Umi ni kaeru- Return to the Sea di hotaru (/viewuser.php?uid=42075)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tipico inizio di un manga ***
Capitolo 2: *** Le fate delle tre e... ***
Capitolo 1 *** Il tipico inizio di un manga ***
1
Umi
ni kaeru – Return
to the Sea
La canzone riportata nel
capitolo è "Return to
the Sea", cantata da Kana Ueda. Non fatevi ingannare dalla serie, è una canzone magnifica!
Il
tipico inizio di un manga
Quello era il tipico inizio di un innumerevole numero di manga: la
protagonista deve trascorrere un certo periodo di tempo in un luogo
sconosciuto, lontano da casa e popolato da estranei, che nove volte su
dieci si rivelava magico. O dove perlomeno tutti i ragazzi del posto si
innamoravano di lei, ma Chibiusa pensava di essere ancora un po'
piccola per certe cose.
Sbirciò la valigia di sua madre: quanti manga aveva nascosto
in
mezzo ai vestiti, accuratamente scelti dalla sua riserva personale e
segreta, ma che Chibiusa aveva scoperto ancora all'ultimo anno d'asilo?
Aveva atteso pazientemente di andare a scuola e imparare a leggere,
prima di iniziare a divorarli uno dopo l'altro- in gran segreto,
s'intende. Era stata particolarmente attenta a quelli contrassegnati
dalla possessiva firma "Rei": sapeva che era un'amica della madre, a
cui la signora Chiba non disdegnava mai di chiedere in prestito i
manga, per poi dimenticarsi puntualmente di restituirli. Poteva
accadere in qualsiasi momento che Rei pretendesse- giustamente- di
riaverli indietro, per cui era meglio non sciuparli troppo.
Comunque alla fine della prima elementare Chibiusa era diventata
velocissima a leggere, e conosceva già un mucchio di
caratteri
sconosciuti ai suoi compagni.
- Ma davvero questa Makoto è bravissima a preparare dolci? -
chiede d'un tratto Chibiusa, ricordandosi a casa di chi avrebbe dovuto
vivere per il mese successivo.
- Garantisco io – confermò sua madre, con un
sorriso che
andava da un orecchio all'altro al ricordo delle magnifiche torte
dell'amica – Quando arriveremo a riprenderti probabilmente
rotolerai, invece di camminare!
Forse Usagi stava proiettando sulla figlia quello che sarebbe successo
a lei,
in un frangente simile, ma Chibiusa non replicò. In un posto
del
genere sarebbe stata così impegnata, che non avrebbe nemmeno
avuto il tempo di ingrassare.
Appiccicò di nuovo il viso al finestrino, osservando la baia
che
si stendeva sotto di lei, oltre quella curva che la loro auto stava
percorrendo. L'acqua tranquilla brillava sotto la luce del sole, come
un enorme specchio.
Mentre percorrevano lentamente un piccolo tratto in discesa, qualcosa
attirò la sua attenzione. Qualcosa che si confondeva col
colore
delle onde, pur distinguendosi leggermente, e poi un viso umano che a
tratti emergeva dall'acqua. Chibiusa trattenne il respiro. Era
diventata davvero come la protagonista di un manga? Quella era davvero una sire...?
Ad un tratto suo padre svoltò a destra, entrando finalmente
nel
paese, e la piccola insenatura fra gli scogli scomparve dalla vista di
Chibiusa.
Otogibanashi saigo no peeji wa
Kakikaerarete higeki ni
kawari
Tatta hitotsu shinjiteta
hito no kokoro sae mo miushinau
Ai mo yume mo maru de
suna no oshiro mitai na no
Hakanaku kowarete yuku
no yo sore wo nozomanakutatte
[L'ultima pagina della
favola
è stata
riscritta e cambiata in tragedia
ho perduto persino il
cuore dell'unica persona in cui credevo
Anche l'amore, anche i
sogni sono proprio come un castello di sabbia:
fragili, crollano e
scompaiono anche se non lo vuoi]
- Ah, ma non sapevo che fossi tornata a vivere qui! Pensavo che Makoto
avesse un posto in più e...
- Non preoccuparti, Usagi – intervenne Makoto – Non
c'è alcun problema. Chibiusa può rimanere qui
quanto
volete, di posto ce n'è in abbondanza.
- Sì, mi farà bene avere una bambina per casa.
Sono
così depressa... - una Minako profondamente abbattuta si
lasciò cadere sul divano, in una posa languida che ricordava
le
attrici del cinema anni Trenta.
Usagi si sporse verso Makoto, sussurrandole all'orecchio:
- Ma... che è successo? Non andava tutto a gonfie vele con
quel ragazzo? Erano andati a convivere, no?
- Veramente non lo so bene neanch'io – rispose l'amica, in un
sussurro altrettanto controllato – È tornata da
una
settimana, e non fa altro che ingozzarsi di dolci e guardare film in
bianco e nero. Non so ancora niente di...
- Ehi, voi due! La smettete di spettegolare su di me? - Minako, col
dorso della mano appoggiato sulla fronte in una posa vagamente
teatrale, non si era ancora alzata dal divano – Che razza di
amiche siete?
- Scusa, ma...
- Comunque, mia cara Chibiusa – Minako si voltò
verso di
lei, i grandi occhi azzurri che scintillavano – Ricorda che
gli
uomini sono degli esseri viscidi e infingardi, e l'unica cosa che
vogliono è portarti a l...
- Minako!
- Le stavo solo dicendo di non fidarsi di nessun esemplare di genere
maschile! - un flessuoso gatto bianco le saltò in grembo,
iniziando a fare le fusa – A parte i gatti, è
ovvio.
Dimmi, ti piacciono?
Quest'ultima domanda venne rivolta a Chibiusa, che annuì
vigorosamente.
- Sì, moltissimo! Anche noi a casa abbiamo una gatta.
- Ah, sì? E dove l'avete lasciata?
- Ce la terrà Rei per tutto il tempo che staremo via.
Avevamo
pensato di portarla qui, ma ci è sembrato un viaggio troppo
lungo e non volevamo sballottarla così tanto.
- Peccato, ad Artemis avrebbe fatto piacere conoscerla –
Minako
ammiccò a Chibiusa, indicandole il gatto come a spiegare che
quello era il suo nome – E si sarebbe di certo comportato
bene,
anche se è un maschio felino, perché altrimenti
ci avrei
pensato io a castrarlo.
- Castrarlo? - quella era una parola che Chibiusa non aveva mai sentito
– Che significa?
- Impedirgli di riprodursi, cara – rispose Minako, alzando la
coda del gatto e mostrando il significativo didietro, malgrado i
tentativi di resistenza di Artemis. Chibiusa fece una smorfia.
Makoto si sporse verso Usagi, sussurrandole in un orecchio:
- Sta' tranquilla, vigilerò io sulla sua innocenza. Minako
è più fuori del solito perché
è stata
lasciata, ma...
- Chi
è stata lasciata?
Per tua informazione, l'ho mollato io! - strillò
l'interessata,
strizzando senza pietà la coda del suo povero gatto
– Quel
viscido, maledetto... Chibiusa! Per i prossimi vent'anni, fidati solo
del tuo papà!
Il tono perentorio di Minako indusse la bambina ad annuire prontamente,
chiedendosi come avrebbe fatto a sopravvivere un mese con quella pazza.
Sperava che Makoto l'avrebbe protetta, le sembrava molto più
equilibrata.
La mano di sua madre su una spalla le fece capire che era arrivato il
momento dei saluti.
- Chibiusa, sono convinta che qui ti divertirai. Ma non preoccuparti,
ti chiameremo tutti i giorni – le disse Usagi, abbracciandola.
- Ma no, una volta ogni due giorni è sufficiente –
rispose
ragionevolmente Chibiusa, ritenendosi ormai abbastanza grande per
sopravvivere un mese senza i suoi genitori.
In effetti, per quanto gli Stati Uniti potessero essere interessanti,
un mese di conferenze, convegni e ricevimenti di ambasciata non erano
quanto di più adatto per una bambina.
- Mi raccomando, allora, fai la brava – le disse suo padre,
abbracciandola a sua volta – E vedrai che bel regalo ti
porteremo.
- Ci conto! - rispose lei, cominciando però a sentirsi
già un po' triste.
- Salutatemi gli U.S.A.!
- canticchiò Minako, mentre sia lei che Makoto si
congedavano da Usagi e Mamoru – E portate qualcosa anche a
noi! Bye-bye!
Quando la macchina dei suoi genitori fu scomparsa dalla strada, diretta
all'aeroporto che avrebbe portato i coniugi Chiba oltreoceano, Chibiusa
entrò in casa assieme alle due amiche della madre.
Makoto le offrì subito una fetta di torta, che lei
accettò volentieri; Minako le propose un po' di karaoke nel
soggiorno e Artemis le saltò in grembo per farsi accarezzare
da
mani più delicate, dopo la strizzata che aveva preso.
All'improvviso, il barlume di tristezza che Chibiusa aveva iniziato a
provare venne lavato via con un colpo di spugna. Situazione da manga o
no, sentì che per il mese successivo si sarebbe trovata
davvero
bene.
Inizio di una long che
non so quanto sarà long, ma l'idea in testa c'è,
vediamo come si svilupperà.
La canzone è
tratta dall'anime
"Mermaid Melody" che, per quanto pessimo, ha il pregio di aver sfornato
una canzone simile, a cui vi prego di dare una possibilità.
È splendida, veramente. Ne troverete una strofa in
ogni capitolo, e presto capirete perché fa da filo
conduttore
alla vicenda.
Questo primo capitolo
è solo
introduttivo, ma spero che vi sia piaciuto. Se voleste farmi sapere
cosa ne pensate, a me fa sempre piacere. ^^
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Capitolo 2 *** Le fate delle tre e... ***
2- Le fate delle tre e...
Le fate delle tre e...
Quella mattina, quando Chibiusa si svegliò, non si stupì
nel sentirsi accanto il familiare calore ronfante di un gatto. C'era
più che abituata, Luna dormiva spesso con lei. A farle sgranare
gli occhi ancora impastati dal sonno fu tuttavia la vista di una
ciambella pelosa bianca come la luna, invece che nera come la notte. E
allora si rese conto che quella non era la sua gatta ma Artemis, e che
non era a casa sua ma dalle amiche di sua madre, Makoto e Minako, e
avrebbe dovuto rimanerci per un mese.
In effetti si ricordò anche che Artemis dormiva con lei da un
paio di giorni, tanto che Minako aveva iniziato a fare l'offesa. Non
con lei; con il gatto. E in fondo Chibiusa non ci trovava niente di
strano: anche Luna e sua madre, di tanto in tanto, si tenevano il
broncio a vicenda. Poteva sembrare assurdo, ma quando facevano pace sia
lei che suo padre riuscivano ad accorgersene.
E non le era dispiaciuto trovare un simile elemento comune tra Minako e
sua madre: la faceva sentire un po' a casa, perché se c'era un
momento in cui la nostalgia si faceva sentire, quello era la mattina
appena sveglia, prima che si decidesse ad allungare una mano su Artemis
e lui si stiracchiasse con un miagolio gutturale, prima di gettare da parte
il lenzuolo e andare di sotto ad indovinare, solo dall'odore, che cosa
aveva preparato Makoto. Di solito usciva prestissimo per andare al
lavoro, mentre Minako si alzava molto più tardi, lasciando
Chibiusa con la casa tutta per sé per qualche ora.
- Chibiusa! Minako non si è ancora svegliata? - chiese allibita
Makoto, quando tornò a casa per preparare il pranzo.
La bambina scosse la testa: aveva trascorso la mattinata a fare un po'
di compiti e ad insegnare ad Artemis a starle stravaccato su una
spalla, portandoselo in giro per casa come faceva con Luna. Aveva
imparato in fretta, tanto che Chibiusa sospettava che non fosse nuovo a
certi giochetti: davvero, Minako era proprio come sua madre.
- Hai voglia di venire con me in negozio, oggi? - chiese Makoto mentre
mangiavano, in tono quasi di scusa per averla lasciata sola tutto quel
tempo in una casa non sua. Certo che, se Minako non l'avesse piantata
in fretta con la sua "crisi depressiva post-relazione fallita"...
Makoto aveva l'impressione che ci si stesse più che altro
crogiolando.
- In negozio?
- Sì, lavoro in una piccola pasticceria di proprietà di un'anziana signora del posto. Ti va di venire con me?
Quando gli occhi di Chibiusa, a quell'invito inaspettato, sembrarono
divenire d'un tratto più grandi e luminosi, Makoto dovette
reprimere un sorriso che avrebbe rischiato di sfociare in una risata.
Chiba o no, quella bambina era indubbiamente figlia di Usagi.
- Oh, sono dolci occidentali?
- Principalmente sì, la signora aveva sposato un europeo, e
insieme avevano messo su questo piccolo negozio – spiegò
Makoto, iniziando a tirar fuori i dolci dal grande frigo della cucina
per disporli in vetrina.
Mentre osservava deliziata le paste, i pasticcini e le fette di torta, Chibiusa chiese:
- A che ora aprite?
- Alle tre, in tempo perché arrivino le fate.
Chibiusa ci mise un momento a realizzare ciò che Makoto aveva
appena detto, impegnata com'era a non sbavare su un vassoio di
bigné ripieni di crema e panna, su cui faceva capolino un pezzo
di pasta allungato a formare collo e becco. Un dolcissimo cigno, da cui
Chibiusa si costrinse a distogliere lo sguardo.
- Le... fate? Alle tre? - era certa che quella frase non le fosse
nuova, perché un simile, bizzarro accostamento era difficile
dimenticarselo – Ah!
- Che cosa c'è? - le chiese gentilmente Makoto, bagnando una spugna per andare a pulire i tavolini all'esterno.
- La mamma mi aveva raccontato delle fate delle tre, una volta che
abbiamo fatto i biscotti! - le rivelò Chibiusa seguendola, e
aiutandola a sistemare le sedie.
- Ma davvero? - fece Makoto sorpresa – Se lo ricorda ancora?
- In che senso?
- Sai, sono stata io a raccontare a lei e alle altre delle fate delle
tre, sempre in qualche occasione in cui facevamo i biscotti insieme.
Era una vecchia tradizione di mia madre – Makoto sistemò
l'ombrellone, ridacchiando piano – E pensare che all'epoca
andavamo ancora a scuola, Usagi ha proprio una bella memoria!
- Solo per certe cose.
- Già, è davvero... ehi! - Makoto si voltò, mentre
Chibiusa si nascondeva dietro un sorriso birichino – Non si parla
così della propria mamma.
- Ma è la verità – rispose candidamente Chibiusa.
- Anche se è la verità – replicò Makoto
senza battere ciglio – E adesso vieni, sono certa che uno di quei
cigni non vede l'ora di diventare il tuo dessert.
Alle tre in punto aprirono il negozio, e dopo nemmeno un minuto il campanello sopra alla porta trillò allegramente.
- Buon pomeriggio, signora – la salutò Makoto, senza sorprendersi di quell'inaspettato tempismo – Il solito?
- Certo, cara. Io e le ragazze siamo qui fuori.
Chibiusa si sporse dalla porta, sbirciando senza farsi vedere le
"ragazze": tre signore sulla settantina, che sedute attorno ad un
tavolino rotondo cicalecciavano come tre studentesse uscite da scuola.
A giudicare dalla risatina di gruppo che seguì, avrebbe giurato
che stessero parlando di ragazzi.
- Te l'avevo detto, no? - fece Makoto, preparando una cioccolata e due
caffé, accompagnati sul vassoio da tre paste differenti –
Che sarebbero arrivate alle tre.
- Mmm? - Chibiusa era tornata al suo cigno-bigné, e ora aveva la
bocca tutta sporca di crema chantilly. Si voltò verso la porta,
perplessa, e poi tornò a guardare Makoto. Inghiottì
pensierosa l'ultimo boccone senza nemmeno curarsi di pulirsi la bocca,
per poi avvicinarsi di soppiatto all'entrata, mentre Makoto portava
fuori il vassoio.
Un coro entusiasta accompagnò l'arrivo dei dolci, e quelle tre
signore decisamente pienotte, ma con mani e piedi incredibilmente
minuti, si dedicarono ciascuna alla propria porzione, senza smettere di
chiacchierare un secondo.
- Sarebbero loro? - sussurrò Chibiusa, tornata dietro al bancone con Makoto – Le fate delle tre?
- Chissà – fece Makoto con un sorriso – Certo
è che, se verrai qui anche domani, le vedrai arrivare alla
stessa ora e ordinare le stesse cose, e questo ogni singolo giorno
dell'anno in cui il negozio è aperto.
Chibiusa fece tanto d'occhi, pensando che in quel caso la taglia della signore era pienamente giustificata.
- E ogni volta hanno da raccontarsi tante di quelle cose che sembra non si vedano da mesi, chissà come fanno!
Mentre Makoto parlava, la conversazione all'esterno si era fatta
più animata, finché due di loro scoppiarono a ridere e la
terza si rifugiò dietro la sua tazza, imbronciata.
- Oh, ma non ci sono solo loro – Makoto si sporse verso di lei,
alzando un indice e facendole l'occhiolino – In questo negozio
vedrai anche le sirene delle cinque e le streghe delle sette e mezza.
- Come? - Chibiusa sbatté un paio di volte le palpebre,
chiaramente perplessa. Credeva che Minako fosse l'unica matta sul
serio, ma in effetti per andarci d'accordo Makoto non poteva non
esserlo un po' anche lei. E poi erano entrambe amiche di sua madre, il
che rendeva tutto più chiaro.
- Di' un po', ti va di aiutarmi a fare dei biscotti ai semi di papavero? - le propose Makoto.
- Ai semi... di papavero? Si
possono fare dei biscotti con i semi dei fiori? - Chibiusa
sgranò gli occhi, ancora più incredula che per le fate,
le streghe e le sirene.
- Ma certo che sì! Ah già, a tua madre non piacciono,
dice che i semi le si incastrano tra i denti e poi non se ne accorge
– Makoto ricordava ancora quella volta che Usagi si era
presentata ad un appuntamento con il suo Mamo-chan e questi le era
quasi scoppiato a ridere in faccia, vedendo i suoi denti più
neri che bianchi. Erano solo i primi tempi che si frequentavano, e
Usagi quella figuraccia non l'aveva mai mandata giù – Se
solo si fosse ricordata di lavarsi i denti...
- Chi deve lavarsi i denti? - domandò Chibiusa, chiedendosi che
cosa stesse passando per la testa di Makoto per ridacchiare così.
- Tutti, dopo aver mangiato dei dolci! - esclamò lei, posandole
le mani sulle spalle e spingendola nel retrobottega – E adesso al
lavoro!
Aiutare Makoto si rivelò davvero divertente. Chibiusa era sicura
di rallentarla parecchio, visto che in teoria lei era al lavoro e non
nella cucina di casa, ma Makoto era abile e paziente: se con una mano
le mostrava come usare lo stampino dei biscotti per sprecare meno
impasto possibile, con l'altra infornava una torta e farciva di crema
dei cestini di pastafrolla. E senza far cadere mai
niente: non un sacchetto di farina, non una scodella colma di panna.
Chibiusa era allibita, ma iniziava a sospettare di essere lei fin
troppo abituata ai pasticci di sua madre.
Ogni tanto arrivava qualche cliente, che si faceva annunciare dallo
scampanellio alla porta, e Makoto volava nell'altra stanza per
servirlo.
- Ci sono sempre così pochi clienti? - chiese Chibiusa, che non
riusciva a credere che dolci come quelli potessero non venire
apprezzati.
- Solo in questo periodo dell'anno – rispose Makoto – Anche
se dà sul mare, questo posto non è per niente una
località turistica, quindi d'estate si svuota più che
riempirsi. Dipende dai giorni, comunque: se mi accorgo che sono troppo
indaffarata, di solito chiedo a Minako di venire a darmi una mano.
- Minako non lavora? - chiese candidamente Chibiusa.
- A volte – rispose Makoto, senza scomporsi troppo – Quando
vince un provino e le danno una parte in qualche drama (¹).
- Oh, è vero! - esclamò Chibiusa, chiedendosi come avesse
fatto a dimenticarlo – Era lei la fidanzata di Satoshi, quella
che muore cadendo da una rupe scoscesa!
- Vedo che sei informata, eh? Immagino che tua madre non si perda una
puntata delle serie in cui compare Minako – Chibiusa annuì
– In effetti i suoi personaggi fanno sempre una fine tragica: i
produttori dicono che è brava ad esprimere il pathos senza
esagerare, quindi le danno sempre ruoli di questo genere.
- Sì, sì: mi ricordo che una volta è caduta dalle
scale d'emergenza di un ospedale in cui faceva l'infermiera, e un'altra
è annegata in un lago al tramonto, col suo fidanzato che ha
gridato il suo nome per tutta la notte! - continuò Chibiusa
infervorata – La mamma piange sempre, quando muore lei.
- Immagino che piangano un sacco di spettatori, per questo la fanno
morire così spesso – sbuffò Makoto, che certe
logiche di marketing proprio non le capiva – Certo è che
così ogni lavoro le dura appena pochi mesi.
E poi doveva correre da un set all'altro per una nuova serie di
provini, ma Minako tutta entusiasta diceva che era un ottimo modo per
fare gavetta e accumulare esperienza.
- Contenta lei... - concluse Makoto, guarnendo una torta di fragole
– Comunque al momento è tutta presa dal suo "periodo di
assestamento", come lo chiama lei. Il tempo di trovare un altro ragazzo
che le muoia dietro, e sarà di nuovo felice e contenta, vedrai.
Makoto tacque, rendendosi conto di aver parlato ad alta voce ed essersi
lasciata sfuggire forse un po' troppo, ma constatò sollevata che
Chibiusa era tornata in negozio, attirata dal trillo del campanello.
Un'occhiata all'orologio appeso alla parete, e Makoto già sapeva chi era appena entrato.
Dakedo ima mo wasurerarenai no
Anata ga itsumo utatta merodii
Mune ni hibiku tabi itsuka modoreru ki ga suru no ano koro ni
Kitto kitto kaereru no tsunagareta kusari furiharai
Futatsu no sekai ga musubareta aoi umi he
[Ma anche ora non posso dimenticare
la melodia che cantavi sempre
risuona nel mio petto e ho l'impressione di poter tornare a quel giorno
posso tornare senza dubbio a quel periodo, è tutta una catena che mi lega e da cui mi libererò
verso il mare blu a cui sono legati due mondi]
La prima cosa a cui Chibiusa pensò quando la vide, fu il colore
dell'acqua nella baia il pomeriggio in cui era arrivata lì con i
suoi genitori, un paio di giorni prima. O forse era solo l'odore del
mare poco distante ad essere appena entrato dalla porta del negozio, in
un refolo di brezza pomeridiana.
- Buon pomeriggio, signorina Kaiou – salutò Makoto accanto a lei – Il solito?
La donna annuì, prendendo già dalla borsa il portafogli
per pagare. Makoto tagliò senza esitazioni una fetta da una
torta esposta in vetrina: un tripudio di panna, cioccolato e amarene. A
Chibiusa sembrò quasi strano che a una donna così sottile
e raffinata potesse piacere un dolce del genere, ma magari era per
qualcun altro.
Mentre la osservava, la donna si voltò a guardarla e le sorrise
gentile, facendo sobbalzare Chibiusa. Aveva come l'impressione di
averla già vista, o forse erano i suoi capelli ondulati a
ricordarle qualcosa... ma poi si disse che era impossibile, era
lì solo da due giorni, come poteva conoscere qualcuno?
Per prendere il pacchetto che Makoto le porgeva, la donna distolse lo
sguardo. Pagò e salutò senza chiedere a Makoto chi fosse
quella nuova bambina, quando invece parecchi clienti quel giorno si
erano interessati a lei. Senza dubbio in quel posto ogni faccia nuova
doveva destare molta curiosità.
- Hai fame? Vuoi fare merenda? - le chiese Makoto quando la donna fu uscita, dicendole poi di scegliere quello che voleva.
Mentre addentava una fetta della stessa torta presa dall'ultima
cliente- Foresta Nera, si chiamava, era un dolce tedesco- Chibiusa
lanciò un'occhiata all'orologio del negozio.
Erano da poco passate le cinque.
- Eccomi qui! - annunciò una voce squillante, che batté in volume il campanello alla porta.
- Toh, le sette e mezza. Tempismo perfetto – commentò
Makoto lavandosi le mani, dopo aver terminato di pulire il bancone da
lavoro.
Chibiusa soffocò una risata quando vide far capolino un'allegra
massa di capelli biondi, che di depresso non aveva proprio niente. Ecco
chi era la strega, allora.
- Si lavora, eh?
- Già, pensa un po' che cosa assurda.
- Oh, ma come siamo acide. Chi lo direbbe che prepari dolci tutto il
giorno? A proposito, ho visto che ti è rimasta un po' di
Sacher...
- Minako, non si mangiano dolci prima di cena! - la sgridò
Makoto, quasi avesse avuto a che fare con una bambina più
piccola di Chibiusa, non una coetanea.
- Ma che hai capito? Te la compro e la porto a casa, così la mangiamo come dessert.
- Ah, allora va bene. Te la metto in una scatola...
- Lascia, faccio io! - muovendosi come a casa propria, Minako prese una
scatola di carta della misura adatta e tornò nell'altra stanza,
dovendo poi urlare per farsi sentire – Domani vengo a darti una
mano!
- No, domani porti Chibiusa da qualche parte! - gridò Makoto di
rimando, per sovrastare il rumore dell'acqua nel lavello –
È stata chiusa qui dentro con me per tutto il giorno!
- Ah già, Chibiusa! Ti sei divertita?
Chibiusa, che con molto senso pratico si era posizionata sulla soglia
della porta comunicante, così da non dover urlare per parlare
con nessuna delle due, rispose:
- Molto. Ho sempre desiderato vedere come funziona una pasticceria. E poi ho mangiato una pasta e una fetta di torta.
Minako fece capolino dalla porta, gli occhi sgranati.
- Solo? Sicura di essere
figlia di tua madre? - senza aspettare risposta, continuò
allegramente: – L'ultima volta che Usagi è stata qui, si
è spazzolata mezzo negozio.
- Che esagerata – commentò Makoto – E poi parli
proprio tu: hai smesso di ingozzarti solo nel periodo in cui dovevi
fare la parte di una ballerina! Me lo ricordo, quanto eri disperata
perché dovevi perdere quattro chili in due settimane.
- Ehi, tanto per cominciare io non ero disperata.
Ed erano tre e mezzo, non quattro – fece Minako dalla porta con
aria battagliera – E poi hai idea di che tortura fosse, stare qui e non poter toccare nemmeno una scaglietta di cioccolato? Roba da far impazzire chiunque!
- Beh, vedo che poi ti sei ripresa alla grande.
- Guarda che quei chili non li ho più recuperati!
- Certo, certo. Comunque, domani porti Chibiusa in qualche bel posto. Magari le mostri il mare.
- Oh sì, andiamo in spiaggia! Ti va? - suo malgrado, Chibiusa
ammirò la nonchalance con cui Makoto aveva delicatamente
cambiato argomento. Era una capacità che aveva sempre invidiato
anche a suo padre – Magari ti trovi il ragazzo!
- Non credo che Mamoru sarebbe molto d'accordo – rise Makoto
– E poi non eri tu che due giorni fa le dicevi di non fidarsi
degli uomini?
- Oh, un'innocente storiella estiva non può fare male a nessuno,
e non c'è alcun bisogno che Mamoru lo sappia – Minako si
bloccò, colta da un dubbio improvviso – O sei già
impegnata?
Chibiusa scosse prontamente la testa, chiedendosi come avessero fatto
ad arrivare ad un argomento simile da un semplice: "Ti sei divertita?".
- Oh! - esclamò invece all'improvviso, ricordandosi di una cosa
– Quando siamo arrivati qui, dalla strada ho visto una piccola
spiaggia fra gli scogli...
- Ah, ho capito! È un'insenatura a due chilometri da qui –
fece Minako – Vuoi andarci? Guarda che là di ragazzi non
ce ne sono, però...
Chibiusa si affrettò a spiegare che la mancanza di fauna
maschile non le causava nessun problema, al che Minako si chinò
a scrutarla in viso, due dita sotto il mento a sostenere un'espressione
tutt'altro che rassicurante.
- Mmmh... secondo me hai qualcuno, qui un fidanzatino c'è di sicuro. Magari un senpai (²), eh Mako...
Splash.
Minako non aveva finito di parlare che uno straccio per asciugare i
piatti le era arrivato dritto in faccia. Completamente bagnato, tra
l'altro.
- Eh, ma che permalosa! Era una battutina innocente! - fece Minako con
voce piagnucolosa, togliendosi lo straccio dal viso senza fare una
piega.
- Un'altra battutina innocente e salti la cena! - ribatté Makoto – E adesso renditi utile, dammi una mano a pulire!
In due ci misero poco, mentre Chibiusa aspettava vicino all'entrata con
la scatola della Sacher tra le braccia, e quando finalmente spensero le
luci per uscire non stava più nella pelle. Per la fame, certo, e
per la voglia di assaggiare quella torta.
Ma anche per ciò che l'attendeva il giorno dopo: era certa che
un giorno al mare con Minako fosse una di quelle esperienze in cui era
impossibile annoiarsi. E quando uscirono dal negozio, col cielo che
iniziava a farsi più aranciato a ovest e l'odore del mare ad
accoglierle, a Chibiusa venne in mente la donna della Foresta Nera, dai
capelli dello stesso colore della baia sotto il sole estivo.
Cosa aveva detto Makoto sui clienti delle cinque...?
Dopo un paio di bocconi aveva appoggiato la forchetta sul piattino,
senza più degnare il dolce di un'occhiata. Tutta quella panna le
dava la nausea, per non parlare del cioccolato. Al massimo poteva
apprezzare le amarene, se non fossero state annegate in quella bomba
calorica. E pensare che prima era quasi arrivata a piacerle, specialmente in certi... intimi momenti.
Prese bruscamente il piatto, senza curarsi della forchetta che
finì sul pavimento, gettando poi la torta nel secchio della
spazzatura in cucina.
Tornando in salotto, dove la finestra aperta sul mare lasciava entrare
la luce languida del tramonto, lo sguardo le cadde sul suo violino
abbandonato sullo sgabello del pianoforte, in posizione quasi
pericolosa.
Michiru sospirò. Se i quadri incompiuti nel suo studio potevano
essere lasciati a loro stessi ancora per un po', il suo strumento non
ammetteva pause. Rimandare al giorno dopo l'esercizio quotidiano
significava perdere agilità nella mano, equilibrio nell'archetto
e ritmo nell'esecuzione. O, per come la vedeva lei, offendere in modo
irreparabile il proprio violino. Aver voluto a tutti i costi imparare a
suonare uno strumento simile a sé aveva i suoi lati negativi, ma
proprio per questo Michiru sapeva bene come prenderlo.
Una serenata al sole morente l'avrebbe lusingato abbastanza da starsene
buono fino al giorno seguente, lasciandola sola col mare e lo
sciabordio dei suoi pensieri. Senza pensare che quello era un pezzo con
accompagnamento al pianoforte, senza pensare che il violino da solo
sembrava piangere, aspettando una voce che non l'avrebbe più
raggiunto. Per svuotare il mondo e l'aria che respirava con la sua voce
da gatto innamorato, come aveva detto qualcuno.
Bastava arrivare a domani.
(¹) Fiction televisive, che in giapponese si chiamerebbero "dorama"
(²) Senpai: compagno di scuola più grande
Il primo capitolo di questa storia
l'ho pubblicato mesi fa, e non so se scusarmi per l'immenso ritardo o
avvisarvi che probabilmente questa sarà la regola. Nel caso,
siate preparati.
La storia delle fate delle tre l'ho
ripresa dal quarto film di Sailor Moon, dove è per l'appunto
Makoto a raccontare di questa storia alle sue amiche, mentre preparano
i biscotti. E anche la faccenda del senpai era il cavallo di battaglia
di Makoto, ma soprattutto nelle prime serie.
Capitolo un po' di passaggio, tanto
per dedicare spazio a tutti i personaggi che compaiono in questa
storia, ma c'è molto altro che deve saltar fuori.
Se avete voglia di lasciarmi un commento ne sarei felice; intanto ne approfitto per augurarvi buona Pasqua!
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