo, mentre lui ricambiava senza mai distogliere lo sguardo. Si ritrovarono abbracciati prima di potersene rendere conto, dondolando leggermente avanti e indietro e respirando i reciproci profumi.
Abbracciarlo le era sempre piaciuto, la faceva sentire al sicuro; era come se niente di brutto le potesse accadere, quando lui la stringeva. Quella sicurezza, però, svanì presto.
“Mi dispiace, Kay.”
Lei chiuse gli occhi per un secondo, riaprendoli subito dopo nella speranza che quello fosse solo un brutto sogno da cui si sarebbe presto svegliata.
“Mi dispiace,” ripeté il ragazzo, prendendole i polsi con delicatezza e allontanandola con un gesto. Indietreggiò di qualche passo, cercando di aumentare la distanza tra loro. “Mi dispiace, Kaitlyn.”
Mentre il suo cuore si spezzava, tutto ciò che Kait riuscì a pensare fu che non era abituata ad udire il suo nome provenire per intero da quelle labbra.
Jackson si allontanò ancora, sussurrando un “Arrivederci,” e uscendo fuori dalla stanza. La Black si trovò seduta sul letto, a fissarsi le mani tremanti. Il suo cuore stava piangendo mentre, ne era sicura, il volto rimaneva asciutto. Afferrò delicatamente una maglietta dell’amico e se la portò al viso, inspirando l’odore di sapone. Non essendo stata indossata di recente, non possedeva il profumo che Kait stava cercando.
Sistemò con cura la t-shirt nella valigia, poi si allontanò dal letto e fece per uscire dalla stanza. Jackson scelse proprio quel momento per rientrare.
“Non per essere scortese, ma questa è casa mia,” disse, imbarazzato.
Kaitlyn non reagì come avrebbe fatto in altre circostanze; semplicemente si diresse a passo lento verso la porta, a testa bassa. Il ragazzo si voltò verso la valigia, cercando di ignorare la presenza dell’amica, che gli straziava il cuore ogni secondo di più. 
Stava cercando di allontanarsi da lei.
Lo stage in America era un’opportunità incredibile per migliorare come aspirante Auror ma, soprattutto, per mettere un po’ di distanza tra lui e Kait, infatuata di un altro.
È meglio così, si disse mentre una lacrima si faceva strada lungo la guancia sinistra.
Era convinto che la Black fosse già uscita, perciò sobbalzò vistosamente quando lei parlò. Nessuno dei due notò le lacrime dell’altro, e forse fu meglio così.
“Ti ricordi cosa ti avevo detto?” domandò Kaitlyn con voce bassa e spenta. “Mi sbagliavo,” continuò.
Jackson corrugò le sopracciglia, confuso e emotivamente distrutto.
“Credevo che tu saresti stata l’unica persona che non mi avrebbe mai fatto del male,” mormorò lei a voce tanto bassa che credette di essersela immaginata. Le ultime parole arrivarono al suo orecchio come un eco lontano, dimenticato.
“Mi sbagliavo.”
E mentre Kait si voltava e usciva dalla stanza, Jackson scivolò a terra e si prese la testa tra le mani, mormorando più volte la parola “Perdonami,” senza essere udito.

 

Kaitlyn corse in cucina, dove si sforzò di sorridere alla signora Everdeen. La donna la abbracciò, invogliandola a piangere sulla sua spalla, ma la Black si allontanò come se avesse preso la scossa.
“Non ho bisogno di lei,” sibilò indietreggiando.
“Piccola, lo so che...”
“No, lei non sa un bel niente,” ringhiò Kait. “Non ho bisogno di lei,” continuò. “Non ne ho bisogno.”
E per entrambe fu chiaro come la signora Everdeen non fosse più il soggetto della frase.
Kait raggiunse velocemente il camino, da cui lasciò la casa del suo ex migliore amico. 



Quando Remus Lupin alzò lo sguardo sul camino, pochi secondi dopo, e vide la figlioccia piena di fuliggine, con diverse lacrime a bagnarle il volto, scattò in piedi e corse ad abbracciarla, lasciando perdere la ricerca di un nuovo lavoro.
“Kait, cos’è successo?” domandò stringendola più forte. Lei scosse la testa, decisa a non parlare.
Qualcosa, però, disse comunque. Magari non a parole, magari non in un modo che a Remus fosse comprensibile, però qualcosa disse, soffrendo silenziosamente e sentendo il suo cuore sprofondare in un baratro di oscurità. 
Era un qualcosa che Jackson aveva provato a farle capire e che ora stava scoprendo.
Era un qualcosa che forse avrebbe affrontato meglio tempo dopo e a cui, per il momento, non voleva nemmeno dare un nome.
Anche se un nome, in realtà, ce l’aveva già.







Noteeee :)

Ehi, ehm... questo capitolo è stato un po' un parto. Non ne voleva sapere, non voleva farsi scrivere! 

Non mi volete uccidere, vero? Lo so che le fan di Jackson mi odieranno, ma... ehm... niente, non ho scuse :P
Coooomunque volevo spiegarvi una cosuccia sul capitolo: quel "qualcosa" non è amore, non ancora. Lei è piccola, gente. Ha tredici anni, non ha idea di cosa significhi la parola "amore", non l'ha mai vissuta davvero, non ha mai detto "Ti amo" e di certo le ci vorrà un po' per dirlo -  che poi devo prima decidere a chi farglielo dire xD
Scheeeerzoooo

- circa

:P

Comunque si è resa conto che Jackson le mancherà tremendamente e non capisce perché le faccia così male l'idea della sua partenza. Comincia a capire che non è solo amicizia, ciò che la lega a Jackson, ma non sa ancora definire quel "qualcosa".
E intanto l'anno è agli sgoccioli... :P
Ad ogni modo, fan di Jackson non mi uccidete, mi farò perdonare al suo ritorno, credetemi.
Il quarto anno sarà... interessante, per lui ;)

Un bacio, abbraccio e stretta di mano a tutte le persone che seguono questa storia :) Siete i migliori!



 

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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)



P. S. Scusate la lunghezza del capitolo, ma volevo farmi perdonare per l'attesa :)

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Capitolo 41
*** Fine dell'anno ***


Fine dell’anno

 

“Aspettami qui.”
Kait si voltò` verso Harry, incredula. “Scusa?” 
“Là dentro,” esclamò il ragazzo indicando con un dito l’ingresso della Camera dei Segreti, “là dentro c’é un Basilisco. Io parlo il Serpentese, tu non...”
“Io non gli interesso, sono una purosangue. Sarei più al sicuro di te e potrei guardarti le spalle, potrei... potrei darti una mano,” sussurrò la Black, cominciando ad agitarsi. “Perché vuoi lasciarmi in dietro? Perché mi vuoi allontanare?” chiese con voce stridula, guardando Harry negli occhi. “Sto cercando di proteggerti, Kait. Lascia che lo faccia, lascia che ti allontani dal pericolo. Lascia che affronti il Basilisco da solo, senza la paura di vederti morire,” disse lui avvicinandosi all’amica, che non riuscì a proferir parola.
Da quando aveva la bocca così secca?
La mano di Harry sfiorò la sua.
Da quando aveva le dita così fredde?
Il Grifondoro le strinse una volta il palmo, poi lasciò la presa e indietreggiò. “Lascia che salvi Ginny, lasci che la riporti da Ron... perché se tu venissi con me, non penserei ad altro che alla possibilità di perderti. Ti prego, Kait,” la sua voce era ormai ridotta ad un sussurro. “Lascia che ti protegga.”
I Fondatori aspettarono che Harry si fosse allontanato già da qualche minuto, per avvicinarsi. “Hai preso la decisione più intelligente, mia cara,” le disse Priscilla, annuendo soddisfatta. Le sue parole non fecero che appesantire il masso che si era depositato sul petto di Kait, a cui sembrava di avere un buco nero nello stomaco. 
Si sentiva uno schifo.
Una mano le strinse affettuosamente una spalla. “Non è un male tirarsi indietro, qualche volta,” mormorò Tosca. Sorrise con dolcezza, convinta di poterla aiutare a sentirsi meglio.
Non aveva alcuna speranza di successo.
Kait alzò lo sguardo su Godric e Salazar, ancora in silenzio. La fissavano preoccupati, in preda ad un conflitto interno che li spezzava in due. La Black li fissò, in cerca di una risposta a quella domanda che, sebbene non fosse ancora stata espressa, aleggiava nell’aria. “Godric...” sillabò, la gola secca che le impediva di parlare ad alta voce. “Godric!” le fece eco Priscilla, severa. Aveva colto lo sguardo dell’amico, e ciò a cui esso avrebbe potuto portare non le piaceva per niente. “Non osare...”
“Vai,” esclamò il mago, ignorando le due Fondatrici, che lo fissavano scandalizzate. Kait mosse un piede verso la strada presa da Harry tempo prima, incerta. Un’occhiata di Godric bastò a darle coraggio, così scattò verso la Camera, senza mai voltarsi. Aveva paura che, facendolo, avrebbe cambiato idea. Udì Tosca e Priscilla litigare con Grifondoro, che le stava trattenendo in tutti i modi.
E Salazar?
Si rispose da sola quando lo vide appoggiato con una spalla a quella che doveva essere l’entrata della Camera dei Segreti. “Pensavi proprio in grande, eh?” cercò di ironizzare Kait. “Ero giovane,” le disse l’uomo, lanciandole una lunga e significativa occhiata e causandole un forte rossore lungo le guance. “Giovane e stolto,” continuò. 
“Lo so. Lo so, Sal, lo so. È forse la cosa più stupida e... suicida che io abbia mai fatto, ma...”
Salazar non la stava più ascoltando. O almeno così le parve quando le diede la schiena. “Sal?”
“Come pensavi di entrare, serpentella? Tu non sai parlare il Serpentese.”
“È per questo che sei qui?!” domandò Kait, esterrefatta. “Vuoi aiutarmi? Come Godric?”
“Vai, prima che cambi idea.”
La Camera, ora aperta, lasciò la Black senza fiato. Si voltò verso il suo creatore e alzò entrambi i pollici, in segno di approvazione. “Fichissimo!” esclamò con un sorriso, mentre la porta della Camera si chiudeva e Salazar, una smorfia preoccupata sul volto, la guardava per un’ultima volta.



“E tu chi sei?”
Kait non aveva mai pensato, nemmeno per un attimo, che nella sua vita avrebbe incontrato Voldemort. Proprio lui! Ed era decisamente più carino di come l’avesse immaginato, o di come Salazar gliel’avesse descritto. 
La Black si avvicinò di qualche passo, le mani strette a pugno e tutti i nervi tesi. In tensione come mai in vita sua, lanciava brevi e frequenti occhiate a Harry, che la fissava incredulo. Ci vollero pochi secondi perché lo stupore abbandonasse il suo volto e lasciasse posto alla rabbia. “Che cosa ci fai qui?!” le urlò, rosso in viso. Il ragazzo al suo fianco, che grazie a Salazar sapeva essere Voldemort, le rivolse un’occhiata interessata. “Non mi conosci affatto se credevi davvero che sarei rimasta a fare la cuccia come un cane addestrato.”
“Speravo,” ringhiò Harry in risposta, “che fossi abbastanza intelligente da evitare, per una volta, di metterti nei guai!”
“Parla l’alunno perfetto!”
Gli occhi del ragazzo lampeggiarono dietro gli occhiali sporchi. Aprì la bocca per parlare, ma fu interrotto dal “giovane” al suo fianco. 
“Il tuo nome,” ripeté Voldemort con voce glaciale, irritato per essere stato ignorato la prima volta. Con un grosso sorriso, che Harry sapeva essere falso, Kait accennò ad un inchino. “Mi chiamo Helena Kaitlyn... Black.”
E Voldemort sorrise.
“Sai,” le disse cominciando a camminare, “ho sempre apprezzato la tua famiglia... penso che prima o poi potrei accettarne qualche membro tra i miei Mangiamorte...”
Kait rabbrividì, la mente che correva all’arazzo dei Black e all’albero genealogico che vi era magicamente cucito sopra. Quanti, nella loro vita, avevano giurato fedeltà all’Oscuro Signore? E quanti, come lei, avrebbero sempre portato sulle spalle il peso degli errori dei parenti?
Si sentì toccare con leggerezza una spalla; Voldemort continuava a girarle intorno, osservandola con curiosità. “Lasciala in pace,” gli intimò Harry, e lo guardò con odio. Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato non lo degnò di un’occhiata, preferendo concentrarsi unicamente su Kait, che sussultò a sentire il freddo respiro del mago sul collo lasciato scoperto dalla camicia in parte sbottonata. “Che cravatta... interessante,” le sorrise, “Unità.
“Non è buffo?” domandò allontanandosi da Kaitlyn e portandosi al centro della Camera. “L’Erede di Salazar Serpeverde e colei che ha il privilegio di parlare con i Fondatori.”
“È tutto per lui!” continuò, “Per lui e per me.”
“Non metterlo in mezzo. Salazar non avrebbe mai approvat...”
“E chi credi abbia creato questa Camera? Non essere ingenua, Black, e porta rispetto a chi è più grande e potente di te,” la riprese Voldemort, senza mostrarsi veramente arrabbiato. Sembrava più incline a spiegarle come osservare il mondo e come viverci dentro, piuttosto che a sgridarla: quasi desiderasse prenderla sotto la sua ala. “Sai,” le disse, “l’Unità c’è anche nel mio tempo. Un Corvonero.”
Kait impallidì, la mente che correva ai racconti dei Fondatori.

“Si chiamava Drake. Un Corvonero.”

“Credevo che l’ultima Unità si chiamasse Milena.”

“Lei è l’ultima di cui è stato scritto. Noi non... Non volevamo che la storia fosse divulgata.”
 

“Mi ha assicurato che presto sarà in grado di fornirmi una grande quantità di Energia Magica.”
 

“Lui voleva essere grande, Helena. Potente. Desiderava essere l’Unità delle Case più forte mai vista prima.”

Tosca si sbagliava, pensò Kait. Non era quello, lo scopo di Drake, bensì esaudire i desideri dell’Oscuro Signore ed entrare nelle sue grazie.

“Un giorno venne qui senza che noi fossimo presenti e cominciò a... a prendere...”

“Si appropriò di più di metà delle sfere di Energia, prima che ci accorgessimo del suo gesto.”

“Lo fermammo.”

Kait si voltò e lanciò un’occhiata preoccupata a Harry, che le domandò con lo sguardo - erano bravi a capirsi al volo - quale fosse il problema. Oltre, ovviamente, all’essere accanto a Voldemort, mentre Ginny Weasley si indeboliva sempre di più.
“Ai Fondatori non darà fastidio, si tratta solo di un po’ di energia. E poi... Salazar sarebbe d’accordo. Dopotutto, sono il suo Erede,” spiegò Riddle, avvicinandosi alla Black.

“Da allora ci siamo presi una pausa. Abbiamo aspettato anni, nascosti nel buio, senza abbastanza Energia per renderci visibili.”

“Ti sbagli,” esclamò Kait, lapidaria. “Salazar non approverebbe mai, lui... lui, potesse, ti rinnegherebbe.”
Il volto del mago si oscurò, mentre con passo volutamente lento si avvicinava alla ragazzina e le afferrava il viso con due dita. “Ne sei così sicura, Black?”
“Io...”
“Unisciti a me. Unisciti a me e io dimenticherò le tue parole. Sopravviverai. Perché ora, ora voglio dare una piccola lezione a Harry. Misuriamo i poteri di Lord Voldemort, Erede di Salazar Serpeverde, e quelli del famoso Harry Potter, munito delle migliori armi che Silente è in grado di offrirgli,” disse, indicando con un cenno Fanny - quand’era arrivata?! - e il... Cappello Parlante?
“Anche me,” Kait sorrise, incredula. Silente aveva voluto che lei entrasse ad Hogwarts un anno dopo: e se non fosse stato solo per il trauma subito? Se avesse voluto assicurare a Harry un aiuto, un’alleata?
Si raddrizzò e alzò il mento. 
“Gli ha offerto anche me.”
“Vediamo,” continuò la Black, sfrontata, “se l’Erede di Salazar riuscirà a competere con il Bambino Sopravvissuto e colei che è stata salvata e scelta dai quattro Fondatori.”
E mentre Voldemort richiamava il Basilisco con un sibilo, Kait lanciò un’occhiata dietro di sé. Che fosse loro permesso o meno di intervenire, i Fondatori erano lì, pronti ad accorrere in suo aiuto.
“Sai,” sorrise Godric, “credo proprio che il Cappello abbia qualcosa per voi.”
E nonostante l’orribile situazione in cui si trovavano, Kait sorrise.

~

“Speriamo che il prossimo anno sia più tranquillo,” sospirò Ron, prima di abbracciare Kaitlyn. Salutò Hermione con un’imbarazzante stretta di mano, quindi passò a Harry, che quasi stritolò. “Anche io devo andare,” mormorò la Granger, osservando i Weasley allontanarsi e la sua famiglia, al contrario, avvicinarsi. “Ci sentiamo presto, vero?” continuò con le lacrime agli occhi, aggrappandosi a Harry. “Da domani, ogni settimana,” promise lui. Hermione abbraccio Kait, poi afferrò il suo bagaglio e si diresse verso i suoi genitori.
“Sai come tornare a casa?” domandò Kaitlyn, a quel punto, girandosi verso Potter, che annuì. “Si torna alla normalità.”
Kait sorrise, lo abbracciò e dunque lo lasciò andare. Osservò la stazione svuotarsi pian piano, tra ultimi saluti, risa e versi di animali. Remus l’aveva avvisata che sarebbe arrivato un po’ in ritardo, così si rassegnò ad aspettare.
Erano passati poco più di venti minuti, quando la Black si sentì chiamare da una voce familiare. Si voltò e sorrise, correndo ad abbracciare il padrino. “Dopo ti devo dire una cosa,” le mormorò all’orecchio.
Tornarono a casa, parlando dell’anno che si era appena concluso; salirono le scale e si diressero verso la camera della ragazza, dove Remus, un colpo veloce di bacchetta, posò il baule. “Vacanza!” rise Kaitlyn, buttandosi sul letto e rimbalzandoci sopra. Afferrò il cuscino e se lo premette sul viso, mentre i capelli andavano a formare una macchia nera sul copriletto azzurro. Quando si sentì toccare il piede, Kait sobbalzò, dimentica della silenziosa presenza del padrino.
“Ah, già!” esclamò la giovane. “Cosa volevi dirmi?”
“Ho trovato un lavoro,” rispose il mannaro, il volto segnato dalle cicatrici che si illuminava in un enorme sorriso. “Grande! Dove?”
Remus sorrise nuovamente e si sedette sulla sedia accanto alla scrivania, appoggiando i gomiti sulle cosce e sporgendosi in avanti.
“A casa.”

 




 

Note:

So che non mi faccio viva da una vita e che non ho scuse, ma spero, spero con tutto il cuore che qualcuno ancora segua questa storia, perché io non intendo abbandonarla. Posso anche non scrivere per mesi, ma continuo a pensare all'Ultima Black e a costruire la trama dettaglio per dettaglio. Non so quanti di voi siano disposti a perdonarmi, ma se lo farete, beh... sappiate che tornerò sempre.
BTW, mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto. Non vedevo l'ora di finire il secondo anno. Il terzo, come vi ho già accennato, sarà più veloce, in quanto ho parti già scritte e, soprattutto, mi piace di più.

Ho deciso di non riscrivere scena per scena lo scontro con il Basilisco, ho preferito che siate stati voi, ad immaginarlo ;)

Un forte abbraccio,
nella speranza di ricevere ancora un po' di considerazione e qualche recensione,
S

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Capitolo 42
*** Calore ***


Buongiorno a tutti!
Vi lascio il capitolo - è più lungo del solito - e noi ci vediamo alle note in fondo :)




 

Calore

 

Kait si svegliò con uno scatto, che la portò immediatamente seduta. Aveva avuto un brutto incubo, di cui però ricordava solo l’impetuoso senso d’angoscia. Appoggiò i piedi a terra, beandosi di un refolo di vento entrato dalla finestra aperta. Era luglio, ma a quell’ora - le cinque del mattino - il caldo non era un problema. La ragazza si alzò e si avviò verso la cassettiera in fondo alla stanza, da cui tirò fuori dei pantaloncini e un top sportivo, che indossò. Afferrò anche le scarpe da ginnastica, quindi scese le scale in punta di piedi; una volta fuori casa, tornò a muoversi normalmente. Si fece una coda alta, attraversò la strada e, dopo qualche minuto di riscaldamento, scattò. La settimana prima Moody l’aveva invitata a casa per “parlare un po’” e da allora Kaitlyn si allenava da sola, correndo un paio d’ore al giorno e “dilettandosi” in serie di piegamenti sulle braccia e addominali. Camera sua, ormai, pareva una palestra.
“Direi che sei perfettamente in grado di tenerti in forma ed allenarti senza di me,” le aveva detto Moody. “Una volta a settimana ci incontreremo al Ministero e lavoreremo insieme; per il resto, te la caverai da sola.”
Kait aumentò il passo, mentre i capelli le frustavano la schiena in un dondolio continuo. Si diresse a casa ore dopo, quando il sole, ormai alto nel cielo, era quasi insopportabile. Kait, considerata estremamente pallida, dalla pelle candida, fin da quando era bambina, sentiva le spalle e il volto bruciare e, una volta entrata in casa e osservatasi allo specchio, li scoprì rossi e lucidi. Si lamentò a mezza voce, salendo le scale e dirigendosi sbuffando in camera sua, dove afferrò una maglietta e dei jeans corti, che indossò dopo aver terminato una doccia rilassante e, soprattutto, fresca
L’ora di pranzo era già passata da tempo, quando la Black entrò in cucina a passo felpato. Remus, infatti, stava rispondendo ad alcune lettere dall’aria importante e Kait non voleva disturbare. Afferrò una mela e le diede un morso, appoggiandosi con un fianco alla dispensa. Quando il mannaro terminò le missive, la figlioccia si sentì in diritto di parlare.
“Oggi esco, torno tardi.”
Remus la osservò a lungo, una smorfia scettica sul viso. “Perdonami?” domandò poi con un sorriso, che la Black ricambiò. Ah, quanto amava quell’uomo! “E dove vai, se posso saperlo?”
La stava mettendo alla prova, Kait lo sapeva, così come sapeva che lui non avrebbe mai potuto dimenticare quella data del calendario. “Ho un amico a cui fare gli auguri.”
Remus, allora, annuì.
“Voglio festeggiare e dargli il mio regalo a mezzanotte esatta,” esclamò. “E non so bene a che ora potrei tornare.”

 

Kait uscì di casa con il sorriso sulle labbra, indossando gli occhiali da sole per proteggersi dai raggi fastidiosi di quel primo pomeriggio di fine luglio. Le cose stavano per cambiare. Sapeva che, con tutte le probabilità, le sue azioni le si sarebbero ritorte contro, ma progettava quel giorno - e quello successivo, a dir la verità - da troppo tempo per potervi rinunciare.
Si avviò lungo la strada, il viso rivolto al cielo in un'espressione serena. Aveva alcuni acquisti da fare, prima di mettere in atto il piano. 
Una volta arrivata nel centro di Diagon Alley mise mano al portafogli e comprò un regalo per Harry, che infilò nella borsetta magicamente resa molto capiente. Sapeva che lui, al contrario di Ron, non si sarebbe sentito umiliato dal prezzo, così gli aveva comprato un filo d'oro, con un ciondolo, da mettere al collo. Il ciondolo era una semplice piastrina d'oro, grande come un'unghia, con un cervo inciso sopra. Era conscia del fatto che il ragazzo non ne avrebbe colto subito il significato, ma confidava che, prima o poi, lo avrebbe capito.
Dopo la tappa alla gioielleria, Kait riprese la sua "missione". Poco fuori dalla stazione di King Cross, in un vicolo riparato da occhi indiscreti, bevve un sorso della Pozione Polisucco che aveva rubato al Ministero l'ultima volta che era stata lì. Non era stato facile, ma con un po' di fortuna era riuscita a passare inosservata. 
Una volta cambiato viso, afferrò la borsa e ne tirò fuori degli abiti da strega, a cui lei spesso preferiva quelli babbani. Quando fu pronta, andò a prendere il treno.
Si sedette in un vagone vuoto e sbuffò, pensando al passo successivo: le serviva una barca.

 

Azkaban era meno lugubre di quanto ricordasse. Forse perché non era più una bambina, o forse perché sapeva che ne sarebbe uscita di lì a breve... E che presto suo padre sarebbe stato al suo fianco.
Kait fece un respiro profondo.
Se Moody l'avesse scoperta, ne sarebbe rimasto tremendamente deluso. Tutti i suoi insegnamenti, le sue regole, tutto ciò in cui lei stessa aveva creduto... Dimenticato. O meglio, ignorato. Non era stata una decisione impulsiva; Kaitlyn ci aveva pensato a lungo, ragionando su tutti i pro e i contro, sui dettagli che sarebbero potuti andare storti.
A conti fatti, sarebbe stato necessario un miracolo, per far funzionare il piano.
"Signora," la chiamò una voce maschile non appena mise piede ad Azkaban. "Perché si trova qui?"
"Sono venuta," mormorò cercando di modulare la voce in modo che sembrasse più adulta, "sono venuta qui per vedere un prigioniero."
Le visite non erano permesse, di solito, ma talvolta accadeva che il guardiano chiudesse un occhio. Quando non era presente e a controllare c'erano solo i Dissennatori, era meglio non avvicinarsi a quel luogo. "Signora, non credo sia il caso," rispose l'uomo.
E Kait cominciò la recita. Finse di scoppiare in lacrime, rimpiangendo il marito rinchiuso e toccandosi la pancia con fare protettivo. "Deve capirlo, ho appena... Ho appena perso il mio-i-il mio bambino," singhiozzò. "Mi lasci parlare con mio marito."
L'uomo, sconcertato e tutto rosso dall'imbarazzo, si grattò il mento con fare dubbioso. "Non pianga, signora."
"L-la p-p-prego."
E così ebbe il permesso di addentrarsi tra le celle. Dopo aver rassicurato il guardiano riguardo alla sua abilità a proteggersi e averlo convinto a rimanere dove si trovava, avanzò a capo chino tra i prigionieri, allungando di proposito il passo dopo aver intravisto Bellatrix Black in Lestrange. Quando si trovò di fronte a suo padre, Kait si guardò intorno e, una volta assicuratasi di essere sola, si inginocchiò di fronte alle sbarre. Sirius non la degnò di uno sguardo: osservava attentamente una vecchia copia di un giornale e non pareva essersi accorto della sua presenza. 
"Chi sei. E cosa vuoi."
O forse l'aveva ignorata soltanto.
Kaitlyn avvicinò il volto alle sbarre, sospirando. "Io non sono importante. Sono qui per te," gli rispose, mantenendo la voce bassa. "Ti voglio aiutare."
Finalmente, Sirius la guardò.
E non la riconobbe.
La giovane Black sentì il cuore lacerarsi sotto quell'occhiata diffidente, prima di rendersi conto che la Pozione Polisucco era ancora in azione. E che, comunque, lui non la vedeva da anni.
"Ho pochi minuti," mormorò e lo vide sorridere, accennando ad una battuta sul fatto che, invece, lui aveva tutto il tempo del mondo. Era il fantasma dell'uomo che era stato, ma rimaneva pur sempre suo padre. Kait sentì il petto gonfiarsi di un'emozione indefinita, che le accelerò i battiti e le fece tremare le mani.
"Voglio portarti fuori di qui," disse. "E so come fare."
"A sì? Questa è nuova," borbottò lui.
"Oh, ti prego! So come puoi uscire da questo lurido posto. Devi trasformarti."
Sirius si sporse in avanti, improvvisamente serio. "Come..."
"Non ha importanza. I Dissennatori non riescono bene ad identificare le emozioni degli animali, avresti un enorme vantaggio. Quando aprono la porta, domattina," e indicò con un gesto della testa quelle stesse sbarre a cui si era aggrappata con forza anni prima, "tu sgattaioli via in forma di cane. Nuoti fino alla terra ferma e poi corri."
Kait sorrise, mentre Sirius la guardava incredulo. "A due isolati di distanza troverai una moto. Due isolati, va bene? Accanto alla moto c'è un cespuglio: lì nascosto c'è un borsone con dei vestiti, dei soldi e la chiave della moto. Cambiati, prendi il borsone e scappa. Non voltarti indietro e, per tutti i Fondatori, non mi cercare."
Capì subito di aver fatto un passo falso, ma cercò di rimediare. "Non ho bisogno di ringraziamenti," sussurrò. Scosse la testa, mordendosi il labbro. "E... Un'altra cosa. Non andare da tua figlia. Con tutte le probabilità gli Auror la terranno d'occhio ogni secondo, senza mai perderla di vista. Non andare da lei, capito? Non ci andare."
Sirius si guardò le mani lerce, senza rispondere. Quando alzò gli occhi sulla sconosciuta, la vide in piedi, ad osservare un orologio da taschino. "Il mio tempo sta per scadere. Ricorda: al prossimo pasto, scappi come cane. Due isolati, cespuglio e moto. Non venir... Non andare da Helena."
Sorrise, soddisfatta di sé, quindi si voltò e fece per andarsene. "Ehi, aspetta!" La fermò Sirius.
"Come ti chiami?"
"Questo volto appartiene a Maddalena Shepard, ricoverata al San Mungo in un coma irreversibile," mormorò Kait. "Chi sono io non ha importanza... Non per il momento."
Sorrise un'ultima volta, allontanandosi - si sperava per sempre - da quel luogo maledetto.

 

Arrivò a Privet Drive poco tempo dopo. Il sole era fastidiosamente cocente e Kait, i lunghi capelli neri legati in un'alta coda di cavallo, nel tentativo di stare più fresca si faceva aria agitando la mano destra. "Merlino, che caldo," borbottò aumentando l'andatura. Arrivò alla villetta dei Dursley e bussò, un luminoso sorriso stampato sul volto.
Aprì la porta quello che aveva tutta l'aria di essere un maiale biondo e sudaticcio - si rendeva conto di non essere gentile, ma nella sua mente si sentiva in diritto di, beh... Fare la stronza. Il ragazzo, che a rigor di logica doveva essere Dudley, il cugino di Harry, la guardava con tanto d'occhi. Mancava solo la bava alla bocca.
"Diddy, chi è?" domandò una donna dalla faccia cavallina, avvicinandosi alla porta. Squadrò Kait con un gioioso interesse, sorridendo. "È una tua amichetta, Dudley?" 
Kait si morse il labbro, trattenendo la risata di schermo che era nata spontanea. "In realtà, signora Dursley, sto cercando Harry."
La donna cambiò immediatamente espressione. Seria come prima era stata felice, osservò la nuova arrivata in modo tutto nuovo, soffermandosi sulla maglietta bianca senza maniche, da cui si intravedeva il reggiseno nero e che lasciava scoperta una striscia di pancia sotto l'ombelico, e stringendo le labbra di fronte ai jeans, forse un po' troppo corti. "Non è qui," dichiarò la Babbana, sdegnosa.
La porta di chiuse con un tonfo.
Kaitlyn, che non era abituata a ricevere porte in faccia, si allontanò dalla villetta, indignata. Sbuffando, si diresse verso la parte opposta rispetto a quella da cui era venuta. Il caldo cominciava a risultare davvero fastidioso, così la Black si diresse verso un parco giochi deserto, sperando di trovare un posto dove sedersi per pensare alla prossima mossa. Si sistemò su un'altalena e si spinse svogliatamente con i piedi. "Harry, Harry, Harry..." borbottò.
"Kait, Kait, Kait..." rispose il ragazzo, arrivandole alle spalle. La giovane scattò in piedi e si voltò. Potter era lì e la fissava, le mani in tasca e l'espressione felice. "Sei qui. Non-non posso crederci," sussurrò. Kaitlyn annuì e lo abbracciò di slancio, stringendolo forte e ignorandone il sudore. I due si tennero l'un l'altro, sorridendo contenti. 
"Mi sei mancato," disse lei, alzando la testa per guardarlo negli occhi. Nonostante rimanesse più bassa di lui di più di una spanna, quell'estate si era sviluppata molto. Avrebbe compiuto quattordici anni a settembre, ma sembrava decisamente più grande, un po' per l'espressione maliziosa che possedeva da quand'era bambina, un po' per le curve, comparse non troppo tempo prima. Anche Harry, però, era cresciuto, perdendo una parte dei suoi lineamenti fanciulleschi.
"Anche tu mi sei mancata, davvero tanto." sospirò. "Che fai qui?" continuò, trascinandola a sedersi sull'altalena. "Beh, sai, domani ho alcuni impegni," spiegò Kait, pensando ai lunghi interrogatori che avrebbe dovuto sopportare una volta che Sirius Black fosse fuggito. "Quindi ho pensato di stare qui oggi e poi a mezzanotte festeggiare con te."
"Sei la migliore, lo sai?" sorrise Harry e la giovane annuì, ridacchiando. "Perciò... ci stai?" 
Potter squadrò l'amica per qualche secondo, prima di alzarsi in piedi ed esclamare "E me lo chiedi?".

 

Era stata una giornata stupenda. Nonostante il caldo quasi soffocante, si erano divertiti parecchio, prima girovagando senza meta per le strade della cittadina, ridendo e spingendosi giocosamente, e poi infilandosi in una villetta, i cui proprietari erano in vacanza. "Kait!" la riprese Harry, cercando di fermarla prima che scavalcasse la recinzione. "È proprietà privata!" 
"E allora? Dai, ho caldo!"
A nulla valsero le proteste del ragazzo, perché la Black saltò lo steccato e attraversò il giardino, sparendo dietro la casa. Quando Potter la raggiunse rimase pietrificato. La sua migliore amica, infatti, era senza maglietta e sembrava intenzionata a togliersi anche i pantaloncini, rimanendo in intimo. 
"Che fai?!" esclamò il Grifondoro, arrossendo e voltandosi di scatto. Udì un rumore di spruzzi e una risata, quindi si convinse a girarsi a guardare. Kaitlyn si era tuffata nella piscina dei signori Smith e si stava godendo il bagno rinfrescante. "Dai, muoviti!" lo esortò. 
È la mia migliore amica, pensò Harry, afferrando la t-shirt e sfilandosela da sopra la testa. Non c'è niente di male.
Niente di male, niente di male. 
Si tolse anche scarpe, calze, jeans e occhiali. Niente di male.
Si tuffò a sua volta in piscina e abbracciò Kait, prima di ridere e trascinarla sott'acqua.
Niente di male... Ma, anche se lo fosse stato, Harry pensò che non gli sarebbe interessato poi tanto.

 

Era ormai sera inoltrata quando tornarono a casa. Per cena avevano comprato delle pizze di dubbia qualità e le avevano mangiate seduti su un muretto, parlando di tutto e di niente, come non facevano da tempo. Erano le undici e mezza quando Harry spiegò di dover rientrare ed erano le undici e mezza quando Kait accettò di seguirlo al numero 4 di Privet Drive. Salì le scale di nascosto, mentre Potter distraeva i parenti e successivamente si congedava per la notte.
"Andarmene sarà un'impresa," sussurrò la Black quando furono entrambi chiusi in camera. Sbirciò la finestra e calcolò il salto che avrebbe dovuto affrontare. "Se vuoi..." borbottò il ragazzo, imbarazzato, "se vuoi puoi dormire qui. Ehm... Se i Dursley non ti vedono, direi che non ci sono problemi. Io sto per terra e tu prendi il letto."
Kaitlyn accettò e rimasero lì, a parlare di Hogwarts, - "Fidati, Harry, il nuovo professore di Difesa ti piacerà un sacco" - di Edwige, che ancora non era tornata, e del futuro in generale. "Da piccola volevo fare la ballerina," spiegò la purosangue. Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto la fissò, stupito e divertito al tempo stesso. "Non guardarmi così, ero piccola! Poi, beh, c'è stato l'inciden-l'attacco e ho cambiato idea. Però, sì, nella vita avrei voluto solo e soltanto danzare."
"Balla con me, allora," propose Harry. All'espressione incredula della giovane, Potter si alzò e le fece fare lo stesso. Azionò lo stereo e la musica si diffuse nell'ambiente, nonostante il volume fosse basso. Kait rise e cominciò a muoversi a tempo, senza badare molto alla persona che la stava osservando. "Vieni, dai."
Allungò una mano e il Grifondoro la afferrò, avvicinandosi e azzardando qualche passo - a essere sinceri, faceva pena. Il suo senso del ritmo lasciava davvero a desiderare, ma la Black non giudicò. 
Sebbene ad un certo punto si fossero scontrati e solo la prontezza di riflessi da Cercatore di Harry avesse evitato loro una dolorosa caduta, si divertirono molto. Si fermarono dopo alcune canzoni e Kaitlyn si appoggiò al petto dell'altro, sospirando felice. "Sei davvero brava," le fece i complimenti il ragazzo, sentendosi inadeguato come poche volte in vita sua. 
"Grazie," sorrise la purosangue. Avvicinò il viso a quello del giovane e accostò le labbra al suo orecchio. "Buon compleanno," mormorò, mentre la sveglia sul comodino segnava lo scoccare della mezzanotte. 
Un'ombra dalla forma strana coprì i loro volti, così i due guardarono verso la finestra, da cui Edwige, Errol e un messaggero di Hogwarts fecero la loro entrata. Passarono i successivi minuti a leggere le lettere e a scartare i regali, a cui Kait aggiunse il suo. Harry era davvero entusiasta e stupito; si guardava attorno come se qualcuno avesse potuto togliergli tutto da un momento all'altro, come se non si fosse meritato tanta attenzione da parte dei suoi amici. La Black lo trovò molto tenero. 
Era l'una passata quando smisero di parlare e decisero di sistemarsi per la notte. Il Grifondoro si distese per terra e l'Unità, nonostante si sentisse in colpa a lasciare l'amico nella scomodità, prese possesso del letto. In qualche tempo, in cui entrambi erano stati in silenzio, a pensare alla giornata trascorsa, Potter sentì le palpebre appesantirsi. Dopo qualche movimento per cercare di trovare una posizione più comoda, chiuse gli occhi e si abbandonò al mondo dei sogni.
"Harry?"
Kaitlyn lo riportò bruscamente alla realtà. "Dimmi," sussurrò, la voce impastata dal sonno. "Prenditi il letto, non è giusto che dorma per terra."
"E tu?"
La purosangue arrossì e ringraziò Merlino che non ci fosse abbastanza luce perché l'altro la vedesse. "Beh, a Hogwarts dormivamo spesso insieme," borbottò. Udì il fruscio di un lenzuolo che veniva spostato, poi il letto cigolò e il materasso si abbassò leggermente. Sebbene il ragazzo non la stesse toccando, la giovane percepiva il suo calore corporeo.
Poteva davvero dire addio al sonno, a quel punto.
Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto grugnì e si voltò su un fianco, alzando il braccio destro e circondando la vita di Kait, che trasse a sé. "Dormi bene," le augurò.
La ragazza chiuse gli occhi.
Entrambi sorrisero.

 

 

 

 

 

 

 



Ciao.
Questo capitolo è più lungo del solito, ma ho preferito evitare di tagliarlo perché 1) non mi piaceva come veniva fuori, 2) vi ho fatto aspettare talmente tanto che almeno vi godete qualche pagina in più.
Spero che la storia non stia cadendo nel banale - ho in mente tante di quelle cose, per questo anno scolastico!
Ad ogni modo, volevo scusarmi per queste lunghe assenze che continuo a fare. Spero riusciate a perdonarmi.
E, vi prego, lasciatemi un commentino. Per voi sono solo pochi minuti spesi, per me sono davvero importanti, mi danno la voglia di continuare, mi aiutano a migliorare e farmi forza. 

Cosa devo dire, ancora? 
Ah già. La storia della moto... Come credo ricorderete, quando Sirius scappa da Azkaban, nei libri, rimane nascosto sotto forma di cane per mesi. Ho pensato che Kait potesse aver pensato, orchestrato la sua fuga in modo diverso... E magari Sirius semplicemente non l'ha ascoltata.
Per quanto riguarda Moody, beh... Considerato che dovrebbe essere già da tempo in pensione e che rimaneva in "servizio" solo per allenare Kait e Jackson, ho pensato che la partenza di quest'ultimo potesse avergli fatto capire che è ora di ritirarsi. Anche perché - ai suoi occhi - non avrebbe molto senso tenere una palestra per allenare solo una persona.
Poi... Sirius tiene in mano un foglio di giornale, non so se l'avete notato. Ricordate? Il Ministro era andato ad Azkaban in visita e Felpato gli aveva chiesto se poteva avere la Gazzetta, dove vede Peter Minus sulla spalla di Ron.
Tra Kait e Harry le cose cominciano a complicarsi. Stanno entrambi crescendo - qui mi sono basata più sui film che sui libri, considerata la differenza tra Daniel Radcliffe nel primo-secondo film e nel terzo...


Bene, direi che ho detto tutto o quasi, perciò... al prossimo capitolo!

Dea

 

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Capitolo 43
*** Innocenza ***


Innocenza

 

Caro Jackson,
scrivo questa lettera nel tentativo di sentirmi meglio. Qui è tutto uno schifo - tu non ci sei, io non posso uscire di casa senza essere seguita dagli Auror, i miei gufi vengono costantemente controllati e non riesco a parlare da sola con Remus da una vita. Un vero schifo. 
Anche perché non riesco a superare l'orgoglio e scriverti una vera lettera - sì, ho fatto una ripetizione. No, non me ne frega niente. 
Sei in America. Moody mi ha dato il tuo indirizzo secoli fa, sai? Ma perché dovrei voler parlare con te? Eri il mio migliore amico, un tempo. Ora sei solo un altro ricordo doloroso della mia mente.
Che schifo.
Ho liberato mio padre. Aha, questo ti lascerebbe davvero stupito, ne sono sicura. Saresti comunque al mio fianco, però, vero? Sei sempre stato pronto a spalleggiarmi. 
Gli ho detto di non cercarmi... Quindi non dovrebbe farmi male il fatto che non si è ancora intrufolato in casa per vedere la sua adorata figlioletta, giusto? Ah, sono patetica. Patetica e stupida. È meglio che non venga. Molto meglio.
Lo riporterebbero ad Azkaban immediatamente.
Qualche giorno fa un Auror mi ha spinto malamente contro un muro e mi ha tenuta ferma là. Mi ha interrogata per un'ora. Era tutto un "Cosa hai fatto ieri?" e "Di' la verità, sei stata tu?".
E poi è arrivato Moody.
È entrato come una furia e ha allontanato quell'idiota del Ministero da me. Dovevi vedere come gli ha sbraitato contro, sembrava che potesse lanciargli una maledizione da un momento all'altro. Mi ha spostata con un braccio e mi ha messa dietro di lui. 
Mi ha protetta, capisci?
Ho sempre saputo di non essere la sua preferita. Insomma, tu rimarrai sempre il suo figlioccio, il suo "super soldato"... Ma mi ha protetta. Ha costretto gli Auror a lasciarmi in pace... Poi mi ha chiesto se avevo qualcosa da dirgli. Basta, niente di più. Qualcosa tipo “Innocente fino a prova contraria” e intanto gli basta la mia versione dei fatti.
Se sapesse la verità, cosa direbbe?
Credevo di essere abituata a deludere le persone, ormai, ma forse mi sbagliavo.
Non vorrà avere più niente a che fare con me.

 

Kait chiuse gli occhi per qualche secondo, sopraffatta dal senso di colpa e dal desiderio di poter rivelare al maestro il reale svolgimento dei fatti. Dalla penna colò una grossa goccia di inchiostro, che macchiò la pergamena come una triste lacrima nera. Afferrata una candela accesa, la Black bruciò un angolo della lettera e lasciò che il fuoco si espandesse e completasse l'opera, portando via quelle parole troppo pericolose e sincere, lasciandone solo cenere. 
"Nessuno dovrà sapere la verità," sussurrò, la voce rotta ma gli occhi asciutti. "Nessuno," continuò, "mai."
"Kait?" chiamò una voce femminile molto familiare. La porta si aprì, Ninfadora Tonks fece il suo ingresso nella stanza e... Inciampò nel tappeto. Si rialzò in un istante, borbottando sul fatto che le accadeva almeno una volta al giorno. Ridendo, Kaitlyn la invitò ad accomodarsi. "Ciao, Tonks," disse nel tentativo di sembrare rilassata.
"Ciao cuginetta," rispose la ragazza dai capelli colorati, mentre con la dovuta cautela di sedeva sul letto. Sorrise soddisfatta quando non cadde e non ruppe niente. "A cosa devo questa visita?"
Tonks abbassò lo sguardo e Kait si morse il labbro, in attesa. Erano piuttosto simili, loro due, ma ciò nonostante - o forse proprio per questo motivo - le differenze sembravano risaltare. Erano originarie della stessa famiglia, entrambe figlie di un Black rinnegato e entrambe con il desiderio di diventare Auror. Ma mentre una era elegante e raffinata, l'altra non era nemmeno in grado di rimanere ferma senza far danni. 
Una era macchiata dall’oscurità, l’altra era completamente innocente.
I suoi ragionamenti furono bruscamente interrotti da Tonks, che si sporse in avanti con il busto e le afferrò una mano. "Mi dispiace per tutto questo," le sussurrò, un sorriso triste sul volto. "Non dev'essere facile, insomma... Sì, beh..."
Il problema di comunicazione doveva essere un segno distintivo dei Black.
La purosangue alzò una mano, interrompendo i penosi tentativi dell'altra e causandole un sospiro di sollievo. "Non era necessario, Tonks, davvero, ma apprezzo il tuo... Ehm... Discorso."
Decisamente era un problema dei Black.
La metaphormagus sorrise e si alzò, abbracciando la cugina e infilandosi nel frattempo una mano in tasca. "Ti ho portato questo," le disse porgendole un album. "È uno dei miei gruppi rock preferiti, sono sicura che piacerà anche a te."
Si diresse verso la porta e, dopo essere inciampata e aver quasi rotto una lampada, salutò la tredicenne con un sorriso.
"Un'ultima cosa!" esclamò Tonks arrossendo. "Giusto per sapere, quanti anni ha il tuo padrino?"
"Perché ti interessa?" indagò Kait con un ghigno. 
L'altra si guardò con intensità le scarpe, prima di borbottare precipitosamente un "Fa niente!" e dileguarsi, la risata di Kaitlyn impressa quasi a fuoco nella mente. La suddetta risata si spense qualche istante dopo e la giovane si alzò per andare a stendersi sul letto. 
Era sempre stata convinta dell’innocenza del padre, ma cominciava a domandarsi se non parlare dei suoi piani per farlo evadere fosse stata una buona idea. Da un lato era meglio così, - non intendeva di certo finire ad Azkaban! - eppure c’era sempre una parte di lei pronta a correre da Lupin per chiedere un consiglio sulla mossa successiva. 
Cosa fare, dunque?

~

Remus sedeva in cucina, i gomiti sul tavolo e le mani a sostenere la testa. Leggeva il giornale, con quegli occhi a fissarlo dalla carta; quell'uomo si dimenava e urlava, e le catene venivano tirate in cerca di libertà. Una libertà che alla fine lui si era preso comunque.
"E' innocente." 
La voce della tredicenne arrivò chiara alle orecchie del padrino, il quale però decise di fare finta di niente ed ignorare la ragazzina che aveva preso con sé quando aveva soltanto cinque anni. "Mi hai sentito, zio?" domandò sarcastica Kaitlyn, incurante del dolore del tutore, attaccandolo per difendersi dallo sguardo che aveva colto sul suo viso giusto un minuto prima. "E' innocente, sono contenta che sia riuscito a scappare," continuò avvicinandosi alla sedia su cui lui era seduto.
Remus alzò lo sguardo, incrociando quello dell'Unità delle Case. Sembrava... Arrabbiata e ferita, anche se non erano i termini adatti da utilizzare in quel caso. Sembrava... Sirius.
Kait aveva quell'espressione strafottente che celava il dolore provato, quell'espressione che Lupin aveva visto spessissimo sul volto dell'amico Malandrino. Con il passare del tempo la giovane era diventata sempre più come lui. E se in passato Remus avrebbe guardato la cosa con un sorriso, ora il sorriso si era spento. Il licantropo si alzò stancamente, piegando il giornale così da non essere costretto a guardare quel viso imbruttito dalla sporcizia, dalla scarsa nutrizione e dal dolore. Quel viso così familiare e allo stesso tempo così lontano.
Kait prese la Gazzetta del Profeta e fissò con espressione disperata la persona in primo piano. "Perché non lo riesci a credere innocente? E' così difficile?" chiese con voce roca la Black. "Davvero, è così difficile?" ripeté e al padrino parve di sentire un tentennamento nella giovane. Remus sospirò, prendendo un bicchierino da alcool dalla credenza. 
"Tu non lo conoscevi, Kaitlyn," mormorò quasi senza voce l'uomo, fissando la figlioccia negli occhi e appoggiandosi alla sedia. Alla risposta della ragazzina, strinse talmente forte la sedia di legno che le nocche gli divennero bianche. "Perché, tu si?"
"La persona che conoscevi avrebbe mai tradito suo fratello? L'avrebbe mai fatto? Avrebbe mai tradito James  e Lily Potter?!" 
La voce della tredicenne era salita di due ottave all'ultima frase, ma lei sembrò non accorgersene, tanto era presa a scrutare il padrino. Questo la fissava, senza sapere cosa dire. Prese una bottiglia di Vodka e ne versò nel bicchierino, fino a riempirlo tutto. "Come fai a essere così convinta della sua innocenza? Come fai a crederci ciecamente?" chiese allora Remus, con reale curiosità. Perché davvero, davvero non riusciva a capire. "Mamma ne era convinta. Mamma credeva che lui fosse stato incastrato. E io le credo. Ho creduto a mia madre e ora credo in mio padre. Perché sono una buona figlia e perché lui è l’ultima persona che mi resta.”
Si morse il labbro, incredula per le sue stesse parole. “Tu e lui, intendo...” cercò di rimediare. “Voi due siete ciò che mi rimane. Per questo io credo all'innocenza di Sirius Black. Perché mia madre ci credeva, me l'ha assicurato e non mi ha mai mentito. Mai, su niente," prese fiato. Se solo avesse saputo la verità su Gillian Gilbert, pensò Remus costringendosi però a tacere. “Io le credo, zio. Credo a lei e credo all’innocenza di mio padre, e mi aggrapperò a tutto questo con ogni fibra del mio essere, perché è il mio papà e non lo abbraccio da anni. E quindi ci credo e mi ci aggrappo e difendo la mia opinione come qualunque Black farebbe, ovvero con le unghie e con i denti. Ma tu non puoi capire."
Poi, con gli occhi lucidi e i capelli a coprirle quasi la metà del viso, tornò in camera sua, da dove era uscita cinque minuti e una discussione prima. 
Remus invece rimase immobile in cucina. Con un fluido gesto bevve l'intero contenuto del bicchiere; la Vodka gli bruciò la gola e gli fece socchiudere gli occhi. Sbatté il bicchierino vuoto sul tavolo e si avvicinò all'ingresso, dove prese il portafoglio e le chiavi, stizzito e abbacchiato. Uscì di casa e si allontanò in fretta, dopo un veloce gesto della testa diretto ai due Auror di servizio, la pioggia che bagnava il suo volto scoperto. Le gocce si confusero con le lacrime, lacrime che avevano faticato tanto a scendere e che adesso cadevano copiose sul viso. 

Quando, a notte fonda, Remus tornò a casa, chiuse la porta lentamente, facendo meno rumore possibile. Si passò una mano sul volto, cercando inutilmente di togliere il bagnato - i capelli gli gocciolavano sugli occhi e il licantropo non resistette: fece una magia e si asciugò. Si tolse le scarpe e fece le scale in punta di piedi. Socchiuse leggermente la porta della camera della sua figlioccia e la luce illuminò parzialmente la stanza. Il letto era fatto, ordinato e senza grinze. Sulla scrivania, come al solito piena di fogli, spiccava uno spartito, mezzo scritto. Lupin sapeva che Kaitlyn adorava la musica e, sebbene odiasse farlo, cantava anche piuttosto bene, ma da quando scriveva canzoni? Da ciò che lesse, Remus capì che non era completa. 
Ancor più triste e con ancor più sensi di colpa di prima, vide una coperta rossa sul davanzale, la coperta che Kait aveva da quando era bambina, ancor prima che il tribunale l’affidasse a lui. Era spiegazzata e il licantropo capì immediatamente che per un po' di tempo la figlioccia c'era stata seduta sopra. 
La camera, comunque, era vuota. Remus controllò anche in bagno e in seguito in tutta la casa. 
Di Kait nessuna traccia.

~

Harry, Ron,
scrivo a entrambi la stessa lettera, spero non vi dispiaccia. Come state? I miei genitori ed io siamo rientrati da poco dalle vacanze e... Oh, insomma, chi voglio prendere in giro? Niente di questo ha importanza!
Parliamo di Kait! Ho visto al telegiornale e ho letto sulla Gazzetta a proposito del signor Black. È evaso da Azkaban, ci credete?! Nessuno ci era mai riuscito.
Mi chiedo come se la stia cavando Kait... Riesco a malapena ad immaginare come si debba sentire.  Ho saputo che non la perdono d’occhio un secondo per paura che si incontri con suo padre. Non lo farebbe mai, comunque... vero? Insomma, che senso avrebbe? Black non ha possibilità, lo riprenderanno subito. Mi auguro che Kait sappia di dover rimanere fuori da questa storia.
Stavo pensando che potremmo incontrarci tutti a Diagon Alley, magari la aiutiamo un po’...
Fatemi sapere al più presto,

Hermione

 

 








Note:
Sì, sono in ritardo - che novità, eh? 
Non avete idea di quanto mi senta in colpa :/
Però eccomi qui, con un capitolo un po' difficile da scrivere. Il prossimo è già in preparazione, spero solo che non mi torni il blocco.
Che dire di "Innocente"? Il discorso di Kait sul credere a sua madre ecc... Spero di essere riuscita a rendere i suoi sentimenti, mi sono impegnata per differenziare leggermente il suo modo di parlare rispetto al solito...
Ad ogni modo credo che già dal prossimo capitolo i ragazzi torneranno a scuola :)

Vorrei ringraziare tutte le persone che leggono, che hanno messo questa storia tra le ricordate, le seguite e tra le preferite, siete davvero grandiosi. Ringrazio soprattutto chi impiega quei pochi minuti - che mi migliorano la giornata - per commentare.
A voi non cambia molto, a me tantissimo.

Spero di postare tra non troppo tempo :)

Un bacio grande,
Dea

 

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Capitolo 44
*** Criminale ***



Criminale

 

Remus controllò anche in bagno e in seguito in tutta la casa. 
Di Kait nessuna traccia.


Un uomo si svegliò di soprassalto, la bacchetta già pronta in una mano. Sospirò stancamente quando capì che non era stato altro che un costante bussare ad averlo strappato al sonno. Infilò la vestaglia e zoppicò fino alla porta, imprecando. 
Era ancora notte fonda, eppure qualcuno continuava a battere forte sul portone d’ingresso, incurante dell’ora e delle buone maniere.
Con la bacchetta tenuta alta davanti a lui e l’occhio finto a guardare dietro di sé, Moody aprì la porta di qualche centimetro, per poi spalancarla velocemente quando si rese conto della persona che aveva davanti.
“Malocchio,” sussurrò Kaitlyn, bagnata fino all’osso e stremata a causa dei suoi stessi pensieri. Aveva la mente che, sebbene fosse notte, lavorava a mille. Nonostante lo stupore, l’uomo fece spazio per farla entrare in casa e richiuse la porta. “I-io... Non sapevo dove andare, perdonami.”
Moody la fissò in silenzio ancora per qualche istante, poi grugnì qualcosa di indefinito. “Lupin sa che sei qui?”
L’allieva scosse la testa in modo quasi impercettibile. “Come hai fatto ad uscire di casa? Gli Auror di guardia?”
“Mi hai allenata tu,” gli fece presente Kait. “Non si sono accorti di niente.”
Alastor sogghignò, costringendola con una mano ad avviarsi per il corridoio. “Maledetti bastardi incapaci.”
“Senti...” cominciò Kaitlyn a quel punto. “Va’ a dormire, Black. Ora avviso il tuo padrino che sei qui, così che non prenda un infarto. Poi parlo con gli Auror di guardia.”
Detto questo le indicò la camera degli ospiti. “Ci sono dei vestiti asciutti nel primo cassetto dell’armadio.”
Con le palpebre che si appesantivano sempre di più secondo dopo secondo, la ragazza annuì e fece per congedarsi per la notte. “Signore,” lo chiamò un’ultima volta. “Io... Grazie. Avevo bisogno di... Non lo so nemmeno. Comunque grazie, signore.”
“Va’ a dormire, Black. Per parlare avrai tempo domani.”
Kait annuì, sebbene dentro di sé sentisse di essersi giocata tutto il futuro per cui aveva a lungo lavorato.

 

Remus abbozzò un sorriso, ringraziando Alastor e accompagnandolo alla porta, che richiuse dopo averlo fatto uscire. Si voltò verso la figlioccia, senza sapere se essere arrabbiato, dispiaciuto o soltanto deluso. "Sei scappata come una bambina," mormorò dopo qualche secondo di silenzio. Kait incrociò le braccia al petto, distogliendo lo sguardo. Quel giorno sembrava più grande, come se durante la notte avesse acquisito maturità. "Non lo sono," rispose. Lupin emise uno sbuffo divertito e la ragazza si tese contro la parete, digrignando i denti. "Non hai nemmeno quattordici anni e cerchi di atteggiarti come se ne avessi diciassette," le rimproverò. Si sedette sul divano e fece cenno alla figlioccia di imitarlo. Dopo qualche secondo, Kait eseguì.
"Mi dispiace, mi sono comportato in modo deplorevole," cominciò Remus. "Ma non voglio più doverti cercare per tutta la città nel bel mezzo della notte, chiaro?!"
La Black annuì, abbassando la testa in modo che i capelli le coprissero parzialmente il viso, nascondendola alla vista dell'altro.
"So che non è una situazione facile, per te," mormorò Lupin sfiorandole una spalla con un dito. "Io sono dalla tua parte, ricordatelo sempre."
Poi si alzò per recuperare la posta, precedentemente controllata dagli Auror di pattuglia. "Credo che i tuoi amici siano preoccupati per te," le disse porgendole due buste. La Black le afferrò senza nemmeno guardare.
"Dovresti rispondere, almeno per..." 
"Deciderò io cosa fare."
E dopo questa fredda risposta, Kait si alzò e si diresse verso camera sua. 
"Se prima tutti erano disposti a dimenticare il mio cognome, stai pur certo che ora le cose cambieranno. E non ho voglia di parlarne con nessuno, al momento."
Remus, rimasto in salotto, crollò sul divano e si prese la testa tra le mani, sfinito. Nella testa, i ricordi di una vita ormai lontana tornarono prepotenti.


"Abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di quei bambini."
La voce di Silente ruppe il silenzio doloroso che si era formato da diversi minuti. Era quasi impossibile pensare che solo il giorno prima Voldemort fosse caduto e che Lily e James, amati da tutti i membri dell'Ordine, fossero davvero morti. Era ancora più difficile credere al tradimento di Sirius, così orribile ed evidente, e alla coraggiosa - e ultima - battaglia ingaggiata da Peter.
Era la fine di un mondo a loro familiare, un mondo complicato, ma in cui avevano imparato a muoversi.
Era l'inizio di un mondo nuovo, di pace e ricordi stipati in angoli remoti della mente.
"C'è qualche volontario?"
"I figli di... Di Black?" ebbe il fegato di domandare Emmeline Vance, le mani che stringevano un fazzoletto di stoffa con forza tale da rendere le nocche bianche. Silente annuì lentamente. "Andromeda Tonks li ha in custodia fino a domattina," spiegò.
"Che se li prenda!" mormorò qualcuno. "Ha già una figlia, no?" chiese un altro.
"Non ha intenzione di adottare quei bambini."
Remus non notò il cambiamento nel tono di voce del preside, ma Gillian sì. Per la prima volta dall'inizio della riunione trovò la forza di alzare lo sguardo e di asciugarsi le lacrime. "No?" ripeté in un sussurro. "Beh, certo," rispose la Vance, il rancore ad inasprire la voce. "Chi vorrebbe farsi carico dei figli di un assassino?! Tre, poi!"
"E con questo?!" sbottò Gillian. "Pensi davvero che c'entrino qualcosa? Sono bambini, per la miseria! Non criminali!"
"Cattivo sangue non mente."
La Gilbert sbiancò. 
"I figli non scelgono il padre!" gridò scattando in piedi. Tutti la fissarono, la pena nei loro occhi rossi di pianto. 
"Sappiamo che..."
"Voi non sapete niente! Niente! Vi siete dimenticati chi era, chi è la loro madre? Volete davvero abbandonare i suoi bambini?!"
Tutti tacquero, la vergogna dipinta sul volto. Purtroppo, però, nessuno fiatò. Erano figli della loro vecchia amica e compagna, era vero, ma erano anche gli eredi di un traditore assassino, un criminale. E questo superava tutto il resto. 
"Remus?" 
Il mannaro sentì su di sé lo sguardo di Gillian, uno sguardo che chiedeva aiuto, comprensione, che chiedeva forza e sostentamento. Uno sguardo che non fu ricambiato.
"Sono solo bambini," sussurrò la donna, sconfitta. "Non hanno scelto la famiglia in cui nascere, né il nome che si ritrovano."
Remus chiuse gli occhi, sopraffatto dal dolore e dai volti dei suoi migliori amici, che imperterriti sfilavano di fronte al suo sguardo, quasi come se la sua mente si divertisse a farlo soffrire. Gillian, intanto, continuava a parlare.
"Porteranno il peso del loro cognome per tutta la vita, non se ne libereranno mai, mai! E voi li giudicate... Mi prenderò io cura di loro. Perché, diversamente da voi, non sono ipocrita - e del sangue me ne frego davvero."
Afferrò la giacca con un gesto secco e se la infilò rabbiosamente.
"Per tutta la vita," ripeté, dunque si voltò e uscì dalla stanza.
L'Ordine si sciolse.

 

Kait sospirò, buttandosi sul letto con poca grazia, i capelli che formavano una macchia scura sul lenzuolo celeste. Si passò le mani sul viso e il movimento le alzò la maglietta di qualche centimetro, lasciando la pancia nuda.
Si sentiva completamente persa.
Credeva di aver preso la decisione giusta, aiutando il padre, ma una parte di lei avrebbe preferito continuare con la vita di sempre, con quelle poche certezze su cui si era fatta forza per tutta la vita.
"Cosa darei per un abbraccio della mamma," sussurrò a mezza voce, vergognandosi il secondo dopo. Non era tipo da piangersi addosso, lei, non lo era mai stata e non avrebbe cominciato proprio quel giorno.
Si passò distrattamente la mano sul ventre, disegnando ghirigori immaginari che proseguirono sul petto e sulle spalle. Si fermò quando si rese conto di essere coperta da brividi; con un gesto secco abbassò il braccio, stizzita più di prima. Afferrò le lettere dei suoi migliori amici e scelse di aprire quella di Harry, dalla quale scoprì della fuga dell'amico. 
La seconda missiva, mandata da Hermione, non era altro che un invito a vedersi tutti e quattro a Diagon Alley. Kait si alzò dal letto con un gesto fluido, poi si diresse verso la scrivania e afferrò una piuma e una pergamena. Rifiutò la proposta, provando in tutti i modi ad essere il più gentile possibile.
Tanto, per quanto le interessava...
Affidò la lettera allo stesso gufo che aveva utilizzato Hermione, quindi si passò le mani tra i capelli, sconsolata. Che schifo, pensò buttandosi nuovamente sul letto, un braccio a farle da cuscino e l'altro che tornava a disegnare ghirigori immaginari sulla pelle vulnerabile del ventre e del petto.
Vulnerabile.
Ripeté quella parola un paio di volte, prima di decidere che sì, le faceva decisamente schifo - come tutto in quel periodo, del resto.
La verità verrà a galla, si disse. E, quando accadrà, io finirò ad Azkaban. Come i criminali. Rabbrividì per i suoi stessi pensieri, incapace di costringere la sua mente al silenzio.
"Azkaban."
Meglio la morte, decretò, e si perse a pensare a come avrebbe preferito morire, se avesse potuto scegliere.

 

"Voglio parlare con lei!" sbottò il ragazzo, le mani ad arruffare i capelli e l'espressione impaziente. "Ti ho letto la sua risposta, Harry: non vuole!"
"E a te sta bene?!" furono le parole che ottenne Hermione. "Forse dovremmo solo lasciarla sbollire un po'," propose Ron abbassando lo sguardo. "Non dev'essere facile. Fossi in lei avrei più di qualche pensiero all'idea di tornare a scuola," continuò. Poi abbassò la voce e si sporse in avanti, come sul punto di rivelare un segreto. "Non tutti saranno comprensivi, ve lo dico io."
"È l'Unità delle Case, Ronald, ed è amata da praticamente tutti. Nessuno la tratterà male. Temo piuttosto che la guarderanno con pena," disse la Granger. "Chissà come potrebbe reagire..." 
Harry si lasciò cadere sul letto della sua camera al Paiolo Magico, sospirando. "Spero solo che riesca a mantenere la calma e a non fare niente di stupido," mormorò, poi chiuse gli occhi e si costrinse a smettere di pensare, mentre i suoi amici, non visti, si lanciavano uno sguardo preoccupato.


 












Ecco qui il capitolo. È un po' più corto del solito, ma spero vi piaccia ugualmente :)
Ringrazio chi ha commentato lo scorso capitolo, mi ha fatto molto piacere leggere le vostre parole. Ringrazio anche chi segue in silenzio.

Dea
 
 

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Capitolo 45
*** Ritorno a scuola ***


Ritorno a scuola

 

Kait aveva sempre avuto l'abitudine di curare ogni minimo dettaglio. Quella mattina non era diversa; per questo - e per un orgoglio più forte di quanto gli altri pensassero - la Black aveva preferito svegliarsi un po' prima del necessario per potersi preparare al meglio. Quel giorno avrebbe dovuto prendere l'Espresso per Hogwarts, camminare sotto gli occhi di tutti e comportarsi come se, durante l'estate, niente fosse accaduto. Kait non si sarebbe fatta scoraggiare dagli sguardi dei compagni; avrebbe proceduto a testa alta, senza alcun timore. 
"Tesoro, sei pronta?" domandò Remus affacciandosi nella camera attraverso la porta aperta. "Sì, arrivo."
I due scesero con calma le scale, i bauli che fluttuavano alle loro spalle. Due Auror scortarono padrino e figlioccia fino alla stazione, dove li lasciarono. "Sirius Black non si farebbe mai vivo, con tutta questa gente pronta a riconoscerlo," sostennero. Poi chinarono velocemente la testa e, con un ultimo sorriso all'indirizzo di Kait, si dileguarono.
Il binario era tremendamente affollato; ovunque si voltasse, Kaitlyn notava sguardi curiosi o, peggio, compassionevoli. Tutti bisbigliavano, al suo passaggio, tanto che per un attimo si sentì mancare, i battiti del cuore a mille. Scattò e raggiunse il treno in poche falcate, i commenti della gente a farle da colonna sonora. Si costrinse ad avanzare e sbirciò nei vari scompartimenti, in cerca di Remus, che le si era precedentemente allontanato per sistemare i bauli. Lo trovò quasi subito e, con un sorriso, lo convinse a mettersi comodo e a riposarsi. La luna piena era passata da poco e sul volto del mannaro la stanchezza era evidente. Così Kait si sistemò al suo fianco, mentre lui chiudeva gli occhi e si appoggiava al finestrino. 
"Devo dirvi una cosa," sentì dire la voce di Harry. "Ma prima dobbiamo trovare K... Eccola!" 
Dalla porta ormai aperta fecero capolino tre studenti, che la Black abbracciò di slancio. Si era ripromessa di mantenere la calma e agire in modo freddo e calcolato, senza mostrare agli altri quanto in realtà fosse turbata, ma quelli erano i suoi migliori amici, quindi tutti i suoi propositi andarono alle ortiche. Come poteva fingere, con loro?
"Mi siete mancati," mormorò sul collo di Hermione, mentre una mano stringeva la spalla di Harry e l'altra afferrava il gomito di Ron. La Granger si mosse, senza lasciarla andare, e presto Kait si ritrovò al centro del gruppo, abbracciata da tutti e tre i giovani. "Anche tu," rispose Ron a nome di tutti.
Nessuno fece notare che era stata proprio la Black a rifiutare l'incontro a Diagon Alley e fu meglio così. Si sistemarono sui sedili, mentre l'espressione di Harry si incupiva e lui cominciava a parlare, spiegando cosa aveva accidentalmente origliato dai signori Weasley. 
Kaitlyn abbassò la testa, i gomiti sulle ginocchia e il volto coperto dalle mani, mentre la nausea la sommergeva prepotente. Era di certo un errore... Suo padre non avrebbe mai potuto desiderare di uccidere Harry. Era innocente, un uomo che era stato incastrato e a cui nessuno aveva creduto; per questo Kait lo aveva fatto evadere, perché non era colpevole!
E perché il ministro non aveva pensato che, con "È a Hogwarts!", Sirius si riferisse a lei? Era sua figlia, dannazione! E ora lui era a piede libero...
"Non è colpa tua," sussurrò Harry a quel punto, passandole una mano sulla schiena. "Ha ragione," affermò Hermione e Ron annuì, allungandosi per stringerle un ginocchio.
Solo Kait sapeva che, in realtà, la colpa era veramente sua. 
Come ormai accadeva piuttosto spesso, i suoi pensieri furono interrotti. Stavolta fu a causa di Draco, che entrò nello scompartimento con l'atteggiamento che sfoggiava sempre di fronte ai Grifondoro. Quando vide l'espressione di Kait sobbalzò e le lanciò una lunga occhiata densa di significati. Poi, senza smettere di guardarla, le riservò un cenno del capo e si dileguò, seguito da Tiger e Goyle, come sempre a coprirgli le spalle. Aveva capito di non dover infierire?
Remus si mosse nel sonno - Kait aveva l'impressione che fosse meno profondo di quanto avrebbe dovuto essere - e la ragazza gli sistemò il mantello, in modo da coprirlo meglio. "R. J. Lupin," mormorò Hermione leggendo sul baule. "Il nuovo insegnante di Difesa, immagino."
"Immagini bene," rispose la Black sorridendo malandrina. Ron si sporse in avanti, osservando l'espressione dell'amica. "Sputa il rospo," le disse. 
"È il mio padrino."
La squadrarono stupiti, aspettando di vederla ridere, e quando capirono che era seria ebbero tutti reazioni diverse. Harry si lasciò andare sul sedile, emettendo un fischio, mentre Hermione si morse il labbro, pensosa. Ron fu quello più contento; si perse a descrivere tutti i modi in cui avrebbero potuto farla pagare ai Serpeverde, vendicandosi dei trattamenti di favore che ottenevano sempre da Piton. "Sarà sempre dalla nostra, capite? Un anno fantastico, ve lo dico io."
Sembrava aver dimenticato la minaccia che incombeva su Harry e la precaria situazione di Kaitlyn.
"Al contrario," sbottò Hermione. "Con tutte le probabilità conosce Kait talmente bene che sarà in grado di prevedere i casini in cui si ficcherà. E la fermerà."
Sembrò ragionare per qualche secondo.
"Fermerà noi tutti, a essere precisi."
Ron si sgonfiò e, sguardo basso, sembrò perdere tutta l'allegria.
"Non ci giurerei, Herm," disse allora la Black, desiderosa di riportare lo scompartimento ad un clima sereno. "Da giovane era proprio un malandrino."
Sorrise a Ronald e a se stessa, sentendosi meglio. I suoi migliori amici erano proprio un toccasana, riuscivano a riportarla alla luce anche quando le tenebre sembravano carpirla.
Aveva appena formulato quel pensiero quando il treno si fermò con uno scossone e lo scompartimento sprofondò nel buio. 


 
Non c'era una persona, in tutta Hogwarts, che non osservasse Kait, chi in modo palese e chi alle sue spalle. Li sentiva bisbigliare, lanciandole occhiate dubbiose, quasi non sapessero se accusarla o compatirla.
Il culmine fu durante la cena di una domenica sera; tutti gli studenti mangiavano allegramente, chiacchierando con i compagni, dimentichi della minaccia che incombeva sulla scuola - o forse stavano solo provando a mantenere una quotidianità a cui tutti mancava. Kait era arrivata in perfetto orario, la cravatta multicolore un po' allentata e le maniche tirate su fino ai gomiti. Era stravolta, ma sperava non si vedesse più di tanto. Essere l'Unità delle Case e la figlia di un assassino al tempo stesso la stava stressando più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Si sedette con grazia al tavolo dei Grifodoro, salutando Hermione, alla sua sinistra, e Ron e Harry, di fronte a lei. "Come va?" domandò per pura cortesia. Nessuno rispose, però, perché Lavanda Brown, una sua compagna di Casa e di dormitorio, la interruppe. "Kait!" la chiamò sporgendosi verso di lei - gesto del tutto inutile, considerato che le sedeva accanto e che manteneva comunque un tono di voce alto. "Volevo sapere..." 
Kaitlyn la vide guardarsi attorno e per puro caso lo fece anche lei: non c'era uno studente che parlasse. Mangiavano in silenzio, le spalle e i colli tesi, lo sguardo basso che ogni tanto scivolava nella loro direzione. 
Origliavano. 
Davvero perfetto.
"Parla, Lavanda," la esortò con voce forzatamente gentile. Con la coda dell'occhio vide Ron abbassare la forchetta e capì che le cose si stavano dirigendo verso una brutta direzione. Hermione le strinse la gamba da sotto il tavolo e Harry si morse il labbro, indeciso se intervenire o meno.
Persino i professori prestavano loro attenzione, sebbene per motivi diversi. Silente, la Black ne era certa, sotto quell'aria tranquilla non lo era per niente. La McGrannitt era pronta ad intervenire e Piton... Piton aveva sempre quell'espressione, perciò non c'era da stupirsi. Remus, invece, la guardava apertamente, preoccupato. Il giorno dopo i Grifondoro del terzo anno avrebbero avuto lezione con lui per la prima volta e lei non vedeva l'ora.
"Mi chiedevo se sapessi qualcosa su tuo padre..."
Kait riportò l'attenzione sulla compagna di Casa, che si godeva gli sguardi degli altri alunni. "Oh, certo che sì! Non lo sai? Sono stata io a farlo evadere e ora lo nascondo sotto il letto!"
La Brown divenne tutta rossa e si ritrasse, umiliata, mentre gli studenti ridacchiavano. "Questo è un commento molto impopolare, lo sai?"
"Tu sei molto impopolare, lo sai?" rispose Kaitlyn con cattiveria. Poi, con l'amaro in bocca per la situazione e le sue stesse parole, si alzò di scatto e lasciò la Sala. "Non ho più fame," disse ai suoi amici; nessuno ebbe il coraggio di fermarla.
Fece una corsa fino al dormitorio, dove si cambiò, poi scivolò di nuovo fuori dal ritratto e camminò con passo stanco fino all'ufficio del padrino, che la stava già aspettando. "Sapevi che sarei venuta?"
"Mi riservo il diritto di conoscerti un pochino, tesoro," rispose Remus. "O almeno così mi convinco quando ti guardo e mi sembra di vedere un'estranea."
La Black sollevò di scatto lo sguardo e il mannaro ricambiò l'occhiata con tutta calma. "Siediti, dai," mormorò. Con un sospiro, la giovane eseguì. "Sono stanca," gemette stropicciandosi gli occhi come faceva da bambina. "Tanto stanca."
"Lo so," sussurrò l'altro con dolcezza. Poi irrigidì i tratti del viso. "Ma te la sei cercata."
Kait sobbalzò, riportando lo sguardo sul padrino e venendo gelata dalla sua espressione. "Come ho detto, un po' ti conosco, signorinella," dichiarò. "E conoscevo tuo padre, a cui tu somigli parecchio... Il che significa che so come menti e so leggere tra le righe delle tue parole! Cos'è che ripetevi sempre? "Bisogna dire una parte di verità!". Mi sbaglio?!"
"No, aspetta," mormorò lei. "Non..."
"Ah! "Non" che cosa?! Lo hai portato fuori di lì, Helena! Dannazione, sapevo che lo consideravi innocente, ma puttana miseria!" batté una mano sulla scrivania e scattò in piedi, infuriato. La Black distolse l'attenzione da lui per un istante, voltandosi verso la porta. "Ho insonorizzato questo ufficio ben prima che tu arrivassi," la rassicurò Remus. "Nessuno saprà cos'hai fatto."
"Quindi non..."
"Non mi insultare! Non ti butterei mai in pasto agli Auror, sei mia fi..." e si interruppe. Fece un respiro profondo, quindi si accasciò sulla sedia e chiuse gli occhi. "Sei come una figlia, per me, Kait," mormorò. Lei annuì.
"Ma questo non significa che non sia arrabbiato," nel dirlo, però, le sembrò solo molto stanco. E deluso.
La giovane posò lo sguardo sulla finestra, nella gola un groppo che non accennava a sparire. "Mi mancava... Mi manca tanto," sussurrò percependo Remus che la fissava. "E così ho pensato di poterlo tirare fuori da lì e poi avremmo convinto tutti della sua innocenza e..." si interruppe per respirare profondamente. "Regulus lo avrebbe saputo, zio. Lo avrebbe saputo se suo fratello fosse stato un Mangiamorte!"
Remus abbassò lo sguardo. "Non voglio che tu venga delusa, Kait," le disse alzandosi. La sollevò dalla sedia e la abbracciò con forza. Rimasero così per diverso tempo, incuranti del coprifuoco della ragazza e degli obblighi che l'uomo aveva, in quanto insegnante. Rimasero così, legati da qualcosa di più forte del sangue, un affetto scatenato da quel bisogno di sostegno che caratterizzava entrambi. "Ho... Devo prendere un po' d'aria," bisbigliò Kaitlyn con un enorme groppo in gola e l'altro annuì. "Andiamo."
Uscirono dal castello e si addentrarono nel parco, pur non allontanandosi troppo. Remus afferrò la bacchetta, mentre la figlioccia appoggiava le mani sulle ginocchia e prendeva lunghe boccate d'aria fresca. Non era un attacco di panico, ma ci si avvicinava tanto da rendere Lupin inquieto. "Andrà tutto bene," si disse Kait. "Tutto bene."
Il senso di colpa le premeva sul petto, soffocandola; dall'altra parte, il desiderio bruciante di dimostrare quanto gli altri si sbagliassero le pervadeva le vene, affondando nel corpo con la forza di mille spilli. 
Passarono diverso tempo così, senza parlare, beandosi delle folate di vento, mentre Remus pensava al domani e Kait cercava di respirare senza restare ancorata al passato.
Restarono così, mentre dall'alto li osservava la luna e dal basso un cane nero, nascosto nell'oscurità.





Note:

Okay, ecco qui :) Spero che le emozioni confuse di Kait si capiscano, ho cercato di pensare a come reagirei io e a quello che può significare un gesto così estremo (far evadere qualcuno). Ha 14 anni, non dimenticatelo... E poi è lei, insomma... Impulsiva, ma facile preda dei sensi di colpa. Spero che la reazione di Remus vi sia sembrata adatta, perché cerco sempre di rappresentare i personaggi nel modo più "umano", non come semplici burattini che devono agire in un determinato modo.
Vaaa bene, ora chiudo.
Grazie a chiunque leggerà e in particolare grazie a chi mi lascerà un commento :)

 

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Capitolo 46
*** Esserci ***


Esserci

 
"La chiameremo Katrina," esordì Sirius sedendosi di fronte al suo migliore amico, che alzò lo sguardo al cielo e sorrise.
"Assolutamente no!" esclamò la signora Black - quando ridevano nel chiamarla così - entrando in cucina, seguita da Lily, che si diresse verso James. Quest'ultimo stava tenendo sulle ginocchia il figlioccio, che subito si sporse verso la madrina. "Mi preferisce a te, visto?" 
Nathan passò in braccio a Lily e il marito fissò entrambi, indignato. "Ma-ma... Ma come?!"
Sirius rise all'espressione dell'amico e si sistemò più comodamente sulla sedia, mentre con un braccio attirava la compagna a sé. "Non pensare che tutto questo mi distragga," lo riprese lei. "Non chiamerò mia figlia Katrina."
Il rinnegato le lanciò un'occhiataccia. "È un nome bellissimo!"
"È un nome che non mi piace."
Sirius si voltò verso James, in cerca di supporto, e Lily si intromise, con Nathan che cercava di attirare la sua attenzione tirandole i capelli. "Chi ha scelto Hannah?"
L'amica, la cui pancia si faceva ogni giorno più grande e pesante, si sedette un po' storta e sbuffò. "Lo ha scelto lui. Io ho avuto il secondo nome."
"Quindi," sorrise Lily, diplomatica come sempre, "ora tocca il contrario."
"Ma... Katrina..."
"Basta, Sirius. Non mi piace proprio, okay?"
Il purosangue sbuffò. "E che mi dici di Katherine?"
"È troppo duro, Ka-therine... Non lo senti? E poi a me piace Helen."
"Helen? Forse Helena."
"Lo preferisco senza la a finale, Sir."
"Ma io no."
James e Lily si guardarono, senza sapere se interrompere o meno il battibecco, e di comune accordo si voltarono verso Nathan. "Preferisci Helen o Helena?" domandò con dolcezza la rossa. "Helena."
"Ah!" gioì Sirius. "Ed è meglio Helena o Katherine?" chiede James a quel punto. "Helena."
Stavolta ad esultare fu la madre. "Visto? È troppo duro, come nome. Nathan, Hannah, Helena... Niente "R"..." disse. 
"Helena Kaitlyn Black," sbottò allora Sirius.
"Come, scusa?"
"Kaitlyn. Niente "r", come piace a te. Il secondo nome sarà Kaitlyn, con la "k", però, niente "c". Helena Kaitlyn Black."
E la moglie accettò.
"Nathan, Hannah e Helena," sorrise. "Mi piacciono."
 
 
"Dov'è Kait?" domandò Harry guardandosi attorno, preoccupato. Non si era presentata a colazione ed era comparsa giusto in tempo per prendere posto in fondo all'aula, nel banco più isolato della classe, e affrontare le tre ore di lezione di quella mattina. Poi si era ritirata di nuovo, saltando il pomeriggio nelle serre di biologia. 
Hermione e Ron si lanciarono un'occhiata impotente. "Voleva stare sola," rispose la prima. Potter si morse il labbro, quindi annuì e salutò i due amici, dicendo loro che si sarebbero visti più tardi. Cominciò a camminare e voltò un paio di angoli, cercando di pensare a dove si sarebbe potuta trovare Kaitlyn; vagò per circa mezz'ora, prima di decidersi a cercare all'esterno. Era settembre, ma quel giorno pareva novembre, dunque il parco era deserto.
Harry si strinse nel mantello e si avventurò nel vento gelido, avviandosi verso il lago, su cui alzò lo sguardo. Una figura solitaria dava mostra di sé, la massa nera di capelli che vorticava nell'aria sopra di lei e gli occhi puntati sull'acqua. Il Grifondoro allungò il passo, cercando di scacciare di dosso la sensazione di essere osservato, e sorrise quando l'amica si voltò verso di lui. "Harry," sussurrò la Black abbassando il viso e allontanandosi impercettibilmente dal lago. Potter si fermò, incerto, e la giovane tornò a guardare l'acqua. "So che vuoi stare un po' in pace," cominciò Harry. Allungò la mano destra verso quella di Kait, che intrecciò le dita con le sue e strinse la presa. Davanti a quel gesto il Grifondoro prese un po' di coraggio, così si pose dietro la schiena dell'altra e l'avvolse con le braccia, lasciando che lei appoggiasse il capo sulla sua spalla. Rimasero fermi in quella posizione per qualche minuto, prima che Potter decidesse di sedersi e trascinasse Kait a terra con lui; aprì le gambe e la fece sistemare in mezzo, poi la abbracciò con più decisione e le baciò una tempia.
Gli parve così naturale agire in quel modo che si limitò a farlo, senza pensarci prima... E Kait, sempre circondata da persone che la guardavano e le bisbigliavano dietro, accolse quel gesto spontaneo con un sorriso.
Poi chiuse gli occhi e smise di pensare.
 
Harry, al contrario, non riusciva a fermare la mente. Cercò di controllare il respiro, che si era fatto più veloce, e deglutì a vuoto, cercando di capire cosa stesse succedendo. Un peso gli si era depositato sul petto e non sembrava intenzionato a sparire molto presto. "Grazie," mormorò Kait ad un certo punto. "P-per cosa?" 
"Per esserci."
La strinse più forte e le baciò di nuovo la tempia. Poi, prima che fosse in grado di fermarsi a pensare, lasciò che le labbra scivolassero lungo la guancia dell'amica e si aprissero in una sincera espressione di gioia. Le baciò il collo e inspirò con prepotenza il suo profumo, quindi si fermò con un sorriso sulla spalla sinistra della ragazza. Si staccò con la faccia in fiamme ed era pronto a scusarsi, quando Kait si spinse ancor di più con la schiena sul suo petto e voltò il viso verso il suo; gli posò un bacio sulla mascella e uno sulla guancia, poi tornò a guardare il lago, mentre le sue mani, ancora strette a quelle di Harry, rafforzavano la presa.
 
Restarono lì per un tempo indefinito, poi il vento cominciò ad essere troppo forte per continuare ad ignorarlo e l'oscurità avanzò, perciò decisero di comune accordo di alzarsi e rientrare al castello. Avevano appena messo piede nel corridoio principale quando Ron e Hermione li raggiunsero sorridendo. Il peso che si era depositato sul petto di Harry, intanto, si faceva sempre più consistente - e reale. "Ehi, amico," lo chiamò Ron, mentre Kait afferrava la compagna di dormitorio e si allontanava tenendola a braccetto, chiacchierando a bassa voce. Era di nuovo serena. "Ci vediamo a cena?" domandò Hermione voltandosi un'ultima volta; Ron annuì e sorrise a Kaitlyn, che stava fissando entrambi i ragazzi. La giovane ricambiò il sorriso e riservò a Harry un occhiolino, poi le due Grifondoro arrivarono alla fine del corridoio e sparirono dalla loro vista. 
Potter uscì nuovamente in cortile, dirigendosi dalla parte opposta rispetto alle ragazze; si passò una mano tra i capelli e sbuffò. "Sono completamente fuori," si lamentò sedendosi su un gradino. Il coprifuoco sarebbe scattato di lì a poco, ma Ron non commentò, limitandosi a sistemarsi al fianco dell'amico. Rimasero in silenzio per diversi minuti, immersi nei rispettivi pensieri. Nonostante l'essere sempre messo in ombra da Harry non gli piacesse e talvolta gli facesse venire voglia di urlare, Ronald era il suo migliore amico e in quanto tale riconosceva quando era necessario parlare e quando, invece, era preferibile il silenzio. 
Perché, lui lo sapeva bene, ogni tanto bastava esserci.
Fu per questo che aspettò, le braccia a circondare le ginocchia e il mento appoggiato su di esse. Il sole tramontò e loro rimasero lì, a respirare l'aria fresca - fredda - e a bearsi del silenzio. La cena cominciò e finì, e loro continuarono a condividere il fruscio delle foglie mosse dal vento e la vista del Platano Picchiatore che, in lontananza, si agitava per colpire l'ennesimo uccellino sprezzante del pericolo. O che forse non si aspettava che un semplice albero potesse essere così irritabile. O magari era solo un pennuto dalle tendenze suicide.
"Mi piace."
Alle parole di Harry, Ron fu costretto a mettere da parte i pensieri sugli uccellini kamikaze per concentrarsi su ciò che aveva appena sentito. Si voltò verso il ragazzo, in attesa di una spiegazione più completa, che però non arrivò. Harry lo fissava disperato, gli occhi verdi che brillavano nell'oscurità - da quanto tempo erano là seduti? Ora che ci pensava, Ron si accorse di avere tutti i muscoli intorpiditi e un buco nello stomaco.
"No, non mi piace."
Il rosso inarcò un sopracciglio, ma non commentò.
"Ne sono proprio cotto."
Harry si passò una mano tra i capelli, frustrato. "Perso, capisci?"
La verità è che Ron stava capendo molto meno di quanto fosse disposto ad ammettere, perciò annuì incerto. "E cosa pensi di fare?" domandò. "Io... L'ho rifiutata, capisci? Una volta mi ha baciato e io mi sono tirato indietro - si può essere più cretini?!"
"Frena, frena, frena," sbottò Ron. "Chi ti ha baciato e..."
"Kait."
"Oh."
"Sono un idiota," si lamentò Potter, scattando in piedi. "Per il fatto che hai preso una sbandata per la tua migliore amica o perché l'hai rifiutata nonostante sia una delle ragazze più carine della scuola, nonché quella che, insieme a Hermione, tiene più a te?"
Il rosso si fermò a pensare un istante, poi continuò. "Che poi, scusa, ma quando è successo? Sai, il... Hai capito. Quando ti ha baciato? Perché non mi hai detto niente?! E perché non lo ha fatto lei?!"
Harry gli rivolse un brusco cenno della mano. "Era troppo imbarazzante. Insomma, non sapevo che fare, soprattutto perché lei a quel tempo mi piaceva e..."
"E ti sei tirato indietro? Perché, scusa?"
"Io-io..."
"Voi," li sorprese una voce glaciale sbucando da un lato del cortile, "dovreste essere entrambi nei vostri dormitori. O forse pensate che le regole non valgano per il grande Harry Potter e il suo fido scudiero? E la So-tutto-io e quell'altra insubordinata dove le avete lasciate?"
Ron si alzò di scattò, mentre Piton li fissava malevolo e faceva loro segno di muoversi. "Siete fortunati che non abbia alcuna voglia di passare ancor più tempo con voi, altrimenti avreste già una bella punizione."
Harry sospirò di sollievo, avviandosi con Ron verso la Torre rosso-oro. "Venti punti in meno a Grifondoro," lì avvertì la voce soddisfatta dell'insegnante, poi entrambi svoltarono l'angolo.
"E ora?" chiese Ronald salendo le scale e accertandosi con un'occhiata che la rampa non avesse intenzione di cambiare posizione con loro sopra. "E ora niente, suppongo," rispose Harry. "Resto sempre il suo migliore amico."
"Anche se sei innamorato di lei?"
Potter lo schernì con un gesto. "Non è amore," gli assicurò. Non ancora, pensò Ron, ma preferì non aprire bocca.
Entrarono nella Sala Comune e scoprirono che Kait e Hermione avevano salvato loro qualcosa da mangiare, così si accomodarono e cenarono, tacendo e lasciando che a parlare fossero le ragazze. Ron passò le successive ore a studiare la Black, che se se ne accorse non diede segno di provare fastidio al riguardo, e a cercare di capire se ricambiasse i sentimenti dell'amico o meno. Non scoprì molto, perché Kait rimase tutta la sera accanto a Hermione e poi, beh, la sfera emotiva non era mai stata il suo forte. "Vi voglio bene," mormorò ad un certo punto la purosangue. I tre la fissarono, un po' stupiti da quella dichiarazione. "So che non lo dico spesso, ma è vero, tengo a voi in un modo che non pensavo fosse possibile."
Prese un respiro profondo. "Non per me, almeno."
Hermione la abbracciò e Harry si sporse in avanti per stringerle una mano. Ron annuì solennemente e Kait ricambiò il gesto con un cenno del capo ed un sorriso. "Quindi grazie," continuò. "Per cosa?" domandò il rosso e la Granger si voltò a guardarlo. A rispondere, però, fu Harry, che sorrise complice a Kait. 
"Per esserci."
 
Il giorno dopo fecero colazione tutti insieme e tutti insieme affrontarono le lezioni di Incantesimi e di Trasfigurazione. Poi, mentre i Grifondoro si avviavano verso la Sala Grande, Kait e Hermione rallentarono - promettendo a Harry e Ron di raggiungerli subito - e si allontanarono progressivamente dal gruppo. Entrarono in un'aula vuota e si sistemarono al centro. "Mi spieghi come fai? Io sono già stanca e siamo a settembre," esclamò Hermione, comunque decisa a non demordere. La McGrannitt le aveva dato un'opportunità incredibile.
Tirò fuori da sotto la camicetta la giratempo che le aveva dato la professoressa e guardò l'amica mentre lei faceva lo stesso con la sua, donata da Moody. "Se dovessi anche allenarmi ogni giorno come gli scorsi anni sarei stravolta, ma così non è troppo impegnativo," spiegò la Black. "Stamattina sei andata a correre per il parco?" 
"Come sempre."
Poi si guardarono, presero un respiro profondo e... Un giro sarebbe bastato.
 
 
 




Note:
Salve :)
Dopo una vacanza lunga quasi un mese, eccomi di ritorno! 
Spero che il capitolo vi piaccia, io ho adorato scriverlo ;)
Un bacione!

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Capitolo 47
*** Crescere ***


Crescere


 


"Non ha voluto che provassi."
Kait si voltò verso il suo migliore amico e sospirò, preparandosi a spiegargli il motivo del gesto del padrino. "Ti ricordo che non ha lasciato avvicinare al Molliccio nemmeno me... E meno male!"
Si strinse nelle spalle e sorrise con leggerezza. "Non li ho mai sopportati," confidò e Harry le passò una mano sulla schiena, che strofinò senza pensarci troppo. Erano seduti su una panchina del cortile già da diverso tempo e l'aria cominciava ad essere un po' troppo fresca.
"Vuoi rientrare?" chiese Potter. "Nah."
Rimasero qualche secondo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Era stata una giornata pesante, sia per le lezioni, - due ore di Trasfigurazione e due di Pozioni, davvero un pomeriggio stressante - sia per lo strano clima in cui imperversavano gli studenti. C'era mancato poco che Kait desse inizio ad una vera e propria rissa, alcune ore prima, causata dalle domande corrette ma impertinenti di alcuni Corvonero del sesto anno.
"Ron mi ha..." la Black si schiarì la voce, abbassando il volto e mordendosi il labbro per cercare in qualche modo di fermare il sorriso che, incurante dei suoi tentativi, si stava facendo spazio sul suo viso. Harry la guardò, fingendosi incuriosito - in realtà sudava freddo. Si era confidato con Ron e davvero, davvero non poteva pensare che lui avesse rivelato a Kaitlyn della sua... Cotta.
"Dicevo, ehm... Ron mi ha fatto notare che io e te passiamo un sacco di tempo insieme, sì, insomma... Da soli."
"Ah, davvero?"
Vai, Harry, fingiti sorpreso.
"Sai che non ci avevo fatto caso?"
Ottimo, continua così.
"Io sì," disse l'Unità e scoppiò a ridere quando l'amico si mise a tossire a causa della sua stessa saliva, che gli era andata di traverso. "Dai, camminiamo," propose una volta che si fu ripreso. Si addentrarono nel parco, l'uno vicino all'altra. Harry si infilò le mani nelle tasche, senza sapere cosa dire, e Kaitlyn lo prese a braccetto, trascinandolo verso il Lago Nero.
"Quindi, ehm..." borbottò, decidendo subito dopo di tacere per evitare brutte figure. Non gli piaceva doversi controllare in quel modo, non quando parlava con la sua migliore amica! Forse stava rovinando tutto - e senza nemmeno volerlo!
"Sono in momenti come questi che vorrei davvero poter parlare con mio padre," esclamò nello stesso istante in cui Kait prese il coraggio necessario per parlare. "Come?" chiese Harry. La ragazza lo squadrò per diversi secondi, poi abbassò la testa. "Ho detto che Hermione ha anticipato Ron di parecchio."
Potter annuì senza nemmeno rendersene conto.
"E credo abbia ragione. Insomma... Io e te siamo sempre stati..."
"Diversi?"
"Sì, diversi."
Si fermarono all'ombra di un albero, dove faceva più freddo, ma si sarebbero potuti illudere di essere al riparo dagli sguardi indiscreti degli abitanti del castello. Essendo Hogwarts una scuola molto grande e piena di studenti, sarebbe stato piuttosto strano se si fossero ritrovati da soli; c'erano, infatti, alcuni piccoli gruppi - di amici? Di studio? - sparsi non troppo lontano, pur rimanendo fuori portata d'orecchio. Erano presenti anche diverse coppiette e Harry arrossì violentemente, se pur con uno strano ed euforico orgoglio, pensando che, ad occhio esterno, lui e Kait sarebbe potuti sembrare qualcosa di più di semplici amici.
Ma chi voglio prendere in giro, si disse dopo qualche secondo. Tutti conoscono il tipo di affetto che ci lega.
"L'episodio dell'anno scorso..."
Harry la interruppe. "Sono stato davvero un idiota," sbottò. "Ricordo di averti trattata malissimo e tu di certo non lo meritavi."
Kait sorrise falsamente, a disagio, e spostò lo sguardo sul Lago Nero. "Non avrei dovuto baciarti, ha reso tutto molto strano."
"Tu mi piacevi," confessò allora Potter. L'altra riportò di scatto lo sguardo su di lui. "Non so nemmeno perché ti ho rifiutato, quella sera. Ero... Ero pazzo di te," concluse passandosi una mano nei capelli ed esibendo un sorriso imbarazzato. "Poi siamo tornati migliori amici e io non, sai, non ho più..."
Ci sono momenti, nella vita, in cui davanti a te si presenta una scelta che ha il potere di modificare tutto in un istante. Kait avrebbe potuto farsi avanti, tirare Harry per la camicia e baciarlo con tutto il casino di sentimenti che stava provando in quel periodo, tra l'evasione - ehm, ehm - di suo padre e la partenza di Jackson; l'incremento, o meglio dire l'esplosione, degli ormoni e la crescita estiva del ragazzo, che ancora non sapeva se giudicare come un bene o come una disgrazia.
Avrebbe potuto farlo, davvero, soprattutto perché era da tutto il giorno che non faceva altro che fissarsi su dettagli idioti come le sue labbra, gli occhi più verdi del mondo, i capelli sparati ovunque, le sue labbra, le mani che la stringevano forte per impedirle di sfogarsi riempiendo alcuni studenti di botte... Le labbra, poi, e anche le dita che sistemavano gli occhiali sul naso e, Merlino!, le labbra!
Tutta colpa di un sogno piuttosto vivido che aveva fatto quella notte e degli ormoni, che probabilmente stavano alla base di tutto.
Ad ogni modo, le sarebbe bastato un movimento per baciare il suo migliore amico... Movimento che non fece.
Si limitò ad avvicinarglisi di un passo - e avrebbe fatto meglio a bruciare la cravatta di Grifondoro, codarda com'era. Guardò Harry negli occhi, quindi si morse il labbro.
E lui perse la testa.

È incredibile come le voci corrano in fretta. In meno di un secondo tutti i ragazzi che per puro caso si erano ritrovati al Lago Nero quel pomeriggio li avevano guardati, già pensando al modo più eclatante per raccontare l'accaduto.
Harry Potter aveva baciato Kaitlyn Black.
Una chicca del genere non capitava spesso, questo era certo.
Tutti gli studenti avrebbero concordato nel dire che era stato lui ad iniziare e che lei "ci era stata".
Solo Harry avrebbe avuto il coraggio di dire che no, non aveva cominciato lui, che si era limitato a rimediare ad un errore commesso l'anno prima, dove andava posto davvero l'inizio, di cui non aveva molto merito.
Ma tutto questo accadde dopo, non di certo in quel momento, perché, beh... Non persero tempo a parlare.
Kait si avvicinò di un passo e di morse il labbro, e Harry perse davvero la testa, perché scattò con la velocità da Cercatore e le afferrò il mento, alzandole il volto. Poi chiuse gli occhi e le sfiorò le labbra con le sue.
A poca distanza da loro subito si udirono le prime esclamazioni sorprese, che fecero sì che i due ragazzi sorridessero l'uno sulla bocca dell'altro. Poi Kait mandò mentalmente tutto il mondo a quel paese, decidendo di godersi il momento e schiudendo le labbra.
Per Harry niente ebbe più senso se non la sua migliore amica... Sempre che potesse ancora chiamarla così. Gli si strinse addosso e lui reagì nell'unico modo che gli parve giusto: le passò una mano sul fianco e la trasse ulteriormente a sé, gemendo qualcosa di indefinito con un rumore di gola che ebbe il potere di sciogliere Kait. Gli passò una mano tra i capelli e si separò quel che bastava per prendere fiato, poi decise che la pausa era durata troppo a lungo e sorrise a Harry, che capì al volo come al solito. Le prese la mano destra e incrociò le dita con le sue, baciandola ancora e ancora e ancora.
Si sentiva leggero, neanche fosse sulla scopa, pronto a salire fino a toccare le nuvole, le stelle, il sole, l'universo, qualsiasi cosa. Kait gli causava questa sensazione e non solo, perché si sentiva leggero ma aveva lo stomaco sottosopra allo stesso tempo.
Kait era salire sulla scopa e volare fino alle stelle, per poi lanciarsi in picchiata, la pancia piena di farfalle e la paura che si mischia all'adrenalina, senza sapere come sarà l'atterraggio.
Se sarà possibile fermarsi dolcemente o se schiantarsi a terra sarà l'unica possibilità di terminare la corsa.
E lui avrebbe accettato tutti e due i modi.
 

Il ritratto della Signora Grassa si aprì, lasciando entrare Lavanda Brown, che corse al centro della stanza e urlò quello che per lei era lo scoop più grande nel quale si fosse mai imbattuta. "Harry e Kait si sono messi insieme!" gridò, godendosi tutte le attenzioni che gli altri Grifondoro le rivolsero. Ron quasi rovesciò l'inchiostro sui compiti di Storia della Magia che aveva appena iniziato, - che strazio, quella materia! - mentre Hermione divenne viola. "Cosa?!" squittì voltandosi di scatto verso Ronald. Qualche secondo dopo sorrise raggiante.
"È bellissimo, non credi? Li vedo così bene, insieme!"
Ron non era d'accordo... O meglio, era felice per loro, ma se si fossero lasciati? Quanto sarebbe durato il loro gruppo?
"Perché lo sapeva lei e noi no?" sbottò invece. Lavanda, che aveva sentito la domanda, sorrise civettuola. "Ero nel posto giusto al momento giusto... E anche Colin Canon! Stava facendo delle foto un po' a tutti e a Harry l'ha fatta proprio nell'istante esatto... Ha occhio, quello lì," aggiunse tutta contenta, tirando fuori dalla tasca una foto dei due amici che si... Ehm... Scambiavano gesti affettuosi.
"Che bacio!" esclamò Dean sbirciando dalle loro spalle. Ginny non commentò, preferendo ritirarsi nel dormitorio. Tutti gli altri, invece, si dimostrarono dei ficcanaso. "Ma da quando?" era una delle domande più frequenti, seguita da "Quanto dureranno?" - non molto gentile, come dubbio.
Poco tempo dopo i due ragazzi al centro dei gossip entrarono nella Torre di Grifondoro, dove vennero accolti da molte occhiate e, nel caso di Harry, tante pacche di congratulazioni. A nessuno sfuggirono le loro mani intrecciate o le labbra rosse, ma limitarono abbastanza le battutine.
"Vi aspetta una cena piena di attenzioni," rise Hermione, poi prese Kait per un braccio e la allontanò dal gruppo. "Quando saremo veramente da sole mi racconterai tutto, vero?" chiese conferma e l'altra annuì. Quindi, un sorriso a trentadue denti sul viso, la Granger allungò la mano e depositò tra le dita di Kait un foglietto. "Ma che...?"
Lo voltò e le mancò il fiato in gola. Era una fotografia e dentro, con tempismo perfetto, Harry le afferrava il mento e la baciava. Seguivano i sorrisi e il bacio vero e proprio, meno dolce e più intenso del precedente. "L'ho presa a Lavanda Brown," spiegò Hermione. "Credo che Colin ne abbia fatte parecchie, però ho pensato che avrebbe potuto farti piacere..."
Kait annuì, sorridendo incapace di distogliere lo sguardo dalla foto, e si fece accompagnare in camera. Attaccò la foto alla testiera del letto, da dove avrebbe vegliato sui suoi sogni. "Grazie," sussurrò alla migliore amica, che sorrise. "Come ti senti?"
La Black scosse la testa, incapace di rispondere, e Hermione la abbracciò da dietro. "Posso immaginare."

Nella Sala Comune, intanto, Harry si era sistemato al fianco di Ron, che lo fissava con un sopracciglio alzato. "Cotto, eh?"
Potter rise e gli diede una pacca sulla spalla. "Cotto e felice di esserlo," rispose appoggiandosi allo schienale del divano. "E lo devo anche a te, sai?"
Weasley si voltò di scatto verso l'altro, poi ghignò - Harry non sapeva nemmeno fosse capace di esibire un'espressione tanto... Malandrina. "Per sdebitarti puoi farmi i compiti di Storia della Magia," decretò Weasley. Harry scoppiò a ridere e cominciò a borbottare "No, no!", afferrando nel frattempo la piuma e l'inchiostro. Fece finta di essere una vittima, ma dentro di sé - e anche fuori - non smise di "annegare nel buon umore" e di sorridere.
Ron, al suo fianco, lo fissò con la coda dell'occhio e fece lo stesso.
Finché quei due fossero stati felici, decise che avrebbe dato la sua benedizione.







Salve!
Lo so, è passato molto tempo dall'ultima volta. Mi dispiace molto che questa storia sia stata dimenticata - o che semplicemente non piaccia, perché anche se un po' lenta io continuo a scrivere. E Kait è così reale, per me, che raccontare la sua storia mi scalda il cuore. E mi fa male. E mi fa ridere. Piangere. Gridare. Saltare.
Questo capitolo mi ha portato il sorriso, ad esempio. Spero solo che abbia fatto lo stesso anche con voi.

Un abbraccio,
Dea





 

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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)

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Capitolo 48
*** Timori ***


Timori

"Lui lo sa?" chiese il ragazzo con espressione seria. Aveva visto la cugina camminare alla fine del corridoio e con uno scatto l'aveva raggiunta, afferrandola con il braccio sano. Poi l'aveva trascinata nei sotterranei, dritta nella Sala Comune dei Serpeverde. Dopo aver sfrattato Tyler e Goyle - ma non Zabini e Nott, che erano i suoi consiglieri quanto gli altri due erano le sue "braccia" - si erano rinchiusi nel dormitorio.

"Sa cosa?" rispose Kait incrociando le braccia al petto sopra la cravatta multicolore. "Il motivo per chi tuo padre era dentro. Il motivo per cui i Potter sono morti." 

La Black sentì lo sguardo di Nott su di sé, ma si ostinò a tenere gli occhi fissi su Draco, che le si avvicinò di un passo, mentre lei contraeva involontariamente i muscoli delle gambe, neanche fosse stata pronta a scappare in velocità. "No, vero?" "Draco," provò a farlo tacere Zabini, invano.

"Questa cosa ti scoppierà in faccia, lo sai?" 

I due cugini si fissarono in silenzio, immaginando ciò che sarebbe accaduto una volta che Potter fosse venuto a sapere la verità. "Lui capirà," mormorò Kait, quasi senza voce. Le sembrava che un macigno le si fosse depositato sul petto. 

Era colpa sua. 

Qualsiasi cosa fosse accaduta, la colpa sarebbe stata sua. 

"Finirà male. Lo scoprirà e non si arrabbierà solo per ciò che è successo anni fa, ma soprattutto perché tu lo sapevi!" 

"Draco," lo chiamò Nott, calmandolo dicendo semplicemente il suo nome. Kait spostò il peso da un piede all'altro e chiuse gli occhi. "Lo so," sussurrò. "Mi scoppierà in faccia e sarà tutta colpa mia. Hai altro da dire?!" 

Zabini si sporse in avanti e Nott si tese, attendendo la risposta di Draco. 

"Sì, in effetti." 

Le si avvicinò ancora e le passò una mano sul braccio: una carezza gentile che non avrebbe donato ad una persona qualunque. 

"Quando accadrà," disse, e a nessuno sfuggì la mancanza del se, "ti aspetteremo qui." 

Kait gli lanciò uno sguardo impenetrabile. "Sei una di noi, alla fine," sorrise Zabini alzandosi. Nott, silenzioso come suo solito, si limitò a fissarla - e la Black si sentì letta dentro. 

Draco la abbracciò delicatamente, senza stringere per evitarle la sensazione di soffocamento, poi le sorrise. "Sei una di noi," ripeté. "E noi non lasciamo nessuno indietro." 

Nonostante sapesse che non si sarebbe dovuta sentire così, Kait sospirò dal sollievo. 

Non sarebbe mai stata sola.

 

Si sarebbe dovuta incontrare con Harry pochi minuti prima. La stava già aspettando al Lago, infatti, quando Kait uscì dai sotterranei e si avviò verso il parco. Stava camminando a passo svelto quando un rumore la portò a voltarsi verso la Foresta Oscura, dalla quale due occhi ricambiarono il suo sguardo. 

Kait impallidì. 

Suo padre, sotto forma di cane, restò immobile, forse non sapendo come reagire. 

"Vattene!" tuonò la Black senza rendersene conto, ma Sirius non si mosse. "Ti scopriranno, vattene!"

Si guardò attorno per controllare che nessuno la stesse osservando, quindi fece un passo in direzione del padre e cercò di allontanarlo con un gesto della mano. "Ti prego," supplicò. "Non voglio che ti prendano." 

Rimasero entrambi fermi per alcuni istanti, i muscoli tesi e il cuore che batteva a mille. Sirius osservò con attenzione la ragazza, che sembrava particolarmente agitata. Ma perché? Ai suoi occhi sarebbe dovuto essere un semplice cane randagio; forse non molto comune ad Hogwarts, ma comunque niente di troppo scioccante.

E allora qual era il motivo? 

La giovane si allentò la cravatta e chiuse gli occhi, poi sospirò e fece per parlare. "Kait!" la chiamò una voce maschile prima che avesse l'opportunità di dire qualcosa. Sirius osservò con un tuffo al cuore la ragazza essere raggiunta da Harry - il suo figlioccio, il figlio di James, il figlio di Lily, Harry! 

Si nascose meglio tra le foglie e senza rendersene conto scodinzolò, provocando un fruscio che però, con un po' di fortuna, sarebbe stato attribuito al vento. Il rinnegato osservò quindi Harry stringere la ragazza in una presa possessiva e darle un lungo bacio - ci sapeva fare, doveva ammetterlo. Lei rafforzò la presa e gli passò una mano tra i capelli, per poi tirarglieli in modo che si spostasse e le baciasse il collo. Mentre lui, senza perdere tempo, eseguiva gli ordini, lei voltò impercettibilmente la testa e fece cenno a Sirius di andarsene. 

Pur continuando a non capire chi quella ragazzina fosse, Black arretrò nella Foresta e si nascose nell'oscurità.

 

"Sei sicuro che non vuoi che rimanga qui con te?" domandò un'ultima volta Kait, mordendosi il labbro. Non capiva un granché delle questioni di cuore, ma sentiva di star sbagliando a lasciare Harry da solo. "Vai. Goditi Hogsmeade, ci vedremo stasera."

Era Halloween, ma non solo: era la prima uscita al villaggio per gli studenti del terzo anno, uscita per cui, sfortunatamente, Harry non aveva il permesso. Salutò dunque i suoi amici e si diresse con fare svogliato per uno dei tanti corridoi del castello. Fu mentre camminava che il professor Lupin lo chiamò, fermandolo. Harry lo trovava un insegnante eccellente e poco importava che i suoi abiti fossero un po' trasandati e avesse quelle strane cicatrici, perché rimaneva comunque uno dei migliori. Quando teneva testa a Piton, poi, gli piaceva ancora di più.

Solo una cosa proprio non capiva... Così, accomodandosi nell'ufficio del professore e accettando una tazza di tè, decise di chiedere spiegazioni. "Perché non mi ha permesso di affrontare il Molliccio?" 

Non voleva essere considerato un codardo - motivo per cui non aveva neanche fatto parola del Gramo, il cane nero che aveva visto fuori casa sua e predetto dalla professoressa Cooman. Di certo, comunque, tra tutte le risposte possibili non aveva immaginato una riguardante Voldemort.

"E Kait?" domandò soprappensiero. Lupin sospirò e si passò una mano sul viso, come fosse invecchiato di dieci anni in un colpo solo. Harry si chiese se gli accadesse sempre parlando della figlioccia. "Ti ricordi che alla prima lezione ho raccontato di aver trovato un Molliccio, una volta, nascosto in una pentola?"

Potter annuì più per incitarlo a continuare che per vero sforzo di memoria. 

"Kait avrà avuto all'incirca sei anni... Era ancora piccola, fragile e terribilmente spaventata dal mondo che la circondava. Ma era pur sempre Kaitlyn Black, quindi vide questa pentola muoversi e mi chiamò, per poi decidere di affrontarla da sola. Non dimenticherò mai ciò che vidi quando la raggiunsi." 

Harry attese spiegazioni, curioso di conoscere il Molliccio della sua ragazza, ma l'uomo non continuò e lui non se la sentì di insistere. Alla fin fine non erano proprio affari suoi... Anche se provava un forte istinto che gli diceva che, in qualche modo, ciò che riguardava Kait riguardasse anche lui. 

"Lei... Lei sa che... Ehm. Niente." 

Lupin scoppiò a ridere e annuì. Improvvisamente imbarazzato, Harry scattò in piedi e si congedò con un mezzo gesto della testa; la risata del professore lo accompagnò fino alle scale.

 

Il giorno dopo Harry passò il pomeriggio a studiare con Hermione, che si era offerta di dargli una mano con il tema di pozioni. Non si aspettava una tale proposta, ma forse l'amica si sentiva in colpa per averlo lasciato solo, andando ad Hogsmeade - non che lui incolpasse lei, Ron o Kait! La sua sfortuna non doveva intaccare la loro vita.

Scrisse le ultime tre parole del tema e chiuse la frase con un punto, prima di sospirare di sollievo e allontanare il compito da sé. Hermione lo afferrò e cominciò a correggerlo, nonostante la sua mole di lavoro da sola coprisse l'intero tavolo. Davvero non riusciva a capire come facesse a seguire tutto.

Erano sistemati in un angolo della Sala Comune, lontani dal caos degli altri Grifondoro. Harry vide Kait scendere le scale del dormitorio femminile, una busta tra le mani. La ragazza si avvicinò al camino, prese un respiro e buttò la lettera nel fuoco. Poi si accoccolò su una poltrona, stringendosi le ginocchia al petto. 

"Scusami," disse Potter a Hermione, allontanando la sedia dal tavolo e scattando in piedi. Qualcosa gli diceva di dover intervenire; non gli piaceva per niente lo sguardo della sua ragazza, evidentemente giù di morale. Non poteva certo sapere

che la busta appena bruciata non era altro che l'ennesima lettera scritta a Jackson e mai inviata.

 

Caro Jackson, 

mi chiedo come vada la tua vita. Scommetto che l'America toglie il fiato. 

Ogni tanto pensi a me? 

Ah, non sono domande che dovrei fare. 

Sto con Harry, ora, e i Fondatori sanno quanto tengo a lui. Passiamo un sacco di tempo insieme, ormai, tanto che mi sento in colpa perché mi sembra di usarlo per sostituirti. 

Ma è diverso. 

Io e te non eravamo niente.

 

Mi manchi. 

Merlino, se mi manchi.

 

"Tutto bene?" domandò Harry inginocchiandosi di fronte alla poltrona di Kait e attirandola in un abbraccio. La giovane girò il viso per poter sfiorare le labbra con le sue e Harry non si ritrasse; al contrario, la baciò con passione. 

A quel punto si alzò in piedi e sollevò l'altra in braccio, sedendosi al suo posto e sistemandosela addosso. L'aveva trattata quasi come una bambola, ma Kaitlyn non si lamentò, preferendo bearsi della presenza del ragazzo.

"Vuoi raccontarmi qualcosa?" sussurrò Potter contro il suo collo. 

"Tu non mi lascerai, vero?" domandò in risposta. 

Harry la baciò di nuovo, rendendo inutili ulteriori parole.

 

 

 

 


Vorrei scusarmi per il lunghissimo periodo di attesa e per questo capitolo, che non so neanche se definire tale. Ho pensato, però, di postarlo comunque, piuttosto che lasciarvi ancor più tempo senza niente.
Un bacio :*

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Capitolo 49
*** Come loro ***


 

Dedicato a  http_ale
Senza di te non starei postando, Alessia

Grazie
 






Come loro
 

Kait sbuffò stancamente, salendo le scale e nascondendo sotto la camicia la preziosa GiraTempo. Voci concitate arrivavano dal corridoio che precedeva la Torre di Grifondoro, dove una gran numero di studenti aveva ingorgato il passaggio. Superò senza troppi complimenti la maggior parte dei ragazzi - "Sono l'Unità delle Case, fatemi passare!" - e alla fine si posizionò al fianco di Harry, Ron e Hermione. Davanti a loro, Silente, Piton, la McGrannitt e Remus. Quest'ultimo la fissò senza parlare, teso come poche volte in vita sua, e pian piano tutti lo imitarono, dagli insegnanti ai compagni di scuola. Il silenzio calò sulla folla.

Il quadro della Signora Grassa era vuoto e Pix, inopportuno come sempre, aveva appena accusato Sirius Black.

"No, no," mormorò Kait, senza fiato. Sentì qualcuno stringerle la mano e si voltò verso Harry, che con lentezza la trasse a sé. Cercando di risultare meno fredda possibile la giovane si liberò dalla presa e avanzò verso il preside, che mandò tutti gli studenti a dormire in Sala Grande. Lei, invece, fu tenuta in disparte, ad attendere il suo turno per qualsiasi cosa il preside volesse farle. Si sentiva strana, debole, e ad un certo punto, sotto gli occhi accusatori degli alunni, aveva percepito le lacrime pungerle per il desiderio di essere liberate. Non gliel'aveva permesso. Voleva mantenere i sentimenti sotto controllo, perché sapeva che se lo avesse abbassato sarebbe crollata.

Oh, se solo Remus fosse stato al suo fianco!

Purtroppo per lei, Piton sembrava intenzionato ad incastrarla e a tenerla il più lontano possibile dal padrino. Quando l'intero castello fu controllato - davvero pensavano di trovare Sirius Black dietro ad un arazzo?! - Silente la degnò della sua presenza. "Non credo tu lo abbia aiutato ad entrare," spiegò e subito Kait si sentì più sicura. Girò il viso, così da nascondere ogni tipo di sentimento visibile nella sua espressione, e annuì. "Grazie signore."

"Ma se dovessi notare qualsiasi cosa o se provasse ad avvicinartisi..."

"Sarà il primo a saperlo," confermò la Black. Non le interessava nulla, in quel momento, a parte Remus. La credeva colpevole, avendo già aiutato il padre una volta?

"Posso vedere il mio padrino?" domandò con il labbro che tremava. Odiava non riuscire a controllarsi. Silente alzò lo sguardo dietro le spalle dell'alunna, che si voltò - e lì, un sorriso preoccupato e gli occhi pieni d'amore, Remus la guardava. Gli corse incontro, incurante dei professori che la fissavano e della figura che stava facendo, e gli saltò addosso, abbracciandolo con forza. "Te lo giuro," mormorò al suo orecchio, la voce che tremava. "Non sono stata io."

"Lo so," rispose Remus ricambiando la stretta.

Tutto sarebbe andato bene.




 

"Cos'ha?" le domandò Harry stringendole una mano da sotto il banco. Kait, che avrebbe preferito lasciare la scuola, piuttosto che restare sotto lo sguardo accusatore dei compagni, si voltò verso il ragazzo e gli indirizzò una smorfia. "Non sta molto bene."

"E proprio Piton doveva sostituirlo?!"

L'Unità delle Case fece spallucce, disinteressata. Aiutare Remus durante la luna piena era già abbastanza stressante, non serviva che si mettesse contro al professore di Pozioni, incaricato di portare avanti anche il programma di Difesa. Si dovette ricredere pochi istanti dopo, quando l'uomo spiegò di aver scelto di studiare subito i lupi mannari. "Bastardo," sussurrò Kait a mezza voce. Non era possibile che Piton l'avesse sentita, ma il modo in cui le lanciò un'occhiata e nascose un ghigno la fecero dubitare.

"Homo, uomo, lupus, lupo."

"Io lo strozzo," borbottò ancora la studentessa. Harry, al suo fianco, scoppiò a ridere. "Potter, Black, visto che vi divertite tanto, non vi dispiacerà condividere con il resto della classe il motivo della vostra allegria."

"Niente di che, stavo solo spiegando a Harry come distinguere un lupo mannaro da un lupo comune," sorrise candidamente Kait. "Come vede, parlavamo della lezione," continuò.

"Mi chiedo," le rispose Piton avvicinandosi al suo banco con la sua solita aria da pipistrello, "come sia così ben informata."

Kait sostenne lo sguardo, tirando fuori tutta la strafottenza da Black e lasciandola trasparire; se l'uomo voleva giocare, avrebbero dato inizio alla partita. "Forse il professor Lupin è un insegnate migliore di quanto lei non creda."

A darle supporto intervenne Dean, che si sporse in avanti dal banco alle spalle della ragazza e annuì. "È il miglior insegnante di Difesa che abbiamo mai avuto."

Con aria furiosa, Piton si voltò e marciò verso la cattedra. "Girate a pagina trecentonovantaquattro. Ora!"

Fu un'ora stressante per tutti; per gli alunni, che sopportarono l'ira del pipistrello, e per lui stesso, che dovette ricorrere a tutto l'autocontrollo di cui disponeva per non dare una lezione alla Black, più fastidiosa di quanto fosse mai stata. Il suo comportamento con Piton parve aiutarla nei confronti dei compagni, che almeno per un po' smisero di lanciarle occhiate e chiederle del padre.

Kait non era sicura di quanto sarebbe durata quella sorta di immunità dai pettegolezzi, ma intendeva godersi ogni istante.

Fu quasi una fortuna che i Dissennatori si fossero presentati alla partita Grifondoro-Tassorosso, perché metà Hogwarts - e forse persino di più - si concentrò su di essa per giorni, lasciando a Kait ancora un po' di respiro. Certo, aveva urlato e preso uno spavento tale da farle mancare un battito, vedendo cadere Harry, però lui stava bene e si era già rimesso in piedi - piagnucolando per la scopa, andata distrutta.

L'inverno si fece strada con folate di aria gelida e una gran voglia di cioccolata calda; con esso arrivò anche l'ultima uscita ad Hogsmeade, che fece sprofondare Harry nel cattivo umore. Nonostante tutto, comunque, spinse gli amici ad andare, sforzandosi di sembrare tranquillo. Odiava l'idea che rimanessero con lui per pietà; allontano così anche Kait, con la promessa di rivedersi la sera.

"Dite che queste caramelle gli piacerebbero?" domandò la ragazza indicando uno degli scaffali di Mielandia. Lei, Ron e Hermione avevano deciso di portare a Harry un pacchetto di dolci per tirarlo su di morale.

"Direi di no," rispose una voce alle loro spalle, facendoli sussultare. Era proprio Potter, lo sguardo eccitato e i capelli più disordinati del solito - il che era tutto dire. Kaitlyn, sorpresa, gli si lanciò addosso e lo coinvolse in un bacio. "Andiamo fuori di qui," propose il ragazzo quando si staccarono, indicando l'uscita. I quattro si diressero verso un vicolo riparato da occhi indiscreti e lì, tirandola fuori dalla tasca quasi con reverenza, Harry mostrò il regalo che i gemelli Weasley gli avevano appena fatto. "La Mappa del Malandrino," sussurrò Kait, la voce troppo alta per poter far finta di non aver detto niente. Fortunatamente, nessuno aveva capito le esatte parole. "La conosci?" le chiese Harry.

Sì, l'hanno creata i nostri genitori, il mio padrino e un loro amico.

Perché sai, mio papà e il tuo erano quasi fratelli, da tanto erano legati.

Ah, come dimenticare: tutti pensano che sia stato mio padre a tradire i tuoi, rendendoti orfano.

Quindi sì, la conosco.

Amici come prima?

"No," mentì. Sul petto, l'ennesimo macigno. Harry sorrise, mostrandola con orgoglio a Ron, irritato per non essere stato scelto dai gemelli, e a Hermione, decisa a convincere entrambi a consegnarla. Kait alzò lo sguardo al cielo grigio e domandò tacitamente la forza necessaria ad andare avanti. Nessuno le rispose o diede un segno, così si rassegnò e seguì il trio a bere una burrobirra.

Avevano appena preso un sorso dall'ordinazione che alcuni professori - la McGrannitt, Hagrid e Vitious - seguiti da nientemeno che il ministro in persona, fecero la loro entrata. Dopo aver nascosto Harry sotto il tavolo, Ron, Hermione e Kait si sforzarono di non ascoltare la conversazione che stava avendo luogo a pochi passi da loro, e ci sarebbero riusciti se il nome "Sirius Black" non fosse saltato fuori all'improvviso. Subito i quattro drizzarono le orecchie, attenti ad ogni parola.

"Me li ricordo, lui e James Potter, quasi avresti detto fossero fratelli," stava dicendo Madama Rosmerta. Harry alzò di scatto la testa, sorpreso, e Ron gli rifilò un calcio, imponendogli il silenzio. "Rimasero amici anche dopo la scuola. Inseparabili, davvero," spiegò la McGrannitt, la voce indurita dagli stessi pensieri che affollavano la mente di Kait. La ragazza cercò di convincere Ron e Hermione a svignarsela, lanciando loro occhiate penetranti; sapeva come sarebbe finita quella storia. I ragazzi, ancora impegnati ad origliare, le fecero cenno di stare buona.

"James e Lily Potter erano padrino e madrina del primo figlio di Black, e lui e la moglie - ve la ricordate? Quella brillante Corvonero... - erano lo stesso per Harry Potter," stava continuando la professoressa di Trasfigurazione. "Non che lui lo sappia. Immaginate come si sentirebbe sapendo quello che ha fatto Black."

Ti prego, pensò Kait, zitta. Basta. Non andare avanti.

Ma la fortuna non era dalla sua parte, perché Madama Rosmerta chiese a cosa si riferisse e la donna le spiegò dell'incanto Fidelius e del ruolo che Sirius Black ebbe come Custode Segreto. Sapendo come sarebbe finita, Kait chiuse gli occhi e nascose la testa tra le mani.

"Black li tradì," sbottò il Ministro, una nota arrabbiata nella voce mentre raccontava di Peter Minus.

Kaitlyn sentiva la testa girare con forza, come una trottola.

"Sembrava così diverso dalla sua famiglia," mormorò Madama Rosmerta a voce tanto bassa che a malapena fu udita. "Immagino che diventare vedovo lo abbia mandato fuori di testa. Quando si è ritrovato a tenere i tre bambini forse ha pensato fosse più facile smettere di combattere. Passare all'altro lato," ipotizzò Vitious e Kait per poco non intervenne, facendosi scoprire. Hermione la fermò in tempo, ma questo non le impedì di domandarsi cosa intendessero. Sua madre era morta anni dopo, insieme a Nathan e Hannah - solo i loro nomi le mandarono una fitta dolorosa al petto.

Si sbagliano, pensò la Black, riuscendo però a trattenersi dal farlo notare loro. "O forse è sempre stato marcio dentro," quasi singhiozzò Hagrid, raccontando poi di come Sirius avesse provato a prendergli Harry, davanti alle rovine di casa Potter.

"E ora sembra quasi uno scherzo del destino vedere Harry Potter e Helena Black essere così amici," sospirò il ministro - Hagrid, quasi istintivamente, lo corresse con "Kaitlyn" e la ragazza sorrise, nascosta alla loro vista.

C'era poco da essere contenti, in realtà.

"Stanno insieme," spiegò la McGrannitt, "ma la Black non è come suo padre, credo possiamo assicurarlo tutti."

"Neanche di lui avresti detto fosse come la famiglia, a quell'età," la rimbeccò il Ministro. "Comunque," ammise, "povera. Non è una bella eredità da portare avanti. Se pensate che suo padre vuole uccidere il suo ragazzo..."

Poi, quasi per grazia divina, i quattro si alzarono e si incamminarono verso Hogwarts, mentre Madama Rosmerta tornava al lavoro.

Ron e Hermione si chinarono sotto il tavolo per incrociare lo sguardo di Harry, sconvolto e con il respiro pesante. Quando rialzarono la testa, Kait era già corsa via.


 

Kait rimase nascosta per il resto della giornata, rifiutando così ogni tipo di spiegazione le avrebbero chiesto gli amici. Sapeva di non poter rimandare per sempre, ma seduta in un angolo della Torre di Astronomia si permise di sperare che niente sarebbe cambiato - sciocco desiderio, purtroppo.

Saltò la cena. Poco le interessava che gli studenti sparlassero alle sue spalle, immaginandola al fianco del padre, o che Remus si rendesse conto che qualcosa non andava. Per il momento tutto ciò che le importava davvero era Harry.

Harry e la rabbia che, indubbiamente, stava provando.

Si coprì la testa con le mani e nascose il viso tra le ginocchia, prendendo respiri profondi nel tentativo di non dare di matto. Forse se lo meritava. Forse meritava di finire senza amici, sola.

No, pensò, mai sola.

Draco e i suoi erano pronti ad accoglierla a braccia aperte - non che fosse ciò che desiderava realmente, eh, ma era meglio di niente.

"Eccoti!" esclamò una voce dalle scale. Alzò il volto giusto in tempo per osservare Harry avvicinarsi con la Mappa del Malandrino in mano - quel giorno la sorte aveva un'ironia più pungente del solito.

"Che fai qui? Hai saltato la cena!" poi, forse rendendosi conto dell'espressione della ragazza, le si inginocchiò di fronte e si allungò per baciarla. Si staccò quasi subito, rendendosi conto che l'altra non rispondeva. "Ehi," sussurrò sfiorandole una guancia con due dita. Le afferrò le mani e la tirò in piedi; si sforzava di sorridere, ma Kait notò benissimo gli occhi rossi.

"Senti," le disse, visto che lei era ancora in silenzio, "lui li ha traditi. E questa situazione fa schifo, tuttavia... Io tengo tantissimo a te, Kait, davvero. Sei probabilmente la persona a cui tengo di più al mondo, insieme a Ron e Hermione."

La abbracciò stretta - per l'ennesima volta, la Black non ricambiò. "E poi," continuò Harry imperterrito, "non è come se tu lo avessi sempre saputo, insomma... Dev'essere stata una batosta anche per te."

Kait si irrigidì prima ancora di rendersi conto che non voleva più mentirgli. Stava per divincolarsi con forza quando Harry, turbato da quella reazione, si allontanò di un passo e la lasciò andare. "Non lo sapevi," sbottò.

Kait lo guardò negli occhi, senza il coraggio - no, non il coraggio, la forza - di parlare. "Dimmi che non lo sapevi," la implorò il Grifondoro, "dimmelo!"

Con le lacrime agli occhi, la ragazza abbassò il viso. "No," mormorò Harry, il terrore e la rabbia a sfumarne la voce. "Non puoi... Me l'avresti detto, giusto? Siamo migliori amici, noi... Noi stiamo insieme! Me lo avresti detto!"

Il silenzio, talvolta, può ferire molto più di una pugnalata e fu così che si sentì Harry, come se qualcuno lo avesse colpito dritto tra le costole. Il giovane la fissò, furioso, poi la trasse a sé e la baciò con violenza, stringendole i fianchi tanto forte da farle male - e una parte di lei sapeva di meritarselo. I lividi sarebbero stati un modo per ricordare ciò che aveva fatto.

"Mi dispiace," sussurrò quando si allontanarono l'una dall'altro. Harry le voltò le spalle, rapido, e si passò una mano tra i capelli. "Hai sentito? Mi disp-"

"Smettila!" le intimò lui. Impiegò qualche minuto per riuscire a guardarla di nuovo; quando lo fece, i suoi occhi erano velati di una rabbia corrosiva e di un dolore tanto impetuoso da portare via il respiro. "Harry..."

"Sei come loro. Dici di essere diversa, ma sei come loro."

La ragazza sussultò, senza neanche avere il coraggio di domandare se parlasse dei Black o dei Serpeverde. Si morse un labbro a sangue, sforzandosi di non versare neanche una lacrima mentre il Grifondoro si voltava e marciava verso l'uscita della Torre.

"Quindi... Quindi è finita?" ebbe la forza di sussurrare Kait.

Se lo meritava, se lo meritava davvero.

"Sì, è finita."

Ma questo non voleva dire che facesse meno male.

Harry sparì oltre la soglia.

E Kait fu sola.

Si decise a tornare alla Torre di Grifondoro solo molte ore dopo; era notte fonda e, se avesse incrociato un professore, avrebbe di certo passato dei guai. Non che le interessasse, in realtà. Si sentiva apatica, vuota.

Quando arrivò al dormitorio scoprì che Hermione l'aveva aspettata sveglia, tesa come la corda di un violino. "Kait," la chiamò, sussurrando per non disturbare le compagne. L'Unità non la ascoltò, marciando dritta verso il suo baule, che cominciò a riempire con scatti rabbiosi. "Cosa... Cosa stai facendo?" le domandò.

"Secondo te?"

Sapeva che Hermione non meritava quella acidità, ma si sarebbe dovuta abituare. "Harry ha ragione," disse e la riccia le lanciò un'occhiata confusa. "Su cosa?"

"Sono esattamente come loro."

Chiuse il baule con uno scatto e lo fece volare fuori dal dormitorio con un colpo di bacchetta.

"Quindi è quello il mio posto."

Hermione sussultò; Kait quasi poteva vedere gli ingranaggi lavorare nel suo cervello. "Ma..."

"Stai attenta, okay?" le disse stringendole un braccio in un'ultima dimostrazione di amicizia. "Non ti potrò più guardare le spalle."

Poi, prima che l'altra si rendesse conto delle sue parole, Kait aprì la porta e si addentrò nell'oscurità.

 

Quando arrivò nei Sotterranei ed entrò nella Sala Comune dei Serpeverde, scoprì che Draco era ad aspettarla davanti al camino. Si alzò non appena la vide e le si avvicinò a passo lento. "Un uccellino mi ha detto che hai rotto con Potter."

Aprì le braccia e Kait, quasi senza volere, si lanciò in avanti e lo abbracciò. "Come sapevi che sarei venuta qui?"

"Sei una di noi," le rispose Draco, "anche quando fingi di essere diversa. E noi, nelle situazioni spinose, sappiamo sempre quando battere in ritirata."

Le si allontanò di un passo e spalancò le braccia. "Benvenuta a Serpeverde, Black."

Che quello fosse veramente il suo posto o meno, Kait sentì un ghigno nascerle sul viso. Lo lasciò crescere, mentre sfumature verde-argento si facevano strada sulla cravatta e sulla gonna.

Se Harry pensava fosse come loro, lo sarebbe stata - e allora avrebbe visto cosa l'aveva fatta diventare.







NdA:
Salve! Ehm... Non so con che coraggio lo faccio, ma vi chiedo scusa per l'attesa. Non so chi di voi segua ancora la storia, ma per chi è così tenace, beh... Grazie. Grazie di cuore.
Spero che questo capitolo vi abbia soddisfatto, ci ho messo più passione del solito.
Un bacio :*



 



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Capitolo 50
*** Egoista ***


Egoista



Avrebbe potuto dirglielo allora.

Hagrid, tempo addietro, aveva regalato a Harry un album pieno di fotografie dei genitori, un gesto d'affetto tanto apprezzato che il Grifondoro lo teneva sempre nel comodino, a portata di mano. Sfogliandolo insieme, entrambi si erano soffermati sulla pagina riguardante il matrimonio dei Potter; in un angolo, ad un certo punto, Sirius Black entrava nell'inquadratura. Harry non aveva collegato quel volto giovane e attraente al fuggitivo, e aveva impiegato qualche minuto a rendersi conto del perché quell'uomo gli sembrasse così familiare. Alzando lo sguardo su Kait, non aveva osato farle domande, pensando che magari fosse semplicemente un suo parente e che, comunque, fosse meglio non riportare a galla ricordi dolorosi. Questo lei lo aveva capito subito - era ovvio che lui avesse taciuto solo per non ferirla.

Avrebbe potuto dirglielo allora.

Fermarlo con un gesto e spiegargli perché suo padre avesse passato più di dieci anni ad Azkaban. Avrebbe potuto.

E invece aveva preferito il silenzio... E ora Harry la trattava come un'estranea.

Si alzò con passo lento quando si rese conto che la lezione era terminata; affiancò Pansy nell'uscire dall'aula, ma fu richiamata dal professore. "Gradirei che ti fermassi cinque minuti," le disse. "Andate avanti," mormorò Kait al gruppo di Serpeverde e a Draco in particolare, che le lanciò un'occhiata e poi annuì.

L'Unità avanzò tra i banchi, avvicinandosi all'insegnante.

"Stai bene?" le domandò Remus. Kait corrugò le sopracciglia in quella che sperava fosse un'espressione confusa. "Certo. Non dovrei?"

Lupin sbuffò una risata ironica e si appoggiò alla cattedra con un fianco. "Quindi il fatto che tu stia a Serpeverde, ora, non dovrebbe preoccuparmi?"

"Sono l'Unità," gli fece notare la figlioccia. "E poi cambiare fa bene."

"Scappare un po' meno, non credi?"

Kait sobbalzò e lo guardò con rabbia malamente celata. "Non scappo," puntualizzò mentre si sistemava la borsa sulla spalla e si voltava, diretta verso la porta.

"Ah no?" esclamò Remus un secondo prima che lei si lasciasse l'aula alle spalle. Il cuore le mandò una stretta dolorosa, ma lei non reagì; era una Serpeverde, ora. Non agiva d'istinto.

E comunque era in ritardo per la lezione successiva.

Senza una parola, velocizzò il passo per raggiungere Draco e i suo- loro.

 

"Kait! Dai, Kait!"

La Black aprì gli occhi con un gemito. Da quando Harry l'aveva lasciata - faceva male solo pensarlo - non era riuscita a dormire più di poche ore di seguito, perché poi orribili incubi la svegliavano. "Dai, Pansy," esclamò una voce che con tutte le probabilità apparteneva a Daphne. "Una ragazza ha bisogno di dormire, per essere bella."

Sia Pansy che Kait voltarono la testa verso la bionda, che si fissava le unghie con un'espressione fin troppo concentrata. "Credo proprio che Millicent farebbe meglio ad andare in coma, in effetti," sbottò dopo qualche secondo.

Pansy rise e Kait si sforzò di imitarla, combattendo il desiderio di scattare in difesa del più debole. 

Non era più così.

Era meglio che imparasse a ricordarselo.

"Si può sapere perché mi hai svegliata?" domandò, più acida di quanto volesse. "Natale. Sai, no, questa festa sconosciuta," ironizzò Parkinson. "Quelli che non sono andati a casa per le vacanze ci aspettano giù, per aprire i regali."

Kait annuì; aveva comprato tutto tempo prima - i pacchetti per Harry, Ron e Hermione, però, immaginava avrebbe dovuto tenerseli.

"Dammi una decina di minuti e scendo," promise. Quando fu sola, si appoggiò a una colonna del letto a baldacchino ed emise un sospiro spezzato. Odiava quel periodo, faceva schifo. Era il venticinque dicembre; tre giorni dopo sarebbe stato l'anniversario della morte della sua famiglia.

Nathan non avrebbe gioito dei regali, Hannah non le avrebbe sorriso, la loro madre non li avrebbe riempiti di fotografie.

Il Natale faceva davvero schifo.

E scommetteva che suo padre, ovunque fosse nascosto, la pensasse allo stesso modo.

Nonostante l'avversione per quella festività, Kait si vestì bene, - una gonna lunga viola della boutique per streghe più famosa, stivali con il tacco e un top nero - posizionò Gyaki in bella vista e raccolse una parte dei capelli, in un'acconciatura che le aveva insegnato Narcissa anni prima. Passò la mattinata nella Sala Comune dei Serpeverde, a scartare regali tanto costosi da mettere in imbarazzo persino lei - e a sorridere di fronte alle espressioni che gli amici facevano nel constatare cosa avevano ricevuto.

Il pomeriggio lo passò nella stanza di Remus, a bere tè caldo e accoccolarsi una sull'altro, nell'attesa della luna piena che sarebbe inevitabilmente arrivata quella notte. Era una sfortuna che quell'anno il venticinque dicembre coincidesse proprio con la trasformazione di Remus, ma andava bene così. Da quando era a Hogwarts, infatti, l'uomo aveva a disposizione la Pozione Antilupo.

"Vai a cena, Kait," le disse quando fu ora. "Non esiste, resto con te," rispose lei.

"Tesoro, vai, io starò bene."

"Non è che abbia voglia di festeggiare, comunque."

E a quel punto, sconfitto, Remus le permise di restare.

Furono dei giorni tristi; a Santo Stefano Kait incontrò Hermione in biblioteca, dove la riccia si stava distraendo da un litigio con i ragazzi. "La scopa potrebbe essere maledetta o qualcosa del genere. L'ho fatto per il bene di Harry!"

Kait cercò di mantenere la calma. Sapeva che suo padre aveva abbastanza soldi da comprare anche dieci Firebolt e, sebbene dubitasse ci fossero malocchi sopra, sapeva che poteva essere stato davvero lui a mandarla, in un regalo al figlioccio. Questo la pose in una condizione piuttosto spiacevole, perché - senza volerlo - si ingelosì. Perché Harry riceveva un regalo da lui? Perché Harry sì e lei no?!

"E tu me lo dici perché...?" si sforzò di mantenere un tono piatto. Hermione rimase interdetta; le si era avvicinata con l'intento di sfogarsi e di metterla al corrente di ciò che stava accadendo, ma L'Unità non ne sembrava molto contenta. "Ehm, pensavo..."

"Non farlo, Hermione," scattò Kait alzandosi in piedi, "non trattarmi come se niente fosse successo."

"Ma io... Ieri non c'eri e sperav-"

"Non farlo," la fermò la Black. "Non sono più una di voi. Quindi non far finta che lo sia."

E se ne andò, il cuore stretto nella familiare morsa che ormai la accompagnava ovunque andasse. Diversamente da come avrebbe creduto, Hermione la seguì. Le urlò più volte di fermarsi e Kait continuò ad ignorarla, sperando di essere lasciata in pace. "So del professor Lupin!" gridò allora la Grifondoro. Ottenne l'effetto sperato, perché la Black si fermò in un istante e si voltò, per poi marciare nella sua direzione. Lanciò due occhiate al corridoio, per essere sicura di non avere compagnia, e mentre camminava le chiese cosa intendesse.

"Lo sai che non sono stupida," le rispose Hermione, "quanto tempo pensavi avrei impiegato a capire che è un lupo mannaro?"

A quelle parole, Kait scattò. Afferrò l'altra per una spalla e la spinse contro un muro, ignorando il gemito di dolore e di sorpresa. Spinse l'avambraccio sotto la gola e mantenne la posizione, come Moody le aveva insegnato; non fece abbastanza forza da farle male, solo quello che bastava per minacciarla.

"Non lo dirai ad anima viva. Mi sono spiegata?"

Hermione la guardò negli occhi, spaventata da quel comportamento anomalo.

"Mi sono spiegata?!" le ringhiò Kait all'orecchio, spingendo con lentezza sulla gola. "Sì! Sì, ho capito."

"Bene," esclamò allontanandosi. Libera, la Grifondoro la fissò con orrore, le mani a toccare il punto offeso. "Cosa ti hanno fatto diventare?" sussurrò con le lacrime agli occhi.

"Chiedi a Harry," rispose Kait. "È tutto merito suo."

Poi si voltò e se ne andò, sforzandosi di non piangere mentre la consapevolezza delle sue azioni si faceva strada dentro di sé. 

Aveva protetto ciò che restava della sua famiglia - ma a che prezzo?

Non riuscì a scacciare il senso di colpa neanche quando le lezioni ricominciarono e poté constatare che l'amica - sempre che avesse il diritto di chiamarla così - non aveva lividi.

I giorni si susseguirono con lentezza, nonostante i Serpeverde raramente lasciassero Kait a lungo da sola. Non sapeva se fosse una richiesta di Draco o un semplice modo di supportare una loro compagna, ma alla fine le interessava poco. Almeno, avendo compagnia riusciva a distrarsi.

Harry, Ron e Hermione andavano avanti con le loro vite. Ogni tanto coglieva gli ultimi due a fissarla da lontano, una traccia di malinconia e preoccupazione nello sguardo; Harry, invece, non la degnava di un'occhiata.  Attraverso Remus, Kait aveva scoperto che il Grifondoro aveva fatto dei progressi con i Dissennatori e che ora era in grado di creare un patrono. In un'altra circostanza questo l'avrebbe resa fiera di lui, e forse sotto sotto lo era davvero - nonostante nemmeno si parlassero.

"A cosa stai pensando?" le domandò Blaise, seduto al suo fianco su uno dei divani della Sala Comune. "Niente di particolare," rispose lei. Alzarono entrambi il viso verso l'ingresso, da cui era appena spuntato Draco. "Ahia, sembra parecchio incazzato," mormorò Zabini.

Kait si alzò in piedi e raggiunse il cugino, che sbraitò a proposito - quel che si dice il caso - di Potter, che a quanto pareva gli aveva lanciato addosso del fango. Quando la Black insistette per avere altre informazioni, tutto ciò che ottenne fu "Solo la testa, il resto invisibile. Oh, ma Piton lo ha già chiamato nel suo ufficio, vedrai come finirà!"

Kait immaginava come fosse andata; Harry doveva essersi vendicato su Draco nascondendosi con il Mantello dell'Invisibilità, che però gli doveva essere scivolato. Un vero Grifondoro, eh!, sussurrò la sua parte più acida, che davvero non capiva come il ragazzo avesse potuto attaccare l'avversario alle spalle.

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti i suoi pensieri furono interrotti; Millicent entrò nella Sala con passo pesante e si diresse dritta verso l'Unità. "Il professor Lupin ti cerca."

Mentre Draco brontolava "pezzente", Kait si voltò e corse fuori. Arrivò all'ufficio di Remus nel modo più rapido possibile e prese un bel respiro, prima di bussare. L'uomo le disse di accomodarsi e Kait deglutì a vuoto, sorpresa dal tono furente dell'altro.

"Rem?"

Era appoggiato alla cattedra, il volto basso puntato su una pergamena che teneva in mano - no, pensò Kait, non una pergamena qualunque. "Posso spieg-"

"Ne sei entrata in possesso. Sapevi che l'avevamo lasciata a Gazza perché i nostri veri eredi la trovassero e non sei riuscita a resistere, vero?!"

"Non è co-"

"Non mi interrompere!" urlò Remus, l'espressione tesa dall'ira e la delusione. "Hai idea di quanto pericoloso sia?! Se Sirius entrasse in possesso di questa mappa," e la lanciò sulla scrivania, causando la caduta di alcuni effetti personali, "Harry non..."

"Smettila!" strillò Kait. Aveva le mani nei capelli e gli occhi spalancati. "Non sono stata io. I gemelli Weasley gliel'hanno passata, okay?"

Lupin, respirando pesantemente, si sforzò di rilassare le spalle e di non sembrare così ostile. "Non era mai solo. Harry era al sicuro. Se mio padre si fosse presentato, io avrei... Avrei..."

"Cosa, tesoro?" aveva un tono più dolce, quasi restare arrabbiato con la figlioccia lo stancasse in modo incredibile. "Cosa avresti fatto? Non sa che tu sei... Tu. Per quanto riguarda la mappa, invece..."

"Harry voleva solo andare a Hogsmeade."

"Ma non capisci che è pericoloso?!" poi, quasi colto da un'amara illuminazione, sbuffò una risata. "Lo credi ancora innocente."

"Basta," sbottò Kait, che davvero non riusciva a sopportare altre critiche. "Se hai finito, me ne vado."

E senza aspettare una risposta, si allontanò a passo di marcia. Tutti la giudicavano, senza neanche fermarsi a chiedersi se stava bene o meno, se avere un padre ritenuto un assassino non la ferisse. I Serpeverde le stavano più vicini di quanto tutti gli altri nella scuola potessero affermare - perché forse erano reputati degli stronzi, ma la verità era che sarebbero sempre stati pronti ad aiutarla.

Purtroppo nemmeno loro poterono fare molto di fronte allo scandalo che avvenne alcuni giorni dopo. Le stettero vicini, certo, e impedirono alla maggior parte dei ragazzi di importunarla, lanciando occhiate di fuoco a chiunque la fissasse. Nonostante tutto, però, l'odio verso Kait crebbe a dismisura... Perché alla Torre di Grifondoro, nel dormitorio maschile del terzo anno, si era introdotto Sirius Black. Ron, colui che aveva dato l'allarme e che era quasi stato vittima dell'assassino, l'aveva fermata durante una lezione per dirle che stava bene e che non la incolpava di certo; un'amara consolazione, di fronte al comportamento della scuola, che vide improvvisamente il rosso come un eroe - un eroe, poi, capace di perdonare la figlia del suo aggressore.

Kait non si era mai sentita così vulnerabile e il fatto che suo padre fosse stato un'altra volta dentro il castello senza preoccuparsi di raggiungerla non faceva che acuire la sensazione. Immaginava che informarsi sulla sua Casa fosse complicato, per un ricercato, ma... Era pur sempre sua figlia, dannazione!

Non valeva niente, per lui?

Con il petto pesante e la gola chiusa, Kait corse alla Sala Comune dei Serpeverde, saltando gradini e schivando studenti diretti nella direzione opposta. Una volta detta la parola d'ordine fu dentro; subito si chiuse nel dormitorio femminile del terzo anno e si buttò sul suo letto - adorava il fatto che ogni Casa ne avesse uno pronto per l'Unità.

"Toc toc," esclamò Draco entrando a sua volta nella stanza. A Grifondoro non sarebbe stato ammesso, ma lì non esistevano scivoli anti-intruso, quasi a Salazar non fosse importato tenere davvero divisi i ragazzi dalle ragazze.

"Hai bisogno di qualcosa?" domandò Kait coprendosi gli occhi con un braccio. Sperava che il messaggio "lasciami in pace" trasparisse abbastanza, in questo modo. "Acida, che ne dici di rilassarti un po'?"

Si distese al suo fianco, brontolando a proposito del Quidditch, forse il primo argomento non riguardante Black Senior che gli fosse venuto in mente. "Sembra che Potter abbia una Firebolt," disse dopo un po'. "Immagino che tutti i Serpeverde stiano cercando di rompergli qualcosa così da impedirgli di presentarsi alla partita," rispose Kait sistemandosi su un fianco così da guardare meglio il cugino, che ghignava. "Ovvio."

Rimasero a fissarsi per qualche momento; era una di quelle situazioni in cui entrambi sapevano cosa sarebbe potuto succedere e aspettavano in tensione la mossa dell'altro. Quasi inconsciamente, Draco si fece più vicino.

Era su un fianco anche lui, ma attraverso il gomito si teneva più alto, forse per ottenere un'illusione di controllo. Quasi senza volere Kait si lasciò scivolare distesa; la testa le pareva ovattata e non riusciva a ragionare.

A lei piaceva Harry.

Harry le aveva spezzato il cuore.

A Draco piaceva lei.

Gli avrebbe spezzato il cuore.

Ma perché doveva essere così complicato? Se c'era una cosa che adorava quando baciava Harry era che smetteva di pensare - forse sarebbe successo così anche con Draco. Forse i sentimenti di affetto che provava verso di lui si sarebbe amplificato per il semplice fatto che erano stati più intimi.

O forse avrebbe ferito lui e se stessa.

Stava per allontanarsi e tirarsi indietro quando Draco, forse notando il suo sguardo fisso sulle labbra o forse soltanto smettendo di farsi prendere dalla paranoia, le si avvicinò con il corpo e con il viso.

Un secondo dopo si stavano baciando.

Nessuno dei due aveva capito chi avesse iniziato, tuttavia andò bene così, perché erano entrambi abbastanza disperati da evitare di porsi domande. Quando si separarono per prendere fiato, però, Kait si rese conto di cosa stava facendo. "Ti sto illudendo," sussurrò, il senso di colpa in lei già prepotente. "Non mi interessa," rispose Draco calando di nuovo sulle sue labbra. Gemette e fu strano, perché i Malfoy non si lasciavano mai andare così facilmente e che avesse scelto lei per farlo era piuttosto significativo. Aveva le labbra morbide, Draco, e un profumo che le ricordò la loro infanzia, quando giocavano in giardino e si allontanavano dallo sguardo degli adulti per potersi scatenare come dei purosangue non avrebbero dovuto fare. Fu il ricordo del loro passato a ridestarla, perché teneva davvero a suo cugino - e poi, diamine, erano cugini!

"Davvero," mormorò quindi Kait allontanandosi da quel tocco.

"Non posso," continuò. Si mise seduta e si sistemò la camicia, alzatasi durante il bacio.

Contrariamente a quello che pensava, Draco non si offese, - o per lo meno non lo mostrò - sembrando tutto sommato tranquillo. Si alzò con un gesto e con un tocco della bacchetta si aggiustò i vestiti raggrinziti e i capelli scompigliati.

"È stato bello finché è durato," esclamò mentre usciva dalla stanza, forse trattenendosi per non scoppiare di fronte a lei - o forse realmente calmo, chi poteva saperlo.

Pareva strano, ma Kait decise che ci avrebbe pensato dopo. E che gli altri la chiamassero pure egoista.






NdA:

Spero il capitolo vi sia piaciuto; ho impiegato meno del solito, - e meno male, direte voi - e voglio che sappiate che proverò con tutta me stessa a mantenere più o meno questo ritmo. Non prometto niente, ma ci proverò.
:*

Dea

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Capitolo 51
*** Cambia qualcosa ***


Cambia qualcosa



Il giorno dopo la Black si rifiutò di andare a lezione, fingendo un mal di testa martellante che non le lasciava tregua, e rimase a dormire fino a tarda mattinata. Passò il resto del tempo a portarsi avanti con i compiti, a riordinare e a cercare qualsiasi distrazione dai suoi pensieri, che scivolavano pericolosamente su ciò che la feriva di più.

Era ormai pomeriggio inoltrato quando Nott bussò alla porta del dormitorio femminile. Lo fece subito entrare, confusa sul motivo della sua presenza - non che non le facesse piacere, eh. Ma Theodore non era un gran chiacchierone e quando parlava significava che aveva qualcosa di importante da dire. Si sedette alla scrivania, mentre lei si sistemò su un lato del letto a lui più vicino.

“Alcune dei nostri sono convinte di aver visto qualcosa vicino al lago,” spiegò il ragazzo dopo qualche istante di silenzio. “Si stavano scontrando con alcune Grifondoro e hanno colto un movimento in mezzo agli alberi.”

Il respiro di Kait si era fatto più pesante e la bocca asciutta, perciò si schiarì la gola per coprire il disagio e si sporse in avanti. “Mio padre?”

Non le servì vedere Nott annuire per capire di avere ragione. “Ovviamente lo hanno visto solo le nostre,” disse e Kait colse il “i Grifondoro non notano mai niente” sott’inteso. “Mi devo aspettare qualche insegnante o auror pronto a interrogarmi?”

L’occhiata che le rivolse il ragazzo fu quasi dolorosa e le fece rimpiangere di aver posto quella domanda dalla ovvia risposta. I Serpeverde non tradiscono i propri compagni - la lealtà, contrariamente a quanto pensassero le altre Case, era per loro fondamentale. Kait abbassò lo sguardo e si guardò le unghie smaltate di nero, indecisa su come procedere.

“Dicono che guardava l’intero gruppo come alla ricerca di qualcosa… O di qualcuno.”

Quelle semplici parole riuscirono a farla sentire strana. Da un lato le venne voglia di correre nel parco e gridare a gran voce il nome del padre, nella speranza di vederlo e abbracciarlo per la prima volta dopo tanti anni; dall’altro il rancore e la gelosia la soffocavano. Era entrato a Hogwarts più volte, era persino riuscito a regalare a Harry una Firebolt, ma lei non valeva il rischio. Inghiottì un ringhio e alzò gli occhi su Nott, che la fissava di rimando.

“Ti sta cercando, Kait. Ma non ha abbastanza informazioni, chiunque se ne renderebbe conto,” le spiegò con la sua solita calma. “Sai di che anno erano quelle ragazze?”

E improvvisamente fu chiaro anche a Kait. “Il quarto,” rispose e si morse il labbro per non sorridere nel vedere Nott annuire. “Non sa in che Casa tu sia, perché non sa che sei l’Unità. Così come non sa come sei fatta… Forse spera solo di riuscire a riconoscerti con un’occhiata.”

La Black lo invitò a continuare con un cenno del capo, seguendo il filo del discorso.  “Prova a pensare: cos’è che sa? Le uniche due informazioni di cui è in possesso? Il tuo nome, che però hai cambiato, e quando sei nata - che conta poco, visto che sei entrata a Hogwarts un anno dopo. Sta cercando nel quarto, perché non sa di dover guardare al terzo.”

Quindi, continuò Kait mentalmente, tiene ancora a me.

Nott si alzò con un gesto fluido e si guardò attorno, lasciandole così il tempo di riprendersi dal discorso. Era stata la volta in cui lo aveva sentito parlare più a lungo, ma come al solito aveva detto solo cose che valeva la pena ascoltare.

“Ho fatto una piccola ricerca,” aggiunse il ragazzo dopo qualche minuto, tirando fuori un pacchetto dalla borsa dei libri. “Sono andato dagli elfi domestici, visto che sono loro quelli incaricati di sistemare i regali nelle varie Case. Ho chiesto se ne avessero ricevuto uno per una certa Helena del quarto anno e mi hanno dato questo.”

Le porse il pacchetto, poi si piegò per lasciarle un bacio sulla testa - un gesto d’affetto molto, molto raro, da parte sua - e si voltò per dirigersi verso la porta. “Grazie,” sussurrò Kait con un sorriso commosso. Era il gesto più bello che qualcuno avesse mai anche solo pensato per lei. L’aver raccolto informazioni, cercato risposte…

Theo le lanciò un’occhiata che stava a significare “siamo amici, no?” e uscì definitivamente dalla stanza, senza più guardarsi indietro.

Kait, rimasta sola, strinse al petto il pacchetto, una scatola grande quanto il suo pugno, e vi respirò contro, quasi a cogliere il profumo inesistente del padre. Dopodiché prese coraggio e disfece il fiocco, aprendo il regalo. Era una carta - no, una foto - piegata in modo da coprire l’oggetto sottostante. L’immagine rappresentava una moto nera di ultima generazione, con però alcune differenze al motore. Voltando la foto, Kait vide che c’era una scritta. “Un giorno ti insegnerò a volarci, è una promessa. Ti voglio bene, papà” diceva. La calligrafia era certamente maschile, ordinata come quella di ogni purosangue, e la ragazza rilesse quelle frasi dieci, venti, trenta volte, fissandosela in testa. Poi infilò di nuovo la mano nella scatola e ne tirò fuori una chiave.

Scoppiò a ridere e si sentì felice per la prima volta dopo tanto tempo. Sapeva che era un comportamento stupido, gioire perché Harry aveva ricevuto solo una Firebolt e lei una vera e propria moto, ma non riuscì ad impedirselo. Distendendosi sul letto, baciò la chiave e chiuse gli occhi, finalmente serena.

 

Passarono le settimane, arrivarono gli esami. Kait era una delle prime della classe, - oscillava tra la seconda e la terza, a dir la verità, dopo Hermione e spesso a pari merito con Draco - perciò non si preoccupò molto. L’unica materia in cui non eccelleva era Erbologia, ma ne sapeva comunque abbastanza da, secondo i suoi calcoli, ottenere una O. L’esame di Difesa fu il più intrigante, perché Remus aveva costruito una specie di corsa ad ostacoli, piena di creature che avevano studiato durante l’anno. Per ultimo Kait affrontò il molliccio e si sentì tremendamente in imbarazzo quando, uscendo dal tronco, si rese conto che Harry aveva udito - e fortunatamente non visto - in cosa si trasformava il suo.

“Ottimo, punteggio pieno,” le sorrise Remus nel vederla comparire. La Black annuì, poi si congedò con un cenno del capo e si allontanò. Harry rimase fermo a guardarla da lontano e quasi non si accorse che il professore gli si era avvicinato. “Credo che dovreste risolvere,” gli disse. “Te lo dico come padr…ino.”

Il Grifondoro era così perso nei suoi pensieri da non rendersi conto della gaffe dell’uomo. “Devo andare,” mormorò, gli occhi ancora fissi sul vuoto. “Vado,” sussurrò ancora. E così fece.

Remus mantenne l’attenzione su di lui per qualche altro istante, prima di costringersi a pensare agli studenti in sede di esame.

Kait affrontò così anche l’ultimo test, Divinazione, in cui si sforzò di improvvisare. Non aveva la Vista, perciò fissò la sfera e… “Vedo un uomo,” mentì. La Cooman le fece cenno di continuare, scrivendo velocemente su un taccuino. “Vorrebbe uscire, ma non può.”

“Chi è quest’uomo?” la incitò l’insegnante. “Mio padre.”

E, pur sentendosi in colpa, seppe di essersi appena guadagnata un buon voto. Era così, in quella materia: più andavi sul tragico, più punti ottenevi.

“Cosa fa? Ti sembra cosciente?”

Era dolorosamente ovvio che la Cooman si stesse riferendo al Bacio del Dissennatore, ma Kait decise di non prendersela. “Non… Non saprei,” mormorò. “Vaga da una stanza all’altra. Sembra… Sembra essere Natale, ma lui non è di buon umore. È solo, quasi… Apatico.”

Era vestito bene e pulito, con i capelli sistemati al meglio, ma camminava sfiorando le pareti con un dito, senza una meta.

Fu allora che, in un istante, Kait si rese conto di riuscire a vederlo davvero, nella foschia della sfera di cristallo. Trasalì e si ritrasse di scatto, rovesciando il tavolo nel movimento. “Mi scusi, mi…” cominciò, a disagio, con il cuore che le galoppava nel petto. La Cooman la osservò per un istante ancora e finì di scrivere sul taccuino, quindi le sfiorò un braccio. “Non sempre ciò che Vediamo ci piace, è il peso che dobbiamo sopportare. Sei stata molto brava. Puoi andare.”

E senza farselo ripetere, Kait corse via.

Passò per il dormitorio, dove cambiò la divisa in favore di abiti più comodi, e poi decise di prendere un po’ d’aria. Tutto pur di distrarsi, no? Finì con l’incamminarsi per il parco, negli occhi ancora l’immagine del padre. Sapeva che la Divinazione era forse la più incerta di tutte le branche della magia, ma era sembrato così vero, così… Triste. Non era riuscita a riconoscere la casa, eppure in qualche modo non le era stata del tutto estranea.

Si passò le mani nei capelli e sciolse la treccia che si era fatta precedentemente, continuando ad avanzare nel verde. Si fermò di scatto quando si trovò Harry, Ron ed Hermione di fronte, che camminavano nella direzione opposta. Sembravano scossi e Kait cercò davvero di frenare la preoccupazione, ma fallì. 

“State bene?” domandò con un sussurro. “Fierobecco è stato giustiziato,” singhiozzò Hermione slanciandosi in avanti per abbracciare quella che, nonostante tutto, ancora considerava la sua migliore amica. Kait rimase immobile per qualche istante, senza sapere come reagire, dopodiché mandò il suo orgoglio all’inferno e ricambiò la stretta, mormorando rassicurazioni. Sembrava che Hermione avesse dimenticato l’increscioso “incidente” fuori dalla biblioteca, o che comunque avesse accettato di perdonarla, e di questo la Black era più che grata.

Ron, alle sue spalle, si lasciò sfuggire un mezzo grido. Kait si voltò in tempo per vedere Crosta divincolarsi dalla presa delle sue dita e lanciarsi in avanti, nell’erba, mentre Grattastinchi gli correva dietro. Tutti e quattro seguirono gli animali e ciò che accadde fu piuttosto confuso: Kait fu l’unica a rendersi conto che stavano correndo dritti verso il Platano Picchiatore e fermò Hermione con un braccio, allungando l’altro per afferrare Harry per la maglietta. Il ragazzo si sbilanciò, tirato all’indietro, e così, quando un grosso cane nero sbucò dal nulla e gli saltò praticamente addosso, cadde rovinosamente a terra, portando l’animale con sé. Ci fu una colluttazione - Kait, spaventata, cercò di proteggere tutti, dai suoi amici a quello che era convinta fosse il padre, trasformato in Animagus. Fu quel tentativo di evitare che qualcuno si ferisse a condannarla, perché era tanto concentrata sugli altri da dimenticare del Platano Picchiatore. Moody le avrebbe tirato un bastone per la testa, se l’avesse vista abbassare la guardia in quel modo.

Il primo ramo che la colpì la fece cadere a quattro zampe sull’erba, la schiena che pulsava in modo doloroso, e fu solo grazie ai suoi buoni riflessi che schivò il secondo. Con la coda dell’occhio vide Ron venire trascinato in un buco alla base del tronco e, senza pensarci due volte, Kait vi corse incontro, scansando ogni ramo infuriato. Sapeva che così facendo stava lasciando Harry ed Hermione indietro, ma non poteva lasciare Ron da solo. Sembrava equo, no? Due da una parte e due dall’altra - perché, diversamente da ciò che credevano tutti, lei e Ron erano davvero migliori amici.

Si lanciò in scivolata nel buco e si rese conto che suo padre aveva già portato il ragazzo attraverso il tunnel; subito lo seguì, ringraziando di essersi cambiata dopo l’esame. Non avrebbe sopportato la gonna, in quel momento.

Corse di buona lena, le braccia e la schiena posizionate come le aveva insegnato Moody, e poco dopo si trovò nella fatiscente Stamberga Strillante. Subito la sua mente fu attraversata dai racconti di Remus e rabbrividì nel vedere i graffi sulle pareti. “Quanto dolore,” sussurrò con voce impercettibile. Sentì le scale scricchiolare e le salì nel modo più silenzioso possibile, la bacchetta alta davanti a sé. Sperava, pregava di non doverla usare, ma… Ma si trattava del suo migliore amico. Non avrebbe permesso che gli venisse fatto del male - il solo pensiero di aver ferito lei stessa Hermione le dava la nausea.

Era determinata ad agire come Moody avrebbe voluto, come tutti gli Auror avrebbero fatto; tuttavia, nello stesso momento in cui entrò nella stanza dov’era Ron e vide suo padre starle di fronte, si sentì persa. Ogni proposito crollò e, senza volere, abbassò la bacchetta. Suo padre. Suo padre. Suo padre. Di fronte a lei. Suo padre.

Casa. 

Famiglia.

Protezione.

“Kait!” gemette Ron, alle sue spalle, e la ragazza si costrinse a prestargli attenzione, correndogli vicino. Non perse l’occhiata confusa di Sirius, - quasi l’avesse riconosciuta come una studentessa già vista, ma non come figlia - però preferì concentrarsi sull’amico, che si teneva la gamba rotta. “È lui, è un Animagus,” piagnucolò. “Lo so,” rispose lei cercando nella memoria un incantesimo utile in caso di frattura. “Sto bene.”
“No, Ron, è solo l’adrenalina.”

“Non credo che abbiamo il tempo di discutere, sai?” esclamò il rosso in risposta, indicando il padre di Kait, ancora immobile. Lei si alzò in piedi, dando le spalle a Ron in un moto di protezione, ma continuò a tenere la bacchetta bassa. “Cosa ci fai qui?” domandò con voce fintamente serena. Dentro di sé tremava. Sirius la squadrò dalla testa ai piedi, dai capelli neri sciolti sulle spalle alla maglietta nera aderente, ai jeans scuri e gli anfibi. Qualcosa, in quella ragazza, gli sembrava familiare e per un secondo dubitò fosse soltanto perché l’aveva vista insieme al figlioccio - nonostante tutto, però, non si mosse. Era allo stesso anno di Harry, ne era sicuro… Magari era la figlia di qualche suo ex compagno di scuola.

Kait si schiarì la gola, irritata per essere stata ignorata, e udì le scale scricchiolare. Un secondo dopo Harry ed Hermione fecero la loro entrata, correndo subito da Ron. Per la seconda volta quest’ultimo sviò l’attenzione da sé, spostandola su Sirius Black, fermo nell’angolo - con un tonfo chiuse la porta e Kait si chiese se non avesse sbagliato, nel farlo evadere. Ne ebbe quasi la certezza quando lo vide togliere le bacchette agli amici - la sua, per qualche motivo, non fu presa - e lo sentì elogiare Harry per il suo coraggio, paragonandolo al padre.

Ron si alzò in piedi, traballando sulle gambe, e Hermione lo affiancò, entrambi determinati a difendere l’amico fino alla morte. Kait chiuse gli occhi in un momento di debolezza e piegò la testa, soffrendo come poche volte in vita sua. Indietreggiò di un passo e si sistemò accanto a Harry, che la fissò sorpreso - a quel punto prese un respiro profondo e alzò la bacchetta. Fece male quasi a livello fisico, ma si sforzò di sopportarlo. Era dei suoi amici, che si trattava. Nessuno avrebbe fatto loro del male.

Non aveva pensato, però, alla possibilità opposta. Harry, infatti, si lanciò sul fuggitivo, tempestandolo di colpi dettati da una rabbia accecante che mai gli aveva visto addosso. Ci fu un vero guazzabuglio, perché anche Hermione e Ron si intromisero e lei, quella che in teoria era la più addestrata, rimase immobile, indecisa tra il desiderio disperato di proteggere ciò che rimaneva della sua vecchia famiglia e quello ruggente di salvare la nuova. Non capì bene come, ma improvvisamente Hermione e Ron si erano fatti da parte e Harry aveva una bacchetta in mano, puntata contro Black, accasciato per terra.

“No!” strillò la giovane senza rendersene conto. Il Grifondoro chiuse gli occhi per un istante, sforzandosi di ricacciare indietro le lacrime. La sua mente corse alla sera in cui Kait gli aveva raccontato della morte della sua famiglia, di come li avesse visti morire, e si sentì male, male, tanto male da faticare a respirare. Poteva costringerla a riaffrontare quell’orrore?

Era quasi sul punto di abbassare l’arma quando Sirius Black alzò lo sguardo su di lui e la rabbia tornò prepotente, divorando il senso di colpa. Aveva tradito i suoi genitori, meritava di morire.

Kait notò il cambiamento nello sguardo dell’altro. Non si rese conto di come lo avesse visto, ma le bastò a mandarla nel panico; fu un secondo, il tempo che l’istinto prendesse il sopravvento, e Kait si mosse. Si mise in mezzo, a pochi centimetri da Harry, che la fissò con rabbia e le intimò di spostarsi. “No!” tuonò in risposta. Sentì lo sguardo del padre perforarle la schiena, mentre lei faceva un passò avanti, così che la bacchetta dell’altro le premesse con forza sul collo. Deglutì vistosamente, alzando il mento e stringendo le mani a pugno.

Io non ho paura, si disse. Io proteggo le persone che amo.

“Kait…”

“Se vuoi ucciderlo dovrai prima colpire me,” esclamò la ragazza. Poi, sentendosi quasi in vena di scherzare, aggiunse “… E credimi, incasso piuttosto bene.”

“Kait, ti prego, spostati.”

“Tieni a me?”

Harry fissò la ragazza con uno sguardo indecifrabile e, per un secondo, lei temette di ricevere una risposta negativa. Mentre Sirius si chiedeva il perché delle azioni della sconosciuta, Potter prese  un respiro profondo e annuì. “Da sempre, lo sai.”

“Allora abbassa la bacchetta.”

“Se Black scappa…” sbottò Harry a quel punto, incredulo di fronte al ricatto emotivo di fronte al quale lo stava ponendo. “Se davvero tieni a me,” cominciò lei.

“Ha ucciso i miei genitori!” la interruppe lui.

“Hai detto che tieni a me e provo la stessa cosa, Harry,” rispose Kait, “ma se non abbassi la bacchetta ora tu per me non esisterai più.”

Sentì distintamente i respiri di Ron ed Hermione venire trattenuti in modo brusco, tuttavia cercò di non pensarci. Si sentiva orribile a ricattare il ragazzo in quel modo e sperava che un giorno ne avrebbe capito il motivo. Stava cercando di proteggerli tutti, perciò continuò. “Non ti rivolgerò più la parola, non ti guarderò. Farò la Serpe e non ti considererò nemmeno quanto basta per sfotterti. Non esisterai più, per me. Sarai morto, ai miei occhi, capito? Morto.”

Salazar sarebbe stato fiero di lei, nonostante sentisse la voglia di vomitare.

Seguirono dei secondi di assoluto silenzio, interrotto solo dai respiri pesanti dei presenti. Poi, sotto lo sguardo incredulo di Sirius, Harry fece un passo indietro ed eseguì l’ordine, senza avere il coraggio di fare altro. Il ricercato sgranò gli occhi e fissò i due giovani, che fino al momento prima si davano contro, stringersi l’uno all’altra e baciarsi come non esistesse un domani.

“Mi sei mancata,” sussurrò Harry appena si fu allontanato per riprendere fiato. “Tanto che non hai un’idea,” rispose Kait.

Non le importava che quella situazione fosse difficile, perché la difficoltà era qualcosa a cui era abituata. Ci era nata e cresciuta in mezzo.

Difficile, se significava insieme, era semplicemente perfetto.











NdA:
Quasi non ci credo che sono qui a postare *v*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se immagino che la  tensione per Sirius e Kait si stia facendo sentire ahah ora si sono visti, ma lui ancora non realizza :P 
Volevo ricordare che seguo i fatti dei libri, anche se ogni tanto non ne mostro alcuni perché Kait non è presente o per necessità di trama. 
Ogni commento sarà più che apprezzato ^^

Un bacio e un abbraccio forte,
Dea

 

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Capitolo 52
*** Verità e giustizia ***


Verità e giustizia
 

Harry lanciò un’occhiata a Kait, ancora stretta al suo petto, e si sentì spezzato in due, a metà tra l’affetto e il desiderio di vendetta. “Okay,” mormorò allontanando la ragazza da sé e guardando il traditore dei suoi genitori negli occhi. “Non sono un assassino,” disse. Black annuì. “Ma questo non ti salverà dalla giustizia. I Dissennatori ti daranno il Bacio.”

Udì il gemito oltraggiato di Kait e sentì la sua paura e la sua rabbia, quasi stessero serpeggiando in tutte le direzioni. “Non puoi!” strillò. Harry, che la conosceva bene, si rese conto che era al limite. Cercò di sfiorarle una mano, ma lei si ritrasse, avvicinandosi così a Sirius Black. Non sembrava preoccupata all’idea di dare le spalle ad un assassino e Harry si rese conto che, con tutte le probabilità, si fidava abbastanza da non farci caso.

Aveva riposto la sua fiducia in lui!

Era tanto disperatamente bisognosa di una famiglia?!

“Ti fidi di lui,” constatò quindi ad alta voce. La ragazza annuì. “I-io sono convinta che sia innocente, Harry.”

Quest’ultimo sgranò gli occhi, incredulo, mentre all’uomo seduto a terra scappava un gemito sorpreso. “Come puoi…” cominciò Harry, la bile che si faceva strada lungo l’esofago. “Ha ucciso i miei genitori! Lavorava per Voldemort!”

“Non è un Mangiamorte!” strillò Kait, sul viso un’espressione determinata e fuori di testa al tempo stesso. Dava le spalle al padre e quindi nessuno, nella stanza, riuscì a cogliere la somiglianza con Bellatrix Lestrange, fattasi quasi incredibile in quel momento di tensione. “Come puoi pensare ch-“

“Fidati di me, Harry. Non è un Mangiamorte.”

Fu Ron, a quel punto, a sbuffare ironicamente. “Certo, infatti non ha mica passato tredici anni ad Azkaban, eh?”

“Dodici,” lo corressero Kait e Sirius nello stesso tempo. La ragazzina lanciò un’occhiata oltre la sua stessa spalla e colse lo sguardo confuso del padre; non vi prestò troppa attenzione, però, perché udì dei passi al piano inferiore. Hermione cominciò a urlare che Sirius Black era lì e Kait, sotto lo sguardo allibito dei presenti, digrignò i denti e alzò la bacchetta, pronta a combattere per la vita della sua famiglia per l’ennesima volta. A entrare dalla porta fu Remus, a cui bastò una sola occhiata per “rimettere in riga” la figlioccia, che abbassò l’arma in modo repentino. I suoi amici persero la bacchetta, colti di sorpresa dall’Incantesimo di Disarmo dell’insegnante, che si bloccò ad osservare Sirius.

Harry non si era mai davvero fermato a pensare perché Lupin fosse il padrino di Kait e una parte di sé aveva creduto che lui e la madre fossero stati amici. In quel momento però, nel vedere l’uomo e Sirius Black vicini, si rese conto di essersi sbagliato. Come aveva potuto essere così ingenuo?

“Dov’è, Sirius?” domandò Lupin. L’altro indicò Ron con un cenno stanco della mano. 

I momenti seguenti lasciarono Harry piuttosto perplesso; il professore, infatti, si era rivolto a Black, seguendo il filo di un discorso mentale. Poi, sotto lo sguardo esterrefatto dei presenti, l’uomo avanzò e afferrò la mano del vecchio compagno di scuola, aiutandolo a rialzarsi.
Si abbracciarono come fratelli e Harry si sentì improvvisamente a pezzi, come se perdere la lealtà di uno dei suoi insegnanti preferiti lo avesse privato delle forze. Kait, al contrario, sorrise in modo ampio e abbassò un secondo la testa, per nascondere gli occhi lucidi di commozione. Vedere il padre e il padrino insieme era un’emozione indescrivibile.

Sarebbero potuti essere una famiglia.

Loro tre, e perché no, magari anche Harry.

“Non ci credo!” strillò Hermione, perdendo quella poca calma che aveva mantenuto fino ad allora. Kait, immaginando cos’avrebbe tirato fuori, cercò di fermarla. “Sta’ zitta!” le intimò la più piccola e Kait sobbalzò, presa in contro piede. “Harry, non credergli, ha aiutato Black a entrare nel castello…” esclamò Hermione.

“Non lo ha fatto entrare!” la interruppe la Black.

“Anche lui ti vuole morto,” continuò imperterrita Hermione, gli occhi rossi e stanchi. “È un lupo mannaro!”

E Kait perse la testa. Spinse - anche se non forte quanto avrebbe potuto - Hermione contro il letto a baldacchino, dove vi cadde. “Proprio tu giudichi?! Dovresti sapere cosa significa essere bollati per il proprio sangue.”

La riccia ebbe la decenza di abbassare il viso, mortificata. “E ti avevo chiesto di non dirlo,” mormorò Kait. “Diciamo più minacciato,” ribatté l’altra, annuendo allo sguardo esterrefatto dei presenti.

“Oh, scusa tanto se cerco di proteggere le persone ch-“

“Dovresti smetterla! Ti sei persino messa in mezzo tra Harry e l’assassino dei suoi genitori!”

Sembrava un litigio destinato a non finire mai. I ragazzi, comunque, si trattennero dall’intervenire, quasi spaventati dalle amiche. “Oh andiamo, sai perché l’ho fatto!”

“Questo non significa che…”

Ma Hermione non riuscì a terminare la frase. Lupin, infatti, aveva afferrato la figlioccia e l’aveva tirata alle sue spalle, come per proteggerla dagli altri o proteggere gli altri da lei, e aveva tuonato un “smettetela!” che era bastato a zittire entrambe. Una volta riottenuto il controllo, diede le bacchette ai proprietari - Harry lo guardò come fosse impazzito - e spiegò com’era riuscito a capire la loro posizione. “Come fa a sapere come far funzionare la Mappa?” domandò a quel punto Potter, sospettoso.

“Harry,” sussurrò Kait con un sospiro. “L’ha disegnata lui. È lui Lunastorta. Mi dispiace di non avertelo detto.”

“Sembra che la lista si allunghi ogni secondo di più, eh?” rispose lui con astio. Già non sopportava la situazione, ma che poi Kait gli avesse nascosto tutte quelle informazioni… Gli dava alla testa. Gli faceva venire voglia di stringerla con forza e farle male, costringendola a raccontargli ogni minimo dettaglio.

Scosse la testa, cercando di riprendersi da quei pensieri orribili.

“È stato guardando la Mappa che ho notato che con voi c’era una persona in più. Qualcuno che tutti sanno essere morto,” e con quelle parole, Lupin aveva di nuovo attirato l’attenzione su di sé. “Non c’era nessun altro,” negò Harry.

“Ti sbagli. Ron, posso vedere il tuo topo?”

E in un istante, Kait capì.

“Peter Minus?” domandò e Sirius annuì, lanciandole un’occhiata sorpresa. La Black scoppiò a ridere, quasi senza volere, e si appoggiò con una spalla verso il muro mentre si lasciava andare, liberandosi dallo stress e dal senso di colpa che la soffocavano dall’estate. Aveva avuto ragione a pensare che suo padre fosse innocente.

Aveva avuto- aveva ragione.

Non era stato il gesto di una bambina disperata d’affetto, ma quello di un’aspirante Auror con un buon istinto - o almeno di questo si convinse nell’udire Sirius e Remus spiegare che Minus era stato creduto morto per tutto quel tempo.

“Tu lo hai ucciso!” sbottò Harry indicando Sirius. Poi si voltò verso Kait e si lecco le labbra in un gesto nervoso. “E tu mi stai preoccupando parecchio.”

La ragazza smise di ridere, senza riuscire però a fermare il sorriso che ne aveva preso il posto. “Capirai presto anche tu,” promise.

Harry non parve convinto, ma non ribatté, dopodiché Remus prese un’altra volta la parola e spiegò di come tutto cominciò; di come venne morso e Silente gli diede una possibilità, di come i suoi migliori amici - Harry sussultò a sentire il nome del padre - avessero capito la verità sulla sua natura e si fossero trasformati illegalmente in Animagus. “In cosa…” cominciò a chiedere Harry, ma poi fu quasi folgorato dalla consapevolezza. Infilò una mano sotto la maglietta e tirò fuori il ciondolo che Kait gli aveva regalato per il tredicesimo compleanno; una piastrina d’oro con inciso un cervo. “L’hai tenuto,” mormorò la Black, stupita.

Non credeva lo avrebbe fatto, non dopo tutti i segreti che lei gli aveva nascosto e il furioso litigio avvenuto dopo Hogsmeade. Harry le lanciò un’occhiata e rimase fermo a fissarla quando si rese conto dell’espressione della ragazza. A quel punto annuì ed esibì un sorriso triste, chiedendosi se sarebbero riusciti a superare tutto il casino di quell’anno. Le si avvicinò poi di scatto, decidendo di mandare a quel paese la vocina nella sua testa che gli diceva di non fidarsi, e le strinse una mano, traendo e dando forza con una semplice stretta delle dita.

Potevano farcela, ne era sicuro.

Lupin, senza farsi distrarre dai due ragazzi, continuò la sua storia, spiegando anche di Piton e di come lo scherzo nei suoi confronti fosse finito male. “James mise a repentaglio la sua vita per proteggere quella di Piton, che riuscì comunque a vedermi, alla fine del tunnel. Fortunatamente Silente gli proibì di raccontare cos’aveva scoperto.”

“È anche per questo che Piton lo odia,” spiegò Kait con una smorfia.

“Proprio così,” rispose l’uomo in questione, comparendo da sotto il Mantello dell’Invisibilità, la bacchetta puntata contro Remus.

E Kait, per l’ennesima volta quella sera, - cominciava a essere stanca - si posizionò vicino al padre, tiratosi subito in piedi, e alzò la bacchetta.

Piton aveva un’espressione traboccante d’odio e soddisfazione al tempo stesso, quasi avesse atteso la sua rivincita per tutta la vita; non lasciò a Remus neanche il tempo di spiegarsi, prima di legarlo con delle funi attraverso un semplice incantesimo e accusarlo di aver aiutato Black ad entrare nel castello. Sirius scattò in avanti nel momento stesso in cui l’amico perdeva l’equilibrio e crollava a terra - prima che potesse realmente fare qualcosa Kait gli si posizionò davanti, dandogli le spalle. Continuava a proteggerlo e Sirius davvero, davvero non ne capiva il motivo.

Kait alzò la bacchetta e la puntò contro l’insegnante - sarebbe stata espulsa, ne era sicura. A suo favore, però, l’uomo non abbassò la sua, e forse la violenza su un minore sarebbe risultata più grave rispetto all’attacco ad un insegnante.

Forse.

“Lei non capisce,” provò a dire. Sentiva addosso lo sguardo di tutti.

L’uomo digrignò i denti, infuriato. “Se pensi che mi farò convincere dai piagnucolii di un’orfanella ti sbagli di grosso.”

“Se provasse ad ascoltare…”

Black, spostati!” tuonò allora Piton, le mani bianche da tanto stringeva forte la bacchetta. Sirius, appoggiato alla finestra, sobbalzò e gli lanciò un’occhiata come a dire “sei scemo?”. “Ma se sono qua?!” sbottò infatti.

“Non tu, idiota, tua figlia!”

Fu come se il tempo si fosse fermato. Kait udì distintamente il padre trattenere il fiato, colto alla sprovvista, e vide Piton sgranare gli occhi, per poi ghignare con cattiveria. “Oh, non lo avevi capito?” domandò guardando Sirius. La ragazza respirò a fatica, sentendo il petto pesante come un macigno, ma mantenne la presa sulla bacchetta, quasi fosse un’ancora a cui aggrapparsi per non annegare. “Fossi in te non sprecherei più di un minuto, con lei,” continuò Piton.

Gode nel vedere Kait soffrire, realizzò Harry. Lanciò un’occhiata a Ron e Hermione e capì che erano giunti alla stessa conclusione. L’uomo si vendicava per l’adolescenza traumatica su una quattordicenne fin troppo fragile.

“È sopravvissuta la peggiore dei tre. Non che gli altri due fossero tanto meglio, eh!”

E a quelle parole, Kait non ci vide più.

Lanciò uno schiantesimo e vi incanalò tutta la rabbia che provava, tutto il disappunto e il dolore e la paura di non essere abbastanza. Non aveva pensato, però, che anche gli amici potessero intervenire; utilizzarono un incantesimo di disarmo nello stesso istante e i tre attacchi, insieme al suo, fecero volare Piton contro un muro, dove sbatté la testa. A quel punto scivolò a terra, svenuto, e Harry liberò Lupin con un gesto.

L’uomo si alzò in fretta e strinse un braccio della figlioccia, che aveva lo sguardo basso e il respiro affaticato.

“È sopravvissuta la peggiore dei tre,” aveva detto Piton.

Merlino solo sapeva quanto avesse ragione. Perché si era salvata lei? Non Hannah, non Nathan, ma lei.

Non era giusto.

“Kait?” la chiamò Harry.

A quel punto intervenne un’altra voce, resa roca dagli anni di disuso. “Kait come Kaitlyn,” realizzò Sirius avvicinandosi di un passo alla ragazza, che finalmente prese coraggio e alzò il volto. L’uomo aveva gli occhi lucidi e la fissava come se non avesse mai visto niente di più bello in tutta la sua vita.

“Helena,” sussurrò a volume quasi impercettibile. “La mia bambina!” la chiamò poi con voce tremante, stringendola in un abbraccio tanto forte da toglierle il fiato. La Black rimase interdetta qualche istante, rigida e con le braccia abbandonate lungo i fianchi, ma appena si rese conto che non era un’illusione, bensì stava accadendo davvero, ricambiò la stretta e nascose il viso nel collo dell’altro.

Non le interessava che fosse sporco e quasi scheletrico.

Era suo padre e sapeva di casa, amore e rimpianti. Sapeva di ninna nanne e sbarre non più a dividerli. Sapeva di libertà e di calore. Di corse nella neve e marchi neri dissolti nel vento.

Sapeva di tutto ciò che Kait aveva perso e mai avuto.

Scoppiò a piangere prima ancora di rendersene conto.

“Mi sei mancata così tanto,” mormorò Sirius al suo orecchio, accarezzandole i capelli per confortarla. “Anche tu, anche tu.”

Si allontanò di scatto, asciugandosi le lacrime con un gesto veloce. “Non potevo lasciarti là dentro,” continuò con voce tremante. “Non potevo, non…”

“Aspetta, cosa?!” sbottò Harry. Calò il silenzio nell’intera stanza. “Lo hai aiutato a evadere,” constatò Ron a quel punto. Nessuno si sorprese più di tanto che ci fosse riuscita, - aveva dimostrato, negli anni, di sapersela cavare in diverse situazioni - ma questo non impedì agli amici di provare una grande delusione.

“C’è qualcos’altro che dobbiamo sapere?” esclamò Harry, le braccia incrociate al petto e lo sguardo pieno di astio. Non le fece notare che aveva passato ore a consolarla e a dirle che non era colpa sua, se Sirius cercava di ucciderlo, ma per Kait fu chiaro che lo stesse pensando. Deglutì e scosse la testa, stringendosi di nuovo al padre, che la abbracciò senza un fiato. Lo impressionava vedere quanto fosse cresciuta - il seno, Merlino santissimo! - e lo intristiva notare l’espressione denudata che gli rivolgeva. Come se per lui avesse messo tutte le carte in tavola; in un istante si rese conto di quanto avesse rischiato aiutandolo ad evadere e proteggendolo di fronte ad un professore di Hogwarts. Non solo.

Aveva rischiato qualcosa che, ai suoi occhi, valeva ancora di più: l’amicizia.

Si sentì così fiero della ragazza, della combattente che era diventata, che una risata gli nacque in gola in modo completamente spontaneo. La lasciò uscire e abbracciò più stretta la figlia, lanciando un occhiata a Remus da sopra la sua spalla. Lo fissava con sguardo indecifrabile e solo quando si rese conto di essere osservato sorrise, quasi forzatamente, alzando il mento in un gesto per indicare Kait. Sirius sorrise a sua volta.

E Remus girò il viso.

“Okay,” li interruppe Harry indicando i due adulti con un gesto. “Ci avete raccontato una bella storia. Ora provatela.”

Così, dopo solo qualche minuto, Crosta sparì e Peter Minus tornò alla vita.

 

“Minus, ma come cazzo hai fatto ad andare a Grifondoro? Sono l’Unità delle Case, ma non sono mai stata più confusa di adesso sulla scelta del Cappello. Se fossi stata nei Fondatori, non ti avrei permesso di entrare ad Hogwarts.”

Era una frase esagerata, Kait lo sapeva, dettata dalla rabbia del momento, specchio di quella di Harry. Alla fine il ragazzo aveva dovuto cedere alle spiegazioni strane eppure credibili di Remus e Sirius, e ora stava fermo come una statua, gli occhi fissi sul traditore e assassino dei suoi genitori.

“Non sono stato un buon animaletto da compagnia?” stava domandando questo, strisciando ai piedi di Ron che, zoppicando, si ritrasse disgustato. “Ti ho fatto dormire nel mio letto!”

“Lo uccidiamo?” sbottò a quel punto Kait. Era tesa come una corda di violino, gli occhi puntati sull’uomo che le aveva portato via il padre per dodici anni.

“No, non… Nessuno diventerà un assassino, questa notte,” si impose Harry, l’espressione stanca come fosse stato sveglio per ore. “Riceverà il Bacio.”

Kait alzò lo sguardo prima su Remus e poi su Sirius, quindi annuì, girandosi in modo da trovarsi di fronte a Minus. Alzò un piede e pressò l’anfibio sul petto del traditore, che boccheggiò dalla paura.

“I-il Bacio?” squittì l’uomo.

Fu Kait, a rispondergli, e lo fece con una parola e una risata senza allegria.

“Giustizia.”

 









NdA:

Che dire? Siamo arrivati al momento che tutti aspettavano - o almeno credo ahahha
Sirius e Kait sono finalmente riuniti - e Remus sta a guardare. Ho preferito concentrarmi su di loro e Harry, che su Minus, un po' perché odio quel traditore bastardo e un po' perché, beh... Questa storia parla dell'ultima Black :P
Spero non vi abbia delusi e anzi, vi sia piaciuto :) Ho passato l'intera settimana a ragionare su come far capire a Sirius che aveva sua figlia davanti e... insomma, questo mi è parso il più "giusto".
Non so che altro dire, se non che aspetto di sapere cosa ne pensate :D
Un bacio,
Dea


P.S. Il prossimo capitolo dovrebbe essere l'ultimo riguardante il terzo anno. Il quarto, per quanto non mi faccia proprio impazzire, ha una sorpresa in serbo per voi.
Provate a indovinare? ;)

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Capitolo 53
*** L'ultima luna piena ***


L’ultima luna piena

Erano un gruppo strano, ma il solo guardarlo causava a Kait un moto di gioia ruggente nel petto. Si erano inoltrati nel tunnel che li avrebbe portati a Hogwarts, Minus tenuto costantemente sotto tiro e Piton che ciondolava svenuto, sollevato dalla bacchetta di Sirius. L’uomo era l’ultimo della fila, affiancato da Kait - che aveva continuato a chiamare Helena, ignorando la tensione che la prendeva nel sentire quel nome - e da Harry, i cui occhi luminosi non lo lasciavano un istante.

“Sapete, quando Peter sarà rinchiuso io sarò considerato innocente,” mormorò dopo qualche minuto. Kait sorrise e gli strinse un braccio, annuendo.

Probabilmente aveva aspettato quel momento per tutta la vita.

Alla fine, non aveva fatto lo stesso anche lui?

“Potremmo…” continuò stavolta più esitante, “potremmo essere una vera famiglia, prendere una casa vicino a Londra e vivere lì. Insomma, se volete.”

Si voltò verso la figlia, che lo guardava come se avesse paura di vederlo scomparire in un secondo. “Anche Remus, si intende,” la rassicurò e sorrise nel notare il disagio scivolarle di dosso.

“Aspetta, tu vuoi… Vorresti che lasciassi i Dursley?” si fermò Harry, passando gli occhi sgranati dall’uomo alla ragazza. Prima che Sirius potesse anche solo rispondere “non sei costretto, è un’idea stupida”, Kait strinse la mano a Harry e gli diede un bacio sulla guancia. “Saresti libero,” gli disse e Black non riuscì ad ignorare il sollievo disarmante che si dipinse sul volto del figlioccio.

Un senso di rabbia lo invase - aveva sempre saputo che i parenti di Lily erano degli stronzi, ma con Harry sarebbero dovuti essere diversi.

Ricominciarono a camminare, ognuno perso nei propri pensieri, finché Sirius non si voltò ad osservare i ragazzi, che avevano rallentato per finirgli alle spalle. Si stavano cimentando nell’ardua impresa di baciarsi e camminare e, senza rendersene conto, Sirius si fermò. Rimase a fissarli finché non gli vennero addosso, dopodiché li guardò con un ghigno e un sopracciglio alzato.

Sua figlia.

Il figlio di James.

Ciò che significava? I loro figli sarebbero stati l’unione di lui e James! Già immaginava il momento in cui avrebbe dato loro la Mappa del Malandrino, o li avrebbe aiutati a organizzare i peggiori scherzi ai danni dei Serpeverde, e…

E per fare figli, è necessario fare sesso.

Impallidì vistosamente e Kait, ora lontana da Harry, gli sfiorò una spalla in un gesto di conforto. “Papà?” lo chiamò ed era così, così strano!

“Tu,” indicò Harry. Sirius ghignò nel notarlo indietreggiare. “I miei complimenti! Anche io alla tua età mi davo già da fare!”

E, prima di lasciare il ragazzo sorridere di sollievo, si voltò verso la figlia e smise di essere così contento. “Tu invece sei piccola per queste cose!”

Kait sobbalzò, sembrando colpevole per qualche secondo, dopodiché portò le braccia al petto e alzò il mento, in una posa di pura fierezza. “Sono più grande di lui di un anno,” puntualizzò. “Quindi o sei sessista, o ti fa impressione perché mi consideri una bambina.”

Sirius deglutì amaramente. “Sei mia figlia.”

“Già. E lo vedono tutti. Sono persino più bella di te.”

E a quelle parole, purtroppo, l’uomo non seppe rispondere. Era innegabile quanto lei gli somigliasse, sebbene avesse ereditato alcuni tratti dalla madre, e alcuni modi di muoversi da Remus. Immaginava che crescere con qualcuno lasciasse una traccia e si chiedeva come avrebbe reagito l’amico nel sapere che, una volta libero, avrebbe preso casa e lavorato per riottenere la custodia di sua figlia. Non voleva scatenare una “guerra”, ma aveva atteso dodici anni, per quel momento. Nessuno glielo avrebbe portato via.

Uscirono dal tunnel e si ritrovarono nel parco di Hogwarts. C’erano un po’ di nuvole, alte nel cielo, tuttavia dopo appena qualche secondo cominciarono a diradarsi e la luce della luna permise a tutti di vedere meglio.

Impiegò qualche istante a rendersi conto del perché la cosa gli sembrasse così sbagliata e immediatamente si lanciò su Remus, che aveva già cominciato il cambiamento.

Fu tutto molto caotico, da quel momento in poi.

Cercò di trattenere l’amico il più possibile e lui - o meglio l’essere che era diventato - lo allontanò più volte con spinte e colpi che gli spezzarono il fiato. Era troppo vecchio per quello.

“Kait?” sentì Hermione chiamare. La ragazza guardava la scena con occhi sgranati, stretta agli amici. “Tu non sei più un Animagus, vero?”

Kait scosse la testa e Sirius smise di prestarle attenzione.

Dall’altra parte del prato, Harry aveva la bacchetta in mano e stava discutendo con la Black. “Ma sai come fare, no?”

“Non è così semplice,” spiegò. “Imparare è un processo lungo mesi e io ho chiesto ai Fondatori di togliermi la capacità… innata, diciamo così.”

“Quindi che facciamo?”

Kait scosse la testa, la bacchetta alta contro l’uomo che l’aveva cresciuta. “Che giornata di merda,” sussurrò con un groppo in gola. Remus - per qualche motivo - perse interesse in Sirius e si diresse di corsa nella Foresta; Minus era sparito da un pezzo, mentre loro erano impegnati a gestire un lupo mannaro nel pieno delle sue forze - e Sirius si trasformò nuovamente in umano, zoppicando giù per la collina dove stavano loro. “Dobbiamo seguirlo!” urlò Harry avanzando insieme a Hermione. Ron aveva una gamba rotta, ma se la sarebbe cavata, insieme ad un Piton incosciente. “Kait?” la chiamò Harry. Indicò con due mani la strada che aveva preso Sirius e solo dopo qualche secondo si rese conto che la ragazza, anziché guardare le sue indicazioni, aveva gli occhi fissi sulla Foresta. “Si farà del male,” mormorò. “È quello che succede quando da ferire non ha altri che se stesso.”

“Kait!” esclamò Hermione, l’espressione preoccupata come se avesse capito le sue intenzioni. “Non sei più un Animagus.”

“Ho una bacchetta. E sono allenata, non mi prenderà.”

“Non puoi giocare al gatto e al topo! Non nelle parti del topo!”

“Hermione, devi capire!” sbraitò la Black. “Se avrà qualcosa da cacciare, da seguire, non si farà del male!”

“E se tu cadessi? Ti ferissi? Qualsiasi cosa, Kait, basta qualsiasi cosa, e lui ti sarà addosso. Pensa a domattina - come si sentirebbe nel sapere che ha divorato, o peggio trasformato, sua figlia?”

Udirono Ron borbottare un “priorità”, però nessuno gli prestò attenzione. “Sono addestrata.”

Fu Harry, a quel punto, a fermarla. “Sirius è…”

“Non posso perdere Remus.”

Salutò il Grifondoro con un bacio a fior di labbra, dopodiché scattò verso la Foresta, più veloce di quanto non fosse mai stata. 

“Come può…”

Hermione sospirò, voltandosi verso l’amico. “Harry, Kait ha fatto una scelta. Sirius è suo padre sul certificato di nascita, ma lei ne ha fatto a meno per tutta la vita o quasi. Remus è l’uomo che l’ha cresciuta,” prese fiato. “In qualche modo è Remus, suo padre. E ora ha bisogno di aiuto.”

La Black, intanto, aveva raggiunto la Foresta e vi si era inoltrata, la bacchetta infilata nel retro dei pantaloni per avere le mani libere. Fischiò un motivetto che Remus le cantava da bambina, nel tentativo di attirarlo e, forse in modo ingenuo, di fare appello alla sua parte umana. Se anche non fosse servito all’ultimo scopo, Kait era sicura di sopravvivere alla nottata.

Moody le aveva insegnato che i Lupi Mannari non erano troppo diversi dai lupi normali, alla fin fine, e che un lupo - soprattutto se da solo, un omega, - aveva bisogno di un branco. Kait era umana e non poteva più trasformarsi in Animagus, ma era quasi del tutto certa che Remus l’avrebbe ricordata. Se non la parte umana, almeno quella istintiva che riconosceva nel suo odore il proprio e quello della loro casa, della loro “tana”. Si sarebbe appellata al lato di lui, qualunque fosse, che la vedeva come il suo cucciolo.

Perché, sebbene il solo pensiero la confondesse, aveva due padri. Uno biologico e uno che l’aveva stretta durante gl’incubi, che l’aveva portata al binario 9 e 3/4 il primo giorno di scuola e che l’aveva sgridata quando era uscita dal loro giardino senza permesso.

Remus e il suo lupo, ne era sicura, non avrebbero mai ferito la loro stessa figlia.

Udì un rumore di rami spezzati alle sue spalle; senza voltarsi, scattò.

 

Aveva retto bene per la prima ora. Saltando ed arrampicandosi sugli alberi, zigzagando tra di essi e correndo nella Foresta, riuscì sempre a mantenere una certa distanza tra lei e il Lupo Mannaro.

Fu, però, una questione di un attimo. Smise di udire rumori alle proprie spalle e, girandosi a sbirciare, non vide alcun movimento, così si fermò - giusto un momento, per riposare.

Un momento.

E lui le fu addosso.

La schiacciò al terreno, le zampe a tenerle ferme le braccia e il muso a pochi centimetri dal suo naso. Fissò l’animale negli occhi prima di ricordare che i lupi lo consideravano un gesto di sfida. Subito voltò la testa, esponendo il collo in sottomissione.

Remus le passò il naso umido lungo tutta la pelle nuda, più e più volte, poi le respirò nei capelli. Si allontanò di qualche passo, muovendo il muso a destra e a sinistra come nel tentativo di schiarirsi le idee e Kait ne approfittò per tirarsi in ginocchio; un ringhio la costrinse a piegarsi nuovamente.

Mai cercare di superare la loro altezza, ricordò la Black. È un modo per sfidare l’Alpha.

Io sono l’omega, si costrinse a pensare, quasi l’idea potesse arrivare anche a lui.

Il Lupo Mannaro le si avvicinò e le annusò il collo per l’ennesima volta, poi le camminò affianco e le si posizionò alle spalle. Kait si irrigidì nel sentire i denti affilati sfiorarle poco sotto la nuca, ma quando l’animale la spinse con il muso per terra eseguì il comando, pregando di non finire sulla coscienza di Remus. Si sarebbe tormentato a vita, se le avesse fatto del male.

Si sentì abbassare da una zampa e, il tempo di chiudere gli occhi per riacquistare coraggio e riaprirli, e il Lupo Mannaro era disteso al suo fianco, il muso mezzo appoggiato sul viso di lei.

“Esatto,” sussurrò Kait arrischiandosi a voltarsi verso la foresta, così da dare la schiena all’animale. “Sono il tuo cucciolo.”



 

“È innocente!” sbraitò Harry, il respiro affannato nonostante fosse seduto su un letto dell’infermeria. Hermione, al suo fianco, afferrò la mano di Kait e la strinse. La Black aveva lo sguardo perso nel vuoto, immersa nei suoi pensieri.

Caramell le fece segno di alzarsi. “Vieni, cara. Ti accompagnerò io stesso a dirgli addio.”

La fissò come a dire “povera ragazza” e le strinse un braccio, più a sostenerla che a tenerla sotto controllo. “Mi auguro che ti renda conto che è ciò che doveva succedere.”

Kait non rispose, l’espressione ancora vuota. Aveva i capelli scompigliati e pieni di foglie, due occhiaie scure e i vestiti sporchi di terra, ma per il resto sembrava stare bene. Fisicamente, si corresse Harry. Quando era tornata a scuola, - Remus ancora disperso nel bosco - Caramell aveva avvisato tutti loro che Sirius avrebbe ricevuto il Bacio.
Kait era in quello stato da allora.

“Non sono d’accordo,” si intromise madama Chips. “È una mia paziente, dovrebbe rimanere qua in infermeria.”

“Dopo, signora, dopo,” le rispose Caramell con un cenno della mano, dopodiché accompagnò Kait fuori dalla stanza, scortati da un Auror. La ragazza riusciva a malapena a pensare. Si sentiva vuota, apatica, come se niente di bello potesse accadere a quel punto - come se un Dissennatore la stesse prosciugando. Perché suo padre avrebbe ricevuto il Bacio e la colpa sarebbe stata soltanto sua.

Era stata lei a farlo evadere e quindi ad aggravare la pena. Era stata lei a imporsi su Harry perché lo lasciasse spiegarsi, quando invece avrebbe solo dovuto urlargli di andarsene. Scappare, finché poteva.

E ora sarebbe morto - no, peggio, avrebbe perso ogni motivo di vivere. Sarebbe stato il fantasma di se stesso. Chiunque avrebbe preferito la morte, al Bacio.

E Sirius non avrebbe avuto scelta.

Per colpa sua.

Kait si fermò in mezzo al corridoio; si sentiva sul punto di svenire e Caramell, al suo fianco, la strinse per un braccio e la costrinse ad avanzare.

Era una Black, cosa si aspettava? Comprensione? Compassione?
Scosse la testa, camminando verso l’ufficio del professor Vitious, dove suo padre era rinchiuso.

Era tutta colpa sua.

Caramell sciolse momentaneamente l’incantesimo di blocco e lei e l’Auror entrarono nell’ufficio; l’uomo si sistemò con la schiena alla porta, lo sguardo fisso davanti a sé. Era lì per impedirle di aiutare Sirius in qualsiasi modo e, allo stesso tempo, per garantirle sicurezza mentre gli diceva addio. Chissà cosa quel pazzo assassino avrebbe potuto farle, pensavano tutti.

“Papà?” chiamò Kait con un sussurro. Gli si avvicinò con passo esitante e gli sfiorò la guancia, cogliendo il suo sguardo rassicurante. “Va tutto bene,” le disse con un sorriso, muovendo le mani quel poco che poteva nonostante le funi incantate che lo tenevano legato alla sedia. “Va bene. È stato bello essere libero per un po’.”

“Non va bene. È tutta colpa mia!” sussurrò al suo orecchio. Sapeva che qualsiasi cosa avesse detto davanti all’Auror sarebbe potuta essere usata contro di lei.

“Non dirlo neanche per scherzo, Hel-Kait,” si corresse. “Non è colpa tua.”

Kait lo abbracciò, nascondendo il viso nell’incavo del collo dell’uomo, che le baciò il capo. “Starai bene. Remus si prenderà cura di tutto.”

“Ma io voglio te.”

Il mago deglutì rumorosamente nel tentativo di scacciare il groppo che gli si era formato in gola e le diede un altro bacio. “Ti voglio bene.”

“No,” si impuntò Kait. Non voleva sentire, non voleva… Non poteva sopportarlo.

“Ascoltami,” mormorò Sirius al suo orecchio. “Quella che avrò non sarà vita. Dovrai… Dovrai dire a Remus di aiutarmi, okay? È il mio migliore amico e i-io non potrei chiederlo a nessun altro.”

“Cosa stai…” rispose Kaitlyn confusa, decidendo di non seguire il ragionamento che il suo cervello aveva compiuto. Si sbagliava, giusto?

“Non puoi essere tu. Mi rifiuto di farti diventare un’assassina,” e a quelle parole, la ragazza sussultò, “ma non sarà vita. Preferisco morire.”

“No.”

“Tesoro, per favor-“

“NO!”

Urlò l’ultima parola e l’Auror, che non era riuscito ad udire alcuna parola da quando i due si erano abbracciati, sobbalzò spaventato. Portò una mano alla bacchetta e avanzò di un passo, tuttavia al cenno di scuse della Black tornò al suo posto.

“Non puoi chiedermelo,” sbraitò lei a voce bassa verso il padre.

“Tu non vorresti la stessa cosa?”

Kait chiuse gli occhi, costringendosi a ricacciare indietro le lacrime, e annuì. “Okay. Okay, lo farò.”

“Chiedi a Remus. Non devi essere tu.”

Annuì di nuovo. “Ti voglio bene,” mormorò al suo orecchio. Il padre, commosso, le sorrise. “Sei così simile a tua madre, sai? Non tanto fisicamente quanto nei gesti.”

Kait sorrise a sua volta, sebbene il cuore le paresse pronto ad esplodere dal dolore.

“Dorcas sarebbe stata fiera di te.”

La ragazza si ritrasse nel giro di un istante, presa in contro piede.
“Scusa?!”

Non ci poteva credere: in punto di morte - o quasi - suo padre sbagliava il nome della moglie defunta? Ma che stronzo!

“Gillian,” lo corresse con tono irritato. Sirius la fissò come fosse un’aliena. “Gillian era la tua madrina.”

Kait trattenne il fiato, ripensando in un istante alle parole della McGrannitt e al sogno che aveva fatto anni prima. Non era possibile. Gillian…

Dorcas?!

“Tempo scaduto,” li interruppe l’Auror. La ragazza si strinse al padre e urlò quando l’Auror la trascinò via di forza, tenendola per le braccia e accompagnandola fuori dalla stanza. “Ti voglio bene!” gridò Sirius.

Non ebbe la forza di rispondergli.










NdA:

Ancora non ci credo che sono qui a postare. Avendo un esame la prossmia settima pensavo di non riuscirci prima minimo cinque giorni e invece eccomi qui :)
Che dire... Finalmente Kait ha scoperto di sua madre. Non l'ho fatta realmente reagire, ma spero possiate capirla - aveva cose più importanti a cui pensare, in quel momento.
Per quanto riguarda Remus, invece, spero che la mia idea vi sia piaciuta. Ho modificato leggermente i comportamenti dei Lupi Mannari, ma preferivo così :P


Spero con tutto il cuore che l'ultimo capitolo sul terzo anno vi sia piaciuto - se vi va, fatemelo sapere :*

Un abbraccio forte,
Dea

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Capitolo 54
*** Promesso ***


Promesso


“Dovremmo prepararci,” sussurrò la ragazza appoggiandosi sui gomiti. Il materasso era tanto comodo che il solo pensare di alzarsi sembrava un’eresia, ma la festa sarebbe cominciata di lì ad un’ora e lei aveva sempre amato prendersi il suo tempo. “Restiamo ancora un po’ così,” le rispose Sirius, sfiorandole un braccio con una mano ed esibendo un sorriso malandrino. “Non stiamo mai insieme.”

“Questo non è vero.”

Sirius sbuffò, lasciando cadere la testa sul cuscino. “Ah no? In questo periodo ci siamo visti pochissimo.”

La ragazza lo fissò, ridendo in quel suo modo cristallino che faceva venire voglia di imitarla - il contrario dell’altro, che spesso pareva latrare. “Devo studiare, lo sai,” gli spiegò sfiorandogli il naso con un dito. Sirius mosse il viso e le morse giocosamente la mano, per poi baciarla con dolcezza.

“E dovresti farlo anche tu.”

Il Grifondoro sospirò, l’umore subito peggiorato. “Tra pochi mesi ci sono i MAGO, Sirius.”

“Cas,” la riprese lui, “mesi. Mesi.”

Lei non rispose, abbassando lo sguardo sulla pancia ancora piatta. “Passano più veloci di quanto tu non creda.”

L’altro capì subito a cosa si riferisse e le sfiorò il ventre, baciandole il collo nel frattempo. “Andrà tutto bene,” la rassicurò. “Ci diplomeremo - tu con il massimo da brava Corvonero,” continuò, tacendo subito le proteste dovute al pregiudizio, “e poi verremo a vivere qui.”

Si guardarono entrambi attorno; erano nella camera “padronale” del loro appartamento, comprato appena si erano accertati che Cas fosse davvero incinta. La casa era ancora vuota - giacevano su un materasso posto per terra, in quel momento - e non era molto grande; decisamente meno di quanto fossero abituati entrambi, provenendo da due famiglie molto ricche.

Eppure andava bene.

C’era una piccola cucina, un salotto molto luminoso e due stanze da letto, una delle quali dotata di un bagno dalle modeste dimensioni. Sarebbe stato perfetto.

Per tutti e tre.

“Dobbiamo prepararci,” mormorò Dorcas di nuovo, alzandosi con uno scatto. “Siamo in vacanza,” si lamentò Sirius, ma la imitò. “Siamo costretti ad andare, eh?”

Cas rise, le mani sui fianchi in una posa più intimidatoria di quanto non suggerisse l’espressione. “È la festa più importante della stagione e lo sai.”

“Ci saranno tutte le famiglie di purosangue, Cas. Anche la mia.”

“E la mia,” gli fece notare. “Dobbiamo dare la notizia ai miei genitori e ufficializzare la data del nostro matrimonio. Saranno tutti lì. Non c’è occasione migliore.”

Sirius roteò gli occhi, infilandosi comunque la camicia, la giacca e il mantello laterale, che gli copriva parte della schiena e la metà sinistra del petto, nascondendogli il braccio. “Odio queste cose,” brontolò. “Ci fosse almeno James.”

“James non potrebbe mai presentarsi con Lily,” rispose la ragazza. Gli diede le spalle e gli fece cenno di chiuderle il vestito di seta. Era azzurro e avorio, i colori della sua Casata, i Meadowes.

“Andrà bene. I miei genitori ti adorano, Sirius, nonostante tu…”

“Sia un rinnegato?” la interruppe. “… Abbia spezzato il cuore alla mia migliore amica, la figlia della famiglia a noi più cara.”

“Ah.”

“Saranno felici di sapere che avranno un nipotino,” lo rassicurò intrecciando i capelli biondo cenere con un colpo di bacchetta e truccandosi con un altro incantesimo. 

“I miei un po’ meno.”

“Non ci faremo spaventare,” dichiarò Dorcas, la schiena dritta e l’espressione seria. Si baciarono, suggellando così quella promessa.

 




Sirius era impegnato in una conversazione con i signori Meadowes, un insieme di sorrisi euforici e pacche sulle spalle, e Dorcas li osservava da lontano. Aveva deciso di prendere un po’ d’aria, visto che la sala era gremita di gente e cominciava a sentirsi soffocare.

Era andata bene.

La festa, a cui partecipavano quasi tutti i purosangue del Paese, aveva un clima di festa; le famiglie Black e Malfoy avevano dichiarato il matrimonio tra Narcissa e Lucius, due snob che avevano congedato ogni congratulazione con un inchino lei e una stretta di mano lui. Anche Alice Prewett e Frank Paciock avevano annunciato le loro imminenti nozze ed erano stati acclamati in modo decisamente più caloroso, visto che tutti adoravano la coppia - erano poco più grandi di lei, se Dorcas non ricordava male.

E poi lei e Sirius avevano preso in mano i bicchieri, attirato l’attenzione della folla e spiegato il motivo della loro gioia. Appena terminato il settimo anno ad Hogwarts sarebbero diventati marito e moglie, perché si amavano e perché ella aspettava un figlio. La sala era calata nel silenzio per qualche secondo, prima di scoppiare in acclamazioni - iniziate, sorprendentemente, da Dimitri Everdeen, l’Auror più promettente mai visto dopo Alastor Moody. Erano amici, Dimitri e Dorcas, ma non abbastanza da scambiare più di un semplice saluto se si incrociavano in un corridoio.

“E così porti un traditore in grembo,” la scosse dai suoi pensieri una voce di donna. Si voltò di scatto, le mani sulla pancia in un moto istintivo di protezione. Sgranò gli occhi nel riconoscere Walburga Black, la madre di Sirius, e si esibì in un piccolo inchino. “Suo nipote, signora,” si costrinse a mormorare, nonostante le pizzicasse la mano dal desiderio bruciante di tirare uno schiaffo alla megera che aveva rinnegato il suo stesso figlio. 

“Non cercare di ammorbidirmi con il sangue.”

“Ma-“

“Sei una purosangue. Di buona famiglia, per giunta,” le disse Walburga. “Pensavo che quel traditore sarebbe finito per sposare una sanguesporco come ha fatto sua cugina. E invece eccolo qua, a pianificare un matrimonio di tutto rispetto.”

Non sapendo cosa rispondere, Dorcas preferì rimanere in silenzio. “Gli ho appena parlato, sai? A quell’ingrato. Gli ho detto che questo gesto è abbastanza per farsi perdonare e che se solo lo volesse, sarebbe di nuovo considerato un membro della famiglia da me e mio marito. E suo fratello Regulus, ovviamente.”

Dorcas deglutì, lo sguardo fisso sulle proprie mani. I Black erano persone orribili, lo sapeva bene, così come sapeva che Sirius non poteva aver accettato.

“Tutto ciò che dovrebbe fare è chiedere perdono per essersi fatto smistare a Grifondoro e allontanarsi da quei traditori che chiama amici. Soprattutto quell’ibrido.”

“Signora…”

“Ha rifiutato. L’ingrato bastardo ha osato rifiutare!”

Grazie a Merlino, pensò Dorcas. Alzò il mento, fiera di quello che presto avrebbe potuto chiamare marito. “Non mi stupisco. La vostra famiglia è piena di oscurità e-“

“Ed è proprio nel buio più fitto che le stelle brillano di più,” rispose Walburga, quasi stesse recitando a memoria una frase fatta. “Ti sei presa uno scarto, giovane Meadowes. Potevi avere di meglio. Regulus, ad esempio. Anzi, a dirla tutta ero convinta sarebbe finita così.”

Dorcas trasalì, sorpresa. Pochi, davvero pochi, sapevano della storia che aveva avuto con Regulus. Era accaduta anni prima, lei e Sirius nemmeno si conoscevano bene, ancora!

Quasi non ci credeva che Walburga la stesse tirando fuori in quel momento.

“Sareste stati una bella coppia. E invece porti in grembo un traditore bastardo.”

“È mio figlio, che sta insultando!” sbottò Cas, una rabbia accecante che le bruciava nel petto. Il suo bambino. Nessuno aveva il diritto di parlarne in quel modo!

“Quindi veda di sciacquarsi la bocca prima di nominarlo un’altra volta!”

Walburga rise, quella risata tipica dei Black, vuota, senza alcuna allegria. A Dorcas si rizzarono i peli sul braccio e deglutì, il petto che si alzava e abbassava furiosamente sotto lo strato di seta pregiata. Doveva essere forte e non mostrare paura. Doveva dimostrare di essere degna di Sirius.

Se lui era riuscito a combatterli, lo avrebbe fatto anche lei.

Walburga le afferrò un polso con tanta violenza da farla gemere dal dolore. “Vedrai cosa facciamo con i rami marci, biondina.”

“È una minaccia?” sbottò Cas senza riuscire a trattenersi.

“Finirete tutti sottoterra. Tu, quel rinnegato che ti scopi e ogni figlio di puttana che sfornerai,” le rise in faccia, godendo dell’orrore suscitato nella nuora, e le si strinse addosso così da sussurrarle all’orecchio. “Vedrai. Un giorno un paio di figli di miei amici busseranno alla tua porta, magari con la scusa di spazzare via gli oppositori del Signore Oscuro. Ci sarà il Marchio Nero alto nel cielo, ma tu saprai che li ho mandati io. E vedrai i tuoi figli morire. Poi tortureranno te e Sirius. Quindi ti uccideranno e solo allora quel rinnegato avrà il permesso di morire.”

Le strinse un fianco, affondando le unghie nel tessuto e nella pelle. 

“E tutti sapranno cosa accade a chi si mette contro ai Black.”

Le si staccò in modo repentino e Dorcas dovette trovare in fretta l’equilibrio, sbilanciata dal movimento improvviso. Fissò la donna, gli occhi pieni di lacrime che non osò versare, e la vide sorridere.

“A presto,” si congedò Walburga, lasciando la Corvonero a boccheggiare in cerca d’aria. Si voltò verso il tavolo degli alcolici e si versò un’abbondante quantità di vino; lo ingoiò tutto d’un fiato.

“Non dovresti bere durante la gravidanza,” le ricordò Sirius, appena comparso alle sue spalle. “Ne ho bisogno.”

“Cosa voleva la megera?” le domandò. “Ci hai viste.”

“Mi sono avvicinato a voi nel momento stesso in cui vi ho notate, ma lei si stava già congedando,” la guardò, preoccupato, e le sfiorò una mano. “Stai bene?”

“Sì,” mentì Cas. “Voleva solo raccontarmi della proposta che hai rifiutato.”

Sirius ghignò e alzò il volto al cielo, soddisfatto di sé. “Era arrabbiata, spero.”

Dorcas annuì e sorrise a sua volta, sebbene dentro tremasse come una foglia. “Posso chiederti una cosa? Una… Promessa, a dire il vero.”

Black la fissò, confuso, ma la spronò ad andare avanti. “Dammi la tua parola che proteggerai il nostro bambino e tutti quelli che avremo in futuro.”

“Progetti di averne tanti?” rise Sirius, prima di rendersi conto della serietà della richiesta. Le baciò la fronte, dolcemente, e la strinse in un abbraccio.

“Ti do la mia parola che mi prenderò cura di loro e li proteggerò.”

Dorcas annuì, leggermente rassicurata, e si pressò contro il promesso sposo.

“E che farò lo stesso con te.”











NDA
Salve a tutti :)
Scusate il ritardo, ho avuto un periodo piuttosto pieno. Dopo l'esame sono stata in vacanza una settimana e poi mi sono dedicata alla scrittura dell'epilogo del libro a cui lavoro da mesi - tra l'altro finito l'altro ieri *v*
Mi dispiace che questo capitolo sia più corto del solito, ma spero vi piaccia comunque ;) Fatemi sapere cosa ne pensate - anche di Cas :P

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Capitolo 55
*** Un orribile inizio estate ***


Un orribile inizio estate


“Sai,” esordì Kait sistemandosi con un gesto il cinturino della scarpa, “se non fossimo noi ti chiederei perché per una partita di Quidditch mi sono dovuta mettere un tubino e dei tacchi del genere.”

Draco le lanciò un’occhiata divertita, ma si irrigidì nel sentire la mano del padre toccargli la spalla. “Dobbiamo sempre essere al meglio,” le ricordò lui. “Sì, zio.”

Lucius si distrasse a parlare con il ministro e i ragazzi si rilassarono, cominciando a chiacchierare del più e del meno. “Ho saputo che Moody sarà il nostro esimio professore,” ironizzò Draco, incurante dell’esclamazione annoiata della cugina. “Sarà il nostro migliore insegnante.”
“Solo perché starà dalla tua parte. Andiamo, è invecchiato. Speravo rimanesse in pensione… Sarà una rottura di palle, che merda.”

Kait non rispose, stringendosi nelle spalle per evitare di reagire in modo spropositato - Lucius non le avrebbe mai perdonato l’onta di dover fermare un loro litigio. Abbassò dunque lo sguardo, innervosita, e sussultò nel sentire Draco toccarle la schiena. Non avevano mai parlato del bacio, continuando ad ignorarlo come se, così facendo, potessero cancellarlo - o almeno questo era ciò che aveva pensato Kait fino alla settimana prima, quando il cugino le si era seduto vicino e aveva tenuto il ginocchio premuto contro il suo per tutta la sera. Da allora era stato tutto uno sfioramento dall’aria poco casuale.

Kait non lo sopportava, soprattutto perché era tornata ufficialmente con Harry dopo il problematico periodo di bugie e omissioni, e davvero non voleva sentirsi chiamare infedele. Lo rifiutava, quindi, in ogni modo possibile, cercando tuttavia di non ferirlo.

Che poi, dai, erano cugini!

Fortunatamente i giocatori delle varie squadre - Kait tifava Bulgaria - entrarono in campo e lei fu capace di scostarsi da quel tocco non voluto, con la scusa di alzarsi per esultare. Draco la imitò, capendo forse l’antifona e restandole a qualche centimetro di distanza.

Non sarebbe stato il momento giusto in ogni caso. Dopo tutto quello che era successo… Ripensò al giorno in cui era tornata a casa da Hogwarts, stanca, amareggiata e nello stesso momento felice di ciò che era accaduto. Harry gliel’aveva raccontato nei minimi dettagli; di come lui ed Hermione fossero tornati indietro nel tempo e avessero salvato Fierobecco, rischiando di farsi scoprire prima da Hagrid, Silente, il boia ed il ministro, e poi - quand’era ormai notte - da Kait stessa, impegnata a scappare da Remus. Intelligentemente si erano allontanati il più possibile da lei e, al momento giusto, avevano salvato Sirius.

Da un lato saperlo l’aveva riempita di gelosia, perché lei non aveva avuto il diritto di salutarlo, ma immediatamente quel sentimento era stato sostituito dal sollievo e dalla gratitudine. Suo padre stava bene, era al sicuro.

Merlino solo sapeva quanto lei fosse felice - per lui.

Per lui, perché Remus si era licenziato dopo che Piton aveva fatto lo stronzo, rivelando la verità sulla sua natura non solo a Serpeverde, ma anche alla stampa. Era subito uscito un articolo contro i lupi mannari, firmato da una certa Rita Skeeter che Kait avrebbe strangolato volentieri.

Aveva cercato di nascondere il giornale a Remus, invano.

Solo dopo alcuni giorni - in cui la situazione si era calmata leggermente - Kait aveva avuto il coraggio di affrontare con il padrino la questione che più le premeva. Si era sforzata di non aprire bocca al riguardo per tutto il periodo dello scandalo, ma non era riuscita a reggere per più di una settimana.

La Black chiuse gli occhi, ricordando quel pomeriggio di giugno.

 

“Zio?”

“Sono in camera!” le rispose lui con un urlo. Kait salì le scale due gradini alla volta, fermandosi però in mezzo al corridoio. Prese un respiro profondo, un altro e un altro ancora. Si sentiva più pesante di dieci chili e una parte di lei la implorava di lasciar stare, di voltarsi e chiudersi nella propria stanza. Le diceva che non era necessario scoprire la verità proprio quel giorno, che poteva rimandarla.

Ma Kait non poteva farlo.

Doveva sapere.

Così racimolò tutto il coraggio che aveva e avanzò fino alla camera del padrino. Bussò sullo stipite e Remus, impegnato a scrivere una lettera alla scrivania, si voltò quanto bastava a farle cenno di entrare. Si buttò sul letto e pochi secondi dopo anche lui fece lo stesso. Si strinsero, lasciandosi andare ad un calore famigliare che entrambi, in quel periodo, necessitavano più del solito.

“Papà mi ha detto una cosa,” mormorò Kait dopo qualche istante. Sentì Remus irrigidirsi, prima di domandarle un flebile “cosa?”, che per poco la ragazza non udì.

Si mise seduta, scivolando fuori dalla presa dell’uomo.

“Mia mamma non er-è Gillian, vero?”

Remus trattenne il respiro e si portò a sua volta seduto, il volto improvvisamente esangue. “Tesoro…”

“Non sono arrabbiata,” sussurrò con lo sguardo fisso di fronte a sé, impedendosi così di guardare il padrino negli occhi. “Sono solo… Non… Non capisco.”

“Tua madre è morta quando sei nata, Kait,” rispose Remus con voce esitante. Odiava far soffrire la figlioccia, ma non poteva rimandare il discorso per sempre - anche se avrebbe voluto avere ancora un paio d’anni di tempo. “Da allora Gillian è stata l’unica figura materna nella tua vita.”

“Quello che non capisc-“

“Fammi finire,” continuò. “Dopo l’attacco io… Non me la sono sentita, capisci? Avevi già perso tanto, non volevo che sapessi che…”
“Che non ho perso una madre, ma due?” lo interruppe Kait. L’altro annuì, passandole una mano sulla schiena in un gesto di conforto. “So che avrei dovuto dirtelo, ma stavi così male. Non potevo farti soffrire ancora di più. Ho anche… Chiesto aiuto a Malocchio perché modificasse le immagini del tuo carillon, del quadro a casa Gilbert e di tutto ciò che poteva farti capire… La verità.”

Kait voltò il viso verso l’uomo, guardandolo così negli occhi, e gli fece un cenno del capo, prima di nascondersi tra le sue braccia e stringerlo più forte di quanto non avesse mai fatto. “Ti voglio bene,” gli sussurrò e lui sorrise, sforzandosi di non crollare nella commozione.

“Anch’io,” rispose, poi prese un bel respiro e le baciò i capelli. “Vuoi vedere qualche foto?”

 

Dorcas Meadowes era la ragazza più bella che Kait avesse mai visto. Aveva i capelli biondo scuri, - subito il ricordo di Hannah si fece strada nella sua mente, costringendo a trattenere il fiato per il dolore - che però in alcune immagini erano castani e in altre tanto chiari da farla sembrare una Malfoy. Kait si chiese se fosse una Metaphormagus o se semplicemente si tingesse spesso i capelli. Gli occhi, comunque, erano azzurri e sempre pieni di luce, di vita. Sorrideva in ogni foto, fiera al fianco di Sirius, che in diverse immagini si voltava a guardarla appena lei smetteva di prestargli attenzione. Erano carini, insieme.

Sembravano quasi troppo belli per essere veri.

C’era una foto, poi, di cui Kait si innamorò istantaneamente. C’erano sempre i suoi genitori, - era strano pensarlo senza riferirsi a Gillian - ma affiancati da altre due coppie. Sirius era, infatti, accanto a James Potter, il braccio a circondargli la schiena. In mezzo a loro c’era Remus, schiacciato senza possibilità di liberarsi - non che ne sembrasse molto incline. Peter Minus era al fianco di Sirius, al lato della foto, e guardava gli amici con un’espressione contenta. Lily era abbracciata a Gillian, che a sua volta stringeva una Dorcas nel bel mezzo di una risata. 

Era un’immagine piena di calore, divertimento, affetto… Tanto da farle chiudere la gola.

Soprattutto perché, in un flash, aveva ricordato dove aveva incontrato quella donna. L’aveva sognata - o meglio, era comparsa in un suo incubo, rassicurandola e spiegandole che, qualsiasi cosa fosse accaduta, lei sarebbe stata lì, nel suo cuore.

Non capiva come avesse fatto a sognare una persona di cui non aveva memoria, ma al tempo aveva ancora i doni dei Fondatori, quindi immaginava fosse dovuto a loro.

Passò diverse ore a guardare quegli album di foto che Remus, cercando di proteggerla, le aveva sempre nascosto.

L’ultima immagine che vide rappresentava Dorcas seduta su un divano, incinta di diversi mesi - aveva una pancia enorme e Kait si morse il labbro, rendendosi conto che portava lei stessa e Hannah, in grembo. Al suo fianco, infatti, in braccio ad un Sirius impegnato ad esibirsi in diverse smorfie, c’era Nathan. Era piccolo, tra i due e tre anni, e rideva cercando di imitare il padre.

Era forse la più bella foto che avesse mai visto.

E anche quella che la fece piangere di più.

 


La partita finì prima di quanto Kait si fosse aspettata e lei e Draco si ritrovarono presto a camminare verso la tenda dei Malfoy, il cui interno ricordava più una reggia, che un semplice appartamentino come quelle che aveva sempre visto lei.

Si sistemò sul divano, mentre il cugino occupava la poltrona di fronte a lei. “Dov’è tuo padre?” gli domandò Kait. Lui scrollò le spalle, noncurante.

“Cosa fai il prossimo anno?” le chiese invece. La Black corrugò le sopracciglia, confusa. “Sei rimasta a Serpeverde fino alla fine,” spiegò. “Il prossimo anno cosa fai?” ripeté quindi. “Resti con noi o torni alla Torre?”

Kait si morse il labbro e abbassò lo sguardo, prima di mormorare un “vado a Grifondoro”. Draco annuì, quasi se lo fosse aspettato. “Era ovvio,” disse infatti, sporgendosi verso il tavolino al suo fianco e afferrando quello che aveva tutta l’aria di essere vino. Piccata, Kait portò le braccia al petto e accavallò le gambe.

“Ah sì? Sono così scontata?”

“Diciamo che sei brava ad essere una di noi quando litighi con i Grifondoro… O semplicemente con Potter.”

La Black si preparò a rispondere a tono, irrita da quelle parole troppo vere per non colpirla nell’ego, ma un rumore all’esterno della tenda la distrasse. Se prima erano semplici festeggiamenti, pieni di risate e canti, ora c’erano urla di terrore e passi concitati, come di persone che scappano.

Kait scattò in piedi e fuori dalla tenda prima ancora che Draco potesse rendersi conto di averla vista muoversi. “Cosa fai?!” lo udì urlare.

Ma lei era ormai in mezzo alla folla. La gente la spingeva, gridando dalla paura, dandole colpi e aggrappandosi alle sue spalle nude quando perdevano l’equilibrio a causa degli sbilanciamenti di chi correva più veloce.

Quasi cadde a terra, poco stabile sui tacchi - dannati Malfoy.

E a proposito dei Malfoy, Draco l’aveva appena tirata per un braccio, conducendola verso la tenda. Non riuscì a costringerla ad entrare, però, perché Kait aveva puntato i piedi, impietrita.

Tutti quei tifosi stavano scappando verso il bosco… Perché al centro del campeggio una schiera di uomini incappucciati si facevano strada nel panico e nelle urla angosciate. “Kait, dobbiamo nasconderc-“

“Mangiamorte,” mormorò lei interrompendolo, lo sguardo ancora fisso sullo spettacolo terrificante che nella sua mente risvegliò l’incubo vissuto quando aveva solo cinque anni.

Il Marchio Nero era l’unica cosa che mancava in quel quadro orribile.

Sapeva che molti avrebbero preso quella confusione come una rivolta, o anche una semplice rissa tra irlandesi e bulgari, ma lei conosceva la verità e niente, neanche avere Moody vicino, l’avrebbe potuta calmare.

“Kait, torniamo dentro, ora!” le ordinò Draco.

“Ci troveranno!” urlò lei in risposta, gli occhi ancora fissi sul gruppo di uomini che le avevano rovinato la vita. Magari gli assassini di Nathan e Hannah erano tra loro. Magari avrebbe potuto combatterli, fermarli, ucciderli…

“Non ci toccheranno, Kait!” le urlò Draco, indicando con un gesto lo stemma dei Malfoy ricamato sulla porta della tenda. Afferrò il suo braccio con più forza, tirandola al sicuro, dentro. “Tuo padre…”

“Non lo so,” sbottò il Serpeverde, abbassando lo sguardo. Per la prima volta le sembrò spaventato e, per istinto e per affetto, Kait lo abbracciò. Lo strinse a sé con forza, cullandolo con il corpo e con la voce, sforzandosi di superare il volume delle grida al di fuori della tenda. “Non possiamo rimanere qua, nascosti,” spiegò dopo un po’, “non quando tutta la gente potrebbe morire!”

Non rischierò di finire ammazzato per delle persone che neanche conosco!

“Draco, tu puoi rimanere qua. Io no!”

E corse fuori. Si girò una sola volta, per capire come il cugino avesse deciso di agire; si sforzò di non rimanerci male, quando lo vide sedersi sulla poltrona e riprendere in mano il calice.

Nel resto del campeggio imperversava il caos. Tirò fuori la bacchetta, pronta a combattere, prima di rendersi conto che la ragazza che le correva davanti era Hermione, una mano aggrappata al braccio di Ron. Al loro fianco c’era Harry, gli occhiali storti sul naso e l’espressione preoccupata.

La superarono senza rendersi conto della sua presenza.

Kai fu dunque di fronte ad una scelta: correre verso i Mangiamorte e sfidarli, da sola, o seguire i suoi amici e proteggerli, mentre loro proteggevano lei.

Impiegò solo un istante, a decidere, e subito si voltò verso il bosco dove Harry e gli altri erano diretti.

Due minuti dopo, stretta tra i suoi compagni, osservò il Morsmorde scintillare nel cielo.


 

Kait tornò a casa con i Weasley, la cui Tana però non aveva posto per lei - per la Coppa del Mondo di Quidditch, infatti, anche Bill e Charlie erano lì. Harry propose di farla dormire nel letto con lui, ma Molly rifiutò con le guance rosse. “Non vi preoccupate,” sorrise Kait, nonostante la sua mente stesse lavorando a mille sugli avvenimenti al campeggio. “Devo tornare comunque a casa, Remus sarà in pensiero.”

“Oh, tesoro, gli ho scritto che sei sana e salva appena sei arrivata,” la tranquillizzò Molly. Erano tutti ancora un po’ scossi, tuttavia si sforzavano di comportarsi normalmente, come se bastasse fingere di possedere la calma per averla davvero.

Kait li abbracciò uno ad uno, sorridendo a Ginny, - che non ricambiò, per qualche strano motivo - pronta a congedarsi. Quando fu il turno di Harry lo baciò in velocità e lo strinse a sé, mormorandogli all’orecchio “scriverò a mio padre, fallo anche tu, deve sapere cos’è accaduto”.

Dopodiché si diresse verso il camino e salutò di nuovo tutti con un gesto della mano.

Anziché andare a casa di Remus, però, decise di fermarsi brevemente da Moody, giusto per raccontargli gli avvenimenti di persona.

Malocchio aveva posizionato l’unico camino aperto alla Polvere Volante nell’ingresso, così da non trovarsi intrusi in salotto o in camera da letto. Kait si pulì dalla fuliggine e cominciò subito a raccontare, la voce abbastanza alta da essere sentita da ogni angolo della casa.

“I Mangiamorte, Malocchio! Erano tanti e la gente era terrorizzata… Che poi quei bastardi hanno preso di mira una famiglia di Babbani!” spiegò avanzando verso la cucina. La trovò vuota, così continuò a camminare, senza smettere di parlare.

“Credo che Lucius Malfoy sia tornato tra le loro fila, ma non è che abbia davvero delle prove… Comunque Rita Skeeter ha già mandato nel panico mezza popolazione riportando delle voci secondo cui ci sono stati diversi morti - come se avessimo bisogno di…”

Ma la voce le si bloccò in gola nel momento stesso in cui entrava in salotto. Moody era lì, le spalle al camino chiuso, e le lanciò un’occhiata; di fronte a lui, e quindi che dava la schiena a lei e alla porta, c’era un uomo. 

Era alto almeno una testa più di lei e aveva le spalle larghe. Era pieno di muscoli, tanto che li si potevano notare anche sotto la giacca militare che indossava, e aveva capelli castani, rasati ai lati e molto corti sopra, proprio come quelli dei Marines.

Fu solo quando il soldato si voltò, che Kait lo riconobbe.

Scattò indietro e sbatté la schiena contro lo stipite della porta, ma quasi non se ne rese conto.

“Ciao, Kay,” mormorò Jackson avanzando di un passo verso la sua direzione, l’accento inglese ormai modificato da una lieve inflessione americana. La scrutò a lungo e Kait si pentì di non essersi cambiata, perché il vestito mostrava troppa pelle nuda.

Jackson alzò un braccio, forse intenzionato ad accarezzarle la guancia, e la Black indietreggiò una volta di più. “Non mi toccare,” sibilò.

Il dolore riempì lo sguardo del ragazzo, che si sforzò di sorridere nonostante tutto e le si avvicinò ancora.

Kait non gli permise di toccarla.

Semplicemente gli diede le spalle e se ne andò, il cuore che le martellava nel petto e la gola che bruciava dalla voglia di urlare.










NdA:
Okkkkay, eccomi qua! Spero che la sorpresina - Jackson - vi sia piaciuta :D
​So che molte - molti? - desideravano il suo ritorno e quindi, sì, eccolo qua. Le cose sono un po' complicate, ma diciamo che in questo 4 anno si parlerà abbastanza, di Jackson. Più di quanto immaginiate ^^ (non vi spoilero nulla ahhaha)
Questo credo sarà il primo di due soli capitoli sull'estate... Nel prossimo saremo già a fine agosto, quindi forse ci includo anche l'inizio della scuola... Non lo so, vedremo.
(Già, non ho ancora cominciato a scriverlo... Ma ho appena finito questo, perciò non c'era da aspettarselo)
Mi dispiace infinitivamente per il ritardo, ma tra la scuola, l'influenza di questi giorni e il mio vasto gruppo di amicizie mi è stata dura trovare il tempo per mettermi al computer se non per fare gli appunti di filosofia D:
Spero che mi perdoniate.
Ah un'ultima cosa. Ho cambiato alcune partid ella Coppa del Mondo - come Draco, che in realtà è nel bosco e fa lo sbruffone con il Trio. Ho preferito riportarlo così :P

Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, se vi va :) Mi farebbe davvero piacere :D

Un bacio,

Dea

 

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Capitolo 56
*** Ritorno ***




Ritorno



Quando Remus tornò a casa dal lavoro, quella sera, era immerso nei suoi pensieri. Cercava di capire cosa poter aggiungere al curriculum per renderlo più interessante, convincente… Degno di fiducia, o almeno di considerazione.

Appoggiò il plico sul tavolino all’ingresso e si diresse verso la cucina, da dove provenivano rumori strani. Per precauzione tirò fuori la bacchetta, nonostante sapesse che con tutte le probabilità si trattava di Kait.

E infatti fu lei, che vide nel varcare la soglia della stanza.

“Cosa fai?” le domandò non osando avvicinarsi. La ragazza si passò l’avambraccio sulla fronte, scacciando ciuffi ribelli che la infastidivano finendole sugli occhi, e scrollò le spalle. “Non sai cucinare, Kait,” le ricordò Remus corrugando la fronte.

“Non ci vuole molto a disossare un pollo.”

“Non lo stai disossando,” sbuffò l’uomo, “lo stai massacrando!”

Solo a quel punto si rese conto che doveva esserci sotto qualcosa - e qualcosa di grosso, per giunta. La figlioccia gli aveva sempre impedito di insegnarle a cucinare - spesso Remus si chiedeva se fosse perché era schizzinosa, pigra o perché era convinta che gli elfi domestici le avrebbero preparato ogni pasto per il resto della vita, ma alla fine non esponeva mai i suoi dubbi. Preferiva non sapere.

Ad ogni modo non era solo la sua avversione per la cucina, a far stonare la scena.

Perché stava quasi picchiando quel povero pollo e Remus non si sarebbe dovuto sentire così contento all’idea che fosse morto. Non per colpa della rabbia della figlia- figlioccia.

Si sedette su una sedia e fissò Kait, pensieroso. “Vuoi parlarmene?”

“Non so a cosa tu- no, okay,” si corresse lei, “so a cosa ti riferisci. È solo che…”
“Sì?” la incalzò Remus. Non perché volesse fare il pettegolo, eh, ma per sincera preoccupazione.

“Tesoro?” la richiamò dopo qualche minuto di silenzio. Kait lasciò andare il povero pollo - finalmente! - e si tolse i guanti con cui lo aveva maneggiato. Lo sapeva, Remus, che era troppo schizzinosa. “L’ho ridotto in poltiglia,” brontolò la ragazza.

“Fa niente. Lo userò per… Ehm… Le polpette.”

Ci furono un paio di minuti ancora di silenzio, in cui il mannaro si domandò se pressarla di nuovo o lasciarla decidere quando parlargli. Alla fine, l’adolescenza era anche escludere chiunque non fosse della propria età, no?

“Jackson è tornato,” sputò Kait e Remus alzò subito lo sguardo su di lei, preso alla sprovvista. Aveva gli occhi bassi, stretti in un’espressione contrita. “Stai bene?” le domandò.

“N-non lo so. Non so neanche come reagire. Se abbracciarlo e dirgli che mi è mancato o picchiarlo per avermi…”

“Lasciata?”

Kait alzò di scatto lo sguardo, prima di rendersi conto che Remus non stava insinuando nulla che andasse oltre all’amicizia. “Sì, in pratica.”

“Quindi non ci hai parlato?” indagò l’uomo. “No, cioè… Era lì, a casa di Moody, e si è avvicinato quasi per salutarmi - come se ne avesse il diritto!”

“Gli devi essere mancata molto, Kait. Forse volev-”

“Non mi interessa!” sbottò la ragazza. “È stata colpa sua. È lui che se n’è andato, non io! Non io! Quindi può tenersi le scuse o-o i gesti carini o… Qualsiasi cosa voglia ora. È stato lui ad andarsene. Non è colpa mia, non è colpa mia!

Remus non rispose, preoccupato. Kait non stava piangendo, - dubitava avrebbe mai lasciato a Jackson questa soddisfazione - ma aveva comunque gli occhi lucidi. Avrebbe dato di tutto per riuscire a proteggerla dalla rabbia, la delusione e il dolore che stava provando, tuttavia sapeva che anche quelle emozioni negative servivano a qualcosa - a farla crescere, ad esempio.

Non che rendesse più semplice guardarla soffrire, eh.

“Non ci voglio più parlare,” la sentì mormorare dopo qualche istante. La fermò prima che corresse a nascondersi in camera sua e la strinse contro il proprio petto. “Per anni ho pensato che tuo padre fosse un traditore. Al tempo lui ha pensato lo fossi io.”

Kait si allontanò leggermente, in modo da guardare Remus negli occhi. “Intendo dire,” spiegò lui, “che l’amicizia passa sopra a molte cose.”

Non la trattenne quando Kait gli puntò le mani sul petto e si staccò dalla sua presa, e non pronunciò parola nel vederla dirigersi verso le scale. Quando udì la sua risposta, però, non poté fare a meno di sospirare.

“Non sono mai stata brava a perdonare.”

E Remus, con tono sommesso, rispose “lo so”. Perché no, non le era mai riuscito, di perdonare - nemmeno se stessa.


 

Il binario 9 e 3/4 era affollato come sempre, ma Kait non ne fu disturbata; le venne quasi spontaneo ghignare, però, perché sembrava che nessuno ricordasse più gli avvenimenti dell’anno prima. L’avevano derisa, guardata con pietà, lasciata da parte e usata come intrattenimento per le giornate più noiose… Ma bastava un po’ di tempo e un nuovo gossip e tutto svaniva.

Penosi.

“Ehi!” la chiamò una voce maschile alle sue spalle e Kait si voltò, lasciando che un sorriso le comparisse sul viso nel vedere Neville. Al suo fianco c’era la nonna e, mentre le si avvicinava, la Black lanciò una veloce occhiata ai propri vestiti, sperando di essere in ordine. Lo era, per fortuna.

“Signora Paciock!” la salutò, non osando avvicinarsi troppo. Non era una donna che amava il contatto, la nonna di Neville, e ad essere sinceri le incuteva un po’ di timore - a lei, che era cresciuta con Narcissa. “Catherine, ti sei fatta grande,” esordì l’anziana. Kait trasalì, poco abituata a quel nome. Soprattutto perché, beh, non era il suo. Il fatto è che Kaitlyn era la versione americana del celtico Caitlin, che a sua volta derivava da Catherine. La signora Paciock non l’aveva mai chiamata diversamente e dopo le prime volte, Kait aveva smesso di farglielo notare.

“Come sta?” domandò con tutta la cortesia di cui era a disposizione, le mani strette davanti a sé e la postura dritta. Non voleva essere ripresa.

“Bene, mia cara,” le sorrise, causando nella ragazza un involontario brivido lungo la schiena. “Sei sola?”

“Sì, signora,” si costrinse a rispondere. “Mio zio Remus aveva alcuni impegni.”

“Non è una scusa.”

Neville, dietro la nonna, sembrava abbastanza imbarazzato da far sentire meglio l’Unità. Almeno lei non ci viveva insieme, giusto? Poi, beh… Sotto sotto era sicuro la adorasse.

“A dir la verità,” sorrise Kait, “pensavo proprio che Neville mi avrebbe potuta accompagnare sul treno.”

E così, in men che non si dica, i due studenti salutarono l’anziana signora e si avviarono lungo il binario, la mano di lei stretta sul braccio di lui. “Credi che ci stia ancora guardando?” sussurrò la Black dopo qualche secondo. Neville annuì impercettibilmente.

Fu solo quando furono “al sicuro” sul treno che si concedettero di rilassarsi. Kait, senza potersi fermare, scoppiò a ridere. “Quella donna è un mito!”

Nonostante stare in sua compagnia la agitasse, non le dispiaceva confrontarsi con una persona di tale tempra. “Vivici insieme e poi mi dirai!” le rispose Neville ridendo a sua volta. Camminarono lungo i vari scompartimenti, cercando gli amici. “Eri alla finale, quest’estate?” domandò il ragazzo, curioso e un po’ spaventato dalla risposta. Sua nonna gli aveva raccontato dei Mangiamorte che si erano mostrati dopo la partita, e del Marchio Nero alto nel cielo. “Sì,” rispose Kait. Non vi aveva più pensato, soprattutto perché, a parte un messaggio di Narcissa che si chiedeva come stesse e che la rassicurava che Draco si trovava in salute, non aveva ancora sentito i Malfoy. Non una lettera di scuse per il proprio comportamento o un tentativo di giustificazione, niente! Ma Kait non avrebbe ceduto. Sarebbe stato Draco, il primo tra loro a scrivere.

Non si sarebbe scusata per essersi rifiutata di nascondersi come una codarda.

Era talmente immersa nei suoi pensieri che nemmeno si accorse di essere andata addosso a Harry, impegnato ad osservare l’altro lato del corridoio. “Scusa!” rise Kait - era di buon umore, quel giorno, e se lo voleva godere il più possibile. Il ragazzo le sorrise, imbarazzato e con le spalle tese. “Qualcosa non va?” domandò esitante l’Unità, lanciando un’occhiata verso il punto che Harry stava fissando fino a poco prima. C’era una ragazza, una Corvonero, che la salutò con un cenno. Kait ricambiò, cercando di ricordarne il cognome - era sicura si chiamasse Cho, se non altro.

Harry scosse velocemente la testa e Kait sorrise di nuovo, coinvolgendolo in un bacio. Si strinsero per qualche minuto, nonostante Ron e Hermione, già sistemati nello scompartimento lì a fianco, li avessero accusati di essere troppo sdolcinati.

Non che a Kait interessasse. C’era qualcosa di magico, nelle labbra di Harry, e in come la faceva sentire con un semplice sguardo. 

La riempiva di brividi prima ancora di rendersene conto.

Quando decisero di comune accordo di essersi salutati abbastanza si abbracciarono forte; dopodiché lasciarono entrambi la presa. Fu solo in quel momento che Kait colse un movimento con la coda dell’occhio e si rese conto che qualcuno li aveva fissati per tutto il tempo. Si voltò per guardare lo sconosciuto in faccia… E si rese conto che non era affatto uno sconosciuto.

Senza volere strinse forte la mano di Harry, quasi a trarne coraggio, e per istinto o gelosia lui le si posizionò di fronte, dandole le spalle e nascondendola parzialmente dall’altro. “Ma non è…” lo sentì bisbigliare e la Black ricordò di avergli mostrato alcune foto, una volta, spiegandogli quanto gli mancasse. Quanto avesse tenuto a lui, in un'altra vita.

Una vita che le aveva appena tirato uno schiaffo tanto forte da toglierle il fiato.
Perché alla fine del corridoio stava Jackson, fiero in una divisa senza colori di appartenenza, il mento alzato e l’espressione forzatamente neutra. 

Kait avrebbe potuto avvicinarsi e salutarlo, cercando magari di risolvere i problemi tra loro, o per lo meno degnarlo di un cenno, ma decise che non meritava nulla di tutto ciò. Così aprì la porta dello scompartimento, afferrò Harry per la cintura e ve lo trascinò dentro, sforzando una risata.

Non si voltò per vedere la reazione di Jackson, tuttavia udì una porta sbattere. Le bastò questo per ghignare, rivendicando una vittoria dal gusto dolce-amaro.


 

Lo Smistamento cominciò nel modo più… Particolare a cui Kait avesse assistito. Dopo l’entrata in scena di Moody e l’assegnazione degli undicenni alle varie Case, Jackson si era fatto avanti, lo sguardo fisso davanti a sé e il passo deciso. Indossò il Cappello da solo, forse perché era troppo alto per la McGrannitt o per una semplice presa di posizione, e nemmeno si sedette sullo sgabello. La decisione del Cappello, comunque, fu chiara a Kait prima ancora di udire “Grifondoro!” urlato a gran voce. Si passò una mano tra i capelli, trattenendosi dall’esultare come avrebbe fatto se fosse accaduto l’anno prima; decise però che applaudire non aveva mai ucciso nessuno e mentalmente si congratulò con se stessa. Era un inizio, giusto?

“Quello è Everdeen, vero?” le domandò Ron interessato. Kait annuì. “È tornato da poco dall’America.”

“Credevo studiasse da privatista,” si intromise Hermione, notando con la coda dell’occhio come Harry si fosse teso al solo parlare del ragazzo. “Anch’io,” rispose la Black. Si zittì subito nel notare Jackson camminare verso di loro, forse determinato a non sedersi nei posti dedicati a quelli del primo anno. Dopotutto era al settimo, lui, e non aveva bisogno di conoscere quei bambini

Si sedette accanto a Kait con tutta la nonchalance di cui era capace, ignorando le occhiate poco sorprese della tavolata dei Grifondoro e, più in generale, della Sala Grande intera. “Cosa credi di fare?” gli domandò la Black con una nota d’isteria nella voce. Jackson scrollò le spalle.

“Perché diavolo sei a Hogwarts, comunque?”

“Moody insegna qui,” le ricordò allora il ragazzo, “e io sarei comunque dovuto venire qui per i M.A.G.O., quindi…”

Non ebbero il tempo di continuare la discussione, però, perché la professoressa McGrannitt si avvicinò con passo svelto e li interruppe. “Black, con me,” le intimò, prima di costringerla a seguirla fuori dalla Sala. “È per il discorso?” chiese l’Unità. “So che ho praticamente riciclato quello di due anni fa, ma…”
“Non è per quello. Ora il professor Silente spiegherà alcune cose ai tuoi compagni. Ho bisogno che tu ti occupi dell’accoglienza, invece.”

“Alcune cose - cosa? E che tipo di accoglienza?”

La McGrannitt strinse le labbra fino a renderle quasi un filo sottile, prima di fissare la ragazza negli occhi e decidersi a spiegare la situazione. “Cosa sai del Torneo Tremaghi?”

Kait non riuscì a trattenersi; semplicemente alzò gli occhi al cielo e sbuffò con tutta l’enfasi di cui era capace. “Perché,” mormorò una volta ricomposta, “non possiamo mai avere un anno tranquillo?”

“Ho a che fare con te e il tuo gruppetto da anni, signorina Black. Mi creda che me lo domando anch’io.”

Kaitlyn trattenne una risata e indicò con un dito il parco che si intravedeva dalle finestre del castello. “Sono tutti fuori, ad aspettare?” chiese. La McGrannitt annuì.

“Mi auguro tu conosca un po’ di francese.”

“Professoressa, lo parlo meglio di chiunque altro, qui dentro,” e no, la modestia non era il suo punto forte, lo sapevano tutti. L’insegnante schioccò la lingua, infastidita. “Ovviamente. Anche il bulgaro, sì?”









NdA:

Okay, quindi... Eccomi qui! Mi scuso per il ritardo, periodo impegnativo.
Ad ogni modo il capitolo non è molto lungo, ma spero vi piaccia ^^ Jackson è a Hogwarts, chi l'avrebbe mai detto ahaha non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate - se apprezzate o meno la scelta :P
Le cose si complicheranno, d'ora in poi yeeeeah ahahah
Non so quanto vi faccia sapere sentirlo.
Invece IMPORTANTE è questo: ho creato una specie di video trailer su questa storia :) Dateci un'occhiata, quando avete tempo :P


https://www.youtube.com/watch?v=PRIKAU5QMIk

Un bacio e un forte abbraccio :)

Dea

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Capitolo 57
*** Estranei a Hogwarts ***


Estranei a Hogwarts
 

Era stato con una ragazza, durante l’anno di lontananza. Un’americana più grande di lui, bella in un modo molto più semplice, rispetto ai tratti sì, regali, ma quasi troppo perfetti di Kait. Bionda, la pelle baciata dal sole e il viso pieno di lentiggini. Gli aveva insegnato a fare surf ed erano finiti a fare sesso in un angolo della spiaggia, parzialmente nascosti dalla scogliera e dalla sera che calava decisamente più tardi rispetto all’Inghilterra.

Probabilmente il compleanno più patetico che avesse mai passato… Ma quantomeno la sua prima volta era stata con una ragazza innamorata della vita. Lo aveva guidato in ogni passo, sorridendo addolcita dalla sua inesperienza.

“Sei troppo bello per non essere mai stato con nessuno,” gli aveva sospirato all’orecchio e che fosse stato un complimento o una leggera presa in giro, a Jackson non era interessato molto. Non aveva detto “stavo aspettando lei”, ma era tutto ciò a cui aveva pensato.

Era stato con Megan alcuni mesi, distraendosi con il sesso e il surf e le risate e qualsiasi cosa, davvero qualsiasi cosa, prima di scusarsi per averla ingannata, un groppo in gola e la stessa ragazza di sempre fissa nella mente. “Non hai mai promesso di innamorarti di me, dolcezza,” gli aveva risposto lei.

E a quel punto poco era importato più.

Si era buttato negli allenamenti con forza, senza mai fermarsi se non per sfogarsi ulteriormente con Megan, utilizzando il sesso come distrazione quando il “lavoro” non bastava più. Si era consumato con lentezza, rinforzando il corpo mentre indeboliva la mente - non riusciva a togliersi Kait dalla testa, nonostante i mesi passassero e da lei non ricevesse alcuna lettera.

All’America interessava poco, dell’Inghilterra. Nel mondo dei purosangue, però, le notizie correvano in fretta anche da una parte all’altra del pianeta, e lui aveva tenuto l’attenzione alta. Sirius Black era evaso - e ancora nessun messaggio.

Si era rassegnato, Jackson. Aveva impiegato del tempo, sì, ma alla fine aveva capito che lei lo aveva dimenticato. O almeno lo aveva creduto… Perché quando si erano rivisti, a casa di Moody, Kait gli aveva lanciato un’occhiata tanto smarrita e ferita da costringerlo a stringere la mani a pugno per evitare di mostrarne il tremore.

Non lo aveva dimenticato. Aveva solo reagito come suo solito: scappando.

Da lui, quel giorno, e dai ricordi, prima. Ci avrebbe giurato.

E ora scappava di nuovo.

L’aveva vista qualche volta, di sfuggita, e tutte le volte beveva ogni suo dettaglio.

Era la ragazza di sempre e allo stesso tempo gli sembrava una sconosciuta. Non era sicuro se la cosa lo aiutasse a dimenticarla o lo rendesse soltanto più disperato all'idea di riaverla al proprio fianco. 

La guardava, comunque. 

La osservava camminare a testa alta tra francesi con la puzza sotto il naso e bulgari scontrosi, e tenere a bada tutti quanti, la grazia di un popolo e la tempra dell'altro.

Gli era mancata come l'aria.

E nemmeno si parlavano.

O almeno non fino a quel pomeriggio - erano stati convocati da Alastor e allora sarebbero stati costretti a confrontarsi, giusto? Entrò nell’ufficio dell’ex Auror in perfetto orario, stupendosi che Kait fosse già lì, l’espressione sospettosa. “Tutto okay?” domandò Jackson, un po’ per semplice preoccupazione e un po’ per quel desiderio di proteggerla che aveva sempre provato. La Black nemmeno gli rispose.

Moody zoppicò fino a loro, costringendoli a sedersi su due sgabelli malconci e sistemandosi su una poltrona poco distante. “Ora,” sbuffò togliendosi la gamba finta, “che cos’è l’Occlumanzia?”

Jackson si sporse in avanti. “È una difesa magica della propria mente contro intrusioni esterne, la cui pratica è chiamata Legilimanzia.”

Moody annuì tra sé. “Hai già studiato entrambe, in America?”

La domanda lasciò il ragazzo interdetto: era sicuro di aver scritto una dettagliata lettera a proposito dei suoi progressi all’estero. Ma forse l’Auror non ricordava ogni particolare - stava invecchiando, purtroppo.

Dunque annuì, cogliendo con la coda dell’occhio Kait irrigidirsi. “Splendido,” mormorò Moody in risposta. “Allora potrai insegnarlo anche a lei.”

In un primo momento nessuno dei due reagì, tuttavia appena le parole dell’uomo acquistarono un senso Kait scattò in piedi, negando con forza. Jackson non si mosse, ferito. 

Sapeva che la sua partenza aveva cambiato drasticamente le cose, tra loro, lo aveva capito nel momento stesso in cui Moody gli aveva dato quella possibilità, ma sperava di sistemare il loro rapporto, prima o poi. E invece erano già passate alcune settimane e niente, erano ancora due estranei.

“È un ordine,” la mise a tacere Alastor, indicando la porta con un gesto del capo. “Cominciate subito… Però fuori di qui. Ho da fare.”

Kait strinse le mani a pugno e abbassò il viso, prima di voltarsi e uscire a passo svelto, la sua rabbia percepibile anche ad occhi chiusi; Jackson la seguì, più controllato nonostante l’ansia che lo aveva colto all’idea che lei lo odiasse.

“Aspetta,” lo fermò all’ultimo Moody. “Per quanto riguarda il Torneo Tremaghi…” cominciò e Jackson gli fece cenno di continuare. Aveva pensato a lungo all’idea di partecipare - l’età ce l’aveva, il coraggio pure… E anche la voglia di mettersi alla prova. In più, beh… Chi meglio di un “soldato” per una tale sfida? 

“Non mettere il tuo nome nel Calice.”

“Perché?” sbottò il ragazzo, allargando le braccia e sgranando gli occhi.

“Fa’ come ti ho detto.”

E così lo congedò.
 

Kait lo stava aspettando fuori, appoggiata al muro con tutta la finta noncuranza di cui era capace. Si diede lo slancio con i fianchi e tornò dritta non appena lo vide, le labbra tese in una linea sottile.

“Dove andiamo?”

Jackson scrollò le spalle. “Cerchiamo un’aula vuota?”

La trovarono dopo più o meno un quarto d’ora - terrorizzarono Vitious per sbaglio e furono sgridati ingiustamente da Gazza, ma alla fine riuscirono nel loro intento. Era una stanza piuttosto piccola, senza nemmeno la cattedra e i banchi; il pavimento era ricoperto di cuscini e le pareti erano piene di dipinti di paesaggi mozzafiato. “Non sapevo esistesse un’aula di arte,” mormorò Jackson. “Nemmeno io.”

Si sedettero per terra, a gambe incrociate - quel giorno Kait, fortunatamente, aveva indossato i pantaloni e non la gonna.

“Okay,” si schiarì la voce il ragazzo. “Prima di tutto l’Occlumanzia è una pratica molto difficile, perciò ci vorrà del tempo perché tu riesca a padroneggiarla - la Legilimanzia, la sua controparte, diciamo, potrebbe esserti più facile. Per essa sono fondamentali vicinanza e contatto visivo,” spiegò senza mai distogliere lo sguardo da lei, spostandosi in modo quasi impercettibile così che le loro ginocchia toccassero. Senza una parola, Kait si tirò indietro di qualche centimetro.

“Per favore, non possiamo…” cominciò Jackson, la voce rotta e l’espressione distrutta. Tutto ciò lo stava uccidendo.
Gli mancava la sua migliore amica.

Era così difficile da capire?

“No,” sbottò Kaitlyn. “Ora insegnami o me ne vado.”

E Jackson, il cuore spezzato, annuì e ricominciò a parlare.


 

Hermione leggeva un libro distesa sul proprio letto, le ginocchia piegate e le sopracciglia corrugate dalla concentrazione. Era tanto presa dal tomo che sobbalzò violentemente quando venne riportata alla realtà da Kait, che entrò nel dormitorio e sbatté la porta dietro di sé. “Tutto bene?” si informò subito l’amica.

Kaitlyn scrollò le spalle.

“È per Jackson?”

“Tu credi…” mormorò la Black. Non sapeva osa dire, in realtà, perché tutto ciò che desiderava fare era urlare - e picchiare Jackson.

E magari, sotto sotto, anche abbracciarlo. 

“Non ha importanza,” sbottò infine.

“Sì che ce l’ha,” rispose Hermione, ma l’altra non la ascoltava più, troppo impegnata a tirare fuori un pacco da sotto il letto. Lo aprì, sollevando un vestito da sera di fattura pregiata; a toccarlo sembrava immergere le mani nell’acqua, da tanto era ben lavorato. “Indosserai quello?”

Kait rise, deliziata, e accostò il vestito al corpo. “È stupendo, vero?”

Era bianco e lungo, tanto che le avrebbe coperto anche i piedi; scollato quanto bastava, aveva una sola spallina obliqua argentata, e numerose strisce argentate correvano lungo tutto il busto, catturando la luce ad ogni movimento. Lo aveva scelto l’anno prima consigliata da Narcissa, che l’aveva spinta a portarlo con sé ad Hogwarts - non ne aveva capito il motivo fino a poche settimane prima.

“Lo è,” sussurrò Hermione, colpita. Allungò una mano e sfiorò la stoffa.

“Ti faccio vedere il mio,” esclamò più entusiasta di quanto Kait si aspettasse. Non era da lei essere così… Superficiale, ma forse era un semplice moto di orgoglio, perché sapeva si sarebbe sentita carina in un modo che poche volte le era capitato.

Quando scesero nella Sala Comune, un’ora più tardi, erano entrambe allegre. Subito raggiunsero Ron e Harry, che Kait salutò con un bacio. Il Grifondoro aveva in mano una lettera di Sirius. 

“Vola a nord?” sbottò la Black una volta letta la missiva. “Viene… Viene qui?”

E per quanto l’idea di rivedere il padre la riempisse di una gioia profonda, la paura che fosse catturato la terrorizzava. Avrebbe ricevuto il bacio, in quel caso, e Kait non avrebbe potuto più aiutarlo in alcun modo. Si voltò verso Harry, ancora fermo a riflettere sulla lettera, e cercò in tutti i modi di trattenere la collera.

Era colpa sua e della sua stupida cicatrice.

No, si costrinse a pensare. Non può essere colpa sua. Mio padre sa prendere le proprie decisioni.

Ma questo non le impedì di inventare una scusa e tornare su nel dormitorio femminile. Sapeva che isolarsi non era la soluzione, lo capiva perfettamente - e tuttavia non riuscì ad evitarlo.


 

Le giornate si susseguirono con estenuante lentezza e, allo stesso tempo, fremente eccitazione per ciò che stava per accadere. Tra Ron che venerava Krum ad ogni passo e metà della scuola con cotte per gli stranieri, comunque, Kait fu ricoperta dalle richieste di consigli. Non solo studenti e studentesse innamorate, ma per lo più diciassettenni che non sapevano dove sbattere la testa: se partecipare al Torneo o rimanere in nell’ombra - ombra, comunque, che si sarebbe rivelata sicura.

Aveva appena finito di spiegare ad una Grifondoro, Angelina, i pro e i contro del Torneo quando, camminando lungo un corridoio al piano terra, incontrò Draco. Nonostante le tensioni che c’erano state tra di loro, - indubbiamente colpa di entrambi se irrisolte - il cugino le rivolse un grosso sorriso e la strinse in un abbraccio.

“Facciamo bella figura, eh?” le mormorò all’orecchio e solo allora, quando Draco si ritrasse, Kait notò il ragazzo alle sue spalle.

Massiccio, alto e l’espressione che ricordava quella di uno squalo, Viktor Krum si fece avanti e le offrì la mano destra. Nello stesso momento in cui lei offrì la sua, il bulgaro le baciò le nocche. “Miss Black,” la salutò con pesante accento nordico.

“Puoi chiamarmi Kaitlyn, lo sai,” rispose con un sorriso. Si erano conosciuti il primo giorno, sebbene non avessero avuto il tempo di far altro che presentarsi.

“Lo stavo portando a fare un giro della scuola,” la informò Draco e Kait per poco non si perse le sue parole, troppo concentrata sul manipolo di ragazzine che seguiva Krum ad ogni passo. “Allora vi lascio al vostro tour,” si congedò con un mezzo inchino, profondamente ricambiato da Viktor.

Purosangue, pensò Kait mentre si allontanava dalla parte opposta, una lieve nota di disprezzo che non avrebbe mai espresso ad alta voce.

Salì le scale prima che potessero cambiare e si diresse a passo svelto verso l’aula vuota dove si doveva incontrare con Jackson.

Si sedettero per terra e cominciarono subito. “Cominciamo con l’Occlumanzia. Prova a tenermi fuori.”

Le altre volte non era andata troppo male, perciò Kait si sentì abbastanza sicura nel rallentare il respiro e svuotare la mente. Non era facile, per niente, ma non intendeva arrendersi. Immaginò un grosso castello nero, alto fino al cielo, con venature di ghiaccio e altre di argento. Un’enorme barriera più forte di qualsiasi altro materiale mai esistito; se ne immaginò ogni dettaglio, focalizzandosi su quelle azioni mentali per ignorare tutto il resto.

Andò avanti diversi minuti, prima che Jackson esibisse un grosso sorriso. “Direi che hai fatto tua la tecnica.”

Si mosse sul posto. “Ora il contrario.”

E Kait ci provò. Per qualche motivo la Legilimanzia le veniva più difficile dell’Occlumanzia, forse per una mera questione di carattere - le era più facile chiudersi in se stessa che capire gli altri.

Tuttavia sì, ci provò, la concentrazione tanto alta che nemmeno si accorse di essersi morsa il labbro fino a farlo sanguinare. Jackson, invece, lo notò subito e fu forse quello il motivo per cui si distrasse.

Si distrasse.

E Kait entrò.

Vide solo frammenti di memoria in veloce successione.

 

La voce spezzata da un gemito mentre mormorava “È la… La mia prima volta”. In risposta una risata di donna e un movimento del bacino.

Il Capo Auror del distretto, la sua espressione burbera che gli faceva mancare sempre di più Moody.

La foto di Kait, guardata e riguardata in continuazione.

Sesso sulla spiaggia, sangue per le strade, sudore nella palestra mai vuota.

“Torno a casa.”

 

Kait sobbalzò e prima di rendersene conto era in piedi, ansante e già girata verso la porta. “Aspetta,” cercò di frenarla Jackson, le mani tese in avanti come a trattenerla.

Non si voltò ad ascoltarlo.







NdA:
Mi scuso infinitamente di questo lunghissimo periodo di attesa. Spero di essermi fatta perdonare con Jackson ;)
Questo è il vestito, in caso vogliate darci un'occhiata - ignorate la foto di Kait, al tempo ero convinta che come attrice andasse benissimo la Fox... Ora non più :P http://www.polyvore.com/ballo_del_ceppo_lultima_black/set?id=28161300

Un bacio e un abbraccio forte,
Dea

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Capitolo 58
*** I Campioni ***


I campioni
 

“Signorina Black,” la chiamò una voce alle sue spalle, costringendola ad arrestare il passo. Erano giorni che si isolava, preferendo il silenzio alla compagnia degli altri studenti, e si rendeva conto che non fosse un comportamento maturo, ma era più forte di lei.

Harry era sempre distratto, o a pensare a Sirius o con lo sguardo verso la Casa di Corvonero - e Kait ancora non aveva capito il perché. Hermione e Ron passavano il tempo a bisticciare a proposito degli elfi domestici o, alcune volte, di Krum, quasi venerato da Draco, che vi passava insieme ogni momento disponibile.

E Jackson… Kaitlyn scosse la testa, decisa a non pensarci, e si voltò verso il preside, ancora in attesa di una risposta.

“Sì, signore?”

“Ho bisogno della tua collaborazione, stasera. In quanto Unità delle Case, credo spetti a te.”

Kait si morse un labbro, accigliata, prima di scrollare le spalle e annuire. “Dica pure.”

E così ascoltò le parole di Silente, recependo e memorizzando le istruzioni.

Quando terminò di cenare, quella sera, si alzò con grazia e si sistemò velocemente la gonna e la cravatta multicolore, anche se dubitava qualcuno dimenticasse la natura del suo ruolo. Il preside aveva appena terminato un discorso che lei, francamente, non aveva neanche ascoltato; tuttavia si sbrigò ad attraversare la sala, pronta a svolgere il suo compito. Si avvicinò al Calice di Fuoco, le cui fiamme diventarono rosse all’improvviso. Un pezzo di pergamena bruciata volò fuori da esse, terminando nel palmo aperto di Kait, che si voltò verso gli studenti e si schiarì la voce. “Il campione di Durmstrang,” lesse con un ghigno - era talmente ovvio, chi sarebbe uscito, che si domandava il senso di quella farsa, “è Viktor Krum!”

La Sala fu riempita da applausi e urla; sembrava non esistesse uno studente che non tifasse per il giocatore di Quidditch. Krum si alzò dal tavolo di Serpeverde e avanzò fino a Kait, a cui fece il baciamano. Dopodiché svanì dietro la porta che conduceva alla stanza dove Silente aveva dato istruzione di sistemarsi.

Il Calice tornò a farsi rosso e Kait allungò una seconda volta la mano, afferrando al volo il biglietto appena uscito dalle fiamme. “Il campione di Beauxbatons,” esclamò con voce forte e chiara, prima di correggersi con un “volevo dire la campionessa.”

Prese un respiro. “È Fleur Delacour!”

La ragazza che Ron aveva etichettato come Veela si alzò e subito tutti gli sguardi furono su di lei, mentre la Sala si riempiva nuovamente di applausi. Kait la abbracciò, - e provò lo stranissimo desiderio di non allontanarsene mai - dopodiché anche Fleur sparì dietro la porta.

Il Calice si tinte di rosso per l’ultima volta e Kait agguantò il biglietto appena lo vide. Era emozionata, insomma… Con tutte le probabilità lo conosceva!

“Il campione di Hogwarts,” annunciò, “è Cedric Diggory!”

Sentiva di dover ricordare qualcosa, a proposito di Cedric. Eppure, nel vederlo avvicinarsi con un grosso sorriso e le guance rosse, non riuscì a far altro che abbracciarlo e congratularsi a gran voce, indicandogli poi la stanza dei campioni.

Era già a metà strada verso il suo posto al tavolo Grifondoro quando udì un rumore che la costrinse a voltarsi di scatto. Il Calice era rosso per la quarta volta, le scintille che sprizzavano in tutte le direzioni. Kait impiegò qualche secondo di troppo nel cogliere lo sguardo di Silente, che le indicò il foglietto tra le fiamme, come a dire “muoviti a prenderlo”.

Fece come richiesto e aprì bene la pergamena tra le mani.

Lesse il nome due, tre, quattro volte, dopodiché alzò lo sguardo su un punto preciso della Sala.

“Harry,” sussurrò. Qualcuno la sentì nonostante il volume basso, perché si voltò verso il tavolo di Grifondoro; gli altri studenti le urlarono di alzare la voce e lei lo fece, costringendosi a mantenere un tono fermo, le mani strette a pugno per evitare di mostrarne il tremore. “Harry Potter.”

Il foglietto non era altro che cenere tra le sue dita.


 

“Ciao.”

Kait non rispose, la schiena dritta come un fuso e tanto rigida da far male. Era entrata nell’ufficio di Moody con la speranza di chiedergli consiglio e implorare l’esclusione di Harry dal torneo, ma dell’uomo non vi era traccia - e Silente non aveva avuto tempo per lei.

“Kait…” la chiamò Jackson. Le sfiorò la schiena con due dita, prima di fermare la mano sulla spalla, dove si strinse. “Andrà bene,” mormorò traendola a sé; la ragazza non reagì, lasciando che il più grande la stringesse in un abbraccio un po’ storto.

“La gente muore, in questo Torneo,” mormorò dopo qualche secondo e sentì Jackson sospirarle nei capelli del capo. “Potter se la cava sempre,” provò a convincerla.

“Sì,” rispose lei con tono di scherno, “quando ha qualcuno a guardargli le spalle.”

Si divincolò dalla sua presa e Jackson la lasciò fare, sapendo che costringerla non avrebbe portato a nulla di buono. “Qualcuno lo vuole incastrare! Pensa… Pensa se dovesse…” e le parole le si bloccarono in gola, trattenute dal panico.
“Guardami, Kay!” la riprese Jackson e Kait sussultò, non più abituata a quel nomignolo. “Ci sei tu. Gli guarderai le spalle… E in caso di bisogno, lo farò anch’io.”

La verità era che non sopportava Potter, non lo trovava giusto per Kait, con tutti i guai in cui la cacciava e il suo poco tatto che spesso lo portava a ferirla senza nemmeno rendersene conto; tuttavia era ovvio che lei ci tenesse tantissimo.

E Jackson preferiva guardarla da lontano, ma vederla felice, che averla ferita tra le braccia.

… E preferiva averla solo come amica che non averla affatto. 

Aveva impiegato un anno a capirlo - e ora lei era di nuovo nella sua vita.

La strinse di nuovo a sé per un tempo indefinito, dandole coraggio con la sua semplice presenza nonostante lei fosse ancora rigida, e si costrinse a parlare. “Mi sei mancata,” mormorò allontanandosi leggermente. I loro visi erano tanto vicini da mischiare i respiri e sarebbe bastato un movimento di pochi centimetri per far incontrare le loro labbra. Jackson lo desiderava più di quanto lo avesse mai voluto in vita sua… Ma non si mosse.

A Kait serviva un amico - e un amico avrebbe avuto.

Quanto tornarono alla Torre, soltanto pochi minuti dopo, trovarono i Grifondoro in delirio e Harry al centro del gruppo, che sorrideva nervosamente e guardava il dormitorio come se andarci fosse il suo ultimo volere di condannato a morte. Non appena si rese conto dell’arrivo di Kait, però, si illuminò e le fece cenno di raggiungerlo - di Ron ed Hermione, purtroppo, nessuna traccia.

Jackson annuì senza pensarci e posò gli occhi sulla ragazza, senza ben sapere cosa aspettarsi. Si stupì e sorrise quando lei gli sfiorò un braccio con due dita e gli indicò di abbassarsi per potergli parlare all’orecchio.

“In certi momenti sono più vulnerabile del solito,” ammise con un sospiro. “Non te ne approfittare mai più,” sbottò poi, lapidaria, voltandosi in un turbinio di capelli neri e scattando verso Harry.

Dopo un secondo in cui era rimasto impietrito dall’accusa, Jackson abbassò lo sguardo e uscì dalla Sala Comune. La sua permanenza ad Hogwarts si stava facendo sempre più difficile.


 

“La gente mi guarda,” borbottò Harry acconsentendo, nonostante tutto, a sedersi sotto un albero che dava sul Lago Nero. C’era un bel sole, sebbene l’inverno stesse arrivando. “La gente ti guarda sempre,” gli rispose Kait sistemandosi al suo fianco e appoggiando le gambe su quelle di lui. Gli accarezzò i capelli, nel tentativo di distrarlo dalla massa di ficcanaso che non vedeva l’ora di cogliere qualche pettegolezzo. 

“Tu mi credi, vero? Che non ho messo il mio nome nel Calice.”

Kait annuì, un sorriso sulle labbra. “Certo che ti credo.”

“Ron…”

“Ron è geloso, Harry. Comunque sono sicura capirà anche lui, un giorno.”

Il ragazzo socchiuse gli occhi, irritato, ma lei lo fermò prima che potesse ribattere. “È vissuto all’ombra dei suoi fratelli ed è il tuo migliore amico. Non riesce mai ad essere al centro dell’attenzione, perché tu sei famoso. È te, che la gente vuole. Non la sua “spalla”, capisci?”

“Sono famoso perché sono orfano!” scattò in piedi Harry, facendo rovesciare di lato la Black, rimasta immobile dalla sorpresa. “Perché Voldemort ha cercato di ammazzarmi quando avevo un anno!”

Si alzò anche lei, allungando le mani per posarle su quelle dell’altro e cercare di calmarlo. “Lo so, lo so! Mi ascolti?!” sbottò quando lui ripeté la stessa frase per la terza volta. “Lo so! Infatti non sto dicendo che Ron abbia ragione, okay?”

“Stai dicendo che lo capisci!”

“È il mio migliore amico!” tuonò allora, scattando sulla difensiva come avrebbe fatto con qualunque della poche persone che amava. Era più forte di lei, aveva bisogno di proteggerle. Harry le lanciò un’occhiata smarrita. 

“Tu stai con me,” mormorò.

Kait sbuffò, esasperata, e si passò una mano tra i capelli. “Che io sia la tua ragazza non vuol dire che non tenga più a lui.”

Per lei era tanto ovvio da risultare stupido doverlo dire ad alta voce. I suoi amici erano la sua famiglia e Ron… Ron ne avrebbe sempre fatto parte. Uno stupido Torneo non significava nulla.

“Credo dovresti stare dalla mia parte,” sussurrò Harry a quel punto, il viso livido rivolto verso il Lago, quasi guardare lei gli causasse la nausea.

“E io credo che dovresti crescere.”

Kait fece per andarsene, quando venne trattenuta per un polso. Potter la fissava, l’espressione che da tesa era subito passata a dispiaciuta. “Scusa,” le disse abbracciandola stretta e appoggiandosi - e quasi nascondendosi - nell’incavo del collo di lei. “Sei stressato, lo capisco,” lo rassicurò Kait. Era contenta di aver subito fatto pace, perché tutta quella situazione era già brutta così com’era, non serviva aggiungere una litigata con Harry.

Si risedettero sull’erba, accoccolati l’uno sull’altra come se il semplice gesto li facesse sentire meglio - ed era proprio così, perché si davano forza a vicenda.

“Parlami di Jackson,” chiese Harry ad un certo punto. Kait scosse la testa e lui non reagì, preferendo un respiro profondo alle parole che avrebbe altrimenti sbottato. Tiene a lui, lo infastidì la sua stessa mente. Non più di quanto tenga a me, rispose stizzito.

Ma è la tua ragazza, non quella di Jackson.

Harry scosse la testa, cercando di non lasciarsi influenzare dalla coscienza e da quelle parole maligne. Strinse però Kait in modo da averla ancora più vicina e si sentì un ipocrita, perché non sopportava l’idea che lei guardasse un altro quando lui non faceva altro che pensare a Cho.

Che razza di amic-ragazzo faceva una cosa del genere?

“A cosa stai pensando?” gli domandò la Black e Harry prese un bel respiro, gli occhi puntati verso il Lago. “Alla prima prova,” mentì.

Sembrava destinato a mandare ai rovi la loro storia. O per lo meno così si sentiva in quel momento, sapendo di aver appena detto una bugia. La verità era che non riusciva a capire i propri sentimenti; Kait gli era sempre piaciuta e gli piaceva ancora! Non c’era giorno in cui non la fissasse e sentisse un calore farsi strada nel suo petto, e un sorriso sul viso per la consapevolezza che fosse “sua”.

Eppure Cho camminava per il corridoio e lui non riusciva a impedirsi di seguirla con lo sguardo.

I sentimenti non fanno per me, pensò appoggiando la testa sulla spalla di Kait e tracciando disegni immaginari sulla sua schiena. La ragazza lo costrinse ad alzare il mento e si baciarono.

Harry chiuse gli occhi, costringendosi a pensare alla persona che aveva tra le braccia. Sì sentì male… Perché non sapeva che Kait cercava di fare lo stesso.

Si separarono presto e Harry cercò velocemente una scusa per la tensione e il disagio che si stava creando sempre più spesso tra di loro. “Ho… Ho delle foto da fare,” sbottò - ed era vero. “La Gazzetta del Profeta, sai…”

Kait annuì e si tirò in piedi con un gesto fluido, allungando una mano così da aiutare l’altro ad alzarsi. “Altra pubblicità,” mormorò. “Già,” convenne Harry, “proprio ciò di cui ho bisogno.”

Si sorrisero imbarazzati e si baciarono un’ultima volta, per poi separarsi definitivamente.

Il Grifondoro scattò verso il castello, mentre Kait si appoggiò con la schiena al tronco dell’albero e abbassò lo sguardo. Aveva finto che andasse tutto bene… Ma non era così. Qualcosa stava accadendo, tra di loro. Qualcosa che la faceva sentire sporca.

Scosse la testa e si diresse anche lei verso il castello; subito andò alla Sala Comune rosso-oro. Si lanciò un’occhiata attorno per essere sicura che nessuno la notasse, quindi salì fino al dormitorio maschile del settimo anno. Bussò con ansia sempre crescente e sospirò di sollievo quando fu proprio Jackson ad aprire la porta.

La guardò preoccupato, probabilmente temendo il peggio nel vederla lì.

Kait prese un bel respiro, non sapendo bene come cominciare; poi decise che non aveva senso farsi troppi problemi - era Jackson, non una persona qualunque.

“Kait…” mormorò intanto lui. Alzò una mano per interromperlo subito.

“Voglio avere di nuovo il mio migliore amico.”

Jackson rimase interdetto per qualche secondo, quindi sorrise e la abbracciò stretta. Kait lo lasciò fare. 

Sperava solo che bastasse a levarselo dalla testa.






NdA:
Non credo di avere molto da dire :P
Spero solo vi piaccia ;)

Dea

 

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Capitolo 59
*** Cambiamenti ***


Cambiamenti


“Ti devo parlare,” mormorò Harry al suo orecchio e Kait sentì brividi freddi lungo tutta la spina dorsale. Nonostante tutto si lasciò trascinare nel parco, dove si sistemarono al riparo da occhiate indiscrete.

“Mi ha scritto Sirius,” le spiegò a quel punto e Kait sentì il sollievo irradiarle il petto - insieme a una nota di irritazione, ma picchiare Harry per averle fatto prendere paura non sembrava la soluzione. “Sta bene?” domandò giusto per precauzione. Suo padre aveva detto che li avrebbe raggiunti e, per quanto questo la riempisse di calore, la spaventava anche a morte. “Ha detto che parleremo il 22 novembre alla Torre di Grifondoro, all’una di notte.”

“Vuole entrare nel castello?!” sbottò la Black prima di ricordarsi di dover abbassare la voce. Non fosse mai che qualcuno stesse origliando. Harry fece spallucce. “Credo di sì. È davvero preoccupato, Kait,” le spiegò, “ma dice che finché Silente e Moody saranno nelle vicinanze non dovrei avere problemi.”

Kait strinse le braccia al petto, sospirando. “Sai che dicono che Moody non è più quello di un tempo?”

Harry annuì per farle capire di aver sentito il pettegolezzo.

“Credo sia vero,” mormorò la ragazza. “Non so bene come sia successo, ma è diverso. Non… Non sembra neanche lui.”

“Era andato in pensione, Kait, forse si è… Lasciato un po’ andare.”

Lei annuì, sebbene l’idea continuasse a disturbarla. Era successo nel giro di pochi mesi e non riusciva a capacitarsi del fatto che cominciava ad accorgersene soltanto ora. Non ne aveva ancora parlato con Jackson, non volendo preoccuparlo per qualcosa che magari non significava nulla. 

“Hai letto l’articolo della Skeeter?” le chiese Harry cambiando improvvisamente discorso e irrigidendosi. “È uscito stamattina.”

Kait scosse la testa, promettendo che lo avrebbe fatto al più presto, e Harry scosse la testa e le rispose che non c’era fretta. “Non c’è una cosa vera in tutto quello schifo,” ringhiò. Poi, quasi impercettibilmente, sussurrò “o almeno spero”.

Rientrarono per cenare al tavolo dei Grifondoro; una volta finito si diressero verso la Torre, affiancati da Hermione. “Kait!” la chiamò Draco dall’altra parte del corridoio. Scusandosi con gli amici, la ragazza lo raggiunse.

“Che c’è?” disse dandogli un bacio sulla guancia in segno di saluto. “Mia madre ci aspetta subito fuori dalla scuola. È piuttosto arrabbiata.”

La Black lo fissò confusa, ripensando velocemente a tutti i motivi che avrebbero potuto irritare Narcissa, e si preparò a una ramanzina sulla sua poca cortesia utilizzata con i bulgari o qualche stupidaggine simile. Uscirono nel parco - Kait aveva l’impressione di passarvi più tempo che in classe - e lì, nell’ombra, avvolta in un costoso mantello con il doppio stemma, quello dei Black e quello dei Malfoy, li attendeva Narcissa. “Zia,” la salutò Kait.

La donna non la degnò di una parola; infilò una mano nella borsetta e ne tirò fuori la Gazzetta del Profeta, che quasi le lanciò contro. “Leggi,” le intimò. “Dalla riga trenta di pagina sei.”

Kait deglutì a vuoto e sfogliò il giornale, fino a trovare ciò che voleva; si schiarì dunque la voce e cominciò a leggere ad alta voce le parole di Rita Skeeter.

 

La vita di Harry a Hogwarts è complicata anche sul piano sentimentale. Per chi non ne fosse al corrente, lui e Kaitlyn Black, figlia del pluriomicida Sirius Black e unica erede delle imponenti Casate Black, Meadowes e Gilbert, hanno intrapreso una relazione lo scorso anno.

 

Era presente una foto, una di quelle scattate in riva al Lago Nero il giorno in cui si erano baciati, decretando così l’inizio della loro storia. Era un’immagine tenera, con loro che si guardavano come se l’altro fosse la cosa più bella mai vista al mondo, e lo stomaco di Kait si chiuse al pensiero di perdere tutto ciò.

Harry mi piace così tanto, realizzò.

Quasi rise di fronte alla sciocca consapevolezza di non volersi allontanare da lui - per nessun motivo al mondo.

Narcissa si schiarì la voce, incitandola a continuare.

 

Ma non sembra finita qui per il più giovane dei Campioni; il suo amico intimo Colin Canon riferisce che Harry è quasi sempre in compagnia di Hermione Granger, una Babbana di nascita molto legata alla giovane Black. Che Harry tradisca la ragazza con la sua migliore amica? Non sembra sia un grosso problema per la Black, comunque, che è più volte stata vista al fianco di Jackson Everdeen, figlio del noto Auror Dimitri Everdeen, morto in servizio più di dieci anni fa. Che tra i due ci sia del tenero è quasi del tutto certo ed è stato riportato a me, la vostra cara Rita Skeeter, che anche il giovane Malfoy abbia più volte cercato di conquistare il cuore dell’Unità delle Case. 

Ricordiamo che Kaitlyn Black ha perso la famiglia quand’era molto piccola; che circondarsi di ragazzi sia il suo modo di consolarsi?

Ciò che sorprende di più è che Harry Potter accetti questo comportamento. È certo, però, che il nostro giovane Campione abbia la mente occupata da tanto altro. Tra la tragedia avvenuta ai suoi genitori, - Potter ancora piange al pensiero e non si vergogna a dirlo - il Torneo e la signorina Granger sempre appresso, forse desidera solo non caricarsi di altri problemi, soprattutto se causati dalla figlia di un pluriomicida.

 

L’articolo continuava su quel tono per altre due pagine, ma lei smise di leggere, la carta tanto stretta nelle sue mani da strapparsi e ferirle la pelle. Non se ne curò, troppo inferocita con quella… Quella…

“Quella troia!” strillò lanciando la Gazzetta a terra. Ora capiva la rabbia di Narcissa.

“Questa storia ha messo in ridicolo tutti,” disse infatti la donna. “Per tua fortuna,” continuò con tono sprezzante, “me ne sto già occupando. Non una parola di più sarà fatta su di te.”

Si voltò verso il figlio, che ricambiò l’occhiata con sguardo spento. “E tu riceverai presto una lettera di scuse.”

 

“Sei fuori forma,” la rimproverò Jackson colpendola due volte con il ginocchio destro. Kait sbuffò e rispose con una mossa di jiu-jitsu che mandò l’altro al tappeto. “Ma davvero?” ironizzò.

“Un po’ - e sono serio,” continuò lui rialzandosi. “Ti manca il corpo a corpo. Non posso credere che Moody abbia smesso di farti allenare.”

Kait scrollò le spalle. Pensare a quel periodo significava anche ricordare la partenza di Jackson… E avrebbe preferito dimenticarsene. 

Lanciò un’occhiata all’orologio, meditabonda. Harry aveva un incontro con Hagrid più o meno a quell’ora e a breve sarebbe tornato al castello per vedere Sirius. Con l’idea di vedere il padre, Kait sorrise e ricominciò a combattere.

“Credo sia meglio tornare alla Torre,” mormorò dopo circa mezz’ora. Doveva assolutamente riuscire a mandare Jackson a dormire prima dell’incontro, o avrebbe scoperto che lei e Sirius si vedevano - peggio, avrebbe potuto capire che era stata lei, la causa della sua evasione.

Non sapeva come avrebbe reagito e preferiva non saperlo mai.

Si salutarono alla base delle scale che dividevano i vari dormitori, abbracciandosi prima di separarsi in modo definitivo.

Quando Jackson sparì in camera, Kait si voltò e fece un salto dalla paura. “Harry!” sbottò, lo spavento che si trasformava in irritazione. “Che diavolo…”

“Cosa c’è tra voi?” le domandò il ragazzo. La Black sgranò gli occhi, incredula, ed era tanto presa dalla conversazione che neanche sentì il fuoco sfrigolare. 

“Io e Jackson siamo solo amici.”

“Ho visto come ti guarda, Kait, e…”

“E io ho visto come guardi Cho Chang!” avrebbe voluto dire - eppure tacque.

Era stata Hermione a farglielo notare proprio quella sera a cena - fosse stato per lei avrebbe pensato andasse tutto bene, come un’idiota. Nonostante fossero passati giorni, l’articolo di Rita Skeeter le rimbombava nella testa. La donna aveva sbagliato persona (Harry ed Hermione erano solo amici, di questo era certa), ma non l’interesse per un’altra rispetto a Kait.

E questo la faceva morire.

Decise, però, di tenerselo per sé. Magari Hermione aveva sbagliato. Magari si era immaginata occhiate che non esistevano.

Un colpo di tosse la distrasse da questi pensieri e, lanciando un’occhiata al camino, vide il volto di suo padre tra le fiamme. “Ragazzi,” li salutò.

Si sistemarono per terra per parlargli meglio e l’uomo sorrise, pensieroso. “Non voglio mettermi tra voi due,” mormorò dopo qualche secondo, “ma non è il momento di litigare. Dovete stare uniti.”

Fosse facile, pensò Kait, limitandosi però ad annuire. Non ebbe il tempo di aprire bocca che Harry sputò fuori tutto ciò che era successo da quando il suo nome era stato messo nel Calice; si fermò solo per prendere fiato qualche volta e Sirius, che lo ascoltava rapito, quasi non degnò la figlia di uno sguardo.

Kait rimase in silenzio, ingoiando la bile e sforzandosi di essere razionale. Sì, Harry le stava prendendo tutto il tempo con suo padre, ma era anche quello con più bisogno di sostegno, giusto?

Non posso essere gelosa, si disse.

Sono troppo matura.

“Devi guardarti dal campione di Durmstrang, Harry. Karkaroff era un Mangiamorte!”

Kait  sbuffò, poco impressionata da quelle parole, e finalmente l’attenzione di Sirius fu su di lei. “Non sei d’accordo?” la riprese quasi in modo acido.

Non era lei, la cattiva, lì!

“Victor è un ragazzo dalle maniere impeccabili, sempre molto disponibile e gentile. Karkaroff sarà pure dalla parte sbagliata, ma questo non vuol dire che lo sia anche lui!”

“Tipico,” borbottò Harry sotto voce e Kait strinse le labbra fino a farne una linea sottile. Non avrebbe reagito, non davanti a suo padre, non… “Mi stai dando della puttana?!”

Ragazzi!” li riportò all’ordine Sirius, lanciando un’occhiata di fuoco a Harry - aveva colto anche lui il sottinteso e gli piaceva quanto stare ad Azkaban. Parlarono a lungo del Torneo, di Voldemort e di ciò che sarebbe accaduto nella prima prova. “I draghi,” si lamentò Harry a mezza voce, passandosi entrambe le mani nei capelli. Kait sentì il cuore accelerare i battiti e non riuscì a trattenersi; gli passò un braccio attorno alle spalle, traendolo a sé. Il ragazzo la lasciò fare, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, e subito l’espressione di Sirius si addolcì. “Posso procurarmi della Polisucco, se vuoi,” mormorò Kait dopo un po’, “e pensare alla prova io stessa.” 

“No,” risposero Harry e Sirius nello stesso momento. Il giovane Grifondoro si allontanò con lentezza. “Devo farlo io.”

“Chiederò a Moody se c’è un metodo per contrastare un drago,” propose allora lei. L’altro annuì - il giorno dopo, neanche a dirlo, Moody lo chiamò nel suo ufficio. Kait rimase fuori, le braccia incrociate e la spalla appoggiata al muro, indecisa se affrontare la situazione con Harry o meno. Forse, se avesse fatto finta di niente, la cotta di Harry per Cho sarebbe finita e loro due sarebbero tornati come prima… O forse non c’era più nulla da fare.

Il solo pensiero le chiuse la gola, un peso sul petto che si intensificava sempre di più - avrebbe perso Harry. Avrebbe perso una delle persone più importanti della sua vita.

Quando vide Jackson dall’altra parte del corridoio, quindi, il disagio era tanto forte che Kait non riuscì a trattenersi: semplicemente, lanciò un’ultima occhiata alla porta e se ne andò a passo svelto nella direzione opposta.

Si fermò solo nel momento in cui andò a sbattere contro qualcuno; la botta non fu troppo forte, ma bastò a sbilanciarla. Fu proprio quel qualcuno a impedirle di cadere, trattenendola per la vita e per il polso sinistro e traendola a sé.

Era già pronta a liberarsi freneticamente quando si rese conto che era finita contro Ron - e allora si rilassò, abbracciandolo senza una parola. Nonostante lui e Harry ancora non si parlassero, Kait aveva trovato il modo di rimanergli vicino, decisa a non perdere il proprio migliore amico.

Lo aveva fatto quasi di nascosto, ma andava bene comunque.

Si strinsero a lungo, noncuranti degli studenti che passavano loro accanto - soprattutto visto che nessuno degnava loro di molta attenzione. Tutta Hogwarts sapeva che erano amici.

Ma, d’altronde, tutta Hogwarts sapeva anche che lei stava con Harry - e ora il loro rapporto rischiava di sbriciolarsi.

 






NdA:
Salve a tutti e scusate il ritardo. Non so bene cosa dire a proposito di questo capitolo; non mi convince al 100 %, ma se avessi continuato a modificarlo non mi avreste vista prima di un'altra settimana ahah
Spero che vi piaccia più di quanto piaccia a me :P
Fatemi sapere cosa ne pensate :*

Dea

 

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Capitolo 60
*** Amore in ballo ***


Ho idea che questo capitolo scatenerà controversie. Ad ogni modo, eccolo ;) quasi fosse il mio regalo di Natale per voi :*
Vi avviso che ho cambiato un paio di cose rispetto alla trama originale... Ma ne parliamo alla fine ;)





Amore in ballo


Kait guardò la prima prova del Torneo dalla fila più bassa degli spalti, schiacciata tra Ron ed Hermione come se entrambi avessero paura di vederla crollare dall’ansia. Riuscì a mantenere la calma in qualche modo, nonostante lo stomaco le si fosse attorcigliato fino a farla quasi vomitare nel momento stesso in cui Harry era stato ferito ad una spalla. “Va tutto bene,” la rassicurò Hermione.

Poi ci fu una fiammata da parte del drago e la riccia afferrò con forza il braccio dell’amica. “Va tutto bene?” ripeté, stavolta in un pigolio esitante.

Ron non sembrava più in vena di litigare con nessuno. “Stanno cercando di farlo fuori,” sbottò stringendo le mani sulla ringhiera degli spalti. Kait aveva passato giorni interi a cercare di convincerlo, ma decise di non rinfacciarglielo - soprattutto perché era troppo presa dal sollievo. Harry aveva infatti l’uovo stretto al petto e il drago era già tra le mani degli esperti, che lo trattennero e lo fecero calmare.

Mai come in quel momento avrebbe voluto baciare il suo ragazzo; quasi avesse percepito il suo pensiero, Harry allungò una mano e mosse l’uovo come stesse brindando - no, come se glielo stesse dedicando.

Kait sapeva che un gesto del genere non voleva dire che tra loro andasse tutto bene, però non riuscì a impedirsi di essere più tranquilla, il petto scaldato dall’affetto. Quando si ritrovarono tutti e quattro insieme e si abbracciarono, poi, fu come rinascere.

Harry e Krum arrivarono primi a pari merito, ma andava bene così - Ron era di nuovo con loro, Hermione non era più sull’orlo di una crisi di nervi, Harry non si era ancora voltato verso Corvonero e Kait… Kait era stretta alla sua famiglia.

Sarebbe andato tutto bene.


 

Arrivò dicembre e con esso la neve. Fu divertente notare i francesi tremare correndo nel parco e, al contrario, i bulgari godersi il freddo a cui erano stati abituati fin da bambini.

L’intera scuola fu costretta, invece, a fare prove di ballo a porte chiuse. Kait non ebbe problemi, - si costrinse anche a scrivere una lettera a Narcissa per ringraziarla delle lezioni, giusto per essere gentile - ma Harry… Kaitlyn quasi non riusciva a credere che qualcuno potesse dimostrarsi così impacciato. Era davvero triste, come cosa, soprattutto perché i campioni avrebbero aperto le danze.

Davvero non ci teneva a fare una figuraccia, perciò approfittò di ogni secondo libero per insegnare almeno la base dei balli più classici; il minimo indispensabile per mantenere la faccia.

“Quando mi vedrai con il vestito,” mormorò la ragazza all’orecchio di Harry durante una di quelle prove, “perderai la testa.”

Stava cercando di interessarlo in tutti i modi alla danza e a lei. Non le piaceva per niente l’idea di star perdendo la presa su Harry, ma per qualche ragione a dicembre le cose migliorarono leggermente.

Che fosse perché Kait non era sempre presente quando lo era Cho Chang, o perché Potter fosse un po’ più discreto, questo non le era dato saperlo. Cercava, comunque, di mantenere la calma e di ripetersi incessantemente che sarebbe andato tutto bene. Non era sicura se stava sperando o mentendo a se stessa.

Ma andava bene così - giusto?

Passò Natale con un’allegria contagiosa; non c’era studente che fosse tornato a casa, quell’anno, e nemmeno Kait lo fece, sapendo che Remus avrebbe trovato il modo di vedere Sirius. Non era sicura di come avrebbero fatto, tuttavia era abbastanza positiva al riguardo e, per quanto non vedere nessuno dei due la innervosisse, non si sarebbe persa il Ballo del Ceppo per nulla al mondo. L’atmosfera di Hogwarts era, poi, troppo bella per non approfittarne.

Stava chiacchierando con Fleur e altre due francesi a proposito dei vestiti che avrebbero indossato, quando Hermione le arrivò di fianco di corsa, stringendole la mano tanto forte da costringerla ad alzarsi in velocità, dopo una parola di scuse.

“Che c’è?”

“Mi ha invitata al Ballo!” sbottò l’amica quando furono sole. Kait sgranò gli occhi.

“Ron?!” chiese con un sorriso incredulo. “Non pensavo av-”

“Non lui!” rispose Hermione, già meno emozionata. “E allora…”

Victor Krum!

Kait per poco non soffocò con la propria saliva e si diede un colpo sul petto giusto per essere sicura di riuscire a respirare. “Scherzi?” non riuscì a trattenersi dal mormorare. Hermione, grazie a Merlino, non se la prese.

“Non pensavo neanche ti piacesse,” continuò Kait dopo un po’, stringendo l’amica in un abbraccio. “È diverso da come pensavo che fosse, sai?” ammise infine la riccia. E sì, la Black lo sapeva.
Karkaroff sarà pure stato un Mangiamorte, ma Victor - Victor era un gentiluomo.

Fu quindi con tanto, tanto piacere che il fatidico giorno Kait aiutò Hermione a prepararsi, sistemandole i capelli, truccandola e pensando solo dopo a se stessa. Era così fiera della Grifondoro, neanche il cambiamento fosse stato merito suo.

Eppure la vedeva cresciuta e si sentiva il cuore traboccante di felicità.

Kait scese le scale prima dell’amica, sapendo che tanto, finché gli altri non si fossero allontanati, Hermione non si sarebbe mossa - se l’era legata al dito, che Ron l’avesse data così per scontata, e sinceramente la Black era piuttosto d’accordo con lei. Era stato un po’ insensibile.

Si lisciò il vestito un’ultima volta, sistemandosi i capelli in modo che le facessero un bell’effetto sulla schiena e sul petto; li aveva chiusi in un’acconciatura complicata, lasciando lunghe ciocche libere il cui nero contrastava il bianco e l’argento del vestito. Non si era truccata pesantemente, ma Kait non si era mai sentita tanto bella.

Scese le scale.

Alla base, quasi al centro della Sala Comune, Jackson alzò lo sguardo su di lei e dimenticò di respirare.

Anche Kaitlyn ebbe una reazione simile, perché lo stomaco le si chiuse in una morsa e così il petto, e subito arrossì.

Poi Harry si fece avanti, superando Jackson, e lei si costrinse a ingoiare l’impeto di delusione e forzare un bel sorriso. Dedicò un occhiolino a Ron, che annuiva con approvazione, e baciò Harry come se non ci fosse un domani. Doveva farlo, doveva concentrarsi sul suo ragazzo, o non sarebbe mai uscita da quella situazione.

Quando si separarono e si sorrisero, diretti verso la Sala Grande, Kait colse l’occhiata di Jackson… E si rese conto che sì, magari aveva ingannato Harry, Ron, Dean e chiunque fosse stato con loro nella Sala Comune, ma Jackson no. Jackson non ci aveva creduto neanche un istante.

Sarebbe finita male, se lo sentiva.
Sperava solo di poter attutire il colpo.

Si rese conto che le cose non potevano che peggiorare quando scoprì che Cho era al fianco di Cedric, con cui Harry aveva avuto scontri già a causa del Quidditch. Non perse l’occhiata imbarazzata tra la Corvonero e il Grifondoro, tuttavia si costrinse a fingere il contrario, sperando di poter mantenere intatta la storia tra lei e Harry semplicemente evitando i problemi. Era così infantile… 

“Pronto?” mormorò quando si sistemarono al centro della Sala Grande, gli occhi di tutti puntati su di loro. Era il momento giusto per dimenticare ogni cosa, Kait ne era sicura, così sorrise all’altro e gli sussurrò a mezza voce la posizione giusta dei piedi e delle braccia. Quando la musica cominciò, comunque, venne tutto più o meno naturale - a parte per il fatto che fu Kait a portare, e le bastò un’occhiata per rendersi conto che mezza Casa di Serpeverde e Jackson lo avevano notato.

Quest’ultimo rimase in disparte per tutta la prima parte della sera, rifiutando costantemente gli inviti delle studentesse imbarazzate. Sembrava che non esistesse ragazza che non avesse desiderato un ballo con lui almeno per un secondo.

La canzone finì e subito ricominciò un altro lento; Harry socchiuse gli occhi, ma strinse comunque Kait a sé, appoggiandole le labbra prima sulla fronte e poi su una tempia. Ballarono così per un po’, in silenzio, prima che la Black decidesse di parlare.

“Mi manchi,” mormorò nascondendo lo sguardo nel collo dell’altro. “Sono qui,” rispose lui senza capire - o forse fingendo, perché Kait dubitava qualcuno potesse essere tanto cieco da non vedere che si stavano allontanando. La fece volteggiare due volte prima di stringerla di nuovo a sé.

“Non è vero,” sussurrò lei, ma sapeva che era inutile. Harry, infatti, aveva lo sguardo fisso su Cho e Cedric, impegnati in un’amichevole chiacchierata con alcuni compagni delle rispettive Case.

Senza poter sopportare oltre, Kait si staccò di scatto. Era stata sciocca a pensare che ignorare il problema potesse in qualche modo risolverlo e ora ne pagava le conseguenze.

“So che ti piace Cho,” disse quindi continuando ad ondeggiare così da non attirare troppe attenzioni al centro della pista. Harry, invece, si impietrì, costringendola a farlo muovere a forza. “Va’ da lei,” gli ordinò, “io terrò occupato Cedric per un po’.”

“Non esiste, io…”

“Dai, Harry, so che lo vuoi.”

Il ragazzo fece un bel respiro. “Io sto con te,” le fece notare con tono quasi disperato, come se l’avesse ripetuto decine di volte dentro di sé, sempre meno convinto.

“Non sei costretto,” dovette ammettere Kait. “Puoi chiuderla qui. Posso farlo io. O possiamo aspettare di parlarne domani, con la mente più lucida.”

Potter annuì. 

“Ora va’ da Cho.”

“Perché lo stai facendo?” fu l’ultima cosa che chiese lui prima di eseguire. 

Perché penso di starmi innamorando di te,” avrebbe voluto rispondere Kait. Invece, da brava codarda qual era - che poi dai, cosa ne sapeva lei, dell’amore? - si limitò a un “tengo a te”, che era vero ma non la fece sentire meglio comunque.

Cedric fu invitato a ballare da una dell’ultimo anno in quel momento, rendendo inutile la presenza di Kait, che si stava quindi per allontanare dalla pista da ballo quando una mano le strinse la spalla e la fece sussultare.

“Jackson,” mormorò con voce spenta. Al centro della Sala, intanto, Harry e Cho danzavano imbarazzati. Fu davvero un sollievo vedere che l’amico non avrebbe fatto commenti al riguardo.

“Posso avere questo ballo?” chiese invece. La guidò con dolcezza, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi, un’espressione colma di affetto sul volto. La strinse a sé, costringendola ad alzare il viso ogni volta che lo abbassava nel tentativo di non mostrare troppe emozioni. Kait finì per appoggiare la fronte sul suo petto e subito Jackson si accostò a sua volta. Stava per dire qualcosa quando udì un singhiozzo soffocato.

“Non qui,” la fermò subito, spingendola con gentilezza verso l’uscita della Sala. Se Harry notò la loro scomparsa, non lo disse.

Si nascosero in un angolo del castello e subito Kait si lasciò crollare seduta su un gradino, la testa tra le mani. Jackson le sistemò accanto e le sfiorò la schiena con tre dita, portandola poi ad appoggiarglisi addosso. “Va tutto bene,” sussurrò mentre Kait tratteneva le lacrime con determinazione. Non avrebbe pianto per Harry. Non avrebbe pianto per… “Mi ha spezzato il cuore,” gemette.

“Forse risolverete,” cercò di rassicurarla Jackson, nonostante quelle semplici parole lo stessero divorando dall’interno. Subito Kait si allontanò, scattando in piedi - l’altro la imitò, confuso ma pronto a tutto.

“Tu non lo vuoi davvero,” sbottò la Black con astio.
“So che sei arrabbiata, Kay, però devi capir-”

“Mi vorresti per te, vero?” continuò Kait avanzando verso di lui. “Ho visto i tuoi pensieri, so che odi Harry, che non lo reputi abbastanza. Ma sono io, Jackson! Sono io a essere troppo poco per lui.”

“Questo non è vero,” reagì l’amico. “Se Potter non riesce a capire quanto è fortunato a stare con te allora è davvero un idiota!”

“Sei innamorato di me.”

A quella constatazione Jackson si fermò, senza fiato. Dirlo ad alta voce era ben diverso dal pensarlo e il fatto che fosse stata Kaitlyn, a farlo, rendeva tutto più scioccante.

“Sì,” ammise. Non aveva più senso nasconderlo, o fingere che andasse tutto bene. Era innamorato di Kait e un anno in America non era bastato a dimenticarla; dubitava ci sarebbe mai riuscito, a questo punto.

La ragazza lo fissò con gli occhi pieni di lacrime, poi avanzò di scatto e gli prese il viso tra le mani.

“Non sono in grado di risponderti come vorresti,” soffocò un altro singhiozzo, “perché non so cosa sia, l’amore.”

“Non è vero, Kay, tu…” e non riuscì a terminare la frase, perché i due pollici gli si posarono sulla bocca, sfiorandogli ripetutamente il labbro inferiore.
“Ma se dovessi darvi una descrizione…” continuò imperterrita, “sarebbero gli occhi luminosi di Harry e i suoi capelli sempre incasinati.”

Jackson trattenne il fiato, il cuore che si spezzava ogni secondo di più.

“Sarebbe il suo sorriso quando vince una partita di Quidditch e il suo sospiro tremante quando siamo accoccolati davanti al caminetto e si sente a casa. La rabbia che prova se faccio qualcosa che mi mette in pericolo.”

Kait fece un ulteriore passo avanti, fissando l’altro negli occhi senza il coraggio di distogliere lo sguardo.

“Sarebbe il suo perdono dopo tutto ciò che è accaduto l’anno scorso - di cui tu non sai niente.”

Si avvicinò ancora; gli era ormai a pochi centimetri dal viso.

“È questo l’amore, per me,” disse.

E poi lo baciò.

Fu solo un leggero sfregamento di labbra all’inizio, un tocco di una farfalla, delicato, dolce. Jackson rimase immobile, gli occhi subito serrati… E poi spinse entrambi contro il muro, la schiena di lei pressata sul marmo, senza via di fuga.

Il bacio divenne vorace, famelico, e le labbra si schiusero.

Kait sentì sulla lingua il sapore salato delle lacrime, e si rese conto che Jackson stava piangendo. La baciava con disperazione, stringendole i fianchi quasi nel desiderio di imprimere per sempre il suo tocco su di lei.

Kait avrebbe potuto dire di più, quella sera.

Avrebbe potuto rivelargli che l’amore era Harry e tutte le qualità e i difetti che tanto apprezzava in lui, ma che era anche altro.

Che era la leggera spallata che Jackson le rifilava dopo una battuta pessima. Che era la sua mano nel rialzarla da terra dopo un combattimento più impetuoso di altri, la dolcezza nell’abbracciarla e darle la sensazione che non l’avrebbe mai lasciata. Era la mano che le sistemava i capelli dietro l’orecchio e il sorriso di un bambino che aveva diviso la propria palestra e il proprio padrino quando lei aveva poco o niente.

Per questo continuò a baciarlo per quella che sembrò un’eternità. Perché il cuore le doleva tanto da causarle fatica nel respirare e perché non era giusto, non era giusto per niente.

Perché nel momento in cui si fosse allontanata, tutto le sarebbe crollato tra le dita.
Fu anche per questo che, quando si staccò, mantenne lo sguardo basso e si dileguò immediatamente verso la Sala Grande, senza voltarsi mai indietro.

Avrebbe risolto con Harry e quindi negare l’amore per-di Jackson era stata la cosa giusta da fare. Ora lui sarebbe stato libero di dimenticarla, di andare avanti.

 

Jackson rimase immobile, appoggiato con la fronte sul muro.

Le parole di Kait erano state tanto forti da colpirlo al petto come una coltellata.

Vi avrebbe di certo creduto - se solo lei si fosse ricordata le regole base dell’Occlumanzia mentre si baciavano.

“Ama anche me,” mormorò Jackson, il cuore traboccante di emozioni.

Sorrise.






 

NdA

Ehm ehm ehm. Hola.
Lo so, lo so. Bel caos, eh?
Prima di tutto, ho cambiato un paio di cose - Harry che balla con Cho è la più evidente. Spero non vi dispiaccia, mi serviva come scena e mi piaceva da impazzire... In più non so, il fattoc he Harry sia così impedito con le ragazze mi lascia divertita e innervosita insieme ahah
Jackson, invece, in questo è un po' più maturo. E qui ha una minima rivincita.

Avrei un sacco di cose da dire a proposito di questo capitolo, ma i nonni chiamano ed è pur sempre la Vigilia. Quindi spero vi sia piaciuto e vi siate goduti questo piccolo regalo... E soprattutto buone feste ^^


Un abbraccio forte,

Dea

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Capitolo 61
*** La fine... E l'inizio ***


Questo capitolo, lo so già, avrà parecchie... Reazioni.
CI vediamo alla fine per le note ;)








La fine… E l’inizio



“Fammi parlare con lei.”

“Come diavolo sei arrivato fin qua su?!”

Harry sbuffò, spazientito, e indicò la scopa che teneva tra le mani. “Che spirito di osservazione, sono colpito,” ironizzò con tono acido. Le scale del dormitorio femminile non permettevano la salita ai maschi, ma lui aveva trovato il modo di scavalcare la regola - o meglio, volarci sopra.

Hermione lo osservò piccata. “Comunque sia non credo tu debba entrare,” sbottò. Mise le mani sui fianchi nella sua posa più severa che avesse nel repertorio e lanciò all’amico un’occhiata di disapprovazione degna di Molly Weasley in versione ti-sto-sgridando-guai-a-te-se-respiri. “Te l’ha detto?” mormorò Harry a testa bassa, improvvisamente in imbarazzo. Aveva passato tutta la notte in preda ai sensi di colpa e, non vedendo Kait scendere a colazione, il sentimento si era amplificato.

“Non ha dovuto farlo,” rispose Hermione perdendo un po’ di freddezza. Era arrabbiata, certo, ma quello era il suo migliore amico. Doveva almeno cercare di capirlo. “Ero anch’io al Ballo, se non hai notato.”

“È stato…”

“Penoso,” lo interruppe la ragazza. “È stato penoso vedere Kait scappare dalla Sala Grande mentre tu ballavi con Cho Chang, che tra l’altro sta con Cedric Diggory, se non ti ricordi.”

Harry la fissò confuso. Sembrava che Hermione fosse a metà tra il volerlo picchiare per il suo comportamento e implorarlo di non mettersi in situazioni che lo facessero soffrire. È questo il vero affetto, pensò.

“Senti,” borbottò la riccia. “Cho ti spezzerà il cuore, se continui così. È… Irraggiungibile. O meglio,” cercò di spiegarsi, “non lo è tanto da farti desistere, ma abbastanza perché tu ne esca male.”

Si schiarì la voce, lanciando un’occhiata verso la porta chiusa dietro di lei. “Ma tu così distruggerai Kait - se non lo hai fatto ieri.”
Harry sussultò. 

“E sono quasi certa che lei abbia spezzato il cuore a Jackson.”

“Cosa?!”

“Non hai diritto di reagire così,” lo riprese Hermione. “Non puoi fare l’idiota stando con una ragazza mentre pensi a un’altra. Quindi non ti do il permesso di indignarti perché Kait è stata abbastanza corretta da…”
“Sono mesi che si sbavano dietro a vicenda,” la interruppe Harry. “Ho delle colpe, non lo nego, ma ce le ha anche lei. Se siamo arrivati a questo punto è a causa di entrambi. Entrambi.”

Prese un respiro e alzò lo sguardo al soffitto, costringendosi a respirare e mantenere la calma. “Però voglio sistemare le cose - o almeno provarci,” sussurrò riportando l’attenzione su Hermione. “Voglio stare con lei, non… Non sono pronto a veder finire la cosa tra noi.”

“La… Cosa?” cercò di domandare l’amica, tuttavia all’ultimo riuscì a trattenersi dal commentare. Sembrava che per Harry fosse già abbastanza difficile così.

“Okay,” acconsentì dopo qualche secondo. Si fece da parte, scendendo qualche scalino. “Quando sono uscita stava dormendo, ma sono quasi sicura che stesse fingendo.”

Dopo essere corsa fuori dalla Sala con Jackson, Kait non era più tornata al Ballo; quando Hermione era entrata nel dormitorio - le lacrime agli occhi per le parole di quell’idiota di Ron - l’aveva trovata distesa sul letto, senza tacchi ma ancora in vestito. In posizione fetale, i capelli ormai sciolti a coprirle parte del viso, l’espressione vuota. Kait le aveva lanciato un’occhiata e doveva essersi accorta che c’era qualcosa che non andava, perché era scivolata indietro sul letto per farle spazio. Si erano accoccolate così, rassicurandosi a vicenda con un abbraccio un po’ storto. Nessuna delle due aveva pianto, eppure si sentivano entrambe come se avessero urlato per ore.

Harry entrò nel dormitorio nello stesso momento in cui Hermione scendeva nella Sala Comune. Si sedette sul letto di Kait, che gli dava la schiena con gli occhi chiusi. Non aveva idea di come agire, se parlare o lasciare che lo facesse il silenzio. Decise di sistemarsi al suo fianco, così si tolse le scarpe e scivolò sulle coperte fino a prendere una posa a cucchiaio.
Kait, nonostante non avesse ancora aperto gli occhi, si irrigidì, riconoscendo Harry dal profumo e dalla stretta. Non parlò, a malapena continuò a respirare, in attesa della prossima mossa del ragazzo. Perché era venuto a cercarla? La sera prima pensava fosse stata piuttosto chiara…

“Tengo a te più di chiunque altro,” le mormorò lui all’orecchio, “e so che questo non significa che devi perdonarmi per ieri, lo so.”
Prese un bel respiro. “Non mi sono comportato bene. Per niente. Ma non voglio vivere senza di te, non sono ancora pronto.”

Le baciò il collo, scostando i capelli con un tocco leggero delle dita. “Parlami, ti prego,” implorò sulla sua pelle. “Anche se le cose non vanno bene. Parlami.”

Kait si voltò, l’espressione stanca, e trasse a sé Harry, nascondendo il viso sul suo petto. Rimasero immobili così, senza pronunciare parola, e fu quasi di comune accordo che si mossero ancora. Harry le finì sopra, a tenersi sugli avambracci per evitare di pesare sull’altra, che aprì le gambe quel tanto che bastava per farlo stare più comodo. Avevano i volti tanto vicini che i respiri si mescolarono, e quando Potter le baciò la guancia fu facile, per Kait, girare la testa il necessario a far scontrare le loro labbra. Si baciarono con lentezza, impedendosi di pensare perché in quel caso avrebbero potuto ricominciare a parlare e quindi, forse, anche a litigare. Si strinsero l’uno contro l’altra; Kait avvolse le gambe attorno a quelle di lui, prendendogli contemporaneamente il viso tra le dita. Gli morse la mandibola, causandogli un sussulto, dopodiché passò al collo, alla spalla, all’orecchio. Ritornò al viso e ricominciò. Voleva ferirlo, fargli sentire quanto l’avesse fatta stare male, e allo stesso tempo marchiarlo come suo, così che tutti sapessero a chi davvero apparteneva. Harry, in risposta, le strinse i fianchi tanto forte da lasciarle segni rossi che presto si sarebbero trasformati in lividi.

Si baciarono ancora, con più passione stavolta, e si mossero in contemporanea, creando frizione tra i corpi a contatto - tanto che Harry gemette sulle labbra di Kait e cercò di fermarne gli scatti del bacino.

“Se continui così,” rise senza fiato, in imbarazzo, ma non continuò la frase perché la Black lo aveva morso di nuovo sul collo.

“Kait,” la chiamò sentendone le mani sulla cintura, “Kait, dai.”

Si allontanò di scatto, finendo in ginocchio sul materasso, il respiro affannato e le guance rosse. Si sistemò i pantaloni stretti e aggiustò gli occhiali sul naso, mentre la ragazza si ricopriva con il vestito ormai tutto stropicciato. 

“Non è questa, la soluzione,” mormorò Harry, sbuffando nel notare che l’altra si rifiutava di guardarlo negli occhi. “Magari ti sbagli,” gli rispose lei. “Lo pensi davvero? Pensi che ignorare tutto e-e fare sesso,” e la voce gli si alzò di un’ottava, “migliorerà la nostra situazione?”

“Non lo so, okay?!” sbottò Kait e si alzò dal letto, l’umiliazione bruciante dentro di sé.

“Da quando usi il tuo corpo per-”

Da quando niente tra noi funziona!” strillò allora. “Ho provato a parlarti, a-a trattenerti, a interessarti. Non ha funzionato. Quindi se aprire il mio cuore non basta, forse devo aprire le gambe!”

Aveva ancora addosso il vestito del Ballo, così decise di stuzzicare Harry e avere una piccola rivincita; slacciò il corpetto e lasciò che il tessuto le scivolasse lungo il corpo, cadendo infine a terra. Rimase in intimo e si voltò in modo da essere completamente di fronte al Grifondoro, che deglutì e si costrinse a girare il viso. 

“Ti sono davvero indifferente?” sussurrò Kait dopo qualche secondo. Prese un bel respiro, acquisendo tutto il coraggio di cui era a disposizione e stringendo il mento di Harry in modo che la guardasse.

Si slacciò il reggiseno.

 

Lo fecero sul letto di Kait, e quando lei smise di trattenere le lacrime, il viso nascosto nel collo di lui, entrambi seppero che non fu per il dolore. Non perché erano troppo giovani. Non per tutte le parole che stavano inghiottendo a forza, non perché erano impacciati e a malapena sapevano dove mettere le mani.

Kait pianse ed Harry, pur continuando a muoversi, dovette mordersi la guancia per non imitarla. Si baciarono con rabbia due, tre, quattro volte; si conficcarono le unghie l’una nella schiena dell’altro. Si tirarono i capelli, si morsero.

Ma tutti e due capirono che era finita.

 

 

“Ehi!” chiamò una voce maschile alle sue spalle. Hermione, per un riflesso incondizionato, si voltò - a ragione - per capire se stesse parlando con lei. Al centro del corridoio, che camminava nella sua direzione con passo determinato, c’era niente di meno che Jackson Everdeen. “Hermione, giusto?” domandò lui per pura formalità. Conosceva il nome e l’aspetto di tutti gli amici della Black.

“Hai visto Kait?” le chiese quando la ragazza annuì. “Non da ieri,” mormorò lei in risposta, lo sguardo basso, “e credo non stia mangiando. Sono almeno due giorni che non mette piede in Sala Grande.”

“Ma si può sapere che le prende?”

Jackson non le aveva parlato - né tantomeno l’aveva vista - dal Ballo. “Il pettegolezzo non si è ancora sparso… Strano,” sospirò Hermione.

“Scusa?”

“Lei e Harry hanno rotto.”

Involontariamente, Jackson trattenne il fiato. “Grazie,” le diede una pacca sul braccio, dunque si dileguò in fretta. “Aspetta!” provò a trattenerlo la riccia, ma lui era già sparito.

Il ragazzo cercò Kait in lungo e in largo, prima nel parco, dove pensava fosse un buon posto per isolarsi, e dopodiché nel castello. Stava scendendo dalla Torre di Astronomia, dove aveva disturbato senza volere una coppietta indaffarata, quando una donna gli sbarrò la strada. Gli fece cenno di seguirla e lui, rendendosi conto di chi lei fosse, ubbidì senza esitare.

“Non è un buon segno,” mormorò dopo qualche secondo. “Kaitlyn si è rifugiata da noi qualche giorno fa,” spiegò invece la strega, “e si rifiuta di muoversi, parlare o mangiare.”

“Da voi… Dove?”

La donna si voltò per fissarlo negli occhi e Jackson sentì l’insensato desiderio di chiederle scusa; si trattenne solo per orgoglio. “Sei proprio uno dei ragazzi di Godric,” sbuffò la Fondatrice, poco impressionata. “I miei colleghi ed io abbiamo concordato di poter fare uno strappo alla regola e farti vedere il nostro… Rifugio.”

Priscilla Corvonero aprì un passaggio nel muro del corridoio, dopodiché camminarono nel buio per un po’; una volta arrivati alla fine, la strega aprì una porta tutta dipinta e lo fece entrare in una grande stanza pentagonale. Era probabilmente la camera più incredibile che Jackson avesse mai visto, ma non ebbe modo di goderne perché, raggomitolata su una chaise longue, c’era Kait. Era stretta in una coperta di lana, il viso mezzo nascosto nel petto di Tosca Tassorosso - era piuttosto strano, per Jackson, vedere e parlare dei Fondatori come fossero persone qualsiasi, ma si rendeva conto che non era il momento per pensarci.

Dall’altro lato della stanza, Salazar Serpeverde gli lanciò un’occhiata dubbiosa e Godric Grifondoro annuì in segno di approvazione.
In un secondo le due streghe e i due maghi si dileguarono e Jackson, lasciato solo con Kait, si avvicinò di qualche passo. L’altra non reagì, così lui le si sistemò accanto e la strinse a sé.

“Che tu voglia parlarmene o meno, io sono qui.”

La ragazza gli si appoggiò addosso con tutto il peso e gli si nascose tra le braccia. 

“Andrà tutto bene,” la rassicurò lui. Kait stava tremando, lo sguardo spento e il corpo gelido, ma trovò la forza per alzare il viso e lanciare un’occhiata dubbiosa all’altro. Jackson sorrise con dolcezza e le baciò una tempia.
“Ci penso io, a te,” mormorò traendosela ancora più addosso. “Promesso.”

 

Fu Kait a dare il via alla seconda prova del Torneo. Lo fece con un sorriso tirato, perché Harry era lì e Jackson no, e questo la agitava. Non che con il più grande avesse fatto qualcosa; erano ancora semplici amici e si scambiavano abbracci e baci sulle guance, strette di mano e occhiate di sostegno, ma niente di più. Era più di quanto Kait pensasse di meritare.

A parte Fleur, che non riuscì a superare gli Avvincini e quindi tornò a riva prima del previsto, nessuno dei campioni fu in grado di terminare la prova nel limite massimo di tempo. Il primo fu, comunque, Cedric, che uscì dall’acqua affiancato da Cho; era intendo ad asciugarsi quando si voltò verso Kait e le rivolse un occhiolino. “Bella sfida, eh, Kay?”

La ragazza si pietrificò. Nessuno usava quel soprannome, se non per… “Jackson?!” sibilò a volume abbastanza basso da essere udita solo da lui. Il “campione” strizzò di nuovo l’occhio e si allontanò con aria baldanzosa.

Quella sera, nella propria Sala Comune, fu il Grifondoro a cercarla per prima. “Si può sapere perché avete barato?!” sbottò Kait nel momento stesso in cui lo vide. “E com’è che vi conoscete?”

“Mio padre gli ha salvato la vita, una volta. Cedric stava annegando… Da allora credo abbia sviluppato una fobia o una cosa del genere,” spiegò Jackson sprofondando nei cuscini del divano, nel posto più vicino a Kait. Teneva la voce bassa, nel timore che qualcuno lo sentisse e squalificasse il Tassorosso.
“Mi ha chiesto un favore,” continuò con una scrollata di spalle. La Black avrebbe potuto reagire come Hermione e urlare al tradimento, oppure in stile Molly Weasley, iperprotettiva e preoccupata, ma si limitò a un “la prossima volta avvisami”.

“Non mi succederà niente, Kay,” rise Everdeen. “Sono bravo in queste cose. Quasi quasi potrei fare anche la prossima prova. Facile come bere un bicchier d’acqua.”

C’era qualcosa, riguardo a Cedric e al Torneo, che Kait sentiva di dover ricordare. Ancora una volta, però, la memoria non le venne in aiuto.

“Dove hai trovato la Polisucco?” chiese invece. Continuarono a parlare fino a quando l’ultimo studente non si ritirò nel Dormitorio. A quel punto si abbracciarono e si diedero appuntamento per l’indomani a colazione, quando si sedettero l’uno affianco all’altra.

“Hermione sta venendo qui,” le fece notare Jackson terminando con un morso il suo toast. Kait alzò lo sguardo giusto in tempo per notare che, a poca distanza, Harry e Ron la seguivano. “Ehi,” si sforzò di sorridere la Black.

Harry, con cui ancora non aveva parlato dopo la rottura, le allungò una lettera senza guardarla in faccia. Era di Sirius e proponeva un incontro ad Hogsmeade per quello stesso giorno. Kait annuì, ringraziando il buon senso degli amici, che l’avevano avvisata nonostante non passassero più molto tempo insieme. “Cos’è?” domandò Jackson senza capire. Stava indicando la lettera, che per tutta risposta Harry bruciò, un mezzo sorriso di sfida sul volto.

Kait si morse il labbro, indecisa su come agire, e si alzò da tavola. “Vi raggiungo,” disse ai tre amici. Aspettò che si fossero allontanati, quindi fece cenno al più grande di seguirla e insieme si diressero verso le carrozze. Intendeva prenderne una a parte rispetto agli altri, perché Jackson non aveva idea degli avvenimenti dell’anno prima e desiderava rivelargli la verità.

“Voglio raccontarti una cosa,” lo informò una volta furono soli. “Ma a te. Il mio migliore amico. Non l’aspirante Auror.”

Jackson annuì, già meno tranquillo di quanto lo fosse stato fino a poche ore prima.

Kait prese fiato… E le parole uscirono come un fiume in piena. Non si fermò mai, riportando ogni pensiero e azione commessa, senza lasciare indietro alcun dettaglio. Si sfogò tanto che, alla fine del discorso, si ritrovò con gli occhi lucidi e il respiro affannato.

E Jackson la baciò.

Fu un gesto molto dolce e delicato, completamente diverso rispetto al loro unico altro bacio.

“Grazie,” mormorò staccandosi. “Di esserti aperta con me, intendo. Sono contento di sapere di tuo padre.”

“Aspetta a dirlo,” rispose lei senza riuscire a trattenere un sorriso, “lo stai per conoscere.”












NdA:
(Gradirei sapere se sto rischiando la vita a pubblicare questo capitolo ahah).
Mh. Cosa dire?
1. Harry e Kait hanno rotto. Alcuni lo speravano, altri lo temevano... Spero non sia stato un colpo troppo duro - diciamo che era già quasi annunciato, vero? Era dall'inizio dell'anno che si stavano separando pian piano, e a voler essere pignoli già dal 3, con l'evasione di Sirius. Il rapporto era già minato.
2. Il sesso. So che alcuni di voi diranno che sono troppo giovani e in effetti concordo, - Harry ha 14 anni, Kait 15 - però per com'è lei la scena si è costruita quasi da sola. Ha cercato di trattenere Harry e far funzionare le cose tra loro in ogni modo. Questo è stato l'ultimo disperato tentativo.
Spero la scena non sia scritta male, comunque, perché non volevo modificare il raiting della storia e allo stesso tempo ho cercato di trasmettere i sentimenti dei miei due idioti :P
3. Jackson. Ho una paura che sia giudicato male ahaha più che altro perché afferra la palla al balzo, diciamo così. Non mi dilungo su di lui perché preferisco sapere cosa ne pensate voi, senza influenzarvi troppo.


Avrei altri punti da specificare ma farei notte davvero :P
Perciò grazie di essere arrivate fin qui e ci vediamo con il prossimo capitolo. Se volete, ditemi cosa ne pensate ;)

Un abbraccio forte,
Dea

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Capitolo 62
*** Prova ***



Prova
 

Sirius li attendeva sotto forma di cane accanto a una staccionata verso la fine di Hogsmeade. Scodinzolò nel vedere Harry, Hermione e Ron, poi si guardò attorno con fare confuso. “Kait sta arrivando,” lo rassicurò il figlioccio e fu proprio in quel momento che la ragazza fece la sua comparsa, lasciando tutti sorpresi perché non era sola.

“Che diavolo ci fa lui qui?!” sbottò Harry senza riuscire a trattenersi. Kait gli lanciò un’occhiata gelida. “Papà,” sorrise invece verso il cane. “Facci strada.”

Felpato eseguì, portandoli ad una piccola caverna lontano da sguardi indiscreti e tornando umano.

Kaitlyn quasi gli si lanciò contro, abbracciandolo stretto sebbene l’altro indossasse vestiti logori e poco profumati. Appena si staccò Harry la imitò, e infine Ron e Hermione alzarono una mano e salutarono con un po’ di distanza.

“E tu…” mormorò Sirius con voce roca, accennando allo sconosciuto alle spalle della figlia. “Lui è Jackson Everdeen. Jackson, mio padre, Sirius Black,” li presentò Kait. Il ragazzo non esitò un istante; subito porse la mano destra e la strinse forte, dichiarando con un sorriso che era un onore conoscerlo e sbattendo il tacco degli anfibi in un mezzo saluto militare.

Sirius annuì, scrutando con attenzione il modo in cui lui e Kait interagivano, quindi si voltò verso Harry e dimostrò ancora una volta di non aver mai imparato a tacere. “Vi siete lasciati, eh?”

Potter e Black divennero scarlatti e Jackson irrigidì i muscoli, portandosi con nonchalance al fianco dell’Unità, quasi a sfidare chiunque a spostarlo da quel posto appena guadagnato.
Discussero a lungo della prova che attendeva Harry e di ciò che stava accadendo, - tra Moody, Crouch, Piton, Bagman e tutto il resto - e Sirius non tornò a parlare con Jackson neanche una volta. Si concentrò solo sul figlioccio, lasciando Kait a mordersi a sangue il labbro per non reagire.

Le chiacchiere andarono avanti per ore e solo quando Hermione mormorò che era ora di andare Sirius parve ricordarsi di Kait. “Tu e lui,” e indicò Jackson, “restate ancora un po’.”

Salutò i tre Grifondoro, che presto si dileguarono verso il centro di Hogsmeade, e si voltò verso la propria figlia ed Everdeen.

“Ho sentito che siete praticamente le uniche persone al mondo di cui Moody si fidi,” borbottò dopo qualche secondo di silenzio. “Sì, signore.”

“Non c’è bisogno di chiamarmi così,” lo rassicurò Sirius, cogliendo il sorriso contento di Kait. Gli dispiaceva che tra lei e Harry le cose non avessero funzionato, e moriva dalla voglia di capirne di più; non voleva, tuttavia, chiedere davanti a quello che aveva tutta l’aria di essere il nuovo interesse amoroso della figlia.

“Quindi… Diventerai un Auror, una volta finito Hogwarts?” domandò invece. Jackson sorrise e annuì. “È il sogno, il programma di una vita.”

“Conoscevo tuo padre,” sussurrò Sirius dopo qualche secondo di silenzio. Everdeen non reagì e Kait gli strinse una mano, sapendo che era un argomento di cui non parlava mai. Era felicissima che Jackson le avesse creduto subito riguardo la colpevolezza di Peter Minus, e odiava l’idea di rovinare quella bella giornata.

Sirius annuì, immerso nei suoi pensieri, dopodiché cambiò argomento, ridendo a proposito del Quidditch e di Grifondoro. Rimasero così per un’ora, prima che Kait chiedesse a Jackson di lasciarla sola con il padre.

“Signore, è stato un onore,” ripeté il ragazzo in un ultimo saluto. Sirius gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla, affondando le unghie nella giacca e trattenendolo. “Falle male e ti distruggo.”

“Capito,” mormorò Jackson in risposta, nascondendo un sorriso. Diede un bacio sulla guancia a Kait e sparì giù per la collina.

“Cosa gli hai detto?” domandò l’Unità, abbracciando il padre. “Era solo un consiglio,” minimizzò lui. “Come stai?” 

Presa in contropiede, la Black sputò un “bene” stiracchiato e voltò lo sguardo verso l’orizzonte. “Dimmi la verità, piccolo raggio di luna.”

Kait sobbalzò, mentre il nomignolo rimbalzava nella sua memoria e riportava a galla sensazioni sopite. Senza volere le si riempirono gli occhi di lacrime.

“Va tutto bene,” singhiozzò nascondendo il viso tra le mani; Sirius la strinse forte a sé, cullandola e rassicurandola con numerosi baci sul capo.

“Harry mi ha spezzato il cuore,” sbottò la ragazza. “Lo so. Lo so. Ma,” le fece notare lui, “stare male non è una scusa per usare qualcun altro come rimpiazzo. Fidati che ne so qualcosa.”

Kait si allontanò di scatto. “Jackson non è un rimpiazzo!”

“Scusa, è che può sembrare che…”

“Tu non sai un bel niente!” sbraitò lei. Sirius alzò le mani davanti a sé, dichiarando la resa. “Dico solo,” mormorò, “che non voglio che nessuno dei tre soffra.”

“Harry,” constatò Kait. “Stai pensando a Harry! Tua figlia è in lacrime davanti a te e tu pensi…”

“Non è così, tesor-”

“Certo che è così! Ti interessa solo di lui! L’ho capito, okay?! È il figlio di James! Però questo non vuol dire che…” e la voce si perse in un singhiozzo.

Sirius la strinse forte a sé, rifiutandosi di lasciarla andare anche quando lei picchiò e scalciò. Gli ricordava Dorcas in un modo spaventoso, tanto da costringerlo a concentrarsi su qualcos’altro perché altrimenti sarebbe crollato a sua volta.

“È un periodo di schifo, eh?” domandò dopo qualche minuto.

“Sì,” sussurrò la ragazza, finalmente immobile, arresa.

“Io sono qui. Anche quando ti sembra mi concentri solo su Harry. Io sono qui. Okay?”

Kait annuì, scusandosi con un brontolio. “Non avrei dovuto…”

“Non importa.”
Lei continuò, imperterrita. “Faccio solo cose stupide, in questi giorni. Ho spezzato il cuore a Jackson e poi gli sono corsa tra le braccia. E ora siamo bloccati in una specie di situazione di stallo, a metà tra essere amici e stare insieme. Cioè insieme insieme.”

Sirius provò a intervenire per calmarla e rassicurarla, ma Kait pareva aver preso il via verso un monologo. “E fino a pochi giorni fa ero convinta di poter aggiustare le cose con Harry.”

Prese fiato, l’attenzione del padre tutta su di sé dopo mesi. “Come ho potuto pensare… Come ho potuto pensare che avrei potuto fargli dimenticare Cho Chang, o che ignorando il problema si sarebbe risolto tutto.”

Si passò le mani tra i capelli, tirandoli e respirando a fatica. “Perché?! Come ho fatto a essere così stupida! Pensavo davvero che… Che… Che scopando sarebbe migliorato tutto?!”

Scusami?!” sbottò Sirius a quel punto, incapace di tacere più a lungo. Fissò la figlia - una bambina, in pratica - con disapprovazione, rendendosi conto di dover parlare al più presto con Remus e… I suoi pensieri si dissolsero in un istante nel notare che Kait si era appoggiata alla parete della grotta, piangendo e faticando a respirare.

“Sono un casino, papà,” gemette.
Ogni tipo di sentimento negativo lui avesse provato fino a quel momento scomparve, sostituito dal desiderio di protezione. La abbracciò ancora, senza il coraggio di lasciarla andare - aveva passato così tanti anni lontano da lei...
“Lo siamo tutti,” rispose. “E ti prego, fidati di me,” continuò, “e prova a credere che le cose andranno meglio. Devi solo avere pazienza. Andrà tutto bene.”

E Kait, stretta nella presa del padre, chiuse gli occhi e annuì. 

Non gli credeva, non davvero, ma per un secondo si costrinse a farlo.

 


Le cose tra lei e Jackson rimasero in una situazione di stallo fino all’ultima settimana di aprile, quando lui le chiese di accompagnarlo a fare una passeggiata nel parco. Non vedendoci nulla di male, Kait annuì, non trovando niente da ridire neppure quando Jackson la prese per mano.
“Ti va bene?” le domandò riferendosi al proprio gesto.

“Non sono di porcellana, dovresti saperlo,” rispose Kait. “Se mi desse fastidio mi sarei già allontanata.”

“Vero.”

Si addentrarono sempre di più nel parco e si fermarono solo al limite della Foresta Proibita; si appoggiarono all’albero più esterno e rimasero lì per qualche minuto, fissandosi in silenzio.

Kait sapeva che Jackson non avrebbe fatto di nuovo la prima mossa e non per mancanza di coraggio, ma per semplice rispetto. Era il suo turno, ora. Toccava a lei scegliere.

Spostò il peso da un piede all’altro, concentrandosi sulla quantità di sentimenti incasinati che stava provando. Teneva a Jackson da sempre e, se non ci fosse stato Harry, con tutte le probabilità si sarebbero già messi insieme.

E Harry, a quel punto, non contava più.

Quindi che male poteva fare?

Non le era mai capitato di ragionarci così tanto; con Potter era stato tutto più istintivo.

Alzò titubante una mano e accarezzò la guancia di Jackson, che chiuse gli occhi e si appoggiò alle sue dita. L’unica cosa che le importava davvero, a quel punto, era non ferirlo.

“Non voglio farti del male. Neanche inconsciamente,” sussurrò dopo un po’, perché sentiva di dover esprimere a parole almeno una parte di ciò che aveva dentro.

“Non lo farai,” rispose Jackson.

E così, senza pensarci più, Kait si alzò sulle punte dei piedi e fece scontrare le loro labbra, allacciandogli le braccia al collo. L’altro non esitò a reagire, premendola contro l’albero alle sue spalle e stringendole i fianchi con impeto e delicatezza al tempo stesso.

Rimasero così per almeno un’ora, a baciarsi di nascosto dagli sguardi indiscreti, e da quel giorno divennero ufficialmente una coppia.
Kait non aveva mai visto Jackson così felice. Sembrava illuminarsi ogni volta che la notava tra gli studenti e approfittava di ogni momento per toccarla - che fosse un vero e proprio abbraccio o una semplice stretta delle dita non era importante. Contava solo dimostrare di esserci.

Si abituò così tanto ad averlo al fianco, Kait, che rimase per un attimo imbambolata nel rendersi conto che Jackson non era sceso a cena, il giorno della terza prova del Torneo. A colazione e a pranzo sì, nonostante fosse stato di fretta. “Un gran giorno, oggi!” le aveva detto e lei si era limitata a sorridergli, troppo presa dai propri pensieri per concentrarsi su qualcos’altro.

Che razza di ragazza era?

“Vado a cercarlo,” si scusò con Hermione facendo per alzarsi dal tavolo, ma lei la trattenne. “Harry è un campione e so che non state più insieme, ma ci rimarrà male se non sarai in prima fila a fare il tifo per lui,” le spiegò. “In più devi presentare la prova!”

“Ma Jackson…”

“Si sarà fermato da Moody,” ipotizzò Ron.

Poco convinta, Kait fece per alzarsi comunque. “Black, eccoti qui,” la fermò subito la McGrannitt. “Il professor Silente e i giudici sono già al campo di Quidditch. Sarebbe irrispettoso farli aspettare. Seguimi.”

Sconfitta, Kait eseguì.

 

I campioni erano entrati nel labirinto e una forte agitazione permeava l’aria, nonostante gli spettatori non potessero far altro che aspettare. Sarà pure stata una prova eccitante, eh, ma per chi non ne prendeva parte era piuttosto noiosa - guardare per un’ora il Lago era bastato a tutti… E ora fissavano siepi più alte di loro.

“Interessante,” sbuffò Kait mentre si lanciava un’occhiata attorno. Se Moody non fosse stato impegnato a controllare il perimetro gli avrebbe volentieri chiesto dove si fosse cacciato Jackson.

Ripensò al discorso che avevano fatto pochi giorni prima. Nah, si costrinse a pensare. Jackson me l’avrebbe detto, se avesse di nuovo preso il posto di Cedric.

Ma allora dove diavolo era?!

Era passata già una buona mezz’ora quando un urlo agghiacciante causò un fremito in tutti quanti. “Fleur!” gridò dagli spalti la sorellina, che aveva riconosciuto la voce - non che ci volesse un genio. Era l’unica femmina tra i campioni.

Non ci furono scintille rosse ad illuminare il cielo, ma i giudici del torneo decisero di intervenire comunque, nel caso Fleur non avesse usato l’incantesimo perché troppo nei guai per afferrare la bacchetta.

Pochi minuti dopo e delle vere scintille lasciarono tutti sorpresi. In neanche un quarto d’ora anche Krum era fuori dal labirinto; venne subito portato in infermeria e Kait vide che scalciava e ringhiava come fosse posseduto.

Aspettarono minuti su minuti, la pazienza che si trasformava lentamente in noia.

E poi, nel lampo tipico delle Passaporte, i due campioni di Hogwarts furono di ritorno. Mentre la folla li acclamava, in delirio, Kait avanzò di due passi e si rese conto che qualcosa non andava - non andava per niente.

Cedric era a terra, immobile e con gli occhi spalancati. Era ben più pallido di quanto non fosse sembrato all’inizio della prova, e la Black impiegò solo un secondo a capirne il motivo.

Semisdraiato addosso a lui, la bacchetta fuori e l’intero corpo cosparso di ferite sanguinanti, stava Harry.

“Harry?” lo chiamò lei; fu superata di corsa da Silente, che si inginocchiò accanto a Potter. Le acclamazioni della folla, nel frattempo, si affievolirono sempre di più, mentre la Black fissava i due giovani a terra.

Cedric Diggory, persona che Kait conosceva da quando era arrivata ad Hogwarts, era morto. La ragazza avrebbe dovuto essere devastata dal dolore di quella perdita, - ed effettivamente in parte lo era - ma allora perché non aveva ancora versato una lacrima?

Semplice, si disse Kaitlyn. Harry è vivo, sta bene!, pensò. E inconsciamente sorrise.

Harry stava bene. Solo questo contava.

Fu solo dopo qualche secondo che si rese conto che di Jackson ancora non vi era traccia. Il respiro le si bloccò nella gola, chiusa dalla paura, e sentì subito la testa girare. “Non è possibile,” si costrinse a dire. Accanto a lei, studenti, professori e genitori si muovevano in preda al panico.

“La Polisucco smette di funzionare con la morte,” mormorò ancora. “Vero?”

Jackson era da qualche parte, sano e salvo.

Stava bene.

Vero?

Si voltò verso Silente, decisa a chiedere rassicurazioni, ma l’uomo si sforzava di tenere Harry in piedi e Caramell a bada, e non sembrava propenso a prestarle attenzione.

“Devo sapere,” singhiozzò senza lacrime e fece per aggrapparsi al braccio del preside; venne spinta via da una terza persona e stava già per girarsi e urlarle contro, incavolata, quando si rese conto che era Amos Diggory.

Lo stesso Amos Diggory che cadde in ginocchio, urlando disperato per il figlio morto - come se ogni fonte di luce, nel mondo, si fosse appena spenta.

Con la coda dell’occhio Kait vide Moody allontanarsi con Harry e scattò verso di loro, decisa a sapere di più sulla Polisucco. Doveva capire se Jackson stava bene.
Ne andava della sua sanità mentale, già messa a dura prova dagli strilli e i pianti che le martellavano le tempie. Si sentiva ovattata, quasi niente fosse accaduto veramente.

Quasi fosse sotto shock.

“Signore,” disse, “la Polisucco continua il suo effetto anche dopo morti?”

Moody la fissò come a chiederle “è davvero il momento?”. “Sto impazzendo, signore. Ho bisogno… Non riesco a ricordare!” si passò le mani tra i capelli, ignorando lo sguardo vuoto di Harry.

“Va bene, Kaitlyn!” la apostrofò Moody. “Non è un problema se ogni tanto non ricordi qualcosa. Non è neanche un argomento che abbiamo già trattato, perciò calmati. Comunque no, non continua il suo effetto.”

E, con queste parole, si dileguò nell’oscurità, trascinandosi dietro Harry.

Kait, rimasta davanti al labirinto, impiegò qualche secondo a capire perché, come risposta, non le andasse totalmente a genio.
Avevano studiato gli effetti della Polisucco, di questo era certa. Forse Moody non lo ricordava? Stava davvero invecchiando così?

… No, decise Kait. Non solo avrebbe dovuto sgridarla per non aver ripassato le vecchie lezioni, ma poi non sarebbe mai stato così comprensivo. Il vero Moody non accetta che tu vada nel panico, pensò. Ti tira uno schiaffo e “vigilanza costante”. Come se non bastasse, la chiamava Black.

Non Kait o Kaitlyn.

Black.

Che stesse male o semplicemente invecchiando, Harry non poteva stare con lui. In caso di attacco, chi lo avrebbe aiutato?

Ma soprattutto… Perché Malocchio avrebbe dovuto allontanare Potter da Silente, l’unico a potergli davvero assicurare protezione?

“Silente!” urlò allora facendosi strada tra la folla. Era troppo numerosa, però, tra genitori scioccati che cercavano di tirare in piedi Amos Diggory, membri del Ministero che tenevano a bada il panico e studenti in lacrime.

Non sarebbe mai arrivata al preside senza un aiuto.

Fu allora che, voltandosi, vide l’insegnante di cui meno si fidava in tutta Hogwarts… Ma che, alla fine, era anche quello che era sicura le avrebbe creduto.
“Professor Piton!” esclamò avvicinandoglisi. 

“Non ora, Black…”

“Lei mi ascolterà,” si impose invece lei. E l’uomo, per una volta, annuì e le dedicò la propria attenzione.

Una volta spiegato il proprio timore, Piton non le rise in faccia né la giudicò; semplicemente richiamò Silente - a lui ascoltava, il vecchio - e anche quella della McGrannitt, perché era meglio essere pronti ad ogni evenienza.

“Tu resti qui,” le ordinò il professore di Pozioni. 

“Neanche morta,” rispose Kait e questo mise fine alla discussione.
Si diressero subito nell’ufficio di Moody, sempre più convinti che l’uomo non solo non fosse in grado di proteggere Potter, ma che fosse un vero e proprio impostore. La Black, intanto, ripensava a ogni dettaglio che l’aveva lasciata perplessa durante l’anno. Possibile che non se ne fosse accorta prima?!

Era stata tanto distratta da mere questioni di cuore da ignorare ogni insegnamento avesse appreso da Malocchio.

Aveva fallito in ogni modo possibile.

 

 

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Capitolo 63
*** L'Ordine della Fenice ***


L’Ordine della Fenice
 

Quando entrarono nell’ufficio di Moody - da fuori sentirono parole come “Signore Oscuro” e “ti ucciderò per lui” - e Silente schiantò l’ex Auror, Kait corse da Harry e lo abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo. Forse non stavano più insieme, forse tra loro c’era ormai tanto imbarazzo, ma si volevano anche molto bene e niente avrebbe cancellato quell’affetto.

“Moody…” cominciò a borbottare lui, il sangue a impiastricciargli i vestiti e i capelli.
“Non è il vero Alastor Moody,” risposero Kait e Silente in contemporanea.
Sentirono un grosso colpo provenire da un baule nell’angolo e il preside, impegnato a tenere sotto tiro l’impostore, fece cenno alla Black di aprirlo; lei eseguì, la bacchetta alta di fronte a sé in modo da essere pronta a reagire.

Il baule era stato incantato perché fosse una specie di pozzo, alla cui base due figure alzarono il viso. “Signore!” esclamò Kait.

“Sta bene,” rispose la persona più in ombra. “È quasi in ipotermia ed è controllato dalla Maledizione Imperius, ma dovrebbe cavarsela.”

Il ragazzo prese un grosso sospiro. “Ce ne saremmo dovuti rendere conto, Kay.”

Ma lei non ascoltava. Era troppo sollevata all’idea di vedere Jackson sano e salvo - vivo! - per potersi sentire in colpa. “Come…” cominciò a domandare, aiutando magicamente i due a uscire dal baule incantato. 

“Era da un po’ che avevo il dubbio,” mormorò il Grifondoro. “Stamattina, dopo l’ultimo esame MAGO, sono andato da lui per affrontarlo.”

Si rimise in piedi e aiutò Kait a sistemare una coperta sul vero Moody. “Mi stava aspettando, il bastardo. Mi ha schiantato e chiuso insieme a Malocchio… Il vero, si intende.”

“Potevi venire da me,” lo interruppe Silente.

“Non avevo abbastanza prove,” rispose Jackson, prima di chinare il capo e chiedere comunque scusa per l’impulsività e la poca fiducia.

Lui e Kait si posizionarono ai fianchi di Alastor, ancora profondamente addormentato, e alzarono le bacchette, - Everdeen la recuperò da uno scaffale - pronti a reagire al primo gesto brusco del Mangiamorte appena svegliato.

Dall’angolo opposto, Harry lanciò un’occhiata a Kait.

Per l’ennesima volta, si rese conto di averla persa - e non c’era più niente da fare per fingere il contrario.


 

Jackson e Kait accompagnarono il vero Alastor Moody in infermeria, dove il primo decise di fermarsi. “Preferisco stare un po’ con lui,” le spiegò. Si salutarono con un bacio veloce e si strinsero in un abbraccio, ringraziando Merlino per essere insieme.

“Silente ti aspetta nel suo ufficio,” li interruppe Salazar a quel punto, incitandola a cominciare a camminare. Attraversarono a passo svelto un corridoio dopo l’altro ed erano quasi arrivata a destinazione quando incontrarono - incontrò, perché Salazar non era visibile - il preside e Harry. “Oh bene,” sorrise stancamente il primo. “C’è qualcuno che vuole vedervi.”

Silente aprì la porta dell’ufficio e li fece entrare - appoggiato alla scrivania, l’espressione preoccupata, stava Sirius. Scattò in avanti nel momento stesso in cui li vide e li abbracciò, uno per lato.

Dal fuoco del camino, intanto, arrivò anche Remus, a cui Kait quasi si lanciò addosso. 

Fecero accomodare Harry su una sedia, perché stava perdendo tanto sangue e cominciava a barcollare, e i due Malandrini vollero conoscere l’intera storia. Così Silente cominciò a raccontare, fermandosi solo per domandare a Harry di spiegare l’accaduto una volta toccata la Passaporta.

“Credo che questo possa aspettare,” intervenne Sirius e Kait non disse nulla, decisa a non litigare con il padre. Se quello che Potter affermava era vero, però, non c’era tempo da perdere, perché Voldemort era tornato e ogni secondo diventava più forte.

Ascoltarono il racconto di Harry in silenzio, Sirius a stringergli forte la spalla mentre Kait, più lontana, appoggiava l’intero peso su Remus. L’uomo, di rimando, le accarezzava i capelli e la schiena, rassicurandola con la propria semplice presenza.

Fu solo dopo un’ora che Silente diede loro il permesso di andare. Harry avrebbe passato la notte in infermeria e Sirius, già pronto a tornare cane, si mostrò deciso a stare al suo fianco. Anche Kait era poco intenzionata ad allontanarsi e quindi Remus anche, visto che mai avrebbe lasciato la figlioccia dopo una tale nottata.

“Un’ultima cosa,” li fermò Silente facendo cenno a Harry di aspettare fuori dalla porta, preferendo che non sentisse. Troppo stordito dagli avvenimenti della serata, Potter eseguì senza porre domande.

“Devo parlare con voi due,” esordì il preside indicando Sirius e Remus, “ma soprattutto con lei,” e indicò Kait.

“Dopo ciò che è successo stanotte, sembra inevitabile affermare che… Voldemort è tornato.”

Venne interrotto dalla McGrannitt, che entrò nell’ufficio silenziosa come un gatto e gli si posizionò al fianco. “Nei tempi bui che verranno,” continuò l’uomo, “avremo bisogno di validi combattenti, persone che non si facciano fermare dalla paura, ma la usino per reagire al meglio. Maghi e streghe uniti per contrastare la minaccia di Voldemort.”

La McGrannitt, che aveva capito dove sarebbe andato a parare, sussultò e sgranò lo sguardo. “È troppo piccola! Ha appena finito il quarto anno…”

“È ciò di cui abbiamo bisogno. Fidati di me, Minerva. Alastor l’ha allenata bene.”

Remus e Sirius, arrivati alla stessa conclusione della professoressa, si lanciarono un’occhiata preoccupata, mentre la donna ribatteva.

“L’ultima volta non ero favorevole a dei diciassettenni, figuriamoci se ora lo posso essere per una ragazzina di quattordici…”

E Kait, senza volere, la corresse con un “a settembre sedici”. La McGrannitt, poco impressionata, continuò a sbraitare. “Non mi interessa! È troppo piccola!”

“Troppo piccola per cosa?” sbottò allora la Black.
“Per combattere,” rispose Remus. “Perché è di questo che si tratta, vero?”

Silente annuì. “Non le affideremmo niente di troppo eccessivo. Mi rendo conto che…”

“No,” lo interruppe il mannaro. “Non esiste.”

“È una mia scelta,” esclamò la figlioccia. “Se voglio combattere non vedo perché qualcuno me lo debba impedire.”

“E tu lo vuoi?” domandarono Sirius e Silente al tempo stesso. Il primo era immerso nei suoi pensieri, ma non sembrava troppo contrario all’idea.

“Stai scherzando?!” urlò Remus nel vedere Kait annuire. “Non esiste che si faccia ammazzare solo perché pensiate sia pronta per…”

“Ha il diritto di combattere per ciò in cui crede,” alzò la voce Sirius, cercando di superare il volume dell’altro. “E comunque io sono il padre, io decido se può o meno scegliere per sé,” si impuntò.

Incapace di ribattere, Remus tacque.

“Quindi cosa mi dici?” domandò Silente, lo sguardo fisso sull’Unità.

“Accetto.”

Si scambiarono una stretta di mano.

“Benvenuta nell’Ordine della Fenice.”


 

“Caramell è un vero idiota.”

Kait, che stava sciogliendo i lacci degli anfibi, annuì.
“Andrebbe tolto di mezzo. Abbiamo bisogno di un Ministro vero, non uno così,” continuò Jackson e si voltò verso le scale. “Credo farò una doccia e poi andrò a dormire,” la avvisò. Le diede un bacio a fior di labbra e le sorrise. “Raggiungimi quando vuoi.”

Kait sorrise e si tirò in piedi; al contrario dell’altro, però, non aveva intenzione di andare a letto. Era ancora troppo poco rilassata per poter anche solo pensare di prendere sonno.

Erano entrati nell’Ordine con la fine della scuola, ma non avevano cominciato davvero le missioni o le ronde; Moody - quello vero - insisteva per far affrontare loro alcuni allenamenti, prima, giusto per essere sicuro che Crouch non li avesse rammolliti. Al termine del decimo allenamento, diceva, avrebbero ottenuto i turni della ronda. Niente di difficile, comunque, ma un primo passo.
Ancora persa nei propri pensieri, Kait decise di dirigersi in cucina, dove avrebbe potuto farsi una tisana, e notò con la coda dell’occhio Kreacher pulire un angolo della casa. Sirius aveva dato Grimmauld Place all’Ordine e l’elfo non ne era stato molto contento, ragion per cui Kait continuava a regalargli piccoli oggetti, in modo che quei gesti gentili lo facessero sentire un po’ meglio.

“Padrona non entra in cucina per favore,” la fermò Kreacher. 

“E perché non dovrei?” domandò la ragazza in risposta. Aveva appena finito di parlare che sentì due voci dai toni concitati provenire proprio da quella stanza. Scacciò l’elfo e si sistemò dietro la porta, a origliare.

“Lei è mia figlia!” stava urlando Sirius. “E credo abbia il diritto di scegliere se combattere o meno.”

Prese un respiro e riprese con più enfasi. “Io sono suo padre!”

E allora comportati come tale!

Kait sobbalzò, riconoscendo la voce di Remus. Stavano litigando per lei… Perché era entrata nell’Ordine.

“Rem, stai fuori da questa storia.”

“Non posso! Perché, se lo facessi, Kaitlyn rimarrebbe sola! O mi stai dicendo che sei abbastanza, per lei? Che riusciresti a gestirla, a crescerla, a darle dei limiti e ad aiutarla… Mi stai dicendo che ce la potresti fare?!”

“Sì,” sbottò Sirius. “È mia figlia e…”

“Lo è solo per quanto riguarda il sangue. Lei è sempre stata accanto a me. Se qualcuno ha il diritto di farsi chiamare padre, da lei, quello sono io!”

Fuori!” urlò Sirius con più rabbia e disperazione Kait gli avesse mai sentito nella voce. “Mi hai sentito, Remus? Fuori da qui!”

Bene!” gridò di rimando il mannaro, la stessa intensità. “Ma Kait viene con me!”

“Non ci provare, lei resta qui!”

“Ho io la sua custodia,” sbottò Remus. Dalla voce sembrava allo stremo delle forze.

Kait era pronta a un “lasciamola scegliere” a cui mai e poi mai avrebbe risposto, quando sentì il suono di un singhiozzo. “È il minimo che possa fare, Rem,” sussurrò Sirius, rendendo difficile origliare alla figlia. “Se le negassi ciò che vuole, cosa mi resterebbe?” domandò con voce spenta.

“Lo capisco, Sir,” rispose l’amico, riacquistando pian piano la calma, “ma se non poniamo dei limiti si farà ammazzare.”

“Chi sono io, per fermarla?” continuò Black imperterrito. “In più, non posso essere così ipocrita. Noi avevamo solo un anno in più di lei, quando abbiamo cominciato a combattere.”

“Sì, e vedi com’è finita.”

“È addestrata. E comunque se non avessi voluto farla combattere non avresti dovuto portarla da Alastor fin dal principio.”

Remus sospirò e Kait lo immaginò abbassare lo sguardo, stremato. “Abbiamo entrambi commesso degli errori,” ammise l’uomo. “Ma non voglio vederla morire.”

Sirius sbuffò una mezza risata. “Perché, io sì? Eppure… Più ci penso e più credo che lasciarla combattere sia la scelta giusta. Ha perso tanto, troppo. E solo perché non era in grado di reagire.”

“Pensi che lottare per i suoi ideali la farà sentire meglio?”

“Lo spero. E se dovesse morire…” e la voce di Sirius si spezzò, “sarà in un posto migliore. Con loro.”

“Quindi ti arrendi?!”

Kait si allontanò dalla porta, decisa a non ascoltare una parola di più. Si concesse una lunga doccia e quando, di nuovo asciutta, si infilò sotto le coperte al fianco di Jackson, desiderò di poter dormire senza sognare. Desiderò, per una volta, di essere in pace.

 

 

 



 

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Capitolo 64
*** Vita dell'Ordine ***


Non avete idea di cosa sia questo periodo, per me. Un incubo è dir poco.
Mi dispiace infinitamente di avervi fatto aspettare così tanto per questo capitolo, che tra l'altro non è nemmeno tanto lungo. Spero di riuscire a riprendere il ritmo al più presto, anche se temo che prima di un mese e mezzo/due non ne sarò in grado.
Intanto godetevi il capitolo :*
Dea





 

Vita dell’Ordine

“Harry è nei guai,” mormorò Ron, seduto sul letto di Kait - ovvero sul letto un tempo dedicato agli ospiti dei Black. Hermione, sistemata al suo fianco, gli lanciò un’occhiata interrogativa.

“Ho sentito i miei parlare poco fa,” spiegò il ragazzo. “Harry ha usato la magia fuori da scuola.”

Kait, con l’intero busto nell’armadio, ne uscì di scatto. “E perché?!”

“A quanto ho capito, c’erano dei Dissennatori vicino a casa sua.”

Hermione abbassò lo sguardo, pensando. “Ma non è possibile. I Dissennatori non possono allontanarsi da Azkaban, lo sanno tutti!”

“A meno che…” borbottò Kait trovando finalmente ciò che cercava, “a meno che la loro lealtà non sia cambiata.”

Si tolse la maglietta - Ron, diventando viola, si voltò di scatto - e la sostituì con una canottiera nera; dopodiché cambiò i jeans in favore dei pantaloni militari. “Se sono passati dalla parte di Voldemort è un bel casino, credetemi.”

Chiuse gli anfibi con gesti precisi e si raddrizzò. 

“Ora devo andare,” si congedò dando un bacio sulla guancia agli amici.

“E dove?” le domandò Hermione.

“Ho la mia prima ronda,” sorrise Kait, più orgogliosa di quanto avrebbe immaginato sarebbe stata. Si sentiva finalmente in grado di fare qualcosa, di aiutare in una causa in cui, nel bene e nel male, era stata scaraventata quand’era soltanto una bambina.

Ron, rimasto senza parole, la afferrò per un polso. “Vuoi una mano?” chiese nonostante fosse spaventato all’idea di ritrovarsi in un vero scontro.

Lo avrebbe fatto, se lei glielo avesse domandato. Era la sua migliore amica.

Kait sorrise, addolcita, e gli passò una mano tra i capelli. “Starò bene,” promise. “Non sarò sola, comunque.”

Salutò i due e uscì dalla camera, lasciandoli a parlare di Harry e dei Dissennatori. Entrò in cucina mentre si legava i capelli, lunghi fino al coccige, in una coda alta che sperava non l’avrebbe infastidita troppo.

“Andiamo a prenderlo,” stava dicendo Remus, affiancato da Tonks - che le rivolse un occhiolino - e Moody. Jackson, appoggiato al tavolo con un fianco, annuì.

“Di chi state parlando?” domandò Kait per pura curiosità. Fu suo padre, comparendo alle sue spalle e dandole un bacio sulla tempia, a risponderle. 

“Tu hai la ronda,” la rimbeccò Moody quando Kait propose di accompagnarli a prendere Harry. Jackson, non visto, le lanciò un’occhiata indecifrabile.

“A proposito,” si interessò la Black, “con chi sarò?”

Malocchio scosse la testa e indicò la porta alle sue spalle, da dove una donna era appena entrata. “Ti presento Emmeline Vance. Sarà al tuo fianco.”

Kait sorrise e allungò una mano.

“Mi ricordi tanto tua madre,” mormorò la donna chiudendo le dita attorno al suo polso. Sirius, poco distante, si irrigidì, rilassandosi solo quando Emmeline si allontanò.

“Dovrai seguire i suoi ordini,” continuò Moody guardando Kait come se bastasse un’occhiata a costringerla a ubbidire. “E ricorda, vigilanza costante.


 

“Questo quartiere è pieno di famiglie di nati babbani,” le spiegò Emmeline quando lasciarono Grimmauld Place e si Smaterializzarono. Comparvero al centro di un vicolo e un gatto sporco dal muso alle zampe, poco impressionato, lanciò loro un’occhiata annoiata. Doveva essere abituato a ben di peggio.

Una finestra sbatté a qualche metro di distanza e Kait si appiattì contro il muro, trascinando Emmeline nell’ombra. Non aveva intenzione di sembrare irrispettosa, ma le sembrava che la strega fosse un po’ lenta di riflessi.

Era forse l’età?

Attese qualche secondo in silenzio, prima di voltarsi verso di lei e chiedere quali fossero gli ordini. “Pattugliamo semplicemente. Dai, vieni,” le rispose Emmeline; subito cominciarono a camminare lungo la strada buia, in silenzio.

Il gatto, semi nascosto nell’oscurità, seguì i loro movimenti con lo sguardo. Dopo un secondo di esitazione, le seguì.

La ronda proseguì senza intoppi per l’ora successiva; incrociarono soltanto qualche mago di ritorno dal lavoro e una strega che portava a passeggio il cane. Kait li osservò con attenzione, la mano appoggiata sulla bacchetta con nonchalance, in modo da non risultare sospetta. Nessuno di loro, comunque, risultò essere pericoloso, tanto che la Black si concesse di rilassarsi un po’. Era la sua prima ronda, dopotutto. Avrebbe dovuto avere parecchia sfortuna per incrociare un Mangiamorte, quella sera.

Aveva appena formulato il pensiero che udì un rumore alle sue spalle, tanto attutito da sembrare quasi frutto della sua immaginazione. Kait, però, aveva da tempo imparato ad ascoltare l’istinto; con un gesto quasi impercettibile delle dita richiamò l’attenzione di Emmeline, il cui sguardo era fisso sull’altra parte della strada. Sillabò le parole “alle spalle” e si sforzò di intavolare una conversazione sullo studio e su Hogwarts, così da sembrare tranquilla agli occhi di chiunque le stesse osservando.

Emmeline, però, non reagì allo stesso modo. Afferrò la bacchetta nel modo più ovvio e plateale che Kait avrebbe mai potuto prevedere e si voltò, urlando “chi va là?!”. A quel punto anche Kait dovette reagire, girandosi e tirando fuori la bacchetta al tempo stesso; subito lanciò un incantesimo di protezione sulle case che le circondavano, così che un’eventuale battaglia non causasse danni ai civili.

Davanti a loro, però, non c’era nessuno.

“Mi hai agitata per niente,” la rimproverò Emmeline ricominciando a camminare.

“Forse hai ragione,” finse di concordare Kait, avvicinandosi verso un lato della strada con più nonchalance possibile. Finse di doversi sistemare una scarpa, appoggiandosi al muro, e nel momento stesso in cui si abbassò afferrò una manciata di ciottoli e sabbia dall’angolo rovinato. La lanciò verso il punto da dove era venuto un rumore e, quando la sporcizia si posò a terra nell’arco di tre metri, Kait vide chiaramente che una parte non era stata toccata - una parte abbastanza ampia da sembrare ci fosse una persona con un incantesimo di invisibilità.

Alzò la bacchetta in un istante e scagliò un Incantesimo di Pietrificazione; dopodiché si avvicinò alla figura e la rese visibile con un gesto di bacchetta.

Fu a quel punto che sbiancò.

“Oh mamma,” mormorò senza fiato.

“Non ti preoccupare,” la rassicurò Emmeline con un sorriso. Con un contro incantesimo liberò la McGrannitt, poi la aiutò a rialzarsi.

L’insegnante, nonostante l’espressione contrita di Kait, pareva soddisfatta. “Ottimo lavoro.”

“Era un test?!” sbottò allora la Black, incredula. Emmeline le fece l’occhiolino.

“Dovevamo essere sicuri tu fossi pronta,” le spiegò la McGrannitt. “E lo sei.”

“Ora andiamo a casa. Domani otterrai la tua prima ronda - per davvero,” sorrise Emmeline. 

E tutte insieme tornarono a Grimmauld Place.


 

“Non essere così nervosa,” mormorò Jackson distendendosi al suo fianco. Portò il braccio sotto la testa e il gesto fece risaltare i muscoli e le vene; Kait si voltò a guardarlo e si morse il labbro, stanca e tuttavia ancora irritata per la serata trascorsa.

“Non si fidano di me!”

“Era solo un test, Kay,” le rispose Jackson. “È normale.”

“Tu non lo hai affrontato.”

Lui scosse la testa. 

“Vedi? Perché di te si fidano!”

Fece per alzarsi, ma Jackson la trattenne circondandole la vita con un braccio. La strinse a sé e rimasero così per qualche istante, abbastanza vicini perché il respiro di uno condizionasse quello dell’altra.

“È perché sono una Black?” sussurrò dopo un po’, gli occhi bassi in modo da non incrociare lo sguardo del ragazzo. Un dito sotto il mento la costrinse ad alzare il viso.

“No. Mai,” esclamò Jackson con convinzione. La baciò, quasi per sottolineare le proprie parole, e per qualche minuto la discussione fu accantonata. La loro relazione era semplice, senza complicazioni; si capivano praticamente al volo e Jackson non la giudicava mai, per quanto male potesse comportarsi. Kait non era sicura di meritarselo, ma di certo non se ne sarebbe lamentata.

“È perché sei piccola,” le sussurrò all’orecchio il ragazzo. 

“Hai solo due anni più di me,” borbottò lei dandogli un pizzicotto sul fianco. Jackson le afferrò entrambe le mani e gliele portò sopra la testa, tenendola ferma e tirandosi su, così da sedere sui talloni all’altezza del suo bacino. 

Kait, che con lui non era mai andata oltre al bacio e qualche carezza sopra i vestiti, sentì di star arrossendo. Una punta di disagio la colpì, però fece in modo di coprirla e mantenere un’espressione rilassata.

“Ma io ho finito Hogwarts. A settembre comincio l’Accademia e sai già che ci resterò neanche un anno. Mi mancano pochissimi crediti per poter dare l’esame finale e diventare un Auror a tutti gli effetti.”

Kait non poté ribattere e mise il broncio; Jackson sorrise e si piegò a morderle il labbro inferiore, ancora incredulo all’idea di poterlo davvero fare. Si baciarono a lungo, ridendo e facendosi i dispetti fino a innescare una lotta per il controllo sull’altro. Si rotolarono sul letto, trattenendosi e liberandosi in tutti i modi grazie agli insegnamenti di Moody, e fu divertente ed eccitante al tempo stesso.

Kait non voleva risultare fredda, ma non se la sentiva di andare troppo oltre, a livello fisico. Fu contenta, quindi, di poter portare il tutto su un piano più rilassato.

Un discreto bussare li costrinse a tornare alla realtà e a separarsi, nonostante fosse l’ultima cosa che desideravano. 

“Avanti,” esclamò Kait mettendosi seduta e sistemando i capelli arruffati. Jackson, un sorriso malandrino sul viso, emise un verso lamentoso e le lanciò un’occhiata maliziosa.

La porta si aprì e Jackson scattò in piedi nel vedere Sirius entrare. Sapeva che l’uomo avrebbe sempre sostenuto Harry, in quanto figlioccio e unico ricordo di James e Lily Potter, e quindi aveva l’impressione che per guadagnare la sua approvazione avrebbe dovuto faticare parecchio. Non che fosse fondamentale, eh… Però Kait ci teneva.

E perciò anche Jackson.

Sirius lo fissò per qualche secondo prima di spostare lo sguardo sulla figlia, che si alzò con lentezza calcolata, il mento sollevato come a dire “hai qualcosa da ridire?”.

L’uomo la ignorò, riportando l’attenzione su Jackson. “Alastor ti aspetta giù. Penso sia ora che tu vada a casa,” gli disse. Il ragazzo, che nei giorni passati aveva dormito con Kait e che aveva anche un paio di ricambi in un cassetto, si morse il labbro e abbassò il viso. 

“Pensavo…”

“È ora che tu vada a casa,” ribadì Sirius. Jackson fece per ribattere, ma si sforzò di tacere perché desiderava davvero riuscire ad essere apprezzato da lui. Quindi diede un casto bacio sulla guancia a Kait, salutò Sirius con un gesto del capo e sparì nel corridoio.

La Black aspettò che non fosse più a portata d’orecchio per sbottare. “Che diavolo fai?!”

“Non mi parlare così, sono pur sempre tuo padre!”

“Lo hai mandato via,” si lamentò Kait, decisa a non cedere.

“Sì, beh, prima di discutere dovresti sistemarti i vestiti,” le rispose Sirius, lapidario, indicando con un dito il top storto che lasciava vedere troppa pelle per i suoi gusti. Sbuffando, la ragazza eseguì.

“So che ora ti senti tanto grande, ma non lo sei.”

“Sembra che sia l’argomento del giorno,” sbuffò Kait. Avrebbe voluto ci fosse anche Remus, solitamente più ragionevole dell’altro. Aveva appena formulato il pensiero che il mannaro entrò nella stanza.

“La vedo male,” sussurrò Kait inconsciamente nel vedere la sua espressione.

“Siediti, tesoro,” le disse lui. “Parliamo un po’.”

Proprio male.

“Hai quasi sedici anni,” esordì Remus, una mano sul braccio di Sirius per trattenerlo dal reagire con troppa enfasi. “Ti senti grande e lo sei. Sei grande, tesoro.”

Sirius fece per intervenire, ma si fermò in tempo. “Ha ragione,” mormorò dopo qualche secondo. “Non sei più una bambina.”

“No,” concordò Remus. Sembrava si fossero preparati il discorso, in qualche modo, forse per sembrare uniti davanti a lei - neanche fossero una coppia.

“Ma che tu sia grande non vuol dire che tu lo sia abbastanza.”

“Lo so,” li fermò subito Kait. “Ma non stavamo facend…”

“Kaitlyn,” la costrinse a tacere Remus, lanciandole un’occhiata tanto penetrante da causarle un tremito. “Sai cosa intendiamo.”

“Sei ancora una ragazzina. Non avere fretta a crescere,” mormorò Sirius. 

“Che si tratti di, ehm, relazioni affettive, o di combattere,” sospirò Remus dopo qualche secondo, arrossendo ma costringendosi a non abbassare lo sguardo.

Entrambi gli uomini si alzarono e le diedero un buffetto sulla guancia, dirigendosi verso la porta. Il discorso non era concluso, ovvio, tuttavia speravano di affrontarlo un po’ alla volta, così da non innescarle il desiderio di fuggire come le capitava spesso quando qualcuno la metteva alle strette.

“Eravate giovani anche voi, quando avete cominciato,” sbottò Kait senza degnarli di un’occhiata. 

“Sì,” confermò Remus. “E guarda come siamo finiti.”

 

 

 

 

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Capitolo 65
*** La Casata dei Black ***


A chiunque stia leggendo... Grazie. Grazie per essere ancora qui, nonostante vi faccia aspettare un'eternità.
Quest'estate mi sono maturata (doppia! Ho rpeso quella italiana e quella francese!), poi ho passato un mese a non avere idea di cosa fare della mia vita e due settimane in Portogallo con le amiche. Ora sono ufficialmente tornata, ufficialmente iscritta all'università e ufficialmente alle prese con il mio secondo libro.
Oggi, comunque, mi è caduto l'occhio sull'ultima Black e mi sono detta "perché no? Vediamo se esce qualcosa"... Ed è uscito un capitolo. L'ho scritto in un giorno, è l'1:38 di notte e sono stanca, quindi mi scuso già ora per qualsiasi strafalcione.
E per avervi fatti aspettare così a lungo.
Spero questo capitolo vi piaccia.
Se avete voglia, ogni commento è più che apprezzato :D









La Casata dei Black
 

L’arrivo di Harry portò un po’ di tensione, a Grimmauld Place. Tra Harry stesso, ferito per essere stato tenuto all’oscuro dell’Ordine, Jackson, che si comportava in modo più possessivo del solito verso Kait, e Sirius, deciso a far partecipare il figlioccio alle riunioni come fosse un membro effettivo, tutti erano più nervosi. Forse, pensò Kait distrattamente, è contagioso. Come quando qualcuno piange e piangono tutti… O quando qualcuno vomita e anche gli altri finiscono per stare male.

Alzò lo sguardo su suo padre e Harry, intenti a discutere sull’Ordine.

“Kait è dentro! E ha solo un anno più di me!” sbottò il ragazzo. Lei sollevò un sopracciglio e schioccò la lingua.

“Non mettermi in mezzo,” sibilò calciandolo sotto il tavolo. Un’occhiataccia di Sirius le disse di non aver preso bene la mira; abbassò lo sguardo in un gesto di scuse.

“Sentite,” cominciò Harry, ma venne interrotto da un forte rumore: qualcosa era andato in mille pezzi.

“Scusate!” gridò Tonks dall’ingresso. “Sono inciampata, non l’ho fatto apposta… Il vaso era tanto importante?”

Sirius sgranò gli occhi, mormorando qualcosa come “quello di quasi due secoli fa? Certo che no!”. 

“Oh, Tonks!” esclamò Kait alzandosi dalla sedia con uno sbuffo. Uscì in corridoio, ridacchiando nel vedere la cugina cercare di risistemare il vaso ormai distrutto. Un brivido le corse lungo la schiena, però, nel sentire che il disastro di Tonks aveva risvegliato il quadro di sua nonna.

Quella vecchia megera non faceva altro che urlare e urlare e urlare. Ancora non le era stata davanti, non si era mai fatta vedere, perché un po’ la intimidiva - era sua nonna, insomma. Con tutta la famiglia che aveva perso, tutto ciò che rimaneva a Kait erano ricordi e nomi.

“Chi diavolo sei? Come osi insudiciare la casa dei miei padri!” gridò il quadro. Tonks, l’espressione scioccata, si allontanò a tutta velocità.

“Sono tua nipote,” mormorò Kaitlyn, rimasta sola.

Improvvisamente Walburga tacque, un luccichio interessato negli occhi. Si sporse in avanti. “Figlia di Regulus?”

Dev’essere morta prima di lui, ragionò la ragazza. O forse non sa che non aveva figli.

“No, signora,” rispose avvicinandosi di qualche passo così da esserle di fronte. “Di Sirius e Dorcas Meadowes.”

Ancora le lasciava l’amaro in bocca l’idea di aver creduto per tanti anni che fosse Gillian, sua madre - eppure… Eppure il suo cuore ancora piangeva al ricordo. Si era presa cura di lei e dei suoi fratelli, che fosse per una questione di sangue o meno.

“Figlia del traditore!” strillò Walburga. “E della cagna!”

Kait trasalì e indietreggiò di scatto.

“Spero di aver mantenuto la mia promessa, lurida ragazzina!”

“Promessa?” domandò la nipote, basita.

“Gliel’ho detto, a quella traditrice di tua madre. Finirete tutti sottoterra!” urlò. “Uccideremo te e tutti gli altri bastardi che quella cagna di Meadowes ha sfornato, e tortureremo lei fino a farla impazzire. Ci sarà il Marchio Nero alto nel cielo, ma tu saprai che li ho mandati io. Solo allora quel lurido rinnegato di Sirius avrà il permesso di morire!”

Kait trattenne il respiro, immobile. 

“E tutti sapranno cosa accade a chi si mette contro i Black!”

“No,” sussurrò la ragazza. “Sei… Sei stata tu,” disse in un fiato. “Li hai… Oh Merlino,” sentiva il panico, lo shock aumentare, “sei stata tu! Li hai mandati tu, sei stata tu!

Delle braccia la strinsero all’altezza della vita e del seno, costringendola contro un petto maschile.

“Avevano cinque e otto anni. Cinque e otto anni! Come hai potuto. Come hai potuto!” urlò con tutta la forza che aveva, il cuore sprofondato sotto il dolore e la rabbia, la rabbia che montava sempre di più. “Erano dei bambini. Innocenti. Non meritavano… Erano dei bambini!

Jackson e Remus stavano cercando di richiudere le tende del quadro, per zittire Walburga - la strega, infatti, aveva ricominciato a inveire sui traditori del proprio sangue e aveva alzato il volume nel vedere Remus. “Un ibrido nella casa dei miei padri!” fu l’ultima cosa che riuscì a gridare prima che i due riuscissero a silenziarla.

Improvvisamente stremata, Kait si lasciò andare contro l’uomo che ancora la teneva stretta e una parte della sua mente, quella più lucida e analitica, le fece notare che si trattava di Sirius.

“Respira,” le mormorò lui all’orecchio. La fece voltare per guardarla in viso e le passò i pollici sulle guance - solo allora Kait si rese conto di aver pianto.

“Lei ha… le-lei li ha…”

“Lo so,” sussurrò Sirius abbracciandola e accarezzandole i capelli. “Vieni, leviamoci da qui.”

La accompagnò in salotto, senza mai separarsi veramente da lei, forse per paura che crollasse o forse per se stesso - per essere sicuro di non aver perso anche lei. Di avere ancora la sua bambina.

I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli e Sirius si sarebbe fatto ammazzare pur di non dover seppellire anche Kaitlyn.

“Senza cuore,” stava mormorando lei.

“Già. Si teneva in vita per puro dispetto.”

Il tentativo di alleggerire l’atmosfera non andò a buon fine e Sirius si grattò la nuca, a disagio davanti alle lacrime della figlia. Non era una che piangeva poi così facilmente - ed era sicuro Remus sarebbe stato meglio di lui, nel consolarla.

Ma sono io suo padre, pensò. È compito mio.

La fece sedere sul divano da poco libero dall’infestazione di Doxy e cercò di rassicurarla con un sorriso. Kait neanche lo notò, continuando a borbottare.

“Aveva otto anni. E Hannah… Le-lei solo cinque. Erano dei bambini,” tirò su con il naso. “Erano solo dei bambini.”

“Lo eri anche tu,” la interruppe Sirius con dolcezza, sforzandosi di non lasciar trasparire il proprio dolore.

Kait non diede segno di averlo sentito. “Ed erano innocenti. Avrei dovuto… Avrei dovuto proteggerli, aiutarli e - e invece sono morti e non ho fatto niente! Niente!

“Non ci pensare nemmeno!” sbottò Sirius. “Non è stata colpa tua. Sei sopravvissuta per miracolo e non è stata colpa tua. Okay?! È stata quella stronza e se proprio vuoi incolpare qualcuno, prenditela con me. Io l’ho fatta infuriare, io non ero lì a tenervi al sicuro.”

Kait sgranò gli occhi. “Papà…” sussurrò.

Si abbracciarono e Sirius cominciò a dondolare sul posto, cullandola inconsciamente come fosse tornata piccola come l’ultima volta che l’aveva stretta prima di Azkaban.

“Sei viva. Sei… Sei tutto il mio mondo. Non è colpa tua. Voglio che tu sia felice. Tengo a te più di qualsiasi altra cosa. Non voglio perderti. Sei la mia bambina.”

Non sapeva neanche più cosa stava dicendo, tutto ciò che voleva era continuare a parlare e toglierle dalla mente il senso di colpa.

“Andrà tutto bene,” mormorò infine. Allontanò il viso e notò che Kait stava fissando il vecchio arazzo de “La Nobile e Antichissima Casata dei Black - Toujours pur”. Il nome di entrambi era coperto da una macchia bruciata e così quello di Nathan e di Hannah. Probabilmente erano presenti solo perché purosangue, visto che di Ninfadora non c’era traccia.

“Pensi che le sarei piaciuta?”

“A tua nonna? Ah, domanda difficile. Penso avrebbe apprezzato la tua forza, sicuramente, visto che i Black sono principalmente una “famiglia” - passami il termine - matriarcale, ma… Non ti devi offendere, è che…”

“No,” lo interruppe Kait. “Mamma.”

L’intero corpo di Sirius si tese, per poi rilassarsi contro lo schienale del divano. Rimasero fermi così, le gambe di lei su quelle di lui, il viso di Kait contro la sua spalla, a guardare l’arazzo.

“Ti avrebbe adorata,” sussurrò. “Era più… Delicata, rispetto a te. Aveva meno rabbia, meno dolore… Ma era forte come te. Due forze diverse, sicuro, però… Non si piegava. Anche se terrorizzata, anche se senza speranza, lei non si piegava.”

Kait annuì, incitandolo a continuare.

“Era bella quasi quanto te, ma più delicata anche in questo. Sai, i Black affascinano e colpiscono. Lei ti entrava sotto la pelle senza che tu te ne rendessi conto. E osservava, osservava sempre. Non era una che faceva casino, o molto popolare, o che amava l’attenzione degli altri. Si limitava a guardare il mondo. Guardava in silenzio e così sapeva tutto.”

Prese fiato, perso nei ricordi.

“Al quinto anno ho spezzato il cuore a Mary MacDonald, una Grifondoro che praticamente era caduta ai miei piedi dopo un sorriso. Lily era sua amica e non ti dico che sfuriata mi sono dovuto sorbire… E al tempo neanche stava con James! Ma Lily odiava vedere Mary soffrire - o chiunque, a dir la verità - e così aveva preso le sue difese. Quando ho lasciato Gillian mi aspettavo che Dorcas si comportasse allo stesso modo. E invece no.”
Ridacchiò, ancora stupito dal comportamento di Cas. Lo aveva stregato in quello stesso istante.

“Cosa è successo?” domandò Kait con un filo di voce.

“È venuta da me. Non potevo crederci,” rise. “È venuta da me, timida e silenziosa come al solito, e mi si è seduta accanto. Ero sui gradini che portano da Hagrid. Lo ricordo come fosse ieri.”

 

Sirius sentì un fruscio alle proprie spalle e sbuffò. “Era solo una storiella, Ramoso. Non ho bisogno che mi consoli. Stessa cosa per te, Remus,” esclamò senza nemmeno voltarsi.

Il silenzio seguì le sue parole e per qualche secondo pensò di essere rimasto solo… Fu solo nel vedere una ragazza sedersi accanto a lui che Sirius si rese conto di avere vicino l’amica di Gillian e non i due Malandrini.

“Venuta a combattere per l’onore di Gill? A dirmi che faccio schifo? Che sono un donnaiolo?” domandò con tono amareggiato. Aveva davvero pensato che le cose avrebbero potuto funzionare.

Lo aveva ferito capire di essersi sbagliato - non che lo avrebbe mai ammesso! Era un Black, alla fin fine.

“Mi dispiace,” rispose la Corvonero. Sirius le lanciò un’occhiata confusa.

“Penso tu ci stia male quasi quanto lei. E mi dispiace.”

“Ah sì? E dimmi, principessa, com’è che ti sei fatta questa idea?” ghignò. Tanto nessuno avrebbe visto ciò che provava davvero.

La ragazza scrollò le spalle. “Io osservo. E penso di doverti ringraziare. Credo tu ti sia reso conto di come stavano davvero le cose e sia intervenuto.”

“E come starebbero, queste cose?” mormorò Sirius.

“Non credo tu sia la persona adatta a Gill.”

“Su questo siamo d’accordo, biondina.”

“Dorcas.”

Sirius si voltò a guardarla negli occhi, inclinando la testa come a dire “e quindi?”.

“Mi chiamo Dorcas.”

“Lo so,” sorrise Sirius, stavolta con sincerità. “Non sei una che si dimentica facilmente, Meadowes.”

Dorcas lo fissò e Sirius quasi udì la sua risposta, nonostante non l’avesse espressa ad alta voce. Qualcosa come “in realtà è proprio ciò che sono”. “Ah sì?” sorrise la Corvonero, ripetendo le parole usate da lui in precedenza. “Eh dimmi, principe, com’è che ti sei fatto questa idea?”

Sirius scoppiò a ridere. “Io osservo,” la imitò.

Dorcas rise a sua volta, ma in modo diverso da lui, quasi in silenzio, come se non volesse disturbare il mondo circostante, o fargli sapere della sua presenza.

“Scusa,” si riprese dopo qualche secondo - e Sirius avrebbe voluto dirle di continuare, che non gli dava fastidio, e tuttavia tacque. Aveva appena lasciato la sua migliore amica, avrebbe atteso almeno una settimana o due prima di provarci con, beh, chiunque.

“Sono davvero dispiaciuta per com’è finita tra voi,” continuò Dorcas.

“Lo so. Sei troppo buona per non esserlo.”

Alzarono entrambi lo sguardo al cielo, tinto dei colori del tramonto. “Non so come sopravviverai a questo mondo.”

“Solo perché non parlo molto non vuol dire che non me la sappia cavare,” ribatté Dorcas.

“Non sopravviveresti un minuto, di fronte alla mia famiglia.”

 

“E invece sapeva tenerle testa. Lei e mia madre… Non hai idea. Quando vedevo Cas affrontare la megera io… Mi sentivo così fiero di lei. E così preoccupato.”
“Avevi paura le facessero del male?”

Sirius annuì, stringendo Kait un po’ più forte.

“Mi dispiace,” sussurrò lei.

“Per cosa?”

“È morta di parto. È morta a causa mia e di Hannah.”

Aveva ripreso a piangere.

“Okay, okay, basta,” Sirius la allontanò da sé e le prese il viso tra le mani. “Questa storia del senso di colpa deve finire.”

Kait aprì la bocca per ribattere “tu ti odi per cos’è successo a James e Lily”, ma lui le baciò la fronte e le parole le morirono in gola.

Fu in quel momento che Remus entrò in salotto, lo sguardo preoccupato e allo stesso tempo concentrato di chi vorrebbe intervenire ma si trattiene. Kait batté la mano sul cuscino accanto a sé e presto si trovò stretta tra i due.

“Potreste sposarvi,” cercò di scherzare dopo qualche momento, quando sentì i respiri di entrambi farsi più lenti.

“Uh, vorrei proprio vedere come reagirebbe la Casata dei Black. Traditore e gay,” ridacchiò Sirius senza aprire gli occhi, contento di nascondere il viso sul collo della figlia e sentirne il profumo, la pelle liscia… Sentire che lei c’era ancora.

“E con un lupo mannaro,” aggiunse Remus, nella stessa posizione dell’amico ma dalla parte opposta. “Traditore al quadrato,” sorrise.

“Forse andrebbe a fuoco l’intero arazzo,” commentò Kait.

“Sei ubriaca dal sonno,” la zittì Sirius - e poi, ridacchiando, allungò una mano e strinse quella di Remus, lasciandole entrambe sulle gambe della figlia.

“Pretendo di avere il tuo cognome, sappilo,” sussurrò infine Sirius.

E i tre scivolarono nel sonno.

 

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Capitolo 66
*** See you later, alligator! ***


Ho sempre promesso - a voi, a me stessa, - che sarei riuscita a finire questa fanfiction, in un modo o nell’altro. Che dovessi portarla avanti ancora per mesi o anni. 
Le cose, però, sono cambiate. E non lo dico perché non ami Kait, Jackson & company, visto che non ho mai amato nessuno personaggio creato da me quanto amo Kaitlyn, ma piuttosto perché devo concentrarmi su altro. Ho scritto un libro, sto lavorando a quello dopo, e penso all’ultima Black almeno una o due volte al giorno - che è assurdo, se si pensa che non metto mano a questa storia da mesi. 
Eppure, per qualche ragione, la mente torna sempre lì… E non dovrebbe. Tra i libri, l’università - che mi toglie parecchio tempo - e una vita che non posso permettermi di dimenticare di vivere, sto lasciando che questa fanfiction sprofondi nel baratro dell’indifferenza.
E preferisco chiuderla qui, piuttosto che continuare a guardarla cadere.
Non smetterò di pensarci, perché sono fatta così, ma almeno avrò la certezza di avervi dato una sorta di chiusura, sebbene fittizia, e di non avervi lasciati ad aspettare un capitolo che non arriverà mai.
Perciò ecco ogni minima frase che io abbia mai scritto su come dovrebbe continuare, a cui affiancherò più di una spiegazione; ho sempre avuto più di una strada percorribile, più di un’idea, quindi avrete la possibilità di decidere quale avreste preferito.
 
Prima di cominciare, però, lasciate che vi dica grazie. Grazie a chi ha solo letto, ma ha continuato a farlo, e chi, soprattutto, ha dedicato qualche minuto per scrivermi un commento - siete stati la mia gioia in molti brutti giorni.
Kait e questa storia in generale non muoiono, oggi; smettono di vivere su carta, per continuare nella vostra, se vorrete, mente - e sicuramente nella mia.
 
 
(Forse, e dico forse, nei prossimi giorni aggiungerò le idee che avevo avuto per una fanfiction di questa fanfiction ahah ma vedremo. Vi avviso che già solo questo file è bello lungo.)
> Questo doveva essere l’inizio del prossimo capitolo:
 
“Penso che Tonks abbia una cotta per te,” sospirò Kaitlyn nascondendo un braccio sotto il cuscino e sollevando così la testa quel tanto che bastava a guardare Remus. L’uomo stava segnando magicamente alcune date sul calendario che teneva accanto allo specchio della propria camera; si lasciò quasi scivolare la bacchetta nell’udire le parole della figlioccia.
“Non fare quella faccia,” rise lei. “Hai visto come ti guarda? O come diventa impacciata quando le sei vicino?”
“Tonks è sempre impacciata. Sa a malapena camminare.”
“Come vuoi,” mormorò a quel punto Kait, alzandosi dal letto con un’espressione malandrina. “Resta pure nella fase della negazione.”
Lo superò, dirigendosi verso la porta, che aprì. “Io ti appoggerei, però. Spero che su questo non ci siano dubbi.”
Dopodiché si dileguò, ridendo internamente alla voglia che provava ogni tanto di uscirsene con frasi ad effetto - doveva averlo preso da suo padre, quella grande regina del dramma.
Stava ancora pensando a lui quando andò a sbattere contro qualcuno… E non una persona qualsiasi. Era Harry, gli occhi verdi sgranati dalla sorpresa e le labbra schiuse.
“Ciao,” la salutò.
“Ciao,” rispose Kait, tornando per un secondo l’undicenne confusa e a disagio in qualsiasi Casa Hogwarts le proponesse. La ragazzina che Harry aveva tenuto stretta, dandole coraggio e amicizia e amore.
Il petto le mandò una fitta fastidiosa e Kaitlyn abbassò lo sguardo, accennando un sorriso completamente forzato.
“Come stai?” mormorò.
“Oh, ehm… Bene. Tutto bene,” le sorrise lui a sua volta. “Vorrei mi venisse detto un po’ di più, ma per il resto… Bene. Sì, bene. Tu?”
Quanto imbarazzo, pensò Kait. Quanto imbarazzo dove prima esisteva solo calore.
“Sto bene,” annuì.
“Jackson?”
“Bene anche lui.”
Si scambiarono un altro sorriso impacciato e si superarono, entrambi rilasciando il fiato che avevano trattenuto senza volere.
 
A cui sarebbe seguita una missione; una di quelle brutte brutte, piene di sangue e di urla e dello schifo che la guerra porta con sé - quello schifo che nei libri di storia, alla fine, non entra mai.
Ci sarebbe stato un altro litigio Remus-Sirius:
 
“Pensavo che Kait potrebbe venire a vivere qui. Insomma, ha già una camera.”
“Kaitlyn vive con me, Sirius. Ha tutte le sue cose a casa nostra. Sì, ogni tanto dorme qui per comodità, ma non ci vive.”
“Sì, lo so, è sempre stata con te e ti sono immensamente grato per esserti preso cura di lei. Però sono qui, Remus, cioè… Ora sono qui. Posso prendermi cura di lei.”
“Sirius…”
“Puoi venire anche tu. Ovvio. Solo…”
“È tua figlia?”
“Sì, Remus. È mia figlia. La voglio con me.”
“Non sei neanche in grado di prenderti cura di te stesso, pensi davvero di poterlo fare con lei?!”
“FUORI! Mi hai sentito, Remus? Fuori!”
“BENE! Ma Kait viene con me!”
“No, lei resta qui!”
“Io ho la sua custodia e comunque non sei tu, a dover decidere!”
“Ben detto, facciamo scegliere a lei!”
Sirius si preparò ad urlare per chiamare la figlia, ma prima che potesse farlo, lei era già entrata. Remus si portò le mani alla bocca, capendo che aveva ascoltato ogni cosa.
“Kait...”
“Io me ne vado. Non ho intenzione di scegliere.”
___
“Jackson, posso dormire da te?”
“Certo, Kay, ogni volta che vuoi.”
 
 
 
L’estate sarebbe finita a breve e - facciamo così, scrivo al presente ahah 
Kait comincia a svolgere una doppia vita: metà a scuola, in aperto conflitto con la Umbridge, e metà con l’Ordine e, ovviamente, con Sirius (con alcuni scontri).
 
(Sirius: “È assurdo pensare che ho passato più tempo ad Azkaban che con James.”
Kait: “È assurdo pensare che ho passato più tempo con Piton che con te.”
////////
Una sera, dopo una missione particolarmente cruenta: “Lo so, lo so, lo so. Non sono il figlio di James,” risata amara ma, soprattutto, tremante, “e solo guardarmi ti ferisce perché ti ricorda ciò che hai perso. Lo so. Ma Remus è di ronda e i-io,” si guarda le mani coperte di sangue, e sussurra: “io ho davvero bisogno del mio papà.”
Abbraccio.
/////
“Non riesci neanche a guardarmi?!”
“Non è colpa tua, Kait. È che… È che assomigli così tanto a Dorcas… E mi ricordi così tanto i miei bambini…”
“Non ti conoscevano neanche!”
“Questo non vuol dire che non li abbia persi!”
“Li ho persi anch’io! Ed ero io, lì, non tu! Io sono stata da sola nel bosco, coperta di sangue, senza sapere se sarei sopravvissuta o meno. Io ho abbracciato Hannah e le ho cantato una ninna nanna, io ho visto Nathan per l’ultima volta. Io, Sirius, io! E tu non riesci neanche a guardarmi!”
“Da quando mi chiami Sirius?”
Da quando hai smesso di farmi da padre! O forse dovrei dire che non hai mai cominciato.”
/////////
“Mi dispiace, se non sono un padre migliore.”
“No, di-dispiace a me. Vorrei essere una figlia migliore.”
//////
Kait e Narcissa litigano.
“Aspetta che arrivi tuo padre e...”
“Mio padre? Forse intendi mio zio.”
///////
Scena a casissimo che però avevo scritto: Daphne: “Non credevo che la perfezione esistesse, poi ho guardato nello specchio...”
Pansy: “E hai visto Kait dietro di te?”
 
Harry crea l’Esercito di Silente - con l’approvazione di Kait, perché con il passare dei mesi tornano lentamente a un livello di amicizia piuttosto profondo (anche se litigano perché lei non lo aiuta a insegnare all’ES, nonostante lei gli spieghi di essere impegnata nella guerra in ben altro modo)… C’è anche qualche confusione: Kait vede Harry e Cho e sente un po’ di gelosia e non riesce a spiegarselo, mentre Harry continua a non sopportare Jackson perché - e lui lo ammette - non ha mai veramente dimenticato Kait. Ad ogni modo, rimangono soltanto amici.
Kait è innamorata di Jackson e una sera va a dormire da lui e da cosa nasce cosa. Continua a non sentirsi completamente a suo agio con questo tipo di contatto fisico, ma si fida di lui e sente di dover fare qualcosa per tranquillizzarlo del fatto che ci tiene, e che Harry è nel passato. 
Quando arriva Natale, Kait soffre ancor di più la palese facilità con cui Harry e Sirius hanno stretto, anche se si sforza di essere contenta per entrambi. Jackson è sempre teso per l’interesse che Kait prova verso l’ex, però la loro relazione regge.
Ed ecco che arriva la fine del quinto anno.
Ed è qua che accade il casino.
Perché Harry ha la visione e, preso dal dover salvare Sirius e fare un po’ l’eroe, parte per il Ministero senza fermarsi ad avvisare Kait, che in quanto Black avrebbe potuto costringere Kretcher a dire la verità. In quel momento lei è con i Serpeverde - Draco ha sofferto la poca attenzione della cugina per tutto l’anno, e fa un po’ il capriccioso.
Quando Kait esce dai sotterranei, va a sbattere contro Piton, che le spiega la situazione - pur senza apprezzarla molto, lui l’ha accettata come membro dell’Ordine/una dei pupilli di Moody. Quando capiscono che Harry è andato al Ministero, l’Ordine accorre.
Quando Sirius finisce oltre il velo a causa di Bellatrix, Remus è più vicino a Harry e quindi trattiene lui. A trattenere Kait, che all’inizio cade in ginocchio, senza voce, e poi comincia a urlare e a scalciare come un’ossessa, ci pensa Malocchio. Appena Harry si libera, Kait dà una testata a Moody - gesto infelice, ma giustificato - e gli corre dietro. Harry non è capace di mantenere la Cruciatus su Bellatrix; quando lo fa Kait, invece, è proprio lui a doverla fermare, perché ha paura finirà per ucciderla - non che non se lo meritasse, eh.
A quel punto arriva Voldemort, a cui dell’ennesima Black traditrice non potrebbe fregare di meno. La fa volare contro un muro senza troppe cerimonie.
Quando rinviene, Jackson è accanto a lei; la tira in piedi e si ritrova accanto a Harry e a Silente. È pieno di fotografi. 
Kait si fa guidare fuori dal Ministero, poi si gira verso Harry. Si fissano.
“È tutta colpa tua,” gli dice.
Poi si attacca a Remus e insieme si Smaterializzano. Harry e Silente tornano a scuola.
Jackson, zoppicante e pieno di tagli, non sa neanche cosa fare o dire - Moody gli prende la mano e entrambi spariscono in una nuvola di fumo bianco.
 
Nel buio della notte illuminata solo dalla tenue luce delle stelle, la ragazza sfiorò con mano tremante l’arazzo dei Black. Dopodiché entrò in cucina e si mise alla finestra. 
C'era la luna nuova, quella sera, e ciò non fece altro che incrementare la sua inquietudine. Alzò il volto verso il cielo, in una silenziosa richiesta di aiuto. 
Con gli occhi socchiusi pieni di lacrime non ancora versate, Kaitlyn fissò una stella, una stella in particolare. La stava contemplando da qualche minuto, quando udì dei passi. Poi, una voce: “tesoro?"
Con un cupo sorriso, la ragazzina attese che il padrino le venisse vicino. Si sentì cingere da forti braccia: Remus appoggiò il viso sulla testa di Kait, annusandone i capelli, che sapevano di un buon odore di pesca.
"Perché sei qui?" domandò la Black in sussurro perso nell’aria umida che entrava dalla finestra spalancata. 
“Pensavi ti avrei lasciata sola?” rispose lui. "Come stai?" chiese dopo qualche secondo, sciogliendo l'abbraccio e posizionandosi al suo fianco.
"Ha importanza?" 
La voce di Kaitlyn fu talmente flebile, talmente addolorata e piena di angoscia, che Remus si sentì percorrere da un brivido. Non osò dire niente; l'unica cosa che fece fu mettere una mano sulla spalla della ragazza e trarla a sé. Riusciva a percepire le ondate di dolore di cui lei era sommersa. Kait stava annegando nel malessere e nella sofferenza, e stava a lui tentare di portarla in salvo, sulla terra ferma. 
Ci sarebbe riuscito: sarebbe bastato circondarla, come un salvagente, e donarle più amore possibile. Doveva farlo - o vivere non avrebbe più avuto senso. Senza sua figlia - e si sentì uno schifo, a pensarlo, perché Sirius era morto solo poche ore prima - nulla aveva senso.
Kaitlyn si scostò leggermente da lui e alzò il volto verso le stelle. Ne indicò una in particolare, quella che brillava più di tutte in assoluto. "Vedi quella?" domandò tentando inutilmente di ricacciare indietro le lacrime. 
Remus annuì; sembrava aver capito dove la Black volesse andare a parare, ma rimase in silenzio, forse per lasciarle dire quelle parole ad alta voce, forse perché aveva capito che lei ne aveva bisogno, o forse semplicemente per non spezzare la magia della notte, di cui Kait sembrava far parte.
"La vedi? Quella è Sirio."
Dopodiché, Kait non riuscì a far altro che scoppiare a piangere, nascosta nell'incavo della su spalla. 
"Shhh... Kait, shhh. Va tutto bene. Shhh..." le parole del lupo mannaro arrivavano attutite alle orecchie dell'Unità, che non riusciva a smettere di singhiozzare.
"Aveva giurato!" cominciò a dire con voce sempre crescente. Arrivò perfino ad urlare, ad un certo punto. 
"Aveva giurato!" 
Anche qui Remus parve capire, perché la strinse ancor più forte, mentre lei gridava sul suo petto. "Aveva giurato che non mi avrebbe lasciata mai più!”
///Qualche ora dopo:
“È anche colpa mia, s-se è morto.”
“No, Kait…”
“Sì. Ron stava combattendo dall’altra parte della sala rispetto a me. Lo riuscivo a vedere, anche se Bellatrix mi teneva piuttosto occupata. L’ho visto quando quel Mangiamorte lo ha disarmato. L’ho visto. E ho avuto un secondo, un solo secondo, per decidere. Io o lui. Io o lui, io o lui.”
Remus si sporse in avanti, la bocca schiusa in un’espressione di improvvisa comprensione.
“E ho scelto me. Ho scelto me, tra noi due sarei morta io! Così ho lanciato un Protego su di lui e-e ho visto Bellatrix sorridere. Ma anziché colpire me, ha approfittato del momento di pausa pe-per… Per colpire mio padre.”
Un respiro. “Io ho scelto me. Lei non ha fatto altrettanto.”
Strinse i pugni fino a ferirsi, facendo uscire il sangue. Osservò le varie gocce per qualche secondo, disgustata da quella purezza di cui la sua famiglia tanto si vantava. “E ora lui è morto. Non che sia strano,” rise, sconfiggendo l’apatia con il suo lato fuori di testa. “Tutti quelli che amo finiscono per morire. Immagino fosse una questione di tempo.”
Si alzò, sorridendo a Remus un’ultima volta. “Fossi in te scapperei a gambe levate. Non sia mai che tu sia il prossimo.”
//////
 
Segue una delle peggiori estati della vita di Kait - e non solo per il lutto, ma perché dopo qualche giorno si dirige, senza dire niente a nessuno, al cimitero dov’è sepolta tutta la sua famiglia. Moody la prenderebbe a scappellotti, lo sapesse, perché è il luogo più banale dove tenderle un agguato.
Lì, infatti, Kait ci trova tre Mangiamorte.
Ma anziché combattere, abbassa la bacchetta.
 
Tutti penseranno ho combattuto, ragionò. Avranno qualche dubbio, ma alla fine si convinceranno che sia stata una brutta sfortuna. Si sforzeranno di crederci per poter dormire la notte, e andrà tutto bene.
Abbassò la bacchetta e sorrise. Bellatrix sorrise a sua volta, negli occhi la luce della follia. 
“Dai, zia Bella. Non ho paura di morire.”
“Oh, tesoro,” sussurrò Lestrange. “Eppure pensavo ormai lo sapessi.”
Kait sentì dei passi alle proprie spalle, dopodiché un forte colpo alla testa.
Come un’eco, la voce di Bellatrix cantò: “ci sono cose ben peggiori della morte.”
 
Viene presa e portata nei sotterranei del Manor di una qualche famiglia purosangue (non Malfoy Manor), dov’è poi torturata. Sul braccio Bellatrix le incide a sangue “Toujours pur”, perché ricordi sempre che chi nasce Black muore Black. Poi la marchia a fuoco con lo stemma dei Black. 
Kait, nonostante pensasse di reggere di più grazie agli allenamenti di Moody, dopo due settimane non ce la fa più. Comincia a considerare di rispondere alle domande dei Mangiamorte riguardo l’Ordine. È a quel punto che l’Ordine stesso prende il controllo del Manor. Quasi tutti i Mangiamorte scappano, ma l’importante è che Jackson la trova e la porta via. 
La distinzione versione 1 e 2 saranno fondamentali dopo, tuttavia già adesso c’è una differenza - e anche abbastanza importante: 
  • nella 1, quella verso cui tendevo, è che Jackson ha sfruttato ogni tipo di collegamento e favore che aveva con gente poco per bene e ha ottenuto abbastanza informazioni da capire dove trovare Kait. Si scoprirà in seguito che Draco sapeva ciò che stava accadendo e non ha detto nulla, non ha mosso un dito per aiutarla (e qua si aprono altre due strade. a) era troppo spaventato b) (verso cui tendevo) Narcissa lo ha implorato di non fare niente, perché già stava perdendo una quasi-figlia, non poteva perdere anche lui. Nonostante non si sia schierato, il fallimento di Lucius con la Profezia farà sì che Draco prenda il Marchio.
  • Nella 2, che però non mi ha mai convinta molto, è stato Draco ad avvisare Jackson. Come ripercussione, prenderà il Marchio.
 
(Non so quando: Kait: “Credo che non ti sia chiara una cosa: non mi hanno piegato i Mangiamorte, non mi piegheranno i Black. Per quanto bastardi possano essere…”)
 
Il resto dell’estate, Jackson e Kait saranno legati come non mai. Solo verso la fine il peso dei loro cambiamenti - lei si è chiusa molto, dopo l’esperienza con i Mangiamorte, mentre lui è diventato quasi troppo protettivo - comincia a dare qualche problema.
La loro relazione, comunque, regge.
Kait scopre del Marchio di Draco verso ottobre, dopo che Harry le ha messo la pulce nell’orecchio - ha ricominciato a parlare con lui grazie a Hermione e Ron (che poco gentilmente li hanno chiusi in una stanza finché non hanno accettato di passare oltre gli avvenimenti dell’estate. Impossibile dimenticare, facile fingere). 
Kait affronta Draco, scioccata e nauseata dall’idea che sia un Mangiamorte.
 
"Avevi promesso!" 
Con quelle parole dense di dolore, Draco riuscì a bloccare la Black, alla quale tremarono le mani. "Questo..." e indicò il Marchio tatuato sul braccio "questo cambia qualcosa? Cambia forse il tuo affetto per me?" 
Kait si voltò, trattenendo le lacrime. "Ti voglio bene, Draco. Ma pensaci: quando indosserai la maschera bianca e il mantello, e ti ritroverai di fronte a me, ad un Auror, cosa farai? Dirai al tuo Signore "Scusa, ma lei no, abbiamo promesso quand'eravamo bambini!"? Eh, Draco? Riceverai l'ordine di uccidermi, e cosa farai?”
/////
“Possiamo aiutarti. Se tu ti fidassi d-”
“Di chi?! Dell’Ordine?! Quante famiglie ha provato a proteggere, Kait? E quante, di loro, sono morte?! Inclusa la tua.”
Kait trasalì, facendo un passo indietro senza neanche rendersene conto.
/////
“Voglio che tu metta un segno sul tuo mantello, Draco. Qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa mi permetta di sapere che non devo colpire te.”
/////
 
Harry, che si è messo con Ginny a settembre (sì, ho affrettato i tempi, facendo che durante l’estate leghino molto), a un certo punto parla con Kait di Sirius, spiegando cosa è successo.
 
“Io lo capisco, Harry, però…”
“Era tutta la famiglia che mi era rimasta!”
Kait alzò di scatto la testa, immediatamente nervosa. “Era mio padre, non dimenticarlo mai.”
“Lo so, ma…”
“No, Harry, quello che devi sapere è che non mi hai neanche chiamata. Non come tua amica, non come figlia di Sirius, non come membro dell’Ordine! Mi hai tenuta fuori quando avrei potuto ordinare a Kretcher di dirmi la verità, o avrei potuto usare lo specchio che ci aveva dato mio papà,” Harry sbiancò, realizzando che non ci aveva pensato, “o chiamare l’Ordine. Qualsiasi cosa, Harry. Ma l’avremmo fatta insieme.”
//////
Jackson li vede abbracciati, dopo quel litigio (Jackson fa su e giù tutto l’anno, per parlare o con Kait o con Silente).
 
"Kay, c'è solo una cosa che mi distrugge di più che vederti stare male. Ed è vederti stare male per colpa sua, tra le sue braccia, mentre dimostri quanto lo ami e quanto io, invece, sia insignificante.”
“Non è così. Te lo giuro, Harry è- tu sei diverso. Io ti amo, Jackson!”
 
Ma le cose durano poco, dopo quel momento.
Kait lo lascia a febbraio, odiandosi perché lo ama davvero, lo ha sempre amato e una parte di lei lo amerà sempre.
È solo che ama più Harry - e un giorno va da lui e glielo dice, anche se sta con Ginny.
 
"Non ho mai smesso di amarti!" urlò, sull'orlo delle lacrime. Harry si bloccò, continuando a darle le spalle, incerto se crederle o meno. 
Il vento sferzò duramente i loro visi. "Non ho mai smesso di amarti... solo di dimostrartelo!"
//////////////////
 
Entrata in Sala Grande, Kait si sedette accanto a Hermione, che stava facendo colazione in tranquillità. La riccia fissò l’amica, porgendole un muffin con una mano e del latte con l’altra. Kaitlyn lanciò un’occhiata sospettosa al bicchiere che Hermione le stava offrendo, ebbe un attimo di esitazione e poi lo afferrò di scatto, bevendolo in pochi e grandi sorsi. La Granger le intimò di mangiare qualcosa - non avrebbe accettato un “no” come risposta - e Kait sorrise.
Fu allora che la porta della Sala Grande si aprì per far entrare Harry e Ron, e subito il sorriso di Kaitlyn si fece immediatamente più teso.
Hermione represse un sospiro e appoggiò il muffin, facendo spazio sulla panca ai due migliori amici, ma la porta della Sala Grande si aprì di nuovo e lei sentì la bile salire. Il sorriso di Kait si spense definitivamente.
Afferrò un frutto, tanto per mangiare qualcosa e far contenta la Granger; si alzò e in meno di un secondo si congedò. Nel momento stesso in cui Kaitlyn chiudeva la porta della Sala dietro di sé, Ginny si sedette al posto dell’Unità delle Case, accanto a Herm, che si sentì terribilmente a disagio. Ginny era sua amica, ma vedersela vicino, a chiacchierare con Harry e punzecchiarsi con Ron, non le piaceva per niente.
Hermione ingoiò la bile e si costrinse a essere gentile.
...Almeno finché Lav-Lav non fosse arrivata.
 
A un certo punto Kait crolla, accettando di aver perso Harry, ormai.
 
"Weasley!" gridò Kait, avvicinandosi al gruppo delle Grifondoro del quarto anno amiche della rossa. Questa avanzò di qualche passo, la fronte corrugata per la preoccupazione - sentimento che però scomparì quasi immediatamente, lasciando spazio all'astio. 
"Che vuoi, Black,” imperativa arrivò l'esclamazione di Ginny, la quale incrociò le braccia al petto e, con stizza, si sistemò un ciuffo fuori posto. 
"È tuo."
La rossa restò senza fiato, congelata dalle parole della lontana cugina. 
"Chi?" domandò confusa, temendo (e allo stesso tempo sperando) la risposta. 
"Harry. E' tuo, mi tiro indietro, lascio il colpo,” rispose con voce cupa Kaitlyn, gli occhi azzurri impenetrabili.
Dentro stava soffrendo come un cane, ma non voleva darlo vedere. Non voleva certo che Ginevra conoscesse questa sua debolezza! Anche perché stava con Harry, ci stava lei! Non Kait.
Non io, pensò con una fitta al petto.
"Perché?!" domandò insicura la Weasley, che ormai si era abituata a dover sempre combattere, metaforicamente parlando, con la cugina. E ora... si tirava indietro? "La gente muore. Ragazzi orfani e genitori che perdono i figli, bambini che si vedono portare via i propri fratelli, nonni che accudiscono i nipoti perché i veri genitori sono stati uccisi… La gente muore! Per sete di potere, stupide litigate, incidenti, per Maghi Oscuri e errori di calcolo. La gente muore e non ci si può fare niente, come non si può fare niente per fermare questa guerra."
Kait prese fiato, gli occhi lucidi.
"Non voglio che Harry debba affrontare la guerra fuori Hogwarts, ma non ci posso fare niente, è il suo Destino. Ma almeno posso evitare che affronti questa, di guerra. La lotta tra la sua migliore amica e la sua ragazza. Sta già male per tutto ciò che sta succedendo, non serve aggiungere noi due. Perciò..." riprese nuovamente fiato, distogliendo lo sguardo dalla ragazzina dai capelli rossi parecchio più bassa di lei. 
Quando parlò, il tono di voce fece indietreggiare le amiche della "Stracciona", come la chiamava Draco. 
Quando parlò, lo fece con decisione, fissando la lontana cugina dritto negli occhi azzurri. 
Quando parlò, il volto non tradì il suo dolore, la voce non le si incrinò. 
Quando parlò, il gelo di ciò che disse le raggiunse il petto, facendolo congelare e, sotto il peso dei suoi sentimenti, il cuore si incrinò.
Quando parlò, la Weasley capì, finalmente, che persona fosse in realtà Kait.
"Hai vinto. Mi arrendo, mi tiro indietro."
Quindi si girò e in silenzio, lo sguardo vuoto e del tutto privo di gioia, se ne andò. Ma non andò molto lontano, perché la rossa le chiese la cosa più stupida del mondo, a suo parere. “Cos’è, non lo ami abbastanza?!" 
Fu forse una presa in giro, quella domanda, o semplicemente una risposta astiosa; sta di fatto che Kait si voltò, improvvisamente più viva, e con due falcate coprì la distanza che la separava dalla cugina. 
"Lo amo più della mia stessa vita, lo amo talmente tanto da anteporre la sua felicità alla mia. Io lo amo. E tu, Ginevra?"
La Wesley sentì i capelli della Black sferzarle il volto.
Pochi secondi dopo l'Unità si era dileguata.
 
Dopo una corsa senza sosta, Kait arrivò alla Torre Grifondoro, disse la parola d'ordine alla Signora Grassa ed entrò nella Sala Comune. Harry, Hermione e - stranamente - Ron, stavano studiando, chini sui libri. 
Appena la vide, Potter saltò in piedi e le andò incontro, nervoso. "Kait!" la chiamò, vedendo che lei aveva tirato dritto senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. 
Si voltò verso l'amico, - che poi tanto amico non era - disperata. Tutti i sentimenti di sconforto e dolore che prima aveva represso scivolarono fuori, rendendo inutile il suo lavoro.
"Ha vinto,” le tremò la voce. “È finito. È tutto finito."
Con una mano a coprirle il viso, la ragazza corse nel suo dormitorio, lasciando Ron di stucco, Harry confuso e Hermione indecisa. Doveva andare dalla sua amica? Non aveva nemmeno finito il tema di trasfigurazione! Fece correre lo sguardo dai libri alle scale, più e più volte, prima di incontrare lo sguardo sofferente di Harry, che andò a confidarsi con Ron. 
Con uno sbuffo, Herm corse dietro a Kait.
////////
 
“Ma perché gli sbavi dietro in questo modo?!”
“Lui è diverso. È spiritoso, forte, impulsivo, testardo... coraggioso... Ha... lui ha carisma.”
Draco la guardò, un sopracciglio inarcato.
“Draco, lui non è un semplice mezzosangue che si è messo tra Voldemort e i suoi piani...”
“Oh, lo so. Credimi, lo so. Lui è il mezzosangue per cui hai tradito definitivamente la nostra famiglia. Lui è il mezzosangue che tu e i tuoi amichetti, che tutti voi, state seguendo in guerra, neanche fosse Merlino in persona.”
Kait lo fissò, immobile.
“So che non è uno qualunque, Kait. Lui è il mezzosangue che ti ha portata via da me.”
///////
Non so bene quando:
“Scusa, dicevi? Ho avuto un black-out " disse Harry, fissando distrattamente l'amico. 
“Sì, un Kaitlyn Black-out,” rispose Ron. Si guardarono qualche secondo, poi scoppiarono a ridere.
 
A questo punto, due importanti strade si aprono.
  1. Come accade nel libro, Draco fa entrare i Mangiamorte a Hogwarts; quando, staccandosi dal gruppo, incontra Kait, le chiede perdono. (“Sapevi che sarebbe successo?!” - “Ti prego, ti prego, perdonami!” - “Qui ci sono dei bambini, dei bambini! Tu non sei mio cugino, tu non sei più… Sei come tutti gli altri.” - “No, ti preg-” - “Per me sei morto.”). Kait, sebbene forse troppo duramente, alza ogni tipo di barriera emotiva e finge di non provare più niente, per lui. Silente muore, Draco segue Piton verso la sua nuova vita. Kait, appena uscita dal portone d’ingresso, lo osserva scappare con orrore. Solo Silente muore, quella notte. Kait vede Harry piangere in una parte del cortile. Lo raggiunge.
  2. Quando Draco fa entrare i Mangiamorte a Hogwarts, Jackson è lì per parlare e chiarire una volta per tutti con Kait (le aveva mandato una lettera, dicendo “preferisco averti come amica che non averti affatto”). Purtroppo, si imbatte nei Mangiamorte. Kait, ignara di tutto ciò, viene avvertita da dei bambini che i Mangiamorte sono nella scuola; correndo si imbatte in Draco, staccatosi dal gruppo. Quando la vede, scoppia a piangere e le chiede perdono. (Di nuovo: “Sapevi che sarebbe successo?!” - “Ti prego, ti prego, perdonami!” - “Qui ci sono dei bambini, dei bambini! Tu non sei mio cugino, tu non sei più… Sei come tutti gli altri.” - “No, ti preg-” - “Per me sei morto.”). Kait, di nuovo, alza ogni tipo di barriera emotiva e finge di non provare più niente, per lui. (“Mi dispiace,” è l’ultima cosa che lei gli sente dire. “Anche per il tuo amico.”). Non capendo, Kait comincia a cercare per la scuola, finché non sente delle urla di bambini riecheggiare per il corridoio - è quindi distratta, gira l’angolo guardandosi alle spalle, è così facendo inciampa su qualcosa. È il corpo di Jackson, gli occhi spalancati e la bacchetta ancora nella mano rigida. Kait rimane ferma, senza fiato, per diversi secondi, dopodiché lo stringe tra le braccia e lo culla come si farebbe con un bambino. È solo quando una Tassorosso e un Serpeverde del primo anno, spaventati, le chiedono di accompagnarli in giardino dove tutti sono riuniti, che Kait si riprende. Lo lascia in disparte, in un angolo di un’aula, con sopra una tenda strappata da una finestra. Conduce i bambini fuori e si fa forte per Harry, che vede piangere in una parte del cortile. Lo raggiunge.

Ginny scattò in avanti, pronta a fornire sostegno al ragazzo che aveva rapito il suo cuore e che singhiozzava istericamente, ancorato al corpo del preside. Ron alzò appena gli occhi su di lei, troppo preso dal suo dolore e da quello dell’amico, e  Hermione la fissò senza vederla. Ginny fece un passo in avanti, ma si bloccò immediatamente quando vide Kait posizionarsi accanto ad Harry. 
E Ginny allora capì, vedendo il Prescelto voltarsi verso Kait e abbracciarla di slancio, piangendo e stringendosi a lei come se ne andasse della sua vita, capì. Ginny capì, mentre sul suo cuore si appoggiava il peso della consapevolezza, capì che in un modo o nell’altro, Harry aveva fatto la sua scelta.
Va tutto bene, si disse, le mani strette alla bacchetta che tremavano. Va bene scegliere.
Poi si voltò e si allontanò, in un turbine di capelli rossi, il volto ricoperto di lacrime.
 
> Nella versione 1), Jackson stringe Kait a sé, quella sera, e le dice che è contento che si sia rimessa insieme a Harry, e che lui abbia lasciato Ginny per lei. “Sarebbe stato un idiota a scegliere lei,” sorride. Il suo cuore piange, ma le guance sono asciutte.
La versione 2) segue con Moody che tira Kait di lato e le chiede dove sia finito Jackson. Quando lei glielo mostra, lui crolla in ginocchio e non parla per le successive quattro ore. Dalla signora Everdeen vanno entrambi, ma non c’è bisogno di dire una parola. Basta l’espressione sui loro visi perché lei cominci a urlare.
 
> Harry e Kait stanno di nuovo insieme, ma lui sa di dover partire alla ricerca degli Horcrux. Lei decide che farà su e giù, un po’ con loro e un po’ con l’Ordine, e di tenersi in contatto attraverso le monete dell’Esercito di Silente.
È a quel punto che muore Moody.
 
Con la coda dell’occhio, Kaitlyn vide Mundungus smaterializzarsi: un istante dopo, Voldemort colpì Moody, già stato disarmato. 
Kait lo vide cadere da un’altezza di poco meno di trecento metri e si sentì morire.
Ancora una volta, era lei quella sopravvissuta.
 
Versione 1) 
“Sto facendo violenza fisica su me stessa, ma non piangerò.”
“Perché piangere è da deboli?” <---Jackson
“No. Perché le lacrime mi impedirebbero di vedere. Ricorda, Jackson. Vigilanza costante.”
Jackson e Kait si fanno forza l’un l’altra, alla morte di Moody. Il leader dell’Ordine e il suo vice sono entrambi morti nel giro di due mesi; quando i membri devono decidere il nuovo leader, optano per mettere entrambi al comando. Jackson accetta l’incarico al volo, Kait prima guarda Harry con preoccupazione, poi annuisce comunque. La McGrannitt si offre di fare da vice.
 
Versione 2)
“Dobbiamo trovare un nuovo leader,” mormorò Arthur Weasley da un angolo del salotto, lo sguardo stanco e le mani ancora coperte del sangue del figlio.
“Io propongo Kait,” esclamò Remus dopo un secondo di esitazione. La ragazza in questione alzò di scatto la testa e lanciò un’occhiata al gruppo. Tutti stavano annuendo.
Fissò Harry.
Annuì anche lui.
Allora si mise in piedi, pensando che quella stessa notte il suo mentore era morto, e che non era pronta e che la gente sarebbe continuata a morire.
“Accetto,” disse.
Sorrise, ma quella stessa notte morse il cuscino e urlò con tutta la forza che aveva.
 
A questo punto, in entrambe le versioni se ne aprono due.
Versione A): Draco continua a essere un Mangiamorte, la sua storia va più o meno avanti come il libro.
Versione B): un Mangiamorte riesce a rubare dei documenti importanti da una nuova recluta dell’Ordine, incaricata di tenerli al sicuro. Kait e Tonks, arrivate sulla scena, si lanciano all’inseguimento. È tutto molto caotico, ma Kait riesce a colpire il Mangiamorte - tuttavia, lo colpisce mortalmente. Tonks afferra i documenti e insieme spariscono, lasciando il corpo lì perché non hanno tempo per chiamare gli Auror - che tanto sarebbero stati corrotti, probabilmente. La mattina dopo Kait riceve una lettera da Narcissa, che chiede di incontrarla e che promette di non tenderle una trappola. Dopo una serie di scambi per essere sicuri a parlare non sia Bellatrix, Kait accetta e fissa per quel pomeriggio. Narcissa è lì per darle la notizia della morte di Draco (che, al “per me sei morto”, aveva tolto il segno che permetteva a Kait di individuarlo tra i Mangiamorte). (“Cissy…” - “Non voglio saperlo. Se sei stata tu, intendo, Kaitlyn. Non voglio perdere anche te, quindi non voglio saperlo. Non dirmelo mai.” - queste sono le sue parole, ma lo sguardo sa di accusa). Quella sera, Kait si ubriaca tanto da non ricordare più il proprio nome. È Remus, a rimetterla in sesto. Quando capisce il motivo di tutto quell’alcol la stringe per ore e le ripete più volte che andrà tutto bene. Kait ride. Tanto lo sapeva, che tutti quelli che amava finivano per morire - anche se, e questo lo doveva concedere al destino, perché ancora trovava modi per sorprenderla, mai avrebbe pensato sarebbe stata lei stessa, l’assassina.
 
> Siparietto che devo essere stata ubriaca per aver scritto (momento: ignoto):
“Harry, per quanto ne so alcuni Babbani credono in qualcosa di... superiore. Sono... religiosi. Credono in questo Dio, che dovrebbe aiutare e salvare il culo a tutti.”
Harry corrugò le sopracciglia, forse per le parole di Kait  o forse perché non capiva dove volesse arrivare, ma non la interruppe, così la moretta continuò.
“E in alcune di queste... religioni, si crede che prima o poi debba comparire un uomo, inviato da Dio, per... rendere il mondo un posto migliore. Hermione dice che nel Cristianesimo - credo si chiami così - Lui è già arrivato, mentre gli... Ebrei lo stanno ancora aspettando. Non lo so, non mi interessano gli affari dei Babbani, ma so per certo che tu renderai il mondo un posto migliore. Forse non ti ha inviato Dio, Harry, ma qualcuno lo deve aver fatto, perché altrimenti non so spiegarmelo. Avendo te, siamo le persone più fortunate della Terra!”
Kaitlyn prese un bel respiro, posando la mano sul petto del ragazzo, dove era situato il cuore.
“Tu sei il nostro Messia.”
(WTF? Vero? Ahaha)
 
La ricerca degli Horcrux va più o meno come nel libro, perché tanto Kait è più concentrata sull’Ordine - in entrambe le versioni. L’unico momento veramente importante è quando nasce Ted. Harry diventa il padrino, Kait la madrina.
Anche la scena a Malfoy Manor accade più o meno come nel libro, perché Kait è con l’Ordine; l’unica differenza è che nella versione B) Draco è morto e si chiede di identificare Harry a Narcissa, che ha visto più di una sua foto grazie a Kait. Il resto va nello stesso modo.
Il giorno della battaglia, nella versione 1) Jackson e Kait si dividono il perimetro da coprire, gestendo l’Ordine al meglio possibile, mentre nella 2) Kait cerca in tutti i modi di gestirlo da sola.
Sappiamo tutti, a quel punto, cosa succede. 
Kait entra in Sala Grande (al fianco di Jackson o da sola, dipende dalla versione) e in lontananza vede Ron e i Weasley piangere attorno al corpo di Fred. Le viene la nausea e si costringe a distogliere lo sguardo.
A quel punto, qua si aprono 4 possibili strade ahah scusate se è un casino.
Nella seguente scena se Jackson è vivo, ci pensa lui. Se lo è Draco, c’è lui. Se sono entrambi vivi c’è Jackson. Se sono entrambi morti c’è Hermione (che tira fuori più forza di quanto gli altri pensino possibile).
 
Spuntato/a da chissà dove, Draco/Jackson/Hermione la teneva. Con le braccia le circondava la vita, o meglio il petto, comprimendolo e facendo sì che lei stesse, in qualche modo sconosciuto, meglio. Aveva sempre fatto così, quando Kait andava a dormire da lui (con Hermione: quando condividevano il dormitorio) e si svegliava in preda agli incubi sulla sua famiglia. Erano passati anni da quelle notti, eppure Draco/Jackson/Hermione era ancora lì, a stringerla di nuovo. Perché lui/lei sapeva che c'era solo una cosa peggiore di Kaitlyn Black arrabbiata o ferita moralmente. Ed era Kaitlyn Black addolorata.
La strinse maggiormente a sé, mentre lei cercava invano di smettere di essere in iper-ventilazione. Dall'altra parte della Sala, la professoressa McGrannitt la vide scalciare con i piedi, il resto del corpo immobilizzato. Fu lì per andare dai due e liberare Kait, ma poi capì. Capì, guardando la ragazza appoggiare il capo sulla spalla del cugino/dell’amico/a e piangere senza suono, con solo tante e tante amare lacrime, il volto contrito dal dispiacere - vedendo Kaitlyn fissare con sguardo spento il corpo a terra, capì che la povera Black aveva riconosciuto quello che era l'ennesimo caduto in battaglia. 
Anche Kait, vicino al cadavere di Remus, tra le urla di dolore e disperazione, fu sopraffatta dal solito pensiero. Un pensiero fondamentale e veritiero. 
Tutti quelli che amava erano destinati a morire.
 
"Andrà tutto bene. Te lo assicuro, te lo giuro su tutto ciò che ho. Ti prometto che andrà tutto bene. Tu starai bene."
La voce di Draco/Jackson/Hermione non era mai sembrata così falsa.
 
 
Nella versione in cui Draco è vivo:
 
"Sono stata un'egoista, Draco, e ti chiedo di perdonarmi, per questo,” sussurrò la mora, stremata. Erano seduti su una delle poche panche miracolosamente rimaste in piedi; Kait, con il busto piegato in avanti, i gomiti appoggiati alle ginocchia e il volto seppellito tra le mani, si sentiva tremendamente in colpa. Suo cugino - di secondo grado - se ne stava stravaccato sulla panca, i gomiti appoggiati al muro dietro di sé, una mano posata sulla schiena della ragazza. 
"Cosa Merlino stai dicendo?" rispose Draco corrugando le sopracciglia e notando, quasi distrattamente, che una ciocca dei suoi perfetti capelli biondi ricadutagli sugli occhi era nera, piena di sporco dovuta alla battaglia e a tutte le macerie. 
"Ho pianto, ho urlato e mi sono disperata perché il mio padrino è morto. Ma anche il tuo è morto stanotte. E sei qui a consolarmi, quando dovresti essere a... Piangere..." 
Kait si voltò verso il cugino, facendo tacere immediatamente ogni tentativo di dire “i Malfoy non piangono". Perché se un Black poteva piangere, urlare e disperarsi, allora un Malfoy poteva permettersi di far scendere qualche lacrima in pubblico.
 
Kait è troppo presa dal proprio dolore e dal cercare in modo disperato di organizzare chi, nell’Ordine, è ancora vivo e capace di combattere.
Quando Voldemort parla nelle loro teste e lei capisce cosa Harry farà, comincia a correre più veloce che riesce - ma quando raggiunge Ron e Hermione, lui si è già consegnato.
Le cose seguono come nel libro, anche se è Kait a uccidere Bellatrix, e non Molly, e nella versione B), dove Draco è morto, il tradimento di Narcissa la porta a essere uccisa da un Mangiamorte.
Con la morte di Voldemort la guerra finisce. La Sala Grande è colma di feriti e cadaveri, così Harry e Kait si sistemano fuori, accanto a un muro semi distrutto, e parlano di ciò che è successo. 
 
“Voldemort ha minacciato la vita/è stato la causa della morte di Draco. E’ per questo che Narcissa ha tradito. Nessuna madre starebbe con le mani in mano mentre il figlio muore.”
////////
“Li ho visti, tutti quanti. Remus mi ha detto… Remus mi ha detto di dirti che non smetterà mai di vegliare su di te.”
"Hanno un bambino. Avevano un bambino," sussurrò Kaitlyn, appoggiandosi a quello che, da quel momento in avanti, sarebbe stato chiamato "il Salvatore del Mondo Magico". Lui la lasciò parlare, capendo il suo bisogno di sfogare le proprie angosce. "Credo sia questo ciò che mi fa più male. Hanno lasciato un bimbo orfano." 
Dopo la scenata in Sala Grande (o in quel che ne restava), Kait si era ripromessa di non piangere più, ma anzi di festeggiare il fatto che la guerra fosse finita e che il suo padrino fosse di nuovo con i Malandrini. Se l'era ripromessa, però calde lacrime le stavano già rigando le guance.
"Devo dare la notizia ad Andromeda. Ma non credo di riuscire a farlo da sola. Vieni con me?" 
"Sempre. Non ti lascio sola, né lo farò mai.”
“Ti amo.”
“Ti amo anch’io,” e si baciarono con una dolcezza stravolta.
“Sei sicuro di non volerti tirare indietro?” gli domandò dopo qualche istante. “Ginny sarebbe ben più facile, no?”
“Basta,” le intimò Harry. “Ti amo. E non intendo perderti per nessuna ragione al mondo.”
Si scostò un attimo. “E tu sei sicura di non volere un matrimonio con un buon partito purosangue?" domandò curioso e spaventato all'idea della risposta. 
”Che provino solo a portarmi all'altare e vedranno.”
"E se all'altare ti ci porto io?"
Kait rimase qualche secondo interdetta. "Mi stai..."
"Vuoi sposarmi?"
Ron e Hermione, che si erano avvicinati in silenzio, si fissarono increduli.
"E me lo chiedi? Sì!
Si abbracciarono e Harry la sollevò, girando su se stesso e ridendo di gioia. 
“…Ma con calma, okay?"
“Sì, Kait. Con calma.”
////////
Quando rimase sola, Kait andò a cercare una persona in particolare. Sentiva di doverle parlare, di dover provare a farla sentire meglio.
“George,” lo chiamò quando finalmente lo trovò.
“Ehi.”
Il suo sguardo era tanto perso e pieno di dolore da toglierle il respiro.
“Ho tolto tutti gli specchi che ho trovato, quando ho perso Hannah.”
George sorrise in modo vuoto, causandole brividi lungo la schiena. “Passa mai? Questo dolore.”
Kait valutò solo per un secondo come rispondere, se essere onesta o meno, se dargli speranza o sincerità. Optò per la seconda. “No. No, rimane sempre con te.”
George abbassò lo sguardo pieno di lacrime.
“Ma è meglio così, credimi. A un certo punto la sorpresa del distacco scemerà e tu ti appiglierai a qualsiasi cosa per ricordarti di chi hai perso. Ben venga il dolore, perché il vuoto è persino peggio.”
“Non posso vivere in un mondo in cui lui non esiste.”
Kait lo abbracciò. Avrebbe voluto dire: “e invece sì. È questo che fa schifo.”
Ma rimase in silenzio e lo strinse più forte.
 
Viene eretta una stata per i “Salvatori del Mondo Magico”, al Ministero - Harry al centro, con alla sua destra Hermione, Ron e Neville, e alla sua sinistra Kaitlyn, Jackson, Ginny e Luna.
La ricostruzione della scuola comincia.
 
“Temo, miei cari ragazzi, che Hogwarts non riaprirà.”
Le parole della professoressa McGrannitt arrivarono come una cruciatus ai ragazzi comodamente seduti di fronte a lei. Kait scattò in piedi, stringendo i pugni, e Harry la imitò quasi immediatamente. Subito cominciarono le lamentele, le urla indignate e la rabbia a stento contenuta. 
“Ragazzi, per favore, calmatevi,” esordì la preside alzando le mani in segno di resa. “Non abbiamo abbastanza fondi per ricostruire completamente la scuola. Per non parlare dei soldi che Hogwarts garantisce ai meno fortunati per comprare il corredo. Non posso certo lasciare indietro i più poveri!” 
“Lei non può chiudere la scuola! Silente giurò... Silente giurò solennemente che Hogwarts sarebbe sempre stata qui a darci il bentornato a casa!” esclamò Harry tremando dalla rabbia e frustrazione, oltre che immensa tristezza. 
L’anziana strega chiuse gli occhi.
Sembrava che la questione provocasse dolore alla professoressa, perché si toccava il petto, - nel punto dov’era il cuore - una brutta smorfia sul volto. 
Fu a quel punto che Kaitlyn capì. La McGrannitt odiava l’idea di dover chiudere Hogwarts. Di essere la preside che si dava per vinta. 
Così decise di proporle una scappatoia. Si avvicinò alla sedia su cui aveva posato la borsetta e ne tirò fuori il comodo blocchetto per gli assegni che da poco la Gringott aveva adottato, imitando i Babbani. 
“Bene, professoressa. Mi dica la cifra. Dopotutto, cosa saranno qualche milione di Galeoni!”
La donna la fissò come se fosse l’incarnazione di Voldemort, negando nel frattempo con la testa. Harry si strozzò con la saliva, ricadendo seduto e pensando ai soldi che Kait era pronta a spendere e che, inevitabilmente, i loro futuri figli non avrebbero avuto. Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, la purosangue si voltò verso di lui, schioccando la lingua infastidita. “Resto comunque molto ricca!” volle specificare. Non che fosse necessario - anche lui navigava nell’oro!
“Sì, sì,” sorrise Harry infatti. “Posso donare anch’io!”
La professoressa McGrannitt scosse la testa. “Mi rifiuto di accettare l’elemosina,” sbottò con tono offeso, dando la schiena ai due ragazzi. Kaitlyn allora finì col dire ciò che le premeva di più, il vero motivo per cui si trovava nell’ufficio della preside quel pomeriggio.
“Sarà uno scambio. Lei farà un favore a me e io ne farò uno a lei,” mormorò tirando fuori una pergamena accuratamente piegata. La distese sulla cattedra e la girò, facendola così vedere alla preside. 
Leggendo, la strega deglutì più volte: l’intero viso dimostrava la sua titubanza. 
“Io le pagherò la bellezza di nove milioni di galeoni per la ricostruzione e la messa a nuovo della scuola, oltre alla sostituzione dei professori che andranno in pensione quest’anno e la creazione di fondi per i ragazzi poveri. In cambio le chiedo questo, preside. Le chiedo di permettere l’entrata ad Hogwarts di tutti i maghi undicenni affetti dal morbo della licantropia.” 
Harry trattenne il fiato, una mano istintivamente corsa alla bacchetta. La McGrannitt, invece, sospirò, togliendosi gli occhiali e poggiandosi la mano sugli occhi; sembravano entrambi desiderosi di ignorare la sua proposta, far finta di niente. Ma Kaitlyn era risoluta.
Per Remus, doveva farlo. Per lui.
“Accetto.”
Con un sorriso vittorioso, Kait firmò l’assegno, scrivendo la cifra sul blocchetto.
A quel punto, l’unica questione rimasta in sospeso era Ted Remus Lupin.
Ma Kait sapeva che ce l’avrebbe fatta anche con lui. In un modo o nell’altro avrebbe vinto anche quella volta. Avrebbe ottenuto la tutela del bambino: l’avrebbe adottato e si sarebbe occupata di lui. Con o senza aiuto da parte degli altri.
////////
“Pensavi di parlarmene, prima o poi?” sospirò Harry, appoggiato con una spalla sullo stipite della porta.
“Lo adotterò con o senza di te. Dopo tutto quello che Rem ha fatto per me…”
“Lo so. E sono d’accordo. Voglio iniziare con te quest’avventura, e aiutarti. Prendermi cura di lui insieme a te. Basta che non mi respingi.”
“Scusa. E sì, lo prometto. Basta respingerti.”
 
Nella versione 1) (verso cui tendevo, visto che adoro Jackson e nella 1 è vivo), Jackson riceve l’opportunità di occupare un ruolo di grande rilievo tra gli Auror di New York. Si trasferisce lì la sera stessa del matrimonio di Kait e Harry. Una parte di lui sarà sempre innamorata di lei, ma spera che la lontananza e il tempo affievolisca il sentimento. Si trasferisce di nuovo in Inghilterra appena cinque anni dopo, quando la madre si ammala. È in quel periodo che si avvicina a Ginny. Un anno e mezzo dopo lei aspetta il loro primo e unico figlio, Alan (soprannominato Al, in ricordo di Alastor). 
Nella versione 2) non sono mai andata così avanti a pensare.
Ma facciamo un passo indietro.
 
“Facciamoci un tatuaggio!” esclamò Harry, lanciandosi in una spiegazione che Kait fermò sul nascere. Sapeva cos’erano, grazie tante.
“Ma sei pazzo?” 
Harry le si avvicinò, stringendola contro un muro; le prese il volto e glielo alzò, facendo scontrare le loro labbra. 
“Sono pazzo d’amore per te,” sussurrò e a Kait venne voglia di urlare al mondo intero che quell’uomo era suo, che l’avrebbe avuto per sempre, e che anche lei lo amava da impazzire. Invece, annuì soltanto. 
E così, i due si ritrovarono a farsi un tatuaggio. Harry scelse il braccio destro, dove si fece disegnare un piccolo treno che ricordava particolarmente l’Espresso per Hogwarts. Quando Kait gli chiese il motivo, lui sorrise con dolcezza e mormorò: “ero a King Kross con Silente. Potevo passare avanti, in pace, ma ho voluto prendere il treno per tornare da te.” 
Kait, invece, si fece tatuare sotto il seno sinistro la parola “survivor”, sopravvissuta, accettando finalmente di essersi meritata quella vita che tanto aveva disprezzato durante gli anni. 
Erano bellissimi, anche perché la magia fece in modo che si muovessero. Bastò un piccolissimo incantesimo non verbale per evitare di sentire dolore - non perché non fossero in grado di sopportarlo, ma piuttosto perché ne avevano già provato troppo.
“E ora sposami,” disse Harry, appropriandosi delle labbra della sua futura moglie, che sorrise e annuì.
“Ti ho già detto di sì,” sorrise.
“Questa settimana. Sposiamoci questa settimana.”
“Sei pazzo!” rise. “Ma, . Sposiamoci questa settimana.”
Una fitta poco sopra all’ombelico prese i due innamorati, che avevano tempestivamente deciso di smaterializzarsi. Era bastata un’occhiata, per decidere. Quando però si ritrovarono alla Tana, davanti a tutta la famiglia Weasley più Andromeda e Teddy, Kait arrossì e sussurrò, all’orecchio di Harry, parole come “Io avevo pensato ad un letto!”
Harry James Potter si ritrovò a ridere, mentre Molly guardava incredula il tatuaggio sul braccio e Ted correva loro incontro.
“Gente, mi sposo!” urlò il Grifodoro, nella sua ormai conosciuta impulsività.
Ted, dal bambino sempre allegro che era, rise e batté le mani.
 
Nella versione A), in cui Draco e Narcissa sono vivi, entrambi cercano di frenarla dallo sposarsi. Kait li apostrofa con un “se volete essere felici per me, venite, altrimenti restatevene a casa, non ho bisogno di voi!”.
Il giorno del matrimonio, che si tiene nel giardino di una Hogwarts completamente ricostruita e che ha fin troppi invitati, Kait è chiusa in un’aula - al momento adibita a camerino. Ha un vestito bianco con una fascia nera in vita, e i capelli sono perfetti e così il trucco e davvero, non è mai stata più bella. 
Ma le mani tremano e gli occhi sono umidi di lacrime mal celate.
Nella versione 1), che a questo punto è l’unica a cui ho pensato perché, ripeto, con la 2) non mi sono spinta così in là: quindi Jackson entra nella stanza, pronto a svolgere il suo compito di compare, di testimone (di certo non damigella) d’onore.
(Harry ha Ron e Hermione. Kait ha Jackson e, in teoria, Draco, che però non è lì perché non approva il matrimonio).
 
“Tutto okay?” domandò Jackson con un filo di voce. “Perché sei ancora in tempo per scappare.”
Kait rise senza allegria. “Non c’è altro luogo in cui vorrei essere.”
“Lo so,” rispose lui. “E so anche che oggi mancano molte persone che vorresti qui.”
Kait annuì e le sfuggì un singhiozzo, perché Hannah e Nathan e le sue due madri erano morte, e così qualsiasi uomo avesse considerato un padre. Remus, Alastor, Sirius… Tutti morti.
“Mi sono appena resa conto,” mormorò in un moto di isteria, “che non ho nessuno che mi porti all’altare.”
“Ci sono io,” la fece sobbalzare una voce e anche prima di voltarsi Kait sorrise. L’avrebbe riconosciuta tra mille.
“Stai dicendo che mi sostieni, ora?” sussurrò mentre Jackson usciva con passo felpato.
“Noi ci guardiamo le spalle, vero?” sorrise Draco, le mani in tasca e l’aria più sana che avesse avuto dal quinto anno.
“Vero.”
Si abbracciarono e tutto sembrò migliore, per Kait. Più facile da sopportare.
“Mia madre voleva che tu avessi questo,” le disse tirando fuori dalla tasca un braccialetto di diamanti e zaffiri. “Ha detto che avresti avuto bisogno di qualcosa di blu e di prestato.”
Commossa, Kait lo indossò. “Dov’è?”
“Dove dovrebbe essere,” sorrise Draco. “In prima fila.”
 
Quella sera, Jackson si trasferisce, mentre Harry e Kait partono per una luna di miele più che meritata - due settimane su un’isola tropicale.
Quando tornano, a Kait offrono la carica di Capo Auror, che accetta con piacere. Harry comincia subito a lavorare lì a sua volta, ma nel giro di qualche mese si rende conto che non è ciò che vuole fare per il resto della vita. Quando la McGrannitt glielo offre, accetta subito il ruolo di nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
Lui e Kait (e Ted) prendono una villa poco fuori Hogsmade, non troppo isolati ma senza vicini, con un grande parco annesso. Ogni membro dell’Ordine e dell’Esercito di Silente contribuisce a piazzare incantesimi di difesa e trappole, perché Harry e Kait hanno un po’ di stress post traumatico e non si fidano di dormire in un posto non protetto (soprattutto visto che c’è anche Ted). Inoltre, viene subito deciso che in caso di una nuova guerra sarà il loro Quartier Generale.
La vicinanza con Hogwarts fa sì che Ted possa arrivarci con poco sforzo, ma quando compie undici anni e deve andare a scuola Harry insiste per portarlo a King Kross.
 
"Ted!" lo chiamò un'ultima volta Kait. 
"Sì?" l'undicenne si voltò speranzoso, mentre il treno mano a mano si riempiva. Stringendo la mano di Harry, la Black parlò. 
"Si prenderanno cura di te,” disse sorridendo emozionata.
Ted parve confuso. "I professori?" chiese dubbioso. 
La madrina scosse lentamente la testa, poi volse lo sguardo a qualcuno alle spalle del figlioccio, e sorrise. "Si prenderanno cura di te,” mormorò ancora, un groppo in gola, mentre Ted Lupin veniva spinto sul treno. 
Lei e Harry lo salutarono un'ultimissima volta, quindi il treno partì, portando l'undicenne ad Hogwarts e facendogli cominciare la sua più grande avventura. 
La scuola.
"Si prenderanno cura di te,” mormorò Kaitlyn al vento, prima indietreggiando e poi girandosi e allontanandosi dalla stazione, il marito accanto. Nel vuoto del binario 9 e ¾, quattro persone salutarono la giovane donna, senza che lei li potesse vedere. Kaitlyn era stata la loro Unità delle Case per anni e sarebbe mancata loro parecchio, ma ora bisognava trovare qualcun altro che prendesse il suo posto.
"Prima di lei però abbiamo aspettato tanto... Non possiamo prenderci una pausa?" domandò Priscilla, esponendo i dubbi di tutti. 
Godric scosse la testa. 
Un altro bambino degno aveva il diritto di ottenere il loro aiuto.
Una lacrima solcò il volto dei quattro. 
"Nessuno sarà come lei,” mormorò Salazar. Lui, Godric e Priscilla sparirono subito dopo quelle parole, comparendo in una cittadina sperduta, in mezzo alle montagne, dove un bambino li aspettava.
Una Fondatrice rimase al binario, immobile, a piangere. Lacrime si aggiungevano a quelle già versate: sembrava un pianto infinito. "Lo prometto,” sussurrò al vento, con la strana consapevolezza che Kait l'avrebbe sentita. 
"Mi prenderò cura di lui. Lo prometto."
Quello stesso giorno Ted Lupin fu smistato a Tassorosso.
 
Ecco come la vedo io: essendo l’Unità delle Case, Kait ha quattro figli, uno per ogni Casa, di cui due gemelle. Ted, sebbene lei lo consideri suo figlio (pur raccontandogli sempre dei suoi veri genitori) non lo è davvero.
Il primo a nascere è James Sirius Potter, un Grifondoro ( -> L’ostetrica li guardò con un sorriso. “Avete deciso il nome?” domandò. “James,” esclamò Harry mentre Kait mormorava “Sirius”. Si fissarono per qualche secondo, gli occhi sgranati. “James Sirius Potter, quindi?” chiese conferma l’ostetrica. “Perfetto,” risposero in coro. Poi, in un sussurro, Kait aggiunse: “La McGrannitt avrà un infarto.”). È un James Potter con i capelli neri e il ghigno tipico dei Black, e gli occhi azzurri dei Meadowes. A diciott'anni ha una moto e una sfilza di ragazze ai suoi piedi, così come un lavoro da cercatore professionista e modello part-time (solo a ventidue anni troverà il coraggio di fare coming out. Ted, per festeggiare il suo coraggio, lo bacerà davanti a tutti). 
Il secondo, un Corvonero, porta con sé qualche litigio (“col cazzo che chiamo mio figlio Albus Severus! Lo vuoi marchiare a vita?!”), in cui nessuno dei due vince davvero. Il bambino si chiama Prince - in ricordo del Principe Mezzosangue - Nathaniel Potter. Il rimando a suo fratello rende Kait fiera e addolorata al tempo stesso, ma con tre figli e una carica di Capo Auror ha poco tempo per pensarci. È identico a Harry da piccolo, se non fosse per la vista - che di certo non ha preso da lui, visto che, beh, ci vede. (Nella versione in cui Draco sopravvive, Scorpius finisce a Corvonero a sua volta - diventano migliori amici nel giro di due giorni). Da grande diventa pozionista; un incidente con un esperimento gli porta via l’udito dall’orecchio destro, ma gestisce la cosa con estrema maturità e già dopo poco insiste per tornare al lavoro. Starà per un po’ con Alexis Nott, la figlia di Theodore, per poi innamorarsi perdutamente della pazza, piena di vita Roxanne Weasley.
Le gemelle arrivano in modo più o meno inaspettato, perché veramente avrebbero bisogno di una giornata di 48 ore per gestire tutto - eppure reggono, chiedendo aiuto ad Andromeda (e, nella versione in cui vive, anche a Narcissa, molto più rilassata in fatto di purezza di sangue) più di una volta.
Chiamano la prima bambina Lillian (Lily e Gillian insieme) Luna Potter, perché Kait conosce l’italiano e le piace questo rimando a Remus, e perché anche Harry gli voleva un bene dell’anima e quindi è più che contento della scelta. Diventa poi una ragazzina sfrontata, dai capelli rosso fiamma rasati da un lato e lunghi dall’altro, gli occhi ghiaccio dei Black e lo stesso carattere difficile. Viene smistata a Serpeverde il secondo stesso in cui il Cappello Parlante le sfiora la testa - e Lils non smette di ghignare un secondo. Al terzo anno comincia a fare coppia fissa con Scorpius e una volta adulta diventa uno dei migliori Auror d’Inghilterra.
L’ultima arrivata si chiama Cassidy (da Dorcas -> Cas -> Cassidy) Hannah Potter, e in casa nessuno dice mai il suo secondo nome. Ha i capelli castani dei Meadowes e gli occhi cioccolato di James Potter, le lentiggini di Lily Evans e un sorriso dolcissimo che non si sa bene da chi abbia preso; è una Tassorosso e una Metaphormagus come Ted Lupin-Potter, che è un po’ il suo idolo. Arriva quasi a essere ingenua, da tanto buona è, e spesso alle sue spalle si può notare Lillian minacciare con lo sguardo chi osa trattarla con poca gentilezza. Da grande le danno la possibilità di lavorare come Medimago al San Mungo, ma decide invece di diventare assistente sociale (specializzata in bambini affetti da licantropia). Si innamora di Alan Everdeen con ogni fibra del suo essere - meno male, perché aveva il cuore di lui tra le mani ormai da anni.


 
Questa è la storia, questa è la fine.
Grazie di essere stati al mio - al nostro - fianco per tutti questi anni.
 
 
See you later, alligator!
 
 
Dea Potteriana

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Capitolo 67
*** Possibilità fanfiction ***


Ehi, eccomi qua. Appena avrò terminato questo post smetterò ufficialmente di toccare questa fic.
(Vi rinnovo le mie scuse.)
 
Fantasticando a proposito dell’ultima Black, mi son sempre divertita a pensare a due possibili fanfiction… Della fanfiction. Nessuna delle due avrebbe mai visto la vita, eh - però ormai ho fatto trenta, tanto vale far trentuno.
 
La prima fanfiction (si potrebbe definire al quadrato ahah) è sempre nell’universo di HP (ma non so quanto le spiegazioni abbiano un filo logico, quindi boh ahah). La seconda è un crossover con il mondo Marvel.
 
 
 
 
 


1.
Inverno, quasi sei anni dopo la Guerra.
Una strana energia viene recepita da alcuni Auror, che subito fanno rapporto. Kait, giustamente, prende organizza una squadra e va a indagare; non ottenendo una risposta da questa specie di campo di forza fluttuante colmo di energia e di magia, - quasi viva, con cinque gemme brillanti a farvi da cornice, - gli Auror lo tengono d’occhio, ma un po’ se ne dimenticano.
Quando Jackson torna dall’America, Kait gli chiede di accompagnarla per indagare e Harry, che ancora sente una leggera gelosia, decide di andare con loro. Ron e Hermione, in quanto membri del gruppo, - e, parlando di lei, grande studiosa, - si accodano.
Si trovano ad azzardare qualche esperimento, senza sapere davvero come agire. 
Poi, in un istante, questa strana energia esplode e li investe in pieno.
 
Aprirono gli occhi all’ombra di un grande olmo, distesi su un prato fiorito che si estendeva davanti a loro; voltando il viso, un maniero dava mostra di sé.
“Conosco questo posto,” mormorò Kait tirandosi in piedi. Harry, al suo fianco, socchiuse gli occhi e portò la mano alla bacchetta.
Un gruppo di persone si stava avvicinando; tutti si prepararono a un possibile scontro, perché quando vivi la guerra poi non sei in grado di scrollartela di dosso, per quanto tu possa provarci e riprovarci.
Non abbassarono le bacchette neanche quando si resero conto di chi avevano davanti, anzi le strinsero più forte e digrignarono i denti.
“Come osate?!” sbottò Kait, indignata.
Harry tremò al suo fianco. “Vi sembra divertente, fingervi qualcuno che non siete?!”
Ron e Jackson rimasero in silenzio, ma gli sbuffi e le espressioni dei loro visi bastarono a mostrare che erano d’accordo.
Hermione era l’unica dubbiosa; esitò un secondo, dopodiché abbassò la bacchetta.
“So cos’era quell’energia,” mormorò.
Silente, in piedi con le mani incrociate davanti allo stomaco, sorrise e le rivolse un occhiolino. “Sei una strega brillante, per la tua età.”
“Hermione, che cosa…”
“Ci ha portati indietro nel tempo.”
Kait sobbalzò e così Harry, e dopo un’occhiata per capire se erano sulla stessa lunghezza d’onda esclamarono in contemporanea “potrebbero essere Mangiamorte!”.
“O qualsiasi altro impostore,” li sostenne Jackson. “La Pozione Polisucco non è l’unico modo per fingersi qualcuno e i Mangiamorte non sono gli unici bastardi in circolazione.”
“No, parlo anche di cos’era quella strana energia. Un portale. Ho letto al riguardo. Quelle sono gemme particolari, create con la nascita della magia stessa.”
Il resto dell’Ordine, perché di loro si trattava, annuì; Moody fece un passo avanti e immediatamente Kait e Jackson raddrizzarono la schiena, in un vecchio gesto automatico.
“Abbiamo la possibilità di cambiare il passato. Quelle gemme fermano il tempo nel vostro mondo; se vorrete cambiare il nostro, tutto ciò che è accaduto nel vostro passato non esisterà più.”
“Questo non ha senso,” mormorò Harry. “Questa conversazione non dovrebbe essere già successa? Almeno per voi,” e indicò l’Ordine. Lui, Kait e Jackson ancora tenevano alte le bacchette.
“E se cambiamo il passato,” gli diede manforte Kait, “non verremo mai qui. E quindi la Guerra andrà come nel nostro mondo.”
“È un paradosso,” concluse Harry.
“Non è così. Le pietre rendono le cose diverse. Nel momento in cui il signor Potter e il signor Black le hanno trovate,” esclamò Moody e lanciò loro un’occhiata stanca, come a dire “sempre voi due”, “due universi diversi si sono creati. Nel vostro, hanno lasciato lì le gemme. In questo qui, le hanno prese, il che ha reso possibile l’apertura di un portale verso il vostro. Con le vostre conoscenze saremo in grado di fermare la guerra, ma questo non significa che il vostro passato non esista - è solo in un altro piano temporale.”
“Non ci capisco niente,” sussurrò Ron a Hermione, che invece stava annuendo.
“Se risolviamo la guerra qui, possiamo sfruttare la magia delle gemme per riuscire a unire i due universi,” rimuginò lei.
“Così noi vivremmo qui e vedremmo i nostri genitori fare figli… Che sono noi stessi?” pensò Harry ad alta voce e Silente annuì.
“Esattamente, signor Potter - ho supposto sia questo, il tuo cognome?”
“Sì, signore,” sorrise Harry a quel punto, abbassando finalmente la bacchetta. Lanciò un’occhiata a Kait e le fece cenno di imitarlo; dopo una brevissima esitazione, lei eseguì.
Jackson, per reazione a Kait, fece altrettanto.
“Ancora non sono convinta,” borbottò Kaitlyn e Ron, da accanto a Hermione, annuì enfaticamente.
“Nemmeno io,” rispose Jackson. “Potrebbe essere una trappola.”
Fu allora che Silente, Moody e la McGrannitt fecero apparire i propri patroni - impossibili da imitare e quindi capaci di confermare la loro identità.
“Siamo nel passato,” sorrise Harry. “Possiamo cambiare le cose, conoscere i nostri ge-” si interruppe, il fiato bloccato nella gola, e abbracciò Kait di slancio. “Siamo nel passato!”
Le strappò una risata, perché Harry aveva un’allegria contagiosa - anche l’Ordine, a quel punto, sorrideva.
“Hai dei bellissimi occhi,” si complimentò James Potter, dando leggere gomitate a Lily, “quasi fossi figlio di entrambi.”
Harry annuì, emozionato, e James - più giovane di lui, come cavolo funziona il mondo?! - gli riservò una pacca sulla spalla. Lily, più dolce, lo abbracciò. “Come ti chiami?” gli domandò.
“Harry. Harry James Potter.”
L’Ordine si presentò uno a uno, sorridendo a Hermione e Ron - subito tartassato di domande dai gemelli Prewett, i suoi zii, - ed esultando all’idea di avere un Auror allenato e preparato quanto Jackson, già accanto al padre e a Moody.
Kait rimase un po’ in disparte, sorpresa dal carico di emozioni che stava provando, e lanciò un’occhiata a Sirius, scoprendo che la stava già guardando.
“Ciao, raggio di luna. Come ti chiami?” le chiese avvicinandosi, Remus, Dorcas e Gillian al suo fianco - Harry, poco distante, osservò lo scambio con un sorriso intenerito.
Kait in un primo momento non rispose, sorpresa e senza fiato, e si limitò ad alzare una mano e a sfiorargli con dolcezza il viso. Gli passò un dito sulle tempie, sotto gli occhi, sulle labbra e sulla mandibola, studiandolo. Sentiva che Sirius stava trattenendo il respiro, ma non gli diede molto peso.
“Kaitlyn,” sorrise lei. Poi si voltò verso Remus e gli accarezzò una guancia sfigurata. “Siete giovanissimi,” mormorò a quel punto.
Sirius ghignò, accennando una battuta sul fatto che sicuramente era ancora un gran figo, tuttavia Kait lo ignorò, troppo focalizzata su una ragazza bionda e… Incinta.
“Puoi toccarla,” mormorò Dorcas, spinta da un istinto primordiale che le urlava “fidati di lei. Prenditene cura. Amala”. 
Kait si piegò e appoggiò la fronte sulla pancia della madre, che conteneva il feto che un giorno sarebbe diventato suo fratello Nathan.
“Sei bellissima,” sussurrò poi quando si alzò, accennando all’aspetto radioso della madre.
“Oh, no. Tu lo sei,” sorrise Sirius. “E qualcosa mi dice che non sei una semplice sconosciuta…”
Kait scosse la testa, la gola chiusa sotto il peso di un macigno. Si limitò a nascondere il mento nell’incavo del suo collo, le mani appoggiate sui suoi fianchi senza stringere - ci pensò Sirius, che la abbracciò con una delicatezza che pochi si sarebbero aspettati.
“Ti prego, dimmi che non ho fatto troppi casini,” la implorò dopo qualche secondo.
Kait rise e Harry, avendo sentito, le fece eco. Si avvicinò al gruppo, i genitori al seguito.
I due gruppi si presentarono, in un’eccitazione sempre crescente fomentata da James e Sirius.
“Siete buoni amici, eh?” domandò dopo un po’ Gillian, mentre si dirigevano tutti verso il suo manor, alla fine del giardino.
“Noi?” scoppiò a ridere Kait.
Harry si strozzò con la saliva. “Siamo stati migliori amici per anni,” spiegò, mantenendosi sul vago.
“E ora?” suggerì Sirius alzando e abbassando le sopracciglia con fare pettegolo - dopodiché mormorò qualcosa sul non voler rimanere scandalizzato.
“Ora siamo sposati.”
 
“CHE COSA?!”
 
 
 
 
 
2. Crossover + Soulmate AU 
E mi dispiace un sacco dover ammazzare pure lui, ma in questa storia andava così ahah
Durante l’ultima battaglia, nell’uccidere Voldemort, Harry è morto (Jackson e Draco un anno prima). Kait, pur sentendosi la deriva, ha cercato di rimettere insieme la sua vita - dando per scontato, però, che morirà sola.
Si inizia a buttare nelle peggiori missioni suicide, sperando che un giorno accada qualcosa di troppo grave che la faccia cadere in battaglia.
Un giorno la trova: sempre il solito campo di energia che nessuno riesce a capire; sembra provenire da una strana pietra verde conficcata nel terreno, con strani simboli incisi. Kait vi si avvicina, perché è il capo ed è l’unica nella squadra che non ha una famiglia.
Si volta per riferire che non è niente di pericoloso, quando un rumore assordante sovrasta le sue parole. Vede tutto verde per un secondo e quando la vista le torna scopre di essere sul tetto di un grattacielo di New York. Sul suo braccio, con suo grande stupore, si sta formando una scritta nera - quasi fosse tatuata.
 
Un gruppo ben fornito di persone la stava osservando, chi con armi più o meno nascoste, pronte all’uso, e chi con un sorriso diplomatico stampato sul viso.
Due uomini fecero un passo avanti, le mani alte nel gesto universale di “non voglio farti del male”. Kait, che era capo Auror e che aveva combattuto una guerra, strinse la presa sulla bacchetta e non accennò ad abbassarla.
“Signorina…” cominciò uno dei due uomini, estremamente elegante in un completo scuro. Le fece cenno perché lei dicesse il suo cognome, tuttavia Kait rimase in silenzio.
“Capisco,” sforzò un sorriso. “Io sono il Direttore Coulson. Sono a capo della Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division, S.H.I.E.L.D. abbreviato. Questo,” e indicò il biondino, - patriottico, pensò Kait con tono di scherno, - “è il Capitano Steve Rogers, alias Capitan America.”
Procedette a piegarle chi, delle persone alle loro spalle, faceva parte dello SHIELD e chi dei cosiddetti Avengers. “Il portale che l’ha portata qui doveva legare il nostro mondo al suo, per permettere a un nostro agente,” disse Coulson indicando un uomo - sarà stato sulla trentina - in disparte, “di visitarlo.”
“E perché lo voleva, se posso chiederlo? E cos’è questo tatuaggio che mi è comparso sul braccio?”
Coulson annuì, indicandolo con un dito. “L’agente May proviene dal suo mondo, signorina…” si schiarì la voce, attendendo ancora una volta il nome.
“Può chiamarmi Kait. O, vista la vostra passione per i gradi, colonnello. Ma mi dia del tu.”
“Bene. Dicevo… L’agente May proviene dal tuo mondo, colonnello, in particolare quello magico, ma un incidente ha portato all’apertura involontaria di un portale quando era un bambino. L’agente May,” e stavolta indicò una donna asiatica ben diversa dal ragazzo, che era invece occidentale, “è stata incaricata di prendersene cura.”
Esitò, prima di rivolgerle un piccolo sorriso. “Lo ha poi ufficialmente adottato.”
“E ora volevi rivedere il nostro mondo?” domandò Kait, parlando direttamente all’uomo. Le sembrava familiare, con quei capelli neri come la pece e gli occhi ghiaccio.
Se fosse stato un Purosangue, avrebbe detto che assomigliava a un Black.
“In realtà non mi interessa poi così tanto. Non ho motivi per tornarci,” rispose lui. “Non sono stato io, a pensare fosse una buona idea.”
Kait annuì, poco interessata - era ovvio. Se passi quasi tutta la tua vita in un posto, casa tua è quella, non dove sei nato.
“E il tatuaggio?” 
“Quello è ciò che chiamiamo “soulmark”, un marchio, una specie di tatuaggio che quasi tutti hanno, in questo mondo, e che mostra le esatte parole che ti dirà la tua anima gemella la prima volta che ti parla.”
Kait rimase in silenzio per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere, una nota cinica nella voce. “Anima gemella, eh?”
“La persona più adatta a te, e non importa quanto tu possa provare a odiarla, finirai per amarla. È piuttosto comune, qui.”
“E anche voi ce l’avete?” domandò allora, squadrandosi il braccio con interesse - e astio, perché una parte di lei continuava a piangere Harry e lo avrebbe fatto per sempre.
“Sì,” confermò Coulson. Poi, allungando una mano, fece per toccarle la spalla. “Posso? Ti leggo le parole, così non dovrai aspettare di trovare uno specchio,” propose accennando al fatto che la scritta fosse al contrario rispetto a Kait.
Abbassando la bacchetta, la giovane donna annuì.
“Mi suona molto contro il libero arbitrio, comunque,” mormorò mentre Coulson le toccava il braccio - pronta, in ogni momento, a reagire in caso di un attacco improvviso. 
“Ci sono persone che aspettano tutta la vita di trovare l’anima gemella. È un dono, non una costrizione,” le spiegò. Sembrava un po’ intristito all’idea che lei rifiutasse la grandezza dei soulmark.
Si schiarì la voce. “Dice: dir-
“Quindi qualche poveretto mi aspetta da anni, senza sapere quando arriverò,” sbottò allora Kait, interrompendolo ma parlando al biondino di fronte a lei, Steve Rogers.
“Direi che ne è valsa la pena,” sorrise lui, una dolcezza e sorpresa tanto grande da fargli venir voglia di urlare di gioia.
“Esatto,” sussurrò Coulson, gli occhi sgranati dallo shock. “È proprio questo.”
Guardò di nuovo la scritta sul braccio di Kait. “Direi che ne è valsa la pena,” lesse.
A quel punto una coltre di silenzio cadde su di loro.
 
“Quindi non solo sono bloccata in un mondo diverso dal mio,” pensò Kait ad alta voce, accettando il drink che uno degli Avengers - Tony? - le aveva preparato. “Ma in più ci si aspetta che io sia improvvisamente innamorata di uno che nemmeno conosco?!”
Con il senno di poi avrebbe capito che Steve Rogers era davvero la persona adatta a lei; un soldato, come Jackson, che sa cosa sia la guerra e cosa significhi uscirne vivo mentre tutti gli altri muoiono. Un leader, come Harry, qualcuno su cui gli altri fanno affidamento per guidarli in battaglia. Un Serpeverde, se il suo essere l’unità delle Case non la tradiva, così ambizioso e leale e rispettoso e dolce.
Ma in quel momento lei non lo conosceva, non ancora, e l’idea dell’anima gemella la irritava tantissimo.
“Ho combattuto il matrimonio combinato dalla mia famiglia e finisco in un mondo in cui il matrimonio te lo combina il destino.”
“Matrimonio combinato?” domandò Steve. Sembrava deciso a lasciarle un po’ di spazio, ma allo stesso tempo le gravitava attorno, sempre mezzo voltato verso di lei, lanciandole occhiate o sorridendo tra sé. 
Kait si morse un labbro. “I maghi si possono dividere in categorie,” cominciò a spiegare. “Purosangu-”
“Oh, no, questo lo so.”
“Gliel’ho spiegato io,” mormorò l’agente May junior (nella sua mente li chiamava così per non confonderlo con la madre). “Sanno tutto ciò che sapevo io. Compresa la distinzione purosangue-mezzosangue-natibabbani-maghinò.”
“Okay,” annuì Kait, “bene. Tra le famiglie purosangue più conservative, come la mia, ci si sposa in modo da unire le casate e mantenere la purezza. Una gran cazzata, credimi. Come se il sangue contasse davvero qualcosa.”
Steve sembrò sollevato all’idea che lei non fosse d’accordo e le rivolse un sorriso; Kait, pur rimanendo confusa e irritata, si sentì ricambiare.
“Quale famiglia?” domandò allora l’agente May junior. 
“Scusa?”
“Quale famiglia?”
Kait abbassò lo sguardo, mentre una parte di lei urlava e batteva i pugni per farle notare quanto familiare le sembrasse.
“Perché dici che non hai motivi per tornare nel nostr-mio mondo?” ribatté anziché rispondere.
“La mia famiglia è morta. Ma anche noi eravamo purosangue, ecco perché te lo chiedo,” mormorò l’uomo.
“Quanti anni avevi, quando sei arrivato qui?”
“Otto.”
Otto!
“Come si chiamava la tua famiglia?” gli chiese allora, molto più lentamente del normale. Non riusciva nemmeno a guardarlo, così gli fissava le mani, cercando di non illudersi. Gli altri, che li osservavano con attenzione, sembravano aver colto che qualcosa non andava.
Kait, il petto stretto in una morsa, sentì il respiro farsi sempre più pesante.
Capelli neri. Occhi ghiaccio.
Il portale si apriva con una luce verde, quasi fosse un Anatema che Uccide. Era accaduto quando lui aveva otto anni.
Ma no, non poteva essere. Non poteva, non poteva, non poteva.
“Come si chiamava la tua famiglia?” ripeté. “Dimmelo. Dimmelo!
L’uomo sussultò e la squadrò con irritazione, e Kait capì di aver appena urlato e di essere una sconosciuta - ma non lo era, non davvero, non se aveva ragione.
Gli si avvicinò di un passo, quasi annullando la distanza tra di loro, e per guardarlo negli occhi dovette piegarsi leggermente all’indietro.
“Sei tu, vero?”
“Io?” sussurrò lui.
“Sei un Black,” sorrise lei e per la prima volta non si vergognò di avere gli occhi pieni di lacrime.
Sentiva Steve fissarla e così tutti gli altri, ma non le importava, non le importava di niente se non dell’uomo che aveva davanti - e, Merlino, era un uomo! Non un bambino, neanche un ragazzo. Un uomo!
“S-sì,” rispose lui. “O almeno lo ero.”
Kait prese fiato, lasciando che l’emozione e il dolore e la gioia le scorressero nelle vene. 
Scoprire di avere torto le avrebbe spezzato il cuore, eppure… Ho ragione, si disse. Ho ragione, ho ragione, ho ragione.
“Nathan?” sorrise e pianse al tempo stesso, sfiorandogli il viso con una dolcezza quasi materna, mentre il cuore le si ribellava nel petto e urlava di abbracciarlo e stringerlo e non lasciarlo mai più.
Nathan indietreggiò, annuendo con una confusione che riusciva a riconoscere: la sorta di “ho capito ma forse mi sto solo illudendo e non voglio rimanerci male” che aveva provato lei stessa fino a qualche minuto prima.
“Mi hai detto di correre,” sussurrò Kait nonostante la gola in fiamme. Il fatto che si fosse allontanato la ferita, ma Merlino se lo capiva!
Nathan alzò di scatto la testa, osservandola.
“Mi hai detto di correre,” ripeté, “e io ho corso. Pensavo fossi morto, pensavo…” si coprì la bocca con una mano tremante. “Pensavo di averti perso.”
Ti ho perso.
“Non è possibile,” gemette Nathan. Le sfiorò una guancia, dopodiché la squadrò dalla testa ai piedi - Kait, in un lampo, si ricordò di essere ancora con la divisa da agente speciale Auror.
“Come… Helena?”
“Ho seppellito quel nome il giorno in cui ho seppellito te e Hannah.”
E a quel punto, con uno slancio così forte da sorprenderla, Nathan la prese tra le braccia e la strinse con tutte le sue forze, addirittura sollevandola da terra.
“Sei vivo. Sei vivo, sei vivo, sei vivo.”
“Pensavo fossi morta,” pianse Nathan. “Ho pensato che tra i Mangiamorte e-e la neve e i lupi e… Come potevi…”
“Sono qui,” sussurrò allora. “Sono qui, Nan, sono qui.”
 
“Questo mondo non è poi così male, eh?” le domandò Steve quella sera, appoggiandosi al parapetto della terrazza. 
Kait, senza distogliere lo sguardo dalle luci di New York, sorrise.
“Penso che potrei trovare qualche ragione per farmelo piacere, sì.”

 

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