L'Amazzone Del Mare di Aelle Amazon (/viewuser.php?uid=112574)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ho un nuovo compagno di banco ***
Capitolo 2: *** Percy affronta la Chimera con una penna ***
Capitolo 3: *** Campo Mezzosangue (Parte 1) ***
Capitolo 4: *** Campo Mezzosangue (Parte 2) ***
Capitolo 5: *** Rischio di soffocare per troppo affetto ***
Capitolo 6: *** Allenamento con Percy e Annabeth ***
Capitolo 7: *** Accettare una proposta per vendetta ***
Capitolo 8: *** I tralci della follia ***
Capitolo 9: *** Mia madre rovina la Caccia alla Bandiera ***
Capitolo 10: *** Jane Ippolita Amazon cerca di affogarmi ***
Capitolo 11: *** Scopro cose che mai avrei voluto sapere ***
Capitolo 12: *** Il regalo di Poseidone ***
Capitolo 13: *** Rachel Elizabeth Dare mi parla da uno specchio ***
Capitolo 14: *** Quando il numero perfetto è tre, ma noi ce ne freghiamo ***
Capitolo 15: *** Gli strilli che profetizzano morte ***
Capitolo 16: *** Profezie e tori dai nomi impossibili ***
Capitolo 17: *** Il destino non si evita ***
Capitolo 18: *** Via Heather, scompare Travis ***
Capitolo 19: *** Lo stregatto ***
Capitolo 20: *** Dietro l'arcobaleno si nascondono notizie spaventose ***
Capitolo 21: *** Il terzo ingresso ***
Capitolo 22: *** La seconda volta è quella buona ***
Capitolo 23: *** Abbandonare gli istinti da semidea. Impossibile? ***
Capitolo 24: *** Gli ultimi istanti prima della fine ***
Capitolo 25: *** E tutto ando' come doveva andare ***
Capitolo 26: *** Seguito ***
Capitolo 1 *** Ho un nuovo compagno di banco ***
yeah
Ho un
nuovo compagno di banco
Guardai fuori dalla finestra della classe con aria annoiata. Non ne
potevo più di stare ferma: volevo uscire all’aria aperta e fare … già, cosa
volevo fare? Nemmeno io lo sapevo.
Riportai una parte del cervello nell’aula: il professore stava
presentando un nuovo ragazzo. Com’è che ha detto che si chiama? Socchiusi gli
occhi e provai a concentrarmi. Nulla. Avevo il vuoto in testa.
-Vai pure a sederti là- disse l’insegnante indicando il posto vuoto
accanto al mio. Sbuffai.
Vidi prima la tracolla malandata cadere sul banco che il mio vicino di
banco. Solo quando si sedette riuscii ad osservarlo meglio. Non che mi misi a
osservarlo spudoratamente come molti altri in classe, ma quegli occhi erano
veramente belli. Azzurri, come il mare.
Immagino che si accorse di me perché si girò, sorridendomi. Che
sorriso affascinante, commentai tra me e me.
-Percy Jackson- mi tese una mano – Piacere di conoscerti.-
Contemplai la sua mano per qualche attimo. Che coraggio, nessuno mi
aveva mai rivolto la parola da quando ero arrivata alla June Academy, quattro
anni prima.
-Aelle Amazon. Piacere mio- gli strinsi la mano, tuttavia non gli
sorrisi. Tornai a guardare la pioggia fuori dalla finestra, mentre Percy
Jackson si voltava verso la lavagna con un’alzata di spalle.
Rimasi gran parte della lezione con la testa da un’altra parte, anche
perché non riuscivo a seguire le parole del professore per più di tre minuti
consecutivi. I libri erano il mio peggior nemico, soprattutto quando cercavo di
impegnarmi sul serio: le lettere di ogni parola cominciavano a girare su se
stesse e non riuscivo a capire nulla. La faccenda mi metteva particolarmente a
disagio, ma la June Academy vantava un programma per dislessici da far invidia
a qualsiasi altra scuola.
-Jackson, spiegami il significato della frase che ho appena scritto
alla lavagna-
Il mio compagno di banco si agitò sulla sedia, torcendosi le mani. Lo
vidi sgranare gli occhi e socchiuderli a ripetizione, ma era chiaramente in
difficoltà. Fu allora che compresi: Percy Jackson era dislessico al mio stesso
livello.
-Non … non lo so- borbottò abbassando la testa.
Il professore non gli badò e diede la parola a Jolie,
l’intelligentona, che aveva il braccio alzato da almeno dieci minuti. Appena
aprì bocca, tutta la classe roteò gli occhi: sembrava una minuscola Hermione
Granger.
Non so perché lo feci, ma mi avvicinai a Jackson e con fare premuroso
gli presi una mano tra le mie, sussurrandogli di non preoccuparsi. Certamente
rimase sorpreso del mio gesto, ma mi ringraziò dicendo che ormai ci era abituato.
Quando mi sorrise un’altra volta, gli lascai andare la mano in tutta fretta e
tornai ad osservare la pioggia con un vago rossore ad imporporarmi le guance.
La lezione terminò con qualche minuto di ritardo, ma alla fine la
campana dell’intervallo suonò. Mi alzai e andai in bagno, dimenticandomi della
presenza di Jackson e del fatto che, come sua compagna di banco, forse avrei
dovuto passare del tempo con lui.
Tornando dal bagno mi fermai a comprare qualcosa alle macchinette. Il
mio stomaco si lamentava per la mancanza di cibo: quella mattina non avevo
mangiato nulla a causa della fretta di uscire.
Quando fui in vista della classe, trovai Jackson impegnato in una
conversazione con un altro ragazzo. Improvvisamente curiosa, mi portai
silenziosamente alle sue spalle.
-Allora hai già fatto amicizia- gli dissi in un orecchio.
L’altro ragazzo saltò in aria, emettendo uno strano verso, qualcosa di
simile ad un belato. Ma sicuramente me lo ero sognata. Ignorai quel suono e
riportai la mia attenzione su Jackson. Lui non era saltato in aria, anzi. Non
sembrava minimamente spaventato. Si era limitato a girarsi con una calma
sovrannaturale e a sorridermi. Di nuovo.
-Aelle!- mi chiamò.
Senza accorgermi, gli sorrisi in risposta. – Percy-
Mi ricomposi subito, nonostante la vocina insistente che, in uno
spazio recondito della mia mente, si chiedeva perché le barriere che avevo
eretto e che funzionavano con tutti, con Percy sembravano inutili.
-Aelle, lui è Grover- mi disse indicando il ragazzo che finora non
avevo calcolato. Per la prima volta lo guardai. Era più basso di Jackson, con
la carnagione più scura della sua e con degli occhi bruni che certamente non
risaltavano come i suoi. A questa analisi aggiunsi la sua evidente disabilità
fisica. Portava le stampelle.
Gli porsi la mano, che lui guardò prima di riscuotersi da una bolla
invisibile e stringermela con calore. Aveva un viso gentile, mi ritrovai a
pensare, e l’aria tipica di un amico.
-Aelle Amazon-
-Grover Underwood- si presentò in risposta.
Percy mi appoggiò una mano sulla spalla e io mi voltai verso di lui,
inarcando un sopracciglio.
-Conosco Grover da molto tempo. Ci siamo trasferiti qui insieme, solo
che siamo capitati in due sezioni diverse- mi spiegò –E poi non sono così
veloce a farmi nuovi amici- ridacchiò.
Non risposi, limitandomi ad un cenno del capo. Certamente non ero nota
per la mia loquacità. Tutt’altro.
-Rientro in classe, Percy- lo superai velocemente – E’ stato un
piacere conoscerti, Grover- .
Mentre mi allontanavo, Grover si rivolse a Jackson, dicendogli
qualcosa a bassa voce.
L’abbiamo
trovata.
Buonasera a chi legge!
Questa è la prima fan fiction in assoluto che scrivo, solitamente
faccio solo originali. Visto che la serie di Percy Jackson è la mia preferita,
ho deciso di iniziare proprio da qui. Ditemi cosa ne pensate! I commenti mi
aiuteranno a migliorare =)
Al prossimo aggiornamento!
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Capitolo 2 *** Percy affronta la Chimera con una penna ***
percyyy
Percy affronta la
Chimera con un penna
In quei giorni Percy
mi disse che Grover era tutto tranne che disabile. Me ne accorsi il primo
giorno in cui in mensa servirono le
enchiladas. Grover si illuminava a quella parola. Poi cominciava a trottare verso la mensa, dimenticandosi
improvvisamente delle stampelle.
Inizialmente rimasi
sconcertata, ma alla fine divenne normale assistere a certe scene. E presi anche
a divertirmi.
-Allora, Percy-
esordii quel giorno in mensa – Cosa ti ha portato alla June Academy?-
Percy scoppiò a
ridere. –Niente di speciale. Sono stato espulso da tutte le scuole che ho
frequentato-
Niente di speciale.
-Allora sei un bullo!-
sorrisi –Ami i guai, eh?-
Lui scosse la testa,
mandando giù un sorso di Cola. –Sbagliato. Sono i guai che amano me-
Ridacchiai.
Percy era una persona
particolare. Era sempre calmo, come l’oceano in un giorno senza vento. Ma
quando perdeva la calma, allora dovevi scappare nel posto più lontano che
conoscevi e sperare che non ti inseguisse.
-Grover- parlò con
tono nervoso – Grover, la lattina … ehm … -
Solo allora ci feci
caso: Grover aveva finito la sua Cola e aveva messo i denti sulla lattina,
masticandola distrattamente. Si interruppe quando Percy gli mollò una gomitata
nello stomaco.
-Amico, ma che ti è
preso?- sbottò lanciandogli un’occhiataccia.
Grover abbassò la
testa. –Scusa Peeeercy … sai che non mi controllo-
Mi sporsi sul tavolo
in modo tale da poterlo guardare dritto negli occhi, mentre lui cercava in
tutti i modi di evitare il mio sguardo.
-Ti sei fatto male?-
gli domandai –Va bene essere disattenti, ma masticare
una lattina … -
Grover balbettò una
risposta poco credibile, qualcosa tipo: “Pensavo che fossero finite le enchiladas …”.
Cielo, quel ragazzo era adorabile, ma non era proprio capace di mentire.
In quel momento suonò
la campanella, così mi alzai e svuotai i resti del mio pranzo nella spazzatura.
Non mi accertai che Percy e Grover avessero fatto lo stesso perché quei due
erano più veloci della luce. Su di loro c’era sicuramente qualcosa che mi
sfuggiva.
Difatti quando mi
voltai erano già sulla soglia della mensa e mi incitavano a raggiungerli.
Affrettai il passo.
-Certo che siete
anormali voi, eh!- li apostrofai.
Mentre Grover lanciava
una strana occhiata a Percy, questi si aprì in uno strano ghigno non dando
alcun segno di averlo notato. –Che abbiamo fatto?-
Decisi di sorvolare.
Alzai gli occhi al soffitto e li precedetti.
Sono i guai che amano me.
Non compresi il
significato di quella frase fino a quando non mi cacciai nei guai, quello
stesso pomeriggio.
Visto che abitavo
fuori città, Percy mi offrì gentilmente un passaggio fino a casa e io accettai.
Finii per essere schiacciata nel sedile tra Percy e Grover, che seguiva il suo
migliore amico come un’ombra.
Sally Jackson, la
madre di Percy, si dimostrò gentilissima e non mi fece troppe domande. Dopo
aver saputo l’indirizzo di casa mia, si limitò a passare al figlio un
sacchetto, da cui Percy tirò fuori dei biscotti. Blu.
Percy probabilmente si
accorse dell’occhiata stranita che avevo rivolto ai biscotti perché mi sorrise,
offrendomene uno.
-Per mamma il blu
rappresenta la felicità. Crede che niente sia impossibile. Ecco spiegato il
motivo per cui sono di questo colore-
-I vestiti possono
essere blu. Non vedo perché non possano esserlo anche i biscotti- commentò la
signora Jackson.
Mi sembrava una
motivazione infantile, ma simpatica. Accettai di buon grado il biscotto,
scoprendolo buonissimo.
Il tragitto, che
solitamente era interminabile, passò molto in fretta. Tutto merito di Grover e
delle sue imitazioni. Quella che gli riusciva meglio, a detta di Percy, era un
certa “signora Dodds”, una delle sue insegnanti di matematica precedenti.
“Ora, tesoro … “
Sghignazzai. Quei due
erano proprio simpatici. Avevo fatto bene ad aprirmi con loro.
La macchina si fermò
nel vialetto davanti a casa mia. Quella villetta aveva il potere di calmarmi.
Dentro c’era tutto ciò che volevo e amavo.
-Eccoci qui-
-Grazie mille, signora
Jackson-
Non feci in tempo a
mettere un piede giù dalla macchina che il terreno cominciò a sussultare e ad
ingobbirsi.
-Ma cosa diavolo … -
mormorai un momento prima che il mio giardino saltasse in aria con un castello
di carte e un mostro ne uscisse
fuori. Quando lo vidi per bene, mi ritrovai ad urlare con tutta la voce che
avevo in corpo.
-Percy!- strillò la
signora Jackson – E’ la figlia di Echidna!-
Percy non sembrava
tanto terrorizzato da quel coso visto
che estrasse una penna dalla tasca posteriore dei jeans, stringendola come se
fosse la sua ancora di salvezza.
-Vorrai dire la
Chimera!- le gridò Percy in risposta.
La Chimera, o come
l’aveva chiamata, ruggì, caricando Percy, che si spostò di lato molto
velocemente. Prima che potessi capire il come
la penna di Jackson si tramutò in una spada.
-Stai calma!- mi disse
Grover in un orecchio.
Mi accorsi solo in
quel momento di avere le braccia di Grover intorno alla vita. Stava provando a
tirarmi in macchina, ma io continuavo a dimenarmi. Smisi di agitare gambe e
braccia così da permettere a Grover di adagiarmi sul sedile.
-Fai dei grossi
respiri, cara- mi suggerì la signora Jackson –La prima volta è sempre la più
traumatica-
Cercai di comprendere quello
che mi stava dicendo, ma mi fischiavano le orecchie. Un rombo assordante.
Un botto mi fece
guardare fuori dal finestrino. Un lato della mia casa era completamente andato
distrutto: la testa leonina la stava masticando con dei denti affilatissimi, mentre
l’altra testa, quella caprina, non smetteva un minuto di belare.
Trovai il coraggio di
distogliere lo sguardo nel momento in cui persi di vista Jackson. Dei colpi
attutiti dal masticare della bestia mi fecero comprendere che Percy era ancora vivo. Infatti quando la Chimera spalancò
le enormi ali, lo vidi menare fendenti letali e precisi contro la coda di
serpente. Era una danza mortale.
-Grover!- urlò Percy –
Fai qualcosa!-
Alle mie spalle Grover
si agitò. –Cosa?!-
-Qualunque cosa!-
strillò la signora Jackson mettendosi le mani nei capelli –Il mio bambino … -
Io non dissi nulla:
ero in uno stato di afasia assoluta. Anche se avevo gli occhi offuscati,
guardai Grover dritto in viso.
-Per favore, non
gridare- mi disse lui.
Poi si tirò giù i
pantaloni. E io commisi l’errore madornale di abbassare lo sguardo.
Svenni.
Note:
Buonasera e Buona Pasqua!
Aggiornamento veloce, oggi. In questo capitolo c’è un po’
di movimento..e meno male! Non sarebbe una storia su Percy Jackson se non ci
fosse un mostro che lo attacca, no?
Vorrei ringraziare chi ha
recensito, l’ho già fatto nelle risposte alle recensioni ma mi piace
ripetermi, e chi invece ha messo la storia tra le
seguite.
Spero che qualcuno legga ancora le note di una misera
autrice come me. L’ho già detto nella nota nel primo capitolo..i commenti mi
aiuteranno a migliorare (oltre che ad essere graditi sono anche costruttivi).
Perdonate gli errori di battitura, ho ricontrollato il
testo solo una volta e temo di aver dimenticato di correggerne alcuni.
Al prossimo aggiornamento!
Agaravel
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Capitolo 3 *** Campo Mezzosangue (Parte 1) ***
uuuuuu
Il Campo Mezzosangue
(Parte 1)
In testa non avevo
altro che confusione. I pensieri si accavallavano l’uno sopra l’altro ed erano
tutti improponibili.
L’immagine di Grover
che si abbassava i pantaloni era impressa a fuoco nella mia mente. Voglio dire,
va bene avere le gambe pelose, ma non così tanto pelose. E i piedi non erano piedi, ma zoccoli. Zoccoli. Come quelli delle capre.
Capii di essere
sdraiata quando aprii gli occhi, sbattendoli per abituarmi alla luce. Ero stesa
su una branda insolitamente comoda e avevo un panno bagnato sulla fronte. Me lo
tolsi con gesto pigro della mano. Mi sentivo il corpo vagamente indolenzito
tanto che mugolai mentre provavo a mettermi seduta.
-Ti senti meglio?-
La voce di Percy mi
giunse un po’ ovattata, sulla destra. Mi girai verso di lui e lo osservai, mantenendo
la bocca sigillata. Aveva lo stesso aspetto di sempre: non era ammaccato e non
stringeva nessuna spada. Un punto in più a favore della teoria del sogno. Solo
l’abbigliamento era differente: al posto della solita maglietta consunta e dal
colore sbiadito ne indossava un’altra. Arancione, con una scritta al centro:
CAMPO MEZZOSANGUE.
-Sì, anche se mi sento
un po’ confusa- gli dissi –Ho fatto un sogno stranissimo, sai? C’eri tu che
combattevi contro una cosa enorme e Grover che … - mi interruppi, senza parole.
In quel preciso
istante, infatti, era entrato Grover. Anche lui indossava la stessa maglietta
arancione di Percy, ma non portava i pantaloni. Gridai.
Percy si mise davanti
a me, coprendomi la vista delle gambe caprine di Grover prima che potessi
svenire per la seconda volta.
-Ma dovevi per forza
entrare così?- lo sgridò Percy, fulminandolo con un’occhiataccia.
Grover emise una
specie di belato dispiaciuto. –Scusa, non sapevo che si fosse svegliata!-
Jackson sospirò. –Fai
più attenzione- e poi rivolto a me –Ora puoi guardare: si è rimesso i
pantaloni-
Si spostò lentamente e
quando non ebbi più la visuale ostruita dal suo corpo vidi un Grover che mi
sorrideva nervoso, ma con i jeans.
Percepii le mie labbra
inclinarsi in una strana imitazione di un sorriso. Annuii, contenta.
-Visto? Lo dicevo io
che era un sogno … -
Percy scosse la testa
e mi prese una mano tra le sue. –No, non lo è – mi disse fissandomi con sguardo
serio –E’ più reale di quanto immagini-
Per poco non gli
scoppiai a ridere in faccia. Voleva veramente che credessi ad una cosa così
surreale? Non esisteva proprio.
Percy mi lasciò andare
la mano e si alzò in piedi, stiracchiandosi. Si portò al fianco di Grover e gli
diede una pacca sulle spalle, spingendolo verso di me.
-Amico, vado da
Chirone- gli disse allontanandosi –La lascio nelle tue mani-
Grover fece per
rispondergli, ma lui era scomparso. Allora mi guardò teso e io ricambiai
l’occhiata.
E ora?
Satiro. Grover era un
satiro. Faticavo a immagazzinare tutto quello che mi aveva spiegato, ma la
verità era proprio sotto il mio naso. Grover mi aveva fatto toccare con mano.
Si era tolto ancora i jeans. Io mi
ero avvicinata e avevo sfiorato la sua gamba. Dopo quella prova era impossibile
persistere nella convinzione che fosse un sogno.
E così Percy era un
semidio. Figlio di Poseidone. E aveva seriamente fatto fuori la Chimera. Con
una penna.
-In realtà è una spada-
prese a dire Grover –Il suo nome è Anaklusmos. In greco significa “vortice”-
Visto che ormai il
senso di intorpidimento era passato mi ero messa a sedere sulla brandina. Però,
la confusione era ancora lì. Io ero come Percy. Ero una semidea. Molte cose
cominciavano ad acquistare un senso. Ecco perché mia madre si rabbuiava sempre
quando tiravo fuori l’argomento papà.
-… Mamma!- strillai
all’improvviso spaventando Grover –Devo avvisarla!La casa mezza distrutta …!-
Grover mi scompigliò i
capelli. –Stai tranquilla. Conoscendolo, Chirone avrà già pensato a tutto con
un messaggio Iride- mi sorrise –E poi
tua madre doveva per forza essere a conoscenza della tua natura semidivina,
altrimenti non sarebbe stata in grado di proteggerti così bene fino al tuo sedicesimo
anno d’età-
Sobbalzai.
–Proteggermi?- domandai inclinando la testa.
-Sì, nonostante tua
madre sia mortale, finché non raggiungi l’ètà per entrare al Campo sei sotto la
sua custodia.-
Mi alzai in piedi.
–Quindi mia madre sapeva che sono una … semidea- facevo ancora fatica a dirlo.
Il satiro annuì. Io
strinsi i pugni e corrugai la fronte. –Perché non me l’ha detto?!-
-Non poteva. Fino a
quando sei all’oscuro della tua natura i mostri non fanno molto caso al tuo
odore. Appena diventi consapevole di essere un semidio sprigioni un profumo
maggiore, che li attira come il miele con le api-
Mi rilassai
leggermente, sbuffando. Era proprio vero il detto secondo il quale il diretto
interessato era l’ultimo a sapere le cose.
-L’ha fatto per il tuo
bene. Non essere arrabbiata con lei- mi disse Grover.
-Non ce l’ho con lei-
gli risposi.
Lo superai con passo
veloce e mi avvicinai all’ingresso della tenda, guardando al di fuori di essa.
Era tutto così luminoso e splendente … solo vedendolo mi veniva voglia di rotolarmi
nel prato e di ridere all’infinito.
-Andiamo?-
Grover inarcò un
sopracciglio. –Dove?-
-Fuori. Questo posto è
meraviglioso-
Scoppiò a ridere.
–Benvenuta al Campo Mezzosangue, Aelle Amazon-
Note:
Ciao a tutti!
Se siete arrivati fin qui allora vuol dire che siete
ancora vivi. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che non ci
siano troppi errori. Questa volta non ho proprio controllato perché sono
piuttosto di fretta.
Come mi è stato fatto notare nelle recensioni, questi sono
capitoli iniziali, in cui spesso si ripetono cose che già si sanno. Perciò,
portate pazienza perché l’azione arriverà prossimamente!
Al solito, ringrazio chi ha
recensito e chi ha messo la storia tra le
seguite. Grazie
mille!
Al prossimo aggiornamento!
Un bacio,
Aelle
P.S. Ho cambiato nick!
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Capitolo 4 *** Campo Mezzosangue (Parte 2) ***
juuuuu
Campo Mezzosangue (Parte 2)
Per prima cosa Grover mi accompagnò da Chirone, che scoprii essere un
centauro. Il satiro rimase parecchio scioccato quando gli dissi che non avevo
idea di chi fosse Chirone. Come potevo non sapere il nome dell’allenatore di
tutti i grandi eroi? Achille e molti altri erano stati istruiti da lui.
Semplicemente non mi ero mai interessata della mitologia. Non così a fondo. Non
fino ad oggi.
-Questa è la Casa Grande- mi disse Grover, riferendosi ad un enorme
edificio nel mezzo del Campo. –Vieni, entriamo-
All’interno trovammo Percy intento a parlare con Chirone, il centauro.
Sgranai gli occhi vedendo il suo aspetto, ma ormai mi stavo abituando. Un po’
come mi stavo abituando a vedere ragazzini di undici anni con in mano spade più
grandi di loro. Passando attraverso il
Campo ce n’erano tantissimi.
Chirone mi gettò una rapida occhiata, prima di interrompere la
conversazione con Jackson e avvicinarsi a me. Quindi fu Percy a notarmi,
salutandomi con un gigantesco sorriso stampato in faccia. Davvero, quel ragazzo
avrebbe rischiato la paralisi per quanto sorrideva.
-Tu devi essere Aelle-
Raddrizzai la schiena. –Sì, signore-
Chirone inarcò un sopracciglio, tentando di sopprimere la risata che
gli rombava nel petto.
-Non c’è bisogno di essere così formali, bambina- mi abbracciò e io
sentii sotto il naso il tipico odore dei cavalli –Qui siamo tutti una famiglia-
-Va … va bene- bofonchiai contro il petto del centauro, non osando
però ricambiare il suo abbraccio. Mi sentivo un po’ in imbarazzo.
-Chirone, Chirone- sbottò una voce in un angolo –Sono stufo dei tuoi
trucchi. Abbiamo una partita di pinnacolo in sospeso-
Mi allontanai dal centauro con sguardo confuso. Chi aveva parlato?
-Signor D arrivo subito. Non la faccio attendere oltre-
Chirone si spostò verso un angolo tra i più scuri della stanza, dove
notai due occhi fiammeggiare. Automaticamente feci due passi indietro.
Una sedia strusciò sul pavimento e dall’oscurità emerse un uomo
piccolo e grassoccio. Aveva il naso rosso, gli occhi grandi e lucidi e dei
capelli neri che tendevano al blu. Il particolare che mi colpì di più fu la
camicia: hawaiana e tigrata. Nonostante il tono irritato con cui si era rivolto
a Chirone, sembrava simpatico.
Il nuovo arrivato mi squadrò con occhio critico poi sbuffò: pareva
essere sul punto di mettersi a sbattere i piedi a terra dal nervoso. Ma non lo
fece.
-Oh, no- si limitò a piagnucolare –Un altro marmocchio semidivino-
Percy ruotò gli occhi. Grover si rimpicciolì guardando l’ometto con
timore e rispetto insieme. Chirone, invece, tornò verso di me e mi prese per un
polso, portandomi davanti all’ometto grassoccio.
-Aelle, lui è il Signor D. Il direttore del Campo- disse il centauro.
Il Signor D liquidò le parole di Chirone con un gesto blando della
mano. –Sì, sì … benvenuta. Ora che
l’ho detto, sparite tutti – commentò tornando a sedersi nell’angolo buio
–Chirone, tu rimani. Dobbiamo finire la partita!-
-La D sta per Dioniso- mi disse Percy –Ma credo che anche deficiente vada bene-
Un tuono rombò in lontananza. Jackson ridacchiò, mentre Grover si
guardava ansiosamente alle spalle con occhi sbarrati. Presumo a causa del
timore che il signor D potesse spuntare all’improvviso e incenerirlo.
-Il dio del vino- commentai.
-Proprio lui-
Non sapevo esattamente dove stavamo andando, ma seguivo Percy e Grover
senza farmi troppe domande. A parte l’incidente della Chimera, affidandomi a
loro non avevo ancora passato guai troppo grossi.
All’improvviso la bocca mi si spalancò quando vidi quello splendore.
Una grandissima distesa d’acqua si stagliava davanti a me, allungandosi oltre
la linea dell’orizzonte. Scintillava, meravigliosa, ogniqualvolta i raggi del
sole ne sfioravano la superficie.
Scansai Percy con una piccola spinta e lui, non aspettandoselo, finì
gambe all’aria nella sabbia.
-Ehi!Ma cosa … !- sputacchiò.
Non gli prestai la minima attenzione, intenta com’ero a togliermi le
scarpe e ad immergere i piedi nell’acqua, arricciando le dita nel sentirla
squisitamente gelida.
Avanzai sempre di più nell’acqua finché questa non mi arrivò fino alla
vita, infradiciandomi i pantaloni e parte bassa della maglietta. Ma non mi
importava di bagnarmi i vestiti, volevo solo continuare a camminare.
-Torna a riva!- mi urlò Grover.
Ma la sua voce era solo un fastidio lontano, un rumore di sottofondo.
Avevo la mente annebbiata. Che mi stava succedendo? Non riuscivo più a pensare.
Senza che mi fossi accorta, mi ritrovai immersa nell’acqua fino alla
gola. Perché non andare avanti? Che pericolo c’era? Ora che l’acqua mi era
arrivata sopra alla testa mi riusciva sempre più difficile respirare. Mi
abbandonai alla corrente.
D’un tratto due mani mi afferrarono sotto le ascelle e con un’improvvisa
spinta fui fuori dall’acqua, ansimando disperatamente in cerca di aria.
-Cosa ti è saltato in mente? Si può sapere?- mi rimproverò Percy,
cercando di superare il rumore prodotto dalle onde.
La vista mi ritornò lucida e fui di nuovo in grado di pensare. Perché ero
in acqua se nemmeno sapevo nuotare? Fortunatamente Percy era figlio di
Poseidone. Grazie a lui ero ancora viva.
-Non lo so- mormorai –Ma grazie mille per l’aiuto-
Percy annuì, la mascella tesa, e non mi rispose. Spostò un braccio
attorno ai miei fianchi, girandosi verso la spiaggia, dove Grover si stava
mangiando le unghie per l’ansia. Il satiro si rilassò impercettibilmente quando
vide Jackson tenermi a galla.
Mi ritrovai a riva in men che non si dica, infreddolita, con un Grover
preoccupato che mi ronzava intorno con un asciugamano preso chissà dove. Me lo
avvolse intorno alle spalle e io me lo strinsi addosso, sentendo i brividi
corrermi sulla pelle. Di lì a poco starnutii.
A quel punto Percy e Grover mi si piazzarono davanti, in silenzio,
forse pensando che una loro occhiata potesse risolvere il problema.
-Non guardatemi così. Non so cosa sia successo!- strepitai con un tono
poco convincente. Ma era la verità: non avevo la minima idea di cosa mi fosse
capitato. Mi sentivo ancora un po’ scossa
e non avevo molta voglia di parlare. Tanto più che le mie labbra stavano
assumendo una sfumatura blu. Come i biscotti della signora Jackson.
Grover sospirò, imitato da Percy. Mi alzai in piedi, traballando su
gambe malferme.
-Mi sa proprio che dovremo interrompere la partita di pinnacolo del
Signor D- disse sconsolato il satiro –Ma dobbiamo parlare con Chirone-
-Urgentemente- aggiunse Percy.
Senza obiettare li seguii.
Note:
Aloha!
Eccomi con il nuovo capitolo. Spero che vi possa piacere!
Ora che Aelle ha rischiato di morire dovrebbero nascervi le prime
domande sul perché, che ovviamente non vi dirò. L’ho già detto che sono un’autrice
malvagia?
Per farmi perdonare da Soni, che voleva momenti fluffosi … nel
prossimo capitolo ce ne sono! Spero di aggiornare presto. Sono piena di cose da
fare.
Ringrazio come sempre chi ha recensito
e chi ha messo la storia tra le seguite!
Grazie mille!
Fatemi sempre notare errori o perplessità varie. Se sbaglio sono
sempre pronta a correggermi.
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle
P.S.
Soni! Sto leggendo “The demigod files”. In inglese! E ce la faccio! Grazie per
avermi spronato!
|
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Capitolo 5 *** Rischio di soffocare per troppo affetto ***
ttttt
Rischio di soffocare
per troppo affetto
C’era già qualcuno con
Chirone quando entrammo nella Casa Grande. Era alta, sfiorava il metro e
ottanta a occhio e croce, e aveva i capelli biondi. Nel momento in cui sentì
dei passi e si voltò, potei guardarla in faccia. Aveva un viso molto carino e
al contempo molto maturo. Me lo suggerivano gli occhi: grigi, come nuvole
temporalesche.
-Annabeth!- la chiamò
Percy.
La ragazza si
illuminò, correndogli incontro. –Testa d’Alghe!- e con mio grande stupore lo
baciò. Credo che mi si spalancò la bocca perché Grover, ridacchiando, mi disse
di chiuderla.
-Mi sei mancata,
sapientona- le mormorò Percy, mentre lei arrossiva e cercava di divincolarsi da
quell’abbraccio in cui era avvinghiata. Evidentemente non amava le smancerie in
pubblico.
Tirai sul col naso e
la coppietta si staccò, sempre più imbarazzata.
-Allora- Chirone si
schiarì la gola –Avevi bisogno, Aelle?
Scossi la testa. –Non
proprio. Ma Grover sostiene che sia opportuno dirglielo-
Mi invitò a sedere e
fu allora che notai che il Signor D non era presente, ma non feci domande a
riguardo. Presi piuttosto un bel respiro ed iniziai il mio racconto. Non ci
misi molto, in fondo era successo tutto in pochi attimi, ma Chirone volle
ascoltarmi lo stesso.
Quando terminai, il
centauro rimase in silenzio e non proferì parola finché non lo chiamai con voce
insicura. Sembrava essersi incantato.
-Scusami, bambina-
disse con tono grave –Ma ti è accaduta una cosa piuttosto insolita. Non ho mai
sentito parlare di niente del genere-
Annabeth si girò a guardarlo.
– Com’è possibile che non sia mai capitato qualcosa di simile? Tu hai vissuto
moltissimi anni, dovresti sapere tutto!-
Chirone la fissò con
un sorriso mesto. –Purtroppo non so tutto, Annabeth, anche se mi piacerebbe-
ammise e la ragazza abbassò le spalle, con lo sguardo perso nel vuoto. Percy la
attirò a sé, abbracciandola di nuovo, e questa volta lei non si oppose.
-Spero che non sia
nulla di grave- dissi a bassa voce.
Grover sorrise a mezza
bocca. –Quando si parla di semidei c’è sempre qualcosa di pericoloso- commentò
–Ma fintantoché stai al Campo dovremmo riuscire a proteggerti-
Aggrottai le
sopracciglia: il condizionale non mi faceva pensare ad un futuro roseo.
Evidentemente avrei dovuto cambiare opinione riguardo alla mia idea di
avvenire. Ora ero una mezzosangue.
Per l’ennesima volta
starnutii e Grover scattò in piedi. –Ti conviene andare ad asciugarti per bene.
Ammalarsi non è mai una buona cosa-
Fu Annabeth ad
accompagnarmi nello spazio del Campo riservato alle case e ad introdurmi in
quella in cui avrei alloggiato, la numero undici. Mi spiegò anche che non sarei
stata lì per sempre perché ero la prima indeterminata entrata nel Campo da
quando Percy, alla conclusione della Seconda Guerra, aveva fatto promettere
agli dei di riconoscere tutti i loro figli.
-Che se ne siano già
dimenticati?- ragionò tra sé e sé mentre sorpassavamo una casa che profumava di
mare. La osservai in silenzio: qualcosa mi diceva che dovevo entrare. E così
feci. O almeno ci provai perché Annabeth mi fermò un attimo prima che ne
varcassi la soglia afferrandomi il polso.
-Ferma. Non puoi- mi
ammonì con sguardo severo –E’ proibito entrare nella casa di un dio o di una
dea che non sia il tuo genitore-
Appuntai questo
particolare in testa e le feci un’altra domanda. –Questa casa a che dio è
consacrata?-
-Poseidone- mi
rispose, facendomi al contempo allontanare da essa. Continuò a trascinarmi
finché non raggiungemmo una delle ultime case, quella che Annabeth mi aveva
detto essere di Ermes.
-Il messaggero degli
dei- sorrisi –Quando ero piccola era il dio che mi piaceva di più-
Annabeth rimase un po’
interdetta per la mia improvvisa confessione, ma scrollò le spalle come se non
avessi parlato. Era una ragazza un po’ fredda, ma sentivo che i suoi lati buoni
erano rintanati sotto la scorza gelata.
Mi lasciò davanti alla
porta e si dileguò immediatamente, sostenendo di avere molto da fare. Sostai
davanti alla casa per qualche secondo, poi mi decisi ad entrare. E rimasi
scioccata. Era un disastro totale: c’era roba sparsa dappertutto, anche nei
posti più improponibili.
Sul momento mi
bloccai, ma dopo poco notai che c’erano tanti letti e altrettanti ragazzi che
mi fissavano, tutti con lo stesso sorriso scaltro. L’aria divenne
improvvisamente tesa. Loro mi osservavano senza dire una parola, ma con
curiosità dipinta in faccia. Io non sapevo cosa dire e mi guardavo intorno,
imbarazzatissima.
Quando uno di loro
tossì, la bolla di sapone si ruppe ed essi presero a gridare tutti insieme.
Indietreggiai, spaventata dal chiasso. Probabilmente mi stavano sommergendo di
domande, ma non capivo niente. Andarono avanti fino a quando qualcuno non urlò
più forte. Si zittirono all’unisono, ma temevo fosse la classica calma prima
della tempesta.
-Nuova?- mi chiese
uno.
Annuii.
Volevo sprofondare: la
loro attenzione era completamente catturata dalla mia presenza. E non feci in
tempo a coprirmi le orecchie perché ripresero a strillare. Immaginai che fosse
il loro modo per darmi il benvenuto. E reputai che fossi un gesto carino, ma il
pensiero mi morì in testa non appena mi si avventarono tutti contro,
stringendomi in abbracci senza fine. Ognuno mi stritolava a modo suo, ma ci
misi poco per sentirmi soffocare.
Quando finirono di
accogliermi ero in fondo alla stanza, ormai asciutta. L’asciugamano mi cadde di
mano, mentre il silenzio calva di nuovo e tutti mi fissavano –ancora!- in
attesa che dicessi qualcosa.
-Uhm … grazie-
strusciai un piede a terra.
Risero. –Di cosa? Sei
una figlia di Ermes. Siamo la tua famiglia-
Spalancai gli occhi,
affrettandomi a negare. –Oh, no. Non sono figlia di Ermes! Annabeth ha detto
che sono indeterminata-
Un centinaio di bocche
si spalancarono. E ripresero a parlare tutti insieme. Cercai di attirare la
loro attenzione, ma per quanto ci provassi sembrava che quella parola fosse più
interessante.
-Scusate … -
Nessuno mi ascoltò.
Erano tutti intenti a cercare di capire perché fossi indeterminata ed erano
preoccupati che altri ne potessero arrivare.
Rinunciai e mi scelsi
un letto tra quelli vuoti, sdraiandomi. Abbassai le palpebre e mi addormentai.
Prima o poi avrebbero
smesso, no?
Note:
Ciao a tutti! Eccomi con il nuovo capitolo!
Spero che vi piaccia. Non vorrei però essere troppo veloce
nell’aggiornare. Se lo sono, fatemelo sapere … rallento un po’.
Avevo promesso a Soni un po’ di Percabeth. Ho messo solo un
bacio, spero vada bene lo stesso! Più avanti approfondisco un po’. E non
pensare male!xD
Beh, al solito: gli errori fatemeli notare sempre.
Grazie per le recensioni e un grazie va anche a chi ha messo la storia tra le seguite
–siamo a 11!!- GRAZIE
MILLE!!
Ok, questo spazio-note fa schifo.
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 6 *** Allenamento con Percy e Annabeth ***
eeeeeeeeee
Allenamento con
Percy e Annabeth
Tutto era
insolitamente calmo quando mi svegliai. Mugolando, mi tirai a sedere sul letto.
Sbadigliai: avevo dormito come un sasso, come mai prima d’ora mi era capitato.
Ma che ore erano?
Mi guardai intorno e
notai che l’intera camera era vuota. C’ero solo io. E tutti gli altri ragazzi
dove erano andati a finire? Mi sentii improvvisamente agitata, il cuore prese a
battermi forte e mi ritrovai in piedi senza accorgermene. Controllai ancora, ma
non c’era nessuno.
Presi un grosso
respiro e aprii la porta della casa. La luce del sole di mezzogiorno mi colpì
in faccia come una cannonata. Mi coprii gli occhi con una mano tanto era forte.
Non appena riuscii ad abituarmi al sole accecante mi guardai intorno, udendo
nel frattempo anche degli schiamazzi: centinaia di ragazzi in armatura greca si
rincorrevano brandendo chi spade, chi pugnali, chi lance. Ognuno di loro rideva
come un matto mentre cercava di disarmare l’avversario. Poco lontano altri si
esercitavano con gli archi sotto la guida di Chirone. Avevano una mira
incredibile!
In quel momento un
cavallo con le ali mi passò sopra la testa e la forte corrente d’aria mi spinse
indietro, facendomi inciampare e cadere sul sedere.
-Ahia … -
sollevandomi, mi massaggiai la parte lesa. Poi rimasi incantata a fissare
quella splendida creatura finché non divenne un punto lontano nel cielo.
-Aelle!- mi chiamò
Percy.
Mi stava correndo
incontro, Annabeth dietro di lui che sventolava una mano con un sorriso gentile
stampato in volto. Quando mi vennero vicino non avevano nemmeno il fiatone.
-Ciao- dissi con
ancora una punta di timidezza.
Annabeth mi circondò
le spalle con un braccio con fare amichevole e insieme a Percy mi portò verso
il campo in cui tutti si allenavano. Mi spiegò gli orari di ogni lezione, che
poi alla fine non erano così rigidi. Una volta che il tuo genitore divino ti
riconosceva ti dedicavi ad una attività che potesse avvicinarti a lui. Così i
figli di Apollo tiravano con l’arco, i figli di Atena pensavano alla strategia,
i figli di Efesto rimanevano quasi tutto il giorno nelle fucine.
Percy si avvicinò alla
rastrelliera e prese due spade, porgendomene quindi una. La accettai con disagio,
non sapendo come tenerla, e lo fissai con sguardo interrogativo.
-Prima o poi devi
provare- mi esortò lui –Dai, scontro amichevole-
Sgranai gli occhi e
scossi la testa. –No, no. Non sono capace di usare questa cosa-
Annabeth scoppiò a
ridere. –Stai tranquilla, Aelle!Tutti i semidei hanno dei riflessi pronti per
la guerra. Non appena Percy proverà ad attaccarti, in qualche modo il tuo corpo
reagirà e ti dirà cosa fare-
Il ragazzo al suo
fianco confermò quanto aveva appena detto.
Sinceramente – e la
cosa mi sconvolse parecchio- non era l’idea del combattimento a mettermi a
disagio, ma solo la spada. La sentivo strana tra le mani, non mia. In quell’istante
compresi: la spada non era la mia arma.
-Annabeth- dissi e improvvisamente la mia voce apparve
decisa –Non posso usare la spada. Non la sento bene-
Lei mi rivolse un
sorriso comprensivo. –Certo, è normale. Non è bilanciata-
-No. Intendo dire che
la spada non è fatta per me. Non posso usare qualcos’altro?-
Annabeth e Percy si
guardarono per qualche secondo, poi annuirono e mi fecero largo fino alla
rastrelliera. Lì riposi la spada, mentre dentro di me si agitava un forte senso
di disgusto.
Feci scorrere gli
occhi sulla rastrelliera, con sguardo critico. Pugnali, lance, archi. Sembrava
che niente potesse fare al caso mio. Stavo quasi iniziando a disperarmi, quando
finalmente la trovai.
Un’ascia. Un’ascia
bipenne.
La afferrai con mani
tremanti. Anche quella non era bilanciata, ma mi sentivo in pace stringendola.
La sensazione che provavo stringendola era molto diversa da quella che sentivo
con la spada.
-Prendo questa-
-Va bene- mi disse
Percy con uno strano ghigno –Sappi che ti straccerò comunque-
Annabeth ridacchiò. –Testa
d’Alghe vacci piano. E’ appena arrivata- lo rimproverò.
Percepii montare in me
il senso di competizione. Strinsi la presa sul manico dell’ascia fino a che le
nocche non mi diventarono bianche.
-Accetto la sfida- alzai
il mento –Non trattenerti-
Percy mi fece segno di
seguirlo fino al centro del campo di allenamento. Lì si fermò, piantando i
piedi a terra e osservandomi. Lo imitai, senza sapere il perché di quello di
quello scambio di sguardi.
Quando Percy mi corse
contro, impugnai l’ascia con entrambe le mani e mi preparai a ricevere il
colpo. Fu faticoso non lasciar cadere a terra l’arma e ancora di più lo fu
cercare di contrattaccare, ma in qualche modo ci riuscii.
Percy non si fece
intimorire e mi si avvicinò ancora. Mi preparai di nuovo all’impatto, ma lui si
tirò indietro all’ultimo secondo, passandomi di fianco e finendo alle mie
spalle. Mi buttò a terra con un calcio e mi puntò la spada alla gola. Trattenni
il fiato.
-Tutto qui?- mi derise
–Che senso ha usare tutta la mia forza contro di te se il risultato è questo?-
La rabbia mi invase,
ribollendomi nel petto e facendomi fischiare le orecchie. Riafferrai l’ascia
che mi era caduta e spostai la sua spada con un colpo. Dopodiché mi alzai,
furiosa.
Lo attaccai senza
tregua, quasi inconsapevole dei miei movimenti, e lo costrinsi ad
indietreggiare. E al muro ci finì lui, con la mia ascia a un centimetro dal suo
stomaco e il mio viso ad un soffio dal suo. Percy perse la presa sulla spada,
che cadde a terra con un suono sordo.
-Basta così!- ci
interruppe Annabeth.
Ritornai in me e
lasciai a Percy modo di muoversi. Lui mi sorrise, questa volta con il fiatone.
-Che ti avevo detto? I
semidei hanno un istinto innato per il combattimento-
Risposi al suo sorriso.
–No, è solo la fortuna del principiante-
Eppure dentro di me
sapevo benissimo che non era così.
Note:
Ciao a tutti!
Scusatemi per il ritardo, ma ho avuto dei giorni un po’
pieni.
Spero che il capitolo vi piaccia e che non vi annoi. Aelle
che si allena con Percy :D
La ragazza ha qualcosa di strano, spero che ve siate
accorti!Ma cosa lo dirò tra un po’ visto che come sempre sono un’autrice
malvagia.
Grazie a chi legge, a chi recensisce e chi aggiunge la mia
storia tra preferite/seguite/ricordate. GRAZIE MILLE!
Ne approfitto per dirvi che ho pubblicato
una one-shot sulla divina coppia Efesto-Afrodite. Sui loro diversi punti di
vista riguardo all’amore.
Leggetela, mi farebbe piacere sapere cosa ne
pensate! Ovviamente non siete obbligati.
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle
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Capitolo 7 *** Accettare una proposta per vendetta ***
guuuu
Accettare una
proposta per vendetta
-Ehi tu!-
Mi voltai e una
ragazza robusta - un armadio- con degli spaghetti castani al posto dei capelli
mi si avvicinò, sulle labbra uno strano ghigno che forse doveva assomigliare ad
un sorriso.
-Dove hai imparato a
combattere così?- mi domandò –Hai battuto quel Prissy, hai la mia stima! Mi
batté una mano sulla spalla, sfondandomela quasi.
-Ehm … chi sei?
La ragazza raddrizzò
la schiena e alzò il mento con orgoglio. –Clarisse, figlia di Ares- mi strinse
la mano, stritolandomela –Tu in che casa stai?-
-Ermes. Sono
indeterminata- preferii specificare subito che non conoscevo il mio genitore
divino.
-Sarai determinata
presto- mi disse –Sarai sicuramente una figlia di Ares dato che combatti così
bene!
Annuii. –Spero di
sapere presto chi sia mio padre, ma la guerra non mi piace molto. Non penso
proprio di essere figlia di Ares!-
Clarisse mi prese
sottobraccio. –La guerra fa parte di tutti i semidei. Solo che alcuni sono più
adatti di altri a combatterla-
Mi portò verso un
gruppo di ragazzi che facevano più casino di altri messi insieme. –Ti troverai
bene con noi, vedrai-
Questo Campo
Mezzosangue era seriamente un bel posto e le persone erano tutte gentili. C’era
solo il particolare che lì erano tutti figli di dèi greci, ma ormai avevo
superato il trauma iniziale.
Mi lasciai trascinare
da Clarisse. Quella ragazza aveva una presa ferrea. Non mi sarei stupita più di
tanto se avessi trovato segni rossi dove mi aveva stretto il polso.
-Fratelli!- urlò.
Mamma mia che voce potente aveva!
Quelli, senza girarsi,
la accolsero con grida ancora più forti. Sentii le orecchie fischiare, ma non
le coprii. C’era qualcosa dentro di me che mi diceva che non era la prima volta
che sentivo degli strilli simili. Non sapevo dove.
Clarisse mi spinse
avanti. –Lei è … oh, giusto, non te l’ho chiesto- disse –Com’è che ti chiami?-
Mi venne da ridere, ma
mi trattenni. –Aelle Amazon-
Lei mi diede un’altra
pacca sulla schiena. –Sì, ecco. Aelle, benvenuta tra i figli di Ares!-
Altre urla mi
sfondarono i timpani e altri colpi mi fecero male alla schiena. Erano più
casinisti dei figli di Ermes, il che era tutto dire.
A cena restai
pensierosa per tutto il tempo. Mangiavo la pizza a piccoli bocconi, quasi senza
accorgermene. Insomma, per farla breve Clarisse mi aveva proposto di allenarmi
con lei. Le avrei anche detto di sì, ma dopo averla vista spedire quattro
ragazzi grossi il doppio di lei in infermeria avevo preferito darle una
risposta più tardi. Per le dieci del mattino successivo avrei dovuto avere le
idee chiare.
-Che hai?- mi chiese
Heather. Era una ragazza della casa di
Ermes, l’avevo conosciuta proprio dopo l’incontro con Clarisse e in qualche
modo era riuscita a convincermi a dirle tutto. –E’ ancora per la proposta di La
Rue?-
Grugnii, deglutendo il
boccone. –Heather, quella ragazza è una furia. Fa impressione quando combatte!Non
so se accettare o meno … voglio dire, e se ci rimango secca?!-
Heather si strozzò con
l’acqua che stava bevendo tanto era la ridarella. –Ti fai troppi problemi.
Accetta e basta. Se La Rue ti ha chiesto una cosa del genere devi
approfittarne! E’ la prima volta che fa questa proposta a qualcuno che non sia
della sua casa-
Mi domandai cosa
potessi avere in più di tutti gli altri agli occhi di Clarisse. Avevo battuto
Percy, o Prissy, come lo chiamava lei. E allora? Non mi sembrava un fatto così
eclatante. Lo dissi a Heather.
-Sì che è importante-
mi rispose lei –Percy è uno dei più bravi qui al Campo e da sempre è in
competizione con La Rue, fin da quando ha messo piede qui per la prima volta-
Ne fu stupita. Gettai
un’occhiata al tavolo di Poseidone, dove Percy sedeva da solo, mangiando
tranquillo. Sembrava un ragazzo normale. Lo era veramente?
Troppi pensieri. Sbuffai. Mi alzai dalla panca, mentre
tutti gli occhi al tavolo di Hermes si posavano su di me. Non ci feci caso e mi
allontanai il più in fretta possibile. Alle mie spalle sentii Heather spiegare
agli altri che avevo ancora problemi ad ambientarmi.
Avevo bisogno di stare
da sola. Mi addentrai nel buio, quasi senza paura. Mi ritrovai allo spiazzo con
le case in poco tempo. L’aria che si respirava l’ era pura, donava un senso di
tranquillità mai provata. Mi sedetti a terra e chiusi gli occhi, beandomi dei
suoni più comuni. In città non era facile udirli, ma lì tutto era diverso. Un
salto indietro nel tempo, con i suoi lati buoni e con quelli negativi. Sorrisi.
Ero immersa
completamente nella calma quando dei passi mi riportarono bruscamente alla
realtà. Balzai a sedere, agitata. Se erano tutti a cena, chi diavolo stava
camminando nella mia direzione? Impossibile che avessero già finito. Mi
rimproverai per non aver preso quel pugnale offertomi da Annabeth alla fine
delle lezioni. Mi sarebbe tornato proprio utile.
Poi udii le risate e
allora mi rilassai. Doveva essere gente del campo. Ma chi, era ancora un
mistero.
Da lontano spuntarono
due figure, che si inseguivano fra spintoni e scherzi vari. Man mano che si
avvicinavano riuscivo a distinguerli meglio: erano due ragazzi giovani,
all’incirca della mia età, incredibilmente simili.
Non appena anche loro
mi scorsero, si bloccarono. Accennai un timido cenno di saluto, poi tornai a
stendermi per terra con gli occhi chiusi.
-Uhm … non mi ero mai
messo a guardare le stelle così prima d’ora!- affermò una voce non molto
distante dal mio orecchio destro.
-A chi lo dici-
quest’altra era alla mia sinistra.
Socchiusi le palpebre
e notai che i due ragazzi si erano stesi accanto a me, uno da un lato, l’altro
dall’altro. Mi rimisi seduta con un sospiro. Che nervoso.
-Non mi pare di avervi
invitato- sbottai.
I due sghignazzarono.
–Hai sentito, fratello?- disse uno –Non ci ha invitato!-
-Già, ho sentito-
commentò l’altro –Quanta maleducazione nel mondo-
Continuarono ad
infastidirmi per altri cinque minuti buoni, poi persi definitivamente la calma.
Sollevandomi di scatto, afferrai entrambi per la maglietta –arancione, erano senz’altro
ragazzi del campo- e li scossi.
-Insomma, si può
sapere chi siete?-
-Potremmo dirtelo, ma
cosa otteniamo in cambio?-
Roteai gli occhi. –Non
è obbligatorio presentarsi, ma fa parte della buona educazione- mi rivolsi in
special modo ad uno dei due –Giusto per farti notare che sono tutto tranne che
maleducata-
Li lasciai andare
quando sembrarono ben disposti a rispondermi. Mi sbagliai: si alzarono da terra
velocemente e prima che potessi dire qualcosa erano già spariti, lasciandosi
dietro una scia di risate.
Non so dire quanto
esattamente fossi arrabbiata in quel momento, ma feci una promessa: avrei detto
di sì a Clarisse e avrei eliminato dalla faccia della terra quei due tizi.
Parola di Aelle
Amazon.
Note:
Ciao a tutti e scusate la lunga assenza.
Purtroppo Zeus ha deciso di far arrivare una serie di
temporali nella mia zona ed è saltata la connessione internet. Della serie: che Zeus ti fulmini!
Ho dovuto farmi di strane sostanze per la mancanza di efp –
e di face book u.u –
Allora, questo è il nuovo capitolo. Non succede niente di
che, se non per uno strano incontro. Immagino che abbiate capito chi ha
infastidito Aelle!
Scusate vari errori, sono talmente esaltata che ho di
nuovo internet che mi sa che non ho riletto bene :P
Ringrazio per le recensioni, vi adoro!
Al prossimo capitolo (se Zeus non mi fulmina di nuovo!)
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 8 *** I tralci della follia ***
ssssssssss
I tralci della
follia
Oltre a essere dei
gran rompiballe, Travis e Connor Stoll erano anche i capi della casa di Ermes.
L’avevo scoperto qualche giorno prima, svegliandomi al mattino con i due
sopracitati esseri che mi facevano il solletico. Non ero stata molto felice di
svegliarmi così, tanto che avevo urlato loro contro e mi ero poi rimessa a
dormire sotto i loro sguardi stupiti.
-Troppo lenta!- mi
ammonì Clarisse puntandomi la spada alla gola –E’ inutile che stai qui se pensi
agli affari tuoi-
Non appena le avevo
annunciato la mia decisione, Clarisse si era rivelata un’insegnante spietata.
Non mi dava un attimo di tregua, mi faceva allenare fino a tarda sera quando
ero talmente stanca che faticavo persino a reggermi in piedi.
Caddi a terra con il
fiatone e il cuore che mi rimbombava nelle orecchie. Clarisse non si fece
impietosire dalle mie condizioni. Con il piatto della lama mi picchiettò la
spalla per farmi rialzare. Li ignorai, chiudendo gli occhi.
Stupisci Clarisse.
Quel pensiero si
intrufolò nella mia testa come un lampo. Non mi resi nemmeno conto di averlo
concepito che già avevo stretto la presa sull’ascia. Con un colpo deciso
spostai la spada di Clarisse dal mio collo. Scattai in piedi e presi ad
incalzare Clarisse, la quale, nonostante la sorpresa iniziale, rispose ai miei
colpi con grazie letale. Solo quando combatteva esprimeva una grazia fuori dal
comune. Per il resto, ruttava come il peggiore tra gli uomini.
-Contieni la rabbia!-
mi gridò –Non vai da nessuna parte se combatti con la rabbia!-
Non le prestai
ascolto. Volevo vincere, solo vincere. Del resto, non mi importava molto. Se
avessi potuto farle male, se avessi potuto ucciderla
… non era a quello che stavo pensando.
Vittoria.
Aumentai la violenza
dei miei colpi e Clarisse cominciò ad indietreggiare. Nell’aria si sentiva solo
il clangore delle nostre armi. Ogni volta che entravano in contatto emettevano
scintille.
-Calmati, Aelle- tentò
di fermarmi Clarisse con voce insicura.
Mi teneva ancora testa,
ma iniziava a perdere terreno velocemente. Ben presto si ritrovò contro il muro
della Casa Grande. Eppure tenevano le nostre lezioni lontano da lì, come
diavolo avevo fatto?
Con un urlo assordante
mi preparai a piantarle l’ascia nello stomaco. Sollevai l’arma verso l’alto, ma
improvvisamente non riuscii più a muovere le braccia: tralci di vite erano
spuntati dal suolo e mi strisciavano addosso come serpenti. Avevo paura dei
serpenti. Cominciai a respirare male, vedendo quelle schifose creature strette
attorno al mio corpo, gli occhi gialli puntati su di me e le lingue biforcute
che sibilavano.
Tornai in me con un
singhiozzo, le lacrime che mi scivolavano veloci lungo le guance. I
tralci-serpenti si avvolsero attorno alla mia ascia e me la strapparono dalle
mani tremanti, gettandola sul terreno, dove rimase immobile.
Clarisse non si era
mossa dal muro, la vedevo sfocata a causa delle lacrime. Si riscosse quando
capì che di essere ancora viva. Alzò un braccio verso il mio volto, ma io, con
la mente confusa dalla follia, vidi solo un serpente spalancare la bocca e
avvicinare pericolosamente i denti al mio collo. Chiusi gli occhi e gridai.
Percepii i tralci
allentarsi e finalmente fui libera di muovermi. Caddi addosso a Clarisse e
scoppiai definitivamente a piangere.
-Mi dispiace!- singhiozzai
sulla sua spalla –Non so cosa mi sia successo!-
Pensai che Clarisse si
scostasse o che si mettesse a urlarmi contro, ma non fece nessuna delle due
cose. Si limitò ad accarezzarmi i capelli, sussurrandomi di smettere di
piangere. Un gesto gentile che non avrei mai pensato che le fosse proprio.
Poi lo notai: sulla
soglia della Casa Grande Chirone era intento a fissarci e il Signor D era
dietro di lui. Tutti e due avevano gli occhi preoccupati. Che loro sapessero
qualcosa su di me che io non conoscevo?
Mi irrigidii tra le
braccia di Clarisse e lei, seguendo il mio sguardo, capì il motivo della mia
reazione.
-Andiamo- mi disse.
Mi aiutò a sollevarmi
da terra e mi fece allontanare da lì, portandomi verso la casa di Ares, a quell’ora
vuota perché tutti i suoi occupanti erano ad allenarsi.
Sentii puntati sulla
schiena due paia di occhi. Ci seguirono finché non entrammo nella casa e
scomparimmo alla loro vista.
Sedevo a gambe
incrociate sul letto di Clarisse, io da una parte, lei dall’altra che mi
fissava con sguardo indagatore. Sembrava
Annabeth in quel momento.
-Te l’ho già detto,
Clarisse. Non ho idea di cosa mi sia successo prima. Volevo vincere. La mia
mente pensava solo a quello-
-Hai rischiato di
uccidermi. Mi devi una spiegazione-
Sospirai, passandomi
una mano tra i capelli, lunghi e neri come il carbone. –Non lo so. Quante volte
te lo devo ripetere?-
Gli occhi di Clarisse
fiammeggiarono, ma la ragazza non mosse un solo dito per esprimere la collera
che le ribolliva dentro.
Controlla la rabbia. Clarisse me l’aveva detto giusto poco
prima. Lei lo stava facendo e ci riusciva benissimo. Ecco perché era così brava
nell’arte della guerra.
-Dovrei seguire più
spesso i tuoi consigli- le dissi con piccolo sorriso.
Clarisse mi guardò,
confusa. –Di cosa stai parlando?-
-Controlla la rabbia.
Sei stata tu a dirmelo. Fossi stata ora nei tuoi panni ti sarei già saltata
addosso. Riesci a controllarti in modo fantastico-
Lei si lasciò andare
ad una risata e finalmente vidi la collera nei suoi occhi sparire. Si spostò
accanto a me, circondandomi le spalle con un braccio.
-Imparerai anche tu!-
mi disse –Sono o non sono la tua insegnante preferita?-
Risi. –Preferita non è la parola giusta, ma,
sì, posso dire che sei passabile-
Clarisse gonfiò le
guance e mi si lanciò addosso, schiacciandomi sotto la sua mole. –Passabile? Passabile?!- urlò.
Presi a ridere sempre
più forte. Forse non era tanto capace di controllarsi.
Il signor D si portò
la lattina di Diet Coke alla bocca, bevendo con aria disgustata.
-Chirone- esordì –L’hai
vista, vero?-
Il centauro annuì. –Sì,
anche se avrei preferito di no-
Il dio si alzò dalla
sua sedia, lasciando una partita di pinnacolo a metà per la prima volta. Si
avvicinò alla finestra e fissò gli occhi sulla casa di Ares, dove le due
ragazze si erano rifugiate dopo l’incidente.
-Immagino anche che tu
abbia capito con che cosa abbiamo a che fare-
Chirone annuì
nuovamente. –Quello non è il suo vero potere-
Il signor D gli lanciò
un’occhiata veloce. –Concordo. Deve esserci qualcosa che la blocca. Un sigillo.
Una maledizione. Un qualcosa che ora non capisco-
Chirone si erse in
tutta la sua statura e si portò alle spalle del dio, mantenendo una certa
distanza.
-Non dimentichiamo
della faccenda riguardante il suo genitore divino. Non è ancora stata
riconosciuta. Il patto prevede … -
Il Signor D lo interruppe
con un gesto brusco della mano. –So cosa prevede il patto. E tutti gli dei lo
stanno mantenendo. Ma come ho già detto, c’è qualcosa che la blocca, qualcosa
che le impedisce sia di sprigionare i suoi veri poteri sia di essere
riconosciuta-
Il centauro sgranò gli
occhi, agitando la coda. –Questo significa che rimarrà indeterminata finché
questo sigillo, chiamiamolo così, non verrà rimosso?-
-Esatto-
-Ma come lo si
toglie?- domandò Chirone.
Il Signor D si voltò
verso di lui con aria altamente scocciata. –Se l’avessi saputo te l’avrei
detto, no?-
Chirone non era tanto
sicuro che lo avrebbe fatto, ma preferì non dirlo. –Spero solo che Rachel
arrivi presto. Lei avrà le risposte-
-Per la seconda volta
nella mia divina vita mi trovo d’accordo con te, anche perché se loro arrivassero qui per il Campo
sarebbe la fine-
E ritornò a bere la
sua Diet Coke sotto lo sguardo preoccupato del centauro.
Note:
Ciao a tutti!
Sono tornata con il nuovo capitolo. Sarete felicissimi
vero?
Silenzio.
Lo immaginavo.
Ok, passo a spiegare alcune cose. Non ho mai descritto
Aelle fisicamente perché mi piaceva l’idea che ognuno di voi se la immaginasse
come più gli piaceva, ma mi sono accorta che non è possibile non descriverla
del tutto. Perciò metterò degli indizi in giro. Oggi ho detto che ha i capelli
neri? La prossima volta cosa dirò?
E’ un pochino più lungo dei precedenti capitoli, ma è
quello che introduce alla storia vera, per così dire. Ho messo due punti di
vista. La prima persona di Aelle, come al solito, ma alla fine ho fatto
intervenire un narratore esterno. Spero che la cosa sia riuscita bene.
Beh, spero che vi piaccia. Vi invito a farmi sapere cosa
ve ne pare: sono accetti sia commenti buoni ch negativi, anche quelli mi
aiuteranno a migliorare. Fatemi sapere vari errori!
Da ultimo, ringrazio chi ha recensito ( e chi recensirà!),
chi tra le seguite e chi tra le preferite. Grazie davvero!
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 9 *** Mia madre rovina la Caccia alla Bandiera ***
fffffffffff
Mia madre rovina la
Caccia alla Bandiera
Dopo aver passato una
settimana e mezzo al Campo ero diventata molto più forte: avevo una resistenza
maggiore nella corsa, ero in grado di scalare un muro di lava e di usare
un’ascia senza avere strane reazioni. L’unica cosa in cui rimanevo una frana
assoluta era il canottaggio: dopo l’incidente del primo giorno in cui avevo
rischiato di affogare, Chirone mi aveva impedito di avvicinarmi di nuovo
all’acqua. Percy, Grover e Annabeth si erano dichiarati totalmente d’accordo
con lui.
-Domani c’è la Caccia
alla Bandiera- mi ricordò Travis sedendosi accanto a me.
Stranamente avevo
fatto amicizia con i fratelli Stoll. A differenza di come avevo pensato a prima
vista non erano gemelli e soprattutto non erano poi così antipatici. Erano solo
propensi a fare più scherzi di quanti la mente umana potesse sopportare.
Tralasciando questo aspetto mi piacevano. Travis in particolare: aveva la mia
stessa età e, dopo che avevo superato la diffidenza iniziale, si era dimostrato
molto gentile con me.
-Già- sospirai,
triste.
Travis me lo aveva
spiegato: prima che Percy obbligasse gli dei a riconoscere i propri figli, la
Caccia alla Bandiera era considerata un rito di passaggio. Solo facendo il
proprio meglio si aveva una possibilità di attirare l’attenzione del rispettivo
genitore divino. Ed era l’ultima possibilità.
Travis mi diede una
pacca sulla spalla. –Su, su. Sei piuttosto brava con l’ascia. Abbastanza da
farti riconoscere, vedrai-
In risposta, gli
rivolsi una domanda che certamente lo sorprese. –Come siete stati riconosciuti
tu e tuo fratello?-
Prese un respiro
profondo. –E’ stato un caso, non ce l’aspettavamo neanche. Avevamo già partecipato
alla nostra prima Caccia alla Bandiera perciò ormai avevamo perso le speranze-
si fermò, scrutando il cielo davanti a sé.
Mi avvicinai a lui e
gli appoggiai la testa sulla spalla, presa da un impulso che non comprendevo.
Sobbalzò, ma non si ritrasse. –Continua- lo incitai.
-Beh, mio padre è il
dio dei viandanti, ma è ricordato soprattutto per essere il dio dei ladri- mi
fissò con la coda dell’occhio e io ricambiai. –E’ stata una scena molto comica,
se devo essere sincero. Era sera ed eravamo tutti radunati attorno al focolare.
Mentre i ragazzi della casa di Apollo cantavano, io e Connor, annoiati a morte,
provammo a rubare il portafoglio ad un ragazzo che ci dava le spalle. Se non
sbaglio era della casa di Ares. Quando mettemmo le mani sul portafoglio, fummo
riconosciuti. Eravamo in trappola: tutti si girarono a guardarci, incluso il
ragazzo che avevamo derubato. E così, oltre ad essere riconosciuti, fummo anche
pestati a sangue-
Scoppiai a ridere,
forte. –Penso di stimare Ermes!- strillai tra le risate –Sicuramente hai
cercato di imitarlo, te ne do atto. Ma lui ha più stile!-
In lontananza sentii
rombare un tuono. Qualcosa mi diceva che non era un rimprovero, ma piuttosto un
ringraziamento.
A quel punto, mi alzai
prima che Travis mi acchiappasse. Si mosse velocemente e per un soffio non mi
prese. Mi rincorse per mezzo Campo, ma, come ho già detto, ero migliorata nella
corsa abbastanza da distanziarlo. Mi accorsi, però, di averlo sottovalutato
quando mi afferrò per un polso e mi tirò indietro. Mi sbilanciai e gli caddi
addosso, il respiro pesante.
E improvvisamente
tutti smisero di allenarsi e presero a fissarci in modo abbastanza eloquente.
Poi iniziarono le risatine da parte delle figlie di Afrodite. Mai in tutta la
mia vita mi ero ritrovata in una situazione così imbarazzante.
Mi alzai in fretta e
furia e mi portai a distanza di sicurezza da Travis. Gli tesi solo la mano per
aiutarlo a tirarsi su. Quando incontrai il suo sguardo mi parve di notare una punta
di delusione. Ma, poiché non ero abituata a ricevere attenzioni di un certo
tipo, non ci prestai l’attenzione che avrei dovuto prestarci.
E quella giornata finì
così, con qualcosa di non detto che mi fece sentire strana, quasi elettrizzata.
-Perché non stai mai
attenta Clarisse?- sbottai.
La ragazza in
questione mi era venuta addosso, travolgendomi come solo lei era capace di
fare.
I novellini –mi stupii
io stessa del termine che stavo usando perché non ero molto diversa da loro-
trattennero il fiato. Clarisse non era certo nota per i suoi modi da signorina.
Piuttosto, era violenta come un wrestler.
Quella volta li stupì
tutti. Mi diede una delle sue solite manate e ghignò, visto che ancora le
riusciva difficile sorridere. –Oh, non farla tanto lunga, Ragazza Innamorata!-
Inarcai un sopracciglio,
palesemente stizzita. –Come scusa? Non ho capito bene come mi hai chiamata-
mossi le dita a casaccio.
-Ragazza Innamorata-
rise, sfondandomi un’altra volta la spalla –Ho sentito che stai con Travis!-
La mia mascella toccò
terra. –Chi te l’ha detto?-
-Le figlie di Afrodite
lo stanno urlando ai quattro venti- per un attimo parve dubbiosa delle sue
stesse parole –Perché, non stai con Travis?-
-No, Clarisse- sbuffai
–Da quando ascolti quello che dicono le figlie di Afrodite?-
-Da quando mio padre è
Ares- ribatté lei –Ma sei mi dici che non è vero, ci credo-
-Non è vero- le
assicurai.
In quel momento odiai
le figlie di Afrodite come mai avevo odiato qualcuno, ma compresi che la cabina
numero dieci era anche da temere. Se riuscivano a convincere le persone solo
parlando erano altamente pericolose.
-Ah, dimenticavo di
dirti che la casa di Ermes è in squadra con quella di Ares stasera- esordì
Clarisse –Saranno con noi anche le case di Demetra, Efesto, Afrodite e altre di
cui non mi ricordo il nome-
Tipico di Clarisse non
ricordare le cose che non riteneva degne della sua attenzione. –Ho capito. Che
cosa hai in mente?- le chiesi.
Lei allargò il suo
ghigno. –Lo vedrai- mi rispose, enigmatica.
Se ne andò spintonando
i ragazzi più piccoli e facendoli cadere a terra come birilli.
-Eroi!- gridò Chirone
alle nove esatte di sera.
Ci radunammo tutti
attorno alla sua figura, chi elettrizzato e chi spaventato a morte. Nell’ultima
categoria rientravo anche io. Tremavo come una foglia e mi aggrappavo al
braccio di Travis come se fosse la mia ancora di salvezza.
-Hai intenzione di
staccarmi il braccio?- mi bisbigliò lui, ridacchiando.
Scossi la testa, ma
non mi staccai da lui. Neanche un po’. Travis si limitò a ruotare gli occhi e a
sorridere.
-Eroi- riprese Chirone
–Sta per avere inizio la Caccia alla Bandiera. Conoscete le regole: è vietato
uccidere e ferire troppo gravemente. Tenete a mente queste due cose- guardò i
figli di Ares con fare ammonitore.
Man mano che il
centauro impartiva le istruzioni di base, ognuno si accorpava nella propria
squadra. Blu contro rosso. Atena contro Ares. Annabeth contro Clarisse.
Già cominciava male.
Chirone prese il corno
dalla cintura e avvicinò le labbra ad esso. Il segnale d’inizio. Ogni semidio
si mise in posizione, lanciando occhiatine complici ai compagni di squadra.
Ma il suono del corno
venne coperto da un rumore più forte. Un’esplosione assordante. Mi tappai le
orecchie e chiusi gli occhi per ripararmi dalla polvere che si stava alzando.
Chirone cercò di
sovrastare il frastuono gridando ordini, ma poi cominciarono le urla. E il
fuoco. E il sangue. Ne sentivo l’odore nell’aria.
-Travis, cosa succede?
Questo non fa parte del normale programma della Caccia alla Bandiera, vero?-
commentai con una punta di ironia mista a panico.
-No- mi confermò con
occhi preoccupati.
Quando il fumo si
diradò le vidi. Un gruppo di donne bardate in armature splendide – anche se
imbrattate del sangue di alcuni semidei, quelli che si trovavano più vicini al
luogo dell’esplosione- si ergeva sul confine del Campo. Gli sguardi fieri delle
donne scandagliarono la folla finché non trovarono i miei occhi.
E allora riconobbi la
figura centrale.
Mia madre.
Note:
Ciao a tutti!
Volevo aggiornare domani, ma ho deciso di anticipare.
Siete contenti? ^-^
Silenzio
tombale.
Bene, ma io tanto l’ho pubblicato lo stesso. Ora siamo
entrati nella vera storia e spero vi possa piacere. Che non vi annoi, o cose
simili. In tal caso fatemelo sapere, se posso modifico. Più che altro non
vorrei aver corso troppo, con il rapporto con Travis e Clarisse. Ma se stavo lì
a descrivere giorno per giorno non finivo più e sarebbe stato noiosissimo anche
da leggere.
Questo è il risultato, insomma. Come sempre fatemi notare
se ci sono errori e cose varie, mi piace sapere tutto!
Spero di tornare presto con il prossimo capitolo!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 10 *** Jane Ippolita Amazon cerca di affogarmi ***
wwwwwwwwww
Jane Ippolita Amazon
cerca di affogarmi
Il signor D tentò un
approccio diplomatico. Incurante del caos che si era creato al Campo, uscì
dalla Casa Grande con passo tranquillo e sguardo insolitamente serio.
-Sono sicuro che
possiamo arrivare ad una soluzione pacifica- esordì, ponendosi in mezzo ai due
fuochi.
Mia madre, la donna
dai capelli fiammeggianti e gli occhi di ghiaccio, non fece una piega
all’apparire del dio. Non si inchinò né lo guardò con rispetto. Piuttosto, lo
fissò con un’arroganza che non le avevo mai visto addosso.
-Vogliamo lei- ringhiò
mia madre –Consegnatecela e ne uscirete illesi- fece un passo avanti e tese un
braccio verso di me.
Da parte mia non mi
mossi di un centimetro e mi rannicchiai dietro a Travis, cercando di calmare il
mio respiro agitato. Travis anche senza comprendere bene la situazione – del
resto, nemmeno io riuscivo a capire- mi fece da scudo umano, stringendomi una
mano con la sua. A quel contatto mi rilassai visibilmente, ma mia madre non
sembrò accettare di buon grado la situazione. Si era sempre opposta al fatto
che io mi trovassi un ragazzo. Non che Travis lo fosse.
Gettò un’occhiata
veloce ad un’altra donna e questa, svelta come la luce, imbracciò l’arco che
portava sulle spalle e tirò una freccia contro Travis, il quale si preparò a
ricevere un colpo non sarebbe mai arrivato. Infatti, senza rendermene conto mi
ero parata davanti a lui e avevo deviato la freccia con la mia ascia. La nota
buona era che Travis era ancora vivo. Quella cattiva era che ero nuovamente
entrata in una delle mie crisi di aggressività.
Brandendo l’ascia con
entrambe le mani, mi gettai addosso alla donna che aveva lanciato il dardo e
con una violenza che non mi era propria –non fino a quel momento perlomeno- le
tranciai la testa con un colpo secco. Il corpo decapitato si accasciò al suolo
e una pozza di sangue prese ad allargarsi attorno ad esso. Nonostante dentro di
me avessi compreso la portata dell’orrore che avevo appena compiuto, non mi
fermai.
Prima che il gruppo di
donne cominciasse ad organizzarsi per il contrattacco, riuscii ad abbatterne
altre cinque o sei. Ero una furia e non sarei riuscita ad arrestarmi se non
fosse stato per l’intervento di Clarisse.
La sua voce emerse
come un tuono tra le urla che si erano alzate dopo la prima decapitazione.
–Fermati!- mi gridò.
E io mi fermai.
Ritornai me stessa all’improvviso e quasi mi misi a piangere nel vedere tutto
quel sangue. Ma, sebbene anche io – da carnefice- mi fossi preoccupata per
quelle donne, mia madre non aveva mosso un dito per aiutarle. Era rimasta nella
stessa posizione e si era limitata ad osservare le sue compagne cadere. Che
razza di storia era quella? La mamma che conoscevo io non era certamente così …
impassibile.
Circondata dalle donne
rimanenti e con le punte delle loro lance alla gola, fissavo Clarisse con gli
occhi annebbiati dalle lacrime.
Mia madre le rivolse
uno sguardo pigro. –E tu chi saresti, ragazzina?-
Come suo solito,
Clarisse non si fece intimidire. –Clarisse, figlia di Ares- disse con una punta
di arroganza.
E allora accadde l’impensabile.
Mia madre –la stessa che avevo visto non battere ciglio davanti alla morte
delle sue compagne- sgranò gli occhi e si inginocchiò davanti alla figura
robusta di Clarisse. Ben presto, le punte acuminate delle lance si
allontanarono dal mio collo e tutte le altre donne seguirono l’esempio di
madre, inchinandosi anche loro.
Chiesi spiegazioni.
–Cosa sta succedendo? Qualcuno si degna di dirmelo?-
Il Signor D, che fino
a quel momento era rimasto silenzioso, alzò le braccia al cielo. –Oh,
finalmente una domanda sensata! Parla tu, Christabel-
Clarisse lo fulminò
con lo sguardo, ma decise di sorvolare sulla questione del nome. Quando fece
per aprire bocca, le voce riunite delle donne sovrastarono il suo tentativo di
parlare.
-Veneriamo Ares, dio della guerra e padre delle Amazzoni- gridarono
all’unisono, portandosi una mano a pugno al cuore.
Spalancai la bocca,
incapace di emettere alcun suono. Cosa avevano appena detto?
Clarisse spezzò il mio
stupore. –Non sono io a dover dare spiegazioni, Signor D – si avvicinò a mia
madre e la tirò in piedi, gettandola con poco garbo verso di me –Ma questa
donna. E’ lei che ha tutte le risposte alle domande di Aelle-
Mia madre quasi tremò
sotto lo sguardo di Clarisse. All’apparizione di Dioniso non aveva fatto una
piega, ma non appena era stato nominato Ares era diventata docile come un
agnellino. Cosa diavolo … ?
-Sono un’Amazzone,
Aelle. Lo siamo tutte, qui- fu la prima cosa che disse.
-Eh?- la mia voce
suonava incredibilmente bassa.
Con la pazienza che
ricordavo, mia madre si accinse a dare una spiegazione più completa. –Una donna
guerriera. Esattamente come lo sei tu-
Sebbene lo sgomento
per la notizia, il mio cervello continuò a funzionare e capii perché mia madre
si era agitata al solo sentire il nome del dio della guerra. Le Amazzoni erano
figlie sue. O perlomeno quattro lo erano. E fu quello a darmi il colpo finale.
Pentesilea, Ippolita, Antiope e Melanippa. Questi erano i nomi delle originarie
figlie guerriere di Ares.
E mia madre si
chiamava Jane Ippolita Amazon.
L’aria lasciò
definitivamente i miei polmoni e la testa cominciò a girarmi. Sarei caduta se
non fosse stato per l’intervento tempestivo di Travis, che mi afferrò un
secondo prima che toccassi terra. Sorrisi: lui e la sua velocità da figlio di
Ermes.
-Grazie- gli
bisbigliai all’orecchio.
Mi aggrappai a lui,
strofinando la testa sul suo petto, e in risposta Travis mi strinse di più. E
ancora una volta mia madre non gradì.
-Staccati da lui,
Aelle- mi ordinò, secca.
Mi irrigidii.
–Perché?-
-Fallo e basta-
Si avvicinò a me e a
Travis, mi prese per un braccio e iniziò a tirarmi con il chiaro intento di
allontanarmi da lui. Mi liberai con uno strattone e la mia espressione si
indurì. No, non di nuovo per favore … .
-No- sbottai,
fissandola con sguardo di sfida.
Non avevo mai osato
comportarmi così con lei. Se ne accorse anche lei, perché per un attimo rimase
spaesata dal mio atto di ribellione alla sua autorità.
-Non puoi obbligarmi-
continuai alzandomi in modo tale da essere alla sua stessa altezza. Però, non
lasciai la mano di Travis.
-Sono tua madre- mi
rinfacciò lei.
-Questo non cambia il
fatto che io non mi muoverò di qui-
A quel punto Jane
Ippolita Amazon perse definitivamente il controllo. Con un gesto poco materno
mi agguantò per il collo e mi sollevò in aria. Ma che razza di forza aveva? Con
un grugnito feci quello che mia madre mi aveva ordinato, ovvero lasciare la
mano di Travis. Speravo che così si sarebbe calmata, ma così non fu. I suoi
occhi divennero di brace e il viso si sfigurò a causa della collera. Tossi e
provai a divincolarmi, ma non ottenni grandi risultati. La sua stretta era di
ferro.
-Ora bambina
impertinente- mi ammonì con uno strano sorriso –Avrai la tua punizione-
Dietro di lei, le Amazzoni esultarono. Dietro di me, invece,
regnava il completo silenzio. Il signor D era diventato improvvisamente
pallido. Gli altri ragazzi –perlomeno quelli che non erano fuggiti- trattennero
il fiato. Travis digrignava i denti.
Mi mancava l’aria.
Scalciai di più, provai a strappare le sue mani dal mio collo. Niente. Mi
rassegnai ad emettere dei deboli rantoli per riuscire a prendere ossigeno. Mia
madre non mi avrebbe ucciso, vero?
-Cosa hai intenzione
di fare?- ansimai.
-Lo scoprirai presto, tesoro mio- mi rispose lei.
All’improvviso
Clarisse si parò davanti a mia madre, le braccia spalancate a formare una
barriera. –Lei non va oltre- stabilì con un ringhio.
Mia madre quasi le
scoppiò a ridere in faccia. –Ragazzina, sia chiaro che mi sono inchinata solo
per rispetto del grande Ares, non certo per te- fece un cenno alle Amazzoni che
la seguivano. Quelle spostarono Clarisse di peso. La loro forza cominciava a
preoccuparmi.
Mentre mia madre
procedeva sicura, l’urlo di Clarisse mi sfondò le orecchie.
-No! Le Amazzoni
affogano i trasgressori delle loro leggi!-
Sbiancai e tentai di
sottrarmi a quello che ormai avevo capito essere il mio destino. Lei non me lo
permise e se possibile aumentò la stretta.
Sotto gli occhi di
tutti venni trascinata sulle rive del lago. Lì mia madre si fermò e mi lasciò
il collo. Caddi a terra e presi a tossire in modo convulso, massaggiandomi la
gola che sentivo bruciare.
Fu l’unico momento di
tregua che mi venne concesso. Subito le Amazzoni mi risollevarono in aria e si
diressero a piccoli passi veloci dentro il lago. Quando l’acqua arrivò a bagnare
i loro fianchi smisero di avanzare, voltandosi a guardare mia madre.
-Aelle Amazon- disse
lei con voce seria –a causa della tua disobbedienza alle regole sei condannata
a morte. Questa è la volontà di Jane Ippolita Amazon, regina del popolo
guerriero delle Amazzoni-
Sentii le mani delle
donne rafforzare la presa su di me, pronte al lancio. In un ultimo tentativo di
liberarmi mi rivolsi a mia madre.
-Sono tua figlia!-
strillai.
Lei mi fissò
intensamente negli occhi. –Lo so. E’ per questo che ho preferito decidere io di
te. Non ti sarebbero piaciute le conseguenze se fossero state decise da
Pentesilea-
Con un sorriso triste,
diede il via libera alle Amazzoni.
Fui scagliata in aria
con una potenza assurda e al mio urlo di terrore si unì anche quello di Travis.
Prima di chiudere gli occhi lo vidi mentre superava correndo mia madre,
spingendola bruscamente di lato.
Io aspettai. Attesi un
impatto con l’acqua che non arrivò mai. Avevo chiuso gli occhi per non vedere,
ma non avevo tappato le orecchie perciò le udii benissimo. Le grida di stupore
delle Amazzoni e dei ragazzi del Campo mi spronarono ad alzare le palpebre.
E come loro rimasi
meravigliata.
Levitavo a pochi
centimetri dal pelo dell’acqua e dal mio petto uscivano raggi di luce bluastra.
Note:
Ciao a tutti!
Sono tornata con il nuovo capitolo. Teoricamente avrei
dovuto postarlo domani, ma praticamente ho deciso di farlo oggi. Spero che non
ci siano troppi errori e che vi possa piacere.
Allora, passo a chiarire alcune cose sulle Amazzoni.
Società matriarcale, hanno due regine: una della pace e una della guerra. In
questo caso Ippolita sarebbe la regina della pace, Pentesilea quella della
guerra. Se vi state chiedendo perché al Campo c’è Ippolita, la regina della
pace, e non quella della guerra vi dico subito che in quanto madre di Aelle si
è presa la responsabilità del suo recupero. Un’altra cosa, Ippolita condanna
Aelle perché non ha voluto lasciare Travis. Spiego: essendo una società
matriarcale, il contatto con il sesso maschile è proibito. Un po’ come le
Cacciatrici di Artemide. Le Amazzoni sono veramente figlie di Ares e i quattro
nomi che ho fatto sono esistiti veramente. Quindi, capirete che la madre di
Aelle è piuttosto anziana. Sul perché non invecchi e questioni varie tornerò in
seguito con i prossimi capitoli. Invece, è totalmente inventata la condanna per
affogamento di Aelle. Non so se facessero esattamente così, ma mi serviva per
la storia perciò ho fatto finta di sì.
Altre cose sulle Amazzoni ve le dirò più avanti, se vi fa
piacere saperle. Sono un popolo che mi ha sempre affascinata!
Bene, vi saluto! Un grazie a chi ha recensito, messo la
storie tra preferite/ricordate/seguite.
Alla prossima,
Aelle
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Capitolo 11 *** Scopro cose che mai avrei voluto sapere ***
fffffffffff
Scopro cose che mai avrei voluto
sapere
Il grido di mia madre mi trapanò i timpani.
Concentrata com’ero sulla luce blu che mi usciva dal petto, non avevo fatto
caso a lei. Era caduta in ginocchio e si teneva la testa tra le mani,
mormorando ripetutamente parole che se anche non udivo sapevo essere senza
senso. Ma furono i suoi occhi a stupirmi. Spalancati all’inverosimile, erano
pieni di terrore. Rigida come una statua, mia madre si riscosse solo per
tornare ad urlare. E urlare ancora. Le Amazzoni le si fecero attorno e
cercarono di calmarla, ma lei le cacciò via tutte in malo modo.
Allungai un braccio come per raggiungerla e una
fitta di calore mi trapassò il busto. Abbassai lo sguardo verso il punto in cui
avevo sentito male e mi resi conto che la luce era aumentata d’intensità.
Iniziò a farsi largo sul mio corpo a velocità sorprendente finché, dopo aver
attraversato il volto, non si fermò nel mezzo della fronte. Il caldo aumentò a
dismisura e il mal di testa scoppiò imprevisto. Mi presi il capo tra le mani e
strinsi i denti per il dolore acuto. Chiusi gli occhi, pregando che passasse
presto, ma fu una speranza vana. Le tempie mi bruciavano come se qualcuno vi
avesse appiccato il fuoco.
Non resistetti più.
Alle urla di mia madre si unirono le mie. Gridai
fino a non avere più voce, fino a quando non sentii il mio corpo spezzarsi per
il troppo male. Mi conficcai le unghie nel cuoio capelluto e piansi lacrime che
scivolavano bollenti sulle mie guance.
In ultimo momento di lucidità, distinsi la luce
sbiadire e udii un rumore come di vetri infranti. Dopo quel suono il dolore
scemò fino a divenire un lieve fastidio e io caddi in acqua. Non avevo
abbastanza forza per reagire alla corrente, ma qualcuno mi tirò fuori dal lago.
La stessa persona che già mi aveva salvata.
Percy.
Tra le palpebre socchiuse vidi il suo volto
preoccupato torreggiare sopra di me, ma fu solo un attimo. Travis mi strappò
dalle braccia di Percy e mi strinse tra le sue, affondando il viso nei miei capelli
bagnati. Singhiozzava e mi stritolava come se non volesse lasciarmi più andare.
Per la seconda volta da quando avevo scoperto di
essere una semidea, svenni. Abbandonai il capo nell’incavo tra il collo e la
spalla di Travis e mi lasciai andare all’oblio. Nero e accogliente come lo era
stato la prima volta, mi avvolse in un pesante torpore.
Mugolai, tentando di svegliarmi. Brancolai nel
buio per qualche secondo, poi riuscii ad aprire gli occhi. La luce del sole mi
investì in piena faccia e fui costretta a schermarmi con un braccio per evitare
di rimanere accecata. Una volta abituata alla luce, provai ad alzarmi. Con molta
fatica mi sollevai e subito mi bloccai.
Vicino a me, con il capo beatamente adagiato tra
le lenzuola, stava Travis. Dormiva tranquillo, ma le sopracciglia erano
aggrottate in un’espressione preoccupata. Istintivamente sorrisi: sembrava un
angelo. Mentalmente mi ricordai che poteva assomigliare ad un angelo solo
quando era addormentato, perché quando era sveglio era peggio di un diavolo.
Sollevai una mano e gli sfiorai i ricci castani
con una carezza leggera. Borbottò nel sonno, ma non si svegliò. Ridacchiai, sembrava così indifeso. Mi chinai su di
lui e gli stampai un bacio in fronte.
Travis si svegliò subito. Per un attimo si guardò
intorno, intontito, poi mi mise a fuoco con quei suoi bellissimi occhi blu e si
alzò dalla sedia di scatto. Mi toccò una guancia, come per assicurarsi che
fossi veramente lì, poi mi abbracciò, stringendomi esattamente come mi aveva
stretta prima che svenissi.
-Ciao, Travis- sussurrai.
Mi ritrovai a ricambiare l’abbraccio senza
accorgermene: avevo alzato le braccia e le avevo annodate dietro al suo collo. Mi
accoccolai lì e non mi sarei mossa se Clarisse non fosse entrata come una
furia. Staccò Travis da me con la sua consueta gentilezza e prese il suo posto
con uno strillo. E un attimo dopo stavo soffocando in una stretta da gigante.
-Sei viva!- gridò.
Mio malgrado, sorrisi. –Non ci vuole così poco
per farmi fuori- ironizzai.
-No, certo che no!- annuì lei –Sei una figlia di
Poseidone!-
Mi irrigidii, scostandomi dal suo abbraccio.
–Cosa hai detto?-
Clarisse si grattò la testa con fare colpevole e
tossicchiò. Travis sospirò, alzando gli occhi al cielo. Nessuno dei due mi
rispose.
-Io sono indeterminata- dissi.
Travis mi si avvicinò, sedendosi sul letto
accanto a Clarisse, che non si lamentò minimamente. –A questo proposito io
andrei a chiamare Chirone … -
-Io sono indeterminata!- ribadii con voce acuta
agitandomi.
Travis guardò malissimo Clarisse, che fece finta
di niente. –Vai da Chirone- le disse e lei, pur incenerendolo con lo sguardo,
obbedì. Tutto sommato, osservai, potevano essere sulla buona strada per
diventare amici. Potevano.
Il centauro arrivò praticamente subito e dietro
di lui scorsi la figura scocciata del Signor D. Sgranai gli occhi: cosa poteva
aver costretto il dio a seguire Chirone? La risposta era chiaramente di due lettere.
Io.
-Noto con piacere che ti sei svegliata- esordì il
centauro. Dietro di lui, il Signor D lo scimmiottava. Soffocai una risata e
annuii in direzione di Chirone, sorridendogli.
-Bene. Credo che sia giunta l’ora per te di
sapere- disse inginocchiandosi accanto al letto per essere alla mia stessa
altezza –Ieri, dopo che sei svenuta, il tridente simbolo del dio del mare è
apparso sopra la tua testa. Sei una figlia di Poseidone, Signore dei Cavalli e
delle Lande Marine-
Chissà perché le stesse parole pronunciate da
Clarisse avevano un suono diverso se dette da Chirone. Forse il centauro era
abituato con gli eroi –non che io potessi definirmi tale- e sapeva come
trattare con loro. Era calmo e misurato, non metteva ansia.
Ma ancora una volta mi impuntai. –Io sono
indeterminata-
Chirone scosse il capo con comprensione. –No, al
contrario. Sei più che determinata. Capisco che per te sia difficile accettare
la notizia, ma è così-
E all’improvviso mi arrabbiai. –E perché sono
stata riconosciuta dopo così tanto tempo? Forse non sono degna di essere sua
figlia?- in lontananza rimbombò un tuono.
Prima che Chirone potesse rispondermi, si fece
avanti il Signor D. Con uno sbuffo infastidito si chinò verso di me e incastrò
i suoi occhi nei miei. In qualche modo ne fui ipnotizzata e non riuscii a
guardare da un’altra parte nemmeno volendolo.
-Ascoltami bene, piccola semidea, perché non ho
intenzione di ripetermi. Ieri sei stata riconosciuta, che tu ci creda o no. E a
meno che io non abbia perso qualche diottria –cosa quanto mai improbabile- ho
visto un tridente volteggiare sopra quella tua testolina vuota. Sei figlia di
Poseidone-
Il suo tono non ammetteva repliche ed era spaventoso.
Era diverso da quello di Chirone. Anche da quello di Clarisse. Soprattutto da
quello di Travis.
Annuii rigida, ma mi intestardii ancora. –Perché non
mi ha riconosciuta prima? Lei lo sa sicuramente, altrimenti non avrebbe perso
il suo divino tempo per venire da un’insulsa semidea come me-
Clarisse, Travis e Chirone trattennero il fiato e
lanciarono occhiate ansiose al Signor D, che inaspettatamente scoppiò a ridere.
–Ne hai di fegato, ragazzina, per parlare così ad un dio- commentò dopo essersi
calmato.
-Voglio solo delle risposte. Non penso di star
agendo male-
Il dio ridacchiò. –No, certo che no. Va bene,
otterrai le risposte che cerchi- mi disse –Chirone, lascio a te la parola-
Il centauro si asciugò il velo di sudore sulla
fronte e tornò a guardarmi con quei suoi occhi gentili. –Il Signor D e io siamo
dell’idea che tu fossi sigillata, che ci fosse qualcosa che bloccasse le tue
reali capacità e interferisse con il tuo riconoscimento. E a quanto pare,
avevamo ragione-
Piegai la testa da un lato, non capendo. –Cosa
intendi dire?-
Il Signor D intervenne di nuovo. –Intende dire
che alla nascita ti è stato imposto un blocco che avrebbe impedito a te di
usare le tue vere doti e a tuo padre di riconoscerti. Non mi sembra tanto
difficile sai?-
Spalancai la bocca. Per tutto quel tempo io non
ero stata realmente me stessa, avevo vissuto un’esistenza che non era la mia perché
… già, perché?
-Chi mi ha fatto questo? Perché?- mormorai.
-Credo che la risposta tu la sappia già- mi disse
il dio –In qualunque caso, la persona che ne è responsabile sta aspettando
fuori dall’infermeria da un po’. Domandalo direttamente a lei-
Con una fatica immane scesi dal letto e
rifiutando di farmi sorreggere da Travis arrancai fino alla tenda, che scostai
di lato con un mano.
Di fronte a me, con gli occhi più preoccupati che
le avessi mai visto, sostava mia madre.
Note:
Eccomi tornata.
Questo capitolo è stato un vero parto, ma
fortunatamente sono riuscita a finirlo. Così, Aelle è stata riconosciuta. Mi
dispiace di non aver messo il riconoscimento vero e proprio, ma la vicenda è
narrata in prima persona ed Aelle era già svenuta.
Per chi mi ha chiesto altre notizia sulle
Amazzoni: ne parlerò nel prossimo capitolo, perché in questo non ci sono
riferimenti particolari alle donne guerriere.
Cosa dire? Sono talmente stanca che mi mancano le
parole. Spero che possa piacervi. Nel prossimo capitolo la storia si evolve e
Aelle avrà la sua impresa, se così vogliamo chiamarla, ma non anticipo altro!
Ringrazio chi legge, chi recensisce, chi segue,
chi ricorda e chi preferisce. GRAZIE MILLE!
Un bacione,
Aelle
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Capitolo 12 *** Il regalo di Poseidone ***
xxxxxxxxxxx
Il regalo di Poseidone
-Aelle … -
Mia madre allungò una mano verso
il mio viso, ma io mi scostai, sentendo la rabbia iniziare ad invadermi. Aveva
tentato di uccidermi, non potevo perdonarla così facilmente. Solo il ricordo
del suo sguardo deciso mentre pronunciava la mia condanna a morte mi faceva
ancora rabbrividire. Come aveva potuto?
Mi girai di scatto, con il chiaro
intendo di andarmene. In quel momento non le avrei prestato ascolto nemmeno
sotto tortura. Purtroppo per me, mia madre fu più svelta di me: capì cosa
volevo fare a mi afferrò per un polso. Mi gelai sul posto, dandole sempre le
spalle.
-Aelle, ascoltami. Ti prego-
mormorò.
Scossi la testa. –No-
-Per favore- ripeté, mentre una
nota stonata le velava di tristezza la voce.
Mi rifiutai ancora. Mi scollai di
dosso la sua mano e mi diressi a passi esitanti verso Travis, che mi accolse in
un caldo abbraccio, mormorandomi nel contempo parole di conforto all’orecchio.
Vedendomi appoggiata a lui, mia madre si infastidì ma non disse nulla,
limitandosi a scrollare leggermente le spalle.
Il Signor D si intromise e fece un
passo avanti, la lattina di Diet Coke perennemente tra le mani. –Penso che
dovresti … “darle retta”, si dice così, vero?-
Chirone nascose un sorriso e annuì
in direzione del dio del vino. –Sì, è corretto. Anche io sono della stessa
idea, bambina- mi disse.
Io alzai gli occhi verso Travis e
lui mi diede una silenziosa conferma. Il direttore e il vicedirettore del Campo
avevano ragione. Avrei dovuto parlare con mia madre. Fuggire dai problemi non
mi avrebbe aiutato a risolverli.
Sospirai. –Andiamo. In un posto
tranquillo, però- chiarii in direzione di mia madre, che attendeva sulla soglia
dell’infermeria. Quando accettai di ascoltarla, si concesse un piccolo sorriso.
Ancora instabile sui miei piedi,
uscii fuori all’aria aperta, respirando a pieni polmoni il profumo degli alberi.
Mia madre mi seguì, veloce come suo solito. Senza sapere il perché –no,
ripensandoci, lo sapevo bene il perché- mi fermai in riva al lago, dove solo
ieri Jane aveva tentato di uccidermi.
Mi sedetti sulla sabbia e attesi
che lei facesse lo stesso. Mi abbracciai le ginocchia in silenzio mentre mia
madre si sedeva accanto a me, mantenendo comunque una certa distanza.
-Aelle, mi dispiace così tanto- fu
la prima cosa che mi disse, accarezzandomi gentilmente una spalla.
Istintivamente mi irrigidii. Era
difficile riconquistare la fiducia in
una persona una volta che l’avevi persa. –Perché dovrei crederti? Hai cercato
di uccidermi!-
-Lo so. Pur sapendo che non
basterà, ho già chiesto scusa-
Rivolsi gli occhi all’orizzonte,
quella linea in cui acqua e cielo si incontravano in modo perfetto. Adoravo
vedere il sole specchiarsi nel mare, che poi riluceva di luce magica.
-Passiamo oltre. Mi piacerebbe
sentire la verità. Mi hanno detto che avevo un sigillo addosso, ora
evidentemente spezzato. Sei stata tu ad impormelo?- chiesi.
Mia madre non negò. –Sì-
-Perché?- domandai ancora.
-Tuo padre è stato un grande
errore, il più grande che io abbia mai fatto in tutta la longeva vita. Sono
vecchia, tesoro, molto più vecchia di quanto tu possa immaginare-
E invece sapevo. Avevo letto
qualcosa a riguardo delle Amazzoni, notizie chiaramente contrastanti le une con
le altri, ma che avevano sempre un fondo di verità. Le sorelle figlie di Ares –mia
madre inclusa- erano vissute ai tempi di Eracle. Secondo queste fonti, l’eroe
dalla forza sovraumana aveva trucidato molte donne guerriere con l’unico scopo
di impossessarsi della cintura di Ippolita. Ma fissando il busto di mia madre
notavo la cintura al suo posto, bella come qualsiasi altro ornamento frivolo. Molto
probabilmente aveva distrutto la barriera del Campo con quella. In fondo, chi
la indossava riceveva un ardore fuori dal comune. Uno dei pugni di mia madre
avrebbe potuto distruggere una montagna.
-Mio padre è Poseidone. Perché un
dio dovrebbe essere un errore?-
Jane sorrise. Fu un sorriso amaro.
–Perché le Amazzoni non possono innamorarsi- mi rispose.
Rimasi a bocca aperta. Mia madre
era innamorata di un dio? Riflettendoci non era poi così strano. Percy e Grover
me l’avevano detto: gli dèi apparivano sempre affascinanti e terribilmente
irresistibili. Beh, tutti tranne il Signor D. Ridacchiai.
-L’amore non è una cosa brutta- le
dissi –E’ la cosa più bella del mondo-
-Ha rovinato la mia vita. Mi ha
catturata e non sono stata in grado di liberarmi. Non ricordo nemmeno perché quella
volta ho attraversato il fiume. Non era il giorno prestabilito per il mio
accoppiamento. Come una stupida, ho trasgredito alle regole e sono andata lo
stesso. Tuo padre era lì, insieme a tutti gli altri uomini, ma aveva qualcosa
di più di loro. Già da subito si capiva che non era mortale. Al momento non ci
feci caso. Me ne accorsi solo dopo perché fu lui a dirmelo- mia madre si
interruppe e mi guardò.
Improvvisamente colpita dalla sua
narrazione, la incitai a continuare. Non pensavo che avesse potuto vivere
qualcosa di simile.
-Il danno ormai era fatto. Tu già
stavi germogliando dentro al mio grembo. Man mano che i giorni passavano
sentivo il mio corpo cambiare per adattarsi alla gravidanza. La pancia si
arrotondava, le gambe si facevano talmente pesanti che faticavo a stare in
piedi. Trascorrevo le giornate seduta in riva al fiume, aspettandolo.
Finalmente giunse. Era una notte molto buia, ma io lo distinsi subito. Uscì
dalle acque, nessuna goccia a bagnargli i vestiti. Si sedette accanto a me e mi
abbracciò stretta, dicendomi di essere felicissimo all’idea di diventare padre.
Prima di andarsene mi regalò un oggetto di inestimabile fattura: uno specchio
così bello che quando lo presi tra le mani ebbi paura di spezzarlo. Gli chiesi
il perché. Mi disse che avrebbe preservato il mio corpo-
La fermai. –Preservato il tuo
corpo? Cosa significa?-
-Le Amazzoni muoiono e rinascono.
Io sono morta e rinata molteplici volte, ma da quando sono entrata in possesso
di quello specchio questo ciclo si è interrotto. Non cresco, non invecchio, non
muoio. Finché esso è con me, sono immortale-
-Non morirai?-
-No. Non se non me ne separo- mi
rispose –Comunque, quella fu l’ultima volta che lo vidi. In prossimità del
parto mi resi conto dell’errore e compresi che non avrei dovuto permettere a
Poseidone di mettere le mani su di te. Mi rivolsi alle migliori conoscitrici di
magia e chiesi loro di mettere un sigillo sulla bambina che presto sarebbe
nata. Il sigillo fu messo sia su di me che su di te e avrebbe impedito in
qualsiasi modo al dio del mare di avvicinarsi a te. Sia in modo diretto che in
modo indiretto. Per funzionare aveva, però, bisogno di un corpo che avrebbe
supportato la sua forza. E chi meglio di me avrebbe potuto accollarsi la
responsabilità? Qualora si fosse spezzato, il dolore avrebbe sovrastato sia la
persona sigillata sia chi aveva prestato la forza. E’ per questo che mentre tu
gridavi sentivo male anche io. Eravamo legate-
In quel momento non seppi se
arrabbiarmi oppure no. Era una storia triste, quella tra lei e Poseidone, ma
chi le aveva dato il diritto di comportarsi così? Non riuscii a capire, ma
presto mi resi conto che forse sarebbe stato impossibile capirlo anche in
futuro. Le decisioni di una madre spesso erano molto dolorose e altrettanto incomprensibili
per i figli.
-Non credo che capirò mai. Non
credo che ti perdonerò. Ma credo che una tregua non farà male, magari le cose
si sistemeranno da sole con il tempo- mormorai.
-Mi farebbe molto felice, Aelle-
mi disse lei con voce rotta dalle prime lacrime che le vedevo in tutta la mia
vita.
Mi alzai in piedi. –Allora?-
Mia madre mi guardò senza capire.
-Posso vedere lo specchio?-
Lei rise e annuì. Si portò le mani
a coppa sul petto e mormorò una sola parola con tono imperioso. –Εμφανίζεστε! (*)-
Una luce tiepida accompagnò la
manifestazione dell’oggetto, che pian piano le uscì dal busto per poi ricaderle
in mano. Era bellissimo. Tutto d’oro, si componeva di un intreccio di figure
femminili sinuose che si intrecciavano su tutta la cornice per arrivare alla
cima dove il simbolo del mare, la Ψ,
spiccava come un faro.
-Questo, Aelle, è lo Specchio di
Nettuno-
(*) Appari!
Note:
Eccomi di nuovo. Vi sono mancata?
Spero che il nuovo capitolo vi
piaccia. E spero anche che mi farete notare errori, sono sicura che nella mia
sbadataggine di non averne corretti alcuni.
Allora, allora, allora. Avevo
promesso notizie sulle Amazzoni. Per prima cosa specifico che non è
assolutamente vero che le Amazzoni muoiono e rinascono, è la mia mente contorta
che se lo è inventato. Per il fiume, invece, credo che sia vero. A quanto ho
letto, la terra delle Amazzoni era divisa in due da un fiume. Da una parte c’era
la loro società, in cui vivevano solo le donne, mentre dall’altro lato del
fiume vivevano gli uomini. Una volta ogni tot di tempo stabilito, le Amazzoni
attraversavano il fiume per accoppiarsi con loro. Questa cosa durava un mese, dopodiché
se ne andavano. Le figlie femmine venivano accolte e addestrate all’arte della
guerra, mentre se nascevano maschi venivano allevati fino ai sette anni, poi
erano rimandati dagli uomini dall’altra parte del fiume. Essi non sapevano di
chi di loro fosse il figlio, quindi ognuno di loro ne adottava uno e lo
cresceva come se fosse figlio suo.
Ah, società un po’ chiusa, non
pensate anche voi? Però io le adoro!
Ringrazio chi ha messo la storia
tra seguite/preferite/ricordate e chi l’ha recensita. Cosa farei senza di
voi?*-*
Un bacione,
Aelle
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Capitolo 13 *** Rachel Elizabeth Dare mi parla da uno specchio ***
qwwwwqwq
Rachel Elizabeth Dare mi
parla da uno specchio
Presi
lo specchio tra le mani convinta di trovarlo molto pesante. E invece no, era leggerissimo,
quasi quanto un foglio di carta. Per dare una buona definizione, era senza peso. Eppure, sembrava fatto di un
materiale così resistente da poter essere paragonato al diamante. Se fosse
caduto a terra, ero sicura che non si sarebbe fatto nemmeno un graffio.
-E’
leggerissimo!- esclamai dando voce ai miei pensieri.
Mia
madre si accinse a spiegarmi alcuni dettagli. –Nessun umano conosce il materiale
di cui è fatto. Solo Efesto lo sa nello specifico. Poseidone mi disse che la
pietra utilizzata proveniva dalla Marine Cathedral -
-La
Marine Cathedral, che cos’è?- domandai.
-Non
ne ho idea- mi disse con una semplicità disarmante.
Per
un attimo rimasi senza parole, poi tornai a concentrare la mia attenzione
sull’oggetto che ancora tenevo fra le mani. Ne ero totalmente ipnotizzata, non
riuscivo a distogliere lo sguardo nemmeno volendolo. Solo grazie ad una forza
di volontà che non credevo di possedere, riuscii a guardare da un’altra parte.
E fu allora che mi passò per la testa uno strano pensiero.
-Posso
tenerlo per un po’?-
Mia
madre non si stupì della mia domanda e sorrise malinconica. –Ti ricorda il mare
vero? Ti attrae e senti che ti appartiene. Sei figlia del mare, sapevo che me
lo avresti chiesto. Quindi, puoi tenerlo, ma solo per poco. Siamo legate,
perciò lo specchio alimenterà ancora la mia immortalità. Non perderlo, mi
raccomando. Le conseguenze per me non sarebbero piacevoli-
Mi
sorpresi dell’arrendevolezza di mia madre, ma allo stesso tempo ne fui felice.
Non era da tutti i giorni che un genitore ti concedesse qualcosa così in
fretta. Di solito, bisognava pregare tutti i santi del paradiso –ora tutti gli
dèi dell’Olimpo- solo per avere qualche spicciolo da spendere con gli amici. In
poche parole, non mi lamentai e mi allontanai trotterellando in stile Heidi.
Una
parte di me era sicura che lo specchio non aveva solo il potere di rendere immortale
mia madre. Poseidone –mio padre- doveva aver avuto qualche altro motivo per
regalarglielo.
Fissai
la mia immagine riflessa e, come era successo prima, venni risucchiata in quel
mondo dove esistevamo solo io e lo specchio. Era strano. Fluttuavo, sospesa in
aria, in un luogo scuro e opprimente. Il vento soffiava forte, ma avevo la
consapevolezza di non trovarmi in superficie. Se mi muovevo, mi sembrava di essere
sott’acqua. Strinsi la presa attorno al manico dello specchio e quello cominciò
ad emettere piccoli bagliori. Stupita, lo lasciai cadere. Mentre con un urlo
cercavo di riprenderlo, lo specchio rimbalzò e prese a svolazzare davanti al
mio viso incredulo. La luce che usciva da esso crebbe d’intensità, illuminando
a giorno il posto in cui mi trovavo.
In un
istante, compresi di non essermi sbagliata. Ero veramente sott’acqua e il luogo
in cui ero assomigliava in modo assurdo ad una chiesa. L’unico particolare degno
di nota era che era mezza distrutta. Il soffitto era per metà crollato, le
pareti ricoperte d’alghe, mentre sul pavimento giacevano pietre ridotte in
mille pezzi. Tutto era lasciato in uno stato di decadenza assoluta che mi stupì
grandemente. Come era possibile una simile degenerazione? La chiesa doveva
essere stata molto bella in passato, ma non capii cosa potesse aver causato
tutti quei danni.
Lo
specchio emise un sibilo e io riportai la mia attenzione su di esso. Il fischio
pian piano si appesantì fino a quando non diventò così assordante che dovetti
tapparmi le orecchie. Il mio riflesso cominciò a sbiadirsi e un altro volto
prese forma. Il viso di una ragazza dai capelli rossi fiammanti. Lei si guardò
un attimo intorno, poi mi vide e sorrise, come se avesse trovato ciò che
cercava.
-Ciao
Aelle- la sua voce era distorta, lontana, ma al contempo suonava dolce.
Sobbalzai
e qualche bolla mi uscì dalle labbra. –Chi sei?- chiesi.
-Rachel
Elizabeth Dare, l’Oracolo del Campo Mezzosangue- mi rispose.
Non
mi ricordai di averla mai vista. Il suo volto non mi diceva nulla, ma sapevo
che, ora che l’avevo vista, non me la sarei facilmente dimenticata.
-Non
sono al Campo in questo momento, se è questo che stai pensando. Sono in una
stupida scuola per signorine che mio padre mi ha costretto a frequentare. In realtà,
no, non mi ha costretta. Sono io che gli avevo promesso che ci sarei andata se
mi avesse portato da Percy, ma questo non ti interessa. Sono particolari
inutili ora. Ascoltami bene, Aelle. Ho poco tempo- mi disse tutto d’un fiato –Ho
avuto una visione su di te e non era
bella. Beh, quando ho visioni non è mai per motivi felici. Comunque, sai
dove ti trovi?-
Scossi
la testa. Avevo ipotizzato che si trattasse di una chiesa, ma non sapevo che altro
pensare. Se non era una chiesa, cosa poteva essere?
-No,
hai visto giusto. Anche se il termine corretto è “cattedrale”. Sei nella Marine
Cathedral- mi disse Rachel.
La
Marine Cathedral di cui mi aveva parlato mia madre. Che cosa era veramente? Perché
solo Efesto conosceva i segreti di quel luogo e nessuno scritto ne parlava? Che
segreti racchiudeva? Erano tante le domande che volevo fare a Rachel, ma alla
fine optai per la più stupida.
-Cosa
ci faccio qui?-
Rachel
sorrise. –Ti ha richiamata lo specchio. Ti ha mostrato il luogo in cui è stato
creato. Ma inaspettatamente non so dirti il perché preciso. Quello che
certamente so è che quando ti sveglierai, lo specchio non ci sarà più-
Mi
agitai. Se mia madre non avesse riavuto lo specchio sarebbe morta. La sua immortalità
sarebbe giunta al capolinea. Non potevo permettere che accadesse una cosa
simile. Anche se aveva tentato di uccidermi, era mia madre. Non potevo negare
che tra me e lei esistesse un legame, molto più forte di quello che il sigillo
aveva creato.
-Stai
mentendo- la accusai.
-No-
mi rispose tranquilla –Ti sto dicendo la verità. Ascoltarmi o no è una tua
libertà, chi sono io per togliertela? In qualunque caso, questo è quello che ho
visto. Se lo specchio è tornato qui vuol dire che vuole proteggere questo
luogo. Da cosa, lo ignoro. Però, immagino che tu non voglia nemmeno che tua
madre muoia perciò tu e i tuoi compagni di impresa –perché ci sarà un’impresa-
sarete coinvolti in qualcosa che non vi piacerà affatto-
Rabbrividii.
–Cosa devo fare?-
Rachel
alzò le spalle. –Te lo ripeto ancora: non lo so. Aspetta ancora due giorni. Arriverò
al Campo e ti porterò la profezia. Lo specchio- qui si interruppe e colpì con
un pugno il vuoto davanti a sé –mi impedisce di pronunciarla. Non capisco perché.
In qualunque caso, tu aspettami. Non partire senza che io sia giunta al Campo-
La
voce di Rachel si affievolì e la sua immagine svanì. Lo specchio brillò ancora
per qualche secondo, poi scivolò nel buio, sottraendosi ad ogni mio tentativo
di recuperarlo. Non voleva essere preso. Mi scivolava dalle dita come se fosse stato
olio.
Poi l’acqua
mi entrò nei polmoni e non riuscii più a respirare. Mi afferrai la gola con
entrambe le mani e tossii, cedendo definitivamente al bisogno di chiudere gli
occhi e lasciarmi andare.
Precipitai
con un tonfo sordo e persi conoscenza.
Quando
mi svegliai, ero sdraiata nel bosco attorno al Campo, la faccia sprofondata
nella melma, i vestiti fradici e i capelli grondanti d’acqua. Con molta fatica
mi tirai a sedere e mi guardai in giro. Una luce rossastra illuminava la
foresta che mi circondava, perciò ipotizzai che ormai fosse il tramonto. Ero
rimasta svenuta così a lungo? Lo specchio mi aveva tenuta addormentata per così
tanto tempo?
Allora
ricordai. Scandagliai il terreno attorno a me con occhi frenetici, ma non lo trovai
da nessuna parte.
Rachel
aveva ragione.
Lo
Specchio di Nettuno non c’era più.
Note:
Aloha,
gente!
Sono
tornata, siete contenti?
In
qualunque caso, io ci sono ^-^
Allora,
avrete notato che questa storia sta avendo una svolta solo ora. Purtroppo non
potevo saltare tutti gli altri capitoli e nemmeno comprimerli, perciò la storia
sarà più lunga del previsto. Spero che la cosa non vi dispiaccia!
Fatemi
notare sempre errori e cose varie. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ringrazio
come sempre chi recensisce, chi legge, chi preferisce, chi segue e chi ricorda.
Grazie mille, siete stupendosissimi!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 14 *** Quando il numero perfetto è tre, ma noi ce ne freghiamo ***
tgjfulfhtde
Quando il numero perfetto è
tre, ma noi ce ne freghiamo
I
minuti passavano lenti, inesorabili e l’arrivo di Rachel Elizabeth Dare
sembrava lontanissimo. Seduta sul letto, fissavo l’orologio senza muovere un
muscolo. Tutto il mio corpo era dolorante per la posizione forzata, ma non
riuscivo a concentrarmi su di esso. Piuttosto, pensavo a mia madre, che avevo
incontrato non appena ero rientrata al Campo. L’avevo vista pallida, sciupata e
sicuramente molto più vecchia di quanto lo era qualche ora prima. Solo i
capelli si erano ingrigiti di colpo e molte rughe le avevano disturbato i
lineamenti del viso. Le tremavano le mani e faceva fatica a reggersi sulle
gambe, con il risultato che le sue ginocchia apparivano sul punto di cedere da
un momento all’altro, facendola crollare a terra. Mi ricordavo ancora le sue parole,
che emergevano con la sua solita rabbia dal velo di stanchezza in cui era avvolta.
L’hai perso.
Non
potevo fare altro che dirle la verità. Lo specchio non era più con me, era scomparso,
ma non le avevo rivelato nient’altro. Non l’avevo informata della Marine Cathedral,
qualcosa mi diceva che era meglio nominare quel luogo il meno possibile. Se
nessuno sapeva della sua esistenza, allora era meglio non diffondere notizie a
riguardo. Per il bene stesso della
cattedrale. Perché ci sono segreti che devono rimanere tali e non devono
assolutamente diventare mangime per pettegoli.
Rachel
mi aveva detto di aspettare, ma io non ce la facevo più. Non riuscivo –non
potevo- stare a guardare mentre mia madre moriva. Non potevo essere senza cuore
fino a quel punto. Magari Rachel sarebbe arrivata nel momento in cui mia madre
era in condizioni tali da non poter essere più salvata.
Saltai
in piedi all’improvviso, consapevole che avevo già preso la mia decisione. Voltai
lo sguardo verso il letto accanto al mio, dove Percy russava piano. Non me ne sarei
andata senza di lui. Era il mio fratellastro e avevo imparato a volergli bene.
Mi
buttai addosso a lui con una grazia fuori dal comune, schiacciandolo con il mio
dolce peso e svegliandolo. Percy grugnì, infastidito, e fece per prendere
Vortice, ma quando vide che ero io si fermò, rimettendo la penna al suo posto.
Mi
fissò per qualche secondo in silenzio. –Cosa stai facendo, Aelle?- mi chiese
dopo un po’.
Già,
cosa stavo facendo? Dovevo chiederglielo, perché lui era una delle poche persone
di cui mi potevo fidare. Faceva parte della mia famiglia. E io non abbandonavo
la famiglia.
-Vado
via, Percy- dissi –Non posso sopportare oltre la vista di mia madre conciata in
quel modo. Devo fare qualcosa. Mi aiuterai?-
Percy
si tirò su e io scivolai lungo il copriletto, lo sguardo basso. Mi guardò senza
parlare per qualche secondo senza dire nulla. Poi mi prese il mento tra le dita
e mi obbligò a fissarlo dritto negli occhi.
-Certo
che vengo con te. Sono tuo fratello, non ti lascerei mai da sola- mi rassicurò
dandomi un bacio sulla fronte.
Mi
illuminai e lo abbracciai di slancio, ributtandolo sul letto.
-Ehi!
Vacci piano!- mi sgridò, la voce colma di divertimento.
-Vado
a dirlo a Travis. Non lo lascio qui. Va bene se viene anche lui?- gli domandai.
Scosse
la testa. –Non c’è problema- mi rispose –Può venire anche Annabeth?-
-Non
sia mai che la tua ragazza rimanga qui da sola- risi –Tanto ormai abbiamo superato
il numero massimo. Anche se ho l’impressione che tu non abbia mai rispettato
molto certe regole!-
Mentre
uscivo dalla cabina tre, sentii Percy urlarmi dietro una serie di epiteti poco
gentili. Sorrisi.
Quando
entrai nella cabina undici –quella di Ermes- la trovai esattamente come l’avevo
lasciata. Disordinata fino all’esasperazione.
I
ragazzi erano tutti addormentati, o così si supponeva, visto che i ladri
agiscono di notte. Mi feci largo tra i vestiti e le varie cianfrusaglie cercando
di fare meno rumore possibile. In punta di piedi mi avvicinai al letto che
Travis condivideva con Connor, suo fratello. Come tutte le volte, rimasi stupita
della loro somiglianza. Potevano essere gemelli e invece erano solamente
fratelli.
Mi
accovacciai accanto a Travis, che dormiva pacifico. Aveva confinato Connor in
uno spazio ridotto e si era preso la coperta. Ridacchiai.
Sei così bello, pensai con dolcezza.
Sì,
Travis mi piaceva. E anche tanto. Era stata mia madre a farmelo notare con il
suo comportamento aggressivo nei suoi confronti. Perché lei aveva già capito,
mentre io ero ancora lontana dalla verità.
Mi
avvicinai al suo viso e gli scostai una ciocca di capelli da davanti agli
occhi. Rimasi a contemplarlo per qualche istante, senza fiato. Il mio sguardo
si soffermò soprattutto sulle sue labbra. Ne ero attirata come mai mi era
successo prima.
Mi
chinai lentamente, soccombendo al desiderio che avevo di baciarlo. Posai la mia
bocca sulla sua. Non sapevo nemmeno perché lo stavo facendo. Nella mia vita avevo
baciato solo una persona ed stato Patrick in quarta elementare. Era un ricordo
piuttosto disgustoso. Eppure con Travis non provai nessun tipo di imbarazzo.
Era qualcosa di così naturale che … .
-Aelle
…?- mugugnò Travis contro la mia bocca.
Mi
staccai subito, rimanendo a guardarlo mentre si stiracchiava e metteva a fuoco
ciò che aveva di fianco. Quando capì che ero veramente io, fece un salto di
almeno un metro e si preparò a gridare, ma io gli feci segno di stare in
silenzio.
-Cosa
stai facendo qui?- mi bisbigliò –E … Aelle mi stavi baciando?-
Arrossii
come un peperone e annuii. Poi mi riscossi e lo presi per la maglietta. Ero
venuta lì per comunicargli delle cose, mica per baciarlo!
-Vado
via, Travis. Mia madre ha bisogno del mio aiuto e io non posso negarglielo.
Sono venuta qui perché … perché volevo chiederti se volevi venire con me. Ci sono
anche Percy e Annabeth, pensavo che dirtelo fosse corretto nei tuoi confronti e
… - stavo chiaramente straparlando. Rendermi conto dei miei sentimenti nei suoi
confronti mi aveva fatta diventare improvvisamente goffa.
Travis
mi mise le mani sulle spalle, bloccando definitivamente il mio chiacchiericcio
senza senso.
-Non
c’era bisogno di chiederlo. Sai che ti avrei seguito anche se mi avessi detto
di no- mi disse sicuro di sé.
Poi
fece qualcosa che non ritenni possibile. Mi tirò a sé e mi baciò. Un attimo
prima ero accovacciata sul pavimento, l’attimo dopo ero tra le sue braccia, al
caldo e al sicuro. Mi lasciai andare, certa che Travis non mi avrebbe fatto del
male, e ricambiai quel bacio.
Quando
tutto stava andando per il meglio, le luci si accesero. Di colpo. Poi
iniziarono le risatine.
Staccandomi
dall’abbraccio di Travis, mi guardai intorno. Tutti i ragazzi della casa di
Ermes erano svegli –più che svegli, sembrava che non fossero mai andati a
letto- e ci fissavano chi sorridendo, chi cercando di non scoppiare a ridere.
Travis
tentò di dare una spiegazione. –Ragazzi, non è come pensate … -
Le
risate rimbombarono come una frana e qualcuno gridò. –Certo, Travis! Convinto
tu!-
A
quel punto mi feci avanti io. – Sì, avete visto bene. E’ inutile che
discutiamo. Anche se all’inizio ero venuta per riferire a Travis una cosa
importante!-
La
voce di Heather superò le altre e le zittì. –Lo so. Ero sveglia. E vengo con
voi, che mi vogliate oppure no-
-Heather
… -
-Niente
da fare. Ho deciso e non cambierò idea- mi interruppe –E ora muoviamoci. Non
vorrai perdere tempo, vero?-
Scossi
la testa. Heather aveva ragione. Più il tempo passava, più per mia madre si
avvicinava la fine. Non potevo permetterlo.
Seguita
da Heather e da Travis e sotto gli sguardi stupiti di tutti gli altri ragazzi
varcai la porta e mi inoltrai nel buio, pronta ad affrontare quella missione.
Mi dispiace, Rachel.
Note:
Rieccomi!
Ho
faticato non poco per questo capitolo, soprattutto a causa della situazione
poco piacevole in cui mi trovo ora. Ma ho deciso di pubblicare lo stesso,
sperando che il capitolo non sia venuto così male come mi sembra.
Fatemi
notare se ci sono errori, io ho riletto una volta di meno e ho la sensazione
che forse non avrei dovuto farlo. Avrei dovuto rileggere, ma non mi sento così
bene da poterlo fare. Perdonatemi.
Ringrazio
tutti quelli che hanno recensito, messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate
e anche chi legge soltanto. GRAZIE!
Al
prossimo capitolo, cari!
Baci,
Aelle
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Capitolo 15 *** Gli strilli che profetizzano morte ***
fhghujyhk
Gli strilli che profetizzano morte
Sapevo nuotare. O
meglio, se Percy non mi lasciava andare le mani riuscivo a non mettermi ad
urlare in modo isterico. Insomma, stavo a galla. Annabeth, Travis e Heather
sarebbero scoppiati a ridere, ma la nostra uscita dal Campo doveva rimanere
ignota. Almeno finché non eravamo abbastanza lontani da non dover temere ripercussioni
troppo pesanti. Al massimo, come diceva Percy, ci saremmo trovati davanti un Signor
D svolazzante e in camicia tigrata. Uno splendore.
Poi il mio nuovo
fratello mi annunciò una cosa che mi fece spalancare la bocca per la sorpresa.
–Dobbiamo immergerci-
-Starai scherzando
spero- bisbigliai, il volto mi si era ridotto ad una maschera di terrore.
-No- scosse la testa –
Il lago è la nostra unica uscita sicura. Una volta giunti dall’altro lato
saremo pressoché fuori dai confini del Campo. Non possiamo farci vedere. Ripeto
che dobbiamo andare sott’acqua-.
Rimasi di sasso. –Percy
… io non ce la faccio-
Heather ruotò gli occhi,
infastidita. Io strinsi i denti per non pensarci. Heather era mia amica, non
potevo disprezzarla. E poi aveva ragione. Nemmeno avevamo iniziato e già volevo
tirarmi indietro.
Travis venne in mio
soccorso. –Riesci a creare abbastanza bolle d’aria, Percy?-
Lui annuì. –Non c’è
problema. Dovrei riuscire anche a modificare le correnti in modo tale da
velocizzarci. Perché, cos’hai in mente?-
Travis mi prese le mani
e mi baciò leggermente le nocche. Arrossii di botto. Ma che stava facendo?
-Ti fidi di me?- mi
sussurrò.
E come dire di no
davanti a quegli occhi? Ero totalmente ipnotizzata, tanto che non mi resi conto
che ci stavamo muovendo. Pian piano, sotto lo sguardo di Annabeth e Heather,
Travis mi fece immergere la testa sott’acqua. Per un attimo rimasi spiazzata e
cercai di divincolarmi, poi una bolla d’aria ci avvolse e potei tornare a
respirare. E meno male che ero figlia di Poseidone. Facevo ridere i polli.
-Stai tranquilla- mi
disse Travis con un sorriso.
Annuii, poco convinta.
Dovevo imparare a controllare le mie paure altrimenti sarei morta al primo
accenno di pericolo che avremmo incontrato sulla strada. Era uno dei miei tanti
doveri. Per il mio bene e anche per quello degli altri.
In breve tempo, sia
Annabeth che Heather furono sott’acqua e Percy manovrò le correnti con una
maestria che io potevo solo sognare di possedere.
E’ solo più allenato di te, pensai. Ce la farai anche tu, quando supererai
questa stupida paura dell’acqua.
-Andiamo- disse Percy in
tono sbrigativo.
Con una spinta poderosa
fummo spinti in avanti tre le alghe e i pesci di piccola taglia che fuggivano
non appena ci avvicinavamo troppo. In fondo, sembravano carini anche loro.
Sfrecciavamo ad una velocità assurda, ma tutto quello che vedevo mi sembrava
ripreso al rallentatore. Riuscivo a distinguere ogni minimo particolare e
memorizzarlo senza problemi.
Poi un pesce mi rivolse
la parola. Mia signora, mia signora, mia
signora. Era una cantilena unica e un po’ fastidiosa, ma mi venne spontaneo
sorridere davanti a quella creaturina che si dimenava per attirare la mia
attenzione. Agitai la mano in risposta.
-Ti ci abituerai- mi
disse Percy –Esattamente come io mi sono abituato ad essere chiamato ad orari
improponibili per risolvere i loro problemi. Perché ne hanno. Eccome se hanno-
concluse con un sospiro.
Ridacchiai, ma tornai
seria subito. –Siamo arrivati, vero?-
A poca distanza si
intravedeva la costa, anche se con il buio era difficile distinguerne i
contorni. Eppure, sott’acqua la mia vista era migliore, più pulita e limpida.
-Sì- mi rispose
semplicemente Percy.
Appena fummo fuori dal
lago, scoprii che i miei vestiti, al contrario di quelli di Annabeth, Travis e
Heather, erano completamente asciutti. Li toccai, credendo che si trattasse di
uno scherzo, ma non era così.
-Un altro vantaggio di
essere figli di Poseidone- mi disse un po’ seccata Annabeth.
Percy le circondò le
spalle con un braccio, stringendola a sé, e Annabeth si zittì subito. Gli si accoccolò addosso e non parlò più per
il resto del nostro viaggio. Dietro di loro, io, Travis e Heather li seguivamo,
in perfetto silenzio. L’unico rumore che si sentiva era il frinire delle
cicale.
-Ma è pieno di campi,
qui?- esordì Heather.
Effettivamente, non
incontravamo altro che campi. Più andavamo avanti, più l’erba diventava alta e
le pecore aumentavano di numero. Per un attimo pensai a Grover: sarebbe stato
sicuramente felice di trovarsi lì. Era il suo ambiente naturale e c’era
abbastanza erba anche per lui.
-A quanto pare- commentò
Travis con un sorriso ironico.
Gli diedi una gomitata
nello stomaco. –Zitto-
Lui alzò le mani in un
gesto di scuse. –Come non detto!-
Heather non aveva tutti
i torti. Era almeno un’ora che camminavamo e il paesaggio non era cambiato di
una sola virgola. Cominciava ad essere inquietante. Sembrava di essere all’interno
di un labirinto. Senza uscita.
Si era fatto giorno da
un pezzo. Il sole illuminava tutta la zona attorno a noi e all’orizzonte c’era ….
Un momento.
-Cos’è quella?- mi
anticipò Percy, indicandola con il dito.
All’orizzonte c’era una
figura femminile avvolta in un lungo mantello grigio che la copriva
completamente. Gli unici particolari che si intravedevano erano le mani,
giovani e bianche, e la bocca, distorta in una smorfia di dolore. Quando ci
notò, si avvicinò a noi a passo veloce fino a quando non fu a pochi passi da
noi.
Fu a quel punto che
Annabeth capì cos’avevamo di fronte. –E’ una banshee. Allontanatevi. Il suo
grido è letale!-
Oh. Bene. Ovviamente non
poteva andare tutto per il verso giusto. Dovevano esserci dei mostri,
altrimenti come semidèi ci saremmo sentiti messi da parte, inutili. A me andava
benissimo sentirmi inutile. Non avevo chissà quali manie di grandezza.
Mentre mi allontanavo
correndo mi accorsi di una cosa: Heather non si era mossa. Era ancora là, ferma
davanti alla banshee. La guardava senza battere ciglio e la banshee, in
risposta, non muoveva un muscolo. Poi, all’improvviso, afferrò Heather per le
spalle e la scosse violentemente.
-Non dovresti essere
qui, figlia di Ermes- mugolò, la voce rotta dal pianto.
La mia amica non ebbe
alcuna reazione. Rimase immobile a guardare la donna in lacrime. Non capivo perché
non si spostasse di lì. Gettai un’occhiata agli altri: come me erano
preoccupati per Heather. Annabeth gesticolava furiosamente, Percy tentava di
calmarla e Travis sembrava sul punto di scattare verso sua sorella per portarla
via dalle mani della banshee.
A quel punto compresi.
Era compito mio. Ero io a doverla salvare. Non Percy, non Annabeth e nemmeno
Travis. Io l’avevo portata lì e io doveva tirarla fuori da quella brutta
situazione.
Mi slanciai in avanti e
una volta arrivata alle spalle di Heather le presi le mani, cominciando a
tirarla. Sembrava fatta di pietra: era un blocco unico di paura. Qualsiasi cosa
la banshee le ricordasse non era nulla di bello.
-Vieni via, muoviti!-
-Voglio sentire cosa
dice- sussurrò, spaesata.
La donna sorrise,
afferrandole il mento con una mano. –Brava bambina- disse con voce ipnotica –Ascoltami.
Non sopravvivrai a questo viaggio. Ogni … ogni tuo tentativo sarà inutile.
Morirai- singhiozzava sempre più forte.
La voce di Annabeth mi
avvertì del pericolo. –Sta per urlare! Spostatevi da lì! SPOSTATEVI!- gridò
coprendosi le orecchie con le mani, imitata subito da Percy e da Travis.
Vorrei averlo fatto
anche io, ma avevo le mani occupate. Osservai la banshee alzare le braccia al
cielo e poi urlare. Il suo strillo mi perforò i timpani e mi rimbombò nel cervello,
annebbiandomi la vista. Le gambe presero a tremarmi in modo incontrollato, ma
io non mi diedi per vinta. Dovevo salvare Heather. Mi trascinai il più lontano
possibile e misi al sicuro la mia amica. Poi crollai a terra, percependo
qualcosa di caldo scorrermi lungo il collo. Lentamente, mi portai una mano all’orecchio
e la ritrassi coperta di sangue.
In sottofondo, la
banshee continuava a strillare e io svenni.
-Cosa ha fatto?- urlò
Clarisse stringendo i pugni.
Chirone tentò di calmarla,
invano. Quella ragazza pareva una furia quando si arrabbiava. Una vera figlia
di Ares, impossibile non notarlo.
-Se ne sono andati dal
Campo. Lei, Travis, Percy, Heather e Annabeth- ripeté il centauro per la
milionesima volta. Non riusciva a crederci nemmeno lui. Era un’infrazione grave
alle regole. Senza che il Signor D non consegnasse un’impresa e senza profezia non
si usciva dal Campo.
Clarisse sbatté il pugno
sul tavolo, facendolo sobbalzare. –Non me ne frega nulla di quei mocciosi. Perché
Aelle non mi ha portato con sé?- la sua voce si stava alzando di qualche
ottava.
-Sto già pensando di
chiedere al Signor D di rintracciarli in modo tale che … - venne interrotto
prima che potesse terminare la frase.
-Il Signor D un corno.
Ci vado io!- gridò la figlia di Ares –E quando la trovo, la pagherà cara per
avermi lasciata indietro!-
Il centauro si vide costretto
a capitolare. Forse Clarisse era veramente adatta a riportarli al Campo. E una
volta tornati, anche lui avrebbe avuto la sua parte. Ci sarebbe stata una bella
punizione.
Note:
Sono viva! Immagino che
ne sarete felici xD
Questo è un po’ più
lungo degli altri se avete notato. Se vedete errori o quant’altro, ditemelo. Sempre
pronta a correggermi!
Allora, una banshee. Se
qualcuno si chiede perché i nostri prodi eroi non combattano, ve lo spiego io.
Come si fa a combattere contro un avversario che strilla anche quando lo
ferisci? E visto che le sue urla sono dannose, ho preferito impostare la scena
in questo modo. E, prima che me lo chiediate, i tappi per le orecchie erano finiti.
LOL.
Ringrazio chi mi ha
recensito (prima o poi passo a rispondere a tutti. Sono piuttosto pigra d’estate)
e chi ha messo la storia tra seguite/preferite/ricordate. Ringrazio anche chi
legge soltanto!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 16 *** Profezie e tori dai nomi impossibili ***
ghujkal
Profezie e tori dai nomi impossibili
Emersi dall’incoscienza con la
strana sensazione di essere da sola. E mi agitai, incredula che gli altri mi
avessero lasciata da sola. Non potevano averlo fatto, io non li avrei mai
abbandonati.
Saltai a sedere e capii di essere
in un campo. Lo stesso campo in cui era apparsa la banshee … già, quanto tempo
era trascorso? Mi faceva male la testa. Mugolai, massaggiandomi le tempie.
Una mano mi scosse. Mi voltai di
scatto e trovai il viso di Travis a pochi centimetri dal mio. Era preoccupato,
lo si vedeva dalle sopracciglia aggrottate e dalla linea severa delle labbra,
ma si rilassò non appena capì che stavo bene. Mi abbracciò, borbottando
qualcosa. Dico borbottando perché non compresi una sola parola.
-Come, scusa?- dissi.
O almeno credetti di dirlo perché non
sentii la mia voce pronunciare quelle parole. Ebbi solo la consapevolezza del
movimento delle mie labbra. Nient’altro.
Ero sorda.
Non la presi bene. Mi portai le
mani tra i capelli e cominciai a tirarli, urlando senza potermi sentire. Mi
rannicchiai su me stessa e piansi. Era quello il prezzo per aver salvato
Heather dalla banshee? Era troppo alto per una come me. Ero totalmente disorientata
e non sapevo che cosa fare. E la disperazione mi sembrava l’unica soluzione
possibile.
Le braccia di Travis mi
circondarono immediatamente e le sue mani staccarono le mie dai capelli. Alcune
ciocche caddero a terra, confondendosi nell’erba alta, ma io non vi badai. Ero
concentrata solamente sul mio dolore.
Poi Annabeth e Percy, che prima
non avevo notato, si aggiunsero all’abbraccio. Solo Heather se ne stette in
disparte, da sola, a fissare l’orizzonte dove la banshee era comparsa. Il suo
sguardo era triste. Immaginai che stesse ripensando alle parole della donna
urlante. Lei sarebbe morta in questa impresa. Non sapeva esattamente quando, ma
aveva la certezza che sarebbe successo.
Annabeth mi prese il viso tra le
mani e mi indicò le sue labbra. Poi cominciò a parlare lentamente, scandendo
ogni parola con precisione. E io compresi quello che stava dicendo.
Stai calma. Anche Heather è nelle tue stesse condizioni. Sospettavamo
che potesse essere successo anche a te. Comunque, ho una buona notizia. Non
rimarrai così per sempre, ma pian piano riacquisterai l’udito. E’ solo una cosa
temporanea.
Per poco non saltai al collo di
Annabeth per la felicità. Entro qualche tempo sarei tornata a sentire tutto.
Ecco, forse non sapevo l’arco di tempo esatto, ma solo il pensiero di ritrovare
l’udito mi esaltava.
-Grazie, Annabeth- dissi con
sincerità.
Di nulla.
Si alzò e andò a prendere la
borraccia dell’acqua dal suo zaino, poi me la porse con un sorriso gentile. All’improvviso,
mi accorsi di avere molta sete e trangugiai avida metà del contenuto della
borraccia prima di ritenermi soddisfatta.
-Dove andiamo ora?- chiesi.
Percy lanciò una strana occhiata a
Travis, mentre Annabeth finse di essere interessata a guardare un filo d’erba.
Nessuno parlò. Fu Heather ad intervenire, lo sguardo spento.
Non lo sappiamo. Non abbiamo nessuna profezia per orientarci.
-Bene- commentai.
Heather aveva ragione. Senza una
profezia era come procedere con gli occhi bendati. Sorda e pure cieca. Di male
in peggio. Cercai di convincermi che era solo una cosa temporanea.
Mi alzai in piedi e gli altri mi
imitarono.
Dove andiamo?, mi interrogò Travis.
-Non ho idea. Dritto? Sì, credo
che dritto vada bene-
Mi incamminai, decisa come non mai
a portare a termine qualcosa. Non avrei fatto attendere mia madre un minuto di
più. Ero partita per lei e avrei concluso quell’impresa con una vittoria. Costi
quel che costi.
-Dov’è la profezia?- domandò
Clarisse, aggressiva.
Chirone distolse lo sguardo,
torturandosi le mani sudate. –Rachel ci ha contattati oggi tramite Iride. Dice
che non potrà essere al Campo per problemi relativi alla scuola che sta
frequentando. In qualunque caso- aggiunse dopo un’occhiata di fuoco della
figlia di Ares –Mi ha riferito la profezia e io l’ho trascritta su un foglio
che ho messo … giusto dove l’ho messo?-
Il centauro cominciò a frugare tra
i vari fogli presenti sulla scrivania fino a quando non trovò quello che
cercava. Lo porse alla semidea, che glielo strappò di mano con un gesto poco
gentile.
-Vediamo cosa dice … -
Chirone si schiarì la gola e
Clarisse riportò la sua attenzione su di lui. –Beh? Che c’è?-
-Tu non devi solo riportarli al
Campo, ma devi consegnare loro questo foglio con sopra scritta la profezia. Se
Rachel ha avuto questa visione, allora la loro è un’impresa a tutti gli
effetti. Non sono molto felice di doverlo ammettere, ma … -
-Sì, sì. Va bene. Ho capito- lo
interruppe la semidea –Fammi leggere-
Man mano che i suoi occhi
divoravano le parole, il suo viso si faceva sempre più pallido. Non poteva crederci. Quello non era affatto
un bene.
-Qui dice … dice … - rantolò.
Poi lesse ad alta voce e anche il
volto di Chirone si riempì di rughe di preoccupazione.
Colei in grigio già aveva profetizzato
La morte dell’eroe che davanti a lei si era fermato.
E al grido d’orrore
Fa eco un muto strillo di terrore.
Sarà difficile per l’Amazzone non farsi trarre in inganno
quando sarà proprio l’amato ad arrecarle danno.
Con la sua voce la farà sprofondare
Là dove gli altri non la potranno aiutare.
E per salvare la donna che invecchia sarà costretta ad affrontare
Ciò che anche Ercole ha dovuto temere.
-Uhm, vediamo- riflettei –Camminiamo
da quanto?-
Mezz’ora, rispose Annabeth guardando l’orologio.
-Fantastico!- spalancai le braccia
–E perché diamine il paesaggio non cambia?-
Effettivamente non era un buon
segno. Come sempre c’erano solo campi. Campi, campi, campi. Oh, sì. E qualche
mucca.
Percy mi strattonò una manica. Ehm, quello è un toro?
Osservai meglio. Sì, c’era un
toro. Avanzava verso di noi a testa bassa, il passo pigro e la bocca ruminante.
-Annabeth, questo non è un bene,
giusto?-
La figlia di Atena scosse la
testa, gli occhi pieni di terrore.
No! Assolutamente! E’ la catoblepa!
Note:
Rieccomi qui, tra caldo e zanzare
assassine, ad aggiornare!
Sinceramente non ho molto da dire.
Questo è un po’ un capitolo di passaggio, visto che non c’è nulla di eclatante.
Spero che vi piaccia lo stesso =)
Ringrazio le persone che hanno
recensito lo scorso capitolo. Ora passo a rispondervi per bene. Non mi sono
dimenticata, sia chiaro u.u
Ringrazio anche chi legge e basta
e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Concludo con un appello. Passate a
dare un’occhiata alla mia nuova fan fiction su Percy Jackson. Si intitola “Ladra
di Ombre”.
Al prossimo capitolo, cari!
Vado a mangiarmi un ghiacciolo!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 17 *** Il destino non si evita ***
huuaatwq
Il destino non si evita
La cose normali da fare erano o
scappare a gambe levate –decisamente poco eroico- oppure prepararsi ad
affrontare il mostro. Ma io non sono una ragazza normale, perciò passai qualche
minuto a pensare a cosa potesse essere una catoblepa. Voglio dire, se non sai a
cosa vai incontro è piuttosto stupido gettarsi tra le braccia della morte. Mi
picchiettai le dita sulla fronte, cercando di ricordare se avevo già sentito
quel nome. Purtroppo no. Mai sentito in vita mia.
Annabeth mi strattonò per un
braccio, sollecitandomi a togliermi da lì. Feci come mi disse e anche gli altri
seguirono il nostro esempio. Ci spostammo di diversi metri all’indietro, in
modo tale da mettere più distanza tra noi e il toro. Sinceramente, non capivo
come mai tutta quella fretta. La catoblepa si muoveva al rallentatore, ogni
passo sembrava costarle oro e la testa pareva pesarle come un grattacielo. Era
un mostro piuttosto strano.
Poi lo sentii. Sì, dico che lo
sentii perché cominciavo ad avere una percezione ovattata dei suoni. Come mi
aveva garantito Annabeth, l’udito mi stava pian piano ritornando. In qualunque
caso, quello era chiaramente un ringhio. Ed era la catoblepa ad emetterlo.
-Uh, non mi sembra un buon segno-
dissi –Annabeth, cos’è esattamente una catoblepa?-
Lei mi lanciò un’occhiata
scioccata. Si aspettava davvero che conoscessi un mostro con un nome così
strano? Neanche per sogno.
E’ un toro, mi rispose, e …
-Ti sento. O meglio, qualcosa.
Puoi parlare normalmente, mi sforzerò di capire- la interruppi con un piccolo
sorriso.
Annabeth annuì. –Dicevo; è un toro
dall’andatura piuttosto pigra. Si ciba di erbe velenose e il suo fiato è molto
dannoso per i semidei. Inoltre, ma le fonti non sono certe, si dice che sia in
grado di trasformare in pietra con lo sguardo. Tuttavia è difficile guardarlo
dritto negli occhi perché la sua testa pesa tantissimo e fa fatica a spostarla,
per questo la tiene sempre abbassata-
Avevo udito a spezzoni le sue
parole, ma avevo afferrato il succo del concetto. Non guardarlo negli occhi e
non fare in modo che ti aliti addosso. Mi rimaneva solo un dubbio. Mi sembrava
troppo semplice da battere. Che Annabeth avesse ingigantito la cosa più del
dovuto?
-Annabeth, scusa se mi intrometto
… - iniziai, ma Percy concluse per me.
-A me sembra troppo semplice- disse
–Posso sconfiggerlo in tre secondi-
Fece per togliere il cappuccio a
Vortice, ma Annabeth gli mise una mano sul petto e lo tirò indietro. Poi
afferrò Vortice e la gettò per terra con rabbia.
-Senti un po’, Testa d’Alghe- gli
puntò un dito contro –Non puoi pensare di avvicinarti alla catoblepa. Non così.
Usa il cervello!-
Lui alzò le mani in segno di
difesa, ma non si preoccupò di riprendere Vortice. La lasciò lì e guardò la sua
ragazza, in attesa di spiegazioni. Nonostante la situazione, io e Travis non potemmo
fare a meno di ridacchiare. Heather, invece, teneva la bocca cucita. La
osservai con la coda dell’occhio e compresi: lei non sentiva. Era ancora sorda.
I danni della voce della banshee su di lei erano stati molto più pesanti.
Lei mi guardò con occhi vacui e
alzò le spalle, poi fissò lo sguardo sulla cintura di Travis, dove era saldamente
legata la sua spada. Prima che io o qualcun altro potesse rendersene conto,
Heather aveva sfilato la lama dal fodero e si era messa a correre in direzione
del mostro, che avanzava al rallentatore.
-Heather!- gridai –Heather, torna
qui! Heather!-
Annabeth spalancò la bocca, Percy
fece per rincorrerla e Travis cercò di imitarlo, ma alla fine l’unica che si
mosse fui io. Scattai in avanti e seguii Heather tra i campi, fino quasi al
mostro, ma quando lo vidi mi fermai. C’era qualcosa, una piccola parte di me,
che mi diceva di non avvicinarmi oltre. Come una barriera, mi impediva di avanzare
oltre e io non provai nemmeno a sfondarla. Avevo imparato a non contrastare il
mio sesto senso.
-Heather!- la chiamai ancora,
senza ricordarmi che non poteva sentirmi.
Lei continuava ad avanzare,
imperterrita, e non si fermò nemmeno quando la catoblepa la vide. Il mostro non
si mosse di un millimetro e io assistetti paralizzata dal terrore a quello che
accadde dopo.
Il toro spalancò la bocca –certo,
molto lentamente, ma la spalancò- e da essa uscì un fumo violaceo e denso che
prese ad diffondersi nell’aria a grande velocità. In breve tempo, l’aria ne fu
pregna talmente tanto che cominciai ad avere difficoltà a respirare.
Istintivamente mi allontanai e, grazie agli dèi, man mano che retrocedevo
l’aria si faceva sempre più respirabile.
Per Heather le cose non erano
messe bene. Procedeva a fatica, gli occhi che lacrimavano e le gambe che tremavano
ogni volta che appoggiava i piedi per terra. Eppure, continuava a camminare.
D’un tratto, Annabeth mi fu alle
spalle e dietro di lei Travis e Percy. Aveva il fiatone come me e gli altri,
probabilmente provato dal fiato velenoso della catoblepa, che tutt’ora non si
era mossa. All’inizio l’avevo sottovalutata, ma ora capivo che aveva una difesa
di ferro e non era così semplice da sconfiggere come avevo pensato.
-E’ velenoso per i semidei- disse Percy –E’ questo che intendevi,
sapientona? Faccio fatica a respirare … e non ci sono nemmeno in mezzo-
Annabeth annuì, rigida. –Esatto.
Heather dovrebbe essere già a terra a dimenarsi dal dolore. Una volta che l’hai
respirato a lungo, il veleno comincia a consumarti i polmoni. Eppure lei
cammina ancora-
Dovevo tentare. –Travis, dammi la
tua maglietta- dissi tendendo una mano.
Lui mi guardò in modo strano. –Perché?-
-Perché sì. Non posso entrare nel
miasma senza una minima protezione. E visto che qui non abbiamo mascherine, mi
accontenterò della tua maglietta-
Con uno sbuffo, si levò la maglietta
e me la passò. Io la piegai in modo tale da avere tra le mani una striscia e me
la avvolsi attorno alla bocca. Tentai di sentire gli odori, ma la maschera improvvisata
funzionava bene. Mi tuffai nella nuvola violacea a passo di carica e rincorsi
Heather.
Non provai più a chiamarla, tanto
non mi avrebbe sentito. Quando fui abbastanza vicina, allungai una mano e la
afferrai per i vestiti, ma lei si divincolò e mi sfuggì. Nonostante il
bavaglio, gli occhi iniziarono a lacrimarmi lo stesso e le gambe cominciarono a
farsi pesanti. Mi sembrava un miracolo essere ancora in piedi.
A quel punto capii cosa aveva in
mente Heather. Aveva rubato la spada di Travis per un motivo ben preciso. Lei sapeva. Sapeva di dover morire lì e si
era gettata tra le braccia della morte senza pensarci due volte. Voleva
lasciare la vita come eroe. Voleva uccidere la catoblepa da sola. Non glielo
avrei permesso. Non doveva morire.
A qualche passo dal toro, Heather
scivolò. Pensai che il veleno stesse cominciando a fare effetto e probabilmente
era così, ma quella mossa era calcolata. Le parole di Annabeth mi rimbombarono
nella testa.
Inoltre, ma le fonti non sono certe, si dice che sia in grado di
trasformare in pietra con lo sguardo.
Ebbi paura. Paura che le fonti
potessero avere ragione e che quindi la catoblepa potesse seriamente
pietrificare con lo sguardo. Strinsi i pugni e mi costrinsi ad aspettare.
Heather scivolò sotto la pancia
del toro e alzò la spada, squarciandole il ventre. Quindi si rialzò in piedi,
lasciando cadere la lama, e io feci per aprirmi in un sorriso. Non era successo
nulla.
Avevo parlato troppo presto.
Uno scricchiolio percorse l’aria
putrida e la pietra cominciò a ricoprire le caviglie della figlia di Ermes.
Osservai scioccata la mia amica diventare di pietra e a quel punto non riuscii
a trattenermi. Gridai più forte che potevo. Era l’orrore a farmi reagire in
quel modo.
Come se avesse sentito il mio
grido, Heather si girò a guardarmi e fece per rispondere al mio grido, gli
occhi sbarrati per la paura, ma la pietra fu più veloce e la ricoprì
completamente. Di lei non rimase altro che una statua, atteggiata in uno
strillo silenzioso.
Persi la ragione. Tolsi la maglietta
di Travis da davanti la bocca e corsi accanto a quello che rimaneva di Heather.
La abbracciai piangendo, ma tutto quello che sentivo era un gelo fuori dal
comune. Mi abbassai a raccogliere la spada e, pur capendo che quell’arma non
era fatta per essere impugnata da me, mi lanciai alla carica contro il toro,
ancora con la testa abbassata e perfettamente immobile.
Con le lacrime che mi solcavano le
guance, gli tranciai la gola e gridai ancora e ancora verso il cielo finché non
mi rimase più voce.
Note:
Eccomi qui!
Questo è un capitolo piuttosto
triste, ma spero che vi possa piacere lo stesso.
Fa talmente caldo che non riesco a
scrivere tanto. Però, ho delle informazioni sulla catoblepa: il suo nome deriva
dal verbo greco καταβλέπω, ovvero “guardare verso il basso”. Non si sa bene cosa sia una
catoblepa, le fonti sono discordanti, perciò alcune cose le ho interpretate a
modo mio. Spero vi piaccia lo stesso.
Ringrazio chi ha recensito, chi ha
messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e anche chi legge e basta.
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle
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Capitolo 18 *** Via Heather, scompare Travis ***
hgjjfhkghuj
Via Heather, scompare
Travis
Quando
non ebbi più voce per continuare a gridare, iniziai a singhiozzare senza
tregua. Solo quando Travis mi si avvicinò e mi avvolse in uno dei suoi abbracci
tornai a pensare lucidamente. Heather era morta. Ed era lì di fronte a me che
mi guardava terrorizzata, la bocca aperta nell’atto di urlare e la convinzione
che mi sarei precipitata a salvarla. Ma così non avevo fatto. L’avevo
abbandonata ad un destino che avrei potuto evitare se solo non avessi esitato.
Era tutta colpa mia. Avevo pensato più a me stessa che a lei.
Ero
una traditrice.
-E’
colpa mia- sussurrai.
Travis
scosse la testa. –No, non pensarlo nemmeno. Era mia sorella. E non ho mosso un
dito per aiutarla. Se dobbiamo dire la verità, la colpa è mia-
Non
risposi, mi limitai a tirare su col naso, poi, lentamente, mi alzai in piedi.
Mi guardai intorno con occhi arrossati e vidi Annabeth e Percy ancora nello
stesso punto in cui li avevo lasciati prima di mettermi a rincorrere Heather.
Feci loro un cenno, in modo tale che capissero di potersi avvicinare senza
problemi.
Ci
raggiunsero in pochi istanti e tutti e due si fermarono, esitanti, davanti alla
statua di Heather. Percy distolse lo sguardo, mentre Annabeth rimase a fissarla
con gli occhi lucidi. Non pianse, però. Abbracciò per l’ultima volta Heather,
poi fece una cosa che non mi sarei aspettata che facesse. Diede un calcio alla
statua e quella, nella caduta, si ridusse in mille pezzi.
Se
non ci fosse stato Percy tra me e Annabeth, molto probabilmente le sarei
saltata alla gola. –Cosa diavolo hai fatto?- gridai, la gola che mi bruciava
per lo sforzo. –Come ti sei permessa? Come?-
Lei
mi guardò, impassibile. –Osserva- mi disse semplicemente.
Per
poco non feci un salto. I cocci si stavano muovendo. Si agitavano senza sosta
da una parte all’altra, come se qualcosa li animasse. Poi, improvvisamente, si
bloccarono e si ridussero in polvere, che si dissolse nel vento.
Quando
non ci fu più nessun granello lo udii chiaramente. Un rumore di vetri infranti.
Eppure lì non c’erano vetri. C’erano prati appena tagliati, una strada
asfaltata, mentre alle nostre spalle c’era un bosco.
Un
paesaggio che chiaramente non era lì quando eravamo arrivati. Perché prima
c’erano solo campi incolti e animali che pascolavano. Ora nemmeno quelli. Era
qualcosa di completamente diverso.
Spalancai
la bocca e silenziosamente chiesi spiegazioni ad Annabeth, che mi guardò
ruotando gli occhi. Quella ragazza dava troppe cose per scontate e molto spesso
si dimenticava che ero figlia di Poseidone, non di Atena. Una figlia di
Poseidone che non sapeva nuotare, ma pur sempre figlia sua.
-Faceva
parte dell’incantesimo della catoblepa- rispose –Aveva creato uno spazio
infinito in cui ci saremmo spostati in eterno senza poterne uscire. L’unico
modo per spezzare l’incanto era distruggere la statua in cui l’anima della
catoblepa sopravviveva. Ora siamo fuori, ma non ho la minima idea di dove
siamo-
Strusciai
un piede a terra, imbarazzata come non mai. L’avevo trattata male senza pensare
al perché lei stesse agendo in quel modo. L’aveva fatto per noi, per farci
uscire da lì. Ero proprio una cretina.
-Mi
dispiace- bofonchiai.
Lei
mi sorrise. –Atena ha sempre un piano-
Non
potei fare a meno di sorriderle in risposta, poi mi allungai per stringerla in
un abbraccio. Sicuramente rimase stupita del mio gesto, ma si abituò in poco
tempo e ricambiò la mia stretta dolcemente.
-Bene-
esordì Percy –A quanto pare anche il tempo era manipolato da quel mostro-
Capii
cosa intendeva dire quando guardai in alto. Il cielo era arancione e in
lontananza si vedeva il buio avanzare velocemente. Era già sera.
-A
quanto pare sì- disse Travis –Mi sa che è meglio accamparci per la notte. Quel
bosco non mi sembra male- propose.
Annuimmo
tutti. La stanchezza si faceva sentire come se avessimo un macigno pesantissimo
sulle spalle.
Mentre
ci dirigevamo verso il bosco, Travis mi strinse a sé, con un piccolo ghigno. Le
cose non promettevano molto bene quando faceva così. Mi aspettai il peggio.
-E mi
sa che è meglio se mi ridai la mia maglietta- mi disse, ridendo.
Arrossii.
Sì, ce l’avevo ancora io, stretta tra le mani. Come potevo essermi dimenticata
di un dettaglio simile? Aveva passato tutto il tempo a consolarmi senza maglietta e io nemmeno me ne ero
accorta. Ma come si fa?
Gliela
tesi, lo sguardo basso, le guance rosse e lui rise ancora più forte.
-Vado
da sola- disse Clarisse a Chirone.
Il
centauro agitò la coda. –Sei sicura di non voler portare nessuno?-
-Sicura-
Chirone
cercò di farle cambiare idea. –Potrebbero esserti utili dei compagni- protestò.
Clarisse
strinse i pugni finché le nocche non le diventarono bianche. –Va bene così,
centauro. Io basto e avanzo-
Il
centauro non osò più contestarla. Ares non era uno degli dei che preferiva e
sua figlia gli assomigliava in modo pazzesco. Se fosse andato contro il suo
volere, non solo si sarebbe trovato di fronte ad una Clarisse arrabbiata, ma
anche ad un Ares di cattivo umore. Per niente al mondo avrebbe voluto
sperimentare una simile esperienza.
-Allora
vai, figlia di Ares- le disse –E riportali indietro-
Clarisse
annuì e uscì dai confini del campo senza mai voltarsi indietro. Ora in testa
aveva solo una cosa: salvare Aelle. Perché Aelle non l’aveva giudicata male
solo perché era figlia del dio della guerra. La trattava come una sorella e si
faceva volere bene per la sua ingenuità.
Per
lei, era come una famiglia. Quella che non aveva mai avuto.
Ci
sedemmo sotto le fronde di un albero gigantesco, consci che se fosse venuto a
piovere saremmo perlomeno stati in un luogo riparato. Con gli dèi non si sapeva
mai come comportarsi, un secondo prima poteva esserci un sole che spaccava le
pietre, mentre il secondo dopo poteva infuriare una tempesta da record.
Perciò,
meglio essere prudenti.
-Serve
della legna per accedere il fuoco- disse Percy.
Un
punto a suo favore. Non potevamo stare al buio più completo. I mostri ci
avrebbero fiutato e noi non avremmo avuto modo di capire la loro posizione.
Saremmo stati come ciechi.
Travis
si alzò. –Sì, vado io- rispose con uno sbuffo –Aspettatemi qui. Dieci minuti e
torno indietro-
Detto
questo si allontanò e sparì nel cuore della foresta, il mio sguardo che lo
seguiva finché la sua figura non fu più visibile.
Annabeth
catturò la mia attenzione con un movimento della mano. Stava rovistando nello
zaino che si era portata dietro con furia e gettava oggetti a destra e a
sinistra senza preoccuparsi del fatto che potessero essere fragili. In quel
momento sembrava tutto tranne che una figlia di Atena.
-Oh,
eccolo finalmente!- esclamò, tirando fuori dalla borsa un bracciale piuttosto
anonimo con al centro un piccolo fiore azzurro. Semplice ma bello.
Io e
Percy ci scambiammo un’occhiata perplessa e rimanemmo in silenzio ad osservarla
finché lei non capì di doverci spiegare ancora
tutto.
Mi
porse il braccialetto. –Tieni. L’ho fatto fare per te-
Alzai
un sopracciglio. –Ehm, grazie. Credo proprio che mi servirà un braccialetto in
questa impresa- commentai, sarcastica.
Lei
ridacchiò. –Non è solo un braccialetto. Visto che l’ascia che usavi al Campo era
solo un inizio poiché non avevi ancora trovato la tua, ho chiesto ai ragazzi di
Efesto di costruire questo-
Guardai
il braccialetto con curiosità. Lì dentro c’era un‘ascia? In una cosa così
piccola? Strano a credersi.
-Schiaccia
il fiore- mi suggerì Annabeth.
Feci
come mi aveva detto. Con un sibilo, il braccialetto si aprì e si ingrossò
finché non mi trovai in mano un’ascia bipenne che sembrava fatta su misura per
me. Non che io avessi mai visto un ragazzo della casa di Efesto. Mi domandai
come avessero fatto ad azzeccare il giusto bilanciamento.
-Ti
hanno vista combattere. Per loro quello basta e avanza per capire il tuo stile
e l’arma giusta per te- mi spiegò Annabeth –Sono fenomenali, vero?-
Annuii,
senza parole. Cavolo, se lo erano.
-Come
ritorna nella sua forma di braccialetto?- domandai.
Annabeth
sorrise. –Schiaccia la base dell’impugnatura con decisione e vedrai che torna
come prima-
Ancora
una volta, seguii le sue istruzioni e mi ritrovai in mano il braccialetto con
il fiore al centro. Fantastico,
pensai.
-Dovresti
darle un nome- si intromise Percy, che fino a quel momento era rimasto in
silenzio.
Guardai
il braccialetto e meditai, ma più pensavo più la mente mi si svuotava. Forse
non era quello il momento di darle un nome. Forse mi sarebbe venuto col tempo.
-Le
darò un nome più avanti- dissi con un piccolo sorriso –Devo sceglierlo bene-
Poi
Annabeth saltò in piedi con aria preoccupata. –Ma Travis dove si è cacciato?-
Il
sorriso mi morì sulle labbra. Già, i dieci minuti erano passati da un bel pezzo
e di lui non si vedeva nemmeno l’ombra. Era normale doversi preoccupare.
Cominciai a sudare freddo. Cosa gli era successo?
Saltai
in piedi. –Vado a cercarlo- dissi con un po’ troppa fretta –Aspettatemi qui.
Torno subito-
Ma
quello che né io né gli altri sapevamo era che non sarei mai tornata indietro
da quella ricerca. E quando successe, pensai anche che non avrei mai più rivisto
né Percy né Annabeth.
Note:
Oh my
gods!
Ce l’ho
fatta a pubblicare!
Questo
diciottesimo capitolo è un po’ di passaggio, non accade molto. Il prossimo
prometto che sarà più movimentato. Altrimenti questa storia diventa una noia.
Vi
avverto comunque che non manca molto alla fine. Non so dirvi quanti capitoli
manchino, ma certamente sono pochi.
Ringrazio
chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha messo la storia tra le
seguite/preferite/ricordate e anche chi ha solo letto.
Per
chi sta aspettando l’aggiornamento di “Ladra di Ombre” … aspettate con calma.
Prima vorrei finire questa storia, prima di imbarcarmi in quella. Per evitare
di fare confusione. Perdonatemi.
Al
prossimo aggiornamento, cari!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 19 *** Lo stregatto ***
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Nel buio si nascondono i mostri. O
almeno così mi veniva detto quando ero ancora una bambina. Sono sotto il letto,
dietro gli angoli e dentro al tuo cuore. Perché è proprio il cuore a farti
credere alla loro esistenza. E’ lui che batte come impazzito non appena le tue
orecchie sentono qualsiasi rumore che non sia il ciabattare di tua madre che va
a dormire o il russare di tuo padre.
E in quel momento mi sembrava
tanto di essere tornata bambina. Avanzavo nel buio del bosco come una cieca, le
mani strette intorno all’ascia che Annabeth mi aveva donato appena qualche
minuto prima. Ma erano minuti? Forse ore? Il tempo lì sembrava passare in
maniera diversa. O non passare mai. L’unica cosa che sentivo era il freddo
insinuarsi sotto i vestiti e affondarmi nella pelle.
Dov’era Travis in quello
spettacolo spettrale?
Un rumore mi distrasse dai miei
pensieri. Parevano passi. Passi molto vicini a dove mi trovavo io. Deglutii e
strinsi ancora di più la presa intorno all’impugnatura dell’ascia che in quel
momento mi sembrava la mia unica ancora di salvezza.
Io non avevo paura. Io non avevo
paura. Io non avevo paura.
Ero una semidea, una figlia di
Poseidone piuttosto imbranata, e in più un’Amazzone. Ero una donna guerriera
che non poteva avere paura del buio. Era una paura ridicola, ma era annidata lì
nel suo cuore, e si rifiutava di lasciarlo. Ogni volta che provava ad
ignorarla, quella affondava i suoi artigli sempre più in profondità nel suo
cuore. Era una bestiolina dispettosa.
I passi si avvicinavano. Erano
alle mie spalle, ma io avevo il terrore di voltarmi. La mia testa pareva fatta
di granito e si rifiutava di girarsi. Lo stesso valeva per le mie gambe. Il mio
respiro stava accelerando visibilmente e ben presto mi ritrovai ad ansimare in
cerca di un ossigeno che non era mai abbastanza.
-Travis?- mormorai. –Travis sei
tu? Ti avverto che non è divertente. Per nulla-
Non era assolutamente divertente.
Mi stavo spaventando a morte. C’era qualcosa nell’aria che mi diceva di stare
attenta. Avevo tutti i sensi all’erta. Nella testa, c’era un campanello
d’allarme che emetteva un rumore assordante. C’era decisamente qualcosa che non
andava.
Alla domanda che credevo di aver
lanciato nel vuoto, mi rispose una risatina mal trattenuta. Una risata che
assomigliava ad una che avevo ascoltato già molte volte.
Travis. Era la sua. Non poteva che
essere la sua.
Mi rilassai all’istante e ripresi
a respirare normalmente. Erano spettacolari gli effetti che lui aveva su di me.
Mi girai di scatto, un piccolo
sorriso sulle labbra. –Travis, non farlo mai … -
Ma dietro di me non c’era nessuno.
Tornai ad irrigidirmi, mentre un
brivido gelato mi correva lungo la schiena. Lì c’era qualcuno. Qualcuno che
stava chiaramente giocando al gatto e al topo con me. E dentro di me sapevo di
essere il topo. La figura del gatto non mi si addiceva. Tremavo dalla testa ai
piedi e non mi riusciva di calmare il battito impazzito del mio cuore. Voleva
uscirmi dal petto.
-Chi c’è?- urlai.
Ancora un’altra risatina, questa
volta più vicina. Era di fianco al mio orecchio, ma quando mi girai per vedere
non c’era nessuno. Esattamente come prima. La situazione stava seriamente
diventando brutta. C’era una parte di me che voleva arrendersi al terrore,
gettare a terra l’ascia e implorare pietà a qualsiasi individuo stesse giocando
con me. Ma l’Amazzone in me non me lo permise.
-Chi c’è?- strillai.
Questa avvertii una mano posarsi
leggera sulla mia spalla e nel momento in cui mi voltai incontrai gli occhi di
Travis. Erano senza alcun dubbio i suoi, con le stesse sfumature e con la
medesima scintilla divertita sempre in agguato. Eppure, non riuscii a
rilassarmi. I miei muscoli erano ancora rigidi e il mio cuore non smetteva un
secondo di battere.
-Travis?- domandai in un sussurro.
Non rispose, si limitò ad
ammiccare, poi mi diede le spalle e cominciò a correre via. E io lo seguii. Non
potevo fare altro: ero venuta fino a lì per lui, non sarei tornata indietro
finché non lo avessi riportato dagli altri. Dovevo solo stringere i denti e
andare avanti, immergermi in quell’abisso di ombre che mi incuteva così tanto
terrore. Non sembrava essere così tanto difficile. Solo mi faceva una paura
fottuta, e passatemi il francesismo.
-Ok, Travis. Vuoi giocare? E
allora giochiamo-
Un passo alla volta mi inoltrai
sempre di più nel bosco e, se possibile, l’oscurità divenne ancora più fitta,
tanto che mi venne la pelle d’oca. Era più forte di me, non ce la potevo fare.
Non se significava quello. Ero sopravvissuta ad una banshee, ad una catoblepa,
ma non potevo sopravvivere al buio. Nossignore.
Mi lasciai cadere a terra,
nell’erba alta, e abbracciai la mia ascia. Non mi sarei mossa di lì nemmeno
sotto tortura. Avrei aspettato il sorgere del sole, poi sarei tornata indietro
da Annabeth e Percy. Poi, insieme, saremmo andati a cercare Travis. Quella era
la soluzione migliore.
Mi addormentai quasi senza
accorgermene perché l’unica cosa di cui ero consapevole erano gli occhi di
qualcuno puntati su di me. Poi delle mani mi afferrarono da sotto le ascelle e
mi trascinarono via. E io non opposi resistenza.
Mi svegliai che era ancora notte.
Quanto avevo dormito? Non lo sapevo e forse nemmeno lo volevo sapere. Tutto ciò
che volevo era uscire da lì il più in fretta possibile. Feci quindi per
alzarmi, ma una voce mi bloccò.
-Sta andando tutto come previsto-
Era la voce di Travis. Sì, era la
sua. Che gli dèi mi perdonassero, ma mi era mancato da morire. Lui per me era
come la luce del sole, indispensabile. Ed innamorarmi di lui era stata la cosa
più avventata che avessi mai fatto, ma anche la più giusta. La più bella, la
più felice.
Ma c’era qualcosa che non andava.
La sua voce aveva una strana sfumatura: formale, rigida, spenta. Non saprei
come spiegarmi. E soprattutto non stava parlando con me, ma con qualcuno che
dalla mia posizione non riuscivo a scorgere.
-La ragazzina è qui. Non sa nulla-
continuò lui –E’ così ingenua. Sarà una sciocchezza farla fuori-
Ragazzina? Stava … stava parlando
di me? Non mi aveva mai chiamata così, non con quel tono gelido e tagliente.
Non aveva mai promesso di uccidermi. Mai da quando lo avevo conosciuto. Forse
stava parlando di qualche altra persona?
-Sì, è addormentata, svenuta. Non
lo so con precisione. Ma fintantoché dorme, mi sarà più facile tagliarle la
testa e depositarla sull’altare di quell’idiota di suo padre-
Mio padre … Poseidone.
Addormentata … sì, metà del mio cervello era ancora offuscato dal sonno, ma
l’altra parte intendeva bene per tutte e due. Quello che aveva appena detto …
stava seriamente cercando di uccidermi? La persona di cui mi fidavo di più al
mondo mi stava … tradendo? Un suono ovattato si espanse dal mio petto. Il mio
cuore si stava spezzando.
Puntellai le mani sul terreno e,
facendomi forza, mi alzai. Ed eccolo lì: mi dava le spalle, ma non appena fui
salda sui piedi lui si girò e mi guardò negli occhi con un sorriso inquietante.
In quel momento ero troppo turbata per accorgermi che la sua bocca si apriva
fino a alle orecchie e che al posto dei denti aveva un unico osso. Ero occupata
a raccogliere i cocci del mio cuore distrutto.
-Uh, la ragazzina si è svegliata-
disse con tono cantilenante.
Una risata femminile fece eco alla
sua. Una risata che se fossi stata più concentrata avrei certamente collegato a
quella di Heather. Ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da Travis e dalla
sua espressione crudele.
-Cosa stai dicendo, Travis?-
mormorai.
E lui rise di nuovo. –La verità.
Non avrai forse creduto che io ti amassi veramente?- disse con tono sprezzante.
Mi veniva da vomitare. Non lo
stava dicendo sul serio. –Sì- risposi solamente.
Travis inarcò un sopracciglio e
incrociò le braccia. –Beh, mi dispiace per te. Soprattutto perché sto per
ucciderti-
Si portò una mano alla cintura,
dove il fodero era ben agganciato, e afferrò la spada con una mano mentre con l’altra
mimava un conto alla rovescia. –Ti do quindici secondi di vantaggio. Ti
conviene iniziare a scappare-
-Stai scherzando?-
Lui si strinse nelle spalle. –Se preferisci-
disse –Quindici, quattordici … -
Doveva essere un brutto sogno. Non
vedevo altra spiegazione. Perciò mi girai e cominciai a correre più veloce che
potevo in modo tale da mettere più distanza che potevo tra me e Travis. Quando
il conto alla rovescia terminò me lo ritrovai alle spalle in meno di un
secondo. Merda, era rapidissimo. Come diavolo faceva a correre così velocemente?
Poi lo capii. Era figlio di Ermes e qualcosa da lui doveva avere ereditato.
-Ciao, topolino- mi bisbigliò con
una risata all’orecchio.
Mi sforzai al massimo. –No!-
E in quel preciso istante il bosco
si diradò e la vidi. Una scogliera alta e dall’aria pericolosa, contro la quale
le onde del mare si infrangevano violente. E fissando il mare, compresi ciò che
dovevo fare. Se ormai il mio cuore era da buttare, allora avrei buttato anche
me stessa. Non avrei permesso a Travis di uccidermi. Mi aveva già fatto troppo
male.
E lui parve capire le mie
intenzioni. –Non oserai … -
Io non gli prestai attenzione,
corsi incontro alla scogliera e mi gettai nel vuoto. Mentre sprofondavo nelle
acque turbolente, guardai per l’ultima volta il volto di Travis e poi scoppiai
a piangere senza sosta.
Quella era la fine.
Note:
Eccomi, sono arrivata con un
ritardo pazzesco, ma sono arrivata! :D
Questo capitolo è … strano. Sembra
quasi horror, non che a me piaccia scrivere horror. Non so perché mi sia venuto
così cupo, ma spero lo apprezziate lo stesso.
Adesso passiamo alla canzone. Perché
“Requiem for a Dream”? Perché adoro questa
canzone e la reputo adatta alle sfumature oscure del capitolo. Sempre che oscure
si possano definire. Fatemi sapere cosa ne pensate della lettura con ascolto. E’
la prima volta che lo propongo e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Ringrazio tutti quelli che hanno
recensito e messo la storia tra le seguite/preferite/seguite. GRAZIE!
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 20 *** Dietro l'arcobaleno si nascondono notizie spaventose ***
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Dietro l’arcobaleno si
nascondono notizie spaventose
Clarisse
camminava da ore e ancora non aveva incontrato Aelle. Sapeva che lei e gli
altri erano andati in quella direzione, ma di loro sembrava non esserci nessuna
traccia. E Clarisse non riusciva a capirne il motivo.
Sospirò,
i pugni stretti per la frustrazione. Dove diavolo si era cacciata quella
stupida Amazzone? Doveva consegnarle la profezia prima che fosse troppo tardi.
Si frugò nelle tasche finché le sue dita non toccarono il metallo freddo di una
dracma. Gliel’aveva data Chirone pochi attimi prima che partisse, dicendole di
usarla solo per contattare il Campo e far sapere a tutti di aver trovato Aelle
e gli altri. Ma lei non era ancora riuscita a rintracciarla e il tempo correva
troppo in fretta. Poteva esserle successo qualcosa. Poteva addirittura essere
morta.
Se
fosse accaduta una cosa del genere, lei si sarebbe sentita spezzata in due per
il dolore. Era per quello che doveva tornare a infrangere le regole. Avrebbe
cercato di contattarli e rintracciarli solo dopo aver saputo la loro esatta
posizione. Sempre che Iride non fosse troppo occupata e la ignorasse.
Prese
lo spruzzino che il centauro le aveva dato e lo riempì d’acqua. Quindi creò un
rudimentale arcobaleno e vi gettò all’interno la dracma d’oro.
-Oh,
Iride, dea dell’arcobaleno, accetta la mia offerta!- disse ad alta voce –Percy
Jackson e Annabeth Chase!-
Perché
aveva chiamato Prissy e la sapientona invece di Aelle? In fondo era lei quella
che cercava. Eppure, qualcosa le diceva che era la cosa migliore da fare.
L’arcobaleno
tremolò per qualche secondo, poi lasciò intravedere un piccolo fuocherello e
tre persone che parlavano con tono nervoso. Non ricordava che ci fossero solo
tre persone nell’impresa. Erano cinque. Sperò che non fosse accaduto nulla di
grave.
-Prissy!
Finalmente! Dove diavolo siete?- si decise finalmente a parlare.
Percy
sobbalzò e si girò di scatto. Annabeth alzò lentamente lo sguardo, per niente
spaventata, mentre Travis –ah, ecco chi era- sospirava sconsolato e si prendeva
la testa tra le mani. Ma che diavolo era successo?
-Clarisse,
non sono in vena di litigare- cominciò lui –Non lo sono per nulla-
La
figlia di Ares strinse i denti per evitare di imprecare. –Mi piacerebbe molto
litigare con te, Prissy. Purtroppo, non vi ho contattati per questo. Chirone mi
ha mandato a riferirvi la profezia dell’Oracolo-
Annabeth
spinse di lato Percy e si mise davanti al messaggio-Iride. –Quale profezia?-
strillò, perdendo la calma per la prima volta in vita sua.
-Rachel
ha avuto una visione e si è affrettata a mandare al Campo la profezia. Mi pare
che il centauro mi abbia detto anche che la rossa avesse riferito ad Aelle di
aspettarla per poterla sentire di persona, ma quella sciocca se n’è andata
prima. Andate a chiamarla, così posso riferirgliela- rispose.
I tre
si lanciarono delle occhiate che fecero insospettire Clarisse, poi Annabeth
riprese la parola. –Dilla a noi-
-Devo
parlare con Aelle- si intestardì lei.
Il
figlio di Poseidone perse le staffe. –Dilla a noi, Clarisse!- gridò.
Per
una volta Clarisse comprese di non dover contraddire una persona. Non perché le
facesse paura –l’unica cosa di cui aveva avuto paura era stata il Labirinto- ma
piuttosto perché capì che c’era qualcosa che era andato storto. Si frugò nelle
tasche dei jeans e tirò fuori il foglio di carta su cui Chirone aveva
trascritto la profezia.
Si
schiarì la gola. –Uhm, allora. Qui dice: “Colei
in grigio già aveva profetizzato/ la morte dell’eroe che davanti a lei si era
fermato./ E al grido d’orrore/ fa eco un muto strillo di terrore./ Sarà
difficile per l’Amazzone non farsi trarre in inganno/ quando sarà proprio l’amato
a recarle danno./ Con la sua voce la farà sprofondare/ là dove gli altri non la
potranno aiutare./ E per salvare la donna che invecchia sarà costretta ad
affrontare/ ciò che anche Ercole ha dovuto temere.”-
Annabeth
imprecò in greco antico, Percy sospirò e Travis emise qualcosa che assomigliava
ad un mezzo ringhio. Clarisse non ne capì il motivo. Non subito. Fissò il
foglietto che teneva con una mano, rifletté per qualche secondo sulle parole
quindi si concesse si pestare i piedi per terra.
-Dov’è
Aelle?- sbraitò.
Annabeth
scosse la testa e per un attimo Clarisse temette il peggio, come se “la morte
dell’eroe che davanti a lei si era fermato” riguardasse la figlia di Poseidone.
–E’ scomparsa-
Clarisse
sentì una voragine aprirsi sotto i suoi piedi, mentre il cuore cominciava a
batterle più veloce. –Cosa significa che è scomparsa?- disse con un filo di
voce.
-Esattamente
quello che ho detto- le rispose Annabeth –E c’è di più. Heather è morta-
Senza
offesa per lei, ma a Clarisse non importava niente di quella sciocca figlia di
Ermes. Da quando era al Campo, mai una volta si erano parlate. Si ignoravano e
basta. E a Clarisse andava bene.
E in
quel momento Travis cominciò a urlare. –E’ colpa mia, è colpa mia!-
Percy
gli mise una mano sulla spalla nel tentativo di calmarlo, ma fu inutile. Lui continuava
a gridare al cielo la stessa frase come se fosse un mantra. Strappava ciuffi d’erba
con le mani, imbrattandosele di terra, e li gettava via.
-E
lui cos’ha?-
Annabeth
e Percy si scambiarono una breve occhiata, come se fossero indecisi se
dirglielo o meno. Ma Clarisse voleva sapere.
-Ditemelo.
Ora- ordinò con la voce più tagliente che aveva.
La
figlia di Atena si stropicciò le mani, come se non sapesse da che parte
iniziare, poi si decise a parlare. –Dopo che Heather è morta, l’inganno del
mostro si è sciolto e ci siamo ritrovati nei pressi di questo bosco. Ci siamo
accampati e Travis è andato a prendere la legna. Visto che dopo dieci minuti
non era ancora tornato, Aelle è andata a cercarlo e non ha più fatto ritorno-
Clarisse
fece per interromperla, ma la figlia di Atena la zittì con un rapido gesto
della mano. –Non ho finito. Quando Travis è tornato dal bosco con la legna,
abbiamo sentito un urlo. E la voce era di Aelle, ne eravamo sicuri. Abbiamo
raccattato le nostre cose e siamo corsi nella direzione da cui proveniva l’urlo.
Non abbiamo trovato lei, ma qualcos’altro. Era un mostro che non avevo mai
visto di persona, credevo che non esistesse … eppure era lì che ci fissava. Era
Travis. O meglio, aveva il suo aspetto. Esattamente come dicevano le fonti che
avevo studiato-
-Cos’era?-
l’impazienza nella voce di Clarisse era palpabile.
-Una
leucrotta-
-E
cosa diavolo è?-
-Un
incrocio tra una crocotta e un leone. E’ un insieme di vari animali, tra cui l’asino,
il leone, il cervo e il tasso. Ma la cosa più importante di tutte è che, oltre
a possedere una velocità straordinaria, può imitare l’uomo, sia nella voce che
nel corpo. L’unica cosa che la differenzia da un vero essere umano è la bocca:
si apre fino alle orecchie. In più, non ha i denti, ma solo un lungo osso-
Involontariamente,
Clarisse rabbrividì. Aveva sentito parlare di mostri enormi, dalla forza
erculea, dal fiato velenoso e molto altro ancora, ma mai di una cosa del genere.
Imitare la voce e l’aspetto di un umano era qualcosa di sottile, che a prima
vista non poteva sembrare pericoloso, ma che in realtà lo era. Assumere l’aspetto
di una persona estranea poteva distruggerne mentalmente un’altra. Era
semplicemente terribile.
-La
profezia … - Clarisse deglutì. –La profezia dice che con la sua voce il suo
amato la farà precipitare là dove nessun la potrà aiutare. Dove è precipitata
Aelle?-
Percy
prese un respiro profondo. –Dalla scogliera. Dopo che in tre siamo riusciti ad
ucciderlo, tra l’altro non senza danni – abbiamo ferito Travis più volte
scambiandolo per la leucrotta- mi sono gettato anche io. Ho setacciato il mare
in ogni minimo angolo, ma di lei nessuna traccia-
Clarisse
si mosse nervosa. Non sapeva cosa dire, ma doveva dire qualcosa. –Com’è
possibile che sia scomparsa nel nulla, Prissy?- lo aggredì.
Annabeth
guardò il suo ragazzo con rimprovero e lui alzò le mani in segno di resa. –Glielo
dico, non ti scaldare. Ecco, c’era una parte di mare che non riuscivo a raggiungere.
Era come se una cupola impenetrabile circondasse quel luogo. E sotto di essa ho
intravisto una strana costruzione. Se c’è un posto dove Aelle può essere caduta,
è quello. Solo che per quanto mi sforzi non riesco a raggiungerlo- disse, amareggiato.
La
figlia di Ares cercò di non scoppiare a piangere davanti al suo nemico. –Dove siete?
Vi raggiungo. Una volta che sarò lì, riprenderemo le ricerche- si sforzò di
risultare autoritaria.
Annabeth
fece per rispondere, ma lo schermo diventò grigio.
Gettare un’altra dracma per altri cinque
minuti di conversazione, prego.
Ma
Clarisse non aveva altre dracme.
E lo
schermo di oscurò del tutto.
Note:
Ahahahaha.
Speravate che riprendessi il capitolo dal punto di vista di Aelle, vero? E
invece no, ecco qui una Clarisse come mai l’avete vista!
Ok,
era un inizio piuttosto strano, ma dovete capire che a un certa età il cervello
parte e non connette più. Siate clementi con me!
Bene,
ora che siamo arrivati a questo punto posso dire che nel prossimo apparirà sicuramente
la Marine Cathedral. Ve la ricordate? Se non la ricordate, rispolverate i
vecchi capitoli.
Bene,
ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo e anche chi ha solo
letto. E ringrazio pure chi ha messo la storia tra le preferite (ben 11!!)/
seguite/ ricordate. Siete fantastici!
Al
prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle
P.S. Almeno questo mostro vi è piaciuto?
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Capitolo 21 *** Il terzo ingresso ***
ffffffffffrhyykjlòolgt
Il terzo ingresso
Con
un urlo precipitai giù dalla scogliera, sicura che sarei morta nel momento
stesso in cui avessi toccato l’acqua. Ma il mare mi accolse tra le sue onde
impetuose come se fosse entusiasta di rivedermi.
Affondai
in quel blu profondo con la consapevolezza che prima o poi avrei esaurito
l’aria e che l’acqua avrebbe invaso i miei polmoni, distruggendoli. Eppure,
continuai a respirare come se niente fosse, come se ancora fossi all’aria
aperta.
Per
un attimo, mi stupii. Riuscivo anche io a respirare sott’acqua, esattamente
come mio fratello Percy. Peccato che non avrei potuto fargli vedere i miei
progressi.
Chiusi
gli occhi e mi lasciai andare a quella calma innaturale. Era quella la sensazione
che si provava prima di morire? Mi sfuggì una lacrima al pensiero di quello che
mi sarebbe successo.
No, no, no. Gorgogliò una voce nella mia testa. Resta sveglia. Apri gli occhi.
Riaprii
gli occhi di scatto, ma intorno a me non c’era nulla. Esattamente come era
successo nella foresta con Travis. Istintivamente mi raggomitolai su me stessa,
rifugiandomi in un guscio protettivo che speravo avrebbe allontanato qualsiasi
cosa mi si fosse avvicinata.
Va bene. Non ti tocco.
-Chi
sei?- farfugliai, osservando delle bollicine uscirmi di bocca e salire verso la
superficie.
Oh, ecco. Sì. Mi ero dimenticata di
presentarmi. Non ricevo molti ospiti sai? A dire la verità, nessuno. La
barriera allontana tutti. Io faccio solo la guardia, perché in casi come il tuo
…
-Chi
sei?- ripetei con uno sbuffo.
Sì. Sì, giusto. Mi chiamo Melena. Sono la
sirena guardiana di questo luogo.
Poiché
non sapevo nuotare, mi agitai per un po’ prima di riuscire a girarmi a pancia
in giù e trovarmi davanti un paio di occhi verdi, uguali ai miei e a quelli di
Percy. Appartenevano ad un viso bellissimo che mi guardava con espressione
dolce. Lunghi capelli biondi incorniciavano quell’ovale perfetto e fluttuavano
nel blu profondo di quelle acque sconosciute. Il suo corpo snello era
abbronzato ed era- quando lo notai mi venne un colpo- metà animale. Un po’ come
per Chirone, dalla vita in su era una splendida ragazza che dimostrava
all’incirca la mia età, mentre dalla vita in giù non aveva le gambe di un
essere umano ma possedeva la coda brillante di un pesce.
Sgranai
gli occhi e spalancai la bocca, sul punto di mettermi a urlare. Annabeth non me
le aveva descritte così. Lei le aveva viste.
Mi aveva detto che erano donne-uccello che incantavano i marinai con la propria
voce e non donne-pesce.
Per
un attimo mi dimenticai della foresta, di Travis e del mio dolore. –Tu non sei una
sirena!- esclamai puntandole un dito contro.
Lei
roteò gli occhi, sbuffando. –Sì che lo sono- e poi continuò parlando da sola
–Perché mi confondono tutti con quelle megere con le ali?-
Inarcai
un sopracciglio, ma non ribattei. Se lei diceva di essere una sirena, allora doveva
esserlo. E poi, era esattamente come la Disney aveva disegnato Ariel, quindi
non feci troppe domande al riguardo.
-Dove
mi trovo?- chiesi.
Questa
volta fu lei ad inarcare un sopracciglio. –Non lo hai ancora capito, figlia di
Poseidone?- fece un gesto con la mano, invitandomi a guardarmi in giro,
Volsi
lo sguardo oltre la sua figura e cominciai a distinguere una costruzione scura
che affondava le proprie radici in una sabbia nera che brillava come se fosse
piena di pietre preziose. Le mura erano alte, molto di più di quanto riuscissi
a scorgere con i miei occhi, e in lunghezza si estendevano fino a sprofondare
nel buio. Era semplicemente enorme. Questa era la sua unica caratteristica.
Perché per il resto assomigliava in tutto per tutto ad una normale chiesa.
Una chiesa …
-La
Marine Cathedral!- esclamai.
Melena
sorrise. –Esatto, piccola semidea. Questo era il santuario marino di Poseidone,
quando ancora era un luogo tranquillo- disse –Ora l’unica persona rimasta sono
io. Io controllo che la barriera che la circonda non si spezzi, che nessuna
creatura, nessun uomo o dio la sorpassi-
In
quel momento mi sentii fuori posto. Cosa diavolo ci facevo in luogo sacro,
protetto così bene dal mondo esterno? E, soprattutto, come ci ero arrivata,
come avevo sorpassato la barriera se nessuno poteva farlo? Avevo la netta
sensazione che presto o tardi anche lì, in quella calma assurda, avrei
rischiato la vita. Involontariamente, tremai: la vita da semidei non era così
bella come poteva sembrare.
-Come
… - mi schiarii la gola. –Come sono arrivata qui? Ero caduta dalla scogliera-
-Ti
eri buttata dalla scogliera- mi
corresse Melena. –In qualunque caso, sei giunta in questo luogo circondata
dalla benedizione di Poseidone. Non potevo di certo ammazzarti, non credi?
Avrei offeso il mio signore. E io servo lui da quando sono nata. Cosa farei se
lui mi cacciasse?- piagnucolò.
Non
seppi cosa risponderle, ma dentro di me fui molto grata a mio padre per avermi
benedetto con la sua protezione. Non sarei stata viva se non fosse stato per il
suo aiuto. Percy me lo aveva confessato: Poseidone era un dio che ascoltava
molto i suoi figli, a differenza di altri dei. C’era peraltro da dire che
Poseidone aveva due figli e non quaranta come altri dei. Forse poteva
permettersi di ascoltarci.
Le
misi una mano sulla spalla, cercando di consolarla. –Su, su. Sono sicura che Poseidone
sa che lo servi bene. Te lo garantisco-
In
qualche modo la situazione mi pareva comica. Avevo rischiato due volte di
morire e ora ero lì a consolare una sirena in piena crisi.
-Davvero?-
mi chiese, mentre una lacrima le rigava una guancia bianca e soffice.
Faceva
tenerezza.
-Davvero!- le dissi con il tono più convincente che mi
riusciva.
Sotto
i miei occhi stupiti, fece quattro capriole all’indietro ed esultò come una bambina
di cinque anni. E sicuramente Melena aveva molti più anni di quanti il suo faccino
innocente dimostrava. Moliti, ma molti di più.
Quando
finalmente si calmò, la espressione si fece seria e mi guardò con occhi preoccupati.
Mi prese una mano tra le sue e la strinse. –Forse ho capito-
Inclinai
la testa di lato, senza opporre resistenza alla sua presa. Era una strana creatura,
ma proprio per quel motivo mi era simpatica. –Cosa?-
-Il
motivo per cui il mio signore ti h mandata qui- mi rispose –Per aiutarmi. Lui
lo sapeva e mi ha inviato un aiuto. Anche dopo tremila anni, Poseidone non si è
dimenticato di Melena-
Sorrisi.
Io non ero lì per aiutarla. Ero lì perché lo Specchio di Nettuno era scomparso
dalle mie mani, rifugiandosi in quel luogo. Anche se Travis aveva tentato di
uccidermi, in fondo lo dovevo ringraziare. Se non fosse stato per lui non avrei
mai trovato il coraggio di buttarmi giù dalla scogliera. E se non mi fossi
lasciata cadere, non sarei arrivata dove volevo arrivare.
L’unica
cosa che ora mi rimaneva da scoprire, era dove lo Specchio si trovasse. Dovevo
prenderlo e portarlo al Campo il prima possibile.
Metti da parte la disperazione, Aelle.
Torna a puntare ai tuoi obiettivi. Mi incoraggiai.
-In
che senso sono venuta a darti una mano?- la interrogai.
Melena
sospirò. –Un tempo io custodivo l’intera barriera, che corre lungo un perimetro
più esteso di quanto tu possa immaginare. Ero perfettamente sintonizzata con la
barriera stessa, riuscivo a capire quando qualcuno vi si avvicinava e
intervenivo prontamente per eliminare la minaccia. Ma tutto è cambiato
cinquecento anni fa- strinse un pugno con rabbia evidente prima di riprendere a
raccontare. –Quel dannato coso si è
liberato dalla costrizione di Era ed è tornato sulla terra, rivendicando questo
territorio come suo. Poiché io non mi arrendevo, dopo anni e anni di lotta in
cui nessuno dei due prevaleva sull’altro, abbiamo deciso di dividerci la Marine
Cathedral. Ma lui si è preso l’entrata pericolosa, quella che se non
controllata fa entrare più mostri di quanti la cattedrale ne possa contenere, e
a me è toccato questo posto lugubre-
Il
racconto era chiaro, ma mancavano alcuni punti saldi per farmi capire l’intera
situazione. –Di che mostro stai parlando? Che entrata?-
-Sto
parlando di Carcino, mi pare ovvio- mi rispose lei, quasi infastidita dal fatto
che non lo avessi già compreso.
Sospirai.
Se volevo esplorare la cattedrale senza insospettire la sirena, dovevo far finta
di collaborare. Mi dispiaceva mentire, ma in quel frangente non avevo molta
scelta.
-Ti
aiuterò- le promisi. –Ti prego, conducimi da Carcino-
E che gli dèi mi aiutino.
Sempre
tenendomi stretta per una mano, Melena mi condusse lungo un corridoio così buio
che se non fossi stata insieme a lei mi sarei messa ad urlare. La sua vicinanza
mi dava sicurezza, esattamente come quella di … No, non ci dovevo pensare.
-Sa
questa parte- mi disse, continuando a nuotare.
Alla
fine del corridoio, c’era una stanza enorme piena di colonne altissime, la maggior
parte delle quali era crollata e ostruiva il nostro passaggio. Stavo chiedendomi
giusto come fare per attraversare quella stanza, quando Melena partì a razzo e
fece prese a fare lo slalom tra le colonne come se mi stesse chiedendo l’ora.
Sentii il mio stomaco ribellarsi e minacciare di uscirmi di bocca.
Quando
ormai stavo per vomitare, Melena si fermò e mi indicò un punto preciso davanti
a noi. Io alzai la testa e spalancai la bocca.
La
cattedrale non era completamente sottomarina. Una parte di essa si estendeva
anche fuori dall’acqua, e dalla mia posizione potevo vedere gli scogli ergersi
alti verso il cielo. E per un attimo, mi parve di scorgere un’ombra stagliarsi
minacciosa su di essi, ma poiché scomparve praticamente subito non ci feci caso
più di tanto.
-Eccoci-
disse Melena. –Là sopra c’è il terzo ingresso-
-Il
terzo ingresso?- mi voltai verso di lei, curiosa.
Annuì.
–Il terzo ingresso del Mare dei Mostri. Quello che nessuno conosce, perché
nessuno può entrare nel territorio sacro della Marine Cathedral. Là sopra c’è
Carcino- mi spiegò.
Se possibile,
la mia bocca si spalancò ancora di più. Il Mare dei Mostri? Annabeth e Percy mi
avevano accennato di una loro impresa in quel luogo, ma non avrei mai pensato
di vederlo coi miei occhi. Feci cenno alla sirena di scortarmi fino in cima e
lei assentì, seppure borbottando tra sé che era impossibile che una figlia di
Poseidone non sapesse nuotare.
Con
un sospiro, respirai l’aria fresca e mi issai su uno scoglio, scrutando intorno
a me nel tentativo di trovare lo Specchio. Non dovetti faticare molto, perché
era posto in bella vista su uno scoglio non molto distante da dove mi trovavo
io.
La
brutta notizia?
Un
granchio enorme faceva la guardia accanto ad esso e celava lo specchio con una
delle sue grandi chele. Non ci fu bisogno di nessuna spiegazione.
Quello
era Carcino.
Note:
Ehilà,
bellissimi! Avete visto che ho aggiornato come vi avevo detto?
Cosa
dire? Per chi non conoscesse Carcino o non riuscisse a collegarlo con Ercole:
il granchio non fa parte delle dodici fatiche, ma viveva con l’Idra di Lerna e
quando Ercole si accinse ad affrontarlo, Carcino si fece avanti. Ercole, però,
riuscì a sconfiggerlo spezzandogli la corazza con la sua clava. In seguito alla
sua morte, Carcino venne tramutato nella costellazione del Cancro per mano di
Era.
Bene,
ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Ho visto che ci sono state nuove persone che hanno commentato. GRAZIE MILLE! Se
non ho risposto a tutti, lo faccio presto!
Al
prossimo aggiornamento, sperando che questo vi sia piaciuto!
Baci,
Aelle
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Capitolo 22 *** La seconda volta è quella buona ***
lllllllllllllllfdgtrhuty
La seconda volta è quella buona
Melena si sedette ai miei piedi,
frustando l’acqua con la coda. Evidentemente il non avere le gambe come me la
indispettiva. Credo che se li avesse avuti si sarebbe messa a pestare i piedi
per terra.
Cercai di ignorare i suoi sbuffi e
le posi quella domanda che mi premeva in gola da un po’. –Perché custodisce uno
specchio?- chiesi, tenendomi volontariamente sul vago. Non dovevo farle capire
che conoscevo l’oggetto che il granchio nascondeva con le sue chele.
Lei mi fissò e inclinò la testa da
un lato. –Quello è lo Specchio di Nettuno- mi disse –E’ la prima volta che lo
rivedo dopo duemila anni. Pensavo che fosse scomparso-
La guardai, facendole segno con la
mano di andare avanti. Se c’era una cosa che stavo cominciando a comprendere
era che Melena adorava i discorsi iniziati e non finiti.
-Per millenni è stato un tesoro
per questa cattedrale. Se posto all’interno di quella roccia- me indicò con un
dito una piccola nicchia decorata finemente –rafforza la potenza dei confini
che proteggono questo luogo. O almeno così è stato finché un giorno non scomparve.
Essendo un oggetto dotato di volontà propria si sposta in base alle esigenze
che ritiene necessarie, ma nessuno riuscì mai a capacitarsi del motivo per cui
sparì. E’ per questa ragione che Poseidone scelse Melena e le affidò il compito
di fare la guardia ai confini-
Io sapevo benissimo che lo Specchio
non era scomparso da solo. Era stato mio padre a portarlo via e a donarlo a mia
madre. Perché si fosse complicato l’esistenza, mettendo in pericolo quel
santuario, ancora era un mistero. Ma l’agire degli dèi era spesso senza
spiegazione.
-E adesso lo Specchio è tornato
qui- osservai.
Melena annuì. –Già. Spero solo che
Poseidone non tolga il lavoro a questa sirena. Ne soffrirei per il resto della
mia vita-
Roteai gli occhi. Avevamo un
mostro enorme, uno specchio dotato di volontà propria davanti agli occhi e lei
si preoccupava del suo lavoro? Per un attimo presi in considerazione l’idea di
urlarle contro, ma poi riacquistai il mio abituale contegno.
-Non hai ancora risposto alla mia
domanda- le feci notare.
Mi guardò senza capire. –Quale domanda?-
Strinsi i pugni e digrignai i
denti. Poi con un sospiro le risposi. –Perché Carcino tiene lo Specchio in
custodia?-
-Ah, quella domanda. Mi pare di
avertelo già detto. I confini vengono rafforzati dallo Specchio, ma solo se
viene messo nella nicchia che ti ho indicato prima. Quindi se il granchio lo
tiene con sé la barriera non lo respinge. Finché lo Specchio rimane con lui,
Carcino non potrà mai essere sconfitto. Ecco spiegato il perché-
Ora era leggermente più chiaro.
Dico leggermente perché in quel momento capii che se avessi assecondato la
richiesta di Melena e avessi rimesso lo Specchio al suo posto mia madre sarebbe
inevitabilmente morta. Se avessi invece dato retta al mio egoismo e portato via
lo Specchio per salvare mia madre molto probabilmente la sirena mi avrebbe
seguita per uccidermi.
Quando si dice futuro roseo.
Sospirai. –Quello che mi stai
dicendo di fare è uccidere il mostro, prendere lo Specchio e metterlo nella sua
nicchia, giusto?-
-Esattamente- annuì Melena.
-Tu rimarrai qui senza far nulla,
vero?-
La sirena fece per rispondermi, ma
in quel momento il granchio ci vide e prese ad aprire e chiudere le chele, producendo
un rumore così assordante che dovetti coprirmi le orecchie. Nel momento in cui
smise, scostai le mani e mi preparai per combattere.
Non avevo altra scelta. Dovevo per
forza affrontarlo. Melena non mi avrebbe concesso di ritirarmi. Non ancora in
vita perlomeno. E io volevo tornare al Campo ancora tutta intera, almeno
fisicamente.
Mi slegai il braccialetto e
impugnai l’ascia con entrambe le mani. Allargai le gambe, cercando di trovare
una posizione solida che mi avrebbe permesso di resistere all’assalto di
Carcino e di contrattaccare senza cadere.
Purtroppo il mio piano non fu dei
migliori. Non appena il granchio mi venne incontro compresi che la mia forza
non sarebbe bastata a contrastare la sua. Con quasi troppa facilità mi sollevò
e mi gettò via come se fossi uno straccio sporco. Sbattei contro uno scoglio e
il dolore che provai in quel momento superò per qualche istante quello che divorava
il mio cuore.
Gemetti e mi rialzai con fatica,
sentendo le gambe tremare, la schiena dolere e la testa pulsare. E il
combattimento era iniziato da meno di un minuto. In quel momento ero sicura che
sarei morta allo scoccare dei cinque minuti.
Melena si mise a gridare. –Spostati!
SPOSTATI!-
Prima che avessi il tempo di
capire qualcosa, venni di nuovo sollevata e scagliata lontano. Atterrai ancora
sulla schiena e il dolore si moltiplicò per mille. La vista mi si offuscò e
lacrime bollenti presero a scivolarmi sulle guance. Piangevo e nemmeno sapevo
perché.
Forse era la paura della morte?
No. Non poteva essere. Mi ero buttata da uno scogliera convinta di morire e
quella paura non mi aveva nemmeno sfiorata. C’era qualcos’altro che mi tormentava.
Poi capii.
Mi sentivo inadeguata. Inferiore.
Non comprendevo perché gli dèi avessero scelto me per portare a termine un
compito del genere. Non ce l’avrei mai fatta. Non ero all’altezza.
Ero debole.
Troppo debole per oppormi ad un
mostro del genere.
I miei singhiozzi si fecero sempre
più forti. Ero lì, distesa su uno scoglio, ad aspettare che Carcino mi raggiungesse
e mi uccidesse. Non riuscivo a muovermi e sospettai di essermi rotta la colonna
vertebrale nei due urti che si erano susseguiti senza un attimo di tregua.
Con la coda dell’occhio, per
quanto le lacrime mi offuscassero la vista, notai Melena tuffarsi in acqua e seguire
il mostro che si avvicinava sempre di più a me. Quando Carcino alzò una chela e
successivamente la abbassò con l’intento di perforarmi lo stomaco, lei saltò
fuori dal mare e con le mani mi fece da scudo. Credetti che non avrebbe resistito,
ma Melena era la guardiana della Marine Cathedral da tre millenni, sapeva come
combattere e non si sarebbe certo fatta battere da un mostro del genere.
Metà in acqua, metà fuori, teneva
testa a Carcino con una forza paurosa. Le sue mani brillavano e una barriera
sottile impediva alle chele del granchio di raggiungere il suo volto. Le
braccia le tremavano visibilmente, ma non cedeva terreno e continuava a
respingere gli assalti del mostro.
-Melena … - rantolai.
Lei mi lanciò una breve occhiata. –Ti
ho chiesto troppo, semidea, e mi dispiace. Avrei dovuto stare zitta, avrei dovuto
evitare di domandarti un simile sforzo. Che gli Elisi siano la tua prossima
casa- mi disse con voce sottile.
Non so dove trovai la forza, ma le
sputai in faccia. Quella sua affermazione mi aveva messo il nervoso addosso.
Che avesse tremila anni più di me era di poca rilevanza. Mi aveva
deliberatamente augurato di morire e io non avrei accettato un altro insulto da
lei.
Ero debole e mi andava bene.
Ma non sarei morta. Non in quel
momento.
Con uno sforzo immane, allargai le
braccia e tesi più che potevo le dita, come se volessi raggiungere qualcosa di
troppo lontano. La schiena protestava ad ogni mio movimento, ma io continuavo
ad allungarmi e non mi arresi nemmeno quando il dolore raggiunse livelli
insopportabili.
Urlai e percepii i miei occhi
cambiare. Non so come e nemmeno il perché, ma nel momento in cui una luce blu
scaturì da essi anche lo Specchio si illuminò, rispondendo alla mia chiamata.
Si sollevò dallo scoglio e si materializzò nelle mie mani.
Impugnandolo, mi sentii più forte.
La schiena smise di farmi male, la testa smise di pulsarmi e la mia vista
ritornò chiara.
Sotto lo sguardo sorpreso di
Melena, mi alzai da terra e mi scagliai contro Carcino.
Questa volta avrei vinto io.
Note:
Eccomi tornata!
Ero in crisi. Non riuscivo a
scrivere nulla (e sinceramente nemmeno ora), quindi perdonatemi se il capitolo
non è dei migliori. Non volevo tuttavia farvi aspettare troppo, così eccolo
qua!
Se notate errori fatemeli notare,
esattamente come avete fatto nello scorso capitolo. Siete stati gentilissimi!
Ringrazio chi ha letto, chi ha
recensito (presto passo a rispondere, non sia mai che lascio una recensione
senza risposta!) e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ ricordate.
Siete fantastici, vi adoro!
Direi che il caldo mi ha bruciato
anche l’ultimo neurone. Mi dileguo e vado a buttarmi in una vasca piena di
ghiaccio.
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 23 *** Abbandonare gli istinti da semidea. Impossibile? ***
grtyuksfae
Abbandonare gli istinti da
semidea. Impossibile?
Lo
Specchio scottava nelle mie mani. Bruciava talmente tanto che per un attimo
credetti di stare impugnando un raggio di sole. Tuttavia non mollai la presa,
anzi la rafforzai, credendo ciecamente nelle mie possibilità. Dovevo farcela,
per forza.
L’impatto
con la barriera di Melena non mi scalfì, non lo sentii minimamente. Eppure ero
sicura che il muro della sirena funzionasse da entrambi i lati. E forse anche
la sirena ne rimase stupita, perché spalancò la bocca e si immobilizzò
completamente, le braccia ancora tese nell’intento inutile di tenere in piedi
una barriera che non esisteva più.
Il
granchio approfittò della sorpresa di Melena per colpire. Io riuscii a
spostarmi, ma la sirena venne stretta tra le chele del mostro e poi scagliata
lontano. Urtò uno scoglio e un profondo taglio si aprì nella sua coda di pesce,
lasciandola urlante e lontana dall’acqua, sua fonte vitale. Ma il granchio non
si accontentò. Seguì la sua preda e la raggiunse senza lasciarle un attimo di
tregua. La afferrò di nuovo, la sollevò in aria e ancora la gettò via come un
sacco dell’immondizia troppo puzzolente. E se dovevo essere sincera, era vero.
Melena cominciava a puzzare e il suo lezzo nauseabondo raggiunse le mie narici,
torturandole. Fu allora che capii che era giunto il mio momento di intervenire.
Stavo
davvero per salvare qualcuno che senza tanti complimenti mi aveva augurato di
morire? Dovevo essere pazza, ma in fondo lo sarei stata di più se le avessi
negato il mio aiuto. Era stata lei a salvarmi dal granchio, frapponendosi tra
me e lui. Ora toccava a me. Non volevo rimanere in debito con Melena.
-Qui
bestiaccia!- gridai.
Non
sapevo con esattezza perché il mostro si fosse scagliato contro la sirena e non
contro di me, ma immaginai che volesse per prima cosa eliminare gli ostacoli.
Carcino
si voltò a fissarmi con quei suoi piccoli occhietti. Mi studiò per qualche secondo,
poi si gettò alla carica verso di me, perdendo improvvisamente interesse per
Melena, che cadde in acqua con un gorgoglio.
Alzò
una chela, pronto a colpirmi, ma lo Specchio, oltre ad avermi guarito, mi aveva
anche acuito i sensi. Vedevo meglio, sentivo meglio e fui in grado di evitare
il suo colpo, giusto un attimo prima che riuscisse ad aprirmi in due.
E
Carcino fu sorpreso dalla mia mossa. Per qualche secondo rimase immobile, gli occhietti
malvagi puntati su di me. Ma fu un attimo, perché poi riprese ad incalzarmi con
velocità sempre più alta. Sorprendendo anche me stessa, riuscii ad evitarli
tutti e le sue chele scavarono solchi profondi negli scogli. Rabbrividii solo
nel vedere come la roccia era stata spaccata così facilmente. Se quelle chele
avessero toccato la mia pelle cosa sarebbe successo?
Scossi
la testa, cercando di togliermi dalla testa l’immagine di una me stessa bucherellata
e morente. Non avrei fatto quella fine. Avevo un Campo, una famiglia a cui
tornare.
Non potevo perdere.
Strinsi
lo Specchio, che imperterrito continuava a brillare. Mi chiesi perché emettesse
quella luce blu, poi capii. Era il suo luccichio ad alimentare la mia forza, a
rendermi uguale ad Ercole. Era quel ronzio che mi saliva lungo il braccio a
suggerirmi ciò che dovevo fare.
Mangia.
Cosa?
Lo Specchio stava … parlando? Lo fissai, sgomenta.
Carcino
approfittò della mia sorpresa per attaccarmi, ma ancora una volta, sebbene non
gli stessi prestando la dovuta attenzione, riuscii a salvarmi. Mi scansai di
lato e la chela del granchio aprì una voragine nel terreno, esattamente dove un
attimo prima mi trovavo io.
Stai
calma, mi dissi. Devi solo stare calma.
Lo
Specchio mandava ancora scosse al mio braccio. Stava realmente cercando di
comunicare con me. Era un evento al quale era quasi impossibile credere. Eppure
era lì, davanti ai miei occhi.
Fu
allora che mi vennero in mente le parole di Melena.
Essendo un oggetto dotato di volontà propria
si sposta in base alle esigenze che ritiene necessarie, ma nessuno riuscì mai a
capacitarsi …
Sì.
Non potevano esserci dubbi. Lo Specchio mi stava veramente parlando, era veramente
dotato di una propria volontà. L’unico problema era come rispondergli. Cosa …
Come dovevo fare?
Pensa. Chiudi gli occhi e pensa.
Seppur
scettica, feci come l’oggetto mi aveva chiesto. Non avrei rischiato di morire
senza poter vedere il mostro? Non sarei riuscita ad evitare i suoi colpi e
molto probabilmente sarei diventata uno scolapasta, tutto bucherellato. Bella
prospettiva.
Non ti accadrà nulla. C’è già una
barriera a proteggere il tuo involucro esterno.
Il
mio cosa? Intendeva dire il mio corpo per caso? Che linguaggio particolare e
antiquato, riflettei.
E
allora cominciarono a risuonare dei tonfi spaventosi e io non potei fare a meno
di riaprire gli occhi per vedere cosa stava succedendo. Spalancai la bocca:
dall’oggetto che tenevo in mano si diramavano mille bracci blu che avvolgevano
interamente la mia figura come una gabbia. I tonfi che sentivo non erano altro
che i colpi del granchio che andavano a vuoto.
Cosa devo fare?, pensai abbassando le palpebre e
precipitando nel buio.
Affidati completamente a me, mi rispose lo Specchio. Le mie onde di energia sono abbastanza forti
da metterlo al tappeto senza problemi. Ma se non mi lasci fare, non ne sono in
grado.
Lasciarlo
fare. Cioè, in poche parole, abbassare completamente la guardia? Grugnii. Era
pressoché impossibile che ci riuscissi. I miei sensi di semidea erano sempre
attivi e si rifiutavano di abbandonarmi. In fondo, erano loro a tenere in vita
la maggior parte dei semidei esistenti. Era logico che fossero un po’ …
possessivi.
Espirai
lentamente. Se quello poteva salvarmi la vita allora lo avrei fatto. Era
difficile ma non impossibile. Dovevo solo stare calma e affidarmi totalmente a
lui. Non dovevo più essere Aelle, dovevo essere solo lo Specchio. Nient’altro.
Si può fare, acconsentii.
Isolati da tutto, allora. Estraniati da
ciò che ti circonda, senti solo il battito del tuo cuore e cerca di
sincronizzarlo con il mio, mi
suggerì. Al resto ci penso io.
Ok.
Ce la potevo fare.
Chiusi
ancora una volta gli occhi e strinsi i pugni. Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Inspira. Espira. Inspira …
I
colpi delle chele di Carcino mi distrassero. Erano sempre più potenti e avevo
la netta sensazione che la barriera stesse per cedere. La sentivo rimbombare e
piegarsi sotto quegli assalti poderosi. Non avevo molto tempo.
Stai
calma. Stai calma. Stai calma. Staicalma. Stai
calma. Ripetevo quella frase nella testa come fosse un mantra.
E al
quel punto lo udii. Il battito del mio cuore si stagliava senza fatica tra i
rumori di sottofondo. Lo strappai dal fondo e lo portai in avanti, isolandomi
da tutto ciò che mi circondava e tentai di percepire il battito dello Specchio,
ma non riuscivo a capire dove fosse.
Aggrottai
il viso e scavai più a fondo, facendomi largo tra nuvole nere di pensieri. Li
scacciai tutti fino a quando non trovai quello che stavo cercando. Era un suono
molto debole, ma costante e perfettamente sano. E anche completamente
discordante al battito del mio cuore, che correva veloce.
Provai
a rilassarmi. Sciolsi le spalle e smisi di preoccuparmi per il futuro. Quello
che doveva accadere in ogni caso sarebbe successo. Non potevo evitarlo.
E
pian piano riuscii a sincronizzare il mio battito con il suo. Eravamo
psicologicamente una cosa sola. Sottoposta ad una raffica di vento di elevata
potenza, la mia personalità venne spazzata via.
Non
ero più io.
Ormai
c’era lo Specchio di Nettuno a guidare i miei movimenti.
Melena
cercò di muoversi, ma tutto il corpo le doleva. Quando riuscì a muovere la
coda, un dolore lancinante le attraversò la spina dorsale e la fece gridare
come impazzita.
Cosa
diavolo era successo? Non si era mai sentita così male in vita sua. E ne aveva
passati d momenti brutti durante tutti quei millenni.
-Dèi,
fate che almeno possa girarmi e guarirmi … - borbottò puntellandosi sui gomiti
e provando ad alzarsi.
Strillò
per le fitte e per i bruciori, ma non si arrese e continuò a spingere fino a
quando non riuscì a mettersi seduta. Lì sospirò, poi prese ad esaminare i
danni.
Per
poco non le cadde la mascella. Profondi graffi le deturpavano la coda
altrimenti perfetta e sangue caldo imbrattava di rosso la sabbia, rendendola
fangosa.
Melena
aveva paura anche solo a vedere la ferita, figurarsi a toccarla. Ma se voleva
tornare a muoversi senza troppi problemi doveva farlo.
Si
fece coraggio e affondò le mani nei tagli, sussultando per il dolore che si
arrampicò per tutto il suo corpo, ma non demorse e cominciò a recitare un
incantesimo curativo, uno dei più potenti che conosceva.
E
sotto i suoi occhi la pelle si risanò completamente. Non rimasero nemmeno delle
cicatrici e Melena sorrise, soddisfatta del suo lavoro. Dimenò la coda per
verificare che tutto fosse veramente a posto come sembrava e sospirò, contenta.
Fu
allora che l’intera superficie marina venne inondata da una luce blu. Suoni di
schiocchi e frustate riempirono l’aria.
Melena
alzò il capo e assottigliò lo sguardo.
Cosa
stava succedendo?
Note:
Ed
eccomi ancora qui!
Ditemi
la verità, pensavate che in questo capitolo Carcino sarebbe morto, eh? E invece
no! Ci sarà anche nel prossimo, poi come mi avete detto in tanti diventerà zuppa
per i gatti!
Spero
che vi piaccia e che sia migliore del precedente.
Ringrazio
tutti quelli che hanno recensito, messo la storia tra le seguite/ preferite/ ricordate
e anche chi ha solo letto. Siete fantastici!
Vado
bellissimi,
Al
prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 24 *** Gli ultimi istanti prima della fine ***
llllllllllllpoi
Gli ultimi istanti prima
della fine
Melena
non rimase lì seduta ancora per molto a chiedersi che cosa stesse succedendo in
superficie. Andò direttamente a vedere. Con un colpo deciso della coda cominciò
a salire, a farsi largo nel blu con grandi bracciate. Nelle orecchie continuava
a sentire gli schiocchi che l’avevano fatta preoccupare la prima volta che li
aveva uditi. Che Carcino stesse banchettando con le carni di quella mezzosangue?
Che quei rumori fossero gli schiocchi delle ossa che si spezzavano?
La
sirena si accigliò. Poteva essere possibile? Quella semidea, giungendo lì, era
stata benedetta da Poseidone, aveva ricevuto la protezione dello Specchio di
Nettuno … poteva davvero essere morta?
No,
si disse, doveva esserci qualcosa d’altro in corso là sopra. Qualcosa a cui non
riuscì a credere finché non la vide con i propri occhi. Anche contemplare una simile
idea sembrava l’atto di un folle. Eppure … .
Emerse
dall’acqua e si tolse i capelli bagnati dal viso, dopodiché prese un grosso respiro.
La prima boccata di ossigeno era sempre la più complicata per esseri che come
lei erano fatti e vivevano principalmente di acqua. Ma Melena aveva avuto millenni per abituarsi
al sapore dell’aria tanto che quasi non notava più la differenza tra l’uno e l’altra.
Un’ombra
le passò sulla testa, calando sempre di più e la sirena si spostò appena in
tempo. Carcino precipitò dal cielo, atterrando malamente sulle zampe, gli occhi
acquosi affaticati e il carapace danneggiato in più punti. Scivolò un paio di
volte sugli scogli, poi parve riacquistare un po’ di equilibrio, correndo
contro un obiettivo che Melena ancora non riusciva a vedere. O era diventata
cieca, o il granchio stava combattendo contro il nulla.
Poi
la frusta blu si abbatté feroce sulla schiena della bestia, atterrandola senza
troppe difficoltà. Un lungo squarcio si aprì nel carapace del granchio che
cercò in tutti i modi di mettersi al riparo. Ma, di nuovo, il nastro blu calò e
lo mandò a sbattere contro la pietra. Nell’impatto, una zampa si ruppe e
Carcino gridò di dolore, pur non arrendendosi e tentando di rialzarsi un’altra
volta.
Quindi
Melena riuscì a vederla. Contro le regole che vietavano ad un figlio di Poseidone
di entrare nel dominio di Zeus, la semidea si librava nell’aria come se non avesse
mai fatto altro per tutta la vita. La figura snella si stagliava davanti al
disco solare e per quanto fosse possibile lo oscurava, gettando un’ombra
minacciosa sulla terra. Gli occhi erano completamente blu, non si distingueva
la parte bianca dal resto: la pupilla era stata inglobata da quella strana
luce. Le sopracciglia aggrottate, la linea dura della mascella e i capelli che
frustavano il cielo, Aelle sembrava molto più grande della ragazza che in
realtà era.
Più
matura, più letale.
Nella
mano destra stringeva lo Specchio di Nettuno che, diventato incandescente,
aveva allargato verso l’esterno le sue complicate decorazioni, le aveva
allungate fino a trasformarle in lunghi nastri tutti dello stesso colore,
quello delle acque più profonde. Era stata la frusta originatasi dallo Specchio
a ferire Carcino. E lui lo sapeva. Per questo arrancava a fatica,
allontanandosi dalla semidea il più veloce che poteva.
Aelle
lo osservò tentare di scappare e sorrise, feroce come mai Melena l’aveva vista
nel poco tempo in cui l’aveva conosciuta. Le labbra si piegarono in un ghigno
che prometteva solo disastri e le braccia si alzarono insieme. Ma, invece di
calare le strisce sul granchio, discese dal cielo come un angelo vendicatore e
andò a posare i piedi sul pelo dell’acqua, da dove non si mosse e dove rimase a
fronteggiare la bestia.
Inclinò
la testa di lato, poi parlò. –Carcino, presto tornerai nelle stelle, dove la
Regina degli Dèi ti aveva confinato. E lì rimarrai per sempre!- gridò con una
voce che Melena non riconobbe come la sua.
Era
distorta, profonda, quasi cavernosa. Ma chiaramente non era la sua.
Fu
allora che Melena capì cosa era successo mentre era svenuta. Si coprì la bocca
con le mani, stupita. Stava veramente accadendo qualcosa di cui aveva solamente
sentito parlare? Lo Specchio aveva sul serio preso possesso del corpo della semidea?
L’ultima volta che era accaduto, Melena era ancora in fasce. La storia le era
stata raccontata molto tempo dopo dalla madre, ma la sirena aveva faticato a
credere che un oggetto potesse appropriarsi di un corpo umano o semidivino che
fosse. Eppure, aveva la prova schiacciante davanti ai propri occhi.
Lo
Specchio di Nettuno aveva posseduto Aelle e la stava guidando verso la
vittoria.
Perché,
Melena ne era certa, la semidea non avrebbe potuto perdere. Non con un alleato
così potente a darle manforte. Avrebbe solo potuto vincere.
E dal
sorriso che le incurvava la bocca, Aelle lo sapeva benissimo.
La
semidea rise, poi si lanciò alla carica. Con uno scatto veloce del polso menò
un colpo di frusta contro il granchio, più impegnato a trovare riparo che a
prestarle attenzione. E la sua distrazione gli fu fatale.
Un
altro squarciò si spalancò nella sua schiena, rosso e putrido. Anche se stava osservando
la ferita da lontano Melena sentì lo stesso il bisogno di girarsi e vomitare.
Trattenne l’impulso e continuò a guardare, il cuore in gola che batteva come un
tamburo.
E da
quel momento si scatenò l’inferno. Aelle – o qualunque cosa fosse diventata
fondendosi con lo Specchio- si divertì a portare avanti quella tortura,
accanendosi sempre nello stesso punto finché il carapace di Carcino non
cominciò a scricchiolare come una porta vecchia e non si spaccò a metà.
Con
uno scoppio, Carcino si ridusse in cenere e le sue polveri salirono verso l’alto,
fino a tornare nel luogo in cui avevano sempre dimorato. Le stelle. Per sempre
prigioniero nella gabbia eretta da Era.
Aelle
sorrise, poi si afflosciò a terra, mentre l’essenza dello Specchio si staccava
da lei e rientrava nell’oggetto. E a Melena parve di sentire una risatina. Che
fosse la voce dello Specchio?
Ma
non ebbe il tempo per rimanere lì a farsi troppe domande. Fino a quel momento
era stata a guardare, ora doveva agire. Si issò sullo scoglio e si trascinò
verso la semidea con la sola forza delle braccia, quindi si appoggiò la sua
testa in grembo e iniziò a cantare una canzone, la stessa che sua madre le
sussurrava quando non riusciva a prendere sonno. Era l’unica che sapeva, non
aveva una bella voce, ma ce la mise tutta per far sì che Aelle non incappasse
in incubi.
Rinvenni
dal buio con la strana sensazione di essere al sicuro. Ero tranquilla, sì.
Avevo
la testa appoggiata su qualcosa di bagnato e avevo le gambe intorpidite, ma tutto
sommato stavo comoda. Voglio dire, sicuramente c’era di peggio, no?
Aprii
lentamente gli occhi e mi ritrovai il viso di Melena ad un palmo dal naso. Sobbalzai,
picchiando la testa contro la sua. Lei si allontanò con un sibilo.
-Sei
più carina quando dormi-
Mi
morsi la lingua, evitando di ricoprirla di insulti. –Che cosa è successo? Non
mi ricordo molto … -
Effettivamente,
da dopo che lo Specchio era entrato nel mio corpo, faticavo a mettere insieme
un evento con un altro. I miei ricordi sembravano pezzi di puzzle che non
combaciavano l’uno con l’altro. E più ci pensavo, e meno ci capivo qualcosa.
-Hai
sconfitto Carcino- mi disse la sirena. –E l’hai finito torturandolo-
Spalancai
gli occhi. –Io non torturerei mai nessuno!- protestai.
-A
quanto pare lo Specchio non si è fatto troppe paranoie e ha agito- mi disse con
un sorriso che andava allargandosi. –Ma tu hai salvato la Marine Cathedral,
semidea! Te ne sarò sempre grata! Qualunque cosa … farò qualunque cosa per
ripagarti!-
Mi
feci improvvisamente silenziosa, persa nel mio desiderio più grande. Io volevo
tornare a casa, al Campo, dai miei amici, da mio fratello … e anche da Travis,
sì. Solo in quel momento mi accorsi di quanto fossi stata sciocca. Non era
stato lui ad aggredirmi alla scogliera, avevo pianto lacrime per qualcuno che
sicuramente in quel momento stava molto peggio di me. Ero stata un stupida a
non capirlo prima. Come avevo potuto dubitare di Travis? Della persona che
amavo? Ed era ora di dirglielo. Sarei tornata, avrei … salvato mia madre. L’avrei
seppellita nel migliore dei modi. Non potendo portare lo Specchio con me,
quella era la soluzione più appropriata.
Alla
fine, non avrei potuto portare a termine la mia missione.
Sospirando,
mi voltai a guardare Melena. –Puoi … puoi mandarmi a casa? Puoi farmi tornare
dai miei compagni?- le domandai. Quasi non riconobbi il tono esitante della mia
voce.
Melena
sorrise, gentile. Poi spalancò le braccia. –Posso. E’ questo il tuo desiderio?-
-Sì.
Solo questo. Per il resto … mi arrangerò-
Lei
annuì. –Va bene. Dammi le mani … -
-Aspetta.
C’è una cosa che devo fare prima- la interruppi.
Raccolsi
lo Specchio e guardai la nicchia in cui avrebbe dovuto riposare per l’eternità,
proteggendo quel luogo sacro. Quasi senza indugiare, lo gettai verso di essa ….
Ma lo Specchio non si staccò dalla mia mano. Rimase lì.
E io
compresi che mi avrebbe seguito. Sarebbe rimasto con me e io lo avrei riportato
a mia madre, salvandola. Mi lasciai scappare una risatina: stava per finire
tutto bene.
-Sono
pronta-
Melena
mi tese le mani, invitandomi a stringerle. Eseguii la sua richiesta e con mia
sorpresa lei si gettò all’indietro, facendomi sprofondare nell’acqua blu. Per
un attimo rimasi spaesata. Non impaurita, solo spaesata. Non sapevo nuotare,
quello era vero, ma ero una figlia di Poseidone e l’acqua non era più il mio peggior
nemico.
Sentii
la voce di Melena nella testa e mi abbandonai al buio.
Chiudi gli occhi. Quando li riaprirai
sarai dai tuoi amici.
Note:
Yes,
non sono un miraggio. Sono proprio io. In carne ed ossa.
E vi
porto le mie scuse per il ritardo stratosferico. L’inizio della scuola mi ha
ucciso i pochi neuroni che mi rimanevano!
Volevo
avvisarvi che questo è il PENULTIMO capitolo. Con il prossimo questa storia
giungerà al termine. L’unica cosa su cui sono indecisa è se mettere o no l’epilogo.
Vedrò.
Vorrei
dire un grazie enorme a tutte le persone che hanno recensito i miei capitoli.
Non ho dato una risposta non per menefreghismo, le vostre recensioni mi fanno
molto felice, ma semplicemente per questioni di tempo. Sappiate che voi contate
molto per me. Vi ringrazio molto per ogni commento che mi avete lasciato!
Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ ricordate e
anche chi legge e basta.
Ci
vediamo alla fine!
Alla
prossima!
Baci,
Aelle
|
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Capitolo 25 *** E tutto ando' come doveva andare ***
ultimo
E tutto andò come doveva
andare
Clarisse
raggiunse gli altri nello stesso momento in cui le prime bolle incresparono la
superficie altrimenti liscia del mare. Non fece in tempo ad avventarsi contro
quell’idiota di Prissy per riempirlo di botte che lui si voltò a guardare
Annabeth. La sua ragazza aveva appena lanciato un urlo lacerante, svegliando
dalla sua trance persino Travis, che da quando l’aveva visto nel messaggio
Iride ancora non aveva distolto lo sguardo da quel punto indefinito di fronte a
lui.
-Annabeth,
cosa succede?- esclamò, allarmato.
Lei
puntò il dito davanti a sé e non spiccicò parola.
Percy
guardò dove aveva indicato ma non vide nulla. –Non ci sono ragni … - borbottò
pensieroso.
Clarisse
si fece avanti, spostando Jackson, e scorse ciò che aveva fatto gridare la figlia
di Atena. Trattenne a malapena l’urlo che le premeva in gola e si sporse oltre
la scogliera, cercando di raggiungerla. –Aelle … !-
La
ragazza galleggiava sul pelo dell’acqua, immobile come poteva esserlo solo un
morto. La corrente la trasportava senza che lei opponesse resistenza, i flutti
le frustavano il volto e i lunghi capelli neri si erano allargati a ventaglio
intorno alla sua figura.
Clarisse
fece per gridare ancora, ma venne spinta di lato con una forza tale che pestò
la testa. Stava per arrabbiarsi sul serio, voleva riempire di insulti chi
l’aveva buttata a terra … ma si fermò. Vide le lacrime di Travis e spalancò la
bocca per lo stupore.
Si
sporgeva dalla scogliera e piangeva senza ritegno. L’immagine che Clarisse
aveva di Travis Stoll si infranse. Non era più il tipo divertente che rubava le
cose, in quel momento non lo era per nulla. Sembrava … sembrava un innamorato
disperato.
Annabeth
si fece avanti e gli avvolse le braccia attorno al busto, cercando di tirarlo
indietro con scarso successo. Se andava avanti così rischiava di precipitare in
acqua e di affogare. –Travis … Travis, finirai per cadere in acqua! Stai
indietro! ATTENTO!- strillò, trattenendolo prima che perdesse l’equilibrio. –Percy!
Fai qualcosa! Tirala fuori dall’acqua prima che lui si faccia male!-
Percy
non esitò un secondo e si buttò in mare, sprofondando nel blu e riemergendo
subito dopo. Si avvicinò ad Aelle e la tirò verso di sé, facendole appoggiare
la guancia contro la sua spalla. Averla vicino gli dava un senso di conforto.
Era sua sorella e saperla finalmente lì con lui, al sicuro, lo faceva stare
bene. I suoi muscoli fino a quel momento tesi si rilassarono e lui sospirò per
il sollievo.
La
tenne contro di sé, ma non uscì dall’acqua. Non sapeva come farla arrivare
sulla cima della scogliera. Era svenuta, non poteva arrampicarsi sulla pietra.
E tantomeno lui poteva caricarsela sulle spalle e scalare quella salita ripida.
Come poteva fare?
Senza
quasi rendersene conto, alzò lo sguardo a incontrare quello di Annabeth. Era
sicuro che lei sapesse cosa bisognasse fare in casi del genere. Lei era la
sapientona, lei aveva la soluzione. Eppure, ciò che vide nei suoi occhi fu una
completa fiducia verso le sue capacità, verso di lui.
E
Percy si fidò di se stesso. Lasciò andare Aelle, il cui corpo ritornò a
galleggiare, e appoggiò i palmi sull’acqua, traendo forza da essa e dandone a
sua volta. Dopodiché si affidò a Clarisse.
-Prendila
al volo!- le gridò.
Con
uno scatto delle mani verso l’alto, ordinò al mare di comportarsi come un
geyser e sollevare Aelle fino alla scogliera. E così l’acqua fece.
Percy
rimase a guardare mentre Aelle veniva scagliata verso l’alto con una forza
spaventosa. Saliva, saliva, saliva. Poi prese a scendere, quasi più velocemente
di come era salita, e con sollievo il figlio di Poseidone la osservò cadere tra
le braccia spalancate di Clarisse.
Più
calmo, fece la stessa cosa per se stesso e atterrò sulla scogliera,
completamente asciutto. I vantaggi di essere figli del dio del mare, pensò con
un piccolo sorriso. Quasi non finiva mai di stupirsene.
Scosse
la testa. Non era il momento per pensare a simili sciocchezze. Aveva ben altro
di cui occuparsi. Sua sorella –sorellastra se si voleva essere precisi, ma lui non
sentiva molta differenza tra il primo e il secondo termine e preferiva di gran
lunga utilizzare il primo- era lì. Viva. Tutto il resto non contava.
E a
quanto pareva non era l’unico a pensarla in quel modo, perché Travis,
liberatosi a forza dalla presa di Annabeth, era corso ad inginocchiarsi al
fianco della ragazza, strappandola dalle braccia della figlia di Ares e
attirandola tra le proprie. Era una scena che sapeva di aver già visto. Era
accaduta la stessa cosa quando Aelle era stata riconosciuta, tempo prima. Così
Percy si accorse dell’amore di Travis per sua sorella. Per un attimo rimase
irritato dalla scoperta: aveva visto Travis baciarla prima che partissero per
l’impresa, ma di certo non immaginava che tenesse a lei sul serio. E poi Travis
non era di certo un ragazzo di cui potevi fidarti. Non subito, perlomeno. Era
un figlio di Ermes, dopotutto. Ma forse meritava una seconda possibilità. Sì,
non una possibilità, perché era
chiaro che Aelle si fosse sentita tradita da qualcosa che la leucrotta le aveva
detto, spacciandosi per Travis, ma ogni cosa poteva essere risolta. Percy ne
era più che sicuro. Altrimenti, ci avrebbe pensato lui a farli riappacificare,
o da solo o con l’aiuto di una figlia di Afrodite. Erano brave in quell’ambito.
-Cosa
… come … no, aspetta. Cosa è successo?- sbottò Clarisse. –Mi avevate detto che
in mare non c’era!-
Annabeth
prese la parola. –E infatti non c’era. Percy ha controllato bene- le rispose.
–Credo che l’unica persona in grado di raccontarci tutto sia lei. Non penso che
la profezia che ci hai detto possa chiarirci molto le idee. Dobbiamo aspettare
che si svegli-
-Già-
si intromise Travis, parlando per la prima volta. –Ora lasciamola dormire e
riportiamola a casa-
Percy
e gli altri non poterono fare altro che dirsi d’accordo. Rimaneva solo un problema:
come ritornare al Campo nel più breve tempo possibile. Se Aelle era riuscita
nell’impresa doveva terminare in bellezza salvando la vita a sua madre.
-So
io come- disse Percy.
Scese
di nuovo la scogliera e si chinò, andando a sfiorare con una mano l’acqua che
al suo tocco si agitò. Con l’altra mano lanciò un fischio acuto e spedì una
richiesta di aiuto a qualcuno che sapeva che non si sarebbe rifiutato di
soccorrerlo.
Porta un po’ di amici, Blackjack. Siamo
in cinque e uno di noi è svenuto.
Neanche
a farlo apposta, un nitrito rispose al suo richiamo e il pegaso nero atterrò al
suo fianco, seguito a ruota da altri tre splendidi cavalli alati.
Ehilà, capo. Ci hai chiamati?
Mi
svegliai in infermeria.
I
raggi pallidi della luna colpivano i piedi della branda su cui ero sdraiata. Mi
stiracchiai lentamente, constatando con piacere che non avevo ossa rotte o
altre lesioni gravi di cui dovermi preoccupare. Mi tirai a sedere e mi guardai
intorno, sentendo gli occhi pizzicare per la felicità. Non sapevo come
esattamente Melania ci fosse riuscita, ma ero a casa. Ero al Campo Mezzosangue.
Solo
quando cercai di mettere i piedi a terra notai che i miei vestiti erano sporchi
e sbrindellati, pieni di sangue scuro e secco. Con un respiro profondo mi feci
forza e distolsi lo sguardo. Avevo … dovevo … mia madre. Dovevo salvare mia
madre.
Scesi
dalla branda e mi precipitai sulla soglia, ma nel momento in cui la brezza serale
mi scompigliò i capelli compresi che non sapevo dove fosse, cosa le fosse successo.
Se fosse ancora viva.
-Pira-
disse una voce alle mie spalle. –Pira funebre. Tra poco incendieranno il drappo
rosso per lei-
Mi
voltai di scatto, scontrando il mio sguardo con quello del signor D, sempre
avvolto nella sua cappa di pelle di pantera. Mi fissava con compassione e forse
con un po’ di tristezza. Inspiegabile per lui. Per un dio così beffardo, che
odiava noi semidei con tutto il cuore.
Poi,
finalmente, capii cosa mi aveva detto e il mio cuore perse un battito. Quindi
un altro. E un altro ancora. Mia madre era … morta?
No.
Non … no!
Scoppiai
a piangere davanti al dio dell’ebbrezza. Fu inevitabile per me lasciarmi cadere
in ginocchio e rannicchiare le ginocchia al petto. I singhiozzi mi scuotevano
le spalle e il mio corpo tremava tutto. Mia madre era stata severa con me,
forse non un esempio esemplare di genitore, ma avevo passato tutta la vita con
lei … non potevo perderla. Non così. Non senza aver provato.
-Credo
proprio che dovresti- mi disse il signor D.
Alzai
il volto coperto di lacrime. –C … che?- balbettai.
Non
si era abbassato, non mi aveva confortato, non aveva fatto una piega. Se ne
stava lì in piedi e mi guardava. Poi con una mano indicò il mio petto. –Lì. E lì vero?-
Mi
toccai il punto da lui indicato, proprio sopra il cuore, che sentii battere ad
un ritmo più sostenuto. Capii. Parlava dello Specchio.
Annuii.
-Allora
prova lo stesso- mi incoraggiò. –Nessun eroe dovrebbe gettare la spugna in
questo modo. Magari … chissà!- mi disse enigmatico.
Voleva
che … voleva che facessi tornare mia madre dalla morte? Avevo capito bene?
-Quella
cosa lì. Sì- mi disse con uno sbuffo. –Voi semidei siete lenti a capire eh?-
Ridacchiai.
–E’ che davanti agli dèi non si sa mai come interpretare le loro parole- gli
risposi, schietta.
Il
signor D inarcò un sopracciglio. –Chiuderò un occhio e farò finta che sia un complimento-
-Oh,
ma lo è!- risi.
Il
dio fece un gesto con la mano, come per liquidarmi. –Sì, come vuoi. Ora torno
al rito funebre, dove dovrei essere e da dove non mi sono mai spostato. Vero?
Io non ti ho detto niente e tu hai fatto tutto di tua spontanea volontà,
giusto?-
Annuii,
grata del suo aiuto.
Mentre si dissolveva in una nuvola di fumo, lo
sentii borbottare qualcosa come: odio
questi momenti di debolezza.
Quando
feci il mio ingresso in arena, tutti puntarono gli occhi su di me. Il silenzio
dovuto al rito si fece ancora più pesante, ma non mi lasciai intimidire e mi
avvicinai con calma alla pira, dove il corpo di mia madre era steso, senza
vita. Immobile.
Il
battito del cuore accelerò, deglutii, ma non infransi l’aura di controllo che
mi ero costruita. Dovevo far vedere che ce la facevo, che in qualche modo tutto
andava bene. Fu difficile, ma arrivai
davanti a Chirone senza versare una lacrima. Ne avevo già versate troppe.
Il
centauro, però, non si fece da parte come speravo. Rimase lì, il drappo tra le
mani, a guardarmi con pietà. Cosa che, per un attimo, mi mandò in bestia. Tutto
doveva risolversi bene. Anche io
dovevo avere il mio lieto fine.
-Chirone,
spostati- dissi con voce ferma.
E lui
si spostò. –Volevamo chiamarti, ma dormivi. Abbiamo aspettato che tornassi per
darle il rito funebre, ma tu non arrivavi mai così … -
Lo
interruppi. –Va bene. Ora sono qui-
Presi
la mano destra di mia madre tra le mie e vi depositai un bacio dolce, cercando
di trasmetterle tutto il mio affetto. Ma la sua pelle era fredda, gelida come la
morte e i suoi abissi oscuri.
Reprimendo
la paura che la morte mi procurava, appoggiai un palmo sul seno di mia madre,
mentre l’altro lo misi sul mio petto, nella stramba imitazione di un vaso
comunicante. Quindi chiusi gli occhi e cercai nel mio cuore l’anima dello
Specchio. Quando lo trovai, la afferrai e riversai nel corpo di mia madre in
una cascata di luce blu, brillante e pura. Quasi non sentii le grida di stupore
dei semidei riuniti. Ero concentrata solo sulla riuscita della mia impresa.
Poi,
nel momento in cui tutto finì, riaprii gli occhi e osservai il risultato della
mia opera. Per qualche secondo rimase tutto come lo avevo lasciato e temetti il
peggio, ma poi il colorito di mia madre passò dal blu al roseo e il petto si
alzò e si abbassò al ritmo di un respiro debole ma regolare.
Le
lacrime tornarono a pizzicarmi gli angoli degli occhi. Resistetti a quell’impulso
e attesi che mia madre si svegliasse. Quando lo fece, le saltai addosso,
cedendo al pianto. Era più forte di me.
-Mamma!-
piagnucolai.
Lei
fu sorpresa del mio gesto, ma ricambiò l’abbraccio goffamente. Nel momento in
cui si rese conto di essere viva, lanciò un grido. –Cosa è successo? Aelle cosa
hai fatto?-
Sorrisi.
–Ti ho riportato lo Specchio. Ora è dentro di te- le risposi. –Ho mantenuto la
promessa. Non è rimasto lontano da te a lungo, eh?-
Lei
rise. –Oh, Aelle! Sei più coraggiosa di quanto avessi mai pensato!- e poi lo
disse. –Grazie. Grazie di avermi salvato. Sono in debito con te-
Scossi
la testa. –Sai qual è l’unica cosa che voglio. Se tu me la concederai, allora
non ci sarà nessun debito-
Ippolita
si morse in labbro, poi scandagliò la folla con il suo sguardo deciso. –Va bene-
sospirò. –Non posso certo impedirtelo. Questa è la tua vita. Goditela-
La
strinsi più forte e mi lasciai andare ad una risata piena di sollievo. Poi,
sostenendo mia madre, uscii dall’arena sotto gli sguardi ancora stupiti dei
semidei, che durante tutto quello scambio di battute non avevano aperto bocca.
C’era
un’ultima cosa che dovevo fare. Forse la più importante.
Uscii
dalla cabina 5 dopo avervi lasciato mia madre e dopo aver salutato Clarisse con
un abbraccio. E sì, le avevo prese. Si era arrabbiata. Perché non l’avevo
portata con me? Non mi fidavo di lei? No, io mi fidavo di lei. Molto più di
quanto facessero tutti i semidei del Campo messi insieme, ma forse non avevo
voluto portarla con me per far sì che non rischiasse la pelle. Cosa molto
stupida da parte mia, visto la stazza e la forza della figlia di Ares. Ma l’amicizia
era l’amicizia.
Fu il
fuoco che scoppiettava allegro nell’arena a farmi avvicinare. Dopo il rito
funebre –che poi non era avvenuto, grazie agli dèi- una sola persona era rimasta
lì. L’unica che volevo vedere.
Travis
osservava il movimento delle fiamme e non si muoveva. Non si mosse nemmeno
quando mi sentì entrare. Forse si irrigidì, ma non ne sono sicura.
Mi
avvicinai a lui in silenzio e mi sedetti a gambe incrociate di fronte al fuoco.
Non so per quanto tempo rimanemmo così, l’uno di fianco all’altra senza dire
nulla, ma so che alla fine fui io a rompere quel silenzio snervante.
-Mi
dispiace-
Travis
si voltò lentamente a guardarmi, quindi con voce rauca mi rispose. –Per cosa?-
Presi
a giocherellare con le dita. –Ho sbagliato. Io … ho commesso un errore. Se non
lo avessi fatto forse ci saremmo risparmiati tutto questo. Quando mi sono
trovata davanti quella cosa, io ho visto te … e quelle parole mi hanno
straziato il cuore. Io non riuscivo a respirare. Vedevo solo te che dicevi
quelle malvagità, che dicevi di volermi uccidere … -
-Sai
che, per quanto arrabbiato, non lo farei mai- mi interruppe lui.
Annuii.
–Lo so. E me ne sono ricordata tardi. Al momento ho sentito solo un vuoto al
cuore. Una voragine mi si è aperta sotto i piedi e io sono precipitata sempre
di più. E sai perché non ho saputo riconoscere il vero dal falso?-
-No-
-Perché
non avevo chiari i miei sentimenti per te. Forse ero ancora agli inizi, forse …
forse non lo so. Sta di fatto che
solo ora ho capito cosa provo per te ed è solo per questo che sono stata in
grado di capire la verità-
Lui
deglutì, voltandosi completamente verso di me. –E cosa provi per me?-
Arrossii.
–Ti amo-
Travis
mi attrasse a sé, sprofondando il viso nei miei capelli. –Puoi dirlo un’altra
volta?-
Ridacchiai.
–No, non se ne parla neanche. Il mio lieto fine non deve assomigliare per nulla
ad una soap opera!-
Travis
rise. –Sai cosa?-
Mi sottrassi
all’abbraccio per poterlo guardare in volto. –Cosa?-
Mi
alzò il mento e mi baciò.
-Ti
amo anche io-
Something’s got a hold on me … oh, it
must be love!
FINE.
Note (le ultime!):
Siamo
giunti alla fine. Per quanto mi dispiaccia dirlo, un po’ sono felice. Voglio dire,
è la prima long decente che riesco a finire. E’ un bel traguardo per me.
Sarà
dura abbandonare Aelle, veramente dura. Ed è per questo che FORSE potrei tornare
con un seguito. Dico forse perché ancora non ho pianificato nulla di preciso.
Un’idea c’è, ma non posso garantirvi nulla. Soprattutto perché non voglio
illudervi di qualcosa che poi non ci sarà.
Perciò
ora guardate quel “fine” e fate finta che sia un “per sempre”. Se dovesse esserci
un seguito sarete i primi a saperlo. Promesso!
Ok,
ora passiamo a qualcosa di meno deprimente. La canzone che appare alla fine è “Something’s
Got a Hold On Me” di Christina Aguilera. Ascoltatela perché è veramente
stupenda. E poi Christina ha una voce spettacolare.
La
sto tirando in lunga. E’ dura –l’ho già detto, sì- lasciare questa storia.
Passiamo
quindi ai ringraziamenti. Non farò dei paragrafi per tutti, ma mi sembra giusto
citarvi. Siete stati veramente gentili con me e ricordarvi mi sembra il minimo!
Tea_Zeus: Grazie, Tea! La prima fanfic che ho
recensito in questa sezione è stata la tua e avere il tuo appoggio nella mia è
stato importante!
Soni Sapientona ( Dandelion
to Dream): Soni,
carissima. Sono diventata la tua grammartrainer e avere le tue recensioni qui
mi ha fatta molto felice!
Dafne Rheb Ariadne: Dafne, tu sei una delle persone più
gentili di questo mondo, ne sono sicura. Non credo che dedicarti l’altra mia
storia sia stato abbastanza. Almeno ci ho provato!
AleJackson: come farò senza di te, Thalia e Cuore?
La mia esistenza non avrà più senso! Ti prego dimmi che almeno Cuore ci sarà
nell’altra storia! Potrei impazzire altrimenti! Grazie, sei stata un tesoro!
BeeMe: le conversazioni con te sono state le
migliori. Anche se abbiamo età differenti non ci sono stai problemi e la cosa
mi ha fatto molto piacere. Soprattutto il tuo resoconto del viaggio in America.
Quello sì che era fenomenale! Grazie mille per tutto!
_Sylvie: tu mi hai riempita di complimenti anche
se non me li meritavo e ti meriti un grazie enorme. Come tu poi abbia fatto a
indovinare la mia età al primo tentativo ancora è un mistero … xD!
LunaSayan: ti ho conosciuta nell’altra fanfic,
Ladra di Ombre, che poi ho cancellato (mi dispiace!) e le tue recensioni sono
state sempre un piacere da leggere! Grazie!
Ailea Elisewin: per quanto tu abbia un nome complicato,
le tue recensioni sono state fantastiche, sia in questa storia che nell’altra.
Per cui, Grazie!
Mnemosines: sì, sono arrivata anche te. A te che
fai figure nei momenti più improbabili e che riesci a riderci sopra. Le tue
recensioni mi hanno tirato su il morale in molte situazioni. Grazie mille!
Prescelta di Poseidone: anche se ti sei aggiunta più tardi, un
grazie va di sicuro anche te per l’appoggio che mi hai dato. E non temere,
presto passerò a leggere la tua fan fiction!
Nico di Angelo: le conversazioni con te mi hanno
aiutato a superare molti blocchi. Quindi GRAZIE!
Mary: se stai leggendo questo e ti chiedi
perché io non abbia utilizzato il tuo nick …. la risposta è: non lo so. Sono
così abituata a chiamarti Mary, che il tuo nick non mi è entrato in testa. In
qualunque caso, grazie anche a te!
Un
grazie va anche a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite,
ben 40!, e chi invece l’ha messa tra le preferite, ben 19! Anche a chi ha letto
e basta: GRAZIE!
Uh,
sta venendo fuori un papiro. Sarete riusciti ad arrivare fino a qui?
Non
so quando vedrete questo, perché internet a casa mia non va e sto tentando l’impresa
impossibile di postare dal cellulare…
Boh.
Io ci provo.
In
sostanza, grazie mille a tutti per avermi accompagnata in questa fan fiction per
tutti questi mesi, per avermi sostenuta e per non avermi lasciata andare mai!
Siete
i migliori!
Alla
prossima!
Un
bacio enorme,
Aelle
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Capitolo 26 *** Seguito ***
avviso
Buongiorno a tutti! O buonasera, dipende da quando leggerete questo messaggio!
Forse questo aggiornamento risulterà strano, ma se mi avete
seguita, o comunque letta qualche volta, saprete che sto lavorando al
seguito di questa storia.
Dopo il primo tentativo fallimentare che ho cancellato, sono riuscita
finalmente a costruirne uno con un senso compiuto. E, spero,
all'altezza di questa fan fiction.
Sul titolo sono ancora indecisa, ce ne sono molti che mi frullano in
testa, ma è chiaro che non sarà "Halloween Messenger".
Scusatemi veramente tanto per avervi fatto aspettare, sempre che
qualcuno mi stesse aspettando eh! Ma, come ho detto molte volte anche
nell'aggiornare l'altra mia storia, il mio tempo si sta veramente
restringendo.
Ritroverete perciò Aelle, Travis, Percy, Annabeth e tutti gli altri. Più qualche nuovo personaggio.
Sicuro è che la storia non sarà più narrata in prima persona, ma ci sarà un narratore onnisciente.
Se volete farmi sapere il vostro parere sul seguito, se devo o no
pubblicarlo, lasciatemi un piccolo commento. Questa volta
risponderò a tutti, lo prometto!
Grazie mille per avermi letta!
Baci,
Aelle
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