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l
termine del suo stato d’incoscienza, il tenente Greason tornò ad aprire
lentamente gli occhi, temendo di vedersi nuovamente “troneggiare” davanti la grinta
austera del colonnello Hardgison…!
Non
era il colonnello… anche se la figura apparsa stavolta davanti ai suoi occhi,
benché notevolmente più piacevole, non avesse molto da invidiare in quanto ad
austerità!
Alta,
slanciata, flessuosa e mora… con l’acconciatura a coda di cavallo, ornata da un
semplice fiocco rosso… un viso grazioso, anche se “inseverito” da quegli
occhiali con le lenti a spicchio che osservavano con attenzione la sua cartella
clinica.
Andy
abbozzò un sorriso: “Ehi… salve…!!”
La
ragazza lo degnò allora della sua attenzione, negandogli però quel sorriso di
ritorno che l’incauto ufficiale sperava di ottenere.
“Come
si sente?” gli domandò invece con voce piatta e piuttosto fredda.
Il
giovane sentì i muscoli facciali tornare in posizione di riposo: “Mai stato
meglio in vita mia…!” rispose comunque, con nonchalance.
L’infermiera
corrugò invece le sopracciglia: “Su questo ho seri dubbi…!” ribatté, sempre con
tono glaciale.
“Co…
come sarebbe…?” balbettò Greason, un po’ sgonfiato.
L’altra
tornò a leggere la cartella: “Incrinatura multipla del torace… frattura
composta dell’omero sinistro… leggero trauma cranico con sospette
complicazioni…” gli rivolse nuovamente uno sguardo severo “…se per lei ciò vuol
dire non essere mai stato meglio…!”
L’aviatore
deglutì un paio di volte. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare alcuna
precedente situazione in cui si fosse sentito meno a suo agio!
“Beh,
ecco… intendevo solo dire che… mi sentivo meglio a vedere…” la donna lo
ascoltava impassibile, con le braccia conserte “…a vedere lei…!” terminò con un
sorriso per tentare di essere più convincente.
Sentita
la conclusione del suo discorso, l’infermiera riappese con calma la cartella clinica
alla pediera del letto. Dopodiché, ostentando una flemma olimpica, si avvicinò
lentamente all’altro capo dello stesso. Prima ancora che il malcapitato tenente
potesse formulare una qualsiasi congettura, la ragazza appoggiò i palmi delle
mani alle due estremità del materasso, incombendo minacciosamente su di lui,
col viso atteggiato a nobile rigore…
Istintivamente,
Andrew Steve Greason si portò le lenzuola fino al mento.
“Sarà
bene mettere in chiaro le cose, tenente” il suo viso non distava che una ventina
di centimetri dal suo “se crede che sia stata mandata qui per farle da
intrattenitrice, si sbaglia di grosso: io sono qui per occuparmi di lei in senso
esclusivamente medico! Sarà bene che
assimili questo concetto seduta stante, se non desidera che qui dentro accadano
spiacevoli incidenti! Sono stata chiara…?”
L’uomo
tornò a deglutire. Pur tenendo conto delle debite differenze, il tono di quella
voce risuonava non meno autoritario e perentorio di quello del suo comandante
di reparto.
“Sono
stata chiara…?” tornò a domandare lei, senza alzare la voce.
Benché
si trattasse di una semplice acqua di Colonia, il profumo di quella ragazza
stava dando nella testa all’aviatore…
“Sissignora…!”
riuscì a stento a balbettare.
“Bene:
e adesso si giri sulla pancia.” rispose lei, mimando l’istruzione con le dita.
“Pe…
perché…?”
“Perché
è l’ora della sua iniezione.”
Meccanicamente,
senza più obiettare, Andy fece quanto gli era stato detto, cercando di
raccogliere meglio le idee: *Accipicchia, che caratterino! Meno male che è
carina, se no… un momento: cos’è che ha detto? Iniezione…??!*
Rivoltatosi
di nuovo, rivide l’infermiera nell’atto di preparare una siringa… una siringa
con un ago decisamente troppo acuminato per i suoi gusti!
“Ehi,
ma… scusi un attimo: ha detto iniezione…?”
“Esatto.”
rispose lei terminando di aspirare il liquido dalla fiala.
“Ma…
vuol dire che… me la farà lei…?!”
“Qualche
problema?” ribatté la ragazza in tono sarcastico, premendo lo stantuffo per
eliminare le bolle d’aria. Il tenente Greason si ritrovò a deglutire ancora una
volta… ma, facendo appello a tutto il suo proverbiale sangue freddo, rispose
risoluto: “Beh, direi! Cioè, insomma… io sono un ufficiale!”
“In
questo momento è solo un paziente” rispose, ferma, la ragazza “e, come tale, è
tenuto a sottostare senza storie alle prescrizioni del personale sanitario, se
tiene alla sua salute… e alla sua idoneità di pilota!”
Colpito
dalle sue ultime parole, Andy non si dette tuttavia per vinto: “D’accordo, ma…
lei è… è una donna!!”
Senza
la minima traccia d’imbarazzo sul volto, la sua interlocutrice ribatté: “No, io
sono una crocerossina. E lei - ripeto - è un ferito ricoverato che ha il dovere
di farsi rimettere in forma al più presto per essere nuovamente in grado di
servire la Patria,
come ha giurato di fare per sua stessa libera scelta. Conosco anch’io il
regolamento militare, tenente.”
Anche
se più tardi - ragionando a mente fredda - il giovane ufficiale avrebbe tranquillamente
riconosciuto la giustezza di quel discorso, lì per lì, quel tono autorevole,
più o meno inconsciamente caricato d’ironia, non gli piacque affatto. Strinse allora
i lembi del lenzuolo: “Crocerossina o no, lei è pur sempre una donna” sbottò “mentre
io, paziente o meno, sono pur sempre un uomo, almeno fino a prova contraria!
Per cui…”
L’infermiera
lo guardò fisso, inclinando il capo e il suo sguardo obliquo provocò al tenente
uno strano formicolio dentro lo stomaco.
“Posso
chiederle da dove viene, tenente…” tornò a sbirciare la sua cartella
“…Greason…?”
Il
pilota la osservò con attenzione. In quel momento il viso di lei sembrava aver
perso quel velo di acidità finora mostrato e le sue labbra - tutto sommato
abbastanza invitanti - abbozzavano una traccia di sorriso.
“Da
Providence, nello Stato del Rhode Island.” balbettò.
“Providence,
Rhode Island… adesso ho capito: un altro puritano del New England, eh?”
Andy
sobbalzò: “Come sarebbe puritano?!
Guardi che io…”
“Beh…
se la turba così tanto mostrare il suo culetto a una donna, provi a immaginare
che io sia l’ostetrica che assistette sua madre nel partorire.”
“Ma
che cosa le salta in mente??! Ora sta proprio esagerando, lo sa?!”
Lei
scosse la testa: “No, tenente, è lei che esagera. O meglio, lei abusa della mia
pazienza e del mio tempo! Quindi ora le do due possibilità: o rivolta le sue
chiappe verso il soffitto e si lascia fare questa dannata iniezione o dovrò
fare rapporto all’ufficiale medico riguardo al suo stupido ostruzionismo. E credo
proprio che la sua indisciplina, aggiunta alla grave imprudenza che ha mostrato
durante la missione,[1] sarà
sufficiente a costringere i suoi superiori a ritirarle il brevetto e a spedirla
in un qualche pulcioso reparto di fanteria” fece una pausa e, in tono quasi
suadente, terminò “ha afferrato il concetto, tenente…?”
Ci
vollero alcuni secondi prima che Andy si rendesse conto di stare ancora
trattenendo il respiro. Finalmente si riscosse, respirò a fondo e rispose, con
voce flebile: “Sì, credo… di avere compreso!”
“Molto
bene. Si rivolti.”
Greason
obbedì e fece del suo meglio per rimanere impassibile quando sentì che la donna
gli toglieva le coperte e gli abbassava i pantaloni del pigiama…
“Ah,
gli uomini” esclamò l’infermiera, tornando a impugnare la siringa “come faranno
a vergognarsi di farsi vedere da una donna? Li facciamo noi, li laviamo noi… io
proprio non lo so!”
“Ha
finito…?!” chiese lui, con tono piuttosto seccato.
“Sì,
ho finito.”
Andy,
che intendeva chiederle se avesse finito di polemizzare, allorché si sentì
massaggiare la natica e rialzare i calzoni, ribatté sorpreso: “Ma come? Già
fatto…?!”
“Certo,
non lo vede?” rispose lei, mostrandogli la siringa vuota.
“Ma
io non ho sentito nulla!”
“Forse
perché so fare il mio mestiere meglio di quanto lei non sappia fare il suo!”
Il
pilota arricciò il naso: “Allora deve saperlo fare davvero bene, sorella…!”
“Si
rimetta giù: non giova alle sue costole stare in quella posizione.” così
dicendo lo afferrò abilmente ai fianchi e lo riadagiò supino, sistemandogli per
bene il guanciale. Quindi gli rincalzò le coperte, mostrando una cura che
andava forse un po’ oltre il professionale.
“E
adesso cerchi di dormire, d’accordo?”
“Ci
proverò. Ah, senta…”
“Cosa
c’è, ancora?”
“Beh,
insomma… a quanto pare, lei sa già parecchio di me, mentre io non so nemmeno il
suo nome. Non mi sembra giusto!”
“Viviamo
in un mondo tutt’altro che giusto, tenente!” sospirò lei.
“E
questo le impedisce di dirmi come si chiama?” insistette lui, sorridendo.
“Hamilton.”
rispose la ragazza, facendo per andarsene.
“Ehi,
aspetti” esclamò l’altro, riuscendo ad afferrarle una mano “Hamilton… e poi…?”
L’infermiera
emise un leggero soffio e si rivoltò verso il giovane: “Flanny… Flanny Hamilton.”
Tenendole
stretta la nano, lui rimpallò: “Flanny… è un nome molto dolce, com’è logico che
sia!”[2]
“Non
mi canzoni… e mi lasci quella mano, se non le dispiace!”
“Parlo
sul serio” replicò lui, accontentandola “beh, il mio nome completo lo ha già
letto sulla scheda… ma lei può chiamarmi Andy.”
La
giovane tornò a fissarlo con uno sguardo che non riusciva ad essere severo
quanto avrebbe voluto. Infine sibilò: “D’accordo…!” e fece nuovamente per
avviarsi.
Andy
Greason, che si era aspettato un’altra battuta pungente, rimase piacevolmente
sconcertato. E questo, complice anche il suo temperamento da incosciente, lo
spinse un po’ troppo al di là di quanto avrebbe dovuto: “Un momento… avrei
bisogno di una cosa…!”
L’infermiera
non vedeva l’ora di lasciare quella stanza, tuttavia si girò ancora una volta e
lo guardò, interrogativa. Lui le fece il segno con l’indice: “Può venire qui?
Solo un attimo…!”
Flanny
rimase interdetta un istante. Poi, rassicurata dallo sguardo impassibile del
giovane, obbedì e si appressò nuovamente a capo del letto.
“Ecco,
vede… acc… che male al collo…!”
Spinta
dai suoi scrupoli professionali, la ragazza si avvicinò quel tanto che bastava…
ed Andy, fulmineo, le mise le mani sulle spalle: “Volevo dirle che è proprio il
mio tipo, Flanny… davvero!”
E,
prima che lei potesse reagire, la baciò.
Non
fu un bacio particolarmente sfacciato (il giovane tenne la lingua a posto)…
però… beh, per Flanny Hamilton era anche troppo! Come poteva lei, la “signorina
iceberg”, lasciar passare una cosa del genere?
“COME
SI PERMETTE, DISGRAZIATO…??!!!”
Un
sonoro e potente ceffone fece seguito a quelle parole. È superfluo dire che
adesso, ad Andy, il collo doleva davvero!
“NON…
NON CI PROVI MAI PIÙ… HA CAPITO…??!” ribadì la ragazza, rossa in faccia come la
brace. L’indignazione la scuoteva fin dentro le viscere… nemmeno durante il suo
tirocinio, un certo William McGregor aveva mai osato tanto!
Il
tenente stava per ribattere con una battuta probabilmente infelice. Ma, quando
vide due lacrime spuntare dagli occhi della graziosa infermiera, fu colto da un
vago senso di disagio e provò anche un certo rimorso: “Mi… mi dispiace! Io…
beh, è stato più forte di me…”
“Già…
certo!! Voi militari non cercate mai nient’altro in una donna, vero?!”
Il
cuore di Andy mancò di un battito. Si sentì come quando, a bordo del suo P-40,[3] aveva
intuito di avere soltanto una possibilità di conservare la buccia: azzeccare la
manovra giusta per riprendere il controllo. Per cui la guardò con fare serio e
rispose: “Flanny, ascolti… io… non posso parlare per gli altri. Ma, in quanto a
me… l’ho fatto perché lei mi piace sul serio. E non solo in quel senso… mi capisce?”
“Ah,
davvero…? E naturalmente pensa che io ci creda, eh?!” rimbeccò, con voce
metallica.
“Oh,
no… non lo penso affatto” abbassò lo sguardo “non sono poi così stupido! Però…”
“Però
cosa…??”
Andy
rialzò lo sguardo e tornò a fissarla, sorridendo ancora: “…però… ci spero…!”
La
donna rimase a guardarlo per parecchi secondi e infine rispose, ironica: “Bene…
sarà interessante vedere se riuscirà a convincermi!”
Punto
sul vivo e col più bel sorriso dipinto sul volto, Andy Greason domandò: “Non
vorrà mica che ci provi…?”
Flanny
rimase a bocca aperta. Il suo buon senso le suggeriva di starsene zitta e
mollarlo lì, ma il suo orgoglio ebbe il sopravvento.
“Ci
provi…! Ci provi pure, se proprio ci tiene” gli puntò contro il dito “ma si
auguri di uscire al più presto da questo ospedale… perché le farò sputare
sangue, caro il mio…” i suoi occhi ebbero un guizzo momentaneo “…caro il mio Andy…!!”[4]
Poi,
voltatogli definitivamente le spalle, marciò impettita verso l’uscita, che
varcò prima di sbattere la porta.
Il
giovane pilota si rilassò sul cuscino, massaggiandosi la guancia offesa. Per qualche
istante il suo volto sembrò manifestare una lieve perplessità; poi tornò a
sorridere, compiaciuto: “Però… è tosta, è…!!”
[1]Non aveva resistito alla tentazione di attaccare un Nakajima Hayabusa dal basso, cosicché il
giapponese, forte della sua manovrabilità ben superiore, lo aveva bastonato di
brutto. Da qui la “lavata di capo” che aveva subito, prima del ricovero, dal
colonnello Hardgison.
[3]Il Curtiss P-40Warhawk/Kittyhawk, assieme al Bell P39 Airacobra, è stato il caccia americano
di prima linea fino all’avvento dei tre più celebri purosangue: Lockeed P-38 Lightning, Republic P-47 Thunderbolt e North American P-51 Mustang. Pur essendo
poco maneggevole in quota era molto robusto e discretamente armato. La tattica
delle Tigri Volanti era appunto
quella di attaccare i caccia giapponesi dall’alto e sfruttare poi la maggior
velocità di picchiata per evitare di essere raggiunti dai superstiti.
l
rombo degli Allison[1]
proveniente dai caccia che partivano per le missioni lo faceva impazzire. Era come
se gli entrasse in risonanza con la cassa toracica, martoriando quelle povere
costole, le cui incrinature - grazie alla robusta fibra e alle cure impeccabili
- si stavano rapidamente sanando.
Tuttavia
rimanere in quel letto rappresentava per lui una vera tortura. Starsene in ozio
mentre i suoi compagni andavano su a rischiare la pelle lo faceva sentire
veramente inutile, pur riuscendo efficacemente a combattere la depressione con
la rabbia.
Purtroppo
la prognosi del dottor Riley - il maggiore medico del reparto - gli aveva imposto
ancora cinque giorni di degenza.
Se
almeno gli avessero consentito di fare una visita all’aerodromo per assistere e
ai decolli e agli atterraggi… ma con quella specie di “kapò” dal viso d’angelo
che presidiava la camerata, c’era poco da sperare: ormai non si azzardava
nemmeno più ad alzarsi, dopo il “cicchettone” che si era buscato proprio quella
mattina…!
***
Dopo
essere stato svegliato dal consueto rumore dei decolli, si era dimenato per un
po’ nella branda, tanto quanto glielo permettevano le strette fasciature. Poi,
non potendone più, si era alzato andando ad affacciarsi alla finestra.
La
sola vista dei caccia che si alzavano sorvolando, già abbastanza alti, la
baracca dell’ospedale era stata per lui un sollievo impagabile.
Volare
era la sua ragione di vita… da quando suo padre, tornato dall’Europa nel 1918
dopo aver militato nella Escadrille
Lafayette lo aveva portato in volo sul suo Bebè, che aveva acquistato dalla Neuport dopo essersi congedato.[2] Era
stata un’esperienza così fantastica, da segnare irrimediabilmente il suo
destino.
Andy
adorava la sensazione trasmessagli dal velivolo ogniqualvolta accendeva il
motore: lo sentiva pulsare come se fosse il suo stesso cuore e le vibrazioni
della macchina, mentre spingeva la manetta in avanti per lanciarlo nella corsa
di decollo, gli penetravano sotto la pelle come le carezze di una persona amata…
in pratica, lui ci faceva all’amore, col suo aeroplano!
“Ehi,
signore” lo distolse un suo compagno di degenza, il sottotenente Victor Sanders
“attento a quello che fa: se la vede miss
pezzo di ghiaccio, passerà un brutto quarto d’ora… sta rischiando grosso!”
Il
tenente Greason non si voltò nemmeno a guardarlo, rimanendo con le mani
appoggiate al vetro: “Non farmi ridere… fra qualche giorno potrei crepare
bruciato a ventimila piedi di quota! Se credi che quella moretta mi faccia
pau…”
“TENENTE…!!!”
rimbombò all’improvviso una voce metallica.
“Comandi…!!”
urlò di rimando il malcapitato, scattando sull’attenti e voltandosi poi con
estrema cautela.
“Si
può sapere che sta facendo fuori dal letto…??!”
“Beh,
ecco… pensavo di…”
“Lei
non deve pensare” ribatté Flanny
Hamilton mettendosi una mano su un fianco e reggendo con l’altra un contenitore
di schede “lei deve solo obbedire
alle disposizioni. Si ricorichi immediatamente!”
Più
per salvare la faccia che per tentare di convincerla - ben conscio che non ci
sarebbe comunque riuscito - Andy accennò una timida ribellione: “Suvvia, sia
buona” disse, con un sorriso alla Rodolfo Valentino “solo altri cinque
minuti…!”
Per
tutta risposta la fiera infermiera[3]
sbatté violentemente sul tavolo vicino il porta-schede che aveva con sé. Quindi
si avvicinò al suo indisciplinato paziente… il quale notò - o credette di
notare - una scintilla che brillava sopra una lente dei suoi occhiali.[4]
Barcollando,
indietreggiò d’istinto verso il letto, finché le gambe non ne urtarono la
sponda facendogli mancare chiaramente l’equilibrio. Per quanto morbida, la
caduta gli strappò suo malgrado un’imprecazione di dolore, cosa che fece
stringere i denti a miss pezzo di
ghiaccio. Senza dire una parola, costei gli afferrò le gambe e gliele stese
sul materasso, poi impugnò le coperte e, con velocità supersonica ante-litteram,[5] lo
rincalzò così stretto da non permettergli più il benché minimo movimento! Infine
si chinò su di lui e gli puntò contro il dito… e ad Andy parve davvero che
glielo ficcasse in un occhio.
“La
sa una cosa? In Patria avevo una collega che si chiamava quasi come lei… ed era spesso maledettamente propensa a derogare
alle regole. Sicuramente ci si sarebbe trovato molto bene…!”
“Di…
dice…?” balbettò l’aviatore, deglutendo.
“Ne
sono sicura. Peccato mi sia offerta volontaria prima io! Così adesso devo
occuparmi, al suo posto, di un dannato rampollo viziato di buona famiglia,
venuto fin qui in cerca d’avventure…!”
“Beh,
ma veram…”
“Stia
zitto!! E badi bene che, se non mi considera in grado di metterla in riga una
volta per tutte, le farò cambiare idea molto alla svelta!”
“Ma
io…”
“Stia
molto attento, tenente” insistette lei alzando l’indice davanti al naso di Andy
“la esorto a non mettermi alla prova: io non sopporto gli individui che
trascurano la propria salute. Troppe persone, a questo mondo, soffrono e muoiono
senza la fortuna di avere qualcuno che si occupi di loro…” detto questo si
rialzò e la sua espressione si raddolcì quasi di colpo “…non mi costringa a considerare
tempo sprecato il prendermi cura di lei, tenente Greason…!”
Oramai
Andy aveva inghiottito tutta la saliva che teneva in bocca. Poche volte, nella
sua giovane vita, si era sentito spiazzato in quella maniera. A dispetto delle
sue parole dure - che comunque riconosceva giuste - la voce della donna conteneva
un fondo di dolcezza. E i suoi occhi… beh, magari era solo un’impressione,
però… sembrava proprio che stessero luccicando!
Il
tenente avvertì una leggera fitta al cuore… ed era quasi sicuro che non fossero
le costole.
“Va
bene, d’accordo” annuì, conciliante, sorridendo bonariamente “le prometto che
farò il bravo…!”
“Così
mi piace. E ora si metta tranquillo… perché, se fra cinque minuti non dorme, le
somministrerò una dose massiccia di tranquillante. Ha inteso?”
“Forte
e chiaro” sussurrò lui “però non si preoccupi così, per me: adesso mi sento meglio.”
“Dice
davvero?” chiese Flanny riprendendo la cartella “Non sente più male?”
“No,
no… per niente!”
“Sicuro
sicuro…?” tornò a chiedergli, riavvicinandosi.
“Ma
certo, come glielo devo di… AHIAAA…!!!”
“Ha
visto che sente ancora male? Ahh… la pazienza che ci vuole coi maschietti…!”
Massaggiandosi
energicamente la guancia “offesa” dal robusto ganascino di Flanny, il tenente
rimase leggermente imbambolato a contemplare l’ondeggiamento della sua lunga e bruna
coda di cavallo.
Nel
passare accanto al letto di Victor Sanders, l’infermiera sbirciò quest’ultimo con
la coda dell’occhio e il compagno di squadra di Andy si tirò su istintivamente la
coperta. Come vide che Flanny si disinteressava completamente a lui, Sanders
emise un respiro di sollievo. Poi, quando la ragazza si richiuse la porta alle
spalle, si voltò verso Greason, ancora intento a massaggiarsi la parte lesa: “E
adesso sono cavoli suoi, tenente…!”
“Piantala,
se non vuoi che, alla prossima uscita, scambi accidentalmente il tuo aereo per
uno Zero…!”[6]
L’altro
non fece una piega, limitandosi ad appoggiare la testa sul guanciale per
schiacciarci sopra un pisolino. Il compagno, dal canto suo, memore della
“minaccia” di poco prima, decise di affrettarsi ad imitarlo.
Anche
se, pur facendo del suo meglio, di dormire proprio non gli riuscì...!
[1]I motori in linea Allison V1710
di cui erano equipaggiati i caccia CurtissP-40 delle Flying Tigers (Tigri Volanti).
[2]La squadriglia di volontari statunitensi comandata dal
famoso Billy Mitchell (che diede il nome al North
American B-25, utilizzato nel primo raid su Tokyo del 18 Aprile 1942 al
comando del colonnello James Doolittle) inquadrata nei ranghi dell’Aviazione
Francese. Nella realtà, il suo asso più famoso è stato Eddie Rickenbacker con
28 vittorie; mentre, nella dimensione candyana, è stato sicuramente Alistair
Cornwell, del quale però ignoriamo lo “score”. Il NeuportBebè è stato
infine un famoso caccia della I G.M.
[4]Qualche anno più tardi, quando il famoso giornalista
Drew Pearson intervistò l’ormai affermato “asso degli assi” e comandante della
Decima Forza Aerea, chiedendogli se mai avesse avuto paura, “l’aquila
americana”, dopo averci riflettuto un attimo, rispose sicuro: “Una volta sì… e
tanta. Ma mi trovavo a terra…!”
[5]Soltanto nel dopoguerra gli aerei, grazie ai nuovi
propulsori a getto, avrebbero superato il muro del suono (almeno in volo
orizzontale).
[6]Il Mitsubishi A6M
Reisen, detto Zero, è stato il
miglior caccia giapponese dal 1940 al 1943, quando entrò in servizio il Nakajima Ki84 Hayate (in codice Frank).
rmai
il tenente Andrew S. Greason si era già abituato a riaprire gli occhi e a scorgere,
come prima cosa, il volto piacevolmente risoluto della sua “tutrice” dagli
occhialini con le lenti a spicchio… vista che, mano a mano che il tempo
passava, gli appariva sempre meno traumatica. Fenomeno, questo, dovuto in gran
parte al leggero ma costante schiarimento della grinta da parte della bella ma
inflessibile infermiera (era quasi arrivato a non considerare più così
sgradevoli nemmeno le iniezioni).
Sarà
quindi facile capire come la desueta presenza al suo capezzale del roccioso
colonnello Hardgison gli tornasse a rendere nuovamente brusco quell’inizio di
giornata!
“Buongiorno,
tenente!” gli disse il comandante del reparto, in tono secco.
“Ah…
oh…!! B… buongiorno a lei, signore…!!” farfugliò il ricoverato, balzando
immediatamente in su col tronco e salutando.
“Bene,
bene… ormai può alzarsi da solo, a quanto vedo.”
“Certo,
signore. Ho ancora le fasce, ma ormai sono solo un fastidio, più che un
impedimento.”
“Perfetto.
E, nel complesso, come si sente?”
“Beh…
abbastanza bene, direi!”
“Abbastanza
da pilotare un aereo…?”
La
bocca di Andy si allargò pavlovianamente[1] in un
sorriso, che però si smorzò subito. Solo qualche giorno prima il giovane pilota
non avrebbe esitato un attimo nel rispondere affermativamente. Ma ora che uscire
dall’ospedale, oltre a riprendere i voli, avrebbe anche comportato allontanarsi
dal suo adorabile cerbero, l’idea gli appariva un po’ meno allettante…!
Rispose
comunque con decisione, seppur con qualche secondo di ritardo: “Certamente sì,
colonnello!”
“Molto
be…”
“MA
NEMMENO PER IDEA…!!!”
Nell’udire
quella perentoria affermazione, l’ufficiale superiore si voltò di scatto,
constatando la presenza della caposala. Per la verità, era già entrata da qualche
minuto e si stava attardando a sistemare alcuni medicinali per dar tempo al colonnello
di togliere il disturbo. Nella camerata non c’era più nessuno, a parte Andy,
dal momento che il suo collega Sanders era stato dimesso dal giorno precedente.
L’infermiera
dalla mora coda cavallina si avvicinò risolutamente al superiore del suo assistito e si piantò a due passi da
lui, tenendo le mani incrociate davanti al grembiule dell’uniforme: “Signor
colonnello… il tenente sarà dimesso dopodomani. Nell’incidente ha riportato
lesioni non gravi ma importanti, che necessitano una completa rimarginazione. Farlo
rientrare in servizio oggi comporterebbe un rischio del tutto sproporzionato
alle circostanze!”
L’interessato
fece per aprire la bocca, ma un perentorio sguardo ferreo della ragazza gli
bloccò all’istante i muscoli mascellari. Dal canto suo, il colonnello Hardgison
si permise un sorrisetto ironico: “Di quali circostanze parla, signorina? Forse
le sfugge il particolare che non siamo precisamente in tempo di pace: stamattina
abbiamo perso quattro piloti, fra cui il capo-squadriglia del tenente. Siamo
rimasti decisamente sotto organico, mentre quei demoni gialli[2]
continuano a ricevere rinforzi. Capisco che questo ragazzo le stia a cuore… ma
purtroppo, oltre ad essere un emerito testone, è anche un eccellente pilota e
abbiamo bisogno di lui, lassù. Per cui…”
“Io
sto benone, signore…!” intervenne Andy Greason, in tutta fretta. L’intenzione
non era tanto quella di contraddire la sua “custode”, ma piuttosto di sviarne l’attenzione
dalla compromettente battuta del colonnello: Capisco che questo ragazzo le stia a cuore…!
Fosse
l’irritazione per essere stata contraddetta o per avere invece assimilato
quella frase sibillina, il viso di Flanny si fece subito rosso fuoco: “Colonnello”
sibilò “le ripeto che al tenente necessitano ancora due giorni di degenza. Io non
posso consentire che un paziente affidato alla mia sorveglianza venga dimesso
in base al suo proprio giudizio. Specialmente se, come ha ricordato lei stesso,
si tratta di un elemento particolarmente caparbio!”
“Ehi,
un momento…signorina…!” tentò ancora il
malcapitato “paziente”.
Quest’ultima
gli lanciò allora uno sguardo veramente fulminante. Anche perché, fortuita o
meno che fosse la cosa, era la prima volta che il ragazzo la chiamava così.[3]
“Lei
taccia, tenente” l’infermiera alzò decisamente la voce “sempre che l’ufficiale
medico non decida altrimenti, ho detto che la dimetteremo dopodomani. E così
sarà!”
“Si
calmi, miss Hamilton: ho già parlato io col colonnello.”
Gli
altri tre si voltarono. Il maggiore medico Michael Riley[4] era
entrato nella stanza, ostentando un’espressione decisa, pur se leggermente
contrariata.
“Data
la grave emergenza in corso, se il tenente ritiene di sentirsi in grado di
volare, possiamo consentire al suo momentaneo rientro in servizio… momentaneo: ha inteso, colonnello?”
Hardgison
annuì con severità, ma l’infermiera non se ne dette ancora per intesa: “Ma… ma
dottore: le incrinature del tenente Greason non si sono ancora del tutto
rimarginate… e qui non si tratta solo di volare, ma di combattere! Le
sollecitazioni che un pilota riceve da un aereo da caccia…” il tono della sua
voce, nonostante gli sforzi per mantenerlo misurato e professionale, era tutt’altro
che fermo.
“Flanny”
il dottor Riley guardò pacatamente la sua subordinata “ho già visitato il
tenente stamattina, come ricorderà e le sue condizioni risultavano straordinariamente
migliorate… grazie a lei, indubbiamente. Anche se condivido le sue riserve in
merito, ritengo che il rischio sia abbastanza calcolato. Va da sé che il
tenente dovrà risottoporsi a osservazione, una volta a terra.” concluse,
indirizzando un’eloquente occhiata al comandante.
“D’accordo,
maggiore” rispose Hardgison “e grazie per il suo beneplacito. Greason, si
sbrighi a prepararsi: il briefing è fra dieci minuti.”
“Signorsì!”
Il
colonnello lasciò la stanza e il dottore, dopo aver sussurrato qualche
disposizione all’orecchio di Flanny, le batté due volte la mano sulla spalla e
si ritirò anche lui.
Rimasti
soli, la caposala guardò dritto negli occhi il tenente, quindi esclamò: “Bene,
a quanto pare ce l’ha fatta a sgusciarmi dalle grinfie prima del tempo! Mm…?”
Di
nuovo quel luccicore in quegli occhi, vero o presunto che fosse.
“Mi
dispiace… sono certo che il dottore non avrebbe mai dato il suo consenso, se
non fossimo in guerra.”
“Di
questo può star sicuro. Ma in guerra è tutto lecito, no…?!”
Andy
osservò l’espressione di quel bel viso farsi improvvisamente molto dura e sentì
come una forte sensazione di disagio. Come se, all’improvviso, si rendesse
conto del dolore che provavano tutte le persone come lei - che avevano scelto
di dedicare la vita a lenire le altrui sofferenze - davanti al continuo
spettacolo di giovani forti e sani, ridotti in fin di vita dalla violenza della
guerra. Dolore mischiato al disgusto che, senza alcun dubbio, suscitava in loro
tutto quello spreco assurdo, che, tenendo forzatamente impegnati innumerevoli
sanitari nell’assistere i combattenti, impediva loro di occuparsi di tutti i
malati e i feriti che pure popolavano le cosiddette retrovie.
Ecco,
in quel momento Andrew Steve Greason, rampollo di un’agiata famiglia della
Costa Atlantica, sentì di poter dare un significato assai più nobile a quello
che i suoi colleghi davano di solito nell’appellare quelle eroine come “angeli
combattenti”!
“Purtroppo
è così… e non mi piace! Ma non l’ho fatta scoppiare io, la guerra, signora
Flanny.” l’appellativo gli venne spontaneo. Mai come in quel momento, nubile o
meno, la stava vedendo come una donna… e con la D maiuscola.
Lei
lo guardò intensamente, percependo come un tono di scusa nelle sue parole… che
indubbiamente apprezzò, anche se questo non le impedì di formulare questa
logica osservazione: *Però la sei venuta a combattere…!*
Tuttavia
si limitò a pensarlo, mentre gli faceva un cenno: “Venga, su: diamo una
controllata a quelle fasce.”
Andy
si avvicinò docilmente, slacciandosi la casacca del pigiama da ospedale. Lei
eseguì l’operazione con rara maestria, poi gli chiese: “Vuole che l’aiuti a
vestirsi?”
Il
tenente restò interdetto per un istante. Un diavoletto rosso sopra una spalla
gli suggeriva di rispondere di sì… ma l’angioletto azzurro su quell’altra gli
suggeriva esattamente il contrario. Del resto, l’avrebbe fatta preoccupare.
Ma
come rifiutare il suo aiuto senza sembrare scontroso? Il suo cervello, allenato
a rispondere istantaneamente per adeguarsi alle cangianti situazioni del
combattimento aereo, trovò la soluzione: “Non si preoccupi, ce la faccio”
rispose, con un caldo sorriso “altrimenti non sarei certamente in grado di
pilotare!”
L’infermiera
annuì: “Allora esco un attimo. Ci vediamo dopo.”
Dopo
che fu uscita dalla camerata, il pilota si avvicinò a un armadietto e ne trasse
fuori i suoi indumenti, indossando poi rapidamente i calzoni in avirex[5] color sabbia e la
camicia color cachi con l’aquilotto dorato sopra la tasca sinistra. Dopo
essersi allacciato la cravatta del medesimo colore, ne infilò l’estremità fra
due bottoni della camicia. Quindi s’infilò il giubbotto di pelle col bavero di
lana d’agnello e le spalline riportanti le sbarrette d’argento del suo grado.[6]
Dietro la schiena era dipinta la bandiera della Cina Nazionalista, con lo
stesso sole bianco inscritto in un cerchio azzurro che spiccava sugli stessi
aerei delle Flying Tigers.[7] Per
ultimo afferrò il berretto con l’aquila dorata sopra la visiera (era più
scomodo delle bustine, ma quelle non le aveva mai sopportate).
Quando
si mosse vide Flanny nell’atto di aspettarlo sulla soglia con qualcosa in mano.
“Se
dovesse accusare dolore” gli disse presentandogli un flacone di compresse “non
esiti: prenda subito un paio di queste.”
*Sempre
che sia in grado di farlo…!* commentò mentalmente lui. Ma prese la boccetta e
le sorrise: “Grazie… e non stia troppo in ansia per me: mi sento in forma,
glielo assicuro.”
“Bene…!”
replicò lei, a bassa voce.
“E…
a proposito: grazie di tutto…!”
L’infermiera
abbozzò appena un’ombra di sorriso: “Dovere, tenente.”
“Beh,
devo andare… ci vediamo al mio ritorno.”
Lei
annuì. Sembrava incapace di dire altro.
Rigirandosi
il berretto fra le mani, l’uomo si decise a schiodarsi da lì, prima che il suo
istinto avesse il sopravvento e gliela facesse stringere tra le braccia. Per la
prima volta il solito sfarfallio, da sempre avvertito nello stomaco prima di
decollare, non era dovuto alla tipica ansia da pre-combattimento! Ma si
trattenne; non tanto per il rischio di beccarsi un altro schiaffo, quanto per
quello d’irritarla involontariamente.
Mise
il berretto in testa e le voltò le spalle. Ma, al primo passo che fece, la voce
di lei lo ribloccò: “Buona fortuna, ten… Andy…!!”
Stavolta
ne fu più che certo: sentiva un tremito in quella voce. Rivoltatosi, le tornò
di fronte… sempre quel diavoletto rosso gli suggerì di ripetere il gesto del
primo giorno,[8] ma l’angioletto azzurro
ebbe di nuovo la meglio: si limitò a sorriderle di nuovo e ad accarezzarle,
esitante, una guancia.
“Tranquilla:
io ci ritorno sempre, a terra. Specialmente da adesso in poi…!”
A
questo punto fu l’angioletto di Flanny ad avere la peggio, poiché la ragazza
non resse all’istinto e lo abbracciò stretto, con una foga non proprio salutare
per le sue incrinature!
“Stai
attento… mi raccomando!” sussurrò, col mento appoggiato alla sua spalla.
“Promesso…!”
rispose lui, ricambiando l’abbraccio.
Rimasero
così per diversi secondi. Nessuno dei due capiva bene cosa fosse successo… non
era stato - nemmeno per Andy - uno stimolo da desiderio fisico, tanto che a
seguire non vi fu - almeno quella volta - nemmeno il bacio. Era solo il bisogno
di sentirsi vicini e, specialmente per lei, il bisogno di sentirsi importante
per qualcuno.[9]
In
quanto a lui… beh, diciamo che nessuna lo
aveva mai messo così in riga, fino ad ora!
“Andy…!
Stavo venendo a cercarti. Sbri…”
I
due si staccarono immediatamente e Greason poté vedere la faccia stralunata di
James Stone, il suo migliore amico dal tempo di West Point.[10]
Il
tenente non si scompose più di tanto: “Sì, arrivo… eccomi…!” fece un ultimo
cenno di saluto a Flanny e si mosse verso il collega.
“Beh,
ti muovi…?!” gli gridò nel passargli accanto.
Mentre
trotterellavano verso l’aerodromo, il buon James, un gran pezzo di ragazzone
virginiano, fu incapace di starsene zitto: “Cribbio, Andy… ma allora Vic aveva
ragione! Questa me la devi proprio raccontare!”
“I
fatti vostri mai, voialtri, eh…?!”
rispose lui, senza guardarlo nemmeno.
Dietro
i due aviatori, assai lieta che non potessero vederle le guance arrossate (che
sentiva comunque in fiamme), Flanny Hamilton li guardava allontanarsi immobile,
con la bruna coda di cavallo che svolazzava dolcemente alla brezza del primo
pomeriggio.
[1]In riferimento all’istinto del famoso cane di Pavlov,
al quale veniva l’acquolina in bocca al suono di un campanello che sapeva
precedere l’arrivo del pasto.
[3]In effetti, benché fosse sua coetanea e nubile, l’aveva sempre chiamata signora.
[4]Per chi non lo avesse già capito, è lo stesso
personaggio che Candy incontra al suo arrivo a Chicago, durante il ricevimento
alla villa degli Andrew.
[5]Nome del materiale di confezionamento, tratto dall’omonima fabbrica.
[6]Una sbarretta per i tenenti, due per i capitani, la
foglia di quercia per i maggiori, l’aquilotto per i colonnelli e le stellette
per i generali.
[7]Cioè della Cina governata dal Kuomintang di Chiang-Kai-Shek che, dopo il ritiro di quest’ultimo
sull’isola di Formosa (1949), diventò la bandiera dell’attuale Repubblica di
Taiwan.
[9]Per nella sua “dimensione temporale alternativa”, il
mio racconto vuole essere, per ciò che riguarda i trascorsi dei personaggi,
assolutamente fedele alla storia originale. Non dimentichiamoci quindi che
Flanny Hamilton, a causa dei suoi problemi familiari, si è sempre sentita molto
sola.
[10]A West Point, nello stato diNew
York, c’è l’Accademia Militare. Quella Navale è ad Annapolis, nel Maryland.
nsomma,
Andy” insistette James Stone mentre si dirigevano verso la baracca dei briefing[1] “così
avresti fatto colpo su miss pezzo di
ghiaccio… questa sì che è una notizia!”
“Parliamo
di cose serie” tagliò corto l’interessato “il vecchio[2] ha
detto che stamattina abbiamo perso quattro dei nostri…!”
Il
volto del tenente Stone si fece immediatamente cupo: “È vero, purtroppo!”
“A
chi è toccata…?”
“A
Milford e Bielaski, della squadriglia del vecchio… a Giannelli, della
squadriglia di Maxwell e… a Talbott!”
L’ultimo
nome fece sussultare Andy: “Donny Talbott…?!”
Il
compagno annuì, tristemente: “Gli sono piombati addosso in due… non ce l’ha
fatta. È riuscito a riportare indietro l’aereo, ma… quando l’hanno tirato
fuori… è spirato quasi subito.”
Greason
strinse i denti. Donald G. Talbott, il biondo ragazzone del Kansas: un buon
pilota e un buon compagno, sotto tutti gli aspetti. Sarebbe mancato a tutti,
specialmente a…
“Cornwell
l’avrà presa male, immagino…!”
“Lo
puoi ben dire: è a pezzi!”
Andy
si passò una mano sulla faccia: “Accidenti…” sospirò “…questa non ci voleva
proprio! Beh, immagino che il vecchio lo dispenserà dal volo del pomeriggio.”
“Non
credo… siamo messi male, Andy: ci sarà bisogno di tutti. Di te, in particolar
modo, perché… beh, te lo dirà il colonnello stesso.”
L’amico
sbuffò: “Ehi, Jim: non tenermi sulle spine. Sputa, di che si tratta…?”
Stone
scosse la testa: “Facciamo tardi, amico: il briefing sta per cominciare.”
Andy
lo fissò intensamente per un attimo, poi entrò deciso nella baracca.
***
“La
missione di oggi” spiegò il colonnello Hardgison” consiste nell’intercettare un
reparto di bombardieri diretti a Chung-King. I nostri agenti ci hanno segnalato
il loro decollo dalla zona occupata e la nostra base è la più idonea per sbarrargli
la strada. Non occorre vi dica quanto sia importante fare in modo che non
riescano ad arrivarci: la città ha già subito duri colpi e la popolazione è
allo stremo. Inoltre, se riuscissero a colpire il palazzo del governo, sarebbe
una tragedia per il morale dell’esercito cinese: la perdita del generalissimo
li getterebbe nel più nero sconforto. Per cui dobbiamo assolutamente fermarli.”
Il
comandante del reparto scorse velocemente i volti di tutti i piloti che aveva
davanti, molti dei quali accusavano visibilmente la stanchezza e la tensione
provocate da tanti giorni di combattimenti ininterrotti. Per quanto
appartenesse alla Nazione più potente del Pianeta, in quel momento quel pugno
di uomini stava grattando il fondo del barile per opporre un minimo di
resistenza aerea alla preponderante aviazione nipponica, intenta ad appoggiare
la lenta conquista del martoriato territorio cinese. Ma il governo di
Washington (ancora ufficialmente neutrale con Tokyo) non poteva fare di più per
appoggiare quel lontano Paese amico.
Il
comandante attese che l’ufficiale di servizio riferisse le necessarie istruzioni
per la rotta e l’altitudine, quindi intervenne nuovamente per dare le ultime
disposizioni: “Se dovessero apparire gli Zero
di scorta, sapete cosa dovete fare: volate sempre in coppia, per mutua
protezione… se uno di loro vi attacca, tuffatevi in picchiata per distanziarlo,
lasciando che se ne occupi il vostro compagno; poi risalite di quota e cercate
di beccare lui. Se ce n’è più d’uno, tagliate entrambi la corda! Intesi?”
Si
levò un mormorio ad accompagnare l’assenso di tutti i piloti… quasi tutti.
“Ha
inteso anche lei, tenente Greason…?”
“Sissignore!”
esclamò quest’ultimo.
“Lo
spero” ribadì il colonnello “perché sarà lei,
oggi, a condurre la
Seconda Squadriglia.” L’altro sobbalzò: “Io, signore? Ma
perché…?”
“Perché
è il più qualificato per sostituire Talbott. A tal proposito, rimanga un
attimo: gli altri si preparino al decollo.”
Mentre
la saletta si svuotava rumorosamente, il tenente Greason si avvicinò al colonnello.
“Andy”
gli disse quest’ultimo, a bassa voce “ho già notificato al tenente Stone che
oggi volerà da leader col sergente Hames, che rimpiazza numericamente Talbott: ormai
è già idoneo per non volare più da secondo. Quanto a lei, volerà in coppia col sottotenente
Cornwell.”
Greason
ebbe un attimo di smarrimento: “Con Cornwell…?! Non lo lascia a terra, per
oggi? Con rispetto, credo che…”
“Se
potessi permettermi di tenere qualcuno a terra, non avrei convinto il dottor
Riley a dimetterla in anticipo, non trova? So perfettamente che ha subito un
brutto colpo ed è per questo che conto su di lei, per tenerlo d’occhio!”
Il
neo-comandante di squadriglia sospirò, osservando un collega che, giusto in
quel momento, stava inforcando gli occhiali da sole prima di uscire all’aperto.
Il suo viso, solitamente sereno e gioviale, era quel giorno decisamente funereo.
“Capisco,
signore… farò del mio meglio!”
“Bene…
mi raccomando!” concluse il superiore, congedandosi con una pacca sulla spalla.
Andy
si affrettò a raggiungere i compagni all’aerodromo, dove il tenente Stone stava
parlando col suo nuovo compagno di pattuglia, il giovane Vincent Hames, che
avrebbe reintegrato numericamente la loro unità. Poco distanti c’erano le
solite due inseparabili coppie: I Compari
di Chicago (Roy Master e Victor Sanders) e I Fratelli del Sud: John Maxim di Abilene (Texas) e Roger Williams
di Birmingham (Alabama). I primi erano chiamati così perché amici inseparabili
e i secondi perché si comportavano in pratica come tali… o meglio, il più
anziano (Maxim) trattava il più giovane (Williams) come un vero e proprio
fratello minore.
Poco
più in là, accanto al suo caccia con fare profondamente assorto, stava infine
il giovane Alistear Cornwell di Lakewood (Michigan) soprannominato -
amichevolmente - Sua Signoria. Il
motivo risiedeva nel fatto che i suoi genitori erano imparentati con una delle
più vecchie famiglie d’America, dove ancora vigevano ferree regole tradizionali
e un senso maniacale del blasone e dell’etichetta. Questo era in aperto contrasto
con la filosofia yankee, che si basa
sul concetto Guarda dove sono e non da
chi son nato! e, se non fosse stato per il carattere aperto e modesto, il
giovane Stear non se la sarebbe passata molto bene! Era invece abbastanza
benvoluto nel reparto, dove si era fatto alcuni buoni amici, fra i quali
appunto il tenente Donald Talbott (detto Donny)
di Lawrence (Kansas), perito tragicamente quella stessa mattina.
Il
tenente Greason non sapeva esattamente come comportarsi, al riguardo: era quella
la più grossa responsabilità che gli fosse capitata dall’inizio della sua
carriera militare!
Il
sottotenente Cornwell, accortosi della presenza di Andy, si riscosse e si
sforzò di abbozzare un triste sorriso: “Salve, capo…!” gli disse.
“Salve,
Stear…” Andy sorrise a sua volta, sollevato “…purtroppo ci rivediamo in
circostanze abbastanza schifose… comunque, animo” gli afferrò la mano e gliela
strinse con energia “la cosa migliore che possiamo fare per il povero Donny, è impartire
una sonora lezione a quei bastardi che ce l’hanno portato via!”
Stear
dovette stringere i denti e la mascella per non emettere nessun singhiozzo,
anche se non riuscì ad evitare che gli occhi gli si inumidissero.
“Forza,
amico” insistette Andy, stringendogli anche la spalla “scuotiti: montiamo questi
ferri, andiamo su e vendichiamolo. È dura, lo so” lo guardò dritto negli occhi
“ma so anche che ce la puoi fare!”
Cornwell
osservò quello sguardo sincero e l’aria cupa del suo volto sembrò rischiararsi:
“Farò del mio meglio, capo-squadriglia!”
“Ehi,
ehi… bando ai formalismi: non sono ancora un tuo superiore. Questo è un ripiego
d’emergenza. Mi chiamo Andy, ok?”
Il
compagno allargò marcatamente il sorriso: “Ok…! Hai ragione… dopotutto, con… Andy al mio fianco, ce la posso fare…!”
Greason
gli rivolse un sorriso molto più caldo: “Grazie per la fiducia… ne sono
lusingato!”
“Non
c’è di che” rispose Cornwell, ricambiandolo “andiamo?”
“Andiamo!!”
rispose Greason, dandogli una pacca sulla schiena. Poi gli voltò le spalle per dirigersi
al suo P-40.
***
La
prima cosa che notò avvicinandosi fu la presenza di una scritta gialla, prima
inesistente, che spiccava proprio al di sopra dello “Sharkmouth” (bocca di
squalo) che ornava i lati inferiori del muso del caccia. Leggendola, il pilota
si bloccò all’istante.
“JIMMY…!!!”
gridò, senza neppure voltare la testa.
Il
suo vecchio compagno d’Accademia, già in procinto d’indossare il paracadute, si
affrettò a raggiungerlo: “Qualcosa non va…?” domandò, ostentando un tono
artificialmente neutro.
L’altro
si voltò e indicò la scritta col pollice: “È opera tua…?!”
Stone
fissò le lettere gialle, passandosi una mano sulla nuca: “Nnn… no, no…
credimi!”
“E
allora chi…?!” si informò il
compagno, col tono già leggermente irritato.
“Oh,
suvvia, amico” disse l’altro allargando le braccia con fare disarmante “non
vorrai mica che faccia la spia…?!”
“Siete
un branco di luridi bastardi! Al ritorno dovrò ripresentarmi in ospedale… e se quella lo viene a sapere, mi farà un
mazzo così!! Lo sapete, questo?”
“Beh…
falla cancellare.”
“Già,
come se ci fosse il tempo…! Beh, dì a quell’idiota di Sanders - tanto lo so che
è stato lui - che questa me la lego al dito, chiaro?”
“Riferirò.”
rispose James, facendo del suo meglio per restare serio.
“Bravo…
e ora sparisci, mezzano da strapazzo!”
Il
tenente eseguì un impeccabile saluto militare: “Buona missione, signore!”
“FILA…!!!”
Mentre
Stone si affrettava ad obbedire, Greason si avvicinò all’aviere che doveva
assisterlo nei preliminari di decollo.
“E
tu che hai, da ridere…?!” gli chiese, osservando la sua espressione ambigua.
“Non
ridevo, signore” si difese costui, presentandogli il paracadute “è stato un
colpo di vento…!”
“Vedi
di far sparire quel ghigno dalla tua faccia, se non vuoi che ti faccia pulire
le canne delle mitraglie con la lingua…!”
“Sissignore!”
Andy
si allacciò velocemente l’imbragatura e indossò il casco di volo che l’aviere
aveva appoggiato poco prima presso il bordo d’uscita dell’ala sinistra del
caccia. Quindi montò sulla medesima, fece la solita carezza alla tigre col
cilindro a stelle e strisce che sfondava il cerchio azzurro (l’emblema delle Tigri Volanti) ed entrò nell’abitacolo.
Una volta seduto, due avieri (uno a destra e uno a sinistra) lo assicurarono al
sedile, mentre lui collegava lo spinotto della cuffia sul casco alla presa
della radio e dava una veloce controllata all’erogatore dell’ossigeno.
“OK,
tenente…?” chiese uno dei due specialisti.
“OK,
chiudere!”
L’aviere
di sinistra impugnò la maniglia esterna del tettuccio e lo fece scorrere fino
alla completa chiusura. Andy attese quindi che lui e il suo collega fossero
ridiscesi a terra, prima di effettuare la prova-comandi. Spinse quindi la
cloche tutta avanti e tutta indietro, abbassando e alzando completamente gli equilibratori,
poi la piegò a destra e a sinistra, osservando il movimento alternato degli
alettoni. Infine mosse la pedaliera, per verificare il corretto funzionamento
del timone di direzione. Alzando il pollice, l’aviere più anziano lo rassicurò
sul perfetto funzionamento delle superfici di governo.[3]
Greason
accese allora la ricetrasmittente SCR-522
e regolò la frequenza su quella del Controllo: “Red Leader a Torre: Seconda Squadriglia
pronta al rullaggio.”
“Torre
a Red Leader: decollo confermato, procedere.”
Dopo
aver regolato, con la mano sinistra, il pomello del passo dell’elica su minimo e quello della miscela su ricco, il tenente mise mano
all’interruttore di accensione, posto nella parte inferiore sinistra del
cruscotto e lo girò nella posizione che permetteva alla batteria di alimentare
il motorino d’avviamento. Immediatamente dopo, le pale dell’elica Curtiss Electric si misero in movimento,
accompagnate da un sommesso mugolio…[5]
contemporaneamente, Andy cominciò a dare ripetute tiratine con la destra al
pomello dello starter, situato davanti alla barra di comando.
Il
motore AllisonV1710-39 fece quindi udire la sua allegra voce scoppiettante, in
sincronia con gli sbuffi del gas di scarico che uscivano dai dodici becchi
dello scappamento.[6]
Mantenendo
i freni tirati, Andy azionò infine la manetta, tenendo d’occhio la lancetta del
contagiri, onde mettere il motore a regime. Poi agitò la mano, sempre in
direzione degli avieri, affinché rimuovessero i tacchi d’arresto davanti alle
ruote del carrello principale.
Uno
ad uno, gli otto velivoli della squadriglia uscirono dalle loro piazzole di
stazionamento, incanalandosi in fila indiana lungo un raccordo di terra battuta
dell’aerodromo di Kunming, desolata cittadina cinese situata nella regione dello
Yunnan, ancora controllata dalle forze del Kuomintang.[7]
In
testa ci stava naturalmente il P-40
n° 13 pilotato dal tenente Andrew Steve Greason, comandante ad interim dell’unità.
Subito dietro di lui seguiva il n° 10, condotto dal sottotenente Alistear Cornwell,
per quel giorno il suo n° 2. Dietro di loro venivano I Compari di Chicago, sottotenenti Victor Georg Sanders e Roy
Harold Master, sui nn° 11 e 12. Ancora più indietro vi erano I Fratelli del Sud, sottotenente John
Maxim e sergente Roger Williams sui nn° 15 e 16; chiudevano infine la fila il
tenente James Patrick Stone e il sergente di complemento Vincent Hames sui nn°
14 e 25.[8] Tutti
i caccia erano decorati con la stessa bocca di squalo sul muso e la stessa
tigre alata sotto l’abitacolo presente sull’aereo di Andy, mentre sulle ali
spiccavano i dischi blu contenenti i soli bianchi della bandiera nazionalista
cinese. Una fascia posteriore al numero d’identificazione, rossa come l’ogiva
dell’elica, li marcava come appartenenti alla Seconda Squadriglia, comandata,
fino a quel tragico mattino, dal capitano Donny Talbott, che aveva pilotato il
n° 9, ora in riparazione.
Quando
gli otto Warhawk finirono di
percorrere il raccordo e si trovarono all’imbocco della pista principale, Andy agì
ancora sui pedali per allineare il ruotino di coda con l’asse della stessa e mandò
un altro messaggio alla torre: “Seconda Squadriglia pronta al decollo!”
Nella
zona di parcheggio, gli ultimi otto P-40
della Terza Squadriglia, guidata dal capitano Robert Maxwell, stavano già
scaldando i motori, pronti anche loro a iniziare il rullaggio.
Improvvisamente,
dalla piattaforma della “torre di controllo” (in realtà una grezza costruzione
di solidi tronchi coperta da un tetto di paglia, ad eccezione di una struttura
metallica che reggeva le antenne della radio) partì un razzo di segnalazione verdastro:
il segnale di decollo.
Il
capo-squadriglia ad interim si passò una mano sulla faccia e fece lampeggiare
le luci di posizione per avvertire quelli dietro di lui. Premette infine i
dischetti del laringofono e annunciò: “Decollo, ragazzi… riunione a 3000 piedi sopra il
circuito.”[9]
Poi
rilasciò i freni, abbassò i flaps[10] e
aprì la manetta a fondo corsa… tirato dalla robusta elica, il Curtiss-Wrigt Modello 87-B numero di
serie 2106448, cominciò a scorrere sulla pista e, dopo poche decine di metri,
Andy dette un leggero tocco in avanti alla barra per far alzare la coda, poi
gettò l’occhio sull’anenometro e vide che aveva quasi raggiunto le 70 miglia orarie: stava
per superare lo stallo…[11]
All’improvviso
il nostro pilota, prematuramente dimesso dall’ospedale, si ricordò del nome col
quale i suoi affezionati compari gli avevano battezzato fraudolentemente l’aereo…
“OK,
Flanny…” sorrise, compiaciuto “…ti
piaccia o no, oggi comando io: su, bella…!!”
Attirò
quindi la barra verso di sé e le ruote del carrello principale si staccarono
dal suolo, cessando il loro rumore tambureggiante, completamente sostituito dal
canto rombante dell’Allison. Le
lancette dell’altimetro e del variometro iniziarono immediatamente a registrare
il guadagno di quota del caccia, che saliva alla velocità di 1650 piedi al minuto.[12]
Come
sempre le sensazioni che avvertiva attraverso la cloche, i pedali e il
seggiolino stesso non mancavano di trasmettergli un senso di tranquillità,
indubbiamente fuori luogo in quello spietato teatro di guerra. La tensione, il
timore angoscioso di non tornare più, il disgusto di dover sparare ai propri
simili… tutto questo veniva momentaneamente offuscato mentre il suo apparecchio
lo librava su nel cielo azzurro, lasciandogli solo una tenera sensazione di
calore. Come se…
“Coraggio,
Flanny… tieni duro: anche questa volta la tua omonima volante mi riporterà alla
base. Contaci…!”
Evidentemente
quel “rampollo viziato di buona famiglia”, come lo aveva bollato una certa
infermiera, stava cominciando a preferire un abbraccio meno freddo e assai meno
metallico di quello che poteva offrirgli il suo fedele apparecchio da caccia…!
***
“Capo-squadriglia
a tutti” comunicò Andy, via radio, una volta che l’intera squadriglia ebbe
raggiunto il punto di riunione “facciamo rotta per zero-sei-zero, direzione
Guiyang. Altitudine stabilita 26000 piedi. Formare le coppie di volo.”[13]
“Roger…!”
risposero, uno ad uno, gli altri sette piloti.
I
caccia presero a cabrare dolcemente in un cielo limpidissimo. Era veramente una
bella estate, quella del 1941… peccato che il mondo fosse in fiamme per le
velleità di pochi fanatici tiranni: Hitler, che voleva conquistare la Russia dopo avere ingoiato
mezza Europa, Mussolini che intendeva mangiarsi il Nord Africa e Hiroito (o
meglio i vertici militari effettivamente al potere in Giappone) che avevano
deciso di annettersi l’intera Asia sud-orientale.
Quando
la lancetta dell’altimetro Kollsmann
indicò che erano stati raggiunti gli 11000 piedi,[14] il
tenente Greason trasmise un secondo messaggio: “Indossare le maschere per
l’ossigeno… non mancate di controllare periodicamente gli erogatori.”
“Roger!”
“Stear,
tutto bene…?” chiese, dopo un po’.
“Bene,
cap… Andy…!”
“OK…!”
Aveva
esitato a fargli quella domanda, temendo di metterlo in imbarazzo davanti a
tutti, ma del resto il colonnello Hardgison gli aveva ordinato di tenerlo
d’occhio.
“Red
11 a capo-squadriglia”
si fece udire la voce di Sanders “ehi, tenente: come si comporta il suo aereo,
quest’oggi…?”
Andy
fece una smorfia: “E perché lo vuoi sapere, testa di rapa?!”
“Mi
preoccupavo solo che l’assetto non fosse alterato da quella vernice che vedo
risplendere sul suo muso, comandante…”
“Taci,
pezzo di deficiente!! Giuro che, se rientro vivo dalla missione, te ne faccio
ingoiare una latta intera, malnato imbratta-carlinghe…!”
Tutti
gli altri piloti, con l’unica eccezione di Cornwell, scoppiarono a ridere in
contemporanea.
“Finitela,
scimuniti: togliete le sicure e provate le armi, piuttosto!”
Obbedendo
all’ordine, gli aviatori si affrettarono ad eseguire e, per diversi secondi, il
rombo dei motori fu coperto dallo scroscio delle raffiche partite dalle 48
mitragliere da mezzo pollice. Naturalmente, data la loro disposizione in
scalata, non vi era nessun pericolo che i caccia potessero colpirsi tra di
loro.[15]
Dopo
un’altra oretta scarsa di volo, eseguita alla velocità di crociera di 270 miglia orarie,[16]la Seconda Squadriglia
giunse nella zona dove, secondo i calcoli effettuati dall’Intelligence,
sarebbero dovuti transitare i bombardieri nemici, decollati poche ore prima da
Formosa e diretti verso Chung-King, la città che ospitava il Quartier Generale
di Chiang-Kai-Shek.
Fu
a quel punto che Andy Greason ricevette in cuffia un messaggio proveniente
dalla Prima Squadriglia: “Blue Leader chiama Red Leader… mi sentite…?”
Greason
deglutì: era la voce di Hardgison.
“Forte
e chiaro, colonnello. Abbiamo raggiunto adesso il punto stabilito.”
“Roger,
vi stiamo vedendo. Mantenetevi più alti che potete. I bombardieri li
attaccheremo noi, voi badate a proteggerci dai caccia di scorta. Quando
giungerà la Terza
Squadriglia, darà man forte a quelli più impegnati. Over!”
“Wilco!
Saliamo alla tangenza massima. Buona caccia, signore!”[17]
“Altrettanto
a voi. Chiudo!”
“OK,
kids” annunciò Andy ai suoi piloti “diamo manetta e portiamoci a 29000 piedi.[18] Vi
raccomando di azionare il sistema anti-ghiaccio per le armi.”
“Roger,
capo!” risposero tutti.
Mentre
stavano salendo, udirono ancora nelle cuffie la voce del colonnello, che
annunciava: “Eccoli… sono dodici Nell…
stanno bassi per risparmiare carburante, buon per noi! Blue 5 e 7, attaccate la
pattuglia di testa. Blu 3, noi attacchiamo quella di coda. Red Leader, voi state
all’erta.”[19]
“Roger,
Blue Leader… nessuno vi molesterà, da questa parte. Fateli neri anche per noi!”
rispose Andy.
“Contateci!”
ribatté Hardgison.
Le
quattro coppie della Prima Squadriglia, distinti dalla loro fascia e dall’ogiva
azzurra, si avventarono subito come falchi sulla formazione dei G3M che procedeva tranquillamente verso
la povera Chung-King. Subito gli armieri nipponici iniziarono a far cantare le
loro mitragliere Ho97 da 8 millimetri, che però
non potevano fare troppi danni alla robusta struttura dei Warhawk. Le valorose Tigri
Volanti dovevano solo fare attenzione a non farsi inquadrare dalle torrette
superiori dei bombardieri, armate con un cannoncino Ho99 da 20
millimetri che, fortunatamente, non era però molto
preciso.
Già
due Nell stavano precipitando in
fiamme, mentre un povero P-40 stava
emettendo una scia di fumo biancastro, colpito al motore da uno dei suddetti
cannoncini.
Improvvisamente,
però, da dietro una nuvola sovrastante il “campo di battaglia”, sbucarono fuori
una dozzina di caccia Mitsubishi A6M…
i terribili Zero!
“Ah…
volevo ben dire” esclamò il comandante ad
interim della Seconda Squadriglia “temevo proprio che ci saremmo
annoiati…!”
“Il
tuo sarcasmo è sempre magistrale, Andy” ribatté il tenente Stone “io non me ne
sarei lamentato affatto…!”
“Chiudi
quella bocca, Red 14: non eravamo qui per ammirare il panorama” lo redarguì il
compagno, sistemandosi gli occhialoni protettivi “RedLeader a Blue Leader: un gruppo di Zero sta per piombarvi addosso. Li
attacchiamo immediatamente! Red 11 e 15: attaccare il nemico a sinistra. Red
14, noi attacchiamo a destra. I secondi ci guardino le code. Go…!!!”
Uno
dietro l’altro, gli otto P-40 con la
fascia e l’ogiva rossa si lanciarono dietro gli argentei caccia giapponesi
dalla NACA nera.[20] Ma i
piloti del Sol Levante non erano degli sprovveduti e i “numeri 2” delle loro sei pattuglie
tenevano d’occhio gli specchietti retrovisori montati sui tettucci. Subito,
infatti, sei Zero si staccarono dalla
formazione difensiva nemica per affrontare le Tigri Volanti della Seconda Squadriglia.
Mentre
i sei capi-pattuglia nipponici picchiavano per attaccare da tergo la Prima Squadriglia
di Hardgison, i quattro corrispettivi “numeri 1” americani cercavano di
attaccarli ai loro fianchi. Andy manovrò il suo caccia per ridurre il più
possibile la deflessione[21] sul
bersaglio e, non appena l’A6M venne a
trovarsi quasi al centro del collimatore, Andy premette il pulsante di sparo
sulla barra di comando. Le sei raffiche da mezzo pollice raggiunsero
inesorabili il velivolo nemico, che prese fuoco come uno zolfanello.
Fortunatamente per lui, il pilota fece però in tempo a buttarsi fuori, dopo essersi
capovolto.[22]
“Spiacente,
amico” esclamò il tenente Greason, osservando l’ombrello bianco del paracadute
“ma le punture di questa Flanny qui, fanno
molto più male delle altre…!”
Nel
frattempo il suo improvvisato numero 2 aveva appena assistito allo spettacolo
di un compagno della Prima Squadriglia mentre veniva abbattuto. Era chiaro che
il suo Warhawk era ormai spacciato,
crivellato com’era da una gragnuola di colpi da 20, tanto che il suo pilota
l’aveva già fatto capovolgere per gettarsi… ma il giapponese, ben intenzionato
a farlo a pezzi, continuò a tempestarlo di proiettili, fino a quando il
serbatoio principale non esplose!
Un
brillante globo di fuoco comparve nella porzione di cielo dove un attimo prima
c’era stato il P-40 e una miriade di
piccoli rottami fiammeggianti furono proiettati in tutte le direzioni…
“Misericordia…!!”
gridò Stear Cornwell, con orrore. Una sensazione di gelo gli attraversò tutto
il corpo e percepì chiaramente il sudore sulle mani, pur coperte dai guantoni.
Anche se non conosceva perfettamente quel pilota, il ricordo della morte del
suo amico lo pervase con tutta la sua devastante drammaticità.
*Cosa
stiamo facendo, qui…?!* si ritrovò a pensare *Che senso ha, tutto questo…?*
Ma
poi si accorse di un altro Zero che, dopo
essere sfuggito alle attenzioni dei Compari
di Chicago, stava filando dritto verso il velivolo del suo
capo-pattuglia….!
Il
sottotenente Cornwell si gettò subito al suo inseguimento e riuscì ad allineare
il proprio caccia alla coda del giapponese… diede anche qualche grado di flap
per non rischiare di sopravanzarlo e, con un ultimo colpetto di pedale, lo
inquadrò perfettamente nel mirino… distanza 300 yarde, deflessione zero: un vero
tiro da manuale![23]
Se
non che, il malcapitato Figlio del Sole, che lo aveva visto nello specchietto,
si voltò terrorizzato verso di lui (il tettuccio dello Zero, contrariamente a quello del Warhawk, permetteva anche una discreta visibilità posteriore)… e il
povero Stear, anziché una stereotipata scimmiesca faccia gialla, vide quella di
un giovane biondo che conosceva fin troppo bene…
“Oh,
mio Dio…!!! DONNY…!!!”
Il
suo inconscio, tuttora scioccato dagli avvenimenti mattutini, gli aveva giocato
un pessimo scherzo e la sua mano si paralizzò sulla cloche, col pollice a pochi
millimetri dal pulsante di sparo…
*Mio
Dio… ma perché bisogna uccidere…??!*
Poi,
tutto d’un tratto, ritornò in sé… appena in tempo per vedere il suo “graziato”
avversario che apriva il fuoco sul P-40
contrassegnato dal numero 13…
“Attento,
Red Leader” gridò, con colpevole angoscia “hai un jap dietro di te…!!!”
Quasi
subito il povero Andy si vide sfrecciare due linee di traccianti ad entrambi i
lati dell’abitacolo… per buona sorte il suo caccia si trovava ancora fuori tiro
per la portata delle mitragliatrici sopra il muso dello Zero, altrimenti gli sarebbero arrivate direttamente nella schiena!
Istintivamente la sua mano sinistra diede tutta manetta in avanti, mentre la
sua mano destra spingeva nell’angolo la cloche e il piede destro affondava il
pedale del timone. Grazie a quel repentino tunneau,[24] per
nulla apprezzato dalle sue convalescenti costole, l’impegnativo paziente di
Flanny Hamilton si tirò rapidamente fuori dalla linea di tiro del caccia
nemico. Una volta ripreso l’assetto orizzontale, vide il suo attaccante che lo
superava, a sua volta inseguito da un P-40
che riportava l’identificativo del suo secondo.
“Grazie,
Red 10”
gli trasmise Andy “è tutto tuo, adesso. Tranquillo, ti copro io!”
Il
giapponese, però, accortosi del nuovo pericolo, compì un’impennata verso l’alto,
forte della sua manovrabilità maggiore. Cornwell, dal canto suo, mortificato
dal fatto di non avere protetto a dovere il suo leader, dimenticò completamente
la tattica di combattimento alla quale attenersi e portò il proprio Warhawk in cabrata dietro di lui.
“Lascialo
stare, Stear” gli gridò Andy “non lo puoi battere, in salita…!”
Ma
il giovane di Lakewood non lo udì, concentrato com’era nel tentare di
raggiungerlo… impresa del tutto aleatoria, giacché l’A6M2, con i suoi 2400
Kg, disponeva di una velocità ascensionale di ben 800 metri al minuto,
mentre il P-40 E, che pesava quasi il
doppio, si arrampicava poco oltre i 500. In quelle condizioni, insomma, inseguire
un avversario più alto significava andare in cerca di grossi guai…!
Non
ci volle molto tempo, infatti, prima che Cornwell si ritrovasse tallonato da un
compare della sua preda, che cominciò a tempestarlo con tutto l’armamento a sua
disposizione…
Sconvolto,
il povero Stear tentò di sfuggire alle raffiche con delle semplici virate,
senza nemmeno pensare di eseguire la manovra più semplice ed efficace.
“Giù
in picchiata, Red 10”
gli gridò sempre Andy, per radio “subito!! Subito…!!!”
Riscosso
da quei richiami allarmati nella cuffia, il suo secondo obbedì meccanicamente, gettando
il suo Warhawk in una picchiata a
candela[25]… per
parte sua lo Zero, anziché lasciarlo
perdere e cercarsi un bottino più facile, s’intestardì a volerlo abbattere ad
ogni costo e gli andò dietro. O anche il suo pilota non era un esperto o
confidava nella maggior gittata dei suoi cannoncini.
“Red
Leader a Red 14”
chiamò il capo-squadriglia “prendi tu il comando, Jimmy: io vado a dargli man
forte…!!”
“Roger…
in bocca al lupo, Andy!”
“Crepi…!!”
rispose l’amico, anche se, ora come ora, gli sembrava assai di malaugurio!
Spinse
barra e manetta tutte in avanti e si buttò all’inseguimento dell’A6M che, pur perdendo progressivamente
terreno rispetto al P-40, continuava
a vomitargli proiettili su proiettili. Via via che l’ago del variometro
registrava una velocità di picchiata sempre più alta, Andy Greason iniziò ad
avvertire un dolore sempre più accentuato alla cassa toracica, fino al punto di
dover stringere i denti (per ovvie ragioni, non poteva strizzare anche gli
occhi). Osservando frustrato la boccetta degli analgesici che gli aveva fornito
la sua infermiera prima del decollo, riposta
nella tasca esterna del calzone destro, si maledisse per essersene ricordato
solo ora, quando non poteva più servirsene senza compromettere il controllo dell’apparecchio.
*Fortuna
che non mi può vedere, in questo momento…!* si disse, pensando al cicchetto che
avrebbe ricevuto a tempo debito… sempre che fosse potuto tornare a sorbirselo!
Sotto
di loro si apriva una stretta valle completamente coperta da una fitta
boscaglia. In fondo luccicava un torrentaccio serpeggiante, che assomigliava
assai poco ad una pista di atterraggio. Questo significava purtroppo che, fra
non molto, il suo compagno avrebbe dovuto cabrare, perdendo quindi il vantaggio
che aveva mantenuto finora sul nemico.
“Tieni
duro, Stear” continuava a trasmettere Andy “richiamalo più tardi che puoi… sto
arrivando…!!”
Lo
Zero era ancora abbastanza distante
dal P-40 di Cornwell, che sicuramente
si trovava fuori portata per le sue mitragliatrici leggere sincronizzate. Tuttavia,
l’acuta vista del tenente Greason riusciva malauguratamente a scorgere i
traccianti dei cannoncini alari che riuscivano a raggiungere l’aereo del collega.[26]
Premendosi
il torace con la mano sinistra per rendere il dolore meno insopportabile, Andy
continuava a osservare intensamente il reticolo del collimatore, attendendo che
la figura del caccia nemico diventasse sufficientemente grande per indicare che
poteva essere raggiunto dal punto di intersecazione delle traiettorie dei suoi
proiettili.[27]
“Red
Leader… non posso più scendere… devo cabrare…!” gridò disperatamente Stear,
nella cuffia.
“Coraggio,
amico… gli sono addosso… sto per inquadrarlo!!”
Finalmente
la sagoma dello Zero riempì del tutto
il cerchio del mirino. Istintivamente, Andy riportò allora la mano sinistra sulla
cloche per afferrarla meglio, mentre stava per premere con la destra il
pulsante di sparo… quando una fitta, improvvisa quanto acuta, gli strappò un vero
urlo di dolore: “AAARRRGHHH…LE MIE COSTOLEEE…!!!”
Disgraziatamente,
oltre alle corde vocali, i nervi gli sollecitarono anche i muscoli delle
braccia, cosicché la barra di comando, ritirata dalle stesse, richiamò l’aereo
portandolo fuori dalla linea di tiro. Oltretutto, per alcuni spiacevolissimi
secondi, il tenente fu anche vittima della cosiddetta “visione nera”…![28]
Quando
fu in grado di riprendere il controllo, accingendosi a rimettere l’aereo
nell’assetto primitivo, si accorse che il P-40
del compagno stava già risalendo, imitato dal suo implacabile inseguitore, che non
si era probabilmente nemmeno accorto di essere inseguito egli stesso da lui!
Malauguratamente
i tre caccia si erano già incuneati nella valle prima accennata, la cui
relativa strettezza non consentiva certo di effettuare delle efficaci manovre evasive,
almeno finché non ne avessero superato l’altezza dei crinali.
Ma
forse era ormai troppo tardi per lo sfortunato Red 10, la cui fusoliera
presentava già larghi squarci provocati dai colpi da 20 sparatigli dal giapponese…
prima ancora che Andy potesse nuovamente portarsi alla distanza opportuna, i
suoi timpani vennero feriti (più psicologicamente che fisicamente) da un grido
acutissimo proveniente dal suo disgraziato pilota…
“Dio,
no…!!!” sussurrò il tenente Greason, con angoscia. La quale, immediatamente
dopo, lasciò però spazio a una furia senza pari, mentre l’aguzzino del povero
Cornwell si ripresentava nella posizione ottimale di tiro…
“MUORI,
BASTARDO…!!!”
Le
canne delle sei Colt-Browning M2HB
sputarono fuori le loro terribili raffiche da 13 colpi al secondo e una nutrita
quantità di proiettili perforanti, efficacemente intervallati da quelli
incendiari, trapassarono il sottile rivestimento del caccia avversario,
raggiungendo le sue parti più vitali ed infiammabili… un istante dopo, l’A6M esplose.[29]
Il
Curtiss Warhawk attraversò la nuvola
formata dai gas combusti e dai frammenti di varia natura che pochi istanti
prima avevano costituito un aereo e il suo pilota… Greason rabbrividì quando si
accorse che il suo parabrezza, in gran parte scheggiato e annerito, era anche
lordo di sangue… ma subito, con un guizzo, tornò con la mente al compagno
colpito.
Prese
subito quota per ampliare il suo campo visivo, controllò la frequenza del
ricetrasmettitore e premette i dischetti del laringofono: “Red 10, Red 10… mi
senti…?? Qui Red Leader chiama Red 10…! Stear, per l’amor del Cielo…
rispondi…!!!”
Dapprincipio
non ricevette che alcune scariche… poi gli arrivò anche la debole voce del
tenente Alistear Cornwell, di Lakewood (Michigan): “È la fine… mi ha beccato…!!
È finita, per me…!!”
Andy
aguzzò la vista per reperire il caccia del suo numero 2 e finalmente lo
individuò. Le sue condizioni erano abbastanza precarie: la metà superiore del
timone non c’era più e gli equilibratori oscillavano paurosamente. La fusoliera
era un vero colabrodo e il tettuccio era del tutto fracassato. Dai tubi di
scarico sul muso fuoriusciva una preoccupante scia di fumo grigiastro e una
gamba del carrello si era abbassata, segno che l’impianto idraulico era in
avaria.
Il
capo-pattuglia si affrettò ad affiancarsi a lui, dopo avere aperto il tettuccio
tramite la manovella interna: “Stear… Stear, puoi sentirmi…??”
Con
notevole sforzo, il tenente Cornwell si portò le mani alla gola per azionare il
laringofono: “Ti… ti sento… capo…!!”
“Stear…
ce la fai a tenerlo su…?”
“No…
non credo… sta per piantarmi in asso…!”
Andy
stava per fargli animo dicendogli che ce l’avrebbe fatta a riportarlo, se non
alla base, almeno fino a una zona sicura, dove avrebbe potuto tentare
l’atterraggio… ma poi scorse alcune fiamme che uscivano dai flabelli del
radiatore e si convinse che non c’era più niente da fare: anche il glicolo
aveva preso fuoco.[30]
“Ce
la fai a lanciarti…?” chiese allora, con voce malferma.
“No…
riesco appena… a muovermi… è proprio finita…!”
“Non
mollare, amico!! Cerca di…”
“Sono…
un vero idiota! Ce l’avevo… nel mirino… ma non… sono riuscito… a sparare…!”
“Non
pensarci, Stear… concentrati su ciò che devi fare ora” tentò di spronarlo il tenente Greason “sgancia le cinghie del
sedile. E poi…”
“Mi
sembrava…” continuò il moribondo, senza nemmeno ascoltarlo “…fosse Donny… non
potevo! E magari… era quello… che aveva… sparato a lui…!”
“Stear,
per l’amor di Cristo” gridò il compagno con angoscia, notando l’intensificarsi
delle fiamme sotto al muso dell’aeroplano “scuotiti!! Sgancia quelle cinghie e
afferra la maniglia del paracadute… avanti…!!!”
“Lo
sapevo… che finiva… così. La guerra… è disumana. In guerra… non si può… che
morire…!”
Andy
Greason si sentì sopraffare dall’isteria. Stava assistendo, del tutto
impotente, all’agonia di un compagno che avrebbe dovuto proteggere in quella
disgraziata missione e che adesso stava invece per perdere senza poterlo
impedire in nessun modo!
“SOTTOTENENTE
CORNWELL… SALTA GIÙ DA QUELL’AEREO: È UN ORDINE…!!!” gridò, tentando ancora di
scuoterlo.
“Perdonatemi…mamma… papà… Archie… fratello mio…”
Il
povero Warhawk cominciò a sbandare
d’ala, mentre il fuoco e il fumo si intensificavano.
“STEAR,
SALTA GIÙ, T’HO DETTO…!!!”
“Ad… dio, C… Candy…! Ad… dio P… Patty…!!!”
“STE…”
Ormai
il P-40 stava già picchiando,
avvitandosi… ancora pochi secondi e si disintegrò nell’ennesima palla di fuoco…!
Il
tenente Andrew Steve Greason, di Providence (Rhode Island) non ebbe più nemmeno
la forza per gridare… rimase lì, impietrito nel suo cockpit,[31] con
il tettuccio aperto, mentre il vento gli portava via le lacrime che sgorgavano copiose
dai suoi occhi.
Non
era certo quella la prima volta che vedeva morire un collega… ma era la prima
volta- e pregò fosse anche l’ultima -
che lo vedeva succedere in quel modo!
Patty…! Era questo l’ultimo nome che il compagno caduto aveva pronunciato.
Patty…
era il nome della sua ragazza, lo sapeva: Patty O’Brian, di Filadelfia (New
Jersey).[32]
Ma
il nome che aveva pronunciato prima… era stato il suo! Il nome del suo nuovo capo-squadriglia, che nemmeno conosceva
troppo bene. Si stimavano, certo, ma non erano mai stati in confidenza.
L’unico
vero amico che Alistear Cornwell Andrew si fosse fatto nelle Tigri Volanti era Donald Gregory Talbott
di Lawrence (Kansas), che non aveva nemmeno nominato. Aveva invece salutato Andy,
ancor prima di salutare la sua stessa ragazza…!
Il
tenente Greason era profondamente commosso… anche se, in realtà, stava
prendendo un grossissimo granchio per colpa di un disturbo intervenuto nella
trasmissione. Il povero Stear aveva detto “Addio,
Candy!”… ma l’iniziale di quel nome era stato coperto da una scarica
birbante, che aveva consentito al compagno di udirne solo il suffisso, che
coincideva, guarda caso, proprio col suo stesso nome!
Ma
questo lo avrebbe saputo solo molto
tempo dopo…
Adesso
come adesso aveva ben altro a cui pensare… per esempio a percorrere le 300 miglia abbondanti che
lo separavano dalla base di Kunming, nel cui annesso ospedale una certa
signorina Hamilton stava diventando sempre più simile - in quanto a
sbadataggine - a una sua bionda collega di lavoro, a forza di struggersi dal
pensiero per quel suo paziente indisciplinato…!
Purtroppo
la lancetta del carburante lo avvertiva fin da adesso che sarebbe stata molto
dura. Per non parlare del sole, che già si trovava pericolosamente basso sull’orizzonte.
Il tenente Greason, tuttavia, non mancò di rivolgere un ultimo pensiero al
compagno che aveva appena perduto: “Addio, amico mio… perdonami se non sono
riuscito a salvarti! Giuro però che darò me stesso per far cessare tutto questo
dannato schifo…!!”
Sospirò,
concentrandosi infine sul suo apparecchio…
“Okay,
bella… sono nelle tue mani. Non fare scherzi e riportami a casa. Riportami da
lei… Flanny...!”
Dopotutto,
pensava che non avrebbe più costretto quell’imbratta-carlinghe di Victor
Sanders ad ingoiarsi quella latta di vernice…!
[1]Col termine briefing
s’intende la riunione del personale di volo prima di ogni missione, durante la
quale venivano impartite le istruzioni necessarie. Al rientro si svolgeva poi
il de-briefing, cioè il rapporto dei partecipanti alla missione
stessa.
[2]Allude al comandante del loro Gruppo Aereo, il colonnello Clint
Hardgison.
[3]Le superfici di governo principali di un velivolo sono
cinque: gli alettoni lungo i bordi di
uscita alari (cioè i lati posteriori delle stesse) che servono per inclinare
lateralmente l’apparecchio abbassandone uno e alzando contemporaneamente
l’altro: l’alettone che si abbassa fa alzare la sua ala, mentre quello che si
alza la fa abbassare. Ci sono poi gli equilibratori
(o timoni di profondità) incernierati
al piano fisso orizzontale della coda (detto stabilizzatore) che vengono alzati per abbassare la coda stessa (e
quindi alzare il muso) o abbassati per alzarla (e quindi abbassare il muso
stesso). Vi è infine il timone di
direzione, incernierato al piano fisso verticale della coda (la deriva) che funziona esattamente come il
timone su una barca. C’è tuttavia un inghippo: se l’aereo s’inclina oltre i 45°
per mezzo degli alettoni, le funzioni del timone e degli equilibratori
s’invertono!
[5]Contrariamente agli aerei in servizio durante la Prima Guerra
Mondiale, i cui motori venivano messi in moto ruotando l’elica con le mani,
negli anni 40 esistevano già i motorini elettrici d’avviamento. Per passo dell’elica s’intende l’angolo
d’inclinazione delle pale rispetto al piano verticale, che determina la minore
o maggiore quantità d’aria spinta all’indietro (in pratica equivale al cambio
di velocità su un veicolo terrestre).
[6]La lettera V
indica la disposizione in due file inclinate dei dodici cilindri del motore in
linea, mentre il numero ne indica la cilindrata in pollici cubi (1710 in3
equivalgono a 28044 cm3). I motori a stella (o radiali) venivano invece siglati con la lettera R.
[7] Il Kuomintang
era la fazione capeggiata da Chiang-Kai-Shek, che dominava le regioni cinesi
non controllate dai comunisti di Mao-Tze-Tung o dagli invasori giapponesi.
[8]L’aereo di Hames, essendo una riserva, ha un numero
superiore al 24, che sarebbe l’ultimo della dotazione organica di tutto il
Gruppo Aereo, composto da 3 squadriglie.
[9]Le luci di posizione sono 3: rossa all’estremità
dell’ala sinistra, verde all’estremità di quella destra, bianca sulla deriva
della coda. Il laringofono era uno
strumento costituito da due piastrine che convertivano le vibrazioni delle
corde vocali in impulsi elettrici, sostituendo il più ingombrante microfono a
polvere di carbone (non utilizzabile insieme alla maschera per l’ossigeno).
Anche oggi l’altitudine viene indicata in piedi:
un piede equivale a 30 cm circa, quindi 3000 piedi sono poco più
di 900 metri
di altezza.
[10]I flaps sono
due alettoni supplementari, più interni rispetto agli altri, che vengono
abbassati per aumentare la portanza delle ali durante il decollo (e quindi
ridurne la corsa), funzionando anche come freni aerodinamici durante il volo.
[11]L’anemometro sarebbe il misuratore della velocità,
azionato da un’elichina situata all’interno di un tubo che sporgeva di solito
dal bordo di entrata dell’ala sinistra (detto Tubo di Pitot) e mossa dallo stesso flusso dell’aria. 70 miglia orarie
equivalgono a 112 Km/h,
che era appunto la velocità di sostentamento del P-40 E.
[12]L’altimetro è lo strumento che misura la pressione
barometrica dell’atmosfera circostante, stabilendo l’attuale quota di volo,
mentre il variometro misura la velocità di salita o di discesa. 1650 piedi al minuto
corrispondono a 503 metri
circa.
[13]L’indicazione Zero-Sei-Zero
significa che gli aerei dovevano procedere per una rotta divergente di 60 gradi
rispetto al Nord (la cui direzione sarebbe stata indicata come Zero-Zero-Zero o anche Tre-Sei-Zero).
[15]Mezzo pollice (equivalente a 12,7 mm) era il calibro
delle mitragliatrici. Nella formazionein scalata ogni aereo si teneva
leggermente più basso rispetto all’altro, col muso allineato alla coda di
quello che lo precedeva.
[19]Nell è il nomignolo identificativo dato al bombardiere
giapponese Mitsubishi G3M, famoso per
aver affondato le due corazzate britanniche Prince
of Wales e Repulse, pochi giorni
dopo l’entrata in guerra del Giappone contro le Potenze Occidentali. Notare che
il colonnello Hardgison si rivolge solamente ai 3 capi-pattuglia della sua
squadriglia, essendo stabilito a priori che i loro “secondi” (identificati coi
nn. 4, 6 e 8) devono limitarsi a seguire e a coprire i loro leaders. Come vedremo, anche Andy
impartirà fra poco un ordine analogo ai piloti della sua unità.
[20]La NACA
sarebbe la capottatura del motore, il cui acronimo deriva daNational Advisory Committee for Aeronautics, l’ente
americano (precursore della NASA) che
definiva gli standard delle progettazioni aeree, mano a mano che avanzavano le
tecnologie di produzione.
[21] Sarebbe l’angolo intercorrente fra la linea di tiro del
caccia attaccante e la rotta del bersaglio, che rende tanto più difficile
centrare il medesimo quanto più detto angolo risulta elevato.
[22]Lanciarsi senza questa precauzione comportava il
gravissimo rischio di essere colpiti dai piani di coda, come capitò al famoso
asso tedesco Hans Joachim Marseille.
[23]Una yarda equivale a 3 piedi e 300 yarde sono
circa 274 metri.
[24]Manovra mediante la quale il velivolo esegue una
spirale orizzontale, come se volasse all’interno di un cilindro. È ovviamente
consentita solo agli apparecchi sufficientemente maneggevoli.
[26]Le mitragliatrici sincronizzate dello Zero erano quelle sul muso, la cui
cadenza di tiro era necessariamente regolata con la velocità di rotazione
dell’elica. I traccianti erano proiettili che lasciavano una scia luminosa che
permetteva di verificare la precisione del tiro effettuato.
[27]Sui caccia le diverse canne dell’armamento fisso erano
orientate in modo da dirigere i proiettili non lungo delle parallele, ma lungo
delle convergenti, in modo da ridurre la dispersione dei colpi e avere quindi
una maggiore efficacia offensiva sul bersaglio.
[28]Sarebbe una temporanea cecità dovuta alla carenza di
ossigeno nel cervello, a causa dell’eccessivo richiamo di sangue verso le
estremità inferiori del corpo per la pressione provocata dalla brusca
interruzione della picchiata. A quel tempo non esistevano ancora le cosiddette
tute anti-G, atte a minimizzare questo
fenomeno, ben più insidioso per i piloti dei jets.
[29] All’opposto degli aerei americani, quelli giapponesi
presentavano un’estrema maneggevolezza offerta dal ridotto rapporto
peso/potenza, pagato però da una resistenza molto scarsa al fuoco nemico.
[30] I flabelli sono le alette di sfiato ad apertura
variabile, mentre il glicolo è il fluido refrigerante del radiatore. Può essere
che questo episodio abbia influenzato la predilezione del futuro asso nei
riguardi del Republic P-47, dotato di
un motore stellare raffreddato ad aria e di una struttura praticamente
indistruttibile.
[32]Forse non era di Filadelfia… però suona bene, non
trovate? Sarà che in un romanzo di Salgari del Ciclo dei Pirati della Malesia, compare un certo Paddy O’Brian, di
Filadelfia… che fosse il suo bisnonno?
utura!”
disse il dottor Riley, dopo aver terminato di estrarre il proiettile da 8 millimetri dal
fianco del sottotenente McTavish, gregario della Prima Squadriglia, rimasto
ferito nel combattimento.
Dopo
un paio di secondi, il medico alzò lo sguardo verso la sua assistente: “Sutura,
ho detto…!” ripeté, a voce più alta.
“Sì,
dottore…!” esclamò l’infermiera, arrossendo colpevole e affrettandosi ad
eseguire con la consueta perizia.
Il
maggiore scosse la testa. Ogni tanto la stanchezza e la tensione a cui era
sottoposto il suo personale si facevano sentire, ma era la prima volta che una
cosa del genere capitava alla signorina Hamilton!
Terminata
l’operazione il dottore fece cenno alle altre due infermiere, affinché
portassero il paziente in corsia, poi presentò la schiena a Flanny.
“Vada
pure a riposarsi, miss Hamilton” le disse, mentre lei gli slacciava i nodi del
camice sterilizzato “credo che per oggi abbiamo finito.”
“Sì,
dottore… speriamolo…!”
Michael
Riley avvertì, nell’ultima parola pronunciata, un tono che non derivava affatto
dal pur palese bisogno della ragazza di tirare il fiato…
Mentre
le porgeva il camice appena sfilatosi, cercò la frase che meglio avrebbe potuto
rincuorarla: “Cerchi di stare su: conosco di fama quel pilota. Si dice che ci
sia nato, su un aeroplano!”[1]
“Sì,
certo…!” rispose lei, sommessamente, afferrando il camice per riporlo
nell’armadietto. Se non fosse stata una persona di poche parole, avrebbe però
ribattuto al suo superiore che purtroppo i piloti nati non mancavano nemmeno a
quelli dell’altra parte… ed era questo
che la preoccupava!
Lasciata
la sala operatoria entrò nell’ambulatorio che divideva quest’ultima dalla
corsia e s’imbatté nella sua amica e collega Natalie Venc, intenta a fasciare
il tenente Stone.
“Non
potrebbe fare più in fretta, signorina? Dovrei tornare al campo.”
“Può
andare anche subito, se non le secca grondare sangue come una fontana…!”
rimpallò, acida, l’infermiera.
Il
buon James accusò il colpo: “OK, mi scusi… sono un po’ nervoso: due dei nostri
non sono ancora rientrati e allora…”
“Ecco,
ho finito.”
“Grazie…
mi scusi ancora!”
Stone
fece per abbandonare la stanza, quando Flanny lo fermò: “Aspetti un momento,
tenente…!”
“Dica…”
“Avete…
perso degli altri compagni…?”
Il
pilota annuì, tristemente: “Due della Prima Squadriglia sono stati abbattuti… uno
dei nostri… Cornwell… si è gettato in picchiata per sfuggire a un jap che l’aveva inquadrato… e il nostro
CO[2] li ha
seguiti per aiutarlo!”
“Sta
parlando… del tenente Greason…?” chiese la donna, cercando invano di mantenere
la voce ferma.
“Sì…”
sospirò Stone, rimettendosi il berretto in testa “…mi perdoni, devo andare a
rapporto.”
L’infermiera
strinse i pugni, osservando la figura del pilota allontanarsi. La sua collega
attese che l’uscio si richiudesse, poi si avvicinò silenziosamente alla sua
amica e le mise una mano sulla spalla: “Tranquilla… vedrai che tornerà.”
Flanny
si girò di scatto verso di lei, frustando l’aria con la bruna coda di cavallo:
“Che cosa ne sai tu? Eh…?” insistette poi, vedendo che Natalie non rispondeva,
limitandosi a sorriderle.
“È
che… per me, sei sempre stata un libro stampato, Flanny.”
Era
vero. Le due avevano frequentato insieme la scuola per infermiere, prima presso
l’ospedale Saint Joseph, poi a
Chicago, presso l’ospedale Santa Johanna.
Per Natalie Venc, la collega Flanny Hamilton era sempre stata un modello di dedizione
e serietà e l’ammirazione provata per lei si era gradualmente trasformata in una
profonda amicizia. Questa amicizia poteva apparire a senso unico, vista la
proverbiale freddezza della compagna “occhialuta”, ma Natalie si era presto
accorta che quell’atteggiamento non derivava da un animo arido, bensì dalla
propensione della bruna nell’esprimere le proprie virtù coi fatti, più che le
parole… e Flanny le era stata molto grata per questo, ricambiandola di cuore. Lo
stesso sarebbe accaduto con la loro buonissima collega di nome Candy, che pure
era giunta alle stesse conclusioni. Ma mentre Natalie aveva accettato
l’atteggiamento di Flanny limitandosi ad esserle amica in silenzio, l’esuberante
carattere della loro bionda compagna era stato più volte male interpretato e
questo aveva impedito che Flanny e Candy (addirittura compagne di stanza,
presso la scuola del St.Joseph) diventassero
ottime amiche, pur avendolo, nell’intimo, sinceramente desiderato.
“Lascia
stare… vado a stendermi un po’.”
“Flanny,
aspetta…” l’amica attese che l’altra le porgesse di nuovo attenzione, poi
proseguì “…a parte ciò che posso saperne io… se pensi che quel giovane possa essere
il tipo giusto… prenditelo. Non farti del male ancora per chissà quanto…!”
La
mora sgranò gli occhi, stupendosi del fatto che la sua discreta compagna avesse
pronunciato una discorso del genere. Quella guerra assurda, combattuta fin negli
angoli più remoti del mondo, stava facendo proprio perdere la testa a tutti!
“Potevi
almeno aspettare che tornasse, prima di dirmi una cosa simile… non credi?!”
Lo
sforzo impiegato per rendere la voce più acida che poteva, le provocò un
singulto alla gola, che spinse la sua amica a prodursi in un nuovo exploit: un
secondo dopo, la stava già abbracciando teneramente.
“Non
è il momento… né il luogo per scegliersi la persona giusta, Natalie...”
sussurrò Flanny, cercando di trattenere i singhiozzi “…senza contare che potrei
anche… averlo già perduto…!”
Natalie
sospirò: “Il destino se ne frega del luogo e del momento, cara!” le disse,
sfregandole la schiena.
“Lo
so…!” gemette la mora, sommessamente. Poi, tanto per calmarsi, spostò la sua
attenzione sulla chioma castana della sua amica, a pochi centimetri dai suoi
occhi.
“Che
c’è…?” chiese Natalie, sentendosi afferrare una ciocca.
“Lo
sai che… ti si stanno imbiondendo i capelli…?”
***
“Questo
è tutto…?”
“Sì,
signore…!” rispose il tenente Stone, passandosi una mano sulla fronte.
Il
colonnello Clint Hardgison emise un lieve borbottio, grattandosi la barba ormai
cresciuta dalla mattina, con fare meditabondo. Faceva fatica a guardare verso
il sottoposto, sapendo bene quanto lui e Greason fossero amici. Se la sua
posizione glielo avesse consentito, avrebbe certamente provato una punta di
rimorso per aver mandato in volo lui e Cornwell nelle loro “particolari”
condizioni, ma le circostanze lo avevano obbligato a farlo senza nemmeno
esitare. Un comandante non può esitare: è tenuto ad agire.
Guardò
l’orologio: “Hanno ancora abbastanza carburante, per tornare…?” chiese poi al
suo aiutante, maggiore Holstrome.
“Fra
dieci minuti non ce l’avranno più, colonnello.” rispose questi.
L’ufficiale
superiore si passò una mano sulla faccia: “Maledizione… otto perdite in un
giorno! Stamattina Milford, Bielaski, Giannelli e Talbott… oggi Lezinski e
Johnson… e ora anche Cornwell… e Greason…!”
“No…
lui no” intervenne Stone, con un tremito nella voce “non posso credere che l’abbiano
abbattuto…!”
“Vorrei
averne anch’io la certezza, tenente” sospirò il comandante del reparto “ma se
qualche diavolo giallo è riuscito a beccarlo in combattimento manovrato… con la
scarsa performance del Warhawk e i
postumi dell’incidente della settimana scorsa…”
“Lui
non è tipo da farsi beccare, signore, glielo assicuro” ribadì James, battendo
il pugno sul tavolo “Non Andy…!!”[3]
Hardgison
fissò il volto dell’aviatore e non se la sentì di inficiare maggiormente la
fiducia di quell’uomo per il suo compagno d’Accademia.
“Beh,
speriamolo… ad ogni modo, Holstrome, appena il tempo sarà scaduto, trasmetta un
dispaccio radio a Chung-King: chiederemo agli amici cinesi di mandare una
pattuglia terrestre in zona, per rintracciarli.”
“D’accordo,
signore.” rispose l’aiutante, guardando l’orologio a sua volta.
***
Nonostante
le insistenze di Natalie, la buona Flanny non era potuta restare sulla branda
nemmeno un quarto d’ora; aveva quindi ripreso a occuparsi della camerata, anche
se i suoi movimenti erano sempre più incerti e bruschi. Natalie faceva del suo
meglio per resistere a dirle qualcosa, sperando se ne accorgesse da sola prima
di combinare qualche pasticcio… e meno male che miss Mary Jane, la direttrice
della loro vecchia scuola all’ospedale St. Joseph, non era lì a vedere come si
era ridotta la sua migliore allieva!
A
un certo punto l’attenzione delle infermiere e dei pazienti venne distolta
dallo scoppiettante rombo di un motore… un motore che sembrava proprio stare
aspirando disperatamente gli ultimi vapori di benzina…
“EHI…!!!”
fece il sergente Logan, della Terza Squadriglia, sentendosi rovesciare in
faccia il contenuto del bicchiere d’acqua che l’infermiera bruna stava per
porgergli.
“Oh…
mi scusi…!!” sussultò Flanny, arrossendo violentemente in viso “Aspetti…!”
mormorò, tamponandogli tempestivamente il viso con una salvietta pulita.
“Grr…
grazie…!!” esclamò il pilota, leggermente risentito.
Dalla
direzione dell’aeroporto giungevano sempre gli scoppiettii prodotti dal motore
dell’aereo, assieme a un miscuglio di voci concitate. Una terza collega di
Flanny aprì la porta che dava nell’ambulatorio e subito si sentì la voce del
dottor Riley: “Sì… capisco. Mandiamo subito la squadra d’emergenza!”
Immancabilmente
Flanny si lasciò sfuggire il bicchiere vuoto che ancora teneva in mano… e il
rumore del vetro che s’infrangeva sul pavimento fece saltare i nervi a Natalie:
“Flanny, vai con loro, su…!”
“Co…
cosa…?” chiese lei, con discreto imbarazzo.
“Dai,
muoviti… tanto qui non combineresti niente di buono!”
La
collega sembrò esitare… poi annuì rassegnata e, cercando di non badare alle significative
occhiate dei ricoverati, lasciò in fretta la corsia.
Sorridendo,
Natalie scosse la testa, andando subito con la mente a una loro collega, in
quel momento piuttosto lontana: “Ah, Candy… se sapessi cosa ti sei persa…!!”[4]
***
Presso
l’aerodromo gli specialisti si tenevano pronti a intervenire cogli estintori,
nel caso si fosse verificato un probabile atterraggio d’emergenza. Poco
discosti, attorno a una jeep attrezzata con una barella, stavano inoltre gli
assistenti sanitari, fra i quali la signorina Hamilton, altrimenti detta miss pezzo di ghiaccio.
Lungo
i bordi di quella striscia di terra, a intervalli regolari, erano state
piantate delle torce, i cui stracci imbevuti di benzina spandevano una luce
tanto lugubre quanto provvidenziale per quel pilota “ritardatario” che, se
avesse mancato la pista nella già calata oscurità, sarebbe andato incontro a
conseguenze molto gravi!
Tutti
i piloti e gli avieri presenti strizzavano disperatamente gli occhi, nella
speranza di scorgere la luce proveniente dal faretto d’atterraggio di cui erano
dotati anche i P-40 e che scendeva
con la gamba sinistra del carrello principale… ma la presenza del caccia in
arrivo continuava ad essere denunciata dal solo scoppiettio del motore, i cui
intervalli si dilatavano in maniera preoccupante. O il pilota non poteva
abbassare il carrello per problemi al circuito idraulico o aveva disinserito
quello elettrico per risparmiare anche solo qualche preziosa goccia di
carburante in più!
“Dici
che ce la fa…?” chiese Victor Sanders a James Stone, che gli era accanto.
Il
compagno strinse la mascella: “Se è lui,
ce la fa di sicuro!”
La
sagoma scura del velivolo si avvicinava progressivamente. Dall’imbocco della
pista lo separavano soltanto un centinaio di metri in orizzontale e meno di
cinquanta in altezza… se non che, all’improvviso, l’Allison del P-40
protagonista di quel ritorno solitario, emise un ultimo singulto e tacque una
volta per tutte.
Naturalmente
lo sfortunato caccia cominciò subito a picchiare, segno che chi lo pilotava si
era affrettato ad assumere l’assetto migliore per non scendere sotto le 70 miglia orarie della
velocità di stallo. Né flaps, né carrello erano infatti stati abbassati e il
caccia stava sfrecciando paurosamente verso terra[5]…
“Atterra
senza ruote…!” esclamò Sanders.
“Allora
sa quello che fa.” commentò Stone, di rimando, ormai sicuro su chi fosse ai
comandi di quel caccia.[6]
Il
Curtiss Warhawk annullò in una
manciata di secondi lo spazio che ancora lo separava dal terreno e cominciò a
strisciare di pancia sulla terra battuta. Una miriade di scintille si sprigionò
allora dal metallo, generando fra gli astanti un’apprensione molto minore di
quella che avrebbero provato se non fossero stati consapevoli che quell’aereo
aveva il serbatoio ormai vuoto.
“Oh,
Gesù…!!” esclamò comunque il sottotenente Sanders.
Il
caccia continuava ad avanzare, sollevando una notevole nube di polvere, mentre
tutto il personale del reparto lo stava rincorrendo con sollecitudine.
Finalmente, dopo qualche violenta derapata, quella massa metallica di oltre
quattro tonnellate si decise ad arrestarsi, quasi al limite opposto della pista
principale.
Alcuni
specialisti, muniti di estintori a CO2, raggiunsero per primi
l’aereo, seguiti subito dai barellieri del reparto sanitario. Fra di loro
giunse anche Flanny Hamilton, che però, nel vedere il parabrezza del caccia completamente
imbrattato di sangue, si bloccò barcollando,lasciandosi sfuggire un grido soffocato.
Fortunatamente,
non appena gli avieri si affrettarono a spalancare il tettuccio, la scrupolosa
infermiera poté scorgere una mano guantata che sporgeva dallo stesso e, subito
dopo, l’ancora giovane tenente Andrew Steve Greason di Providence (Rhode
Island) venne issato fuori dall’abitacolo…
Un
secondo respiro di sollievo fu concesso alla ragazza quando vide che il suo
paziente preferito riusciva a tenersi inpiedi da solo e non sembrava ferito gravemente. Non appena messo piede a
terra (non aveva bisogno di saltare, dal momento che l’ala poggiava
direttamente sul suolo), Andy si sfilò il casco di cuoio, si scrollò di dosso i
due avieri che ancora lo sorreggevano premurosamente e avanzò verso la piccola
folla circostante ostentando uno sguardo terreo e un’andatura da automa.
Flanny
avrebbe voluto precipitarsi su di lui, ma un deciso quanto inspiegabile
formicolio nelle gambe glielo impediva. Al contrario, Stone e Sanders si
mossero con solerzia e lo raggiunsero.
“Andy…”
esclamò il primo “…come stai…?”
“Mai
stato meglio…” rispose lui, senza alzare gli occhi “…o peggio… non lo so…!”
Continuando
a camminare con quello strano passo, né lento né veloce, Greason si trovò
allora a passare accanto a Sanders, che gli chiese: “E… Cornwell…?”
Il
tenente si arrestò, mentre le sue mani si stringevano a pugno e, sempre tenendo
lo sguardo a terra, scosse lentamente la testa.
Spinto
dal suo carattere inguaribilmente ottimista, il compagno non si accontentò di
quella muta risposta, per quanto fosse abbastanza inequivocabile: “Vuol… vuol
forse dire che…”
“…CHE
SE N’È ANDATO AL CREATORE!! QUESTO VOGLIO DIRE, IDIOTA…!!” urlò Andy, incollerito.
L’altro
ammutolì, impaurito dal suo atteggiamento. Ora che gli stava vicino di pochi
passi, il più anziano dei Compari di
Chicago notava come ad Andy tremassero le mani e come il suo volto, cupamente
illuminato dal bagliore delle torce d’emergenza, fosse sconvolto.
James
Stone si appressò a sua volta: “Non deprimerti, Andy… io… sono sicuro che hai
fatto del tuo meglio per…”
“NO,
MALEDIZIONE…!!!” sbottò lui, esasperato “MI AVEVANO AFFIDATO UN NOVELLINO E NON
L’HO RIPORTATO INDIETRO…!! HA PERSO LA TESTA E S’È FATTO PIZZICARE DA UN GIAPPONESE… E
IO NON SONO RIUSCITO A COPRIRLO, PERCHÉ LA CARCASSA HA COMINCIATO
A FARMI MALE… DOPO CHE AVEVO RASSICURATO IL VECCHIO CHE POTEVO VOLARE DI
NUOVO!! RISPARMIAMI LE TUE FREGNACCE DA FRATELLO MAGGIORE, JIM: NON HO FATTO
DEL MIO MEGLIO… HO FATTO DEL MIO PEGGIO…!!!”
Senza
aggiungere altro, lanciò rabbiosamente a terra il casco e si diresse a passo
svelto verso le baracche del campo.
“Andy,
aspetta…!” tentò di richiamarlo Stone.
“E
lasciami in pace, cazzo…!!” esclamò invece lui, senza fermarsi.
A
questo punto, un lampo di fiera risolutezza brillò minacciosamente negli occhi della
capo infermiera del reparto sanitario. Con rapide falcate raggiunse e
sopravanzò il “suo” aviatore e gli si parò davanti. Andy notò la gonna bianca
dell’uniforme, rialzò il viso e si arrestò, fissandola piuttosto incerto.
“Dove
vuole andare, tenente?” gli chiese la donna, con voce ferma.
Lui
drizzò le spalle e cercò di sorridere, senza riuscirci.
“A
farmi un goccetto, dottoressa… ho avuto una giornata pesante!” rispose,
asciutto.
Il
ben noto e sinistro luccichio comparve su una lente degli occhiali di Flanny: “Lei
non andrà da nessuna parte, tranne che in clinica” ribatté, scuotendo
lentamente la testa “avanti…!” concluse, additandogli la direzione
dell’ospedale.
“Senta,
miss Hamilton: forse le sfugge il fatto che ho già passato da un pezzo la
pubertà… quindi so perfettamente di cosa
ho bisogno, in questo momento!”
Flanny
incrociò le braccia: “Davvero?” sospirò “E di che cosa…?”
“Di
ubriacarmi. Per cui mi lasci passare… signorina
iceberg!”
Quell’appellativo,
che per anni l’aveva lasciata indifferente nei confronti dei tanti pazienti
“irrispettosi”, le provocò stavolta un effetto ben diverso, pronunciato da quel
ragazzaccio testardo! Due lacrime traditrici stavano per uscirle, ma le
ricacciò indietro, socchiudendo gli occhi…
“Falla
finita, Andy” sussurrò, facendosi comunque ben sentire dall’interessato “o i
tuoi compagni scriveranno a casa di avere visto il loro capo venir
schiaffeggiato davanti a tutti…!!”
Il
tenente Andrew S. Greason, Providence 1907, West Point 1932, spalancò gli occhi.
Poi, con un ultimo guizzò di amor proprio, ribatté: “Flanny… non costringermi a
mancarti di rispetto…!”
“PROVACI…!!!”
esclamò lei, con voce forte e secca.
Il
ragazzo rimase ammutolito. Si avvicinò lentamente e alzò la mano destra,
puntando minaccioso l’indice verso di lei… stava per dire qualcosa, quando
trasalì nel vedere i suoi occhi che, pur nell’intatta fierezza dello sguardo,
stavano versando copiose e silenziose lacrime. Tornò quindi a bloccarsi, sempre
tentando invano di articolare qualche parola, ma le labbra gli tremavano più
delle mani. Alla fine non resistette più e l’abbracciò di slancio: “Scusami… sono
un idiota…! Ti scongiuro… scusami…!!”
Lei
ricambiò quell’abbraccio, prima teneramente, poi stringendolo con tutte le sue
forze.
“Ti
prego…” gli disse “…promettimi di non farti mai del male…promettimi di aver sempre cura di te…
promettimelo…!!”
Lui
annuì con la testa, prima di rendersi conto che la ragazza non poteva vederlo
in viso: “Te lo prometto…” rispose, allora “…anzi… te lo giuro…!”
“Promettimi
anche” chiese ancora, sempre stringendolo “che non permetterai a nessuno… di
allontanarti da me…!!”
“Certo…”
rispose lui, accentuando la stretta “…sta’ tranquilla…!”
“Mi
raccomando” ribadì Flanny, con voce adesso tremula “perché io… a questo mondo…
non ho che te…!”
Andy
strinse le palpebre, già decisamente umide: “Farò di tutto per bastarti…
contaci!”
Non
si dissero altro. Si guardarono semplicemente negli occhi e si sorrisero
timidamente. Poi si presero per mano e si diressero lentamente verso la clinica
del campo.
Per
quanto strano potesse apparire, in quel momento non sentirono il bisogno di
baciarsi, né di dichiararsi, né tanto meno di fidanzarsi… e sarebbe trascorso
ancora un certo tempo, prima che questi avvenimenti si concretizzassero.
Forse
erano troppo pessimisti e desideravano abbandonare prima quel desolato terreno
di guerra… o forse erano troppo ottimisti e sentivano di avere, per quello,
tutto il tempo del mondo.
Non
si saprà mai. Forse nemmeno loro lo sapevano con sicurezza.
Sapevano
una cosa, tuttavia... ed era la più importante: si erano incontrati!
[1]Non è proprio così, ma si dice che Larry Greason
portasse spesso in volo la moglie Maggie McGeensul suo Neuport Bebè,
anche durante il primo periodo della sua gravidanza…!
[3]Mai dire mai… un giorno lontano Andy Greason si sarebbe
fatto beccare (non mortalmente) da un certo Schultz von Heindrich, suo
pariclasse nella Luftwaffe tedesca,
che pure era suo amico per la pelle… ma questa è un’altra storia!
[4]In seguito Flanny minacciò di chiedergli il divorzio,
se mai Andy avesse
raccontato il fatto alla loro amica! Ovviamente stava scherzando, ma il marito pensò
fosse meglio prendere la cosa sul serio e tenne la bocca chiusa. Candy non ne
seppe mai nulla.
[5]Circa 112 Km/h.
Se l’aereo avesse rallentato ancora per la perdita di potenza, sarebbe piombato
al suolo come un macigno!
[6]Non potendo più essere assistito dal motore, il pilota
aveva evidentemente ritenuto che un atterraggio sul carrello - ulteriore
elemento frenante per la resistenza dell’aria - lo avrebbe esposto alla
pericolosa eventualità di capottare.
lle
ore 7.35 di una tranquilla e soleggiata mattina domenicale, la lancia che
trasportava il tenente di vascello Harvey G. Lockhart, ufficiale di picchetto
del Quattordicesimo Distretto Navale e il suo seguito, si avvicinò scoppiettando
alla vetusta corazzata USS Utah,
ancorata lungo la riva orientale dell’Isola Ford, al centro della grande baia nella
parte meridionale dell’isola di Oahu, che portava il nome hawaiano di Wainumi.[1]
Come
la lancia giunse davanti al barcarizzo[2] che
pendeva lungo la fiancata sinistra della vecchia unità (solitamente impiegata
come bersaglio nelle esercitazioni) il tenente saltò sulla piattaforma e iniziò
a salirne i gradini, prontamente seguito dal suo aiutante, guardiamarina
William Karlovitz.
Un
gruppetto di marinai, già schierati sul ponte, accolse prontamente i due.
“Ufficiale
in coperta!” annunciò salutando uno di loro, che portava sulle maniche i gradi
di capo di seconda classe,[3]
mentre un altro emetteva un prolungato suono di fischietto.
Il
tenente Lockhart rispose al saluto e si diresse verso la poppa della nave, dove
altri due marinai si tenevano pronti presso il pennone. Poco distante era in
attesa una piccola banda di ottoni.
“Eseguire!”
ordinò l’ufficiale di picchetto, agitando il medesimo all’indirizzo dei due
marinai, uno dei quali si affrettò ad assicurare alla fune la bandiera che
teneva sottobraccio.
Sollecitata
dalla brezza mattutina, la Star &
Stripes si spiegò maestosamente, accompagnata dalla marcetta rituale. Non
appena la bandiera fu in posizione, i cinque elementi della banda attaccarono
con le note dell’inno nazionale.[4]
Durante
quella breve e ordinaria cerimonia, un rombo di motori via via sempre meno
sommesso, giungeva agli orecchi dei partecipanti, che però non se ne davano
pensiero. Era normale che le squadriglie dell’aviazione navale effettuassero
delle esercitazioni di volo sopra la baia, anche se, per quella mattina, era un
fatto piuttosto insolito.
“Strano
che volino di domenica…!” osservò il guardiamarina Karlovitz.
“Il
solito corvettaro[5] in carriera, che crede di
far colpo sul Comando della Flotta.” commentò, ironico, il tenente di vascello
Lockhart.
A
un certo punto, però, si vide un aereo che stava per sorvolare la Utah
a una quota insolitamente bassa, anche per un’esercitazione… subito dopo, lo
stesso aereo - un caccia completamente bianco, con il muso nero - passò
talmente rasente al ponte da scoperchiare le teste di tutti i marinai che
presenziavano all’alzabandiera…!
“Prendi
il numero di quel tizio, Bill” ordinò il tenente “imparerà a fare lo
spiritoso…!”
Karlovitz
impugnò il binocolo e si sforzò di aguzzare la vista, ma non riuscì a leggere
nessuna matricola sul caccia, che ormai stava già sorvolando l’Isola Ford,
verso la base aerea della Marina.
“Hai
preso il numero…?” domandò Lockhart.
“No,
signor tenente” rispose, a disagio, il guardiamarina “ma mi è parso che avesse
la fascia rossa dei comandanti di sezione!”
“Inaudito”
replicò l’ufficiale di picchetto, indignato “come può un comandante di sezione
violare le più elementari norme di sicurezz…”
Una
repentina esplosione si fece sentire verso l’interno dell’Isola Ford e subito
un’intensa colonna di fumo si alzò dalla bassa vegetazione che nascondeva da
quel lato le installazioni dell’aeroporto. Contemporaneamente, parecchi altri
aerei sorvolarono la corazzata, senza degnarla tuttavia della minima attenzione,
almeno per il momento…
Nel
frattempo, da diversi punti della baia si cominciarono a sentire i rumori di
altre esplosioni e anche quelli delle prime raffiche di contraerea. Altre
colonne di fumo nerastro comparvero sopra la riva opposta dell’isola, dov’erano
ancorate le navi da battaglia della Flotta del Pacifico![6]
“Ma
che sta succedendo…??” esclamò, sconcertato, il tenente di vascello “Sono tutti
impazziti?!”
“Signore,
sono giapponesi… guardi…!!”
Sollecitato
dal suo aiutante, l’ufficiale di picchetto dovette allora notare che, sulle
superfici inferiori delle ali, i misteriosi velivoli portavano tutti degli appariscenti
dischi rossi.
“Dannazione…!!
Presto, la sala radio: dobbiamo dare subito l’allarme!!”
“Impossibile,
signore” rispose il capo di prima classe Herbert Schmidt “la sala radio è
chiusa…!”
“E
chi tiene la chiave?” domandò allora l’ufficiale.
“Il
tenente di vascello DeQuincy, signore… ma in questo momento si trova in
franchigia!”[7]
“Al
diavolo…!!” imprecò Lockhart “Presto, Karlovitz, torniamo a terra!”
“Signorsì…!”
I
due malcapitati ufficiali si precipitarono nuovamente sulla loro lancia,
tuttora in attesa ai piedi del barcarizzo. Appena furono a bordo, il marinaio
al timone mise subito la prua verso la riva sud-orientale della baia, dove si
trovava fortunosamente una delle stazioni di sorveglianza del porto.
“ATTENTI…!!!”
gridò improvvisamente un marinaio.
Un
aereo, leggermente più grosso di quelli di prima, sorvolò rapidissimo l’imbarcazione,
diretto verso la nave da battaglia che avevano appena abbandonato… pochi
secondi dopo, gli occupanti della lancia notarono che il Nakajina B5N[8] aveva
appena sganciato un lungo e affusolato siluro. Dopo essersi inabissato per pochi
metri, il micidiale Type 91Longe Lance[9] si
diresse inesorabile contro la nave bersaglio… un sordo boato, accompagnato da
un’alta colonna d’acqua, denunciò che il bersaglio suddetto era stato raggiunto
senza alcuna possibilità d’appello!
Subito
dopo, l’esplosione dell’ordigno fu seguita da diverse altre esplosioni interne,
che non tardarono a sconquassare la povera vetusta corazzata, ponendo così
termine alla sua lunga e onorevole carriera.[10]
“Maledetti
bastardi…!!” imprecò Karlovitz.
“La
pagheranno, quant’è vero Iddio…!” replicò il superiore “Forza, Jones: portaci a
riva. Veloce…!”
“Ci
siamo quasi, signore.” rispose il timoniere.
Come
la lancia arrivò ad accostarsi al molo della stazione navale, Lockhart e Karlovitz
si precipitarono dentro l’edificio, facendo sussultare un assonnato capo di
terza classe, che fungeva da operatore.
“Ehi,
tu, sveglia…!!!” gli gridò il tenente di vascello “È in ordine, la radio?”
“Sss…
signorsì, signor tenente…!” rispose, balbettando, il sottufficiale di marina.
“Svelto,
allora: messaggio urgente al comando dell’ammiraglio Kimmell[11]…
muoviti…!!!”
“Su…
subito…!” replicò il poveretto, indossando la cuffia e azionando le manopole
della grossa trasmittente. Vicino ad essa spiccava sul muro un grosso
calendario che riportava la data del giorno da poco iniziato: December 7th, 1941 - Sunday.
“Presto,
trasmetti: Attacco aereo… Pearl Harbour… questa
non è un’esercitazione…!!”
***
Nel
medesimo istante in cui il tenente di vascello Lockhart e il guardiamarina
Karlovitz salivano a bordo della USS Utah,
nella stanza n° 18 del Kola-Kola Hotel di
Honolulu, una giovane donna bruna stava lentamente abbandonando l’inerzia del
sonno, cercando di prendere contemporaneamente coscienza della nuova dimensione
in cui sarebbe trascorsa, dal quel nuovo giorno in poi, il resto della sua vita.
Spostato
lo sguardo sul comodino, mise a fuoco un oggetto che vi aveva appoggiato
frettolosamente la sera precedente… estrasse quindi il suo candido braccio da
sotto le coltri, lo afferrò e tornò ad infilarselo all’anulare sinistro. Col
pollice e l’indice dell’altra mano lo strinse allora più volte, come a volersi
rassicurare della sua tangibilità…
No,
non c’era alcun dubbio: era reale… era il suo anello di fidanzamento!
Per
quanto potesse sembrare assurdo, la graziosa ma fredda infermiera inflessibile
- meglio conosciuta con lo pseudonimo di miss
pezzo di giaccio o quello di signorina
iceberg - si era appena fidanzata…!
Sorridendo,
si rivoltò allora sull’altro fianco e si appoggiò delicatamente sul dorso del
suo uomo, stringendogli affettuosamente il braccio… ma la dolce sensazione del
suo seno sulla schiena non fu sufficiente a strappare il capitano Andrew Steve
Greason dal suo profondo sonno. Flanny Hamilton ridacchiò mentalmente… non
poteva biasimarlo, dopotutto: evidentemente, in quella loro prima notte,
avevano un tantino esagerato…!
***
Tutto
si era svolto come in un turbine…
La
sera di sabato 6 Dicembre Andy Greason era venuto a prenderla all’uscita
dell’ospedale della Marina, dove lei prestava servizio dal giorno del loro trasferimento
dalla Cina. L’ufficiale pilota l’aveva portata fuori a cena, dove avevano
parlato del più e del meno… del lavoro di lei, del lavoro di lui… di lei, che
avrebbe voluto diventare medico dopo la guerra (sempre che fosse riuscita a pagarsi
gli studi universitari), di lui che avrebbe voluto diventare pilota civile…
della situazione mondiale che, come per vanificare i loro progetti, si faceva
sempre più incerta (i giornali riportavano, proprio quella sera, che le
divisioni della Wehrmacht[12]
avevano ormai raggiunto i sobborghi di Mosca). Insomma, una delle tante
conversazioni “neutre” intercorse fra i due dalla fatidica sera in cui l’allora
tenente e ora capitano Greason era rientrato da quella disgraziata missione,
dove uno dei suoi compagni - il povero sottotenente Alistair Cornwell Andrew - aveva
perduto la vita.
Da
allora, il rapporto fra i due si era indubbiamente sempre più intensificato,
anche in maniera abbastanza singolare: tanti scambi di parole, diversi sguardi
profondi, alcuni abbracci fortissimi… qualche bacio, fugace quanto ardente… ma
nulla di più!
È
vero che i due non potevano certo disporre di molte occasioni per godere di una
qualche intimità (il secondo ricovero di Andy era stato brevissimo, la camerata
non era mai stata deserta e comunque era contro il regolamento), ma sembrava che
ci fosse anche dell’altro…!
***
All’atto
del suo definitivo rientro in servizio, Andy Greason era stato confermato al
comando della Seconda Squadriglia delle Tigri
Volanti ed era stato promosso di grado. La cosa, però, per quanto apparisse
illogica, non sembrava averlo reso felice…
“Perché
io…?” aveva chiesto al colonnello Clint Hardgison.
“Perché
è l’unico che sia disponibile.”
“Ma…
c’è anche Stone. È anche più anziano di me, e…”
“Non
è alla sua altezza” il comandante del Gruppo sbuffò e proseguì “mi stia a
sentire, Andy… lo so che la carriera militare non è perfettamente compatibile con
il suo carattere! Ma nella vita ci sono dei casi che possono costringerci a
compiere scelte che normalmente non avremmo compiuto. E questa, per lei, è
proprio una di quelle volte!”
“Non
capisco cosa vuole dire, signore…!” aveva protestato Andy.
“È
risaputo che il suo eccellente stato di servizio deriva dalla sua abnorme
passione per il volo, più che dalla voglia di combattere. O mi sbaglio?”
Il
giovane pilota aveva abbassato gli occhi, per poi annuire con riluttanza: “Non
si sbaglia, signore” aveva sospirato “effettivamente, se proprio devo dirlo… ho
sempre detestato buttare giù dei colleghi… sia pure nemici.”
“Tuttavia,
il suo score ha già raggiunto i 38 apparecchi… non è così?”[13]
Greason
era tornato a sospirare, confermando: “Così pare, signore…!”
Il
suo comandante di reparto gli aveva allora sorriso paternalisticamente: “Ciò
dimostra che, pur non piacendole quanto le dispone il dovere, ha sempre fatto
del suo meglio per portarlo a termine. E questo mi basta per concederle la mia
fiducia. Non ritiene che abbia ragione?”
“Ma,
signore… io…”
Prima
di concludere il colonnello gli aveva messo una mano sulla spalla: “Lo so che
il suo sogno nella vita era quello di volare… e basta. Ma finché dura tutto
questo pasticcio, temo che dovrà pazientare. E inoltre… lo tenga sempre in
testa, Andy: noi, la nostra gente, i nostri amici… abbiamo bisogno di lei!”
Greason
aveva fissato a lungo il suo superiore, per poi abbozzare un sorriso
malinconico: “A quanto sembra… non credo di avere molta scelta, non è vero…?”
Il
superiore aveva annuito con espressione seria, poi gli aveva dato due forti
pacche sulla stessa spalla: “È proprio così, Andy! Esattamente così… ma non si
crucci più del dovuto: la guerra, dopotutto, non durerà in eterno.”
“Già…
ha ragione, signore. Beh, la ringrazio…!” aveva concluso, salutando.
“Non
c’è di che” Hardgison aveva risposto al saluto “e ancora complimenti… capitano!”
Con
le mani in saccoccia, il confermato capo-squadriglia aveva preso congedo
tornando verso la pista di volo. Qui si era arrestato presso il suo caccia, già
rimesso in condizioni di efficienza, anche se diverse scrostature sotto il
ventre denunciavano i postumi di quell’atterraggio d’emergenza notturno.
Il
suo sguardo, dopo aver vagato sulle varie parti dell’apparecchio, si era
fermato definitivamente su quel nome scritto in giallo sopra il muso. Aveva
sorriso, ricordando la sfuriata “fittizia” di Flanny, quando se n’era accorta…
“Potevi
anche chiedermi il permesso, brutto insolente sfacciato…!!” aveva gridato,
alzando una mano, come per dargli un altro ceffone… che era poi diventato un
buffetto. Lui aveva allora coperto, con la propria, quella mano che indugiava
sulla sua guancia e lei aveva ribattuto: “E adesso che fai…? Non hai intenzione
di lasciarmela?!”
Stavolta
aveva prevalso il diavoletto rosso e quel ragazzaccio impertinente aveva
risposto così: “Solo se mi dai un bacio…!”
L’inflessibile
capo-infermiera dell’ospedale di Kunming aveva finto d’indignarsi, cercando di
sorridere il meno possibile: “Sei proprio incorreggibile, lo sai?!”
“Lo
so…!”
Ed
era stato quello, in un certo senso, il loro vero “primo bacio”…!
Accarezzando
delicatamente la scritta, ormai leggermente imbrattata dagli schizzi dell’olio
che uscivano di frequente dagli scappamenti, Andy aveva continuato a pensare
alle parole del colonnello: “La guerra
non durerà in eterno!”
Quella
frase, però, lungi dall’infondergli un senso di sicurezza, gli aveva provocato
invece uno struggimento sinistro: *Non durerà in eterno…! Già… ma io…? Io durerò
quanto la guerra…?*
Per
parte sua era stata questa la ragione principale dietro la titubanza nel
chiedere a Flanny di mettersi insieme. Il giovane aveva saputo dello stato
d’animo di lei durante il suo ritorno di quella sera (glielo aveva raccontato “l’innaffiato”
sergente Johnny Logan, della Terza Squadriglia)[14] e
aveva altresì immaginato il dolore di Patty O’Brian, la fidanzata di Cornwell, nell’apprendere
la perdita del suo amato.
Che
anche quella ragazza straordinaria, venuta fino in Cina per assistere quel
pungo di piloti quasi folli (viste le condizioni disperate in cui si battevano)
potesse un giorno ritrovarsi nella stessa situazione, era un pensiero che non
poteva sopportare!
*È
giusto spingere una donna ad amare un uomo che forse, un giorno, non
ritornerà…?*
Proprio
questo lo aveva trattenuto; come aveva trattenuto la stessa Flanny dal
decidersi a incoraggiarlo. Era come se fossero entrambi consapevoli che portare
a compimento la loro relazione gli avrebbe procurato, insieme a momenti di
grande felicità, anche più lunghi periodi d’intenso dolore… a meno che non
avessero rinunciato a fare le cose che amavano di più e che ritenevano più
giuste in quel momento.
*Pensiamoci
bene, Flanny* aveva meditato Andy, sempre accanto al suo fedele caccia *forse
siamo ancora in tempo per tornare indietro…!*
Ma
sapeva di mentire a sé stesso. Era troppo tardi, ormai, per rinunciare: la sua
vita senza di lei, per intensa e avventurosa che fosse, gli sarebbe sempre apparsa
come vuota di significato. Il vecchio Platone, insomma, non perdonava![15]
***
E
così, quel sabato sera, dopo avere come al solito parlato di tutto e di niente
durante la cena in quel ristorantino hawaiano di Kalia Road, la coppia si era
recata sul lungomare di Waikiki. Dopo aver parcheggiato la macchina presso il
belvedere di Diamond Head, i due erano rimasti appoggiati al parapetto per
contemplare la scia argentata della Luna che si specchiava nelle acque del
Pacifico. Era una serata stupenda… una fresca e piacevole brezza, satura di
essenza marina, carezzava i loro volti e scompigliava i capelli corvini di
Flanny. Il dolce mormorio della risacca si confondeva col fruscio della
vegetazione e il cielo dicembrino era un tripudio di stelle. Tutto perfetto,
insomma… non fosse stato per il fatto che le portaerei dell’ammiraglio Nagumo
erano ormai a qualche centinaio di miglia a nord dell’isola…![16]
A
un certo punto la ragazza si voltò ad osservare il suo compagno, trovandolo
insolitamente assorto a fissare l’orizzonte. In genere non rimaneva mai in
silenzio tanto a lungo.
“C’è
qualcosa che non va, Andy…?”
Lui
si riscosse: “Niente… perché?”
“Non
so… non hai detto ancora nulla!”
Il
ragazzo si voltò, fissandola intensamente. Quella sera non aveva gli occhiali
(la sua miopia non era così forte da non poterne fare a meno, anche se, per
ovvie ragioni, sul lavoro li portava sempre) e la dolcezza dei suoi lineamenti
si rivelava quindi senza nessun elemento che la inseverisse e ad Andy mancò
quasi il fiato. Tutti i suoi buoni propositi di saggezza, ragionevolezza e
prudenza, andarono a farsi benedire…!
“Beh,
sai…” farfugliò “…stavo solo pensando…!”
Lei
si accostò fino a toccarlo e gli appoggio una mano sull’altra spalla: “A che
cosa…?” chiese ancora, con un sorriso dolcissimo.
Preso
un po’ in contropiede (in genere gli approcci li iniziava lui) Andy dovette
deglutire: “Ecco… c’era una cosa che volevo chiederti…”
“Dimmi…!”
incalzò Flanny, accentuando leggermente la pressione della mano.
“Tu…
sei felice…?” le chiese, osservandola attentamente.
Trascorse
qualche minuto di silenzio, poi la donna ribattè: “E tu…?”
*Eh,
no!! Così non vale, porca la miseria…!* imprecò mentalmente lui. Ma, dopo un
po’, rispose: “Beh… sì, abbastanza! Anche se…” parve esitare un attimo.
“Anche
se…?”
“Potrei
esserlo di più…!” concluse lui, tornando a guardare l’orizzonte.
“Capisco”
rispose lei. Andy sentì il suo sospiro “e… cosa potrei fare?” aggiunse.
“Per
cosa?”
“Per
renderti più felice…!”
“Eh…??
Ehmm…” l’ufficiale dovette deglutire di nuovo “…beh, potresti… continuare a… stare
con me…!” terminò la frase quasi in un sussurro.
Fu
la volta di Flanny per deglutire e dovette abbandonare la spalla del compagno
per non tradirsi con il tremito… ma forse non fece in tempo.
“Hai
freddo…?”
“Può
darsi… siamo in Dicembre, dopotutto.”
“Aspetta…”
il ragazzo si levò la giacca dell’uniforme e la pose sulle spalle di lei,
coperte solo da una camicetta abbastanza leggera (aveva lasciato il soprabito
in auto). Poi l’abbracciò, a sua volta.
“Va
un po’ meglio?”
“Molto…!”
rispose lei, a mezza voce.
Dopo
un altro po’ di silenzio, il pilota lo ruppe di nuovo: “Flanny…”
“Sì…?”
“Non
hai risposto alla mia domanda.”
Le
sue spalle ebbero ancora una leggera scossa: “Ah, sì… hai ragione, scusami! Vorresti
che… restassi con te…”
“Veramente
questa era la mia risposta” ribatté
lui “io ti avevo chiesto se eri felice…”
Senza
voltarsi ancora verso di lui, Flanny chiuse gli occhi e fece un respiro
profondo.
“Anch’io…
potrei esserlo!”
“Esserlo…?!”
chiese Andy, perplesso.
“Più
felice… voglio dire.”
“Ah…!”
fece lui, deglutendo. Poi, ancora “E… come…?”
Lei
tornò a guardarlo. Il suo viso mostrava un sorriso così soave da fargli vibrare
persino i lacci delle scarpe.
“Stando
anch’io… con te…!” rispose.
A
questo punto, Andy avvicinò il viso per unire le labbra alle sue, ben sicuro
che stavolta non ci sarebbero state conseguenze… dolorose! E infatti la ragazza
lo assecondò totalmente, abbracciandolo con tenerezza.
Durante
quel meraviglioso contatto, il nostro pilota si ricordò del pacchetto contenuto
in una delle sue tasche, acquistato la mattina stessa presso un negozio di
Honolulu…
Stava
percorrendo la città coi suoi colleghi James Stone, Roy Master e Victor Sanders
(i compari di Chicago), mentre John Maxim e Roger Williams (i Fratelli del Sud)
se n’erano andati a gozzovigliare per conto loro. I compagni di squadriglia
stavano tempestando il comandante coi soliti frizzi sulla sua “relazione” con
la glaciale infermiera conosciuta in Cina… quando, a un certo punto, il
gruppetto di aviatori si era trovato a passare davanti a una gioielleria. Fosse
stato l’istinto o qualche ispirazione celeste, le gambe del futuro asso si
erano come bloccate davanti alla vetrina, dove spiccava, fra gli altri
preziosi, un bellissimo anello con un brillante, né troppo minuscolo, né troppo
sfarzoso. Insomma, un gioiello perfetto, per…
I compagni
avevano iniziato a ridacchiare sommessamente; quindi, prima ancora che il loro
capitano potesse protestare, lo avevano spintonato verso l’ingresso,
trascinandolo poi di forza fino al banco del commesso… il resto lo avrete già
indovinato.
Quando
Flanny si rese conto che, di lì a poco, avrebbe perso il controllo di sé
stessa, si decise a malincuore ad abbandonare le labbra del suo ragazzo… se non
che, riaperti gli occhi, la prima cosa che vide, dopo averli pudicamente
abbassati, fu una scatolina di velluto che le dita di Andy si affrettarono a
scoperchiare, rivelando il contenuto del suo acquisto mattutino…!
Sbarrati,
gli occhi dell’infermiera tornarono a salire verso il viso del pilota,
accompagnati dalla sua bocca, completamente spalancata. Andy dovette compiere
uno sforzo eroico per non scoppiare a ridere di fronte a quello spettacolo!
Ma
subito si rifece abbastanza serio: “È una pazzia, lo so…! Siamo entrambi due
testardi e poi… dovremmo dividerci con le nostre professioni. E poi c’è la
guerra e… insomma, non sarebbe molto divertente! Lo so che sto per fare una
stupidaggine… che ci vorrebbero i tempi giusti… ti sembrerò uno stupido ragazzino
impaziente, ma… ecco, se non te lo chiedo ora, non te lo chiedo più…!! Vuoi
sposarmi, Flanny…?”
Durante
tutto quello sproloquio, la ragazza era riuscita faticosamente a richiudere la
bocca. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo e fare qualche passo lontano da
lui, tanto per raccogliersi un momento a riflettere... ma non le riusciva.
Riflettere
su cosa, poi? Non era facile nemmeno rispondergli! Pur nella sua foga quasi
infantile, Andy aveva detto tutto quel che c’era da dire, al riguardo. Tutte le
considerazioni che quel ragazzaccio aveva rimuginato dall’estate precedente, le
aveva pur fatte anche lei.
Aveva
ragione, era una pazzia! Sposarsi alla vigilia di una guerra spaventosa.
Sposare un pilota da caccia, poi, in quella che si era dimostrata fin da subito
una guerra prettamente aerea…! Una guerra che poteva durare per anni… che vita
avrebbero fatto? Quanto tempo avrebbero effettivamente trascorso insieme?
E
allora? Aspettare che la guerra terminasse? E se fosse terminata prima la loro
storia…?
Alla
fine lo guardò, quasi imbronciata… anzi, imbronciata lo era davvero!
“Tu…
tu lo sai quanto tengo al mio lavoro! Non posso e non voglio diventare un
angelo del focolare… non prima che finisca tutto questo carnaio, almeno…! La
nostra gente ha bisogno di persone come me.”
“Lo
so bene!” concordò lui, sospirando.
“E
ha bisogno di persone come te… anche se trovo orribile la professione delle
armi, ho imparato che purtroppo il diritto si difende con la forza. Viste le
circostanze, qualcuno dei nostri lo deve pur fare questo sporco mestiere… e
purtroppo si dà il caso che lo abbia scelto anche tu…!”
“Finché
c’è la guerra, Flanny. Ma poi…”
La
donna sorrise malinconica, scuotendo la testa: “Ah, Andy… ma a chi credi di
darla a bere?! Vuoi che ormai non conosca a fondo l’unico uomo di cui,
probabilmente, mi potevo innamorare?”
Il
capitano Greason sussultò… anche se non gli suonava del tutto gradito quel probabilmente.
“Tu
ce l’hai cucita addosso, questa uniforme” continuò lei, sfiorando l’aquilotto
sopra la tasca sinistra, sovrastato dal nastrino della DSM[17] “proprio come io ce l’ho
cucito addosso il camice da ospedale. Un pilota civile…! Ma tu ti ci vedi davvero
nella cabina di un DC3 o di un L14…?”[18]
“Beh,
però…”
“Tesoro…”
continuò lei, accarezzandolo “…tu ti senti te stesso solo quando sfrecci a 300 miglia orarie, a 20000 piedi dal suolo.
E io mi sento me stessa solo quando strappo le persone alla morte e al dolore.
Siamo fatti così… e continueremo con quello che sappiamo fare meglio, anche dopo
che la guerra sarà finita!”
Il
pilota annuì di nuovo, tristemente: “Hai ragione… sono stato un pazzo a pensare
il contrario. Perdonami se ti ho messa a disagio... ma io ti amo…! E non ce la
facevo a non chiederti di sposarmi... anche se sapevo perfettamente che mi
avresti risposto di no.”
A
quelle parole, Flanny Hamilton raddrizzò la schiena, poi gli afferrò le
braccia, guardandolo dritto negli occhi: “Sei uno sciocco…!!”
“Lo
so, ma…”
“Io
non ti detto di no…!”
“Si,
però… EEHH…??!”
“Io
non ti avevo ancora risposto!”
Andy
dovette deglutire nuovamente, anche se la sua povera gola gli sembrava ormai
carta vetrata: “E… e allora… cosa mi…”
“Di
sì…!” fece lei, piantandogli in faccia uno sguardo più acuminato di un ago
ipodermico. Il giovane sentì un forte formicolio nelle gambe: “Da… davvero…?!”
altra deglutizione “Tu vuoi… ”
“Sì…
io voglio sposarti, Andrew Steve
Greason…!”
“Oh…
oddio…!!” il giovane barcollò vistosamente.
“Andy…
cos’hai…??!” chiese lei, afferrandolo, ovviamente allarmata dal suo istinto
professionale.
“Niente…
non è niente… un piccolo capogiro…”
“Oh,
cielo…! Respira, tesoro… respira!”
L’ufficiale
non se lo fece ripetere due volte, introitando aria come la presa di un
turbocompressore…
“Va
meglio…?” gli chiese lei, dolcemente, dopo un po’.
“A…
altroché…!” rispose lui, cercando di usare un tono allegro. Poi si ricordò di
un particolare e tornò a porgerle la citata scatolina “Beh, allora… ecco!”
A
quella vista, i bellissimi occhi di Flanny luccicarono come stelle e qualche
lacrimina scese lungo le sue guance, discretamente arrossate. Quindi afferrò
l’anello e se lo mise, lottando col tremore delle dita…
“Fatto…!”
disse, con tono gioioso da ragazzina, mostrando il dorso della mano aperta.
“Perfetto…!”
commentò lui, tornando poi ad abbracciarla. Si guardarono ancora negli occhi e
si baciarono di nuovo. Quando si separarono, il viso di Flanny era di nuovo
serio.
“Guarda
che non fai un affare… lo conosci il mio caratterino!”
“Meglio
così: non avrò sorprese!”
“E
la mia intransigenza…!”
“Sono
un soldato: sono addestrato alla disciplina.”
“Come
no… ma c’è un’altra cosa che devi sapere…”
“E
sarebbe…?” domandò lui, sempre tenendola stretta.
“…che
sono gelosa come una pantera!”
Lui
rimase interdetto un istante, poi ridacchiò: “Beh, mi preoccuperei del
contrario: dicono sia la prova d’amore più genuina!”
“Già…
perciò bada a te, giovanotto! Vi conosco, voi soldati: una ragazza in ogni campo!”[19]
“Ricevuto
e compreso, comandante! C’è qualcos’altro?”
“Solo
una domanda, capitano…”
“Sono
tutt’orecchi, signora!”
“Ti
piacciono le bionde?”
“Che…??”
“Hai
capito benissimo! Rispondi, forza: ti pacciono o no…?”
“Ma
che razza di domanda è…?! A tutti gli uomini piacciono le bionde…”[20]
“Oh,
davvero…?!” ribatté lei, piuttosto corrucciata.
Rassicurata
- forse - da quelle parole, la mora tornò allora ad abbracciarlo, dandogli un
bacio al quale, questa volta, entrambi si abbandonarono completamente…[21]
***
Un
rombo lontano… continuo… sempre più forte…
Flanny
non aveva dubbi: era il motore del suo
caccia, che lo stava riportando da lei… Andy stava ritornando da una di quelle
maledette missioni dalla zona cinese occupata dal nemico. Il rombo diventava sempre
più potente… erano tanti apparecchi… che bello, stavolta tornavano tutti…
…ed
era tornato anche lui…!
La
donna aprì lentamente gli occhi… e vide la nuca del suo fidanzato, tuttora
sprofondata nel cuscino, perfettamente immobile, come tutto il resto del suo
corpo…
Immediatamente
mise a fuoco anche la parete di fronte, con la veneziana della finestra che
vibrava incessantemente, sempre con quel rombo infernale proveniente
dall’esterno.
Poi
realizzò di trovarsi nel soffice letto di una stanza d’albergo, a smaltire i
postumi di una notte di passione, mentre sopra l’edificio stava evidentemente
transitando l’intera aviazione dell’Esercito, probabilmente accompagnata da
quella navale…[22]
Senza
dubbio si trattava di esercitazioni. Però, di domenica mattina… era normale
tutto ciò?
Certo
lei, come infermiera, non era in grado di affermarlo con sicurezza, ma quel
focoso ragazzaccio al suo fianco poteva magari saperne qualcosa di più… cosicché
si decise a svegliarlo.
“Andy…
Andy…!” lo chiamò, scuotendolo per un braccio.
“Mmm…
sgrunf…!”
“Dai,
amore… svegliati…!!”
“Mmm…
che c’è…?” bofonchiò lui, aprendo mezzo occhio “Che succede…?”
“Non
senti il frastuono…? Dai, alzati: c’è qualcosa che non va…!!”
“Ma
che…”
Ormai
abbastanza desto, il capitano annaspò con la mano alla ricerca dei suoi boxer
rimasti sul tappeto e, dopo esserseli infilati, si alzò per raggiungere la finestra.
“Devono
essere quelli della Marina… quei disgraziati, con la scusa delle esercitazioni,
non perdono occasione per rompere le scatole a noi dell’Esercito e ai
tranquilli cittadini di Honolulu…!”
“Ma
oggi non è domenica?” osservò Flanny, seduta sul letto, tenendosi il lenzuolo
aderente al seno.
“Bah…
si vede che si stavano annoiando” rispose Andy, infilandosi la camicia “che gli
frega, a loro? Tanto la benzina gliela pagano i contribuenti!”
“Già…!”
commentò lei, con tono marcatamente polemico.[23]
Dopo
aver sollevato la veneziana, Andy aprì i vetri della finestra e si sporse per
vedere meglio. Dopo qualche attimo, la donna lo sentì gridare: “PORCA PUTTANA…
MA SONO I GIALLI…!!!”
“ANDY…!!
T’ho già detto di smetterla, con queste frasi da scaricatore…!”
“Ma
Flanny, ti dico che quelli lassù sono giapponesi…!! Vieni a vedere anche tu!”
La
ragazza si alzò allora dal letto e lo raggiunse, sempre avvolgendosi nel
lenzuolo.
Il
cielo era letteralmente pieno di apparecchi che recavano i contrassegni
dell’aviazione della Marina Imperiale nipponica! C’erano gli onnipresenti
caccia Mitsubishi A6M
dall’inconfondibile NACA nera, dotati di un’autonomia tragicamente
sottovalutata dai comandi statunitensi… c’erano i siluranti Nakajima B5N con i terribili siluri Lancia Lunga appesi sotto la pancia e
appositamente modificati per non piantarsi nei bassi fondali di Pearl Harbour… c’erano
infine i bombardieri a tuffo Aichi D3A,
caricati con particolari bombe speciali che avrebbero squarciato
inesorabilmente anche i ponti più protetti delle navi da battaglia.[24]
“Oh,
mio Dio…!!” esclamò Flanny, angosciata “Giapponesi… ma allora è un attacco!”
“Proprio
così, maledizione” ruggì Andy, stringendo i pugni “quei maledetti sono arrivati
anche qui…!!”
“Ma
come hanno potuto raggiungere le Hawaii…?!”
“Non
era poi così difficile” rispose lui, infilandosi i calzoni “con le portaerei,
no? Anche loro ce le hanno, ma evidentemente quei tromboni di Washington si
erano dimenticati di questo piccolo particolare…!”
Un
improvviso e frenetico bussare alla porta fece sussultare i due: “Capitano…
capitano, ci sei…??”
“Questo
è James” disse Andy, finendo di allacciarsi le scarpe “non ha perso tempo, a
quanto pare…!”
Mentre
il suo fidanzato balzava verso la porta, la povera Flanny si era nuovamente
seduta sul bordo del letto, portandosi una mano alla fronte. Accasciata era
forse il termine più adatto. E ne aveva di che…
Si
erano infine ufficialmente dichiarati… si erano fidanzati… avevano persino
consumato quel vincolo d’amore che - ora lo sapevano - li avrebbe legati per l’eternità…
ma il dannato mostro della guerra tornava inesorabile a piombargli addosso!
Flanny
avrebbe voluto urlare dalla disperazione, ma il suo orgoglio di persona
provata, seria e fortenon glielo consentiva…
anche se doveva tapparsi fortemente la bocca con la mano, mentre stringeva le
palpebre per non farvi sgorgare troppe lacrime.
“Salve,
Jim” disse Greason, dopo aver spalancato la porta “sapevo che eri tu…!”
“Dobbiamo
correre a Wheeler, Andy… quei figli di puttana stanno già tartassando la base
di Hickam…!”[25]
“Tartasseranno
anche Wheeler, se è per questo! Hai una macchina?”
“Sì,
dabbasso: Roy e Vic ci aspettano su una jeep.”
“E
gli altri?”
“I
fratellini[26] sono già partiti per il
campo, con Vinny e Sammy.”
“Okay,
vagli incontro: io scendo subito.”
Il
tenente Stone gettò uno sguardo significativo alla figura di Flanny: “D’accordo”
annuì “a fra poco.”
Il
capitano richiuse la porta. Al rumore, la sua donna si alzò lentamente in piedi
e lo fissò con aria a dir poco smarrita. Lui sentì allora uno spasimo in pieno
petto… come gli appariva fragile, in quel momento! Tutta la sua fiera sicurezza
se n’era andata per lasciare il posto all’angoscia più tremenda. I bruni capelli
sciolti le scendevano graziosamente sulle nude spalle e le lacrime le scorrevano
ormai copiose sulle guance pallidissime.
Lentamente,
Andy si avvicinò e la strinse con tutta la tenerezza di cui era capace, ma quel
gesto fece giustizia delle ultime risorse psicologiche di Flanny, che gli si
abbandonò tra le braccia, senza più riuscire a frenare i singhiozzi.
“Ehi,
ehi…” le sussurrò lui, dopo avere stretto i denti “…non fare così! Dov’è finita
la mia infermiera tutta d’un pezzo, eh…? Coraggio…!!”
Non
ottenne che altri singhiozzi, come risposta…
“Su,
su… non ricordi la promessa che ti ho fatto, a Kunming?[27] Non
permetterò a nessuno di allontanarmi
da te… tanto meno a qualche piccolo bastardo dal muso giallo!”
“Ancora…”
annuì lei, sempre singhiozzando “…promettimelo ancora… ti supplico…!”
“Fidati
di me… signora Greason!”
Lei
rialzò la testa e lo guardò, cercando di sorridere… ma non ce la fece: “Non
sono ancora la signora Greason…!” sussurrò, sconsolata.
“Domani…!”
“Cosa…?”
“Ci
sposiamo domani. Ok…?” sussurrò lui, ammiccando.
“Sul
serio…?” chiese lei, con voce tremante.
“Ma
certo” le afferrò la mano sinistra e se la portò alle labbra “domani porterai
una fede, al posto di questo brillante… te lo giuro!” e gliela baciò.
Stavolta
un sorriso tornò a illuminare quel bel volto, bagnato dalle lacrime.
“Sai
che sei molto carina, anche quando piangi?”
“Davvero…?”
Lui
annuì… e la stava per baciare, quando qualcuno batté ancora alla porta…
“Flanny…
Flanny, sei sveglia…?!”
“È
Natalie…!” esclamò quest’ultima.
Greason
aprì nuovamente l’uscio. Natalie Venc, la collega di Flanny Hamilton, anch’essa
trasferita alle Hawaii dalla Cina, comparve sulla soglia.
“Oh…!!!
Scu… scusatemi…!! Io non volevo…! Ma…”
“È
tutto a posto” la rassicurò Andy con un cenno della mano “io devo scappare”
guardò la ragazza castana e le posò la mano sulla spalla “conto su di te…!” sussurrò.
Lei
annuì, sorridendo: “Sta’ tranquillo: avrò cura di lei.”
“Grazie…
a presto!” concluse il pilota, allontanandosi a passo di corsa lungo il
corridoio.
La
nuova arrivata si avvicinò all’amica, che ancora si tergeva le lacrime col
bordo del lenzuolo.
“Mi
dispiace tanto, Flanny… se solo avessi immaginato…”[28]
“Non
fa niente… non preoccuparti.”
“Dobbiamo
andare anche noi: stanno richiamando tutti i sanitari all’ospedale.”
“Certo,
certo… faccio in un attimo.”
La
donna fece per dirigersi verso il bagno, ma ad un tratto barcollò e la collega
la raggiunse con un balzo per sorreggerla: “Santo Cielo, Flanny…! Ti senti
male…?!”
“No,
no… va tutto bene…! Tutto…” ma non poté andare oltre. Strinse d’impulso la sua
più cara amica e scoppiò finalmente in un pianto dirotto…
“Sii
forte Flanny…” le diceva Natalie, anche lei cogli occhi umidi “…sii forte, come
sei sempre stata!”
La
povera ragazza s’imponeva di contenersi, ma era più forte di lei: “Non ce la
faccio, Natalie… non ce la faccio…!!”
“Coraggio,
cara… coraggio: non è la prima volta che lo vedi andare in azione.”
“Lo
so… ma questa non è come le altre…!” e, asciugandosi gli occhi, le mostrò cosa
indossava al dito.
“Santo
cielo…!!” Natalie spalancò gli occhi “Vi siete…”
“Già…!!”
“Ma
è meraviglioso! Congratulazioni, tesoro…!!”
“Oh,
insomma, Natalie…!!” Flanny sbottò.
“Cosa
c’è…?!” chiese l’amica, perplessa.
“È
la seconda volta che te lo dico! Non puoi aspettare che ritorni, prima di farmi
le congratulazioni?”
La
collega si portò la mano alla bocca e abbassò gli occhi, mortificata: “Hai
ragione, perdonami…! Ma adesso preparati, che dobbiamo andare.”
“Va
bene…!”
Mentre
Flanny si richiudeva alle spalle la porta del bagno, Natalie, spossata
dall’emozione, si lasciava cadere di peso su una poltrona.
“Ahhh…!!”
sospirò “Prima Candy… poi Andy… e ora la guerra! Di bene in meglio…!!”
Detto
ciò, appoggiò la testa sullo schienale e chiuse gli occhi, cercando di non
sentire i rombi, le raffiche e gli scoppi che continuavano a susseguirsi dalla
direzione della baia…
[2]Scaletta che permette di salire a bordo delle navi, anche se non sono
accostate ai moli.
[3]Corrispondente, nelle Marina, al grado di Sergente nell’Esercito.
[4]The Star Spangled Banner (La Stella brillava sulla Bandiera).
[5]Capitano di Corvetta, grado solitamente attribuito
anche ai comandanti di squadriglia dell’Aviazione Navale ed equivalente a quello
di capitano nell’Esercito.
[6]Tant’è che il molo antistante l’ancoraggio aveva preso il nome di Battleship Row (Viale delle Corazzate).
[8]Aereo silurante, monomotore, denominato Kate nel codice identificativo alleato.
[9]Lancia Lunga. All’epoca dell’attacco all’America, i giapponesi
disponevano dei migliori siluri del mondo.
[10]La USS Utah
fu una delle tre sole unità che andarono definitivamente perdute nel bilancio
dell’attacco, assieme alle corazzate USS
Oklahoma e USS Arizona (che oggi
si trova sotto l’attuale mausoleo bianco e che contiene ancora i corpi dei 1400
marinai deceduti).
[11]Husband E. Kimmell, comandante in capo della Flotta del
Pacifico nel momento dell’attacco giapponese. Venne sostituito, poco tempo
dopo, dal ben più competente ammiraglio Chester W. Nimitz, che avrebbe diretto la Flotta dalla rivincita di Midway fino alla vittoria finale del
1945.
[12]L’esercito tedesco. Proprio nei giorni immediatamente
precedenti l’attacco giapponese di Pearl Harbour, il Gruppo di Armate Centro
del generale Fedor von Bock era riuscito a penetrare a meno di 25 chilometri dal
centro della capitale sovietica. Fortunatamente le proibitive condizioni
atmosferiche avevano causato l’arresto delle forze germaniche, mentre Stalin,
ormai consapevole che i Giapponesi non lo avrebbero attaccato da oriente, aveva
fatto trasferire sul fronte di Mosca preziosi rinforzi, prelevati dalle truppe
che presidiavano il confine fra la
Siberia e la
Manciuria.
[13] All’epoca della mia prima “stesura” della storia di
Andy Greason, gli avevo attribuito un record di 1094 vittorie (circa la metà
giapponesi e il resto tedeschi)… ma ora, in nome del realismo, sarà meglio
ridimensionare la cosa!
[18]Il DC3 era il
famoso bimotore Douglas Dakota,
mentre l’L14 era il meno famoso ma
altrettanto valido Lockeed Super Electra,
entrambi aerei passeggeri del tempo, impiegati anche nelle aviazioni militari.
[19]Ovvia trasposizione del detto riguardante i marinai (una ragazza in ogni porto)!
[20]Specialmente ai floricultori, agli attori, ai naturalisti, agli aviatori
e ai bon viveur…!
[21]Lo so a cosa state pensando, birbantelle: la spiaggia,
il chiaro di Luna, il bagno di mezzanotte senza costume… SCORDATEVELO! A parte
che Andy Greason è un ufficiale e un gentiluomo, gli Americani degli anni
Quaranta erano ancora rigidamente puritani!
[22]Come avrete già capito, all’epoca del racconto le
aviazioni americane erano due: quella dell’Esercito (United States Army Air Force) e quella della Marina (United States Navy Air Force);
quest’ultima era principalmente imbarcata sulle navi portaerei, ma disponeva
anche di molti reparti basati a terra, oltre ad unità di idrovolanti e anche di
dirigibili.
[23]Mi veniva da farle dire: “Basta
tagliare i fondi alla sanità, vero…?!” ma forse non era il momento.
[24]Il comando della Flotta del Pacifico (CINCPAF) aveva giudicato “trascurabile”
un attacco con aerosiluranti contro Pearl Harbour, proprio perché i fondali
della baia avevano una profondità massima di 9-12 metri, mentre i siluri
dell’epoca dovevano sprofondare per almeno 20-25 metri, prima di stabilizzarsi
a una quota sufficiente per non farli passare sotto la chiglia delle navi
attaccate. Nessuna rete parasiluri era stata così calata a proteggere il porto,
esponendo le unità della Flotta ad essere colpite da quegli stessi siluri,
equipaggiati però con speciali timoni orizzontali posticci che impedivano
appunto loro di scendere oltre la massima profondità consentita. Quanto ai
bombardieri a tuffo (in grado cioè di picchiare e sganciare con un angolo di
90°) erano stati caricarti con proiettili navali da 460 mm, trasformati in bombe
mediate il montaggio degli appositi alettoni; in questo modo potevano
sviluppare la massima efficacia sulla protezione dei bersagli.
[25]I principali aeroporti dell’Esercito su Oahu erano 3:
Hikam e Bellows Field, ubicati nelle immediate vicinanze della base navale (e perciò
immediatamente attaccati) e quello di Wheeler Field, situato verso il centro
dell’isola.
[26]Sta parlando ovviamente di John Maxim e Roger Williams (i Fratelli del Sud).
a
piccola jeep con a bordo metà organico della 3a Squadriglia del 18th
Pursuit[1] Group,
in forza all’Aviazione dell’Esercito di stanza nelle Hawaii, filava a tutta
birra lungo la strada che univa Honolulu a Pearl City, la cittadella formata dagli
alloggiamenti per gli ufficiali e le caserme della truppa per le Forze Armate a
presidio dell’isola di Oahu. Qui giunti, il capitano Greason, che aveva preso
la guida del veicolo, svoltò bruscamente a destra per imboccare la strada che
conduceva verso l’interno dell’isola, dov’era situato l’aeroporto militare di
Wheeler Field.
“Ehi,
vacci piano, Andy” protestò James, aggrappandosi all’orlo del parabrezza per reggersi
in equilibrio, dopo che la vettura si era sollevata sulle ruote di sinistra
“per poco non capottavamo…!”
“Scusami,
Jim” rispose il comandante, riprendendo il controllo “sono un po’ nervoso,
questa mattina!”
“Era
meglio se lasciava guidare me, signore” osservò il sottotenente Sanders “non è
indicato mettersi al volante, dopo certe nottate…!”
“Piantala,
Victor….!!” lo riprese quel galantuomo del tenente Stone.
“Articolo
14 comma 3: mancanza di rispetto verso i superiori. Sei consegnato per una
settimana dal termine dell’emergenza!” sentenziò il capitano, dopo aver superato
con destrezza una scampanellante autocisterna dei pompieri.
“Oh,
no, signore… la prego” protestò il reprobo, gesticolando “ritiro tutto! E le
prometto che non si ripeterà…!”
“Troppo
tardi, dannato piantagrane” rispose, inesorabile, il superiore “grazie al tuo
scherzetto di ieri, oltre a 950 dollari, ci ho rimesso pure la libertà! Perciò
tieni chiusa quella tua maledetta boccaccia, prima che mi procuri altri guai…!”[2]
“Sissignore!”
rispose, secco, il sottotenente. Ma poi si rivolse verso il suo compare, seduto
accanto a lui sul sediletto posteriore: “Che ingrato, però: invece di
ringraziarmi…!” gli sussurrò all’orecchio. Roy Master si limitò a sorridere,
scuotendo sconcertato la testa davanti alla proverbiale arroganza dei superiori.
Nel
frattempo la jeep cogli aviatori aveva bruciato le miglia restanti che ancora
mancavano alla base aerea. Nell’ultima parte del tragitto un paio di ambulanze
militari li avevano incrociati ed Andy le aveva osservate cupamente, pensando
alla difficile giornata che anche la sua promessa si sarebbe trovata davanti. Poi
aveva stretto i denti ed era tornato a fissare la strada. Non era quello il
momento di pensarci…!
Il
caporale di guardia al cancello fece loro velocemente cenno di passare, non
curandosi nemmeno di controllare il tesserino che Greason gli tendeva: una
violazione da Corte Marziale, ad eccezione di quella particolare mattina. Varcata
la recinzione, lo spettacolo che si presentò loro aveva un che di apocalittico:
decine di caccia distrutti al suolo, dei quali la maggior parte ardevano come
torce. Tutto intorno una miriade di piloti e di meccanici tentavano d’individuare
gli apparecchi recuperabili per metterli al riparo, cercando anche di spostare
le carcasse di quelli perduti, in modo da garantire ai pochi rimasti incolumi
uno straccio di pista per decollare via da quell’inferno. L’aria era ovviamente
ammorbata dall’acre fumo degli incendi, mentre l’etere risultava saturo del
frastuono che producevano il crepitare delle fiamme, il fruscio delle
manichette per l’acqua e le raffiche della contraerea in azione contro i caccia
giapponesi, che ronzavano tuttora sopra quel povero campo.
Orientandosi
a fatica in tutto quel trambusto, i quattro piloti raggiunsero il dispersal[3] della
loro unità, dove trovarono ad attenderli gli altri compagni.
“Che
ci fate, ancora qui…?!” gridò loro il comandante, scandalizzato “Agli aerei,
presto: muovete quelle chiappe…!!”
“Calma,
capo” gli rispose il sottotenente John Maxim, alzando una mano “ci eravamo arrivati
da soli… purtroppo i musi gialli ci hanno già fregato!”
“Che
diavolo vuoi dire…?”
“Questa
parte del campo è stata la più arata da quei bastardi” spiegò Roger Williams,
il suo “fratellino” minore “e tutti i nostri apparecchi sono fottuti..!”
“Maledizione”
sbottò il capitano, facendo un gesto di dispetto col pugno chiuso “proprio
tutti…?”
“Beh,
ci sarebbe rimasta un mezza dozzina di P-35,
là in fondo… e anche un paio di P-36!”
rispose Vincent Hames.[4]
Andy
rifletté solo un attimo, prima d’imprecare di nuovo: “Alla malora…!! Affrontare
gli Zero con quei bidoni sarebbe puro
suicidio… non ho intenzione di crepare proprio l’ultimo giorno che passo da
scapolo…! Aspettate qua!” detto ciò, si precipitò all’interno della baracca.
“Cos’è
che ha detto?” chiese il sottotenente Harris, sbalordito dalle ultime parole
del capo-squadriglia “L’ultimo giorno da che…??”
“E
fatti i cavoli tuoi…!” lo zittì subito il tenente Stone.
***
Dopo
essere precipitosamente scese in strada, Flanny Hamilton e Natalie Venc avevano
cercato disperatamente un mezzo di trasporto che le portasse nel quartiere
situato nella riva sud della baia, dove c’era l’ospedale della Marina. Ma tutto
il traffico cittadino si dirigeva invariabilmente verso i docks[5] di
Honolulu. A un certo punto le due donne notarono un vetusto tassì fermo al lato
opposto della strada, di fronte a una villetta residenziale. Senza porre altro
tempo in mezzo, si precipitarono verso la vettura.
“Presto,
lei…” gridò Flanny all’indirizzo del conducente, che stava leggendo il giornale
appoggiato a un lampione “…ci porti a Pearl Harbour, svelto!”
Il
tizio abbassò la copia dell’Honolulu Star
Bulletin e la guardò con fare scettico, portandosi due dita alla visiera
del cappello di paglia: “Dolente, miss… ma devo accompagnare dei civili al
porto. Non li vede i bagagli sul tetto?”
“La
prego” intervenne allora Natalie “siamo due infermiere: dobbiamo raggiungere
subito l’ospedale della Marina!”
“Molto
spiacente” ribadì l’uomo, scuotendo la testa “ma il mio servizio ha la
precedenza. E poi a Pearl s’è scatenato l’inferno e io non ci torno per nulla
al mondo…!”
“E
invece ci tornerà” gli rimpallò Flanny, acida, dopo aver respirato profondo “è
un suo preciso dovere. E adesso si sbrighi…!”
L’hawaiano
gettò a terra il giornale e si avvicinò: “Senta, li vede quei buchi…?” indicò
veemente il lunotto della macchina “Prima venivo proprio da là, quando un aereo
mi ha mitragliato. Sono vivo per miracolo, se vuol saperlo…!!”
Il
solito minaccioso brillio comparve sugli occhiali della fidanzata di Andy
Greason: “Preferisce che la denunci alle autorità militari per omissione di
soccorso?”
L’uomo
alzò le spalle: “Faccia come crede! Ci tengo alla mia pellaccia e ho una
famiglia sul groppone. E ora filate, che arrivano i miei clienti…!”
Senza
aggiungere altro lo sgradevole individuo raggiunse il didietro della vettura
per spalancare il portabagagli, avendo notato che la famiglia che lasciava quella
casa per tornarsene sul continente stava portando con sé diversi altri colli. Con
un guizzo risoluto, Flanny si appressò alla collega, sconsolatamente ferma sul
marciapiede, accanto al lato sinistro del tassì, che aveva la portiera
anteriore aperta…
“Natalie”
sussurrò “tu sai guidare, vero...?”
L’amica
ebbe un sussulto e spalancò gli occhi: “Sì, ma…”
“Allora
andiamo!” ciò detto si fiondò nella vettura scivolando sul divanetto verso il
posto del passeggero, mentre trascinava col braccio sinistro l’amica a quello
di guida. Subito dopo si allungò quel tanto che bastava per afferrare e
richiudere lo sportello.
Schermato
dal portabagagli aperto, il tassista non si era accorto di nulla, finchè non
udì il tonfo della chiusura: “Ehi, voi due: che diavolo fate…??!” gridò.
“Solo
il nostro lavoro” gli rispose semplicemente Flanny “avanti, parti…!!” ordinò poi
a Natalie. Costei, privata d’ogni remora residua dalla voce e dallo sguardo
della sua sempiterna “mentrice”, non ebbe più alcuna esitazione. Mise in moto,
ingranò la marcia e schizzò via, lasciandosi dietro quegli sfortunati civili
nel vedere la metà delle loro masserizie andarsene con la macchina, mentre il
poco collaborativo tassista rimaneva nel bel mezzo della strada, reggendo due
valige per mano e sciorinando una tale sfilza di bestemmie da far fischiare sicuramente
le orecchie alle lontanissime Miss Pony e Suor Maria…!
***
Raggiunto
il piccolo ufficio situato all’interno del dispersal, Andy si attaccò subito al
telefono: “Pronto… pronto… controllo…?!”
“Sì,
pronto… qui controllo di Hickam: sergente Rodriguez all’apparecchio.”
“Parla
il capitano Greason, della 3a Squadriglia.”
“Dica,
signore…!”
“Deve
mettermi subito in contatto col comandante del 18° Gruppo… è urgente!”
“Ah…!
Sì, capitano… il maggiore Carson è riuscito a decollare con due piloti della
sua unità. Ha lasciato un messaggio per lei.”
“L’ascolto…”
“Ha
detto di raggiungere l’aeroporto sussidiario di Haleiwa, nel caso non trovaste
più caccia operativi a Wheeler. Quel campo non ha subito attacchi, finora e
potrete decollare da laggiù, per intercettare gli incursori.”
“Ricevuto.
Partiamo immediatamente: lo riferisca al maggiore Carson, se ci riesce.”
“Sarà
fatto, signore. Buona fortuna…!”
Andy
Greason si precipitò di nuovo all’esterno.
“Ebbene…?”
gli chiese Stone.
“Corriamo
ad Haleiwa. Decolleremo da là.”
“Ma
la jeep non può portarci tutti e otto…!” obiettò Sanders.
“Questo
lo dici tu. Forza, partiamo!”
Pochi
secondi più tardi lo sbalordito personale di Wheeler Field assistette alla
sgassante partenza di una Willys
montata da ben otto persone: Andy e James ai posti anteriori, Vic e Roy sul
divanetto posteriore, Johnny e Jerry sui copriruota laterali e infine Vinny
Hames e Sammy Harris sul cofano del motore, disperatamente aggrappati al
parabrezza, opportunamente abbassato.
“Io
e Sam contiamo su di lei, comandante” si raccomandò il sottotenente Hames “ci
avverta, se sta per inchiodare…!”
“È
abbastanza improbabile che lo faccia, Vinc” lo rassicurò il capitano “attenti a
non cadere all’indietro, piuttosto: tenetevi coi piedi al paraurti.”
Detto
questo, il capo-squadriglia accelerò decisamente la marcia, puntando in
direzione del piccolo campo ausiliario, situato a circa 10 miglia verso
nord-ovest.
***
Quando
le due giovani infermiere arrivarono finalmente all’ospedale della Marina, situato
nei pressi della zona dei cantieri, vi regnava già un’atmosfera da tregenda!
L’attacco alla base navale era in corso da meno di mezz’ora e già le corsie
erano gremite di feriti… i più gravi erano naturalmente gli ustionati, ma
c’erano anche parecchi marinai crivellati di schegge. Diversi avevano perduto
un arto e le loro urlamettevano a dura
prova i nervi del personale medico, specialmente le giovani infermiere che mai
si sarebbero aspettate che in quell’isola di paradiso si sarebbe potuto
scatenare un simile inferno!
Con
rapidità fulminea Natalie e Flanny raggiunsero il loro reparto, si cambiarono e
si presentarono subito in corsia, dove la prima rimase per gestire la medesima,
mentre l’altra, più esperta delle due, fu naturalmente destinata alla sala
operatoria. Nell’attimo in cui le due amiche si separarono, Natalie strinse
forte la mano della collega, guardandola profondamente: “Coraggio, cara… e non
temere: se la caverà…!”
Un
umido velo di commozione passò davanti agli occhi di Flanny. Fino a quel giorno
era sempre stata lei a sostenere la compagna più giovane con la sua affettuosa
severità. Ora Natalie la ricambiava con tutto il cuore, nel momento certamente
più difficile della sua vita.
“Grazie…!
A più tardi… e in bocca al lupo anche a te!”
Si
voltò di scatto tergendosi svelta una lacrima per raggiungere il suo “posto di
combattimento”… non appena si trovò davanti al tavolo operatorio, la vista di tutti
quei bisturi, le forbici e le pinze - da sempre così consueta per lei - le
provocò stavolta un discreto fremito, pensando che anche il suo uomo avrebbe potuto ritrovarsi al
posto di quei poveretti che avrebbero fra breve dovuto operare.
“Diagnosi…?”
chiese subito il chirurgo, appena arrivato, porgendo le mani all’altra
assistente.
“Ferite
multiple da pallottola con sospetta perforazione al polmone destro.” rispose
lei, infilandogli i guanti sterilizzati.
A
quei richiami, Flanny Hamilton ebbe un guizzo… fece però un respiro profondo e
s’impose di non pensare più a nulla che non fosse il suo compito principale. La
cosa non era per niente facile, nelle circostanze che sappiamo, ma la valorosa
giovane trovò quasi subito il sistema migliore per riuscirci…
“Avete
applicato una totale?” chiese ancora l’ufficiale medico.
“Purtroppo,
solo una locale: ci è stato ordinato di risparmiare le scorte.”
“Naturale…!”
commentò l’altro, contrariato. Poi si voltò verso Flanny “Bene, procediamo: è pronta?”
“Pronta
dottore!” gli rispose la promessa di Andy con uno sguardo che mostrava di nuovo
la più fredda solerzia.
“Bisturi…!”
ribatté allora l’uomo, stendendo il braccio verso di lei…
***
Premendo
sempre l’acceleratore a tavoletta Andy Greason faticava a tenere in strada la
vettura. Ad ogni curva i poveri Sammy Harris e Vinny Hames rischiavano di
spiccare superbamente il volo, prima ancora di poter montare sopra un aereo e
anche I Fratelli del Sud, John Maxim
e Roger Williams, non se la passavano granché meglio!
“C’è
ancora molto, capo?” domandò il texano “Ancora un po’ di questa giostra e credo
che darò di stomaco senza ritegno…!”
“Purché
tu lo faccia verso l’esterno” rispose il capo-squadriglia “non c’è nessun
problema, Johnny…!”
“Il
problema, signore” intervenne Harris “è che, se prende la prossima curva come
quella di prima, i japs non dovranno consumare
munizioni, per toglierci di mezzo…!”
“Per
non parlare delle mie povere ossa” si lamentò anche Williams “nemmeno i nostri
posti sono molto confortevoli…!”
“Basta
coi piagnistei” li riprese il comandante “so di non essere un granché come
pilota di automobili… ma ogni secondo è prezioso. E poi, vista l’aria che tira,
le cose potrebbero andare anche peggio…!”
“Ad
esempio…?” domandò James Stone, ironico.
“Ad
esempio così…!!” rispose all’istante il capitano, puntando l’indice verso
l’alto. I suoi compagni, seguendo la direzione del suo dito, trasalirono nella
scorgere la sagoma di un aereo, il cui rombo del motore era stato finora
coperto da quello della jeep e dalle loro voci in quegli scambi di battute. La
speranza che fosse amico ebbe poi vita breve, dal momento che il nuovo arrivato
iniziò subito a scendere in picchiata verso di loro, emettendo un agghiacciante
stridio. Disgraziatamente, proprio in quel tratto, la strada era perfettamente
rettilinea e l’incursore avrebbe potuto colpire il suo bersaglio con una
difficoltà non superiore a quella necessaria per compiere uno strike al bowling…!
“Misericordia…!!!”
esclamò Andy“Sarà meglio uscire di strada.
Tenetevi saldi…!!”
Senza
ulteriori esitazioni, il capitano sterzò bruscamente a sinistra e la jeep, abbandonata
la carreggiata, iniziò a scendere sobbalzando lungo il pendio, per l’immensa gioia
delle natiche appartenenti ai passeggeri sprovvisti di sedili…!
La
mossa del capo si rivelò per fortuna abbastanza repentina da non consentire al
pilota nipponico di correggere la rotta per tirare esattamente sul bersaglio! Probabilmente
il simpatico Figlio del Sole li sentiva già così in pugno da volersi avvicinare
quel tanto da innaffiarli anche con le pallottole delle due mitragliatrici
leggere, oltre a quelle dei quattro cannoncini.[6]
Purtroppo,
l’abbrivio dovuto alla pendenza della collina, unito forse all’agitazione di
quel particolare momento (non era divertente venire attaccati senza poter
rispondere…!) fece perdere parzialmente a Greason il controllo della macchina,
facendola finire dritta filata contro una specie di conca…
Grazie
alla sua congenita prontezza di riflessi, Andy fece in tempo a gridare: “Ci
capovolgeremo… buttatevi giù…!!!”
Senza
farselo ripetere, gli altri obbedirono con la massima solerzia: John e Roger si
lasciarono semplicemente cadere all’indietro, seguiti da Victor e Roy che scavalcarono
i bordi della jeep. Vincent e Sammy si diedero una spinta con le braccia per
saltare giù dal cofano e James si limitò infine a rannicchiarsi, non volendo
abbandonare il suo fedele amico sul veicolo.
Fortunatamente
la previsione di Andy non si rivelò del tutto azzeccata: dopo avere affondato
le ruote in quello che era forse un antico sfiato vulcanico, la piccola vettura
sollevò il didietro quasi a 45 gradi, ma poi si limitò a piantare il paraurti
anteriore nel terreno, rimanendo in quella posizione abbastanza precaria.
“Però…
credevo che queste jeeps tenessero un po’ meglio la strada…!”
“Mi
spiace dirtelo, comandante, ma la è colpa è tua: hai scordato d’innestare la
trazione integrale!”
“Che
ne sapevo io? Ho l’abilitazione ai caccia, non ai fuoristrada! E comunque, se
me lo dicevi prima…”
“Hai
ragione… fessi tutti e due!”
“Riparatevi:
sta tornando…!!!”
In
pochi attimi i compagni, leggermente sparpagliati per il pendio, corsero a raggiungere
quella buca provvidenziale, mentre lo Zero
stava eseguendo una strettissima virata consentitagli dal suo favorevolissimo
carico alare.[7] Più presto di quanto fosse
auspicabile, gli aviatori sentirono di nuovo l’inquietante sgranare delle
raffiche e tutti si rannicchiarono alla bell’e meglio nel fondo di quel piccolo
cratere, sperando che la sua profondità fosse sufficiente a ripararli.
Per
buona sorte, lo fu: i proiettili rimbalzarono totalmente fuori dai bordi, ma
sussisteva anche il pericolo che colpissero la jeep, facendo esplodere il
serbatoio! Gli aviatori speravano che il nemico si “accontentasse” di questo
secondo passaggio, ma poi lo videro virare di nuovo alla fine della sua
cabrata…
“Lurido
figlio d’una baldracca gialla” imprecò Victor Sanders “ce l’ha proprio con noi…!!”
“Pare
di sì” gli fece eco Roy Master “come se non dovesse risparmiare carburante per
tornarsene sulla sua fottuta portaerei…!”
“Purtroppo
quegli Zeke[8] sono
talmente leggeri da poter caricare benzina fino all’inverosimile. Se solo
avessimo un’arma per difenderci…!”
Roger
Williams, che si era messo per conto suo a frugare nella vettura, alzò trionfalmente
una cosa che aveva trovato sotto il
divanetto posteriore: “Come questa…?!” gridò.
Alla
vista del mitragliatore M3 Grease Gun
che il loro compagno teneva fra le mani, John Maxim urlò dalla gioia: “Bravo il
mio fratellino dell’Alabama…!!! Presto, dammi qua…!”
Gli
strappò letteralmente l’arma dalle mani e lo spinse bruscamente a ripararsi
dietro la macchina. Poi, dicendo agli altri di fare altrettanto, si stese lungo
il fianco della buca, stringendo con freddezza il grilletto e l’impugnatura
dell’arma.
“Non
fare pazzie, John” tentò Andy di farlo recedere “il gioco non vale la
candela…!”
“So
quel che faccio, capo” rispose l’altro, deciso “si metta al riparo, piuttosto!”
Greason
obbedì a malincuore e il suo subalterno si sistemò con la testa appena dietro
il bordo del piccolo ex-cratere. Il giapponese stava facendo la sua seconda
picchiata sul bersaglio, sempre certamente la jeep, che poteva vedere molto
meglio dei singoli uomini. Il coraggioso Maxim attese freddamente che il caccia
si avvicinasse quel tanto da dover tirar su il muso… la pioggia di colpi
continuava ad infrangersi appena dietro il bordo della conca e diversi
proiettili piombarono roventi sulla giacca di pelle del sottotenente, che, come
sentì cambiare il rumore nella richiamata, si sporse risoluto e fece partire la
scarica contro lo Zero, muovendo anche
il corpo per accompagnare il movimento del bersaglio e continuare a tirargli
sulla coda…!
Si
parla spesso del “talento dei matti”… i colleghi di John Maxim, dopo essersi
rialzati, si sbalordirono a vedere una scura scia di fumo che contrastava
spiccatamente con la livrea candida del caccia. Il motore cominciò a perdere
colpi, poi l’aereo iniziò inesorabilmente ad impennarsi e infine si vide
sparire dietro la cresta della vicina montagna, sempre fischiando
nell’ineluttabile picchiata. Non fu udito nessun tonfo, ma a tutti piacque
credere che quel furfante dal muso giallo fosse stato uno di quei 29 incursori
che non sarebbero riusciti a far ritorno alla Squadra d’Attacco dell’ammiraglio
Nagumo!
“Sei
stato formidabile, John” commentò il caposquadriglia dandogli una calorosa
pacca sulla schiena “ma come diavolo hai fatto…??”
“Non
dimentichi da dove vengo, signore!”
“Sarebbe
a dire…?” chiese Andy, perplesso.
“Beh…
si dice che ad Abilene,chi spara giusto vive bene…!”[9]
Il
capitano non poté trattenere una risata, imitato anche dagli altri. Poi, tornato
serio: “Ok, gente: ci siamo divertiti abbastanza…! Visto che l’amico Tojo[10] ci
ha fregato la jeep, dovremo sgambettare fino ad Haleiwa. Ormai non saranno che
due miglia.”
“Andiamo,
allora” ribatté Sanders, con decisione “e speriamo che laggiù ci siano
abbastanza aerei per tutti!”
“Puoi
dirlo forte, compare” approvò, a sua volta, Master “non abbiamo ancora finito
con quelli lassù…!”
***
Finalmente,
sudati e impolverati, gli otto piloti raggiunsero la piccola base ausiliaria
dell’Esercito dov’erano stati prudentemente trasferiti alcuni caccia dagli
aeroporti principali di Hickam e Bellows Field, i quali, essendo i più prossimi
alla base navale, si prevedeva che in caso di attacco sarebbero stati certamente
i più colpiti. Anche su altri piccoli aeroporti di Oahu era stata fatta la
stessa cosa e questo stava appunto permettendo all’USAAF di abbozzare una minima reazione contro gli incursori
giapponesi.
“Santo
cielo, signore” chiese un sergente dello sparuto personale di terra al capitano
Greason, quando vide arrivare quel gruppetto appiedato “da dove venite…?!”
“Da
Wheeler” rispose lui, senza preamboli “avete qualche aereo per noi,
possibilmente intatto?”
“Solo
due paia, là in fondo, capitano. Gli altri hanno già decollato… capisce, qui di
piloti ne arrivano alla spicciolata, un po’ da tutti i reparti e…”
“Sì,
ho capito. Speravo in qualcosa di più, ma bisognerà accontentarsi…! Ok, li
faccia mettere in moto: arriviamo subito.”
“Signorsì…!”
rispose il sottufficiale, correndo verso i caccia e facendo cenno ai pochi
meccanici presenti. Scuotendo la testa, il capo-squadriglia si rivolse quindi ai
suoi compagni: “Avete sentito? Ce ne sono solo quattro… la metà di noi resterà
a terra, purtroppo!”
“Non
ci voleva, maledizione…!” ribatté Stone, sconcertato.
“E
allora, chi resta giù?” chiese Master.
“Tireremo
a sorte” replicò a sua volta Maxim “prendo un ciuffo d’erba.”
Fece
per chinarsi, ma Andy lo trattenne: “Sta’ fermo, niente lotterie: andremo su
io, Jimmy, Vic e Roy… voi attenderete l’eventuale ritorno di qualcuno, per
dargli il cambio.”
“Ma
come sarebbe…??” saltò su il focoso texano “Non mi sembra una decisione molto democratica…!”
Greason
fece un respiro profondo. Mai come in quel momento, quelle maledette traversine
di binario argentate gli pesavano sulle spalle[11] e per
fortuna riuscì a trovare le parole giuste: “Guarda che la democrazia la
dobbiamo salvare, non applicarla in questo preciso frangente…! Quelli lassù non
sono i piloti di seconda scelta che Hiroito mandava in Cina per farsi le ossa:
sono i migliori assi della Marina Imperiale! Voialtri avete meno esperienza,
per cui farete da riserve. Sono stato chiaro…?!”
John
Maxim aveva incrociato le braccia grugnendo rumorosamente… e forse si sarebbe
anche lasciato sfuggire qualche commento poco rispettosose il suo “fratellino minore” non fosse stato lesto a
posargli una mano sulla spalla, per rabbonirlo.
“Chiarissimo,
signore” rispose poi Williams al capo “andate e buona caccia…!”
“Grazie,
Jerry” annuì Andy, fissandolo con riconoscenza “ci si vede, allora. Muovete il
sedere, voialtri…!”
I
quattro “fortunati” spiccarono una corsa verso le piazzole dov’erano in attesa
i P-40 disponibili, già col motore
acceso. Ognuno si diresse verso quello che gli stava più simpatico e vi salì
sopra, dove un aviere lo aiutò a sistemarsi. Quando Andy, salito per primo,
vide che i suoi colleghi erano tutti a bordo, alzò il braccio destro e tagliò
poi l’aria davanti a sé. Poi il suo aviere gli chiuse la capotta e il capitano
spinse avanti la manetta.
In
meno di trenta secondi le due coppie di caccia si alzarono in volo dalla
piccola pista, mentre gli “sfortunati” compagni rimasti a terra li guardarono rimpicciolire
nell’azzurro cielo hawaiano.
“Questa
qui non mi è piaciuta proprio per niente…!!” inveì ancora Maxim.
“Dai,
non te la prendere” tentò di placarlo Vinny Hames “ce ne saranno, di occasioni,
d’ora in poi…!”
“Sì,
d’accordo… capisco anche che proprio il capo non potesse restar qui… ma perché
non tirare a sorte per gli altri, porco mondo?!”
“Cerca
di star calmo” disse Williams “il capo sa quello che fa… e, se ha deciso così,
ci sarà sicuramente un motivo.”
Il
suo fratellone di Abilene si limitò a grugnire, chiedendosi scocciato di quale
motivo potesse mai trattarsi… il che dimostrava in modo lampante come il suo
superiore avesse fatto bene a lasciarlo a terra!
Il
motivo, infatti, era abbastanza comprensibile: non solo Andy Greason, James Stone
e i due Compari di Chicago[12]
avevano alle spalle più ore di volo rispetto agli altri, ma il capitano sapeva
bene quanto fosse meglio che il focoso texano si “raffreddasse” un po’, prima
di confrontarsi con dei piloti esperti! Quanto al suo “protetto” Williams, si
sarebbe certamente trovato un po’ perso senza di lui ed era quindi altrettanto
opportuno che rimanesse a fargli compagnia. Certo, la decisione di stabilire
chi dovesse accompagnarlo e chi no poteva comportare il rischio di renderlo
leggermente “impopolare” fra i componenti della sua squadriglia… ma le
considerazioni di cui sopra avevano preso necessariamente il sopravvento su di
lui, sebbene a malincuore. Ciò dimostrava comunque che le previsioni espresse
in terra cinese del colonnello Clint Hardgison erano state senz’altro azzeccate:
Andrew Steve Greason si stava rivelando veramente un ottimo comandante!
***
“OK,
kids…! Abbiamo raggiunto quota 20000[13]…
togliete le sicure e provate le armi.”
Quando
i compagni ebbero eseguito l’ordine, Andy Greason continuò: “Prendiamo la
direzione uno-cinque-sei per tornare verso la baia… manetta in crociera da
combattimento… i siluranti e i bombardieri dei japs dovrebbero mantenersi bassi per il peso del carico e del
carburante: è a loro che dobbiamo puntare. In quanto agli Zero di scorta, è probabile che saranno più impegnati a tartassare gli
aeroporti. Tuttavia, se ci vengono incontro, eseguiremo la solita tattica:
tutta manetta e muso in giù per seminarli, poi risaliamo e cerchiamo di beccarli
in coda. Capito bene…?”
“Affermativo!”
rispose il tenente Stone.
“Mi
raccomando: anche se so perfettamente come vi sentite, cercate di tenere a bada
l’incazzatura per mantenere freddezza e nervi saldi. Quel furfante di Yamamoto
avrà di certo selezionato i suoi piloti migliori e, se non diamo il meglio di
noi stessi, non torneremo indietro. Chiaro…?”
“Cristallino,
signore…!” confermò il sottotenente Master, con voce abbastanza tranquilla.
“Ti
senti in forma, Roy?”
“Abbastanza,
capo…!”
“Tu,
Jimmy?”
“Non
c’è male… a parte qualche farfalla che svolazza nello stomaco…!”
“Vic…?”
“Anch’io
sono OK, comandante! Lei, piuttosto?”
“Pure
io, perché? Che vorresti dire…?” chiese Andy, punto sul vivo.
“Proprio
niente, signore… temevo solo le facesse male la schiena!”
James
Stone e Roy Master fecero del loro meglio per restare seri, ma non riuscirono a
frenare del tutto le risate… quando poi Andy comprese in pieno l’insinuazione
di Sanders, non poté fare a meno d’incavolarsi: “Un’altra battuta come questa e
ti garantisco che sputerai la successiva appeso al paracadute! E non per mano del
nemico…!!”
Roy
Master tentò di rabbonirlo: “Non se la prenda, capitano: sono certo che Vic lo
ha detto solo per tenere a bada l’incazzatura…!”
“Ma
davvero…?!” grugnì l’interessato.
“Glielo
giuro, signore” confermò il colpevole “come da sua precedente disposizione!”
Stone
credette bene d’intervenire: “Dacci un taglio, chiacchierone. È tutta invidia,
la tua…!”
“Adesso
basta, disgraziati” perse la pazienza il capo “tenete gli occhi aperti per i
gialli, piuttosto, se vi preme il deretano…! Chiudo!”
Gli
altri si azzittirono, compreso Sanders, leggermente pentito di aver stuzzicato troppo
il suo comandante. Ormai lo conoscevano da diverso tempo e sapevano che con lui
ci si poteva prendere parecchia confidenza, specialmente fuori servizio, dove i
gradi non esistevano. Si poteva anche scherzare su molte cose… ma meno su certe
altre e specialmente non su quelle
serie! E quanto stava capitando negli ultimi tempi al loro compagno più anziano
era appunto una faccenda molto
importante, almeno per lui.
Come
poteva rivelarsi una cosa seria quel certo dolorino alla schiena che
effettivamente il capitano stava provando… anche se forse era soltanto dovuto
alla non eccelsa ergonomicità del sedile montato dalla Curtiss sul suo modello 87-B…!
*Speriamo
bene…!* si disse comunque il capitano, grattandosela.
Improvvisamente,
sempre il sottotenente Sanders, leader della seconda improvvisata pattuglia, trasmise
il seguente annuncio: “Banditi a ore 10, in basso!”[14]
Il
capitano aguzzò la vista: “Sono Zero…
devono appartenere alla seconda ondata d’attacco per dare una ripassata
definitiva a Wheeler Field. Ignoriamoli e passiamo oltre.”
“Ma
capo… che diavolo significa…?!” saltò su il sottotenente Master.
Andy
sbuffò: “Non hai sentito cosa ho detto, prima? I nostri obiettivi sono
bombardieri e siluranti! Ormai alla base aerea c’è rimasto ben poco da colpire,
mentre al porto possiamo ancora salvare qualche nave… forse! Calmate i bollenti
spiriti e tenete la rotta.”
Roy
grugnì ma dovette convenire che il capo aveva ragione. Se non che, pochi attimi
dopo, fu il tenente Stone a lanciare un nuovo allarme: “Andy: sembra che alcuni
di quei simpaticoni desiderino uno scambio di opinioni con noi…!”
Greason
gettò lo sguardo nella direzione prima indicata da Sanders e imprecò nel
constatare che sei Zero avevano effettivamente
iniziato ad arrampicarsi verso di loro: “Ho visto…! Saranno stufi di tirare al
bersaglio e preferiscono impedirci di guastare la festa ai loro amici sulla
baia. E va bene…! Vic, Roy: voi tirate dritto, picchiando. Noi pensiamo a buttarne
giù almeno un paio, poi torniamo indietro per dare addosso a quelli che vi
inseguiranno! Ok…?”
“Wilco,
signore…!” rispose Sanders, con un po’ di riluttanza.
“Roger…
in bocca al lupo, compari!” fece eco Master.
Terminato
lo scambio di comunicazioni, Andy e James iniziarono a picchiare leggermente,
tenendo aperto qualche grado di flap… arrivati a distanza utile, aprirono entrambi
il fuoco contro gli aerei più vicini della formazione avversaria, mancandoli ma
costringendoli a rompere la linea di volo. I loro restanti camerati si
gettarono invece addosso ai P-40
della seconda coppia yankee,
sganciando i serbatoi supplementari da 500 litri per avere migliori
possibilità di raggiungerli. A questo punto, comandante e vice-comandante della
dimezzata 3a Squadriglia puntarono direttamente addosso ai quattro Zero succitati e fecero fuoco senza
pietà con le loro dodici Browning da
mezzo pollice. Immediatamente dopo si videro due torce fiammeggianti
precipitare in avvitamento, per poi schiantarsi sulle verdi colline dell’isola.
“Bel
colpo, capo…!!” si sentì la voce euforica di Sanders, nella cuffia.
“Sei
grande, Jimmy…!” aggiunse a sua volta Master.
“Bando
ai complimenti e state pronti a virare” li mise in guardia il capo-squadriglia
“ci sono altri due samurai che stanno per saltarvi addosso… ora!!”
Come
videro i due Zero superstiti
avvicinarsi negli specchietti retrovisori, Roy Master e Victor Sanders
eseguirono due rapide autorotazioni per togliersi dalla linea di tiro dei
nemici e, a parte qualche proiettile vagante che bucherellò l’estremità alare
sinistra dell’aereo di Roy, se la cavarono a buon mercato. Tirando
completamente indietro la manetta e aprendo del tutto i flaps, I Compari di Chicago riuscirono poi a
rallentare quel tanto che bastava per farsi sorpassare dai due giapponesi e
subito il leader della seconda pattuglia si trovò scodellato il suo Zeke nel mirino…
“Bravissimo,
Tojo: fermo così” esclamò Sanders “Hasta
la vista, baby…!!”
Il
successivo crepitare delle raffiche fu seguito dalla comparsa di una spessa
scia di fumo scaturita dietro la NACA del caccia
avversario, che subito si avvitò per piombare su una sottostante piantagione di
ananassi.
L’avversario
di Roy era invece un osso assai più duro. Come si vide in coda il Warhawk, eseguì un fulmineo e perfetto
tonneau, che lo rimise in posizione di vantaggio. Il concittadino di Sanders,
prima ancora di capirci qualcosa, si trovò circondato dai traccianti e l’ala
destra gli venne crivellata da diversi colpi da venti… subito il suo istinto di
pilota gli fece ritrarre i flaps e spingere tutte in avanti sia cloche che
manetta. Il profilo delle montagne si alzò sul parabrezza, come l’orizzonte
artificiale sullo strumento stesso. I colpi avversari erano cessati e il
sottotenente Master stava scaricando l’adrenalina… quando, un rapido sguardo gettato
allo specchietto, gli tornò a levare il fiato: “Oh, no…!! Ce l’ho attaccato al
culo…!! Victor, dove sei…?? Fa’ qualcosa, Cristo…!!!”
“Tieni
duro, compare” gli rispose un gradito gracchiare alla radio “arrivo il più in fretta
che posso…!”
Ma
il sottotenente Sanders si trovava ancora abbastanza indietro, mentre Greason e
Stone erano impegnati a contrastare gli ultimi due Zeke della formazione nemica. A un certo punto, Master avvertì un
colpo secco, poi vide uscire delle preoccupanti lingue di fuoco dagli
scappamenti sul muso e due dense strisce di fumo nero si persero nella sua scia…
“Sono
fottuto…!! Sono fottuto…!!!” gridò, disperatamente.
“Lanciati
subito, Roy” udì la voce di Sanders, nella cuffia “può esploderti il serbatoio
da un momento all’altro…!!”
“Roger…
eseguo…!” con una mano, il pilota sganciò le cinghie che lo trattenevano al
sedile, mentre manovrava con l’altra la manovella di apertura del tettuccio.
Violentemente contrastato dalla corrente d’aria, scavalcò il bordo della
carlinga e si lasciò scivolare nel vuoto. Tirò allora la maniglia di apertura
del paracadute e avvertì con sollievo lo strappo dell’ombrello che si apriva.
La velocità di caduta decrebbe di colpo e Master iniziò a scendere verso terra,
dondolando dolcemente… stava cominciando a respirare di sollievo quando,
guardandosi intorno, si accorse che il suo abbattitore si stava dirigendo verso
di lui, con intenzioni fin troppo eloquenti…!
*Quello
stronzo viene a mitragliarmi* pensò, col volto già imperlato di sudore *stavolta
è proprio finita…!!*
In
quel preciso istante Andy Greason stava per inquadrare nel mirino uno dei due
ultimi A6M, quando gli giunse negli
auricolari il grido disperato di Sanders, che aveva visto tutta la scena. La
manovra d’inseguimento aveva però fatto avvicinare provvidenzialmente il
comandante alla zona dell’abbattimento di Master e comprese fulmineo che solo
lui poteva fare qualcosa. Senza esitare impartì quindi le istruzioni ai
colleghi: “Jimmy, prendi tu il mio nip!
Victor, bada a quell’altro! A Roy ci penso io…!”
“Roger…!”
risposero gli altri due.
Prendendo
quella decisione, Andy si assumeva un’enorme responsabilità. Ma sapeva anche di
essere il miglior tiratore e per cavare Roy Master fuori dai guai serviva appunto
uno che non potesse assolutamente sbagliare. Dando perciò tutto gas al motore,
si gettò direttamente sul caccia giapponese, sempre intento a puntare
vigliaccamente contro il suo indifeso avversario![15] Conscio
di avere tutto il tempo che voleva per finirlo, lo spietato giapponese aspettò
di arrivargli praticamente addosso, quando avrebbe già potuto prenderlo di
mira… ma questa ferocia gli si rivelò controproducente, poiché dette al nostro
asso il tempo che gli serviva per giungergli a tiro. Mentre si avvicinava, però,
Andy iniziò ad avvertire una discreta quanto inopportuna fitta alla schiena e
comprese che le previsioni del suo indiscreto subalterno si erano
malauguratamente avverate in pieno!
“Ahia…!!
Porc… al diavolo la tua boccaccia da menagramo, Victor…!!”
Ricordando
però quanto era successo in Cina, stavolta strinse i denti senza scuotersi di
un millimetro: non si sarebbe permesso di perdere un altro compagno, a costo di
rimetterci la spina dorsale…!
Nel
frattempo, il sadico vincitore del sottotenente Master aveva addirittura
estratto i flaps per rallentare quanto bastava a rendere efficace il suo tiro,
reso problematico dal dondolio del paracadute. Per fortuna la sua cieca
esaltazione gli impediva di riflettere che sarebbe bastato stracciare
l’ombrello con poche raffiche ripetute per far precipitare mortalmente il
povero pilota appeso al di sotto! Tuttavia, mentre inquadrava finalmente l’inerme
figura nel reticolo, ghignando e socchiudendo i suoi occhietti a mandorla,
sentì come se il mondo esplodesse intorno a lui…!
“Crepa,
malnato figlio di puttana…!!!” gridò Andy Greason, accecato dalla collera.
Nel
vedere poi il nemico distrutto e il compagno ormai al sicuro che si sbracciava
a salutarlo con la più espansiva gratitudine, gli vennero quasi le lacrime agli
occhi per la gioia di avere evitato una seconda tragedia. Allo stesso tempo
avvertiva però come un senso di vuoto, sempre accompagnato da quel dannatissimo
dolore alla schiena…
Era
sempre così che andava a finire: prima di colpire un avversario si sentiva
sempre più carico… poi, una volta strappatolo dal cielo, veniva quasi preso dallo
sgomento. L’unico modo per evitarglielo era limitarsi a colpire l’aereo
cercando di salvaguardare il pilota, ma questo purtroppo non era sempre possibile,
specialmente in un caso del genere…![16]
“Buon
atterraggio, Roy… ci vediamo stasera a Honolulu!” disse Andy, gustando il
sollievo provato nel constatare che il suo amico scendeva sano e salvo “Red 2 e
Red 3… mi sentite? Dove siete…? Over…!”
“Sopra
di te, capo…!” rispose la voce del tenente Stone.
Andy
volse lo sguardo intorno e vide i caccia dei suoi compagni. Il P-40 del suo secondo aveva il muso annerito
d’olio, mentre quello di Sanders mostrava la coda discretamente bucherellata…
“Felice
di rivedervi” disse, stancamente, il loro comandante “come stanno i vostri partner
di ballo?”
“Il
mio sta facendo compagnia ai suoi camerati, nel paradiso dello Shinto!” rispose
il collega virginiano.
“Il
mio, invece, ha deciso che ne aveva abbastanza e mi ha seminato con una Immelmann magistrale…!”[17] rispose
quello dell’Illinois.
“Bene…
meglio così! Il Signore mi perdoni… ma se qualcuno di quei gentiluomini
arrivava incolume a terra, se la sarebbe presa coi nostri… magari anche coi
civili!”
“Probabile,
dato il loro fanatismo feroce” commentò il sottotenente Sanders “comunque,
signore…”
“Che
c’è, Victor?”
“Grazie
di cuore… per Roy!”
“Ehi,
non gli sarò affezionato quanto te, ma è pur sempre uno dei miei ragazzi. Non c’è nulla di peggio di
quando te ne fregano uno” sospirò, rabbuiandosi “e io ne so qualcosa…!”
“Già…”
ribatté Stone, con un guizzo di memoria “…stai pensando a Cornwell, non è vero…?”
“Infatti…!”
“È
stato un vero peccato” commentò anche Sanders “era proprio un tipo a posto, Sua Signoria. E so che aveva pure una
bella ragazza…!”
“Basta
così, chaps”[18] tagliò corto Andy “piuttosto,
quanto carburante vi rimane?”
“Ancora
un’ora… più o meno.” rispose Stone.
“Idem.”
fece Sanders.
“I
colpi…?”
“Dovrei
averne ancora per una decina di raffiche.”
“E
tu, Vic…?”
“Una
quindicina, direi.”
“Bene…
ci possiamo permettere una sortita sul porto, prima che quei mascalzoni tolgano
definitivamente il disturbo. Poi vedremo di atterrare a Hickam o a Bellows. Ci
state?”
“E
ce lo chiede pure?” domandò con veemenza il compare di Master “Faccia
strada,capitano!”
“Sottoscrivo!”
si associò James Stone.
“Allora
andiamo! Ah, poi mi dovreste fare un piacere…”
“Siamo
tutt’orecchi, signore.” disse il sottotenente.
“Avete
impegni per domani? Mi servirebbero due testimoni!”
James
e Victor si guardarono, trattenendo a stento le risate. Poi si fecero
l’occhiolino e cominciarono a dire, con tono di forte rammarico…
“No,
Andy… non fare pazzie…!!!”
“È
troppo giovane per farsi incatenare, capo!”
“La
moglie è diversa dalla fidanzata… credimi, amico!”
“È
ancora in tempo per pensarci, signore…!”
Lungi
dal farlo divertire, quei commenti gli diedero sui nervi: “Brutti deficienti,
ipocriti…!!!” sbottò, abbastanza inviperito “Ma se avete fatto di tutto, per…”
“È
proprio per questo che ci sentiamo responsabili…!”
“E
poi, noi scherzavamo, signore” spiegò Victor, bonariamente “non avremmo mai
pensato che lei, con la sua saggezza ed esperienza, si facesse incastrare
così…!”
“E
da quella sergentessa di ferro, poi…! Ah, che delusione: West Point non è più
quella fucina di uomini come ai tempi di Lee e di Jackson…!”[19]
“Hai
proprio ragione, Jim… povero il nostro comandante…!”
“ORA
PIANTATELA, FIGLI DI BUONA MADRE O GIURO CHE VI SBATTO DAVVERO DI SOTTO…!!! MI
FATE DA TESTIMONI, SÌ O NO…?!”
“È
una richiesta o un ordine?” si informò James Stone, ridacchiando nuovamente.
Il
fidanzato di Flanny Hamilton soffiò e rispose, acido: “Puoi anche considerarlo
tale, se ti fa sentire meglio…!”
“Eccome,
se mi ci sento…! Bah… che ne dici, Vic? Dopotutto il capitano è maggiorenne e
vaccinato: la responsabilità è tutta sua!”
“E
gli ordini non si discutono, ma si eseguono” precisò Sanders “siamo a sua
disposizione, signore… ma poi non dica che non gliel’avevamo detto!”
“Mi
hai tolto le parole di bocca…!” concluse Stone.
“Andate
al diavolo, idioti…!”
Soddisfatti
di averlo sfottuto a dovere, i gregari del capitano Andrew S. Greason si
rimisero tranquilli e lo seguirono verso il cielo della Baia delle Perle, con
la speranza di abbattere ancora qualche attaccante della seconda ondata, dato
che ormai la prima stava già compiendo il volo di ritorno verso le portaerei
della prima Koku-Kantai…![20]
***
Flanny
teneva febbrilmente serrate le dita della mano destra a tappare lo squarcio
sull’arteria del marinaio ferito, nel mentre che il chirurgo si affrettava a
rimediare definitivamente al danno con una pinza emostatica. La mano della
donna non mostrava però il benché minimo tremolio e il suo volto, anche se madido
di sudore, continuava ad esprimere tutta la sua fredda professionalità. Eppure
erano ore che stavano operando casi sempre più difficili, strappando alla morte
feriti non meno che gravi (agli altri provvedevano i reparti generali, mentre i
leggeri non venivano nemmeno più accettati in ospedale, ormai completamente
saturo), immersi nell’atmosfera più cupa che fosse possibile, fra le grida di
dolore dei pazienti (specialmente gli ustionati) e le notizie che circolavano
sulla situazione presente all’arsenale: si parlava di centinaia di marinai
rimasti intrappolati nelle corazzate affondate (l’Arizona era stata praticamente spezzata in due, mentre l’Oklahoma si era capovolta) e decine di
avieri colpiti a morte dalle raffiche dei caccia nemici che avevano spazzato
gli aeroporti della Marina e dell’Esercito. Si erano avute perdite anche fra i
civili, dovuti pareva a proiettili della contraerea sparati frettolosamente da improvvisati
artiglieri che si erano dimenticati di spolettarli… cosicché, una volta
esaurita l’energia cinetica impressa dai cannoni, erano ripiombati sulla città![21]
Anche
nelle corsie dove prestava servizio Natalie Venc, l’assistenza ai feriti meno seri
non era certo una passeggiata. Le attività più frequenti erano le cure alle
ustioni e le trasfusioni di sangue, per le quali si erano esaurite in fretta le
scorte di plasma. Fortunatamente, all’esterno dell’ospedale, una nutrita fila
di volontari civili era in attesa per donare il proprio sangue, che veniva
raccolto persino nelle bottigliette della Coca
Cola, non bastando più gli appositi contenitori.
La
non meno valente Natalie, dopo essersi tersa la fronte sudata, stava continuando
a fasciare il petto di un pilota della Marina colpito a Ford Island, quando si
sentì appellare dalla ben nota voce della sua collega: “Ti serve una mano?”
L’infermiera
castana si voltò e vide la bruna compagna fermarsi davanti alla branda del suo assistito,
recando un carrello di medicinali. La guardò in viso e, sebbene lei facesse del
suo meglio per darsi un contegno, notò quanto fosse distrutta dalla fatica.
“Flanny…!
Non preoccuparti… ho finito, qui” si rivolse al suo paziente e gli sistemò il
cuscino “cerchi di muoversi il meno possibile… e mi chiami, se sente altri
spasimi.”
“Grazie,
sorella!” mormorò il ferito, sorridendo.
L’infermiera
gli ricambiò il sorriso e prestò quindi attenzione alla sua amica: “Sei qui,
allora…! Come stai…?”
“Mi
hanno dato il cambio adesso… sto bene!”
“Bene…?! Me se non ti reggi in piedi… avanti,
siediti!” con ferma premura la costrinse a sedersi su un vicino sgabello.
Flanny la ringraziò cogli occhi e si passò una mano sul viso stremato: “Tu come
te la sei passata?” le chiese, a sua volta.
“Mah…
non c’è male. Tu, piuttosto…?”
“A
meraviglia…!” mormorò Flanny, sospirando.
“Già…
ho sentito che hai fatto sette
operazioni di fila! Ma non potevano rilevarti un po’ prima, scusa…?!”
“Ho
chiesto io, di rimanere” spiegò la bruna “le altre erano tutte un po’
impacciate… sentivo che la mia presenza le rendeva più sicure.”
“Capisco…!”
la buona Natalie prese a massaggiarle la spalle. Flanny…! La sua compagna era
sempre la stessa: sempre devotamente stoica, sempre un esempio per tutti.
“Mi
sembra, allora” si permise di osservare “che tu sia poi riuscita a non… pensare
troppo a lui…!”
La
mora si girò a guardarla e le sorrise lievemente, scuotendo però la testa: “Ti
sbagli di grosso, sai? Se proprio lo vuoi sapere… ho pensato a lui per tutto il tempo…!”
L’amica
spalancò gli occhi e tenne la bocca mezza aperta, prima di ribattere: “E
nonostante questo… come sei riuscita a…”
“A
mantenermi calma? Semplicissimo, cara… ho solo fatto finta che, sotto i ferri,
ci fosse sempre lui…!”
***
“Oggi, Sette Dicembre
Millenovecentoquarantuno, giornata che rimarrà segnata dall’infamia, gli Stati
Uniti d’America sono stati deliberatamente e violentemente attaccati da forze
aeronavali dell’Impero del Giappone…! Ho quindi richiesto al Congresso di
riunirsi in seduta plenaria allo scopo di deliberare se abbandonare o meno lo
stato di neutralità che questa Amministrazione aveva tenacemente perseguito
fino ad ora, onde preservare il nostro Popolo dagli orrori di questo tragico
conflitto...!”
Le
parole del presidente Franklin Delano Roosevelt furono ascoltate in tutta la Nazione nel primo
pomeriggio di quello stesso giorno (secondo il fuso orario di Washington). Il seguente
mattino di lunedì 8, senatori e deputati votarono nelle rispettive Camere la
fatidica decisione e, con un solo voto contrario, si espressero a favore
dell’entrata in guerra contro il Paese del Sol Levante.[22] Di
lì a pochi giorni, anche la
Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini avrebbero
dichiarato guerra agli Stati Uniti e il conflitto, scoppiato nell’ormai lontano
settembre del 1939, sarebbe diventato mondiale.
***
Sempre
in quel medesimo secondo giorno di guerra, in una piccola chiesetta
presbiteriana di Pearl City, un coraggioso quanto promettente capitano dell’Aviazione
dell’Esercito e una zelante quanto abile crocerossina venivano uniti in
matrimonio. Ai loro fianchi stavano i tenenti James Patrick Stone col
sottotenente Victor Georg Sanders come testimoni dello sposo e Natalie Venc con
Judith Nethan (una grassoccia e simpatica compagna della scuola infermiere di
Chicago che avevano ritrovato in servizio alle Hawaii) come testimoni della
sposa.
“Flanny
Hamilton” disse l’officiante “vuoi tu prendere il qui presente Andrew Steve
Greason come tuo legittimo sposo per amarlo, onorarlo e rispettarlo, in
ricchezza e in povertà, nella salute e nella malattia, finché morte non vi
separi?”
La
fidanzata, vestita semplicemente col suo abito migliore (fortunatamente di
colore bianco), accompagnato da un semplice velo e dal bouquet che stringeva
fra le mani, guardò teneramente il suo
pilota (nonché ex-paziente ribelle) e rispose, quasi in un soffio: “Sì… lo
voglio…!”
“E
tu, Andrew Steve Greason, vuoi prendere la qui presente Flanny Hamilton come
tua legittima sposa per amarla, onorarla e rispettarla, in ricchezza e in
povertà, nella salute e nella malattia, finché morte non vi separi?”
Indossando
la sua semplice uniforme di gala, con le decorazioni, i gradi e le ali dorate
che spiccavano sul tessuto marrone, il fidanzato prestò una minima attenzione
allo sguardo burlescamente costernato dei suoi testimoni (James teneva i polsi
accostati, mentre Victor si mimava una puntura nel didietro…!), ma poi si
lasciò annegare dagli stupendi occhi scuri della giovane, che luccicavano come
piccoli diamanti.
“Sì…
lo voglio…!” rispose, con voce ferma.
“Se
qualcuno dei presenti ritiene vi sia anche un solo motivo per il quale questi
nostri fratelli non debbano venire uniti in Matrimonio, parli ora o taccia per
sempre.”
I
restanti sei componenti della Squadriglia comandata dal capitano Greason si
affrettarono a tapparsi la bocca, volgendo gli occhi al cielo…
“Che
simpatici, i tuoi colleghi…!” sussurrò Flanny, con uno sguardo un po’
contrariato.
“Già…
fin troppo!” commentò acidamente quest’ultimo, legandosela al dito.
“Stando
così le cose” riprese il pastore “scambiatevi pure gli anelli.”
Mentre
la sua sposa glielo infilava all’anulare, il nostro pilota non poté fare a meno
di chiedersi se lo avrebbe poi impacciato coi guantoni da volo…!
“Ed
ora… al cospetto di Nostro Signore, vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la
sposa…!” disse infine, rivolto ad Andy.
Scostandole
delicatamente il velo, quest’ultimo le terse con dolcezza le lacrime che le
scorrevano sulle guance (Flanny aveva stretto i denti fino a straziarsi le
gengive, ma non c’era stato nulla da fare) e quindi pose le sue labbra su
quelle di lei…
“Tanti
auguri, tesoro…!” le sussurrò poi, appena ritrattosi.
“Tanti
auguri, amore…!” ricambiò lei.
A
questo punto i compagni di Andy non seppero trattenersi e lanciarono i cappelli
in aria, fischiando sonoramente.
“FIGLIOLI…!!!”
li redarguì severamente il sacerdote “Siamo nella Casa del Signore…!!!”
Ma
poi alzò gli occhi verso il crocefisso e giunse le mani, chiedendo
all’Altissimo di perdonare quegli strambi giovanotti, un po’ troppo irrequieti…!
***
All’uscita,
mentre gli invitati stavano lanciando i tradizionali getti di riso, Victor
Sanders fu colpito dalla scarsa foga di James Stone: “Beh, cos’è quell’aria
fiacca?! Non riesci a metterci un po’ più d’entusiasmo?”
Il
tenente scosse le spalle: “Hai ragione, ma che vuoi? Questo riso bisognava
tirarglielo quella sera… adesso mi fa molto meno effetto!”
“Ma
di che parli…?”
“Dai,
coda di paglia! Non ti ricordi? Quando Andy è tornato dalla missione in cui era
caduto il povero Stear. Quando voleva andare a sbronzarsi per la rabbia… e la sua infermiera l’ha rimesso in riga.”
“Ah,
già….! Perdiana, quella sì che è
stata una scena formidabile: per poco, il capo non si beccava un ceffone. Roba
da Pulitzer!”[23]
“Ma
lascia stare…! Io dico dopo… quando
si sono abbracciati e le cose che si sono detti... poi sono andati via,
tenendosi per mano… avrei voluto averlo allora,
questo riso.”
“Sei
il solito esagerato!” ridacchiò Sanders, scettico.
“E
tu il solito tonto…! Come fai a non capire? È in quel momento che si sono sposati. Questa è soltanto una formalità.”
“Bah…
se lo dici tu…!” ribatté il collega, convinto più del fatto che, se quella sera
avessero veramente osato fare una cosa simile, alla missione successiva il loro
comandante li avrebbe veramente abbattuti al posto dei giapponesi.
Quando
fu il momento del lancio del bouquet, la sposa titubò un istante a guardare
tutte le colleghe che erano venute a festeggiarla, mentre si accalcavano
allegre, ognuna speranzosa di afferrarlo fra un momento. Ma la signora Greason
non le vedeva… o meglio cercava di vedere fra di loro anche una collega che
purtroppo non poteva esserci, in quanto si trovava ancora in Patria. Una
ragazza bionda e solare, alla quale Flanny non era riuscita a voler bene come
avrebbe meritato (o almeno così pensava… mentre, in realtà, non era semplicemente
riuscita ad esprimerglielo in tempo).
*Vorrei
tanto che questo mazzo di fiori arrivasse fino a te… che potesse renderti
felice con l’uomo che forse hai già scelto! Tu mi hai insegnato ad aprirmi… a
non aver paura dei miei sentimenti. Se non ti avessi conosciuto, un giorno come
questo non sarebbe mai arrivato, per me…! Ti voglio bene, Candy! E ti ringrazio…
amica mia…!*
E
il variopinto bouquet volò in aria, proprio in direzione dell’immenso oceano,
come se davvero volesse raggiungere le remote coste del Nuovo Mondo…!
[1]Pursuit, in inglese, significa inseguimento ed era la designazione dell’epoca per gli aerei da
caccia dell’Aviazione dell’Esercito, mentre l’Aviazione Navale adoperava già
l’odierno appellativo di Fighter (combattimento). Ecco perché gli aerei da
caccia dell’Esercito erano allora siglati con la lettera P, mentre quelli della Marina erano già siglati con la lettera F.
[2]Allude a quando lo avevano trascinato dentro a quella
certa gioielleria…
[3]Baracca assegnata al personale di volo e di terra di
una determinata squadriglia.
[4]Il Seversky P-35
è stato uno dei primi caccia monoplani a prendere servizio nell’USAAF (ed è stato anche l’aereo che ha
ispirato la progettazione del nostro Reggiane
Re 2000) mentre il Curtiss P-36
Lancer è stato il predecessore del P-40
Warhawk. Erano comunque aerei dalle prestazioni assai modeste, confrontati
con quelle dei contemporanei caccia giapponesi, inglesi e tedeschi (e anche
italiani, almeno per ciò che riguarda il Macchi
MC 202 e il Reggiane Re 2001).
[6]Anche perché, in questo modo, la maggior quantità di
traccianti gli avrebbe consentito una mira più precisa.
[7]Sarebbe il rapporto fra il peso dell’aereo e la
superficie delle sue ali; tale rapporto esprime la quantità di peso che ogni m2
di ala deve sollevare con la sua portanza. Nello Zero tale valore era di 125 Kg/m2 con l’aereo a pieno
carico, mentre nel P-40 E era di 174
(nel P-47 D, l’altro aereo che
avrebbe utilizzato Andy, arrivava addirittura a 316).
[8]Nomignolo dato al Mitsubishi
A6M nel codice identificativo alleato, che ne assegnava uno per ogni tipo
di aereo giapponese, essendo la nomenclatura originale abbastanza complessa.
[9]E stavolta furono le orecchie di Candy a fischiare…!
[10]È il nomignolo con cui s’indicavano i giapponesi. Gli
americani venivano invece chiamati Joe,
gli inglesi Tommy, i tedeschi Frtiz, i russi Ivan e gli italiani Tony…!
[12]Il particolare che Roy Master e Victor Sanders
venissero da Chicago è stato un altro “elemento di congiunzione” che ho voluto
inserire fra la storia di Andy e quella della sua “quasi omonima”.
[13]20000 piedi, ovvero 6060
m circa (il termine kids
sta per ragazzi).
[14]Intende a circa 1/3 fra la sinistra (ore 9) e il
davanti (ore 12): era il cosiddetto “codice dell’orologio” che consentiva una
chiara quanto rapida indicazione sulla direzione degli attaccanti o dei bersagli.
[15]Purtroppo episodi del genere non furono infrequenti nel
corso della guerra aerea, specialmente nell’ambito di conflitti razziali e/o
ideologici come appunto quello fra giapponesi e statunitensi o quello fra
tedeschi e sovietici.
[16]La possibilità di mirare a una specifica parte del
velivolo nemico (per esempio il motore o la coda) era del tutto teorica,
specialmente sui bersagli di piccole dimensioni.
[17]Virata a 180° con cabrata verso l’alto. Era la manovra
più idonea per seminare un avversario, se questi pilotava un caccia più pesante
del proprio.
[18] Tipico appellativo britannico equivalente al nostro vecchi miei. Non avendo letto i primi
capitoli della storia completa, i lettori ancora non sanno che Andy Greason è
di origine scozzese.
[19]Robert Lee e Stonewall Jackson, famosi generali sudisti
della Guerra di Secessione (ricordiamoci che James Stone è di Richmond,
Virginia).
[21]Il bilancio complessivo delle perdite umane dovute
all’attacco di Pearl Harbour fu di 2403 morti e 1778 feriti. Perdite materiali:
4 corazzate affondate (di cui 2 perdute e 2 recuperate) e quattro danneggiate
più o meno gravemente; un incrociatore affondato e cinque gravemente
danneggiati; un cacciatorpediniere affondato e due distrutti in bacino; 188
aerei distrutti e 159 danneggiati (fra Marina ed Esercito).
[22]Si trattava di fatto della risposta alla dichiarazione
di guerra del Giappone stesso, la quale, per un fatale ritardo nelle
comunicazioni fra Tokyo e l’ambasciata giapponese a Washington, era giunta sul
tavolo del Segretario di Stato, Cordell Hull, quando l’attacco su Pearl Harbour
era già in corso da mezz’ora! Gli americani ebbero quindi la convinzione di
essere stati attaccati a tradimento e questo, secondo lo stesso giudizio
dell’ammiraglio Yamamoto, era il modo più sicuro per unire tutta la popolazione
contro l’aggressore orientale. Si pensi che, fino al giorno prima, l’82 per
cento dell’opinione pubblica americana era decisamente contraria all’idea
d’intervenire militarmente contro l’Asse. Disse poi lo stesso comandante della
Flotta Imperiale: “È come aver destato un gigante assopito, infondendogli la
volontà di combattere e vendicarsi!”
[23]Il famoso premio giornalistico. Ve la immaginate la
copertina di Time o di Life con una scena del genere…?
Capitolo 8 *** Il giorno più lungo dei Greason ***
Capitolo 5: Il ritorno
Capitolo 8: Il giorno più lungo dei
Greason
“E
agle
one a Mitchell Tower… qui Prima Squadriglia
Sperimentale in rientro dall’area di New York per missione di intercettamento a
sommergibile nemico… chiedo il permesso di atterrare… over!”
“Mitchell Tower a Prima Squadriglia:
permesso accordato. La pista 2 è libera: vento di 5 nodi al traverso. Scendere
in ordine di volo, come da procedura.”
“Roger…
chiudo!”
Il
capitano Andrew Steve Greason mosse la manetta verso la direzione di chiusura e
subito il possente rombo del radiale Pratt
& Whitney Double Wasp[1] si
fece più sommesso. Azionò poi la leva dei flaps, abbassò opportunamente il muso
e, con alcuni calibrati colpetti di pedale si allineò perfettamente all’asse
della pista. Quando l’altimetro registrò i centossessanta piedi[2]
(l’aerodromo era praticamente a livello del mare), il pilota azionò il comando
del carrello, si accertò che le spie confermassero la discesa e il successivo
bloccaggio e richiamò dolcemente la cloche per riottenere l’assetto
orizzontale. Come avvertì il colpo del terreno, efficacemente ammortizzato dai
due carrelli principali, abbassò ancora la coda fino a far toccare anche il
ruotino posteriore.
Premendo
sui pedali per azionare i freni, Andy osservò la lancetta dell’anemometro
calare progressivamente dalle 86
miglia della velocità di stallo alle 25 della
regolamentare velocità di rullaggio.[3]
Dopodiché, azionando la pedaliera (che comandava lo sterzaggio del ruotino, oltre
al timone) lo Squadron CO procedette serpeggiando[4] fino
alla sua piazzola di stazionamento. Tirò allora il freno di parcheggio, chiuse
completamente la manetta e tolse il contatto. L’enorme elica quadripala Hamilton Standard Hidromatic[5] si
arrestò dopo i consueti quattro-cinque giri di folle. Mentre gli specialisti di
terra aprivano il tettuccio, Andy staccò i cavi, i tubi e le cinghie che lo
collegavano al massiccio Republic P47 D-22
come un bambino a sua madre e si alzò per scavalcare il capace abitacolo.
Rimase quindi in piedi sull’ala sinistra per osservare l’atterraggio dei suoi camerati,
fino a quando non vide avvicinarsi la figura del tenente-colonnello Ira Eaker.
“Bentornato,
Greason! Com’è andata la caccia…?” gli chiese quest’ultimo.
L’interpellato
si sfilò il casco di cuoio e lo gettò rapidamente nel cockpit, poi saltò giù
per andare incontro al superiore: “Poteva andare meglio, signore…!”
“Non
siete riusciti a colpirlo?” domandò il futuro comandante dell’Ottava Forza
Aerea americana in Europa.
“Beh…
per colpirlo, lo abbiamo anche colpito” rispose il capitano, liberandosi dalla
mae-west[6] “ma
non posso garantirle che sia andato distrutto…!”
“Allora
non farà molta strada… se l’avete colpito non riuscirà mai a riguadagnare il
mare aperto riforzando l’imbocco della baia!”
“Già…
sempre che quel demonio non preferisca passare per il Sound, dopo aver risalito
l’East River: sarebbe effettivamente un pazzo se cercasse di uscire ancora da
Coney Island…!”
“In
un modo o nell’altro la Navy
lo beccherà” ribadì il tenente-colonnello “sarebbe inconcepibile permettere a
un maledetto nazi di giocarci un tiro del genere!”
“Yamamoto
docet, colonnello… sono tiri che, almeno una volta, possono sempre riuscire. E
quel dannato kapitan dev’essere senz’altro un ottimo allievo di Gunther
Prien…!”[7]
“Lasciamo
stare” tagliò corto l’ufficiale superiore “piuttosto, appena i suoi uomini la
raggiungono, venite da me per il de-briefing: voglio tutti i particolari
dell’attacco.”
“Signorsì…!”
I
due si scambiarono il saluto, poi Eaker voltò le spalle al sottoposto per
tornarsene nel suo ufficio. Andy rimase invece presso il suo nuovo apparecchio,
attendendo di essere raggiunto dai suoi compagni di squadra.
Il
reparto attualmente diretto dal tenente-colonnello Eaker, ovvero il 3rd Experimental Figther Group,
era inquadrato nei ranghi della Fourth
Air Force, a presidio del territorio nazionale ed era stato appositamente
costituito per testare i nuovi modelli di caccia che l’industria aeronautica
stava mettendo a disposizione dell’arma aerea. La Prima Squadriglia, comandata
da Andy Greason, aveva pertanto il compito di portare in volo i nuovi possenti P-47. Lui e i suoi fedeli compagni - che
era riuscito a portarsi dietro dalle Hawaii - avevano ricevuto questo incarico
subito dopo il rimpatrio, nel quale lo aveva naturalmente seguito anche la sua
dolce ed energica “metà”, che adesso prestava servizio all’ospedale cittadino
di Saint Jacob.
Era
da circa una settimana che le otto ex Tigri
Volanti si occupavano di portare in volo quei magnifici “bestioni”, come li
chiamavano scherzosamente. Massicci ma meravigliosamente veloci e
sorprendentemente agili alle alte quote, grazie alla surpotenza garantita
dall’efficace turbocompressore accoppiato al possente radiale a diciotto
cilindri.[8] In
picchiata facevano un po’ impressione, data la loro velocità terminale che
poteva superare le 500 miglia orarie,[9] ma in
compenso l’eccezionale robustezza della macchina, unita alle confortevoli
dimensioni dell’abitacolo, dava ai piloti un piacevole senso di sicurezza. Come
davano, durante le prove di tiro, un’esaltante impressione di potenza
distruttiva le otto mitragliatrici da mezzo pollice sistemate nelle ali.
Mancava
solamente una missione operativa a confermare le superlative qualità del nuovo
mezzo… e così, quel venerdì 20 Febbraio 1942, i componenti del 1st Squadron
del 3rd EFG, in forza alla 4th AF, erano stati finalmente
accontentati!
Proprio
quella mattina, infatti, Andy Greason e il fido James Stone si erano recati in
città per consegnare una relazione tecnica negli uffici della Republic, situati nella Quarantaseiesima
Strada. Una volta sbrigata la commissione, prima di rientrare al MitchellField, Andy aveva pensato di passare al St.Jacob per fare una visitina alla moglie, che non vedeva dal
lunedì precedente (Flanny era entrata in servizio a tempo pieno e avrebbe avuto
libera soltanto la domenica successiva) e chiederle se potevano magari pranzare
insieme, dalmomento che nel pomeriggio
non erano previsti voli di prova. Ma siccome era ancora troppo presto per il
suo turno di riposo (erano le otto del mattino) lui e James avevano pensato di
ammazzare il tempo facendo una passeggiata nella zona del porto.
Stavano
dunque camminando lungo la calata 32, quando, dalla acque della Baia Superiore,
era spuntato nientepopodimeno che un sottomarino tedesco…!
***
Quanto
accaduto in seguito è facile da intuire… i due aviatori avevano raggiunto il
primo telefono per avvertire l’aeroporto, erano saltati sulla jeep assegnata alla loro unità ed erano
rientrati precipitosamente alla base. Dopodiché l’intera Prima Squadriglia
Sperimentale, con i suoi otto P-47
nuovi fiammanti, aveva decollato alla volta della Grande Mela!
Quando
erano arrivati sul cielo della metropoli l’impudente quanto audace Unterseeboot 855 del korvettenkapitan
Herbert Thyssen, dopo aver seminato lo scompiglio nella Upper Bay dell’Hudson, si
era già incanalato lungo l’East River (il canale che separa Brooklyn da
Manhattan) in modo da riguadagnare l’Oceano Atlantico attraverso il Long Island
Sound.[10]
Altri
piloti avrebbero probabilmente desistito dal tentare un impresa del genere… ma
non le vecchie Tigri Volanti del
Gruppo comandato dal colonnello Hardgison a Kunming, né la 3a Squadriglia
del 18mo Gruppo del maggiore Carson a Wheeler Field, né tantomeno le
colonne portanti del 99mo Gruppo Caccia, fulcro della futura 10a
Forza Aerea in Europa!
Cosicché,
con un’audacia che rasentava la pazzia, gli otto Thunderbolt avevano picchiato, uno dietro all’altro, su quel
temerario intruso… e i sempre affaccendati cittadini newyorchesi avevano
assistito, dai ponti e dalle calate, a quell’imprevisto quanto avvincente
spettacolo, dal quale gli spettatori più appagati erano sicuramente stati
quelli sul Brooklyn Bridge, avendo visto i caccia passarci sotto per giungere radenti
sul bersaglio…!
Come
accennatoanzitempo, l’esito finale dell’operazione
non era stato esattamente quello sperato[11] ma, se
non altro, i membri del 3rd EFG potevano dirsi soddisfatti per avere
finalmente testato i loro nuovi caccia in una missione operativa reale.
***
“Perdiana…!
E così l’avete proprio attaccato a volo radente?!” esclamò il
tenente-colonnello Eaker, tra l’incredulo e l’ammirato.
“Sì,
signore” confermò il capitano Greason “alla prima picchiata mi sono fatto
precedere dal tenente Stone, dal sottotenente Maxim e dal sergente Williams,
che hanno spazzato il ponte del sommergibile con le Browning per impegnare i serventi dell’antiaerea, così da permettermi
di sganciare i due confetti da 250[12] che
avevo caricato sul mio Jug.”[13]
“Magnifico…!”
commentò il superiore “E lo ha colpito…?”
“Non
gravemente, purtroppo” rispose Andy, scuotendo la testa “come mi hanno
confermato i sottotenenti Hames e Harris, che hanno dato una seconda ripassata
al bersaglio, dietro di me. Quando siamo risaliti oltre la quota di sicurezza
imposta dai grattacieli e abbiamo invertito la direzione, ci siamo infatti accorti
che navigava ancora!”
“E
quindi…?”
“Abbiamo
deciso di fare un secondo passaggio” il capo-squadriglia mandò giù il caffè
contenuto nel bicchierino di carta “questa volta ho fatto io da apristrada
insieme a Stone, scendendo a circa 15 piedi dall’acqua del fiume”[14] Eaker
spalancò gli occhi, sbalordito “subito dopo è sceso invece il tenente Sanders,
con altre due pillole tipo M31… lui è stato più preciso di me, ma nemmeno
stavolta quel maledetto nazi ha voluto saperne di andare a picco!”
“Non
capisco come ha fatto a scamparla” intervenne Victor, con tono stizzito “Roy mi
guardava la coda, più in alto e diceva che l’avevo preso in pieno…!”
“E
lo confermo” intervenne l’interessato “non ho visto colonne d’acqua, quindi
entrambe le bombe lo hanno beccato di sicuro!”
“Probabilmente
una delle due non è esplosa” osservò il tenente-colonnello “sono percussori di
tipo nuovo, non ancora perfettamente a punto.”
“Chicchi
di riso” esclamò Sanders, ancora irritato “se avessimo avuto delle M43 o delle
44, allora…”[15]
“Non
potevamo usare quelle in piena città” obiettò il capitano “troppo pericoloso
per i civili.”
“E
certamente il comandante di quell’U-Boat contava su questo, quando gli è venuta
la bella pensata di fare una visitina alla Grande Mela” concluse il comandante
del Terzo Gruppo, battendosi le punte delle dita “beh, speriamo che la Marina
riesca a intercettarlo prima che possa uscire dal Sound! Quanto a me, non mi
resta che visionare i films delle vostre cinemitraglie[16]… ad
ogni modo mi congratulo con voi per il magnifico lavoro: anche se la
scampassero, quei crauti, come i loro camerati, avranno meno velleità per
ritentare l’impresa” l’ufficiale superiore si alzò in piedi “congratulazioni,
signori: avrete senz’altro una citazione ufficiale!”
“Grazie
a nome di tutti, colonnello” rispose Andy Greason, mentre i suoi compagni si
scambiavano sorrisi e pacche sulle spalle “ma forse gradiremmo maggiormente un
po’ di riposo: collaudare quei bestioni per tutta la settimana non è stato
particolarmente rilassante…!”
“Più
che giusto… riprenderete servizio lunedì mattina. Vorrebbe congedare i suoi
uomini, capitano? Dovrei parlarle in privato.”
“Bene…
potete andare, ragazzi: ci vediamo dopo.”
I
membri della squadriglia salutarono i superiori e uscirono dall’ufficio di
Eaker. Questi fece cenno al capitano di sedersi e sturò una bottiglia di Bourbon, prelevata da uno stipetto. Aprì
poi un piccolo frigorifero Philco ed
estrasse la vaschetta del ghiaccio: “Due cubetti bastano?”
“Uno
è più che sufficiente, signore.”
Messo
il ghiaccio nei bicchieri, il comandante del reparto porse il suo al capitano e
cominciò a versarci il whisky… ma, prima che arrivasse a metà altezza, Andy lo
fermò alzando il palmo dell’altra mano: “Basta così, grazie!”
“Davvero…?
Mi ricordo che a Spanner beveva di più.”[17]
“A
Spanner ero ancora scapolo, colonnello…!” rispose Andy scuotendo il bicchiere
per far sciogliere il ghiaccio.
“Ah,
già… tendo sempre a dimenticarmelo” Eaker ridacchiò, sedendosi sul piano della
scrivania “sarà che lei, dopotutto, non mi sembra cambiato molto!”
“Come
pilota direi di no…!” ribatté Greason, mostrando un mezzo sorriso.
“Già…
bene” Eaker si batté le mani sulle coscie “parlando seriamente, dai rapporti
che ha redatto sul nuovo P-47, il suo
giudizio sulla macchina mi è apparso molto favorevole.”
“È
un apparecchio eccezionale, signore… Sasha Kartveli è un vero genio!”
“In
effetti… questi russi danno il meglio di sé quando si occupano di arte, scienza
e tecnica, piuttosto che di politica… come i tedeschi, del resto!”[18]
“Quando
l’ho visto per la prima volta, mi chiedevo come potesse seriamente volare un affare
simile…! In effetti è un po’ rigido alle basse quote, ma quando lo porti su e
azioni la surpotenza, diventa un razzo. E nella manovra, almeno rispetto al P-40, sembra quasi una libellula… è
incredibile!”
Il
tenente-colonnello inclinò la testa: “Le confesso che, da un cacciatore nato
come lei, mi sarei aspettato piuttosto una preferenza per il gioiello dell’NAA.”[19]
“Parla
del Mustang?” il capitano sorseggiò
dal suo bicchiere “Sì, ho provato anche quello, ma in quota non regge il
confronto[20]… e poi mi sembra
piuttosto fragilino, in confronto al Thunderbolt!”
“E
uno come lei, che ha già sperimentato due atterraggi di fortuna, non può che
apprezzare l’elevata robustezza di questa cellula, non è vero?” ammiccò Eaker.
“Può
dirlo forte. Per non parlare della comodità di quel cockpit… c’è solo un posto,
finora, dove mi sono sentito meglio…!”
“E
sarebbe…?”
“Fra
le braccia di mia moglie… ma questo è un caso limite!”
Il
colonnello rise di cuore a quella battuta, ma tornò subito serio: “Sto per
darle un’informazione strettamente confidenziale, Greason: il Dipartimento sta
pensando di costituire una forza aerea da basare in Gran Bretagna, con lo scopo
di effettuare incursioni in profondità sul continente europeo, occupato dai
nazisti. Come sa, gli inglesi si sono spezzati le ossa nei pochi bombardamenti
diurni che hanno tentato e hanno preferito ripiegare sulle incursioni notturne.
Il generale Arnold e il generale Marshall[21] sono
invece convinti che solo le incursioni diurne potrebbero garantire una
precisione bastante a colpire efficacemente i centri dell’industria tedesca,
evitando un inutile spreco di bombe e di carburante.”
“E,
soprattutto, limitando le perdite fra i civili” puntualizzò il capo-squadriglia
“sono assolutamente d’accordo, signore!”
“Questo
renderà ovviamente necessario scortare le nostre formazioni di bombardieri… e
quindi occorrerà capire quali siano i nostri caccia che meglio possono
misurarsi con gli intercettori della Luftwaffe...”
“Logico…!”
“…quindi
l’idea sarebbe quella di creare un apposito gruppo di scorta, composto da
diverse squadriglie che equipaggeremmo coi nostri modelli più recenti: i P-38, i P-47 e i P-51.”
“Mi
sembra ottimo. Ma io che c’entro?”
“Con
l’esperienza operativa che ha capitalizzato fin da prima di Pearl Harbour, lei sarebbe
proprio l’elemento più adatto. Se la sente di assumere il comando del reparto?”
“Io…?!
Comandante di Gruppo?!!”
“Sì…
naturalmente l’incarico comporterebbe la sua promozione a maggiore. Cosa ne
dice…?”
Andrew
Steve Greason rimase diversi secondi a fissare il cubetto di ghiaccio che
finiva di sciogliersi nel Bourbon… in
un primo momento ebbe voglia di rispondere Non
me la sento… faccio il pilota da caccia perché c’è la guerra, ma non ho
ambizioni di carriera e bla bla bla… mentre avvertiva la forte tensione su
tutto il corpo, trasmessagli dalla consapevolezza che fra poco si sarebbe
cominciato a fare sul serio!
Lo
avrebbero mandato in Europa, a combattere i nazisti… e i flug offizieren della Luftwaffe
sarebbero stati ben più efficienti che non gli aviatori del Sol Levante!
Per
un momento considerò l’accettare la proposta di Eaker come un qualcosa di
spaventosamente ingiusto verso la sua anima gemella… ma poi ricordò le parole che
un certo colonnello Hardgison gli aveva rivolto alcuni mesi prima, a Kunming: Lo tenga sempre in testa, Andy: noi, la
nostra gente, i nostri amici… abbiamo bisogno di lei!
Pensò
allora che la sua Flanny doveva essersele dette addirittura da sola, queste
parole, quando, ancora tirocinante all’ospedale Santa Johanna di Chicago, le avevano chiesto se voleva offrirsi
volontaria per il servizio di prima linea. E lei non aveva esitato un istante a
rispondere “sì!”…
*Devo
essere degno di lei, dopotutto…!* pensò il nostro amico. Perciò rispose:
“D’accordo… accetto! A condizione che mi vengano concessi i miei attuali compagni
di squadra.”
“Ma
si capisce, caro Greason” rispose Eaker con un largo sorriso compiaciuto
“questo era assolutamente implicito. Le affideremo un Gruppo di tre
squadriglie: lei ci metta al comando quelli fra i suoi che ritiene più navigati
e noi le assegneremo i necessari complementi. Farete un altro turno di prova
per familiarizzare con le altre macchine, poi riceverete istruzioni per il
trasferimento. Tutto chiaro?”
“Chiarissimo”
Andy si rialzò e posò il bicchiere vuoto sul tavolo “c’è altro?”
“Nient’altro,
vada pure… ah, no: aspetti un momento…!”
“Signore…?”
il pilota si fermò, già col berretto in mano.
“Dovrei
avere qui… solo un attimo, eh…?” il comandante di reparto frugò velocemente nei
cassetti della scrivania “Maledizione, dove diavolo… ah, meno male: eccoli…!”
Estrasse
una piccola scatola che porse al suo subordinato. Questi ne aprì il coperchio e
osservò sbalordito due coppie di spille a forma di foglia di quercia e un’altra
singola di stazza più piccola, ormai non più eccessivamente brillanti a causa
dell’ottone un po’ ossidato.[22]
Mentre
Greason lo guardava ammutolito, Eaker ridacchiò: “Non mi guardi come se fossi sbronzo,
Andy! La pratica sarà piuttosto spiccia… e, dopo l’exploit di stamattina,
ritengo li possa indossare anche subito!”
“Se…
se lo dice lei, signore…!”
“Se
preferisce che glielo ordini, non si faccia problemi a chiedermelo.”
“No,
no… non c’è n’è alcun bisogno… grazie!”
“Bene.
Allora, congratulazioni… maggiore Greason!”
Dopo
aver messo i suoi nuovi gradi in tasca, Andy eseguì un saluto impeccabile:
“Grazie, tenente-colonnello Eaker: le assicuro che darò sempre il massimo di me
stesso… e così i miei uomini!”
“Non
ne ho il minimo dubbio!” affermò senza riserve il superiore, restituendo il
saluto.
Congedatosi,
Andy lasciò l’ufficio e percorse meccanicamente il corridoio, diretto
all’uscita. Passando davanti all’ingresso della toilette, si fermò un istante e
vi entrò d’impulso. Lieto di non trovarvi nessuno, si avvicinò allo specchio
più vicino, si tolse il giubbotto di volo ed estrasse di tasca la scatoletta,
appoggiandola sul piano del lavandino. Si tolse quindi rapidamente il grado di
capitano dal colletto della camicia color cachi e lo sostituì con quello nuovo,
utilizzando la spilla più piccola… poi ripeté l’operazione col giubbotto di
volo, utilizzando le due spille più grandi (le ultime due, delle stesse
dimensioni, le avrebbe usate per la giacca dell’uniforme di gala). Per ultimo
indossò il berretto e rimase ad osservare la sua figura, fissando le foglie di
quercia spiccare al posto delle precedenti “traversine di binario”…
“Maggiore…”
si disse, sussurrando “…Flanny, tuo marito è un maggiore… cavolo!!”
Accidenti,
doveva dirglielo! Si fiondò fuori dal bagno e corse fino al bugigattolo che gli
era stato assegnato come ufficio. Afferrò il ricevitore e compose il numero
dell’ospedale Saint Jacob, ma dopo un
breve conciliabolo e dopo essersi informata al riguardo, la centralinista gli
disse la signora Hamilton (sic) non poteva assolutamente venire all’apparecchio
in quel momento!
Seccato
ma non rassegnato, l’impaziente ufficiale si precipitò fuori dalla palazzina
del comando, dove ritrovò i suoi compagni che lo aspettavano, chiacchierando.
“Ragazzi…
mi dispiace, ma dovrete far bisboccia da soli, per il momento: io devo correre all’ospedale!”
“È
successo qualcosa…?!” gli domandò James Stone, con tono preoccupato.
“Niente,
niente… devo solo parlare a mia moglie. Ci vediamo qui lunedì mattina!”
Senza
aggiungere altro saltò sulla Chevrolet
che aveva noleggiato temporaneamente di persona e, dopo aver gettato il
cappello sul posto del passeggero, mise in moto e partì facendo stridere le
ruote.
Mentre
osservava l’auto allontanarsi, Victor Sanders rimuginava, grattandosi la testa…
“Non
sarà diventato padre, per caso…?” chiese infine, rivolto a James.
L’altro
lo guardò di traverso: “Ma tu quando la finirai di dire scemenze…?!” sbuffò.
***
Flanny
Greason, dopo essersi levata i guanti, aprì il rubinetto dell’acqua fredda. Si
lavò le mani accuratamente, poi si slacciò la mascherina e si frizionò il viso
a lungo. Afferrò l’asciugamano e, mentre lo stava usando, si rivolse a una
collega dal viso grassoccio: “C’è rimasto del caffè, Judith?”
“Sì,
un po’… te lo scaldo.”
“Lascia:
lo prendo così com’è.”
“Ma
dai, faccio in un attimo” obiettò la collega. Poi, mentre accendeva il
fornelletto e ci metteva il bricco sopra, si permise di osservare “abbi un po’
più cura di te stessa…!”
“Grazie
del consiglio!” rispose l’altra, in tono neutro.
“Prego!”
ribatté Judith, senza tanti complimenti.
Non
appena il caffè fu abbastanza caldo, prese una tazzina e la riempì: “E
comunque, se non vuoi farlo per te, fallo almeno per noi… o per il tuo maritino!”
concluse, sorridendo e porgendole il caffè.
Seduta,
Flanny la guardò da sotto in su: “Sto notando che, da quando ci siamo ritrovate
tutte qui, siete diventate decisamente più… disinvolte, mh…?” commentò,
sorseggiando il liquido.
Effettivamente,
ai tempi della scuola per infermiere, nessuna delle sue compagne più giovani (quasi tutte, almeno…) si sarebbe
azzardata a prendersi con lei tutta quella confidenza. L’infermiera dai capelli
rossi si guardò le mani: “Forse è perché ti abbiamo visto più… rilassata…?”
“O
forse è l’influenza della nostra cara Candy…!”
Judith
accusò il colpo, basita per di più dall’aver sentito la severa Flanny appellare
la loro frizzante collega in quel modo! Del resto non ci aveva ancora fatto
l’abitudine al nuovo atteggiamento che quelle due tenevano l’una verso l’altra,
da quando si erano riviste in quell’ospedale, dove la bionda e lentigginosa
compagna di studi prestava già servizio da qualche tempo, come caposala del
reparto chirurgia.
Judith
Nethan e Natalie Venc non avrebbero mai dimenticato cos’era accaduto al loro
arrivo al St.Jacob, quando la
direttrice del personale paramedico le aveva ricevute e accompagnate, assieme a
Flanny, nella saletta delle infermiere…
***
Una
settimana prima…
“Miss
Candy…? Le affido tre colleghe trasferite dalle Hawaii, che lavoreranno con
lei. Le aiuti ad ambientarsi, cosi potrete cominciare subito.”
“Certo,
dottoressa Campbell! Benvenu…” l’interpellata, che stava dando le spalle alla
porta quando il gruppetto era entrato, si voltò e rimase stranita nel trovarsi
di fronte le sue ex-compagne di tirocinio, specialmente la sua occhialuta e coriacea
compagna di stanza, che aveva visto partire volontaria ben otto mesi addietro,
alla volta della lontana Cina.
“Ragazze”
aggiunse la responsabile “questa è la signorina Candice White, caposala del
reparto chirurgia. E queste, Candy, sono le signorine Judith Nethan e Natalie Venc
e la signora… che ha? Non si sente bene…?!” domandò, accorgendosi finalmente
della sua faccia stralunata.
La
bionda si riscosse all’istante: “Nn… no, no…! Tutto a posto, dottoressa… ho
capito, ci penso io. Stia tranquilla…!”
“Bene…
allora buon lavoro!”
“Arrivederci,
direttrice!” rispose Natalie, per tutte.
Quando
la dottoressa Campbell si richiuse la porta alle spalle, un solare sorriso illuminò
il dolce viso di Candy: “Ragazze, siete voi…!! Che bellissima sorpresa…
Judith…! Natalie…! Flanny…!!!”
“Ciao,
Candy…!” rispose quest’ultima con un sorriso che, per quanto tenue,
rappresentava una discreta novità per la sua destinataria, anche se, in quel
momento, la ragazza dai codini d’oro era troppo commossa per prestare
attenzione a questo particolare.
“Sei
a casa!! È meraviglioso… come stai, Flanny…?”
“Mai
stata meglio. E mi sembra che anche tu sia in piena forma!”
“Sì,
io sto benissimo… grazie!”
“Ne
sono felice…!”
“Anch…”
stavolta il cervello di Candy riuscì a registrare che c’era qualcosa di diverso…
la Flanny
della partenza (che le aveva infine manifestato la sua stima, rimanendo però
strettamente formale) avrebbe magari detto che le faceva piacere, ma ben
difficilmente si sarebbe dichiarata felice!
Dato
il bene che comunque le voleva (e in questo aveva contribuito anche la visita
che aveva fatto a casa Hamilton dopo la loro separazione, accompagnata dall’amico
Stear) l’impulso di Candy sarebbe stato quello di abbracciarla… tuttavia,
memore della sua riservatezza, si limitò a porgerle la mano, sempre
sorridendole con gli occhi lucidi: “Sono così contenta che tu sia tornata sana
e salva…!”
Dapprincipio
Flanny le strinse dolcemente la mano, accentuando anche lei il suo sorriso… ma,
subito dopo, l’attirò a se e le buttò le braccia al collo! Non disse nulla, ma
la strinse forte, con affetto…
L’espressione
di stupore che la dottoressa Campbell aveva visto prima sul viso di Candy non
era niente al confronto di quella che vedevano adesso le altre compagne, mentre
le due si abbracciavano! Alla muta domanda dell’infermiera bionda, espressa
scuotendo la mano destra con le dita raccolte a mazzetto, Natalie rispose
roteando il dito indice, mentre Judith fu ancora più esplicita, battendosi
l’indice della destra sull’anulare della sinistra…
Ma
la dolce Candy, che per certe (rare) cose era sempre stata un poco tarda,
continuava a non capire…!
***
Terminato
il suo caffè Flanny ripose la tazzina sul tavolo e si rialzò da sedere,
guardando severamente la collegadai
capelli rossi: “Beh… influenza o meno, ti avverto che oggi non è aria per le
battute di spirito: la nostra collega è piuttosto… nervosa!”
“Insolito”
commentò Judith “e perché?”
La
mora sospirò: “Prima stavamo operando il povero marinaio di una petroliera che
è stata colpita nel porto… aveva delle ustioni terribili. Ce l’abbiamo messa
tutta, ma… non c’è stato niente da fare…!”
“Oh,
mio Dio…!! In effetti avevo sentito delle voci… pare che un sommergibile nemico
fosse penetrato nella rada!”
“Infatti”
confermò Flanny “e quella petroliera è stata appunto una delle vittime. Candy non
ha mai sopportato la vista degli effetti della guerra… per quanto ne so, è
l’unica cosa che possa farla veramente infuriare.”
“Hai
ragione… è sempre stata una pacifista convinta.”
“Appunto.
Per cui, bada soprattutto che non venga fuori il discorso su mio marito…!”
“A
proposito, non glielo hai ancora presentato?”
“E
chi ne ha avuto modo? Non lo vedo da quando abbiamo preso servizio, lunedì
scorso. E sta’ sicura che non glielo presenterò certo oggi…!”
***
Andy
inchiodò i freni davanti all’ingresso dell’ospedale e il brusco arresto fece
piombare il suo berretto d’ordinanza sul tappetino davanti al sedile. Preso dalla
sua foga l’ufficiale neopromosso non ci fece nessun caso e uscì dalla vettura
lasciandolo dov’era.[23]
Con
la massima decisione entrò nell’atrio e si avvicinò alla reception, dove
un’impiegata dall’aria severa, sentendo il rumore dei suoi passi
sull’impiantito, lo guardò.
“Ehm,
buongiorno…!”
“Desidera…?”
“Sono
il maggiore Greason, dell’Air Force. Avrei urgenza di parlare con mia moglie!”
“Spiacente,
ma non siamo in orario di visite.”
“Ma…
veramente mia moglie non è una paziente: è un’infermiera, lavora qui.”
“In
tal caso dovrà attendere il suo turno di riposo. Lo conosce?”
“Io…?
Ehm… veramente no!”
“Male.
Conosce almeno il nome di sua moglie?”
L’ufficiale
sentì qualcosa mettersi a girare nelle proprie parti basse[24]…
quella tizia era la quintessenza della rigidità burocratica!
“Si
capisce che conosco il nome di mia moglie…!! Si chiama Flanny… Flanny Greason!”
rispose, piccato, senza pensarci troppo.
“Vediamo
subito…” rispose l’impiegata mettendo mano a un registro dalle dimensioni
scoraggianti. Dopo averlo scorso con la rapidità derivante dalla più consumata
competenza, sentenziò: “…no: qui non risulta nessuna Flanny Greason…
spiacente!” e richiuse di scatto il librone.
Andy
avvertì marcatamente i polpastrelli della donna che iniziavano ad arpeggiargli
i nervi, che l’azione mattutina contro quello spudorato U-Boat non aveva certamente
contribuito a rilassare. Fece un respiro profondo e si produsse in uno dei suoi
tipici sorrisi carismatici, che anche con le femmine un po’ ostiche
funzionavano (quasi) sempre...[25]
“Mi
perdoni… dimenticavo di precisarle che il suo nome da nubile fa Hamilton…
Flanny Hamilton! Sarebbe così cortese da dare un’altra sbirciatina?”
“D’accordo”
rispose la burocrate, con bonaria condiscendenza “poteva dirlo subito, però…!”
polemizzò comunque.
L’altro
ebbe la pungente tentazione di risponderle brutalmente che quando si è reduci
da un’azione di combattimento eterodossa come quella di attaccare un
sommergibile che s’infiltra nel porto della città più importante del Paese, con
l’angoscia di colpire per sbaglio i tuoi stessi connazionali, il tutto a bordo
di un apparecchio nient’affatto semplice, che nemmeno conosci ancora bene, può
anche capitare di non essere precisi di fronte alla pignoleria di un’acida
gallina che si frappone fra te e la tua donna, alla quale non vedi l’ora di riferire
che stai bene, caso mai fosse già al corrente di quel che era successo! Ma
sapendo quanto fosse controproducente perdere la calma di fronte a
interlocutori di quel genere, si limitò a respirare di nuovo, infilando le mani
nelle tasche dell’impermeabile.
“Allora…
ah, eccola qui: Flanny Hamilton, divisione chirurgia. Il suo turno di riposo è
terminato da cinque minuti. Staccherà alle sei e mezzo.”
“Cosa….?
Ma adesso sono appena le due… non vorrà farmi aspettare qui per più di quattro
ore?!”
“Ha
qualcosa di meglio da fare?”
Sentendo
montare la stizza per non poterle nemmeno rispondere affermativamente, giacché
il colonnello Eaker lo aveva licenziato fino a lunedì, il nostro amico stette
quasi per perdere la testa! Per un paio di secondi accarezzò persino l’idea dell’autolesionismo,
così da farsi ricoverare d’urgenza, purché lo facessero entrare… ma comprese subito
che mettendo in atto una mossa del genere si sarebbe giocato i gradi appena
conquistati e inoltre la sua gentile consorte non lo avrebbe sicuramente
applaudito… anzi!
“No,
nulla d’importante… le dispiace se mi accomodo su quel divano laggiù? Sa, ho
avuto una mattina piuttosto pesantuccia…!”
“Nessuno
glielo impedisce.”
“Grazie…
lei è davvero molto gentile…!”
“Non
c’è di che!”
Il
povero Andy strinse la mascella per non farsi scappare qualche frase
compromettente, voltò le spalle alla “simpatica” funzionaria, raggiunse il
suddetto divano e vi si stravaccò letteralmente sopra, emettendo un lungo
sospiro di rassegnazione. Trenta secondi dopo, era già sprofondato nel sonno!
***
“Uff…
anche per oggi è finita, grazie al cielo…!” esclamò Judith.
“Già…
e domani ci hanno anche concesso la giornata libera” aggiunse Natalie “una vera
pacchia! Flanny, tu dormi fuori, stasera?”
Mentre
posava il camice nell’armadietto, l’interpellata le prestò attenzione,
guardando però di sfuggita la loro compagna bionda, rimasta seduta al tavolino
con la faccia appoggiata sulle mani. Non spiccicava parola da ore.
“Credo
di sì” rispose poi “ero d’accordo con Andy che gli avrei telefonato appena staccavo.
Dovrebbe averci trovato una sistemazione, qui in città… voleva che andassimo a
Providence per farmi vedere la casa dove staremo dopo la guerra, ma solo per
domenica non era il caso di allontanarsi così tanto. Ora non saprei…”
“Comunque
starete insieme, no?” le disse Judith, passandole accanto “Fortunata te…!” concluse,
sussurrando e facendole l’occhiolino.
Flanny
la ricambiò con uno sguardo corrucciato, mentre Natalie si rivolse alla terza
collega: “E tu, Candy…? Vai poi dai tuoi amici?”
La
bionda si riscosse e le rivolse uno sguardo semiapatico: “Può darsi… Annie mi
aveva invitato a stare da loro, per il week-end. Ma nemmeno io prevedevo che
domani ci avrebbero lasciate libere… e poi non sono più tanto in vena!”
“Su,
cerca di reagire” le disse la rossa “lo so che oggi è stata una giornata dura,
ma devi svagarti, un po’!”
“Svagarmi…? Judy, oggi sono morte cinque
persone in questo ospedale, uno dei quali fra le più atroci sofferenze. Hai
saputo cos’è successo, stamattina? Questa guerra mostruosa c’è arrivata persino
in casa!! Come posso pensare di svagarmi?!”
La
compagna, di fronte a quella veemenza, ammutolì, mentre Natalie intervenne con
fare conciliante: “Beh, forse Judy ha usato il termine sbagliato… ma ogni tanto
anche noi dovremo pur staccare la spina. Altrimenti, se crolliamo davvero, non
saremo più di nessuna utilità!”
“Hai
ragione anche tu” sospirò Candy “scusatemi, ma oggi ho la Luna per traverso!”
“Devi
smetterla di concentrarti su tante cose allo stesso tempo” disse Flanny “non è
la prima volta che te lo dico…!”
La
bionda girò la testa verso di lei: “Lo so… è sempre stato un mio difetto, ma
cosa posso farci? Veder soffrire la vittima di una disgrazia o di una malattia
è un conto…ma veder soffrire - e morire
- la gente che si sta uccidendo a vicenda, è una cosa che non posso assolutamente
digerire. È inutile, Flanny: io non sono come te! Tu sei più forte, sei più…”
“Cinica…?”
suggerì l’interessata, scribacchiando qualcosa su un modulo, per poi riporlo in
uno schedario.
“Buon
Dio, no” sussultò la compagna, con un guizzo “ti giuro che questo non l’ho mai nemmeno
pensato!”
L’amica
(tali erano, oramai) le appoggiò una mano sulla spalla: “E fai bene… perché il
mio non è cinismo: è soltanto una scorza che ho dovuto necessariamente cucirmi
addosso. Come dovrai fare anche tu, se non vuoi rischiare d’impazzire!”
La
collega la guardò negli occhi, sorridendo mestamente: “Hai ragione…! E sto
appunto cercando di farlo, credimi… ma per ora ci riesco soltanto attraverso la
rabbia che mi provoca tutto questo schifo!”
Anche
Flanny mostrò un’ombra di sorriso: “Beh, in fondo è un modo come un altro… dopotutto,
meglio la rabbia che la depressione!”
“Su
questo non c’è dubbio” approvò Natalie “comunque, cerca di non farti troppo
cattivo sangue, Candy: la guerra finirà, prima o poi.”
Lei
si voltò di scatto: “Finirà, dici? Sicuro. Il guaio è che, dopo qualche tempo,
se ne farà un’altra… poi ancora un’altra e poi un’altra ancora… sempre, fino a
quando durerà questo mondo disgraziato!”
“E
cosa ci vuoi fare?” intervenne Judith, cercando di calmarla “Purtroppo
l’umanità è sempre stata bellicosa.”
La
collega si alzò dal tavolo e mise le mani sui fianchi: “Certo…! E lo sai
perché? Perché le guerre le decidono sempre quelli che non le combatteranno di persona. Mica sono loro, a rischiare la pelle…! E, come se non bastasse, tutti quei
politici delinquenti possono sempre contare su quegli stupidi che vanno addirittura
a combattere di propria iniziativa, per la gloria o lo spirito d’avventura! Volontari…!! Quelli non li ho mai potuti vedere: non sono meno
responsabili di quegli altri!”[26]
“Qualcuno
in buona fede ce ne sarà” azzardò Natalie, sbirciando Flanny con una certa
preoccupazione “che chi sceglie di diventare soldato per difendere
semplicemente il suo Paese…!”
“Qualcuno
sì” ammise Candy “ma la maggior parte si va ad impegolare in conflitti che di certo
non lo riguardano da vicino… come Stear, il cognato della mia amica Annie: te lo
ricordi?”
“Di
chi parli…?” chiese Natalie, perplessa.
“Beh…
in effetti l’hai visto una volta sola… proprio quando arrivammo a Chicago per
entrare alla scuola del St. Johanna. Il
primo giorno uscimmo tutte insieme per fare un giro in città e incontrammo lui
e suo fratello che passavano in automobile. Ti ricordi che ci diedero un
passaggio?”
“Ah,
ma certo” ricordò Judith, giungendo le mani “erano proprio due ragazzi
simpatici e carini! Stear era quello cogli occhiali, se non sbaglio…”
“Sì,
esatto. Nove mesi fa, Stear ha preso su armi e bagagli e se n’è andato di casa.
Qualche settimana dopo la mia amica Annie, torchiando come si deve suo fratello
Archie (che allora era suo fidanzato), riuscì a sapere che Stear s’era
arruolato volontario nelle Tigri Volanti,
in Cina! E alla sua fidanzata, l’altra mia amica Patty, non aveva confidato niente: le aveva spedito una semplice
lettera, mettendola di fronte al fatto compiuto… e chiedendole di perdonarlo,
perché aveva capito che doveva dare un senso alla propria vita…!!” a questo
punto le venne un singulto e dovette fermarsi “Beh… spero proprio che lo abbia
trovato prima di perderla, la vita… perché non è più tornato…!!” detto questo
estrasse rapidamente il fazzoletto e si terse le lacrime che le erano spuntate subito.
Silenziosamente,
Flanny prese la caraffa d’acqua e riempì un bicchiere quasi fino all’orlo. Poi
si avvicinò a Candy, che già singhiozzava: “Tieni…!” sussurrò.
“Grazie…!”
mormorò lei.
“È
triste, sì…” sospirò Natalie, cogli occhi bassi “…dev’essere stato terribile per
la tua amica!”
“Terribile
è dir poco… lo sai che ha tentato il suicidio?”
Un
rumore secco e repentino fece voltare tutte verso la loro compagna più anziana,
alla quale non rimase che imprecare sottovoce mentre contemplava i cocci della
caraffa, sparsi sul pavimento. Il nome del compagno di volo che suo marito
aveva perduto in Cina l’aveva fatta sussultare e non era riuscita a evitare
l’incidente.
“Flanny,
che ti succede…?” si riscosse Candy, ritrovando la piena lucidità.
“Niente,
una sbadataggine! Ora rimedio…”
“Ma…
ti senti bene? Sei diventata pallida…!”
“Non
preoccuparti, non è niente.”
“E
invece mi preoccupo: come sempre, anche oggi hai lavorato il doppio di noi.
Riposati, che ci penso io.”
“Non
importa, lascia perdere!”
“Insisto:
siediti e stai tranquilla… anzi, perché non vai nell’ufficio della dottoressa
Campbell a telefonare a tuo marito per dirgli che anche domani sei libera e ti fai
venire subito a prendere?”
“Ma
io…”
“Vai,
su” ribadì l’amica, facendole l’occhiolino “così sarà la volta buona che me lo
farai conoscere, finalmente!”
*Già,
sarebbe proprio la giornata adatta…!* pensò Natalie, con un brivido. Poi guardò
ansiosamente l’interessata, stupendosi di sentirla rispondere: “Ma sì, hai
ragione… adesso vado!”
“Brava.
Ci vediamo dopo.”
Flanny
rispose con un lievissimo sorriso e si girò per uscire senza più nessuna
esitazione, dal momento che aveva deciso come comportarsi: sarebbe andata sì a
telefonare a suo marito, ma per raccomandagli di non presentarsi assolutamente in ospedale!
Candy
terminava intanto di raccogliere i vetri da terra e si alzò per vuotare la
paletta nella spazzatura. Così facendo incrociò lo sguardo di Natalie.
“Che
cosa c’è…?” le chiese.
“Niente…
è solo un piacere vedervi andare tanto d’accordo. Se me lo avessero predetto al
tempo della scuola Mary Jane, non ci
avrei creduto molto…!”
“Neanch’io,
a dire il vero” ribatté Candy, con un risolino “evidentemente la guerra cambia
le persone!”
*E
anche il matrimonio…!* aggiunse mentalmente la castana.
***
“Beh,
noi andiamo, Candy… ci si vede lunedì!”
“Buona
serata, Judy. Anche a te, Natalie!”
“Passa
un buon fine settimana, Candy… e rasserenati, mi raccomando!”
“Farò
del mio meglio, grazie!” sorrise lei.
“È
un peccato che il tuo Terry sia in tournée” ammiccò Judith “sarebbe stata una
bella occasione, per voi due…!”
“Già”
ammise la bionda, arrossendo “pazienza… sarà per la prossima volta.”
Le
due se ne andarono, mentre Candy rimase ad aspettare davanti agli ascensori,
finché non vide uscire la sua collega, con un’aria tutt’altro che tranquilla. E
ne aveva ben donde, dal momento che dal Mitchell
Field le avevano riferito che il capitano Greason aveva lasciato la base
fin dal primo pomeriggio!
“Hai
parlato con lui, allora…?” le chiese la compagna.
“No,
non l’ho trovato” rispose Flanny con un sorrisino tirato, facendo ticchettare
velocemente il cervello “si vede cha ha subito un contrattempo e farà più tardi
del solito.”
“Che
peccato! E adesso…?”
“Oh,
non starti a preoccupare: prima o poi arriverà… magari torno su e ne approfitto
per sbrigare un po’ di lavoro d’ufficio, intanto che lo aspetto.”
“Beh,
allora vengo anch’io e ti do una mano.”
“Ma
no, cosa dici? Tu hai appuntamento con Archie ed Annie, no? Non vorrai mica
farli aspettare, dopo che ti hanno invitato per il week-end…!”
“Sì,
però…”
“Forza,
vieni” insistette l’amica, prendendola per un braccio “ti accompagno a prendere
un taxi.”
Le
due si diressero velocemente verso l’uscita, mentre Candy si domandava cosa
diavolo frullasse in testa alla sua compagna: “Però mi dispiace” disse ancora,
mentre stavano già attraversando l’atrio “ci tenevo così tanto a conoscere il
tuo maritino…!”
“Prima
o poi succederà…!” ribatté la signora Greason, conciliante *Magari a guerra
finita, quando sarà passato alla Pan-Am…!*
motteggiò, col pensiero.[27]
Stavano
quasi per varcare l’ingresso, quando una ben nota voce fece gelare la schiena
dell’infermiera bruna, bloccandole contemporaneamente le gambe: “Flanny…!! Sei qui,
finalmente!”
Quell’arresto
subitaneo procurò a Candy uno strattone che, per poco, non le fece perdere
l’equilibrio… una volta giratasi si trovò a poca distanza un giovanotto
decisamente attraente, avvolto in un impermeabile chiaro, come i calzoni che
gli spuntavano di sotto, in contrasto con le calzature quasi nere. Portava al collo
una sciarpa di seta bianca, che la sua mogliettina gli aveva confezionato di
persona (ed era poi la stessa che si portava in volo). I suoi lineamenti erano abbastanza
fini, ma dal suo sguardo limpido trasparivano un’intelligenza e una volontà di
ferro. Il suo sorriso, infine, era sincero e affascinante.
A
dispetto delle sue preoccupazioni, Flanny non seppe resistere dal gettargli le
braccia al collo e appioppargli un bacio mozzafiato da astinenza prolungata…
“Sei….
qui da molto…?” gli chiese poi.
“Dalle
due, per la precisione!”
“Che…?!”
“Eh,
già…! Ti avevo telefonato verso l’una e mezzo, ma non hanno voluto chiamarti.
Allora sono saltato in macchina e sono venuto direttamente… ma la vostra
gentilissima portinaia mi ha detto che eri off limits fino alle sei e mezzo.
Così ne ho approfittato per farmi un sonnellino su quel divano… sapessi che
razza di mattinata…!”
“Immagino”
replicò Flanny a mezza voce “me la racconterai con comodo, eh…?” gli disse, infine,
ammiccando.
“D’accordo…
intanto, perché non mi presenti questa splendida signorina?”
La
splendida signorina in questione non poteva fare a meno di sorridere, a sentire
le frasi scambiate dalla coppia. A parte l’ottimo gusto estetico di Flanny, si rallegrava
soprattutto per la fortuna dell’ex-condiscepola nel trovare un compagno
disposto ad aspettarla per quasi cinque ore, senza nemmeno andare a farsi uno
spuntino!
Flanny
sospirò, pensando che una cosa, quando deve
capitare, capita…! Se non altro aveva
ancora qualche barlume di speranza per guadagnare tempo, prima che l’antimilitarista
Candy scoprisse il mestiere del suo maritino: per fortuna l’impermeabile gli
copriva la giacca dell’uniforme, mentre il foulard gli celava anche il colletto
della camicia, dove sarebbero spiccati i gradi e il simbolo della sua arma.[28] Ma
soprattutto - per un vero colpo di fortuna - non aveva il berretto in testa!
“Ah…
ma certo… questa è la mia collega e compagna di corso, della quale ti avevo parlato”
girò lo sguardo su di lei “e questo… beh, questo è mio marito” non si sa se la
frase seguente fosse un suo voluto gioco di parole “Candy… Andy! Andy… Candy…!”
I
due si guardarono, soppesandosi velocemente… anche il nostro eroe fu piuttosto
colpito dalla bellezza di quella ragazza, come anche da quell’acconciatura
sbarazzina. Volendo quei codini erano un po’ demodé, ma attorno a quel viso ci
stavano volentieri. E quelle lentiggini… il maggiore non ne capiva bene il
motivo, ma stuzzicavano piacevolmente i sensi…![29]
Come
fu e come non fu, i due all’improvviso si misero a ridere…
“Che
vi prende?!” chiese mrs Greason, corrugando le sopracciglia.
“Scusaci,
Flanny” disse l’amica “non so neanch’io il perché… forse sono solo i nostri
nomi…!”
“O
forse siamo solo contenti di esserci conosciuti” aggiunse il marito “in
effetti, quando Flanny mi ha raccontato di te, ho capito tra le righe che
dovevi essere un tipo speciale… e ora ne sono convinto!”
Candy
arrossì leggermente: “Anche Flanny mi ha parlato di te… e anch’io ho capito la
stessa cosa!”
“Ottimo.
Allora presentiamoci come si deve…” le porse la mano, che lei strinse
dolcemente “…Andrew Steve Greason, di Providence, Rhode Island!”
La
bionda inclinò il capo, stando al gioco: “Candice White, di Lakewood,
Michigan…!”
Prima
di mollarle la mano, Andy la sfiorò delicatamente con le labbra: “Enchanté, mademoiselle…!”
“Oh…”
esclamò lei, arrossendo di nuovo “…sei anche galante” si girò verso la compagna
“sei davvero fortunata, Flanny: sono contenta per te…!”
Il
suo sguardo profondamente sincero non lasciava dubbi che quelle parole le
venissero dal cuore e la sua collega, che aveva appena finito di ringraziare il
Cielo sul fatto che il suo uomo non si fosse presentato col grado e tutto,
abbozzò un sorriso stiracchiato: “Lo avevo già scoperto… grazie, comunque!”
“Beh,
penso che dovrete andare, adesso. Andy, sono felicissima di averti conosciuto…
spero che ci vedremo spesso! Vado alla ricerca di quel taxi…”
“Ehi,
aspetta… dov’è che devi andare?” chiese lui.
“Ho
un appuntamento con degli amici: sono a cena da loro.”
“Stanno
lontano?”
“Al
Greenwich Village.”
“Allora
ti accompagniamo noi: ho giusto la macchina qui fuori. No, Flanny…?”
All’interpellata
si mozzò il respiro di sollievo che stava gustandosi con voluttà e tornò a rispuntarle
il sorrisetto di prima: “Quale
macchina?” s’informò, pronta ed emettere un repentino colpo di tosse…
“La
Chevrolet che ho noleggiato quando credevo
che avremmo potuto vederci tutti i giorni. Perché…?”
“Ah,
niente” Flanny respirò di nuovo, sollevata dal fatto che non si trattasse della
jeep militare “va bene… andiamo pure,
allora!”
“Ma
io non vorrei disturbare...!” protestò la biondina.
“Ma
che disturbo! Ti scodelliamo dai tuoi amici e poi andiamo alla ricerca di un
albergo. Venite!”
In
breve raggiunsero il parcheggio, dove Andy aprì la portiera anteriore
dell’auto: “Accomodati, Candy!”
“Oh,
lascia” si schernì quest’ultima “Flanny è più stanca di me… io monto di dietro.”
“Come
vuoi.”
Nel
mettersi a sedere, Flanny sentì qualcosa sotto i piedi e si prese un altro
coccolone nell’accorgersi che si trattava del berretto d’ordinanza del marito!
Presa dal panico, non trovò di meglio che cacciarlo fuori, prima di chiudere lo
sportello.
Non
essendosi accorto di nulla, Andy salì invece al posto di guida, mise in moto e
diresse la macchina verso il Village. Siccome lo vedeva piuttosto affaticato,
Flanny sperò che il marito avesse anche poca voglia di chiacchierare… ma
purtroppo la sua curiosità fu più forte della stanchezza.
“Da
dove hai detto che vieni, Candy?” le chiese, mentre infilava la Madison Avenue.
“Da
Lakewood, nel Michigan.”
“Lakewood…
Michigan. Curioso… avevo un collega che…”
“Tesoro,
guarda la strada” lo interruppe Flanny “e vedi di andare più piano!”
“Sì,
scusami…!” rispose lui, rallentando.
“O
meglio” continuò la bionda “vengo effettivamente da laggiù, ma… non so se ci
sono anche nata!”
Andy
alzò un sopracciglio, sbirciando la moglie, intenta ad accarezzarsi
nervosamente la faccia. Non ricevendo delucidazioni, sorrise alla ragazza
attraverso lo specchietto retrovisore: “Temo di non aver capito bene…!”
“Beh,
forse Flanny si è dimenticata di dirtelo… ma io sono orfana.”
“Ah…!”
rispose semplicemente lui.
“E
non so nemmeno chi fossero i miei… a Lakewood c’è l’istituto che mi ha raccolta
e dove sono cresciuta.”
“Capisco…
mi dispiace veramente!”
“Non
devi: anche se non ho mai conosciuto i miei genitori, ho incontrato tante
persone che mi hanno amato e aiutato… e così ce l’ho fatta lo stesso.”
“E
si vede! Sei veramente in gamba, Candy… sono contento che tu e Flanny abbiate
studiato insieme e siate amiche!”
“Anch’io
lo sono: Flanny è una persona stupenda!”
“Non
esagerare” minimizzò quest’ultima “lo sai che queste cose m’imbarazzano…!”
“Ma
è quello che penso. Vedi, Andy… non è che mi rallegri di non aver mai avuto una
vera famiglia… ma il Signore mi ha compensato largamente: due tate meravigliose,
tanti amichetti deliziosi, un caro uomo che mi ha fatto da padre e da fratello,
un ragazzo fantastico che amo, ricambiata e tanti veri amici… compresi voi due,
naturalmente!”
“Caspita”
esclamò Andy, tirando su col naso “questa sì che è una bella responsabilità!”
“Eh,
già…!” aggiunse la consorte, pensando *Speriamo bene…!!*
“Ma
ora basta parlare di me” saltò su Candy, allegramente “parliamo di te,
piuttosto… non mi hai ancora detto cosa fai di bello, nella vita!”
La
povera Flanny avvertì una fitta dolorosa al basso ventre…
“Toh,
hai ragione! Devi sapere che…”
“Lavora
per il Dipartimento della Difesa…!” lo prevenne la moglie, disperata,
bloccandogli la mano con la quale stava per mettersi a mimare il volo di un
aereo.
“Ah…”
esclamò Candy, basita “…davvero…?!”
“Beh…”
con la coda dell’occhio, l’ufficiale d’aviazione sbirciò la sua dolce metà, che
lo fissava con uno sguardo supplicante e perentorio insieme “...veramente…”
“Ma
certo, tesoro” confermò lei, con tono suadente “cos’ho di detto di sbagliato,
scusa? Non fai forse parte del Dipartimento della Difesa?!”
Due corpi e un’anima sola non è solamente un modo di dire… osservando gli occhi
della sua compagna, ad Andy bastò un solo istante per comprendere cosa doveva e
- soprattutto - cosa non doveva
dire…!
“Ecco,
in effetti… è proprio così!” cercando di non guardare lo specchietto, si augurò
che la sua espressione fosse abbastanza convincente: dopotutto Flanny non aveva
proprio detto una bugia: tutte le Forze Armate facevano effettivamente capo al
Dipartimento della Difesa![30]
Il
viso di Candy si rabbuiò, ma non più di tanto: “Capisco” mormorò “quindi sei un
funzionario del Ministero…!”
“Ehmm…”
altra sbirciata verso la moglie con ricezione di un secondo sguardo più
perentorio del precedente “…più o meno…!”
Seguì
un minuto di teso silenzio, che Flanny occupò massaggiandosi il ventre… la fitta
era quasi sparita, quando la dolce Candy gliene procurò una seconda: “E il tuo
ufficio di cosa si occupa? Se me lo puoi dire, naturalmente.”
*In
gamba, sì... speciale, sì… ma impicciona come sempre!* non poté trattenersi dal
pensare la signora Greason.
Andy
cercò di almanaccare il più velocemente che poteva. Ma, alla fine, l’unica
risposta che gli venne in mente di dare fu: “Pro… protezione aerea!”
Flanny
alzò gli occhi al cielo, rammaricandosi di non poter dare al marito un pestone
al piede, in quanto avrebbe schiacciato a tavoletta l’acceleratore. Quello
stupido zuccone! Non poteva inventarsi qualcosa di più neutro? Che so, amministrazione o approvvigionamenti? Più tardi avrebbero fatto i conti…!
“Protezione
aerea…” rimuginò la ragazza “…immagino abbia a che fare con l’aviazione,
allora!”
“Beh,
abbast… ahi…! Relativamente…!” l’interiezione era dovuta a un pizzicotto ricevuto
sulla gamba destra.
Dopo
un altro po’ di silenzio, Candy mormorò ancora: “Avevo un caro amico, in
aviazione…!”
“Avevi…? Vuoi dire che…”
“Sì…
è rimasto ucciso” Andy avvertì un profondo sospiro “otto mesi fa…!”
“Un
incidente?”
“No,
in azione.”
“In
azione?! Ma otto mesi fa mica eravamo in guerra…!”
“Lo
so… ma lui combatteva in Cina.”
“In
Cina…?!”
“Sì…
s’era arruolato con le Tigri Volanti.”
“Oh,
santo cielo…!!” esclamò Andy “Come si chiamava…?”
“Stear
Cornwell!”
Non
riuscì a evitarlo: a quel nome, le membra di Andy s’irrigidirono e inchiodò i
freni. La velocità non eccessiva impedì fortunatamente a Flanny di venire
sbalzata dal sedile, ma si prese comunque un grosso spavento: l’ennesimo della
giornata!
“ANDY,
ACCIDENTI…!!!” gridò.
“Scusami…
idiota che sono! Ti sei fatta male…?”
“No…
ma c’è mancato poco…!”
“Perdonami,
amore” disse ancora, abbracciandola “che scemo…! Anche tu, Candy… scusami!!”
“Ma
no, non è niente…! Cosa t’è successo, piuttosto…?!”
“Io…
non lo so...” balbettò lui, al colmo dell’imbarazzo “…è che…”
“Ah, è colpa mia” esclamò all’improvviso
l’altra, con un certo rammarico nella voce “non avrei dovuto parlarti di
quello! Già si vede che non sei molto in forma… e sei anche una persona
sensibile, a quanto pare. Perdonami…!” concluse, schioccandogli un bacetto
sulla guancia.
Andy
si sentì un verme. Dovette fare un grosso sforzo per non tradirsi e guardò la
moglie per avere altre istruzioni visive in merito.
“Forse
è meglio se fai guidare me…!” gli disse invece lei, guardandolo cupamente.
“Ma
no, sto bene… e poi dovremmo esserci, ormai. Vero, Candy…?”
“In
effetti, siamo arrivati: la casa di Archie ed Annie è quella laggiù…”
“Ah,
meno male!” disse il maggiore Greason, rimettendo in moto la vettura e
arrestandola poco dopo, davanti al cancello.
“Bene,
vi ringrazio tanto” disse Candy “voi, adesso, dove andate…?”
“Beh,
come dicevo prima, penso che andremo alla ricerca di un albergo” rispose il suo
quasi omonimo “e speriamo di trovarlo in fretta!” aggiunse, guardando
l’orologio.
“Già,
è un po’ tardi… era meglio se mi lasciavate prendere il taxi!”
“Non
pensarci, Candy” le disse la collega “tanto domani non siamo in servizio.”
“Cosa?
Non me l’avevi mica detto!” intervenne il marito.
“Per
forza: parlavate solo voi…!” scappò detto a Flanny, con una lieve punta
polemica.
“Ma…
allora andiamocene a casa, no?”
“Fino
a Providence…?! Ma sono 150 miglia e io sto schiantando dalla fame!!” protestò
la donna.
“Beh,
magari ci fermiamo a Bridgeport o giù di lì, per mangiare un boccone… anzi, sai
che facciamo? Ci andiamo in aereo!”
“In
aereo…??” si stupì la dolce Candy.
“Ma
sì: alla base, un Piper o un Vigilant[31] me
lo prestano di sicu… AUGH…!!!”
Visto
che l’auto era ferma e lui teneva i piedi sul pavimento, il pestone, questa volta,
non glielo levò nessuno! A Candy, che intanto rimuginava una soluzione per
aiutare i due amici in difficoltà, l’incidente offrì lo spunto per dire:
“Sentite, mi è venuta un’idea… e credo che i miei amici saranno d’accordo.
Venite con me!”
I
due volevano obiettare, ma Candy lo aveva detto con quel suo fare
maternalistico che faceva sempre zittire qualunque obiezione e i coniugi
Greason scesero dalla macchina. Mentre si avvicinavano al portone di casa
Cornwell, Andy rispose con uno sguardo mortificato all’occhiataccia della
moglie, la quale stava considerando che ci fosse qualcosa di vero sul fatto che
l’amore rende le persone cretine.
Quando
l’ingresso della palazzina si aprì, comparve un austero maggiordomo: “Buonasera…
e benarrivata, miss Candy!”
“Buonasera,
Jeeves… mi sono permessa di portare questi due amici: una mia collega di lavoro
e suo marito.”
“Gli
amici della signorina Andrew sono sempre i benvenuti. Si accomodino!”
Mentre
seguivano il domestico, Flanny si guardava nervosamente intorno. Andy, sapendo
che gli ambienti altolocati la indisponevano in modo particolare, la distrasse chiedendo
alla sua amica: “Scusa, Candy: come ti ha chiamata il maggiordomo…?”
“È
una storia lunga…!” gli rispose lei, minimizzando con un gesto della mano.
“Capisco”
sorrise “confesso di trovarti sempre più interessante…!”
“Pure
io…!” le rispose la ragazza, con un sorriso un po’ più ambiguo.
Il
“dipendente del Dipartimento della Difesa” deglutì, mentre i quattro giungevano
in un elegante salotto.
“Signora,
signore... è arrivata la signorina Andrew, con i suoi amici” il maggiordomo si
voltò verso di lei, leggermente imbarazzato “immagino che vorrà presentarli lei
stessa…!”
“Ma
certo, Jeeves, non si preoccupi… ciao Annie, ciao Archie…!”
“Ciao,
Candy… sei qui, finalmente!” esclamò l’aggraziata giovane dai capelli corvini,
avvicinandosi all’amica del cuore e baciandola sulle guance.
“Carissima
Candy, ti aspettavamo con viva impazienza…!” aggiunse un bel giovane dai
lineamenti spiccatamente aristocratici, anche se - per i gusti di Andy - un po’
troppo “ingentiliti” dal lungo taglio di capelli. L’ufficiale notò anche che gli
occhi del giovane brillavano in un modo particolare mentre guardava la collega
di sua moglie. Al contrario, quelli della padrona di casa si erano fatti decisamente
più opachi mentre Candy scambiava un bacetto sulla guancia anche con suo
marito...!
“E
i signori…?” chiese Annie, subito dopo, come a volersi distrarre.
“Ah,
sì… ragazzi, vi presento Flanny Hamilton, la mia carissima compagna di studi e
di lavoro, fin dai tempi dell’ospedale St.Joseph…
e il suo simpaticissimo marito: Andrew Steve Greason!”
A
quel nome, il marito di Annie interruppe con un guizzo il suo cordiale sorriso
di benvenuto; ma Candy, che gli stava voltando le spalle, non se ne accorse: “E
questi, carissimi Andy e Flanny, sono due fra gli amici più cari di cui vi
accennavo prima: Annie Brighton, la mia compagna d’infanzia e suo marito,
Archibald Cornwell!”
“Molto
pia…” la mano di Andy si bloccò per un attimo a mezz’aria. Ma subito, cercando
di riprendersi e sperando in un caso di omonimia, afferrò l’altra mano e la
strinse “…molto lieto di conoscerti, Archie…!”
“È
un gran piacere anche per me, Andy” rispose lui, accentuando la stretta “mio
fratello parlava molto bene di te, nelle sue rare lettere…!”
“Da…
davvero…?!” farfugliò il poveraccio, sbirciando ansiosamente le due infermiere.
Flanny stava contemplando il ricco lampadario di Murano, mentre Candy scrutava
attentamente il suo nuovo amico.
“Sicuro.
Diceva che eri un ottimo compagno e il migliore della sua squadra… un vero
asso!”
“Grazie…”
rispose Andy a bassa voce, ormai rassegnato all’inevitabile “…anche lui era un
bravo ragazzo… e anche un buon elemento!”
“Vuole
darmi il suo soprabito, signore?” chiese all’improvviso il maggiordomo, mentre
una cameriera, discretamente comparsa, liberava Flanny dal suo cappottino.
A
questo punto, Andy rivolse una muta ed eloquente occhiata alla consorte, la
quale non poté far altro che annuire con la testa. Il marito si rivolse allora
al buon Jeeves: “Volentieri, amico… solo un istante!”
Ciò
detto, si slacciò la cintura e aprì lentamente i bottoni dell’impermeabile.
Sempre con la massima flemma, se lo fece poi sfilare dalle spalle, quindi afferrò
la sciarpa e l’appoggiò sull’indumento, già sistemato attorno al braccio del solerte
domestico “Molte grazie…!”
“Dovere,
signore!”
Alla
vista dell’uniforme della United States
Army Air Force con le sue insegne, i gradi e i bottoni la cui doratura spiccava
nettamente sulla scura stoffa marrone,[32]
Annie Brighton Cornwell sbarrò gli occhi, portandosi le mani alla bocca, mentre
suo marito manteneva un’espressione impenetrabile. La povera Flanny guardava
sempre altrove, tenendo le braccia conserte e Candy non staccava lo sguardo dal
marito di lei, con le mani dietro la schiena e le labbra che formavano una
lievissima traccia di sorriso.
L’involontario
“ospite d’onore” si grattò la nuca per qualche secondo, per poi raddrizzare il
busto: “Okay… ora lasciate che mi ripresenti: Andrew Steve Greason, maggiore
dell’aviazione dell’Esercito… ho conosciuto la mia adorabile Flanny mentre
prestavo servizio nelle Tigri Volanti,
in Cina” fissò il volto di Archie “facevo parte del Gruppo comandato dal
colonnello Clint Hardgison e volavo nella Seconda Squadriglia di Donny Talbott…
con tuo fratello. Ti prego di accettare le mie più sincere condoglianze!”
Archibald
Cornwall annuì e, d’impulso, tornò a stringergli la mano: “Grazie… so che mio
fratello era contento di volare con te!”
“E
io con lui” il maggiore si rivolse verso la ragazza bionda “mi dispiace, Candy…
non volevamo prenderti in giro. Scusaci, se puoi…!”
Lei
scosse la testa, sorridendo più marcatamente: “No… la colpa è tutta mia,
credimi!” gli tese la mano e gliela strinse, per poi avvicinarsi alla collega “Anche
oggi ho parlato troppo, Flanny… come al solito!”
Anche
lei scosse la testa: “Sono cose che capitano.”
Candy
le diede un leggero abbracciò e tornò a rivolgersi ai suoi amici: “Benone… ora
passiamo alle cose pratiche: si dà il caso che siamo tutti stanchi e affamati… e
i nostri amici hanno ancora 150
miglia da fare. Perciò mi sembra più saggio che
ripartano domattina. Non avreste da offrirci tre posti a tavola e tre letti per
stanotte?”
I
Cornwell si sorrisero, poi la buona Annie annuì: “La cena sarà servita fra
poco. Vado a dire ad Amely di preparare le camere per gli ospiti!”
Anche
i Greason si guardarono, anche se il loro sorriso fu meno solare di quello dei
Cornwell… il calore affettuoso dei loro nuovi amici non bastava a dissipare
l’apprensione che provava lo “smascherato” aviatore per le domande che gli sarebbero
sicuramente state poste sulla fine del povero Stear. Tuttavia, la stretta della
mano di Flanny infuse al suo compagno tutto il coraggio che poteva servirgli al
riguardo. Quei due, come sempre, si sostenevano a vicenda.
[1]Doppia stella: era infatti un radiale a due stelle di 9
cilindri da 2800
pollici cubi (equivalenti a 45925 cm3).
[4]I velivoli a “carrello triciclo posteriore” (cioè con
le gambe sottoalari e il ruotino di coda) presentavano lo svantaggio di non
consentire al pilota la visuale frontale della pista, una volta posati a terra.
Questo problema spinse perciò le case produttrici verso i carrelli “tricicli
anteriori”, come sul Bell P-39 Airacobra
e sul Lockeed P-38 Lightning(rimanendo ovviamente ai caccia).
[5]Il nome indica che era un’elica a cambiamento di passo
variabile azionato idraulicamente (nessun rapporto di parentela fra il Costruttore
e la consorte del pilota).
[6] Il giubbotto di salvataggio autogonfiabile,
rigorosamente di colore giallo.
[7] Il comandante del famoso U-47 che il 14 Ottobre 1939 forzò la base britannica di Scapa Flow,
silurando la corazzata Royal Oak.
[8] Il funzionamento del turbocompressore è il seguente: i
gas di scarico del motore vengono incanalati a muovere le pale di una turbina
azionante un compressore, il quale riceve l’aria esterna e la rimanda più densa
al carburatore, che introduce perciò nei cilindri una miscela più ricca di
quella ottenibile dall’aria esterna. Questo garantisce, specialmente nel volo
ad alta quota, una maggiore potenza erogata dal propulsore, mentre l’aria
rarefatta permette di imprimere al velivolo una maggior velocità, grazie alla
minore resistenza offerta. Il “turbo” conserva inoltre quella parte di energia
che perde invece il compressore meccanico nell’attrito degli ingranaggi di
trasmissione, essendo per contro afflitto da un sensibile ritardo inerziale.
[9]Oltre 800
Km/h; la velocità
terminale è quella che la resistenza dell’aria non consente di superare e
rappresenta inoltre una limite da non raggiungere con leggerezza, per non
rischiare spiacevolissimi inconvenienti (come non riuscire più a richiamare
l’aereo per la fortissima pressione gravante sugli elevatori).
[10] Lo stretto che separa l’isola omonima dalla costa
orientale.
[11] Come raccontato su Le
due Aquile, il sommergibile del capitano di corvetta Herbert Thyssen riuscì
effettivamente a fuggire eseguendo proprio la mossa ipotizzata da Andy Greason.
[12]250 libbre, pari a 136 chilogrammi.
Ordigni più potenti avrebbero comportato un rischio maggiore per la città se
fossero finite troppo fuori bersaglio.
[13]Jug significa brocca
ed era il secondo appellativo del P-47
dopo quello di Thunderbolt, che
invece significa lampo.
[15]Sempre bombe del tipo GP (General Purpose, uso generico) rispettivamente da 500 e 1000 libbre(227 e 454 Kg).
[16]Erano in pratica delle fotocamere che scattavano in
sincronia con le mitragliatrici, in modo da documentare il risultato di un
attacco. In questo modo non c’erano problemi di sorta a farsi accreditare una
vittoria in combattimento.
[17]Allude alla scuola di volo di Spanner Field, Long Island, dove il nostro amico aveva preso il
brevetto dopo essere uscito dall’Accademia. L’allora capitano Ira Eaker era
stato uno dei suoi istruttori.
[18]Alexander “Sasha” Kartveli aveva fatto parte, assieme
ad altri progettisti russi come Alexander Seversky e Igor Sikorsky (il padre
dell’elicottero moderno) di una commissione mandata in America dal governo
Kerensky subito dopo la caduta dello Zar per aggiornarsi sulle tecniche di
produzione aeronautica. Dopo che Lenin era salito al potere, i tre non erano
più rientrati in Patria e i primi due avevano più tardi fondato la casa
costruttrice Seversky, poi rinominata
Republic e infine Fairchild. Il terzo aveva invece fondato
la Vought-Sikorsky, in
seguito costruttrice del superlativo caccia imbarcato F4U Corsair.
[20]All’epoca il P-51
non era ancora stato equipaggiato col superlativo Rolls Royce Merlin (il motore dello Spitfire).
[21] Rispettivamente comandante in capo dell’aviazione e
Capo di Stato Maggiore dell’esercito.
[22]Per un ufficiale appena promosso era considerato un
onore poter indossare i precedenti gradi di un superiore veterano.
[23]L’incidente, all’apparenza insignificante, si sarebbe
più tardi rivelato provvidenziale!
[24]Le gentili lettrici mi perdonino questa piccola
volgarità… ma non ho resistito alla tentazione!
[25]Ogni riferimento ad avvenimenti precedentemente narrati
è da considerarsi puramente casuale.
[26]Soprattutto gli aspiranti tali: si beccano certi
ceffoni, come un certo Jimmy… (non Stone, quell’altro)!
[27]In realtà non credo che Flanny ce lo avrebbe mandato,
con tutte quelle hostess bionde…!
[28]Sulla punta destra del colletto si appuntava il simbolo
del grado (ora la foglia di quercia dei maggiori, nel caso di Andy) e sulla
punta sinistra l’elichina con le ali degli aviatori (la fanteria aveva invece i
fucili incrociati, l’artiglieria i cannoni e la cavalleria - cioè i corazzati -
le due sciabole).
[29] A qualcuno
devono essere fischiate le orecchie, in quel momento!
[30]Il termine Pentagono
non era ancora in voga, dal momento che il suddetto edificio sarebbe stato
completato solamente negli anni Cinquanta.
[32]Solo nel 1947, quando sarebbe nata l’aviazione
indipendente (USAF) quella divisa
sarebbe diventata azzurra, come la si vede addosso a Marlon Brando nel film Sayonara, ambientato durante la guerra
di Corea (1950-1953).
Capitolo 9 *** Chi trova un amico, trova un tesoro ***
Capitolo 9: Chi non muore si rivede
Capitolo 9: Chi trova un amico, trova un
tesoro
“E
t voilà… dal Mitchell a Eglin in
quattro ore e diciassette minuti: un vero record!” sentenziò il maggiore
Greason chiudendo l’alimentazione ai motori.
“E
meno male” commentò il capitano Stone dal posto del co-pilota “più di duemila
miglia solo per portare quaggiù una mucchietto di scartoffie…!”
“Lo
so, ma il colonnello Eaker mi ha chiesto personalmente questo favore” ribatté
il compagno slacciandosi le cinghie e raccogliendo le carte nautiche “non
potevo certo rifiutare, dopo che aveva approvato il mio avanzamento!”
I
due amici attraversarono la botola nel ventre dell’apparecchio che li aveva
trasportati da New York e il più anziano, non appena toccato terra, iniziò a
massaggiarsi le reni: “Certo che la North
American potrebbe montare dei sedili più confortevoli su quest’affare…
fortuna che noi voliamo sui caccia!”
“E
smettila di lagnarti” lo rimbrottò Andy mollandogli un leggero cazzotto sulla
schiena “siamo in Florida, no? Mare, sole e bellezze al bagno…” all’imbronciarsi
del compagno, proseguì “…ah, già: dimenticavo il tuo stato civile. Che peccato…!”
“Ha
parlato lo scapolo!” lo rimbeccò Jim, sarcastico.
“Già…
ma devi sapere che il sottoscritto gode, talvolta, di brevi licenze
extraconiugali. Non lo sapevi?”
“Non
lo sapevo e non ci credo!” affermò Stone, recisamente.
“Fai
bene…!”
“Parlando
più seriamente” cambiò discorso il capitano mentre si allontanavano dal B-25[1] verso
il comando della base “potrei sapere cosa contiene di tanto prezioso quella
cartella per giustificare tutti questo spreco di carburante?”
“Le
nuove tattiche di ricerca aerea e di attacco antisom, elaborate dal comando
della Flotta Atlantica. Eaker mi ha chiesto di portare la versione per
l’Esercito al comandante dell’aviazione caraibica, che ha sede in questa base.”
“Capperi”
esclamò l’altro, sbalordito “non mi dirai che quello studio prende spunto da
quella nostra azione d’intercettamento, di tre settimane fa!”[2]
“Hai
fatto centro. La sortita di quel sommergibile ha fatto un sacco di rumore, a
Washington. Quindi hanno deciso di adottare alcune precauzioni, soprattutto
all’imbocco con il Golfo del Messico.”
“Comprensibile”
ammise James “temono che gli U-Boats si mettano a fare la posta alle petroliere
davanti ai porti texani.”
“Proprio
così.” concluse il maggiore, rispondendo al saluto della sentinella.
Poco
più tardi i due piloti del 3° Gruppo da Caccia Sperimentale furono ricevuti dal
brigadiere-generale Nathan Twinings, comandante della 2a Forza
Aerea, che presidiava, con il Primo Stormo, lo spazio aereo caraibico
settentrionale (Florida, Cuba e Bahamas) mentre quello meridionale (Piccole
Antille, Hispaniola e Giamaica) era controllato dal Secondo Stormo, stanziato a
Panama.
“Ecco
qua il nostro arpionatore di crucchi” lo apostrofò giovialmente Twinings quando
lo vide entrare nel suo ufficio “caro maggiore Greason, devo proprio farle i
miei complimenti per la sua impresa di New York!”
“Troppo
gentile, generale” rispose l’asso, salutando “è stato solo un colpo fortunato…
e neanche del tutto decisivo.”
“Accomodatevi”
accennò il superiore, continuando mentre i due si sedevano “beh, se non altro
ha impedito a quei crucchi bastardi di tornarsene a casa tutti pieni di boria… inoltre
quell’episodio farà parlare di voi la Luftwaffe,
ancora prima di averci a che fare!”
“Sempre
che questo sia un vantaggio, signore…!” si lasciò scappare James Stone, con una
smorfia poco allegra, mentre guardava di striscio il suo compagno frugare nella
cartella.
“Vedrà
che i fatti lo confermeranno, capitano. A proposito, Greason: felicitazioni per
la promozione ed il suo nuovo incarico: sono sicuro che il 444° Gruppo della
nuova Ottava farà vedere i sorci verdi ai ragazzi di Hermann!”[3]
“Lo
spero, generale” sorrise bonariamente l’interessato “nel frattempo, eccole il dossier.”
concluse consegnando l’elaborato sulle nuove tattiche antisom da impartire alle
squadriglie locali.
“Ah,
benissimo… vi ringrazio di averlo portato fin qua!” disse Twinings premendo un
pulsante sul proprio citofono. Dopo pochi istanti comparve un ufficiale, a cui venne
affidato il prezioso fascicolo. Frattanto il nostro Andy, guardandosi intorno
per ammazzare il tempo, buttò l’occhio sopra un’ordinanza appesa alla parete
(erano le disposizioni dei comandi nei confronti dei civili sospetti,
soprattutto se di origine nippo-tedesca) e la sua vista acutissima si fermò
sulla firma alla fine del testo.
“Caspita”
mormorò all’attenzione dell’amico “Simon Stacey comanda il distretto militare
di Tallahassee… guarda il caso!”
“Lo
conosci?” sussurrò James, mentre il generale dava ancora disposizioni al suo
aiutante.
“Direi…
facemmo la Primaria[4] insieme. È una vita che
non lo vedo!”
Congedato
il sottoposto, il generale invitò Greason e Stone a desinare con lui alla mensa
ufficiali, dove i tre aviatori si raccontarono le proprie esperienze di guerra.
A fine pasto il comandante della 2a FA domandò ai suoi ospiti se
avevano qualche programma prima di ripartire.
“Beh,
il Mitchell col quale siano arrivati
era in trasferimento qui. Dobbiamo rientrare con un C-47 che decollerà soltanto stasera.Pensavo di fare un salto a Tallahasse per
salutare un vecchio compagno di scuola.”
“D’accordo.
Usate pure una jeep della base: vi firmo l’autorizzazione per l’autoparco!”
disse Twining estraendo un’agendina e la stilografica dal taschino.
“Molte
grazie, signore” rispose Andy prendendo il foglietto “vieni, Jim!”
“Ma
non volevi andare a vedere le bellezze al bagno?” lo provocò il capitano, maliziosamente.
“Muoviti,
spiritosone…!!” lo spinse via il compagno, rudemente.
***
Circa
un’oretta dopo, la jeep messa a disposizione dei due ufficiali della 4a
Air Force frenava davanti al comando del presidio militare della Contea.[5]
Seguito dal suo fedele secondo, Andy Greason si presentò davanti alla
ricezione.
“Buongiorno,
sergente. Vorrei vedere il colonnello Stacey, se è libero.”
Il
graduato lanciò uno sguardo verso la porta a vetri che dava nell’ufficio del
comandante: “Sono spiacente, signore. Ma, in questo momento…”
Le
sue parole vennero interrotte da una voce il cui volume si era improvvisamente alzato
dietro la sottile porta summenzionata: “È inutile che insisti, Tom: ti ho già
spiegato che non è possibile!”
“Ti
scongiuro, Simon: si tratta della mia famiglia…!!”
“Questo
non cambia le cose: tuo figlio è cittadino americano, maggiorenne e incensurato.
Ha firmato per l’arruolamento volontario, è stato mandato alla visita ed è
stato dichiarato abile. Per cui non c’è niente da fare: fra pochi giorni sarà
trasferito al centro di addestramento di Forte Benning!”
“Sono
sicuro però che si troverebbe una soluzione, se solo tu volessi…!”
“Ti
ripeto di no. E comunque, detto fra noi, un po’ di disciplina militare al tuo
ragazzo non può fare che bene…!”
“E
se me lo mandano oltremare a rimetterci la pelle?! Mia moglie mi ucciderà…!”
“Dovevi
pensarci prima!”
All’improvviso
la porta si spalancò, facendo apparire un colonnello ancora abbastanza giovane,
ma col viso segnato dalla stanchezza, tallonato da un distinto signore sulla
cinquantina, dai capelli grigi come i baffoni che portava.
“Kaminski,
accompagna il signore alla sua macchina, per favore!”
“Agli
ordini, colonnello!” rispose il sergente.
“Insomma,
non vuoi proprio venirmi incontro?!” insistette ancora il civile.
L’ufficiale
sospirò, rivolgendogli ancora la sua paziente attenzione: “Tom, fattelo entrare
in testa una volta per tutte: non posso…!!”
“Salve,
Simon. Qualche guaio?”
L’allegra
voce fece sobbalzare l’interpellato che, giratosi, si trovò di fronte la sua
vecchia conoscenza, seduto su un divanetto con la testa appoggiata sulle mani.
“ANDY…!!!
Ma sei proprio tu…??” esclamò Stacey, sorpreso quant’era lieto di venir
distratto dalla grana in corso.
“Come
vedi” sorrise l’amico alzandosi in piedi e stendendogli la mano “lieto di
ritrovarti, Sam. Anzi, signore…!” precisò, notato lo sguardo disapprovante del
sergente.
“Lascia
stare, ci mancherebbe” replicò bonariamente il superiore “una celebrità come
te… e il tuo socio?”
“È
il capitano James Stone, di Richmond: il mio secondo.”
“Signor
colonnello…” fece questi, salutando.
“Salute,
capitano” ribadì Stacey, stringendo la mano anche a lui “sono onorato di ricevere
nel mio presidio sperduto nientemeno che due ex Tigri Volanti. Ma che cavolo ci fate, qui?”
“Servizio
postale per conto del Dipartimento. A Eglin
ho saputo che comandavi la piazza locale e ho pensato di venire a salutarti.”
“Non
ti smentisci mai” commentò l’ex condiscepolo, con un caldo sorriso “li hai
sempre trattati bene, gli amici!”
“Come
te, se ben ricordo. Non ci presenti il tuo?” chiese Andy volgendo gli occhi all’azzimato
gentiluomo che non si schiodava dal punto in cui era, ignorando le
sollecitazioni di Kaminski, già propenso a chiamare gli MP.
“Ah,
già…” rispose il colonnello, leggermente imbarazzato “…ecco, questi è il signor
Thomas Marvin Legan, finanziere di Chicago. Eravamo insieme, al Liceo.”
“Piacere,
maggiore” l’interpellato chinò lievemente la testa “capitano…!”
“Perdiana,
ma allora è una vera rimpatriata scolastica” ridacchiò Greason educatamente “felicissimo,
signor Legan… sono Andrew Steve Greason. Fa piacere incontrare uno dei nostri
maggiori contribuenti!”[6]
L’uomo
d’affari annuì, compiaciuto: “Anche incontrare uno dei nostri aviatori più arditi
è oltremodo edificante!”
“Grazie.
Non per essere indiscreto, ma sembrava che aveste qualche problema. Di che si
tratta?”
“Lascia
stare, Andy” intervenne Stacey “non è cosa di cui ti debba occupare!”
“Aspetta
Sam, forse possiamo far qualcosa… naturalmente se il signore e d’accordo.”
“Beh…
si tratterebbe di mio figlio” rispose il signor Legan, cogliendo la palla al
balzo “è praticamente scappato di casa per arruolarsi e…”
“Penso
sia meglio parlare nel mio studio” si rassegnò il colonnello Stacey, volgendo
lo sguardo a Kaminski “ordine annullato, sergente!”
“Signorsì,
colonnello!” rispose l’aiutante, tornando al suo posto.
***
“Mio
figlio minore, Neal… è praticamente scappato di casa, a Miami, una settimana
fa. Ci ha lasciato un biglietto dove scriveva che partiva volontario… mi sono
precipitato al distretto della capitale,[7] ma era
troppo tardi: aveva già passato la visita e l’avevano già spedito ad Atlanta,
al Centro di Raccolta. Il colonnello Stacey mi diceva, prima, che fra pochi
giorni lo manderanno a Forte Benning, alla scuola di fanteria…!”
“E
mi par di capire che la sua volontà d’imbracciare un fucile non incontra esattamente
la sua approvazione. Giusto?”
L’uomo
sospirò stancamente: “Il fatto è che… mio figlio è un viziato cronico, con una
forza di volontà praticamente nulla. Ha un carattere debole e, in quanto al
coraggio… beh, mi duole dirlo, ma… non si trova esattamente fra le sue doti più
spiccate!”
Andy
Greason rivolse un significativo sguardo ai suoi colleghi, quindi osservò: “Non
ne sta facendo un ritratto molto lusinghiero…!”
Il
signor Legan alzò la testa: “Lo so. Vede, maggiore… lei ha di fronte un
individuo che, contando sulle proprie forze, è riuscito ad arrivare abbastanza
in alto. Ciò che si direbbe, insomma, un uomo di successo… e tale sarei
rimasto, se l’ambizione non mi avesse rovinato!”
“Le
andarono male gli affari?” gli chiese Andy.
“Niente
affatto. Anche se, forse, sarebbe stato preferibile! Il guaio fu che
un’aristocratica famiglia mise gli occhi su di me come abile amministratore del
loro patrimonio. Mi creda, non avrei mai accettato una simile responsabilità
se… non mi fossi innamorato di una delle figlie di Jacob Reginald Andrew!”
Andy
spalancò gli occhi: “Lei… lei sarebbe dunque il genero di Jacob Andrew? Nonché
il cognato del famoso William Albert…?!”
“Precisamente.
E se le racconto questo non è certo per vantarmi del mio pedigree, ma per
spiegarle che i miei due figli non sono mai
stati fieri di essere dei Legan quanto invece di essere degli Andrew, sia pure
da parte di madre.” concluse, con amarezza.
Il
marito di Flanny Hamilton scacciò l’idea che il suo interlocutore stesse
divagando dal tema principale e lo incalzò: “Continui…”
“Non
ho intenzione di sminuire le mie responsabilità” continuò l’altolocato
personaggio, ringraziando il maggiore con un cenno del capo “ma quando un
individuo è considerato più come marito di una Andrew che per i suoi meriti
personali, non gli risulta molto facile inculcare nei figli quegli stessi
valori che aveva sempre perseguito: la costanza, la determinazione, il
coraggio… e l’onestà. Il mio ragazzo non avrebbe mai avuto bisogno di queste doti per farsi strada nella vita: gli
bastava essere figlio di mia moglie, cioè il nipote di William Andrew… persino
il mio nome gli era relativamente
inutile, allo scopo! So perfettamente di aver fallito, come padre e me ne
ritengo colpevole senza appello… ma ditemelo voi come avrei potuto impormi
davanti ai miei figli, quando essi stessi stentavano a non vergognarsi di me?!”
“Ma…
e sua moglie?” chiese il maggiore, discretamente colpito.
Il
genero del famoso patriarca americano emise un altro sospiro che assomigliava assai
ad un lamento: “Purtroppo… spentasi la passione dei primi anni, non ha mai
avuto per il sottoscritto una considerazione molto migliore!”
Andy
Greason rimase per quasi un minuto ad osservare in silenzio gli occhi sinceri
di quell’individuo che conosceva soltanto da mezz’ora e che, per la prima
volta, aveva potuto sfogarsi in vita sua.
“La
capisco” dichiarò, alla fine “e non solo per modo di dire!”
“Le
sono grato. Per quanto mio figlio non sia che un rampollo viziato, un opportunista
e un debole… è pur sempre carne della mia carne. E dubito che potrò mai
renderlo un uomo come si deve, se me lo faranno a pezzi su una spiaggia nemica…!”
concluse, soffiandosi dignitosamente il naso per asciugarsi gli occhi.
“Mi
spiace davvero, Tom…! Ma, come ti ho detto, ormai non si può più…”
“Un
momento, Simon” alzò una mano il maggiore “posso farle una domanda, signor
Legan?”
“Mi
dica pure!” rispose l’altro rinfilando elegantemente il fazzoletto nel taschino
del gilet.
“Lei
dice che suo figlio è una persona debole e priva di coraggio… tuttavia ha
deciso di arruolarsi volontario. Deve scusarmi, ma la cosa non mi quadra…!”
“Non
le do torto. In effetti, da un po’ di tempo, mio figlio era… un po’ cambiato!”
“In
meglio?” domandò Stacey.
“Mah…
diciamo in meglio, non lo so. Era… meno arrogante, anche se più nervoso. Aveva
atteggiamenti insoliti… quasi sdolcinati!”
Greason
alzò un sopracciglio: “Sdolcinati? Non
ci sarà mica di mezzo una donna…?!”
“Lei
è molto perspicace, maggiore. È vero: si era innamorato ed è stato respinto. Di
conseguenza, ha perso la testa!”
“Adesso
ho capito” sospirò Andy, a sua volta “è la solita storia: suo figlio puntava a
una fanciulla di umili origini e, siccome la vostra famiglia non consentiva un
matrimonio così democratico,[8] gli
avete risposto picche. E lui, disperato, ha raggiunto la Legione Straniera!”
“Non
esagerare, Andy!” saltò su James.
“Ma
dai, è un classico! Non è così, signor Legan?”
“Beh…
qualcosa del genere!” rispose il padre della nemesi di Candy, ben guardandosi
dal raccontare l’intera faccenda.
“Appunto!
E adesso lei vorrebbe che lo zio Sam glielo rispedisse a casa, mh?”
“Col
carattere che si ritrova, non voglio pensare alle catture che gli faranno i
commilitoni” rabbrividì il poveretto “l’addestramento lo massacrerà… e, se alla
fine lo manderanno in azione, creperà in un baleno, come uno stupido…! Credo
tuttavia che questa sia una punizione sproporzionata, per la colpa di avere
avuto due pessimi genitori come noi… per non parlare di sua sorella!”
*Ci
mancava pure la sorella…!* pensò Andy, sarcastico, per poi osservare “Certo
che, da come ne parla, sembra che suo figlio sia partito più per allontanarsi
da voi, che non per dimenticare quella ragazza…!”
“Ma
certo che è fuggito da noi” confermò Thomas Legan, con dolorosa veemenza “e ce
lo siamo ampiamente meritato. Mi creda: se non fosse per i pericoli che corre,
lo lascerei volentieri dov’è” tornò ad estrarre il fazzoletto di seta e si
asciugò la fronte “non lo so… se almeno avesse scelto un’arma meno dura… la Marina, per esempio.
Oppure…”
“…l’aviazione.
È questo che sta pensando, mister?” gli domandò il nostro asso, ricambiando lo
sguardo cupo del gentiluomo, che subito si aggrappò a quel barlume di speranza:
“Voi pensate che si potrebbe…”
“Non
correre, Tom” lo raffreddò Stacey “un cambio di assegnazione da una specialità
all’altra non è tanto semplice. E poi chi te l’ha detto che in aviazione non si
corrono pericoli? Vuoi che il maggiore ti racconti qualche esperienza delle
sue?”
“Non
sarà mai come un campo di battaglia. E poi non deve mica volare per forza: ci
sono tanti incarichi anche a terra…”
“Certamente”
replicò Andy “a meno che non faccia lui stesso domanda per un corso di
pilotaggio. Che facciamo se lo supera, signor Legan?”
Il
padre di Neal sorrise, scettico: “Chi, mio figlio…?! Aveva paura di uscire in
giardino, la sera o ad entrare nelle scuderie, da solo! Non c’è da temere. Potete
farlo davvero?”
“Mah,
non lo so” obiettò il colonnello Stacey, scuotendo la testa “innanzitutto, per
il cambio di destinazione ci vuole una richiesta scritta e firmata da un
ufficiale superiore dell’arma aerea.”
“Vuoi
dire un generale o un colonnello?” domandò ansiosamente Legan. Non ricevendo
risposta il povero padre guardò allora Andy, il quale, incapace di
nasconderglielo ulteriormente, dovette ammettere: “Forse… basterebbe anche un
maggiore.”
“Andy,
non farai sul serio…!” esclamò Stacey, in tono scandalizzato.
“Dai,
Sammy… tira fuori un modulo di assegnazione, dammi una penna e facciamola
finita!”
Borbottando,
il colonnello si avvicinò istintivamente a uno schedario ed estrasse il
documento richiesto. Stava per porgerlo all’amico assieme alla penna,
quand’ebbe un moto di esitazione: “Andy… bada che sei stato appena promosso e
il tuo grado non è ancora operativo. Una cosa simile potrebbe anche rovinarti
la carriera, lo sai…?”
Greason
alzò le spalle: “Non sono un carrierista e non voglio avere il figlio di un tuo
amico sulla coscienza. Dammi quella roba!”
Stacey
lo accontentò sbuffando ed Andy appoggiò il documento sul tavolo per mettervi in
calce la sua firma, poi prelevò un foglietto da un blocco per gli appunti, vi
scarabocchiò alcune note e porse infine il tutto all’esponente della jet
society: “Ecco qua… lo faccia recapitare a suo figlio, gli dica di firmarlo e
rispedirlo all’indirizzo che ho scritto qui: Sezione Personale del Corpo Aereo,
presso il Ministero della Difesa.”
Il
finanziere dai capelli grigi afferrò quelle carte con le mani leggermente tremule,
ma con lo sguardo colmo di gratitudine: “Non ho parole per ringraziarla, maggiore…
lei ha tolto un peso enorme dal cuore di questo genitore incapace!”
“Non
gioisca prima del tempo: sempre che accetti di cambiare specialità, il suo
ragazzo dovrà superare un secondo esame psicofisico, perché la cosa si
concretizzi.”
L’altro
annuì e gli porse la mano, che il maggiore strinse con leggera riluttanza:
“Comunque vada, le serberò eterna riconoscenza. Sappia, anzi, che la considero
un amico” puntualizzò appoggiando l’altra mano su quella del pilota “se mai ci
fosse qualcosa che potrò fare per lei…”
“Mi
basta una promessa” rispose asciutto Andy “se, a dispetto delle sue previsioni,
suo figlio decidesse di volare e riuscisse nel suo intento… non venga a
piangere da me, se glielo bucherellano lassù! D’accordo?”
Al
signor Legan s’incupì lo sguardo, ma rispose: “D’accordo… e grazie ancora!”
“Bene…”
Andy sbirciò il suo cronografo “…direi che si è fatto tardi. Sarà meglio che
rientriamo a Eglin, Jim: il nostro
cargo per New York parte alle 18.”
“È
stato bello rivederti, Andy” disse allora il colonnello “in bocca al lupo per
le tue prossime missioni!” nemmeno lui nascondeva la gratitudine verso l’amico
d’infanzia per avergli risolto la “grana”…
“Crepi…!”
esclamò l’asso, stringendo la mano a Stacey, per poi rischiaffarsi il cappello
in testa. Per ultimo non si trattenne
dal salutare l’altolocato civile, con una punta di malcelata ironia: “Arrivederci,
signor Legan: porga i miei omaggi alla sua signora e a sua figlia…!”
“Presenterò!”
rispose neutralmente l’interessato.
“Stammi
bene, Simon: alla prossima. Sergente…”
“Maggiore
Greason…” rispose quest’ultimo, rispondendo impeccabilmente al saluto militare,
che il superiore aveva appena accennato.
“Signori…”
disse in ultimo il capitano Stone, portandosi anche lui la mano al berretto.
***
Durante
il tragitto di ritorno alla base aerea di Eglin
Field Andy Greason rimase in silenzio, guidando meccanicamente la vettura. All’inizio
James Stone provò ad ignorare la sua pessima cera, ma alla fine non ce la fece
più: “Hai un aspetto orribile, Andy! Ti senti bene?”
Tenendo
gli occhi fissi sulla strada, il maggiore scosse la testa: “Oggi, per la prima
volta, ho fatto una cosa di cui non riesco ad andare fiero, Jim. No, non sto
bene...!” concluse, amaramente.
“E
allora perché lo hai fatto?” gli chiese il compagno, dopo un attimo di
esitazione.
Andy
strinse la mascella, rimuginando…
“Non
lo so” disse poi “forse perché non riesco mai a non fare niente!”
“Vero…!”
confermò James, senza voler polemizzare.
“Comunque
non ci voglio più pensare… del resto, per ciò che mi riguarda, questa storia finisce
qui!”
“Ma
certo…!” concordò James, cercando di convincersene.
***
Poco
tempo dopo, all’inizio di Aprile del 1942, i componenti del 3rdExperimental Fighter Group della 4thAir Force
di base al Mitchell Field di New York
vennero re-inquadrati nel nuovo 444th
Fighter Group dell’8th Air
Force destinato a Norwich, in Gran Bretagna.
A
sua volta l’infermiera Flanny Hamilton Greason chiese ed ottenne di essere
trasferita in un ospedale della zona, dov’era richiesto personale sanitario americano
per l’assistenza agli aviatori dell’USAAF
che rientravano feriti dalle missioni. La sua collega e ormai amica Candy White
Andrew decise di andare con lei, dal momento che il suo “fidanzato” Terence
Grenchester doveva contemporaneamente partecipare con la sua Compagnia Stratford ad una serie di
spettacoli che si sarebbero svolti proprio nel suo Paese, a favore delle truppe
combattenti.
Più
o meno nello stesso periodo, un giovane aviere di nome Neal Legan, acquartierato
presso il campo addestrativo dell’USAAF
vicino a Muskogee, nell’Oklahoma, presentava formale richiesta per l’ammissione
ad un corso di pilotaggio…
[1]North American
B-25 Mitchell: bombardiere medio
bimotore, famoso per avere effettuato la prima incursione aerea su Tokyo
decollando dal ponte della portaerei USS
Hornet (18 Aprile 1942).
[3]Il Reichmarshall
Hermann Goering, delfino di Hitler dopo la “defezione” di Rudolph Hess (1941) e
comandante in capo dell’aviazione tedesca.
[4]Primary School, equivalente alla nostra Scuola Elementare.
[5] I 50 Stati Federali (all’epoca erano 48, poi si
aggiunsero l’Alaska e le Hawaii) sono divisi in Contee, a loro volta ripartite
in Distretti. Come tutti sanno, la capitale federale non fa parte di nessuno
stato e costituisce un distretto a sé stante, da qui il nome di Washington D.C.
(District of Columbia).
l
capitano James Patrick Stone, comandante ad interim della Prima Squadriglia del
444° Gruppo Caccia in forza all’Ottava Forza Aerea, stava versandosi
nervosamente il quarto bicchiere di whisky della giornata.
Erano
appunto quattro le volte che rientrava nel suo ufficio - che teneva in comune
con quello del suo comandante di Gruppo - dopo essersi consumato le scarpe
sulla pista di Rickenbacker Field, la
base del loro reparto, ubicata nelle vicinanze di Norwich, importante centro
dell’East Anglia.[1]
Non
che ogni volta ci rimanesse molto in quell’ufficio: giusto il tempo di versarsi
da bere per calmare l’agitazione che lo tormentava, per poi rifiondarsi fuori dal
comando, così da impedire al suo sguardo di posarsi sulla scrivania del capo e,
in special modo, sul portaritratti che vi era posato sopra.
Santo
Cielo… cosa diavolo le avrebbe detto,
stavolta, se lui non fosse tornato?
Si
era anche recato due volte alla torre per chiedere notizie, ma i radaristi non
avevano ancora localizzato il suo apparecchio, né i marconisti[2]
avevano ricevuto messaggi dal comandante o dalle basi vicine.
Stava
per scendere di nuovo, quando il repentino squillo del telefono lo fece
sussultare, costringendolo a versare mezzo bicchiere sul pavimento.
“Pronto?
Parla Stone…!!” rispose immediatamente, con voce alterata.
“Qui
è il sergente Johnson, signore: la informo che il maggiore Greason sta
rientrando.”
James
riprese a respirare nornalmente. Si umettò le labbra, poi riuscì a rispondere:
“Dici… dici davvero, Curly?!”
“Sì,
capitano: sta atterrando in questo momento!”
L’ufficiale
si lisciò la fronte, sospirando di sollievo: “Dio sia ringraziato… scendo
subito!”
Sollevato,
ripose il ricevitore. Passando accanto all’altra scrivania, non si trattenne dal
lanciare una rapida strizzatina d’occhio alla piacente ragazza bruna presente
nella foto.
“È
andata anche stavolta, signora…!” le sussurrò.
***
Il
capitano arrivò trafelato sulla pista, proprio mentre un massiccio P-47 color verde oliva, fatta eccezione
per la NACA decorata a scacchi bianchi e neri, terminava di rullare sul
piazzale antistante la torre di controllo.
Una
volta arrestato il motore, un aviere spalancò la capiente carlinga, rivelando
il pilota mentre scollegava il cordone della radio, quello per il riscaldamento
della tuta[3] e il
tubo per l’ossigeno. Afferrò poi la mano dello specialista montato sull’ala e
scavalcò il bordo dell’abitacolo, già “costellato” di numerose “croci
balcaniche” che rappresentavano altrettanti aerei tedeschi strappati dal cielo.[4]
“Andy…!!
Tutto bene…?” s’informò prontamente il buon James.
L’interpellato
balzò a terra e rivolse innanzitutto la parola a un sottufficiale prontamente
accorso, un giovane di 25 anni dall’aria sveglia e decisa.
“Nat,
dovresti controllarmi il trim degli alettoni: mi pare che si sia incrementata la
coppia torcente!”[5]
Il
sergente-maggiore Jonathan Carling, capo del personale di terra e meccanico di
fiducia del comandante, guardò prima quest’ultimo e poi di sfuggita il capitano
Stone, col quale scambiò un’occhiata significativa. Quel Thunderbolt era pieno di fori da 20 millimetri un po’ dappertutto,
l’elevatore sinistro era quasi fracassato, ma l’unico problema che accusava il
suo pilota era un aumento della coppia torcente!
“D’accordo,
signore!” rispose comunque, asciutto.
Congedato
lo specialista, il maggiore Andrew Steve Greason degnò finalmente d’attenzione il
suo secondo: “Salve, Jim!” gli disse, a bassa voce, sfilandosi i guantoni.
“Bentornato,
comandante…!” ribatté il capitano, non potendo trattenere una punta di polemico
sarcasmo.
“Grazie…!”
sussurrò il maggiore, accusando il colpo. Girò poi nuovamente la testa verso il
suo caccia, sul cui muso, immediatamente dietro la capottatura del motore,
spiccava un aquilotto marrone dalla testa bianca, affiancato da una scritta
dorata e svolazzante: The Yankee Eagle.[6]
Un
nome un po’ insolito per un aeroplano che, a rigor di logica, avrebbe dovuto
chiamarsi Flanny Seconda… ma così non
era stato perché, da quel che si sapeva, la signora Greason non aveva più apprezzato
che una macchina da guerra venisse battezzata come lei.[7] Dal
canto suo il marito aveva tranquillamente concordato, felicitandosi col tempo di
una tale decisione, al pensiero di quanti colleghi nel campo avverso avrebbero
altrimenti maledetto quel nome per lui così caro!
Aquila Americana andava più che bene... in fondo era lo stesso
soprannome con cui il suo pilota era stato battezzato dalla stampa, dopo i
primi successi sul cielo europeo.
Afferrata
la busta con le carte di navigazione che l’aviere di prima gli aveva recuperato
dal cockpit, Andy s’incamminò a passo spedito verso la palazzina del comando,
affiancato dal fedele vice.
“Mi
dispiace del ritardo…!” gli disse, con sincerità.
“L’importante
è che tu stia bene” sospirò James “mi dici che t’è successo?”
“Quella
maledetta picchiata sul bersaglio mi ha gettato come un fesso nelle fauci della
Flak[8]… che
naturalmente mi ha beccato in pieno!”
“Cristo…!!
E poi…?”
“Ho
dovuto compiere un atterraggio di fortuna.”
Il
cuore del capitano Stone mancò di un battito: “Ma che dici…? In territorio
nemico?!”
“Già…!”
“E
come hai fatto a scamparla dai crucchi? E a tornare con l’aereo e tutto?”
“Beh…”
il maggiore si stropicciò gli occhi “…è una storia un po’ lunga. Adesso però non
mi sento in vena di raccontartela… scusami ancora!”
James
fece una smorfia di disappunto, ma rispose: “Non fa niente… certo che hai corso
un bel rischio…”
“Non
lo nego!”
“…e
tutto per togliere quel benedetto pivello dai guai!”
Il
maggiore si fermò di botto, fissandolo duramente in viso: “E cosa dovevo fare,
secondo te? Lasciarlo in pasto ai crauti, dopo avergli lasciato il fratello in
pasto ai giapponesi?”
“Non
dico questo… però, allontanandoti in quel modo dalla nostra Squadriglia, ti sei
ritrovato addosso quattro crucchi tutti insieme. È un vero miracolo che tu ne
sia uscito indenne, lo sai?!”
“È
un dovere di noi veterani prenderci cura dei colleghi inesperti, che ci piaccia
o no… e io non fallirò una seconda volta!”
Il
capitano chiuse gli occhi sospirando, chiedendosi per quanto tempo ancora quel
maledetto incidente in Cina avrebbe perseguitato il suo compagno.
“Comunque
certe cose non accadrebbero, se facessero a meno di mandarci dei complementi
con solo una misera manciata d’ore di volo…!”
“Temo
che sia inevitabile, vecchio mio… almeno per ora: è lo svantaggio di chi entra
in guerra per ultimo.”
“Già,
specialmente quando si pretende che la finisca comunque in fretta!”
“Lascia
perdere… dimmi piuttosto se quelli della Terza sono rientrati!”
James
fu lieto di rispondere affermativamente: “Sì, Andy: sono atterrati dopo quelli di
Sanders e subito prima di noi.”
“Tutti…?”
“Tutti!”
Stavolta
fu Andy a sospirare: “Meno male…!”
Parlando
i due ufficiali erano giunti nel loro ufficio, dove trovarono il tenente
Dumfryes, dell’Intelligence, che stava posando tre fascicoli sulla scrivania
del maggiore.
“Buona
sera, signore” gli disse, salutando “le ho portato i rapporti della missione su
Saint Dizier.”
“Grazie,
Harry… li leggerò domattina per stilare la relazione a Eaker.”[9]
Il
tenente si congedò e il maggiore si sedette sulla sua poltrona. Contemplò un
istante la foto della moglie, poi afferrò la cornetta del telefono:
“Centralino? Il St.Julian Hospital,
per favore!”
Mentre
aspettava la risposta, i suoi occhi non abbandonavano quelli della consorte,
che gli “sorridevano” dalla cornice sul tavolo (per la verità, in
quell’immagine non stava sorridendo affatto, ma per Andy la cosa non rivestiva soverchia
importanza).
“Pronto…?
Il St.Julian…? Buonasera, sono il
maggiore Greason, della base USAAF di
Rickenbacker Field… potrebbe passarmi
la signora Flanny?” passarono circa dieci secondi “Ah, non può lasciare la
corsia? Vabbé… allora, se non le dispiace, la informi che è tutto OK e che sarò
a casa fra un’ora… molte grazie!”
Chiusa
la comunicazione, si rilassò sullo schienale, osservando il capitano appoggiato
col sedere alla propria scrivania.
“Ti
vedo sollevato!” gli disse.
“Lo
trovi strano? Tremavo al pensiero di doverla fare io, quella telefonata…!”
“Immagino…
scusami davvero per il pomeriggio che ti ho fatto passare!”
“Non
è con me che dovresti scusarti…!”
Andy
tornò allora a guardare la foto: “Temo che sia troppo tardi, per quello” replicò,
lasciandosi sfuggire un sospiro malinconico”””””222 “del resto lo sapevamo di commettere una fesseria…
ma certe volte il cuore non lo ascolta, il cervello!”
“Però
non avresti dovuto farla venire in Inghilterra… a parte il pericolo di qualche incursione
sporadica che ogni tanto la Luftwaffe
fa ancora, penso che la relativa vicinanza fisica aumenti di parecchio l’ansia nelle
persone a cui stiamo a cuore!”
Tornando
a sospirare, il maggiore prese in mano il portaritratti: “Forse hai ragione… ma
come si fa a dire di no a una donna così? Quando a Febbraio mi hanno avanzato
di grado, ho dovuto anche dirle che mi spedivano quaggiù… e lei mi ha risposto che
veniva con me, con due occhi da tapparmi la bocca prima che potessi formulare
qualunque obiezione…!”
“È
stato quel giorno che hai conosciuto il fratello di Stear?”
Andy
scosse la testa: “Il giorno dopo, per essere esatti. I Cornwell ci avevano
ospitato per la notte. E capirai che… insomma, sai, per discrezione… quella
sera ci eravamo trattenuti da… beh, hai capito, no?”
James
annuì e sorrise, complice.
“E
allora, l’indomani… sabato mattina… siamo passati dal Mitchell Field, dove pensavo di farmi prestare un trasporto
leggero: avevamo deciso di andare a Providence in aereo, per risparmiare tempo.”
“È
proprio da te. E allora…?”
“Beh,
non c’era nulla di disponibile, così eravamo rassegnati ad affrontare il
viaggio in automobile… però, prima di lasciare l’aeroporto, ho voluto mostrare
a Flanny il mio apparecchio… e lei, sai come se n’è uscita?”
“Come…?”
“Mi
ha chiesto Perché non voliamo via con lui…?”
il secondo sbarrò gli occhi “Sì, hai capito bene! Sulle prime non credevo alle
mie orecchie, poi ho riflettuto che una ragazza talmente incosciente da
mettersi con uno come me, poteva esserlo abbastanza anche per voler fare il
viaggio di nozze sopra un caccia! Così, approfittando che a quell’ora
l’aeroporto era praticamente deserto, mentre lei se ne stava nell’ombra, ho
ordinato a un meccanico di farmi il pieno con la scusa di una prova supplementare.
Poi l’ho fatta salire sulle mie ginocchia e…”
“…via
verso il blu infinito” esclamò James, con aria ancora leggermente incredula “una
bella coppia di romanticoni!”
“Aspetta…”
lo interruppe il maggiore, con aria sorniona “…dopo aver fatto un volo
turistico su Manhattan e un giro attorno alla Statua della Libertà, ho puntato
il muso sul Rhode Island e…” qui si arrestò. Al capitano sembrò che il superiore
fosse arrossito leggermente, anche se forse era solo una vaga impressione.
“E…?”
insistette.
“Ti
sei mai dato da fare con una ragazza, in volo?” gli chiese Greason, tenendo le
mani intrecciate sullo stomaco.
Stone
rimase qualche secondo a bocca aperta…
“No…”
rispose, piatto “…ci ho provato nuotando, una volta… a momenti affogavo!”
“Noi
siamo saliti a 10000 piedi… poi lei ha cominciato a baciarmi con sempre maggior
foga e allora…”
“Non
mi dirai che avete davvero…”
Andy
annuì: “Ho appena fatto in tempo a inserire il pilota automatico, prima di
sconnettere il cervello… c’è mancato poco che non finissimo la benzina!”[10]
“Incredibile…!”
commentò James, sghignazzando “Adesso capisco perché ti sei voluto tenere a
tutti i costi proprio quel P-47 che
ti avevano assegnato per i collaudi, a New York!”
Il
maggiore allargò le braccia: “Tu non pensi che possa portarmi fortuna?”
“Sarò
ben lieto di crederlo, amico mio!” rispose l’altro, con un largo sorriso.
Andy
sembrò meditare un istante, poi continuò: “Sai, mia madre mi disse una volta
che, se amiamo veramente ciò che facciamo e abbiamo cura delle cose che ci
servono per farlo, anche loro avranno cura di noi… inoltre amava raccontarmi
che i miei primi voli li avevo fatti quando stavo ancora dentro la sua pancia!”
“Addirittura…?!”
“Già…
mio padre l’aveva portata su almeno due volte col suo Bebè, quando lei era già incinta!”
“Capisco”
commentò James, sempre con fare sornione “e tu credi che questo capiterà anche
a suo nipote…?”
Contrariamente
a ciò che si aspettava, il superiore volse lo sguardo verso la finestra,
guardando il cielo con aria leggermente malinconica: “Mah… chi può dirlo…?”
***
Il
maggiore non aggiunse altro, ritenendo di essere stato anche troppo indiscreto.
Non raccontò quindi al compagno che in quel famoso week-end, una volta
atterrati al piccolo aeroporto di Providence ed essersi calmati la fame in un modesto
drugstore, lui e Flanny erano finalmente arrivati a casa… ovvero la casa dove
lui era cresciuto da bambino, situata proprio a due passi dal mare.
A lei
quel posto era piaciuto immensamente, nella sua naturale tranquillità. Andy
aveva aperto la porta ed era rimasto in attesa, fin quando la moglie non gli
aveva fatto notare una “piccola” formale dimenticanza… al che, il marito era tornato
indietro con un guizzo e l’aveva presa fra le braccia, varcando l’ingresso e
richiudendo l’uscio con il piede. Poi aveva attraversato l’atrio, il salotto,
salito le scale per finire in camera da letto, dove l’aveva adagiata sul
medesimo… e lei non gli aveva nemmeno più permesso di rialzarsi, avvinghiandolo
con voluttà…!
Quella
sì che era stata una notte particolarmente focosa
(non che le precedenti fossero state molto da meno…) anche se avevano dovuto recuperare
una settimana di astensione abbondante. Ad ogni modo il nostro pilota se la
sarebbe ricordata per un pezzo!
“Flanny…
se continui così, mi mandi all’ospedale…!” aveva detto, ad un certo punto, per
calmare la sposina. Ma era servito a poco…
“Dov’è
il problema?” aveva cinguettato lei “All’ospedale ci sono io…!”[11]
***
“Davvero”
ripeté il maggiore Greason riposando il portaritratti sul piano dello scrittoio
“come si fa a dire di no a una donna così?”
Dopodiché,
sbirciando i fascicoli dei debriefing,
lasciati poco prima dal tenente Dumfryes, raccattò istintivamente quello
riservato alla Terza Squadriglia, comandata dal capitano Vincent “Vinny” Hames.
“Guarda
un po’ qua” disse, dopo aver scorso velocemente i fogli “sembra che il nostro
amico abbia sfasciato le derive in atterraggio…”
“Te
lo dicevo che era un pivello” commentò James, scuotendo la testa “ha fatto
troppo poco addestramento, prima di andare in azione!”
“Lo
so… inoltre ha meno stoffa del fratello. Ma imparerà!”
“Aggiungi
che Sua Signoria volava con un aereo
facile… ma il P-38 non è una macchina
da dare in mano a un principiante!”
“Il
fatto è che, quando ha conseguito l’idoneità e lo hanno spedito qui, c’era
proprio la Squadriglia di Vinny da completare, quella che doveva testare
operativamente i Lightning.”
“Speriamo
bene! Non oso pensare a cosa succederebbe se anche lui…”
“Piantala…!!
Me lo ripeto anche troppo da solo! Del resto, se quello ha deciso di seguire le
orme del fratello, io - proprio io - come glielo potevo impedire? Inoltre non
ne ho saputo nulla fin quando non lo hanno assegnato al nostro Gruppo!”
“Lo
so, ma potevi…”
“Cosa?
Convincerlo a ritirarsi perché, se ci avesse rimesso la buccia, sua moglie
sarebbe morta di crepacuore? Oppure dire a Washington che non volevo il
sottotenente Archibald Cornwell Andrew nel mio reparto, perché la sua presenza
mi metteva in una posizione pessima con la collega di mia moglie?”
James
accusò il colpo e ammutolì, tenendo le mani in tasca e fissandosi la punta
delle scarpe. Poi rivolse all’amico uno sguardo obliquo: “Certo che, quella
famiglia che porta stranamente il tuo stesso nome di battesimo, ti sta dando
parecchio da fare, eh?”
“Me
ne sono accorto…!” bofonchiò il comandante versandosi un bicchiere dalla
bottiglia di Scotch che James aveva
lasciato sul tavolo “Ne vuoi anche tu?”
“No,
grazie… ci ho già dato dentro abbastanza, per oggi!”
“Allora
è il mio turno…!” ribatté il superiore, vuotando il whisky tutto d’un fiato.
Stone
restò a guardarlo in silenzio, sapendo bene quello che stava provando. Loro due
erano come fratelli e c’erano ben poche cose che il maggiore non gli
confidasse. Pur avendo fatto più carriera, Andy teneva in grande considerazione
la superiore maturità di James e non mancava di chiedergli spesso consigli,
anche per questioni “non militari”. Perciò il capitano era perfettamente al
corrente dei problemi che il suo comandante aveva avuto con quella bionda e “quasi
omonima” infermiera, che adesso lavorava insieme a sua moglie nello stesso
ospedale di Norwich.
Cercò
di tirarlo un po’ su: “Non te la prendere, comandante! Dopotutto, gli Andrew richiamabili
sono finiti, no…?”
Andy,
che stava centellinando il suo bicchiere, all’ultima frase del collega alzò un
sopracciglio, guardandolo di sbieco.
“Me
lo auguro proprio!” rispose, infine, prima di bere un altro sorso.
***
Qualche
settimana addietro (Giugno 1942)…
“Manca
ancora molto?” chiese il capitano Vincent Hames.
“Non
direi” rispose il suo collega Stone “la torre ha contattato il C-47 dieci minuti fa. Atterreranno da un
momento all’altro.”
“Fremi
d’impazienza, eh, Vinny?” gli disse il capitano Victor Sanders “Non vedi l’ora
di dare una bella strigliata alle tue burbe, dì la verità…!”
“Ma
figurati… quei poveri pulcini saranno stremati, dopo il volo da Terranova.”
“Beh,
hanno sempre fatto una tappa a Belfast, no?”
“Capirai…
giusto il tempo di pisciare. Quando siamo arrivati noi, quaggiù, avevo la
schiena in frantumi!”
“Beh,
l’importante è che il nostro Gruppo sarà finalmente al completo” aggiunse il
tenente Roy Master “Cribbio, non vedo l’ora di suonarle per bene, a quei
dannati crucchi!”
“Come
mai tutta questa fretta? Non ti sono bastate le botte che hai preso dai musi
gialli?” lo motteggiò il suo compare più anziano.
“Senti,
nonno… ti rammento che in Cina ne ho sbattuti giù almeno sette, se non ti
dispiace!”
“Alle
Hawaii, però, hanno sbattuto giù te…!” lo punzecchiò ancora il comandante della
completanda Terza Squadriglia.
“Pura
sfortuna…!” grugnì seccato il tenente.
“Eccoli
che arrivano…!” annunciò il capitano Stone, puntando il braccio nella direzione
di provenienza di un crescente rombo in lontananza.
Di
lì a poco la massiccia mole di un Douglas
Skytrain sorvolò il circuito d’atterraggio della base di Rickenbacker Field.[12]
“Dove
diavolo si è ficcato il maggiore?” chiese Hames a Stone, mentre il velivolo
virava per l’atterraggio.
“Si
è trattenuto in ufficio con Dumfryes… ah, eccoli: stanno arrivando ora!”
Il
comandante del 444° Gruppo raggiunse i suoi capi-squadriglia, seguito dal responsabile
dell’Intelligence.
“Salve
a tutti!” disse, con aria non propriamente allegra.
“Buongiorno
a lei, maggiore!” rispose Sanders.
“Che
hai, Andy?” gli chiese James “Oggi dovrebbe essere un giorno felice!”
“Dici?”
ribatté il comandante, piegando un labbro con aria sarcastica.
“Beh,
diavolo… i nostri colleghi della Marina hanno sbaragliato i musi gialli a
Midway,[13] ci hanno
mandato i complementi per la Squadriglia di Hames e non sei contento?”
“Lo
sarei più che volentieri, se non avessi saputo che nessuno di loro ha nemmeno
uno straccio di missione operativa all’attivo! Tutti polli novelli, dal primo
all’ultimo” posò una mano sulla spalla del capitano Hames “ti aspetta un
lavoraccio, Vinc!”
“Farò
del mio meglio, signore!” rispose il comandante di squadriglia, abbozzando anche
lui un sorriso stiracchiato.
“È
chiaro che tutti i piloti da caccia con un minimo d’esperienza sono rimasti in
Estremo Oriente.” osservò Stone.
“Ci
puoi giurare” confermò Andy Greason “quel brigante di Kenney se li è tenuti
tutti per sé… non posso biasimarlo, dopotutto, ma devo dire che il soprannome
di Bucaniere Volante gli calza a
pennello!”[14]
“Coraggio,
Andy” lo confortò il fedele Stone “dopotutto quelli di Vinc voleranno sui nuovi
Lightning. Li abbiamo provati anche
noi due e devo dire che sono dei veri gioielli!”[15]
“Mi
auguro solo che ci abbiano fatto una certa pratica, prima di venire qui,
altrimenti saranno dolori!”
“Via,
capo” saltò su Master “cerchi di pensare in positivo: non siamo forse i Terrori della Luftwaffe?”
“Non
ancora, Roy… e temo che dovremo farci un discreto sedere, per diventarlo!”
“Ma
lo diventeremo” ribadì il tenente John Maxim, rimasto zitto fino ad allora “e allora
quei maledetti nazi abbasseranno la cresta alla svelta!”
“Speriamo!”
replicò James, tornando poi a guardare il maggiore. Questi manteneva la sua
aria tirata, che andava ben al di là della semplice preoccupazione di dover “svezzare”
qualche “pilotino d’aria dolce”!
“Oggi
mi sembri più teso del solito, comandante… non è da te!”
“Non
farci caso, Jim… ho solo come un brutto presentimento.”
“Di
che genere…?”
“Del
genere fatalistico, credo!”
Il
capitano Stone gli lanciò uno sguardo profondamente incredulo: “Tu che ti metti a credere al destino?! Ma
dai…!”
Andy
non replicò, limitandosi a osservare il trasporto che si era già posato sulla
pista e rullava lentamente verso di loro. Finalmente si arrestò e due avieri si
affrettarono a posizionare la scaletta davanti all’apertura posteriore, dopo
averla spalancata. Pochi istanti più tardi sei aviatori, di diversa età e
fisionomia, uscirono dal C-47 e si
fermarono sul piazzale, come incerti sul da farsi.
I
“padroni di casa”, preceduti dal maggiore Greason con accanto il capitano
Hames, si avvicinarono rapidamente ai nuovi venuti, i quali, alla vista dei
superiori, si affrettarono a salutare e a mettersi sull’attenti.
“Riposo,
signori” si affrettò a dir loro Andy “vi do il mio benvenuto a Norfolk! Siamo
felici di avervi finalmente qui con noi e speriamo che il vostro viaggio sia
stato piacevole. Io sono il maggiore Andrew Steve Greason, comandante del 444°
Gruppo Caccia e questi sono il capitano Vincent Hames, che sarà il vostro
comandante di squadriglia e il tenente Samuel Harris, che comanderà la Seconda
Pattuglia… vi lascio dunque nelle loro ottime mani affinché vi scortino ai
vostri alloggiamenti. Fra un paio d’ore, quando vi sarete rassettati e
rifocillati, vi attenderò in sala riunioni per raccontarvi il programma del
vostro soggiorno nella vecchia Inghilterra… ci vediamo più tardi!”
“Grazie,
signor maggiore… a più tardi!” rispose per tutti il tenente Thomas Mc Guire, il
più anziano dei nuovi arrivati.[16]
“Venite,
ragazzi!” intervenne il capitano Hames, facendo loro cenno di seguirlo,
unitamente al tenente Dumfryes.
Mentre
il gruppetto rompeva le righe, Andy ebbe modo di vedere meglio un sottotenente
dai capelli castano chiari, regolarmente tagliati corti alla militare. Durante
il suo breve discorso, costui si era tenuto in seconda fila, ma adesso il
maggiore ebbe la netta sensazione di averlo già veduto almeno una volta.
Oltretutto, la sua fisionomia gli rammentava curiosamente qualcuno in
particolare…
“Non
può essere…!” sussurrò, sbiancando in volto.
“Che
ti succede?” gli chiese James, vedendolo sussultare.
“Hai
visto quel tenentino?” replicò l’altro, indicandolo con discrezione.
“Chi,
quello che cammina vicino a Dumfryes?”
“Sì…
non ti ricorda qualcuno?”
“Mah…
non saprei. Non l’ho visto bene in faccia.”
“Io
sì, invece… vieni con me!”
Senza
por tempo in mezzo il comandante del reparto si affrettò verso il quartier
generale con un passo talmente spedito che il capitano faticava a tenergli
dietro. Entrati nella palazzina il maggiore fece i gradini delle scale a
quattro a quattro e si precipitò nel loro ufficio, dove si affrettò ad aprire e
a richiudere nervosamente i cassetti della sua scrivania.
“Dove
diavolo è finita la lista dei complementi della Terza Squadriglia?!”
“Credo
sia nello schedario. Si può sapere che diavolo ti prende…?”
Senza
rispondergli Andy si voltò verso un armadietto metallico, del quale aprì il
terzo cassetto partendo dal basso. Frugò velocemente in mezzo alle cartelle e
ne estrasse un modulo ciclostilato. Dopo essersi seduto e aver respirato una
capace boccata d’aria, vi gettò sopra gli occhi.
Dopo
un paio di secondi il buon James vide l’amico mollare il foglio, coprirsi la
faccia con una mano e battere fortemente il pugno sul tavolo con quell’altra.
“Insomma,
Andy, me lo dici cos’hai, in corpo?! O hai deciso davvero di farmi marcar
visita per esaurimento nervoso?” sbottò.
Il
maggiore scostò le dita dagli occhi, fissando lentamente la faccia del suo vice:
“Guarda i nomi…!” mormorò.
Il
capitano raccolse il documento e scorse la lista: “…Daleeny, Dickerson, Mc Guire, Oaxley, Sturdy…” si accorse
di aver saltato per la fretta il primo nominativo e tornò indietro “…oh,
Cristo!!”
Rialzò
la testa e tornò a guardare silenziosamente il suo capo, che l’osservava scuro
in volto, tenendo le mani intrecciate a sostenere il mento: “Potrebbe trattarsi
semplicemente di un omonimo!” disse, cautamente, senza troppa convinzione.
“Potrebbe…
se non assomigliasse troppo a Sua
Signoria…!”
“Ma…
ne sei sicuro? È passato del tempo, potresti sbagliarti.”
“Temo
di no. E il buffo è che io, pur avendolo incontrato di persona, con tutte le
cose che ho per la testa non l’avrei mai riconosciuto, se avesse mantenuto
quella ridicola capigliatura da dandy… invece, il taglio regolamentare, che
portava naturalmente anche il fratello, lo ha tradito!”
“Capisco…
un vero guaio!” commentò a bassa voce il capitano, fortemente impensierito dai
problematici risvolti di quella faccenda.
“Ma
come cazzo ho fatto a non accorgermene, quando Dumfryes mi ha messo l’altro giorno
la lista in mano?!” esclamò il maggiore appoggiando di nuovo il capo sulla
fronte.
“Lo
hai detto prima: hai troppe cose per la testa!”
“Maledizione…!”
imprecò Andy alzandosi e andando ad aprire uno stipetto, da dove trasse una
bottiglia di Rye.[17]
Versò due dita di liquore nel bicchiere e le mandò giù tutte d’un fiato.
“Lo
sapevo che non ero adatto ad assumere questo incarico: facevo fatica a gestire
una Squadriglia, figurati un Gruppo…!”
“Non
raccontarti balle, Andy: avevi l’entusiasmo alle stelle, fino a mezz’ora fa!”
“Mezz’ora
fa ignoravo ancora cosa mi sarebbe ripiombato addosso. Ti rendi conto di come
mi troverò, se anche quel ragazzo tornerà a casa in una bara?”
“Ora
finiscila di sentirti responsabile per ogni cosa: quel tizio è maggiorenne e
vaccinato e non l’hai certo convinto tu ad arruolarsi! Inoltre volerà con
Hames, non direttamente sotto di te. Ammesso e non concesso che debba per forza
succedergli qualcosa, sarà solo una conseguenza della sua libera scelta.”
“Che
bel discorso… spero che ci verrai tu a farlo, davanti alla collega di mia
moglie… e alla sua amica d’infanzia, soprattutto!”
“Ma
andiamo…! Candy White Andrew l’ho conosciuta anch’io e mi sembra una donna molto
in gamba e ragionevole.”
“Non
sono mai stato granché abile a ragionare con una donna…!”
“È
per questo che ti si sposato?” gli domandò allora James, ridendo.
“Come
sarebbe a dire…?!”
“Che
il matrimonio annulla la necessità di farlo… come diceva William Shakespeare, la moglie del generale è il generale del
generale!”[18]
Andy
lo guardò abbastanza storto: “Va bene, me ne ricorderò quando farò carriera” grugnì
“adesso, se non ti dispiace, vai ad aiutare Vinc a preparare la riunione con i
nuovi acquisti.”
“Agli
ordini, signore!” replicò Stone, battendo teutonicamente i tacchi.
Uscito
che fu il capitano, Andy, prima di riporre la bottiglia nello stipetto, si
versò ancora due dita di Rye… poi si riaccomodò
in poltrona, osservando di sottecchi la foto della sua dolce metà.
“Il generale del generale...!” esclamò, prima
di vuotare il bicchiere “Bah… a dir la verità, non sono mai stato un grande
appassionato di Shakespeare…!”
[1]La regione a Nord-Est di Londra che forma quel vistoso promontorio
arrotondato, proprio di fronte alle coste olandesi.
[2]Gli addetti alla radio (in onore di Guglielmo Marconi).
[3]Le cosiddette “combinazioni di volo” erano riscaldate
tramite il principio delle termocoperte. Si tenga presente che alle quote
operative dei caccia intercettori la temperatura esterna poteva scendere fino a
50 gradi sotto lo zero!
[4]Le Croce Balcanica (Balkankreuz)
da non confondere con quella uncinata (originaria dell’Asia Minore e adottata
come simbolo dal partito nazista) era la stilizzazione della croce imperiale
germanica presente sui mezzi militari fin dalla Prima Guerra Mondiale e tornata
nuovamente in vigore alla fine della Seconda su quelli della Bundswher (l’Esercito Federale Tedesco)
e dell’attuale Luftwaffe.
[5]I trim erano
i correttori delle superfici di governo, costituiti da un’aletta supplementare
presente sugli alettoni, i timoni di direzione e quelli di profondità, che
avevano il compito di migliorare la risposta sollecitata dai comandi principali
(barra e pedaliera). La coppia torcente era la tendenza dell’aereo monomotore
ad avvitarsi su sé stesso in senso opposto a quello di rotazione dell’elica,
effetto che occorreva contrastare con opportuni contrappesi e, in caso di
bisogno, anche con l’utilizzo dei trim.
[6]Come si sa, l’aquila dalla testa bianca è il simbolo nazionale degli
Stati Uniti d’America.
[7]Pare che ciò fosse anche dipeso da influenze interne al suo ambiente
lavorativo.
[12]In onore del capitano Eddie Rickenbacker, primo asso
americano durante la Prima Guerra
Mondiale.
[13]Pochi giorni prima, dal 4 al 6 Giugno 1942, si era
combattuta la seconda e più importante battaglia aeronavale della Storia,
durante la quale le squadriglie delle portaerei Yorktown, Enterprise e Hornet avevano sconfitto duramente la
squadra nipponica dell’Ammiraglio Nagumo, affondando le portaerei Akagi, Kaga, Soryu e Hiryu. L’avvenimento aveva segnato il
giro di boa nella guerra del Pacifico.
[14]Il generale George Kenney, comandante della Quinta Air Force, basata prima in
Australia e poi in Nuova Guinea, i cui aviatori si fregiavano appunto dell’appellativo
di Flying Buccaners.
[15]Non per nulla i tedeschi li chiamavano Der Gabelschwanz Teufel (i diavoli dalla coda biforcuta)!
[16]Nella realtà Thomas Mc Guire è stato il secondo in
graduatoria fra i “veri” assi americani durante la Seconda Guerra
Mondiale, con 38 abbattimenti di aerei giapponesi (il primo è stato Richard
Bong, con 40).
[17]Il Rye è il
whisky del Tennessee, mentre il Bourbon
è quello del Kentucky… che sbevazzoni, questi piloti! Andy, comunque, beve soltanto
quando è un po’ nervoso… e, quando c’è Flanny, è tranquillissimo.
[18]Ed ecco spiegato perché, nella storia originale, il miglior interprete
del grande drammaturgo decide di rimanere scapolo!
llacci,
la cintura, colonnello: stiamo atterrando!” si fece udire la voce del pilota dalla
sovrastante cabina di pilotaggio. Il baldo trentaseienne ufficiale si
stiracchiò le membra con voluttà, prima di riporre nella sacca da viaggio il
volume Life and Death of Julius Caesar,
di William Shakespeare. Non che amasse particolarmente quel genere di letteratura
“impegnata”, ma sapeva che trascorrere ore e ore sopra un apparecchio senza
neppure impugnare la cloche lo riempiva di tensione per tutto il corpo, a meno
che non si tenesse occupato con qualcos’altro. Purtroppo il C-63 Hudson[1] che
lo stava trasportando non era a doppio comando e la dignità degli ormai
“troppo” alti gradi che ornavano le sue spalline lo frenava dal pretendere che
il tenente Samuel Dillinger, comandante ufficiale del velivolo, gli cedesse
eccentricamente il posto.
Così,
dopo aver memorizzato tutti i documenti che s’era portato appresso, non aveva
trovato di meglio che “svagarsi” con quel libro, simpaticamente regalatogli dal
compagno della sua “migliore amica acquisita”[2] in
occasione del suo ultimo compleanno. Quel gesto, a onor del vero, aveva anche voluto
essere una sorta di “riappacificazione” per il trascorso “malinteso” durante il
primo incontro fra il miglior cacciatore dell’USAAF ed il miglior attore di teatro del momento. Al ricordo, il
nostro asso si massaggiò nervosamente la mascella…
*Quel
tizio ha sbagliato carriera… il pugile doveva fare!* pensò.
E
meno male che nemmeno il marito di Flanny Hamilton era del tutto all’oscuro dei
segreti della “nobile arte”, perché altrimenti il suo stato di servizio avrebbe
potuto subire un’interruzione decisamente prolungata. Se l’era cavata invece con
una giornata in osservazione, per altro in buona compagnia dell’individuo con il
quale aveva avuto quell’energico scambio di opinioni. Dopotutto, quel periodo
trascorso sul ring durante il terzo anno di West Point era servito a qualcosa!
***
Soffocando
uno sbadiglio il colonnello Greason discese la scaletta che un aviere della
base aveva sistemato celermente in corrispondenza del portello d’uscita. Una
jeep si avvicinò al trasporto appena atterrato e un giovane ufficiale che
sedeva accanto all’autiere si affrettò a presentarsi salutando militarmente: “Sono
il tenente Robinett, colonnello. Benvenuto a Liberal!”
“Grazie,
tenente… riposo. Sono qui per vedere il generale Walker.”
“Si
accomodi, signore: ce la porto subito.”
“Grazie!”
rispose Andy prendendo posto nel sedile posteriore della vettura.
Mentre
stavano procedendo verso la palazzina del comando, un rombo di motori fece
alzare la testa al passeggero, che si vide sorvolare da un addestratore Cessna AT-17 in fase finale
d’atterraggio, col motore destro fuori uso. Per quanto il passaggio fosse stato
rapido, l’asso notò che l’elica interessata non era in bandiera[3] e le sue
pale contorte si trascinavano dietro le frasche di una pianta, imitate dal
carrello sottostante…
“Sembra
che quel tizio abbia qualche problema…!” commentò il nostro amico.
“Spiacente,
signore” si scusò Robinett “ma la strada più corta passa proprio sotto al
circuito della scuola!”
“Le
pare, tenente? Con quanto è preziosa la benzina!” ribatté sorridendo Greason,
per poi girarsi all’indietro per osservare la manovra finale di quell’allievo.
Trainato dal solo motore sinistro, il velivolo si mantenne però abbastanza
equilibrato, grazie all’azione degli alettoni e dei flaps. Facendo prima toccare
la ruota di destra e poi quella di sinistra, danneggiata, il pilota rullò
tranquillamente verso il parcheggio, mentre altre frasche che avvolgevano i
piani di coda frusciavano allegramente.
“Non
sapevo che qui s’impartissero anche lezioni di giardinaggio!” motteggiò il
colonnello.
“Dev’essere
quel cadetto di Chicago” disse ancora Robinett “avrà violato di nuovo la quota
minima di volo… quello schizzato finirà per farsi cacciare!”
“Capisco!”
commentò Andy finendo di osservare l’atterraggio *Possiede una mano discreta,
però…!*
La
jeep si arrestò finalmente davanti al comando della base e Robinett accompagnò il
superiore nell’anticamera dell’ufficio del comandante.
“Solo
un attimo, signore: vedo se il generale può riceverla.”
“Bene!”
Il
tenente bussò alla porta dell’ufficio e, non ricevendo risposta, l’aprì
discretamente. Quasi subito si poté sentire una voce potente che stava parlando
al telefono…
“Certo
che mi rendo conto, Henry… ma se potessi sbatterlo fuori, credi che non l’avrei
già fatto?! Ti ricordi chi sono i
suoi parenti? A parte che, senza la loro quota per il Prestito di Guerra,
fabbricheremmo la metà degli aerei che ci servono, quelli sarebbero capaci di
metterci contro mezzo Senato…”
Accortosi
d’un tratto della presenza dell’aiutante, l’uomo tappò il microfono con la mano
e chiese, piuttosto nervoso: “Cosa c’è, Robinett…?”
“Il
colonnello Greason è qui, signore!”
L’altro
fece cenno di far entrare l’ospite e, mentre quest’ultimo varcava l’ingresso,
il brigadier-generale Elliot Walker, direttore della scuola di volo avanzato di
Liberal, nello Stato del Kansas, concluse la sua conversazione: “E non venirmi
a parlare di incidenti fortuiti…!! Sei
pazzo o ti fa ombra la mia carriera?! Senti, credo che la cosa migliore sia di fargli
superare il corso. Poi, semmai, ci penserà il nemico a levarcelo dalle balle…
sì, ci sentiamo.”
Soffiando,
il comandante sbatté violentemente la cornetta sul telefono, facendo volare
qualche scheggia di bachelite. Poi alzò lo sguardo sul nuovo arrivato, che lo
stava salutando impeccabilmente: “Si accomodi, colonnello!”
“Grazie,
signore!” rispose Greason, sedendosi.
“Com’è
andato il viaggio fin qui?”
“Piuttosto
noioso, se me lo consente.”
“La
capisco” il superiore si sforzò di sorridere “non è proprio da lei fare il
passeggero su un aereo da trasporto, eh?”
“Cosa
vuole, generale… in effetti sono molto più a mio agio quando siedo ai comandi.
Non che non mi fidi dei miei colleghi, ci mancherebbe. Tuttavia…”
“Lei
assomiglia molto a suo padre, sa?” lo interruppe Walker volgendo il capo verso
una fotografia che lo ritraeva assieme ad un commilitone su un campo di volo
del 1918 “eravamo insieme nella Lafayette[4]… e
spesso lo vedevo cupo e pensieroso. Ma, una volta che s’infilava nell’abitacolo
del suo Bebè,[5]
diventava un altro. A proposito, come sta…?”
“Abbastanza
bene, grazie!”
“Spero
abbia fatto in tempo a passare da casa, mentre veniva qui.”
“Purtroppo
no… ma conto di farlo nel tornare in Inghilterra.”
“Sua
moglie è ancora là?”
“Sì,
esercita sempre al St.Julian Hospital,
presso Norwich.”
“E
lei come ha fatto, in tutto questo periodo, a non farsi seguire anche nel
Mediterraneo?” insistette il generale, mostrando un certo divertito interesse.
“Beh,
ho cercato di convincerla che sarebbe stata più utile dov’era, dato che si
tratta del centro più importante per l’assistenza medica al personale dell’Ottava”
si compiacque di rispondere il marito di Flanny “non sarebbe servito a niente
parlarle delle mosche, della sabbia e delle incursioni nemiche sulle retrovie… ma
le assicuro che è stata dura!”
“Me
lo immagino” annuì bonario il generale “ma per fortuna ce l’ha fatta…”
“Già…
ma non da solo” l’asso si slacciò il bottone di una delle tasche pettorali
della giacca ed estrasse una foto che porse fieramente al generale “per dirla
tutta, mi ha dato una mano lui…!”
Elliot
Walker poté osservare l’immagine di una Flanny felicemente spossata, seduta
dentro un letto d’ospedale, mentre reggeva nelle braccia un fagottino contenente
un marmocchio placidamente addormentato. Ai lati del suo capezzale, un’infermiera
bionda coi codini e un’altra con la chioma castana[6] se lo
divoravano cogli occhi…
“Beh…
congratulazioni, Greason” esclamò allora il generale col migliore dei suoi
sorrisi “e quand’è avvenuto l’atterraggio?”
“Ho
ricevuto il telegramma a Comiso, il 10 Settembre… subito dopo il rientro da una
nostra sortita in appoggio all’Operazione Avalanche.”[7]
“Per
cui, facendo una botta di conti” continuò Walker, sornione, grattandosi il
mento “il fattaccio sarebbe avvenuto
giusto giusto poco prima che venisse formato il suo Distaccamento[8] e lo
spedissero in Algeria… ci ho azzeccato?”
Andy
Greason arrossì sembrando accusare il colpo, ma poi ritrovò subito la sua ferrea
dignità: “Con tutto il rispetto, signore, non vorrà accusarmi di avere messo
incinta mia moglie con l’unico scopo d’inchiodarla sul suolo britannico,
vero?!”
“Mai
parlato di un unico scopo” ribatté maliziosamente
l’altro, rendendogli la fotografia “come si chiama il nuovo campione?”
“Si
chiama Paul” al neo-papà passò un velo di commozione sugli occhi “e ho potuto
conoscerlo soltanto a fine Novembre, quando siamo ritornati a Norwich.
Maledetto il mestiere…!”
“E
maledetta la guerra… a proposito, com’era in Sicilia?”
“Caldo…
in tutti i sensi!”
Il
generale sospirò: “Temo che presto farà altrettanto caldo in Nord Europa… anche
se non in senso meteorologico!”
Greason
annuì prontamente: “Sì, signore. È appunto per questo che mi trovo qui.”
“Lo
so… Washington mi ha informato sulla prossima costituzione della nuova Forza
Aerea Tattica che opererà principalmente sulla Francia occupata. Devo
congratularmi anche per questo, colonnello: spiccheranno presto le stellette,
sulle sue spalline!”
A
quelle parole, Andy non seppe trattenere un moto di nervosismo: “Pare proprio
di sì… mi auguro che al Pentagono sappiano ciò che fanno!”
Walker
sorrise ancora, compiaciuto: “Hap Arnold non è uno stupido, amico mio… e se
Spaatz ha indicato lei per questo ruolo, significa che non c’è nessuno di più
adatto. Del resto, dal giorno in cui le affidarono la prima squadriglia, ha
sempre tirato fuori il meglio dai suoi uomini.”
Greason
si lisciò i capelli, distogliendo con modestia lo sguardo: “Fortunatamente ho sempre
potuto godere della loro fiducia.”
“Forse
guadagnato sarebbe il termine più
esatto… ad ogni modo, cosa posso fare per lei?”
Il
colonnello raddrizzò le spalle: “Ecco… stiamo racimolando il personale di volo per
il nuovo gruppo da bombardamento pesante. Dobbiamo completare l’ultimo
equipaggio, ma ci manca ancora il pilota. Non ne avrebbe uno pronto da
cedermi?”
Il
brigadiere Walker scosse la testa, dopo aver velocemente smanacciato fra le sue
scartoffie: “Temo di non poterla aiutare… tutti i migliori elementi usciti
dall’ultimo corso sono già stati assegnati ai reparti dell’Ottava e della
Quindicesima. Rimangono solo piloti di seconda scelta, che verranno destinati
ad unità ausiliarie… quelli non scartati, naturalmente.”
“Capisco”
rispose Andy, visibilmente deluso “potrei vedere ugualmente quella lista?”
“Ma
certo” rispose il superiore, passandogliela “però sarà difficile che possa
trovare qualcuno che faccia per lei.”
“Non
si può mai dire…!” mormorò l’asso, scorrendo il foglio con attenzione.
In
effetti non c’era molta trippa per gatti. Accanto ai nomi di tutti gli
ufficiali piloti non respinti (che avrebbero svolto incarichi a terra, quando
non fossero stati trasferiti alle unità dell’Esercito) c’erano già le
rispettive destinazioni… a parte uno, sul quale il nostro eroe spalancò gli
occhi, dopo aver frugato nella memoria.
“E
questo…?” chiese, alzando il foglio davanti a Walker, con l’indice destro su un
nome che, pur non risultando fra gli scartati, aveva ancora l’assegnazione in
bianco.
Il
generale fece un gesto di disprezzo: “La classica mela marcia da buttare nella
spazzatura. Sto appunto cercando un sistema indolore per liberarmene…!”
“È
quello di cui parlava al telefono quando sono entrato?”
Walker
annuì con un ghignò, compiacendosi dell’acutezza del futuro parigrado: “Centrato,
Andy: la sua mira è sempre all’altezza della fama!”
“Però
non dev’essere proprio da buttare, visto che non l’avete scartato.”
“Per
essere giusti, tecnicamente non lo sarebbe” dovette convenire il superiore,
allargando le braccia “ma come disciplina è un vero disastro. Per non parlare
dei requisiti morali: scarsissimo rispetto per i superiori, non un briciolo di
patriottismo, non…”
“Vediamo
se ci azzecco un’altra volta… si tratta per caso di quel fenomeno atterrato prima
con un motore solo, dopo aver fatto provvista di verdura?”
“Sì,
maledizione” ammise il generale, appoggiando il capo sul pugno chiuso “mi stavo
giusto dimenticando della sua effimera considerazione per le norme di
sicurezza!”
Dopo
essere rimasto qualche istante a rileggere le generalità del soggetto in
questione, Andy confessò pacatamente “Beh, se devo essere sincero… anch’io, da
pivello, ho commesso qualche stupidaggine… ed è grazie a una di queste se ora
sono felicemente sposato!”
“Erano
altri tempi, Greason” obiettò severamente il superiore “ora stiamo combattendo
una guerra mondiale e non possiamo più permetterci di tollerare certi
atteggiamenti da scapestrati…!”
“Non
lo discuto, signore” convenne il nostro amico, alzando le spalle “ma allora non
capisco proprio che ci faccia ancora qui!”
“E
invece dovrebbe comprenderlo, se ha sentito cosa dicevo all’apparecchio…!”
“Sì,
in effetti ho sentito…” si batté le mani sulle cosce “…bene. Col suo permesso,
ora dovrei proprio andare.”
Il
comandante della Scuola di Volo avanzato di Liberal si alzò, imitato da Andy,
che strinse calorosamente la mano portagli dal generale: “È stato un piacere
conoscerla di persona, Andy… mi rallegro ancora per la sua futura promozione e auspico
il miglior successo alla sua nuova Forza Aerea. Ah, dimenticavo: i miei più
sentiti omaggi per la sua signora e i miei migliori auguri al nuovo venuto!”
“Troppo
gentile, signore… posso approfittarne per chiederle un ultima cortesia?”
“Con
piacere. Mi dica…”
“Vorrei
che mi facesse assegnare quel pilota.”
Il
generale strabuzzò gli occhi: “Quello scriteriato? Ma vuole scherzare…?!”
“No,
signore. Vede, forse le sembrerò precipitoso, ma credo che possa fare al caso
mio.”
“Ma
non ha sentito che cosa le ho detto? Le sue note caratteriali sono pessime:
come potrebbe affidargli altri uomini?”
“Beh,
naturalmente bisognerà trovargli i compagni di volo più adatti… poi dovremo smussargli
un po’ il carattere, ma credo di poterci riuscire. E poi, come le dicevo, sto
cercando gli elementi giusti per completare i miei organici e mi manca appunto
ancora un pilota.”
“E
vuole Legan?! Lasci perdere, Greason: le creerà soltanto dei grattacapi!” obiettò
ancora il generale, fissandolo con paternale preoccupazione.
“Saprò
risolverli, signore e ne farò un buon comandante. Dopotutto la stoffa ce l’ha:
saper atterrare senza conseguenze gravi con un aereo danneggiato è una
requisito fondamentale per un pilota di bombardieri.”
Tentennando
ancora il capo, il superiore radunò lentamente le sue carte e commentò: “Posso
dirle una cosa? Per me, lei è matto…!”
“Può
darsi, generale… tuttavia, quel tizio mi serve, se proprio non può darmi di
meglio. Posso averlo oppure no?”
Al
tono risoluto del suo interlocutore, Elliot Walker rialzò il viso squadrandolo ben
bene mentre attendeva sull’attenti, con le mani dietro la schiena. Alla fine si
rassegnò: “Ah… sì, sì… contento lei…!”
Riprese
in mano il modulo e, accanto alla riga con la scritta Legan Neal, tenente aggiunse, nella colonna accanto: 22nd Bomb. Group, 1st
Str. Wing, 10th AAF.[9]Poi firmò in calce il documento, vi
appose il suo timbro e lo mostrò al suo ospite: “Soddisfatto?”
“Affermativo,
generale. Le sono grato!”
“Non
c’è di che…!” ribatté il superiore risedendo e appoggiandosi allo schienale
della poltrona, con le mani intrecciate sulla pancia. Nonostante tutto, non
poteva non assaporare la piacevole sensazione di pesare trenta libbre di meno.[10]
“Allora,
arrivederci, signore!” concluse il colonnello Greason, salutando militarmente.
“Arrivederci…
e buona fortuna!” replicò Walker, restituendo il saluto. Poi, come l’aquila
americana raggiunse la porta, ebbe un ultimo scrupolino di coscienza: “Andy…”
“Sì,
signore…?”
“É
proprio sicuro di quello che fa?”
Dopo
quello che parve un momento di sincera riflessione, l’asso degli assi dell’USAAF gli diede una risposta molto sincera:
“No, signore. Arrivederci…!”
[1]Versione militare del Lockeed 14
Super Electra, aereo passeggeri bimotore da 15 posti.
[2]Ogniqualvolta l’apostrofava in quel modo alla presenza
della moglie, quest’ultima - non si sa perché - storgeva impercettibilmente la
bocca!
[3]Cioè con le pale rivolte lungo l’asse longitudinale
dell’aereo, in modo da non opporre resistenza all’aria nel caso di un arresto
del motore.
[4]Allude alla Squadriglia
Lafayette, formata dai volontari americani dell’Air Service (l’aviazione statunitense dell’epoca) che appoggiavano
le forze dell’AEF del generale John C. Pershing sul fronte francese della
Grande Guerra.
[6]Si tratta sempre di Natalie Venc, la sua perenne compagna di avventure.
[7]Lo sbarco di Salerno da parte della Quinta Armata del
generale Mark. W. Clark, avvenuto il
giorno precedente, subito dopo la rivelazione dell’armistizio con l’Italia,
firmato 5 giorni prima a Cassibile.
[8]Il Greason
Detachment era stato creato nel Gennaio 1943, subito dopo il disastro di
Kasserine, aggregando al 444° Gruppo Caccia di stanza in Gran Bretagna (v. capitolo
10) un gruppo di aerei d’assalto e uno di bombardieri medi. In quell’occasione,
Andy Greason era stato promosso tenente-colonnello.
[9]22° Gruppo Bombardieri, 1° Stormo Strategico, 10a Forza Aerea
dell’Esercito.
e ne
hai messo, di tempo!” disse un’infermiera bruna a una collega bionda che stava
scendendo le scale verso l’atrio dell’ospedale St.Mary, di Newhaven.[1]
“Hai
ragione, scusami… avevo dimenticato i referti sul tavolo e sono tornata
indietro per consegnarli al dottor Waxman.”
“La
signorina sbadatella non si
smentisce, eh...?”
“Dai,
ti prego…!” la bionda arrossì vistosamente.
Tempo
addietro la compagna le avrebbe rivolto uno sguardo severo; stavolta le mostrò
invece un affettuoso sorriso e le mise una mano sulla spalla mentre
l’accompagnava fuori. Le due ragazze avevano percorso pochi passi sul
marciapiede, quando avvertirono un rauco suono di claxon; non fecero in tempo a
voltarsi che una jeep dell’esercito si fermò bruscamente vicino a loro.
“Tutte
sole, bamboline?” domandò un ufficiale americano d’aviazione che indossava due
occhiali da sole sotto il berretto d’ordinanza.
La
bionda lo squadrò con sufficienza: “Meglio sole che male accompagnate, ragazzo!”
gli rispose poi in tono asciutto.
“Verissimo,
pupa” la rimbeccò lo yankee sfoderando un sorriso abbagliante “ma scarrozzate è
ancora meglio che appiedate. Dai, saltate su…”
“Sta’
a sentire, pappagallo” sbottò la mora sferzando l’aria con la coda di cavallo
“vedi d’ingranare subito la marcia di quel trabiccolo, se non vuoi ritrovarti
gli attributi nel palato! Rendo l’idea?”
“Ma
Flanny” esclamò scandalizzata la sua amica, col grazioso faccino diventato
rubicondo. Ancora non poteva abituarsi a quello slang da periferia (certamente
acquisito in famiglia) che la collega sapeva sfoderare nelle occasioni
strettamente indispensabili “ti sembrano cose da dire?!”
“A
certi individui sì!” confermò la prima, con le mani sui fianchi, per poi
tornare all’importuno che la fissava beffardo colle braccia appoggiate sul
volante “Sei ancora qui, cocco? Ti avverto che porto sempre un bisturi, nella
borsetta!”
L’altro
non si scompose: “E da quando? Credevo lo tenessi nella giarrettiera.”
La
donna impallidì, sgranando i bellissimi occhi verdi. La sua compagna, più
inquieta per l’incauto zerbinotto che non per lei, la vide spalancare la bocca
e poi chiuderla lentamente per sussurrare: “Pezzo di farabutto…!”
“Fisionomista,
eh?” commentò l’intraprendente aviatore sfilandosi gli occhiali scuri. Come lo
riconobbe, anche l’infermiera bionda alzò gli occhi turchini verso il cielo,
coprendosi con la mano il volto lentigginoso.
“Questo
scherzetto ti costerà caro, sai?” gli prospettò la mora, con la voce più acida
che poteva, mentre si accomodava sul sedile davanti.
“Sono
davvero esterrefatta, Andy” commentò la sua collega, con un più rassicurante
tono semiserio, mentre saliva su quello di dietro “una cosa del genere me la
potevo aspettare dal mio Terry…. ma da te…!”
“Non
penserai che mi faccia batttere da un inglese” le rimpallò l’amico, facendo
ripartire la vettura “e poi stavo scherzando, che diamine!”
“Certo,
come no…!” commentò sarcastica Flanny, mentre si aggiustava i capelli mossi dal
vento della corsa.
“E
dai, amore” replicò il marito, con la voce già un po’ più agitata “guarda che
vi avevo riconosciute da lontano. Non crederai davvero che uno come me si metta
a rimorchiare?”
“È
la prima cosa che hai fatto quando ti ho conosciuto, se non ricordo male!”
rispose la consorte, tenendo le braccia conserte.
“E
poi l’uomo è sempre cacciatore, no? Specialmente un pilota da caccia” aggiunse
scherzosa la bionda “farai bene a tenerlo d’occhio, Flanny!”
“Lo
penso anch’io” convenne quest’ultima, lanciando all’amica un’occhiata eloquente
“e ogni infrazione sarà sanzionata… cominciando da stasera!”
“Bada
che volo anche domani: se mi cala il rendimento, potrebbero accusarti di
collaborazione col nemico!”
“L’hai
presa a rovescio, furbone” lo corresse la moglie, con un sorrisetto maligno “il
tuo rendimento può stare tranquillo, perché ti aspettano tre giorni
d’astinenza!”
“COSA…??!”
sobbalzò l’altro, mentre la jeep sbandava con violenza, provocando un
singultone alla povera Candy “Non fai sul serio…!!”
“Hai
ragione: facciamo una settimana!”
L’espressione
sgomenta del pilota fu ben presto sostituita da un ghignò di ottimistica
incredulità: “Ahh…! Di che mi preoccupo? Non potresti mai resist…”
“Scusa,
Andy, ma dove ci stai portando…?” domandò all’improvviso la bionda,
accorgendosi che stavano uscendo di città, anziché dirigere verso il quartiere
dove avevano i loro alloggi (e anche per interrompere quell’imbarazzante
conversazione fra i due coniugi).
“Facciamo
un salto alla base del 22° Gruppo. Devo riferire a Richardson alcuni dettagli
sulla prossima missione.”
“E
non potevi mandare qualcuno?” gli chiese Flanny “Di solito te le sbriga Stone,
queste faccende!”
“Hai
ragione, ma c’è un altro motivo…”
“Sarebbe?”
“Proprio
stamani arriva il nuovo equipaggio della 44a Squadriglia di Buck
Lang.”
“E
tu cosa centri, se il Gruppo lo comanda Richardson e Sanders comanda lo Stormo?
Sono così importanti da essere accolti direttamente dal comandante della Forza
Aerea?”
“Lo
sai che ci tengo a conoscere di persona tutti i componenti della mia
organizzazione.”
“Sì,
lo so!” rispose lei guardando davanti a sé con un lieve sorriso di
compiacimento. Dopotutto il suo uomo non era cambiato, dai tempi della Cina, a
dispetto di quelle stellette da generale che ora gli spuntavano dalle spalline
della giacca. Anche se le sue responsabilità erano cresciute vertiginosamente
in quei tre anni di guerra, Andrew Steve Greason continuava a sentirsi vicino
anche all’ultimo dei suoi sottufficiali. Superfluo aggiungere che Flanny era
fiera di questo fatto e anche Candy lo stimava notevolmente, quantunque il
rapporto col marito della collega continuasse a non essere del tutto sereno.
La
continua vista dei feriti negli ospedali, la disperazione dei congiunti di
coloro che morivano e di quanti cadevano prigionieri, le notizie sui terribili
bombardamenti eseguiti sull’Europa occupata (ai quali la stessa Forza Aerea di
Andy prendeva parte), la cronica repulsione insomma di tutto quanto sapeva di
guerra impediva a quella ragazza coraggiosa e generosa di provare tutto
l’affetto che pure avrebbe voluto sentire per il compagno della sua ritrovata
amica. E di questo ci soffriva, perché le sembrava di fare un torto a Flanny,
mentre questa le dimostrava ormai quotidianamente quell’amicizia che una volta
era stata soltanto fredda stima.
Ma
c’era anche dell’altro. Forse la figlia adottiva degli Andrew provava
addirittura un sottilissimo rancore per ciò che quell’uomo, altrimenti
straordinario, faceva passare alla sua dolce metà. Perché Candy lo vedeva quel
leggero tremore alle mani che Flanny avvertiva spesso, quando non era in sala
operatoria. Si accorgeva di quei brevi sussulti che agitavano le sue membra
quando squillava all’improvviso il telefono. Le notava quelle lacrime furtive
che l’amica si tergeva con rapidità quando apprendeva di un collega del marito
con la vita stroncata a 20000
piedi[2] dalle
spietate raffiche di un Messerschmitt
o di un Focke Wulf. Oh, lei li
conosceva bene, tutti quei sintomi… non erano solo gli occhiali a rendere
Flanny Greason sinistramente simile a Patricia O’Brian, prima che il suo
fidanzato cadesse in azione!
Una
sera il nostro pilota era venuto a prendere la mogliettina all’ospedale,
presentandosi con un vistoso cerotto sulla fronte e la garza ancora rossa di
sangue. Flanny, dopo essere impallidita davanti a quella “specie di orrore” (la
perizia dei sanitari delle basi lasciava spesso a desiderare, visto che molti
di loro entravano in servizio dopo un frettoloso corso superficiale) l’aveva
trascinato di peso in ambulatorio, dove gli aveva suturato la ferita come si
deve. Poi, prima di rincasare, la signora Greason si era ritirata in bagno e,
siccome tardava, Candy era tornata indietro a cercarla… trovandola appoggiata a
una parete, con le spalle scosse dai tremiti e dai singhiozzi.
“Due
pollici, Candy…” le aveva sussurrato, dopo che lei l’aveva stretta fra le
braccia “…s’è salvato per soli due pollici…!!”[3]
Quella
era stata l’ultima goccia e più tardi, in un momento in cui erano soli, la
biondina aveva affrontato di petto l’amico: “Per quanto tempo la farai soffrire
così?” gli gridò, scuotendolo fortemente “per quanto tempo, ancora?!”
“Candy,
ti prego… lo sai che non è colpa mia!”
“Sì
che lo è, invece: ormai sei un ufficiale superiore, non dovresti nemmeno volare
più! E invece continui a rischiare la pelle… si può sapere perché lo fai?”
Lui
chiuse gli occhi e sospirò, cercando la migliore risposta che potesse trovare.
Quando credette di esserci riuscito, le disse: “Perché se no mi sentirei un
verme, nei confronti dei miei compagni!”
“Capisco”
rispose l’altra, fissandolo con due occhi di giaccio “e nei suoi confronti come ti senti, invece?”
Andy
strinse la mascella. Quella benedetta ragazza era davvero un osso duro.
“Malissimo”
le rispose, dopo alcuni attimi spiacevoli “ma è proprio la sua presenza, la
forza del suo sentimento… che non mi abbandona nemmeno lassù… a permettermi di
dare sempre il massimo, in modo da poter ritornare da lei!”
“Non
c’è mai nulla di scontato, Andy” ribatté l’amica, cogli occhi lucidi “io l’ho
dovuto imparare più volte, sulla mia stessa pelle! Se un giorno tu…”
“Credi
che non l’abbia messo in conto?”
“Ma
Signore Iddio!! E credi che questo cambierebbe le cose?!”
“No,
non le cambierebbe” l’uomo tornò a sospirare, assumendo un’espressione cupa “e
nemmeno noi possiamo cambiarle, Candy… è la guerra, purtroppo!”
A
sentire ciò, la donna strinse i denti e suo malgrado gli lanciò uno sguardo di
puro astio, non tanto suscitato da lui, quanto dall’uniforme che indossava.
“Se
tanti… come te… non scegliessero il mestiere delle armi, forse la guerra non
scoppierebbe mai!”
Andy
accolse quel severo giudizio con un sorrisetto amaro: “Non basta essere
pacifici, per vivere tranquilli, amica mia” le rispose bonariamente “leggiti un
libro di storia: Si vic pacem para bellum,
dicevano i Romani!”[4]
“Una
bestemmia, nient’altro…!” ribatté Candy, con tono duro.
“Non
pretendo di poterti smentire” rispose lui, pacatamente “ma credo che, se le
democrazie europee si fossero armate più adeguatamente, soprattutto in campo
aereo, non ci saremmo ritrovati coi nazisti fino ai Pirenei… e se lo stato
maggiore sovietico non fosse stato composto da un branco d’incompetenti, purché
di provata fede, i crauti non
sarebbero arrivati fino al Volga… e se la Cina avesse avuto un esercito
efficiente, i giapponesi non avrebbero potuto colonizzarla in buona parte, per
poi sentirsi in grado di attaccare anche noi occidentali!”
La
ragazza sospirò, riacquistando un po’ di calma. Il discorso del suo amico non
faceva molte grinze, ma lei lo trovava un po’ troppo teorico: “E se anche i
rapporti di forza fossero stati invertiti, chi te lo dice che la guerra non
sarebbe scoppiata lo stesso?”
Ma
se Candy sperava di pungerlo sul vivo venne delusa, perché Andrew Steve Greasonalzò fieramente il petto: “Me lo dicono i principi di
libertà e di giustizia su cui poggiano gli ordinamenti degli stati liberi… in primis, la nostra Costituzione!” il tono
dell’aviatore era colmo di rispetto, considerando che il suo trisavolo,
Jonathan Mc Geen, aveva partecipato alla Guerra d’Indipendenza, rimanendo
ferito a Saratoga. Ma l’interlocutrice del suo discendente poteva mostrargli
anche lei di non essere affatto digiuna, in materia di storia…
“Davvero?”
gli rispose, incrociando le braccia “Si vede allora che questi principi erano
stati messi in cantina, quando confiscammo la terra ai Pellirosse… o quando
togliemmo il Sud-Ovest al Messico… o dichiarammo guerra alla Spagna…”[5]
Maledicendo
la biblioteca della Saint Paul School
Andy deglutì nervosamente: “Beh… nessun Paese perpetua indefinitamente nel
tempo i politici migliori. Non puoi negare che, nell’epoca presente, i peggiori
si trovano tutti dall’altra parte… perlomeno in senso relativo!”
Candy
fu costretta ad annuire: “Questo te lo concedo… ma anche tu non puoi negare
che, ancora una volta, si sia lasciata troppo facilmente la parola ai cannoni!”
“Io
non sono di questa opinione: ci hanno provato, a trattare con quel pazzo.
Ricordi la conferenza di Monaco? Non è servito a niente: la Cecoslovacchia è
stata occupata lo stesso, anche se aveva ceduto i Sudeti. Poi i tedeschi hanno
attaccato e occupato la Polonia, poi la Danimarca e la Norvegia, poi l’Olanda,
il Belgio e la Francia… l’Inghilterra si è salvata soltanto perché è un’isola e
grazie al valore dei miei colleghi della RAF!
Poi hanno attaccato la Russia e infine istigato il Giappone ad aggredirci. Tu
lo sapevi, cara Candy, che i nipponici ci hanno attaccato proprio durante i
colloqui di pace?”
“Sì,
lo so… ma è proprio ciò che ti stavo dicendo prima: se quei pazzi di Hitler,
Mussolini e Hiroito non avessero potuto contare su tanti volontari disposti a…”
“Non
è una questione di volontari” lo interruppe lui “in quelle dittature ti
comandano di partire e tu vai. Non è consentito il dissenso, pena la vita!”
“Oh,
senti… non verrai a dirmi che laggiù non esistono volontari…!”
“Certo
che esistono, ma la maggior parte sono dei fanatici… persone indottrinate dal
regime fino a convincersi che la prosperità del proprio Paese si ottenga con la
sottomissione di quelli altrui, che ritengono abitati da popoli inferiori!”
Sospirando,
Candy guardò l’amico con uno sguardo obliquo, intriso di materna benevolenza:
“Andy, tesoro… perdonami, se te lo dico… ma sei proprio sicuro che non abbiano indottrinato un po’ anche te…?”
“No
davvero” il suo quasi omonimo scosse la testa, mantenendo un’espressione molto
seria “vedi, Candy, io ci sono stato, in Germania… e ho visto!”
“Che
cosa hai visto?”
“Ho
visto le adunate dei militi che marciavano al passo dell’oca. Ho visto gli
occhi dei giovani e degli anziani… e ancor peggio delle donne” lei sussultò
leggermente “fissare il loro fuhrer
in piena adorazione! Ma soprattutto ho visto le ordinanze contro gli ebrei e
quei disgraziati che circolavano con la stella gialla sul pastrano e gli occhi
velati dalla paura. E poi, quella volta, in quel parco di Berlino…”
“Cos’è
successo…?” lo incalzò Candy, con la massima attenzione.
“Ho
visto due ragazzi della Hitlerjugend[6]
pestare a sangue un povero vecchio, con sua moglie che urlava supplicando verso
due poliziotti di ronda… mentre quelli assistevano alla scena, sghignazzando!”
L’amica
rimase senza fiato. Poi sussurrò, timorosa della risposta: “E tu… che cos’hai
fatto…?”
“Beh…
naturalmente ho visto rosso e sono scattato, a dispetto dei richiami del mio
superiore, che era con me… ho afferrato per la collottola uno di quei
mascalzoni e l’ho steso con un uppercut ben piazzato! Naturalmente quei dannati
sbirri stavano per avventarsi su di me, quando il nostro addetto aeronautico ha
mostrato al più anziano le sue credenziali diplomatiche… così si sono limitati
a dividerci e a riaccompagnarci in ambasciata.”
“E
com’è finita?” chiese ancora Candy, ansiosamente.
Andy
alzò le spalle: “È finita che ho dovuto sorbirmi una filippica interminabile
dal nostro ambasciatore… e il giorno dopo stavo già volando verso la Svizzera,
espulso dal Paese! Non ti nascondo che quell’incidente ha avuto un certo
strascico sulla mia carriera… ma avevo imparato una cosa…”
“Quale?”
“…che
purtroppo il diritto ha bisogno della forza, per essere applicato” sospirò lui,
stancamente “e che certe ideologie perverse non si sconfiggono col dialogo e la
diplomazia, ma solo neutralizzando la potenza militare che le sostiene. Vedi,
Candy… io ero entrato in aviazione soltanto per acquisire in modo rapido le
competenze che mi permettessero, una volta congedato, di guadagnarmi la vita come
pilota civile…”
“Ma
se sei entrato in Accademia…!” lo interruppe lei, con una nota di scetticismo.
Lui
voltò le mani in su: “Soltanto perché i miei genitori pretendevano da me
un’istruzione superiore. Ti assicuro che sono stati i quattro anni più lunghi della
mia vita e se sono riuscito a superarli è stato solo per il desiderio di
passare successivamente alla Scuola di Volo!”
“E
ora…?”
“Che
cosa?”
“Sei
contento di essere un soldato?”
Andy
la guardòper un lasso di tempo abbastanza
lungo, poi rispose serenamente: “Diciamo che sono contento di poter dare il mio
contributo per abbattere le tirannie del nostro tempo… e per far sì che mia
moglie e mio figlio vivano domani in un mondo migliore di quello attuale!”
Dalla
voce ferma e dalla limpidezza del suo sguardo, la dolce Candy non ebbe più
nessun dubbio sulla sua buona fede. Avvicinatasi a lui, alzò la mano destra per
accarezzarlo sulla guancia: “Promettimi solo una cosa…” mormorò.
“Quale…?”
“…fa’
in modo di esserci anche tu, insieme con loro!”
Andy
ebbe un guizzo, ma poi annuì, con un pallido sorriso: “Farò del mio meglio…!”
La
biondina gli scoccò un tenero bacetto sulla guancia e se ne andò. Camminando
lungo il corridoio per tornare alla sua corsia si rese conto di capire meglio
l’eroico stoicismo di Flanny nel sopportare tutta quella tensione. Qualche
tempo prima, quando le aveva raccontato della sua povera amica Patty,
rammaricandosi di come quest’ultima non avesse cercato di dissuadere il suo
ragazzo dal partire per la Cina, la signora Greason aveva pronunciato una frase
che adesso Candy ricordavachiaramente: “Quando un uomo mette in gioco la
propriavita per quello in cui crede, la
sua donna tiene la bocca chiusa!”
***
Dopo
avere attraversato il posto di controllo della base di Lafayette Field, ubicata poche miglia a nord della cittadina
portuale di Newhaven, Andy Greason arrestò la jeep davanti alla palazzina del
comando, varcò l’ingresso e si recò immediatamente nell’ufficio del Servizio
Informazioni, seguito dalle due donne. Al suo avvicinarsi un aitante capitano
si alzò di scatto dalla scrivania: “Buon pomeriggio, signor generale!”
“Salve,
Ferguson… dov’é il colonnello Richardson?”
“Su
alla torre, assieme al maggiore Lang e al capitano Swanson. Stanno aspettando
il contatto del nuovo equipaggio, in arrivo dall’Irlanda del Nord.”
“Allora
vado là. Ragazze” le due interruppero la loro sporadica conversazione per
voltarsi verso di lui “se volete, potete aspettarmi qui: il gabbiotto della
torre non è un luogo particolarmente confortevole!”
“Staranno
più comode nell’ufficio del colonnello, signore” intervenne l’ufficiale dell’Air Intelligence “le accompagno io!”
“Non
importa: sono così stanca che mi basterà quella poltroncina!” rispose Flanny,
stoica come sempre.
“Per
me va bene anche questa sedia” aggiunse Candy, servendosene “tu va’ pure, Andy:
noi restiamo qui. Sempre se non la disturbiamo!” concluse, diretta a Ferguson.
“Niente
affatto” rispose questi con un largo sorriso “il piacere sarà tutto mio…!”
“Bene”
approvò il generale, con un sommesso borbottio “allora ci vediamo più tardi.”
Greason
si richiuse la porta alle spalle, mentre le due amiche si guardavano
ammiccando, coprendosi la bocca per trattenere un risolino.
“Gradite
un caffè, signore?” chiese il capitano avvicinandosi ad un bricco posto sopra
un tavolinetto.
“Sarebbe
proprio quel che ci vuole!” approvò Flanny.
Anche
Candy assentì: “Sono d’accordo.”
Dopo
avere versato il bricco nella tazza che aveva porto alla moglie del generale,
Ferguson passò a servire la sua collega: “Ecco a lei, signora!”
Candy
arrossì: “Signorina, prego!” lo corresse poi, con lieve moto di disappunto.
“Ah,
mi perdoni…” si scusò il capitano, con leggero imbarazzo “…ma è la prima volta
che la vedo capitare da queste parti. Anzi, se permette” riallargò il sorriso e
si portò scherzosamente la mano alla fronte “capitano Lionel Ferguson!”
“Molto
piacere” le rispose la giovane, mantenendo però un sorriso distaccato “Candice
White!”
“Incantato,
miss Candice… posso chiamarla Candy, vero?”
“Se
proprio ci tiene…”
*Già…
ad andare in cerca di guai!* commentò Flanny, fra sé e sé, assistendo divertita
a quel vano corteggiamento. Aveva ancora ben impresso nella mente il primo
incontro fra il marito e un affermato attore di Broadway, terminato - a causa
di un malinteso - col ricovero precauzionale di entrambi gli interessati
(l’incidente aveva quasi messo a repentaglio la saldezza dell’alleanza
anglo-americana)!
“Ma
lo sa che è davvero curioso?” disse ancora l’ufficiale “Avevo già sentito il
suo nome, di recente!”
“Davvero?”
Candy pensò bene di sgonfiarlo un po’ “Sarà stato durante una libera uscita…!”
disse strizzando l’occhio all’ex condiscepola, che le sorrise compiaciuta,
pensando: *Finalmente sei cresciuta, ragazza!*
“No,
no… niente del genere” obiettò Ferguson, arrossendo a sua volta “l’avevo solo
letto sopra uno dei miei moduli… dov’é che l’ho messo? Ah, eccolo qui…”
Le
due infermiere stavano fissandosi nuovamente con aria interrogativa, prima di
tornare a guardare il capitano: “Eh, volevo ben dire: è proprio il B-17 che stiamo aspettando… numero di
matricola 229815, identificativo Delta-Fox-Fox[7]… nome
di battesimo Candy Candy… ufficiale
pilota…”
“Senti
senti” saltò su Flanny, sorridendo maliziosa all’amica, ma avendo più che altro
lo scopo di scoraggiare ancor di più l’intraprendente giovanotto “non è che a
bordo ci sarà qualche altro tuo spasimante?”
“Tsk…
temo proprio di sì…!” rispose Ferguson per lei, visibilmente contrariato.
Notando
che il bel viso della compagna manteneva un’espressione più sgomenta che
stupita, la buona Flanny pensò bene di dare un taglio all’umorismo: “Via, cara:
stavo scherzando. Non avertene a male, ma in America sono milioni le ragazze
che si chiamano come te…!”
L’interessata
si riscosse e parve ripetersi ciò che aveva sentito, sebbene ci fosse un
particolare che non la tranquillizzava nemmeno un po’…
“Col
nome doppio…?” chiese poi, con voce
un po’ tremula.
Colpita
da questa osservazione, la mora si accigliò e si rivolse a Ferguson, che era
rimasto immobile col modulo in mano e la faccia ormai priva d’ogni residua
baldanza: “Capitano, sarebbe così gentile da leggerci la lista di
quell’equipaggio?”
L’ufficiale
fece una smorfia: “Sono dolente, signora Greason… ma il regolamento non mi
permette di passare un’informazione riservata a delle civili!”
Dopo
avere inspirato una copiosa boccata d’aria, la moglie del generale cominciò a
numerare con le dita: “Primo, noi due non siamo civili qualunque, ma infermiere
assegnate all’assistenza delle forze armate. Secondo, lei sta parlando con la
moglie del comandante in capo dell’intera Forza Aerea. Terzo, stava per
passarci lei stesso quest’informazione riservata solo pochi istanti fa, prima
che io la interrompessi. Quarto…” qui schiarì la sua tipica grinta, facendo gli
occhi dolci a quel ganimede gallonato “…suvvia, sia gentile e faccia uno
strappo. La mia collega è persona fidatissima: garantisce mio marito, per lei.
E poi non lo vede com’è turbata? Non potrebbe certo, nelle sue condizioni,
assistere ancoracon efficienza i nostri
ragazzi!”
Lionel
Ferguson spostò lo sguardo dalla coduta infermiera bruna alla collega dagli
stuzzicanti codini biondi e alla vista di quegli imploranti occhi celesti si
rassegnò a rischiare la carriera. Riabbassato il viso, sciorinò allora
meccanicamente e con voce atona i dieci nominativi che avevano dattilografato
su quel maledettissimo pezzo di carta.
***
“Torre
di Lafayette a Fox Otto-Uno-Cinque[8]…
siete autorizzati a scendere sulla pista 1: vento di 4 nodi a favore. La
squadra antincendio è già in posizione. Benvenuti a Newhaven, ragazzi!”
annunciò il sergente Johnson, marconista della torre di controllo.
“Delta-Fox ricevuto… salute a voi.
Teneteci pronto qualcosa di caldo!” rispose una giovane voce dal marcato
accento campagnolo.
“Nessun
problema, Delta-Fox” rispose il
marconista “dopo il rapporto sul trasferimento, potrete scolarvi tutto il caffè
che volete!”
“Ci
occorrono anche dei letti decenti, se non è chiedere troppo!” aggiunse una voce
più matura, dal tono decisamente più snob.
“Faremo
il possibile, comandante” disse ancora il sergente Johnson “per ora vogliate
procedere con l’atterraggio. Passo e chiudo!”
Il
colonnello John Bart Richardson, comandante del 22° Gruppo da Bombardamento, si
girò verso il generale Greason, suo vecchio compagno d’Accademia: “Esigenti, i
nuovi acquisti, non è vero?”
“Già…
soprattutto il capo-equipaggio. Speriamo bene!” rispose costui.
“Dopotutto,
lo hai scelto tu…!”
“Sì,
ma non è che avessi molte alternative. L’Ottava e la Quindicesima possono
permettersi di pretendere il meglio, in quanto a equipaggi, ma noi…”
“Simpatici,
Eaker e Doolittle,[9] a lasciarci gli scarti di
magazzino…!”
“Che
ci vuoi fare?” Andy allargò le braccia “Con la scusa che la nostra è una forza
jolly per impegnare i crucchi nella Francia settentrionale, in vista del futuro
sbarco e che noi, del suo Stato Maggiore, siamo speciali nell’estrarre il
meglio da tutti i complementi, perché mai dovrebbero mandarci il personale
uscente dalle migliori selezioni?”
“Un
ragionamento davvero calzante” grugnì ancora Richardson “anche se potevano
almeno evitare di scaricarci elementi con trascorsi disciplinari…!”
“In
guerra non si può scartare nulla” sospirò ancora il generale “in fondo, tutto
l’equipaggiamento che ritenevamo necessario per svolgere il nostro compito, ce
l’hanno concesso: volevamo i razzi aria-terra per distruggere i convogli
tedeschi nelle retrovie e ce li hanno mandati; volevamo le Fortezze Volanti per
spianare gli scali ferroviari e i depositi logistici e le abbiamo avute. Non
potevo fare il difficile con Arnold e Spaatz,[10]
anche sugli equipaggi!”
“Non
si preoccupi, signore” intervenne un ufficiale dalla corporatura robusta e i
lineamenti marcatamente teutonici “se occorre dare loro una raddrizzata, provvederò
io!”
Il
comandante della Decima FA si voltò verso il comandante della 66a
Squadriglia, che avrebbe preso in consegna il nuovo equipaggio, sorridendogli
con fiducia: “Conto su di lei, Buck… so che ne farà dei veri uomini!”
“Ci
può scommettere” confermò il maggiore dalla capigliatura biondiccia “quel
signorino imparerà alla svelta che qui non siamo nell’alta società!”
“Hai
poi deciso di metterlo in pattuglia con Swanson?” domandò il comandante di
gruppo.
“Sì,
colonnello. Mi sembra la soluzione migliore: Nat è un capo-pattuglia di polso e
Askey, il suo gregario destro, è un ottimo elemento, soprattutto nel rispetto
delle procedure. Compenserà le deficienze dell’altro, finché dureranno.”
“Beh,
mi pare azzeccato” approvò Andy “d’altra parte, Buck, lei ha già il suo daffare
nel controllare uno come Morrison!” concluse con un ghigno.
“Non
me lo dica, signore” sbuffò Lang “per fortuna il problema riguarda soltanto la
libera uscita, perché in volo è un gran bravo pilota!”
“Ehi…
che diavolo succede, là fuori…?!” esclamò improvvisamente Richardson.
Anche
gli altri notarono l’agitazione apparsa di colpo sul terrazzo della torre e si
affrettarono ad uscire dal casotto. Andy si avvicinò ad un ufficiale munito di
binocolo, affacciato alla ringhiera che dava sul piazzale.
“Che
succede, capitano?”
“Non
capisco, signore… guardi laggiù!”
Puntando
l’occhio nella direzione indicata il generale si accorse di un gruppo di avieri
che stava rincorrendo freneticamente una jeep, sopra la cui parte posteriore un
vistoso pannello giallo riportava la scritta nera Follow Me.[11] Era
la vettura segnalatrice che veniva mandata incontro agli aerei che atterravano
sulla base per la prima volta, in modo da guidarli verso le piazzole di
parcheggio. La sua presenza nell’attesa del nuovo B-17 era quindi del tutto normale, ad eccezione di quel misterioso
inseguimento.
“Santo
Cielo… sarà mica un sabotaggio?!” esclamò il capitano Nathan Swanson, temendo
si trattasse di un agente nemico che si fosse impadronito del veicolo per
impattarsi contro la Fortezza e farla saltare in aria! Ma il cervello di Andy
Greason, allenatissimo a elaborare tutte le situazioni in maniera pressoché
istantanea, realizzò che un sabotaggio simile non era molto pratico, perché i
serbatoi del velivolo dovevano essere ormai quasi vuoti, dopo le ultime 355
miglia da Belfast (dove veniva eseguito un rifornimento appena sufficiente) e
le probabilità di distruggere completamente il bombardiere sarebbero state
troppo basse per pagarle con la “bruciatura” di una spia.
“Mi
dia quel binocolo, Dumfryes…!” ordinò al responsabile del controllo aereo.
Andy
puntò le lenti verso il segnalatore, sempre inseguito da tre componenti del
personale di terra, mentre dalle baracche del presidio aeroportuale stavano
sopraggiungendo altre quattro jeep gremite di soldati e munite di
mitragliatrici Browning da mezzo
pollice. Subito dopo fu costretto a deglutire per combattere lo sconcerto,
mentre scuoteva incredulo la testa. Poi si affrettò a rientrare nel casotto,
dov’era piazzato un microfono collegato all’impianto per le comunicazioni.
Pochi secondi più tardi la sua chiara voce si diffondeva attraverso gli
altoparlanti per tutta la base: “Messaggio per le squadre della sicurezza:
ordine tassativo di non aprire il
fuoco. Ripeto: non aprite assolutamente
il fuoco…!!”
Quindi
uscì di nuovo per dirigersi alla scala esterna che collegava il terrazzocol piano inferiore: “Andiamo giù, presto!” disse ai
suoi subordinati, che lo guardavano cogli occhi fuori dalle orbite.
“Ma
chi diavolo sta portando quel seguimi...?!”
chiese Richardson, al colmo dello stupore.
“Soltanto
la sanità… ma non è quella di questa base….!” rispose asciutto il generale
mentre scendeva le scale precipitosamente.
***
Per
quanto Flanny Greason potesse ormai asserire di conoscere piuttosto bene la sua
collega di lavoro e passata compagna di studi alla Scuola Mary Jane, doveva pure ammettere che la sua capacità di
stupire rimaneva sempre abbastanza efficace.
Nell’udire
il primo nome contenuto nella lista di Ferguson, la nostra amica aveva sbarrato
gli occhi; al secondo aveva sussultato e al terzo aveva stretto i pugni…
all’ultimo s’era infine alzata con un’aura talmente nera da indurre il non più
esuberante ufficiale a nascondere parzialmente la sua faccia dietro al modulo
che teneva in mano. La stessa Flanny - ed era tutto dire - s’era leggermente
spaventatadavanti a quello sguardo che
avrebbe potuto incenerire anche un blocco di cemento armato!
Senza
pronunciare nemmeno mezza sillaba, la fiera Candice White Andrew girò
repentinamente su sé stessa e si fiondò fuori dal comando, dirigendosi verso le
piste di volo. Ai bordi della numero 1, un nutrito gruppo di aviatori stava
osservando la discesa finale di un Boeing
B-17 F dipinto nella mimetica da guerra,[12]
sulla quale spiccavano le vistose insegne gialle di reparto.
“Eccolo
là” commentò un ufficiale pilota dall’aspetto un po’ imberbe, ma dal deciso
sguardo d’acciaio “finalmente è arrivato il rampollo di buona famiglia…!”
“Già,
ho sentito parlare di lui” rispose un suo collega coi gradi di tenente “cognome
altolocato e curriculum censurato” poi ridacchiò, divertito dalla sua stessa
battuta “perlomeno dal punto di vista disciplinare!”
“Il
fatto curioso” aggiunse un terzo ufficiale dai capelli ricci “è che i suoi compagni
non sono affatto altolocati: pare che alcuni di loro provengano addirittura da
un orfanotrofio!”
“Beh,
mi sembra logico” commentò un altro tenente, dai capelli a spazzola “tutte le
mele marce in un paniere…!”
“C’è
poco da ridere, Irwing” lo riprese il suo comandante, passandosi una mano sui
capelli corvini “ci dovremo volare noi, in pattuglia con quelli!”
“Oh,
non temere, Al” ribatté l’interpellato, con noncuranza “ci penserà la Luftwaffe a drizzargli la schiena, se
non lo ha già fatto il riformatorio!”
“MA
COME SI PERMETTE…??!!”
Il
gruppetto di ufficiali, appartenente al bombardiere che sarebbe diventato il
compagno d’ala di quello che stava arrivando, girarono la testa per trovarsi di
fronte a “un gran bel pezzo di figliola” (questo fu il giudizio mentale del
tenente Sergio Mantano, co-pilota del Saint
Tail), la cui avvenenza rimaneva purtroppo parzialmente offuscata da una
collera davvero notevole. Discretamente imbarazzato, il tenente Irwing Seaton
l’apostrofò con un timido sorrisetto che illuminò timidamente la sua faccia da
moccioso: “Mi scusi, signorina… ho forse detto qualcosa che non va?”
“Per
sua regola, quello non è affatto un riformatorio,
bensì un orfanotrofio! E quelli non sono dei poco di buono… non tutti, almeno”
iniziò a tremarle la voce “sono solo… dei disgraziati…!”
“Se è per quello, sorella “intervenne
amaramente il capitano Alan Askey “quaggiù siamo tutti dei disgraziati!”
L’infermiera
lo guardò duramente, per poi annuire: “Ha ragione… ma quelli lo sono di più!”
“E
perché?” chiese l’ufficiale da capelli ricci, che rispondeva al nome di Rory
McChuck “Hanno solo staccato un biglietto per venticinque missioni di guerra,
esattamente come noi. Cos’hanno di speciale?”
La
dolce Candy squadrò severamente anche quel ragazzo, mentre sentiva la collera
trasformarsi fatalmente in malinconia.
“È
inutile” gli rispose, con gli occhi leggermente umidi “tanto lei non potrebbe
capire!”
“Via,
non si disperi” intervenne il tenente Mantano, con un sorriso ammiccante
(proveniva dalla scuola di Ferguson) “ho sentito che fra non molto i nostri
caccia disporranno dei nuovi serbatoi di riserva per poterci scortare fin sopra
Berlino… e se riusciremo aridurre le
perdite delle incursioni al di sotto del 4%, avremo finalmente la speranza di
tornare tutti a casa!”
L’infermiera
impallidì: “Co… come dice?” balbettò “Sol… solamente col quattro per cento…?!”
“Eh,
sì” le rispose il capitano Askey, gran patito della matematica “lei capisce:
anche al rateo del 4%, con venticinque missioni da compiere, ciascuno di noi è
già teoricamente morto…!”[13]
A
quella crudissima osservazione la giovane donna s’impietrì, per portare poi le
mani a comprimere le sue dorate chiome ricciolute, mormorando: “Non può
essere…!! Anche loro, no…!! Mio Dio…!!”
“Candy…”
la chiamò piano la sua collega, che l’aveva raggiunta silenziosamente.
“Ma
perché…? PERCHÉ, SANTODDIO…??!! PERCHÈÈÈ…???!!!” urlò quell’altra, disperata,
stringendo i pugni e chiudendo gli occhi. Quando li riaprì poté rivedere tutti
i presenti che le stavano sempre intorno, guardandola con muta e sincera
comprensione, congiunta ad una viva quanto grata simpatia. I suoi occhi si
posarono poi su quel bombardiere che
aveva già appoggiato le ruote principali sulla pista, a circa mezzo miglio da
loro e adesso abbassava dolcemente la coda per posare anche ilruotino. Una coppia di avieri si stava nel frattempo
avvicinando ad una jeep, sulla quale era montato un traliccio reggente un
cartello con la scritta seguimi,
sormontato da due fanalini di segnalazione.
“Dai,
Jeff… andiamo a prendere i nuovi polli!” disse uno di loro.
A
sentire quell’ultima “spiritosaggine” la povera Candy non poté più dominarsi.
Scattò verso la vettura, scansò bruscamente l’aviere più vicino e si piazzò al
volante. Prima che i due specialisti potessero riaversi dalla sorpresa, videro
il seguimi dirigersi a tutta birra
verso la Fortezza, facendo lampeggiare le sue luci arancioni.
Quando
fu in grado di connettere, l’aviere scelto Jeff Bowman parlò lentamente al
collega: “Sai… quand’è scoppiata la guerra mio cognato faceva il tassista a
Honolulu. T’ho mai raccontato cosa gli è successo?”[14]
***
“Porca
vacca” esclamò sbadigliando il giovane co-pilota che aveva dialogato con la
torre, mentre si stiracchiava con voluttà “sono pieno di crampi dappertutto…
scambierei volentieri il purosangue che mi ha donato l’anno scorso il mio
vecchio per un morbido materasso di piume…!”
“Bel
cow-boy degenerato, che sei” ribatté alle sue spalle il motorista, un ragazzo
dall’aspetto decisamente più maturo “hai pronunciato una vera bestemmia!”
“Lo
spirito è forte, Tom, ma la carnaccia è debole! Da quante ore siamo volo?
Dodici o quindici…?”
“Tolte
le soste, dal decollo al Mitchell sono
esattamente tredici ore e ventitre minuti!” lo informò il navigatore, dal
comparto di prua.
“Ouch…!
Facevi meglio a non rispondermi, Cookie” gemette il co-pilota, grattandosi la
schiena “come va il tuo mal d’aria, piuttosto?”
“Mi
ha piantato in mezzo all’Atlantico, Jimmy… e spero che rimanga laggiù!”
“Ancora
non capisco che ci fa in aviazione uno come te” intervenne il puntatore,[15]
seduto vicino a lui “col tuo curriculum nel servizio mercantile, se ti fossi
arruolato nella Navy, a quest’ora saresti già vice-ammiraglio!”
“Può
darsi, Charlie. Ma quando la Seagull
è stata colata a picco da quell’U-Boat e mio suocero è tornato a casa più morto
che vivo, Sandra me l’ha proibito tassativamente!”
“E
tu, da bravo marinaio, hai eseguito in silenzio.” commentò il marconista, con
ironia.
“Esattamente,
Gil!”
“Dolce
tirannia, il tuo nome è femmina” decantò nuovamente il secondo pilota, voltando
poi la testa verso il posto di sinistra “vero, capo?”
“Falso,
Jimmy” rispose secco il comandante, muovendo le manette per togliere potenza
“per quel che riguarda me, era piuttosto amara!”
“Scusami,
Neal… dimenticavo!” mormorò allora il compagno, con un guizzo.
“Lascia
perdere e abbassa quelle ruote!”
Il
co-pilota azionò allora l’interruttore per la discesa del carrello,
controllando che la successiva accensione della spia verde confermasse
l’avvenuto bloccaggio. Tenendo quindi d’occhio l’indicatore di velocità, il
tenente Curtright iniziò a scandirne i valori per dar modo al capitano Legan di
regolarsi sulla manovra: “220 nodi… 200… 180…”[16]
“Giù
i flaps!” ordinò il comandante.
“Fatto!
150 nodi… 120… 90…”
Due
colpi ovattati, uniti a unleggero stridore,
annunciarono che le ruote anteriori avevano toccato il cemento della pista.
Neal richiamò dolcemente la cloche per consentire alla coda di abbassarsi e
quando toccò terra anche il ruotino, Jimmy lo sbloccò per lasciarlo libero di
sterzare. Il Candy Candy si era
finalmente posato sul suolo britannico.
Premendo
entrambi i propri pedali, i due piloti agirono sui freni, in modo che la velocità
del bombardiere si riducesse a quella normale di rullaggio.
“Sta
arrivando il seguimi!” annunciò il
tenente Charlie Boyle, osservando l’esterno dall’estremità del muso di
plexiglas.
“Vedo”
confermò il navigatore Cookie Laffey “ma che diamine fanno? Dovrebbero girarsi
col cartello verso di noi!”
Stranamente
il veicolo segnalatore, invece di eseguire l’approccio regolamentare, mantenne
il muso puntato verso la Fortezza, fino ad arrestarsi in mezzo alla pista, più
o meno a una trentina di metri…
“Che
mi venga… ferma, lassù…!!!” gridò Charlie, piuttosto allarmato.
Legan
e Curtright spinsero i pedali a fondo e il primo pilota tolse completamente il
gas: “Che cazzo succede??” domandò, abbastanza alterato.
“Non
lo so, ma qualcosa non va” convenne il suo secondo, slacciando la cintura e
togliendosi la cuffia della radio “tieni i motori accesi, Neal, scendo a
vedere!”
“Bene…!”
grugnì quest’ultimo.
Il
piccolo Jimmy girò attorno al suo sedile e s’infilò nella botola che metteva in
comunicazione la cabina di pilotaggio col comparto inferiore. Raggiunto quindi
il portello di uscita, si affrettò a spalancarlo…
***
Qualche
attimo prima la jeep con a bordo Andy Greason, John Bart Richardson, Buck Lang
e Nathan Swanson raggiungeva il bordo della pista n°1, dove gli altri equipaggi
della 66a Squadriglia stavano commentando animatamente l’accaduto.
Mentre arrestava la vettura il generale sentì la moglie che diceva al
comandante Askey: “Le sue spiegazioni sono state precisissime, capitano. La
ringrazio di cuore, soprattutto da parte della mia collega…!”
“Mi
spiace molto di averla impressionata, signora. Ma d’altra parte…”
“Flanny,
presto: monta su…!” le gridò suo marito.
Mentre
tutti scattavano sull’attenti salutando militarmente il comandante in capo,
l’infermiera si affrettò a montare sulla vettura, dopo che il colonnello
Richardson le aveva ceduto il posto. Con la sua abituale prontezza di riflessi,
il generale aveva compreso immediatamente come prepararsi ad affrontare meglio
quella bizzarra situazione.[17]
La
jeep ripartì di scatto verso il punto della pista dove la loro amica aveva
arrestato il seguimi, per avvicinarsi
poi al rullante bombardiere e bloccarsi di frontead
esso con le mani sui fianchi e i codini piegati in avanti dal risucchio delle
eliche. Ciò che l’aveva fermata era stata la vista della figura che decorava il
muso dell’aereo: una ragazza dalla bizzarra acconciatura bionda ornata da due
fiocchetti rossi, “austeramente” ricoperta da una spartana salopette di jeans e
da una camicetta a righe.[18] Alla
sua destra compariva, in caratteri gialli semicubitali, un nome uguale a quello
che aveva sentito dal capitano Lionel Ferguson.
“Ma…
ma quell’aereo…!!” esclamò Andy Greason a bocca aperta, non appena la sua vista
acuta gli permise di discernere a sua volta le fattezze di quella
personalissima “pin-up”. Anche Flanny riconobbe la figura, senza che la cosa
provocasse la minima incrinatura nella sua proverbiale compostezza.
“Ahimè,
non era una coincidenza…!” mormorò soltanto fra i denti.
Risoluto
a capirci qualcosa il suo consorte accelerò lamarcia,
ma prima che potessero giungere sul posto, avvenne un radicale mutamento di
scena…
Si
vide il portello di prua richiudersi con violenza dopo che un membro
dell’equipaggio si era già affacciato. Si videro le quattro eliche riprendere a
girare vorticosamente, mentre il timone di coda piegava tutto a destra in
compagnia del sottostante ruotino, in modo da permettere al velivolo d’infilare
repentinamente un provvidenziale taxi-way[19]… si
vide insomma il BoeingB-17 Flying Fortess modello F numerodi
matricola 229815, sigla identificativa DF-F,
battezzato col nome di Candy Candy
uscire dalla pista numero 1, percorrere il raccordo suddetto, raggiungere il
piazzale di parcheggio centrale, attraversarlo, infilare un secondo raccordo,
prendere la pista numero 3 e ridare tutta potenza ai quattro motori Wright Cyclone perridecollare in pochissimi istanti fra lo sbigottimento generale
dell’intera base di LafayetteField e a dispetto degli isterici
messaggi lanciati dal marconista Curly Johnson: “Torre a Delta-Fox…!! Torre a Delta-Fox…!!
Che diavolo di cacchio fate…?? Tornate giù immediatamente…!!!”
Ma
il sergente Gilbert Evans, ex distributore di giornali nella solatia Florida,
non rispose alle chiamate della torre. Aveva i suoi buoni motivi per questo,
anche se meno “tangibili” rispetto ad altri suoi compagni di equipaggio!
***
Andy
Greason, fermata bruscamente la sua jeep accanto a quella del seguimi, era disceso dirigendosi verso
la collega di sua moglie, ben deciso a ottenere una spiegazione plausibile per
il suo comportamento eterodosso (frammenti di conversazioni avute con Flanny e
coi coniugi Cornwell facevano diabolicamente capolino nella sua mente). Quando
prese però coscienza di ciò che stavano facendo i nuovi complementi li rincorse
istintivamente per una manciata di metri, dopodiché allargò le braccia
sconsolato per farsele ricadere sulle cosce. Si portò la mano alla fronte,
scosse ancora la sua povera testa intronata e guardò in viso il maggiore Lang,
che lo aveva rapidamente raggiunto.
“S’incomincia
proprio bene…!” commentò il comandante di squadriglia.
“Ma
che succede, qui…?!” sibilò il generale, rifiutandosi di credere a ciò che
aveva visto.
“Non
capisco neanch’io, signore” osservò pacatamente il capitano Swanson “a quanto
pare sono ripartiti…!”
“MA
COSA SONO, SCEMI…??!! Avranno si è no carburante per dieci minuti! E per andare
dove…? Cosa diavolo gli ha preso?!”
“Lo
sa soltanto il diavolo” replicò il maggiore Lang, grattandosi il mento irsuto
“sembra che qualcosa li abbia spaventati!”
“E
SI PUÒ SAPERE COSA CACCHIO POTREBBE AVERLI…” mentre urlava, ormai fuori di sé,
Andy incrociò lo sguardo della sua “quasi omonima”, la cui cupezza, tutt’altro
che comprensiva, bastò a dissipare le sue restanti perplessità. Prese allora un
respiro profondo, raddrizzò le spalle quasi a rischio di cascare all’indietro e
si piantò a mezzo metro da lei, fissandola con decisione nei suoi bellissimi
occhi azzurri.
“Candy…
credo tu mi debba delle spiegazioni!” esclamò, con le mani sui fianchi.
Lei
scosse leggermente la testolina dorata: “Ti sbagli, caro: sei tu che le devi a me!!” rispose con tono glaciale tenendo le braccia conserte.
“Okay,
vedo che dobbiamo parlare. Maggiore…”
“Comandi!”
sospirò il leader della 66a Squadriglia.
“Tornate
alla torre e fate rientrare quei disgraziati. Dite loro che, qualunque cosa abbiano visto, non la
ritroveranno qui nuovamente. Chiaro?”
“Affermativo.
Andiamo, Swanson!”
“Signorsì…!”
rispose il capitano.
I
due ufficiali montarono sul seguimi e
ripartirono alla volta della torre di controllo, mentre il comandante della
Decima Forza Aerea risaliva sull’altra jeep assieme alla donna che aveva
ispirato il nome all’aeroplano dei fuggiaschi. La vettura si mise quindi in
marcia verso l’uscita della base e la signora Greason, che era sempre rimasta a
bordo senza spiccicare una parola, guardò preoccupata il marito sedere al
volante, scuro e taciturno. Osservando poi di sfuggita anche il viso della
collega, se possibile ancora più nero, le venne una stretta al cuore: *Mi
dispiace, tesoro… temo proprio che tu sia nei guai!*
E
mentre lo pensava gli stringeva affettuosamente la spalla destra.
[1]Piccolo centro portuale sulla costa della Manica, più o meno a metà
strada fra la città di Brighton e la punta di Beachy Head. Flanny ed il suo
staff vi si erano fatte trasferire dopo la costituzione della Decima Forza
Aerea, stanziata nelle due nuove basi vicine.
[5]A seguito della strage di Forte Alamo (1845) il governo del Presidente James F. Polk dichiarò
guerra a quello messicano del generale Fernando Lopez de Santa Anna, che si
concluse con l’annessione del Texas, del Nuovo Messico, dell’Arizona e della
California. Nel 1898, invece, le forze spagnole che cercavano di domare la
rivolta dei ribelli cubani, colpirono per errore la cannoniera americana Maine, provocando l’intervento del
governo Mc Kinley. In seguito alla sconfitta, la Spagna perse il possesso di
Cuba e delle isole Filippine.
[6]L’organizzazione paramilitare del partito nazista, nella quale venivano
iscritti i giovani tedeschi.
[7]La sigla identificativa di un aeromobile viene espressa
ancora oggi mediante il cosiddetto alfabeto
fonetico: A come Alpha, B come Bravo, C come Charlie, eccetera. È analogo al sistema che usiamo quasi tutti in
Italia per non confondere le lettere, utilizzando i nomi delle città: A come
Ancona, B come Bologna, C come Catania…
[8]Per semplicità si usava contattare i velivoli facendo
riferimento alla lettera finale della sigla (che identificava direttamente
l’aeroplano, mentre le prime due si riferivano all’unità di appartenenza)
seguita dalle ultime tre cifre del numero di serie.
[9]Ira Eaker e James Doolittle, rispettivamente comandanti
dell’Ottava e della Quindicesima Forza Aerea (schierata quest’ultima
nell’Italia del sud).
[10]Carl Spaatz, comandante delle Forze Aeree Statunitensi in Europa.
[12]Verde oliva nelle parti superiori e grigio chiaro in
quelle inferiori. Ben presto quella opaca livrea sarebbe stata abbandonata
lasciando risplendere gli aerei nel loro alluminio naturale.
[13] Le maggiori perdite subite dall’aviazione americana
nelle sue incursioni diurne sull’Europa occupata dai nazisti si ebbero
nell’attacco alle fabbriche di cuscinetti a sfera vicino a Schweinfurt ,
eseguite il 17 Agosto e il 14 Ottobre 1943 (rispettivamente col 19 e il 26% di
perdite fra i velivoli impiegati).
opo
aver varcato il posto di controllo dell’aeroporto di Grant Field, situato a meno di dieci miglia dalla base di Lafayette,[1] il
capo della Decima Forza Aerea USA arrestò bruscamente la jeep davanti all’ingresso
della palazzina di comando del 99° Gruppo Caccia. Anche stavolta la povera
Flanny dovette aggrapparsi precipitosamente al cruscotto per non sbattere il
viso sul parabrezza della vettura…!
“Proprio
non te lo levi, il vizio, eh?!” polemizzò col marito.
“Scusami…!”
ribatté lui, a voce bassa.
I
Greason, seguiti a ruota da Candy, si avvicinarono al portone, dove un caporale
della MP fece il presentat arm al
generale, che rispose con un semplice tocco delle dita sulla fronte. Mentre
salivano le scale incrociarono il maggiore Master: “Oh… buonasera, generale!
Come mai…”
“Jimmy
è in ufficio, Roy?” gli domandò il superiore, anziché rispondere.
“Sì…
s’è trattenuto per sbrigare le ultime scartoffie.”
“Bene,
lo raggiungo.”
“Ma…
è tutto ok, signore?” s’interessò il comandante del 99°, notando l’aria
imbronciata del superiore.
“Sì…
a parte lo show del nuovo equipaggio!” rispose ironicamente lui.
“Quale
show…?”
“Se
vuoi conoscere i dettagli, fatteli dare da Lang. Io ho qualcosa di più urgente.
Ci vediamo!”
Il
più giovane dei Compari di Chicago
rivolse un’occhiata alla giovane che accompagnava i due coniugi, accorgendosi della
sua grinta, molto più scura rispetto a quella del comandante. Guardò allora la
signora Flanny, che si limitò a scuotere la testa, agitando la mano con
noncuranza. Rinunciando a capirci qualcosa Roy Master si diresse invece nel suo
ufficio per telefonare al comandante della 66a Squadriglia da Bombardamento.
Quando
il trio entrò nell’ufficio che Greason divideva tuttora col suo luogotenente
(come pilota da caccia, Andy aveva mantenuto il suo quartier generale nella
base del 99°), quest’ultimo si alzò dalla scrivania celando a stento la sua sorpresa.
“Come
mai di ritorno? È successo qualcosa…?”
“Niente
di grave… spero! Ti spiace lasciarci soli?”
“Affatto…
stavo giusto per andarmene. Tutto a posto per domani?”
“Naturalmente.
Ho passato a Ricky le istruzioni per il rendez-vous fra le nostre formazioni. Questo
il programma: sveglia alle 0530, briefing alle 0615, decollo alle 0650.”[2]
“Roger!”
Il
vice-comandante della Decima FA si mise l’impermeabile sul braccio e si mosse
verso l’uscio col cappello in mano (da perfetto gentiluomo virginiano non lo
avrebbe mai indossato davanti a due gentili signore)… accorgendosi però
dell’aria tesa che aleggiava sul gruppetto, si soffermò un istante per chiedere
al compagno d’armi: “Senti… ti serve qualcosa?”
“Sì…”
rispose il generale, già accomodato alla sua scrivania, mentre sbirciava gli
sguardi della moglie e dell’amica acquisita “…se passi dal bar, fatti un
bicchiere alla mia salute…!”
Il
colonnello James Patrick Stone, dopo avere osservato anche lui i volti delle due
donne con una certa preoccupazione, si decise a lasciare la stanza. Mentre
usciva dal comando per dirigersi verso il Circolo Ufficiali non poté fare a
meno di pensare che, qualunque argomento avrebbero affrontato quei tre, il suo superiore
diretto avrebbe di gran lunga preferito vedersela da solo contro un intero Staffel[3] di
caccia tedeschi…!
***
Appena
l’uscio fu richiuso il comandante della Decima Air Force si lisciò la fronte
emettendo alcuni soffi stanchi, poi guardò la moglie che lo scrutava con
apparente impassibilità, mentre i suoi occhi gli stavano trasmettendo invece questo
rassicurante messaggio: *Non temere, sono
qui!*
Il
povero Andy si guardò malinconicamente i gradi sulle spalline, pensando che se
il generale Arnold fosse venuto a conoscenza di un fatto simile, l’asso degli
assi dell’intera USAAF si sarebbe
ritrovato a presiedere la più scalcinata scuola di volo per aerei da trasporto
in qualche sperduto angolo della Georgia o dell’Arizona!
Tale
pensiero ebbe perciò anche l’effetto di una scarica elettrica che gli fece raddrizzare
le spalle per poi rivolgersi senz’alcun imbarazzo alla sua interlocutrice; la
quale, dopo essersi accomodata su una seggiola, lo stava fissando con tutta la
prosopopea di un pubblico ministero che fosse assolutamente certo della
colpevolezza dell’imputato.
Quei
due individui, per certi aspetti così diversi, ma per altri non molto dissimili
(non a caso, forse, portavano quasi lo stesso nome), rimasero a studiarsi per
altri lunghi momenti, finché la pazienza della bionda non rimase del tutto esaurita:
“Beh…?” sbuffò “Chi comincia?”
“Prima
le signore!” rispose pacato Greason, tenendo le mani intrecciate sul ventre.
Dopo
aver mandato l’ennesimo epiteto mentale all’intero genere maschile, l’infermiera
procedette: “Ok… si può sapere che ci facevano quegli sciagurati, su quell’aereo?”
“Prendevano
servizio nel gruppo da bombardamento pesante della mia unità.” rispose il
generale con voce piatta.
La
giovane strinse la mascella: “Davvero? Magnifico” ribatté, sarcastica “e a cosa
si deve questa novità?”
“Novità
in che senso?”
Candy
riuscì faticosamente a trattenere un urlo e si prese una robusta boccata
d’aria, prima di rimpallare: “Non farmi perdere del tutto la tramontana Andy!! Come
hanno fatto a diventare aviatori…?!”
L’asso
si chiede se la collega di sua moglie ci fosse o ci facesse; poi tornò a
parlarle con la maggiore calma del mondo: “Avranno risposto a un qualche bando
di arruolamento… dopodiché, presentando le idoneità fisiche, psichiche e
attitudinali, hanno frequentato e superato i corsi delle specialità da loro
preferite o maggiormente indicate. Infine, dopo il necessario periodo di addestramento
avanzato, sono stati trasferiti in prima linea.”
“Capisco”
annuì l’altra, amaramente “e tutti quanti su quello stesso aeroplano, mm…?!”
“Non
può essere un caso, Andy!” si lasciò scappare questa osservazione la sua dolce
metà.
Lui
la fissò con lieve moto di disappunto: “Beh…” sospirò “…in effetti non lo è.
Vedete, noi…”
“ECCO…!!”
esclamò Candy sferrando un pugno sul tavolo “Volevo ben dire che non fosse
opera tua…!”
“Io
so soltanto che si conoscevano fra di loro” deglutì l’altro “capirete che, in
questi casi, tendiamo a inserirli nello stesso equipaggio. Come fa del resto l’Esercito,
mettendo gli amici nello stesso reparto o la Marina sulla stessa unità. Lo
spirito di corpo è importante. Soprattutto per la sopravvivenza!” concluse,
guardando Candy con la tenue speranza di ricevere un barlume di comprensione. Ma
non era la giornata…
“Oh,
ma è troppo giusto” ribatté infatti la
ragazza, con malcelata acredine “e io che pensavo che questo aumentasse la
probabilità di vederli crepare tutti nello stesso momento, per mano della
reazione nemica! Che sciocchina, che sono…!”
“Le
regole non le faccio io” si difese ancora il generale, allentandosi il nodo
della cravatta “e comunque… è dimostrato che l’affiatamento fra i compagni
aumenta di parecchio il rendimento in battaglia… e, di conseguenza, le
probabilità di ritornare a casa. Solo i parenti vengono esclusi: è la prassi.”[4]
“Affiatamento….?” esclamò Candy, del
tutto sbigottita “Ma scherzi??! Hai messo insieme Neal con Jimmy… Charlie con
Cookie… Bobby con John… e mi vieni a parlare di affiatamento?!”
“Hanno messo insieme, Candy” puntualizzò
l’amico puntando un dito sul piano dello scrittoio “gli equipaggi di volo
vengono composti presso i centri d’addestramento avanzato, cercando di abbinare
gli elementi caratterialmente più compatibili: abbiamo fior di psicologi in
divisa, che se ne occupano. Può anche darsi che siano stati proprio i tuoi
amichetti a chiedere di stare insieme…!”
A
sentire la parola amichetti gli occhi
di Candy mandarono minacciosi lampi azzurri all’indirizzo dell’interlocutore,
che ricevette anche uno sguardo di muta disapprovazione dalla moglie.
“Non
sono i miei amichetti” esclamò la
bionda, in un tono non proprio affettuoso “ma persone con cui ho avuto a che
fare in diversi momenti della mia vita. Chi più, chi meno… in un modo o nell’altro…
sono importanti per me!”
“Comprendo”
sospirò il generale “e mi rendo anche conto del tuo stato d’animo. Presumo
inoltre che la cosa sia reciproca, vista la reazione che hanno avuto al solo
vederti… ciò che mi sfugge è il perché
di una reazionedi quel tipo…!”
“Forse
questo dovresti chiederlo a loro!” intervenne Flanny per equilibrare in qualche
modo quell’acceso dibattito.
“Questo
è fuori discussione” gli rispose il marito, prestandole momentaneamente
attenzione “ma siccome ho l’abitudine di esaminare entrambi i lati di ogni
problema, sarò molto grato se la nostra amica qui presente ci fornirà la sua
versione dei fatti… con comodo, naturalmente!”
L’interessata,
che aveva incrociato le braccia sul petto, come assorta nei suoi poco allegri
pensieri, rialzò fieramente il capo coduto, tornando a fissare il compagno
della sua affezionata mentrice.
“Chissà…
forse Jimmy, quello che stava uscendo per primo, ha avuto paura di prendersi un
altro schiaffo…” Andy non batté ciglio, ma gli si storse un angolo della bocca
“…in quanto agli altri… non ha molta importanza, a questo punto! Spero solo che,
fra le altre cose, si siano anche vergognati di aver battezzato il loro
apparecchio a quel modo!”
“E
perché? Non è un gesto carino?” obiettò l’asso, nella sua ottimistica
ingenuità, mentre sua moglie alzava gli occhi al cielo.
La
collega scattò infatti in piedi, eufemisticamente furibonda: “Carino…? Dare il mio nome a una macchina di morte?! Andy, non so che mi trattenga dal…”
Il
campione della caccia americana ebbe un guizzo, ma poi ribatté, risoluto: “…dal
fare cosa? Vorresti dare uno schiaffo anche a me…?”
“Puoi
ringraziare quelle stelle e quei nastrini,[5] se non
lo faccio…!”
Questa
risposta, probabilmente, non era che uno sfogo… nondimeno il nostro pilota la
prese sul serio. Con un lieve sorriso sulle labbra si alzò a sua volta, si
sbottonò lentamente la giacca dell’uniforme e se la sfilò, lasciandola cadere
sulla poltrona. Girò quindi intorno alla scrivania e si piantò davanti all’amica
tenendo le braccia conserte: “Adesso le stelle e i nastrini non ci sono più… se
ritieni che il torto sia mio, procedi pure!”[6]
Prima
ancora che la vice-direttrice aggiunta della Casa di Pony si riprendesse da quel contropiede (più insidioso per
chi lo aveva sferrato, che non per lei) Flanny Hamilton in Greason, abbastanza
palliduccia in volto, si avvicinò repentinamente a quei due, posando le mani
sulle loro spalle: “Ehi, ehi, ehi… ora basta!! Sarà il caso che ci diamo una
calmata, qui dentro, va bene?”
Al
richiamo “autoritario” dell’ex allieva-modello della Scuola Mary Jane i due contendenti si acquietarono, guardandosi
negli occhi… poi Candy provvide a ritirare la mano già alzata, non senza prima passarla
fugacemente sulla guancia dell’uomo, in quello che poteva essere un buffetto,
come anche una carezza:[7] “Stavo
perdendo la testa…” sussurrò “…mi dispiace!”
“Non
importa… forse qualche sciocchezza di troppo l’ho detta anche io!”
“Tanto
per cambiare…!” commentò a mezza voce la sua signora.
“D’altra
parte” continuò il marito dopo averle lanciato una smorfia, mentre si rimetteva
a sedere “per quanto riguarda il nome dell’aereo, quella è di solito una
prerogativa del comandante. Quindi devi prendertela con lui.”
“Per
quel che servirebbe” l’amica alzò sarcasticamente le spalle “carognata più,
carognata meno… oramai ho perso il conto!”
“Interessante…
a quanto pare ho arruolato un rivale del grande Terry” sorrise forzatamente l’altro,
cercando di sollevare lo spirito con qualche “innocente” battuta “e il nostro
istrione è al corrente di questa minaccia alla sua felicità?”
“Ma
cosa ti salta in mente…??!!” gridò l’interessata, arrossendo copiosamente,
mentre la moglie lo rimproverò di saltare troppo alle conclusioni.
“Davvero?”
Andy rispose direttamente a lei “Beh, di solito un uomo non dedica qualcosa a
una donna solo per farle una carognata. Ne deduco che…”
“Anche
tu non hai battezzato Flanny il tuo caccia,
sapendo che tua moglie non avrebbe gradito” intervenne Candy, squadrando l’asso
con sguardo duro “quindi non mi meraviglio che quel disgraziato abbia fatto
esattamente il contrario…!”
“Quando
si perde la testa per una persona che non ricambia si fanno le cose più
assurde” commentò l’aviatore, fingendo di riordinare le carte sulla scrivania
“anche i fratelli Cornwell ci sono passati!”
Flanny
si mise una mano sugli occhi, mentre l’amica li spalancò, sibilando: “Che cosa
hai detto…??!!”
Imprecando
mentalmente contro la propria lingua, l’altro si appoggiò con la schiena alla
poltrona, sospirando rumorosamente: “No, scusa… lascia stare…!” tentò, scuotendo
la testa.
“No
che non lascio stare. Continua…!”
Dopo
aver compreso che non sarebbe uscito indenne da quell’ufficio se non avesse
vuotato il sacco, il generale si rialzò per versarsi un bicchier d’acqua dal
distributore.[8] Dopoaverlo vuotato tutto d’un fiato, proseguì,
facendo del suo meglio per sostenere lo sguardo d’acciaio della sua quasi
omonima.
“Vedi,
Candy… con un mestiere come il mio s’impara presto ad essere degli acuti
osservatori… e, se si assumono responsabilità di comando, si diventa anche dei
discreti conoscitori di uomini.”
“E
allora?” insistette lei.
“Quando,
a New York, ci invitasti a casa dei tuoi amici, mi accorsi alla svelta di come
Archie ti guardava… e di come lo guardava sua moglie. E anche il povero Stear…
quando una volta mi mostrò la foto della sua ragazza, gli diedi mentalmente
dell’imbecille per essere venuto a giocarsi la pelle in quel buco di posto. Ma
tu…” Candy trasalì quando l’amico le puntò l’indice contro “…tu mi potresti
assicurare che non l’avesse fatto anche per un qualche altro motivo?”
“Piantala,
Andy” lo riprese severamente la consorte “queste sono pure illazioni!”
“Va
bene, non sono fatti miei” si scusò lui, alzando le braccia “volevo solo dire
che, forse, anche il capitano Legan…”
“Ma
andiamo” lo interruppe nervosamente Flanny “parli come se tutti gli uomini che
conoscono Candy si debbano per forza innamorare di lei…!”
“Beh”
titubò l’asso, anche lui sensibilmente agitato, spostando lo sguardo dall’una
all’altra “non ho mica detto questo… però…”
“Tuo
marito ha ragione, Flanny…!”
La
voce di Candy interruppe lo scambio di battute fra i due coniugi, che fu seguito
da un pesante silenzio. Qualche interminabile momento dopo la ragazza guardò
gli amici da sotto in su, esitò ancora un istante, poi disse ciò che aveva da
dire: “Per quel che riguarda Stear e Archie… è vero: era da molto tempo che si
erano invaghiti di me… io però non li ho mai incoraggiati perché volevo troppo
bene alle mie amiche Patty ed Annie… e poi lo sapete cosa c’é fra me e Terence.
Ma, nel caso di Neal…” guardò direttamente il compagno di Flanny “…mi dispiace dirtelo,
ma sei proprio fuori strada!”
“Nel
senso che non sarebbe innamorato di te?”
Candy
fece spallucce: “Ouff, una cotta l’aveva presa, sì… e anche piuttosto forte. Ma
dubito molto che uno come lui possa provare del vero amore…!”
“Accidenti”
Andy tornò al distributore, dove si versò un secondo bicchier d’acqua “deve
avertela proprio combinata grossa!” disse, prima di rivuotarlo d’un fiato.
L’amica
gli mostrò un sorriso ironico: “Quante ore hai? Ti posso raccontare ogni cosa,
se davvero ti interessa…!”
Il
comandante della Decima corrugò le sopracciglia: “Perché no?” rispose poi, con
decisione “È meglio conoscere a fondo i propri subordinati. Spara…!”
“Potrei
avere anch’io un bicchiere d’acqua?”
“Come
no!” rispose il generale, tornando ancora al distributore.
Dopo
essersi dissetata, la giovane iniziò a raccontare in modo succinto ma non
evasivo i fatti salienti che la legavano all’equipaggio di quel bombardiere, specialmente
gli episodi che riguardavano il primo pilota.
Non
omise nulla: né l’innaffiato incontro coi “simpatici” rampolli della sua prima
famiglia adottiva, né le successive “goliardiche” attenzioni da parte di quelli
che avrebbero dovuto essere i suoi “nuovi fratelli”, né i loro complotti per
farla apparire una poco di buono ed essere “deportata” in Messico, né le
vicissitudini della Royal St. Paul School…
né, tantomeno, l’inaspettato innamoramento del fratello di Iriza a seguito del
suo salvataggio da parte di Candy, dei suoi meschini tentativi per conquistarla,
fino al subdolo complotto ordito da sua madre in combutta con la “patriarca”
degli Andrew, al fine di costringerla ad unirsi in matrimonio con il suo
“pretendente”.
Durante
tutto il racconto il nostro asso si era slacciato completamente la cravatta ed
era tornato altre due volte al dispensatore d’acqua, crucciandosi di non potere
(per ovvie ragioni) riempirsi il bicchiere con la bottiglia di Scotch che teneva nell’armadietto.
“Avresti
dovuto vederlo, il signorino, quando mio zio intervenne al ricevimento per
rimettere le cose a posto… quando ha capito che non c’era più nulla da fare,
lui, l’arrogante erede dei Legan, se n’è scappato via piagnucolando come un
moccioso viziato!”
“Patetico…!”
commentò Flanny che, a dispetto della sua riservatezza, non si era persa una
sola parola.
“Puoi
ben dirlo, cara” sottoscrisse l’amica “da allora non l’ho più rivisto… Archie
mi aveva confermato che tutta la famiglia si era trasferita in Florida… e adesso
rieccolo qua” concluse puntando gli occhioni celesti verso il suo amico, che si
era appoggiato alla scrivania con le braccia conserte “chi devo ringraziare,
stavolta…?”
“È
una domanda o un’accusa?” chiese lui, dopo essersi schiarito un po’ la voce.
“Una
domanda. Rispondimi, per favore…!” lo incalzò lei, con accento forse involontariamente
troppo aspro.
A
questo punto, non potendo più ignorare i mayday
facciali del marito, Flanny batté una mano sulla spalla della collega: “Ora
calmati, Candy… e rifletti un minuto: non puoi sostenere che Andy sia andato a ripescare
Neal Legan appositamente per te!”
“Non
ho detto che lo ha fatto per me…! Ma di solito le nomine dei capi-equipaggio
vengono approvate direttamente dai comandanti delle forze aeree.”
“E
tu come lo sai…?!” sussultò il generale, con voce palesemente alterata.
“Me
lo ha detto la mia amica Annie.”
“Che
cos…?” il generale sgranò gli occhi verso Flanny, la quale sospirò e gli
rispose con bonarietà: “Mogli e mariti parlano tra di loro, amore mio!”
Riproponendosi
di strigliare a dovere il tenente Archibald Cornwell per ricordargli che i
militari dovrebbero invece tenere la bocca più chiusa, Andy Greason si rallegrò
vivamente (e non per la prima volta) di essere stato accalappiato da quella
straordinaria donna dai capelli corvini prima ancora d’incontrare quell’altra
notevole femmina dalle chiome dorate. Ora, almeno, il comportamento di quei
dieci strampalati sul B-17 cheportava la sua effige sul muso cominciava
ad apparirgli più comprensibile.
“La
cosa che più mi stupisce” disse ancora Candy, come parlando a sé stessa “è come
abbiano potuto riconoscergli una sufficiente fibra morale: basta guardarlo negli
occhi per capire il codardo che è…!”
“Non
credi di essere troppo severa?” scappò detto al generale.
“Senti,
bello” ora decisamente piccata, la biondina saltò su “ma tu ci hai mai avuto a
che fare con quel tizio, almeno per cinque minuti…?!”
Dopo
aver sostenuto il suo sguardo per un istante, Andy fissò il bicchierino di carta
che teneva in mano: “Anche di più. E, se proprio lo vuoi sapere, in quegli occhi
ci ho visto soltanto una grande tristezza!”
Le
due infermiere si scambiarono uno sguardo acuto, poi Candy si rialzò in piedi: “Ma
allora lo conosci di persona…!!” esclamò.
Con
rapide mosse, Andy si riannodò velocemente la cravatta, poi raccolse la giacca
dallo schienale della poltrona.
“Sì”
rispose asciuttamente, indossandola e riaccomodandosi al suo posto “e con ciò?”
Dopo
essersi messa le mani sui fianchi, Candy White Andrew si piantò davanti alla
scrivania dove sedeva il comandante della migliore e più temuta forza aerea
tattica alleata.
“E
con ciò, adesso tocca te sciogliere la lingua… signor generale!”
Contemplando
quel grazioso visino spruzzato di lentiggini, Andy vi notò lo stesso energico
sguardo che aveva mostrato sua moglie quando lo aveva costretto a comportarsi
da uomo, dopo quel tragico ritorno seguito alla perdita del suo compagno Stear.[9] Cercando
di dominare le sensazioni contrastanti di quella scoperta, il nostro aviatore
si mise a tamburellare le dita sul tavolo…
“Che
ne direste se ne parlassimo a cena...?” propose infine, rivolto alle due donne.
[1]Dove si erano svolti i fatti narrati nel 12° capitolo.
[2]Leggasi zero cinque e trenta, zero sei e quindici e zero sei e cinquanta.
[4]O meglio lo diventò dopo la tragica fine dei cinque
fratelli Sullivan, imbarcati sulla stessa nave. Significativa fu anche la
vicenda dei quattro fratelli Ryan, arruolati nell’esercito, dalla quale è stato
tratto il celebre film con Tom Hanks.
[5] Sono le decorazioni al merito, cucite sopra la tasca
sinistra, sotto il distintivo di pilota.
[6]Se Terence Grenchester avesse potuto assistere a questa
scena, avrebbe capito perché Corwallis aveva perso contro George Washington!
[7]Come disse in seguito il tenente Jimmy Curtright: “Il
nostro comandante in capo non ci chiedeva mai di affrontare nessun tipo di
rischio che non avrebbe affrontato anche lui!”
[8]Avete presente quelle “bocce” di vetro col rubinetto sotto che si vedono
nei vecchi film in bianco e nero?
l
colonnello John Bart Richardson stava rapidamente scorrendo il rapporto appena
steso dal comandante del personale di terra alla base di Lafayette, sede del 22° Gruppo da Bombardamento Strategico. Le
notizie erano buone: tutti gli aerei erano stati rimessi in condizione di
volare ed il reparto, sebbene ancora leggermente incompleto, avrebbe potuto
intraprendere senza intoppi la missione del mattino dopo.
“A
posto, sergente-maggiore” gli disse, restituendogli il modulo “un ottimo lavoro,
come sempre.”
“Grazie,
signor colonnello” rispose il giovane Daniel Horrop “è sempre un piacere
lavorare per lei!”
I
due si sorrisero. Fra il comandante del 22° BG e il capo-meccanico della base esisteva
da sempre una totale e reciproca fiducia. Richardson era molto affezionato a
quel giovane, che gli era stato passato in consegna lo stesso giorno in cui i
24 bombardieri del reparto avevano lasciato gli Stati Uniti alla volta
dell’Inghilterra, nel Febbraio del ‘42. Il suo predecessore, l’anziano Gregor
Macinski, mandato - a suo dire - “prematuramente” in pensione, lo aveva
rassicurato, prima del decollo, che il giovane Horrop avrebbe saputo occuparsi
egregiamente del suo apparecchio, poiché lui stesso lo aveva istruito a dovere!
E
così era stato, effettivamente… anche se il colonnello Richardson aveva dovuto
attendere un bel po’ prima di constatare la perizia del suo nuovo
capo-meccanico. Durante il volo di trasferimento via Nuova Scozia, Groenlandia
e Islanda, infatti, il B-24 Liberator
del capo-gruppo, a causa di un guasto alla bussola magnetica, aveva subito una
malaugurata deviazione verso il Polo Nord, conclusasi con un atterraggio di
fortuna sul pack, una volta esaurito il carburante. Se lui ed i suoi nove
compagni di viaggio non erano morti assiderati, lo si era dovuto ad uno di quegli
strambi casi che confermano, alle volte, come l’immaginazione venga superata
dalla realtà… un U-Boat tedesco aveva captato i disperati mayday del sergente Steve Davis (il marconista dell’aereo, poi perito
nel violento impatto con la banchisa) e li aveva raccolti a bordo, vivi, anche
se prigionieri!
L’equipaggio
del Joltin’ Josie (nel cui ruolo di
navigatore era presente anche il tenente Nancy Wilson, ex WAAF[1] e attuale consorte del
colonnello) non avrebbe mai dimenticato i mesi trascorsi a bordo di quel
claustrofobico battello, il cui comandante, korvettenkapitan Herbert Thyssen,
era un individuo tanto cavalleresco quanto determinato… al punto da
intraprendere un’incursione nel porto di New York quella stessa mattina di
venerdì 20 Febbraio 1942, nella quale il compagno d’Accademia di Richardson (l’allora
maggiore Greason) aveva avuto la felice opportunità di conoscere la notevole
ragazza, ora immortalata sul muso del nuovo B-17
del 22° Gruppo.[2]
Il
volto del colonnello si rabbuiò all’improvviso… già, il Candy Candy: la nuova Fortezza arrivata proprio quel pomeriggio. Ma
che accidente gli era preso a quei dannati pazzi? Non s’era mai vista una cosa
del genere! Per fortuna il generale Eaker, comandante dell’Ottava Forza Aerea e
il generale Spaatz, comandante dell’USAAF
a Londra, provavano molta stima (il secondo anche amicizia) verso il comandante
della Decima e probabilmente sarebbero riusciti ad insabbiare la cosa. Perché c’era
da scommettere che, se la notizia fosse arrivata a Washington, il generale Hap
Arnold non l’avrebbe fatta passare liscia né a lui, né allo stesso Andy
Greason: quell’uomo, quand’era il caso, sapeva sostituire la sua gioviale
comprensione con la severità più dura!
Naturalmente,
quando il Candy Candy era tornato
indietro ed era nuovamente atterrato (non prima che il sergente Johnson,
l’operatore della torre, riuscisse faticosamente a persuadere il marconista,
sergente Evans, che nel campo non c’erano più infermiere bionde in giro…) il
bombardiere era stato circondato dagli MP e l’equipaggio messo immediatamente agli
arresti di rigore: gli ufficiali in una cella, i sottufficiali in un’altra. Il
puntatore, tenente Boyle, era abbastanza divertito dall’episodio, memore del
suo passato da teppista negli slums
di New York… anzi, quando il capitano Legan aveva ridato motore per filarsela,
aveva fatto in tempo a riconoscere la loro inconsapevole “madrina” e a
salutarla sorridendo con la mano agitata, del tutto incurante dello sguardo
incenerente di costei! Dopo aver poi capito perché i loro piloti si fossero
comportati in quel modo, avrebbe voluto farsi una bella risata, ma fece del suo
meglio per contenersi, frenato dall’aria cupa del comandante e dal forte
sgomento del co-pilota Curtright.
Di
tutti i loro compagni, l’unico che non avesse capito era il mitragliere di
coda, sergente Malone, che, stando dietro, non aveva visto nulla ed ora continuava
a tampinare il collega Smith, mitragliere di fusoliera, del tutto riluttante a
spiegarglielo. A parte quei due, tutti gli altri se ne stavano taciturni, immerso
ciascuno nei propri pensieri, fino al momento in cui tre MP aprirono la porta
della cella, informandoli che il primo e il secondo pilota erano attesi dal
comandante del reparto.
I
due si riscossero e seguirono docilmente le guardie, seguiti dallo sguardo
preoccupato del navigatore Laffey e dal viatico canzonatorio di Boyle: “Buona
fortuna, fratelli!”
“Va’
a farti fottere…!” ribatté Legan.
“Magari…!”
rispose l’altro, a mezza voce.
***
Il
sergente-maggiore Horrop se n’era appena andato, quando i piloti del fox-otto-uno-cinque[3]
furono introdotti nell’ufficio del colonnello Richardson, seduto alla sua scrivania
mentre consultava con attenzione alcuni sinistri fascicoli, contenenti (com’era
facile intuire) i curriculum di servizio dei nuovi arrivati. Accanto al tavolo,
eretto ed impettito con le braccia conserte, il maggiore Buck Lang, loro nuovo
comandante di squadriglia, li fissava trucemente con tutta la sua severità
teutonica.
Uditi
i loro passi, il colonnello alzò gli occhi dalle scartoffie e li piantò sulle due
figure che gli stavano di fronte, rigide nel saluto militare.
“Capitano
Neal Legan a rapporto, signore!” disse il più anziano dei due, un ragazzo dai rossi
capelli arruffati e dalla carnagione leggermente scura.
“Tenente
James Curtright a rapporto, signore!” gli fece eco il suo compagno più giovane,
quasi un ragazzino, come denunciava la sua faccia imberbe, sormontata da un
ciuffo di capelli castani.
John
B. Richardson li squadrò con faccia inespressiva, poi sbatté violentemente sul
tavolo il fascicolo che teneva in mano, si alzò dalla poltrona e appoggiò i
palmi sullo scrittoio, protendendosi in avanti con fare minaccioso…
“Bene
arrivati, signori… o meglio, ben tornati!”
esclamò, con ira mal repressa. Rimase in silenzio per un’altra manciata di
secondi, poi gridò “E ALLORA…?!! VOLETE AVERE LA COMPIACENZA DI DIRMI COSA
DIAVOLO V’ERA SALTATO IN MENTE?! O DEVO ASPETTARE FINO A DOMATTINA?”
Con
la fronte madida di sudore, il superiore di grado fece per aprir bocca, ma fu
preceduto dal subalterno: “È stata tutta colpa mia, colonnello. Non ho scuse e…
sono costernato!”
“E
anche indisciplinato” sentenziò il comandante di Gruppo aggrottando le
sopracciglia “visto che ruba la parola al suo superiore diretto: è lui che deve
rispondere, non lo conosce il regolamento?”
“Mi…
mi scusi…” farfugliò il ragazzino, sudando più di Neal.
“Mi scusi…?”
“…signore!”
rimediò il poveretto, con un guizzo.
“Così
va meglio” Richardson girò lo sguardo verso l’altro “allora, Legan…?”
Restando
rigido con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo verso il soffitto (come il
regolamento prescriveva ci si comportasse durante il rimprovero di un
superiore) il fratello della nemesi di Candy deglutì e - cercando di scacciare
il ricordo di quando suo cugino Anthony lo aveva messo alle strette per fargli
confessare l’intrigo della sorella, teso ad accusare di furto la nostra eroina
- rispose con voce quasi ferma: “Mi assumo interamente la responsabilità di
quanto è successo, signore… ma, con tutto il rispetto, si tratta di una
responsabilità oggettiva: il nostro
puntatore s’era allarmato per l’avvicinamento irregolare di quel seguimi, che stava venendo a tagliarci
la strada… il qui presente tenente Curtright s’è affacciato al portello di prua
per controllare… ha lanciato un grido… ed io, temendo per l’incolumità dell’equipaggio
e dello stesso apparecchio, ho ritenuto opportuno allontanarmi.”
“Capisco”
rispose il colonnello con voce strascicata, tornando a rivolgere l’attenzione
al suo compagno “e perché ha gridato, signor Curtright?”
“Ecco,
colonnello… io…” balbettò l’ex giovane mandriano “…come ha detto poc’anzi il
mio comandante… quella jeep segnalatrice ci stava correndo addosso e…”
“Non
racconti balle, tenente” intervenne inaspettatamente Buck Lang “lo abbiamo
visto tutti che, quando lei ha spalancato la botola d’uscita, la jeep era già ferma
sulla pista!”
Il
giovanotto fu scosso da un brivido: “Sì, è vero, signor maggiore: la jeep era
ferma… però, quella donna…”
“…poteva
rappresentare una minaccia, signore!” il suo comandante concluse per lui.
Lang
e Richardson si scambiarono un’occhiata curiosa, poi tornarono a fissare i due
novellini: “Che genere di minaccia?”
s’informò il comandante del 22° Gruppo, squadrando Legan col sopracciglio destro
visibilmente alzato.
Raccogliendo
tutta la faccia tosta che s’era fabbricato fin dalla più tenera età per far
fronte alle sue due affettuose congiunte (almeno fino all’arrivo di Candy),
Neal rispose asciutto: “In tutta franchezza, non saprei dirglielo, signore…
tuttavia mi concederà che la presenza di una civile, a bordo di un mezzo militare
che invade il circuito d’atterraggio di una base aerea, rappresenta una
circostanza piuttosto ambigua… e del tutto meritevole di adottare le opportune
precauzioni.”
“Come
quella di ridecollare a serbatoi praticamente vuoti, col rischio di precipitare
poco dopo per l’esaurimento del carburante?” ribatté il colonnello, con veemenza
“Quel giocattolo costa trecentomila dollari,
lo sapevate?! Cosa direbbero i nostri contribuenti se sapessero come sprechiamo
i loro sudati quattrini?”
“In
quel caso, signore, ritengo che la mia famiglia avrebbe volentieri fatto fronte
a…”
“La
sua famiglia avrebbe fatto molto meglio
a non permetterle di arruolarsi, Legan!! Ma dal momento che oramai, purtroppo,
è qua, veda di mettersi in testa alla svelta che adesso lei appartiene all’aviazione
dell’esercito. Saremo noi a
rispondere del suo operato, d’ora in avanti e le garantisco che alla sua
prossima stronzata, anche molto più piccola, non ci limiteremo a sospenderle la
paghetta!! Sono stato chiaro…?!”
“Sì,
signore…!”
“È
chiaro anche per lei, tenente?”
“Chiarissimo,
signor colonnello” rispose Jimmy, nervosamente “le possiamo garantire che una
cosa del genere non si ripeterà mai più…!”
“Lo
spero per voi” ribadì il comandante del reparto “ad ogni modo, prima di
prendere servizio, starete agli arresti per altre 24 ore, tanto per schiarirvi
le idee. Toglietemeli dai piedi!” ordinò infine al tenente degli MP.
“Sissignore.
Scorta e prigionieri: per fianco destr… destr!! Avantiii… marsch!!”
Come
il gruppetto fu uscito, Richardson sbuffò sonoramente, scuotendo la testa,
prima di rivolgersi al maggiore Lang: “Te li affido, Buck. Mi raccomando: falli
filare!”
“Può
contarci, colonnello!” rispose costui, indossando il berretto prima di
congedarsi.
***
“Bah…
speriamo che gli alloggi per ufficiali offrano brande più confortevoli di
queste…!” brontolò Charlie Boyle, dopo essersi svegliato, mentre si
stiracchiava le membra indolenzite.
“Credevo
che ci fossi abituato!” osservò malignamente Cookie Laffey, alludendo ai
trascorsi di teppista del suo compagno di volo.
“Tappati
il boccaporto, marinaio” grugnì il puntatore del Candy Candy, punto sul vivo “per tua norma, la pula di New York è
riuscita a impacchettarmi soltanto una volta!”
“E
quella degli altri Stati?” insistette, divertito, l’ufficiale di rotta.
“Ah,
ma allora dillo, che ti prudono le mani…!” saltò su l’ex scapestrato,
avvicinandosi minacciosamente all’antico mozzo della Seagull.
“Dateci
un taglio, ragazzi” intervenne Jimmy Curtright, tra lo scocciato e il
preoccupato “vi sembra il momento per litigare?”
“Tu
non t’impicciare, cow-boy” replicò Charlie “potresti farti male!”
“Anche
tu, se è per questo…!” rispose l’ex capo dei trovatelli della Casa di Pony gettando però uno sguardo
verso il loro comandante, sperando intervenisse lui stesso per sedare il
litigio con la propria autorità… ma Neal Legan se ne rimase supino sullabranda, col volto coperto dal berretto
d’ordinanza, come se nemmeno si fosse accorto dell’alterco scoppiato.
Fortunatamente, prima che la situazione potesse degenerare, gli MP del giorno
prima vennero a riaprire la porta: “Fuori, siete liberi!”
Neal
sollevò col pollice la visiera del berretto, strizzando gli occhi alla luce del
tramonto. Quindi si levò anche lui, borbottando, raccattò il suo giubbotto di
volo e infilò la porta della cella senza degnare d’uno sguardo i suoi colleghi,
che gli avevano fatto largo. Appena fuori dal Corpo di Guardia, i quattro
ufficiali del Candy Candy trovarono
ad attenderli i loro sei compagni, in piedi accanto a tre ufficiali della base.
“Spero
che abbiate riposato bene, signori” li apostrofò ironicamente il più alto in
grado “sono il maggiore O’Connor, coadiutore del colonnello Richardson. Il qui
presente tenente Miller scorterà i sergenti al blocco sottufficiali e truppa,
mentre il capitano Ferguson scorterà gli altri al blocco per gli ufficiali. Quanto
a lei, capitano, abbia la compiacenza di seguirmi.”
“Per
quale motivo?” non si trattenne dal domandare Neal, con la sua ancora non
sopita impertinenza.
“Ordini, comandante” gli rispose
duramente il superiore, lanciandogli uno sguardo d’acciaio “è tempo che
assimili a fondo il significato di questa parola!”
Il
fratello di Iriza strinse la mascella, ma si sforzò di bofonchiare:
“Signorsì…!” fece un rapido cenno di saluto al suo equipaggio, che cominciava a
perdersi in congetture e si diresse verso la jeep indicatagli, già occupata da
un autiere e da un altro MP.
*Dannati
bastardi* imprecò mentalmente, mentre saliva sul divanetto posteriore *che ne
sanno, loro? Credono davvero che da civile fossi un uomo libero?! Imbecilli…!*
Mentre
la vettura si dirigeva verso l’uscita della base, un cupo rombo crescente cominciò
a farsi sentire. Perso nei propri pensieri, il comandante del Candy Candy non vi prestò attenzione, finché
un improvviso e vicinissimo scoppiettare di motori non gli fece alzare la testa:
una Fortezza Volante col sottoala sinistro imbrattato d’olio e quello destro
squarciato in più punti, incrociò dall’alto il suo veicolo, mentre completava
la discesa verso la pista d’emergenza. Un paio di razzi giallastri partirono da
una delle aperture per l’armamento difensivo e, subito dopo, il lamento delle
sirene proveniente dalle ambulanze, iniziò ad accompagnare il rumore degli
aerei che rientravano dall’odierna missione sul territorio nemico.[4]
Il
nuovo acquisto della Decima Air Force rabbrividì, pensando a quanti suoi
coetanei, feriti o magari già morti, stavano scendendo assieme ai quei
bombardieri, manifestamente tartassati dalla Luftwaffe…
*Questa
sì che è stata una mossa furba, Neal
Legan* disse a sé stesso, mentre si accendeva una sigaretta *quando la finirai
di combinare cazzate, in questa tua vita di merda?!*
***
Quando
la jeep varcò l’ingresso della base di Grant
Field, sede del 99° Gruppo Caccia, il nipote meno preferito di William
Andrew aveva già capito da chi lo
stavano portando, nonostante il suo acume non avesse mai particolarmente brillato…
e la cosa non gli andava particolarmente a genio, per lo meno in quel preciso momento.
In
tutti i suoi ventuno anni era stato avvezzo ad essere continuamente disistimato:
dalla madre che l’avrebbe voluto più distinto, dal padre che lo avrebbe voluto
più intelligente, dalla sorella maggiore che lo considerava una nullità (e quella era stata la ferita peggiore[5]), dai
cugini che ne detestavano il carattere (rovinato per il motivo precedente) e dagli
amici che ne invidiavano la ricchezza. Per non parlare di quellapersona, la cui
effige faceva bella mostra di sé, proprio sul muso del suo apparecchio. Già… ma lei, almeno, aveva delle valide ragioni
per non apprezzarlo, dopo tutto quel che le aveva combinato, al solo scopo di
compiacere quell’arpia della sorella! E infatti quellapersona era
l’unica che lui non avesse mai detestato
(almeno in cuor suo), tanto che avrebbe fatto volentieri un patto col Diavolo,
pur di poter tornare indietro nel tempo e rovesciare addosso alla sua amata sorellina quel maledetto secchio d’acqua,
che invece aveva dovuto rovesciare sulla povera Candy!
Era
stato un folle - lo riconosceva tranquillamente - a credere di poterla
conquistare con un mazzo di fiori e due complimenti, come sempre riusciva a
fare con qualunque sciacquetta dell’alta società ed i suoi tentativi ulteriori erano
stati, malauguratamente, sempre più meschini… molto meno i moventi, il più
rispettabile dei quali era stato il genuino desiderio di trasformarsi in un
gentiluomo, grazie soprattutto all’energia positiva che emanava da lei.
Dopotutto,
più d’uno fra i suoi stessi compagni di volo era diventato una persona
migliore, frequentandola anche solo per poco tempo: vedi Gil, il suo marconista
o Bob, il suo mitragliere di coda. Per non parlare del suo stesso co-pilota
Jimmy o persino di quel pezzo da galera di Charlie, il suo puntatore.
Dannazione,
perché lui no? Perché non dare anche
a lui una possibilità, una sola?!
Cos’aveva
poi fatto di così irreparabile? Non
le aveva mica gettato via una borsa di documenti dal treno, rischiando di farla
licenziare, come Gil… o fattole venire un mezzo infarto costruendole la croce della
sua benefattrice, come Bob. D’accordo, c’era stata quella cattura alla Saint Paul School… ma era stata una ragazzata, in fondo! Poi… vabbé, le
aveva stracciato il biglietto della Prima di quell’attorucolo da strapazzo, a Broadway…
ma, in fondo, di quello, si era poi pentito e lo spettacolo era riuscita a
vederlo ugualmente, no?
Scosse
la testa, gettando via disgustato il mozzicone mentre scendeva dalla jeep, che
s’era arrestata presso il bordo della pista principale dell’aerodromo.
“Lei
aspetti qui, signore!” gli disse l’MP.
Ma
chi voleva prendere in giro? C’era stato ben di peggio, purtroppo… passi pure
(si fa per dire) lo sporco tiro di farsi passare per Terence e farla venire di
sera tardi in quella villa, sul lago… ma obbligare Candy a chiedere scusa in ginocchio per una colpa non commessa,
affinché Dorothy (la loro cameriera) non venisse licenziata… o il complotto per
farla apparire una ladra e mandare in Messico per punizione, erano atti
assolutamente imperdonabili! E che di tali scelleratezze non ne fosse stato
l’ideatore, ma unicamente il mero esecutore, non costituiva purtroppo
un’attenuante... anzi, agli stessi occhi della donna che tuttora bramava, rappresentava
piuttosto un’aggravante, come ulteriore patente di vigliaccheria!
Una
sera, dopo essersi scolati un paio di bottiglie di gin, lo stesso Charlie gli
aveva consigliato: “Dammi retta, capo: dimenticala e trovatene un’altra come
lei. Ormai hai sopportato abbastanza!”
Già,
faceva presto, lui… tanto, quelle come lei
le vendevano in liquidazione! Maledizione, possibile che non capissero che se
non fosse riuscito, non dico a farsi amare,
ma almeno a farsi perdonare da lei,
non avrebbe potuto più amare nessuna?
In qualunque altra donna che lo
avesse considerato per qualsiasi cosa che non fossero i suoi soldi, avrebbe
inesorabilmente rivisto lei, anche se
non fosse stata bionda, coi codini, le lentiggini e quei dannatissimi occhi azzurri!
Solo
risalendo in qualche dannato modo la china della sua considerazione avrebbe potuto guardarsi allo specchio senza
provare più quel maledetto disgusto per sé stesso, che non lo aveva più mollato
dal giorno in cui era fuggito in lacrime da quel maledetto ricevimento![6]
E
vestire la divisa gli era sembrato un modo per riuscirci. Magari il più
balordo, ma era l’unico che aveva saputo o potuto trovare. Che il motivo si
celasse nella volontà di allacciare un filo col defunto cugino maggiore (anche
lui invaghitosi di Candy, lo sapeva bene) o di espiare le sue colpe attraverso
la crudezza della vita militare (codici
rossi[7] compresi
e da burba ne aveva subiti non pochi)
o anche - nel peggiore dei casi - nel trovare la morte in battaglia come
riscatto di una vita sbagliata, non avrebbe potuto saperlo nemmeno lui. Ciò che
invece sapeva con certezza era che, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare
di nuovo quella donna e risolvere quella maledetta faccenda una volta per tutte!
Fino ad allora rimaneva sicuro di non potersi aspettare nessuna considerazione
da chicchessia, per il semplice motivo che non ne meritava e non ne aveva mai meritata!
O
almeno questo era quanto aveva da sempre constatato… fino a quando quell’imbelle
di suo padre non gli aveva fatto recapitare quel modulo con la richiesta di
trasferimento dalla Fanteria al Corpo Aereo dell’Esercito, firmata - per di più
- da quel maggiore Andrew S. Greason
della Quarta FA, già famoso per avere abbattuto una cinquantina di apparecchi
giapponesi mentre volava con le Tigri
Volanti sui cieli cinesi (guarda caso, lo stesso identico corpo dove s’era
arruolato volontario suo cugino).
L’ex-pretendente
della bionda orfanella era rimasto per un’ora nella camerata deserta, seduto
sulla branda, a rileggere quel modulo, quella firma e la lettera con le
istruzioni del padre su dove spedirlo, una volta compilato. Assieme alla
preghiera di farlo al più presto.
“Da quando sei venuto al mondo, non ho mai saputo
far nulla di buono, per te. Ora ne ho, forse, l’ultima l’occasione. Ti supplico
perciò di non sprecarla e di attenuare così il mio rimorso per essere stato un genitore
inadeguato. Dio ti protegga, figlio mio!”
Solo
questo. Nessuna supplica di ritornare a casa, nessuna raccomandazione di farsi
onore per difendere il “buon nome” della famiglia. Soltanto il desiderio di
essergli utile in qualche modo. Per la prima
volta…
Qualcosa
era scattato nel cervello del secondogenito dei Legan, nonché quinto nipote del
facoltoso William Albert Andrew (figlio del magnate Jacob Reginald): una
scintilla d’orgoglio - finalmente positivo
- che l’aveva spinto ad afferrare quell’esigua opportunità di rendere decente la
sua arida esistenza. La possibilità di diventare una persona rispettabile… e tutto questo gli aveva anche
fornito la volontà sufficiente per superare i duri allenamenti e i relativi
test, guadagnando così quelle ali dorate che aveva poi contemplato per ore,
appuntate sulla giacca della sua nuova uniforme da cadetto.
Ah,
se Candy l’avesse potuto vedere, in quel momento… chissà!
Quando
poi, diciotto mesi dopo, s’era visto assegnare al 22° Gruppo Bombardieri della
neo-costituita Decima FA, diretta da quello stesso Andrew S. Greason che aveva
avallato la sua richiesta di trasferimento, aveva ricevuto un’ulteriore
smentita al fatto che nessuno al mondo avrebbe mai potuto apprezzarlo se prima
non lo avesse fatto la piccola Candy.
Com’era
possibile che l’asso degli assi dell’aviazione, l’aquila americana in persona, volesse proprio lui, l’insignificante Neal Legan, nella sua nuova organizzazione? Che
suo cugino, in Cina, gli avesse parlato bene di lui? Piuttosto improbabile!
Eppure…
Eppure
il primo colloquio che aveva avuto con quell’uomo aveva rappresentato la
migliore esperienza della sua vita. Neal se la ricordava bene ed ecco perché
non avrebbe voluto rincontrarlo proprio adesso, dopo quella sciagurata
performance sull’aeroporto di Lafayette:
sarebbe stato disastroso perdere la stima della prima persona al mondo che
aveva dimostrato uno scampolo di fiducia in lui!
*Invece,
a quanto pare, non c’è verso di scamparla…!* si disse amaro, assistendo
all’atterraggio dei caccia del 99° Gruppo, reduci dalla scorta ai bombardieri
del 22° durante l’incursione sulle acciaierie francesi di Clermont-Ferrand…
Mentre,
sulla più lontana pista n° 2 stavano scendendo i P-51 Mustang della 30a Squadriglia, sulla pista dov’era
stato scodellato Legan cominciarono ad atterrare i P-47 della 10a, la medesima in cui volava il comandante
dell’intera Forza Aerea. Ben presto, a dispetto della sua cospicua mole, un Thunderbolt con la NACA ricoperta da una
vistosa scacchiera ed un’aquila ad ali spiegate, riprodotta dietro i flabelli
del motore, si posò con la grazia di una leggiadra colomba a meno di cinquanta
metri dal comandante del Delta-Fox,
che si vide nel contempo superare da una jeep, occupata da un piccolo team di
specialisti. Il loro capo arrestò la vettura praticamente davanti al carrello
sinistro del caccia, per poi sbrigarsi ad arrampicarsi sull’ala per aprire il
tettuccio dell’abitacolo.
“Bentornato,
generale! Tutto OK…?”
Il
pilota mostrò per conferma la mano col pollice alzato.
“Quanti,
oggi?” domandò ancora il tenente Jonathan Carling, con la voce alta per coprire
il rombo del motore.
Per
tutta risposta, Andrew Steve Greason alzò anche indice, medio e anulare. Poi
abbassò la mano per togliere il contatto.
“Super…
altri quattro” esclamò entusiasta il fedele meccanico “dirò a Bruce di
aggiornare il punteggio su Juggy,[8]
finché c’è ancora spazio disponibile! Le ha dato qualche noia?”
L’asso
scosse la testa mentre scavalcava il bordo dell’abitacolo: “Un vero zuccherino.
Niente da stupirsi, finché ci metti le mani tu!” specificò, dando a Carling
un’affettuosa pacca sulla schiena.
“Piacere
mio, generale!”
Andy
saltò giù dall’ala e si diresse lentamente verso quell’ufficiale che stava
avvicinandosi a sua volta, con passo misurato. Come si trovarono a mezzo metro l’uno
dall’altro, Neal s’irrigidì sull’attenti, eseguendo un saluto da manuale: “Buon
pomeriggio, generale. Sono il capitano Legan. A rapporto, signore…!”
Il
comandante della Decima restituì il saluto: “Ah… sì, sì…” disse poi, mentre si
sfilava i guantoni da volo, tirandoli lentamente, dito per dito “…alla
buon’ora. Bene, capitano, venga con me: faremo una piccola chiacchierata!”
“Sissignore…!”
rispose lui, con voce semispenta. I due montarono sulla jeep dei meccanici, che
si diresse subito, condotta dallo stesso Andy, verso il Quartier Generale. Anche
se il tragitto non superava il mezzo chilometro, a Neal sembrò interminabile,
soprattutto per la consapevolezza che stavolta la loro conversazione non
sarebbe stata così amichevole com’era stata quella del loro primo incontro…
***
Due
mesi prima (Febbraio 1944)…
“Grande,
capo… un atterraggio perfetto, come sempre!” sentenziò il giovane co-pilota,
mentre toglieva potenza ai motori.
“Ti
meravigli, marmocchio?” lo schernì il suo futuro comandante, guardandolo di
traverso, mentre iniziava a schiacciare i freni “Ormai potrei guidare questa
carretta ad occhi chiusi. È un aereo molto docile.”
“Sì,
va abbastanza bene” commentò una voce alle loro spalle “ma penso che saranno
necessari almeno due o tre voli supplementari, prima di dichiararvi idonei per
il fronte operativo.”
Il
primo pilota del B-17 si voltò
all’indietro, mostrando un’espressione alquanto strafottente: “Vuole scherzare,
colonnello? Siamo assolutamente pronti per iniziare a mollar bombe in testa ai
crucchi e lei lo sa!”
L’ufficiale
supervisore all’operatività dei nuovi equipaggi per il teatro europeo raffreddò
significativamente lo sguardo: “Legan, quando imparerà a dare ascolto a chi ne
sa più di lei?! Nel volo in formazione presentate ancora qualche leggera
carenza e i crauti non saranno così premurosi da indicarvi cosa c’è che non va,
se non a suon di pallottole e di granate esplosive! Non mi faccia perdere la
pazienza, se non vuole che i voli diventino il doppio, intesi?” detto ciò si
levò la cuffia e abbandonò la torretta difensiva superiore, che utilizzava come
posto di osservazione, infilandosi nell’apertura che comunicava con il vano
bombe.
“Agli
ordini, signor… coglione…!!” concluse
l’altro, a voce bassissima, ormai sicuro che il superiore non lo sentisse più.
Al che, il “piccolo” Jimmy si cacciò la mano in bocca per trattenere le risate,
per poi dire al suo collega: “Sai, Neal? Conosco una ragazza che ti avrebbe
preso a schiaffoni per una cosa simile!”
“Allora
presentamela.” ribatté l’altro, asciutto, con lo sguardo rivolto al pilota di
terra, che agitava le sue palette per indicargli la piazzola di parcheggio.
“Eh,
non credo che ti piacerebbe…!” lo avvisò il tenente Curtright, mentre iniziava
a staccare i contatti sul quadro superiore.
“Non
si può mai sapere!” commentò Neal mentre si calava nella botola fra i sedili di
guida che dava accesso allo scomparto sottostante. Nel frattempo un aviere,
dopo aver sistemato i tacchi d’arresto davanti alle ruote anteriori, aveva
spalancato il portello sotto il muso dell’aeroplano: “Capitano Legan?” chiese.
“Sì!”
rispose lui, seccato.
“La
vogliono nell’ufficio del comandante, signore.”
Dopo
avere infilato le gambe nel pertugio, sostenendosi con le braccia ai lati dello
stesso, il pilota si lasciò cadere a terra.
“Che
altro avrei combinato, questa volta?!” chiese poi allo specialista, mentre
sgomitava all’indietro per riscaldare i muscoli, intorpiditi dal volo.
“Niente
che io sappia, signore. Mi hanno semplicemente ordinato di riferirglielo.”
“Ok,
ma prima andrò a prendermi un caffè caldo: questo è poco, ma sicuro!”
“Con
rispetto, signore, ma il comandante sembrava piuttosto impaziente.”
“Non
me ne frega un…”
“Neal…!!”
“Che
vuoi, piccoletto?”
“Prendi
e non fare cazzate: ti sei già inguaiato abbastanza!”
Il
pilota afferrò al volo il termos che il suo secondo, sportosi dalla botola, gli
aveva lanciato.
“Avevo
detto caldo, vaquero del mio cuore!”
“Accontentati
e fila: non voglio giocarmi la partenza per colpa tua…!”
Neal
Legan lo squadrò con un ghigno divertito. Suo malgrado, s’era ormai affezionato
a quel piccolo impertinente.
“Ma
guarda quanta fretta d’andare a crepare che ha certa gente” disse, versandosi
il caffè, ormai piuttosto tiepido “se lo sapesse la tua direttrice…”
“Bevi
e sparisci, idiota…!” ribatté il compagno, disparendo all’interno.
Sghignazzando,
il capitano si diresse verso la palazzina dell’aeroporto, quindi salì
nell’ufficio del maggiore-generale Emmet O’Donnel, comandante della base di Quonset Field, nel Massachusetts, dove
venivano messi a punto i nuovi equipaggi destinati alle Forze Aeree
statunitensi basate in Gran Bretagna e nel Mediterraneo. Mentre la piacente
ausiliaria gli teneva aperto l’uscio, lui fece appena in tempo a sussurrarle:
“Nessun ripensamento per stasera…?”
Guardandolo
brutto, il tenente in gonnella richiuse l’anta, al che Neal si voltò per
avvicinarsi alla scrivania del comandante: “Mi voleva vedere, signore?” chiese
sbattendo i tacchi e salutando correttamente.
“Non
faccia dello spirito, capitano” lo freddò il generale, senza troppi complimenti
“lo sa meglio di me che meno la vedo e più sono contento! C’è un’altra persona
che desidera conoscerla…”
L’altro
si volse verso la figura che aveva intravisto vicino alla finestra, non appena
entrato, che a quelle parole si voltò, uscendo dalla penombra. Il rampollo dei
Legan ebbe un lieve sussulto, riconoscendo l’aviatore più famoso dell’emisfero
occidentale, il cui viso era scolpito nella memoria di tutto il Paese, grazie
alle frequenza con cui appariva sulle testate di Time, Life e Newsweek…[9]
Andrew
Steve Greason, indossando una divisa da brigadiere-generale nuova fiammante, i
cui nastrini saturavano lo spazio utile fra la tasca pettorale sinistra e la
spilla con le ali d’ottone, si avvicinò reggendo il berretto d’ordinanza col
braccio sinistro, mentre col destro tendeva la mano verso il nuovo venuto: “Il
capitano Legan, suppongo…”
“Io...
sì, signore…!” rispose costui, dopo un attimo di titubanza, intimorito dalla
fama dell’individuo che aveva di fronte. Anni ed anni d’indottrinamento
familiare sul rispetto dovuto alle persone più importanti si facevano sentire,
ben più dell’addestramento ricevuto - e spesso rafforzato dalle opportune
sanzioni - sull’osservanza del regolamento.
“Molto
piacere: Andrew Steve Greason!”
Il
tono franco, la stretta virile, lo sguardo limpido del superiore e il suo
sorriso aperto misero quel giovane spostato curiosamente a suo agio come mai
s’era trovato davanti ad un suo simile, fin da quand’era nato.
O’Donnell
si mosse verso l’uscio: “Vi lascio soli.” annunciò.
“Grazie,
generale!” rispose Andy. Andò quindi a sedersi sulla poltrona del comandante della
base e fece cenno al capitano di servirsi della sedia, posta davanti alla
scrivania.
“Si
accomodi, capitano!”
“D’accordo”
rispose questi. Subito dopo si corresse “volevo dire… grazie, signore!”
Un
altro sorriso, percettibilmente più largo, tornò ad illuminare il volto del suo
interlocutore: “Mi piacciono gli uomini decisi a rimediare ai propri errori!”
“Mi
scusi…?” chiese Neal, lievemente spiazzato.
Greason
sollevò un modulo dallo scrittoio: “Ho letto che lei, da quand’è sotto le armi,
ha collezionato parecchie note negative. Nondimeno ha imparato, poco a poco,
che il rispetto per i superiori e fra i commilitoni - al di là della loro
estrazione sociale - possono portare anche dei ritorni positivi. Non ultima, una considerazione
disinteressata. Mi sbaglio…?”
Rialzandosi
dal foglio, gli occhi di quel giovane generale ad una stella si erano puntati
contro i suoi. Legan dovette schiarirsi la voce, prima di rispondere: “Beh,
ecco… sinceramente, credo di… credo di averlo constatato, signore.”
Andy
riposò il foglio sul tavolo e giunse le mani, appoggiandovi il mento: “E come
ci si è trovato?”
Sconcertato
da quel secondo contropiede, Neal corrugò le sopracciglia, percependo la netta
sensazione che quell’uomo, appena conosciuto, ne sapesse su di lui più di
quanto volesse far intendere. Ma questa sensazione, che normalmente gli sarebbe
apparsa piuttosto sgradevole, gli stava dando invece un insolito senso di sicurezza.
“Beh…
non male, devo ammetterlo! Certo,
all’inizio, non è stato facile… se avrà letto il mio curriculum, saprà che appartengo
a una famiglia altolocata. Essendo abituato a non sentirmi dare del tu, se non dai parenti più stretti, fin
da quando sapevo camminare… ho dovuto fare a pugni col mio orgoglio, per
abituarmi.”
“Sarà
stata dura, eh?”
Neal
raddrizzò il busto: “Abbastanza, signore! Ma, con tutto il rispetto, perché me
lo chiede?”
Greason
posò le mani sugli avambracci: “Non le hanno ancora detto nulla circa la sua
prossima destinazione?”
“Non
ancora. Soltanto che il mio equipaggio verrà assegnato all’ETO.”[10]
“Bene…
sappia allora che entrerete a far parte del Gruppo da Bombardamento Strategico
della mia nuova Decima Forza Aerea.”
Legan
rimase a bocca aperta, poi farfugliò: “Sta… sta scherzando, signore?!”
Andy
scosse la testa: “Niente affatto! Non ho l’abitudine di burlarmi dei miei
futuri collaboratori. Che invece, come ben comprenderà, desidero conoscere
personalmente.”
Quel
terzo contropiede fu davvero micidiale. Ma come? Andrew Steve Greason, l’aquila americana, l’eroe dell’aria
nazionale aveva scelto lui, Neal
Legan, il nipote degenere di William Albert Andrew, definito un buonannulla
dall’intero parentado, come capo-equipaggio del reparto cardine per lo
smantellamento delle retrovie tedesche nella Francia occupata? Ma lo sapeva con
quale soggetto aveva a che fare? Era
al corrente di tutto ciò che aveva combinato? Va bene, nella vita privata
sicuramente no… ma sarebbero comunque bastate le sue pessime note militari (se
non quelle tecniche, almeno quelle morali) per farlo rispedire a calcioni
dalla sua deliziosa famigliola!
Suo
malgrado, gli venne da ridere… cercò di frenarsi, ma senza successo; tutto quel
che poté fare fu tapparsi la bocca, ma gli inevitabili singulti durarono fin
tanto che ebbe fiato in gola. Dopodiché, cercando di ricomporsi, s’affrettò a
dichiarare: “Chiedo scusa, signore: è stato più forte di me! Tuttavia… sempre
col dovuto rispetto…insomma, è sicuro
di sentirsi bene?!”
“Ci
tengo particolarmente alla mia salute” gli rispose il generale, con una smorfia
divertita “non per nulla ho sposato un’infermiera.”
“Come…??!”
alzò la voce Neal, spalancando gli orecchi.
“Un’infermiera.
Mia moglie è infermiera.”
“Un’infermiera…?!” ripeté l’altro a mezza
voce, visibilmente sconvolto.
“Sì.”
“E…
come si chiama…??”
Stavolta
fu l’asso a restare spiazzato da quella domanda. Nondimeno si compiacque di
rispondere: “Flanny. Hamilton, da nubile. Perché?”
“Qualcosa
non va?” s’informò il superiore, premurosamente.
“No,
no… tutto a posto! Per un attimo ho creduto che… ma cosa vado a pensare?! Eh,
eh, eh…!”
Greason
tornò a scuotere la testa: “In effetti mi avevano avvertito che lei era un tipo
singolare!”
“Già…
me lo dicono tutti… ah, ah, ah…!” convenne Neal mettendosi - forse per la prima
volta in vita sua - la mano dietro la nuca.
“Bene.
A questo punto vorrei farle una domanda abbastanza personale…”
“Come
desidera, signore!” annuì il suo nuovo subordinato, tornato di colpo
completamente formale.
Volendo
invece riaccorciare le distanze, il nostro asso tornò a sorridergli, facendo un
gesto pacato con la mano: “Ascolti, Neal… vorrei che ci parlassimo francamente,
da uomo a uomo. Dimentichiamoci dei gradi, per il momento: se vuole, in via del
tutto eccezionale, può chiamarmi Andy. Che ne dice?”
“Se
la chiamo Andrew, fa lo stesso…?”
Il
nostro asso rimase spiazzato di nuovo. Quella conversazione stava diventando
una specie di partita a ping-pong, gioco nel quale il terrore della Luftwaffe era sempre stato un’emerita frana.
“Naturalmente”
rispose, perplesso “non le garbano i diminutivi?”
“No,
le pare? Solo certi suffissi…!”
Il
superiore lo squadrò attentamente, grattandosi il mento: “Le piacciono gli
indovinelli, eh?”
“Oh,
no, signore. Decisamente no!”
“A
me, invece, sì… scommettiamo dieci dollari che indovino l’iniziale del nome che
non le piace sentir richiamare foneticamente?”
Sentendosi
piccato da quell’atteggiamento (ma non aveva detto che non era suo costume
burlarsi dei collaboratori?) il mai del tutto placato orgoglio di Neal lo
spinse ad esclamare: “Ci sto, signore: ecco i miei” e sbatté un deca sopra il
tavolo “e i suoi…?” chiese poi, vedendo che il superiore non faceva altrettanto.
“Non
serve: è la C!” rispose l’asso, afferrando il verdone.
Legan
sbarrò tanto d’occhi: “Come ha fatto a…?”
“Semplice
esclusione, amico” rispose serafico l’altro, intascando la banconota “ci sono
soltanto quattro nomi abbreviati che finiscono come il mio, compreso il mio… e
sono tutti maschili, tranne uno!”[11]
“Lei
è diabolico…!” sibilò il capitano.
“No,
sono solo fortunato… e il fatto che ci abbia azzeccato mi porta alla domanda
che volevo farle…”
“Che
sarebbe?”
“Perché
ha deciso di arruolarsi?”
Il
giovane lo fissò a lungo, per poi ribattere: “Devo proprio rispondere?”
L’asso
scosse la testa ancora una volta: “Faccia come crede, Neal: non voglio
obbligarla.”
Legan
abbassò la testa, continuando a riflettere. Infine parlò: “Ero stanco di essere
scontento di me stesso… stanco del disprezzo suscitato in chi avrebbe dovuto
considerarmi… o che avrei voluto mi
considerasse! Così com’ero stanco dell’adulazione ipocrita delle persone di
cui, invece, non m’importava nulla. Non so, forse volevo anche punirmi... però…”
rialzò lo sguardo verso il suo nuovo comandante “…volevo anche rifarmi una
vita, signore!”
Andrew
Steve Greason lo fissò con espressione seria. Quindi si alzò per girare intorno
alla scrivania e avvicinarsi al suo interlocutore, che a sua volta si alzò in
piedi, di scatto.
“Okay,
Legan” cominciò, posandogli una mano sulla spalla, guardandolo bonariamente “forse
non sono bravo a indovinare tutte le
cose… e certo non posso assolverla io per quanto di sbagliato abbia fatto
finora. Per quello dovrà vedersela con la sua coscienza, anche se ritengo che,
da quanto ha passato come recluta, sia già stato abbastanza punito” lui fece un
mesto sorriso “comunque…” il viso di Andy si rifece serio “…per ciò che farà da
questo momento, dovrà risponderne a me… e se saprà mettere a frutto le lezioni
del passato, sono certo che troverà quell’equilibrio e quella rispettabilità
che ormai le spettano di diritto” gli lasciò la spalla e gli tese la mano “vuole
rifarsi una vita? Bene: la Decima Forza Aerea le darà quest’occasione!”
Avvertendo
un discreto pizzicore agli occhi, il cugino “acquisito” di Candy strinse
fortemente la mano di quell’individuo che, primo fra tutti, gli aveva rivolto
parole di autentico rispetto: “M’impegnerò al massimo per non deluderla,
generale. Glielo giuro!”
L’asso
annuì, sorridendo: “Buona fortuna, capitano: ci rivedremo in Inghilterra.”
“Arrivederci,
signore!”
Detto
ciò, il nuovo ufficiale del 22° Gruppo da Bombardamento, del 1° Stormo
Strategico della Decima Forza Aerea USA, salutò impeccabilmente, fece un
perfetto dietro-front ed uscì dalla stanza.
Quando
raggiunse nuovamente il suo co-pilota, questi lo abbordò scherzoso: “Tutto
bene, eccellenza?” era il titolo che ogni tanto gli affibbiava per sfotterlo
sul suo “nobile” casato “Mi ha detto un uccellino che hai visto il futuro
grande capo… non mi dirai che ti ha già mollato il suo primo cicchetto?!”
Il
compagno estrasse lo zippo e il pacchetto delle Camel, per poi accendersene una con le mani tremolanti.
“Mi
ha soffiato dieci dollari!” disse poi, osservando salire il fumo appena
espirato.
“Cosa…?!”
Neal
gli raccontò l’episodio della scommessa, ma il piccolo Jimmy non rimase troppo
convinto: “Senti, fratello: ti vedo troppo sconvolto per avere perso soltanto un
deca, soprattutto un creso come te. C’è dell’altro, quindi sputa!”
“Mi
ha parlato come un padre” disse allora Neal, con lo sguardo fisso nel cielo
“che sensazione strana!”
“Che
cosa vuoi dire?” insistette ancora l’ex piccolo cow-boy.
“Che
non c’ero abituato, Jim: non l’aveva mai fattonessuno…!”
***
Ma
stavolta il generale Andrew Steve Greason, comandante della Decima Forza Aerea
in Gran Bretagna, non sarebbe stato così comprensivo e il capitano Legan,
comandante del Candy Candy lo sapeva
perfettamente.
*Sono
davvero un idiota incallito* si disse tristemente, intanto che lo seguiva nel
suo ufficio *come al solito, ho rovinato tutto!*
“Ti
spiace andarti a prendere un caffè, James?” disse l’asso al suo luogotenente
“avrei una faccenduola da sbrigare.”
“Nient’affatto”
rispose il colonnello Stone “ci vediamo più tardi.”
Scambiò
il saluto d’obbligo col capitano e uscì dalla stanza. Greason, invece, aperto
il mobiletto dietro la scrivania, estrasse la sua preziosa bottiglia di Scotch, insieme a due bicchieri. Li posò
sul tavolo, li riempì per metà e mentre si portava il proprio alla bocca,
ordinò al suo perplesso subalterno: “Beva, capitano.”
Meccanicamente,
Neal afferrò il bicchiere e se lo vuotò tutto d’un fiato…
“Niente
male” commentò l’asso “una volta ci riuscivo anch’io… ma da quando mi sono
sposato ho dovuto, via via, perderne l’abitudine” sorseggiò il suo whisky e incrociò
le braccia, rimanendo seduto sullo scrittoio “forza maggiore, caro Legan…!”
concluse, lanciandogli uno sguardo significativo.
Il
suo superiore posò il bicchiere sul tavolo: “Non l’ho chiamata qui per parlare
dei suoi problemi sentimentali, capitano… ma solo per farle presente che il
governo degli Stati Uniti ha investito qualcosa come ventimila dollari nella
sua persona, per metterla in grado di compiere un determinato lavoro. La sua
felicità può anche starmi a cuore come uomo, ma come comandante in capo della
sua Forza Aerea, il mio preciso compito è quello di vigilare sulla sua
efficienza in combattimento. E, ancora di più, sulla sua attitudine ad avere
cura delle persone che le sono state affidate. Mi ha capito bene?”
Il
tono di Andy, pur non essendo incollerito, era però abbastanza tagliente da
penetrare a fondo nell’animo dell’interlocutore, che infatti arrossì,
abbassando colpevolmente lo sguardo: “Sono… davvero dispiaciuto per
quell’increscioso incidente. Le assicuro che non si ripeterà… e la prego di
accettare le mie più sincere scuse!”
Il
generale emise un leggero grugnito: “Neal, non mi servono le sue scuse… perché,
se non le avessi già accettate fin da ieri, a quest’ora lei si troverebbe già
imbarcato sopra un cargo: dritto sparato in Patria, verso le amorevoli grinfie
di sua madre e della sua deliziosa sorellina…!”
Un
brivido forte e secco scosse violentemente le membra dell’ufficiale pilota…
“Già…
sono sicuro che una sanzione del genere sarebbe molto più pesante di qualunque campo militare detentivo, non è
vero?” gli chiese, guardandolo di sottecchi. Lui non rispose, ma la sua
espressione era comunque abbastanza eloquente.
“D’altra
parte” continuò il generale, passeggiando per la stanza con le mani dietro la
schiena “sono altresì convinto che sarebbe un vero peccato mandare in malora
tutto il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi. Che gliene pare?” chiese,
infine, rivolgendogli uno sguardo acuto.
L’interessato
deglutì un paio di volte: “Credo che abbia ragione, signore…!”
“Crede…?”
“Cioè…
ne sono convinto!” si affrettò a precisare, sentendo le gocce di sudore che gli
scorrevano sulla fronte.
“Bene…”
il superiore si piantò davanti a lui, fissandolo intensamente “…e allora
s’impegni a mettere in pratica questa sua convinzione, in qualunque modo
possibile. E non solo in servizio… mi sono spiegato?”
“Perfettamente,
signore!”
Andy
tornò presso il tavolo e riempì nuovamente i bicchieri. Poi porse il suo al
capitano, dicendogli, con tono nuovamente bonario: “E adesso, se non le
dispiace, mi spieghi il motivo di quella fuga precipitosa, dopo il vostro
arrivo a Lafayette Field!”
Al
vecchio Neal, già lietamente convinto d’essersela cavata così a buon mercato,
andò naturalmente di traverso il whisky e ci vollero diverse pacche sulla
schiena da parte del suo benefattore per consentirgli di riprendere un respiro
regolare…
“Io…
io credevo che… sapesse già tutto, generale…!” ribatté, non appena gli fu
possibile.
“Non
si preoccupi di quello che so… è la sua
versione che m’interessa!”
“Beh,
ecco… vede, generale… io… anzi, tutti noi… avevamo avuto… qualche problemino
con quella donna, signore …!”
Andy
Greason aprì la bocca, mostrando un’espressione da finto mammalucco: “Ah, ora
capisco! Ma certo, adesso è tutto chiaro… poteva ben dirlo subito, no?”
L’altro
abbozzò un sorriso forzato: “La ringrazio per la sua comprensione, signore…!”
“Ma
si figuri, Neal” ribadì il superiore, sorridendo “dovere…”
Ma
il sorriso dell’ex damerino di casa Legan si spense all’unisono con la grinta
del generale, riabbuiatasi all’istante: “MA COSA DIAVOLO CREDEVATE CHE FOSSE,
QUESTA? LA LEGIONE STRANIERA? O UNA SPECIE DI SANATORIO PER GLI SPASIMANTI
RESPINTI?!” gridò, adesso veramente furioso.
“Mm…
masignore, io…” balbettò il poveretto.
“Forse
voi non avete ancora ben chiaro di cosa
vi troverete di fronte, quando andrete in azione! Se vi basta una gonnella un
po’ incazzata per produrvi un effetto del genere, come credete di poter
sopravvivere alle raffiche da 30 dei caccia tedeschi o alle granate da 88 della
Flak?!”
Dopo
essere rimasto ammutolito per vari secondi, Neal Legan riuscì a trovare, caso
unico nella sua storia, la migliore risposta che poteva dare in quella
circostanza, anche se forse non era la più sensata: “Un proiettile può soltanto
uccidere, generale…!”
Ma
questi, pur intuendone l’intenzione ironica, decise di prenderla sul serio: “È
dunque la morte che è venuto a cercare qui, capitano?” gli chiese, aggrottando
la fronte.
L’altro
rimase sconcertato per un attimo: “Tempo addietro, forse sì…” rispose poi “…ma
ora non più!”
“E
allora si ricordi di tutto ciò che le ho detto: qui ci servono piloti vivi, non
sprovveduti morti…!” subito dopo, però, come pentendosi immediatamente di
quelle parole, Andy distolse lo sguardo e tornò alla scrivania, cominciando a
rimestare le carte posate lì sopra.[12]
Neal,
dal canto suo, non parve farci caso, limitandosi a promettere: “Me ne ricorderò,
signore…!”
“Può
andare.” lo congedò l’asso, sempre voltandogli la schiena.
“Signorsì!”
Dopo
essersi chiuso la porta alle spalle, Legan dovette appoggiarvisi colla schiena,
scivolando poi di qualche decimetro verso il basso…
“Porco
Giuda, Candy…” mormorò “…sta’ a vedere che ho trovato finalmente uno dei tuoi parenti…!”
Poco
dopo, nel dirigersi verso l’uscita dell’edificio, si concesse una seconda
battuta di spirito: “E adesso so anche perché ti avevano mollato alla Casa di Pony: eravate decisamente in troppi, tutti e due…!”
[1]Women's
Auxiliary Air Force: il corpo
ausiliario femminile dell’arma aerea.
[2]Come i lettori ricorderanno, l’incursione di
quell’U-Boat fa da sfondo agli avvenimenti narrati nel capitolo 8 (Il giorno più lungo dei Greason). Se un
giorno avrete l’opportunità di leggere il racconto Le Due Aquile, scritto a quattro mani con il mio migliore amico,
scoprirete che Richardson ed i suoi compagni avevano approfittato di
quell’occasione per scappare in città, anche se poi gli era andata a buca!
[3]Il codice di chiamata radio del Candy Candy, formato dalla lettera F (identificativa del velivolo) e dalle ultime tre cifre della
matricola di fabbricazione.
[4]Con quei razzi gli equipaggi in arrivo segnalavano al personale della
base la presenza di feriti a bordo.
[5] Almeno secondo la mia personale
interpretazione (anche se potrei sbagliarmi).
[6]Nel corso del quale, secondo i piani della signora Legan e della zia
Elroy, sarebbe stato annunciato il suo fidanzamento con Candy.
[7]Se volete sapere cos’è un Codice Rosso guardatevi il film Codice
d’Onore, con Tom Cruise, Jack Nicholson e Demy Moore.
[8]Pronuncia giagghi:
sarebbe una contrazione di Juggernaut
(il carro di…), soprannome dato al P-47
per via della sua stazza massiccia (anche se spesso, come già accennato, il
termine era abbreviato in Jug, che
vuol dire brocca).
[9]Una volta, per fare uno scherzo a Flanny, alcune sue colleghe
avevano riempito di baci una di quelle pubblicazioni, dopo essersi date il
rossetto. Per fortuna Candy aveva intercettato la rivista in tempo e l’aveva
gettata nell’inceneritore.
[11]I nomi in questione sono: Andy (diminutivo di Andrew),
Randy (diminutivo di Raymond), Sandy (diminutivo di Alexander) e Candy
(diminutivo di Candice) unico nome
femminile!
he
fai, Andy?! Attento: c’è la precedenza a sinistra!”
“Cacchio,
hai ragione” il collega lanciò un bonario gesto di scusa all’automobilista
londinese, che aveva dovuto frenare bruscamente “ogni tanto me lo scordo…!”
“Era
meglio se guidavo io: ti vedo abbastanza stressato, da un po’ di tempo!”
osservò James Stone, col suo consueto tono paternalista.
“Hai
buoni occhi, allora. Comunque vorrei sapere chi glielo fa fare a questi Limey[1] di
circolare in senso contrario a tutto il resto del mondo!”
“Non
lo sapevi che un tempo la circolazione a sinistra era diffusa intutta l’Europa?”
“Ma
và! Sul serio?”
“Sicuro.
Furono gli antichi romani a istituirla. Poi Napoleone la modificò durante il
suo dominio su gran parte del continente. Soltanto le isole britanniche
mantennero il retaggio della passata colonizzazione.”
“Cribbio,
sei una vera enciclopedia” dopo questo banale commento, sul viso dell’asso passò
come un’ombra “mi ricordi vagamente una persona…”
“E
chi sarebbe?”
“Già…
chi…!” borbottò Andy, a denti
stretti. Poi sospirò “Beh, si tratta di…”
“Cos’è
quel casermone, laggiù? Un convento?” lo interruppe James, colpito
dall’imponenza di un edificio che si ergeva oltre una vistosa cancellata,
delimitante un bellissimo parco.
Il
compagno si volse nella direzione indicatagli e il suo aspetto parve incupirsi
maggiormente: “È un collegio.” spiegò.
“Alla
faccia: non si trattano mica male!”
“Vorrei
vedere” commentò l’asso, con ironia “è la Royal St. Paul, una delle scuole più prestigiose
del Regno Unito!”
“Ah,
però…” esclamò Stone “…ma non è quella dove ha studiato l’amica di Flanny?”
chiese poi, dopo aver fatto mente locale.
“Affermativo”
rispose Andy, condizionato da anni di gergo militare “insieme al suo beneamato
istrione!”
Il
fedele secondo voleva star zitto, ma la tentazione prevalse: “Quindi, in poche
parole… quel College ha più o meno assunto il ruolo che l’ospedale da campo di
Kunming ha rappresentato per voialtri due!”
“Diciamo
di sì… a parte il fatto che io e Flanny ci siamo sposati.”
“Già…
qualcuno direbbe che gli yankies si
sono inteneriti, dai tempi di Yorktown.”[2]
“Che
risate!”
“Scherzavo.
Chissà perché, invece, quei due non…”
“Ti
spiace se cambiamo argomento?! Sei poco professionale, stamani.”
“In
che senso?”
“Non
mi hai nemmeno chiesto perché stiamo andando da Spaatz.”
“Hai
ragione, non è da me” ammise James, ridacchiando “ma prima posso farti
un’ultima domanda frivola?”
“Se
ci tieni…” sospirò il generale.
“Chi
è la persona che ti ho fatto ricordare con la mia onniscienza?”
L’amico
strinse la mascella, concentrandosi sulla guida. Rassegnato a rimanere senza
risposta, James si accontentò di contemplare le limacciose acque del Tamigi,
scorrenti sotto il Tower Bridge che
stavano attraversando in quel momento. Poi, all’improvviso, il suo compagno
soddisfece la sua curiosità: “Patty O’Brian…!”[3]
Bastò
quel nome per schiarire le idee al fedele coadiutore, che si lisciò
nervosamente la fronte: “Capisco… scusami, Andy!” borbottò.
“Figurati…
che c’entri, tu? Poi, più che altro, è stato a vedere quella maledetta scuola!”
“Vuoi
forse dire che ha studiato lì anche lei?”
“Sì…
e anche Archie Cornwell, con la moglie.”
James
scosse la testa, colpito da tutte quelle coincidenze. Poco dopo domandò, con un
guizzo improvviso: “E anche…”
“Anche!”
Il
vice-comandante della Decima emise un soffio prolungato e, dopo qualche
istante, non poté fare a meno di commentare: “Il mondo è veramente piccolo!”
“Già”
confermò l’amico, con tono amaro “troppo…!”
***
In
effetti, fra tutte le esperienze negative che il nostro amico, al pari di ogni altro,
aveva dovuto affrontare nel corso della sua esistenza, quella era stata indubbiamente la peggiore. Era successo giusto un
paio d’anni prima, alla vigilia della loro partenza per l’Europa, il primo
giorno di Aprile del 1942…
“Un’uscita
tutte insieme, stasera…?” chiese Flanny.
“Sì,
che te ne pare?” annuì gaiamente Judith “Sarebbe un modo simpatico per salutare
New York, prima dell’imbarco di dopodomani!”
“Può
darsi” ammise l’altra “ma sono piuttosto stanca e temo che vi rovinerei la festa.
Poi lo sai che non vado pazza per le cose mondane!”
“Mondane?”
obiettò l’altra “Ma se saremo solamente noi cinque! Sempre che tu” aggiunse, argutamente
“non preferisca passare la sera con il maritino…”
“Scherzi?
In fondo stiamo sempre appiccicati… ormai deve averne fin sopra i capelli, di
me!”
Per
quanto la sua battuta fosse stata del tutto priva di sottintesi, la buona Judy
si rese conto di averla detta grossa. In realtà, i due coniugi non si vedevano
da quasi due settimane: l’imminente partenza dall’ospedale St.Jacob aveva imposto un surmenage spaventoso alle ex allieve
della Scuola Mary Jane, dovendo loro istruire
anche le colleghe che le avrebbero rimpiazzate. Per tutto quel periodo avevano infatti
dormito sempre in ospedale; ma,quella
sera, erano finalmente libere.
“Perdonami,
Flanny… parlo sempre troppo in fretta” si scusò la rossa, mortificata “vorrà
dire che andremo da sole.”
“Ma
va, scherzavo” le sorrise la compagna, allungandole un buffetto “ci sarò, ci
sarò.”
“Davvero?”
gli occhi di Judy tornarono a illuminarsi “Fantastico! Naturalmente puoi
portare anche lui” si affrettò ad aggiungere, con un guizzo “anzi, mi stavo
proprio dimenticando di dirtelo!”
“Dirmi
cosa?” chiese Flanny mentre finiva di riporre delle attrezzature.
“Che
lo avremmo invitato comunque!” specificò Judy.
La
signora Greason le rivolse uno sguardo decisamente obliquo: “Siete sempre molto
gentili!” dichiarò, dopo averla vista arrossire come un peperone.
Ormai
conosceva fin troppo il “debole” provato dalle colleghe per il suo prestante
consorte, con la probabile eccezione
di Candy. Si ricordava come fosse ieri, quand’erano andati fuori a cena, insieme
con Judy e Natalie, a Honolulu, pochi giorni prima dell’attacco giapponese… la
loro rubizza collega se l’era mangiato letteralmente cogli occhi e Flanny aveva
udito la castana sussurrarle: “Judy, insomma: lasciagli almeno uno scampolo d’uniforme
addosso…!”
Comunque,
dopo avere accusato il colpo, la rossa riferì alla mora che li avrebbero
aspettati per le otto al 21[4] e si
congedò velocemente. Scuotendo divertita la testa, Flanny si diresse verso lo
spogliatoio per riporre l’uniforme.
“Buonasera,
Flanny. Vai già via?” le chiese Candy, incrociandola, in corridoio.
“Come
vedi. E tu?”
“Ne
ho ancora per mezzora.”
“Allora
ci vediamo più tardi.”
“E
dove…?” chiese la bionda, perplessa.
“Beh,
non vieni al 21 anche tu?”
“Ah,
già” sconcertata, la compagna si batté la fronte “è vero: la cena! Eleonor me
ne aveva accennato… ma purtroppo ho un impegno!”
“Oh,
davvero?” l’espressione dell’amica mostrava un sincero disappunto “Non puoi
proprio rimandare?”
“E
come faccio, se partiamo dopodomani?” la bionda allargò le braccia, sconsolata
“Il fatto è che una mia amica carissima si trova in città solo stasera e mi ha
chiesto se potevamo stare insieme. Non la vedevo da un pezzo e, se non colgo
l’occasione, chissà quando ne avrò un’altra…”
“Capisco.
Beh, porta anche lei, no?”
“In
effetti…” Candy rifletté un momentino “…se a voi non dispiace…”
“Nessun
problema” confermò la mora “alle otto al 21,
ricordati.”
“D’accordo…
grazie Flanny!” replicò l’amica, con uno dei suoi sorrisi più solari.
***
“Siamo
arrivati!” annunciò Andy fermando la Chevrolet
davanti all’ingresso del ristorante. L’usciere s’affrettò ad aprire la portiera
del passeggero e a far scendere Flanny, che ringraziò con un sorriso
imbarazzato. Poi si portò la mano al berretto per salutare l’ufficiale dell’USAAF, che gli allungò un biglietto da 5
dollari: “Pensa lei alla vettura?”
“Certamente,
signore. Benvenuti al 21!”
Andy
mise un braccio sulla spalla della moglie, mentre superavano l’entrata. Flanny sospirò,
cercando di nascondere quel leggero disappunto che le provocavano posti del
genere. L’unica cosa che non le piaceva del suo matrimonio era il salto di
classe sociale che la posizione del marito le aveva procurato, accusandosi talvolta
d’ingenuità per non aver previsto questo aspetto!
“Tutto
bene, cara?”
“Eh…?
Ma certo!”
“Senti,
ma di chi è stata l’idea di venire proprio qui?”
Flanny
storse la bocca: “È stata Eleanor… lei ha un debole per questi posti. E grazie
tante: la sua famiglia è ricca sfondata!”
Il
maggiore avvertì una fitta intercostale: “Beh…” farfugliò “…non è bello che anche
persone provenienti dalle classi altolocate scelgano un lavoro nobile come il
vostro?”
“Può
darsi” rispose la moglie, con bonaria sufficienza, mentre il maître li guidava
premurosamente attraverso le sale. In fondo si era un po’ pentita delle dure
parole che aveva rivolto a Candy quando aveva appurato la sua parentela con gli
Andrew “se è per questo, trovo positivo anche il fatto che a rischiare la pelle
per difendere la libertà non ci vadano soltanto i poveri!” aggiunse poi,
sorridendo affettuosamente al compagno.
“Eh,
già… sicuro!” convenne lui, tergendosi furtivamente la fronte, dopo che lei
aveva voltato la testa. Ricordava bene cos’era successo quando Flanny aveva
scoperto che anche la sua famiglia non se la passava troppo male.[5]
*Sembra
sia andata…!* sospirò allora, ignaro della tegola che, di lì a poco, gli
sarebbe piombata in testa.
“Flanny,
Andy: siamo qui…!!” gridò Judith, agitando il braccio dal loro tavolo, dopo
essersi alzata in piedi.
La
coppia raggiunse la compagnia, formata da tutte le ex tirocinanti della Scuola Mary Jane: Judith Nethan, Eleonor
Mancy, Natalie Venc e…
“Candy
non viene?” s’informò la loro mentrice.
“Sì,
sì: me lo ha poi confermato” rispose Eleanor “passava a prendere la sua amica
al ThePierre.[6] Dovrebbero arrivare a
momenti!”
“Beh,
allora sediamoci.” annuì Flanny.
“Gli
sposini da questa parte” intervenne Judy, indicando due sedie vuote “così tutti
vi possiamo vedere!”
Flanny
aggrottò le sopracciglia, al suono illogico di quelle parole (il tavolo era
rotondo). Sapeva bene, quale dei
commensali la collega tenesse a vedere in particolare! Sospirò pazientemente,
mentre il marito le sistemava la sedia e Natalie, dal canto suo, le rivolse uno
sguardo partecipe: Tranquilla, è tutta
invidia! Poi sussurrò alla compagna paffuta: “Risiediti, signorina sfacciatella!”[7]
“Andy,
perché sei ancora in piedi?” chiese intanto Flanny, vedendo che lui non si
sedeva.
“Scusa,
tesoro, ma devo fare una telefonata al Mitchell.
Torno fra un minuto!”
“Non
farci il bidone, eh…?” lo ammonì gaiamente Eleonor, con una strizzatina d’occhio.
“Tranquilla:
ho detto allo zio Sam che stasera non ci sono per nessuno!” rispose l’aviatore,
ricambiando il gesto.
La
signora Greason non riuscì a trattenere un soffio prolungato, mandando al
coniuge un lampo malevolo: “Un giorno o l’altro suggerirò al tenente Sanders di
scriverci Little Yankie Cock, su quel
suo nuovo caccia!”[8] minacciò poi, non del
tutto ironica.
“Dai,
su” le disse la solita Natalie, appoggiandole la mano sulla sua “lo sai che gli
piace scherzare!”
“Anche
troppo” ammise Flanny, scuotendo la testa “se m’avessero predetto che mi andavo
a innamorare di un uomo così allegro, col carattere che ho…”
“Non
sapevi che gli opposti si attraggono?”
“No…
ero troppo impegnata a studiare medicina!”
“Scusate
il ritardo” la voce squillante di Candy attirò improvvisamente l’attenzione
della tavolata “faticavamo a trovare un taxi e c’era un traffico tremendo… ma
eccoci qua!”
Le
ragazze s’affrettarono a salutare la loro collega, puntando curiose lo sguardo
sulla sua accompagnatrice. Era una giovane dall’aspetto fine ed elegante, che
ostentava però un atteggiamento un po’ remissivo. La sua amica s’affrettò a
presentarla e tutte le manifestarono la loro simpatia… ad eccezione di Flanny, impallidita
all’istante nell’udire il suo nome.
“Beh,
ci siamo tutte?” chiese Candy, mentre si accomodava al suo posto. Il suo
sguardo panoramico catturò allora la sedia vuota di fronte alla sua e, prima
che potesse domandare a chi fosse destinato, due mani le coprirono gli occhi…
“Indovina
chi è…!” le chiese una voce gaia.
Normalmente il vezzoso volto della nostra amica si
sarebbe illuminato con un tenero sorriso, reagendo a tale scherzetto affettuoso.
Ma stavolta, purtroppo, era del tutto diverso. La sua boccuccia si spalancò,
come in cerca di tutto l’ossigeno che avrebbe potuto introitare e le sue membra
furono scosse da un fremito di terrore: “A… A… Andy…??”
“Bingo, sorellina” rispose lui, dandole due amichevoli
colpetti su quelle deliziose spalle, che non smettevano di tremare “ma
cos’hai…? Freddo?”
“I… io…?! N… no, no… perché?”
“Tremi come una foglia! Che t’è successo?”
Premendosi una mano sul decoltè per cercare di
attenuare il battito cardiaco, la biondina rispose: “So… sono solo sorpresa.
Non sapevo che venissi anche tu…!”
“Ah, no? Beh, spero proprio che non ti dispiaccia!”
ribatté lui, corrugando semiserio le sopracciglia.
“Ma che sciocchezze dici?! È… solo che…”
“…è solo che, quando ti vede, anche lei fa fatica a
tenere il controllo!” dichiarò sempre quella birichina di Judy.
“Piantala!” la riprese Natalie, dopo avere intuito,
dagli sguardi di Flanny, di Candy e della loro nuova conoscenza, che stava per
succedere un guaio.
“Natty ha ragione, Judy” le ribadì il maggiore,
strizzando l’occhio “è meglio non dirle, certe cose: potremmo sentire un
ruggito rabbioso arrivare da Broadway!”
Candy arrossì vistosamente, mentre Flanny afferrava il
braccio del consorte: “Ti spiacerebbe metterti a sedere?!” gli chiese, con voce
alterata.
“Un momento, cara: vorrei prima presentarmi all’amica
di Candy” le si avvicinò, mentre questa accennava ad alzarsi “no, no: stia
comoda” la fermò con un amabile sorriso, mentre le porgeva la mano “sono Andy,
il marito di Flanny, la compagna di studi di Candy. Con chi ho il piacere di…?”
Nonostante i suoi ripetuti cenni di protesta,
l’interpellata si alzò in piedi. Era una graziosissima ragazza dai capelli
castani, acconciati a caschetto, con una cert’aria da intellettuale che le
davano gli occhiali dalle lenti tonde. Il suo bel volto dalla pelle diafana era
però velato da un’appariscente malinconia.
“Lei… è proprio il maggiore Andy Greason…?” gli
chiese, dopo avere osservato i gradi sull’uniforme.
“In persona, miss!”
La ragazza mandò un sospiro: “L’asso delle… Tigri Volanti… in Cina?” chiese ancora.
“Esattamente!” rispose ancora l’ufficiale, con lieve esitazione,
mentre scrutava il volto della giovane, sembrando cercare nella memoria.
Piccole lacrime sgorgarono da quei profondi occhi
scuri e nell’animo del pilota germogliò subito un moto di panico: “Mi… mi
scusi” balbettò “ho detto forse qualcosa che…”
“Grazie…!” sussurrò lei, soffocando un singhiozzo.
“Come…?”
“Grazie di avere avuto cura di lui, maggiore…!”
Il panico aumentò notevolmente e Greason si sentì inumidire
la fronte: “Ma… di chi sta parlando, signorina…?”
Lei si tolse gli occhiali per strizzarsi gli occhi con
le dita. Poi se li rimise e lo fissò: “Del mio fidanzato… Alistear Cornwell.”
Andy ebbe un tuffo al cuore, sbarrando gli occhi sulla
giovane. Eleonor, Natalie e Judy osservavano mute la sena, mentre le loro
condiscepole facevano altrettanto, aggravate dal dolore della consapevolezza.
Anche molti commensali, seduti ai tavoli vicini,
avevano polarizzato l’attenzione su di loro, dopo aver riconosciuto il celebre
pilota dell’aviazione militare.
“Lei… sarebbe dunque…” disse costui, con un filo di
voce.
Con un mesto sorriso, la giovane col caschetto annuì:
“Sono Patricia O’Brian, Andy… e dammi del tu, per favore!”
Detto ciò, come spinta da un subitaneo impulso, gli
buttò le braccia al collo, singhiozzando convulsamente. Il povero Andy non poté
che ricambiare quell’abbraccio, mentre anche i suoi occhi si bagnavano ineluttabilmente.
Era la seconda volta, dopo quel tragico ritorno a Kunming…
“Perdonami, Patty” sussurrò, stringendola
affettuosamente “perdonami, ti prego…!”
“Non è stata colpa tua, Andy…” negò lei, scuotendo la
testa “…io lo so!”
“Sì, che è stata colpa mia, invece…!” obiettò lui,
sentendo le proprie lacrime scorrergli sulle guance.
“No, Andy… no” insistette la ragazza “io ti conosco…
ti ho conosciuto grazie alle sue lettere: ti descriveva così bene! E lo so: in
quella precisa circostanza… solo tu
avresti potuto salvarlo. E se non ci sei riuscito…”
“Patty, io…”
“…se non ci sei riuscito” si staccò per guardarlo
negli occhi “allora vuol dire che non c’era niente da fare! Ma io so che è
morto felice…. perché era felice di volare con te!”[9]
Commosso da tanta bontà, ma soprattutto straziato dal
ricordo, Andy non riusciva a smettere di piangere in silenzio, abbracciato alla
ragazza del suo compagno caduto. Finché una voce non li distrasse: “I signori
vogliono ordinare?”
Flanny Greason, che aveva finito per farsi suo
malgrado contagiare dall’umorismo del marito, rispose all’ossequioso maître: “Giunge
a proposito: c’è venuto un appetito…!”
No… il nostro asso non avrebbe dimenticato quell’episodio
tanto facilmente. Era stato un esempio tangibile di come un individuo dovesse,
prima o poi, rendere il dovuto contro per ogni azione da lui intrapresa.[10]
***
Erano già passate le nove di sera, quando il generale
Andrew S. Greason, comandante della Decima Forza Aerea in Europa, varcò la
soglia dell’alloggio che divideva con la moglie e il figlio nel sobborgo
occidentale di Newhaven. Richiuso delicatamente l’uscio, lanciò con maestria il
berretto ad appendersi sull’attaccapanni e si sfilò lentamente l’impermeabile,
che gettò invece con noncuranza sopra una poltrona. Si lasciò infine andare su quella
opposta, le cui vetuste molle gemettero sotto il suo peso.
Mentre osservava immobile i cupi bagliori che spandeva
il fuoco del camino, sentì una mano liscia e calda sfiorargli il collo, per poi
accarezzargli una guancia. Volse allora il capo all’insù per contemplare il
tenero sorriso della moglie, che si sedette quindi sul bracciolo, stringendoselo
dolcemente al seno.
Andy assaporò con voluttà il calore e il profumo della
sua donna, saziandosi con quella percezione di tranquillità che emanava dal suo
petto. Sensazione vitale, per lui, come per tutti coloro costretti a convivere
con la tensione della responsabilità e del pericolo.
“Hai fame?” sussurrò Flanny.
Lui scosse la testa: “Ho mangiato un boccone, strada
facendo. Paul sta bene…?”
“Sì, s’è addormentato da poco.”
“Ha pianto?”
“Beh, un po’” rispose la moglie, giocherellando con
una ciocca dei suoi capelli “voleva aspettare che tu tornassi.”
Andy sospirò: “Mi spiace… speravo di rientrare prima,
ma Spaatz ci ha trattenuto più del previsto.”
“Qualcosa in ballo?” chiese lei, dopo una breve
esitazione.
Lui annuì, per poi confermare: “Altrochè…!”
Dopo un altro breve silenzio, scandito dal respiro
pesante del marito, Flanny si spinse a domandare: “Vuoi dirmi qualcosa di più?”
Il generale guardò sua moglie, riuscendo ancora a
stupirsi di come lo leggesse nel pensiero: un’altra donna gli avrebbe magari
chiesto se poteva dirle qualcosa,
mentre la sua compagna aveva già avvertito il suo bisogno di confidarsi.
“Alla faccia del regolamento!” avrebbe sicuramente commentato
il tenente Archibald Cornwell, memore del severo cicchetto che il comandante
gli aveva impartito per essersi “sbottonato” un po’ troppo con la sua Annie.[11]
“Io… sì! Senti, posso… insomma, vorrei bere qualcosa.”
La faccia dell’aviatore si rasserenò in modo notevole,
vedendo il viso della moglie che manteneva il sorriso, invece di mutarsi nel
suo severo cipiglio da “pollice verso”!
Dopo avergli schioccato un bacetto sulla tempia,
Flanny si alzò, diretta in cucina. Ne tornò poco dopo con due bicchieri
tintinnanti.
“C’era rimasto ancora del ghiaccio.” disse,
riscuotendo il marito, che stava piegato in avanti con le mani intrecciate, intento
a riflettere.
“Mi fai compagnia?” chiese lui, non poco sorpreso.
“Beh? Non sono mica in servizio!” rispose lei, porgendogli
il bicchiere.
“Vero. Cin cin…!”
“Cin cin, tesoro!”
Mentre Andy constatava l’effimera percentuale di
whisky presente nel drink, Flanny si accoccolò sul suo grembo, circondandogli
il collo col braccio sinistro, mentre si levava con destrezza le scarpe.
Lui la guardò da sopra il bicchiere: “Che penserebbe
la tua discepola Candy, se ti vedesse così?” chiese, maliziosamente.
Lei aggrottò le fini sopracciglia: “Perché me lo domandi?”
“Pura curiosità.” ribatté lui, finendo di bere.
“Non ne ho la più pallida idea” mentì “e comunque non
mi può vedere!”
“Quando il gatto non c’è… eh?”
“Senti un po’…” ribatté la consorte, posando il
bicchiere sul tavolino e afferrandogli il mento “…hai proprio deciso di farmi
arrabbiare o è semplicemente un metodo per sviare il discorso?”
“Lo sai che non ho segreti, per te” replicò lui,
accarezzandole il viso “non potrei mai
averne! E poi, se volessi sviare il discorso, userei un metodo assai più
efficace…”
“Per esempio?” chiese lei, con uno sguardo
profondamente sensuale.[12]
“Questo…!” rispose lui, avvicinando il viso per unire
la loro bocche.
“Mmmm…!” sospirò lei, abbandonandosi a quel bacio
profondo. Poco prima di perdere il controllo, si staccò però da lui: “E allora,
generale? Riprendiamo la conversazione o passiamo direttamente in camera da
letto…?” domandò, languidamente
Andy sospirò: “È stata una giornataccia, Flan: dubito
che le mie prestazioni sarebbero al top, questa sera!”
“E allora sciogli la lingua, su!” lo spronò la moglie,
scioccandogli un bacetto a fior di labbra.
“Naturalmente, se tu preferisci…”
“Parla, ti dico” insistette lei, ricomponendosi
“altrimenti ti rivolterai come un’elica per tutta la notte!”
“Hai ragione…!” ridacchio lui, osservando le gocce
rimaste nel bicchiere. Poi si levò per avvicinarsi al caminetto.
“Oggi Spaatz ci ha convocato al Quartier Generale…”
cominciò, mentre riattizzava il fuoco.
“E allora?” chiese Flanny, dopo un po’ di silenzio “Che
voleva il grande capo?”
“Affidarci una missione. Abbastanza importante.”
“In Francia?”
“No, in Germania.”
La moglie avvertì un lieve crampo allo stomaco:
“Strano” commentò, corrugando la fronte “le missioni sulla Germania non
riguardano l’Ottava di Eaker?”
“Già, ma questo è un obiettivo speciale! Insomma… pare
che l’OSS[14] abbia scoperto
l’esistenza di un laboratorio dove i crucchi preparano delle sostanze per…”
Andy si voltò per guardarla in viso “…la guerra batteriologica.”[15]
Gli occhi di Flanny si spalancarono per l’orrore:
“Gue… guerra batteriologica?! Vuoi
dire che intendono causare epidemie o cose del genere…??”
“Più o meno è così. Sembra anzi che abbiano già pronto
qualcosa per entrare in azione!”
“Oddio…! Ma allora dovete assolutamente distruggere
quella fabbrica, subito!!”
“È appunto quel che cercheremo di fare” confermò lui “ma
purtroppo c’è un piccolo problema: almeno per quanto mi riguarda…”
“Cioè…?” domandò Flanny, scrutando ansiosamente il
volto del marito.
“Sai dove si trova l’obiettivo?”
Lei rimaneva muta, in attesa della risposta. Lui
sospirò pesantemente e rispose: “A meno di due miglia dalla verticale di
Eiserfeld!”
“Eiserfeld…?” ripeté la moglie, certa di aver già
sentito quel nome.
“Sì” tergendosi la fronte, il generale tornò a sedersi
nella poltrona di fronte a lei “è una piccola cittadina della Westfalia,[16] a meno
di 50 miglia
da Colonia… i parenti di Schultz abitano proprio lì!”
“E… tu credi vi sia il rischio che rimanga colpita?”
“Dire rischio è
un puro eufemismo: anche se si stima che la contraerea venga mantenuta limitata
per non dare troppo nell’occhio, la conformazione montuosa del circondario imporrà
di mantenere una quota di sgancio non inferiore ai diciannovemila piedi… il che
comporta un errore circolare medio di un miglio abbondante.[17] Senza
tener conto del vento, di eventuali errori di calcolo e di altre amenità…!”
“Ma è possibile che non esistano altre soluzioni?!”
obiettò la signora Greason, con ira mal repressa.
Il marito scosse la testa: “Il SOE[18] ha
pensato pure a un’azione di Commandos, ma… se fallisse, i tedeschi
trasporterebbero il laboratorio altrove, magari in una zona del tutto
inaccessibile. Purtroppo non possiamo permetterci il lusso di correre questo
rischio!” sospirò ancora Andy con triste rassegnazione, reclinando il capo
sullo schienale della poltrona.
“Quante probabilità ci sono che…” s’informò la moglie.
“Troppe” rispose cupo lui, passandosi una mano sul
volto esausto “il brutto è che il bersaglio si trova esattamente fra una
collina, che lo protegge da sud-est e la città, che le Fortezze sorvoleranno
alla fine della corsa di bombardamento: se sganciano troppo corto, la fabbrica
non verrà neanche scalfita (e i tedeschi mangeranno la foglia). Se invece sganciano
troppo lungo… Eiserfeld verrà polverizzata!”
“È spaventoso…!” esclamò Flanny, con angoscia, ben
consapevole delle implicazioni che una tale eventualità avrebbe comportato per
l’animo del suo uomo. Il rapporto d’amicizia col suo collega della Luftwaffe aveva sempre rappresentato (assieme
all’amore della sua donna) un efficace baluardo contro le crisi di coscienza
che tutte le guerre producono, almeno negli individui sani di mente.
“Sì, lo è” approvò lui “anzi, è abominevole: quei
figli di puttana dei nazi potevano installare quella maledetta fabbrica in una
foresta disabitata o nelle viscere di una montagna… ma no!!”
“E, secondo te, perché lo hanno fatto?”
“Chi lo sa?” rispose il marito, alzando le spalle
“Forse pensavano che non la scoprissimo. Oppure che, scoprendola, non l’avremmo
ugualmente bombardata, rischiando di distruggere il paese. O magari…”
“Cosa…?”
“Magari contavano proprio su questo” saltò su,
inviperito, col tono acceso dal whisky prima bevuto “male che vada, avranno
pensato, gli impianti andranno in frantumi, ma ci sarà una strage di civili e
potremo denunciare al mondo la barbarie degli Alleati. Capisci…?! È come se
quel farabutto di Hitler tenesse in ostaggio la sua stessa popolazione: se
volete togliere di mezzo me, dovrete massacrare anche loro! Così, un domani, i
posteri diranno che i bastardi eravate voi!!”
“Andy, adesso calmati…!” gli disse Flanny, preoccupata.
“Sentirai se non diranno così, fra venti o trent’anni”
insistette lui, con ostinata convinzione “vedrai!!”
“Ma perché ci dovete andare proprio voi, mi domando?” aggiunse allora la
compagna, cercando di sviare il discorso “La tua Forza Aerea non doveva occuparsi
soltanto dei bersagli tattici nella Francia occupata?”
“Infatti” sbuffò lui, con amaro sarcasmo “ma siccome
siamo diventati troppo bravi a colpire stazioni, ponti e caserme senza coinvolgere
cittadini francesi (e ci mancherebbe, sono nostri alleati) quei rompicoglioni
di Arnold e Spaatz hanno ritenuto che fossimo i più indicati per distruggere
quel bersaglio senza fare troppi danni collaterali.”[19]
“Beh, forse non hanno tutti i torti” osservò la
moglie, dopo avere riflettuto un momento “magari la vostra esperienza potrà
salvare quei tedeschi innocenti!”
“Forse… ma la vedo molto dura! Cristo, se i familiari
di Schultz ci rimettono la pelle, come potrò più guardare in faccia il mio
migliore amico? Ti rendi conto che, se non fosse stato per lui, mi troverei
dietro il filo spinato da due anni e nostro figlio non sarebbe neanche nato?!”[20]
Con una stretta al cuore, Flanny sospirò: “Rilassati,
amore: nostro figlio è di là, che dorme… almeno finché non ti sentirà sbraitare
come una furia. Dai, vieni qui!”
Andy rialzò il capo. Davanti a lui, in piedi, c’era la
sua donna; bella, forte e fiera, che gli tendeva amorevolmente le braccia. Il
rude guerriero dell’aria faticò parecchio a contenere la sua commozione. Si
levò a sua volta e la raggiunse, impaziente di sciogliersi in quel tenero
amplesso…
“Tieni duro, tesoro” gli sussurrò Flanny, all’orecchio
“vedrai che andrà tutto bene!”
“Se lo dici tu…” rispose lui, a bassa voce, mentre si
cullavano dolcemente a vicenda.
“Ne sono più che sicura!” ribadì lei.
“Allora ci credo.”
Al suo tono convinto, Flanny sentì le gote inumidirsi.
Se le terse rapidamente e abbandonò la spalla del marito per guardarlo in
volto, lieta della sua ritrovata serenità. Si scambiarono un tenero sorriso e
si avviarono in camera, tenendosi per mano. Qui giunti, contemplarono a lungo
il loro pargoletto, di appena sette mesi, sprofondato beatamente nel sonno.
“Se almeno lui potesse vivere al sicuro” mormorò suo
padre, con malinconia “in un mondo senza più guerre…”
“Tu ti stai battendo proprio perché questo si avveri.”
replicò la madre, sospirando.
Ma Andy scosse la testa: “Noi militari possiamo soltanto
sconfiggere gli eserciti dei regimi corrotti. Ma poi, una volta caduti, tocca
ai politici operare affinché quei regimi non risorgano più!”
“È vero” disse la moglie, rimboccando la coperta al
bambino, che si era girato nel sonno “soprattutto applicando i principi che
possono mantenere la pace.”
“Pari diritti, libertà di pensiero e libertà dal
bisogno” specificò Andy “se solo chi comanda lo arrivasse a capire…!”
“Forse un giorno succederà.” si augurò Flanny,
tornando ad abbracciare il suo uomo.
“Speriamolo, amore mio” sospirò quest’ultimo, mentre
tornava a guardare il figlio “speriamolo…!”
[1]Nomignolo affibbiato agli Inglesi dai loro “cugini” d’oltre Atlantico.
[2]La battaglia che sancì la vittoria definitiva dei
coloni americani sull’esercito britannico (1781). Vi partecipò anche Jonathan
McGeen, antenato materno di Andy (a sua volta discendente dallo stesso Ephraim
McGeen, sbarcato dal Mayflower nel
1620).
[3]“Questa ragazza è un’enciclopedia!” aveva commentato
Candy quando l’aveva conosciuta, dopo che lei le aveva gentilmente fornito un’esauriente
definizione genealogica del suo grazioso animaletto.
[4]Famoso ristorante di New York, situato nella 52a Strada.
[5]Gli avi paterni di Andy, discendenti da un antico clan
delle Highlands, erano emigrati dalla Scozia nel 1840 e il bisnonno, Daniel Gerald,
aveva fatto fortuna nella famosa Corsa all’Oro californiana del 1849. Senza
essere miliardari, Larry e Maggie Greason erano perciò abbastanza benestanti e
la cosa aveva creato qualche momento di “tensione” quando Flanny l’aveva
saputo. “Perché non me l’hai detto??!” “Detto cosa…?” “Che sei ricco!!” “Beh…
non me l’avevi mai chiesto!!” aveva risposto Andy, con le ginocchia che gli
tremavano “Ti è andata bene!!” “In che senso…?” “Nel senso che ormai non posso e non intendo più fare a meno di te, furbacchione!!” poi gli aveva
mollato un ceffone e se n’era andata, sbattendo la porta. L’indomani il nostro
eroe si trovava ricoverato, con la febbre a 40. Ma, per fortuna, il suo
fidanzamento era salvo!
[6]Albergo molto esclusivo, fra la Quinta e la Sessantunesima
strada.
[7]Superfluo domandarsi da quale appellativo prendesse origine - e riferito a chi - quello recentemente affibbiato
alla “intraprendente” Judith!
[8]Ovvero Galletto
Americano (il P-47 di Andy era
stato battezzato Aquila Americana,
come lo pseudonimo che la stampa aveva affibbiato all’ormai famoso asso).
Sanders aveva invece battezzato di straforo il P-40 del suo caposquadriglia, in Cina, con il nome della sua futura
moglie (v. capitolo 4).
[9]Confesso di essermi ispirato, per questo dialogo, a quella
scena di Top Gun, dove Maverick parla
con la moglie di Goose, dopo l’incidente in cui periscequest’ultimo.
[10]Naturalmente, all’interno del 21 pullulavano i reporter delle testate più famose: non ci volle meno
dell’intervento di William Andrew (fortunatamente amico del direttore del NYT) affinché l’episodio non uscisse in
prima pagina! Purtroppo il settimanale Newsweek
pubblicò in copertina la foto del maggiore che abbracciava Patty O’Brian,
entrambi in lacrime, con il titolo: Touching
hug last night at 21: an oldflame of
Flying Tigers main ace?
[11]In riferimento a quanto narrato nel capitolo 13.
[12]Dopo essere diventata mamma, Flanny aveva impiegato le
lenti a contatto per offrire un aspetto più dolce al suo bambino (e, giacché
c’era, anche al suo papà) continuando a portare gli occhiali solo durante i
turni di lavoro.
[13]John Burt Richardson, comandante del 22° Gruppo da Bombardamento della
Decima FA.
[14]Office of Strategic Service (Ufficio Servizi Strategici), cioè la CIA dell’epoca.
[15]Le armi batteriologiche, così come i gas tossici, erano
state proibite dalla convenzione dell’Aja nel 1921. Purtroppo la moratoria si
limitava all’impiego, ma non alla
fabbricazione; cosicché tutti i principali belligeranti le detenevano nei loro
arsenali, pronti a utilizzarle solo in caso di rappresaglia (cioè se il nemico
le avesse usate per primo). Per fortuna un evento del genere non si verificò mai,
fino al termine del conflitto.
[16]Regione della Germania occidentale, appartenente al Land della Renania
Settentrionale.
[17]Significa che ogni bomba avrebbe potuto cadere fino a circa 1800 metri dal
bersaglio.
[18]Special Operation
Executive: l’ufficio britannico che
coordinava le operazioni condotte dai reparti speciali nelle retrovie nemiche,
spesso in cooperazione coi diversi movimenti della resistenza antitedesca.
[19]Andy Greason aveva più volte dichiarato che avrebbe dato
immediatamente le dimissioni, se lo avessero costretto ad attaccare obiettivi civili,
anche in Germania.
[20]Sta parlando dell’episodio accennato all’inizio del
capitolo 10, quando Andy rientra dalla missione che aveva visto il “battesimo del
fuoco” di Archie Cornwell.
vanti…
coraggio, Candy: prova a dirmelo, adesso che siamo soli!”
“Ti
odio, Neal! Con tutte le mie forze!! Ecco quello che sento per te. E sarà sempre così! Hai capito bene? Come hai
potuto pensare che fossi innamorata di te…?!”
“Non
è possibile… non posso credere che tu mi odi sul serio!!”
“Invece
è la pura verità. Sei un essere spregevole: insieme ad Iriza non hai fatto
altro che procurarmi guai. Come puoi pretendere che io ti ami??!”
“Me
la pagherai Candy… nessuno mi ha mai trattato così!!”
“Neal,
sei impazzito?? Lasciami andare…!!”
“Peggio
per te…!”
“Oh,
no… Neal…!! Neal… apri la porta, ti prego! Apri la porta, te lo ordino!!”
“No,
Candy: non ti farò uscire da questa stanza finché non mi dirai che mi ami!”
“No…!!
Questo non lo dirò mai, puoi starne
certo!!”
“E
allora resterai chiusa lì dentro: ti farà bene! Anzi, perché non ti butti dalla
finestra? Così farai anche un bel bagno! Ah, ah, ah, ah, ah… oh, mio Dio!
Candy, ma che fai…?! Candy…!! Non illuderti… non credere che rinuncerò a te!!”
…
“Si
può sapere cosa vuoi da me?? Ti ho già detto mille volte di lasciarmi in
pace!!”
“Se
sono qui è per una ragione ben precisa.”
“Ah,
sì? Allora parla e poi vattene: voglio star sola.”
“Ho
intenzione di sposarti.”
“Che
cos’hai detto??!!”
“Accetti,
vero?”
“Accettare?! Non capisco perché dovrei
farlo! Piuttosto, dimmi perché hai preso questa decisione!”
“Perché
ti amo…!”
“Posso
capirti, Neal… ma io non ricambio i tuoi sentimenti.”
“Questo
non mi preoccupa: un giorno o l’altro cambierai idea!”
“Neal…
se tu fossi stato più gentile con me, forse
avrei anche potuto volerti bene.”
“Che
cosa vuoi fare, rovesciarmi l’acqua addosso??”
“Non
serve rammaricarsi, quando è troppo tardi. Cerca di rassegnarti, Neal… e
lasciami in pace. Voglio star sola, va’ via!!”
“Nessuno…
nessuno mi ha mai trattato così!! Ma io ti farò cambiare idea, Candy!”
“È
inutile, non succederà mai… dimenticami: è meglio per tutti e due. Sparisci
dalla mia vita, Neal Legan!!”
“Adesso
mi chiami anche per cognome?”
“Il
nome lo uso solo con gli amici. E tu non lo sei. Vattene, Legan… vattene!!”
“Non
posso!”
“Signor
Legan…”
“Ascoltami…”
“Capitano
Legan…”
“…ti
giuro...”
“Comandante…”
“…ti prego…”
“Signore…
signore… che le prende?!”
Un
bagliore improvviso. Una luce accecante. E intorno il buio…
Brividi
lungo la schiena. Freddo sudore sul collo. La fronte in fiamme. La gola arida.
Il respiro affannoso. Le mani contratte sulle lenzuola…
La
mente del capitano Legan, primo pilota del Candy
Candy, annaspava nel tentare di raccogliere le idee: “E che ci fai, qui?”
Il
sottufficiale parve leggermente stupito da quella domanda: “Venivo a
svegliarvi, signore: siete in missione, stamattina.”
Passandosi
ripetutamente la mano sulla faccia mentre mandava irriferibili improperi
mentali a un lancinante mal di testa, Neal si rammentò della sera precedente,
quando quel malnato “crucco” del maggiore Lang li aveva raggiunti al circolo:
“Niente alcolici, stasera, capitano: avete vinto un biglietto per la gita di
domani!”
“Ho
capito” rispose allora Neal al perplesso Zagorski “spegni quella fottuta
torcia!”
“Signorsì.
La colazione è alle 0530, il briefing alle sei.” annunciò.
“Al
diavolo…!” grugnì il fratello di Iriza.
Quando
il sottufficiale fu uscito della baracca, il comandante Legan, già seduto sulla
branda, squadrò di traverso i suoi compagni: “Grazie, eh? Potevate anche darmi
una scrollatina: bella figura mi avete lasciato fare, manica di deficienti!”
“Scusaci…
ma sai, avevi iniziato ad agitarti solo qualche istante prima che entrasse il
sergente!” si giustificò Cookie.
“Vabbé,
vabbé…” replicò l’altro, trascinandosi verso la ritirata “…per quel che me ne frega,
poi!” la porta della camerata si richiuse con un tonfo.
“Povero
Neal” commentò Charlie, infilandosi la camicia “quando riuscirà a liberarsi da
quell’incubo in gonnella?”
“Sarà
dura” ribatté Jimmy, sospirando mentre indossava i calzoni “è una di quelle gonnelle che non ti mollano. Anche quando
non ci sono!”
“E
anche se ti allontani, vengono a ripescarti.” ridacchiò Cookie, buttandosi un
asciugamano sulle spalle.
“Io
lo dico sempre” aggiunse Charlie, calzando gli stivali “con le donne bisogna essere
dei duri, se no ti schiacciano.”
“Ecco
perché sei così pieno di ammaccature!” replicò il navigatore, col suo salace
sarcasmo.
“Prima
o poi la dovremo pure fare, una sana scazzottata, io e te!” lo rimbeccò
aspramente il puntatore.
“Quando
vuoi, gangster” ghignò il tenente Laffey riaprendo la porta, per nulla
intimorito: ne aveva fatta, di pratica, in anni di servizio sulla Seagull “dopo la missione, però.”
“E
allora sparisci, ex pelapatate!” replicò acido il tenente Boyle, tirandogli
contro la saponetta, che l’altro aveva dimenticato.
“Grazie,
compare” disse Cookie, afferrandola al volo “ci vediamo in mensa.”
Appena
fu uscito, il co-pilota del Fox 815 disse
al puntatore: “Non ho ancora capito perché vi state tanto sulle scatole, voialtri
due!”
“Ma
che dici, mandriano volante?” replicò Charlie, annodandosi la cravatta “Se
siamo così!” affermò, battendo il
pollice con l’indice.
“Certo,
come no! Non è che, niente niente, eravate rivali?”
“Ma
sei scemo? Con Sandra siamo solo amici.”
“Anche
prima che lei lo mettesse in riga?”
“Io,
innamorarmi di una donna?” esclamò Charlie, in tono scandalizzato, mentre indossava
il giubbotto, strattonandone i bordi con dignità “Ma scherzi? Non voglio mica
ridurmi come il capo, io…!” ciò detto
varcò l’uscio anche lui, scuotendo la testa.
“Beata
ignoranza!” esclamò l’ex capo dei trovatelli della Casa di Pony, mostrando un
sorriso malinconico.[1]
***
“Ehi,
passami il sale.” disse il mitragliere di coda del Delta-Fox rivolto al compagno sedutogli di fronte. Che invece
continuò tranquillamente a mangiare.
“Non
hai sentito, soldo di cacio?!” ripeté il sergente Malone, piuttosto
sgarbatamente. Con calcolata lentezza, il collega raccolse la saliera e gliela
mise di fronte.
“Con
calma, eh? Vorrei mai che ti venisse l’affanno!”
“In
genere sono più rapido. Specie quando mi dicono per favore e grazie!”
puntualizzò il sergente Smith, poco più che un ragazzino dai capelli bruni.
L’altro
fece un gesto annoiato: “Sentitelo, il signorino! Guarda che non siamo più
all’orfanotrofio.”
“E
con questo?” ribatté il compagno “Non mi sembra che ci abbiano insegnato a
comportarci da cafoni, fuori di là!”
Bob
emise un ghigno: “A me non sembra neppure che ci abbiano insegnato a bagnare il
letto all’infinito, se è per questo.”
Se
c’era qualcosa che faceva infuriare il piccolo John, era una qualsiasi
allusione alla sua fastidiosa enuresi notturna. Nemmeno le compresse
prescrittegli dal medico della base avevano risolto quel suo imbarazzante
problema e ovviamente l’esperienza che stava vivendo ora non era la più indicata
per aiutarlo. Si alzò in piedi e afferrò Bob per il bavero: “Senti, adesso mi
hai proprio…”
“Ohe,
dateci un taglio, voi due” li fermò il sergente Steeve, con tono perentorio da
fratello maggiore “siamo già abbastanza nervosi, per non peggiorare la
situazione!”
“Tom
dice bene” ribadì il sergente Evans, fra un boccone e l’altro “la tensione fa
calare l’appetito. Quando invece, il miglior modo per scacciare l’ansia, è
quello di zavorrarsi.”
“Allora
è meglio che Bob continui a essere nervoso” osservò scherzosamente il sergente
Carson “è già bello rotondetto e, se continua a ingozzarsi così, faticheremo ad
alzarci in volo, se non lasciamo a terra le bombe!”
“Bada
a come parli, inglesino” lo guardò brutto l’ex falegname della Casa di Pony, puntandogli contro la
forchetta “ce n’è anche per te!”
“Dai,
Bob… Sam sta scherzando” intervenne il sergente Chacklies, il finto paziente
clandestino dell’ospedale Santa Johanna
di Chicago “cerchiamo di sfogarci sui tedeschi, invece che fra di noi!”
“Parole
sante!” confermò Gilbert, l’ex compagno di viaggio di Candy, da Chicago alla
Florida.
“Buongiorno,
marmocchi. Dormito bene?” li scosse all’improvviso la voce del primo pilota,
accompagnato dagli altri ufficiali del loro equipaggio.
“Abbastanza,
capitano!” rispose, Tony, il pokerista.[2]
“Così
così…!” sentenziò invece il mitragliere di sinistra.
“E
lo stomaco?” chiese ancora Neal.
“Si
sta riempiendo, signore.” rispose naturalmente Bob.
“Non
sarebbe neanche male, se non fosse per le farfalle che ci svolazzano!” aggiunse
Sammy.
“Molte?”
s’informò Jimmy, con premura.
“Più
di quante ce n’erano attorno alla Casa di
Pony, capo!” rispose John.
“Allora
ho una buona notizia, per te” disse il capitano Legan, dopo avere arricciato il
naso “le farfalle non volano ad alta quota!”
Smith
lanciò uno sguardo astioso al comandante,[3] ma
subito il tenente Laffey prevenne accortamente una sua eventuale reazione: “È
vero, John: l’ho già sentito da qualche vecchia pellaccia, sai? Per quanto forte
sia la smania prima d’una missione, appena in volo passa subito tutto.”
“Fino
alla prima raffica di un caccia nemico, per lo meno…!” precisò il tenente
Boyle.
“Sempre
spiritoso, vero Charlie?” lo riprese Cookie.
“Beh,
ragazzi, ormai siamo in ballo” sospirò Neal “e non ci rimane che prendere il
toro per le corna. O i crauti, se preferite. In quanto alla paura…” si arrestò,
guardando un po’ tutti “…se riesco a tenerla a bada io, non vedo come non
possiate riuscirci voi! Conoscete i miei trascorsi, no?”
I
sei sottufficiali fissarono il comandante, per poi guardarsi in faccia. E più
di un sorriso spuntò sui loro volti.
“Ci
vediamo al parcheggio.” concluse il capitano, avviandosi. Passando dietro al
piccolo John, gli scompigliò amichevolmente i capelli. Lui si voltò, non troppo
irritato: “A più tardi, comandante!” gli disse, d’impulso.
Questi
girò il capo, quanto bastava per strizzargli l’occhio, mentre gli altri si
rimettevano tranquillamente a ultimare la colazione. Jimmy Curtright, superando
anche lui l’ex compagno della Casa di
Pony, gli strinse affettuosamente la spalla.
Il
co-pilota del Candy Candy era molto soddisfatto.
Passo dopo passo, il loro comandante si stava facendo strada nel cuore dei suoi
compagni.
***
Nella
vasta baracca Nissen riservata ai briefing, una cinquantina di ufficiali fra
primi, secondi piloti, navigatori e puntatori, oltre a una dozzina di
marconisti, erano già sistemati sugli scomodi seggiolini affacciati verso la
parete di fondo, coperta da una carta di navigazione dell’Europa
centro-settentrionale. Su di essa, una sinistra linea scura indicava la rotta
che il Gruppo di Fortezze Volanti avrebbe dovuto seguire dalla base di Lafayette, nei dintorni di Newhaven,
fino all’obiettivo della missione, situato a poca distanza dalla cittadina di
Eiserfeld, nella Westfalia. Più indietro, verso la platea, c’erano alcuni
pannelli coperti da fotografie riproducenti la zona del bersaglio, una carta
meteorologica e uno schema della formazione stabilita dal piano di volo.
La
tensione era del tutto palpabile tra i presenti, anche se la maggior parte di
loro aveva ormai alle spalle parecchie operazioni sulle retrovie nemiche,
contro bersagli notevolmente difesi, data la loro importanza tattica o
strategica.[4] Questa volta, però, si
trattava di colpire un obiettivo all’interno della Germania e tutti erano
consapevoli che la Luftwaffe avrebbe
opposto un’opposizione ben più ferocemente determinata nel difendere il cielo
della Patria. Senza contare il ben diverso atteggiamento che avrebbero mostrato
i tedeschi nei confronti degli aviatori abbattuti: mentre in Olanda, in Belgio
e soprattutto in Francia quasi tutta la popolazione si prodigava, per quanto
possibile, nell’assistere i piloti alleati per sottrarli alla cattura della Werhmacht (cogli stessi movimenti di
resistenza che gestivano vere e proprie vie di fuga verso la Svizzera e la Spagna) in Germania gli
equipaggi dell’USAAF e della RAF dovevano solo augurarsi di venire catturati
dai militari, prima di essere spesso linciati dai civili![5]
Per
di più, gli aviatori della Decima non disponevano nemmeno di un armamento
difensivo individuale, perché, come aveva detto Andy Greason, litigando quasi
col generale Spaatz “Non è con un pugnale o una Colt 45 che si può discutere cogli Schmeisser della Feldgendarmerie
e il fatto d’essere disarmati indurrà maggior clemenza negli eventuali
catturatori!”[6]
Naturalmente
il comandante in capo aveva espresso tale ragionamento pensando alle missioni
sulla Francia, non prevedendo certo di dover mandare i suoi ragazzi anche sul
Terzo Reich!
Fra
i pivellini presenti alla riunione c’erano naturalmente quelli del Candy Candy, per i quali, pur essendosi
già cimentati in alcune missioni di “assaggio” sulla Bretagna e sul Cotentin
contro le basi delle siluranti tedesche (nel quadro operativo che anticipava
l’oramai prossimo sbarco in Normandia), si trattava della prima missione
veramente importante.
“Aaattenti!!!”
scandì all’improvviso la voce di un tenente della MP. Mentre tutti si alzavano col
fracasso prodotto dallo strisciare delle seggiole, un gruppo di ufficiali
superiori attraversava il corridoio centrale lasciato libero dalle stesse, per
dirigersi verso la zona dei pannelli con le carte e le fotografie.
“Riposo,
signori, riposo!” disse il colonnello John Bart Richardson, provocando una
seconda chiassosa strisciata di sedie. Subito dopo, il comandante del 22°
Gruppo Bombardieri (soprannominato scherzosamente l’esquimese o anche il
sommergibilista a causa delle sue passate avventure)[7] si
accomodò sopra una delle poltrone sistemate presso le citate attrezzature,
assieme al suo secondo, maggiore Peter O’Cannor e ai due comandanti di
Squadriglia Edward Connelly e Buck Lang, lasciando in piedi gli altri ufficiali
che li avevano accompagnati: il primo era il capitano Lionel Ferguson, responsabile
dell’Intelligence, il secondo il maggiore Patrick Dumfryes dell’Ufficio Operazioni
e il terzo il capitano Felix Dermott, del servizio meteorologico.
Prima
di sedersi, il colonnello aveva detto: “Signori, come forse vi sarà giunta
voce, la missione di stamani è della massima importanza. A chi si chiederà
perché la Decima
venga mandata a colpire un obiettivo in Germania, risponderò semplicemente che questo
bersaglio dovrà essere completamente distrutto ed è per questo motivo che il Quartier
Generale ha richiesto espressamente il nostro intervento. A lei, capitano!”
Lionel
Ferguson (lo stesso baldanzoso playboy “ridimensionato” da Candy il giorno in
cui era giunta la sua omonima Fortezza) s’avvicinò a una gigantografia fissata
ad uno dei pannelli predisposti: “Questo gruppo di capannoni che vedete
rappresenta il vostro obiettivo” lo indicò con la bacchetta “si tratta di
laboratori segreti, dove si teme che i nazisti mettano a punto delle armi
chimiche o batteriologiche proibite dalla Convenzione dell’Aja, che potrebbero venire
usate contro di noi o contro le popolazioni occupate, qualora i tedeschi
venissero messi alle strette, dopo che le nostre armate saranno sbarcate sul
continente. È inutile aggiungere che il bersaglio dev’essere centrato con la
massima precisione, in modo da neutralizzare completamente l’efficienza degli
impianti. In caso contrario, il nemico trasferirebbe i laboratori altrove,
sicuramente al di fuori della nostra portata. Le istruzioni per la rotta,
appositamente stampate su carta di riso, verranno consegnate ai navigatori, che
avranno l’ordine d’ingerirle in caso di lancio o di atterraggio forzato su
territorio ostile. L’Ottava Forza Aerea e la Quindicesima,
dall’Italia, effettueranno incursioni diversive per impegnare la maggior parte
della caccia tedesca durante la vostra missione e naturalmente sarete accompagnati
dai colleghi del 99° Gruppo. Ognuno dei vostri apparecchi trasporterà otto M44
da 1000 libbre[8] con
esplosivo ad alto potenziale, spolettate con un ritardo di 10 secondi, in modo
che possano penetrare fino ai depositi sotterranei. Raggiunto il punto iniziale
d’attacco, scioglierete la formazione da combattimento per assumere quella di
sgancio, che verrà effettuato lungo la direttrice stabilita, alla quota di 18000 piedi.[9]
Subito dopo vi rialzerete alla quota di crociera, tornando a disporvi
nell’assetto difensivo per tutto il percorso di rientro. I caccia di scorta
saranno pronti a proteggervi nelle fasi critiche del bombardamento. Ci sono
domande?”
Nella
sala partì un robusto mormorio, formato in prevalenza da imprecazioni,
intervallate da frasi come queste: Ci vogliono morti!È una follia! Sono peggio dei nazisti!
“Mi
scusi, colonnello” disse il capitano Jason Galbraith, primo pilota del Lady Eve II, appartenente alla
squadriglia di Connelly “ma, con tutto il rispetto… è sicuro che quelle armi
batteriologiche esistano davvero?”
Richardson
si alzò da sedere, facendo qualche passo in avanti: “I nostri servizi segreti
ne sono più che certi e non siamo pagati per dubitarne. A parte che sarebbe decisamente
poco furbo venirlo a constatare a posteriori! A buon intenditor, poche parole. C’è
altro?”
“Perché
lanciare così bassi?” domandò il comandante Arthur Morrison, della squadriglia
di Lang.
“Il
perché l’avete sentito: dobbiamo assicurarci che quella maledetta fabbrica
venga totalmente disintegrata. Non avremo la possibilità di ripetere
l’incursione una seconda volta.”
“Non
sarà invece qualche quacchero dell’alto comando, che ha un debole per i tedeschi?
C’è proprio una città, giusto a un miglio e mezzo dal bersaglio!” osservò Tex
Sloane, un incallito texano, fra l’altro co-pilota del maggiore Lang sul Baby on the Grass.
Il colonnello scambiò una rapida occhiata col
comandante della 66a Squadriglia, per poi rispondere a quell’imbarazzante
interrogativo: “Non c’è bisogno d’essere dei quaccheri[10] per
non coinvolgere inutilmente la popolazione civile nelle nostre incursioni. Il
nostro scopo è soltanto quello di neutralizzare la macchina bellica nazista per
riportare la democrazia nell’intera Europa. E ora, se non ci sono altre questioni,
il capitano Dermott vi darà qualche ragguaglio sul tempo, poi il capitano
Dumfryes v’indicherà i posti nella formazione.” concluse, in tono secco, da non
ammettere ulteriori repliche. Al comandante di gruppo rimbombavano ancora nelle
orecchie le “calorose” raccomandazioni del suo comandante in capo sulla
necessità di non colpire in alcun modo la città natale del suo migliore amico.
Tuttavia
diversi presenti avevano letto tra le righe e più d’un sommesso grugnito si
fece sentire nella baracca. Mentre l’ufficiale della meteo esponeva la posizione
e l’altitudine dei fronti atmosferici, seguito con la massima attenzione dal
tenente Laffey e da tutti i suoi omologhi, il tenente Curtright si girò verso
il suo comandante, sussurrandogli con la bocca coperta da una mano: “Alla
nostra madrina avrebbe fatto piacere
sentire le parole del colonnello.”
“Senza
dubbio” rispose il capitano Legan, con una smorfia “se poi qualche crucco ci
sbattesse di sotto, sarebbe più contenta ancora!”
Il
piccolo Jimmy rimase abbastanza contrariato da quest’uscita: “Stavolta hai detto
proprio una carognata!”
“Non
agitarti, amico” replicò l’altro, con voce piatta “parlavo soltanto per me!”
*L’hai
detta lo stesso, Neal!* ribatté mentalmente il compagno, scuotendo la testa.
Poi prese nota sul suo taccuino che il Candy
Candy avrebbe volato come gregario sinistro della pattuglia di coda
all’intera formazione. Non era una posizione particolarmente tranquilla, vista
la tattica dei cacciatori tedeschi nel tentare di abbattere gli aerei
periferici, allo scopo d’indebolire la compattezza delle formazioni. Per
fortuna la quota loro assegnata li poneva pressoché a metà altezza fra la parte
superiore e quella inferiore di tutta la forza d’attacco.
Il
capitano Dumfryes, dopo aver fatto sincronizzare gli orologi, invitò i
navigatori a recarsi nella stanza attigua per ricevere le istruzioni sul piano
di volo e i marconisti in un’altra per la consegna dei codici radio. Poi toccò di
nuovo al colonnello dire due parole a chiusura del briefing: “Signori… non
occorre vi ribadisca l’estrema importanza dell’operazione. Sono certo che porterete
a termine il vostro compito in modo eccellente, così come sono convinto che i
veterani assisteranno egregiamente i meno esperti e anche questi ultimi si
faranno onore. Abbiate inoltre la massima fiducia nella vostra scorta, che sarà
comandata dal generale in persona: lui e i suoi assi del 99°, anche con
l’appoggio dei vostri mitraglieri, non mancheranno di tenere a bada gli unni
per riportarci tutti a casa. Ci vediamo su, signori: buona fortuna!”
Dopo
un ultimo fragoroso spostare di sedie, la baracca delle riunioni si vuotò
rapidamente.
***
Dopo
esservi stati scodellati da un autocarro GMC,
soprannominato come il loro secondo pilota,[11] i sottufficiali
del B-17 F s/n 42-29815, si
accovacciarono sull’erba, attorno alla piazzola di parcheggio del loro
velivolo, osservando pigramente il lavoro degli specialisti di terra che lo
stavano preparando al decollo. Due avieri, il primo montato su uno sgabello, il
secondo appollaiato sopra il muso, stavano pulendo il plexiglas della gondola
di puntamento, i parabrezza della cabina di pilotaggio e la cupola
dell’astrodomo,[12] mentre un terzo si stava
occupando dei finestrini laterali, dai quali spuntavano le mitragliatrici
manuali anteriori; altri due armieri stavano invece sistemano le cartucciere da
300 colpi (fra traccianti, incendiari e perforanti) nelle due mitragliatrici ai
lati della sezione centrale. Contemporaneamente, un addetto al rifornimento
stava riversando nei serbatoi dell’ala destra una parte dei 2800 galloni[13] di
benzina avio a 130 ottani.
“Arrivano
le pillole!” disse il sergente Evans, indicando un trattorino che rimorchiava
otto carrelli caricati con altrettante bombe dipinte in verde oliva, ad eccezione
delle gialle estremità. L’aviere infilò quel “trenino” sotto la pancia del Candy Candy, facendo arrestare il primo
rimorchio fra i due portelloni aperti. Poco dopo si avvertirono dei rumori
dall’interno e la bomba trasportata dal carrello venne sollevata da due robuste
cinghie manovrate dall’argano sistemato sul soffitto della stiva. Non appena
l’ordigno, zeppo del micidiale esplosivo RDX,
fu assicurato alla rastrelliera di destra, l’aviere al volante del rimorchio lo
fece avanzare quanto bastava per posizionare il carrello successivo nella
stessa posizione del precedente, affinché la seconda bomba potesse venire agganciata
esattamente sotto la prima. Dopo aver sistemato il quarto ordigno, il trenino
fece un giro completo di fianco all’apparecchio per ripetere l’intera
operazione fissando le ultime quattro pillole da 1000 libbre sulla
rastrelliera di sinistra. Ciò fatto s’allontanò dalla piazzola di
stazionamento, tornando verso il deposito delle munizioni. Tom Steeve lo guardava,
scuotendo la testa: “Che assurdità” commentò, con disgusto “realizzare ordigni
per distruggere quello che altri hanno costruito… che spreco senza scopo!”
“La
guerra è la totale negazione dell’intelligenza umana” aggiunse Sammy Carson
“questo si sa, purtroppo.”
“Già”
fece Tony Chacklies, sarcasticamente “lo sanno tutti. Però si continua a farne
una dopo l’altra, da secoli e secoli.”
“Proprio
così” rispose Tom “il problema è che siamo dei veri imbecilli!”
“Parla
per te, amico” saltò su Bob Malone, intento a intagliare un bastoncino col suo
coltellino a scatto per ricavarne un flauto “non hanno chiesto il mio parere,
per iniziare questo bordello. Né, tantomeno, il mio consenso!”
“Però
sei qui anche tu, che la combatti. E ci sei pure venuto volontario!”
“Per
forza” ammise l’altro “se avessi aspettato che mi richiamassero, mi
schiaffavano magari a rompermi il culo in qualche pulcioso reparto di fanteria:
marciare sotto il sole o la pioggia e strisciare in mezzo al fango o nella neve
non era esattamente il mio massimo desiderio!”
“Peccato”
ribatté John “avrebbe giovato parecchio alla tua forma!”
“Chetati,
mocciosetto” lo riprese Bob, non gradendo nemmeno lui sentire velate allusioni
alla sua taglia “se no ti metto in forma io!”
“La
verità è una soltanto” riprese Tom, osservando altri specialisti che caricavano
le bombe sul Saint Tail, compagno
d’ala del loro apparecchio “finché gli uomini non cominceranno a rifiutarsi di
combattere, le guerre continueranno a scoppiare!”
“La
fai facile, tu” obiettò Sammy “come si fa a rifiutarsi senza finire al muro?”
“Beh,
non individualmente, è ovvio” precisò l’ex allevatore “ma se la gente si
coalizzasse per dire di no, non credo
che le autorità potrebbero fucilare un’intera popolazione!”
“Potrebbe
essere un’idea” ammise Gilbert “però bisognerebbe che lo facessero anche tutti quelli della parte opposta.
Perché, se diserta solo una parte e l’altra no, per la prima sarebbe un bel
guaio…!”
“Infatti”
annuì Bob, con un ghigno “e mica tutti sono disposti a calar le braghe… specie
se attaccati.”
“Sapete
una cosa?” disse Tony “A volte mi chiedo se il mondo non sarebbe più pacifico, se
governassero le donne!”
“Ma
cos’hai, bevuto?!” sbottò Gil.
“No,
dico sul serio” replicò l’ex pokerista del Santa
Johanna “secondo me le donne sono più pacifiche per natura, proprio perché
madri o potenziali tali.”
“Sì,
come no” ribatté scetticamente il marconista, che era il più istruito del
gruppo “vogliamo parlare della regina Vittoria o di Caterina di Russia? A parte
che si legge siano state spesso delle donne a ispirare i tiranni più feroci!”
“Anche
la sorella del comandante non la definirei un perfetto esempio di pacifica
natura femminile!” aggiunse ironicamente John.
“Sarà
come dite voi” convenne Tony “ma resto dell’idea che la maggior parte di loro
rispecchia i migliori sentimenti umani. A cominciare dalla nostra ispiratrice”
concluse, indicando il muso del loro apparecchio “personalmente mi sentirei rassicurato
nel farmi comandare da una come lei!”
A
Tom scappò un risolino: “Temo che i nostri piloti avrebbero qualcosa da ridire,
di fronte a una prospettiva del genere! Non è vero, Johnny?”
“Puoi
giurarci, fratello!” rispose lui.
Tutti
fissarono allora in silenzio la bionda fanciulla sorridente, vestita con una
salopette di jeans, combinata a una camicetta a righe rosse. Quella pudica mis aveva fatto sghignazzare parecchio i
meccanici della base, avvezzi alla vista di pin-ups
coperte da minuscoli bikini o semplici tanga, larghi come fili interdentali.
Quando s’era trattato di battezzare la loro Fortezza, erano scaturite proposte
come Lakewood Express, Sister Mary Kids e naturalmente Flying Pony’s Home… ma dato che nell’intero
equipaggio c’erano soltanto quattro membri correlati con quei nomi, l’unico
elemento che avevano tutti in comune aveva portato alla scelta definitiva. Che
naturalmente spettava al comandante, fortunatamente e masochisticamente concorde
nello scegliere quel nome![14]
I
sei graduati[15] furono distratti dalle varie
riflessioni e rimembranze quando la jeep che trasportava gli ufficiali si fermò
vicino a loro con un acuto stridore di freni. Neal lasciò il volante della
vettura e balzò a terra, imitato da Jimmy, Charlie e Cookie, che teneva stretta
la sua borsa con le carte nautiche.
“Muoversi,
con quei sederi” gridò il comandante “si decolla fra dieci minuti!”
“Dove
andiamo di bello, capitano?” s’informò il sergente Carson.
“A
far provvista di prosciutti[16] nel
cuore della Grosse Deutschland!”
rispose il navigatore per lui.
“Dio
santo…!” mormorò Tony, massaggiandosi lo stomaco.
“Che
fregatura!” gli fece eco Bob, sputando poi per terra mentre trascinava il suo
paracadute verso la coda dell’aereo.
“Ti
capisco, figliolo” gli gridò dietro Charlie “io mi vedevo già nel fienile di
qualche bella francesina, nel caso ci abbattessero!”
“Guarda
che ci sono anche in Germania, i fienili.” lo erudì gentilmente Cookie, mentre
alzava il braccio per azionare la maniglia del portello di prua.
“Bella
scoperta” ribatté il puntatore, lanciando il suo fagotto attraverso l’apertura
“peccato che laggiù le contadinelle ti aspettino coi forconi e non fra lenzuola
profumate!”
“Sempre
con questo chiodo, eh?”
“Perché,
tu no?”
“Dai,
monta, depravato!”
“Ahh…
proprio in un branco di chierichetti dovevo capitare!” imprecò il tenente Boyle
aggrappandosi con le mani e issandosi agilmente a bordo, subito seguito dal
compagno. Fu poi la volta Jimmy, che andò a sedersi sul seggiolino di destra della
cabina, per iniziare la cockpit check-list.[17]
Nel
frattempo il comandante stava ispezionando le parti esterne dell’aeroplano, assistito
dal capo-meccanico che lo aveva in cura. Dopo aver controllato il ruotino di
coda, i timoni di profondità, gli alettoni, i flaps, i carrelli principali e le
turbine dei compressori, congedò il caporale e raggiunse anche lui la botola
anteriore. Prima di salire, lanciò però una rapida occhiata intorno e diede
un’affettuosa pacchetta alla figura dipinta sul muso: “Abbi cura di noi anche
oggi, bellezza…!”
Imitando
l’atletica manovra dei suoi colleghi, s’issò quindi a bordo e richiuse lo
sportello. Accomodatosi finalmente sul sedile di sinistra, si voltò verso il
suo co-pilota: “Tutto OK?”
“Affermativo!”
ripose Jimmy unendo pollice e indice della mano destra.
Neal
afferrò allora la cuffia appoggiata sulla cloche, sistemandosela in testa,
dopodichè infilò la spina di collegamento nella presa apposita: “Pilota a
equipaggio: controllo intercom.” annunciò, premendo i dischetti del
laringofono.
“Puntatore,
controllo.” rispose Charlie mentre armeggiava attorno al suo prezioso traguardo
Norden.[18]
“Navigatore
controllo.” ripeté Cookie, intento a verificare l’efficienza del radio-compass.[19]
“Mitragliere
dorsale, controllo.” disse poi Tom, già sistemato nella sua torretta
motorizzata, alle spalle della cabina di pilotaggio.
“Radiofonista,
controllo.” aggiunse Gil, smanettando il potente apparato SCR.
“Mitragliere
ventrale, controllo” replicò Tony mentre controllava lo stato delle
attrezzature (razzi di segnalazione, viveri d’emergenza, bombole portatili per
l’ossigeno) sistemate presso la sua torretta sferica.
“Mitragliere
di destra, controllo.” continuò Sammy, occupato a sincerarsi sul perfetto
allineamento del mirino ad anello della sua Browning.
“Mitragliere
di sinistra, controllo.” gli fece eco John nel controllare che il nastro delle
munizioni potesse scorrere liberamente dalla cassetta di alimentazione.[20]
“Mitragliere
di coda, controllo.” terminò infine Bob, sistemandosi meglio che poteva sullo
scomodo “inginocchiatoio” posto davanti alle armi di coda e chiedendosi perché
cavolo quei deficienti della Boeing
non avessero previsto un decente seggiolino con tanto di schienale.
“Vai
col controllo pre-volo” disse Neal a Jimmy “pressione idraulica?”
“Normale.”
“Flabelli
gondole motori?”
“Estratti.”
“Valvole
carburante?”
“Aperte.”
“Pompa
alimentazione?”
“Inserita.”
“Estintore?”
“Predisposto
sul numero uno.”
“Radiatori
olio?”
“Commutati
su minimo.”
“Prese
carburatori?”
“Libere.”
“Cabina
a posto radio: chiedi conferma per il decollo, Gil.”
“Roger.
Delta-Fox otto-uno-cinque a torre…”
“Torre
a otto-uno-cinque, over!”
“Otto-uno-cinque pronto al decollo.
Chiedo conferma inizio sequenza.”
“Conferma
positiva, otto-uno-cinque” rispose la
voce del sergente Johnson “siete a punto?”
“Affermativo,
torre: controllo pre-volo effettuato.”
“Sicuri
che non vi manca nulla? Che so, un’infermiera a bordo?”
Gilbert
Evans accusò il colpo. Ormai lui e il marconista della base erano diventati
amiconi, ma ogni volta che il buon Curly lo incontrava, in mensa o al bar, non
mancava di riempirlo di frizzi, al ricordo del loro primo atterraggio!
“Negativo,
torre… vedremo di cavarcela con la cassetta del pronto soccorso!” rispose, forzando
l’accento sarcastico.
“Peccato”
ribatté Johnson “perché ce n’è una proprio sul terrazzo!”
“Ma
va’ a quel paese…!” rispose Evans, pensando all’ennesimo sfottio. Curly si
affacciò allora all’ingresso del gabbiotto della torre: “Miss White: quello
zuccone di Gil non mi crede. Venga lei a dargli un salutino!”
Una
giovane bionda dai vistosi codini, appoggiata alla ringhiera del terrazzo,
cogli azzurri occhi puntati sul B-17
che portava il suo nome, ebbe un tremito nelle spalle e voltò leggermente la
testa all’indietro: “No, sergente… è meglio di no…!”
Dapprincipio
il marconista rimase stupito da quel rifiuto, ma poi rifletté sulla saggezza pratica
di quella decisione e non insistette: “OK, otto-uno-cinque:
procedere con la messa in moto. Buon volo e fateli neri!
“Roger!”
Sentito
questo, il comandante diede il via al secondo pilota: “Vai col numero 1.”
Curtright
commutò l’iniettore sul radiale esterno sinistro, poi chiuse il circuito
elettrico e premette il pulsante dell’avviatore. L’elica tripala iniziò a
roteare, mentre sbuffi di fumo azzurro uscivano dagli scappamenti.
“Numero
2.” disse
allora Neal.
Jimmy
ripeté l’operazione coll’iniettore commutato sul radiale interno, raddoppiando
poco dopo il rombo proveniente dal babordo del velivolo.
“Numero
3.”
aggiunse il comandante, mentre l’aviere di terra si spostava sotto il radiale
interno destro, sempre pronto con l’estintore a mano.
“Numero
4.” disse
ancora Legan, dopo che anche il terzo motore girava regolarmente. Dopodichè si
sporse dal finestrino e mosse le mani coi soli pollici stesi esternamente per
indicare a un altro aviere di togliere i cunei d’arresto da sotto le ruote
anteriori.
Pochi
momenti dopo il Candy Candy
abbandonava la sua piazzola di stazionamento per imboccare il raccordo numero
due, subito dietro alla Memphis Belle,
la Fortezza di
Nathan Swanson, loro capo-pattuglia. Dopo che i due bombardieri ebbero superato
l’imbocco della sua piazzola, anche il Saint
Tail di Alan Askey s’aggregava ai suoi vicini di formazione.
Così
allineati, i tre B-17 della 4a
Pattuglia andarono a raggiungere sulla pista numero 2 i tre gemelli della 3a
Pattuglia del maggiore Lang, che completava la sua 66a Squadriglia.
Nel settore attiguo dell’aeroporto, i sei apparecchi della 44a del
maggiore Connelly (nella quale volava il comandante dell’intero Gruppo) erano
già pronti a decollare dalla pista numero 1, il cui orientamento rimaneva
compatibile con la direzione del vento.[21]
Il
colonnello Richardson, che avrebbe aperto il decollo di tutta la formazione,
fece lampeggiare le luci di segnalazione non appena raggiunto il suo punto di
partenza e, quando il maggiore Dumfryes (fratello del medico della base) fece
partire un razzo verde con la sua pistola Verey,
la sua argentea South Sea Sinner[22]iniziò la sua corsa verso il fondo
della pista, alzandosi a poche decine di metri da quest’ultimo. A ruota la
seguirono la Lady Eve II di Jason Galbraith e la Duchess Daughter di Peter
Harter.
In
meno di quindici minuti la 44a Squadriglia mise insieme la sua
formazione, composta da due pattuglie triangolari, dove la 2a di Connelly
seguiva la 1a di Richardson ad una quota leggermente più bassa.
Un
secondo razzo blu partì dalla Verey
di Patrick Dumfryes e anche la Baby on the Grass di Lang iniziò a muoversi
verso la testata della pista numero 2, precedendo la Little Audrey di Charlie
Boman e la Glammy Lum di Arthur
Morrison.
A
questo punto la voce del marconista di Swanson si fece sentire nelle cuffie di
Evans, Curtright e Legan: “Memphis Belle
a Candy Candy e Saint Tail: partiamo. Pronti a venirci dietro con venticinque secondi
d’intervallo.”
“Candy a Belle: wilco. Appuntamento al piano di sopra!” rispose direttamente
il primo pilota, dopo aver schiacciato il pulsante sul volantino, che
connetteva il suo interfono con la radio di bordo.[23]
Il
capo-pattuglia diede tutto motore e le quattro eliche della Belle produssero altrettanti vortici di
condensazione che sembravano getti di liquido vaporizzati da enormi
spruzzatori.
“Dieci
secondi!” annunciò il piccolo Jimmy osservando il suo cronografo da polso e
Neal si rivolse al puntatore: “Tutto libero, Charlie?”
“Come
l’aria, capo.” rispose lui, dopo aver dato una buona occhiata attraverso le
aperture di plexiglas.
“Ruotino
bloccato, Neal.” segnalò il co-pilota.
“Bene…
andiamo…!” rispose lui sbloccando i freni e spingendo le manette.
Gradualmente
il Candy Candy cominciò ad acquistare
velocità, mentre Tom, seduto nella sua torretta superiore che gli consentiva
un’eccellente visuale verso l’alto, notava un figura vagamente familiare che spiccava
sul terrazzo della torre di controllo: “Ma… quella è…”
Il
cervello del sergente Steeve pensò dapprima ad un abbaglio suggestivo, ma la
sua vista da falco non poteva lasciarsi ingannare da quell’acconciatura
inconfondibile. Per cui, meno avveduto del sergente Johnson, al mitragliere
dorsale scappò questo gridò: “È CANDY… LASSÙ, SULLA TORRE…!!”
Chi
poteva guardare da quella parte fece del suo meglio per riconoscere la loro
forzata madrina, ma soltanto il primo pilota riuscì a scorgerla, un po’ peggio
di Tom…
“Ok…
mandatele un bacio, fratelli” disse ai compagni, lottando con le acute fitte
che gli mordevano il petto e lo stomaco “e speriamo che non sia l’ultima volta…!!”
Poi
diede tutto gas ai quattro Wright R1820 e,
quando la lancetta dell’anemometro superò i 240 nodi, ad appena 80 piedi dal termine della
pista, tirò il volantino verso di sé: “Vai su, piccola mia…!”
Però,
una volta superato il circuito, invece di salire verso il Memphis Belle, manovrò per eseguire una virata a semicerchio…
“Che
diavolo combini…?” gli chiese Jimmy.
“Diamo
una sbarbata alla torre.”
“Sei
pazzo? Ci faranno la pelle…!!”
“Se
non ce la fa prima la Luftwaffe.” rispose
Neal, con noncuranza.
“Ma
che cavolo di risposta è?!”
“La
mia. Ora sta’ zitto e tienti pronto a richiamare: siamo pieni come un uovo!”
“Oh,
Gesù…!!” gemette Curtright, rassegnato.
Fra
il disagio del personale (non del tutto sorpreso) e il totale sconcerto della
loro omonima visitatrice, il Candy Candy
passò quasi rasente al gabbiotto d’osservazione, abbastanza da permetterle di
vedere i volti sorridenti di Sammy e John, affacciati alla postazione difensiva
sinistra. Pur scuotendo gravemente la testa, la loro amica non mancò di agitare
il braccio per mandargli un affettuoso saluto.
“Se
anche la scampiamo, dovremo dire addio al nostro sedere” commentò il piccolo
John “poco, ma sicuro!”
“Possiamo
sempre atterrare in Svizzera…!” suggerì semiserio Carson.
Mentre
la Fortezza
riprendeva quota per raggiungere la sua pattuglia (col povero Gil che doveva
tenere la cuffia lontano dalla testa per non farsi saltare i timpani dagli improperi
del maggiore Lang)[24] la
nostra amica si terse le lacrime dal suo dolcissimo viso, per poi giungere le
mani chiudendo gli occhi: “Ti supplico, Signore: proteggili tu… fa’ che tornino
tutti interi…!”
A
preghiera conclusa, tornò a rivolgersi verso il cielo, scrutando le sagome
delle dodici Fortezze del 22° BG, con la formazione ormai completa.
“E
tu… se veramente sei cambiato… fai
del tuo meglio. Hai capito, Neal?” gridò “Riportameli tutti indietro, o guai a te…!!”
Si
mosse quindi verso il pianerottolo della scala per scendere, salvo voltarsi
indietro per un’ultima volta: “E bada di tornare anche tu… disgraziato
incosciente che sei!”
Si
asciugò un’ultima lacrima e se ne andò, diretta all’ospedale di Newhaven.
[1]Strano o meno che appaia, il figlio adottivo del signor
Curtright era il compagno col quale il rampollo dei Legan fosse entrato
maggiormente in sintonia e, di conseguenza, quello col quale si era confidato
di più.
[2]Inutile specificare che anche diversi colleghi erano
stati pelati a carte dall’ex “fantasma” del Santa
Johanna. Inoltre, quando il comandante aveva saputo come il suo mitragliere
inferiore avesse “spennato” la sua bionda fiamma, lo aveva preso
particolarmente in simpatia!
[3]John Smith, per ovvi motivi, non vedeva certo il
comandante di buon occhio, pensando soprattutto a quella volta in cui era
partito di soppiatto dalla Casa di Pony
per andare dai Legan a trovare Candy, scoprendo tutta l’amara verità sulle
intenzioni dei suoi “tutori”.
[4]La sostanziale differenza fra un obiettivo tattico (generalmente di contenute
dimensioni) e uno strategico (avente
un’area molto più estesa) consiste nel vantaggio che l’attacco si propone di
ottenere. La distruzione di un bersaglio tattico (come un ponte, una stazione
ferroviaria, un avamposto bellico) prevede un vantaggio immediato o a breve
termine per influenzare un combattimento in corso o immediatamente successivo.
Al contrario, la neutralizzazione di un bersaglio strategico (un complesso
industriale, una raffineria di carburante o un porto) prevede un vantaggio a
medio o a lungo termine per influenzarel’andamento
generale del conflitto. Nel primo caso, per esempio, si può cercare
d’interrompere le comunicazioni nemiche attraverso l’interruzione di una strada
o di una ferrovia, mentre, nel secondo caso, si tenterà di limitare
pesantemente una determinata produzione bellica o la stessa alimentazione
dell’apparato industriale avversario.
[6]Il revolver automatico Colt da 0.45
pollici, modello 1911, era l’arma leggera d’ordinanza
dell’Esercito statunitense, mentre l’MP (Machinepistol)
40 Schmeisser era il mitra standard
in dotazione a quello tedesco. La Feldgendarmerie
era invece la polizia militare.
[10]I quaccheri erano i seguaci di una confessione
religiosa fondata in Inghilterra nel 1647. Si diffuse poi largamente in
America, contribuendo ad alimentare il movimento per l’abolizione della
schiavitù. Qui il termine quacchero
viene utilizzato come sinonimo di “troppo buono”.
[11]Il celebre autocarro 6x6 (a tre assi motori, quindi con
6 ruote motrici, di cui 4 doppie) costruito in centinaia di migliaia di
esemplari, era siglato GMC (una sussidiaria della General Motors) che si pronuncia gi-em-si… da qui il nomignolo di Jimmy!
[12]Punto d’osservazione utilizzato dall’ufficiale di rotta
(o navigatore) per determinare la posizione durante il volo. Oggi sembrerà
bizzarro, ma a quel tempo, nel caso la navigazione non potesse venire assistita
radioelettricamente, il simpatico Cookie avrebbe dovuto fare il “punto” con il
sestante, esattamente come se si trovasse a bordo della sua Seagull.
[14]E, sempre a proposito del look della nose-art, sarebbe stato interessante
sapere quale sarebbe stata la scelta di Neal, se avesse volato su un caccia, senza
condividere quindi l’aereo con nove colleghi!
[15]All’inizio della guerra i mitraglieri di volo erano
soltanto degli avieri (cioè soldati semplici). Più avanti vennero tutti
promossi sergenti affinché godessero di un trattamento migliore come
prigionieri di guerra in caso di lancio sul territorio nemico.
[16]La Westfalia è famosa per i suoi prosciutti. Beh, niente a che
vedere con quelli di Parma o di San Daniele, naturalmente!
[17]Il controllo strumentale che precede l’accensione dei motori.
[18]Il mirino tachimetrico per lo sgancio, prodotto dalla
fabbrica omonima. Era, per l’epoca, un autentico gioiello di optomeccatronica,
che teneva conto di altezza, velocità, forza e direzione del vento, peso delle
bombe. Si diceva fosse in grado d’infilarle in un barile dalla quota di
diecimila metri… in teoria.
[19]La bussola radioelettronica, in base al segnale
ricevuto dall’antenna del radiofaro, stabiliva se l’aereo stava seguendo l’esatta
direzione. La funzionalità di questo sistema, oggi sostituito dalla
triangolazione satellitare, dipendeva chiaramente dalla qualità di copertura,
che poteva essere totalmente efficace soltanto in territorio amico. In
alternativa si doveva adoperare la bussola magnetica, come pure l’antico ma
collaudato sistema “marittimo” basato sul cronometro e il sestante.
[20]Anche se gli specialisti di terra erano addestrati per
svolgere i loro compiti con la massima cura, ogni membro del personale di volo
era tenuto a controllare di persona l’efficienza del suo equipaggiamento,
poiché da ciò dipendeva non soltanto la sua vita, ma quella di tutto l’equipaggio.
[21]I campi di volo dell’aviazione alleata nell’Inghilterra
meridionale erano costituiti da 3 piste principali sviluppate con uno
sfasamento di 60° una rispetto all’altra (così da formare un perfetto triangolo
equilatero). In questo modo era relativamente facile che almeno una presentasse
le migliori condizioni per il decollo, costituite da un vento contrario, con la
minima divergenza al traverso.
[22]Sirena dei
Mari del Sud. L’equipaggio di
Richardson aveva creduto d’essere destinato a raggiungere la Quinta Air Force di Kenney nel
Pacifico Meridionale, ma il suo compagno d’Accademia era poi riuscito ad averlo
con lui. Ritenendo però che portasse sfortuna, l’equipaggio non aveva più
voluto cambiare il nome dell’aeroplano. Gli aerei della 44a
Squadriglia, al contrario di quelli della 66a, erano stati lasciati
senza verniciatura mimetica. Che i miei gentili lettori non si stupiscano, ma
tutto questo è stato realmente riprodotto nella mia forza aerea in
miniatura!
[23]Tale prerogativa ce l’avevano soltanto i due piloti.
Per tutti gli altri doveva essere il marconista a commutare i loro intercom sul
canale esterno.
[24]Se anche questa volta se la cavarono a buon mercato, fu
solo grazie all’intercessione della buona Candy, per interposto Andy Greason.
l
rumore dell’acqua scrosciante interruppe il sonno leggero di Flanny. La donna,
dopo essersi passata la mano sul volto, l’allungò nel letto per sentire il
calore del marito, che stava abbandonando lentamente il lenzuolo stropicciato.
Diede
allora un’occhiata fugace al quadrante della sveglia, dove le lancette
fosforescenti indicavano le quattro e quarantasette.
Si
alzò, s’infilò rapidamente la vestaglia e si avvicinò al lettino di suo figlio,
che dormiva beatamente col sorriso sulle labbra. Dopo avergli dato un
leggerissimo bacio sulla guancia, si diresse verso il cucinotto, infilò due fette
nel tostapane e accese il fornello sotto l’alambicco del caffè.
Mentre
l’acqua stava bollendo comparve il marito, avvolto nell’accappatoio, mentre si
asciugava i capelli: “Come mai già in piedi? Non sei di riposo, stamattina?”
“Ma
tu no.” rispose lei, semplicemente, riempiendogli la tazza.
Andy
sorrise, assaporando il calore che avvertiva in mezzo al petto, per poi avvicinarsi
alla compagna e abbracciarla affettuosamente da dietro: “Flanny Hamilton:
infermiera per professione e moglie per vocazione” disse, col mento appoggiato
sulla sua spalla “o è il contrario?”
Lei
si girò, schioccandogli un bacio ardente: “Se non l’hai capito in più di due
anni di matrimonio, dovrai tenerti la curiosità!” gli rispose, con una punta di
malizia.
“E
perché no?” replicò lui, mettendosi a sedere “Non è forse la curiosità che
alimenta i legami coniugali?”
“Sì…
e anche la pazienza.”
Andy
credette di notare una lievissima punta di sarcasmo.
“Dica
la verità, signora Greason: è forse pentita di non essersi scelta il suo
partito fra qualche dottorino promettente?”
“Serve
a poco pentirsi, quand’è troppo tardi” rispose lei, lanciandogli uno sguardo
obliquo “bevi, piuttosto, che ti si fredda il caffè.”
“Agli
ordini” rispose lui, strizzando l’occhio “mmm… eccellente, come al solito!”
“Goditelo:
non ce n’è rimasto molto.”
“Ah,
sì? Dirò a Master d’accennarne a Patroni.”
“Speriamo
che i tuoi superiori non lo vengano a sapere che utilizzate gli aerei da carico
per portare il caffè da New York!”
“Che
c’è di male? Qualche cassa di miscela non aumenta certo il consumo di
carburante. Se a Washington pensano che potremmo mantenere il nostro standard con
quella broda di the inglese, sono del tutto rimbambiti! Fortuna che il cugino
di Patroni gestisce proprio il Caffè
Reggio di McDougal Street, così può garantirci un rifornimento costante.”
“Sempre
fortunati, voi!” commentò ironica la moglie, spalmandosi del burro di arachidi
sul toast.
“In
guerra direi che non guasta!”
“No
di certo… a patto che finisca prima della buona sorte!”
“Già…!”
commentò lui, addentando un toast a sua volta.
Terminata
in silenzio la colazione, il generale si alzò: “Bene, vado a vestirmi.”
“Andy…”
Lui
guardò la moglie, che, pensierosa, seguiva il bordo della tazza con il dito: “Dimmi,
cara…”
“Quando…
quando pensi che terminerà, il conflitto?”
Il marito le rivolse uno sguardo dolce: “Quando i
tedeschi e i giapponesi si arrenderanno, tesoro… non certo prima!”
Lei annuì, per poi insistere: “E… a tuo giudizio,
quanto pensi ci vorrà?”
Andy corrugò la fronte, meditabondo. La sua consorte
non era solita rivolgergli domande di quel tipo; se ora lo faceva, un motivo doveva
esserci per forza.
“Mah… quando saremo sbarcati sul continente, i crauti
non dureranno a lungo. Forse sei mesi o poco più. Entro Natale, la guerra in
Europa potrebbe anche essere finita. Quanto ai giapponesi… non saprei proprio
dirtelo.”
“Capisco” rispose Flanny, massaggiandosi delicatamente
il ventre “e immagino che, se per allora il Giappone non si sarà ancora arreso,
di sicuro ti rimanderanno da quelle parti!”
“Beh, non è detto…”
“Dai, vatti a preparare: qui metto a posto io.”
“Va bene.”
Poco dopo, Andy stava indossando l’uniforme in camera
da letto, quando sentì i passi frettolosi della moglie dirigersi verso il
bagno. Impensierito, si avvicinò alla porta: “Ehi, cara” bussò “tutto ok…?!”
Finalmente lo scroscio dell’acqua cessò, seguito dalla
serratura che si apriva. Subito dopo ricomparve Flanny, asciugandosi la bocca
col fazzoletto.
“Che ti succede?” chiese lui, allarmato.
“Niente di che… solo un pochino di nausea!”
“Nausea?”
“Mm, mm… scusa, vado a vestirmi anch’io.”
“Ma perché non te ne torni a letto, invece?”
“Tranquillo, sto bene. T’accompagno all’aeroporto.”
“Cosa? E Paul…?”
“Lo portiamo con noi. Oggi è una bellissima giornata e
non prenderà freddo.”
“Flanny, è successo qualcosa?” chiese il marito,
incapace di nascondere la sua perplessità.
La moglie scosse la testa, sorridendogli
affettuosamente: “Tu pensa solo a tornare, stasera. Come sempre, ok?”
Andy sospirò, ma non insistette. Se Flanny aveva
qualcosa da dirgli, lo avrebbe fatto soltanto quando lo avesse ritenuto
opportuno. Non un secondo prima.[1]
“Ok, amore… messaggio ricevuto.”
“Bravo!” gli rispose lei, baciandolo ancora.
***
Quando
la Buick varcò il posto di controllo
della base di Grant Field, il
caporalmaggiore Oliver Thorton sbarrò tanto d’occhi nello scorgere la moglie
del generale, sedutagli accanto sul sedile posteriore, col suo frugoletto di sette
mesi, placidamente addormentato tra le braccia. Dopo aver restituito il
lasciapassare all’autista, sergente Travis, l’MP salutò impeccabilmente il
comandante dell’intera Forza Aerea, che gli rispose con un gesto bonario.
Appena
l’auto di servizio s’arrestò davanti all’edificio del comando, i Greason si
affrettarono ad entrare, per dirigersi poi verso la Sala Operazioni. Qui giunti
furono accolti dal maggior-generale Stone, vice-comandante della Decima FA, a colloquio
col brigadier-generale Sanders, comandante del 1° Stormo Strategico e il
maggiore Roy Master, comandante del 99° Gruppo Caccia. I tre interruppero la
loro conversazione per salutare correttamente il comandante in capo.
“Benarrivato,
signore!” disse Sanders, non troppo stupito dalla presenza di Flanny, che
portava il suo pargoletto, intento a guardarsi intorno con la più viva
curiosità.
“Grazie,
Vic” rispose Andy “qualche intoppo sul ruolino di marcia?”
“Nessuno:
le nostretre Squadriglie sono pronte a
decollare per le 0800[2]
precise.” notificò Master.
“Quand’è
previsto il rende-vu coi bombardieri
del 22°?”
“Alle
0955, sulla verticale di Maastricht.” rispose James.
“Notizie
da Richardson?” chiese ancora il comandante, osservando il suo cronografo.
“È
arrivato il suo radiomessaggio tre minuti fa: la loro formazione sta già per
sorvolare Great Yarmouth.” rispose il comandante del 1° Stormo.
“Allora
sarà il caso di prepararsi. Roy, fatemi posto sulla vostra jeep: dico a Travis
di riaccompagnare mia moglie.”
“Tua
moglie rientrerà quando avrai decollato” rimpallò subito l’interessata “il pupo
qui presente ha una gran voglia d’ammirare il suo paparino in tenuta di volo.
Non è vero, Paul?”
“Ghiii…!!”
rispose convinto l’erede dell’asso.
Andy
sbuffò, rassegnato. Nel suo cranio ronzava sempre quella maledetta massima di Shakespeare…[3]
“D’accordo,
potete andare” rispose allora ai subordinati, intenti a lisciarsi discretamente
la bocca “voi due, invece, aspettatemi in macchina.”
“Agli
ordini, signore!” lo salutò scherzosamente la compagna.
Entrato
nello spogliatoio mentre già si slacciava la cravatta dopo essersi sbottonato
la giacca dell’uniforme, Greason l’appese insieme al cappello nell’armadietto
personale, da dove estrasse la combinazione di volo termoriscaldata, che
indossò dopo aver sfilato i pantaloni. Dopo essersi seduto sulla panca al
centro del locale, infilò ai piedi le doppie calze di lana sopra i calzini di
cotone, dando uno strappo nervoso alle cerniere di chiusura degli stivaletti.
“Nervoso,
Andy?”
Senza
neppure voltarsi, l’interpellato si mise al collo il suo prezioso foulard,
confezionatogli in Cina dalla moglie, per poi vestire il pesante giubbotto di
pelle foderato di lana: “Che me lo chiedi a fare, se lo hai già capito?”
James
alzò le spalle: “Una volta mi dicesti che, quando i giochi sono fatti, tanto
vale giocare senza pensarci più.”
“Davvero?”
il compagno, richiuse rumorosamente lo sportello “Ne ho dette di cazzate,
quand’ero signorino!”
Stone
ebbe un guizzo, ma rispose pacatamente: “Ero sempre rimasto convinto che il tuo
nuovo status non avesse per nulla intaccato la tua fibra di pilota.”
“Allora
sei proprio un ingenuo!” rimpallò il superiore, passandogli accanto per uscire.
“E
se invece sputassi il rospo senza tanti giri di parole?”
Il
comandante si bloccò, per poi rivoltarsi, squadrando decisamente il compagno di
tante avventure: “Cosa ti fa credere che abbia un rospo da sputare?”
“Andiamo,
Andy: è la prima volta che ti vedo così nero prima d’una missione. E sono quasi
due anni e mezzo che sei sposato!”
L’asso
appoggiò la schiena allo stipite della porta, sbuffando sonoramente: “Beh… il
fatto di scortare una formazione da bombardamento fin sulla città del mio
migliore amico, non mi rende particolarmente allegro. Ti basta?”
“No.
Perché non è quello il motivo!”
Il
tenente-generale grugnì leggermente, prima di lasciarsi sfuggire la frase successiva:
“Perché ha voluto venire all’aeroporto proprio stamattina? E col bambino, per
di più… non riesco a capire cosa cavolo ci sia sotto!”
“E
perché non glielo chiedi?”
Andy
scosse il capo: “Perché so già che me lo dirà soltanto al mio ritorno. Se ritorno…!”
“E
finiscila di sparare fregnacce” s’alterò decisamente James “lo sai bene che non
esiste nessun nemico che possa abbattere te!”
“Vorrei
averla io, questa sicurezza!” concluse il superiore, mentre infilava la porta.
***
Non
appena l’auto si fermò presso la piazzola di stazionamento della sezione di
Andy, il sergente George Travis scese per aprire lo sportello alla First Lady della Decima, come la signora
Greason era scherzosamente (ma rispettosamente) chiamata in tutta l’USAAF. Lei ringraziò con un sorriso,
sempre tenendosi stretta il bambino. Subito dopo seguì il marito verso il
massiccio P-47, che attendeva il suo
pilota col motore già acceso e la carlinga spalancata. Al di sotto dei piloni
subalari, come pure sotto il ventre del velivolo, spiccavano tre voluminosi
serbatoi sganciabili, contenenti non meno di 108 galloni di
carburante. Con tale riserva lo Yankee
Eagle avrebbe potuto raggiungere il cuore della Germania e fare poi ritorno
in Inghilterra.[4]
Prima
di salire, Andy Greason si voltò per salutare la sua famiglia.
“Ciao,
bello di papà!” disse, baciando in fronte il figlioletto.
“Gaoo…!”
rispose il pargolo.
Poi
fissò la compagna, che lo accarezzò in viso: “Buona fortuna, tesoro…!” e lo
baciò, passandogli un braccio intorno alle spalle.
“Non
devi dirmi proprio niente?” tentò ancora lui.
Lei
scosse la testa sorridendo, anche se i suoi occhi erano lucidi: “Per ora no.
Bada solo a fare del tuo meglio! Ricevuto?”
“Forte
e chiaro... a stasera!”
Ciò
detto mise piede sul piano dell’ala, per poi scavalcare il bordo
dell’abitacolo, col fido Nat Carling che gli porgeva il casco. Mentre gli altri
due avieri dell’equipaggio di terra gli fissavano le cinghie del paracadute,
l’asso alzò il pollice verso i suoi cari, strizzandogli l’occhiolino…
“Dai,
Paul: fa’ ciao a papà!” lo incitò la madre, muovendogli il braccino con la mano
destra, mentre lo teneva al petto col braccio sinistro.
“Aoo…
baaa…!!” gridò lui.
Sorridendo
a denti stretti, il padre sorrise e afferrò la maniglia superiore del
tettuccio, tirandolo in avanti fino a sentire lo scatto della chiusura. Dopo
aver collegato tubi e spinotti vari, si premette il laringofono sotto il mento:
“Bravo 761 a
torre: chiedo conferma per il decollo!”
“Torre
a Bravo 761: decollo confermato. Procedere
su pista 2. Buona missione, signore!”
“E
buona permanenza a voi” rispose di rimando il generale, commutando la frequenza
di trasmissione “Bravo 761 aIndia 218: Victor, mi senti? Decollo
immediato. Rende-vu a 4000
piedi sopra il circuito.”
“Wilco,
comandante. Siamo pronti!” rispose la voce del brigadier-generale Sanders.
“Roger…
andiamo!”
Dopo
aver mandato un ultimo cenno di saluto ai congiunti, Andy controllò rapidamente
passo e miscela prima di dare manetta, permettendo alla possente Hamilton-Standard di trascinare le 19400 libbre[5] di
metallo dello Juggy lungo il raccordo
d’imbocco della pista designata dalla torre di controllo.
Quando
il P-47 D-22 4K-B 275761 si trovò in
posizione di partenza, il pilota abbassò completamente gli estesi flaps, bloccò
lo sterzaggio del ruotino posteriore e spinse a fondo la manetta del gas: il
ruggito del poderoso radiale Pratt &
Whitney R2800-59 Double Wasp riempì completamente il confortevole abitacolo
del caccia, che iniziò a scorrere sopra l’asfalto, mentre la coda assumeva la
posizione orizzontale.
Le
lancette del cronografo di Andy segnavano le 8 e 2 minuti del mattino. Un
radioso mattino di fine Aprile del 1944.
Ma,
più che all’orologio, gli occhi dell’asso erano puntati sull’anemometro e sul
contagiri: quando la lancetta del primo strumento ebbe superato le 92 miglia orarie,[6] con
un leggero richiamo della cloche, Andrew Steve Greason affidò per l’ennesima
volta il suo amato velivolo alla portanza del vento di corsa.
“Sono
nelle tue mani anche oggi, amico mio…!”
Mentre
i 2000 cavalli abbondanti del poderoso stellare lo trascinavano verso l’azzurro
del cielo con una media di 1384
piedi al minuto,[7] il
nostre eroe si voltò all’indietro, scorgendo così la sua donna mentre continuava
a salutarlo, tenendosi sempre stretto il loro primogenito…
“Cristo…
non ho mai desiderato così tanto essere un semplice mezzemaniche del Dipartimento!”
si sfogò, rammentando il tentativo di Flanny nel coprire la sua professione,
quando l’aveva presentato alla bionda collega di Lakewood.
Ora
capiva perché la consorte l’aveva voluto accompagnare alla partenza di quella
difficile missione. Anche se c’era un particolare che ancora non riusciva a
spiegarsi.
“Non
piangere, piccolino mio” diceva Flanny nel frattempo al suo bambino, che aveva
cominciato a lamentarsi “il tuo papà tornerà anche stasera… e forse gli faremo
una bella sorpresa, d’accordo?”
Dopo
averlo baciato di nuovo, la signora Greason tornò sui suoi passi per rientrare
nella berlina di servizio del marito: “All’ospedale St.Mary, per favore, George.”
“Bene,
signora.” rispose il sergente Travis.
***
“Cosa
ci fai, qui?” chiese una stupita Candy vedendo l’amica entrare nella saletta
del personale col suo frugoletto tra le braccia “Perché non sei a casa a
riposare?”
“Ho
un appuntamento col dottor Waxman.”
La
bionda emise uno sbuffò sonoro: “Ah, Flanny…! È mai possibile che nemmeno una
famiglia sul collo ti permetta di dare un calcio a questo tuo stakanovismo?!”
“Non
è per lavoro” spiegò la mora, stancamente, mentre faceva sedere il bambino sul
tavolo “devo farmi visitare.”
La
collega ebbe un lieve sussulto: “Cosa c’è, non stai bene?”
“Niente
di serio, non preoccuparti” ribatté Flanny, con un vago gesto della mano
“piuttosto, nel frattempo, mi daresti un’occhiata a Paul?”
“Ma
certo” rispose l’altra, con un tenerissimo sorriso “vieni qua, bambolotto della
zia!”
“Gheee…!”
rispose felice il pargolo, agitando le braccine.
Felice
di godersi per un po’ il suo “figlioccio” preferito, la dolce Candy non rimase
più di tanto a riflettere sul motivo che portava la sua amica dal dottore. Inoltre,
durante la sua assenza, arrivarono Natalie ed Eleanore, che subito iniziarono
anche loro a coccolare il primogenito dei Greason.
Dopo
venti minuti circa, la loro mentrice ricomparve con un’espressione piuttosto
assorta, tenendo per mano un referto medico. Senza nemmeno rispondere al saluto
delle compagne, si sedette di peso su una sedia, poggiando la mano sulla
fronte.
“Flanny”
l’apostrofò subito Candy, combattendo con la propria ansietà “allora, com’è
andata?”
L’interpellata
si voltò verso di lei, guardandola un po’ senza vederla.
“A
meraviglia” rispose, asciuttamente “non avreste un po’ di caffè?”
A
un cenno di Candy, Natalie s’affrettò a prepararlo, mentre la bionda s’avvicinava
all’ex condiscepola, mettendole una mano sulla spalla: “Ti prego, cara, non
tenerci sulle spine. Che ti ha detto il dottor Waxman? Che cos’hai…?”
La
collega alzò le spalle: “Niente di anomalo, dopotutto” mostrò un malinconico
sorriso “sono solo un po’ incinta...!”
“Cosa…?”
sussurrò Candy, stupefatta.
“Ma
davvero??” saltò su anche Natalie, spalancando gli occhi.
“No,
per finta” ironizzò la moglie di Andy, accarezzandosi la pancia. Poi appoggiò
la testa all’indietro, chiudendo gli occhi “ci mancava pure questa, adesso! Eppure
c’eravamo stati attenti…!”
“Flanny…”
disse Candy.
“Ma
perché, non sei contenta?!” chiese invece Eleanor, intenta a giocare col
piccolo Paul.
“Contenta??”
saltò su la signora Greason, in tono piccato, verso quella signorina di buona famiglia
“Ma si capisce: fra la casa e l’ospedale, stento a reggere per miracolo con un
marmocchio solo! Sono strafelice…!!”
“Non
angosciarti” s’affrettò a rassicurarla Candy, sempre accarezzandole la spalla “ci
siamo noi, con te. Vi aiuteremo!”
La
mora le circondò la vita con un braccio, stringendosela con affetto: “Ah,
Candy… non è questo il problema!”
“E
allora che altro c’è…?” chiese lei, stupita e commossa da quell’inusuale gesto
d’affetto da parte della non più tanto fredda compagna.
Flanny
si versò una tazza di caffè dal bricco che Natalie le aveva appena porto e assaporò
la calda bevanda: “C’è che stavolta il mio maritino sarà inflessibile!” disse
poi.
“In
che senso?” chiese Candy.
“Pretenderà
che io torni a casa, lo so! E io non posso… non
voglio!!” ribadì con veemenza, sbattendo la tazza sul tavolo.
“Waaa…!!!”
sbottò il povero Paul, spaventato. Per evitare che si mettesse a frignare per
la gioia di tutta la vicina corsia, la madre s’affrettò ad alzarsi e a
prenderlo in braccio.
“Accidenti”
imprecò, mentre lo cullava, dopo che Natalie gli aveva infilato il succhiotto
in bocca “ma è mai possibile che, dopo quindici anni d’inferno e cinque di
purgatorio, le cose più belle della mia vita debbano capitarmi tutte nei momenti peggiori?!”
Non
riuscendo a non domandarsi se pure lei avesse fatto parte di quel purgatorio, la buona Candy tornò ad
avvicinarsi all’amica: “Stai tranquilla, Flanny: Andy non ti rimanderà in
America. Ci parlo io con lui!”
La
collega fece una smorfia divertita: “Tempo sprecato, tesoro: per certe cose, il
mio dolcissimo pilota è cocciuto come un mulo!”
*Dio
li fa e poi li accoppia!* commentò Natalie, fra sé e sé.
“Mai
quanto me” rispose invece la bionda, punta sul vivo “dov’è, adesso,
quell’irresponsabile seduttore?”
“Su
a 30000 piedi, sparato verso la Germania a 400 miglia all’ora...!” rispose la
donna, in tono cupo, stringendosi il bambino, che già s’era addormentato.
Candy
prese un po’ di fiato per smaltire l’improvvisa fitta in mezzo al petto… quanto
somigliava lo sguardo di Flanny a quello di Patty, in quei maledettissimi
momenti!
*Altro
che non tornare a casa* pensò, incollerita *aspetta solo che mi senta, quello
scriteriato: ce li rimando tutti e due, a calci nel didietro!*[8]
“Okay,
aspetteremo che ritorni. Non temere, si aggiusterà tutto!” le disse quindi,
facendo una carezza al piccolo Paul.
“Speriamo”
rispose lei, mettendolo sulle braccia di Natalie per potersi infilare il
soprabito “e speriamo anche che questo sia femmina…!” concluse, battendosi una
mano sull’addome.[9]
[1]E certamente non prima di una missione, per evitare che
il compagno si deconcentrasse (cosa che, durante il combattimento, poteva
facilmente riuscire fatale).
[2]Leggasi Zero-Ottocento: cioè
alle 8 in
punto del mattino.
[4]324 galloni equivalgono a 1226 litri; per avere
più o meno lo stesso rateo d’autonomia, al P-51
Mustang bastava una riserva di 150 galloni (568 litri), trasportati dentro
due serbatoi da 75.
[5]8800
chilogrammi. Come
gli appassionati di storia aerea (fra i quali il nostro moderatore) ben sanno,
il Republic Thunderbolt è stato il
più grosso e pesante monomotore monoposto a popolare i cieli della Seconda
Guerra Mondiale.
[6]154 Km/h: la velocità di sostentamento a pieno carico del P-47.
[8]Anni dopo, venuto a conoscenza di questi particolari,
l’oberstleutnant Schultz von Heindrich commentò divertito che, a seguito di
un’eventualità di quel genere, Candice White Andrew sarebbe sicuramente
diventata, nell’intera Luftwaffe,
molto più popolare della stessa Hanna Reitsch!
[9]Sicuramente alludeva al fatto che, come donna, la sua
secondogenita non avrebbe mai fatto il soldato. Di guerre, comunque, Lucy Greason
ne vide almeno una, giacché, vent’anni più tardi, giovane e intraprendente
giornalista, venne inviata come corrispondente proprio in Vietnam!
ilota
a navigatore: dammi la posizione, Cookie!” ordinò il comandante Legan, del Candy Candy.
“Navigatore
a pilota” rispose il tenente Laffey, dopo aver velocemente fatto il punto
“siamo sulla verticale di Bilzen, circa 11 miglia nautiche a
sud-ovest di Maastricht.”
“Roger…
dove cavolo sono finiti, allora, quei fottutissimi caccia di scorta?” ribatté
Neal, discretamente alterato.
“Probabilmente
a smaltire la sbronza in qualche bordello di Brighton!” suggerì, senza peli
sulla lingua, il puntatore Boyle.
“Taci,
scostumato” lo redarguì prontamente il navigatore “se no lo racconto a Candy!”
“Me
la sto facendo sotto, mozzucolo da strapazzo.”
“Tappatevi
quelle fogne” gridò il comandante nell’intercom, che diventava sempre piuttosto
irritabile a sentir nominare la dannazione della sua vita “e muovetevi a
controllare le armi: siamo quasi in Kartofalia.”
Poco
dopo il monotono brontolio dei quattro motori radiali venne interrotto dai secchi
scatti delle sicure che venivano disinnestate, seguiti dal crepitio delle
raffiche di prova sputate dalle mitragliatrici.
Il
pensiero di vedersi piombare addosso tutta la Luftwaffe
da un momento all’altro rendeva i novellini del Delta-Fox abbastanza nervosi e a farne le spese fu la coda del Saint Tail, sfiorata dai traccianti di
Sammy Carson, dimentico di dover sparare verso il basso, anziché verso l’alto.
Le
rimostranze del comandante Askey non tardarono a farsi sentire: “Ehi, badate a
ciò che fate, là sotto, banda di orbi: siamo americani anche noi!!”
“Le
nostre scuse, colleghi” bofonchiò Neal, nervosamente “faremo più attenzione.”
“Ce
l’auguriamo di cuore, adescatori di infermiere!” replicò, provocatorio, il
tenente Mantano.
“Vattene
al diavolo, reporter fallito” grugnì Legan, per poi richiamare severamente il
suo mitragliere di destra “tieni la testa a posto, Sammy: non intendo fare più figure
simili!!”
“Sono
mortificato, signore… non ricapiterà!”
“Capo,
abbiamo raggiunto il Way-Point[1]
numero 4”
intervenne Cookie, prima che Neal potesse replicare “puoi procedere per 0-9-1.”
“Roger…!”
sbuffò il pilota.
Mentre
il Delta-Fox assumeva la rotta
definitiva verso il bersaglio, accompagnato dalla sua formazione, Cookie
tracciava scrupolosamente sulla mappa la posizione dell’apparecchio,
rimembrando con nostalgia le prime lezioni di navigazione che il suo
benefattore, il capitano Nieven, gli aveva impartito sulla Seagull.
“Mustang a ore sette, in alto!” annunciò
la voce di Tom, dalla postazione superiore.
Pochi
attimi dopo la formazione del 22° Gruppo Bombardieri venne sorvolata da una
squadriglia di P-51, splendenti nelle
loro livree d’alluminio. Quella vista era un vero toccasana per l’animo di
quegli aviatori: dai primi mesi del 1944, grazie ai nuovi serbatoi
supplementari sganciabili, le Fortezze non erano più sole ad affrontare i lupi
arrabbiati della Jagdwaffe
hitleriana.
“Le
Cadillacdel cielo sono qui” esclamò allegramente Gilbert Evans “ormai siamo
al sicuro!”
“Non
sono mica tanti, però” osservò suo malgrado il tenente Curtright “dipende da
quanti crauti spunteranno da qui all’obiettivo!”
“Parecchi,
temo, data l’importanza del bersaglio” commentò amaramente Neal “per fortuna ci
saranno anche i Thunderbolt del
generale Greason.”
“Ancora, però, non si vedono” ribatté polemicamente Charlie
“speriamo che non si siano dimenticati della festa!”
“E
dagli il tempo d’arrivare” osservò Cookie “il P-47 è più lento del P-51
di almeno 8 miglia
orarie, per tacere del doppio carico di benzina che deve portarsi dietro per avere
la stessa autonomia. Dopotutto nemmeno i tedeschi si stanno facendo vede…”
“Banditi
a ore undici!!” gracchiò nell’intercom dei piloti e del marconista la voce del
colonnello Richardson dalla South Sea
Sinner, a meno di 500 piedi più avanti.
“Pronti
al fuoco, mitraglieri” passò parola Neal, dopo essersi umettato le labbra “stanno
arrivando i crauti!”
“Ecco,
lo sapevo” imprecò il navigatore contro il compagno di volo “ma perché non
tieni mai chiusa quella maledetta boccaccia da gangster?!”
“Come
se bastasse a tener lontani i nazi…!” ribatté costui, affrettandosi ad
impugnare la sua Browning sulla destra,
mentre l’altro lo imitava brandeggiando la sinistra.
“Sono
almeno una dozzina, tra Messerscmitt
e Focke-Wulf” segnalò Gilbert, dal
suo comparto radio, sporgendosi attraverso il lucernaio superiore “fra poco
farà caldo, quassù…!”
“Sbatteteli
giù, compari!” gridò Tom Steeve, a mo’ d’incoraggiamento, stringendo febbrile i
comandi della sua torretta.
I
sei Mustang del 30th Squadron del 99thFigthing Group, al comando dell’ormai svezzato capitano Roger Williams,
per giunta accompagnati dal maggiore Roy Master sul suo Blonde dalla prua scarlatta e dal brigadier-generale Victor
Sanders, ai comandi del Big Beautiful
Doll dal muso quadrettato, piombarono subito come falchi sugli intercettori
tedeschi, incuranti del loro numero più elevato.
Ben
presto tutto il cielo circostante diventò una giostra di velivoli che cercavano
di abbattersi a vicenda e una parte degli attaccanti stava riuscendo a
sgusciare dagli artigli della scorta per avventarsi sulle Fortezze, che purtroppo,
nonostante la loro robustezza leggendaria, avevano lo svantaggio di fornire dei
bersagli piuttosto facili, grazie alla loro notevole mole.
Nelle
cuffie di tutti i componenti degli equipaggi iniziò subito un frenetico scambio
di messaggi e avvertimenti diretti ai mitraglieri: puntatore, 109 a ore sei, da basso! Attento, armiere
ventrale, sta per passarci sotto! L’ho colpito… l’ho colpito!!! Non distrarti,
ce n’è un altro! Armiere di coda, bada a quel caccia a ore cinque…
A
dispetto dei 30 gradi sottozero che imperversavano alla quota di 25000 piedi,[2]
accentuati dagli spifferi che passavano attraverso le aperture delle postazioni
difensive, gli aviatori del 22nd
Bombardment Group non sentivano eccessivamente il freddo, poiché
l’adrenalina aiutava efficacemente il termo-riscaldamento delle tute a far scorrere
un copioso sudore lungo le loro membra.
“Puttana
miseria” imprecò Charlie nel tentare di seguire la traiettoria di un 190 in
modo da prenderlo di mira “questi qui fanno sul serio, cazzo!!”
“Pare
di sì… sulla Francia era un’altra cosa” ammise Laffey, tentando anche lui inutilmente
d’inquadrare un 109 che sfrecciava
sulla sinistra “merda, queste armi hanno un campo di tiro schifoso! Datti da
fare, Tommy…!”
“Faccio
del mio meglio, Cook!” rispose costui, con l’occhio puntato sul mirino a
riflessione delle sue mitragliatrici. Un altro Messerschmitt, dopo avere effettuato un tiro frontale contro la Memphis
Belle del capitano Swanson, stava giusto passando fra quel
bombardiere e la Fortezza
di Legan, entrando, dopo solo mezzo secondo, nel campo di tiro dell’armiere
superiore.
“Ce
l’ho” esclamò l’ex ranchero, con le dita contratte sui grilletti “fuoco…!!!”
Le
raffiche congiunte del sergente Steeve e del mitragliere inferiore del Belle investirono senz’appello il caccia
tedesco, che iniziò ad avvitarsi, completamente crivellato, lasciandosi dietro
una scia di fumo nero.
“Beccato”
gridò il marconista, esultante “complimenti, Tom!”
“Grazie,
Gil” rispose il compagno, mentre osservava sollevato il paracadute del tedesco
che si apriva “stasera mi offrirai una birra!”
“Con
immenso piacere!” rispose l’ex fattorino del Miami Post Dispatch *Sempre però che non venga a trovarc…*
“Attenti,
Candy Candy” lo avvertì
improvvisamente la voce del marconista del Chow
Hourd, gregario destro della pattuglia del maggiore Connelly, che volava
trenta metri più avanti e trenta metri sotto di loro “un 190 vi sta puntando a ore 3!”
I
nervi del sergente Smith (detto spesso Baby-Jo
per la giovanissima età di sedici anni, con gran spasso del collega di coda)
armiere di fusoliera e “fratellino adottivo” della bionda collega di Mrs
Greason, si tesero fino allo spasimo, nella coscienza di trovarsi, di lì a
pochi istanti, di fronte alla tragica scelta di uccidere per non essere ucciso!
La
sua fronte era gelida, le gambe gli tremavano e le natiche erano in fiamme, probabilmente
al ricordo di quegli sculaccioni (simbolici nell’intenzione ma reali nella
consistenza) che la vice-direttrice della Casa
di Pony gli aveva rifilato a suo tempo per punirlo di avere preso parte a
quelle “esercitazioni di guerra” organizzate dal suo “capo” e attuale
co-pilota!
Anche
il metallo della mitragliatrice da 12,7 gli bruciava sotto la pelle dei guanti
da volo o almeno così parve al piccolo John mentre la muoveva per far entrare
la sagoma del caccia nemico entro il cerchio del reticolo di mira.
“Che
cacchio aspetti a sparare, Johnny?!” gli gridò alle spalle il sergente Carson, armiere
della postazione destra.
*Non
ci riesco* rispose mentalmente il poveretto, in preda alla più grave crisi di
coscienza della sua giovane vita *oh, Dio… non ce la faccio…!!*
In
quei fatali attimi, le immagini del suo corso di addestramento gli scorrevano
nella mente, come fotogrammi scoloriti di un vecchio film…
***
“Non
essere così teso, Smith” gli diceva l’istruttore “le Browning mordono solo chi sta davanti. Forza, tira una breve
raffica al bersaglio 3!”
C’era
voluta la voce grossa del sergente-maggiore a minacciargli due giornate di
consegna, se non si fosse deciso a tirare quel fottuto grilletto e soltanto il
pensiero degli scherni della recluta Robert Malone, arruolatosi insieme a lui,
l’avevano infine deciso. Ogni centimetro cubo del suo corpo aveva sussultato
alle vibrazioni e al frastuono infernale di quell’orribile arma, assieme ai
proiettili che andavano a colpire una semplice sagoma di compensato. Dopo, Baby-Jo l’aveva vista da vicino, quella
sagoma: nulla più d’un mucchietto di schegge e di frammenti… ma stavolta
davanti alla sua arma ci sarebbe stato proprio un vero aereo. E all’interno ci
sarebbe stato un uomo.
***
“John,
stai aspettando che ci spezzi in due?” dicevano le urla isteriche di Sammy,
nella cuffia “Spara, per amor di Cristo!!”
Stringendo
fortemente le palplebre, l’ex orfanello che aveva aiutato la sua “sorellina maggiore”
a far recedere i signori Brighton dall’intenzione di adottarla prestandole un
lenzuolo bagnato, azionò infine il grilletto della M2HB mandando un gemito soffocato: “Perdonami, Candy…!!!”
La
raffica da mezzo pollice partì, prendendo in pieno il radiale BMW del malcapitato intercettore
germanico, che stava semplicemente cercando di allontanarsi dalla formazione. Per
lui quel bersaglio sarebbe stato in piena deflessione e un centro praticamente
impossibile, nonostante l’armamento poderoso.[3] Ma il
fuoco difensivo del Candy Candy, aperto
dal piccolo Baby-Jo, si rivelò fatale
per l’hauptmann Rudolf Strassmann: tutti quei colpi gli avevano frantumato le
palette della ventola di raffreddamento, altri avevano forse raggiunto il
serbatoio dell’olio e il motore prese fuoco… dopo una manciata di secondi, il Focke-Wulf 190 s’era già trasformato in
una torcia fiammeggiante, che precipitò subito verso terra senza dar tempo al
suo pilota di lanciarsi.
“Bel
lavoro, Baby” gli gridò il pilota, nell’interfono “cerca solo d’essere più
svelto, la prossima volta!”
“Vaffanculo,
Neal!!” sbottò tuttavia John, esasperato, fra un singhiozzo e l’altro.
“Ehi,
che ti prende, pivello? Cerchi guai, forse?” ribatté il comandante, irritato
dalla mancanza di rispetto e anche un po’ ferito.
“Dai,
lascialo” lo pregò Jimmy, che aveva compreso la situazione “era il suo primo abbattimento!”
Legan
grugnì, comprensivo, mentre Tony Chaklies, dalla torretta sferica inferiore,
osservava la caduta del caccia che si perdeva nella foschia: “A quel poveraccio
dev’essersi bloccata la capottina.” commentò.
“Poveraccio un corno” replicò Bob, dalla
postazione di coda “o noi o loro, fratello!”
“Silenzio,
voialtri” li redarguì il comandante “non distraetevi, se tenete alla pelle!”
“Altri
banditi, di sopra a ore due!” gridò nuovamente il buon Tom dalla torretta dorsale.
“Questa
non ci voleva” osservò Jimmy “i nostri caccia sono impegnati a darsele con
quell’altro squadrone!”
“E
allora ce la caveremo da soli!” rispose asciutto il comandante. E il co-pilota
scosse la testa, constatando di nuovo quanto fosse cambiato il viziato rampollo
di casa Legan.
Seguirono
parecchi minuti infernali, che misero a dura prova i nervi degli equipaggi del
22°… almeno una decina di Messerschmitt
li avevano circondati, crivellandoli di colpi da 13, da 20 e da 30 millimetri. I
piani di coda del Saint Tail, compagno
d’ala del Candy Candy, erano stati ridotti
a mal partito e meno male che le raffiche difensive, sparate anche dagli aerei
vicini, erano riusciti a far desistere gli attaccanti. Minor fortuna era
toccata alla pattuglia del maggiore Lang, che copriva il lato alto della
formazione: il muso della sua Baby on the
Grass appariva sbrindellato e due dei suoi motori erano fermi.
“Colonnello
Richardson al Gruppo” s’udì nelle cuffie dei marconisti e dei piloti la voce
del Comandante del 22° “serrate più i ranghi e concentrate il fuoco difensivo. Ci
stanno bastonando di brutto!”
“Meno
male che le incursioni diversive dovevano distrarli!” commentò Charlie,
sarcastico, facendo seguire un’imprecazione alquanto spinta.
“Già”
commentò sempre Cookie cercando d’inquadrare un 109 che puntava verso la pattuglia inferiore, guidata dal maggiore
Connelly “chi era quell’idiota che diceva che i crauti stavano per essere
sconfitti?”
“Tenete
duro, amici: siamo qui!!”
Il
timbro di quella voce ridiede linfa vitale all’animo di tutti gli equipaggi… in
poco meno di dieci secondi si videro sbucare dalle nuvole dodici massicci P-47 Thunderbolt nella loro mimetica
verde oliva, guidati da un gemello che mostrava una vistosa cappottatura a
scacchi bianconeri. La 20a Squadriglia del 99° Gruppo Caccia del capitano
Harris e la 10a Squadriglia, al comando del capitano Maxim, ma di
fatto condotta dall’Aquila Americana in
persona, s’avventarono contro lo Staffel
di Messerschmitt che aveva
approfittato del vantaggio momentaneo fornitogli dal gruppo dei Focke-Wulf, che stavano impegnando
totalmente i Mustang di Roger Williams,
Roy Master e Victor Sanders.
In
breve tempo i feroci lupi della Luftwaffe,
presi fra due fuochi dal tiro difensivo dei bombardieri e da quello offensivo
dei loro nuovi accompagnatori, ripiegarono disordinatamente lasciando dietro tre
dei loro, rispettivamente abbattuti da Andy Greason, da James Stone e da John
Maxim.
“Scusate
il ritardo, fratelli maggiori” trasmise l’Aquila
Americana, dopo essersi affiancato alla South
Sea Sinner del colonnello Richardson “ma tutta la benzina che abbiamo in
pancia ci ha fatto rallentare un po’…!”
“Scuse
accettate, piccoli amici” rispose il comandante del 22° “ai nostri mitraglieri
non faceva che bene un po’ d’allenamento in più!”
“Davvero
buona, come fregnaccia!” storse la bocca il marconista Evans.
Dopo
questo scambio di battute, che per fortuna i diretti interessati non potevano
sentire, i caccia delle tre squadriglie assunsero l’assetto più idoneo alla
protezione delle dodici Fortezze Volanti.[4]
Ormai
erano quasi le undici del mattino sul meridiano di Greenwich[5] e i
due Gruppi della Decima Air Force si
trovavano a meno di 100
miglia dal bersaglio loro designato.
***
Nel
tratto finale del percorso non ci furono altri attacchi nemici di particolare
entità. Evidentemente, nonostante lo scetticismo di Charlie Boyle, le
operazioni diversive effettuate dagli stormi dell’Ottava e della Quindicesima
Forza Aerea stavano tenendo occupato il grosso della Luftwaffe, le cui squadriglie dovevano cominciare a fare i conti
con una disponibilità di benzina sempre più bassa. O magari i responsabili
delle zone aeree sorvolate pensavano che non valesse troppo la pena scomodarsi
per una formazione così piccola, che non sembrava diretta verso obiettivi
particolarmente importanti.
Fatto
sta che il 22nd Bombardment Group
riuscì ad arrivare sulla Westfalia praticamente intatto, a parte l’assenza del
povero Chow-Hourd di Robert Gerryson,
abbattuto durante il primo scontro con i caccia tedeschi. Per fortuna almeno 8
paracadute su dieci erano stati visti scendere verso terra, dopodiché la
“mutilata” pattuglia del capitano Connelly (leader della 44a
Squadriglia) s’era avvicinata alla pattuglia di testa del colonnello
Richardson, lasciando un po’ sguarnita quella posteriore di Swanson della 66a,
nella quale volava il Candy Candy.
A
bordo di quest’ultimo il tenente Boyle stata congelandosi per armare le otto M44 appese alle rastrelliere. Purtroppo
per lui nella stiva-bombe non esistevano prese elettriche per la
termo-combinazione di volo e nemmeno prese per l’ossigeno. Cosicché l’ex
teppista di New York doveva reggere con un braccio una scomoda bomboletta
portatile, mentre con l’altra mano doveva raggiungere e sfilare tutte le sicure
che impedivano alle spolette posteriori di mettersi a girare incidentalmente
per far poi detonare l’esplosivo. Il tutto con la consapevolezza che, se avesse
perso l’equilibrio piombando sui portelloni sottostanti, i suoi 78 chili di
peso li avrebbero sfondati facendolo cadere nel vuoto e questo l’obbligava a
portarsi dietro anche l’ingombrante paracadute.
Dopo
aver levato l’ultimo ferretto, Charlie stava per tornare nel compartimento del
muso, quando s’accorse che una delle pinze d’attacco superiori appariva serrata
in modo anomalo. Tentare di sistemarla con le mani era fatica sprecata; avrebbe
dovuto recarsi nella retrostante cabina radio di Gilbert a prendere qualche
attrezzo, ma ormai non c’era più tempo: solo pochi istanti prima, Cookie aveva infatti
segnalato l’ultimo Way-Point.
Uscì
allora dalla stiva per entrare nella cabina di pilotaggio, dove scosse
leggermente la spalla di Neal: “Ehi, capo…”
“Che
vuoi? Hai finito di spolettare?”
“Sì,
però…” accostata la bocca al suo orecchio, il puntatore gli spiegò la faccenda
della pinza.
“Non
c’è tempo per ripararla” rispose l’altro, scuotendo la testa “torna al tuo
posto.”
“Ma…”
“Fa’
come t’ho detto: fra poco dovrò passarti i comandi.”
“D’accordo.”
Dopo
aver seguito una leggera deviazione a sud per arrivare sull’obiettivo dalla
direzione prestabilita, appena la formazione venne a trovarsi sopra il
villaggio di Derschen, il colonnello Richardson, avvertito dal suo navigatore,
annunciò che si trovavano sull’Initial
Point.[6]
Immediatamente dopo la formazione si trasformò e le quattro pattuglie del 22°
si disposero una dietro l’altra, affinché la trama delle bombe piovute sul
bersaglio risultasse meno larga possibile.
“Capo-formazione
ai piloti: lasciare i comandi ai puntatori.” ordinò Richardson.
Su
ogni Fortezza Volante del gruppo ogni comandante di velivolo settò il suo
pilota automatico nella posizione che consentiva allo strumento di ricevere i
segnali direttamente dal calcolatore del traguardo Norden; in altre parole, ogni addetto al bombardamento stava
pilotando personalmente l’apparecchio per mantenerlo nella posizione ottimale
di sgancio.
“Pilota
a bombardiere: ho girato l’automatico sul mirino. Il Candy è tutto tuo!”
Quello
scapestrato di Charlie non seppe resistere alla tentazione: “È tutta mia, vorrai dire!”
“Va
bene, è tutta tua.” si corresse Neal, senza pensarci troppo.
“Grazie,
capo! In effetti, quella volta, ci avevo fatto un pensierino…”[7]
“TACI
E LAVORA, IDIOTA!!” urlò Neal, furioso, non appena ebbe afferrato il doppio
senso. Sogghignando, l’ex teppista del Bronx armeggiò con le manopole dello
strumento e accostò l’orbita destra all’oculare del mirino. Quindi si dispose
ad attendere che il buon Cookie, dietro di lui, gli segnalasse l’avvenuto
sgancio delle bombe dall’aereo di testa.
Contemporaneamente,
a qualche centinaio di yarde più in alto rispetto alle Fortezze del 22°, le
squadriglie del 99° facevano buona guardia contro eventuali ricomparse della Luftwaffe. I piloti dei caccia non
vedevano l’ora che i colleghi dei bombardieri mollassero quelle maledette
pillole sul bersaglio e riprendessero la via di casa. Specialmente i piloti dei
P-47 lanciavano nervosi sguardi alle lancette
degli indicatori di livello, ormai consapevoli di poter contare soltanto sul
carburante contenuto nei serbatoi interni, giacché quelli esterni li avevano
dovuti mollare durante i duelli con i caccia tedeschi.[8]
Oltretutto,
per spremere la maggiore autonomia possibile dai 370 galloni[9] trasportati
nella pancia dei Thunderbolt, il
generale Greason aveva dovuto escogitare una soluzione abbastanza semplice, anche
se leggermente drastica…
“Caricheremo
solo 2000 colpi da cinquanta, anziché i soliti 3400.”
“Sei
uscito di senno?” aveva obiettato James Stone “Fanno appena 20 secondi di fuoco
per arma!”
“Lo
so” rispose il capo, fissandolo negli occhi “del resto, noi non siamo tipi da
sprecare colpi!”
“È
sfidare la bontà divina, signore” fece osservare il suo capo-squadriglia,
capitano Maxim “non siamo mai
penetrati così a fondo nel cuore della Germania!”
“Hai
ragione, Johnny. Ma senza questa mossa, i nostri Jug non avranno mai l’autonomia sufficiente per arrivare laggiù,
nemmeno coi 3 babies da 108.[10]
Dovrei mandare soltanto Roy e Victor, con la 30a di Williams, sui Mustangs… troppo pochi per i miei gusti!”
“E
se invece smontassimo un paio di Browning?”
propose il capitano Harris, comandante del 20th Squadron.
Andy
scosse la testa: “Non basterebbe, Sammy: per ottenere lo stesso sgravio
dovremmo toglierne almeno quattro… e non credo che dimezzare la potenza di fuoco
sia una cosa molto saggia, in quest’operazione. Meglio sparare meno raffiche,
ma più nutrite!”[11]
“Speriamo
in bene…!” aveva sentenziato Stone, in chiusura.
***
E in
effetti, fino a quel momento, era andata bene. I pochi attacchi nemici che la
formazione americana aveva subito lungo la rotta di avvicinamento erano stati
eseguiti da piloti non eccessivamente esperti, tanto è vero che poche puntate
della scorta erano state sufficientiper
farli desistere. Evidentemente la zona del bersaglio non era fra le priorità
della difesa aerea del Reich, che si concentrava soprattutto attorno a Berlino,
ad Amburgo e al triangolo industriale della Ruhr.[12]
Probabilmente lo stesso Adolf Galland, comandante in capo della Jadgwaffe, ignorava l’esistenza di quel
fantomatico laboratorio di armi batteriologiche che il Primo Stormo della Decima era stato chiamato a neutralizzare.
L’avvicinamento
finale al bersaglio si svolse lungo una direzione un poco divergente da quella
che avrebbe portato le Fortezze a sorvolare direttamente la cittadina di
Eiserfeld, anche se ciò comportava un allungamento del percorso. Era l’ultima
precauzione possibile che il generale Greason aveva potuto adottare per
preservare la città del suo migliore amico.
Parecchi
suoi colleghi, da entrambe le parti in lotta, l’avrebbero severamente criticato
di posporre l’integrità del suo stesso personale ad uno stravagante favoritismo
verso la controparte, ma Andy non avrebbe potuto agire in nessun modo
differente.
Laggiù
vivevano pur sempre i concittadini di Schultz von Heindrich, l’uomo che aveva
rischiato la fucilazione per non averlo consegnato ai nazisti quand’era dovuto
atterrare fortunosamente presso il campo di Saint Dizier nel Luglio del ’42;[13] l’amico
che sarebbe stato pronto ad evitare che cadesse nelle grinfie del colonnello
Erminio Rospetti[14] quando lui ed i suoi
compagni erano stati catturati dagli italiani quell’8 Settembre del ’43 (anche
se poi non ce n’era stato bisogno). Ma soprattutto era il collega che, con la
sua grande e affettuosa stima, gli ricordava che nel popolo tedesco non c’erano
soltanto gli spietati assassini di Hitler, fornendogli la continua speranza che
un giorno quel povero mondo avrebbe potuto rinascere.
Senza
contare che in una di quelle case abitava una coppia di persone che aspettavano
impazienti la fine della guerra per conoscere l’amico americano del loro
figliolo e una fraulein molto carina che purtroppo ignorava tuttora che quell’avvenente
ufficiale, purtroppo nemico, non era da tempo più scapolo, in quanto il
fratello maggiore non aveva mai trovato il coraggio di dirglielo, da che le
aveva portato una sua foto.[15]
Non
era quello, tuttavia, il momento per simili pensieri. La formazione era già in
vista dell’obiettivo, appena celato da una leggera foschia. Il comandante
operativo della scorta diede quindi ordine ai componenti della 10a
Squadriglia di scendere a bassa quota per neutralizzare le eventuali postazioni
contraeree che i tedeschi avessero piazzato a protezione dello stabilimento,
mentre la due restanti sarebbero rimaste sopra le Fortezze, proseguendo il loro
compito di copertura.
“Bombe
sganciate!!” esclamò il tenente Johnny Miller, il puntatore del colonnello
Richardson, in testa alla pattuglia d’attacco.
Le
otto bombe da 1000
libbre abbandonarono i sostegni delle rastrelliere
precipitando nell’aria gelida sottostante. Subito dopo, dalle stive degli altri
dieci[16]B-17, uscirono le restanti 80, le cui
spolette ritardate le avrebbero fatte esplodere solo quando avessero sfondato i
tetti in cemento dei fabbricati; la micidiale potenza dell’esplosivo RDX, trattenuta dalle restanti pareti,
avrebbe completato l’opera.
Grazie
alla rotta di allontanamento, che avrebbe lasciato il paese di Eiserfeld a
mezzo miglio sulla sinistra della formazione, era sperabile che gli inevitabili
sganci lunghi sarebbero finiti nei campi e quindi, se tutto andava liscio, i
temuti danni collaterali (vigneti e colture a parte) sarebbero stati nulli.
“Sono
andate!” annunciò a sua volta il puntatore del Candy Candy, dal suo muso trasparente.
“Ben
fatto, Charlie” rispose Neal “chiudi la stiva.”
“Ricevuto!”
replicò Boyle, azionando la leva.
Ma
in luogo del solito ronzio dei motorini elettrici che azionavano i martinetti
dei portelli, s’udirono alcuni sinistri rumori di ferraglia e le spie di
controllo sul pannello di Charlie non risposero come avrebbero dovuto.
“Qualcosa
non va… la stiva è ancora aperta!”
“Tommy,
va’ a vedere.” disse allora il co-pilota al mitragliere superiore.
Il
figlio adottivo del signor Steeve abbandonò la sua postazione e spalancò la
porta del vano bombe. Ciò che vide lo lasciò sgomento: non soltanto i portelli
non si erano mossi dalla posizione di apertura, ma una M44 si trovava ancora appesa alle sue pinze di attacco, le cui
molle di rilascio s’erano bloccate per qualche ragione, come aveva riferito lo
stesso tenente Boyle, poco prima del punto iniziale.
Dopo
aver connesso la spina del suo laringofono alla presa interfonica più vicina,
il buon Tom s’affrettò a dare l’allarme: “Siamo nei guai, comandante: i
portelli sono aperti e c’è una pillola rimasta nella rastrelliera!”
“Va
bene, torna dentro” rispose il pilota “cercheremo di mollarla sul Mare del
Nord.”
“E
se un crucco ci spara da sotto prima della costa?” obiettò Jimmy “Se la centra
finiamo in briciole!”
“Allontaniamoci
almeno da qui” ribatté Neal “perché se…”
“Cristo,
s’è sganciata…!!” urlò Tom, all’improvviso.
Per
il capitano Legan il mondo intero si fermò in quell’istante…
***
Dopo
aver sorvolato a volo quasi radente gli edifici dell’impianto sospetto e aver
constatato l’assoluta assenza di postazioni difensive (almeno per quanto fu
possibile vedere nel rapido passaggio a 450 miglia orarie[17]) i P-47 del 10th Squadron
avevano virato verso ovest per effettuare una larga spirale in cabrata che li
avrebbe riportati nuovamente a riunirsi con i loro colleghi.
Durante
questa manovra dei caccia, i B-17
avevano cominciato ad effettuare il loro lavoro e quando la Squadriglia di Andy venne
a trovarsi a circa due terzi dalla loro quota di bombardamento, il generale
osservò ansiosamente sia l’area del bersaglio, presto coperta da massicce
nuvole di polvere illuminate inferiormente da sinistri bagliori, che
soprattutto la zona sorvolata dalla rotta di ritorno, dove diversi crateri si
vedevano aprirsi nei campi.
Quando
però l’ultimo bombardiere ebbe mollato il suo carico, il comandante dei caccia
sospirò di sollievo, contemplando l’immagine della borgata di Eiserfeld, con i
suoi quartieri pacifici e soprattutto intatti,
mentre altrettanto non si poteva dire della vicina fabbrica, dove ben difficilmente avrebbero potuto più produrre
anche solo una misera bomboletta di spray insetticida.
Al
colmo della soddisfazione l’amichevole
nemico di Schultz von Heindrich scatenò tutta la potenza del suo radiale e
scaricò l’adrenalina con un superbo tonneau, a beneficio dei suoi colleghi, che
lo acclamarono via radio, qualcuno intonando a squarciagola le strofe di Off We Go…![18]
Quand’ebbe
finito di roteare, il nostro eroe si rese conto di trovarsi a breve distanza e poco al di sotto d’una
Fortezza che, dalla sigla riportata in fusoliera, riconobbe essere quella che
portava il nome della sua omonima “ammiratrice”.
Avvicinandosi
per mandare un salutino al suo irrequieto “pretendente”, s’accorse tuttavia che
il Candy Candy aveva il vano bombe
ancora aperto. Stava per trasmettere un avvertimento all’equipaggio, quando una
bomba da 1000 libbre
sbucò inaspettatamente fuori dalla stiva… il comandante della Decima diresse per
istinto lo sguardo verso il basso, prendendo atto, con orrore, che il paese del
suo amico stava giusto per sfilare sotto le loro ali… probabilmente, per una
fatale deviazione dovuta al vento, la rotta del Delta-Fox si era modificata di pochi fatidici gradi.
Andy
Greason sentì come il cuore arrestarsi, mentre due mani gelate gli strappavano
letteralmente i visceri. Mortificando le sue migliori intenzioni, un destino
cinico e baro stava per provocare una tragedia che tutta la sua energia e la
sua determinazione non avrebbero potuto più impedire in alcun modo!
O
almeno così pareva… ma i suoi neuroni, rapidi come quei nuovi calcolatori
sperimentali della IBM, entrarono istantaneamente
in funzione per l’ennesima volta. Spingendo brutalmente in avanti la manetta
con la sinistra e la barra di comando con la destra, il marito di Flanny
Hamilton, che stava aspettando ansiosamente il suo ritorno portando in grembo
il suo secondogenito, diresse il muso dello Yankee
Eagle verso il terreno!
Ben
presto la velocità si fece spaventosa. La lancetta dell’anemometro s’avvicinava
pericolosamente al valore terminale, quella del variometro raggiungeva quasi il
fondo scala e quelle dell’altimetro roteavano all’indietro come in un orologio
impazzito che stesse registrando un vorticoso retrocedere del tempo[19]…
Ma
Andy non guardava né l’anemometro, né il variometro, né l’altimetro. Le sue
pupille puntavano oltre il parabrezza corazzato, fisse su quella lugubre forma
scura che stava precipitando sull’inerme cittadina westfaliana. Le sue cellule
cerebrali, interamente concentrate in quell’estrema risoluzione, sentivano
soltanto le grida disperate dei compagni berciare negli auricolari del caschetto, senza
distrarsi a interpretarne le parole. E per deconcentrarsi ancora meno, il
pilota sfilò via lo spinotto dalla presa della radio.
*No*
dichiarò mentalmente, con feroce determinazione *quella bomba non devecadere…!!*
***
Si
dice vi siano circostanze in cui si vede scorrere tutta la propria esistenza come
in un film, dove sembra che i fatti più salienti appartengano alla vita di un
estraneo. Si dice anche che tali circostanze precedano di solito la nostra
dipartita da questo mondo; che può anche non arrivare, ma soltanto l’averlo
creduto induce la nostra mente a presentarci un rapido riassunto della nostra esistenza
terrena.
Probabilmente
non fu in quell’occasione che questo accadde al generale Andrew Steve Greason,
poiché, come già detto, il suo cervello era troppo occupato a dirigere il suo
caccia, trasformato in un proiettile, contro quell’ordigno maledetto che stava piombando
addosso a una comunità di persone che i suoi principi più profondi non gli consentivano
di considerare dei nemici.[20]
Non
c’era comunque dubbio che quella fosse l’impresa più folle che il nostro pilota
avesse mai compiuto in tutta la sua avventurosa carriera. A parte la possibilità
quasi certa che il suo velivolo venisse investito dalle schegge, che avrebbero frantumato
per lo meno l’elica, se soltanto avesse aperto il fuoco contro la bomba quando
la velocità della picchiata avesse superato anche di poco quella terminale,[21] il
rinculo delle otto mitragliatrici avrebbe spezzato di netto i longheroni delle
ali. E sarebbe stata la fine!
Nondimeno
Andy Greason era sì un uomo molto audace,
ma non un pazzo. Aveva regolato il reticolo del collimatore Bell & HowellK14 sulla posizione relativa ai bersagli della dimensione minima e
intendeva premere il pulsante né un secondo troppo presto, né un secondo troppo
tardi, contando anche sul fatto che la forza di gravità rallentasse la spinta
delle schegge verso l’alto, quel tanto che bastava perché lo Yankee Eagle non ne uscisse danneggiato
in maniera irreversibile. Se poi non fosse più riuscito a mantenersi in volo e
avesse dovuto paracadutarsi in pieno territorio tedesco… beh, a questo avrebbe
pensato in un secondo tempo!
All’improvviso
i timpani dell’asso vennero feriti dall’avvisatore acustico che avvertiva che
il P-47 stava superando le 500 miglia orarie, più o
meno nello stesso istante in cui il reticolo del mirino gli mostrava che la M44 da 1000 libbre, satura del
micidiale RDX, distava solo 400
yarde.[22]
L’asso degli assi aprì il fuoco. Le otto Colt-Browning sgranarono la loro
soverchiante rosa di proiettili da mezzo pollice e almeno un terzo di essi
raggiunse la bomba perforandone facilmente l’involucro d’acciaio. I colpi
incendiari fecero il resto, neutralizzando all’istante il pericolo mortale corso
dai sottostanti cittadini di Eiserfeld.
Tirando
a sé con tutte le sue forze la barra di comando, che sembrava saldata al
pavimento, il nostro eroe disperava di riuscire a passar sopra la sfera esplosiva
di oltre 13 piedi
di diametro.[23] Cupi rimbombi metallici
denunciarono che parecchi frammenti non stavano andando perduti e
all’improvviso fu come se qualcuno gli avesse rovesciato del piombo fuso sugli
arti inferiori…
Urlando
dal dolore atroce, il pilota riuscì miracolosamente a non perdere la
concentrazione, continuando a richiamare disperatamente l’aeroplano. Per
fortuna i due equilibratori della coda, opportunamente retrofittati[24] in
alluminio, erano rimasti illesi.
Straziato
dagli spasimi, Andy vide spuntare alcune chiazze rosso scuro sul colore giallo
sabbia dei calzoni. Distolse sgomentato lo sguardo e vide i tetti di molte abitazioni
cominciare a farsi pericolosamente vicini…
*E
va bene* pensò in un impeto d’orgoglio e di ferrea volontà *le gambe saranno
partite, ma le braccia no! Tirati su, bastardo…!!*
Sempre
troppo lentamente per i suoi gusti, l’orizzonte tornò ad abbassarsi sul
blindovetro, mentre l’ago del variometro risaliva nuovamente verso lo zero.
Andy dovette però aiutarsi con il volantino del trim per aumentare l’efficacia
dei timoni di quota e lo lasciò soltanto per inclinarsi all’improvviso sulla
destra, onde scartare la torre del campanile…
Dopo
essersi nuovamente raddrizzato e aver ripuntato il muso verso l’alto, l’asso
lasciò che il suo fedele Juggy, che
protestava vibrando in tutte le sue giunture, lo allontanasse dal paese che
aveva salvato con la sua cavalleresca generosità. Nel frattempo una pioggia di
schegge, pericolose ma non più letali, finivano di rimbalzare sul porfido della
piazza principale del paese. Piazza che, che di lì a pochi anni, su espressa
richiesta della famiglia von Heindrich, la nuova giunta socialdemocratica avrebbe
fatto coerentemente ribattezzare Die
Fliegenheldenplatze.[25]
[3]Il caccia FW190 A-8 Wurger era
dotato di quattro cannoncini Mauser
da 20 mm
e di 2 mitragliatrici Rheinmetallda
13 mm.
[4]I cacciarimanevano generalmente a quota più elevata rispetto ai bombardieri
effettuando, grazie alla loro maggior velocità, delle azioni di pattugliamento
lungo le “combat box” da scortare, in modo da poter intervenire tempestivamente
nei punti dove la minaccia nemica poteva maggiormente concretizzarsi.
[5]Cioè mezzogiorno su quello di Amburgo, Roma e Berlino.
[6]Punto Iniziale della rotta di avvicinamento al
bersaglio, coincidente con l’inizio della corsa di bombardamento vera e
propria.
[7]Si riferisce a quando aveva incontrato Candy, appena sbarcata dalla Seagull dopo la traversata
dall’Inghilterra.
[8]Era estremamente pericoloso trattenere i serbatoi
sganciabili (costruiti in cartone trattato) durante il combattimento aereo, perché,
se venivano colpiti da proiettili incendiari, avrebbero lasciato ben poche possibilità
di scampo.
[10]I serbatoi supplementari sganciabili, in questo caso da
108 galloni
(409 litri)
erano in gergo chiamati babies
(bambini).
[11]Le mitragliatrici Browning
da 12,7 mm
avevano una cadenza di 13 colpi al secondo. In questo lasso di tempo otto armi
del genere sparavano quindi contro un bersaglio una raffica di 104 proiettili,
che si sarebbero ridotti a 52 se fosse stata impiegata la soluzione proposta da
Harris.
[12]Essen, Dortmund e Dusseldorf, dov’erano soprattutto
concentrate le officine siderurgiche, le raffinerie e gli impianti per la
produzione della benzina sintetica (quella ricavata dal carbone).
[14]Comandante di reggimento italiano, fervente fascista e
grande amico del generaloberst delle SS Otto von Kruppen, la nemesi dell’Asso degli Assi.
[15]L’idea di inserire una relazione shakespeariana fra quell’eventuale coppia di “nemici” mi aveva
effettivamente stuzzicato. Purtroppo per Marika von Heindrich, l’idea di scritturare
Flanny Hamilton aveva avuto già la precedenza!
[16]Dopo l’abbattimento del Chow-Hourd
i velivoli arrivati sull’obiettivo erano soltanto undici.
[18]Off We Go into
the Wild Blue Yonder è una sorta di
inno ufficioso per gli aviatori statunitensi, come lo è Anchors Aweigh per i marinai, The
Army Goes Rolling Along per i soldati e Semper
Fidelis per i Marines.
[19]Come noto anche ai non esperti in materia, l’altimetro (cioè
l’indicatore della quota), ha l’aspetto di un orologio con un quadrante diviso
in dieci tacche principali anziché dodici, ognuna delle quali rappresenta 1000 piedi (304,8 m) segnati dalla
lancetta corta o 100 piedi
(30,48 m)
segnati da quella lunga. Esattamente come nell’orologio, un giro completo della
lancetta lunga equivale ad un singolo “passo” della lancetta corta. Quando anche
questa ha compiuto un giro completo, una finestrella sul quadrante mostra il decamigliaio
di piedi di quota raggiunta. Per chi non lo sapesse, aggiungo che questo
strumento funziona col principio del barometro, misurando la pressione
dell’aria circostante, che varia con un gradiente di 27 piedi (8,23 m) per ogni millibar di
pressione e riporta quindi il valore dell’altitudine rispetto al livello del
mare. Pertanto solo sull’altimetro di un idrovolante ammarato potrete osservare
tutte e due le lancette sullo 0.
[20]“Noi stiamo combattendo per salvare la civiltà dalla
barbarie e soltanto quelli che imbracciano un’arma contro di noi dovrebbero
avere ragione di temerci!” disse una volta Andy Greason polemizzando duramente
col maresciallo Arthur T. Harris. Il comandante del Bomber Command britannico, tenace assertore dei bombardamenti notturni
indiscriminati, accusava sovente gli aviatori americani di pazzia per il fatto
che attaccassero di giorno i loro obiettivi, esponendosi così del tutto alla
feroce reazione della Luftwaffe.
[21]Limite massimo raggiungibile in una picchiata, oltre il
quale la resistenza dell’aria non permette più alla velocità di crescere. Nel P-47 era calcolata sulle 515 miglia orarie (859 Km/h) senza carichi
esterni.
[24]Modificati sul campo, successivamente al montaggio in
fabbrica. Il 22° lotto di produzione del P-47
D era uscito dallo stabilimento di Farmingdale (New York) coi timoni di
profondità rivestiti in tela impermeabilizzata. Le successive prove in volo
avevano però rivelato il pericolo di strappi esiziali durante le picchiate
prolungate, specie all’avvicinarsi della citata velocità critica.
[25]Piazza
dell’Eroe Volante,dove si legge
tuttora una targa che riporta queste parole: Il 27 Aprile 1944, nel corso del conflitto più tremendo che avesse insanguinato
l’Europa, un uomo venuto da oltre Atlantico, da una città chiamata Provvidenza,
preservava la nostra comunità a rischio della sua stessa vita. Possa questo
atto luminoso rammentare in perpetuo alla maggioranza degli uomini il dovere di
sentirsi fratelli, anche quando una folle minoranza cospira per renderli
nemici.
a
vita di Neal Legan, almeno fino a quel momento, non era stata esattamente
cosparsa di rose e di fiori. Quando l’ostetrica le aveva sistemato fra le
braccia quel pargoletto dal viso leggermente rincagnato e dalla carnagione
troppo scura per i suoi gusti,[1] il
sorriso della giovane Lilith Andrew in Legan, ultimogenita del più facoltoso
magnate d’America, si era un po’ storto dal disappunto, salvo convincersi che molti
neonati non avevano precisamente un bell’aspetto, appena dopo il parto e sicuramente,
di lì a pochi giorni, il suo secondo figlio avrebbe assunto i deliziosi[2]
lineamenti della piccola Iriza.
Le
cose, però, non erano andate esattamente in questo modo… non che il piccolo Neal
fosse diventato propriamente “brutto”, ma aveva mantenuto una leggera durezza
nei tratti somatici che contrastava fastidiosamente con la gentile eleganza
della sorella. Quasi a voler completare l’opera, anche il carattere del bambino
aveva mostrato delle spigolosità che giustificavano in modo notevole quel suo
inquietante sguardo luciferino.
La
signora Legan e la figlia Iriza non riuscivano, con tutta la loro buona volontà,
a non farsi influenzare da queste peculiarità del loro congiunto e l’affetto
che pur sentivano di dovergli dare ne rimaneva purtroppo intaccato. Tuttavia
quel bambino adorava la madre e voleva molto bene alla sorella, dalla quale
cercava faticosamente quell’affetto e quella complicità che dovrebbero sorgere
spontanee fra consanguinei.
Speranza
vana. La vanitosa Iriza, accortasi che la madre aveva per lei una
considerazione palesemente diversa, s’era
convinta - complice l’impietosa schematicità della psicologiainfantile -che il fratello fosse inferiore a lei e lo trattava quindi come tale!
Quanto
aveva sofferto, il futuro comandante del Fox
815, per quella triste sufficienza che permeava dalle persone per lui più
importanti. Avrebbe dato l’anima per un po’ di considerazione in più… e
purtroppo, in un certo senso, l’avrebbe
poi data.
Avendo
notato - sempre con l’acuto senso d’osservazione dei bambini - che meglio lo
trattava Iriza, meglio lo trattava la madre, s’era imposto di assecondarne al
massimo i capricci, trasformandosi ineluttabilmente nel suo imperituro sodale. Così
facendo, la sufficienza della sorellina era andata lentamente trasformandosi in
benevolenza, rischiarando fiocamente le tenebre che avvolgevano l’animo di quel
povero bambino.
È
facile immaginare la mazzata ricevuta nel sentire la richiesta che l’ingrata parente
aveva un giorno rivolto alla madre: “Voglio
un’amica che mi faccia compagnia!”
*Ma
come?!* si era chiesto il disgraziato, in preda al batticuore *Sono io il suo amico! Perché, Iriza?*
Cosa
poteva capirne, allora, del bisogno che aveva una ragazzina di poter finalmente
parlare con una coetanea del suo stesso sesso?
Aveva
provato quindi un notevole sollievo nel constatare, in seguito, che l’amicizia
fra la sorella e la nuova venuta non era di certo sbocciata! Non solo per la
delusione della piccola Candy nello scoprire d’essere stata assunta come semplice
“dama di compagnia” anziché adottata come figlia dai Legan, ma soprattutto per
l’incompatibilità esistente fra l’energica bontà della bionda orfanella e
l’acida altezzosità della signorina dai boccoli ramati.
La
guerra feroce che Iriza Legan aveva iniziato contro la mancata “sorella
adottiva” non poteva che vedere il fratello Neal nella sciagurata veste di
perfido complice, non soltanto per il suo morboso e incessante bisogno di
mantenere la considerazione della sorella, ma pure per quella sorta di “rivalità”
derivante dal timore che, se putacaso Iriza e Candy avessero cominciato ad
andare d’accordo, l’avrebbero magari emarginato entrambe. E questo sarebbe
stato micidiale!
Ma
il prezzo pagato per rimanere nella grazie della sorella maggiore era stato pesante.
Senza quasi rendersene conto, Neal era diventato il suo “aguzzino per procura”
non facendole solo da spalla nelle sue cattiverie contro la povera Candy, ma
inventando addirittura anche lui qualche diabolico piano da presentare poi fieramente
alla compiaciuta Iriza.
Le
conseguenze di questo suo agire erano state - peraltro giustamente - del tutto
negative: odiato da Candy, disprezzato dai cugini, ignorato dal padre,
tollerato dalle tre “arpie” della famiglia Andrew (sorella, madre e prozia),
aveva trascorso un’esistenza da “reietto di lusso” certamente non felice.
Come
se tutto ciò non bastasse il destino gli aveva in seguito giocato il suo tiro più
mancino: si era innamorato di Candy!
Dapprincipio ne era rimasto sbalordito, ridendo addirittura di sé stesso… salvo
rendersi poi conto che, per quanto assurda sotto tutti gli aspetti, quella sua
infatuazione era diventata una cosa seria: più tentava di togliersela dalla
testa, più quella bella, buona e vitale ragazza gli si cristallizzava nel
cervello, senza volerne più uscire. Tanto che, alla fine, non ce l’aveva fatta
più e aveva iniziato a farle la corte!
Inutile
dire che i suoi pessimi precedenti, la sua immaturità, l’inesperienza in
materia e soprattutto l’ingenua speranza che la molta acqua passata sotto i
ponti avesse prescritto nell’animo di Candy le sue “marachelle” peggiori,
avevano prodotto i risultati più disastrosi, aggravando - se possibile - la
considerazione negativa della “cugina” nei suoi riguardi.
Per
Neal Legan, a questo punto, rimanevano aperte due sole possibilità: togliersi
la vita o cambiarla radicalmente. E, dal momento che gli mancavano sia il
coraggio per la prima soluzione che la forza per la seconda, s’era deciso a
minacciare la sua famigliola che si sarebbe arruolato nell’esercito se non lo
avessero aiutato a fidanzarsi con Candy!
Visto
poi che il suo progetto sentimentale[3] non
era andato a buon fine nemmeno con l’aiuto del parentado, tanto valeva mettere
in pratica quel suo folle proponimento. Pazienza se l’uniforme gli avrebbe tolto
la protezione della sua classe sociale, né si curava del fatto che avrebbero
potuto spedirlo al fronte, a farsi uccidere. Ciò che voleva era introdursi in
un contesto del tutto diverso da quello in cui era cresciuto, che lo avrebbe
mutato anche a dispetto di sé stesso. Tanto peggio se ci avrebbe rimesso la
salute o addirittura la pelle: l’importante eralasciarsi alle spalle quell’ambiente ipocrita e marcio che lo aveva reso
un miserabile.
Era
stata dura, ma ce l’aveva fatta (grazie anche a un certo aviatore che aveva scommesso
nel suo “recupero”) e ancora gli scaldavano il cuore le lettere giuntegli da
casa: quella del padre (Sono orgoglioso del
mio figliolo), della madre (Abbi
sempre cura di te) e addirittura della sorella (Buona fortuna, fratello mio).
Forse
si ricordava male, ma era la prima volta in vita sua che quella viperetta gli
dimostrava un pochino d’affetto: persino quando i famigliari erano venuti a Quonset Field per salutarlo alla
partenza per l’Inghilterra, l’abbraccio di Iriza era stato troppo freddo e
formale (forse quel nome sulmuso del B-17 non le era piaciuto).
E
adesso… quel maledetto incidente sopra il bersaglio avrebbe probabilmente
distrutto tutta la dimensione decente che si era faticosamente costruito. Neal lo
sapeva benissimo perché il comandante
del 22° Gruppo aveva raccomandato di non colpire per sbaglio nemmeno un comignolo
di quella Eiser-non-sapeva-cosa. Tempo
addietro aveva avuto col sottotenente Archibald Cornwell, inquadrato nel 45°
Gruppo d’Attacco del 2° Stormo, un paio d’incontri non troppo burrascosi,[4]
durante uno dei quali il cugino gli aveva confidato quello che oramai era un
segreto di Pulcinella: il comandante in capo della Decima Air Force era legato
da profonda amicizia con l’oberstleutnant Schultz von Heindrich della Luftwaffe, la cui famiglia abitava esattamente
in quel posto dannato!
“Cristo, s’è sganciata!” aveva gridato
Tom Steeve, all’improvviso, proprio quando stavano per sorvolare il paese… e
quasi non fosse sufficiente, dopo una manciata di secondi Bobby Malone aveva
aggiunto, dalla coda: “Ma cosa fa quel pazzo, su quel Thunderbolt?!”
“Mio
Dio, sta picchiando sulla bomba!!” rincarò la dose Tony Chaklies, dalla
torretta inferiore.
Era
troppo per il povero Neal, che istintivamente iniziò a spingere la barra di
comando per far scendere il Candy Candy
e forse sarebbe anche tornato indietro, se la voce del colonnello Richardson
non avesse gracchiato seccamente negli auricolari: “Legan, torna in formazione.
Che diavolo credi di fare?!”
“Neal…!!”
esclamò Jimmy, stringendogli il braccio destro.
Il
comandante lo guardò con occhi stralunati: “Jimmy… il generale… è il generale
che sta picchiando…!!”
“Non
possiamo farci niente, amico mio” replicò il co-pilota, scuotendo la testa e
guardandolo con occhi comprensivi “abbiamo otto compagni da riportare a casa!”
“Maledizione…”
imprecò il capitano Legan, al colmo dell’impotenza “…maledizione!!”
***
*Se
il mio vecchio m’avesse visto fare questa fesseria, non ci avrebbe pensato due
volte a prendermi a nerbate… alla faccia del mio grado e dell’età!* pensava
Andy Greason cercando di mantenere l’assetto del caccia meglio che poteva.
Si
ricordava ancora del manrovescio che lo aveva steso piatto davanti al prato di
casa sua, quand’era riuscito ad atterrare col Neuport del padre, dopo essere furtivamente decollato per suo conto.
Quello che però gli aveva fatto più male erano stati i singhiozzi della madre,
che se lo era stretto al seno, quasi stritolandolo: “Non farlo più, bambino mio… mai più!”
Bambino,
già… che avesse già compiuto 12 anni, per la signora Maggie Greason non contava
niente; né avrebbe contato qualcosa ora, che ne aveva 37. Per fortuna che i
suoi stavano a Philadelphia…
A
parte che ci avrebbe pensato qualcun’altro
a sfasciargli il sedere, se per caso fosse riuscito a riportarlo alla base. Il
che non era per nulla scontato.
Rabbrividendo
per gli spifferi gelati provenienti dagli squarci apertisi sul fondo del
cockpit, Andy osservò le gocce di sangue che trasudavano dalla stoffa dei
calzoni e decise che era venuto il momento di prendere una decisione drastica.
*Perdonami,
tesoro!” disse, sfilandosi la sciarpa di seta che la consorte gli aveva
amorevolmente confezionato. Ne addentò un lembo e la strappò, dividendola in
due parti, annodandosele poi ai polpacci, a guisa di lacci emostatici. Subito
dopo si accorse che un altro P-47,
della versione bubbletop,[5] si
stava affiancando a lui facendo oscillare disperatamente le ali, onde attirare
la sua attenzione. Ricordandosi di aver prima staccato i contatti, tornò a
infilare lo spinotto della cuffia nella presa radiofonica e risettò il canale
sul ricetrasmettitore.
“Eagle One a Eagle Two… mi
ricevi, James?” domandò.
La
risposta non fu troppo pacata: “Cinque su cinque,[6] stupido
idiota senza cervello!! Hai proprio deciso di farmi venire l’infarto?!”
“Volevo
vedere se Schultz era in licenza, dato che prima non c’era piombato addosso…”
“Imbecille!!
Fammi subito rapporto!”
“Juggy deve
avere qualche buco sotto al pancino, stando alla corrente d’aria…”
“Me ne frego di Juggy!
Sei ferito?!”
“Qualche graffio negli stinchi” minimizzò Andy per non
turbare il compagno “per fortuna il sedile blindato e il paracadute[7] hanno
salvato il resto!”
“E i serbatoi?” insistette il secondo.
Andy sospirò, stringendo i denti per il dolore alle
gambe “Il principale dev’essersi forato di brutto. Ho già trasferito tutto il
carburante nell’ausiliario.”
“Cristo” imprecò Stone “non vedrai neanche le
scogliere di Dover!!”
“Temo di no…”
“Hai almeno intenzione di provarci?!” chiese James con
voce leggermente stridula, non piacendogli affatto il tono fatalista del compagno.
“Si capisce: la mia signora potrebbe pensare che ho
architettato tutto per scaricarla in favore di Marika!”[9]
“E
allora comincia a correggere la rotta” ribatté Stone, indeciso se irritarsi o
rallegrarsi per quel sarcasmo “perché stai andando nella direzione sbagliata!”
Silenzio.
Il vice-comandante della Decima attese di vedere lo Yankee Eagle cambiare direzione, poi tornò ad azionare il
laringofono: “Beh, che stai aspettando?! Procedi per tre-due-sette, svelto!”
“Jimmy,
lo farei molto volentieri… se non avessi le gambe paralizzate!”
A
Stone si gelò il sangue. Se Andy non poteva più muovere le gambe, come diavolo
l’avrebbe azionata la pedaliera per virare?[10] In
quel momento il muso del suo Thunderbolt
era puntato sulla direzione 349: troppo a nord per dirigersi verso il Belgio e la Manica. Mantenendo
quella rotta lo Yankee Eagle sarebbe arrivato
dritto sulla Happy Valley,[11] dove
avrebbe fatto allegramente da bersaglio ai serventi della Flak, se qualche collega della Luftwaffe
non lo avesse beccato prima!
“Allora
usa le mani” buttò lì James dopo qualche istante di riflessione “spingi il
pedale sinistro con le mani, forza!!”
“Wilco…
ci provo!”
Dopo
aver preso una buona boccata d’ossigeno puro dalla maschera, Andy si slacciò la
cinghia di sicurezza, piegò il busto più che poté e stese il braccio sinistro
fino a toccare la parte superiore del pedale, cercando di spostare il piede per
ostacolare la mano il meno possibile.
“Andy,
ci sei? Riesci a raggiungere il pedale? Over…”
“Affermativo…
lo sto toccando.”
“Ok…
ora spingilo mentre tieni d’occhio la bussola magnetica. Continua fino a quando
l’indice non arriva a 327!”
“Roger…!”
Con
lentezza esasperante la sferetta del girodirezionale iniziò a ruotare verso il
numero indicato. Dopo avere superato di poco la linea dei 330 gradi, Andy
rimise la pedaliera in posizione “neutra”.
“327…
confermi, Jim?”
“Affermativo:
sei in rotta!”
Espirando
di sollievo, il pilota si rimise seduto, riagganciandosi al sedile. Attorno a
lui si erano posizionati tutti i compagni della 10a Squadriglia,
lasciando alle altre due il compito di scortare le Fortezze del 22° Gruppo.
Risolto
il problema più pressante, il maggior-generale Stone tornò a contattare
l’amico: “Eagle Two a Eagle One… mi ricevi, Andy?”
“Cinque
su cinque…”
“Come
ti senti?”
“Come
se un gruppo di gentili sartine stessero usando i miei polpacci come
puntaspilli, oltre ad essere mezzo congelato dagli spifferi che arrivano in
cabina. A parte questo, sto da Dio!”
“E
l’aereo?”
“Sta
facendo onore al suo nome.”
“Il
motore tiene sempre?”
“È
meno compresso di prima per via dei buchi sulla pancia,[12] ma
tira ugualmente come uno stallone di prima categoria. È la sua intemperanza che
mi preoccupa…”
“Già…
speriamo che non imiti il suo pilota!”
“Se
mi riporta dalla mia famiglia, giuro che divento astemio!”
“Bada
che lo riferisco a tua moglie!”
“Fai
pure…” rispose l’asso senza esitazione, tergendosi il sudore dalla fronte.
“Ok…”
commentò James, sospirando “…e adesso speriamo che i crauti ci lascino in
pace!” e aggiunse, fra sé *Sarebbe il minimo, dopo quel che hai combinato!*
***
L’oberstleutnant
Schultz von Heindrich, Croce di Ferro di Prima Classe con Fronde Intrecciate,
Spade e Brillanti[13] si stava
rilassando nell’ascolto della musica leggera trasmessagli in cuffia dalla
stazione di Radio Berlino mentre
sorvolava il confine fra la
Bavaria e la
Slesia. Versi e melodia della popolarissima Lilì Marlene si mescolavano al ronzio
del Daimler Benz 600 che stava
alzando in quota il suo vetusto ma fidato Emil,
con il quale aveva colto i suoi primi successi all’epoca della Battaglia
d’Inghilterra.[14]
Era
decollato dieci minuti prima dall’aerodromo della fabbrica di Regensburg, dove
i tecnici della Messerschmitt gli
avevano revisionato il caccia da cima a fondo (anche lui, come Andy Greason, si
rifiutava ostinatamente di cambiarlo) e si stava dirigendo verso il campo di Poznan,
in Polonia. Data la scarsa comodità del claustrofobico abitacolo, era lieto di
non possedere l’autonomia necessaria per un volo senza scalo fino a Briansk,
dov’era al momento acquartierato il suo Geschwader,[15]
sebbene in quei lontani e infernali giorni sulla Manica avesse desiderato ardentemente
i famosi serbatoi ventrali da 300
litri, tante volte promessi dal “ciccione”[16] e
mai arrivati in zona operativa.
Non
erano mica scemi, quelli della “concorrenza”, ad aver preteso i serbatoi supplementari
prima di azzardarsi a scortare i loro bombardieri fin nel cuore della Germania,
anche se Schultz non invidiava di certo i compari del suo “amichevole nemico”,
che dovevano sorbirsi quei voli da otto-dieci ore, fra andata e ritorno.
Già,
Andy… chissà dov’era, adesso, quel matto d’uno yankee!
Non
l’aveva più rivisto da quando si erano salutati presso quell’avamposto italiano
vicino a Foggia, dopo che i soldati del maggiore Broccoletti li avevano dovuti
liberare perché le alleanze si erano “capovolte”. Com’era rimasto contento, quel
birbante, quando avevano sentito alla radio il messaggio di Badoglio!
Ach… gli amerikaner volevano
l’Italia dalla loro parte? Bene, che se la tenessero. Se ne sarebbero accorti,
quei dummkopf![17]
All’improvviso
la bella voce di Lala Andersen fu interrotta da uno spiacevole fischio, che
avvertiva il pilota di cambiarefrequenza. Fatto ciò, poté ascoltare il massaggio trasmesso dal
Controllo Aereo di Norimberga: “Achtung… achtung… Mutter Gans a Sparver Drei…
messaggio urgente per Sparver Drei… mi ricevete?”
Schultz
si premette sul collo la piastrina del laringofono: “Hier spricht Sparver Drei…
vi ricevo perfettamente, Mutter Gans” rispose, con voce annoiata “parlate,
prego!”
L’operatore
parve esitare, prima di procedere: “C’è stata un’incursione nemica vicino ad
Eiserfeld… i danni non sembrano gravi… se desiderate recarvici, potete fare
rotta per l’aerodromo di Siegen… passo!”
Von
Heindrich ebbe un subitaneo tuffo al cuore e gli parve che la temperatura
dell’abitacolo calasse paurosamente. Dovette umettarsi le labbra per proseguire
la comunicazione: “Mutter Gans… qui Sparver Drei… ricevuto! Procedo per Siegen.
Datemi la rotta, prego…”
Schultz
dette un’occhiata veloce all’indicatore di livello: “Affermativo, Mutter Gans…
ce la posso fare.”
“Bene,
Sparver Drei. Siete autorizzato ad assumere il nuovo piano di volo. Buona
fortuna, herr oberstleutnant!”
“Danke,
Mutter Gans… chiudo.”
Febbrilmente
l’asso più titolato del Terzo Reich, dopo aver virato di bordo, spinse a fondo
la manetta e sentì subito lo schienale trasmettergli la spinta del suo 109, mentre la lancetta dell’anemometro
correva verso i 570 orari… al massimo regime il suo caccia ci avrebbe impiegato
quasi 40 minuti per raggiungere l’aeroporto. Poi, ammesso di trovare subito a
disposizione un veicolo, ce ne sarebbero voluti altrettanti per raggiungere il suo
paese. Quasi un’ora e mezza di angoscia…!
In
teoria avrebbe potuto richiedere via radio a Siegen che chiamassero Eiserfeld:
i suoi non avevano telefono, ma il Municipio sì… ma la paura di ricevere brutte
notizie anzitempo era troppo forte!
I danni non sembravano gravi aveva detto il Controllo. Già… ma quanto “non gravi”?
E
poi perché Eiserfeld era stata bombardata? Perché colpire un obiettivo così
insignificante?
Schultz
von Heindrich non poteva concepire che gli Alleati, pur nella loro feroce determinazione
a sconfiggere il regime hitleriano, organizzassero un’incursione con l’unico
scopo di distruggere una misera cittadina di provincia. Rischiare la vita di
centinaia di aviatori soltanto per quello era ridicolo e gli americani erano
troppo pragmatici per essere così
stupidi!
A
meno che non lo avessero fatto per vendicarsi, dal momento che Eiserfeld era la
sua città… forse qualche spia russa
aveva riferito a Mosca che l’oberstleutnant von Heindrich (bestia nera
dell’aviazione alleata) stava rientrando in Germania; Mosca lo aveva riferito
agli alleati occidentali e quelli, convintisi che lui fosse andato in licenza,
avevano cercato di beccarlo! Ma chi lo poteva sapere che la sua famiglia risiedeva
proprio laggiù? L’unico che ne fosse al corrente, in campo avverso - su questo
ci avrebbe scommesso la pelle - non lo avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura!
Dopo
un volo senza storia, che comunque il povero Schultz avrebbe ricordato per
tutta la vita, davanti al muso dell’Emil comparve
all’improvviso, mezzo nascosto fra le nuvole, un combat box di Fortezze Volanti. Quella vista fu un vero pugno nello
stomaco per l’aviatore tedesco e la smania di annientarli fu domata a fatica
dal buon senso del veterano, che gli rammentava quanto precario fosse, per un
singolo caccia, l’attacco ad un intera formazione nemica; tralasciando il fatto
che non vedeva l’ora di arrivare dai suoi.
*Per
stavolta v’è andata bene* pensò il pilota, mantenendo la sua rotta *ma presto ci
rivedremo, dannati yankies!*
Finora
non li aveva mai attaccati con odio, non tanto per i suoi sentimenti
antinazisti, quanto per il fatto che dentro quegli aerei con la stella a cinque
punte volavano i connazionali del suo migliore amico. E del resto, solo quattro
anni prima, non aveva lui stesso scortato gli Heinkel e i Dornier
diretti su Londra? Non avevano, nello stesso periodo, uomini come Andrew Steve Greason
e Alistear Cornwell Andrew, protetto le città della Cina dai bombardieri del
Mikado?
“Oggi
siamo gatti, domani siamo sorci!” si disse von Heindrich, con estremo disgusto.
Poi, quasi per istinto, manovrò il sintonizzatore della radio di bordo, con
l’intento di captare le trasmissioni nemiche. Era sempre interessante
ascoltarle e anche molto istruttivo…
***
“Vulture
One a Vulture Eleven… si può sapere cos’avete in corpo?! Tenete la posizione,
razza di deficienti!”
“Vulture
Eleven a Vulture One… chiedo scusa, colonnello… il mio comandante è rimasto
scioccato da quello che è successo!”
“Di
che diavolo parla, tenente?”
Il
co-pilota del Candy Candy esitò
qualche attimo, ma poi si decise a parlare: “Il nostro mitragliere di coda ha visto
tuffarsi un P-47 sopra l’abitato
vicino al bersaglio, signore!”
“E
perché diamine lo avrebbe fatto?”
“Io…
non saprei, colonnello!” titubò Jimmy Curtright.
“O
piuttosto non vuoi dirmelo?” insistette, implacabile, John Bart Richardson.
“Le
giuro che…”
“Basta,
maledizione” lo interruppe il povero Neal, esasperato “voleva salvare la ghirba
a quei kartofen, là sotto. Ecco perché l’ha fatto!”
“Si
può sapere di che stiamo parlando?” ruggì allora il colonnello, assai
spazientito.
Il
comandante del Delta-Fox lanciò un
paradossale appello telepatico alla madrina
del suo apparecchio: “Capitano Legan, colonnello… a rapporto… desidero darle un
chiarimento in merito…”
“Sputi,
allora!” lo incitò il Group Leader.
“C’è
stato un incidente, a bordo… una M44,
rimasta incastrata sopra il bersaglio, s’è sganciata mentre sorvolavamo la
cittadina di Eiserfeld, signore!”
Un’imprecazione
talmente irriferibile da far sussultare persino lo spregiudicato Charlie Boyle
risuonò nelle cuffie degli undici equipaggi di ritorno dalla missione, a cui
fecero seguito le parole di Richardson: “Adesso lo sappiamo chi s’è buttato su quella bomba!”
Poi,
dopo avere ordinato al suo marconista di commutare la radio sul canale
riservato alla caccia di scorta, cercò subito di mettersi in contatto con la
medesima: “Vulture chiama Eagle, Vulture chiama Eagle… mi sentite? Over…”
“Vulture
da Eagle Six” rispose il CO della 20a Squadriglia “cinque su cinque,
over…”
“Roger, Eagle Six… dov’é Eagle One?”
“La
10a Squadriglia ha seguito il capo” la voce di Samuel Harris era
nettamente alterata “devono trovarsi ancora a bassa quota. La 30a
sta sgombrando la rotta di rientro. Noi vi siamo sopra. Non potevamo certo
mollarvi!”
Richardson
sospirò: “Grazie, capitano… sappiamo quanto vi sta costando. Animo, comunque:
il capo ha la pelle dura!”
“Certo,
signore… anzi, appena atterrati, gli prepareremo un megaparty: stasera si
festeggia!”
“Questo
è parlare. Eagle Six da Vulture One, chiudo!”
***
Quantunque
quei messaggi fossero stati trasmessi nella lingua di Shakespeare e non in
quella di Goethe, il pilota di quel solitario Messerschmitt che tallonava la formazione celandosi furtivamente
tra le nubi li aveva compresi perfettamente.[18]
Ma
Schultz von Heindrich non ne aveva inteso il solo senso letterale. Come un
fattore conosce i suoi polli, l’expert[19] tedesco conosceva
“il suo aquilotto” e non nutriva nessun dubbio su chi fosse il misterioso “capo”
che s’era tuffato col P-47 contro
quella fantomatica bomba sganciata accidentalmente sul suo borgo natio, né conservava
riserve di alcun genere sull’involontarietà dell’accaduto, dato che il
bombardiere che ne era stato protagonista apparteneva alla Decima Air Force.
Senza
indugiare oltre, il buon Schultz spinse avanti la barra di comando, portando il
suo Emil in picchiata attraverso la
coltre di nuvole, senza la minima apprensione per un’eventuale collisione con
le colline circostanti (dopotutto aveva in testa la carta nautica di tutta la Germania). L’unico pensiero
che aveva in testa era reperire al più presto un Thunderbolt color verde oliva, con una scacchiera sul muso e
possibilmente intatto!
E
fu proprio ciò che vide, con immenso sollievo, quando il suo altimetro indicava
quota 5000, alle ore 12, oltre il parabrezza blindato: il caccia più temuto da
tutta la Luftwaffe,
accompagnato da sette gemelli che lo circondavano con affettuosa protezione,
mentre risalivano tutti verso la quota di sicurezza.[20]
Con
mano febbrile l’oberstleutnant premette il laringofono, ma la voce stentava ad
uscirgli di bocca… stava per commettere un’azione censurabile come alto
tradimento, perché, se avesse contattato Andy, gli Alleati sarebbero venuti a
conoscenza che il nemico aveva scoperto una delle loro frequenze operative!
Ma
nella vita ci sono momenti che costringono un individuo a decidere secondo la
propria coscienza… proprio come aveva fatto il suo amico nel costringere gli
equipaggi dei suoi bombardieri a sganciare ad una quota tale che, se vi fosse
stata della contraerea a difendere l’obiettivo, li avrebbe fatti a pezzi. Così
facendo, l’asso americano s’era comportato in un modo spaventosamente ingiusto
verso tutti i colleghi affidati a lui, ma aveva anche salvato la vita a tutti i
suoi concittadini. Per l’arbitrio di Schultz von Heindrich, questo gesto era più
che sufficiente.
“Pronto…
pronto… parlo alla squadriglia americana davanti a me… sono l’oberstleutnant
von Heindrich, comandante del 234° Geschwader… non ho intenzioni ostili… chiamo
il vostro caposquadriglia… rispondetemi, prego… passo…”
A
sette membri su otto del’unità avversaria venne quasi una sincope! Imprecando
contro sé stessi per non aver posto sufficiente attenzione allo spazio
circostante, rimanendo troppo concentrati sul loro comandante ferito, il
capitano John Maxim e i due gregari della sua sezione, s’affrettarono a rompere
la formazione virando a sinistra e a destra per piombare poi alle spalle
dell’intruso, quando la voce dell’aquila
americana ruppe l’etere a sua volta: “Questa sì, che è una sorpresa… sei
proprio tu, zuccone d’un kraut?”
“Sono
proprio io, diavolo d’uno yankee svitato!”
La
voce di Andy, forzatamente allegra e quella di Schultz, tremante per
l’emozione, erano entrambe cariche d’affetto, al di là di quegli epiteti,
chiaramente ironici.
“Hai
fatto bene a venire a trovarmi” motteggiò l’americano “sentivo proprio la
mancanza del mio crucco preferito!”
“Veramente
sei tu che mi sei venuto a trovare…” precisò il tedesco, sempre lottando col
suo nodo in gola.
“Hai
ragione… mi starò rimbambendo con l’età” rispose Andy, stringendo gli occhi per
una fitta improvvisa alle gambe “sono passato da te, infatti, ma non eri in
casa… sei stato gentile a venirmi incontro!”
“Figurati”
stette al gioco l’altro “per quello che avevo da fare…”
Nel
frattempo i piloti della sezione di Maxim, comprendendo che il generale non
avrebbe gradito una loro iniziativa ai danni dell’asso tedesco, erano rientrati
nei ranghi e, per ironia della sorte, il CO del 10° Squadron venne a trovarsi
proprio in coda al caccia di von Heindrich…
*Quanto
sarebbe facile buttarlo giù, stavolta!* masticò, amaro, il texano.
Amico
del comandante o no, il pilota di quel Messerschmitt
era pur sempre lo stesso individuo che aveva strappato dal cielo parecchi suoi
connazionali e alleati. Sia nella Decima Air Force statunitense, come nel 234°
Stormo tedesco, non erano in molti, nonostante il carisma dei rispettivi capi,
ad apprezzare in modo particolare quel loro fingere che la guerra non ci fosse!
“Però,
venirci addosso tutto da solo…” continuò lo yankee “…ho sempre apprezzato il
tuo spirito sportivo, ma lasciati dire che qualche scampolo di pazzia lo devi tenere
anche tu, in quel cervello da kartofen!”
“Saranno
le mie pessime frequentazioni” alluse Schultz “ma almeno io non mi diverto a
mitragliare le bombe in picchiata!”
“Come
fai a…” chiese l’amico, stupito, ma non troppo.
“Fatti
miei” troncò subito il tedesco “si può sapere che t’era preso, piuttosto? T’ha
dato alla testa tutta la Coca-Cola che ti scoli?”
“Ero
in vena di forti emozioni!”
“Sei
proprio matto” rispose Schultz, strizzandosi gli occhi umidi “matto…!”
“Adesso
basta, voi due imbecilli” sbottò finalmente James Stone, non potendone più di
quell’assurda conversazione salottiera “herr oberstleutant, visto che è qui e
ha già capito tutto, posso chiederle se sarebbe disposto a garantirci
l’immunità dai suoi colleghi? La informo che il nostro leader non sarebbe in
grado di manovrare!”
“Sono
qui per questo” rispose Schultz, semplicemente “tenetemi dietro e vi guiderò
fuori dal nostro spazio aereo.”
“Che
umiliazione” ironizzò Andy, con finto disgusto “respinto dal nemico, col foglio
di via!”
“Fammi
un favore, Andy: stattene zitto!!” sbottò il suo secondo.
“Va
bene, va bene…!”
Mentre
i bombardieri del 22° Gruppo, scortati dal resto dei caccia del 99°, dovettero
ancora fronteggiare alcuni attacchi della Jadgwaffe
tedesca (durante i quali venne purtroppo abbattuta la Little Audrey del capitano
Boman), la squadriglia di Andy scivolò via indisturbata fin sopra l’Olanda,
dove Schultz von Heindrich si congedò a malincuore, non avendo il suo 109 l’autonomia sufficiente a proseguire
oltre (dovette infatti, di lì a poco, atterrare nell’aerodromo più vicino).
“E
bada di conservarti quella pellaccia da schizzato. Hai capito?!” trasmise per
ultimo all’amico, con voce rotta.
“Roger,
kraut… ce la metterò tutta. E tu vedi di fare altrettanto!”
“Contaci,
yankee…!” concluse Schultz, soffocando un singhiozzo.
[1]Sono stato tentato dal far venir fuori che Neal fosse il
frutto d’una “scappatella” del signor Legan con una qualche creola incontrata
nei suoi viaggi d’affari in Centro-America. Poi ho deciso di soprassedere!
[2]Se alcune gentili lettrici vogliono metterci le virgolette, lo facciano.
Io, cavallerescamente, mi astengo.
[3]Non me la sono sentita di chiamarlo sogno
d’amore…!
[4]Dopotutto li “accomunava” la medesima “antipatia” per un certo attore…
[5]Ovvero dotato di capottina a goccia. Il Thunderbolt di Andy era invece della
versione razorback (a dorso di rasoio),
dotato del più tradizionale tettuccio a “serra”.
[6]Sta per ricezione massima (Uno su Cinque vorrebbe dire ricezione minima).
[7]Per anni mi sono spaccato il cervello per capire dove
diavolo lo tenessero i piloti da caccia degli anni ’40… prima di capire che lo sistemavano
sotto il sedere, a mo di cuscino!
[8]Indicatore del carburante. 100 galloni sono quasi 380 litri.
[9]La sorella di von Heindrich. Dietro sua insistenza,
l’asso tedesco aveva fatto pervenire al collega anche una sua fotografia e lui
aveva dovuto ammettere che assomigliava leggermente a una certa collega di sua
moglie. Il che…
[10]Come si sa, negli aeromobili il timone direzionale viene
azionato tramite i pedali posti davanti alla barra di comando.
[11]Valle Felice: soprannome ironico affibbiato dagli Alleati alla
regione della Rhur, il polo industriale della Germania nord-occidentale,
dov’erano concentrate circa la metà delle difese antiaeree tedesche.
[12]Le schegge della bomba avevano chiaramente danneggiato
il condotto che portava l’aria dalla presa anteriore al compressore, situato
dietro la cabina di pilotaggio.
[13]Una delle massime decorazioni concesse ai combattenti del Terzo Reich.
[14]È così chiamato l’insieme degli scontri fra la RAF
e la Luftwaffe, protrattisi dall’Agosto all’Ottobre del
1940, attraverso i quali l’aviazione germanica tentò di conquistare il dominio
del cielo per consentire il progettato sbarco sulle Isole Britanniche,
conclusosi però con la vittoria dei britannici che, abbattendo 1740 aerei
tedeschi contro 915 dei loro, costrinsero Hitler a rinunciare all’invasione. In
quel periodo i caccia della Luftflotte 2,
comandata da Albert Kesserling e basata fra la Lorena e la Normandia, erano quasi
tutti Messerschmitt 109 della
versione E, soprannominata Emil.
[16]Il Reichmarshall Hermann Goering, comandante in capo della Luftwaffe, così nominato per la sua
stazza, non proprio mingherlina!
[17]Sciocchi, ingenui. L’episodio qui accennato è descritto in un capitolo
della biografia completa dell’asso statunitense.
[18]Inutile specificare che i due famosi “amici-nemici”
erano bilingue. Oltre ad avere fortuitamente studiato a scuola ognuno il
linguaggio dell’altro, si erano dati alcune reciproche lezioni di aggiornamento,
le rare volte che avevano passato del tempo insieme.
[20]Quell’altezza che li avrebbe messi al riparo sia dalla
contraerea pesante, che dalla maggior parte dei caccia nemici. Naturalmente
l’altimetro di Schultz era tarato in metri, al contrario di quello di Andy che,
tarato in piedi, avrebbe segnato 15000 (16404, per l’esattezza).
Se ti trovi in combattimento e desideri
far ritorno a casa,
la
cosa migliore è trovarsi ai comandi di un Thunderbolt.
(H.Zemcke, comandante del 56th FG)
Capitolo 20: Gli ordini non si discutono
D
opo
avere affidato casa e bambino alla buona Mrs. Piggot - una dolce signora
quarantenne, vedova di un pilota della RAF
caduto nella Battaglia d’Inghilterra che le faceva volentieri da governante per
arrotondare il suo magro sussidio - la signora Greason s’incamminò per la
strada che lasciava il paese di Newhaven in direzione nord, conducendo verso la
base americana di Grant Field. Erano
ormai passate le quattro e Flanny calcolava che il reparto del marito sarebbe
rientrato entro un’ora o poco meno.
Voleva
assolutamente riceverlo a bordo pista per sbattergli in faccia la lieta novella
che, di lì a dicembre, sarebbe ridiventato papà. Ah, se soltanto la guerra
fosse terminata prima di allora! Sarebbe stato meraviglioso se la famiglia
Greason - la sua vera famiglia -
avesse potuto rimpatriare al completo (e poco importa se il nuovo arrivato si fosse
trovato ancora dentro il pancione), per poi, a travaglio compiuto, andare tutti
a vivere in quella bella casa vicino al mare dove il marito l’aveva portata
dopo aver conosciuto Candy e i coniugi Cornwell.[1]
Avrebbe
fatto di tutto purché suo marito fosse
stato accanto a lei, quando il loro secondogenito sarebbe venuto al mondo. Percepiva
ancora il forte rimpianto per non aver potuto posare di persona il piccolo Paul
fra le braccia di suo padre, quando l’aveva dato alla luce nel Settembre
precedente; ma c’erano voluti tre mesi prima che il Distaccamento di Andy
abbandonasse il teatro italiano per rientrare in Gran Bretagna, a predisporre le
successive operazioni sul continente.
Era
stato buffo pensare alla faccia del marito nel leggere quel dispaccio:
col. a.s.greason -xii usaaf - greason detachment - comiso airfield - sicily - mto: missione
compiuta mascalzone - sei padre di un maschietto diotto libbre - neozie candy e natalie ti
salutano - neomamma ok ma giura che questo non diventa militare - stop[2]
Tuttavia,
far sapere al proprio compagno di avergli dato un figlio per telegramma era quantomeno
squallido e la signora Flanny non aveva mai digerito del tutto la cosa.
Sinceramente,
anche l’idea di diventare mamma nel pieno di quel tremendo conflitto non l’aveva
affatto vista piena d’entusiasmo. All’inizio, la malaugurata ipotesi di
rimanere sola con un figlio l’aveva spaventata abbastanza, anche se poi aveva gradualmente
mutato parere, confidandone il motivo alla collega
del cuore: “Vedi, Candy… se per disgrazia dovesse accadergli davvero qualcosa…
a me resterebbe il bambino e sarebbe un po’ come averlo ancora qui con me!”
Così
aveva detto allora, tentando di credere davvero in quelle parole. Ma adesso che
un’altra vita stava germogliando dentro di lei, sapeva per certo di voler
crescere i suoi figli accanto al suo uomo, la cui posizione, purtroppo, non
glielo avrebbe consentito fin tanto che sarebbe durata quella maledetta guerra!
Una
volta tornata la pace, il suo Andy avrebbe probabilmente
dismesso l’uniforme per dedicarsi all’aviazione civile, ma fino ad allora
difendere il mondo libero sarebbe rimasta la sua principale ragione di vita, proprio
come la medicina lo era per lei.
Del
resto, quando Andy e Flanny si erano uniti, il patto fra loro era stato ben chiaro:
nessuno dei due avrebbe mai messo in
discussione il lavoro dell’altro. E se suo marito manteneva gli impegni, sua
moglie avrebbe fatto lo stesso, qualunque ne fosse stato il prezzo da pagare.
*Purché
l’inflazione non vada alle stelle…* si concesse Flanny una battuta sarcastica, giungendo
all’ingresso della base.
“Buon
pomeriggio, signora Greason” la salutò il sottufficiale di guardia “è venuta a
prendere il generale?”
“Appunto,
caporalmaggiore” rispose lei, con un sorriso di circostanza “sono già
atterrati?”
“Non
ancora, ma non tarderanno gran che. Può raggiungere il capitano Lennox alla
torre, se crede.”
“Grazie,
Thorton: è ciò che farò.”
“A
più tardi, signora.”
Mentre
Flanny attraversava il piazzale diretta verso la torre di controllo, la quiete
pomeridiana dell’aerodromo venne rotta dalla voce degli altoparlanti: “A tutto
il personale di terra: prepararsi all’atterraggio della Squadriglia n° 30. Sezioni
antincendio in posizione. Gruppo di soccorso in allerta!”
L’ultima
frase fece sorridere la donna. Aveva più volte constatato con malcelata soddisfazione
la notevole efficienza raggiunta dai reparti medici della Decima. Due anni
prima, quand’era arrivata in Gran Bretagna, il livello del personale preposto
dell’aviazione militare le era apparso a dir poco scandaloso.[3] La
signora Greason non era rimasta a guardare e aveva convinto il marito a istituire
degli opportuni corsi di perfezionamento, ai quali avevano collaborato attivamente
proprio le ex allieve della Mary Jane
School. Cosicché, grazie alla sua stessa First Lady, la divisione aerea di Andy Greason poteva attualmente usufruire
d’un servizio sanitario di primissimo livello.
Mentre
la moglie del generale saliva le scale che conducevano al primo piano del fabbricato,
i Mustang della squadriglia di Roger
Williams cominciavano a scendere sulla pista n° 2. Flanny si trattenne
momentaneamente sul terrazzino intermedio per osservare i vari gruppi degli
specialisti che circondavano rapidamente ogni caccia rollante verso il suo
parcheggio, per offrire assistenza al pilota. Con sollievo constatò che tutti e
sei i componenti del reparto erano rientrati, seguiti subito dal leader del 99°
Gruppo, maggiore Roland “Roy” Master. Quando poi l’altoparlante tornò a
berciare, annunciando l’arrivo della 20a Squadriglia di Samuel
Harris, Flanny strinse convulsamente la ringhiera: il prossimo annuncio avrebbe dovuto riguardare proprio la
squadriglia del marito.
Anche
i Thunderbolt di Harris erano
rientrati al completo, accompagnati dal P-51
del generale di brigata Victor Sanders, comandante del Primo Stormo. Qualche
aereo presentava evidenti postumi della baruffa (un’ala bucherellata, una
deriva sbrecciata); nondimeno i Terrori
della Luftwaffe - come si facevano chiamare, un po’ pomposamente - erano riusciti
a farsi onore.
***
Vic
Sanders arrestò il Pakard del suo Big Beautiful Doll, tirò il freno di
parcheggio e si slacciò la cinghia di sicurezza, sconnettendo con furia
rabbiosa tubi e cavetti. Scavalcò il bordo dell’abitacolo, saltò sul cemento
del piazzale e procedette con andatura sostenuta verso la torre. Probabilmente
non vide la figura di Flanny, ancora in piedi sulla balconata intermedia o il
suo cervello non la registrò. Fatto sta che aggirò la costruzione per varcare
l’ingresso principale, salendo poi le due rampe di scale che conducevano in
sala operativa. Qui trovò il maggiore Craig Anderson, capo dell’ufficio
operazioni del 99° Gruppo Caccia, che gli andò incontro con visibile sollievo:
“Bentornato, generale. È andato tutto bene?”
“Non
del tutto, purtroppo! Dov’è Spillett?”
“Su
alla radio, signore. Ci sono state perdite?”
“Due
fortezze abbattute: Boman e Gerryson. Zero fra i caccia… almeno al momento!”
rispose Sanders, marcando le ultime parole.
“La Squadriglia del
capitano Maxim non ci ha ancora contattati, generale. Ma sarà questione di
poco…”
“Ci
vorrà un po’ di più, invece: sono ancora sulla Manica.”
“Come
mai questo ritardo, signore?” chiese l’ufficiale operativo, aggrottando la
fronte “Non li vediamo nemmeno sul radar.”
“Per
forza non li vedete” rimpallò con veemenza il Comandante di Stormo “volano a
regime minimo per risparmiare più carburante possibile, scortando il generale
Greason!”
“Scortando, signore?” ribatté Anderson,
con la forte incredulità che traspariva dal suo accento svedese.
“Ha
avuto un incidente sopra il bersaglio, il suo aereo è ridotto male” Sanders
deglutì “sarà un miracolo se riuscirà a rientrare intero!”
“Ma
è ferito??!”
Victor
trasalì, sentendo dietro di lui quella nota voce. Giratosi, rimase di stucco davanti
alla moglie del capo, che li aveva ascoltati silenziosamente dopo essere
rientrata dal terrazzo.
*Questa
non ci voleva!* imprecò fra sé, per poi balbettare: “Flanny, che ci fai qui?!”
“Rispondimi
Victor: cosa gli è successo?”
Quegli
occhi d’acciaio non consentivano repliche. Il maggiore dei Compari di Chicago si schiarì la voce, sforzandosi di mantenerla
ferma: “Non lo so… temo sia ferito, ma non credo gravemente. Io non l’ho visto
da vicino, ci ho solo parlato per radio. Avevamo l’autonomia contata, non
potevo andare avanti e indietro… e mi ha ordinato tassativamente di restare con la mia squadriglia![4]
Perdonami, Flanny, non potevo agire diversamente…”
“Non
preoccuparti” fece lei, con un cenno benevolo “perché pensi che non riesca a
rientrare?”
“Beh,
ha forato il serbatoio principale. Ormai dev’essere proprio agli sgoccioli con
la benzina…”
*È
davvero un vizio!* masticò amaro la moglie dell’asso, sentendo le ginocchia
piegarsi sempre più.
“Signore,
mi scusi…” dalla sua scrivania il maggiore Anderson attirò l’attenzione di
Sanders, scostando dall’orecchio il ricevitore del telefono.
“Sì,
Craig… novità?”
“Spillett
è in contatto con la 10a Squadriglia.”
Gli
altri due vennero scossi da una forte scarica elettrica, certo più dolorosa per
la signora.
“Ok,
andiamo su” sospirò il comandante del 99°, volgendo lo sguardo versoquest’ultima: “Flanny…”
La
donna scosse appena il mento, muovendosi di nuovo verso la porta del balcone,
per salire stavolta la scala esterna che permetteva di raggiungere il terrazzo,
dov’era ubicata la cabina della radio. Sanders, tergendosi la fronte, la seguì
a ruota. Non aveva certo avuto l’intenzione di persuadere la moglie del comandante
in capo a restare dov’era: sapeva bene che convincere la sorella del capitano
Legan a baciare sulle gote quella piacente infermiera bionda coi codini sarebbe
stato di sicuro più proficuo!
***
Più
o meno a metà del Canale, il comandante della Decima aveva iniziato a
preoccuparsi un po’ più seriamente. Sentiva le sue povere gambe farsi sempre
meno sensibili, nonostante avesse stretto al massimo i due lembi della sciarpa
per limitare la perdita di sangue. Aveva preso una compressa di analgesico, ma
era servito a poco e non osava far uso della morfina compresa nel kit di pronto
soccorso, per timore di perdere i sensi. A preoccuparlo più di tutto era però
la sinistra luce arancione proveniente dalla spia della riserva, degna comare della
lancetta bastarda sull’indicatore di livello, che oscillava sempre più prossima
a quella maledetta E[5]…
La
cupa visione delle acque verdastre che scorrevano sotto la pancia ferita del Thunderbolt lo spingeva a darsi del
coglione per non essere atterrato in Olanda assieme a Schultz… ma il pensiero
di trascorrere il resto della guerra dietro un reticolato non lo attirava per
niente e nemmeno poteva pretendere che il suo amico si mettesse nei guai,
assieme alla sua famiglia - dopo che Andy l’aveva salvata con quel gesto folle
- per cercare di sottrarlo alla cattura; impresa del tutto aleatoria, giacché
il generaloberst Otto von Kruppen[6]
avrebbe rivoltato l’intera l’Europa come un calzino occupata, pur di mettergli
le mani addosso!
Per
distrarsi da quei pensieri allegri il pilota ascoltava la più bella musica che
poteva sentire attualmente: il rombo del radiale Pratt & Whitney che, qualora avesse cessato di cantare, avrebbe
trascinato il P-47 direttamente in
fondo alla Manica, come tanti suoi colleghi anglo-tedeschi durante quell’epica
battaglia di quattro anni prima. Ne erano finiti parecchi, in bocca ai pesci… e
ci sarebbe finito anche lui, perché, se pur fosse riuscito ad abbandonare il
cockpit prima che il bestione andasse a picco, non era affatto certo che
sarebbe stato in grado di nuotare con le gambe in quello stato. È vero che la Mae West l’avrebbe mantenuto a galla, ma
l’acqua salata non avrebbe permesso alle ferite di cicatrizzarsi e rischiava di
morire dissanguato prima che i soccorsi potessero raccoglierlo.[7]
Come
se non bastasse, quei dannati spifferi provenienti dagli squarci nella pancia
del velivolo lo stavano letteralmente congelando!
*Flanny… cosa stai facendo, ora? Fa un freddo cane,
quassù… e ho tanto bisogno delle tue braccia!*
Anche
laggiù in acqua avrebbe fatto piuttosto freddo… per questo lo sguardo del
pilota non riusciva a distaccarsi dal disco dell’elica, consapevole che ad ogni
nuovo giro se ne andava un’altra goccia di benzina. Per un vero miracolo
nessuna delle quattro pale della robusta Hamilton
Standard Hidromatic era stata danneggiata nello scoppio della bomba colpita
su Eiserfeld, anche se forse non era del tutto illogico.[8]
“Tieni
duro, Andy” continuava a rassicurarlo Stone “ormai ci siamo quasi: la base
dista solo poche miglia! Mi ricevi…?”
“Cinque
su cinque… stai tranquillo, Jim: ce la farò!” rispondeva l’aquila americana,
lottando coi suoi dubbi e il torpore della febbre.
Con
le gambe quasi inerti sui pedali, ma le mani strette a morsa sulla barra, come pronte
a sostenere il velivolo in aria quando il motore avesse bruciato l’ultima particella
di carburante, il nostro eroe era deciso a lottare fino in fondo. Voleva
rimanere in gioco e continuare a combattere per quello in cui credeva, alla
testa dei suoi meravigliosi compagni. Ma più di tutto voleva tornare dalla sua
famiglia, coccolare il suo bambino e stringere la sua donna fantastica; fare ancora
l’amore con lei per sciogliersi nel suo calore e addormentarsi col capo poggiato
sul suo seno…
“Forza,
Juggy: non cedere proprio adesso”
diceva al suo fido compagno d’avventure “Nathan ti rimetterà a nuovo, tranquillo:
ne abbiamo da fare ancora tante, noi due…!”
***
“Eagle,
mi ricevete? Qui torre di Grant Field… vi ho appena rilevati sullo schermo, a
sei nautiche da qui. Rispondete, Eagle… over!” stava dicendo il sergente Spillett, al microfono, mentre Anderson, Sanders e la signora Greason stavano
entrando nel casotto. I nervi di quest’ultima si tesero fino allo spasimo; sul
momento l’altoparlante della grossa trasmittente non restituì che fischi e
scariche, ma poco dopo la voce del maggior-generale Stone si poté udire con discreta
limpidezza: “Vi ricevo, Grant Field… qui Eagle Two… stiamo sorvolando la costa
in questo istante, ma siamo in riserva da mezzo Canale: i motori potrebbero
piantarsi da un momento all’altro…”
“Digli
di posarsi sui campi, dovunque possono!” intervenne Sanders.
“Grant
Field a Eagle Two… il generale Sanders dice di atterrare sul primo spiazzo
utile che vedete. Ricevuto?”
“Negativo,
Grant Field… l’aereo del comandante ha il ventre squarciato. Non può eseguire
un atterraggio di fortuna: gli serve una pista!”
Per
poco le parole ventre squarciato non
causarono un colpo apoplettico alla povera Flanny, come se il buon James avesse
parlato del pilota. Non potendo resistere oltre, afferrò la spalla di Spillett:
“Mi faccia parlare con mio marito…!”
“Ma,
signora… il regolamento…”
“Si
fotta, il regolamento! Mi dia quel microfono…!!” urlò Flanny disperata.[9]
Sconcertato,
l’ufficiale guardò il Wing Leader,
che annuì subito con la testa. Spillett porse allora lo strumento alla moglie
dell’asso, che lo ricambiò con uno sguardo a mezza via fra il rammarico e la
riconoscenza.
“Andy…
sono Flanny… mi senti…?”
Dopo
qualche altra crudele interferenza le orecchie della donna poterono essere
raggiunte dalla più bella voce che conoscevano: “Forte e chiaro… amore mio!”
In
un istante gli occhi della bruna dalla coda di cavallo si riempirono di
lacrime: “Sei ferito…? Dimmelo, ti prego!!” chiese, con voce tremante.
“Ecco,
temo… di essermi procurato qualche… graffietto nelle zampe… niente di che.”
Flanny
si gelò. Data l’abitudine di Andy a minimizzare i suoi danni fisici (quasi
temesse di venir preso a ceffoni come un qualsiasi marmocchio fattosi male per
aver disobbedito alle raccomandazioni della mamma), poteva star certa che, se
non fosse stato nulla di serio, il suo compagno avrebbe negato di avere
alcunché! Se invece si sentiva spinto a confessarle di essersi procurato qualche graffio, c’era da temere
seriamente che le sue condizioni fossero abbastanza gravi.
“Ma
ce la fai a tornare qui… vero, tesoro?”
La
risposta non fu esattamente quella che voleva sentire: “Beh, sto facendo… del
mio meglio… ritengo di avere una discreta probabilità. Ma se…”
Allenata
a intuire le conclusioni persino dei suoi monosillabi, la moglie non lo lasciò
continuare: “Andrew Steve Greason… io ti ordino
di tornare qui da me!! Sono stata chiara?”
L’asso
deglutì, tornando con la mente a quel famoso pensiero di Shakespeare[10]…
“Affermativo,
signora!”
“Ricevuto”
rispose Flanny, parzialmente rassicurata “e ancora una cosa…”
“Parla,
cara…”
“A
dicembre saremo in quattro!”
La
mente dell’asso, intorpidita dallo spossamento, ci mise un po’ per giungere
alla conclusione: “Vuoi dire che aspetti un…”
“Adesso
come adesso aspetto solo mio marito” taglio corto la sua sposa “vedi quindi di
atterrare tutto intero! Hai capito bene?”
Il
dolore, il torpore e l’angoscia vennero spazzati via da un potente guizzo di
energia gioiosa: “Cinque su cinque!! Attendimi sulla pista, amore… chiudo!”
Mentre
Flanny, con le spalle tremanti per i singhiozzi che stava soffocando, posava il
microfono sulla console, il radarista, sergente Paxton, annunciava ai
superiori: “Ho i loro eco, signori… stanno per entrare nel circuito.”[11]
“Bene”
rispose il maggiore Anderson, tamponandosi la fronte col fazzoletto “servizi di
soccorso a bordo pista. Tutto il personale ai propri posti!”
“Aeroporto
in vista!” annunciò John Maxim dal suo Dallas
Blonde, in testa alla formazione.
“Bene,
ragazzi” intervenne James Stone “allargatevi e lasciate la pista al capo: è
senz’altro più agli sgoccioli di noi! Sei pronto, Andy?”
“Affermativo…
ma non fate troppo gli eroi, voialtri: abbiamo tre piste a disposizione.
Venitemi subito dietro, prima che i motori vi piantino in asso!”
“Tu
non preoccuparti e pensa ad atterrare più in fretta che puoi. Togli manetta,
abbassa i flaps e fai scendere il carrello.”
“Grazie
delle informazioni, Jimmy: non ricordavo più come si fa…”
“Taci
ed esegui, spiritoso!”
“Agli
ordini…” rispose Greason, calando motore.
La
pista numero 1 dell’aerodromo di Grant
Field si stendeva dritta davanti allo Yankee
Eagle. L’altimetro segnava 120 piedi e l’anemometro registrava una
velocità di 85 nodi… quanto al televel, la lancetta era già inerte sullo zero…
“Spero
bruci anche i vapori di benzina…” mormorò l’asso “…flaps…!”
Un
istante dopo l’indice degli ipersostentatori si trovava nella posizione giusta.
Il variometro registrava una discesa di 30 piedi al minuto e il
pilota accentuò la spinta sulla barra.
“Ok…
giù il carrello!”
Non
c’è nulla che angosci un aviatore al rientro più dell’eseguire un atterraggio
sul ventre. Andy l’aveva già fatto due volte ed entrambe gli era andata bene,
soprattutto dal lato sentimentale (dopo la prima aveva conosciuto Flanny, dopo
la seconda si era fidanzato).
Ma
stavolta, col ventre dell’aereo ridotto in quello stato, gli servivano le
ruote, altrimenti sotto le “dolci grinfie” della sua infermiera ci sarebbe
rimasto fino a guerra conclusa, plausibilmente su una sedia a rotelle. Con enorme sollievo osservò quindi le spie
verdi che confermavano l’avvenuta discesa delle gambe del Thunderbolt, che per fortuna, al contrario delle sue, erano rimaste
illese…
PRAT…
PRAT… PRAT…
“Oh,
no…!! Lo sapevo… lo sapevo…!!!”
Sentir
battere in testa i pistoni, non regolarmente sollecitati quando non entra più
miscela nei cilindri, è l’altro incubo di chi conduce una macchina volante. Circa
venti piedi separavano ancora le ruote dal cemento della pista. Andy pigiò
subito il pulsante per la messa in bandiera dell’elica,[12] ma ciò
non impedì alla velocità di scemare rapidamente sotto i 78 nodi… l’aereo era in
stallo.
La
poderosa massa del P-47 piombò al
suolo in un istante, piegando i robusti carrelli d’acciaio come spaghetti
stracotti e accartocciando impietosamente le pale della povera Hamilton… che comunque stava meglio
dell’omonima consorte del pilota, non lontana spettatrice in prima fila,
assieme alla squadra di soccorso.
*Andy…
tu mi farai morire, brutto bastardo!!* imprecò.
***
I
solerti membri della squadra d’emergenza s’affrettarono a sbloccare
dall’esterno il tettuccio del velivolo, lo spalancarono e si diedero da fare
per svincolare il pilota dal seggiolino. Andy sembrava svenuto… certo aveva
preso una gran bella botta!
“Piano…
fate piano!” disse uno.
“Non
riesco a sganciare la cinghia…”
“Tranciala,
fai svelto!”
“Ecco,
ho fatto: tiriamolo fuori.”
“Cristo,
ha le gambe spappolate…!”
“No,
no… è solo il sangue.”
“Ma
è vivo…?”
“Speriamo
di sì!”
“Forza,
sbrigatevi a metterlo giù” ordinò il maggiore medico della base “presto, con
quella barella!”
Non
appena il generale venne coricato sulla medesima, il dottor Robert Farrell gli
tastò subito il polso per poi auscultargli il torace con lo stetoscopio. Rivolse
quindi lo sguardo alla moglie, non certo rinfrancata dalle precedenti battute
dei soccorritori: “È vivo, signora, stia tranquilla!”
“E
le sue condizioni…?” domandò lei, con voce tremula.
“Serie,
purtroppo: qui ci vuole l’ospedale. Mettiamolo sull’ambulanza.”
La Dodgeattendeva a breve distanza, con gli sportelli aperti.
Gli assistenti caricarono a bordo la barella, seguiti dal maggiore Farrell e dalla
stessa Flanny. La vettura si mise in moto procedendo spedita verso il cancello,
diretta all’ospedale St.Mary.
Mentre
un infermiere sistemava la maschera dell’ossigeno sul volto del povero Andy, la
sua compagna gli aveva afferrato la mano dopo avergli sfilato il guantone, in
modo che potesse percepire il suo calore. Il gesto funzionò, giacché il ferito
aprì lentamente gli occhi…
“Tesoro…
mi senti?!” lo chiamò dolcemente la moglie “Parlami, ti prego…!!”
Andy
la guardò, mettendola lentamente a fuoco, finché il più bel sorriso che Flanny
gli avesse mai visto non spuntò su quella faccia da schiaffi. Siccome faceva
cenno di voler parlare, la moglie gli scostò la maschera dalle labbra: “E… ehi…
c… ciao, bellezza…!!”
La
donna soffocò un singhiozzo: “Ciao… maledetto scavezzacollo!”
Il
marito arrossì discretamente, per poi rabbuiarsi: “Devo… darti una brutta
notizia…”
“Un’altra?!”
chiese lei, tra l’irato e l’ironico.
“Sì…
vedi… ho dovuto… la tua sciarpa…”
“Non
si agiti, generale!” lo esortò il medico.
Notando
i due lembi del povero indumento stringere i polpacci del marito, Flanny
sorrise mestamente: “Non ci pensare, sciocco… te ne farò un’altra.”
“È
stata un’ottima idea, signore.” approvò anche il dottor Farrell.
“Beh…
ho avuto… cough… una brava… maestra… cough… cough…!”
“Ora
basta, Andy” lo esortò la moglie “cerca di star sveglio, ma non parlare più!” e
gli risistemò la maschera sul viso.
A
sirene spiegate l’ambulanza giunse ben presto al St.Mary Hospital, dove l’intera equipe era stata già allertata
dalla base. Il primario, dottor George Waxman, dopo avere ascoltato il rapporto
di Farrell e della signora Greason e visitato il pilota, fu concorde col
collega militare sul fatto che il comandante della Decima andava operato
d’urgenza: occorreva levargli tutte le schegge che aveva nelle gambe, prima che
gliele infettassero, altrimenti avrebbe rischiato di perderle. Sentito ciò, un
brivido gelido non scosse soltanto Flanny: accorsa prontamente all’annuncio di
quanto accaduto, nella mente della dolce Candy balzò subito il nome di Susanna
Marlowe…
“Malauguratamente
le sue condizioni sono critiche” disse il dottor Waxman “ha perso parecchio
sangue e gli serve una trasfusione per affrontare l’intervento senza rischi.”
“Oh,
no…!” gemette Flanny, con angoscia.
“Qual
è il gruppo di suo marito?” le chiese il maggiore Farrell.
“È
lo Zero RH negativo, il più raro che c’è!” rispose lei, sconfortata, coprendosi
gli occhi con la mano.
“Questa
non ci voleva” esclamò Candy “non ne abbiamo di scorta, dottore?”
“Purtroppo
no, miss White” rispose Waxman “abbiamo utilizzato completamente quello che ci
avevano racimolato in tutta l’Inghilterra, nelle ultime settimane!”
“E
per farlo arrivare dall’America ci vorrebbero almeno dodici ore” disse Farrell,
sconsolato “troppe!”
*E
proprio il pilota doveva fare, quello sconsiderato?!* inveì Candy all’indirizzo
del suo quasi omonimo, guardando con pena la sua consorte… poi ebbe un guizzo improvviso:
“Terence…!!!”
“Cosa…?”
chiese Flanny, riscuotendosi.
“Terence
Grenchester, l’attore di teatro: anche lui ha l’RH negativo!”
“Ma…
ne è sicura?!” la incalzò il maggiore Farrell.
“Sicurissima!”
rispose la bionda, con decisione.
“Scusi,
ma… come fa a saperlo?” chiese Waxman, perplesso.
La
giovane arrossì: “Beh… vede dottore, io e lui… insomma, stiamo insieme…”
“Ah…
capisco. E dov’è, adesso, a Londra?”
“Magari”
Candy allargò le braccia “purtroppo è andato in Scozia, a trovare i suoi.”
“Allora
siamo fregati!” imprecò il primario dell’ospedale scuotendo desolato la testa,
mentre la povera Flanny si lasciava sfuggire un singulto.
“Un
momento” intervenne Farrell “dove risiedono, esattamente, i Grenchester?”
“In
un castello nei dintorni di Pitcairngreen, nella Contea di Perthshire.” rispose
la bionda.
Il
medico della base aerea fece mente locale: “Se non sbaglio, la base della RAF di Redgorton non è lontana. Dov’è un
telefono?”
[2]Il Greason
Detachment era il reparto formato dalle squadriglie da caccia di Andy,
trasferite dalla Ottava Forza Aerea in Inghilterra alla Dodicesima nel
Mediterraneo (Mediterranean Theatre of
Operations), prima in Algeria e quindi in Sicilia.
[3]Questo aspetto era stato accennato nel capitolo 10.
[4]E per un altro “crucco” come lui, gli
ordini sono ordini!
[6]Il nemico personale di Andy Greason, che i lettori della sua biografia
completa conosceranno a tempo debito.
[7]La Mae West è il giubbotto salvagente.Per quanto mi risulta, all’epoca soltanto gli aerei
plurimotori erano dotati di canotti gonfiabili.
[8]“È bello affidarsi a una Hamilton!” questa frase di
Andy Greason era diventata uno slogan pubblicitario dell’azienda costruttrice, la Hamilton Standard Propeller Corporation di Hartford (Connecticut), anche se i
responsabili del marketing non avevano capito se l’aviatore volesse alludere
all’elica oppure alla moglie!
[9]Quando la signora Mary Jane, direttrice dell’omonima
scuola per infermiere, venne a conoscenza di quell’episodio, ebbe a commentare:
“Beh, probabilmente soltanto un uomo come Andrew Steve Greason sarebbe riuscito
a far esprimere un concetto simile alla mia migliore allieva!”
Dopo
avere attraversato la metà del vasto atrio del Savoy,[2] Flanny si voltò indietro, accertando
con disappunto che il marito aveva appena oltrepassato il portone girevole e
procedeva sbadigliando, senza troppo affrettarsi.
“Ma
insomma, vuoi farti trascinare?!”
“Awh…
scusa, tesoro, ma sono stanco morto!”
“Come
mai, non ti sei riposato abbastanza?”
“E
dove?”
“In
teatro: hai ronfato per tutta la commedia!”
“Già,
in effetti…” ricordò l’asso lisciandosi la nuca, imbarazzato, per poi ritrovare
la solita arguzia “…ma d’altra parte te lo dovevi aspettare, dato il titolo!”
ghignò.
I
due stavano tornando dal Pavillion
Theatre, dove avevano assistito alla soirée della commedia Sogno di una notte di mezza estate.
“Spiritoso”
sbuffò la moglie “Shakespeare non è proprio il tuo genere…”
“Beh,
un filmetto con Laurel & Hardy[3] m’avrebbe
certo coinvolto di più!”
“Non
ne dubito” commentò Flanny, con un pizzico d’acredine “bella figura m’hai fatto
fare, con la mia collega!”
Andy
allargò le braccia: “Hai ragione, perdonami… ma mettiti al mio posto: sono sveglio
dalle quattro del mattino, reduce da un volo di sei ore da Norwich a Saint Nazaire
e ritorno. Rincaso alle sette di sera, ancora rintronato dai contraccolpi della
flak e tu, senza neanche darmi il
tempo per una doccia, mi spari su due piedi che la nostra amica ci ha invitato a
vedere quel polpettone, dove recita il suo famoso prim’attore, con successivo
ricevimento al Savoy! Capisco il suo
entusiasmo da prima fan, ma non era meglio una tranquilla cenetta fra amici?
Conosco un posticino a Soho, che…”
“Ho
presente” lo fermò la consorte con un cenno eloquente della mano “ma Candy non
è il tipo da frequentare quel genere di posticini…”
“Scommetto
che il suo bello invece sì!”
Flanny
Greason s’arrestò di colpo, tornando a girarsi di fronte al marito e stringendogli
le spalle: “Ora ascoltami bene: lo so che gli inglesi non ti sono eccessivamente
simpatici[4]… e capisco
che io e Candy non t’abbiamo alleggerito la giornata. Ma lo sai com’e fatta e
quanto ci teneva… perciò ti prego: fa’ uno sforzo e comportati soprattutto da quel
gentiluomo che sei in realtà!”
Quando
la moglie lo guardava con quegli occhi, al contempo severi e amorevoli, Andy
Greason non poteva più discutere, per cui abbozzò un sorriso: “Ma certo, amore.
Ci mancherebbe!”
“Bravo!”
replicò lei, schioccandogli un bacetto a fior di labbra.
Entrati
nel salone principale si fecero strada fra i tavoli volgendo lo sguardo verso i
commensali e le coppie che danzavano sulle note di Night and Day, una celebre canzone di Cole Porter, discretamente
interpretata dall’orchestra dell’hotel.
“Eccola
là…!” disse la donna.
Andy
diresse la sua vista acuta nella direzione indicata, non tardando a scorgere la
loro amica. Giunti al suo tavolo, i coniugi ne notarono subito l’espressione poco
allegra.
“Siamo
qui!” si annunciò Flanny.
“Come
mai tutta sola?” le chiese invece il marito.
La
ragazza abbozzò un malinconico sorriso: “Terry ha dovuto trattenersi in teatro
per parlare col signor Hattaway e la cosa stava andando per le lunghe. Ho preferito
venirvi incontro per non farvi preoccupare.”
“Sei
stata gentile, cara, ma non ce n’era bisogno.” le rispose la collega con la
coda di cavallo.
“Vero”
aggiunse l’asso “e poi trovo assai imprudente, da parte tua, lasciarlo in balia
delle ammiratrici!”
“Tesoro”
intervenne la consorte, rifilandogli una gomitata nel fianco “che ne dici di
sederci a bere qualcosa, mentre lo aspettiamo?”
“Ottima
idea…!” rispose lui, mascherando il dolore con una smorfia. Accomodatosi,
attirò l’attenzione d’un cameriere e ordinò - suo malgrado - uno scotch allungato per lui e due spremute
d’arancia per le signore. Quando vennero serviti, Andy alzò il bicchiere e
propose un brindisi per rimediare alla gaffe precedente: “Bene… al nostro
superbo attore e alla sua luminosa carriera. E, naturalmente, anche alla sua musa
ispiratrice!” concluse guardando la bionda.
“Grazie
di cuore” rispose lei, sorridendo dolcemente “v’è piaciuta la commedia?”
“Molto”
s’affrettò a rispondere Flanny, premendo leggermente il piede destro su quello
sinistro del marito “era la prima volta che potevo assistere ad un classico e
l’esperienza è stata del tutto positiva. Il talento del tuo fidanzato, poi, è senz’altro
all’altezza della fama!”
Ringraziando
nuovamente l’amica con un cenno del capo, Candy guardò allora il suo quasi
omonimo: “E tu, Andy, cosa mi dici? Sei riuscito a capirci qualcosa, fra un
sonnellino e l’altro?” gli chiese, con affettuosa ironia.
“Beh,
ecco…” rispose lui, trastullandosi la cravatta “…se devo essere proprio
sincero… pur ammirando la bravura del tuo attore, devo confessarti di non
essere riuscito a capirci un granché… sai, io ed i classici non siamo mai
andati molto d’accordo!” concluse con un sorrisetto imbarazzato.
“Effettivamente” confermò la sua compagna, con malizia
“la tua antologia giovanile era limitata ai fumetti e ai romanzi d’avventure, se
non erro.”
“Non nego che Verne fosse più presente di Shakespeare,
nella mia biblioteca” rispose lui, di rimando, leggermente piccato “d’altra
parte i suoi romanzi futuristici hanno contribuito non poco a istillarmi la
passione per la tecnica e l’aeronautica in particolare!”
“Sta’ tranquillo, Andy” intervenne la bionda, col suo eterno
istinto pacificatorio “è giusto che ognuno segua le proprie inclinazioni. Ho
sempre ammirato le persone che svolgono con passione il loro lavoro, come tu e
Terry… per non parlare della mia prima maestra!” terminò guardando la signora
Greason.
“Sei troppo buona, Candy. Te lo dico sempre di non
esagerare!” scherzò lei.
“A Cesare quel che è di Cesare” rispose lei,
strizzando l’occhio “peccato, però, che tuo marito fosse così spossato: alcune
scene di quell’opera sono davvero affascinanti. Anche il personaggio di Ermia è
magistralmente interpretato.”
“È vero” ammise Andy, senza troppo pensarci “la
presenza di quell’attrice è davvero notevole. Com’è che si chiama? Karen Kleis,
mi pare…”
“Figurati se non eri sveglio, quando recitava lei”
saltò su la moglie “sempre il solito!”
“E tu sempre a lamentarti” ridacchiò lui “pensa alla
povera Candy, piuttosto: almeno io
non ci recito accanto!”
“Pfui… Candy non ha bisogno di preoccuparsi, perché
Terence Granchester è sicuramente più serio di te! Vero, cara?”
“Non posso lamentarmi…!” rispose l’interessata, con lieve
accento strascicato.
“Ehi, hanno attaccato con Polvere di Stelle…” Andy si alzò e tese la mano alla moglie “…balliamo?”
“T’è già passata la stanchezza? Prima, per poco non
cascavi per terra!”
“Beh, ma è una delle nostre canzoni preferite…” tentò
goffamente di rimediare “…non ti va?”
Lei scosse la testa: “Scusami, amore, ma ho ancora i
piedi che fumano: sono stata in corsia per tutta la mattina e in sala
operatoria per l’intero pomeriggio. Tu, almeno, in carlinga, puoi startene
seduto!”
“Spiritosona! Vuoi far cambio, per caso?”
“Scherzi? Ci tengo ai miei pazienti!”
“Va bene, come non detto” sospirò il maggiore. Poi, incrociando
lo sguardo con Candy, si ritrovò improvvisamente a chiederle “posso…?”
La bionda spalancò gli occhi, per poi guardare la
mora: “Mah…” titubò “…se a Flanny non dispiace…”
Quest’ultima la guardò con aria strana, poi abbozzò:
“Ma sì, fallo contento. Almeno la smetterà di sparare sciocchezze!”
L’infermiera dai codini dorati porse allora galantemente
la mano all’aitante ufficiale dell’USAAF,
che, con un sorriso amabile, la condusse alla pista da ballo. Qui giunti, la
giovane abbozzò un lieve inchino al suo accompagnatore, che la cinse
gentilmente in vita, ponendole l’altra mano sulla spalla. I due amici, forse
suggestionati dalla dolce melodia di Carmichael, si rilassarono completamente
dopo una dura giornata di lavoro.
Quasi senza rendersene conto, Candy appoggio lentamente
il mento sulla spalla del pilota… era strano, ma la stretta vicinanza
dell’amico le infondeva la medesima sensazione che avvertiva in compagnia del
suo caro “zio adottivo” o quella che, in passato, aveva provato vivendo assieme
al suo primo ragazzo (nipote dello stesso William Andrew) tragicamente perito durante
una battuta di caccia alla volpe.
Anche il nostro asso percepiva una gradevole sensazione
di tranquillità emanare da quella formidabile ragazza, così diversa nel carattere
dalla sua compagna, ma così affine per tenacia e per generosità. Seduta al
tavolo, Flanny Greason li guardava ballare quel lento candidamente abbracciati,
senza che alcun pensiero negativo le passasse per la mente (a parte augurarsi
che l’orchestra non si mettesse a suonare Cheek
to Cheek).
Non era ingenuità, la sua, ma soltanto una ferma
consapevolezza. Flanny non aveva dubbi su chi fosse, anche in quel momento, la
persona posta al centro dei pensieri del marito.
***
Non la pensava però esattamente così un prestante
giovanotto dal volto fiero e dalla folta chioma castana, che proprio in quell’istante
stava entrando nel salone assieme a una bella giovane dai lunghi capelli rossi
e un distinto signore di mezza età. Tutto si aspettava di vedere, a quel
“ricevimento da imboscati”, tranne la donna della sua vita intenta a ballare
fra le braccia di uno sconosciuto!
“Scusatemi un attimo…” disse ai suoi accompagnatori,
la collega Karen Kleis, prim’attrice della Compagnia
Stratford e Robert Hattaway, direttore della medesima. Quindi, coi pugni ben
chiusi, si diresse deciso verso quella coppia singolare.
Proprio mentre i due ballerini si stavano lasciando
cullare dalla musica, sognando entrambi di trovarsi fra le braccia della reciproca
persona amata, l’ufficiale americano si sentì picchiettare bruscamente la punta
di un indice sulla spalla…
“Le dispiace se gliela rubo?”
La coppia smise immediatamente di danzare, prestando
attenzione al nuovo arrivato.
*Terry…!!!* avrebbe voluto gridare l’apparente
“reproba”… ma la voce le morì purtroppoin gola
e il gesto di portarsi la mano alle labbra fu interpretato dal suo gelosissimo
compagno come la conferma che ci fosse in effetti qualcosa di losco.
Anche un “uomo di mondo” come Andy Greason avrebbe saputo
certamente gestire la situazione, se solo le circostanze fossero state leggermente
migliori. Ma lo sguardo duramente ostile di quel bel giovane lo scombussolò, stimolando
malauguratamente la sua parte reattiva, sviluppata in decine di combattimenti
aerei.
“Sì, mi dispiace!” rispose infatti con voce secca e
definitiva.
L’attore alzò il busto facendo un profondo respiro:
“Beh, temo che dovrà passarci sopra, se non vuole ritrovarsi col sedere per
terra!”
“Terry, ti prego! Lascia che…” tentò la bionda.
Con un cenno della mano e un mezzo sorriso, l’asso
zittì la sua partner occasionale e squadrò dritto negli occhi quell’importuno:
“Il mio sedere resterà dov’è, amico. Sarà invece il suo muso da figurino a fare
una brutta fine, se non chiederà immediatamente scusa alla mia accompagnatrice
per la sua insolenza!”
“No, Andy, aspetta!!” tornò a intervenire Candy,
disperata.
Un ghigno beffardo spuntò sul volto del famoso
interprete shakespeariano: “Ah, insolente io? Un giudizio davvero singolare,
per venire da uno yankee!”
“Per favore, Terence…!”
L’attore aveva messo nella voce tutto il disprezzò che
poteva esprimere, ignorando del tutto il fatto che il titolo che aveva utilizzato,
rappresentava per l’asso un complimento![5]
“Ha qualcosa da ridire sugli yankies?” lo incalzò infatti
Andy con palese aria di sfida.
“Non mi basterebbe la nottata intera per elencarle i
motivi per cui mi state sulle scatole. Non ultimo, il vizio di fare sempre i
galletti con le donne altrui!”
“Smettila, Terry: non è come credi!” insistette ancora
la povera collega di Flanny, talmente spiazzata da quell’assurda situazione, da
non riuscire nemmeno a tirar fuori la sua ben nota grinta.
“Buona, tu” le rispose il suo promesso “me la vedo io
con questo bellimbusto gallonato!”
“Donne altrui?”
replicò con sarcasmo il bellimbusto “Questa poi… guardi che la signorina qui
presente è una mia connazionale!”
“Ah, davvero?” ribatté l’inglese, leggermente divertito
da quel duello in punta di forchetta “Ma guarda quant’è piccolo il mondo. Perché
si da il caso che sia anche la mia
fidanzata!”
Candy arrossì abbassando il capo, pronta ad assistere
all’imbarazzo dell’amico e a scusarsi di conseguenza. Ma la reazione del
maggiore non fu esattamente quella prevista: “Ah, sì? Mi spiace, compare, ma il
trucco è vecchio. Ora decolla, prima che perda la pazienza!”
“Sarai tu a decollare!!” rispose veemente l’attore,
che l’aveva già persa di colpo.
“Terence, no…!!”
L’inglese sferrò un potente diretto all’avversario…
che quest’ultimo, inaspettatamente, riuscì a bloccare con il palmo della mano![6]
“Troppo lento, amico” ghignò lui “è questo il guaio di
voi limey: siete lenti. Ecco perché avete sempre bisogno di noi per togliervi
le castagne dal fuoco!”
“Castagne?” ghignò Terry a sua volta “Come questa?” chiese, ironicamente, mollando
al rivale un fulmineo upper-cut con la sinistra.
Come aveva profetizzato il talentuoso attore,
l’altrettanto celebre asso finì effettivamente col sedere per terra… non senza
aver prima travolto un povero cameriere sessantenne, il cui vassoio si rovesciò
inesorabile coi bicchieri e i cocktail che trasportava, i cui liquidi contenutivi
andarono direttamente a impreziosire lo smoking di Robert Hattaway e l’abito da
sera di Karen Kleis!
“Vi detesto, voi yankee” esclamò Terence Grenchester,
incurante del brusio proveniente dalla stupefatta folla di spettatori, fra i
quali alcuni reporter che avevano già iniziato a far scattare i flash “la
vostra rozzezza, il vostro cinico pragmatismo, la vostra sicurezza d’arricchiti,
la vostra arrogante presunzione d’essere sempre
nel giusto…”
“Abbiamo anche un altro difetto…” lo interruppe Andy
guardandolo torvo, mentre si strusciava il dorso della mano sul mento,
alzandosi lentamente.
“Sarò lieto di conoscere anche quello!”
“…non la facciamo mai
passare liscia!!” e, con mossa repentina, sferrò un potente destro allo stomaco
di Terence, per poi restituirgli l’upper-cut di poco prima. L’attore sarebbe
certamente finito piatto sul marmo del salone, se non avesse incontrato il
tavolo del buffet, che per lo scossone ricevuto fece rovesciare caraffe e
bottiglie sovrastanti, con discreto disappunto dei convenuti che stavano servendosi
lungo il lato opposto, futuri prossimi clienti delle premiate lavanderie
londinesi.
“Terry…!!!” gridò Candy, del tutto sgomenta.
“Niente male…” commentò il fidanzato, ansimando “…ora,
però, facciamo sul serio!”
“Quando vuoi, limey” rispose lo yankee, mettendosi in
guardia “io sono qua!”
“Adesso basta!!”
A quel tono bifonico, secco e autoritario, i due
contendenti s’irrigidirono, scrutando smarriti le loro signore, che li
fissavano con uno sguardo di ghiaccio. Posando ciascuna la mano sulla spalla
del proprio “discolaccio” (e scacciando a fatica la tentazione di prenderli per
le orecchie) le due infermiere li spinsero l’uno di fronte all’altro.
“E adesso datevi la mano!” ordinò loro Candy.
“E presentatevi!” aggiunse Flanny, che aveva già
compreso com’erano andate le cose.
Cercando di darsi un contegno, attore e pilota si
guardarono un poco di sbieco, lasciando comunque trasparire una leggera parvenza
di reciproco rispetto.
“Un’ottima impostazione, limey” disse l’ufficiale
dell’USAAF “faresti furore, sul
ring!”
“Anche tu sei sprecato, in quell’uniforme, yank”
ribatté asciuttamente l’altro “con chi ho l’onore di essermi battuto?”
“Maggiore Andrew Steve Greason, sir… aviazione dell’esercito.”
Grenchester spalancò gli occhi: “Onore doppio, allora:
se ti batti in cielo come quaggiù, compiango di cuore i poveri jerries!”[7]
“Lusingato” sorrise Andy “restando in argomento, posso
conoscere il nome del primo avversario che mi ha sbattuto giù?”[8]
“Terence Graham Grenchester, compagnia teatrale Stratford.”
L’americano sobbalzò a sua volta: “È davvero una
serata di sorprese… qua la zampa, limey!”
“Con piacere, yankee!”
Lo sguardo soddisfatto che intercorse fra Candy White
Andrew e Flanny Hamilton Greason, condito dagli applausi di tutti i presenti
nel grande salone del Savoy, venne
bruscamente interrotto da un forte e sinistro scrocchiare, seguito da un grido
di dolore da parte dei due riappacificati gentlemen… i quali, evidentemente (e
fors’anche inconsciamente) avevano voluto prendersi un’ultima rivincita. Se però
la “stretta yankee” dell’asso era giustamente rinomata, non lo era da meno quella
dell’attore shakespeariano!
E siccome, dopo qualche ora, una preoccupante emicrania
era subentrata in entrambi al dolore della mano, quei due capoccioni dovettero
passare la nottata in ospedale per essere sottoposti a osservazioni mediche che
li tennero ricoverati fino al pomeriggio successivo. Superfluo aggiungere che
le due passate compagne di stanza della Scuola
Mary Jane dovettero sudare i proverbiali sette camici per tenere a bada le
loro colleghe (Natalie, Eleonor e soprattutto Judith) rimaste completamente
rimbambite dalla contemporanea presenza dei loro due “idoli”…![9]
***
Due anni dopo quell’increscioso “incidente diplomatico”
fra le due principali nazioni alleate nella lotta contro il nazismo,[10]
l’albionico protagonista di quell’avvenimento stava trascorrendo un breve
periodo di vacanza nel castello di famiglia, situato nella Contea scozzese di
Perthshire. I suoi genitori si erano trasferiti lì da quando la madre,
l’attrice Eleanor Baker, aveva abbandonato le scene per sposare l’ex amante.
Il Duca di Grenchester, dopo un travagliato duello con
la sua coscienza, aveva finalmente chiesto e ottenuto il divorzio dalla sua
legittima consorte (un’acida contessa che l’aveva “accalappiato” per puro prestigio
sociale), incoraggiato nella sua decisione dalla mossa di Edoardo VII, che
aveva rinunciato al trono di Gran Bretagna nel 1936 per unirsi a Wallis
Simpson. Cosicché, il figlio naturale di Richard Grenchester, l’ormai affermato
talento di Broadway, aveva recuperato il titolo di primogenito, assieme al
diritto di successione nobiliare.
Tutto questo non era comunque bastato a eliminare completamente
la vecchia ruggine con il duca per averlo separato dalla madre quando suo nonno
aveva richiamato severamente in Patria il figlio Richard, minacciando di
ripudiarlo per il suo libertinaggio con un’attrice americana.
Una
delle ragioni dietro al risentimento di Terence verso gli Stati Uniti stava proprio
nell’impotenza delle autorità americane nel non avere allora difeso i diritti
della madre. Purtroppo, come aveva spiegato alla povera signora Baker un
desolato funzionario del Dipartimento di Stato, essendo il suo bambino
registrato all’anagrafe come figlio di un suddito britannico e avendo
abbandonato il territorio federale prima del 5° anno di età, non poteva
essergli concessa la cittadinanza, pur essendo nato sul suolo americano. In
caso contrario, una volta accertato l’effettivo “sequestro”, la Guardia Costiera avrebbe senz’altro
abbordato il transatlantico del duca, prima che potesse lasciare le acque
territoriali![11]
“Sei
ancora alzato, tesoro?”
Il
giovane attore si riscosse a quella calda voce, alzando gli occhi dal libro che
leggeva: “Come vedi…”
L’ancora
affascinante quarantacinquenne gli carezzò delicatamente la testa. Suo figlio
non gradiva eccessivamente quelle “moine da moccioso”, ma lei sapeva che le
avrebbe giustamente tollerate, dopo che per anni non le aveva nemmeno permesso
di toccarlo con un dito.
“Non
riuscivi a dormire?”
“Già…”
rispose Terence, laconico.
Eleanor
sospirò: “Io e tuo padre speravamo tanto che potessi portare anche Candy. Lo
sai che adesso è come una figlia, per noi.”
Lui
mostrò un sorriso agrodolce: “Lo sa anche lei e vi ringrazia. Purtroppo
all’ospedale di Newhaven c’era troppo lavoro perché le accordassero una
licenza.”
La
madre lo baciò fra i capelli: “Sei stato un tesoro a venire ugualmente fin
quassù.”
“Beh… non è che, per me, voi due non contiate proprio nulla!”
“Grazie, caro… e ringrazia per noi anche Candy, quanto
la rivedrai.”
“Non mancherò.” rispose, asciutto, per poi dirsi *Come
se avessi potuto restare a Londra senza che non mi spingesse sul treno a calcioni!*
Scuotendo la testa, tentò di riprendere la lettura, ma
stavolta fu la voce del duca in persona a interromperlo nuovamente: “Ah, siete
ancora in piedi, vedo… meglio così.”
“Che succede, caro?” domandò Eleanor, sorpresa dall’improvvisa
comparsa del marito.
“Abbiamo visite. E cercano nostro figlio.”
L’interessato corrugò la fronte, stupito soprattutto nel
vedere uno sconosciuto, alle spalle del padre, che indossava l’uniforme di
capitano della Royal Air Force.
“Lei è il signor Terence Grenchester?” s’informò
costui.
“In persona” rispose l’attore, alzandosi e facendo
qualche passo verso il militare “in cosa posso esserle utile?” domandò in tono fermo,
quanto cortese.
L’aviatore salutò: “Capitano James Pearson, del
Comando Caccia. Devo pregarla di seguirmi immediatamente al campo di Redgorton.
Un Mosquito[12] sta
aspettando sulla pista per condurla alla base americana di Grant Field, presso Newhaven. È un caso di emergenza!”
La bocca dell’attore si curvò in un sorriso scettico:
“Non mi dica che sono stato scritturato dal circolo ricreativo della Decima Air Force: pensavo che il livello
culturale degli ex coloni si fosse fermato alle Silly Simphonies[13]
della Disney!”
“Per favore, figliolo” lo redarguì la madre “cerca di
non essere scortese!”
L’aviatore della RAF,
capendo subito con chi aveva a che fare, imitò il sorriso sardonico dell’interlocutore:
“In confidenza, signor Grenchester, gli yankies non piacciono molto neppure a
me. Ma si ricordi che sono gli unici che abbiamo[14] e
che, senza di loro, noi e i sovietici staremmo probabilmente lustrando gli
stivali ai tedeschi da tre anni a questa parte! Se lei non si presenta entro
qualche ora all’ospedale St.Mary di
Newhaven, il generale Andrew Steve Greason morirà dissanguato o, in alternativa,
dovranno amputargli le gambe per sopravvenuta cancrena. È rimasto gravemente ferito
in azione e, senza una trasfusione, non possono operarlo. Un’infermiera
dell’ospedale ha riferito all’ufficiale medico della Decima che il rarissimo
gruppo sanguigno del generale è fortuitamente identico al suo. Sappia inoltre
che, un paio d’anni fa, stavo per essere abbattuto sopra Dieppe, quando
comparve provvidenzialmente quello yankee strepitoso, che piombò sui tre
dannati jerries che mi stavano alle costole, spazzandoli via uno dopo l’altro. In
conclusione l’avverto che, se entro dieci secondi non mi seguirà spontaneamente,
provvederò io stesso a convincerla nel modo più efficace” detto ciò, Pearson
alzò il braccio sinistro per fissare il suo cronografo “comincio a contare…”
Considerando che l’infermiera succitata era senza
dubbio la sua Candy, che lei stessa non lo avrebbe guardato più in faccia se
non fosse accorso ad aiutare il marito della sua mentrice, che si trattava di
salvare la ghirba allo “yankee meno buzzurro del pianeta” e soprattutto che
l’ufficiale della RAF era un
individuo discretamente piantato, Terence Graham Grenchester si decise di buon
grado a fare la cosa più giusta.
“Bene… dal momento che il generale ha contribuito a impedire
che i nazisti mi costringessero a recitare le opere di quel pazzoide di Wagner
in qualche fumosa bettola di Berlino[15] e
che ha pure salvato la pelle ad un mio connazionale… andiamo pure, capitano.
Mamma e papà, se volete scusarmi…”
“Vai, caro” annuì con enfasi la madre “fai presto…!”
“Guarda il lato positivo, figliolo” aggiunse il duca,
con fare ironico, tenendo le mani nelle tasche della veste da camera “da domani
ti potrai vantare di essere anche il fratello di sangue del migliore pilota
alleato!”
Il suo erede stette al gioco: “Così potrò forse riprendermi
qualcuna delle ammiratrici che mi ha soffiato. Sto già impazzendo dalla gioia. Beh,
arrivederci…!”
“Mi raccomando, Terry” disse Eleanor “mettici al
corrente appena possibile.”
“Tranquilla, mamma” rispose il figlio alzando le spalle
con noncuranza “il cuginetto se la
caverà. Ha la pelle dura, lui…!”
[1]La prima parte di questo capitolo si colloca
cronologicamente subito dopo il decimo: siamo nel 1942 e il nostro asso, al
comando del 444° Gruppo Caccia della Ottava
Air Force, porta ancora il grado di maggiore.
[2]Uno dei più facoltosi alberghi della capitale britannica.
[3]Più noti in Italia come Stanlio
& Ollio (piacevano anche a Mussolini).
[4]La leggera anglofobia di Andy derivava più che altro
dalla conoscenza col maresciallo Bernard Law Montgomery, il famoso comandante
dell’Ottava Armata britannica, a sua volta scarso estimatore degli americani.
Il loro rapporto era cominciato male fin dall’inizio: durante una conferenza
interalleata al Cairo, Montgomery aveva liquidato una pertinente osservazione
di Eisenhower, puntualizzando che la Gran
Bretagna era già una grande potenza navale quando l’America
era ancora popolata da “selvaggi ignudi”. Il nostro asso, presente alla
riunione, aveva ribattuto: “Adesso che ci siamo vestiti, forse potremo darvi
una mano!” e, per poco, non era scoppiato un putiferio.
[5]Il sostantivo yankee
era stato inventato dai britannici durante la Guerra d’Indipendenza americana (1775-1783) per
indicare spregiativamente i coloni che avevano voluto ribellarsi alla
madrepatria. Tornò in auge durante la
Guerra di Secessione (1861-1865) come titolo rivolto agli
unionisti da parte dei confederati. Andrew Steve Greason, fiero discendente di
un Padre Pellegrino e poi di un combattente al seguito di Washington, se lo era
invece scelto come nome di battaglia, battezzandoci, come sappiamo - persino il
suo apparecchio da caccia.
[6]Quando poi, calmate le acque, Terry chiese al suo nuovo
amico se facesse sollevamento persi, lui rispose con candore: “No, faccio
sollevamento caccia!” Allora i comandi manuali dei velivoli non disponevano di
servocomandi e i muscoli dei piloti, a lungo andare, si sviluppavano
facilmente.
[7]Jerry è il nomignolo dato in guerra ai Tedeschi dagli Inglesi.
[8]Ovviamente l’accidentale duello con Schultz von Heindrich doveva ancora
avvenire.
[9]Questo passaggio è dedicato a Zucchero
Filato per il suo commento al15°
capitolo.
[10]Si dice che l’allora maggiore Greason si fosse offerto
volontario per il teatro operativo del Mediterraneo anche per placare il
disappunto del suo comandante supremo, generale Arnold!
[11]Sono stato male anch’io nel vedere quella scena col
piccolo Terence sulla nave che domandava chi fosse “quella signora” e il padre
che gli diceva di andare in cabina. Quel bastardo d’un inglese…! (voce di Andy)
[12]Il De Havilland
Mosquito, detto anche wooden wonder
(meraviglia di legno) è stato un famosissimo aereo militare degli anni
Quaranta. Interamente costruito in legno, ha svolto una molteplice varietà di
ruoli: caccia diurna e notturna, ricognizione, attacco al suolo, bombardamento
in quota, cercatore di bersagli. I primi esemplari erano disarmati, dal momento
che la loro velocità di 611
Km/h li rendeva inintercettabili, specialmente di notte,
dai coevi caccia tedeschi.
[13]Le strisce dei comics
(fumetti) stampate sui maggiori quotidiani statunitensi.
[14]Questa frase la pronunciò anche il cancelliere Helmut
Schmidt negli anni cinquanta: “Gli americani sono quello che sono, ma sono gli
unici americani che abbiamo!”
[15]Beh, forse, considerato il suo talento, gli avrebbero concesso il Teatro
dell’Opera!
erence
Granchester gettò annoiato il numero di Time
che stava provando a leggere per ammazzare quell’attesa tormentosa. Niente da
fare, non c’era verso di concentrarsi. Sarebbe stato meglio se avesse dato
retta a Candy, che dopo avergli somministrato due compresse di ferro per compensare
il prelievo della trasfusione, gli aveva calorosamente
consigliato di prendersi qualche ora di sonno. Già, come se il bell’attore
avesse potuto tranquillamente appisolarsi in una circostanza di quel genere,
tale da ricordargli il terribile incidente occorso in passato alla collega ed amica Susanna Marlowe. Era davvero
angosciante pensare che potesse finire in modo analogo!
Finalmente
le porte della corsia si spalancarono, rivelando un gruppo di sanitari che
accompagnava un letto a rotelle dove stava disteso un paziente ancora sotto
anestesia. L’aspetto del pilota contrastava fortemente con la foto che Terence
aveva visto prima sul periodico, sopra il titolo L’Aquila Americana conquista la sua centesima vittoria… nondimeno il
talentuoso interprete shakespeariano si sentì molto più leggero quando la sagoma
del lenzuolo che lo ricopriva rivelò che le sue gambe erano entrambe ancora al
loro posto!
L’infermiera bruna dalla coda di cavallo presente
nell’equipe s’affrettò a infilare l’ago di una flebo nel braccio destro
dell’aviatore e subito dopo si voltò verso il chirurgo.
“Adesso lasciamolo riposare” disse questi, dopo
avere annotato qualcosa sulla cartella clinica “e lei, signora Greason, cerchi
di fare altrettanto.”
“Ma, dottore” cominciò la donna, con voce tremula “lei
ritiene che…”
“Abbia fiducia” rispose il dottor Waxman posandole
la mano sulla spalla “abbiamo fatto tutto il possibile. Suo marito è un individuo
robusto e vi sono ottime probabilità che le facoltà motorie si ripristino integralmente.
Fra qualche giorno ne sapremo di più.”
“Grazie…!”
Mentre il medico si ritirava, l’infermiera tornò ad
accostarsi al letto. Dolcemente accarezzò i capelli del paziente, quindi gli
prese con delicatezza il braccio libero dalla flebo, ne appoggiò la mano al
proprio grembo e disse: “Dai, piccolino: fa’ il tifo a papà…!” poi,
all’improvviso, la povera donna non ce la fece più: riportò la mano al volto e scoppiò
in un pianto dirotto.
Alla fine era successo davvero: aveva avuto il proprio uomo sotto i ferri!
Un’esperienza che aveva da sempre temuto come la peggiore della sua vita, pur
augurandosi di poterla affrontare nella malaugurata ipotesi che un giorno fosse
stato necessario.[1]
Nessuno aveva cercato di dissuadere la signora
Greason dal partecipare all’operazione. E quando il dottor Waxman aveva detto:
“Ora diamoci da fare, se vogliamo salvargli le gambe!” le colleghe di Flanny,
al tempo sue ex condiscepole, l’avevano fissata con ansia. Per fortuna l’abitudine
della loro mentrice ad assistere qualunque chirurgo come se questi operasse il proprio
uomo era stato un egregio allenamento, fin dai tempi di Pearl Harbor:[2]
non un tremito, non un sussulto, né la minima esitazione avevano pregiudicato l’efficienza
della migliore allieva della Mary Jane
Nursery Training School e le sue quattro compagne si erano dimostrate pienamente
alla sua altezza.
Alla fine il bisogno di scaricare la tensione si era
però fatto insopprimibile e le spalle di Flanny continuavano ad essere scosse
da singhiozzi disperati.
Una sua collega dalla chioma bionda, acconciata con
due codini vistosi, l’abbracciò subito da dietro: “Su, Flanny…” sussurrò “…non
fare così: hai sentito cos’ha detto il dottor Waxman? Andy è forte… se la caverà,
vedrai!”
La moglie dell’interessato strinse convulsamente una
delle mani dell’amica che la cingevano alla cintura: “Sì, ma…” balbettò “…se lui
non potrà… più volare… che cosa farà?!”
La deliziosa boccuccia di Candy rimase semiaperta.
Avrebbe voluto rispondere senza mezzi termini che una simile eventualità
l’avrebbe riempita di gioia, specialmente se si fosse trovata al suo posto! Ma
la sua bontà proverbiale sopravvenne, ricordando soprattutto una conversazione
che aveva avuto tempo prima con Terence…
“Sai, Candy… seguire la propria vocazione nella vita
è certamente meraviglioso. Ma comporta un prezzo molto alto!”
“Quale prezzo, Terence?” gli aveva chiesto lei.
“Quello di morire due volte, mia cara. La prima
quando si lascia la propria attività e la seconda quando si smette di vivere. Purtroppo,
quando fai ciò che senti veramente,
finisci per averne bisogno più dell’aria che respiri, anche negli aspetti
negativi: il biasimo dei critici nel caso mio, il pericolo dell’azione nel caso
di Andy!”
Nondimeno la coscienza professionale di Candy non
poteva consentirle di trasmettere false speranze alla collega: “Non temere, cara:
io sono sicura che Andy troverà sempre il suo scopo nella vita, specialmente
con una compagna come te. Anche se dovesse smettere di…”
“No!” disse una voce, in tono secco.
Le due donne si voltarono. Terence Granchester era
di fronte a loro, il viso altero ma con le labbra sorridenti. E prima che la
fidanzata gli potesse dire il fatto suo, si rivolse direttamente alla sua amica:
“Andy volerà di nuovo, Flanny. Te lo assicuro io!”
“Ma Terry…!” protestò la bionda.
“Come ha detto il dottore, il nostro amico è robusto”
continuò l’attore “ma, soprattutto, ha una volontà d’acciaio. Non sarà questo
contrattempo a compromettergli la carriera.”
“La fai sempre molto semplice, tu!” commentò Candy,
rimproverandolo cogli occhi.
“Senti, tesoro: Andy potrebbe pilotare anche con due
protesi, come quel suo collega, mio connazionale.[3]
Anche Susanna è tornata sul palcoscenico, con la sua gamba artificiale. E tu
credi che l’aquila americana si
faccia fermare da qualche scheggietta?”
*Qualche decina
di scheggette, per essere esatti!*
replicò amaramente la bionda, fra sé e sé. Ma disse poi a Flanny: “Beh, lo hai
sentito? Anch’io sono convinta che ce la farà… vedrai, il tuo aquilotto tornerà
a volare!”
“Che Iddio vi ascolti, amici” rispose Flanny,
asciugandosi le lacrime, per tendere poi la mano al compagno di Candy “e grazie
di tutto, Terry…!!”
“Oh, è stato un piacere” rispose lui, stringendogliela
con noncuranza “speriamo solo, prima o poi, di rivederci in circostanze più
tranquille!”
Alla signora Greason s’imporporarono le guance: “Mi
dispiace… per quella volta…”[4]
“Acqua passata” rispose lui, strizzando l’occhio per
poi volgersi verso l’asso addormentato “alla prossima, cuginetto… e stammi
bene!”
Poco dopo, mentre lo accompagnava fuori, Candy volle
togliersi un sassolino dalla scarpa…
“Me la spieghi una cosa, Terry?”
“Parla, tesoro.”
“Perché chiami Andy sempre cugino? Va bene che, da quando siamo in guerra, noi anglo-americani
ci diciamo sempre così, ma tu non sei esattamente il tipo da seguire certe
consuetudini!”
“E infatti non lo sono” alzò le spalle Terence “ma
si da il caso che - almeno alla lontana - Andrew Steve Greason sia davvero mio
cugino!”
“Cosa…?!” la giovane si arrestò di colpo “Ma parli
sul serio?”
“T’ho mai preso in giro?” domandò lui, in tono
semiserio.
“Questo non lo so” rispose Candy mettendo le mani
sui fianchi “ma so per certo che spesso mi nascondi qualcosa!”
“Nulla che tu mi abbia mai chiesto.” obiettò
l’amico, ostentando la flemma più britannica.
“Bene, stavolta te lo chiederò”[5]
ribatté con veemenza la sua ragazza “spiegami se è proprio un caso che tu e il marito di Flanny avete
nelle vene lo stesso tipo di sanguerarissimo!”
“Ok” sospirò rassegnato l’attore “che ne dici però
di parlarne con le gambe sotto un tavolo? Mi reggo appena in piedi!”
“E non te l’avevo detto di metterti a dormire?”
“Ora lo sai perché non l’ho fatto. Quando smonti?”
“Alle quattro.”
“Allora ci vediamo più tardi. Buon lavoro!”
Ciò detto e salutata l’amica con uno dei suoi
sorrisi “tira-schiaffi”, il bello di Broadway si diresse verso l’uscita del St.Mary, mentre la sua prima ragione di
vita (la seconda era il teatro) lo seguiva scuotendo lentamente i suoi codini
biondi…
***
Scozia, Contea di Perthshire, Settembre 1840…
Nella
cupa atmosfera nordica di un nebbioso mattino autunnale, un’esile figura varcò
furtiva la postierla di un massiccio maniero che si ergeva fieramente nella
brughiera. Coperta nel suo pesante mantello di lana, si avviò quindi a passi veloci
lungo il sentiero che conduceva alla vicina borgata di Pitcairngreen.
Giunta
a destinazione bussò risoluta alla porta di una taverna situata nella piazza
centrale del paese, dove le venne aperto dopo pochi istanti.
“Che
volete, a quest’ora?!” le chiese il padrone con voce burbera, dal momento che
si era appena alzato.
La
persona misteriosa abbassò il cappuccio del mantello rivelando i graziosi
lineamenti d’una giovanetta appena sedicenne. Le gote erano rosse per il freddo
mattutino e i suoi riccioli biondi apparivano spruzzati di rugiada.
“Milady…”
sobbalzò il taverniere, che ben la conosceva, dovendo recarsi periodicamente al
castello per la consegna delle provviste“…che ci fate, voi, qui?!”
“Dovete
aiutarmi, mio buon Angus!”
“Che
posso fare, per voi?” domandò l’altro, timoroso, come colto da un vago presentimento.
“Mi
occorrono un carro e un cavallo” rispose la bella fanciulla “subito!”
“Ma…”
balbettò il poveretto “…così, su due piedi…”
“Vi
prego, Angus” insistette la giovane, afferrandogli la mano libera dalla
lanterna “devo recarmi urgentemente a Glasgow: è questione di vita o di morte!”
“Ma
cosa è successo, milady?” s’informò premurosamente il taverniere.
“Devo
svolgere una faccenda per mio padre. Ha mandato me per non dare nell’occhio: mio
fratello in città lo conoscono in troppi…”
L’oste
la scrutò bene in viso. Quegli occhi azzurri, che parevano aver pianto a lungo,
tendevano a smentire quelle semplici parole.
“Capisco”
sospirò il brav’uomo, rassegnandosi alla vista di futuri guai “va bene, vedrò di
accontentarvi. Voi, nel frattempo, scaldatevi vicino al fuoco.”
“Grazie,
mio buon amico. Sapevo di poter contare su di voi!”
“Servo
vostro, milady. Vi faccio portare qualcosa di caldo?”
“Un
punch sarebbe il benvenuto…”
“Arriva
subito.”
La
taverna di Pitcairngreen era rinomata per i suoi punch, ma la giovane Giuditta,
secondogenita del Duca di Granchester, non poté gustarselo molto, in quella
circostanza. Fra una sorso e l’altro continuava a interrogare il suo orologio,
sempre più inquieta e seccata che l’oste ci mettesse tutto quel tempo. Anche la
luce del giorno, che cresceva sempre più, non era fatta per rilassarla.
Finalmente
il padrone ricomparve: “Il carro è pronto… è nel cortile.” le annunciò, quasi
esitando. Come punta da una vespa, la ragazza si rialzò, andò verso l’uomo e
gli porse un sacchetto di monete: “Grazie, Angus: questi sono per voi.”
“No,
io… non posso accettare!” protestò l’altro, con forte imbarazzo.
“Non
fatevi pregare: vi sarò per sempre grata del vostro concorso. Addio e buona
fortuna!”
“Altrettanto
a voi, milady!” replicò il taverniere, nella cui voce si notava però come un
senso di colpa.
La
giovanetta uscì dal retro del locale per raggiungere il cortile, dove faceva bella
mostra di sé un carro trainato da un cavallo. Quest’ultimo soffiava impaziente,
strisciando uno dei due zoccoli anteriori. Giuditta gli carezzò la criniera, montò
a cassetta e afferrò le redini. Stava per spronare il destriero, quando una
voce proveniente da un recesso del cortile le procurò un tuffo al cuore: “Dove
vuoi andare, sorella?”
La
ragazza si girò per fissare sgomenta la figura comparsa dal nulla: “Arthur…!!”
Il
nominato si avvicinò al carro. La giovanetta era così terrorizzata da non
pensare nemmeno a scuotere le briglie per lanciare il cavallo al galoppo.
“Come
hai fatto a scoprirmi?” domandò, con un filo di voce.
“Angus
è corso al castello per avvertirci.”
Giuditta
annuì amaramente: “Ecco perché ci ha messo tanto, quel disgraziato... miserabile
vigliacco!!”
“Non
essere così severa con lui” obiettò Arthur Granchester, il primogenito del Duca
“ti conosce fin da bambina e voleva solo impedirti di commettere una sciocchezza!”
“O
piuttosto non voleva incorrere nelle ire di nostro padre…!” rettificò Giuditta,
con marcato scetticismo.
“Anche,
forse” specificò il giovane “comunque rassicurati: nostro padre non sa ancora
nulla. Angus ha avvertito solo me.”
“Perciò
provvederai tu a tradirmi, non è vero?” gli chiese la sorella, lanciandogli uno
sguardo di fuoco.
“No…
a patto che tu sia ragionevole.”
La
fanciulla chiuse gli occhi, stringendo la mascella minuta: “Arthur, io non ti
seguirò spontaneamente: dovrai usare la forza per costringermi a rientrare!”
Lui
sospirò: “Se ti comporterai così, Giuditta, non riuscirò a coprirti con nostro
padre!”
“Non
me ne importa niente!!” gridò lei, spaventando il cavallo, che per poco non
s’imbizzarrì. Dopo averne afferrato le redini e carezzatogli la testa per
calmarlo, il giovane Granchester continuò: “Rifletti, sorella: vuoi davvero
ripudiare la tua famiglia per correre dietro a quell’uomo?”
“Non
sarei io a ripudiarvi” precisò Giuditta “sarebbe il Duca a ripudiare me!”
“E
cos’altro potrebbe fare? Il casato dei Granchester ha ricevuto il titolo
nobiliare dalla Corona Britannica: come potrebbe il capo del Clan consentire a
imparentarsi con dei separatisti?”
“Taci”
ribatté la fanciulla, con veemenza “non è forse per questo che i McGreason se
ne vanno? Per non spaccare di più la Contea, dopo che quel maledetto gli ha
messo contro la metà del popolo?!”
“Giuditta”
la richiamò il fratello “stai parlando di nostro
padre!!”
“Io
non ho più un padre…!” dichiarò lei amaramente, abbassando il capo.
“Non
parlare in questo modo: lo sai che ti ha sempre voluto bene.”
“È
inutile che lo difendi, Arthur: non chiamerò più padre un uomo che antepone la politica alla propria figlia,
impedendole di unirsi con l’uomo che ha scelto… costringendo anche una famiglia
per bene ad emigrare in terra straniera!”
“È
stata una loro scelta, Giuditta. Potevano limitarsi a cambiare Contea…”
“Il
Duca non li avrebbe mai lasciati in
pace, se rimanevano in Scozia. E adesso lasciami andare!”
“Non
posso…!” rispose mestamente il giovane, scuotendo la testa.
Giuditta
Grenchester comprese in quel momento che suo fratello non avrebbe mai ceduto.
Era troppo legato a suo padre per consentirle di fargli perdere la faccia: se si
fosse saputo che il Duca di Granchester si era fatto soffiare la figlia dal
primogenito dei McGreason, non soltanto la Contea, ma la Scozia intera avrebbe
riso di lui per decenni, trascinando nel fango il suo blasone. Ma ritornare al
suo castello sarebbe stato per la giovane una vera e propria condanna
all’infelicità perpetua.
Cosicché,
l’ex pupilla del Duca decise di giocare la sua ultima carta: “Ti scongiuro,
fratello mio” lo implorò, con voce piangente “lasciamelo almeno salutare per
l’ultima volta...!”
Arthur
Granchester guardò la sorella minore, il cui dolce visino si stava riempiendo
di lacrime. Contemplò quelle piccole gote, che da bambino aveva tante volte baciato
dopo le loro felici corse per la brughiera e non resistette più…
“E
sia” sentenziò traendo di tasca il suo orologio “affrettiamoci, allora: se non
ricordo male, la nave salpa alle undici!”
***
Ormeggiata
lungo la banchina principale del porto di Glasgow, la Queen of Caledonia si lasciava cullare pigramente dalle onde in
attesa di prendere il largo, mentre l’equipaggio si affrettava a ultimare il
carico. Presso la murata di dritta, un giovane di circa diciott’anni se ne
stava appoggiato al parapetto osservando malinconico gli edifici scuri della
grande città, che già contendeva alla meridionale Liverpool il ruolo di primo
scalo britannico per i traffici con le Americhe. Ciò che però il ragazzo sembrava
osservare più attentamente erano le strade che convergevano sulla gittata, come
se aspettasse qualcuno che doveva anche lui imbarcarsi su quella stessa nave.
All’improvviso
trasalì, sentendo una mano appoggiarsi sulla spalla: “Tutto bene, figliolo…?”
Il
giovane si girò per guardare il volto dell’uomo più anziano: “Certo, padre. E
voi come vi sentite?”
Robert
McGreason sospirò pesantemente: “Come può sentirsi un uomo costretto a lasciare
per sempre la terra natia. Ma le avversità rendono i giusti più forti, Daniel.”
“Già,
quando non li annientano!” replicò il figlio, tornando a voltarsi verso la
banchina.
Suo
padre gli strinse la spalla con più energia: “Nessuno ci annienterà, ragazzo
mio. Tu, tua madre e io stesso, siamo persone forti e risolute. Ricominceremo
da capo e nel Nuovo Mondo troveremo quello che la Scozia non ha voluto concederci:
la pace e la libertà!”
“Speriamolo”
commentò il giovane Daniel “ma trovo ingiusto che siano i miti a doversene
andare, anziché i prepotenti!”
“La
giustizia è merce rara su questa terra, figliolo” ribatté il genitore “a volte
bisogna sacrificarsi per evitare un danno peggiore, di cui la coscienza ci
chiederebbe eternamente conto.”
“Questo
è vero” ammise il ragazzo “non potevamo permettere che l’intera regione
continuasse a vivere nel disordine per i contrasti fra i nostri fiancheggiatori
e quelli del Duca… ma non sopporto il pensiero di avergli dato partita vinta!”
“Col
tempo le cose si aggiusteranno. Un giorno il giovane Arthur prenderà il posto
del padre e saprà governare quella terra con lungimiranza ed onestà.”
“Vorrei
crederlo…!” rispose Daniel, con una smorfia diffidente.
“Tuttavia”
aggiunse il padre, riposandogli la mano sulla spalla “non è solo questo che ti
tormenta, nevvero?”
Il
ragazzo lo guardò bene in viso: “Ti sbagli, padre” ripose, con voce quasi atona
“è soltanto questo…!”
“D’accordo”
sospirò l’altro “io torno da tua madre. L’aria del mattino non fa bene ai miei
reumatismi.”
“A
più tardi, allora…”
Dando
un’ultima pacca alla schiena del figlio, Robert McGreason rientrò sottocoperta.
Naturalmente non aveva creduto affatto alle parole del suo unico erede e non
certo perché lui difettasse in sincerità. In effetti conosceva bene i
sentimenti che albergavano nel cuore del figlio, ma non voleva spargere ulteriore
sale sulle ferite del suo cuore tormentato.
***
“Più
presto, Arthur… più presto!!”
“Stai
calma, Giuditta” rispose il giovane Granchester, incitando il cavallo “fra poco
ci siamo.”
“Se
l’alta marea è in anticipo, anche la nave salperà prima… e non potrò più
rivederlo!!”
“Fidati
di me… stiamo già raggiungendo i sobborghi.”
Il
carro che l’oste di Pitcairngreen aveva procurato loro filava a rotta di collo
lungo la strada maestra, con grande spavento dei rari viandanti e la meraviglia
dei contadini. La secondogenita del Duca si straziava nello sforzo di non mostrarsi
troppo spasmodica, ma le lancette del suo orologio, che ruotavano implacabili
sul quadrante, la pungolavano senza pietà. Finalmente il veicolo fece il suo
ingresso in città e, dopo avere attraversato i quartieri principali, raggiunse
la calata del porto. Purtroppo, mentre si avvicinavano alla banchina, poterono
vedere la Queen of Caledonia che già
stava mollando gli ormeggi, mentre la passerella veniva ritirata.
“Oh,
Signore… è troppo tardi!!” gridò con angoscia la povera Giuditta.
“Mi
dispiace veramente, sorella…!” si rammaricò il giovane Arthur.
Ma
la ragazza non se ne dette per intesa e, dopo essere saltata giù dal carro,
corse velocemente verso il molo, gridando a squarciagola il nome del suo amato:
“Daniel…!!! Daniel…!!!”
Il
fratello maggiore, affrettatosi a raggiungerla, poté scorgere anche lui la
figura d’un uomo che, richiamato dalle grida assieme ad altri passeggeri, era
rimasto pietrificato dalla sorpresa… o forse dalla gioia per l’avverarsi d’una segreta
speranza.
“Giuditta…!”
mormorò il giovane McGreason, con un filo di voce.
Ma
se non furono le orecchie, fu il cuore della fanciulla a percepire chiaramente
quel nome e le braccia della figlia dei Grenchester si tesero verso quel crudele
veliero che le stava rubando il suo promesso: “Ti amo, Daniel… ti amo!!!”
gridò, con tutte le sue forze.
“Anch’io,
Giuditta…” gridò lui, di rimando, a pieni polmoni “…non lasciarmi… non
lasciarmi, ti scongiuro…!!”
Il
giovane McGreason sapeva bene quanto fosse irrazionale quella supplica, ma forse
un inconscio presentimento l’aveva spinto a precedere l’identica implorazione che
gli avrebbe rivolto la sua Giuditta e che lui non avrebbe potuto
pragmaticamente soddisfare.[6]
“Daniel…”
gridò ancora la ragazza, scossa dai singhiozzi “…Daniel…!!”
Arthur
Granchester abbassò il capo, incapace di reggere la scena. Poche volte, nella
sua vita, si era sentito combattuto in quel modo, ma la propria responsabilità
di erede del Casato gli pesava maggiormente della paura di suo padre…
Un
improvviso sciacquio lo riscosse dai suoi cupi pensieri e subito dopo si
ritrovò stupito a fissare la sorella che, dopo essersi tuffata, stava nuotando
a vigorose bracciate verso la nave, dalla cui tolda un intenso vociare s’era
subito levato a commentare quell’evento inaspettato.
“Giuditta…!!!”
gridarono all’unisono il figlio dei Grenchester e quello dei McGreason.
Per
fortuna la brezza non era molto forte e così la velocità con la quale la Queen of Caledonia si stava allontanando
dal porto. Quell’intrepida figlia delle Highlands poté quindi raggiungere e
afferrare la scaletta di corda che i marinai si erano affrettati a rilasciare.
Non
appena la bella Giuditta arrivò sul ponte coi biondi capelli grondanti e le
piccole gote più rubiconde che mai, Daniel McGreason se l’afferrò stretta al
petto, per poi baciarla sulla bocca con passione irrefrenabile, incurante (o forse
stimolato) da tutti quei fischi, le grida e gli applausi della piccola folla
che li circondava.
I
due giovani sarebbero rimasti per ore a guardarsi negli occhi senza fare
null’altro, se una voce autorevole e falsamente severa, non li avesse
richiamati all’ordine: “Mi perdoni, milady…”
Accortisi
di avere di fronte il capitano della nave, i due ragazzi cercarono di ridarsi
un contegno, sconvolti dall’imbarazzo. L’uomo continuò però a parlare come se
nulla fosse: “…ritengo doveroso da parte mia farvi presente che il nostro primo
scalo è Boston!”
“Che
coincidenza: è proprio là che dovevo andare!” ribatté la giovane candidamente e
Daniel le sorrise di rimando.
“Capisco”
proseguì il comandante “e naturalmente garantite voi per la signora. Dico bene,
sir?” chiese poi direttamente al giovane.
“Naturalmente,
capitano. Potete stare tranquillo.”
“Molto
bene” questi borbottò con dignità “in tal caso, vi auguro buon viaggio!”
“Un
momento, comandante” lo fermò McGreason “avrei da chiedervi una cortesia…”
“Dite
pure, giovanotto.”
“Avreste
tempo per un matrimonio…?”
Il
fiero lupo di mare, che già si aspettava una tale domanda, rispose con pacatezza:
“Beh, penso proprio di sì… datemi solo una mezz’oretta, quindi trovatevi nel
quadrato.”
“Ci
saremo, comandante!” rispose la bella Giuditta.
I
due fidanzati tornarono a fissarsi e Daniel fu il primo a parlare: “Mi dispiace,
tesoro: non ho un anello, qui con me…”
“Oh,
Daniel… cosa vuoi mai che me ne importi?”
“Ma
importa a me. Prendi questo, figlio mio” disse una donna dalle fattezze ancor
piacenti, porgendo al ragazzo la sua vera nuziale “era di mia madre. Sarei
felice se anche mia nuora lo portasse!”
“Grazie,
madre!”
“Anche
da parte mia, lady McGreason!” aggiunse Giuditta, con un inchino.
“Signora
Greason, prego” la corresse il marito “il Mac
lo lasceremo in mezzo all’oceano. Da oggi comincia una nuova vita: avremo un
nuovo nome e una nuova Patria!”
“Hai
ragione, marito mio” rispose la consorte “se la Scozia ci ha voltato le spalle,
di certo l’America ci sorriderà. Dio vi benedica, ragazzi!”
E
così, mentre la Queen of Caledonia veleggiava
verso la terra promessa, sul molo della vecchia Glasgow il futuro Duca di
Granchester pronunciò il suo triste addio, certo anche lui che il cuore della
cara sorella lo avrebbe potuto sentire: “Sii felice, mia piccola Giuditta… forse,
un giorno, le nostre famiglie potranno incontrarsi di nuovo.”
***
Inghilterra, Contea dell’East Sussex, Aprile 1944…
“Certo
che il mondo è veramente piccolo…!” commentò sbalordita una giovane bionda,
assai simile alla fiera Giuditta dei bei tempi andati, seduta al tavolo di un
pub nel centro di Newhaven.
“Già…!”
ribatté l’uomo di fronte a lei, con un sorriso leggermente beffardo sulle
labbra.
“Adesso
capisco perché, nel vedervi insieme, avvertivo sempre una certa rassomiglianza
fra di voi… almeno in alcuni atteggiamenti!”
“Per
l’appunto…!” confermò Candy, socchiudendo gli occhi.
L’attuale
erede dei Granchester ridacchiò: “Beh, come si suol dire… buon sangue non mente!”
“Sbruffone!
Tu e lui” sentenziò la bella infermiera “però la storia di quei giovani è davvero
romantica: non ricorda quella di Romeo e Giulietta?”
“Direi
di sì… con la variante, però, del lieto fine.”
“Hai
ragione… e questo mi fa capire quanto tu
sentissi quella storia!”
“È
probabile” ammise l’attore “però, se devo essere sincero, non erano Giuditta e
Daniel il mio preciso punto di riferimento…”
“E
allora chi?” s’incuriosì la giovane.
“Noi due, mia bella zuccona!”
“Zuccona?! Ma come ti perm….” ma la
bionda non riuscì a terminare, perché, alla vista di quella faccia serafica,
scoppiò a ridere anche lei.
Dopodiché,
per concludere degnamente quella conversazione rivelatrice, i due si avvicinarono,
abbracciandosi e si scambiarono un dolcissimo bacio d’amore…
[1]“Sarebbe terribile se mio marito finisse in sala
operatoria. Ma sarebbe ancora peggio se io non potessi essergli accanto!” aveva
detto Flanny, più volte.
[3]Douglas Bader (1910-1982), asso della RAF che, pur avendo perduto entrambi gli
arti inferiori in un incidente, riuscì a riabilitarsi come pilota da caccia grazie
all’impiego di due gambe artificiali.
[4]Allude a quando l’aveva “scacciato” dall’ospedale Santa Johanna di Chicago impedendogli
così d’incontrarsi con Candy.
[5]Purtroppo per Terry, la famosa flemma britannica non funziona con le
americane (come sa bene anche Andy)!
[6]Se anche Daniel McGreason fosse rimasto in Scozia, ben
difficilmente i due giovani avrebbero potuto coronare il loro sogno, a causa
dell’incombente presenza dal Duca.
agle Two a Eagle One… Eagle
Two a Eagle One… Andy…!! Andy…!! Mi senti…?” urlava disperata la voce di James
Stone “Cabra! Stai scendendo troppo!! Cabra…!!!”
“Sto
provando, Jimmy” rispondeva convulso il compagno “ho preso troppa velocità… non
ci riesco!!”
L’avvisatore
acustico che entrava in funzione quando l’anemometro superava le 500 miglia orarie[1] stava
trapanando i timpani del pilota, mentre le pupille si alternavano dal cruscotto
(dove l’altimetro retrocedeva vorticosamente) al parabrezza, che mostrava l’avvicinarsi
del terreno a gran velocità.
“Andy,
per amor di Cristo!! Fra un po’ ti schianterai! Richiama quell’aereo…
richiamalo…!!”
“Non
ce la faccio… la barra è di piombo!!”
“Aziona
il trim… estrai gli aerofreni… fa’ qualcosa…!!” insisteva disperatamente il suo
secondo.
“È
inutile… sono entrato in compressione. È finita…!!”
“Andy,
non mollare… non devi… tirati su…!!”
*Non
posso!! Non si muove… è finita!!
Flanny…!!!*
“Andy…
mi senti…? Andy!!”
“Flanny…
dove sei…? Flanny…!”
“Andy…
tesoro… mi senti…?”
“Flanny…
aiutami… Flanny…!!”
“Sono
qui, amore… sono qui!!”
Il
paziente spalancò gli occhi e cessò lentamente di agitarsi, mentre una mano
amorevole gli asciugava la fronte madida di sudore. Il cervello mise pian piano
a fuoco il bel viso della sua compagna e un pallido sorriso incurvò leggermente
la bocca dell’asso.
“Tranquillo,
tesoro: stavi solo sognando” lo tranquillizzò l’infermiera con voce rotta “come
stai…?”
Il
ferito respirò con voluttà: “Sto sempre meglio, quando ti vedo…!”
“Anch’io,
amore mio!!” replicò Flanny con voce piangente mentre gli buttava le braccia al
collo. I singhiozzi successivi della moglie strinsero il cuore di Andy, che le
accarezzò faticosamente la schiena col braccio sinistro. Si sentiva estremamente
debole, senz’altro per opera degli anestetici.
Vagando
per la stanza, il suo sguardo incontrò quello di Candy, ferma immobile presso
il trespolo della flebo, che lo fissava piuttosto intensamente. Le sorrise,
grato per essere rimasta vicino alla sua Flanny, ma la giovane non ricambiò.
Cogliendo come un muto rimprovero in quell’atteggiamento, l’aviatore sospirò
fortemente: “Perdonami se ti faccio soffrire…!” disse alla moglie.
La
mora scosse la testa: “L’importante è che tu sia vivo!” rispose poi, fra un singulto
e l’altro.
“E
intero” aggiunse la buona Candy “spero ci racconterai cos’hai combinato, razza
di scapestrato che non sei altro!”
La
collega si voltò mostrando una faccia perplessa e divertita e Candy abbassò gli
occhi, imbarazzata: “Scusa, Flanny… lo sai quanto gli sono affezionata!”
“Bada
che Romeo s’ingelosisce, eh?” saltò su Andy, lieto di cogliere il diversivo
“Non credo d’essere in condizione per ricevere un altro dei suoi cazzotti!”
“Sciocco…!” rispose la bionda, distogliendo la faccia
arrossita.
In quell’istante la porta si aprì e il primario
dell’ospedale si avvicinò al letto del degente, tenendo in mano una cartella
clinica.
“Buongiorno, generale. Come si sente?”
L’interpellato, fatta un’ultima carezza alla moglie,
alzò il pollice verso il medico: “Splendidamente. La ringrazio per avermi
ricucito, doc!”
Candy alzò gli occhi al cielo, esasperata da quell’ottimismo
incosciente. A quanto pareva, per lo sconsiderato pilota, l’incidente capitatogli
era già un discorso chiuso.
“Sono lieto di trovarla in condizioni di spirito così buone”
annuì il medico “le sarà più facile sentire quanto sto per dirle…”
Avvertendo un discreto formicolio allo stomaco, l’asso
si sforzò di mantenere la sua nonchalance: “Non avrà mica l’intenzione di
mettermi a terra, doc?! Ho visto colleghi tornare su dopo aver ricevuto ferite
peggiori delle mie e…”
“Generale” lo interruppebruscamente l’altro “non le interessa prima sapere
se e quando potrà ancora camminare?”
Andy si gelò, fissando la consorte con sguardo
smarrito. Flanny teneva gli occhi bassi, senza manifestare alcun segno di
panico. Certamente dovevano essersi già consultati.
“Santo cielo” mormorò l’asso, tornando a guardare il
dottore “è così grave…?”
“Insomma, Andy” saltò su l’infermiera codinata, ostentando
due pugni sui fianchi “lo sai che con tutte le schegge che ti abbiamo estratto
dalle gambe ci si potrebbe ricostruire il tuo aeroplano? Pensi proprio di
cavartela con qualche giorno di riposo?”
“Beh, non dico questo, ma…” Andy cercò di non pensare
alla notizia appresa dal generale Spaatz, quando lo aveva convocato per quella missione
maledetta: ovvero che, di lì a quaranta giorni, sarebbe arrivato il D Day.[2] Raccolse
tutto il sangue freddo e la maturità impostigli dal grado e tornò a rivolgersi
a Waxman: “Okay, doc…” sospirò “…sputi tutto!”
“Ci sono diversi legamenti da ripristinare e alcuni
nervi motori offesi” rispose lui, in tono pacato “occorrerà un certo periodo terapeutico
per ristabilire totalmente le facoltà muscolari. In quanto al volo…” sospirò a
sua volta “…questa è una decisione che spetterà ai suoi superiori diretti!”
Andy si lasciò scappare un gemito. Era già un
privilegio che al comandante in capo d’una Forza Aerea venisse consentito di
partecipare alle operazioni. Finora Spaatz, Arnold e Marshall glielo avevano
permesso ben sapendo che nessun pilota crucco sarebbe riuscito a sbatterlo di
sotto, ma quant’era successo stavolta li avrebbe probabilmente indotti a ritornare
sulla loro decisione; specialmente se avessero saputo della sua performance sul
cielo di Eiserfeld!
Sentendosi stringere la mano dalla moglie, l’asso si
riscosse dai suoi pensieri. Guardò il dolce viso di Flanny e si perse un momento
nei suoi stupendi occhi scuri.
“Potreste lasciarci un po’ da soli, per favore?” mormorò
poi.
“Ma certo” approvò Waxman “venga, miss White.”
“Sì, dottore…”
Mentre uscivano Candy non poté non voltarsi a guardare
preoccupata la collega, che la ricambiò con un mesto sorriso di riconoscenza.
***
Il giorno precedente, sul cielo delle Fiandre…
Il piccolo Jimmy, figlio adottivo del signor
Curtright, l’ormai anziano allevatore del Michigan, stringeva convulsamente il
volantino della barra di comando. Non si era mai sentito così a disagio come in
quel momento, da quando gli avevano appuntato le ali d’ottone sulla giacca dell’uniforme.
Quale meravigliosa fierezza aveva provato, in quell’istante… finalmente aveva realizzato
il suo sogno: era diventato un soldato. E un pilota, per di più!
Nonostante la preoccupazione del suo tutore,
l’angoscia delle sue “tate” Miss Pony e Suor Maria e soprattutto la decisa
contrarietà del suo “capo”, l’immaturo adolescente da lei schiaffeggiato alla
fine di quel dannato giorno per punirlo della propria “supponenza”, era
riuscito a raggiungere il suo scopo.
Tutto grazie a quell’aerodromo che, non molto tempo
prima, avevano piazzato al confine della tenuta del padre. La strada per andare
in città scorreva giusto parallela al recinto del campo di volo e il nostro
giovanotto aveva cominciato ad arrestare il cavallo per assistere ai decolli e
agli atterraggi dei piccoli aerei postali e dei più grossi cargo per le merci.
Più avanti aveva preso a scambiare quattro chiacchiere con piloti e meccanici,
finché, durante un giorno di libertà, era riuscito a farsi “ospitare” a bordo
di un Cessna Bobcat che doveva
effettuare un volo fino a Milwaukee e ritorno. La cosa lo aveva talmente
entusiasmato che per giorni non aveva parlato d’altro al suo genitore adottivo
e ai suoi stessi aiutanti.
Recatosi tempo dopo nella città vicina per acquistare delle
attrezzature, vi aveva incontrato Tom, anche lui adottato anzitempo dal ranchero
Taddeus Steeve, i cui pascoli confinavano con quelli di Joshua Curtright. Gli
euforici racconti del vicino avevano contagiato anche il “fratello maggiore” di
Candy, spingendolo a bazzicare anche lui i dintorni dell’aeroporto, per
ripetere infine la stessa esperienza del giovane “collega”.
Come si sa, una cosa tira l’altra e, durante le loro occasionali
visite, anche gli orfanelli di Miss Pony avevano potuto ascoltare dai due più cresciuti
compagni quanto fosse meraviglioso volare sulle loro bellissime vallate e
sull’altrettanto stupendo Lago Michigan. I piccoli avevano bevuto avidamente
quei racconti e desiderato con ardore di salire anche loro fin sopra le nuvole.
Cosicché, mossi dalla loro generosità e spronati dai due rispettivi figliocci, i
signori Steeve e Curtright avevano finito per regalare ai ragazzi della Casa di Pony un volo turistico sopra la Contea. Anche Suor
Maria era stata felicemente della partita, mentre la buona Miss Pony aveva
cortesemente declinato l’invito!
Quando poi era scoppiata la guerra, il piccolo Jimmy
non ce l’aveva fatta più. Che Candy lo prendesse pure a schiaffi quanto voleva:
lui avrebbe difeso la Patria
dai gialli e dai crauti senza più sentire ragioni, specialmente se questo
significava entrare in aviazione. Lo stesso Tom ne aveva seguito l’esempio e i
poveri Taddeus Steeve e Joshua Curtright si erano dovuti infine rassegnare: stavolta
la “vice-direttrice” della Casa di Pony
non era lì per dar loro manforte!
Morale, un grigio mattino di Gennaio del 1942, i due
giovani cow-boy avevano preso il treno per Dayton, nell’Ohio, diretti al primo
Centro di Addestramento per il Corpo Aereo dell’Esercito. Manco a dirlo, ad
accompagnarli erano anche l’imberbe John Smith (dal cognome assegnatogli
d’ufficio) e il “ribelle” Bob Malone, con i quali Tom e Jimmy si erano sempre
tenuti in contatto anche dopo la licenza degli amici dall’orfanotrofio.
“Quando Candy lo verrà a sapere, saranno dolori,
capo!” così John aveva espresso il suo pensiero, proprio sul treno che li
portava a Dayton. Jimmy aveva fatto spallucce.
E ora eccoli tutti lì, a bordo di quel bombardiere dedicato
alla loro eroina, tanto amata quanto temuta: chi non avesse avuto a che fare con
lei non avrebbe potuto comprendere il singolare episodio seguito all’arrivo del
Fox 815 al campo di Lafayette.
Il tenente Curtright non avrebbe sopportato di vedersi
trattare ancoracome un moccioso, soprattutto
davanti ai nuovi compagni che non provenivano dalla Casa di Pony. Cosa avrebbero pensato Sammy Carson, Tony Chaklies,
Gilbert Evans e Cookie Laffey del loro secondo pilota? Per non parlare del
“duro” Charlie Boyle!
E il comandante? Beh, forse lui avrebbe capito… ma, per fortuna, né Neal né tutti i sopraddetti
avevano potuto assistere all’episodio di quel giorno, dopo che Jimmy aveva colpevolmente
fatto imbizzarrire quella mandria davanti al loro ranch, sparando uno
sconsiderato colpo di fucile con lo scopo di “preparare alla guerra” l’intera compagine
maschile dell’orfanotrofio!
Dopo averlo schiaffeggiato per la sua immaturità,
l’energica Candy lo aveva trascinato fino a un punto dove avevano potuto
contemplare il macabro spettacolo offerto da decine di manzi stecchiti, dopo
essere precipitati in un dirupo, alla fine della loro folle carica.
“Immagina che
quelle povere bestie siano dei soldati, Jimmy” gli aveva detto la ragazza “uno spettacolo come questo è all’ordine del
giorno sui campi di battaglia!”
Allo sconvolto ragazzino non era rimasto che
precipitarsi a singhiozzare nel seno di Candy e, per quella volta, i suoi inopportuni
sogni di gloria erano finiti lì. Ma, tempo dopo, aveva avuto la sua avventura
aerea e le cose si erano evolute come raccontato.[3]
Il Candy Candy
sobbalzò leggermente… non era stato un vuoto d’aria, ma il trasalimento del
co-pilota al ricordo di quegli avvenimenti lontani.
“Ehi, Jimmy, che ti prende?!” protestò il sergente
Steeve, quasi sbalzato dal sedile.
“Scusa, Tommy… ero soprappensiero!”
“Cerca di stare lucido almeno tu o saranno guai! Come
va il capo?”
L’altro diede un’occhiata fugace verso il posto di
sinistra. Il primo pilota era ancora accasciato sul suo seggiolino, col capo
inclinato verso l’alto, la bocca semiaperta e gli occhi chiusi. Stille di freddo
sudore gli scorrevano lungo la fronte.
“Sembra si sia addormentato. Meglio per lui” commentò il
suo secondo “spero non ne faccia una tragedia!”
“Sarà dura, se il generale ci ha rimesso le penne!”
commentò il compagno.
“Sta’ zitto, non ci voglio nemmeno pensare” ribatté
con veemenza il tenente “ho paura che, in questo caso, Candy non glielo
perdonerebbe mai!”
Tom sospirò, non avendo il coraggio di fargli notare
che se il marito di Flanny fosse davvero trapassato, la stessa sua collega non
avrebbe perdonato facilmente nessun membro del loro equipaggio!
*Se pesco quell’idiota di armiere che non ha aggiustato
quella pinza…* pensò, con stizza.
“Nemici a ore sette…!!” urlò una voce nell’interfono.
“Dannazione, ancora?!” sussultò il sergente Steeve,
facendo ruotare subito la sua torretta dorsale.
“Li vedo, sono quattro Messerschmitt!!” gridò ancora un’altra voce, quella di Bob.
Tutti gli aviatori, che stavano già iniziando a
rilassarsi per la prossima vicinanza della costa belga, tornarono subito in
pieno allarme e i mitraglieri, scuotendosi il torpore di dosso, puntarono
frenetici lo sguardo verso la direzione in cui la minaccia veniva segnalata,
cercando di non badare al pizzicore che avvertivano negli occhi.
Malauguratamente, dopo l’abbattimento del Chow Hourd di Robert Gerryson e della Little Audrey di Charlie Boman, la
formazione, pur compattatasi, era meno consistente rispetto all’andata e ben 26
mitragliatrici mancavano all’appello per la difesa. La schwarm di 109 in arrivo si
divise all’istante in due rotte:[4]una puntò sulla pattuglia del maggiore Connelly e
del capitano Halverstrone, privi del loro gregario, mentre l’altra sfrecciò dritta
sull’aereo dei nostri eroi. Ben presto lo sgranare delle raffiche si confuse al
rombo dei motori e sinistri rumori metallici annunciarono l’apertura degli
squarci nella fusoliera, ad opera dei proiettili da 30 dei micidiali cannoncini
Rehinmetall sparanti attraverso
l’ogiva dell’elica.
Un urlo straziante, proveniente dalla postazione
laterale sinistra, lacerò i timpani di tutto l’equipaggio del Candy Candy…
“Johnny…!! Johnny, sei ferito?!” domandò subito dopo la
voce tesa di Sammy, dalla postazione di destra, senza però ottenere risposta.
Il comandante, svegliato di soprassalto dall’azione
nemica, stava cercando faticosamente di rientrare nel pieno delle sue facoltà.
A quelle ultime grida si destò del tutto e, dopo essersi ripetutamente sfregato
il volto, si premette il laringofono sul collo: “Pilota a mitraglieri centrali:
che succede là dietro?”
“Smith è stato colpito, comandante!” rispose immediatamente
il sergente Carson.
Legan impallidì, guardando ansiosamente il co-pilota:
“Ma è grave…?” chiese ancora.
“Credo di no” rispose Sam, con tono non troppo sicuro
“ma sta perdendo sangue!”
Neal imprecò, slacciandosi la cintura di sicurezza: “Tieni
i comandi, Jimmy: vado a vedere!”
“Ok…!” si limitò ad annuire l’altro, senza far notare
al comandante l’imprudenza della cosa.[5]
Scosso da un’improvvisa e ritrovata vitalità, il
capitano Legan si trascinò oltre la stiva bombe e la cabina radio (dove l’ex
strillone Gil era inchiodato alla sua Browning
sgranando proiettili contro gli intercettori) per giungere infine nel
compartimento centrale, dove un premuroso Sammy stava cercando di prestare
soccorso al compagno ferito.
“Torna alla tua mitragliatrice” gli ordinò Neal “a lui
penso io!”
“Sì, signore.” obbedì il mitragliere.
“Sto bene, comandante” intervenne il ferito, cercando
faticosamente di rialzarsi “posso ancora sparare…”
“Può darsi” lo fermò Legan, perentorio “ma prima fatti
fasciare.”
Afferrata una cassetta di pronto soccorso, aiutò il
mitragliere a togliersi il giaccone imbottito, per poi esaminare la ferita e
constatare che, grazie al Cielo, si trattava solo di qualche colpo di striscio
al braccio destro. Sforzandosi di ricordare le nozioni teoriche che le
infermiere del St.Mary[6]
avevano impartito al campo (purtroppo la vista di Candy non gli aveva
consentito la massima concentrazione), Neal disinfettò la parte lesa con
polvere sulfamidica e applicò la fasciatura meglio che poté, mentre Tommy,
dalla torretta superiore, si prodigava a difendere la direzione che il povero Baby-Joe aveva suo malgrado lasciato
scoperta.
Quest’ultimo apprezzò volentieri lo zelo del comandante
nel prestargli le sue cure, ben lieto di non riconoscere più il fratellaccio di quella strega che aveva trattato
in passato la sua “sorellona” alla stregua d’una serva, invece di accettarla quantomeno
come amica.
“Grazie, capitano” mormorò, quando ebbe finito “e mi
scusi per quello che ho detto dopo avere abbattuto quel caccia…”[7]
“Non pensarci più.” rispose Legan, dandogli un
buffetto sulla guancia per tornare poi verso prua. Al di fuori s’era intanto scatenato
un mezzo inferno, quasi che i tedeschi volessero vendicarsi per l’ottimo colpo
messo a segno dagli yankee sul bersaglio e la formazione del 22° Gruppo,
ridotta a dieci Fortezze, risentiva sensibilmente del minor volume di fuoco che
poteva opporre al nemico.
Il povero piccolo Jimmy, rimasto ancora solo al
comando del Candy Candy, si sforzava
enormemente di vincere la tensione del pericolo, mentre le grida dei compagni
gli colpivano i timpani coi loro reciproci richiami d’avvertimento che
arrivavano nella cuffia.
Al di là del parabrezza, oltre ai caccia avversari che
sfrecciavano attorno ai bombardieri e le temibili scie dei traccianti, al
tenente Curtright pareva di vedere, stagliato sulle nuvole, il volto
corrucciato del suo superiore precedente,
e - quel che era peggio - la sua mente poteva percepirne la seguente maternale:
Ora sei contento, Jimmy, di essere diventato
un soldato? Sei fiero di te? Ti stai divertendo? Il tuo ego di maschio si sente
realizzato?!
“Piantala, Candy” imprecò l’aviatore a bassa voce, neanche
potesse parlarle direttamente “la prossima volta che ci vediamo, sculacciami a
braghe calate davanti a tutti, se credi… ma ora smettila, perdio!!”[8]
Si riscosse al rumore del suo attuale comandante nel
rientrare in cabina. Dopo essersi seduto e avere riallacciato la cintura, Neal si
passò una mano sui capelli rossi. Il suo volto pareva abbastanza rasserenato.
“Come sta Johnny?” chiese subito il secondo.
“È ferito, ma non è grave… l’ho medicato.”
“Gra… bene!” si corresse Jim. E il compagno fu lieto
di questo.[9]
“Dice che può ancora sparare, ma gli ho ordinato di starsene
al riparo. Basteranno Tommy e Gilbert a coprirci.”
Per fortuna non ce ne sarebbe stato più bisogno. La
pattuglia tedesca, ormai a corto di carburante, dovette desistere per rientrare
alla base e i superstiti dell’attacco poterono affrontare, in piena
tranquillità, l’ultima parte del volo di rientro.
“D’accordo” approvò quindi il co-pilota “vuoi riprendere
i comandi?”
“Va bene…” rispose Neal, impugnando il volantino
“…anche se penso che la faresti più
contenta se guidassi sempre tu questo gingillo!”
Ma Jimmy gli sorrise: “Da oggi in poi, credo di no, vecchio
mio…”
***
Dopo un ultimo tratto di volo senza storia, il Fox 815, nominativo Vulture 11, posò finalmente le ruote sulla pista n° 3 del campo di Lafayette, quella base che il comandante
della Forza Aerea aveva voluto battezzare in memoria del famoso generale e
politico francese che tanto aveva contribuito alla causa della libertà
americana, anche come auspicio per il compito assegnato alla sua organizzazione,
che doveva fornire l’apporto alla liberazione della stessa Francia, nazione considerata
“sorella” da gran parte del popolo statunitense.[10]
Dopo che Neal ebbe tirato i freni di parcheggio e
Jimmy tolto il contatto ai motori, tutti i componenti dell’equipaggio scesero lentamente
dal velivolo, ritornato fortunatamente senza nessun danno troppo serio. Tanto
che Charlie, uscito dalla botola anteriore, si permise di carezzare
“affettuosamente” il posteriore della pin-up
dipinta sul muso…
“Grazie di averci protetto, bambola!” disse, lieto che
il suo amico Terence non potesse vederlo, ché altrimenti gli avrebbe rifilato di
certo uno sganassone.
Dal vano bombe, tuttora aperto, sbucarono fuori Tom e
Gil, mentre dal portello verso coda usciva Tony, seguito da Sammy e Bob che
reggevano premurosamente Baby-Jo, col
braccio destro appeso al collo.
“Scommetto che ti sei fatto beccare apposta per farti
curare dalla tua sorellona” lo provocò il suo compare “di’ la verità…!”
“Per poi farmi sculacciare come un moccioso? Non ci
tengo proprio!”
“Quella te la procuro io, se non chiudi la ciabatta!”
ribatté Johnny, seccato.
“Ad ogni modo è andata bene” commentò Sammy,
guardandosi attorno “la nostra madrina non è qui per tirarci le orecchie!”
“Non mi meraviglio” replicò Tony “all’ospedale St.Mary saranno già in piena attività, specialmente
per quelli della caccia.”
“Che allegria…!” borbottò l’ex becchino della Casa di Pony.[12]
Mentre i due mitraglieri scortavano il compagno ferito
all’ambulatorio della base, i restanti sette membri dell’equipaggio si
diressero alla baracca riservata ai de-briefing.
Quando fu il loro turno di accostarsi al tavolino dove
il capitano Ferguson, affiancato dal maggiore Dumfryes, ascoltava il resoconto
dei vari equipaggi tornati dalla missione, il capitano Legan barcollò leggermente
e il suo secondo, Curtright, fu pronto a stringergli forte la spalla.
Nonostante tutto il comandante del Candy
Candy riuscì a fare il suo rapporto con voce calma e chiara, anche se gli fuoriuscì
un po’ tremula nel riferire l’incidente della bomba. Contrariamente ai suoi
timori, non ci furono però reazioni particolarmente negative da parte dei due
ufficiali. Dopotutto la responsabilità del malfunzionamento nella pinza di
attacco non era certamente sua, poiché dal controllo pre-volo era escluso il
compartimento bombe, competenza esclusiva del personale di terra.
“Bene, comandante. Potete andare.” annunciò finalmente
Ferguson, dopo aver fatto qualche altra domanda ad alcuni dei suoi sottoposti.
Il maggiore Dumfryes annuì e Neal, piuttosto sollevato,
salutò militarmente iniziando a dirigersi coi compagni verso gli alloggi del
campo. Non era comunque per nulla sereno, privo com’era di notizie sul suo generale e camminava a testa bassa,
fissandosi le scarpe…
“Un momento, Legan!” una voce autoritaria lo fermò e
una scarica elettrica gli percorse la schiena alla vista di Richardson.
“Colonnello…?” balbettò, confuso.
“Ho un’informazione confidenziale per lei. Venga qui.”
“Sissignore…” rispose lui, con voce semispenta.
Come si trovò vicino al Group Leader, questi gli annunciò senza preamboli: “Il generale
Greason è riuscito a rientrare a Grant
Field.”
Per Neal fu come se gli avessero levato un macigno
dallo stomaco.
“È incolume…?” chiese, ansiosamente.
“Purtroppo no, ma è stato subito ricoverato al St.Mary. Attendiamo tuttora notizie,
anche se non dovrebbe essere troppo grave, stando al rapporto dell’ufficiale
medico del 99° Caccia.”
“Dio sia ringraziato!” rispose il comandante del Delta-Fox, passandosi una mano sulla
faccia per asciugare qualche probabile lacrima.
“Ora vada a mangiare un boccone, poi si faccia una
bella doccia e una bella dormita. Domani, se vuole, potrà andare a visitarlo.”
“Ci conti, signore. Sono distrutto da quanto è successo!”
“Me lo immagino, ma non si pianga addosso più del dovuto.
È stata una scelta sua quella di tuffarsi su quella bomba.”
“Già… ma è stato il mio aereo che l’ha fatta cadere!” commentò tristemente l’altro.
“In guerra incidenti del genere non sono infrequenti.
E neppure in tempo di pace. Non lo sapeva?”
Gli batté due volte la mano sulla spalla e si allontanò,
come fece subito anche Legan, per evitare che i suoi compagni si accorgessero
dei suoi occhi ormai lucidi.
***
Il giorno dopo, all’ospedale St.Mary di Newhaven…
Nella camera a lui riservata, Andy Greason stava
accarezzando dolcemente l’addome di Flanny col più bel sorriso che gli fosse mai
stato visto sulle labbra.
“Dici che sarà una bambina?” domandò.
“Forse sì… non so perché, ma me lo sento!”
“O è solo il desiderio di ripristinare l’equilibrio in
famiglia?” ridacchiò il marito.
La moglie si portò la mano sinistra sul fianco,
essendo la destra impegnata ad accarezzare i capelli del compagno: “Possibile
che tu non riesca ad essere più serio, anche quando non sei in servizio?!”
“Hai ragione, scusami! Bisognerà cominciare a pensare
al nome…”
“Non scherzare tu, adesso… io pensavo al nome di mia
madre. Quando hai detto che dovrebbe nascere?”
“Beh, facendo i debiti calcoli” Flanny conteggiò i
mesi con le dita “il tempo dovrebbe scadermi a metà Dicembre.”
“Uhm… allora, se è una femmina, potremmo chiamarla
Lucia.”
“Perché no?” replicò sorridendo la consorte “è un nome
molto bello.”
“Ok, vada per Lucy… e tu che ne dici?” chiese poi
l’asso, premendo delicatamente il grembo della moglie.
“Non pretenderai che ti risponda” obiettò lei “ha
soltanto quaranta giorni!”
“Eh, chissà…” rispose lui, con tono giocoso, per poi
mettersi a riflettere “…ma… secondo te, quando è successo?”
“Che te ne importa?” ribatté lei, accoccolandosi di
fianco al marito e mettendo la guancia a contatto con la sua “È successo è
basta!”
“Si capisce, ma… insomma, avevamo deciso di aspettare
la fine della guerra per avere altri figli e… mi sembra che stessimo prendendo
tutte le precauzioni per non…”
“Già… tranne quel
pomeriggio del mese scorso, quando sei venuto a trovarmi in ospedale!”
“Come…?”
“Non ricordi? Mi sei piombato in ambulatorio mentre
stavo sbrigando delle scartoffie per il dottor Waxman. Tremavi come una foglia
e, come al solito, mi hai fatto venire un colpo: credevo che fossi ferito!”
Andy si portò la mano alla fronte, per poi annuire, cupo:
“Non lo ero, ma ero terrorizzato. Tornavo da quella missione su Billancourt,[14] dove
la flak ci aveva accolti con un muro
di fuoco! M’era scoppiata una granata da 88 a meno di 200 yarde,[15]
riducendomi un colabrodo l’ala destra e metà fusoliera. Non so ancora come ho
fatto a rientrare…”
Flanny emise un gemito, stringendogli convulsamente il
braccio. Lui continuò: “La prima cosa che volevo fare dopo atterrato era
vederti, così mi sono precipitato al St.Mary…”
“Dove m’hai abbracciato così forte da stritolarmi e iniziando
a stamparmi dei baci che quasi mi soffocavano” continuò lei “non la finivi più,
tanto che ho dovuto trascinarti nel bagno, prima che dessimo spettacolo davanti
a tutti!”
“Mi rincresce” si scusò Andy, imbarazzato “ma ti
assicuro che non era una semplice astinenza…”
“Oh, lo so… una donna impara presto che la guerra non fa
diventare gli uomini forti e decisi… ma li porta, quanto più combattono, a diventare
dei bambini che vogliono essere consolati e vezzeggiati come cuccioletti[16]… comunque,
adesso lo sai quando hai fatto il guaio!” concluse, con dolce malizia.
L’asso, che rifletteva sul concetto appena espresso
dalla moglie, si riscosse a quelle ultime parole: “Ma cosa dici? Se saremmo
stati là dentro sì e no dieci minuti!”
“E allora? È proprio in quel bagno, invece, che
abbiamo prenotatoil nuovo acquisto.”
“In dieci minuti?!”
“Guarda che sono più che sufficienti, sai!”
Andy scosse il capo con sconcerto, mentre Flanny
sospirava compiangendo che il marito fosse troppo ferrato in aerofisica e
troppo poco in biologia. I due rimasero in silenzio per un po’, lei continuando
a giocherellare coi suoi capelli, lui continuando a carezzarle l’addome.
“Flanny…”
“Mm?”
“Vuoi che smetta di volare?”
La donna trasalì. Tutto si sarebbe aspettata, tranne
che il suo uomo le facesse quella terribile domanda. Chiuse gli occhi per un
attimo e si prese un bel respiro: “Te lo ricordi cosa ci siamo detti la sera
prima del nostro matrimonio?”
“Sì” sospirò lui, guardandola “però…”
“Ripetimelo.”
L’asso sospirò ancora: “Che nessuno di noi due avrebbe
mai chiesto all’altro di rinunciare alla sua vocazione.”
“Bravo” rispose lei, baciandolo sulla testa “perciò
una decisione simile la dovrai prendere per conto tuo. D’accordo?”
“Sì, cara…!”
“E ricordati che, qualunque sarà, io ti sosterrò
sempre. Capito?” gli chiese ancora, tornando a stringergli forte la mano.
“Non c’è di che…” disse lei, dandogli un buffetto
sulla guancia. Per tutta risposta, l’uomo la tirò a se, baciandola sulla bocca
con ardore. Flanny rispose con identico trasporto e, di lì a poco, i due stavano
per perdere il controllo, quando venne provvidenzialmente bussato alla porta…
“A… avanti…!” rispose la donna, dopo essersi rimessa
frettolosamente in piedi.
L’uscio si aprì, rivelando la figura di George Waxman:
“Tutto bene, qui?” domandò, sorridendo, alla coppia.
“In piena forma, dottore” rispose il pilota “come
potrebbe essere altrimenti, con un’infermiera come la mia?”
“Già, già” convenne Waxman, guardando divertito l’interessata,
che gli faceva gli occhiacci “lei è un individuo fortunato, generale Greason,
sotto molti aspetti. È disposto a ricevere una visita?”
“Sicuro. Di chi si tratta?”
A un cenno del medico, James Stone e John Bart
Richardson entrarono nella stanza. Il capo di stato maggiore della Decima e il
comandante del 22° Gruppo da Bombardamento si avvicinarono cautamente al
capezzale del loro capo ed amico, sorridendo sollevati dal suo buon aspetto.
“Salute, asso!” disse il colonnello.
“Andy, come va…?” chiese il maggiore-generale.
“Mi fa un po’ male quando rido, ma i pezzi ci sono
tutti” rispose l’infermo, sollevandosi sui gomiti “Novità?”
“Tutto okay” sospirò James, chiaramente rasserenato “i
ragazzi sono rientrati al completo. Fuori ci sono anche Victor e Roy, ma il
dottore non ha voluto far passare troppa gente.”
“Molto bene” anche il superiore sospirò con sollievo “lo
stesso per i tuoi?” chiese quindi a Richardson, che scosse tristemente la
testa.
“Purtroppo no: le fortezze di Boman e Gerryson sono
state abbattute!”
Greason avvertì una fitta dolorosa allo stomaco. Venti
ragazzi perduti, morti o prigionieri che fossero. Alcuni fors’anche scannati
dalla folla inferocita.[17] E
fra essi Robert Gerryson, il luogotenente dello stesso Richardson nella famosa
missione su Berlino del Febbraio 1942.[18]
L’asso si riadagiò sul cuscino, mandando al compagno
d’accademia uno sguardo di sincero cordoglio: “Mi dispiace, Ricky… mi dispiace tanto!”
“È la guerra, che ci vuoi fare?” sospirò il colonnello
“Almeno tu sei tornato tutto intero.”
“C’è mancato poco” grugnì il maggior-generale Stone
“spero che sarà l’ultima volta che ci farai assistere a spettacoli del genere!”
“Promesso, Jim” ribatté lui, facendogli cenno di
tacere “ma non ne parliamo più, eh?”
“Okay…!” accondiscese il compagno, sbirciando Flanny e
capendo l’antifona.
“Ascolta, Andy” disse ancora Richardson “di là c’è uno
dei miei piloti che vorrebbe vederti. Lo faccio entrare?”
“Ma certo. Chi è?”
Il Group Leader
accostò la bocca all’orecchio del capo, che aggrottò le sopracciglia: “Va bene.
Flanny, dottore… potreste per favore uscire un attimo?”
“D’accordo” consentì il primario “ma solo per dieci
minuti. Lei ha bisogno di dormire, generale.”
“Ricevuto. Fallo entrare, Rick…”
“Subito.”
Pochi istanti dopo il capitano Legan, scarmigliato e
scuro in volto, si presentava titubante all’uscio. L’asso si rimise a sedere:
“Lieto di vederla, capitano” sorrise, bonario “venga avanti!”
Fattosi coraggio, il comandante del Delta-Fox si trascinò verso il letto di
Andy tenendo gli occhi bassi e appena li rialzò trasalì lievemente nel vedersi
di fronte la figura di sua moglie.
Flanny gli rispose con un cenno del capo, mentre
sistemava il cuscino dietro la schiena del marito. Poi si diresse verso la
porta, non senza prima aver detto: “Mi raccomando, Andy: dieci minuti!”
“Tranquilla” rispose lui. Attese quindi che la moglie uscisse,
prima di rivolgere la parola al nuovo venuto “allora, Legan, com’è andato il
volo di rientro?”
L’altro sembrò spiazzato da quella domanda banale, nondimeno
si affrettò a rispondere: “Abbastanza bene, signore… a parte un ultimo assalto
della caccia nemica. Solo un ferito leggero, a bordo. L’apparecchio ha subito
danni di lieve entità.”
“Benissimo. Avete svolto tutti un magnifico lavoro.
Devo ancora leggere i rapporti e visionare le fotografie, ma da ciò che ho
potuto vedere durante lo sgancio, il bersaglio è stato colpito in pieno e i
danni collaterali sono stati nulli. I miei complimenti, capitano!”
Il povero Neal si sentì avvampare il viso. Provava una
vergogna maggiore di quando aveva accusato Candy di aver pungolato con uno
sperone il cavallo di Annie, allo scopo di farla disarcionare; ennesima manovra
ideata da lui per screditare la giovane domestica agli occhi della signora
Brighton, allora creduta la vera madre dell’attuale moglie di Archie Cornwall.
“Non dica questo, signore” protestò quindi il reprobo,
respirando a fatica “se nessun civile tedesco ci ha rimesso la vita, è soltanto
merito suo!”
“Stupidaggini” ribatté il generale, minimizzando con un
gesto della mano “se lei e tutti i suoi colleghi non aveste saputo eseguire
così bene le istruzioni ricevute, quel villaggio avrebbe subito devastazioni
ben maggiori dei danni che poteva provocare quella singola bomba!”
“Può darsi. Però…” Neal si terse il sudore dalla
fronte pallida “…non posso prescindere dal fatto che si sia sganciata dal mio aeroplano.
E questo non potrò mai perdonarmelo!”
“Capitano, non è stato lei a caricare quella bomba
nella stiva, né le competeva la verifica delle rastrelliere. Non si addossi
responsabilità che non ha… magari a saldo di colpe passate!”
“Lei non capisce, generale” insistette l’altro con
veemenza “la bomba s’è sganciata sul paese perché noi ci trovavamo fuori rotta.
E la responsabilità di questo è unicamente mia!”
“Una leggera deviazione in quota può sempre verificarsi,
specialmente con vento forte. Sarebbe potuto accadere a qualunque altro apparecchio
della sua formazione.”
Ma lui continuò, caparbio: “Lo so, ma sta di fatto che
è successo al mio… che oltretutto abbiamo
battezzato col suo nome. Se avessimo
provocato una strage, lei non avrebbe
disprezzato solo me (come se già non lo facesse abbastanza) ma anche tutti i miei
ragazzi!”
Andy sospirò pazientemente: “Neal, mi stia a sentire:
purtroppo incidenti del genere possono capitare, in combattimento. Tanti nostri
colleghi sono periti anche per casi di fuoco amico! Se si fa condizionare a tal
punto da questo episodio, non sarà più in grado di affrontare le missioni, sempre
più difficili, che dovrà svolgere nel resto del suo ciclo operativo.”
Il comandante del Candy
Candy lo guardò, dibattuto fra sconcerto e ammirazione: “Io non la capisco,
generale… come può parlare così, quando lei stesso, per un pelo, non ci ha
rimesso la pelle?!
Greason si spazientì: “Rimetterci la pelle è un
incerto del nostro mestiere, che ci piaccia o no” ribatté, alzando la voce “e,
se fosse accaduto, forse sarebbe anche stato giusto… dato che io, per primo,
l’ho fatta rischiare a voi tutti più del necessario, ordinando a Richardson di
farvi bombardare il bersaglio da una quota assurdamente bassa. Se ci fosse
stata della contraerea pesante a difendere quella fabbrica di armi chimiche, vi
avrebbero massacrati! Ed io, più che giustamente, sarei finito davanti a una
Corte Marziale per aver subordinato la vita dei miei aviatori a quella dei nemici,
sia pure civili. Perché io questo, ho
fatto, Legan! E adesso? Che ne dice? Mi ritiene ancora tanto migliore di lei?!”
“Ma… generale, io…” balbettò il fratello di Iriza.
“Avanti, Neal: me lo dica” lo incalzò Andy, in tono
sconvolto, fissandolo con uno sguardo quasi allucinato “perché io ho bisogno di saperlo!!”
Nel frattempo la porta della stanza era tornata a
spalancarsi. Richiamate da quelle grida, Flanny e Candy erano precipitosamente accorse,
con le braccia cariche di sedativi. Ma i due, coinvolti nella loro accesa discussione,
non se ne erano nemmeno accorti.
“Io… non lo so, signore” iniziò a rispondere Neal “chi
può dire cosa sia giusto o sbagliatoin tutto
questo casino? So solo che lei… ha sempre insegnato ai suoi uomini a
comportarsi da veri soldati. Non con le parole, ma con l’esempio” riprese fiato
stropicciandosi gli occhi “e, per quanto mi riguarda… lei mi ha insegnato ad
essere finalmente un uomo. Ad avere più rispetto di me stesso, a prendermi le
mie responsabilità… tutte cose che la mia inetta famiglia non s’è mai degnata minimamente
di fare” tacque ancora per un attimo e tirò su col naso “purtroppo, però…
ancora una volta i fatti mi si sono rivoltati contro, dimostrando che… sono
solo un disgraziato. Un individuo immaturo e incosciente, incapace di combinare
alcunché di buono!”
Andy Greason, che non dava le spalle alla porta, aveva
realizzato la presenza delle moglie e della bionda collega, nonché perpetua
fiamma del suo subordinato. Con ammirevole savoir faire non fece però una piega,
limitandosi a sorridere con estremo compiacimento: “Questo non è vero, Neal. I fatti
hanno dimostrato, invece, che un rampollo di famiglia altolocata, viziato,
altezzoso e codardo - magari stimolato dal ricordo di una bella fanciulla - ha
scovato la grinta per trasformarsi faticosamente in un uomo per bene e in un bravo
soldato!”
Ma Neal, del tutto ignaro della presenza delle due
infermiere dietro di lui (e dello sguardo attonito proveniente da una di loro)
continuò ostinatamente a denigrarsi: “Lei è troppo buono, generale! Io non ho
fatto altro che imparare a pilotare e a condurre un bombardiere da una base ad
un bersaglio.”
“Non solo: lei ha imparato a prendersi cura dei suoi
compagni… o meglio dei suoi ragazzi,
come li ha nominati prima. Li ha condotti in azione e - soprattutto - li ha
riportati indietro. Le sembra così poco, tutto questo?”
Il capitano rialzò il viso verso il suo benefattore,
dicendo in tono alterato: “La ringrazio di cuore, signore. Sarebbe fantastico
se queste parole le avesse potute ascoltare anche lei…”
Andy dovette cacciarsi una mano sulla bocca per non
scoppiare a ridere: “Stia attento con certi desideri, Neal” disse poi “a volte
potrebbero avverarsi…!”
Insospettito dallo sguardo ammiccante del generale, Legan
si girò lentamente su sé stesso e ciò che vide lo mandò completamente in apnea.
Davanti a lui, in carne ed ossa e sempre bella come il
sole, stava la sua Candy. La quale,
con un lieve ma dolce sorriso, così gli parlo: “Ciao, Neal… sono contenta di
trovarti bene!”
***
Neal Legan, capitano, numero di matricola 11451250,
capo-equipaggio del Fox Otto-Uno-Cinque,
gregario sinistro della 4a Pattuglia della 66a
Squadriglia, inquadrata nel 22° Gruppo da Bombardamento del 1° Stormo Strategico,
appartenente alla Decima Forza Aerea dell’Esercito USA in Europa, era rimasto
pressoché pietrificato davanti alla giovane infermiera bionda, ex dama di
compagnia e poi cameriera di sua sorella, nonché propria “vittima su
commissione” e infine impossibile amore infinito.
“Sei… davvero tu, Candy…?” farfugliò, con voce appena distinguibile.
“Mi stai vedendo.” rispose asciutta lei.
Lui dichiarò, estremamente a disagio: “Sei sempre…
molto bella!”
L’infermiera si sforzò di rendere il sorriso, se non proprio
solare, almeno più marcato…a rispondergli grazie non ci riusciva ancora.
L’ufficiale s’azzardò ad allungare la mano per
sfiorarle delicatamente la spalla, come a sincerarsi della sua corporeità:
“Scusami… sono così… felice di rincontrarti! Anche se…”
“Anche a me non dispiace.” rispose Candy, stimolata da
quello scusami che le aveva appena detto.
Era il primo e veramente storico!
“Da... davvero??” chiese lui, oltremodo stupito.
“Ma certo!” confermo lei, sempre con un sorriso
bonario.
“Sentite” intervenne la signora Greason, intenta a
preparare una siringa “perché non andate a farvi due chiacchiere nel corridoio,
mentre io spedisco mio marito da Morfeo, mm?”
“Ma… Flanny…” balbettò Candy, presa così alla
sprovvista.
“Su, fuori dai piedi!” incalzò la collega bruna,
sedendo di fianco al letto.
Neal, non meno perplesso della cugina adottiva, volse
lo sguardo al generale, che non mancò di confermare le istruzioni della propria
superiore diretta: “È un ordine,
capitano!”
I due, dopo un sospiro perfettamente sincronizzato, si
decisero a lasciare la stanza.
“Braccio scoperto, prego!” ordinò ilgenerale del generale con
voce secca.
“Ma perché mi vuoi dare un calmante?” protestò lui,
obbedendo macchinalmente “Non ne ho mica bisogno…”
“Sì, l’ho sentito!” ribatté ironica lei, cominciando a
frizionare col batuffolo di cotone imbevuto d’alcool.
“Va bene, mi sono alterato un attimo” minimizzò lui,
con aria innocente “ma adesso sono okay!”
“E allora speriamo che questa roba ti rappezzi anche il
cervello!” rimpallò Flanny, affondandogli l’ago. Era sempre incredibile come
riuscisse a non provocargli il benché minimo dolore.
“Cosa vuoi dire?” chiese lui, preoccupato dal suo tono
così duro.
“Che spero ti tolga la voglia di fare l’artificiere…!”
chiarì lei, con voce malferma senza modificare la sua espressione furiosa.
Ad Andy si gelò la schiena: “Chi te lo ha detto?!”
“Ho fatto il terzo grado a James!” gli rivelò Flanny,
massaggiandogli la puntura. Poi gli riabbassò rabbiosamente la manica del
pigiama, gli rimise giù il cuscino e lo fece stendere.
“Quando lo rivedo, lo strozzo!” borbottò lo
smascherato acrobata volante, cominciando a sentire il torpore del sedativo.
“Dovresti ringraziarlo, invece… perché se il tuo
compare non lo avesse detto a me, glielo avrebbe fatto sputare Candy, che è
molto più brava della sottoscritta a far parlare le persone, te lo posso
assicurare.[19] E sta’ sicuro che lei, al
posto mio, ti avrebbe già riempito la faccia di sberle!!” concluse, combattendo
col feroce desiderio di procedere allo stesso modo.
“Davvero, eh…?” bofonchiò il suo diuturno paziente,
già mezzo addormentato.
“Sì, davvero! Ma sarebbe stato nulla, in confronto a quello che ti farò io, se solo ci riproverai ancora… e ricordati anche che, se mai mi girerà
di diventare vedova, provvederòpersonalmente” gli puntò contro la
siringa e specificò “con la stricnina…!!”
Senza preoccuparsi se l’amato rompicollo avesse inteso
le sue ultime parole o fosse già immerso nel mondo dei sogni, Flanny Hamilton
Greason se ne andò finalmente anche lei, sbattendosi la porta alle spalle.
***
“Ti va un caffé?” chiese Candy a Neal quando furono in
corridoio. Fu la prima cosa che le venne in mente, tanto per alleviare la
tensione.
“Beh… perché no?” sorrise lui, tuttora in forte
imbarazzo.
“Vieni…”
La giovane non capiva bene a cosa doveva tutta quella
sua condiscendenza. Che si stesse pentendo d’essere stata oltremodo dura con
lui, durante il periodo del suo vano corteggiamento? Che suo zio Albert avesse
avuto un pochino ragione quando aveva osservato che comunque era triste venire
respinti dalla ragazza che si ama? O magari, prima ancora, quando Neal faceva
il giannizzero della sorella nella sua feroce guerra contro di lei, aveva avuto
forse il torto di disprezzarlo, più che compatirlo…
*Saresti diventato un ragazzo migliore se avessi
provato a comprenderti?* non poté evitare di domandarsi.
Entrati nella saletta delle infermiere, Candy accese
il fornelletto a gas, versò dell’acqua in una boccia di vetro, vuotandoci due
bustine di Nescafé. Quando la
temperatura fu giusta, riempì una tazza e gliela porse: “Prendi…”
“Gra… grazie!” balbettò lui. Cercando di contenere i
tremiti della mano, il pilota se la portò alle labbra sorseggiando lentamente
il contenuto, mentre lei si serviva a sua volta.
“Come stanno i ragazzi…?”
“Chi? Ah, i miei compagni, vuoi dire… bene, sono tutti
interi. A parte John…”
Candy spalancò gli occhi: “Il piccolo John? Che gli è
successo??” chiese subito, con trepidazione.
“Nulla di grave, non preoccuparti” la rassicurò lui
“era stato colpito di striscio, ma l’ho medicato… lo hanno già ricoverato
all’infermeria dell’aeroporto.”
“L’hai soccorso tu…?”
“Sì… ho cercato di fare del mio meglio. Grazie alle
vostre lezioni teoriche. Le ho seguite, sai? Ci sono state molto utili.”
“Lo credo bene… domani verrò a trovarli!”
“Li farai felici.”
“Lo so…”
Candy bevve allora il suo caffé, imitata dal ragazzo.
“È molto buono” disse lui, poco dopo “mi ricorda casa
mia!”
“Davvero?” chiese la donna, un po’ divertita.
“La nostra cameriera era davvero brava a prepararlo”
la guardò in viso “Dorothy, te la ricordi?”
La bionda non rispose, al che il giovane realizzò d’un
colpo la tremenda gaffe: “Ma certo che te la ricordi… imbecille che sono!!”
“Lascia stare…”
Ma lui scosse la testa, con disgusto: “Come posso
lasciar stare? È mostruoso ciò che feci quella sera!!”
“Ormai è passata, Neal… cerchiamo di guardare avanti.”
“Per te è facile, Candy! Ma per me… tu non puoi giustamente
immaginare cosa si prova quando si comprende di farsi schifo!! Sono stato
fortunato a non avere nemmeno il coraggio di ammazzarmi…”
Candy sospirò, poi rifletté un momento e gli rispose:
“Avremmo perso un uomo per bene e un bravo soldato.”
“Cosa…?”
La giovane sorrise ancora: “Lo ha detto Andy, no? E io
gli credo. E penso che anche l’ultimo dei mascalzoni meriti una chance per
cambiare vita. Lui te la poteva offrire e sono lieta che l’abbia fatto. Io non
potevo, Neal…”
“Lo so… come si può comprendere un mostro?”
“Ora non stare a flagellarti! Eri una canaglia, va
bene, ma non un mostro…”
“Ne sei proprio sicura?” sorrise, lui malinconico.
“Sono ben altri i mostri, Neal, specialmente in questa
guerra. Almeno tu non hai mai ucciso nessuno!”
“No, certo” ammise lui, tenendo gli occhi bassi “ti ho
soltanto avvelenato il cuore!”
“Adesso, però, me lo stai riscaldando…”
Neal ci mise un po’ ad assimilare quelle parole: “Come
hai detto, scusa?!”
“Che mi stai rendendo felice… per quello che dici e
per quello che fai.”
Piuttosto incredulo per ciò che sentiva, il giovane
sorrise di nuovo, ma poi disse, ancora in tono amaro: “Non si può cancellare il
passato…!”
“No, non si può. A me, però, ha sempre interessato più
il presente. Tu adesso stai facendo il tuo dovere con impegno e coraggio.
Inoltre ti stai prendendo cura dei miei amici che, a quanto ho saputo, sono
tutti contenti di te. Per di più, stai rischiando la vita per difendere la nostra
libertà e per abbattere un regime orribile, che sta schiacciando l’esistenza di
milioni di persone. Tutto questo mi basta, Neal…”
“Ti basta per cosa?”
“Per concederti il mio perdono. Ridarti la mia stima…”
sembrò esitare “…e offrirti la mia amicizia, se la vuoi ancora!”
L’ufficiale spalancò la bocca, per poi allargarla fino
ai padiglioni auricolari. Mosse d’istinto un passo verso di lei, ma si bloccò
subito, turbato dal peso del rimorso. Tristemente, rimise gli occhi a terra,
non sapendo cosa fare.
“Neal…”
Al richiamo, lui rialzò la testa e rimase inebetito.
La sua irraggiungibile fiamma, la sua bramata biondina, il suo più grande desiderio
proibito gli stava tendendo le braccia…
“Vieni, Neal…”
“Ma… Candy, sei impazzita?!”
“Vieni!” insistette.
Vincendo quel dannato piombo nella gambe, il ragazzo
si appressò cautamente a lei, lasciandosi avvolgere in un caldissimo abbraccio:
“Felice di conoscerti, Neal…!”[20]
Comprendendo appieno il vero senso di quelle parole,
il rampollo dei Legan strinse gli occhi, già molto umidi e fu appena capace di
sussurrare agli orecchi di lei, assaporando il profumo dei suoi riccioli:
“Grazie, Candy!! Grazie… grazie… grazie…!!!”
“Di nulla, cugino. E benvenuto fra i buoni… vedrai che
ti troverai bene!”
Emettendo un singhiozzo marcato, il redento strinse più forte la sua nuova amica. Un turbine di sensazioni, dolci e
dolorose, frullava nel suo animo turbato. Era quello, dunque, l’autentico affetto
di una persona cara?
Come fu duro separarsi da lei! E che tormento
contemplare quel bel viso senza potere… oh, quanto avrebbe voluto assaggiare
quelle dolcissime labbra! Quanto avrebbe voluto osare… ma non poteva. Avrebbe perso tutto ciò che aveva appena
guadagnato.
Ma Candy, che lo leggeva come un libro stampato, fu
ancora una volta in grado di stupirlo: prima che Neal potesse pensare a
qualcosa da dirle, gli stampò sulle guance due tenerissimi baci. Lui allora barcollò
in avanti, ributtandole le braccia al collo…
“Allora? Sei contento, Neal? Neal…? Ehi, cos’hai?
Neal… ossignore! Neal, ti senti male?! Dì qualcosa, su… mamma mia, è svenuto!!
Presto, aiutatemi… dottor Waxman… il capitano Legan, qui, ha perduto i sensi! Natalie…
Judy… presto, fate qualcosa! Dottore…!!”[21]
[1]800 Km/h. Superati gli 859 (515 miglia orarie) il P-47 D entrava in regime terminale,
nel quale l’eccessivo indurimento dei comandi poteva rendere molto difficile
uscire da una picchiata.
[2]Il giorno dello sbarco in Normandia, inizialmente
pianificato per il 1° Maggio del 1944 e rimandato successivamente al 6 Giugno per
le condizioni atmosferiche.
[3]Volete che ve lo dica? Alla “non più verde età” di 43
anni riconosco perfettamente le ottime ragioni che stavano dietro
all’atteggiamento di Candy nell’episodio Lacrime
di un piccolo Cow-Boy. Ma vi confesso che nel vedere quelle immagini quando
ne avevo 13, il mio orgoglio di maschietto era stato leggermente pizzicato e fu proprio allora che decisi,
sui due piedi, di arruolare il piccolo Jimmy nella Decima Air Force!
[4]Lo schwarm era una formazione di
due coppie (rotte) di caccia,
ciascuna comprendente il leader e il suo gregario.
[5]Come potete immaginare, lasciare un solo pilota in
cabina durante un attacco della caccia era estremamente pericoloso, poiché, se
fosse stato colpito, l’aereo avrebbe potuto precipitare prima che qualcuno
riuscisse a riprenderne il controllo.
[7]Si riferisce alla colorita imprecazione con cui aveva ribattuto al suo
rimprovero per avere esitato a sparare (vedi capitolo 18).
[8]Ci pensate se, nel corso della Storia, prima
dell’inizio di ogni battaglia, le madri, le sorelle o le mogli di tutti i
soldati di entrambi gli schieramenti fossero venuti a riprendersi questi ultimi
e, dopo avergli fatto quanto immaginato da Jimmy, se li fossero portati via
trascinandoli per un orecchio, al grido di: A
casa, marsch!...? Niente male come sistema per consolidare una pace
duratura nel mondo, non credete?
[9] Nel non esprimergli chiaramente la gratitudine per
quanto aveva fatto, Jimmy dimostra a Neal di non considerare più il suo comportamento
come un fatto eccezionale. Ormai, per l’equipaggio del Delta-Fox, il fratello di Iriza Legan non era più il passato
aguzzino di Candy, ma unicamente il loro compagno d’armi.
[10]Non va inoltre dimenticato che Frances L. Greason, il
padre dell’asso, aveva militato nella Escadrille
Lafayette, composta dai volontari statunitensi che si batterono nel cielo
francese contro gli aviatori del Kaiser, nel 1917-18.
[11]Decorazione concessa ai militari statunitensi feriti in
azione. Esiste una valle, vicino a Cassino, chiamata La Valle dei Cuori di Porpora, per l’elevato numero
dei militari della Quinta Armata rimasti feriti durante la battaglia svoltasi
nella zona.
[12]Il macabro appellativo gli derivava dalla sua mania di costruire le
croci dei ragazzi con cui litigava all’orfanotrofio.
[13]Marika von Heindrich, la sorella minore di Schultz (vedi capitolo 18).
[14]Località vicino a Parigi, dove si trovano gli stabilimenti della Renault, che in quel periodo lavoravano ovviamente
per i tedeschi.
[15] Circa 183 metri. Le granate da 88 mm tedesche erano in grado
di abbattere un velivolo fino alla distanza di 30 metri dal punto di
deflagrazione e provocare danni, anche gravi, fino a 300 metri.
[16]Questa non è mia, ma di John Hersey (dal suo romanzo L’amante della Guerra).
[17]Persino alcuni piloti abbattuti della Luftwaffe furono uccisi nel corso della
guerra dai loro connazionali, in quanto erroneamente scambiati per aviatori
nemici!
[18]Descritta nel racconto Le Due Aquile, redatto a quattro mani col mio amico Alberto Borghesi, la
missione prevedeva un volo su Berlino con partenza da Lowell, nel Massachusset e
varie tappe a Goose Bay (Labrador), Stromfjord (Groenlandia), Isle of Mainland
(Shetland). Durante il percorso Gorenlandia-Shetland il B-24 di Richardson aveva però smarrito la rotta per poi atterrare
sul Pac una volta esaurita la benzina. Raccolti da un sommergibile tedesco, i
sette uomini dell’equipaggio (tre erano periti nell’impatto) erano stati
rilasciati due mesi dopo a seguito di una tregua stabilita dopo il termine di
un “duello” fra l’U-855 del korvettenkapitan Herbert Thyssen e l’SS 323 Pretty Shark del comandante Patt Barkley
della USN.
[19]Ovvio riferimento, quello di Flanny, a quando Candy
l’aveva costretta a “confessare” il motivo che la spingeva ad offrirsi
volontaria come crocerossina.
[20]Non ti arrabbiare, Terence! Glielo vogliamo dare, a quello sfigato, un
breve momento di felicità?
[21]“Come siamo deboli!” (Ugo
Tognazzi, nel film La stanza del Vescovo).
l
monotono ronzio del Packard Merlin V1650
che stava trainando il suo P-51 DLittle Ann attraverso la Manica, stordiva
piacevolmente il tenente Archibal Cornwell, matricola 11183150, capo-sezione
della 15a Squadriglia d’Attacco, inquadrata nel 45° Gruppo del 2°
Stormo Tattico, in forza alla Decima Forza Aerea.
Tale
circostanza permetteva al secondo nipote del magnate d’oltreoceano William
Albert Andrew di sopportare meglio la struggente sensazione delle notte appena
trascorsa. Il suo comandante di Squadriglia, capitano John C. Mayer, gli aveva malauguratamente consentito - in via del
tutto eccezionale - di trascorrere la vigilia della missione con la sua giovane
consorte, pensando che questo lo avrebbe tempratoefficacemente per l’importante operazione
che il reparto doveva compiere nella giornata del 7 Giugno.
Il
reparto di Archie avrebbe dovuto battere le principali direttrici stradali e
ferroviarie che collegavano la regione dello sbarco al restante retroterra
francese sud-occidentale, neutralizzando qualunque eventuale contrattacco che
il nemico avesse sferrato contro le due divisioni aerotrasportate dell’Esercito
(82a e 101a) scese due notti prima a presidiare gli
accessi delle spiagge Utah e Omaha, dove la mattina del 6 erano
sbarcati i reparti della 4a e della 29a divisione di
fanteria statunitense nell’ambito dell’Operazione
Overlord.
Se
soltanto Mayer, quell’impiccione d’un viennese romantico, avesse badato agli
affaracci suoi… chissà come si sarebbe temprato,
il capo-squadriglia, passando l’intera nottata a fare l’amore con sua moglie,
fra un singhiozzo e l’altro di quest’ultima! Il tenente Cornwell avrebbe trascorso
il resto della vita a chiedersi come poteva riuscire una donna a raggiungere
l’orgasmo piangendo! Anche se,
conoscendo la sua dolce metà, non ci sarebbe stato molto da stupirsi, dato che
il melodramma era sempre stato il suo forte.
Era
davvero curioso quanto la timida Annie fosse opposta di carattere alla solare
Candy - la sua vecchia fiamma, mai del tutto estinta - considerando soprattutto
che quelle due avevano trascorso l’infanzia insieme. D’altra parte,
l’impossibilità che aveva avuto un vulcano come miss tuttelentiggini nel plasmare a dovere la sua “sorellina” (come aveva invece fatto coi tanti
altri che aveva conosciuto) denotava la notevole caparbietà dell’attuale
signora Cornwell, pur tenendo conto del poco tempo che aveva avuto a
disposizione la sua compagna di brefotrofio, prima che lei venisse adottata dai
coniugi Brighton.
Eh,
già… Archibald Cornwell Andrew, il dandy
prestato all’aviazione (così lo chiamavano diversi commilitoni)[1]
doveva pur convenire che dietro a quell’apparente fragilità, la sua mogliettina
nascondeva e sapeva sfoderare una grintosa volontà di ferro, come i graffi
sulla schiena e sulle braccia continuavano fisicamente a ricordargli, testimoni
non soltanto dell’umida e focosa notte di passione, ma anche dei suoi disperati
tentativi di trattenerlo nella loro stanza d’albergo.
Solo
alla domanda del marito “Vuoi diventare
la moglie d’un disertore?!” la povera Annie l’aveva mollato. Per fortuna lo
spettro del disonore faceva ancora presa sulla figlioccia della signora
Brighton!
*A
proposito dell’influenza di Candy* meditò ancora il tenente del 45° mentre si
grattava un succhiotto che gli prudeva sul collo *c’è da dire che nemmeno coi
cuginetti Legan s’è rivelata efficace[2]… un
vero peccato: pensa a quanti grattacapi di meno!*
“Sparrow 2 a Sparrow 4…”
gracchiò negli auricolari la voce del capo-squadriglia “…tenete gli occhi
aperti: siamo per sorvolare la costa nemica!”
“Roger,
capitano” rispose Archie, dopo un lieve trasalimento “capo-sezione a gregari:
avete sentito?”
“Forte
e chiaro!” confermarono i suoi tre compagni, che gli volavano appresso nella
canonica formazione a quattro dita.
Dopo avere sorvolato la Manica, dove innumerevoli navi alleate stavano ancora facendo
la spola fra le coste meridionali inglesi e quelle della Normandia, riversandovi
sempre più uomini, veicoli e rifornimenti, il reparto tattico della Decima stava
superando ad alta quota il litorale ben presto noto in tutto il mondo come la
spiaggia di Bloody Omaha. Gli otto cacciabombardieri
stavano seguendo una rotta che li avrebbe portati sopra Saint-Lô, dove
l’Intelligence aveva riferito, grazie ai rapporti della Resistenza francese, che
vi si trovava acquartierata una panzerdivision
tedesca, pronta a piombare su Sainte-Mère-Eglise, ora presidiata dalle Aquile Urlanti della 101a
Divisione Aviotrasportata.[3]
*Ed
eccoci ancora sopra la Douce France* si disse il tenente Cornwell, contemplando
le verdi distese dei campi, intervallate da macchie rigogliose[4] *ormai
dovrei esserci abituato, ma mi si serra sempre la bocca dello stomaco! Immagino
le risate di mio cugino, se lo sapesse…*
***
Il
buon Archie conosceva bene il motivo di questa tensione: pur essendo ormai
svezzato come pilota militare, era quella la sua prima missione operativa di
attacco al suolo, da quando era stato trasferito a tale specialità.
Quando
la Decima Air Force era giunta alla sua massima espansione, le sue squadriglie
da caccia erano state ripartite fra il 1° Stormo Strategico di Victor Sanders,
avente il compito di colpire le infrastrutture nemiche nelle retrovie e il 2°
Stormo Tattico del brigadiere James Pryor,[5] che
si sarebbe occupato di attaccare al suolo le unità della Werhmacht. Pryor aveva però preteso che anche il suo Stormo
disponesse di un proprio reparto di caccia di scorta e così il glorioso 444°
Fighting Group, già inquadrato nell’Ottava Air Force di Ira Eaker (prima della
sua trasferta mediterranea col Greason Detachment),
si era scomposto in due unità distinte: il 99° Fighting Group, al comando del
maggiore Roy Master, che avrebbe scortato le Fortezze Volanti del 22° Gruppo
Bombardieri, nell’ambito del 1st Strategic Wing e il 65° Escort
Group, che avrebbe invece protetto i cacciabombardieri e gli assaltatori del 45°
Attack Group, in forza al 2nd Tactical Wing.[6]
L’allora
sottotenente Cornwell aveva creduto di rimanere nel 99° Caccia, assieme all’ex
compagno del defunto fratello maggiore, ma le cose non erano andate così. Non
solo era stato trasferito dallo Stormo Strategico a quello Tattico, ma non era
nemmeno rimasto sugli intercettori: dopo un breve quanto intenso corso sulle nuove
procedure di combattimento, era stato infatti aggregato ad una delle tre
squadriglie del 45° Gruppo, come pilota di cacciabombardiere!
Archie
non aveva prove certe, ma s’era fortemente convinto che dietro a tutto ciò vi
fosse lo zampino della moglie e soprattutto il potente aiuto della loro cara amica
lentigginosa. Se l’era potuta ben immaginare la sua “tenera” consorte stringere
convulsa le mani del comandante in capo e supplicarlo perentoriamente di metterlo subito a terra, affinché non facesse la
fine del cognato. E, se non erano bastate le preghiere di Annie, non c’era
dubbio che avesse provveduto Candy a dare il colpo di grazia ai residui
scrupoli professionali del generale Greason. L’asso degli assi poteva ostentare
fin che voleva la sua granitica devozione nei confronti della moglie Flanny, ma
era altrettanto palese l’ascendente che la sua bionda collega esercitava pure su
di lui!
Il
terrore di ripetere l’esperienza vissuta colla perdita di Stear e di dover
comunicare alla giovane signora Cornwell che non avrebbe più rivisto l’amato
consorte (eventualità che l’avrebbe di certo schiantata di crepacuore
mettendolo in una posizione disastrosa davanti a Candy) aveva ben convinto il
comandante della Decima, se non a “imboscarle” il maritino, a toglierlo almeno dagli
aerei da caccia.
Non
che le operazioni di attacco al suolo fossero faccende da sbrigare in tutta
tranquillità, ma per lo meno un pilota di cacciabombardiere si trovava meno
isolato di un intercettatore e la contraerea, per quanto intensa si
manifestasse, rappresentava spesso un deterrente più che una minaccia concreta.[7] Il
rovescio della medaglia era però che, se l’aereo veniva effettivamente colpito
proprio durante la discesa sul bersaglio, la bassa altitudine e la forte
velocità rispetto al suolo lasciavano ben poche possibilità di sopravvivere
gettandosi fuori, contrariamente a quando lo si poteva fare in alta quota, dopo
essere stati abbattuti da un caccia avversario. Ma tutto non si poteva avere…
***
“Sparrow 2 a Sparrow 4” trasmise ancora il
capitano Mayer “siamo a tre minuti dall’obiettivo… state pronti!”
In
basso, davanti ai musi degli otto P-51,
incominciava a delinearsi la brughiera nei dintorni di Saint-Lô. Il CO della 15a
Squadriglia d’Attacco tornò a far udire la sua voce nelle cuffie dei piloti:
“Sparrow 2 a Sparrow 4: guardateci le spalle mentre scendiamo sull’obiettivo.
Dopo lo sgancio ci rialzeremo per coprire il vostro attacco. Tutto chiaro?”
I
quattro Mustang della sezione guidata
da Mayer picchiarono risoluti sulla coltre verde della boscaglia e, poco dopo,
sei fiori luminosi s’accesero sotto le loro ali, denunciando l’accensione di
altrettanti razzi propulsori. Gli innovativi missili aria-terra, dotati di una
testata esplosiva da 60 libbre,[8]
abbandonarono gli attacchi subalari per scendere inesorabili verso il terreno.
Ancora una manciata di secondi e una serie di esplosioni scosse l’etere, mentre
diverse vampate di fuoco guizzavano fra le incolpevoli querce, di cui numerosi
tronchi iniziarono a rovinare al suolo.
“Mi
piange il cuore per quei poveri alberi!” osservò rammaricato il sottotenente Claude
J. Crenshaw, figlio di un ranger del Parco di Yellowstone.
“Concordo…”
ammise il capo-sezione, ricordandosi dei boschi attorno a Lakewood.
Dopo
avere sganciato anche le due bombe da 500 libbre, gli aerei della 1a
Sezione risalirono rapidamente, alleggeriti da tutto quel peso, mettendosi poi
a circuitare sulla zona sovrastante. Erano adesso di nuovo dei caccia, pronti a
difendere i compagni durante il loro turno di attacco.
“A
voi, 2a Sezione: date la ripulita finale!” ordinò Mayer, sempre col
suo accento austriaco.
“Con
piacere!” rispose il tenente Cornwell.
Trasmesso
l’ordine ai suoi gregari, Archie abbassò la mano destra sul pannello davanti
alla cloche e azionò gli interruttori per armare il proprio carico di caduta,
ubicati sotto gli strumenti di volo.
“Andiamo,
ragazzi… e speriamo che dopo la guerra lo rimboschino, qui sotto, anziché farci
un parcheggio!”
“La
seguiamo, tenente!” rispose il fido Crenshaw.
I
quattro Mustang della Sezione di
Cornwell planarono a loro volta sulla foresta, già parzialmente divelta e in
fiamme, sganciando anch’essi le loro M43
con calma e precisione.
All’improvviso
un paio di Panther sbucarono da una
macchia ancora integra e si diressero lungo i campi alla massima velocità
consentita.
“Sparrow
4 a Sparrow 11 e 12: date l’ultima ripassata coi razzi. A quei due unni ci
pensiamo noi!”
“Roger,
Sparrow 4!” risposero i sottotenenti Sandy Daimond e Lenny Carson.
“Sparrow
10, wilco!” confermò invece il suo secondo.
Mentre
i compagni eseguivano l’ordine, Cornwell e Crenshaw puntarono i musi dei loro
aerei contro i panzer tedeschi, i cui equipaggi, certamente colti dal panico,
avevano abbandonato sconsideratamente quella posizione protetta, per quanto
precaria fosse diventata.
“Io
punto su quello a sinistra, Claude. Tu cura l’altro!” dispose il capo-sezione.
“Okay,
Arch. Buona caccia!”
“Altrettanto,
chiudo!”
Il
cugino adottivo di Candy estrasse completamente gli aerofreni e ritrasse la
manetta verso la posizione di chiusura. Il regime del motore calò sensibilmente
e Archie, dopo aver regolato il mirino N9,
impugnò saldamente la barra, concentrandosi nella picchiata.
Il
comandante del carro, che si era sporto audacemente dallo sportello della torre
realizzando l’attacco degli aerei avversari, stava dando nervose istruzioni al
suo pilota con l’intercomunicatore di bordo. Si vide allora il Panther cominciare a zigzagare per
rendere difficile la mira all’attaccante.
“Troppo
lento, amico” scosse la testa il pilota “molto spiacente di doverlo fare…” e
premette il pulsante di fuoco.
I
proiettili razzo-propulsi si sganciarono dalle ali del Little Ann e discesero verso il suolo, assumendo traiettorie
lievemente divergenti. L’autiere del carro tedesco pestava forsennato
sull’acceleratore, spingendo il motore Maybach
al massimo dei giri. Al tempo stesso il capo-carro, l’oberfeldwebel Johann
Wassermann, puntava freneticamente la Spandau[9]
contro il minaccioso cacciabombardiere.
Il
bravo equipaggio della panzerwaffe
avrebbe certamente fatto meglio ad abbandonare quel carro fuggendosene a piedi,
ma l’ultima cosa che un soldato tedesco abbandona è la sua arma e questa
valorosa fermezza dovette costar loro la vita. Un tiro del genere era
abbastanza empirico, in assenza dei futuri sistemi di guida elettronica, ma gli
HVAR[10]
erano pur sempre sei e, per quanto pesante, a quel genere di bersaglio ne
bastava uno… un sordo boato si diffuse nell’aria, mentre una nuvola di fumo e di
fiamme prese il posto del Panzerkampfwagen
V Ausf. A, la cui torre, pesante più di dieci tonnellate, veniva sollevata
in aria come il tappo d’una bottiglia di Champagne: la testata del missile
doveva aver centrato il serbatoio della benzina o la riserva di munizioni.
A
quella vista lo stomaco di Archie si contrasse in una fitta dolorosa. Nessuno
poteva avere avuto scampo, dentro quel carro!
“Ottimo
lavoro, 2a Sezione” comunicò Mayer “riprendete quota per ricostituire
la formazione. Rotta di rientro.”
Pochi
minuti dopo gli otto Mustang della 15a
Squadriglia procedevano nuovamente in volo orizzontale, diretti verso nord.
“Un
colpo da maestro, tenente!” gridò nella cuffia di Archie la voce di Claude Crenshaw,
non appena si ritrovarono affiancati. La sua azione era stata meno proficua,
giacché i carristi del suo bersaglio, più abili o più fortunati, erano riusciti
a mandare a vuoto il suo tiro.
Ma
il capo-sezione non manifestò nessuna esultanza: “Quei poveri diavoli… neanche
il tempo di pisciarsi sotto!”
“Non
rammaricarti, Arch” lo consolò il compagno “avrai salvato almeno tre nostri
equipaggi!”[11]
“Mors tua, vita mea” commentò amaramente
Cornwell “mia cugina ha davvero ragione quando dice che la guerra è una
schifezza!”
“Tua
cugina? Quella sventolona bionda coi codini sulla testa che venne a trovarti
quella sera, alla base, insieme a tua moglie?”
“Già.
Hai buona memoria!”
“E
come potevo scordarla? Non sei mica stato carino, a non presentarmela!”
“Tempo
sprecato…”
“Perché,
l’hanno già accalappiata?”
“Purtroppo…!”
confermò Archie, con un grugnito di disappunto.
“E
chi è il fortunato collega?” s’incuriosì il gregario.
“Nessun
collega: è solo un attore di teatro.
E per di più inglese!”[12]
“Davvero?!”
esclamò Crenshaw, per cedere poi alla tentazione di stuzzicare il suo numero
uno “Mi deludi, tenente: farti soffiare una bambola simile da un limey imboscato!”
“Chiudi
la bocca, ficcanaso e pensa ai casi tuoi!”
Claude
ridacchiò:“Non te la prendere, Arch… anche la tua Annie è un vero bocconcino!”
“Non
mi lamento” sospirò il tenente “è solo che…”
“Basta
ciance, voialtri” li redarguì severamente il capo-squadriglia “tenete gli occhi
aperti per altri bersagli a terra, 2a Sezione. Noi della 1a
pensiamo ai caccia.”
“Wilco,
Sparrow 2!” rispose Cornwell, serrando la mascella dalla stizza. Mayer era
sempre il solito: all’eventuale intercettazione del nemico in aria voleva
sempre provvedere di persona. E pensare che lui stesso era stato abilitato come
pilota da caccia, quando s’era arruolato nell’USAAF! Come rimpiangeva quei tempi… detestava quello che faceva adesso.
Per lo meno, nei duelli aerei, gli aviatori nemici avevano la loro chance: le
prestazioni dei caccia alleati e di quelli tedeschi si equivalevano abbastanza e
il risultato di uno scontro dipendeva in gran parte dall’abilità del pilota. Ma,
colpendo un bersaglio terrestre, Archie sentiva sempre un moto di vergogna,
perché pensava che chi stava là sotto non aveva nessun modo di difendersi.
“Sparrow
2 a Sparrow 4” comunicò il sottotenente Carson “individuato target a ore due,
lungo la strada!”
Archie
puntò lo sguardo in quella direzione, accertando la presenza di una colonna di sei
autocarri Opelblitz che percorreva
velocemente la Route Nationale 174.
“Pare
ci sia altro lavoro da fare” constatò il capo della 2a Sezione
“torniamo giù a sistemarli.”
“Lascia
fare a noi, tenente.” propose Carson, ben conoscendo la succitata idiosincrasia
del superiore.
“Ti
ringrazio, Lenny… ma sono troppi per due caccia con le sole mitragliatrici.
Serviamo tutti. Sparrow 4 a Sezione: attaccare in ordine di ruolo!”
“Roger…!”
risposero i tre gregari.
I
quattro P-51 dell’unità di Cornwell iniziarono
a picchiare dolcemente verso quell’invitante colonna di succosi bersagli,
praticamente indifesi. O almeno così sembrava… perché, non appena il Little Ann di Archie si trovò nella
posizione ottimale per tirare le sue raffiche contro l’autocarro di testa (così
da bloccare la strada a quelli che lo seguivano), si videro i teloni dei camion
arrotolarsi improvvisamente per lasciar libero il campo di tiro a dei
cannoncini antiaerei da 37 millimetri!
Psicologicamente
restio com’era a infierire contro quel genere di bersagli, il marito di Annie
non fece nemmeno in tempo a collimarne uno prima di vedersi circondato dalle
scie dei traccianti provenienti dalle micidiali Flak trasportate sui cassoni dei veicoli.
A
bordo dei Mustang volarono giudizi piuttosto
duri sulle madri di quei tedeschi…
“Porci
bastardi” gridò Crenshaw, sgomentato “ci hanno teso una trappola!!”
“Disimpegnatevi…
riprendere quota…!” ordinò subito il tenente Cornwell. Ciò fatto ritirò i flap,
ridusse il passo dell’elica e spinse la manetta a fondo corsa per allontanarsi
il più possibile. Ma il personale della Luftwaffe[13] che
componeva quel reparto antiaereo aveva saggiamente disposto che il cannoncino
dei due camion di testa fosse puntato verso la direzione di marcia, in modo da
poter prendere di mira gli aerei, subito dopo che li avessero sorvolati. Così,
sebbene i quattro caccia avessero rotto la formazione disperdendosi a
ventaglio, le due Flak di testa poterono
mantenere il tiro su un paio di loro: quello di Carson e quello di Cornwell.
Il
primo se la cavò con qualche foro nell’ala sinistra, che la robusta struttura
del P-51 fu in grado di reggere senza
compromettere la tenuta di volo, mentre il secondo si beccò un proiettile in
pieno muso, che appiccò un incendio al serbatoio del refrigerante.
“Maledizione…!!”
gridò il povero Archie, vedendo scomparire ben presto lo spazio circostante dietro
una coltre di fumo nero.
Cercando
di tenere a bada l’agitazione, il pilota tolse il contatto al motore e premette
il pomello dell’impianto estinguente, che però non volle saperne di funzionare.
“Oggi
non è giornata…!” commentò, amaro.
“Sparrow
10 a Sparrow 4… mi senti, Arch? Arch…!!”
“Cinque
su cinque, Claude… sono nei guai!”
“Arch,
lanciati subito: se il fuoco raggiunge il serbatoio dell’olio, sei fottuto!”
“Wilco…
farò del mio meglio. Ma mi serve un po’ di quota, se non voglio rimetterci
l’osso del collo!” rispose il compagno, tirando la cloche.
A
motore fermo non poteva però sperare di guadagnarne granché, se non voleva
rischiare uno stallo. Quando l’altimetro rasentò i mille piedi, Archie tirò con
forza la rossa leva di emergenza con la scritta canopy release. Subito la cupola di plexiglas che ricopriva l’abitacolo
se ne volò via, liberata dagli agganci e il pilota si sentì penetrare fin nelle
ossa il freddo intenso dell’aria esterna.
Adesso
si trattava di lanciarsi, ma non era una cosa facile. Non si abbandona un
aeroplano in volo come si salterebbe da un treno o da un’auto. Il pericolo di
venire investiti dai piani di governo o frantumati dalle pale dell’elica è
troppo reale per trascurarlo.[14]
Archie ricordava chiaramente le parole del suo istruttore al corso avanzato: “Ricordatevelo
sempre, boys: il modo più sicuro per salvare la ghirba, se appena siete in
grado di farlo, è quello di sganciare la cinghia di sicurezza, capovolgere
l’aereo e lasciarvi scodellare giù come un uovo da friggere… cercando di finire
in padella anziché sulla brace, possibilmente!”
La
conclusione aveva suscitato fra gli allievi una certa ilarità, ma ora il
tenente Cornwell non rideva per niente, al ricordo di una certa persona che la
ghirba non l’aveva salvata, proprio perché non si era trovato in grado di fare più
nulla…
“Proteggimi
tu, fratello, se ancora non ti manca la mia compagnia…!” lo pregò.
Liberata
la fibbia della cintura, si segnò rapidamente per poi spingere la barra tutta a
sinistra, dopo aver portato il timone al centro. L’orizzonte ruotò rapidamente
di centottanta gradi e Archie, chiuse gli occhi non appena si sentì risucchiare
dalla gravità terrestre. Senza por tempo in mezzo, tirò la maniglia d’apertura
che aveva già stretto in pugno e avvertì il fruscio del nylon[15]
fuoriuscente dall’involucro. L’ombrello del paracadute si aprì regolarmente e
il contraccolpo dell’imbragatura infierì purtroppo su una parte del corpo che
la notte precedente aveva dovuto fare gli straordinari… Archie mandò un affettuoso
moccolo alla sua consorte e all’intero genere femminile!
***
Nel
frattempo i suoi gregari stavano indugiando sulla zona per capire se l’aveva
scampata, ma il comandante di squadriglia fu costretto a richiamarli
all’ordine: “Sparrow 2 a 2a Sezione: ripristinare la formazione e procedere
al rientro!”
“Sparrow
10 a Sparrow 2… il tenente Cornwell è stato abbattuto dalla contraerea e s’è lanciato.
Dobbiamo fare qualcosa!”
“E
che vorresti fare, Crenshaw? Scendere a prenderlo? Non sei su un R-4.”[16]
“Ma,
capitano… qua sotto è ancora territorio nemico!”
“Poco
male… se è rimasto intero e riesce a non farsi beccare dai crauti per un giorno
o due, le nostre truppe lo raggiungeranno.”
Il
sottotenente Crenshaw strinse i denti per non mancare di rispetto al superiore.
Quella fredda logica mitteleuropea gli dava parecchio sui nervi. Arch era suo amico, porca miseria!
“Signore,
mi lasci scendere per vedere se è ancora vivo, la prego!” supplicò.
“Negativo,
Sparrow 10: non ti basterebbe il carburante per rientrare. Finiresti in bocca
ai pesci, in fondo alla Manica.”
“Correrò
il rischio, capitano. La pelle è mia!”
“Ma
l’aereo è dei contribuenti. Resta in formazione, è un ordine!”
“Roger…!!”
grugnì Claude soffocando una bestemmia. E poi pensò: *Va’ in malora, malnato tirolese
bifolco dei miei coglioni!*
Con
l’animo pieno d’angoscia si mise a setacciare con lo sguardo il terreno
sottostante, alla ricerca del paracadute di Archie, ma senza risultato.
Sospirando, si concentrò allora sulla rotta, consapevole di avere adesso la
responsabilità dei suoi due compagni di sezione.
Archibald
Cornwell non ebbe modo di contemplare l’ameno paesaggio che si stendeva sotto
di lui, poiché la bassissima quota da cui s’era lanciato gli concedeva un tempo
di discesa piuttosto breve. Né poté disporre di un grande margine per controllare
la direzione, sollecitando le funi di sostegno del paracadute. Aveva bensì
adocchiato un invitante covone, accatastato vicino a una grossa cascina, ma ben
presto si dovette accontentare di un’enorme platano che s’innalzava poco
distante…
“Eh,
no… miseriaccia d’una… ma puttana miseria…!!”
La
tuttora viva e vegeta signora Elroy si sarebbe inorridita a sentire il suo nipote
più distinto pronunciare quegli sconci epiteti da plebeo! D’altra parte due
anni abbondanti di servizio militare avevano decisamente influito sul carattere
dell’ultimo rampollo della facoltosa famiglia americana.
Dopo
avere falciato numerosi rametti ed essersi contuso nelle parti più sensibili
del corpo, procurandosi una discreta collezione di bitorzoli, il malcapitato
aviatore della Decima Air Force riuscì finalmente ad avvinghiarsi a un nodoso
ramo della prima biforcazione, a circa dodici metri d’altezza. Il più era
fatto. Adesso si trattava solo di
scendere…
*Povero
me… e pensare che per Candy sarebbe come bere un bicchier d’acqua!*
Quest’auto-considerazione
stuzzicò in qualche modo il suo orgoglio maschile: “Animo, amico… non vorrai
mica farti bagnare il naso da una femmina, per quanto adorabile e in gamba sia.
Sei un soldato, per di più…!”
Ciò
detto, si sfilò i guantoni da volo per avere maggior presa sulla corteccia e
iniziò a scendere cautamente lungo il tronco. Inutile dire che, dopo pochi
secondi, rivoli di sudore gli scorrevano già fra l’intera peluria, drizzata
dalla fifa.
“Mannaggia!
Se solo mi fossi unito ad Anthony e Stear, quando Candy pretendeva d’insegnarci
a salire sugli alberi, nel parco di Lakewood…”
Omise
ovviamente di specificare che aveva resistito alle pressioni della biondina per
la paura di compromettere il suo prezioso guardaroba. E ora ne pagava lo
scotto.
“Coraggio…”
mormorò, cercando di dominare la tremarella “…ancora qualche metro e ci siamo…
piano piano… ecco… ancora un po’… oddio…!!”
A
soli tre metri dal suolo il povero Archie perse completamente la presa e,
complice anche il suo fisico non eccessivamente mingherlino (era sempre stato
un amante della buona tavola, dilettandosi pure a cucinare, con grande
disappunto di sua zia),[17]
scivolò giù pesantemente, finendo col posteriore a terra, non rompendosi per
poco l’osso sacro contro una nodosa radice.
Il
dolore fu però talmente intenso da farlo ricadere supino sul terreno, privo di
sensi.
***
Chiuso
nel suo ufficio presso la base di Grant
Field, sede del 99° Gruppo Caccia, il generale Andrew Steve Greason,
comandante della Decima FA, stava consultando attentamente i rapporti pervenutigli,
via via, dai responsabili dei reparti tattici.
Appoggiate
alla scrivania si notavano le due stampelle di cui ancora doveva servirsi per camminare.
Il decorso post-operatorio seguito all’incidente sul cielo di Eiserfeld era stato
concordemente definito prodigioso da tutta l’equipe medica civile e militare. Il
dottor Farrell non dubitava che, tempo qualche settimana ancora e l’aquila americana avrebbe nuovamente potuto
spiccare il volo. Per fortuna, né le alte sfere dello SHAEF di Londra, né quelle dello JCS di Washington[18]
avevano saputo della sua performance per neutralizzare la bomba fortuitamente sganciata
dal Candy Candy!
Il
generale Spaatz e il generale Arnold erano andati personalmente a trovarlo in
ospedale per congratularsi sull’ottimo risultato dell’operazione contro il fantomatico
laboratorio chimico e naturalmente avevano voluto sapere chi mai fosse stato
quel pilota tedesco così abile da sorprendere dal basso il loro campione (era
stata quella la versione “ufficiale”…) e il loro irrequieto pupillo, stringendo
in una morsa la mano di Flanny, presente al colloquio, aveva spudoratamente risposto
che anche ai migliori può capitare di farsi mettere sotto da un pivello
fortunato e che la lezione gli sarebbe servita per non ripetere quell’errore,
in futuro! Così aveva detto fissando la moglie negli occhi, che aveva compreso perfettamente
a quale errore si fosse in realtà riferito
il suo uomo.
La
sua bella, cara, dolce e forte Flanny, che non gli avrebbe mai chiesto di smettere di volare. Andy le aveva bensì giurato che
non avrebbe mai più corso un rischio
così folle, ma la signora Greason era purtroppo sicura che continuare a
dividere il marito con il cielo le avrebbe procurato ancora ansia e sofferenza
a volontà. Aveva il diritto di farlo, specialmente ora che la sua meravigliosa
compagna stava per dargli un secondo figlio? Era giusto continuare a rischiare
di non poter tornare insieme alla sua famiglia, quando quel tremendo conflitto
fosse terminato?
Cosa
ci sarebbe stato di così disdicevole a proseguire il suo lavoro dirigendo la Decima
Forza Aerea da terra? Non aveva già fatto abbastanza, come combattente? La sua
esperienza organizzativa e la sua competenza tattica non lo rendevano palesemente
più prezioso come coordinatore che come cacciatore, quando ad abbattere gli aerei
con la svastica rimanevano pur sempre piloti come Jim Stone, Vic Sanders, Roy
Master e Vinny Hames, ormai abili quasi quanto lui? Cosa sarebbe mancato,
lassù, nella lotta, se quaggiù il loro comandante avesse finalmente restituito
la serenità alla moglie?
Sarebbe
mancata laleggenda… sarebbe mancata, in tutti i suoi aviatori, la
consapevolezza che l’asso degli assi era insieme con loro. Sarebbe mancato il
sostegno psicologico che dava il solo vedere quel Thunderbolt verde con il muso quadrettato e quell’aquila disegnata presso
il cockpit. Quanti dei suoi ragazzi avrebbero continuato a dare il meglio di loro
stessi, senza la sua tangibile presenza? E quanti di loro avrebbero magari
perso la vita per la sua assenza? Anche il nemico si sarebbe fatto maggiormente
spavaldo, non incontrandolo più in aria. Poteva Andy barattare il ritrovato sorriso
di Flanny con le lacrime di tante altre mogli, tante sorelle, tante madri? E
tanti altri figli che non sarebbero più nati?
E
poi… rimanere lì, in quell’ufficio, in mezzo alle scartoffie, struggendosi a contare
il tempo che mancava ad ogni rientro dei suoi uomini dalle missioni, con
l’angoscia di non rivederne più qualcheduno! La perdita di un compagno in
azione, per quanto scioccante, era riuscito, col tempo, ad assimilarla. Sarebbe
riuscito a sopportare anche un mancato ritorno?
Il
trillo del telefono lo fece sussultare, mentre si stava quasi assopendo, perso
nelle sue meditazioni.
“Pronto?
Parla Greason…”
“Andy?
Sono Pryor…”
“Ah,
Elliot… dimmi tutto!”
“Poco
fa mi ha chiamato McMillian. La sua 15a Squadriglia è rientrata
dalla missione su Saint-Lô…”
La
gola dell’asso s’inaridì di colpo. Nella 15a Squadriglia, appartenente
al 45° Gruppo d’Attacco del colonnello Patrick McMillian, volava il tenente Archibald
Cornwell, marito di Annie Brighton, l’amica del cuore di Candy White. E il brigadier-generale
Pryor non l’avrebbe contattato personalmente, se…
“È
successo qualcosa…?” deglutì poi, stringendo i pugni, cogli occhi puntati sul
ritratto di Flanny, posato sul tavolo.
“Beh…
non so come dirtelo, ma… il tenente Cornwell risulta disperso in azione.”
Il
cuore dell’asso mancò d’un battito. Strinse gli occhi, appoggiandosi allo
schienale della poltrona, con appena la forza di reggere il ricevitore, mentre
il comandante del 2° Stormo Tattico continuava a parlare: “Il rapporto del
capitano Mayer riferisce che è stato abbattuto dalla contraerea, ma i suoi
compagni di sezione l’hanno visto saltare. Purtroppo non hanno potuto vederlo
arrivare a terra, ma ci sono buone probabilità che se la sia cavata.”
“Dove…”
Andy dovette tossire più volte “…dov’è accaduto, esattamente?”
“A
circa tre miglia a nord di Pont Hébert…”
Il
generale afferrò una stampella, si alzò non badando alle fitte di dolore e s’avvicinò
ad una mappa, appesa alla parete, raffigurante la Francia settentrionale. Recenti
segni di pennarello marcavano l’estensione della testa di ponte del 21° Gruppo
d’Armate[19] con la posizione delle
principali unità.
Andy
tentò disperatamente di concentrarsi, anche per evitare che gli tremasse la
voce: “Si trova a meno di quindici miglia dalla linea del fronte… se la Quarta
Divisione di Burton facesse una sortita in quella direzione, potrebbe
raggiungere la zona in pochi giorni!”
“Lo
pensavo anch’io” convenne Pryor “è per questo che t’ho chiamato subito. Se ne
parlassi con Ike…”
“Non
sono abituato a fare queste cose, Elliot!”
“Lo
so, scusami. Ma, se stavo zitto, me ne sarei pentito fino al mio funerale.”
“Ti
capisco… hai fatto bene.”
“Mi
dispiace, capo… ma aspettiamo a pensare al peggio. Se è arrivato incolume a
terra, quasi sicuramente è ancora vivo.”
“Sì,
è probabile” concordò Greason, cercando disperatamente di convincersene “ma c’è
anche il rischio che i crucchi lo abbiano ingabbiato!”
“Non
è detto: se riesce a rifugiarsi in un villaggio o in una fattoria, i francesi
lo nasconderanno fin tanto che le nostre forze respingeranno i tedeschi verso
sud.”
“Iddio
ti ascolti, Elliot… grazie di avermi informato.”
“Di
nulla: non mi andava che lo venissi a sapere da un rapporto ordinario!”
“Grazie
ancora…!”
Andy
riattaccò, sospirando pesantemente. Si risedette poi cautamente sulla poltrona
e rimase parecchi minuti chino sullo scrittoio, a sorreggersi la testa con la
mano sugli occhi. Quando la ritrasse era leggermente umida…
Era
successo di nuovo. Un’altra persona che aveva voluto seguire il suo esempio non
era tornata indietro. E proprio lui: il fratello di Alistear Cornwell Andrew!
Come
lo avrebbe detto a sua moglie? Con che coraggio avrebbe guardato in viso Candy?
Si
portava dietro quel dannato presentimento da quando quel benedetto bon viveur aveva avuto la malaugurata idea di entrare in aeronautica e, alla fine,
le sue peggiori previsioni si erano
purtroppo avverate in pieno.
Restò lungamente a fissare il telefono, in alternanza
colla foto della moglie, fin quando si decise a rialzare la cornetta e a
chiamare il centralino: “Parla Greason. Passatemi l’ufficio del generale Eisenhower,
per favore… sì, è urgente!”
***
Lo
snebbiarsi del cervello e la discreta emicrania che gli martellava le tempie
portò lentamente Archie Cornwell alla vita. Le sue membra non sentivano più la
durezza del terreno, saggiata suo malgrado al termine della caduta dall’albero,
ma una morbidezza rilassante come quella d’un materasso e anche l’epidermide
percepiva il piacevole tocco liscio, come d’un lenzuolo di bucato.
Per
un istante pensò di non essersi nemmeno alzato dal letto, quella mattina. Che
sua moglie lo avesse davvero convinto a disertare la missione?
A siffatto
pensiero, spalancò gli occhi… per ritrovarsi a contemplare, una volta che la
vista gli tornò del tutto a fuoco, l’immagine d’una giovane donna dai riccioli
biondi che le contornavano graziosamente l’ovale perfetto del viso, ingentilito
da un nasino leggiadro, spruzzato di maliziose lentiggini. Due incantevoli
occhi color acquamarina lo stavano fissando intensamente…
“Ca…
Candy…!!” mormorò il tenente, con voce debole.
Un
certo stupore animò quel bellissimo viso femminile: “Come sa il mio nome?” gli
chiese, poi, nella lingua di Shakespeare, addolcita da un grazioso accento
francese.
“Co…
come?” balbettò l’aviatore, confuso, cercando di alzarsi.
“No,
no… stia giù, la prego. Sente dolore…?”
“Io…
non so… non mi pare…”
“Meglio
così. Cerchi di muoversi il meno possibile o comunque lentamente. Grazie al
Cielo non sembra avere niente di rotto, ma non si sa mai… purtroppo il medico
non è in paese, oggi, ma domani verrà a darle un’occhiata. Speriamo che non si
debba portarla all’ospedale: sarebbe troppo rischioso, coi boches in allarme!”
“Con
chi…?” chiese, stupito, Archie.
“I
boches… les allemands… i tedeschi!”
“Ah…
è vero! Sono molto spiacente per questo disturbo… signorina…?”
“Signora…
sono sposata” abbassò gli occhi, mentre un velo di tristezza le incupiva il volto
“anzi, vedova. Mi chiamo Catherine…”
“Catherine…”
ripeté l’aviatore, con un guizzo “…ah, ecco perché diceva…”
“Già…”
sorrise la giovane “…quando si è svegliato mi ha chiamata Kathy!”
“Beh,
io veramente…” s’impappinò “…oh, bah, non importa. Io mi chiamo Archie…”
“Archie…??” ripeté lei, sconcertata.
“Archibald… Archibald
Cornwell, di Chicago, Illinois. Familiari
e amici mi chiamano Archie.”
“Capisco…
io sono Catherine Beauville. Molto piacere!” sorrise.
“Onoratissimo,
madame! Parla molto bene la mia lingua…”
“Niente
di che: mi sono laureata in lingua e letteratura inglese alla Sorbona, prima
della guerra.”
“Ah,
caspita… complimenti!” esclamò lui, sinceramente ammirato.
“Grazie”
un’altro sorriso, così simile al suo
“ho insegnato tre anni in un liceo di Parigi. Poi, nel ’40, sono arrivati i
tedeschi… mio marito, Philippe, è entrato nel maquis… la resistenza… e…”
Quei
begli occhioni azzurri s’inumidirono e Archie provò una stretta al cuore. Dio
santo, anche la sua voce gli ricordava quella di…
“Lo
hanno preso?” le domandò, con tatto.
Lei
annuì, tamponandosi gli occhi col fazzoletto: “Lo hanno arrestato nel ’41… lo
condannarono a cinque anni di lavoro coatto, in Germania. Non era un franco
tiratore, passava delle informazioni, distribuiva volantini propagandisitici,
cose del genere. Ma poi… ci fu un attentato contro un ufficiale delle SS… e, per rappresaglia… lo fucilarono
assieme ad altri partigiani che tenevano già in carcere!” ciò detto, cominciò a
singhiozzare.
Incapace
di resistere, il pilota della Decima si alzò dal letto, le si avvicinò e le
mise le mani attorno alle spalle: “Mi dispiace… davvero, mi dispiace molto!”
Lei
appoggiò la testa sulla spalla di lui, che istintivamente l’abbracciò con
tenerezza. I suoi boccoli emanavano un delicato profumo di lavanda.
“Su,
su…” le disse il pilota, carezzandoli dolcemente “…coraggio!”
“Avrebbero
arrestato anche me” raccontò lei, dopo essersi ripresa, godendosi il tepore del
corpo dell’uomo “se degli amici non mi avessero aiutato a lasciare Parigi. Rimasi
nascosta per un anno… poi le acque si calmarono e i nazisti si scordarono di
me. Così potei stabilirmi in questo villaggio…”
“E
cosa fa, per vivere?” le domandò lui, senza nessuna curiosità indiscreta. Era
interesse affettuoso, puro e semplice.
“Coltivo
il mio orto e insegno alla scuola elementare. Non mi danno un gran che, ma non
posso lamentarmi!”
“Certo…
sono sicuro che i suoi alunni l’adorano!”
“Oh,
sì” confermò lei, ricambiando inconsciamente l’abbraccio. Poi lo guardò in
viso, per dirgli “tu… gli somigli molto, sai?”
“Ti
dà fastidio?” chiese Catherine, sembrando notargli del rammarico nella voce.
“Ma
no, figurati” la rassicurò lui, adeguandosi a quell’improvvisa confidenza “e
poi, se devo essere sincero… anche tu le
somigli parecchio!”
“A
chi somiglio…?” domandò la donna, alzando la testa e scrutandolo bene in volto.
“A
una ragazza… di cui m’ero innamorato…” confessò malinconico l’ufficiale.
“Oh...!
E anche lei è…?”
“No,
no” si affrettò a chiarire lui “è solo che… non mi ha voluto!” sospirò.
Lei
mostrò un tenero sorriso: “Ho capito” rispose, mentre gli accarezzava il petto
“povero Archibald…”
“Chiamami
Archie.”
Lei
scosse la testa: “Non mi piace…!”
“Allora
chiamami Arch” contropropose lui “nel mio reparto mi chiamano così.”
“Uff…
di male in peggio. Cos’è questa mania di voi yankee per abbreviare sempre i
nomi?”
“Per
fare prima, no?” sorrise lui.
“Ma
come mai avete sempre tutta questa fretta?”
“Non
abbiamo fretta. Ci piace semplificare le cose.”
“E
perché?” insistette lei.
“Non
lo so… magari pensiamo che, in questo modo, i problemi si risolvano più
facilmente.”
“Che
pragmatisti, siete!”
“Forse…
però siamo anche spontanei.”
“Già…
troppo spontanei!”
“Troppo?”
“Guardati un po’…” lo esortò lei, con voce maliziosa, sciogliendo l’abbraccio.
E, solo allora, il tenente Cornwell realizzò d’indossare soltanto i boxer e i
calzini d’ordinanza!
“Santi
numi… mi dispiace!! Non volevo… oh, accidenti…!” farfugliò, più rosso in faccia
di quanto avrebbe voluto, mentre annaspava intorno alla ricerca disperata di
qualche indumento.
“Ehi,
calma…” la donna non riusciva a smettere di ridere “…non ti ho detto che sono
una donna sposata?”
“Ma
non con me…!!” obiettò il tenente, permeato dal solito puritanesimo americano.
“No…
certo!” l’espressione di Catherine si rifece seria.
“Beh,
comunque…” borbottò lo yankee, guardandosi intorno “…si può sapere dov’é finita
la mia roba?”
“L’ho
nascosta. Se arrivano i tedeschi…”
“Ah,
già! Buona idea… però, un’altra volta, ricordati di levarmi pure questa!”
“Cos’è,
un portafortuna?” domandò lei, sapendo quanto gli aviatori fossero
superstiziosi (anche suo zio era stato un pilota, nella Grande Guerra).
“Portafortuna?! È la mia piastrina
militare: se i crauti me la trovavano al collo, tanto valeva che indossassi
ancora la tuta di volo!”
“Oh…
mi dispiace” si scusò Catherine, di nuovo leggermente divertita “dammela, la
metterò insieme al resto.”
“Brava…
già che ci sei, non avresti anche qualcosa da mettermi addosso?”
Ma
lei scosse la testa, sorridendo: “Non preoccuparti, avete giusto la stessa
taglia… e poi, lui sarebbe stato felice di aiutarti!”
“Ti
ringrazio di cuore, Can… Kat… Catherine” aggiustò il tiro, quando lei aggrottò
le ciglia, con disappunto “anche per il pericolo che stai correndo per me!”
“Figurati…
con quelli che correte voi, nel liberarci… sono quattro anni che vi
aspettiamo!”
“Già…”
ammise, lui, portandosi una mano alla nuca “…scusateci per tutto quel ritardo!”
“Beh… l’importante è che ora ci siate!”
concluse la giovane, prima di lasciare la stanza.
L’importante è che adesso ci sei… avrebbe invece voluto dire.
[1]Altri lo chiamavano invece La
bella copia del cugino bombarolo (ovvero Legan)… quando entrambi non
sentivano, però.
[2]Non si può cavare olio da una pietra, avrebbe detto l’interessata!
[3]Screaming Eagles, com’erano soprannominati i paracadutisti della 101st
Airborne.
[4]Il famigerato Bocage, che
sarebbe stato l’incubo dei soldati alleati per l’intera durata delle operazioni
in Normandia.
[5]Nel settembre 1943 James Elliot Pryor comandava il 3°
Gruppo Bombardieri del Greason Detachment
in Sicilia e l’atterraggio fortuito del suo DouglasA-20 in territorio nemico aveva dato
luogo all’allegra avventura svoltasi proprio nel giorno della proclamazione
dell’armistizio fra l’Italia e le Nazioni Alleate, firmato cinque giorni prima
da Castellano e Bedell-Smith (episodio ricordato da Schultz von Heindrich nel
capitolo 19).
[6]Tutti reparti che esistono veramente:
aprire il mio armadio per credere!
[7]Statisticamente occorrevano non meno di quattromila
granate antiaeree per abbattere un bombardiere in quota e a velocità costante.
L’elevata velocità relativa di un cacciabombardiere che picchiava verso il suolo
o risaliva rapidamente (una volta alleggerito dal suo carico offensivo) rendeva
ancora più difficile il tiro della Flak.
[8]27 Kg. Erano
chiaramente ancora missili non guidati, ma dimostrarono un’ottima efficacia
contro i corazzati pesanti tedeschi tipo Tiger
e Panther, che gli Sherman statunitensi e i Cromwell britannici affrontavano con notevole
difficoltà.
[9]Mitragliatrice leggera, usata sui panzer in funzione antiaerea.
[10]High Velocity Aircraft Rocket (razzo aereo ad alta velocità).
[11]Si diceva che ci volessero almeno quattro Sherman per distruggere un Tiger e non molti di meno per un Panther. Ancor più esplicitamente, il
generale Eisenhower aveva dichiarato che il modo più efficace per neutralizzare
i panzer tedeschi era bombardare le fabbriche che li costruivano!
[12]Se solo Archie avesse saputo quanto gli scozzesi possano
irritarsi nel venire chiamati inglesi,
si sarebbe evitato parecchi guai col nostro amico attore! Il fatto è che molti
dicono Inghilterra, quando dovrebbero
dire invece Gran Bretagna.
[13]Gli artiglieri della Flak non facevano parte della Wehrmacht (cioè dell’Esercito), ma dipendevano tutti dall’aeronautica,
secondo una precisa disposizione del ReichmarshallHermannGöring. Se
l’esercito (dove c’erano diversi generali anti-nazisti) avesse messo in atto un
eventuale colpo di stato, si sarebbe trovato così senza alcuna difesa contro l’aviazione,
interamente comandata da fedeli nazionalsocialisti.
[14]Non occorre precisare che a quell’epoca i sedili
eiettabili presenti sugli odierni caccia erano ancora di là da venire, anche se
si cominciavano a fare i primi esperimenti.
[15]Il nylon è nato nel 1940 e già
sostituiva la seta nei paracadute d’oltreoceano.
[16]Il Sikorsky R-4 Hoverfly è
stato il primo elicottero operativo al mondo, entrato in servizio nel 1943.
[17]Forse m’è tornato in mente l’Archie descritto nell’ultima
parte del romanzo di Odyssea. A proposito della sua l’abilità culinaria, mi
sono ricordato della trasferta di Grey Town, in compagnia di Annie.
[18]SHAEF: Supreme
Head Quarter Allied Expeditionary Force (Quartiere Supremo della Forza di
Spedizione Alleata), costituito all’epoca della pianificazione dello sbarco in
Normandia e successivo comando generale Alleato fino al termine del conflitto,
con sede a Londra, poi a Parigi. JCS: Joint
Chief of Staff (Comando degli Stati Maggiori Riuniti), in pratica il
vertice delle Forze Armate Statunitensi, dal dopoguerra chiamato comunemente Pentagono per via della forma geometrica
del ben noto edificio che lo ospita.
[19]Comandato dal suo “amico” maresciallo Bernard Law Montgomery, vincitore
della Battaglia di El Alamein.
[20]Cercate d’immaginare Archie non con la consueta pettinatura del manga o
dell’anime, ma coi capelli tagliati corti alla militare. “Ragazzo: da domani, capelli corti così!!” gli aveva detto il suo
primo superiore, subito dopo il suo arruolamento.
L’asso
degli assi dovette alla fine dar retta a quella vociaccia, nettamente dissimile
dal timbro affettuoso della sua dolce metà, pur essendo ugualmente perentoria.
Il generale di divisione James Patrick Stone, Capo di Stato Maggiore della
Decima Forza Aerea, dovette però anche dargli alcuni energici scossoni, per costringere
il suo diretto superiore ad aprire gli occhi.
“Jim…
sei tu…?”
“Già…
non sono Flanny, mi dispiace!”
L’altro
grugnì di nuovo, volgendo il capo verso il comodino: “Che ora è?”
“L’ora
che ti dia una strigliata, mandi giù una tazza di caffè e ti precipiti in Sala
Operazioni: abbiamo il briefing fra dieci minuti!”
“Cosa??!”
l’affermazione del suo vice spazzò di netto il torpore dal corpo di Andy “Oh, cavolo…
devo aver dimenticato di caricare la sveglia!” affermò, schizzando fuori dal
letto e dirigendosi verso la toilette, mentre si sfilava la casacca del
pigiama.
“Secondo
me non l’hai proprio sentita, invece!” ipotizzò il suo secondo.
“Dici…?”
chiese Andy, fra uno scroscio d’acqua fredda e l’altro.
“Dico.
Ti sei imbottito di sonnifero anche ieri sera o sbaglio?”
“Non
sbagli…!” bofonchiò il collega, dopo essere uscito dalla doccia, mentre si
strofinava coll’asciugamano.
“Se
tua moglie viene a saperlo, sono guai!”
“Dimmi
qualcosa che non so…” rispose Greason, abbottonandosi la camicia.
“Ciò
che non so io” replicò il collega allungandogli i calzoni “è perché ti ostini a
non avere un attendente!”
“Per
non fare l’aristocratico nei confronti di mia moglie. Lo sai come ragiona”
spiegò l’amico, calzando infine le scarpe “a parte che anche Candy mi
prenderebbe in giro…”
“L’ho
sempre saputo che avevi un debole per lei!”
“Finiscila”
lo guardò brutto Andy, allacciando il cinturino del cronografo; poi guardò il
quadrante “miseria… neanche il tempo di radermi!”
“Ehi,
ti senti bene?” gli chiese seriamente James, stringendogli una spalla “Non hai
una bella cera!”
“Infatti
sto da cani. Che c’è di nuovo? Su, andiamo!”
“Ok…”
sospirò l’altro.
***
Durante
tutto il briefing il maggior-generale Stone non cessò di tener d’occhio il proprio
comandante in capo, impensierito dall’aspetto teso che mostrava. Era da soli
dieci giorni che il tenente-generale Greason era rientrato in servizio
operativo. Quando il dottor Dumfryes gli aveva rilasciato l’idoneità al volo, i
superiori, i compagni più fidati e in special modo la sua consorte avevano
cercato d’indurlo a pazientare ancora per un po’… ma dopo aver compreso che più
rimaneva a terra e più si sarebbe agitato, avevano dovuto rassegnarsi.
Il
dottor Waxman, primario dell’ospedale St
Mary, aveva confidato alla sua coadiutrice che forse c’era il modo di allungare
i tempi “alterando” leggermente le diagnosi cliniche e, magari, nel frattempo, la
guerra avrebbe anche potuto finire…
“È
inutile, dottore” aveva risposto la signora Greason “mio marito tornerebbe in
aria anche se avesse perso gambe e braccia. Sarebbe peggio. Ridiamogli il suo
giocattolo e così sia!”
“Ma
perché?!” aveva obiettato Candy, scandalizzata “Basterebbe che convincessimo il
maggiore Dumfryes a suggerire un prolungamento
di convalescenza. Magari gli darebbero un incarico al Dipartimento e…”
“Candy”
l’aveva fermata la collega, con voce secca “io non farò una cosa simile a mio marito! È chiaro?”
“E
quindi dovremo proprio rischiare di perderlo” incalzò l’altra, incapace di
trattenersi “non bastavano Stear e Archie…!”
Flanny
fissò l’amica con aria fredda e penetrante, che la fece arrossire fino alla
cima dei riccioli: “Oh, Flanny… perdonami” mormorò poi, abbassando lo sguardo “non
so che mi abbia…”
Mrs
Greason s’avvicinò e quando Candy la sentì vicina rialzò a fatica il volto,
aspettandosi uno sguardo di fuoco o magari anche uno schiaffo… ma vide solo un bonario
sorriso: “Tranquilla… l’ho sempre saputo che avevi un debole per lui…!” le dichiarò
apertamente.
Alla
bionda gelò la schiena e deglutì faticosamente: “Ti giuro: è solo un fratello,
per me…!” balbettò.
“Ne
sono lieta per lui: si è sempre crucciato di essere figlio unico!” le rivelò l’altra,
mollandole un buffetto. Poi si voltò e si diresse verso la corsia, scuotendo
armoniosamente la coda di cavallo.
***
L’apparente
stoicismo di Flanny aveva, come sempre, delle ragioni pratiche.
Da
quando il tenente Archibald Cornwell era risultato disperso in azione, subito
dopo lo sbarco in Normandia, il comandante della Decima FA aveva passato
momenti eufemisticamente infernali. Il tentativo di farlo raggiungere dalle
forze americane prima che i tedeschi lo “pizzicassero”, suggerendo al
comandante supremo alleato - da sempre ammiratore dell’asso - di ordinare una
puntata della 4th Infantry Divison verso Pont Hébert, si era purtroppo
rivelato fallimentare, poiché la resistenza nemica, dopo l’iniziale sbandamento
delle unità costiere, si era irrigidita notevolmente, soprattutto nella zona
del Bocage, caratterizzata da una vegetazione lussureggiante che rafforzava fortemente
la difesa.[1]
Cosicché,
ai primi di Luglio del ’44, il fianco destro del fronte alleato (composto dalla
Prima Armata USA di Courtney Hodges) si trovava ancora cinque miglia a nord di Saint-Lô,
mentre il fianco destro (quello verso oriente, composto dalla Seconda Armata
Britannica di Bernard Montgomery) aveva raggiunto soltanto i sobborghi di Caen,
che sarebbe caduta soltanto il 18 Luglio, al termine di una violentissima
battaglia.
La
povera Annie Brighton Cornwell non aveva quindi avuto più notizie del marito da
ben quattro settimane: 24 terribili giorni trascorsi singhiozzando nelle ore
diurne e urlando in quelle notturne, molto spesso in preda agli incubi, tanto
che era stato necessario ricoverarla in ospedale, dove Candy la teneva sotto
stretta sorveglianza nel caso le passasse qualche idea malsana per la testa!
C’era
voluto tutto il suo amorevole ascendente per farle recuperare un certo
equilibrio, ripetendole decine di volte che, se ancora non si sapeva nulla del
suo Archie, non voleva necessariamente significare che fosse morto, ma che, più
probabilmente, si era nascosto da qualche parte con l’aiuto dei maquis,[2]
giacché oramai, se i tedeschi l’avevano internato in uno stalag, la Croce Rossa internazionale avrebbe già dovuto
comunicarlo.
Purtroppo
per Andy, la conoscenza personale con la famiglia Cornwell non gli aveva
permesso di lasciare che la compagna di Archie venisse informata del suo
mancato rientro mediante un freddo comunicato ufficiale: il suo onore di
gentiluomo l’aveva obbligato a riferirglielo di persona e, per superare una
prova del genere, la sua inflessibile dolce metà aveva dovuto fare un discreto
strappo alle regole, lasciando che il generale si scolasse almeno una mezza
bottiglia di Bourbon!
“Tu
me lo riporterai, vero Andy…? Il mio Archie non può essere morto, vero?! Tu me
lo riporterai… ME LO DEVI RIPORTARE!!!” gridava la povera giovane trafiggendogli
il petto coi suoi umidi occhi imploranti.
“Certo…
sta’ tranquilla, Annie” non poteva che rispondere l’asso “Archie è un tipo in
gamba. Come suo…” per fortuna si bloccò in tempo “…cioè… se la sarà cavata
senz’altro! Io sono sicuro che è vivo… vedrai, lo ritroveremo!”
“Me
lo devi giurare…!” lo incalzò lei, stritolandogli i polsi con le sue mani in
apparenza così delicate.
“Annie… ti prometto che farò il poss…”
“GIURAMELO!!!”
gridò la pupilla di Candy, perforandogli i timpani.
Profondamente
scosso dalla disperazione che vedeva nel suo sguardo, il povero Andy aveva
dovuto dichiarare, in un soffio: “Te lo giuro!”
Non
può quindi stupire se la First Lady della Decima
Air Force aveva preferito che il marito riprendesse servizio, ritenendo
giustamente che rientrare nel suo elemento lo avrebbe distratto da quella terza
esperienza traumatica[3] che
lo costringeva a imbottirsi di sonnifero per dormire, quand’era costretto a fermarsi
alla base. Non che dormire a casa gli desse comunque un sollievo maggiore, quasi
che il sentirsi colpevole nell’aver separato quella coppia di amici gli proibisse
di godere del conforto della moglie.
Meglio
era quindi, anche per Flanny, risapere il suo uomo in azione, piuttosto che
vederlo consumarsi quotidianamente dagli scrupoli; se non altro si sarebbe scongiurato
il pericolo che l’aviatore chiedesse un trasferimento in fanteria per andare personalmente
in Francia a cercare il marito di Annie! Infine, specie dopo quella folle
picchiata su Eiserfeld, la signora Greason sentiva nella pelle che fino alla
fine della guerra, il posto più sicuro per il suo compagno sarebbe sempre stato
quello stesso aeroplano massiccio sul quale loro due si erano uniti nel cielo
della Costa Orientale[4]…
***
Rispetto
all’energica signora Greason, il buon vecchio James era invece un po’ meno
tranquillo mentre guardava il suo amico e comandante esporre ai piloti della sua
unità “personale” i dettagli della missione in programma. La 10a
Squadriglia Caccia avrebbe scortato una sezione di ricognitori fotografici A-26 su Villedieu-les-Roeles, dove risiedeva il comando della 7a Armata tedesca. Allo SHAEF[5]
occorrevano precise informazioni sull’effettiva entità delle forze che il
nemico avrebbe potuto scagliare contro l’Armata di Hodges, per impedirgli di
superare il fiume Vire.
Mentre
il generale parlava si notava nel timbro della voce una palpabile tensione e
l’aspetto nient’affatto rilassato del suo viso non trasmetteva quell’usuale e carismatico
entusiasmo che sempre aveva caricato come molle tutti i membri del reparto.
“Bene,
ragazzi, è tutto. Ci vediamo sul piazzale!” concluse Andy, dopo aver fatto
sincronizzare gli orologi.
I
sei piloti della squadriglia si levarono dalle sedie per uscire dalla baracca e
più d’uno, durante il tragitto, si girò per
sbirciare verso il capo che riponeva le carte nautiche nella cartella.
Un’atmosfera indubbiamente diversa da quando il briefing si chiudeva con le
solite battute scaramantiche, i fischi e le pacche sulla schiena. Tutto questo non
faceva che aumentare l’apprensione di Stone.
“È
tutto OK, Andy…?” tornò a chiedergli, una volta che furono all’aperto.
“Certo
che sì!” fu la risposta laconica.
“Sicuro?”
Andy
sbirciò curiosamente il suo vice: “Sinceramente, ho un discreto mal di testa…
ma appena in volo, come sempre, passerà subito tutto!”
“Meglio
così. Dopotutto hai ripreso da poco e…”
“Ti
preoccupi troppo, Jim” lo interruppe il collega, mollandogli un leggero e
affettuoso cazzotto sul braccio “lo sai che, per me, volare è un toccasana!”
“Lo
so, lo so… è per il tuo Jug che mi preoccupo:
è in convalescenza pure lui!”
“Con
un medico come Carling, il mio aquilotto passa direttamente dall’infortunio
alla guarigione” sogghignò Andy “non è vero, vecchio mio?”
“Comandi,
signore. Diceva?”
“Scusa
l’impudenza, amico. Ma il compare qui presente vorrebbe rassicurarsi
sull’efficienza del nostro
apparecchio!”
“È
al 100%, signore” rispose il capo-meccanico “cerchi solo di non forzarlo troppo
nelle picchiate…”
“Tranquillo,
Nat: lo sai che vado sempre coi guanti di velluto!”
“Certo,
come no?” ribatté ironico James “Bah… ci vediamo di sopra.”
“Buon
decollo, Jim…!” concluse l’asso, indossando l’imbragatura del paracadute,
aiutato da Carling. Montò poi sull’ala sinistra del Thunderbolt ed entrò nell’abitacolo. Dopo i soliti controlli di
prammatica contattò la torre, che gli diede subito il via.
“Contatto…!”
annunciò il pilota.
“Buona
caccia, come sempre, signore!” gli augurò Carling col pollice alzato sul
braccio teso. Andy accennò un salutò e spinse la manetta, mandando al massimo
il motore: “Ruggisce che è un piacere… cockpit chiuso!” gridò al suo
specialista, prima di far scivolare il tettuccio fino alla posizione di blocco.
Lo
Yankee Eagle, trainato dalla possente
Hamilton Standard, abbandonò la
piazzola di stazionamento per rullare lungo il raccordo che immetteva nella
pista n° 1 dell’aerodromo di Grant Field,
subito seguito dal Patty Ann II di
Stone. Non molto distanti, le due Sezioni della 10a Squadriglia,
precedute dal Dallas Blonde del
capitano John Maxim (CO) e dal Down for
Double del 1° tenente Hank Oaxley (2° capo-sezione) uscivano anche loro dai
parcheggi per raggiungere le posizioni di decollo.
Come
da prassi, dopo aver posizionato il ruotino di coda sulla linea mediana della
pista, Andy chiese conferma alla torre di controllo, dopodiché comunicò ai suoi
capi-sezione: “Bravo 761 ad Alpha 008 ed Echo 906: decollo immediato. Stabilizzarsi a 12000 piedi, come da
istruzioni.”
“Roger,
761!” risposero le voci di Maxim e
Oaxley.
Quando
la formazione di caccia ebbe raggiunto l’altitudine prescritta, la voce del
comandante tornò a farsi sentire: “Assumere formazione in scalata sulla rotta due-zero-sette.
Manetta in crociera economica. Jim, prova a contattare la pattuglia di Harper…”
“Roger” rispose il secondo “qui Eagle chiama Buzzard…
Eagle chiama Buzzard… mi sentite, Buzzard? Over!”
Dopo
pochi secondi e qualche scarica, la voce del 1° tenente Malcolm Harper, leader
della 2a Pattuglia dell’88a Squadriglia di Appoggio,
risuonò negli auricolari della 10a da Caccia: “Hallo, Eagle: qui
Buzzard Two. Stiamo raggiungendo il punto Beta. Dovreste reperirci da un
momento all’altro.”
L’Aquila
Americana aguzzò la vista, non tardando a scorgere il luccichio provocato dal
sole sulle argentee superfici degli Invader:
“Ricognitori a ore due, quota 10000… vi vediamo, Mal: vanno bene i nuovi
giocattoli?”
“Sono
perfetti, signore: delle vere libellule. Anzi, delle vespe, visto l’armamento:
non vediamo l’ora di provarlo!”
“Smorzate
i bollori, ragazzi: oggi servono le foto, non altre svastiche sulla carlinga. Semmai,
a quelle, provvederemo noi. Eagle a Buzzard, chiudo!”
“Wilco,
generale. A dopo!” concluse Harper.
Le
due sezioni di caccia, precedute dai due capi-formazione (Andy e James) si
posizionarono ai fianchi della pattuglia degli A-26, tenendosi la sezione di Maxim a una quota maggiore e quella
di Oaxley ad una minore, così da garantire la massima copertura.
Il
volo sulla Manica fu privo d’incidenti e, una volta sorvolato il litorale
all’altezza di Port-en-Bessin (i cui moli trasudavano tuttora di veicoli,
derrate e munizioni scaricate dalle Liberty)[6] la
formazione della Decima Air Force
raggiunse ben presto la zona dell’obiettivo.
“Target
a due miglia” annunciò Andy “potete scendere per le vostre foto, Buzzard. Noi rimaniamo
su a coprirvi il sederino!”
“Buzzard Two a Eagle One:
wilco. Scendiamo in planata, Jeffrey”
dispose quindi il tenente Harper al suo gregario “camere pronte!”
“Roger,
Mal!” rispose il sottotenente Ripper.
I
due Invader sorvolarono quindi il
terreno sottostante, mentre le fotocamere K22
facevano scattare gli otturatori attraverso le finestrature dei portelli di
stiva. I loro protettori della 10a Squadriglia non vedevano che una
folta vegetazione circondare i sobborghi di Villedieu, ma sapevano che un
attento esame degli specialisti avrebbe rivelato la presenza dei carri tedeschi,
ben mascherati sotto il fogliame e le reti mimetiche.
All’improvviso
un vero putiferio di traccianti si sollevò dalla verde coltre della campagna,
dimostrando che lo stesso ragionamento era stato formulato dalla concorrenza: a
quel punto era meglio impedire che quei rulli di pellicola ripassassero il
Canale della Manica!
“Buzzard
1 a Buzzard 2” trasmise Harper al suo secondo “ridiamo manetta e filiamo, prima
che la Flak ci faccia a pezzi…!”
“Non
me lo faccio ripetere, Mal!” rispose subito Ripper.
Gli
ottomila cavalli di potenza complessiva sviluppati dai quattro Pratt & Whitney Double Wasp
sollevarono di nuovo i due ricognitori verso la quota di sicurezza. Per fortuna
gli stanati reparti nemici non disponevano di contraerea pesante.
“Quei
timidoni se la sono presa, a quanto pare!” commentò burlescamente il generale
Greason, quando l’aereo del tenente Harper si riavvicinò al suo Thunderbolt.
“Forse
non si sentivano molto fotogenici” stette al gioco il leader della 2a
Pattuglia “ma quando arriveranno qui sopra quelli del 45°, rimpiangeranno le
nostre fotografie!”
“Parole
sante” commentò Andy Greason “e vedremo se…”
“Eagle
Five a Eagle One: banditi a ore cinque!!” lo interruppe bruscamente la voce del
capitano John Maxim.
Il
comandante trasalì e, puntato lo sguardo nella direzione segnalata, non tardò a
discernere quattro puntini che ingrandivano progressivamente nel suo campo
visivo: “Qualcosa mi diceva che non avremmo sprecato benzina per niente… c’è
lavoro per noi, Jim!”
“Wilco,
Andy” rispose Stone “Johnny, vienci dietro e lascia i tuoi con i recco!”[7]
“Roger,
Eagle Two” rispose Maxim “Hank, resta con Buzzard. Charlie e Jerry a rinforzo
con Eagle Eight!”
“Roger,
captain” confermò il suo gregario, sottotenente Charles Jones “fateli neri, mi
raccomando!”
“Puoi
contarci!” replicò il texano, inforcando gli occhiali e spingendo la manetta
del suo Dallas Blonde.
Mentre
i ricognitori si allontanavano sulla rotta di ritorno assieme alla loro scorta,
i tre veterani della Forza Aerea si diressero con decisione contro i nemici,
pienamente fiduciosi di sistemarli, pur essendo in leggera inferiorità. Spirito
sportivo a parte, avevano lasciato cinque caccia cogli A-26 per non lasciarli troppo sprotetti.
“Sono
109” annunciò Andy, dopo avere
aguzzato la vista “attenzione a non farvi mettere il sale in coda.[8] Nel
caso, muso in giù a tutta manetta!”
“Roger…!”
risposero i compagni.
La
schwarm di Messerschmitt si divise in due rotte,
la seconda delle quali picchiò risoluta verso il gruppo degli Invader, che aveva probabilmente
avvistato per prima; la pattuglia di punta rimase invece in quota, sdoppiandosi
a sua volta per scompaginare la formazione avversaria.
“Ah,
vogliono giocare?” si chiese il nostro asso “Bene, li accontenteremo! Eagle One
a Eagle Two: io curo l’aereo di testa, tu segui il gregario. Guardaci le
spalle, Eagle Five!”
“Conti
su di me, signore!” rispose Maxim.
Lo
Yankee Eagle si gettò quindi sulla
scia del 109 che aveva guidato la
formazione tedesca, mentre il Patty Ann
II di Stone si metteva sulle tracce dell’altro. Cosa strana: mentre la
distanza diminuiva, grazie all’accelerazione superiore del suo caccia, lungi
dal provare l’usuale eccitazione da pre-combattimento, Andy Greason si sentiva
pervadere da una strana ansietà, accompagnata da uno leggero struggimento…
*Che
mi succede? Non avrò mica la tremarella?!* commentò, con un sorriso forzato.
Il
109, che lo aveva visto, eseguì
subito una virata imperiale per invertire la direzione guadagnando quota, ma
Andy scosse il capo, beffardo: “Mossa inutile, kamerad: il tuo aquilone
somiglierà allo Zero, ma il mio non
assomiglia al P-40…!”
Spingendo
a fondo la manetta, Andy eseguì una larga virata in leggera salita, che se anche
non annullava il vantaggio in altezza, almeno lo portava fuori tiro. I due
caccia si ritrovarono ben presto su rotte convergenti, iniziando una gara di
minor velocità: chi l’avesse perduta sarebbe finito diritto nel mirino dell’altro!
“A
te la precedenza, amico!” dichiarò quindi Andy, abbassando completamente i
flaps, dopo aver tirato la manetta indietro. Ma quando sembrava proprio che il Messerschmitt stesse per sfilargli davanti
al muso, il pilota tedesco eseguì un superbo tonneau,[9] che
precluse allo yankee la possibilità d’inquadrarlo.
“Cavolo,
è un Emil… e ci sa fare, il ragazzo!”
Per
non superare il mancato bersaglio trovandosi a sua volta col culo per terra, il
generale spinse la barra in una picchiata, ben sapendo che, se avesse imitato
la manovra del Messerschmitt, a
quella velocità il suo pesante P-47
avrebbe rischiato di andare in stallo.[10] Livellato
l’aereo quasi all’altezza delle cime degli alberi, Andy fece una virata a
semicerchio per tornare sui suoi passi, scrutando attentamente il cielo sopra
di sé: “Eccoti lassù, crucco bello… ti gira un po’ la testa per quel numero da
circo, vero? Ora te la faccio passare io…!”
Ritirò
i flaps, mise il passo dell’elica al minimo e ridiede tutto gas, dopo avere
arricchito la miscela. Con un possente rombo lo stellare a diciotto cilindri
fece vorticare le pale della Hamilton
a 50 giri al secondo, riportando lo Yankee
Eagle verso la quota precedente. Quando l’altimetro gli segnalò di trovarsi
a circa 1000 piedi teorici sopra il nemico, tornò ad invertire la rotta per
cercare di mettersi in coda al tedesco, che non tardò a individuare un poco più
in basso, mentre teneva una traiettoria cautamente serpeggiante.
“Sei
meno stupido di quanto pensavo, amico… non mi trovi più, eh? E dire che ho ancora
le invasion stripes[11] ad
aiutarti… peggio per te!” disse, infine, gettandosi in picchiata, dopo avere
regolato il mirino.
Tuttavia,
un istante prima di riuscire a inquadrarlo, l’agile Emil si tolse repentinamente dalla linea di tiro del Thunderbolt eseguendo una mezza rollata…
“Son
of a bitch…!!”[12] imprecò il nostro asso,
colto di sorpresa, mentre le otto scie dei suoi traccianti si perdevano nel
vuoto. È inutile dire che, dopo pochi secondi, l’aereo di Andy si ritrovava il Messerschmitt allineato alla sua coda!
“Ti
piacerebbe, eh?!” disse il marito di Flanny, scostando violentemente la cloche
per eseguire a sua volta un tonneau, essendo adesso la sua velocità sufficiente
per non stallare. Ma il caccia tedesco, facilitato dal miglior rapporto fra
peso e potenza,[13] imitò la manovra, mantenendo
la posizione di vantaggio.
“Okay,
bastardo, ho capito che sai volare” sbottò lo yankee, osservando i traccianti
sfiorargli la cabina e qualche colpo da 20 mm bucherellargli le estremità delle
ali “sarà meglio che tolga il disturbo…!”
E
così, rovesciato com’era in quel momento, alzò ancora la barra per
verticalizzare il muso in una candela ma, prima che potesse portarsi fuori dalla
mira dell’avversario, avvertì uno schianto secco provenire da dietro le spalle
e notò subito dopo una preoccupante scia biancastra fuoriuscire dallo scarico
ventrale. A conferma di quanto avvenuto, il pilota notò azzerarsi sul cruscotto
la lancetta del sovralimentatore…
“Maledizione:
m’ha fottuto la turbina!!”
Con
300 cavalli di potenza in meno, il massiccio P-47 si trovava davvero in braghe di tela nei confronti del leggero
109… la più elementare prudenza consigliava
all’americano di disimpegnarsi subito, sempre che vi fosse riuscito! Ma
purtroppo il nostro eroe, frustrato dall’essere stato toccato per la seconda
volta,[14]
preferì dare ascolto all’orgoglio, richiamando l’aereo per trasformare di nuovo
in altezza la velocità.
Forse
era stata la provvidenziale presenza d’una nuvola a spingere l’asso verso
quella mossa da sciocco novellino: in caso contrario il pilota del Messerschmitt avrebbe potuto tagliargli
tranquillamente la virata e castigarlo duramente per la sua ingenuità. Protetto
invece da quella coltre bianca, Andy riuscì a sfruttare la sua comunque maggior
velocità per allontanarsi dal tedesco, riguadagnando la quota perduta.
Una
volta risbucato nel cielo libero, lo Yankee
Eagle fece una nuova virata a semicerchio e il pilota si rimise a scrutare
lo spazio circostante, quando lo raggiunse un messaggio di Stone: “Eagle Two a
Eagle One… mi ricevi, Andy?”
“Ti
ricevo, Jim… situazione?”
“Quei
krauts ci hanno bucherellato un po’, ma ce ne siamo liberati. È stata dura,
però: erano davvero in gamba. Fra un momento saremo da te!”
“Negativo,
Eagle Two: raggiungete gli altri sulla rotta di rientro. Siamo già a corto di
carburante!” ribatté il capo, dando un rapido sguardo al televel.
“Ma
se tu…”
“Non
preoccupatevi per me… sistemo il mio kraut e arrivo. Passo e chiudo!”
“Andy,
non fare fess…” provò a ribattere James, imprecando contro quel maledetto
spirito da rompicollo che tornava sempre a far capolino nel suo superiore nei
momenti meno opportuni “Eagle Two a Eagle Five: prendi tu il comando, Johnny:
vado a dar man forte a quel matto!”
Ma
il capitano Maxim, prim’ancora di poter dare il ricevuto, dovette a sua volta
segnalare un’altra improvvisa emergenza: “Altri quattro krauts a ore due, vice-leader!”
“Dannazione
eterna…!!” replicò, sgomento, Stone.
Con
la morte nel cuore, il capo di stato maggiore della Decima Air Force dovette quindi rimanere coi compagni per
fronteggiare la nuova minaccia e lasciare che il suo comandante rimanesse a sbrigarsela
da solo…
***
Dopo
aver richiuso la comunicazione con James, Andy non aveva tardato molto a rintracciare
nuovamente il suo avversario, il quale procedeva guardingo, oscillando sempre
le ali per eliminare gli angoli morti.
“Eccoti,
furfante… visto che non riesco a venirti in coda, vediamo come te la cavi in un
attacco frontale!” concluse, ridando manetta e puntando direttamente sul Messerschmitt.
Senza
dubbio il generale Eaker, attuale comandante della Quindicesima Air Force e suo ex istruttore alla scuola di Spanner
Field, lo avrebbe preso per entrambe le orecchie prima di rifilargli un
cicchetto da levargli il contropelo: una mossa del genere poteva rivelarsi una
sciocchezza incomparabile contro un caccia armato di tre cannoni, anche se Andy
poteva contare sulla rapidità delle sue otto Colt-Browning rispetto alla bassa cadenza degli Oerlikon dell’Emil;[15] ma
un tiro a deflessione zero avrebbe annullato questo vantaggio, senza contare
che il caccia tedesco poteva integrare (e correggere) il tiro con le due Rheinmetall MG17 sincronizzate sul muso…[16] ma
tant’è: anche i campioni possono sbagliare, specialmente se irritati dall’aver
trovato un osso più duro del solito da rosicchiare, preoccupati dei compagni
impegnati a distanza e infine pervasi da un vago presentimento che cresceva man
mano con l’impressione che quel 109 aveva
in effetti qualcosa di familiare. Impressione mutatasi in certezza all’ennesimo
tonneau effettuato da quest’ultimo, consentendo all’acuta vista dell’aquila
americana di riconoscere i contrassegni che portava in fusoliera…
“SCHULTZ…!!!”
gridò lo yankee, con un sussulto, rincuorandosi al contempo di averlo mancato,
a parte qualche foro superficiale.
Disgraziatamente
il tiro del tedesco era stato più fortunato e diversi rumori poco rassicuranti
si fecero sentire nel vano motore, seguiti quasi subito da sinistre quanto
dense scie di fumo grigio provenienti dai flabelli della NACA…
“Cristo
santo… m’ha beccato…!!”
***
“Aaargh…!!”
“Flanny…
stai bene?!”
Quel
grido improvviso e il successivo sinistro clangore di ferri fecero accorrere
l’infermiera White verso la bruna collega, che si era portata rapidamente la
mano su un fianco lasciando cadere il vassoio con l’attrezzatura che stava riportando
al magazzino.
“Mmm…”
gemette la responsabile del reparto paramedico dell’ospedale St.Mary, curvandosi da una parte mentre
si massaggiava la parte sofferente.
“Cara,
che ti succede…? Siediti, presto!” esortò l’amica bionda aiutandola a
obbedirle, mentre l’altra cercava di riprendersi eseguendo profonde
inspirazioni.
“Ti
gira la testa?” s’informò ansiosamente Candy “Forse è meglio che ti stenda…”
“No…
m’è passato. Vorrei solo un po’ d’acqua…”
“Te
la porto subito!”
La
compagna di lavoro s’affrettò a riempire un bicchiere al vicino lavabo per poi
tornare precipitosamente a porgerglielo. Mentre l’altra beveva non resistette però
all’impulso di riprenderla: “Dovresti riguardarti meglio, nel tuo stato! Hai
avuto un mancamento, vero?”
Flanny
scosse la testa: “Ho sentito una fitta fortissima al fianco…”
“Una
fitta?! Non dirmi che…”
“Ma
figurati, sono appena al secondo mese!” ribatté la mora, con un pizzico d’ilare
sconcerto.
“E
allora?”
“Mah…
forse uno strappo muscolare… spero!”
“Flanny,
vuoi capirlo che adesso devi lavorare
di meno? E come sarebbe a dire spero…?”
L’amica
rivolse alla bionda uno sguardo da stringerle il cuore: “Spero che… il motivo
non fosse psicologico…!”
Tante
volte, quand’erano allieve alla Mary Jane
o tirocinanti al Santa Johanna di
Chicago, Candy aveva fortemente desiderato che fra lei e la compagna
s’instaurasse una maggiore comprensione. Adesso la dolce biondina era invece angustiata
che ve ne fosse perfino troppa: “Andy è in missione, stamani…?” chiese, con un
po’ di titubanza.
“Sì…!”
rispose la signora Greason, con un filo di voce appena.
***
“Finalmente
l’ho preso!! Zum Teufel[17]… è stata dura!” esclamò con sollievo l’expert a bordo dell’Emil, osservando la figura dello Jug mentre si allontanava picchiando, lasciandosi dietro una densa
scia di fumo.
“Complimenti,
herr oberst” udì nella cuffia la voce del suo secondo “un altro uccellino
yankee ad arricchire la sua collezione!”
“Lascia
perdere, Kurt… ce l’ho fatta per miracolo. Era un vero demonio!”
“Un
demonio temerario” giudicò il mayor Kurt Henskel, capo del 1° Jagdstaffel e vice-comandante del 234° Jagdgeshwader “per affrontare un 109 con un P-47 in combattimento manovrato!”
“Ach
so… non doveva essere molto saggio!
Proprio come… oh, scheisse!!” sussultò all’improvviso l’oberstleutnant Schultz
von Heindrich, comandantedell’intero
Stormo. Un atroce sospetto gli era balzato nel cervello, scaricatosi dalla
tensione dello scontro.
*Himmel,
non può essere… mein Gott, fa che non sia vero!!* pregò il povero asso della Luftwaffe ridando piena manetta e
spingendo la cloche per fiondarsi all’inseguimento di quel Thunderbolt, con intento ben diverso dal precedente.
“Schultz,
ma dove vai?!” gli gridò dietro Henskel.
“Riporta
i kinder alla base, Kurt... io torno appena posso!”
“Aspetta:
vengo con te!”
“Negativo:
il carburante è misurato al millilitro. Tornate alla base, è un ordine!”
“Già…
invece il tuo Daimler va anche a pipì,
buono a sapersi!” sospirò il maggiore Henskel, non osando, come ogni buon
tedesco, disobbedire al proprio superiore. Rientrato nei ranghi, trasmise ai
due colleghi: “Rotta verso casa, jungen. Il capo ha un affare urgente!”
“Non
dirmi che vuol prendersi un souvenir dal suo bersaglio. Chi si crede, il Barone Rosso?” motteggiò
l’oberstleutnant Gunther Schroeder.
“Se
è successo ciò che penso io” intervenne l’altro gregario “stasera si festeggia
alla grande!”
“Turati
quella bocca da nazista, Helmut” ribatté Kurt con tutta la rabbia spuntatagli
in corpo “per Schultz sarebbe terribile… specie dopo quel che è successo ad
Eiserfeld, l’Aprile scorso!”
“Coi
buoni sentimenti non si vince la guerra!” insistette il tenente-colonnello Muller.[18]
“L’abbiamo
già persa la guerra, testa di
cappero!” sentenziò il maggiore Henskel, prima di chiudere bruscamente il
contatto.
Subito
dopo il fedele secondo di Schultz si concentrò sulla rotta di rientro, pregando
di cuore che il suo comandante non avesse davvero abbattuto per sbaglio il suo “amichevole nemico” americano!
***
Pur
continuando ad andare a benzina, il DB601
ruggiva disperato per tirare verso terra il piccolo Emil dell’oberst von Heindrich, i cui occhi brucianti fissavano
sbarrati lo Yankee Eagle fatalmente ferito
dalle raffiche dei suoi Oerlikon. Senza
distogliere lo sguardo dal suo malcapitato bersaglio, supportato dalla propria consumata
esperienza, l’expert smanettava contemporaneamente sul quadretto della radio
per mettersi in contatto col pilota: “Andy… Andy… mi stai sentendo?” domandò
con voce strozzata “Rispondimi, ti supplico… sono Schultz…!! Mi ricevi…?
Passo…”
Dopo
le solite scariche, la voce del collega raggiunse gli auricolari del tedesco:
“Mi venisse un accidente!! Eri tu, allora, diavolo d’un mangiakrauts…!”
“Sì,
Andy… perdonami… non volevo… non ho fatto in tempo a riconoscerti… sei ferito?”
“No,
tranquillo. Non angosciarti, sono cose che ca… MA PORCA D’UNA BALDRACCA,
SCHULTZ: hai scoperto un’altra delle nostre frequenze??!”
Il
tedesco sospirò. Solo Andy poteva alterarsi d’un tal particolare mentre stava
picchiando verso terra con l’aereo fuori uso!
“Al
diavolo le frequenze, Andy… salta giù da quell’aereo, prima di precipitare!”
“Scordatelo:
atterrerò tranquillamente. Non mi aggiungerai alla tua collezione!”
“Pazzo
indemoniato d’uno yankee” esclamò aspramente l’altro “vuoi fare felice von
Kruppen solo per il tuo stupido orgoglio del cavolo?”
“Schultz,
quest’uccellino m’ha salvata la buccia troppe volte perché lo lasci diventare
un ammasso di rottami. Non temere, ce la farò! Stammi vicino, se vuoi…”
“Sai
bene che non ti mollerei in nessun caso, scapestrato divoratore di pop-corn…!”
Andy
alzò il pollice con fare deciso, quindi staccò i contatti e mise l’elica in
bandiera. Quasi subito le scie di fumo calarono d’intensità, mentre il bestione
continuava a scendere. Tenendo sempre d’occhio l’anemometro per non rischiare
uno stallo, il pilota azionò i flaps per contenere l’accelerazione, mentre
scrutava attentamente il terreno sottostante.
“Quella
radura fa proprio al caso mio: Juggy
non dovrebbe risentirne troppo!”
“Cerca
di pensare anche per te” puntualizzò il tedesco “e attento a non finire contro gli
alberi!”
“Figurati:
eseguivo i miei primi atterraggi, quando tu facevi ancora il chierichetto!”
“Modesto
come tutti gli yankies…!” borbottò Schultz.
Ormai
esperto in atterraggi di fortuna e nient’affatto preoccupato che quello fosse
il terzo che affrontava, Andy indirizzò il velivolo sulla lunghezza d’un campo
coltivato, facendo abbassare la coda a circa trenta metri dal terreno. Dopodiché
sbloccò il tettuccio e lo fece scorrere all’indietro, premendo infine i
dischetti del laringofono per mandare all’amico un ultimo saluto: “Sto per toccare,
Schultz… ora puoi anche andartene o attirerai l’attenzione su di me!”
“Prima
voglio vederti sgambettare fuori da quel Thunderbolt…
cerca piuttosto di non farti prendere, perché stavolta non ci sarò io, a
salvarti il culo!”
“Il
vecchio Otto non mi avrà. Al prossimo crucco abbattuto da me, saprai che me la
sono cavata.”
“Sbruffone…in bocca al lupo!”
“Crepi…
alla prossima, mio affezionato kraut!”
I
sessanta secondi successivi furono i più lunghi nell’avventurosa esistenza
dell’oberst vonHeindrich, che per fortuna poté
finalmente osservare il voluminoso caccia posarsi sul terreno dopo un paio di
balzi contenuti. L’unico inconveniente era la seconda Hamilton da sostituire[20]…
Ringraziando
il suo paracadute, che gli aveva fatto provvidenzialmente da cuscino, Andy
sbucò fuori dall’abitacolo e rimase in piedi sull’ala destra, massaggiandosi un
braccio che aveva urtato la console laterale. Come s’accorse del collega,
ancora sopra di lui, si levò il foulard dal collo, sventolandolo allegramente: “Uno
a zero per te, Schultz! Spero che adesso i tuoi superiori siano soddisfatti e
non ti rompano più l’anima…” commentò l’asso, senza troppo rimpiangere la sua perduta
invincibilità.
“Con
quel culo che si ritrova, scommetto che i nostri non riusciranno nemmeno a
grattargli l’aereo” commentò il tedesco, quasi avesse letto i suoi pensieri
“così non passerò nemmeno alla storia per aver buttato giù l’aquila americana…!”
Non
era in effetti costume, per un serio professionista come lui, farsi accreditare
una vittoria senza esibire una prova dell’avvenuto abbattimento; il rammarico di
arricchire il suo curriculum proprio con l’aereo del suo “amichevole nemico” rimaneva
un fatto puramente secondario. O forse no?
***
“Ti
senti meglio, Flanny…?” domandò a quest’ultima la voce premurosa dell’amica.
La
mora annuì con la testa: “Credo di sì. Le fitte sono cessate di colpo.”
“Cosa
può esserti successo?” domandò Natalie, che aveva dato man forte a Candy nel
costringere la signora Greason a prendersi mezz’ora di riposo, con le buone o
con le cattive “Il dottor Waxman ha detto che era tutto regolare…”
“Evidentemente
la piccola Lucy comincia ad essere impaziente di venire al mondo!” commentò,
sorridendo, la collega lentigginosa.
“Lucy
non c’entra niente” obbiettò la mora scuotendo la coda di cavallo “sarà piuttosto
quell’incosciente di suo padre ad averne combinata una delle sue!”
Anche
Candy avvertì una stretta al cuore, accompagnata da uno di quegli sguardi che
facevano arricciare il naso a Terence quando la sua fiamma correva col pensiero
all’amico acquisito. Più d’una volta il talentuoso attore aveva meditato di
dare un calcio al suo antimilitarismo per arruolarsi nella RAF… ma sapeva che, anche in uniforme, le alte sfere lo avrebbero
piazzato nel settore ricreativo per galvanizzare il personale con la sua
oratoria shakespeariana, piuttosto che affidargli uno Spitfire e per questo aveva desistito.
“Stai
tranquilla, Flanny” le disse la bionda “lo sai che non esiste nessun pilota tedesco che potrebbe
abbattere tuo marito!”
“Candy
ha ragione” s’affrettò a ribadire Natalie “l’unico che forse potrebbe tenergli
testa, sappiamo bene che non lo farebbe mai!”
“Vi
ringrazio del conforto, amiche mie” sorrise mestamente la loro mentrice “ma
purtroppo, in guerra, non si può mai sapere…!”
Quando
l’aereo di von Heindrich scomparve definitivamente all’orizzonte, Andy Greason
smise di gesticolare nella sua direzione, si diede una grattatina al mento, già
lievemente irsuto, per poi battere le mani, come a volersi destare da uno stato
di tranche: “Bene: e adesso che ci siamo divertiti, vediamo di pensare al da
farsi…!”
Volgendo
lo sguardo intorno, adocchiò subito un capace covone poco lontano e cominciò ad
applicare la sua prima risoluzione. Affondò le mani nella paglia e ne trasportò
una manciata presso il suo caccia, lasciandola cadere su un’ala: “M’aspetta un
bel lavoraccio! Avessi almeno una pala…”
Un
altro, al posto suo, si sarebbe messo in cammino senza indugio verso le linee
alleate, senza correre il rischio d’essere pescato da una qualche pattuglia
tedesca. Con una produzione media di 326 esemplari al mese,[21] la Republic Aircraft Corporation poteva
garantire all’USAAF un rimpiazzo
praticamente immediato, ma il nostro eroe non avrebbe giammai sostituito il suo
fedele Yankee Eagle con un gemello qualsiasi
e tantomeno lo avrebbe lasciato in balia dei crucchi, che lo avrebbero magari portato
a von Kruppen come trofeo personale! Sudando copiosamente sotto il sole estivo,
Andy impiegò quasi tre ore a ricoprire l’apparecchio e quando si lasciò cadere
sull’erba a riposarsi, era già pomeriggio inoltrato.
“Auff…
e anche questa è fatta! Cinque minuti di fiato e mi metterò in marcia…”
trangugiò di gusto la tavoletta di cioccolato della sua razione K e appoggiò la
schiena al covone “contraffatto” da lui stesso realizzato.
*Se
spuntano i crauti, non farò altro che cacciarmi anch’io sotto la paglia!*
pensò, fiducioso.
Se
non che, complice la stanchezza per il lavoro compiuto, aggiuntasi all’impegno
psicofisico della missione, l’aviatore piombò suo malgrado in un sonno di
piombo, dal quale lo strapparono una rude scossa e una perentoria voce gutturale:
“Zu fuss! Hande loch, schnell…!!”[22]
Il
povero Andy spalancò gli occhi, ritrovandosi a fissare la faccia non proprio
amichevole di un tenente della Wehrmacht:
“Ehi, ma dico… è questa la maniera di turbare il sonno dei pacifici cittadini?
Come vi permettete?”
“Poche
ciance” ribatté severo l’ufficiale, passando scioltamente alla lingua
inglese “chi è lei? Nome, grado e matricola, avanti!”
“Io…
ehm.. Smith…
tenente John Smith. Matricola 460921…”
“Cosa
ci fa, qui?”
“Ehm…
sono pilota da ricognizione. M’hanno abbattuto i vostri caccia. Senza rancore, naturalmente!”
“Capisco”
il tedesco mostrò un sorriso mellifluo “non vi dispiace mostrarmi i vostri
documenti, bitte?”
“I
documenti? Ah, sì, certo! Solo un attimo…” l’americano finse di frugarsi un po’
dappertutto “…toh, ma guarda che testa: proprio stamattina ho dimenticato di
mettermeli in tasca… sono davvero spiacente!”
“Herr
leutnant: venite a vedere…!”
Purtroppo
i soldati della pattuglia non erano sprovveduti e, mentre il loro comandante
s’intratteneva amabilmente col pilota nemico, due di loro avevano infilato i Mauser 98[23] nella
paglia del covone e un sordo rumore metallico aveva ben presto rivelato quanto
si celava all’interno. L’ufficiale s’avvicinò quindi al punto indicatogli dal
sottoposto, mentre gli altri tenevano d’occhio il prigioniero e, dopo avere
scostato un po’ di paglia, portò malauguratamente alla luce i caratteri dorati che
componevano il nome del velivolo, sormontati dall’aquilotto con la testa
bianca: “John Smith, eh…?”
Masticando
un’imprecazione, Greason raccolse tutta la sua faccia tosta per fare un ultimo
tentativo: “Herr leutnant… non crederà davvero che quell’affare sia mio, vero?
Io piloto le cicogne,[24]
gliel’ho detto. Non saprei nemmeno farlo alzare in aria, quel bestione.
Scherzerà…!”
Per
tutta risposta il graduato gli si mise di fronte e, senza tanti complimenti,
allungò una mano a frugare sotto il foulard della combinazione di volo, da dove
estrasse una coppia di piastrine metalliche vincolate a una catenella: “Basta
con questa commedia, herr general… la
sua faccia riempie di continuo le prime pagine di tutte le testate
d’oltreoceano. Crede che i nostri agenti non siano in grado di procurarcene
qualche copia?!”
A
quel punto il povero Andy ritenne opportuno fare buon viso a cattivo gioco:
“Sono nei guai, è vero?”
“Abbastanza.
E se vuole evitarne di peggiori, sarà bene ci segua senza troppe storie!”
“Farò
il bravo…” sospirò lo smascherato asso degli assi.
“Alla
buon ora!” replicò il tenente, facendo cenno ai suoi subordinati.
Due
di essi s’affrettarono a perquisire il pilota, per poi metterglisi ai fianchi,
mentre il comandante impartiva l’ordine di riprendere la marcia. La pattuglia
procedette quindi verso sud, portando seco il prezioso “bottino”, beandosi i soldati
al pensiero d’una licenza premio e il tenente alla prospettiva di una
promozione o magari della Croce di Ferro!
Assai
meno allegri erano i pensieri del prigioniero, che già si vedeva nelle grinfie
di Otto von Kruppen. Purtroppo il generaloberst delle SS aveva giurato di fargliela pagare per tutte le azioni di attacco
subite dalla sua Quinta Panzerarmee
ad opera dei cacciabombardieri della Decima
Air Force, dichiarando sovente che, se lo avesse avuto in mano vivo e vegeto,
non avrebbe avuto pietà! Solo nel caso fosse rimasto inabile al servizio
militare, in seguito a gravi ferite sofferte nel corso d’un eventuale abbattimento,
il suo nemico personale avrebbe rispettato le leggi di guerra che vietano d’infierire
sui prigionieri. Per von Kruppen gli aviatori alleati erano una sorta di pirati
che infierivano codardamente sui tedeschi dal cielo per la loro congenita
incapacità di affrontarli alla pari sul campo di battaglia. Come se poi la Luftwaffe non avesse fatto altrettanto
su tutti i nemici della Germania, fin quando le sue risorse glielo avevano
consentito!
Scappare
era l’unica soluzione, ma occorreva agire con il massimo della freddezza: una
mossa falsa e quei cerberi dagli stivali chiodati l’avrebbero freddato immediatamente
con una scarica dei loro Schmeisser. Andy
si risolse quindi ad attendere il calare delle tenebre, ostentando nel
frattempo la massima pacatezza per tranquillizzare maggiormente i suoi
guardiani.
Le
riflessioni di tutti non durarono però a lungo… un lontano ronzio, a malapena
percepito, aumentò rapidamente, assieme all’apparire, nel cielo ormai rosso, della
minacciosa sagoma di un caccia…
“Achtung…!!”
gridò Andy, la cui vista, degna del rapace che lo simboleggiava, gli aveva
consentito di scorgerlo prima degli altri.
“In
mezzo all’erba, presto!!” ordinò il tenente.
L’americano
e gli altri quattro tedeschi non se lo fecero ripetere due volte, tuffandosi
con estrema rapidità in mezzo alle piante di grano che coprivano il campo
adiacente alla rotabile percorsa. Non fecero nemmeno in tempo a sdraiarsi che
udirono il crepitio delle mitragliatrici, seguito dal fruscio delle canne che
si tranciavano. L’asso americano,con
la faccia spiaccicata sul terreno e le braccia a riparo della nuca, venne
scosso dalle vibrazioni trasmesse dai proiettili penetranti nelle zolle
circostanti e decise che fare da bersaglio fuori
da un aereo era mille volte peggio che non farlo dal suo interno!
Un
urlo straziante gli perforò quasi il timpano destro e capì che il soldato
tedesco più vicino a lui era stato colpito. Quando gli parve che il rumore del
caccia diminuisse, Andy s’azzardò ad emergere dalle spighe e scorse l’elegante
figura di uno Spitfire stagliarsi
netta nella luce serale mentre s’allontanava virando.
*Figurati
se non era un inglese* pensò, sarcastico *ma allora ditelo, che ce l’avete con
me…!*
Subito
dopo rivolse la sua attenzione allo shutzen[25] che
si lamentava contorcendosi: il povero ragazzo, nemmeno ventenne, s’era beccato
un proiettile da 303[26]
nella schiena. Cercando spasmodicamente di raggiungere la ferita con le mani,
la sua imberbe e lacrimosa faccia terrorizzata ben poco si confaceva con lo
stereotipo dell’invitto guerriero appartenente alla razza eletta. La sua modesta erudizione medica (derivata dalle
lezioni della moglie) fece comprendere ad Andy che, continuando in quel modo,
il ferito rischiava di sollecitare la pallottola, provocando dei danni magari
peggiori.
“Sta
fermo, stupido” gli gridò, afferrandolo a corpo morto, mentre gli altri si
avvicinavano. Si rivolse poi all’ufficiale “tenente, il suo uomo ha un
proiettile nella schiena. Bisogna levarglielo, prima che danneggi la spina
dorsale!”
“Brutto
affare” commentò il capo-pattuglia dopo aver biascicato un’imprecazione “non
abbiamo medicamenti, con noi!”
“Se
mi lasciate tornare al mio caccia posso prelevare il pacco di sopravvivenza…”
Il
tedesco lo guardò in modo strano: “Ottima idea… ma, se permette, vi accompagneranno
i miei uomini!”
“Naturalmente.”
rispose, asciutto, il pilota.
“Gut… fate
presto. Kranz, Beier…!”
I due
soldati scattarono prontamente, scortando quindi il prigioniero sul luogo del
fortunoso atterraggio, dove, riportato alla luce l’abitacolo, il pilota prelevò
quanto serviva. Tornati sui loro passi, Andy aprì il contenitore con la massima
tranquillità, sorvegliato attentamente dai tedeschi. Il ferito, già denudato
nella parte offesa, continuava a lamentarsi sommessamente per il dolore, pur
cercando d’imporsi un contegno: “Prima di procedere sarà meglio praticargli
un’iniezione di morfina… ho la sua autorizzazione?”
Dopo
avere esitato un secondo, l’ufficiale assentì, fiducioso: “Faccia pure, herr
general. Non è solo la Luftwaffe a considerarla un galantuomo!”
“Molto
obbligato…!” rispose lo yankee, ricambiandogli il sorriso. Prelevò la piccola
capsula cilindrica contenente l’antidolorifico e, una volta scoperchiatone
l’ago, l’affondò nella carne del ferito, le cui membra, dopo un lieve sussultò,
poterono rilassarsi.
“Coraggio,
kamerad: è come cavarsi un dente. Chi mi presta una baionetta, bitte?”
Il
tenente fece cenno a un soldato che lo guardava perplesso e costui allungò
l’arnese all’improvvisato chirurgo, che ci versò sopra un po’ di tintura di
iodio, ripetendo l’azione sulla ferita, che esaminò attentamente: “T’é andata
bene, ragazzo: un pollice più al centro e addio colonna vertebrale…” con la
massima delicatezza, introdusse la lama a intercettare il proiettile e lo fece
saltar fuori “…così, invece ti becchi una bella licenza di convalescenza e
quando riprendi servizio, magari la guerra sarà già finita. Ce n’è di gente
fortunata…!” posò allora il proiettile sul palmo del soldato, stringendogli
sopra la mano.
“Danke…!”
borbottò lui, con voce flebile.
“Non
credo possa camminare” disse ancora Andy, al tenente “ma ho convinto i suoi a portare
qui il mio paracadute, così possiamo ricavarci un’amaca. Ha mai visto qualche
western, tenente?”
“Ho
fatto in tempo a vedere Ombre Rosse,
prima che in Germania lo vietassero.[27] Sono
lieto di vedere che ci sono yankee in gamba, anche fuori da Hollywood!”
“Già,
peccato non ci siano rimasti, eh tenente?” lo stuzzicò Greason, facendogli
l’occhiolino.
L’ufficiale
alzò le spalle: “Non è dipeso né da lei, né da me. Ora vada e sia prudente!”
“Come
dice, scusi…?” chiese l’americano, spalancando gli occhi.
“Le
ho detto di andare. Con due dei miei occupati a trascinare quell’amaca non
potremmo tenerla d’occhio a sufficienza, giacché si sta facendo buio. Lei una
ne fa e cento ne pensa, per cui preferisco non correre rischi. Auf wiedersehen,
mein general…!” concluse, battendo i tacchi e salutando impeccabilmente.
“Perdiana…
il mio amico Schultz von Heindrich poteva trovare un modo meno rischioso per
mostrarmi d’avere degli adepti nella Werhmacht!” esclamò l’asso, tendendo
d’impulso la destra al generoso ufficiale.
A
buon intenditor, poche parole. L’acuto tenente comprese tante cose e rispose,
nello stringerla: “Mi spiace che abbia perso la sua imbattibilità, signore…
d’altra parte, se non l’avesse spuntata il nostro miglior pilota, non potrei
raccontare un giorno ai miei nipotini di avere stretto la mano ad Andrew Steve
Greason. Helmut Dolfmann, onorato!”
“Io
pure. Beh, ringrazi Schultz quando lo vede… ma si guardi da un altro suo
compatriota che non sarebbe molto soddisfatto di com’è finita la giornata… a
buon rendere!” l’aquila americana si portò la mano al berretto e riprese a
incamminarsi in direzione nord.
Osservandolo
sparire nella calante oscurità, il tenente Dolfmann si lasciò scappare un
ghigno: “Quello yankee ha proprio ragione: il generaloberst von Kruppen non
sarebbe affatto contento… d’altra parte era un bel pezzo che aspettavo
l’occasione di giocare un brutto tiro a qualcuna di quelle miserabili SS…!”
***
“Archie…
ci sei?” domandò una gentile voce di donna.
“Sono
qui, Cathy… che succede?”
“Puoi
uscire, cherie… fa già buio.”
Il
tenente Cornwell si alzò in piedi, stiracchiandosi
le membra: “Che ore sono ?”
“Quasi
le nove. Hai fame?” chiese ancora la francesina.
“Beh,
un boccone lo manderei giù molto volentieri!”
“Allora
vieni…”
“Eccomi.”
I
due se ne andarono in cucina, dove la giovane vedova aveva imbandito la tavola.
Al centro faceva bella mostra un bel pollastro, accanto a una ciotola
d’insalata. Poco distante una coppa di frutta (mele, pesche, alcune ciliegie)
davano un tocco di colore assieme al bottiglione di vino rosso e non mancavano le
classiche baguette di pane. La tenue luce delle candele dava a tutta la scena un
tocco decisamente intimo.
“Caspita,
che meraviglia” esclamò stupito l’americano “sembra quasi un banchetto
d’addio!”
La
donna ebbe un fremito: “I boches sono andati avanti e indietro tutto il giorno.
Qualche ora fa si sentivano anche le cannonate. Credo che il fronte si stia
avvicinando…”
“Sì,
anch’io le ho sentite” confermò Archie, versandosi da bere “può darsi che i
nostri, domani, saranno già qui…”
“Già…”
sospirò la biondina, spezzando il pane, mentre lo guardava cupamente.
L’uomo
la imitò, per poi rivolgerle un caldo sorriso: “Su, Cathy, non ti angustiare…
dove sta scritto che non ci rivedremo più? I tedeschi si stanno ritirando, lo
sai… magari per Natale la guerra sarà finita. Allora lo zio Sam ci metterà
tutti in libertà e…”
“…e
tu tornerai a casa!” concluse la
francese, con accento acre.
Archie
rimase interdetto un istante: “Non necessariamente” disse poi “potrei rimanere
a Parigi, trovare un impiego alla nostra ambasciata. Tu potresti tornare a
insegnare laggiù e…” s’interruppe per portarsi alle labbra il bicchiere.
“…e
tua moglie?”
Il
Pernod gli andò di traverso e lo
yankee cominciò a tossire. Quando riprese fiato, la fissò con decisione: “Ci
penseremo con calma…”
“Archibald
Cornwell Andrew” ribatté la donna, stingendo i pugni “io non voglio essere solo la tua amante. Sono stata chiara?!”
“E
chi ha mai detto questo, Cathy?”
“Mi
chiamo Catherine… credevo di avertelo detto!”
Intuendo
la velleità battagliera dell’amica, l’aviatore contò mentalmente fino a dieci,
prima di rispondere: “Okay… va bien”
si corresse “senti, lo so che voi europei - e voi francesi, in particolare - ci
considerate una specie di barbari, ma io
sono un gentiluomo! E ti assicuro che, se ti amo al punto da avere una
relazione con te dietro le spalle di mia moglie, ti amo abbastanza per
chiederle il divorzio. Per me, il male è lo stesso!”
Lei
distolse lo sguardo verso la finestra: “Il male…
certo!”
“Cerca
di capirmi, cherie: anche se il mio è stato un matrimonio d’interesse e non
sono mai stato veramente innamorato di Annie, le voglio comunque bene. Non
posso scaricarla così, a freddo! Mi serve un po’ di tempo, per riflettere…”
appoggiò la mano su quella di lei e cominciò a carezzarla.
Catherine
lo guardò profondamente, mentre i suoi occhi s’inumidivano: “Oh, amore… hai
ragione, sono una sciocca egoista! Non so cosa mi sia successo…” singhiozzò
“…dopo aver perso Philippe credevo di non potermi innamorare mai più… poi sei
arrivato tu e…”
“Lo
so” rispose lui, accentuando la stretta della mano “anch’io credevo che la vita
non mi avrebbe mai offerto un’opportunità come questa… anni fa, quando capii
che la ragazza di cui ero innamorato sul serio non mi avrebbe mai ricambiato,
decisi d’assecondare il sentimento della ragazza che i miei genitori avevano
scelto per me. Ciononostante, l’ho sempre considerata una specie di sorella,
pur impegnandomi a farla felice…”
“Ma
lei ti ama…?” s’informò Catherine, con una certa ansietà.
“Molto”
dovette ammettere lui “ed è anche molto buona. Come se non bastasse, è anche
l’amica del cuore di Candy!”
“La
ragazza che mi assomiglia?”
Non ti assomiglia: è il tuo ritratto
sputato avrebbe voluto precisare lui.
Ma si limitò ad annuire: “Per Annie è una specie di sorella maggiore. Infatti
sono cresciute insieme, all’orfanotrofio… questo per dirti che, se farò a mia
moglie una cosa del genere, saranno in due a volermi morto!”
“Non
dirmi che, adesso, anche quella Candy ti…”
“No,
no” negò il pilota, con gesto deciso “lei è persa dietro il suo Terence
Grenchester, figurati…!”
“Chi,
l’attore? Il celebre interprete shakespeariano di Broadway?”
“Sì,
lui…!” confermò Archie, con una smorfia, ricordando la loro vecchia ruggine,
mai del tutto estintasi.
Cathrine
rimuginò per un attimo: “Io e Philippe andammo a vederlo, durante una tournee
parigina della Stratford Company… è indubbiamente
bello e bravissimo! Credevo però che fosse scapolo…”
“Infatti
non si sono mai sposati, per quanto si amino. Troppo testardi e indipendenti di
carattere per legarsi così ad un’altra persona. Dopotutto sono liberi, loro…!”
“E
tu non lo sei…” concluse la donna, malinconica.
“No”
confermò lui, riempiendo e tracannando un altro bicchiere di Pernod “ma vorrei esserlo…!”
La
francese lo guardò con occhi semichiusi: “Non è detto che tu non riesca a
diventarlo…”
“Mah…
ne dubito!”
“Dopotutto
non sei certo un debole, col mestiere che fai…”
“Direi
di no… ma forse è più facile volare con quegli ammassi di ferraglia, sparare
con le mitragliatrici e mollare bombe, piuttosto che prendere le decisioni
giuste nel corso della vita! Certe volte non ce la fai proprio a decidere,
Catherine... e allora scappi” contemplò per un momento il vino nel bicchiere “forse
anche mio fratello era scappato, tre anni fa… e ci ha rimesso la pelle!”
concluse, vuotandolo.
“Ma
tu non devi scappare” ribatté la donna, stringendogli anch’essa la mano “devi
affrontare il problema e fare la scelta giusta!”
Archie
le lanciò uno sguardo languido: “E quale sarebbe la scelta giusta…?” le chiese,
con soffusa ironia.
“Quella
che ti indica il cuore…!” rispose lei, quasi sussurrando, avvicinandosi poi per
mettergli le mani sulle spalle.
Lui
sospirò: “Vorrei tanto riuscire a farlo, Catherine!”
“Puoi
farlo…” ribadì lei, con convinzione, avvicinando le labbra alle sue.
“Da…
davvero…?” domandò Archie, sentendo come un lieve capogiro. Il suo profumo era
inebriante, mentre i 13 gradi del vino facevano il resto.
“Davvero…!”
confermò la giovane, baciandolo infine con ardore.
Da
lì in poi, fu tutto un precipitare… dopo essersi scambiati altri due o tre baci
roventi, i due si alzarono e, tenendosi per mano, raggiunsero la camera da
letto, dove si sfilarono rapidamente gli abiti, per poi infilarsi sotto le
coperte…
“Sei
bellissima…!” mormorò il tenente Cornwall, contemplando i suoi boccoli biondi
che le contornavano il viso lentigginoso.
“Come
lei…?” mormorò la giovane,
maliziosamente.
“No”
scosse la testa l’uomo “come te…!”
Lei
si avvicinò, stringendolo in un dolce abbraccio. Lui la baciò ancora, carezzandole
la chioma dorata. Il contatto della loro pelle calda li stava facendo impazzire…
“Ti
amo… Cathy…!” dichiarò lui.
“Allora
prendimi… Archie…!” lo pregò lei.
Improvvisamente,
un attimo prima di mollare i freni inibitori, la porta si spalancò… scampati per
miracolo a un infarto, i due amanti improvvisati rimasero a fissare quell’intruso,
che indossava la combinazione di volo dell’aeronautica statunitense.
“Ops…
scusatemi!! Niente paura, sono un amico… americain… je suis americain!”
Per
nulla rassicurati, i due “reprobi” continuavano a scrutarlo con terrore,
specialmente l’uomo, che esclamò ad un tratto: “Signor generale…!”
Al
suono di quella voce, Andrew Steve Greason sgranò tanto d’occhi: “Tenente
Cornwell… cosa diavolo ci fa qui?!”
Prevenendo
il suo partner, incapace anche solo di riordinare le idee, la padrona di casa
prese in mano la situazione e replicò, indignata, tirandosi le lenzuola fino al
mento: “Lo vede bene cosa stiamo facendo, scostumato! Ci spieghi piuttosto cosa
fa lei, in casa mia…”
“Sono
mortificato, madame” rispose il comandante della Decima Air Force, senza più nessuna traccia d’imbarazzo “ero
entrato per sfuggire alle pattuglie tedesche. Ho visto i resti della cena, al
piano terra e credevo che la casa fosse stata evacuata… scusatemi se vi ho
interrotto!” concluse, rivolgendo un’occhiata significativa al suo subordinato.
“Non
era ancora successo niente, generale…!” si giustificò il tenente, alzatosi a
sedere.
“Lasci
perdere, Arch: non è a me che dovrà
fornire giustificazioni! L’aspetto di sotto, fate con comodo…” si portò due
dita alla fronte “…di nuovo le mie scuse, madame…!”
Andy
Greason richiuse l’uscio, con discrezione. Il povero Archie Cornwell si lasciò allora
ricadere sul cuscino col volto disfatto, mentre la sua aspirante seconda moglie
affondava la faccia nel proprio, soffocandovi disperatamente i singhiozzi…
[1]Gli appezzamenti della Normandia erano circondati da
folte siepi, cresciute su compattissimi terrapieni, che nemmeno i veicoli
corazzati riuscivano a sfondare. Questo costringeva le fanterie ad attraversare
i campi senza poter contare sull’appoggio ravvicinato dei carri armati, subendo
perdite molto gravi dal nutrito fuoco dei difensori. Anche i genieri che
tentavano di aprire varchi nei terrapieni facendovi brillare delle cariche
esplosive, venivano spesso falciati dal tiro delle micidialiSpandau
tedesche.
[3]La prima era stata la morte di Stear, in Cina e la seconda l’incontro
con la sua fidanzata, a New York (vedi capitoli 4 e 15).
[4]“Finché me lo riporta indietro, non m’importa di
dividere il mio uomo con quell’aeroplano: alla fine, ingombrante com’è, in
camera da letto non può portarselo!” aveva detto una volta Flanny, facendo
sbellicare le sue smaliziate colleghe (e arrossire la pudica Candy).
[6]Le Liberty
erano mercantili formati da sezioni realizzate in precedenza da diverse
fabbriche, anche lontano dalle coste e infine assemblate nei cantieri navali
per rendere il montaggio più rapido rispetto a quello delle navi tradizionali.
Dal 1941 al 1945 ne vennero varate più di 2700, contribuendo a neutralizzare il
blocco navale da parte degli U-Boat
tedeschi.
[10]Rallentando cioè al di sotto della velocità di sostentamento.
[11]Letteralmente Strisce
di Invasione: alla vigilia dello sbarco in Normandia, su tutti gli aerei
alleati (qualunque ruolo e dimensione avessero) vennero dipinte cinque strisce
di identificazione (tre bianche e due nere) per evitare casi di fuoco amico sia
dall’aria che da terra.
[13]Con un peso al decollo di 2010 Kg e una potenza di 1050
HP nel motore, la versione E del Messerschmitt 109 (detta Emil) aveva un rapporto peso/potenza di
1,91 Kg/HP, mentre il P-47 D, con un
peso di 8000 Kg e un motore da 2000 HP ce l’aveva di 4,4 Kg/HP, che calavano a
3,83 grazie all’apporto di 300 HP a parità
di quota, fornito dal turbocompressore.
[14]La prima era successa in Cina, da parte di un Nakajima Hayabusa giapponese, incidente
grazie al quale aveva conosciuto la sua futura moglie (vedi cap. 1).
[15]La Colt-Browning
M2HB sparava 13 proiettili da 12,7 mm al secondo, contro le 6 da 20 mm dell’OerlikonMGFF; quindi, per ogni secondo di tiro, il P-47 di Andy poteva “innaffiare” l’avversario con una “rosa” di 104
proiettili, mentre il Me 109 gliene
avrebbe tirati solo 18, anche se di calibro maggiore.
[16] Mitragliatrici leggere da 7,92 mm con una cadenza di tiro
di 18 colpi al secondo (15 se sincronizzate).
[23]Fucile a ricarica manuale, in dotazione standard all’esercito tedesco.
[24]Monomotori leggeri, ad ala alta, impiegati per il
trasporto di persone singole o la ricognizione. Fra i modelli più celebri del
tempo c’erano il tedesco Fieseler Fi156
Storch, l’americano Piper L4
Grasshopper e il britannico Westland
Lysander Mk.I.
Tutti gli uomini desiderano diventare il primo
amore di una donna.
Le donne, più intelligenti, preferiscono
diventare l’ultimo amore di un uomo
(Oscar Wilde)
Capitolo 26:
Il sofferto ritorno all’ovile
F
ra
le tre e le quattro antimeridiane del 16 Luglio 1944, l’USS Whitehurst (DE634), cacciatorpediniere di scorta della classe Butler, stava solcando le acque della
Manica verso la base navale di Portsmouth. L’unità, ai comandi del Capitano di
Corvetta Lawrence Partridge e appartenente al TG 16.1[1], stava
rientrando in sede per rifornirsi di provviste e munizioni dopo un mese di
servizio ininterrotto a protezione delle operazioni di sbarco davanti a Utah
Beach.
La
cabina del primo ufficiale, ubicata dietro il quadrato di prua, ospitava gentilmente
due inconsueti passeggeri. La fioca luce azzurrina prescritta dalle procedure
di oscuramento mostrava vagamente le loro sagome: il primo, completamente
disteso sulla branda, una mano sul petto e l’altra penzolante dal bordo, era immerso
in un sonno profondo come indicava il leggero russare. Il compagno, di alcuni
anni più giovane, restava invece seduto sulla cuccetta, fissando le mani
intrecciate con uno sguardo assai cupo. Il marcato ronzio delle macchine gli
arpeggiava discretamente i nervi e, se lo avesse potuto, avrebbe affondato con
le sue mani quella maledetta bagnarola, a costo di finire davanti al plotone
d’esecuzione! Anche la vista del suo superiore, che ronfava placidamente col
sorriso sulle labbra, contribuiva ad aumentare il suo dispetto.
Bella
forza: lui tornava dalla sua adorata moglie, che solo due giorni prima era
svenuta davanti a tutto l’ospedale St.Mary, quando il maggiore Farrell, giunto
personalmente da Grant Field, le
aveva annunciato la lieta novella: il generale, sano e libero, sarebbe presto
rientrato in Inghilterra. Guarda caso, proprio in quel momento la signora
Greason e la sua collega Candy White stavano assistendo la povera Annie,
nuovamente ricoverata d’urgenza per una delle sue crisi isteriche e l’ufficiale
medico del 99° Gruppo Caccia era stato oltremodo felice di poter riferire anche
a lei che il tenente Archibald Cornwell, del 45° Gruppo d’Attacco, scampato
miracolosamente alla prigionia dopo il suo abbattimento nell’azione del 7
Giugno, sarebbe rientrato assieme al generale.
C’era
voluta quasi l’intera scorta di biancheria dell’ospedale per asciugare le
lacrime di gioia versate dalla signora Cornwell e anche la sua bionda amica del
cuore aveva dovuto inumidire qualche fazzoletto per sfogare l’immane sollievo provato.
Senza contare gli affettuosi ringraziamenti che l’ex compagno di squadra di suo
fratello avrebbe ricevuto dalla sua antica
fiamma e sua consorte, per poi concludere il “giro d’onore” fra le grazie
appassionate della propria… no, decisamente il generale Andrew Steve Greason, in
vista del suo reintegro a capo della Decima Forza Aerea - alla faccia del
generaloberst Otto von Kruppen e grazie all’amicizia dell’oberstleutnant Schultz
von Heindrich e al rispetto del leutnant Helmut Dolfmann - non doveva davvero preoccuparsi
troppo per il suo ritorno all’ovile… mentre invece, per il tenente Archibald
Cornwell Andrew era decisamente tutta un’altra faccenda!
A
un certo punto, oppresso da tutti quei pensieri e sempre irritato dal
tranquillo russare dell’asso degli assi, il fratello minore del povero Alistear
si levò di scatto, deciso a prendere una boccata d’aria. Non appena raggiunta
la tolda, una forte brezza salmastra lo travolse in pieno. Richiuso il portello
dietro di sé, l’aviatore si diresse a poppa, barcollando leggermente per il
rollio e il beccheggio della piccola nave, che procedeva a 18 nodi sopra un
mare forza quattro.
Superato
il castello di poppa e la torretta col pezzo da 5 pollici, aggirò la postazione
con le due antiaeree da 20 millimetri, trascinandosi fino all’alberetto
portabandiera, situato fra le due tramogge delle bombe di profondità.
Aggrappatovici saldamente, si mise a scrutare il tenebroso orizzonte, dove non
poteva più scorgere la costa francese.
A
occhi chiusi superò mentalmente quel mare crudele ritrovandosi sopra le dolci
brughiere normanne, prima ancora sorvolate col suo cacciabombardiere. Rivide la
dimora che lo aveva ospitato: piccola, tranquilla e pulita. Rivide quegli
splendidi occhi celesti e i suoi soffici capelli biondi. Risentì il suo
profumo, il suo calore, il suo affetto… che beffa crudele!
Perché
doveva finire così? Perché non aveva il coraggio di tuffarsi, sfidare quelle
nere acque minacciose, gli squali e le mine pur di tornare fra quelle candide e
morbide braccia?
Perché
doveva tornare dalla sua consorte, belloccia sia pure, ma così… convenzionale? Perché doveva farsi imprigionare ancora dal
suo amore così soffocante?
Perché
il suo comandante in capo non l’aveva lasciato dov’era? Perché un uomo
straordinario come Andy Greason, che giustamente si vantava di combattere per
la libertà, non aveva rispettato la
sua? Perché continuava a farsi tutte quelle domande stupide?
“Sigaretta…?”
Archibald
sussultò e, volgendosi all’indietro, distinse la figura del generale mentre si accendeva
una Lucky Strike.[2]
“No,
grazie” borbottò nel rivolgergli uno sguardo corrucciato “non fumo.”
“Meglio
così” commentò il generale gettando in mare il fiammifero “un vizio di meno…!”
Il
tenente ebbe un moto di disappunto: “A che vorrebbe alludere, signore?”
Greason
alzò le spalle: “A nulla… presumo.”
Ad
Archie scappò un grugnito: “Se pensa che sia un depravato, lo dica pure chiaro
e tondo!” ribatté senza tanti preamboli
“Non
lo penso” rispose asciutto l’altro “e comunque non sono affari miei.”
“Questo
è poco, ma sicuro!” puntualizzò il collega, stringendo il parapetto.
“Ad
ogni modo” l’asso aspirò una boccata e soffiò il fumo lentamente “procedi pure,
se vuoi sfogarti.”
“Cosa
le fa credere che mi voglia sfogare?” chiese Archie, con aria di sfida.
“Mah…
da quando ci siamo rivisti non mi rivolgi praticamente la parola e ogni volta
che mi guardi trasudi dalla voglia di mollarmi un pugno in piena faccia.
Inoltre…” proseguì, mandando il mozzicone a raggiungere il cerino “…non ho mai
visto un ex disperso così poco entusiasta di tornare a casa!”
Cornwell
ghignò, amaro: “Il ritorno non è sempre uguale per tutti, generale!”
“Per
tacere del tuo formalismo inedito: se ben ricordo mi davi del tu, in privato.”
Archie
si rese improvvisamente conto di quanto il suo atteggiamento fosse sciocco: anziché
rallegrarsi di essere scampato alla prigionia o alla morte assieme al suo capo
ed amico, gliene voleva perché lo stava riportando dai suoi cari! E che avrebbe
dovuto fare? Lasciarlo dove stava, con la sua nuova amichetta?
La
mattina dopo la sua “improvvisata” nella casa di Catherine, un reparto della 3a
Divisione Corazzata aveva raggiunto il villaggio di Pont Hebert e un felice
quanto stupito maggiore Albert McKenna aveva messo gentilmente a disposizione
la sua jeep per riaccompagnare i due aviatori fino alla costa. Lo stesso
comandante del 5° RCT[3] aveva
riferito al generale Greason che un reparto del 2° Battaglione Rangers aveva rinvenuto un P-47 sotto un covone di paglia improvvisato.
Riconosciutolo come quello dell’asso, aveva segnalato al servizio logistico di
mandare un mezzo di recupero per riportarlo indietro. Il consorte di Flanny
Hamilton non poteva credere a tanta fortuna!
Chi
non poteva invece credere a tanta scalogna era il consorte di Annie Brighton,
occupato a consolare la povera Catherine, che singhiozzava disperata conficcandogli
le unghie nella schiena, già indolenzita dalla notte insonne passata sul divano…
amaro paragone col morbido e caldo letto della dolce francesina!
Dopo
reiterate raccomandazioni e promesse, i due avevano dovuto rassegnarsi alla
dolorosa separazione, con Andy per nulla lieto di far la parte del Don Rodrigo,
soprattutto per le velenose occhiate dalla gallica sosia di Candy… anche se la
situazione, più che i manzoniani Promessi
Sposi, ricordava maggiormente la pucciniana Madama Butterfly!
Gli
yankies avevano infine lasciato la casa, con la soccorritrice di Archie
Cornwell sulla porta che li guardava astiosamente fra le lacrime, maledicendo sia
la malasorte che il marchese di Lafayette tutte e due insieme[4]…
***
Dopo
aver ricondotto il compagno alla loro cabina, il generale richiuse la porta, si
frugò nel giubbotto della combinazione di volo ed estrasse una fiaschetta dalla
tasca interna.
“Per
vuotare meglio il sacco” dichiarò porgendola al tenente “omaggio del maggiore
McKenna!”
L’altro
esitò un istante prima di afferrarla, quindi svitò il tappo e annusò
l’imboccatura: “Il bicchierino non c’è?”
Andy
volse sospirando gli occhi al soffitto: “No, mi dispiace… coraggio, signor Andrew:
qui sua zia non la potrà vedere!”
“Molto
spiritoso” ribatté Archie, prima d’imboccarla con decisione “passabile!”
giudicò poi.
“Sicuramente
avrete di meglio nella cantina della vostra villa di Lakewood…” commentò salace
Andy.
Archie
gli lanciò un’occhiata torva: “Ne paghiamo regolarmente le tasse, generale!”
“E
chi ha detto il contrario?” ribatté il superiore, sdraiandosi sulla branda.
“Oltretutto
sono anni che non ci metto piede” precisò “dacché mio cugino Anthony passò a
miglior vita e Candy se ne tornò alla Casa di Pony, a me e al mio povero
fratello sembrò sempre di più una prigione… come la nostra stessa famiglia, del
resto!” concluse, concedendosi un’altra sorsata.
“Ed
ora più che mai… vero, tenente?” lo stuzzicò Andy, subito prima di pentirsi.
Archie
interruppe bruscamente la deglutizione per dare alcuni colpi di tosse, quindi
lo fissò, scuro: “È inutile che lei cerchi di capire” esclamò, con tono acceso
“bisogna provarla sulla propria pelle la beffa atroce di trovare l’amore vero quand’è troppo tardi. Quando tutto è
ormai inutile!” altra sorsata.
L’asso
sospirò di nuovo: “Con tutto il rispetto, Archie, non ti sembra di esagerare?
La conoscevi da meno di un mese!”
“Perché,
lei quanto ci ha messo a innamorarsi di sua moglie?” rimpallò il compagno,
piuttosto sarcastico.
“Numero
uno, piantala di darmi del lei” gl’ingiunse
piccato Andy, puntandogli contro l’indice “numero due, io non ero ancora sposato! Numero tre, non è notoriamente mia
abitudine impicciarmi degli affari privati dei miei sottoposti… ma, come amico
personale tuo e di tua moglie, mi sento in dovere d’invitarti a pensarci bene,
prima di buttare tutto all’aria!”
Archie
scosse la testa: “Crede forse che…” s’interruppe e respirò a fondo “…credi che non ci stia pensando? So
benissimo che sarei l’ultimo dei miserabili se facessi questo ad Annie… ma che
ci posso fare se provo per lei solo affetto, mentre di Catherine me ne sono
innamorato?” ribadì, dando un pugno alla parete.
“Te
ne sei innamorato perché somiglia a Candy?” s’informò con noncuranza il
generale, incrociando le braccia.
“Non
è solo per quello che… ma tu come lo sai?!” domandò, sgomento.
“Se
non ti dispiace, ho ancora i miei dieci decimi, dall’ultimo controllo” rispose
il capo tagliando l’aria con la mano “mi sono preso un mezzo accidente quand’ho
spalancato la porta di quella camera!”
“Già…
la tua discrezione ha lasciato anche me senza fiato.”
“La
prossima volta appendi una crocera alla maniglia” lo erudì il generale “non lo
sapevi che il segnale è quello?”[5]
“Purtroppo
non ho la sua esperienza, signore…” ironizzò il subalterno.
“Beh,
modestamente… ehi, c’é sempre stata solo Flanny con me, in quelle stanze,
sappilo!”
“Sono
affari suoi, generale.” annuì il tenente alzando le mani.
Andy
sbuffò, mettendo fine al gioco: “Vorrei soltanto che voi due non vi faceste più
male del necessario” dichiarò seriamente “tutto qui!”
Archie
lo guardò a lungo, per poi chiedere: “Che cosa dovrei fare, allora?”
“Capire
bene se quanto provi per quella donna è veramente amore, senza farti
condizionare troppo dai suoi lineamenti!”
“Fosse
facile…” borbottò l’altro, stendendosi a sua volta in cuccetta.
“In
fondo anche quella per Candy poteva essere una semplice infatuazione.”
“Non
lo era!”
“Lungi
da me sminuire le sue qualità” puntualizzò il compagno “ma farne sempre l’unico
punto di riferimento…”
“Alchimia,
signore. Con tutto il dovuto rispetto, ma forse anche lei ha qualcosa da
imparare!” commentò l’altro, nuovamente formale per scherzo.
L’asso
scosse la testa: “Tu, tuo fratello, i tuoi cugini… quell’attore… ha fatto una
bella strage, non c’è che dire!”
“Ci
metta anche mio zio, nella lista.” rivelò Archie, sprimacciando il cuscino, deciso
a tentare di dormire un po’.
“William
Andrew? Ma questo è troppo!” sbottò Andy, scherzosamente scandalizzato.
“Non
faccia il superiore, capo: ci sarebbe cascato anche lei, se l’avesse conosciuta
prima di Flanny!”
Punto
sul vivo, Andy voleva replicare, ma poi si lasciò scappare soltanto un
“Chissà…!” e si mise a riflettere, per concludere dentro di sé *Ma per fortuna
l’ho conosciuta dopo…!*
“Comunque
sia” disse ancora al suo subordinato “accetta solo un ultimo consiglio…”
“Sono
tutt’orecchi, generale…” bofonchiò Archie, già nel dormiveglia.
“Fatti
la doccia, prima di sbarcare” si raccomandò il superiore “perché quel profumo
francese si sente fino a cinquanta yarde!”[6]
Distesosi
anche lui nella sua branda, chiuse poi tranquillamente gli occhi, mentre il
tenente Cornwell, perduta ogni traccia di sonno, si mise ad annusarsi con
preoccupata cura...
***
Quando
il cacciatorpediniere approdò finalmente alle banchine di Portsmouth erano già
le sette del mattino. I due “ex dispersi”, dopo una gradita colazione offerta
dallo stato maggiore della nave, stavano aspettando che l’equipaggio sistemasse
la passerella per scendere sul molo, dove una discreta folla, composta non solo
dal personale di marina ma anche da diversi ufficiali dell’esercito e da alcuni
civili, palesavano un’impaziente attesa. Dopo avere stretto la mano al
comandante Partridge, il generale Greason batté la mano sulla spalla del
tenente Cornwell, che sembrava irrigidito presso la murata, con molta poca
voglia di sbarcare. L’acuta vista dell’asso non aveva infatti tardato a
scorgere la figura di una giovane dagli sciolti capelli corvini che, avendo riconosciuto
anche lei il suo compagno, tendeva con trepidazione le braccia verso di lui,
mentre due rivoli di lacrime le scorrevano lungo le guance arrossate.
Accanto
a lei un’altra giovane bionda, che le cingeva la vita con un braccio in
evidente atteggiamento protettivo, anziché indossare un abito civile come
l’amica, sfoggiava una fiammante uniforme da ufficiale, non dissimile da quella
che portava una sua collega poco lontano, acconciata con una lunga e bruna coda
di cavallo.
Dopo
avere interiormente sussultato nel riconoscere quei due militari in gonnella,
il nostro asso sospirò, mormorando all’orecchio del compagno: “Coraggio,
Archie: i cambiamenti bisogna saperli affrontare!”
Il
tenente Cornwell non rispose, chiedendosi però se quella frase il generale
l’avesse diretta a lui o a sé stesso, avendo a sua volta riconosciuto le due
accompagnatrici della moglie.
Cercando
di manifestare maggior aplomb possibile, i due aviatori della Decima FA
discesero quindi la passerella, avvicinandosi al gruppo dei militari di
entrambi i sessi, mentre più indietro diversi MP[7]
tenevano a bada numerosi giornalisti, accompagnati da altrettanti fotoreporter
che facevano scattare i loro flashes.
La
giovane bruna anzidetta, abbandonata la tutela della compagna, si fiondò con
uno scatto da centometrista sul pilota più giovane, stringendolo in un
abbraccio degno di un anaconda brasiliano, per poi tempestargli la faccia di
baci roventi.
Discretamente
più flemmatica di lei, la “soldatessa” dalla coda di cavallo raggiunse anche
lei il suo consorte, gli accarezzò lentamente il viso come a sincerarsi della
sua tangibilità per poi abbracciarlo più lentamente, ma in una stretta non meno
intensa della signora Cornwell.
I
coniugi Greason rimasero parecchi secondi a guardarsi negli occhi, scambiandosi
un’espressione seria e profonda, fin tanto che l’asso abbozzò un leggero
sorriso: “Niente male il tuo nuovo look…” commentò lisciandole i risvolti della
giacca marrone, indugiando sulle mostrine del corpo medico dell’esercito.[8]
“Davvero
ti piace?” chiede lei di rimando, non alludendo tanto all’uniforme, quanto al
fatto di averla indossata.
“Di
sicuro ti si addice” confermò lui, con voce lievemente strascicata per poi
concedersi un guizzo d’ironia “così ora mi toccherà rigare ancora più dritto!
Eh, tenente?”
“La
sua preoccupazione è fuori luogo” confutò la neo infermiera militare
lisciandogli le stellette sulla spallina “lei è pur sempre un mio superiore, signor
generale!”
“Già…
ma lei è pur sempre mia moglie, signor tenente. E se è vero ciò che dice
Shakespeare…”[9] un pensiero improvviso, scaturito
da un’associazione di idee, lo fece poi scoppiare in una fragorosa risata.
“Che
cosa ti prende?!” domandò Flanny, leggermente preoccupata.
“Niente,
cara.. sto solo pensando che il boy friend della tua amica avrà da preoccuparsi
ben più di me… non le ha mica le stellette, lui!”
“Come
sempre il tuo sarcasmo mi toglie il fiato, Andy!” ribatté la seconda
ufficialessa del corpo infermieristico, che aveva appena finito di abbracciare
il cugino adottivo lasciandolo ancora più depresso: anche il profumo di Candy
gli ricordava, in tutto e per tutto, quello di Catherine…[10]
“Non
te la prendere, amica mia” le rispose l’asso calcando, forse inconsciamente,
sulle ultime due parole “quando l’umorismo ti è indispensabile per non
impazzire in questa maledetta guerra, non lo tieni facilmente a bada!” quindi
l’abbracciò a sua volta, baciandola sulla guance “sei splendida, come sempre:
sono felice di rivederti!”
“Mai
quanto me, con tutto il riguardo per Flanny” rispose, asciutta, la bionda
“stavolta ci hai fatto davvero paura, ragazzaccio!”
Andy
abbassò gli occhi: “Lo so… e mi dispiace. E ancora una volta devo ringraziarti
per esserle stata vicino!” concluse, guardando sua moglie mentre faceva qualche
domanda ad Archie sul suo stato di salute.
“Ormai,
per me, è come una sorella” specificò Candy “dovresti saperlo!”
“In
effetti l’ho sempre saputo” sorrise l’aviatore “però questo non m’impedisce di
pensare che stavolta hai esagerato ad andarle dietro!” concluse, alludendo alla
sua uniforme.
Candy
arrossì come un peperone: “Beh… sai com’è: se fossi rimasta un’infermiera
civile, ci avrebbero separato e allora…”
“Capisco,
capisco” convenne lui, benevolmente “anche se non riesco a non stupirmi:
un’antimilitarista come te!”
“Si
vede proprio che la guerra cambia le persone!” ammise l’amica, facendo una
smorfia.
“Eh,
già… cribbio, quando Romeo ti vedrà conciata così gli verrà un colpo: capace di
passare ai tedeschi per farla pagare a noi yankies…”
“Dai,
ora basta!”
“Scommetto
invece che se ti vede Neal cascherà di nuovo ai tuoi piedi come una pera marcia!”
continuò l’altro, imperterrito.
“T’ho
detto di smetterla, Andy!!” gridò a questo punto lei, alzando la mano destra.
Visto
il gesto, il generale s’affrettò a rientrare nei ranghi: “Ok, ok… ti chiedo
scusa!”
“Passi
anche stavolta” sbuffò la bionda “ma dovresti davvero imparare a tenere più a
freno quella tua lingua!” lo esortò, agitando l’indice.
“Hai
ragione. Te lo promett…”
“Andy…
Andy…!”
Il
generale si voltò per trovarsi di fronte al viso di Annie Brighton Cornwell,
coi nerissimi occhi ancora lucidi, ma raggianti di felicità. La giovane afferrò
le mani dell’asso e le strinse forte: “Andy… grazie. Grazie di avermelo riportato!!”
“Non
ringraziarmi, Annie: abbiamo avuto fortuna!”
“In
ogni modo non lo dimenticherò mai… sarai nel mio cuore per tutta la vita!”
“Sei
troppo buona. Ma non preoccuparti per me: sono già in ottime mani. Pensa invece
ad avere cura del tuo ragazzo!” la consigliò decisamente.
“Non
dubitarne: so che qualcosa non andava nel nostro rapporto… e può darsi fosse
anche colpa mia. Forse ero troppo possessiva… ma ora rimedierò. Ci chiariremo e
ti assicuro che lo renderò l’uomo più felice del mondo!”
Andy
gettò uno sguardo su suo marito, sorprendendolo a scrutare l’orizzonte marino
verso il meridione… trattenne un groppo in gola e dichiarò, stringendo la mano di
Annie fra le sue: “Ti faccio… anzi, vi
faccio i miei più sinceri auguri…!”
“Grazie,
ancora… arrivederci a presto!” lo salutò lei, raggiungendo il consorte. Questi
le prese il braccio che lei gli offriva e, prima d’incamminarsi verso l’uscita
del porto, guardò il superiore, salutandolo militarmente: “I miei rispetti,
generale!”
“A
presto, tenente. E abbia giudizio!” non poté trattenersi dal dire Andy.
Tornato
a voltarsi verso la moglie, si trovò di fronte alcuni fra i suoi più fidi
compagni: James Stone, Victor Sanders, Roy Master, John Bart Richardson,
accompagnati dal generale Carl Spaatz.
“Complimenti,
Greason” dichiarò quest’ultimo “neanche stavolta i crauti sono riusciti a
metterla fuori gioco!”
“No,
signore. E può star certo che, finché avrò al mio fianco questa donna
eccezionale, nessun nemico, anche il più implacabile, riuscirà a separarci e quindi
a non farmi tornare in servizio!”
“Già,
già… non lo metto in dubbio” sorrise il comandante dell’USAAF nell’ETO[11] “e
poi, adesso, siete anche colleghi!”
“Infatti”
ammise l’asso “devo dire che mia moglie mi ha fatto una bella sorpresa!”
“Ho
solo ricambiato una di quelle che finora hai fatto a me!” ironizzò lei.
“Non
dico di no… ma questa ne vale almeno due!”
Spaatz
ridacchiò, non potendo fare a meno di osservare: “Lasciatemi dire che siete una
coppia davvero singolare, amici miei!”
“Può
essere” ammise Flanny “ma vede, signore, abbiamo fatto un patto, quando ci
siamo sposati: nessuno dei due avrebbe mai messo in discussione le scelte
dell’altro in tema di lavoro!”
“Ah,
è così…” fece il generale di stato maggiore, andando con lo sguardo dall’uno
all’altro “…beh, a quanto pare l’accordo ha funzionato egregiamente. Giusto,
Greason?”
Approfittando
dello sguardo della moglie, sempre puntato sul generale, costui allargò le
braccia in una muta richiesta di solidarietà maschile, per poi confermare:
“Giustissimo, signore!”
“Bene,
bene… ne sono lieto per voi. Alla prossima, generale. Tenente…”
“Arrivederci,
signore!” rispose la signora Greason.
Partito
il superiore, Andy Greason offrì a sua volta il braccio alla moglie dirigendosi
verso la Buick personale mandata
dalla base di Grant Field. Camminando
rivolse il pensiero ai problemi che gli amici Archie ed Annie avrebbero dovuto
affrontare, ritenendosi davvero fortunato che il suo matrimonio fosse, a
confronto, così felicemente riuscito.
Era
invece lungi dall’immaginare come i prossimi avvenimenti futuri lo avrebbero messo
duramente alla prova…
[1]Task Group (Gruppo Navale); più TG formavano una Task Force (TF) o Squadra Navale.
[2]Io sono un accanito anti-fumatore (mi vanto di non aver
fumato in vita mia nemmeno una sigaretta). Però, il fascino di Humphrey Bogart… non vorremo mica negarlo a Andy Greason, vero?
[3]Regimental Combat Team (Gruppo da Combattimento Reggimentale).
[4]Il marchese Paul Marie Lafayette riuscì a convincere
Luigi XVI a mandare un contingente francese che fece pendere per il rotto della
cuffia la bilancia a favore delle milizie di Washington, le quali, nonostante
il loro valore, stavano rischiando di essere sconfitte dalle più numerose ed
esperte truppe inglesi di Cornwallis. Penso si possa comunque affermare che, fra
il 1917-18 e il 1944-45, i “cugini” d’oltre Atlantico abbiano restituito ampiamente
il favore.
[5]Da un vecchio film americano degli anni Cinquanta o Sessanta.
[6]Una yarda è il metro
anglosassone e corrisponde a 3 piedi.
[7]Military Police, i componenti della polizia militare.
[8]Formato da un bastone alato, avvolto da due serpenti.
[9]“La moglie del generale è il
generale del generale!” (v. cap. 10).