Tearin' me apart, cause you don't see me

di Iris Fiery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dizzy's all it makes us ***
Capitolo 2: *** I've been waiting for a boy like you to come around ***
Capitolo 3: *** You're messin' with my head ***
Capitolo 4: *** All that you want is under your nose ***
Capitolo 5: *** Tell me I'm a screwed up mess ***
Capitolo 6: *** But if you walk away I know I'll fade ***
Capitolo 7: *** But I see you with him ***
Capitolo 8: *** And you pray that everything will be okay ***
Capitolo 9: *** Tell me a lie ***
Capitolo 10: *** He'll only break you, leave you torn apart ***
Capitolo 11: *** Get outta control ***



Capitolo 1
*** Dizzy's all it makes us ***


Dizzy's all it makes us
Dizzy's all it makes us
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~ZaynWord

<< Il signor Malik ora è impegnato, ripassi più tardi. >>
<< Zayn Jawadd Malik, sei pregato di smetterla di dire stronzate e di uscire da quella camera! >> Sento urlare da mia sorella, mentre batte ancora con forza la mano sulla porta di vecchio legno della mia camera, che pare cadere da un momento all’altro, cosa che succederà secondo me: non che io l’ascolti, altrimenti ora dovrei già essere lì, ai suoi ordini, a fare chissà quale lavoro stupido per quella ragazzina fastidiosa.
La lascio perdere, ma quando il battere diventa ripetitivo mi alzo in piedi e appoggio il libro che stavo leggendo sul mobiletto lì vicino: metto la mia giacca di jeans scuro sopra ad una maglietta bianca e i pantaloni del medesimo colore del soprabito ed apro la finestra di casa. Allaccio ben bene lo zaino nero e sdrucito sulla schiena e salto sul ramo dell’albero vicino, tenendo bene l’equilibrio: oramai faccio ciò da svariati anni, neanche mi viene difficile.
Scendo con rapidità da lì e poggio i piedi nella terra dove una volta vi era l’erba verdeggiante, ora vi rimane solo del terriccio che rischia di farmi affondare ogni attimo di più: quando vi esco con la mia sorellina Safaa ci divertiamo spesso ad immaginarci che siano sabbie mobili, e che dobbiamo creare un percorso per poterci salvare.
Poco possiamo fare in questo quartiere del sud di Londra: i grandi palazzoni di costruzione industriali hanno un colore grigio e sono talmente alti da coprire il cielo azzurro. Le ciminiere in questi paraggi producono gran quantità di inquinamento, tanto che a volte non ci è possibile uscire neanche un attimo, perché l’aria non è possibile da respirare: l’erba e i prati sono stati coperti dal cemento ruvido che ci sbuccia le ginocchia quando giochiamo, e i divertimenti mancano in totale. Gli abitanti di queste zone sono poveri, spesso immigrati come la mia famiglia: siamo originari di Bradford, ma come si può ben vedere dalla mia pelle ambrata e i miei tratti marcati non sono completamente inglese. Mio padre è un immigrato pakistano venuto in Inghilterra molti anni fa per cercare fortuna: questa non l’ha trovata ma a differenza di ciò, ha sposato un inglese, Tricia, mia madre. Lui spesso dice che questa è la miglior fortuna che gli potesse capitare, ma il loro amore non porta mai il pane alla fine della giornata sulla nostra tavola.
Come ben dicevo, questo quartiere periferico del sud situato nel Lambeth, viene conosciuto dalla maggior parte della gente col nome di Brixton: solitamente viene poco consigliato per girarvi a causa della forte immigrazione avvenuta qui soprattutto a livello di popolazione caraibica e per il grande uso di cannabis. È vero, è un quartiere pericoloso: fino all’età di sedici anni, i miei quasi non mi permettevano di uscirvi ufficialmente, sebbene ho fatto le mie esperienze.
Qui non è difficile vedere corpi di gente buttati a terra, come cadaveri durante una guerra: le bande si sfidano ogni giorno, i colpi di pistola esplodono in aria e spesso colpiscono gente che non centra nulla, ma che vorrebbe solo vivere la propria vita in pace. E come dargli torto, non tutti sono interessati solo alla droga o ad altro: il quartiere è molto famoso per il proprio mercato, per i piccoli negozi vintage, per le discoteche, per le accademie e per la Brixton Art Gallery, una delle più famose gallerie di arte contemporanea. 
Anche se vi racconto tale bellezza, nulla è così nella mia vita: mio padre, per portare avanti una famiglia composta da sei persone è costretto a lavorare tutto il giorno nel piccolo locale che abbiamo in gestione, rischiando la vita a causa delle frequenti rapine. Mia madre, ora che ha i figli abbastanza grandi per svilupparsi da sé fa le pulizie in casa dei signori per  bene nel quartiere di Notting Hill, dove vivono i ricchi proprietari di Londra: alcune volte passo in quel quartiere dove eleganti signorotti vestiti di tutto punto sfrecciano nelle loro costose macchine con accanto donne perfettamente educate all’élite inglese. Dio, quanto odio quella gente.
Quanto a me e le mie sorelle facciamo le cose più disparate: purtroppo spesso il razzismo si fa sentire, non vieniamo accettati per qualunque lavoro. La più grande, Doniya, lavora lontano da in un quartiere del nord Londra, oramai non la vedo più da quasi un anno, mentre Waliyha e Safaa frequentano ancora le scuole superiori. Se si vuole parlare di me, diciamo che sono uno che fa lavoretti “di mano”: per di più rubo, ho imparato negli anni a non farmi scoprire. Inizialmente lo facevo a scuola, quando i miei amici avevano le loro merende e io non avevo soldi per prenderli, mettevo le mani nei loro borselli prendendo il giusto necessario: pian piano, verso le superiori, iniziai a voler assomigliare ai ragazzotti delle arie perbene della città, quindi mi intrufolavo nei grandi magazzini e rubavo ciò che riuscivo, curandomi d’aspetto e facendo ciò che potevo per non apparire il classico immigrato povero.
Ora, entrato da poco nei diciannove anni e senza un diploma, continuo coi miei furti a livello economico: spesso rubo cibo per la mia famiglia, oppure i soldi per pagare ciò di cui le mie sorelle più piccole hanno bisogno. Non so cosa farò nel futuro, ho sempre avuto una passione spropositata per la musica e non me la cavo male: ma sono un immigrato, e questa non è una strada per noi.
Penso a questo, mentre accendo una sigaretta camminando a passo svelto verso la fermata metropolitana di Brixton: la linea azzurra mi porterà alla fermata di Oxford Circus in cui prenderò quella rossa e mi fermerò a Notting Hill Gate, per poi fare qualche passo e arrivare alla nuova casa dove mia madre lavora come donna delle pulizie. Mi ha detto che devo andare a prendere alcune cose per portarle a casa e non mi sono tirato indietro.
Salgo sulla metrò già affollata all’una del pomeriggio e cerco un posto tranquillo: decido poi di arrendermi, appoggiando i capelli neri contro il finestrino, iniziando a fissare il paesaggio scuro della metropolitana che inizia a muoversi con velocità. Socchiudo poi gli occhi mentre le lunghe ciglia si intrecciano tra loro e inizio a respirare a fondo, per non pensare alla donna che mi sta spingendo ogni attimo più attaccato a questo vetro sporco e freddo: cerco di non sentire gli urli dei bambini che, da sopra le gambe della madre seduta poco distante da me, si lamentano di essere stanchi. Decido poi di crearmi un mio spazio mentale, gioco che uso spesso e che funziona: il tutto mi permette di immaginarmi in un grande luogo, una spiaggia decido, con le palme caraibiche che mi fanno compagnia, la sabbia brillante che si insinua tra le dita dei piedi e le onde del mare che si infrangono sulla spiaggia, creando una dolce melodia che accompagna il cocktail freddo: un insieme di papaya e cocco, che crea un vortice incredibile dentro a quel bicchiere in cui un limone e l’ombrellino dai colori accesi si fanno compagnia. Sorrido appena, immaginando il cielo azzurro oltre l’ombrellone che copre il volto, mentre sento il caldo sole prendermi tra le sue braccia, avvolgermi come faceva la mamma quando da piccolo avevo freddo: prendeva una coperta ricavata da vecchi pezzi di stoffa e me la metteva addosso, prima di prendermi in braccio e portarmi nel vecchio letto. Quando eravamo lì, poi, mi accarezzava la testa, vi spostava i capelli per lasciarci un bacio e iniziava a canticchiarmi una dolce melodia, di cui ora neanche ricordo le parole.
È da lei che è nata la mia passione per il canto: la sua voce pareva quella di un usignolo, era melodiosa e dolce. Quando era giovane, prima di incontrare mio padre, studiava canto in una prestigiosa accademia qui in città: era la prima della sua classe, aveva riconoscimenti in tutto il mondo e una carriera sicura.
Ma poi arrivò l’amore. Mi raccontò che incontrò mio padre una sera, durante un suo concerto: cantava da quel grande palco l’Aida, non ricordo precisamente quale aria ora però, e i suoi occhi scuri e penetranti come il catrame la colpirono a tal punto da farle dimenticare ogni parola, ogni persona in quella stanza. Si sentiva già sua dopo uno sguardo: le ciglia lunghe incorniciavano quel taglio non inglese, la pelle ambrata e le labbra carnose facevano parte di quel viso leggermente squadrato, che a lei parve un sogno. E per lui fu lo stesso. Si conobbero la stessa sera, dopo che lui, con abilità, riuscì ad intrufolarsi nel dietro le quinte, portandole una rosa bianca.
<< La tua pelle aveva la stessa radiosità, sotto la luce. >> Le disse con un inglese non prettamente perfetto, mentre lei arrossiva, prendendo quella rosa che odorava di lui.
L’amore purtroppo non le permise di continuare la carriera, rimanendo incinta di mia sorella quasi subito dopo. Ma non avrebbe mai rinunciato a noi per la sua carriera, mi ha detto.
Ben presto arriva la mia fermata: questo cambio è sempre caotico, quindi sguscio velocemente fuori da qui, precipitandomi alla linea rossa, in cui tutto cambia. Ora vedi la gente non più vestita di stracci e colori a caso, ma bensì ricche signore con abiti eleganti accompagnati da bimbetti già in cravatta e camicia che sgambettano lì affianco. Parlano con un accento snob, di dove andare a prendere il tè quel pomeriggio e altri discorsi ben poco terra a terra: sono i classici abitanti del quartiere di Kensington. Non mi sono mai trovato amalgamato a questa società perbenista e spendacciona: probabilmente neanche sanno come diavolo si vive un giorno in quartieri meno fortunati.
E ora che salgo con loro, vedo lo spazio attorno a me, perché i miei tratti scuri e duri non assomigliano a quelli dei classici ragazzini di qua, i cui occhi spesso assomigliano a specchi d’acqua e i capelli riccioluti a quelli di un angelo appena nato. Il mio comportamento, modo di camminare e chissà che altro non è come quello dei giovani usciti dai corsi di buone maniere, neanche il mio modo di vestirmi lo è: no, perché io vengo dalla periferia, perché io sono uno straniero.
Ma meglio così, ora la possibilità di respirare mi fa felice, e non mi interessano più le occhiatacce di questa gente perbenista: ora non mi sento più secondo a nessuno, sono fiero delle mie origini, della mia vita. Mentre mi siedo accanto ad un’anziana donna che mi lancia un occhiataccia, prima che possa alzarsi allungo velocemente la mano alla sua tasca, estraendone il portafoglio ben fornito: mi allontano poi da lì, per avvicinarmi alla porta, visto che oramai anche qui il mio viaggio è finito.
Quando tutto si ferma, scendo velocemente da lì e cerco un angolino, in cui aprire il portafoglio: la carta di identità mi mostra che abita nel quartiere di Notting Hill proprio, in una villa probabilmente che è il doppio del mio intero quartiere. Le banconote sono arrotolate in un mucchietto divise per taglio, e noto che sono molte: non solo, le foto dei figli, qui tre femmine con gli occhi azzurri e i lunghi capelli neri tanto simili da sembrare gemelle, sono dentro alla carta di identità, di cui poco mi importa. Butto via il superfluo, mettendo il ricco bottino dentro le tasche dei pantaloni e avviandomi, per cercare il posto in cui devo andare.
Quando salgo le scale della metropolitana, il sole colpisce i miei occhi, cosa che nel mio quartiere mai si è vista, a causa della coltre di smog presente: qui i viali dipinti di bianco e l’erba fresca la fanno da padrone, mentre i grandi palazzi con muri perfettamente stuccati e signori che passano per strada vestiti di tutto punto fanno da cornice al tutto. Una fontana zampilla nel Westbourne Park qui vicino, mentre i bambini vi giocano correndo intorno e le madri parlano delle solite frivolezze sedute al tavolino di costosi bar della zona.
I ragazzi usciti dalle scuole ora vestono con eleganti uniforme, ognuna riportante il simbolo dell’istituto, spesso viaggiano in gruppo e si avviano nelle loro fantastiche case, mentre le signore attempate viaggiano con un cagnolino tenuto stretto al guinzaglio tempestato di diamanti: non che le loro padrone siano meno infiocchettate.
Nulla pare sbagliato qui, tutto sembra un bellissimo quadro, tanto è la perfezione.
Ma nulla è perfetto, tutto è facciata.
Ben presto mi confondo in questo mondo di perfezione, come un bruco tra le farfalle: cerco di non dimenticarmi di chi sono e dove provengo, mentre trovo la via e l’indirizzo della casa che mia madre mi ha dato. Un’immensa villa si affaccia davanti a me, con un giardino grandioso: tutto è circondato da cancellate alte almeno quattro metri dipinte di bianco scintillante, con tante sbarre mediamente vicine tra loro e un cancello immenso, con la chiusura in oro e due leoni di marmo a fare da guardia da sopra le colonne. Il giardino, da quello che vedo, ha molti viottoli fatti di lastre bianche che  accompagnano il visitatore fino alla villa, una grandissima casa dalla facciata di muri rossi e decorazioni bianche, due rampe di scale che salgono a circolo fino alla porta di legno chiaro: al centro della costruzione vi è una grande fontana con un cavallo sopra che spruzza acqua e ai suoi lati le famose scale per entrare. Mi chiedo se mai l’acqua ha bagnato quelle scale rendendole scivolose… Nel giardino vi sono alti alberi da frutto, l’odore che arriva mostra che probabilmente il giardiniere ha pulito anche stamani, e si sente il rumore di acqua, forse un laghetto.
Una villa, mia madre aveva ragione di queste parti. Con ancora lo sguardo sbigottito, mi avvicino ad un piccolo citofono sopra ad una delle colonne, pigiando il pulsante di chiamata.
<< Chi è? >> Sento dire da una voce probabilmente anziana, resa metallica dall’apparecchio.
<< Sono il figlio di Tricia Malik. Devo portarle alcune cose. >>
<< La aspettavo. >> Risponde l’uomo con perfetto accento inglese, mentre un rumore simile ad un trillo si staglia in aria e ben presto la grande cancellata si apre con estrema silenziosità, permettendomi di varcare la porta. Rimango un attimo lì, prima di iniziare a camminare sulle lastre bianche e lisce di questo giardino che visto da dentro pare almeno il doppio.
Vi metto almeno qualche minuto prima di iniziare a salire la grande scalinata di destra e noto la perfezione geometrica con cui deve essere stato costruito il tutto: la fontana al centro non tocca neanche lontanamente col proprio getto le scale di marmo, ma è un perfetto accompagnamento alla salita.
Quando vi arrivo in cima, un uomo vestito in frak mi sta aprendo la porta: il suo volto è incavato, la pelle oramai rugosa e gli occhi una volta cristallini ora sono bianchi. Due piccoli occhiali sono poggiati sul naso aquilino, i capelli oramai non vi sono più e le mani sono coperte da guanti bianchi di lattice. L’aspetto è estremamente serioso, e deduco sia l’uomo che mi ha prima risposto al citofono.
<< Il signorino Malik immagino. >> Mi risponde in perfetta dizione, prima di spostarsi dalla porta, permettendomi di entrare.
Faccio qualche passo incerto in tutto quel lusso e all’interno rimango inebriato da ciò che mi si para davanti: un immenso salone, con grandi scale che salgono ancora ad altri piani. Il soffitto è decorato da chissà quale artista, un immenso lampadario di cristallo pende dal centro e statue e antichi mobili fanno da compagnia alla sala. Le porte sono aperte, permettendomi di notare il continuo del salone nelle due stanze adiacenti, mentre il pavimento è decorato da fiori di marmo leggermente rosei: un paradiso.
<< Manderò a chiamare sua madre. >> Mi dice l’uomo dal naso adunco che vedo sparire in pochi attimi nel resto della casa, in cui io farei fatica a non perdermi probabilmente.
Non sento rumori provenire dalle immense stanze, probabilmente parecchie, se non il suono di un piano poco distante: non pare perfettamente accordato però, o almeno così sento. Non che io sia una cima a suonarlo, però qualcosa so fare.
Mi avvio verso quella musica celestiale e un grande piano bianco latte con decorazioni d’oro sta suonando, ma colui che lo usa non riesco a vederlo. Sospiro, facendo qualche altro passo, mentre una visione celestiale mi si para davanti agli occhi: un ragazzo dai riccioli castani e gli occhi di un verde smeraldo è seduto lì, con la sua bella pelle bianca e le ciglia lunghe, che ora mi fissano, e ben presto si perdono in me.







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Ebbene sì, eccomi con un altro lavoro uwu In realtà l'avevo in mente da un pò questa fic XD
Una ZaynXHarry ho deciso, inserendola in un universo alternativo.
In realtà ho deciso di scriverla dopo una chiaccherata con un mio amico proveniente
dall'Arabia: mi ha raccontato di come è stato per lui vivere in Italia, del razzismo da certe
persone e dalla curiosità di altre. Per cui, in un momento difficile come il nostro ho deciso
di scrivere questa fic, sperando possa incuriosire^^ Sappiatemi dire, aspetto qualche recensione<3
PS: ho deciso di aggiungere delle immagini per mostrare meglio ciò che presenterò in ogni capitolo^^

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Capitolo 2
*** I've been waiting for a boy like you to come around ***


I've been waiting for a boy like you to come around
I've been waiting for a boy like you to come around

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~HarryWord

Il mio è un mondo ovattato. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia agiata e con ogni comodità, vivere al di sopra delle possibilità di molta gente che non ha nulla: anche molti miei compagni di scuola, figli di senatori o altro, non possono arrivare alle mie stesse possibilità.
Mio padre è un importante agente di banca, controlla le banche principali di tutta Londra e non solo: è spesso in giro per il mondo per i propri affari esteri, ultimamente è stato in Giappone e a New York, dove mi ha portato con sé. Stare una settimana nella Grande Mela, che ha preso il nome dall’ippodromo che vi era costruito, è stato il mio sogno: i nostri più alti palazzi mai si possono paragonare ai loro, la gente ha tutto un altro modo di comportarsi, vuoi meno elegante o altro, ma diverso.
In Giappone, poi, è un’altra storia: ho visto indossare abiti impossibili, gente coi capelli di più colori e la parlata strana. Quando mi chiedevano di dov’ero e cercavano di parlare inglese, mi veniva da ridere perché il loro accento è impossibile da capire, anche per un madre lingua come me: ho poi scoperto che hanno un mito del nostro occidente. Mi hanno chiesto molto di Londra, dei suoi quartieri, del London Eye… mi hanno anche chiesto della regina, se la conoscevo di persona! In effetti ho incontrato l’anziana donna più volte durante i parti principeschi organizzati dalla borghesia inglese, e posso dire che quella donna non dimostra per nulla la sua età avanzata: di spirito e intelligente, conosce molte cose, che spesso di diverte a raccontarmi quando ci capita di passeggiare per Buckingham Palace.
Mia madre, invece, non lavora: o meglio, ha un azienda di profumi, che però gestisce comodamente da casa. Quando era più giovane, calcava le passerelle dei più grandi stilisti, probabilmente grazie alla sua altezza e la sua aristocratica bellezza: grandi occhi verdi che ho ereditato, lunghi capelli biondi e un corpo a dir poco perfetto. Anche ora, che oramai va avanti con l’età, è veramente bellissima: a volte dicono che io le assomiglio, e ciò è solo un complimento. Ha un’azienda di profumi, come dicevo, che ha intrapreso come carriera appena ritiratasi dalle passerelle: produrre fragranze è il suo lavoro preferito, ha un ottimo olfatto ed io per primo ho sempre voluto usare le sue idee per me.
Per ultima, vi è mia sorella Gemma: ha qualche anno in più di me e ora frequenta l’università di Cambridge, prendendo legge come indirizzo. Non che abbia mai voluto fare l’avvocato, ma i miei genitori pensano che quella sia la strada giusta per lei: la sua chiacchera, la sua capacità di convincimento e molte altre doti hanno fatto di lei la migliore avvocatessa che io conosca, e probabilmente sarà un buon lavoro.
Io non so ancora che farò. Per ora frequento l’ultimo anno di una prestigiosa scuola, la migliore probabilmente, di Londra: non che mi interessi, ma probabilmente in prossimo anno mi iscriverò a marketing o sociologia, così da poter aiutare sia mia madre che mio padre con le loro attività e portarle avanti poi un giorno. Oltre a scuola, seguo corsi di buone maniere e di pianoforte: in realtà odio ambedue le cose, ma è ciò che mia madre ha pensato giusto insegnarmi. Frequento anche tennis qualche volta, oramai l’ho fatto fin da bimbo ed ho vinto parecchie competizioni: ringrazio solo di non essermi impigrito davanti alla televisione, così che il mio corpo crescesse snello e sodo.
Per altro, non c’è molto da dire di me. Non mi aspetto molto dalla mia vita, sono solo un comune inglese con una ricca famiglia alle spalle e di aspetto gradevole: gli occhi verdi smeraldo, corti capelli riccioli e pelle bianca, tutto nella media.
Passo le mie giornate tra corsi e computer, ho pochi amici, perché ammetto di avere un carattere leggermente altezzoso e arrogante: mi è sempre stato insegnato questo. Il fatto di essere sempre impegnato poi in qualcosa non mi permette di uscire, non frequento i locali dei ragazzi della mia età, ho imparato a crescere tra i grandi da sempre. L’unico hobby che mi permetto tutto mio è il canto: fin da piccolo ne ho avuto una gran passione e, sebbene in casa mia questo sia un tabù, è quella la strada che mi piacerebbe intraprendere.
Ammiro quei giovani che lasciano casa da giovani per scappare in un mondo che vogliono: non hanno remore, non hanno paura di fallire, perché sanno che ciò non capiterà. Prendono i loro pochi stracci e vivono per strada, elemosinando ogni pezzo di pane, vivendo della propria arte, senza agi.
Ma io non sono così.
Non sono mai stato indipendente, ho un maggiordomo che mi pulisce la camera, uno che mi prepara la colazione e perfino uno che mi riempie la vasca da bagno con la giusta quantità di sali e olii: che io sia viziato lo so, ma ho sempre avuto tutto, e non so se vi potrei rinunciare.
<< Signorino Harold, è arrivato il suo maestro di pianoforte. >> Mi viene detto da Albert, il nostro maggiordomo, che bussa con delicatezza alla porta di legno chiaro che mi separa dal resto della casa.
La mia stanza è mediamente scarna, vedendo il resto della casa: una parete è occupata dall’enorme libreria con sopra tomi di ogni fattezza e tipologia. Vi è poi una scrivania di color chiaro con sopra un computer appoggiato, un altro tavolo in cui poter studiare, un grande letto che occupa la parete opposta su cui le coperte blu come la notte vi fanno da copertura. Il pavimento è decorato come il resto della casa, il soffitto è bianco e il grande lampadario fatto in cristallo: la finestra, poi, è decorata di legno, e la visuale da sul nostro immenso giardino, mentre poco sotto vi è una colonna su cui si inerpicano alcuni fiori. Il sole brilla quasi tutti i giorni qui dentro, illuminando maggiormente la stanza: ho un bagno personale collegato, in cui fa scalpore la grande vasca ad idromassaggio al centro, una spaziosa doccia e tutto ciò che può servire per l’igiene personale. Ho anche un grande mobiletto in cui vi sono vari prodotti per rilassarmi maggiormente.
Ora però devo andare: appoggio i fogli su cui stavo disegnando malamente a terra e metto qualcosa di presentabile per scendere. Decido per un paio di jeans bianchi, semplici, con sopra una polo mezze maniche azzurra con un piccolo simbolino di un giocatore di cricket viola chiaro sulla parte sinistra e il colletto messo in ordine. Quando sono a posto scendo velocemente di sotto, mentre il mio insegnante di pianoforte è già seduto sul seggiolino, che mi guarda con superiorità e impazienza.
<< Ha ritardato di un minuto, signorino Styles. >> Mi dice quasi con cattiveria, tanto che devo per un attimo inchinarmi e chiedere umilmente scusa per ciò.
Noto però che non siamo soli. Una donna sulla cinquantina ormai dalla belle chiara e gli occhi azzurri, mentre i  capelli ora sono corti e tenuti fermi da una piccola coroncina: indossa un abito da cameriera e la trovo molto bella mentre rimane ricurva su quel mobiletto che sta ora pulendo con impegno e parsimonia. Mi chiedo chi sia, non l’ho mai vista qu, ma poi ricordo che mio padre ha accennato di una nuova donna delle pulizie: il suo nome è Tricia mi pare abbia detto, viene dal quartiere di Brixton, nel sud di Londra. A quanto ho capito poi, dalle chiacchere del resto della servitù, ha un quattro figli di cui un maschio davvero pestifero che dovrebbe avere forse un anno in più di me.
Ha un eleganza innata quella donna, classico di chi in giovine età ha studiato le buone maniere: ma allora come mai si trova a fare tale lavoro ora?
Mi scuso ancora un attimo con l’insegnante e mi avvicino a lei.
<< Mi scusi. >> Le dico con voce ferma e sicura, mentre i suoi occhi celestini si alzano su di me: quando mi riconosce si inchina nuovamente. << Lei è la nuova cameriera? >>
<< Sì, sono io signorino. >> Mi dice lei con voce bassa e silenziosa, mentre il mio maestro mi richiama all’ordine, dicendomi che è ora di iniziare la lezione.
Decido di rimandare a più tardi le mie curiosità e mi siedo dietro a quell’immenso piano, iniziando a suonare gli esercizi datimi la scorsa volta: non che abbia studiato molto, il piano oltretutto è scordato e  ancora non ho imparato a come rimettere tutto a posto.
L’insegnante se ne accorge di ciò e inizia a dirmi di come, se non ci metto impegno, potrò mai imparare a suonare quello strumento complicato.
<< Il fatto che lei voglia solo cantare, Styles. > Inizia con il solito discorso. << Non deve impossibilitarle nell’imparare uno strumento così elegante come il pianoforte. >>
<< Lei rende tutto noioso. >> Dico poi con semplicità, guardando quell’uomo che ora diventa paonazzo dalla rabbia, scuotendo la testa su come la maleducazione al giorno d’oggi sia diventata la base della nostra crescita.
<< Non vi hanno insegnato nulla al corso di buone maniere? >>
<< Mi annoia, lei mi insegna solo vecchi pezzi, e io non ho voglia di passare giornate di sole come queste a suonare pezzi di Mozart e Beethoven. >> Incrocio poi le braccia al petto, convinto di non continuare quella stupida farsa, tanto che l’uomo vestito elegante si alza e ben presto se ne va, balbettando di voler parlare con mia madre, tanto che si avvia al piano superiore, dove lei ora sta rilassandosi.
Sospiro, oramai rimasto solo, mentre sento i passi della donna di prima avvicinarmisi.
<< Non le piace il pianoforte? >> Mi dice con voce dolce che mi fa girare verso di lei: ora che la posso osservare meglio, i suoi occhi splendono ancora come il cristallo, ma le rughe si fanno avanti prepotentemente sul bel viso oramai scavato dall’età. I capelli perdono il loro colore e le tinte lasciano una parte di ricrescita scoperta: in ogni caso, la fede d’oro che porta all’anulare sinistro mostra come sia ancora legata al marito.
<< Mi annoia con quell’uomo. >> Dico sbuffando più volte, mentre guardo nuovamente quelle partiture poste sopra il piano: è come se diventassero sempre più grandi, come se mi volessero inglobare al loro interno. Sono voraci, vogliono mangiarmi, distruggermi.
Lei ridacchia, ora con voce soave e giovanile, mentre la vedo portarsi elegantemente la mano che una volta doveva essere inguantata perfettamente davanti alla bocca.
<< Posso capire, ma il piano è un bellissimo strumento. >> Lei annuisce, mentre appoggia la mano su un tasto, e una nota esce da quello strumento. << Non sente questa melodia affascinante? Non è incredibile come l’uomo possa costruire così tante belle cose? >> Mentre dice questo le si sono chiusi gli occhi, le labbra sono diventate morbide e il volto sembra aver perso almeno dieci anni. Emana un fascino particolare questa donna, devo ammettere: probabilmente quando era giovane ha incantato chissà quanti pretendenti. << io purtroppo non so suonarlo, ma quando sento mio figlio, trovo che tutto ciò sia magnifico. >>
<< Hai un figlio? >> Dico, come se non sapessi nulla, leggermente incuriosito da quella donna così particolare.
<< In realtà ne ho quattro. Una femmina, un maschio, e altre due femmine. >> Annuisce, orgogliosa di ciò. << La più grande ora lavora nel nord di Londra, è tanto che non la vedo. Le piccole frequentano ancora le scuole e il maschio… >> La vedo poi azzittirsi, mentre abbassa gli occhi a fissare le mattonelle, come se vi fossero misteriosi ghirigori tutti da studiare.
Immaginando da dove provenga, posso pensare che il figlio sia un malvivente: non che sia una novità, il Lambeth è famoso per la sua criminalità spicciola, e quando si proviene da una famiglia povera, non è difficile cadere in questo giro. Immagino, almeno.
<< Non fa nulla per ora. >> Dice dopo poco, continuando quella frase lasciata in sospeso poco tempo fa. << Ha appena finito le superiori. >>
<< Ha un anno più di me quindi. >> Dico io, sorridendole: questa donna quindi non è molto distante dall’età di mia madre. Si vede come la differenza di vita tra le due donne abbia portato lei ad invecchiare prima, ma in ogni caso a rimanere più bella.
Lei annuisce. << Sì, Zayn ha diciannove anni. >>
<< Zayn? >> Chiedo, incuriosito da quel nome dalla strana etimologia. Probabilmente non è completamente inglese, ha una strana provenienza quel nome.
<< Sì. Mio marito è di origine pakistane. >> Mi dice lei con orgoglio, mentre ricomincia a pulire quella stanza.
Immagino sia questo il motivo per cui ora lei sia qui: avrà rinunciato a tutto per averlo, in una società in cui la parità viene vista spesso come un miraggio ancora. Mi incuriosisce pensare come possa essere suo figlio però: avrà ereditato i suoi tratti inglese, la sua pelle diafana e gli occhi di cristallo? Oppure avrà tratti rozzi, occhi di catrame e pelle d’ambra?
Rimango ancora per un po’ perso nei miei pensieri quando quell’uomo torno nella sala, con passo spedito e aria arrogante.
<< Sua madre ha detto di finire almeno questa lezione. >> Mi annuncia lui prima di accomodarmisi affianco. << Ah sì, ha detto che ha bisogno di lei al piano di sopra. >> Dice alla donna che sta lavorando che, con un piccolo saluto verso di me e un segno d’assenso a lui sale al piano di sopra, con passo stanco e leggermente goffo.
Cominciamo nuovamente con quei noiosi allenamenti mentre sento il citofono suonare e Albert dire qualcosa. Probabilmente sarà qualche amica di mia madre, solitamente si incontrano per parlare di frivolezze al piano di sopra, mentre aspettano le cinque, l’ora del tè. Per noi è un rituale: viene preparato un tè tramite gli infusi creati da fogli e odori puri, rovesciati in piccole tazze sul cui fondo vi è un po’ di latte e con l’aggiunta di una zolletta di zucchero. Portati poi in un grande vassoio in cui svettano ogni tipo di pasticcino, vengono pregustati per almeno mezz’ora:  ammetto che è una delle poche abitudini per cui anche io impazzisco.
Ben presto la porta viene aperta e un odore orientale si sparge nella casa, qualcosa che non ho mai sentito: sembra odore di spezie, qualcosa di dolce e amaro allo stesso tempo, di piccante. Non capisco bene cosa, ma vedo Albert andare al piano di sopra e ben presto qualche passo si muove verso la stanza in cui sto suonando, probabilmente provenienti dall’ospite di mamma.
Ma è qualcosa di diverso: non è un passo elegante e regolare, niente che pare essere uscito da un uomo o una donna dell’alta società. È un passo poco elegante, quasi pesante e trascinato, ma in ogni caso sicuro, che mi incuriosisce ogni secondo di più.
<< E tu chi sei? >> Domanda il mio insegnante al nuovo arrivato mentre alzo gli occhi, rimanendo per un attimo fulminato da quella visione.
È un ragazzo, poco più alto di me ma molto diverso. Ha corti capelli neri, tenuti leggermente più corti ai lati e alzati al centro, con occhi dal taglio orientale e di un nero catrame, contornati da lunghe ciglia scure e la pelle ambrata: il viso ha tratti leggermente più marcati dei nostri e anche il fisico è poco più grosso del mio. Indossa una giacca di jeans nera con pantaloni coordinati e una maglia bianca semplice, con uno zaino vecchio e rovinato sulla spalla destra.
Rimango a fissarlo, per almeno qualche altro minuto, mentre sogno già le sue labbra su di me, e le sue braccia intorno al mio corpo: senza neanche saperlo, so già che il suo nome è Zayn.
<< Cerco mia madre, si chiama Tricia. >> Dice con voce calda e sicura, guardando l’uomo seduto affianco a me, quasi con volto disgustato.
<< Sei già qui, Zayn? >> La voce che prima mi parlava con dolcezza ora è fredda e sicura. Vedo quel ragazzo fissarmi ancora un attimo prima di fare qualche passo indietro, per scambiare due chiacchere con la madre.
La vedo dalla porta, gli sta porgendo un sacchetto non troppo grande e vedo la mano di lui accettarlo: nel braccio sinistro vedo un piccolo tatuaggio, uno YinYang che ora come ora trovo una delle cose più perfette su di lui.
<< Torniamo alla nostra lezione, signorino Styles? >>
<< No, non ne ho voglia. >> Dico a quell’uomo arrogante che ora inizia ad arrabbiarsi e mi colpisce con uno schiaffo, mentre con voce cattiva mi chiede dove diavolo io abbia imparato la mia scarsa, se non nulla, educazione.
Quando mi sta per colpire nuovamente, la mano di quel ragazzo dagli occhi scuri prende al volo il suo polso, stringendolo e lo allontana da me.
<< Mi chiedo dove l’abbia imparata lei. >> Risponde con voce strafottente, che ora a me sembra solo una dolce melodia. << Ha ragione a non voler suonare, questa roba è noiosa. >>
<< Pensi di saper fare meglio di me, ragazzino? >> Dice lui offeso nell’orgoglio. Si alza dallo sgabello affianco a me e lo segna, come per invitarlo ad accomodarsi. << Sentiamo! >>
Guardo per un attimo per ragazzo che ora sembra più insicuro e che mi si accomoda affianco. Le sue mani, con lunghe dita, si appoggiano sui tasti e inizia a pigiarli in successione, inizialmente con terrore, ma trasformando poi tutto in una stupenda melodia, continua e perfetta: chiudo gli occhi, sentendo tutto quello come qualcosa di perfetto, di divino e sorrido, fino a che non finisce la sua esibizione, quasi con sollievo.
<< Perché non mi insegni tu? >> Domando poi io dopo aver riaperto gli occhi e aver guardato quel giovane con un sorriso splendente, che ora mi pare insicuro, ma comunque perfetto.

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Capitolo 3
*** You're messin' with my head ***


You're messin' with my head
You're messin' with my head

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~ZaynWord

Guardo quel ragazzino dagli occhi verdi come il cristallo e il sorriso che ora appare dalle labbra rosse: i denti bianchi luccicano come mai, ma non è solo quello.
<< Io? >> Dico, incerto di aver capito bene, ma il suo annuire continuamente mi fa dedurre che avevo capito benissimo. Perché io? Alla fine non ho la conoscenza base per insegnare a questo ragazzo come suonare il piano, ciò che ho imparato e stato solo da autodidatta e, teoricamente, non so molto.
Il suo maestro, quel vecchio dal naso strano e il carattere impossibile inizia ad imprecare qualcosa nella sua lingua natale pare e prende le sue cose, prima di andarsene a grandi passi da quella sala.
<< Ora non hai gran scelta. >> Dice lui ridacchiando, mentre mi porge la mano elegante, simile a quella di una donna. << Io sono Harold. Harold Edward Styles! >>
<< Ah… Zayn, piacere. >> Dico, stringendola con leggera forza, mentre mia madre mi colpisce piano sulla tempia.
<< Non essere maleducato! Lo scusi, il suo nome è Zayn Jawadd Malik. >> Mai ho capito perché mia madre deve sempre puntualizzare il mio nome completo: ho subito molte prese in giro, oltre che aver sentito pronunciare il mio nome in maniera davvero assurda. Jawadd, poi, non ho ancora mai trovato qualcuno che sappia scriverlo correttamente: troppe lettere oppure, al contrario, troppe mancanti.
Usare solo Zayn è più comodo: non è un nome tanto comune, e alla gente rimane sempre impresso.
Ma mentre mi sono perso nei miei pensieri, vedo questo specie di principino annuire prima di rimettersi alla posizione del piano, iniziando a suonare qualcosa: probabilmente vuole farmi capire a che livello si trova. In realtà la tecnica è molto buona, vedo che conosce teoricamente la musica ad un livello ottimale, anche perché sta suonando per uno che non sa leggere uno spartito musicalmente, ma ciò che manca è la passione: probabilmente è stato costretto a suonare questo strumento.
<< Sei bravo. >> Concludo infine, annuendo appena. << Ma ti manca la passione. Se non ti piace quello che suoni, non dovresti neanche iniziare. >> Gli dico in maniera schietta, mentre vedo i suoi occhi incupirsi leggermente: probabilmente questo ragazzo non ha mai avuto un offesa ne altro, non sa neanche cosa vuol dire essere secondo. << È una cosa che acquisirai suonando cosa ti piace. Tecnicamente sei bravo. >> Dico poi per rasserenarlo, mentre continuiamo quella lezione per almeno mezz’ora.
La sua voce è dolce, mi chiede spesso cose e lo vedo insicuro, anche se ciò non vuole darlo a vedere: noto anche che non deve stare spesso con suoi coetanei, perché parla in una maniera già troppo adulta. I diciotto anni che ha non li dimostra per nulla, ha tratti così delicati che se avesse i capelli lunghi sembrerebbe una bellissima ragazza e basta, invece che un ragazzo effemminato che attira.
<< E questo ragazzo chi è? >> Sento dire da una voce imponente alle mie spalle: è femminile ma estremamente sicura di sé. Viene accompagnata da una fragranza fruttata e da un passo elegante e, ai piedi, scarpe con almeno cinque centimetri di tacco, i capelli perfettamente acconciati in uno chignon e il trucco appena fatto sul volto: una bellissima donna in carriera sui cinquant’anni immagino.
Mi alzo dal seggiolino e le porgo la mano, mentre la giacca che prima ho tolto ora è caduta a terra.
<< Mi chiamo Zayn Jawadd Malik, sono il figlio di Tricia. >> Dico, prima di vederla arricciare leggermente il naso a punta, tanto che capisco sia il momento di ritirare la mano.
Probabilmente questa è la classica donna che ancora non ha capito l’uguaglianza tra etnie: mi fissa, come se fossi chissà quale specie di animale raro da studiare, da catturare, e chissà cos’altro. Per un attimo il suo sguardo mi fa tornare a quando ero piccolo, e venivo screditato per le mie origini da questi inglesotti tutti per bene.
<< Sarà il mio nuovo insegnante di pianoforte. >> Dice quel ragazzino curioso mentre salta dritto sulle gambe, agile come un felino, incontrando lo sguardo della madre che allarga leggermente gli occhi, come se fosse sconvolta da ciò che ha detto, come se fosse una presa in giro. Probabilmente non mi crede neanche capace di scrivere, figuriamoci di suonare.
Raccolgo da terra la mia giacca, dandole un piccolo colpetto per togliere la polvere immaginaria che vi è sopra: alla fine questa casa viene setacciata mattina e sera da gente, di pulviscolo non ve ne è neanche in lontananza. La rimetto poi velocemente addosso, alzando il colletto come mia abitudine e estraggo il pacchetto di sigarette dalla tasca, mentre ne prendo già una fuori.
<< Lascia stare, immagino di essere troppo selvatico per questo ambiente. >> Dico con voce strafottente, mentre appoggio la sigaretta tra le labbra e mi preparo ad accenderla: do un colpetto con la spalla a quella donna che perde per qualche attimo l’equilibrio e mi avvio alla porta, dopo aver preso il sacchetto di mia madre.
Esco con facilità, avviandomi a passo spedito verso l’uscita mentre la sigaretta inizia ad ardere tra le mie labbra, una mano mi afferra il braccio.
<< Aspetta ti prego. >> Sento dire da quel ragazzino, che ora, colpito da questo sole pomeridiano, risplende come un astro nel cielo. I suoi occhi paiono pietre preziose, le sue labbra sono da assaggiare e altri pensieri mi si parano in mente, ma ben presto vengono rimpiazzati da note di rabbia e altro.
<< Ho da fare. >> Dico con arroganza, liberandomi il braccio da quella misera presa debole, ma il fatto di vedere quegli iridi leggermente opachi ora mi fanno immobilizzare, capendo che alla fine non è colpa sua quella di essere cresciuto in una famiglia come questa: non è mai colpa dei figli, non devono pagare per le pene dei genitori, che alla fine vincono sempre e comunque. << Di che hai bisogno? >> Mi intenerisco poco dopo, mentre la vena triste nei suoi occhi viene ben presto rimpiazzata dalla luce che ho visto poco fa.
<< Voglio imparare a suonare. >> Annuisce convinto di ciò, prima di guardare il sole, respirando a fondo. << Ma voglio imparare a vivere. E tu potresti insegnarmelo. >> Dice, mentre il vento gli spira tra i capelli e i bei riccioli castani volano ovunque, stagliandosi verso il cielo cristallino, creandogli una corona regale intorno al viso: gli occhi sono chiusi, la pelle sembra fatta di tanti piccoli cristalli scintillanti e le labbra ora sono più rosse.
Ed è come se tutto cambiasse, se ogni suono diventasse ovattato alle mie orecchie, perché una frase simile mi ha scombussolato: vuole imparare a vivere. È un ragazzino di appena diciotto anni che probabilmente non ha mai preso la metropolita di notte, che mai ha camminato in bilico nella stazione di un treno, che mai ha sbagliato, che mai si è innamorato ed ha sofferto. Non ha mai avuto la mancanza di nulla, non conosce le regole della nostra terra, non conosce falsità: vive dentro ad una sfera di vetro, qualcosa che ben presto dovrà abbandonare, perché il mondo ti fa le spalle.
Chiede a me, ad un ragazzo che mai aveva visto prima e così diverso da lui di insegnargli una cosa così importante, di fare qualcosa che i suoi genitori mai hanno fatto. Rimette in mano a me tutto il suo futuro, chissà per quale strana forma masochistica, chissà per quale diavolo di motivo, ma lo ha fatto.
Si fida di me.
Rimango ancora per qualche attimo perso nel mio mondo, ponderando bene le parole. << Darò un messaggio a mia madre e ti comunicherò la mia risposta. >> Dico semplicemente, per non dargli ne speranze ne delusioni, prima di riprendere il mio cammino, a passo svelto.
Ancora la sua voce risuona nelle mie orecchie, nel mio cuore: è come se avesse smosso qualcosa nel profondo di me, qualcosa che è rimasto bloccato per troppo tempo. La parola fiducia non mi è capitata di sentirla dire spesso, non sono uno a cui ciò si da con facilità devo ammettere: sono un casinista, combina guai e spesso nulla facente. Ho avuto piccoli problemi con la legge e ne avrei avuti molti altri se non fossi stato bravo a nascondermi in varie occasioni. Il fatto di sapere che un ragazzino perbene come lui si fidi di me, mi fa sentire strano, è una strana sensazione…
Ma ben presto non ho più tempo per pensare. La mia fermata arriva al volo e vi scendo, rientrando nel quartiere di Brixton: il cielo, ora che vengo da fuori, pare ancora più scuro del solito e l’aria si è fatta pesante.
Cammino per le strade asfaltate, che mi accompagnano fin da quando sono piccolo: decido di avviarmi ad un parco qui vicino, l’unica area rimasta in parte verde di questo luogo disperso e dimenticato dal mondo. Il piccolo parco dove mi sono avviato una volta aveva tante giostre: le altalene, le girelle e cose simili. Ci giocavamo sempre io e gli altri bambini, ma poi tutto è cambiato: siamo sempre rimasti più dimenticati dal mondo e ben presto  tutto è andato in rovina. Ora di quel tempo rimangono solo le macerie che rendono questo posto la cosa più simile ad una rovina antica: dondoli rotti, scivoli con immensi buchi, qualunque cosa sarebbe potenzialmente pericolosa.
Ma non me ne interessa, non vengo qui per ciò, ma vengo qui per lei, Helena, la mia principessa. Ora la vedo, è lì, seduta su quella vecchia altalena, coi suoi lunghi capelli rossi come il fuoco che toccano quasi terra stretti in due code, gli occhi grigi puntano verso il grande libro che sta leggendo: le mani sono perfettamente tenute e le unghie dipinte dal rosso come anche le labbra, mentre gli occhi sono colorati di nero, che aumenta la potenza della sua espressività. La sua pelle è diafana, ma sul braccio destro vi è una specie di drago che si attorciglia per quasi tutto il braccio, la cui testa muore sulla spalla di lei, bella come una dea.
La incontrai la prima volta quasi un anno fa in un negozio di cd non lontano da qui: aveva le cuffie nelle orecchie, vestiva come oggi, con quei corti pantaloni di pelle, le scarpe alte e la camicia larga. Era arrabbiata col mondo, ascoltava musica a palla tanto che sentivo io lì affianco e quasi mi incenerì al primo scambio di battute: ma ben presto nulla era più come sempre. Era come l’acqua e il fuoco, la luce e l’ombra, che per quanto si contrastino, si attireranno sempre, e faranno nascere un circolo vizioso da cui è impossibile allontanarsi: qualcosa in cui si rischia di farsi del male, come io e lei.
La abbraccio alle spalle, mentre il suo odore di frutta mi inebria il naso e non solo: l’odore dell’erba che tiene tra le mani e ora porta alle labbra mi fanno già volare in un altro mondo, ben lontano da qui, ma neanche tanto poi.
<< Ti aspettavo qualche ora fa. >> Mi sussurra con la sua voce bassa e roca che tanto sa farmi impazzire, mentre mi avvicina quella piccola canna alla bocca, facendomi fare un tiro.
<< Ho dovuto fare una commissione per mia madre a Notting Hill. >> Le sussurro nell’orecchio forato, mordicchiandole il logo morbido, stringendo con forza le braccia intorno alla sua vita che pari quasi nulla confrontandola a me.
Questo splendore di ragazza è la mia droga, il mio assenzio: solo l’odore della sua pelle mi porta già in altri mondi, e la sua visione mi trasforma, mi fa diventare da semplice bruco alla farfalla più bella che possa esistere. Come ciò sia possibile? Non ne ho idea, ma da quando siamo vicini, siamo tutt’uno l’uno con l’altro: non possiamo passare troppo tempo lontani l’uno dall’altro, è come se non mangiassi da giorni, secoli se non la vedo. È il mio nutrimento, la mia aria, la mia vita.
<< Zayn, andiamo a casa tua? >> Mi dice dolcemente e io annuisco, prendendola tra le mie braccia e camminando per qualche metro, così da arrivare alla mia dimora, dove l’appoggio a terra, come giusto sia con ogni principessa.
Lei mi si avvicina, baciandomi con quelle labbra carnose che ha, lambendo la mia lingua con la sua per portarla in un gioco infinito di perversione: la canna tra le sue mani inizia a consumarsi e lei l’avvicina ancora alle mie labbra. Un altro tiro e ben presto la mia visione del mondo inizia a cambiare mentre la porto in quel vecchio rudere: apro la porta con forza, dopo che si è incastrata più e più volte a causa della mancanza di un chiavistello. Saliamo le scale di vecchio legno scricchiolante fino al piano di sopra, prima di chiuderci nella mia camera, dove le pareti odorano di marcio e tutto cade a terra: ma a noi non importa, la spingo sul letto, dove con ancora due tiri finiamo quella piccola nostra amica, e ci perdiamo l’uno nelle labbra dell’altro.
Non importa se le coperte sono sporche o macchiate di qualcosa, se la luce va e viene ad intermittenza o altro, l’importante siamo noi due, e questo mai verrà cambiato.
Mentre le sue vesti cadono miseramente a terra, però, sento qualcosa cambiare: ora nei suoi occhi vitrei vedo quelli del ragazzo di oggi, smeraldo, che mi stanno fissando con intensità, come se volessero ricordarmi qualcosa. Tutto è confuso, perché penso a lui in questo momento?
Scaccio i miei pensieri devianti e torno al suo corpo, al suo odore, ma qualcosa in me viene bloccato: è come se sentissi qualcosa di diverso, una fitta allo stomaco.
<< Dio, che cavolo... >> Sussurro tra me e me sedendomi sul letto, mentre sento le unghie accarezzarmi il centro della schiena, e la sua voce ridacchiare.
<< Che ti succede, Zayn? >> Pronuncia scandendo ogni lettera, tanto che il mio nome sembri ancora più dolce di quello che già è.
Mi sdraio affianco a lei e la guardo negli occhi, mentre quell’aria principesca la fanno ancora più bella: non è come quella di quel ragazzo di oggi, no, perché il suo è fascino inglese, mentre quello di Helena è qualcosa di orientale. È come se le sue origini russe le dessero un fascino tutto suo: viene dalla grande città di Mosca, fuggita qui a cercare lavoro con la famiglia, ma la fortuna non l’ha trovata, anche se ha trovato me.
Quando mi parla del suo paese, capisco perché siamo così simili: entrambi estirpati da un nostro luogo natio, e catapultati in questo mondo di perbenismo che neanche ci interessa. Io ed Helena siamo complementari, siamo un tutt’uno indissolubile.
Le sposto i capelli dal viso mentre un altro ansito roco mi fa venire dentro di me, e le lecco piano le labbra, chiedendo se quel momento possa essere fermato per sempre.
Ma mai nulla è per sempre mi viene raccontato: Safaa bussa con forza alla mia porta, lamentandosi che non c’è nulla in casa da mangiare, e lei ha fame, essendo appena tornata dalla scuola. Ringhio appena e mi stacco dalla mia principessa, mettendo velocemente i jeans e avviandomi alla porta ancora a petto nudo, mentre il volto di bambina dagli occhi profondi di mia sorella e i lunghi capelli mori e ricci tenuti stretti in una treccia.
<< Tu riesci sempre a rompere le palle. >> Le dico, infilando velocemente la maglia, mentre la sento sbuffare, e buttare a terra lo zainetto rosa che ha.
<< Ho fame Zayn! >> Dice con voce lamentosa e la porto al piano di sotto, chiedendomi a che età impareranno a cucinare.
Cosa cucinare però, se il frigo è vuoto? Quando constato che non vi è più nulla di commestibile, capisco perché questa creatura ora mi piange sommessamente tra le braccia.
Tutto è finito, nuovamente.
Sospiro tra me e me e l’appoggio a terra, vedendo quei bei occhi pieni di lacrime. Sorrido appena, baciandola sulla fronte.
<< Ti porto a prendere qualcosa. >> Le sussurro mentre vedo la mia bella Helena uscire dalla porta come se fosse un fantasma, una mera illusione.
Dopo poco io e la mia sorellina siamo fuori, che camminiamo in queste vie scure: la tengo stretta a me, con la paura che qualcuno pensi di farle del male. I negozi sono chiusi, la gente ha paura di aprirli perché la delinquenza è davvero spicciola, ed hanno ragione: ma non me ne interessa, so come tenere buone queste gang, e poi ho amici tra di loro.
<< Eccoci. >> Dico, mentre arriviamo ad un piccolo pub irlandese alla fine della strada, dove, sullo stipite, un biondo dagli occhi di cielo e le labbra carnose mi sorride, buttando in terra la sigaretta.
<< Ciao Zayn, che piacere. >>
<< Tutto mio, Niall. >> Gli dico sorridendo, mentre ci fa strada dentro al piccolo pub.
Quando entriamo, l’aria si fa leggera, e la luce diventa accecante: grandi lampade illuminano tutto il locale, i cui tavolini sono circolari e di legno scuro, con intorno grandi sedie decorate con fiori. Sopra ogni tavolo vi sono piccole tovaglie bianche e semplici, e sulle pareti vi sono grandi quadri e foto che mostrano il paesaggio irlandese, mentre dei fiori odorano questo posto intimo.
<< Cosa desideri oggi? >> Mi chiede, mentre va con passo elegante dietro al balcone del pub che sta tenendo per i suoi genitori.
<< Il solito, qualcosa adatto a questa piccola pulce. >> Dico, dandole un colpetto in testa, mentre si allontana da noi, per andare a giocare. Niall mi lancia la solita occhiata, prima di iniziare a pulire un boccale di birra, con uno straccio che si vede già essere usato più volte.
<< Ancora senza nulla? >> Mi chiede a voce bassa, sorridendo appena.
<< No… anche se forse ho trovato un occupazione. >>
<< E cosa? >> Dice con voce divertita, sapendo che io sono poco per essere ai comandi di qualcuno. Diciamo che non mi faccio comandare, sono uno spirito libero, non possono domarmi.
<< Insegnare pianoforte ad un borghese a Notting Hill. >> E mentre pronuncio quella frase capisco che è davvero l’unico modo che posso avere per vivere ancora.
(L’unico modo per rivederlo.)
Alzo lo sguardo su di lui, mentre il bell’irlandese diventa pian piano più stranito, i suoi begli occhi si allargano formando una strana espressione confusa e le labbra si contraggono, prima di scoppiare in una risata fresca e proveniente dal fondo.
Dal canto mio, lo guardo con un po’ di superficialità, alzando un sopracciglio, come per capire cosa ci sia di così divertente nella mia frase.
<< Tu agli ordini di un borghese? >> Dice, e da quanto ride appoggia il bicchiere sul balcone, stringendosi la pancia con le braccia, mentre lo vedo ricercare aria da ogni dove.
Scosso leggermente la testa e controllo nel pacchetto di sigarette di averne un’altra che estraggo, mentre un piatto con sopra un panino ben farcito arriva affianco a me, e quella piccola pulce mi si avvicina per mangiare.
<< Sì, Niall, quei borghesi è ora che vedano come viviamo noi pecore nere. >> Dico, sorridendo tra me e me, mentre accendo la cicca, avviandomi fuori dal locale: l’aria è mesta, mentre i miei occhi si alzano al cielo e per un attimo sento quel nome risuonarmi nelle orecchie.
Harold Edward Styles.

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Capitolo 4
*** All that you want is under your nose ***


All that you want is under your nose
All that you want is under your nose

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~HarryWord

È stato strano, vedere allontanarsi quel ragazzo così diverso da me ma tanto affascinante mi ha confuso: è come se continuassi a sentire il suo odore qui intorno a me. Il piano profuma ancora di spezie, inalo quell’odore ogni attimo ma non solo, anche il resto ha ancora una parte di lui all’interno: i suoi passi risuonano nella stanza, i suoi occhi ancora bruciano la mia pelle, le sue labbra umide e carnose mi sorridono. Tutto, anche le sue mani le vedo ancora affianco a me, che si muovono con facilità e maestria su questi semplici tasti che hanno avuto la fortuna di essere suoi per alcuni istanti.
<< Mi stai ascoltando Harold? >> Dice mia madre poco distante da me, mentre la sua voce, a confronto di quella del bel pakistano, ora sembra solo un fastidioso rumore che si ripete ogni attimo più forte. << Quindi? Il tuo insegnante è praticamente fuggito, come faremo con le lezioni? >> Mi guarda con occhi inquisitori, e ricambio lo sguardo, come se tutto ciò fosse solo retorico e la risposta fosse già scritta.
<< Mi aiuterà Zayn. >> Dico semplicemente scrollando le spalle, mentre guardo la donna che sta pulendo lì vicino fermarsi qualche attimo e spostare lo sguardo su di me: nei begli occhi aleggia un velo di speranza, che però si infrange quando mia madre continua il suo monologo praticamente.
<< È un ragazzino combina guai e non sai nulla di lui, come mai potrà insegnarti tale strumento? >>
<< Mi sembra che abbia dato una prova di bravura prima. >>
<< E quindi? >> Semplicemente scrolla le spalle, come se tutto ciò non bastasse.
Certo, perché lui non è come gli altri, non è un inglese come noi, che veste come un damerino, parla in maniera aulica e si muove delicatamente: no, lui è acerbo, è come un fiore ancora non sbocciato. Si muove rudemente, in maniera sporca, perché proviene dal basso. Si veste con stracci, perché non è quello che gli interessa. Parla con un forte accento, perché nessuno gli ha insegnato come correggere i propri difetti.
Sì, lui è sbagliato, è imperfetto, come tutti i giovani: sa vivere, non ha paura di girare in piena notte per le strade perché vi è nato tra cumoli di rabbia e dolore. Non sa cosa sia la vita facile perché mai ha avuto un agio, si è sempre sviluppato da sé, non ha bisogno del permesso di nessuno, perché ciò che vuole lo prende.
E dio, ha preso anche troppo di me ora.
Con paura mia madre non mi affida a lui, perché lui mi può insegnare la libertà, mi può insegnare a vivere.
<< Che tu lo voglia o no, sarà lui ad insegnarmi. >> Chiudo tale assurdo discorso con questa frase, prima di alzarmi dal seggiolino in cui mi ero seduto poco fa: guardo quella donna, la fantastica creatura che ha dato alla luce quel giovane e le sorrido come meglio posso. << Se Zayn è interessato alla mia proposta, lo aspetto domani per quest’ora. >> Dico con semplicità, prima di inchinarmi leggermente ed uscire da lì.
Le urla di mia madre, solitamente composta e perfetta, non mi turbano mentre imbocco la tromba delle scale per andarmene via da quell’insieme di rumori e voci fastidiose.
Entro con rabbia nella mia stanza, perché non capisco il motivo per cui la propria etnia sia un problema, ed entro in bagno, in cui mi chiudo dando qualche giro di chiave. Apro l’acqua bollente nella mia vasca, mentre sfilo la polo azzurra e mi guardo riflesso nello specchio.
A volte mi faccio schifo da solo. Non un minimo graffio che attesti un mio sbaglio sul volto, non un imperfezione, mai un capello fuori posto: no, perché nel nostro mondo non esiste l’imperfezione, non esiste il momento sbagliato, bisogna sempre essere pronti.
Sia mai che esca sul giornale la foto del figlio del più grande banchiere inglese in maniera non consona all’etichetta, ciò porterebbe scandalo e disonore: a volte penso ancora che sembriamo quelle vecchie famiglie dell’epoca rinascimentale o chissà che altro. È come se tutti aspettassero un tuo errore per affondarti, una tua debolezza, qualcosa che ti renda umano.
Ma perché è un male essere umani? Vorrei tanto provare questa sensazione, una volta ogni tanto, essere un automa fa male.
Quando tutto è pronto, mi immergo nell’acqua in cui i sali da bagno hanno creato una tiepida atmosfera di rilassamento: appoggio la testa al muro dietro di me e chiudo gli occhi, mentre una nuvola di odori mi cattura senza volermi più lasciar andare. Ed è questo che voglio, a volte non mi vorrei mai svegliare da questi sonni infiniti, vorrei stare qui per sempre, coi miei pensieri, i miei sogni, i miei desideri.

Sospiro, sistemando il papillon di color blu e azzurro, mentre il centro ha una fettuccia tartan: allaccio bene la camicia bianca e metto la giacca nera, mentre la piccola pochette bianca esce dalla tasca sinistra. Accomodo anche i pantaloni beige e la cintura marrone, mentre lo specchio riflette un immagine che non sento mia, quella di un signorotto dell’alta borghesia, quello di… non lo so, ma questo non è Harry Styles.
Il campanello di sotto mi preannuncia che sono arrivagli gli ospiti, col loro perfetto figlio, Louis William Tomlinson, un ragazzo di ventun’anni alto poco più di me, dal viso d’angelo, gli occhi azzurri e i corti capelli castani: una bellezza devo ammettere, con un fascino tutto suo e un comportamento da principe. Non che sia poi molto diverso da me, ha ricevuto un educazione rigida e assolutista, quindi non può sbagliare: suo padre è una famosa star del Regno Unito, e anche lui è sempre sotto pressione, come me.
Quando scendo le scale, lui è il primo che mi appare alla vista: con pantaloni uguali ai miei e scarpe nere, una perfetta camicia bianca arrotolata sull’avambraccio e due bretelle nere con all’interno una riga bianca mostrano il suo fisico statuario. Il fatto che i suoi occhi e il suo atteggiamento lo facciano assomigliare ad un principe, rendono il tutto simile alla scena di un film d’altri tempi: lui si inchina gentilmente quando mi vede, mentre io faccio lo stesso, e i suoi genitori, agghindati come alberi di natale, mi sorridono dolcemente. Questo ipocrita gruppo felice si avvia poi alla grande sala dove un tavolo di legno immenso occupa la maggior parte della sala, grandi sedie simili a troni regali vi sono intorno e tutto è già imbandito con posate d’argento e bicchieri di cristallo: ognuno sa già il suo posto ed ognuno si accomoda, mentre io e Louis sediamo affianco.
<< È un piacere avervi qui, Mark. >> Dice mio padre, mentre l’uomo si toglie il piccolo occhiello che indossa sempre e lo guarda, sorridendo senza però scomporsi troppo.
Altra cosa che non sopporto è il non poter esprimere i nostri sentimenti come vogliamo: non dobbiamo urlare o schiamazzare, ma bensì mantenere un nostro rigido comportamento. Un sorriso appena accennato, il tono di voce basso e un semplice gesto della mano non può esprimere ringraziamento.
<< il piacere è tutto mio, casa tua è sempre più bella. >> Annuisce, sorseggiando un po’ di vino, prima di guardarmi. << E tuo figlio sembra sempre un principe. Come và, Harold? >> Quando dice il mio nome, un brivido di odio passa nella mia schiena: dio, quel nome, detto in quel modo poi, mi ricorda in quale diavolo di mondo io viva.
Sorrido con falsità, cercando di reprimere la mia voglia di mangiargli la faccia e cerco di essere più cordiale possibile. << La scuola funziona molto bene, come anche il resto. Grazie dell’interessamento, mister Tomlinson. >>
Li vedo compiaciuti di ciò che ho detto, e mi guardano come se fossi un principe, mentre decido di alzarmi per un attimo, sentendo il mio cellulare suonare. Esco dalla sala, vedendo un messaggio di una mia compagna di classe: mi chiede di uscire. Cosa rispondere? Non che sia brutta, ammetto che è molto carina, ma è strano: non ho mai sentito il bisogno di uscire con qualcuna di loro, è come se la mia testa ora volasse in altre parti.
<< Io fossi in te non accetterei. >> Sento dire da una voce maschile alle mie spalle, mentre un volto mi si appoggia dolcemente sulla spalla, e due occhi azzurri scrutano lo schermo del telefono.
Rimango per un attimo basito da ciò e mi sposto, prima di girarmi verso quel ragazzo che ora mi mostra le mani e ridacchia, come se volesse prendermi in giro.
<< E perché dovrei ascoltarti? >>
<< Perché dovresti uscire con me. >> Dice, mentre mi si avvicina col suo affascinante sorriso sghembo e la camminata da play boy, quale è immagino.
Dopo aver osservato ogni sua mossa, collego il cervello e ragiono su quello che mi ha detto. Uscire con lui?
<< Se mi prendi in giro non è simpatico. >> Gli dico, mentre le mie guance devono essere diventate rosse inconsapevolmente, perché lo vedo iniziare a ridere di gusto, tanto da piegarsi in due, con la mano stretta su lo stomaco.
Non capisco perché ride: mi metto le mani sulle guance e le sento calde, immagino abbiano due sfere rosse disegnate sopra.
<< Sei uno spasso, piccolo Styles. >> Annuisce, prima di avvicinarmisi e spingermi contro al muro, mentre il suo corpo si appoggia sul mio. Una scarica di adrenalina mi passa in tutto il corpo mentre lo guardo negli occhi e sento il cuore iniziare a battere ad intermittenza, mentre uno strano calore mi sale dallo stomaco fino alla gola. << E sei anche molto carino. >> Sussurra ora, avvicinandomisi, poggiando le sue labbra su un angolo delle mie, e quel contatto mi fa tremare ancora più di prima. Un po’ per la paura di essere visti, un po’ perché… mi piace.
Ma ben presto tutto finisce, perché lui si stacca da me e mi guarda coi suoi occhi languidi, prima di tornare nella sala dove sono tutti gli altri. Inizio a cercare il fiato che ho perso in questi istanti, mentre i suoi occhi e la sua bocca sono ancora su di me, come se tutto potesse bruciarmi. Qualcosa non va, sentivo che non era una cosa normale, che non avevo voglia di ragazze, perché io ho altre tendenze. E ora so che dovrò reprimere questo, perché non è una buona cosa.
Quando torno nella sala, è come se tutti gli occhi fossero puntati su di me: mi bruciano, la pelle la sento bruciare come se sapessero quello che è successo. Che poi, cosa è successo, nulla, se non uno stupido sfioramento di corpi.
E dio, che corpo.

Salutiamo i Tomlinson, mentre Louis mi guarda per un ultima volta prima di andarsene e il mio cuore perde un semplice battito ma nient’altro. Me ne salgo al piano superiore, buttando dove capita quella stupida e fastidiosa giacca che nasconde il vero me, prima di buttarmi con poca eleganza sul letto e affondare la testa nel cuscino: vorrei morire, soffocare e chissà che altro, non riesco a credere a ciò che poco prima ho ammesso.
Sento un bussare continuo alla porta e per qualche attimo rimango in silenzio, asciugandomi le lacrime.
<< Sì? >> Dico, con voce ancora rotta, mentre la porta si apre, e quella donna dagli occhi di cristallo si affaccia, col capo chinato.
<< Mi scusi se la disturbo signorino Styles. >> Sussurra, quasi con voce sottomessa. << Ma ho ricevuto un messaggio dalla signora, ha chiesto se può scendere di sotto. >>
<< Non ho voglia… >> Rispondo, mentre lascio andare nuovamente la testa su quel morbido cuscino, iniziando a respirare a fondo, come per riprendere quell’aria che mi manca.
Sento ben presto una mano che mi accarezza la schiena dolcemente, dall’alto in basso, in un movimento continuo, come se fosse una bellissima canzone. Sospiro rilassato, pensando che non può essere di certo mia madre, perché mai mi ha trattato così.
<< Ehy, cos’hai piccolino? >> Sento sussurrare da Tricia, quella donna che ora mi accarezza la schiena in maniera materna, forse perché ha capito che ho bisogno di affetto.
<< Nulla. >> Dico, tenendo la testa pigiata contro quel morbido cuscino fatto di piume.
<< Sicuro? Puoi dirmi tutto. >> Sorride, e io alzo la testa, vedendola qui vicino a me. È una madre vera, quella che io mai ho avuto ma di cui avrei tanto bisogno. << Sai, ho anche io figli, e posso capire i loro problemi. >>
So benissimo che lei potrebbe capirmi, perché sa capire le persone, probabilmente più di quanto mi abbia mai capito qualcun altro.
<< Problemi di… cuore. >> Sorrido appena, mentre la sua mano mi sale sul viso, togliendo l’altra lacrima solitaria che sta scendendo, con una dolcezza non paragonabile a quella di nessun’altro che io conosca.
<< Capisco. >> Dice lei e annuisce, con lo sguardo poi basso. << Anche mio figlio, Zayn, ha questi problemi. Sai, alla vostra età è normale… >>
Rimango un attimo in silenzio, dovendolo immaginare che un ragazzo come lui, potesse già essere fidanzato, o comunque lì vicino. Insomma, è praticamente perfetto.
Ma perché per me dovrebbe essere un problema? Poco me ne dovrebbe interessare, è un tipo che ho appena conosciuto, cosa diavolo ha di speciale per me.

<< Signorino Styles, a breve vi è la sua lezione di piano. >> Mi comunica Albert al di là della porta, mentre sospiro, annuendo appena tra me e me: mi dice le cose come se non le sapessi.
Zayn ieri sera non era in casa, quindi non ha potuto dire nulla alla madre: è una sorpresa quindi, non so se avrò un insegnante o se dovrò aspettarmi gli urli disperati di mia madre che mi dicono che sono solo un disgraziato e stupidate simili.
Sospiro, indossando una semplice maglia a mezze maniche bianca, dallo scollo tondo e dei jeans molto neutrali, di colore un po’ chiaro e leggermente rovinati. Mi guardo allo specchio, iniziando inconsapevolmente ad aggiuntarmi i capelli, come se volessi farmi trovare più attraente: i denti sono bianchi splendenti, niente segno di stanchezza ne altro. Perfetto.
Quando la porta di sotto si apre il mio cuore ha un sussulto ed esco di corsa dalla mia stanza, iniziando a scendere le scale di gran numero, quasi come se volessi balzare di sotto.
<< Attento! >> Sento urlare da Albert mentre i miei piedi perdono aderenza dal terreno a causa dell’acqua che qualche idiota vi ha fatto cadere e, se non vi fossero due braccia dalla pelle ambrata che mi accolgono, avrei fatto un brutto volo.

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Capitolo 5
*** Tell me I'm a screwed up mess ***


Tell me I’m a screwed up mess
Tell me I’m a screwed up mess

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~ZaynWord

Quando stamani ho preso la metropolitana ho sentito qualcosa di diverso, come se la voglia di andare da quel ragazzo mi portasse a fare tutto di corsa: con indosso un semplice paio di pantaloni neri e una maglia a maniche lunghe del medesimo colore tenuta con le maniche a tre/quarti scendo dalla metropolitana, indossando gli occhiali da sole anni ottanta neri che mi coprono il viso mi butto nella giungla metropolitana di questi alti quartieri.
Ieri sera non sono tornato a casa: quando sono uscito dal pub con Safaa, ho trovato Helena lì fuori che mi aspettava. Il suo volto era ancora più bello del solito e illuminava quel pomeriggio, tanto che ho chiesto a Niall se poteva poi portare mia sorella a casa e mi sono allontanato con lei: ci siamo stesi nel primo spazio che abbiamo trovato, iniziato a guardarci negli occhi e siamo rimasti lì almeno tre ore, prima che la passione non sopraggiungesse e abbiamo fatto l’amore due volte. Sentivo il cuore voler esplodere, desiderando sempre di più, con la paura che lei potesse allontanarsi da me: mi mancava l’aria, il respiro era affannato, mi stavo sentendo morire. È così stare con lei, vieni completamente spompato, tutto il tuo animo viene sputato fuori in pochi attimi e se prima eri pieno di energie, con lei ti annulli, ti svuoti di tutto: muori completamente ogni volta che la incontri, perché non vuoi più lasciarla.
Forse è l’amore, quello strano sentimento di cui mi ha parlato spesso mia madre ma a cui io ho mai creduto: perché io non posso amare Helena, quasi non so nulla di lei, se non che proviene dalla Russia e poco di più. Ma i suoi occhi mi ipnotizzano, mi catturano e mi fanno diventare suo.
Busso alla grande porta che ben presto si apre e il signore distinto di ieri mi si presenta davanti: il suo volto pare ancora più incavato se è possibile mentre mi lascia passare. Muovo qualche passo nella grande dimora, perdendomi nuovamente in quella ricchezza.
Ma ben presto tutto viene disturbato: passi veloci, frenetici, che ben presto si trasformano in un sordo tonfo. Apro le braccia al volo nel sentire quell’urlo e ben presto un curly boy dagli occhi smeraldo è tra le mie braccia, con le labbra poggiate sul mio petto e il corpo abbandonato a me.
Lo tengo stretto ancora per poco, almeno finché non sento che le sue gambe riescono a tenere nuovamente l’equilibrio e lo guardo negli occhi: quegli occhi che ieri mi sembravano solamente belli, ora li trovo a dir poco splendenti. Qualcosa all’interno sembra pulsare, come se cercassero la vita, come se volessero chiedermi aiuto.
<< Stai bene? >> Gli domando mentre lo vedo tirarsi in piedi ed annuire, prima di grattarsi la testa, rosso in viso. Probabilmente è imbarazzato, il che mi porta a sorridere mentre tolgo gli occhiali da sole e li metto attaccati alla maglia, prima di mostrargli un piccolo blocco di fogli che ho dentro ad una cartelletta. << Abbiamo molto da lavorare. >>
Ci accomodiamo davanti al pianoforte, mentre gli mostro quale melodia vogliamo suonare: qualcosa di un po’ pop, così che non si annoi. Gli mostro la prima parte, mentre guardo quel foglio pieno di note e mi calo in quella magia per cui i miei arti iniziano a scorrere in maniera autonoma: è come se tutto attorno a me sparisse, il mondo diventa ovatta ed esisto solo io e questo pianoforte.
Quando tutto è finito guardo quel ragazzino che è rimasto a fissarmi: la bocca è socchiusa, le labbra morbide e seducenti lasciano intravedere i denti bianchi e limati perfettamente, oltre che la lingua. Il volto è rilassato, i suoi occhi sembrano persi in chissà quale dimensione, le narici del naso mostrano che si sta riprendendo.
Mi alzo, lasciandogli tutto il posto che vuole mentre lo vedo riscaldarsi: inizia a leggere attentamente quello spartito, iniziando a suonare parte per parte.

<< Bene, abbiamo finito per oggi. >> Gli dico con un sorriso circa due ore dopo, mentre lo vedo iniziare ad essere sfinito. Le mani si sono stancate, ma ha fatto bene: è riuscito a suonare un brano quasi perfettamente, ciò mostra come quel vecchio avvoltoio che aveva prima la teoria gliela aveva insegnata bene.
Lo vedo annuire appena, leggermente dispiaciuto mentre si alza in piedi. Mi guarda negli occhi, come se volesse dirmi qualcosa di difficile.
<< Grazie. >> Sussurra soltanto, mentre un piccolo sorriso appare tra le sue labbra.
<< Mi accompagni al cancello? >> Sorrido, per spezzare l’aria così tesa. << Ho paura di perdermi nel tuo giardino! >> Lo vedo divertito da ciò: prendo ciò che mi spetta come paga e la metto nei pantaloni, prima di indossare nuovamente gli occhiali e avviarci.
L’aria è cambiata, sembra che la primavera stia tornando, e con lei i piaceri che ci sono: il vento odora di novità mentre le piante stanno rinascendo dalle loro ceneri invernali e il sole fa capolino timidamente tra le nuvole che hanno coperto la nostra bella Londra tutto l’inverno.
<< Ben presto dal London Eye ci sarà una bellissima visuale! >> Annuncio con voce allegra, mentre lo vedo sobbalzare appena, come se non si aspettasse tale vitalità.
<< Non ci sono mai salito. >> Mi dice guardando a terra, osservando ogni più piccolo filo d’erba.
Lo guardo di mia volta, mentre gli occhi si spalancano di incredulità.
<< Vivi a Londra e non sei mai stato sul London Eye? >> Inizio a ridere e ricordo la sua frase del giorno prima: ecco cosa intende per vivere. Questo ragazzo probabilmente non ha mai visto nulla al di fuori di questo immenso giardino. << Allora ti ci porterò una sera. >> Gli prometto, mentre vedo i suoi occhi prendere una diversa illuminazione e le sue labbra ben presto piegarsi in un dolce sorriso.
<< Tua madre mi ha detto che ieri sera non eri in casa. Si preoccupa molto per te. >> Mi dice dopo poco, mentre lo vedo incuriosito da una coccinella posata su un fiore: ben presto ella viene sradicata dal suo habitat e finisce tra le sue mani, in cui si accomoda dolcemente, tanto che sembra poco decisa ad andarsene.
Mia madre parla di me quasi sempre, o almeno è ciò che mi dicono in tanti: il fatto che io fumi canne e che, finite le superiori, non abbia intenzione di fare nulla la preoccupa parecchio. E come  darle torto, non ho un carattere facile.
<< Lo so, anche troppo. Ero da un’amica. >> Dico, prima di accendermi una sigaretta arrivati al cancello immenso. Alzo gli occhi verso di lui, che mi fissa come un cucciolo bastonato. << Che ti succede Harry? >> Chiedo, chiamandolo con quel diminutivo che trovo molto più carino di Harold. Oltretutto, visto il cognome che si ritrova, è meglio non esagerare con le prese possibili in giro.
Lo vedo leggermente scombussolato dal mio modo di averlo chiamato, come se fosse strano l’usare un diminutivo.
<< Niente… >> Dice incerto, ma vedendo il mio sguardo di uno che non si arrende con facilità continua. << Non sono mai uscito di sera. >>
A quell’affermazione rimango basito: penso di averne sentite di tutte, ma che un ragazzino di diciotto anni non sia mai uscito col sole calato lo trovo realmente assurdo.
<< Allora fatti trovare pronto per le dieci. >> Sorrido, appoggiandogli una mano sulla spalla. << Ti mostrerò la vera Londra. >> Lo vedo guardarmi con un brillo di speranza mentre annuisce, controllando in giro che non vi siano occhi o orecchie sospette.
<< D’accordo, mi fido di te, Zayn. >>

Le dieci arrivano presto. Con attenzione scendo rapidamente dalla finestra di casa, con indosso un paio di jeans marroni e una maglia a mezze maniche a righe fini bianca e nera, con sopra un trench di pelle rossa, ed una cuffia nera in testa. So benissimo che strade percorrere e vado con rapidità alla piccola stazione metropolitana: gente ubriaca e completamente fatta mi circonda, chiedendo soldi che neanche io ho, altrimenti glieli darei volentieri. Vedo vecchi amici completamenti persi nella droga ora sdraiati in terra, alcuni con ancora una siringa infilata nel braccio, nella speranza di trovare per almeno qualche minuto un paradiso, che però già più non esiste, perché pian piano vieni consumato, e ne hai sempre bisogno di più, ma non puoi permettertela.
A volte ringrazio che la mia famiglia mi abbia aiutato a non entrare in questo circolo, perché è impossibile uscirne: e pensare che proprio ora sto per incontrarmi con un borghese, uno di quelli che da piccolo odiavo con tutto me stesso. Ma no, Harry non è come gli altri, lo sento: è stato piantato in quel mondo che non gli appartiene.
Dopo non molto mi trovo con abilità a salire su per le inferiate che mi dividono dal parco della casa: quando sono sopra faccio un piccolo balzo e controllo non vi siano telecamere, camminando poi furtivamente fino a quella piccola colonna piena di erbacce che però mi aiuteranno. Infilo i piedi nelle fessure, riuscendo a salire fino alla finestra di quel ragazzino e vi busso, mentre sto attento che non vi siano pericoli. Dio, penso di non aver mai fatto qualcosa di così divertente, probabilmente sarà uno spasso.
La finestra si apre e un ragazzino in scarpe da ginnastica nere, jeans rossi e una camicia bianca mi si presenta davanti che mette i piedi sul tetto, prima di guardarmi. Sta morendo di paura, il che rendere tutto più divertente: sorrido, allungando una mano verso di lui e lo aiuto a scendere, praticamente trascinandolo.
Quando i nostri piedi toccano terra sta per parlare ma gli faccio il segno di stare zitto, tirandolo verso la grance cancellata che riusciamo a superare: appena fuori sorrido, girandomi poi verso di lui.
<< Eccoci nel mondo reale, Harry Styles. >> Il mio sorriso può sembrare strafottente, tanto che lo vedo arricciare il naso, come se fosse un offesa verso di lui: ma non lo è, è una semplice affermazione, una realtà. << Cosa vuoi vedere? >>
<< Il quartiere di Soho! >> Mi dice, annuendo con forza. << Mio padre ha detto che non è un bel posto, quindi deduco ci si diverta! >> Se ancora non avesse catturato tutta la mia simpatia, dopo questa frase lo ha fatto: inizio a ridere, tanto da dovermi stringere lo stomaco con forza, dopo essermi piegato in due.
<< In effetti è molto… multi culturale! Penso che ci divertiremo. >> Faccio per un attimo mente locale per capire come arrivare a Soho: sta nel quartiere di Westminster, qui affianco, con una bella passeggiata vi possiamo arrivare semplicemente.
Ci avviamo, mentre mi accendo una sigaretta, e lo vedo arricciare il naso.
<< Ti da fastidio? >> Chiedo, allontanando la mano da lui, mentre lo vedo scuotere la testa.
<< No… non ho mai sentito l’odore di una sigaretta. >> Mi risponde con un po’ di imbarazzo, mentre mi viene da chiedere davvero da che mondo possa venire. << Al massimo i sigari. >>
<< Troppo costosi. >> Ridacchio, facendo un altro tiro, mentre mi avvicino leggermente a lui: la notte di qua è tranquilla, le luci sono accese ed illuminano le vie principali in cui la gente porta a spasso gli animali, oppure la famiglia intera. Alcuni girano mano per mano, queste coppiette imbarazzate perché non sanno cosa dire mi fanno tenerezza, ma non solo: un po’ le invidio, forse perché tra me ed Helena mai è stato così difficile da nulla. Perché non siamo noi a parlare, ma i nostri corpi: non le nostre anime, è solo qualcosa di fisico, puramente, schifosamente, fisico.
Guardo appena il ragazzino affianco a me, e invece che solo un anno di differenza, sembrano molti di più: forse il fatto del suo essere così infantile e in certi campi inesperto mi portano a pensare ciò.
<< Harry. >> Gli dico dopo un po’ che stiamo passeggiando in silenzio, mentre sento che l’aria si fa più testa. << Hai mai fatto qualcosa che i tuoi genitori non sapessero? >>
Lo guardo per un attimo, e vedo i suoi occhi alzarsi verso il cielo, mentre porta la mano sotto il mento, come se stesse pensando alla risposta giusta anche se, un cuor suo, sa la verità.
<< No. >> Dopo un po’, infatti, il verdetto è quello che mi aspettavo. No.
Ridacchio, estraendo una piccola cartina dalla tasca, mentre vi inserisco dell’erba: lo vedo curioso, fissarla come se non sapesse cos’è. Probabilmente neanche se lo immagina, ma non me ne preoccupo: lecco un lembo della carta e ben presto la mia amica è pronta. Estraggo l’accendino dall’altra tasca e le do fuoco, mentre un odore acre si sprigiona quasi subito, ma è una libido per i miei sensi.
<< Fai un tiro. >> Dico, passandogli la canna: lui la prende tra le magre e belle dita, simili a quelle di una ragazza, e la guarda curioso. Probabilmente sta cercando di capire che diavoleria sia, quest’odore deve essere una novità per lui. << Tranquillo, non fa male. >> Lo rassicuro, e ciò sembra bastare: l’appoggia tra le candide labbra e fa un tiro.
Inizialmente si stacca con violenza, iniziando a tossire a ripetizione, ma ciò non dura molto: quando lo vedo fissarla e fare un altro tiro, capisco che è il momento buono per lasciarlo andare.
Ben presto siamo a Soho, ed un locale dalle luci soffuse, una discoteca direi, attira la mia attenzione: lo prendo per il polso, sorridendo.
<< Andiamo a divertirci! >> Non ascolto le sue repliche, che inizia a balbettare con incertezza che non gli piacciono i posti con troppa folla: con facilità riesco a superare i bodyguard ed entrare nel locale, nel cui fumo appanna quasi la vista, e l’odore di alcool si fa pesante.
La gente balla, i corpi sudati si incontrano, attaccano, come per diventare un’unica cosa, almeno per qualche minuto: volti di gente che si guardano, e basta un attimo per cadere in quella trappola.
I begli occhi del ragazzo accanto a me ora sono lucidi, mentre fissa quell’inferno, che probabilmente ha visto solo in tv: non capisce molto, la musica è assordante, e quella canna che ha fumato deve avergli dato le vertigini, perché lo sento barcollare, tanto che un mio braccio finisce inevitabilmente intorno alla sua vita, tenendolo in piedi.
<< Ti porto a ballare. >> Dico al suo orecchio, con enfasi: non che io ami questi luoghi, ma Harry scommetto si divertirà. Qui si è in un altro mondo, si può fare tutto senza essere giudicati: non si interessano di te gli altri, perché troppo impegnati sulla prossima conquista.
Ci troviamo in mezzo al locale, alla pista meglio dire, poco dopo e tutto si fa ancora più confusionario: gente attacca a noi ci spinge l’uno contro l’altro, mentre guardo quel giovane che ora è confuso, e si guarda attorno, in un mondo che non ha mai vissuto. Si sente spaesato, si sente rinascere forse.
Ma la gente qui non è del tutto a posto, e io lo so: mi avvicino a lui, tenendo un braccio attorno alla sua vita, così da far aderire i nostri corpi. In questo modo la gente non si proverà ad approfittare di lui, e soprattutto lo sorreggerò, visto che ogni tanto perde l’equilibrio a causa delle spinte.
<< Ma cos’è? L’inferno? >> Mi urla lui all’orecchio destro, il che mi provoca un sorriso, e lo guardo, a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
Ora che siamo così vicini, sento il suo profumo, qualcosa simile alla vaniglia potrei dire: i suoi capelli morbidi come la seta si appoggiano sul mio viso, solleticandomelo, mentre i suoi occhi si perdono ben presto nei miei e le sue labbra umide rimangono dischiuse.
È strana questa sensazione, perché non sono stupido: ogni minima cosa di lui sembra attrarmi, e non capisco come ciò sia possibile, proprio da me: mai mi sono interessato ad un ragazzo e mai avrei pensato. Forse è solo una di quelle cose che dice mia madre, quelle confusioni adatte ai ragazzi della mia età, la cui identità sessuale è ancora confusa.
Può essere, ma allora perché le mie mani, ora che sono appoggiate sui suoi fianchi, sembrano smaniose di andare oltre? Perché questo ragazzino che appena ho incontrato già riesce ad attrarmi come nessun’altro?
Forse è la sua aria ingenua: ho sempre avuto un’attrazione per l’ingenuità e la genuinità, e di ciò lui ne abbonda. O forse è il suo buon profumo, che sembra un piacere per me: oppure il suo bel corpo, atletico e con ogni cosa al giusto posto.
Lui non sembra dispiaciuto di ciò, devo ammettere. Le sue mani ben presto sono scivolate sulle mie spalle, e ora i nostri petti si sfiorano: il mio coperto da questo trench che ora maledico, il suo da quella camicia bianca già di troppo. Mi guarda negli occhi in maniera desiderosa, ma so che parte di questo viene dato dalla canna fumata prima, ma non mi interessa: rimaniamo così per almeno altre due ore, senza aprire bocca.
Quando usciamo da quel posto siamo sudati fradici, e la notte si è fatta scura: l’aria spira forte, e sento il suo corpo tremare appoggiato sotto il mio braccio, forse per il freddo. Mi stacco per un attimo da lui e mi sfilo il trench che gli metto indosso: guardandolo, sembra fatto a posta, visto che il rosso dei pantaloni è lo stesso. Un sorriso passa sul mio volto, e lo vedo guardarmi con occhi grandi.
<< Grazie. >> Mormora troppo piano, come se non volesse farmi sentire, ma non mi interessa: lo prendo nuovamente vicino a me, con un braccio attorno alle sue piccole e fini spalle, avviandoci verso casa sua. << Zayn. >> Mi dice dopo qualche passo, con esitazione. << Ho fame. >>
<< Fame? >> Dico, leggermente sconvolto nel credere che qualcuno possa voler mangiare a quest’ora: forse era l’erba, dopo averla fumata, viene sempre fame anche a me. Ma non c’è problema, ho già un idea. Gli sorrido e inverto il senso di marcia, annuendo. << Ti porto da un amico. Ti piace la cucina irlandese? >>










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Altro capitolo, si fa interessante la cosa uwu bene, approfitto per ringraziare TUTTI che mi
recensite e mi date la voglia di continuare sempre^^ Ammetto che a volte mi scoraggia non avere
nessuno che mi recensisca, ma voi siete sempre ad aiutarmi^^
Approfitto anche per pubblicizzare la mia nuova fic uwu è una storia etero per cambiare XD
e avrà come protagonista Zayn e Rose, il mio pg originale: è una storia a cui tengo molto
quindi se siete curiosi, e spero di sì, fateci un giro, anche se per ora vi è solo
un prologhetto XD Questo è il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1020067&i=1 
Grazie a tutti *w*

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Capitolo 6
*** But if you walk away I know I'll fade ***


But if you walk away I know I’ll fade
But if you walk away I know I’ll fade

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~HarryWord

Tutto vortica velocemente intorno ai miei occhi: penso sia un miracolo che io sia in piedi, ma non è questo. Il corpo di Zayn mi sorregge, se lui non fosse qui ora mi starei trascinando come un verme tra la terra sporca: è un po’ che siamo usciti da quel posto, e camminiamo verso il locale di cui mi ha parlato. È di un suo amico, un immigrato irlandese che ha la sua età: ha detto che si trova nei paraggi di casa sua, quindi che il mio bel volto da principe non passerà inosservato. In quel momento mi è venuto da ridere, soprattutto per quell’associazione mentale, ma poi ho iniziato a rimuginare: forse intendeva dire che non è un bel luogo, alla fine Brixton non è per nulla sicuro, a quest’ora di notte poi.
Immagino intendesse questo, perché ora che camminiamo per queste strade scure in cui gli ubriachi paiono essersi almeno moltiplicati, le prostitute sono ad ogni angolo che ci chiamano, invitano a farle compagnia: obiettivamente mi fa paura questo posto, e lui lo sente, perché Zayn è diverso dagli altri, lo sento. È come se comprendesse tutto di me senza che io gli dica nulla, ha sentito il mio freddo da lontano, e sente la mia paura: la sua presa si fa più ferrea, perché lui qui ci vive, non ha paura. Dio, questo suo lato così sicuro è così… sexy, sì, è strano dirlo ma è così. Mi attrae come non mai questo suo modo di essere così rude, così sporco: non in senso cattivo, è logico, ma è affascinante la sua maledetta sicurezza, così al contrario della mia perenne incertezza di sbagliare.
<< Eccoci arrivati. >> Mi sussurra dopo un po’ all’orecchio con quella sua voce calda e sensuale che mi provoca un brivido: entriamo quasi subito, neanche posso vedere la facciata, ma l’interno è molto caldo.
I tavolini sono vari, a cui sono sedute persone con grandi boccali pieni di birra e chissà che altro: giocano a carte, alzando la voce, oramai alticci da chissà quante ore. Ma un biondino, un bel ragazzo dagli occhi di cielo e i capelli color del grano mi attrae: è al balcone, che sta servendo l’ennesima caraffa e quando ci vede fissa attentamente me, prima di sorridere in maniera complice al bel pakistano con me.
Il famoso Niall Horan, immagino. Quando ci avviciniamo e mi siedo sullo sgabello di legno, lui mi squadra ancora, prima di ridacchiare.
<< Immagino che sia lui a cui dai lezioni. >> Dice, segnandomi con un gesto della testa: mi accorgo che per quanto vorrei rispondergli ora non ci riesco, sento la voce impastata e il cervello fuso.
Zayn annuisce, ordinandomi qualcosa, prima di tornarmi a fissare: mi pare che sorrida, ma non ne sono certo, perché la mia vista si sta offuscando.
Ora ricordo quei lunghi discorsi di mio padre sulle canne: è vero, mi ha sempre detto che fondono il cervello, che ti portano in un mondo in cui nulla capisci. Ed è vero, diavolo se è vero: ma da una parte ne sono felice, perché se non avessi fumato, ora non avrei la mia mano stretta in quella di Zayn. Ora i suoi occhi su di me non brucerebbero come tizzoni ardenti mentre mi appoggio praticamente alla sua spalla, per sentire quell’odore che tanto mi ha attratto: un miscuglio di tutto, che però è come una droga, perché mi attira a lui come nient’altro, perché sento di volere di più.
Inizio a mangiare uno strano panino, riempito con cotoletta e altro che non capisco, ma delizioso: immagino che lo capiscano perfettamente, perché lo divoro in poco tempo.
<< Dio, sei così magrolino, ma sei un mostro. >> Sento dire divertito al bell’irlandese che porta via il piatto oramai vuoto, mentre passa a Zayn l’ennesima birra.
<< Non devi bere! >> Gli dico, con voce leggermente alta, a pochi centimetri dal suo viso: lui sorride, accarezzandomi i capelli, come se sapesse che non sono del tutto qui con la testa.
E non è l’unico: quel Niall mi fissa incuriosito.
<< Che diavolo ha fatto? >>
<< Fumato. >> Dice, e la sua voce roca in questo momenti mi sembra solo una dolce melodia: come il canto di angeli, che sono qui solo per me.
Devo aver preso una strana faccia assurda, perché il biondo inizia a ridere, prima di tornare pian piano serio.
<< Oggi ho incontrato Liam. >> Dice, con voce seria, ora.
<< Come sta? >> Chiede lui, mentre mi prende tra le sue braccia: la mia testa è infatti caduta sulla sua spalla, mentre appoggio il naso a quel collo, che tanto vorrei mordere.
L’altro sospira profondamente, ma poi si riprende.
<< In realtà bene. >> Gli sento dire con un minimo di spirito in più. << Ora che è stato accettato all’università si sente rinato. >>
<< Era l’unico di noi che ci poteva riuscire. Certo, anche tu, se non dormisti sempre. >>
<< Ma io ho il bar.. >> Dice, mettendosi a ridere, mentre Zayn fa lo stesso: non perché lo sento, ma perché il suo petto inizia a muoversi dolcemente, cullandomi.

Passiamo lì ancora una mezz’ora, ma ben presto Zayn capisce che è ora di portarmi a casa: sarà dura, infatti, dopo due minuti mi prende tra le braccia, portandomi come se fossi un piccolo infante.
Appoggio la testa sul suo petto largo, mentre le forti braccia mi stringono a se, e l’odore dell’erba si sprigiona nuovamente: apro gli occhi e lo vedo fumare, mentre guarda avanti. Quando è così sicuro di se, lo trovo stupendo: in tanti anni di vita, non ho mai incontrato nessuno col suo fascino. È strano, perché lo sento già mio, anche se ci conosciamo solo da due giorni: ma posso dire che sono stati i migliori giorni della mia vita, sì?
<< Zayn >> Mugugno, con ancora la testa spinta nel suo petto e il suo silenzio mi fa capire che aspetta il continuo della frase. << Sento di conoscerti da sempre. >> Sussurro poi, aggrappandomi a lui con anche le braccia, prima di cadere in un pesante sonno.

Quando mi sveglio, rimango sconvolto, perché sono nel mio bel letto, con lui affianco a me: la sua mano mi sta accarezzando la fronte, ora scoperta dai riccioli, e la sua pelle profuma come non mai…
<< Come diavolo… >> Sto per domandarglielo, perché non credo che questo ragazzo abbia superato la cancellata, sia salito sulla colonna e tutto con me tra le braccia: no, non puoi essere così perfetto.
<< Ti ho portato a letto. >> Dice, sussurrandolo a bassa voce. << Eri parecchio stanco. >> Sorride a quest’ultima frase, come fanno le madri che dicono qualcosa al figlio.
La luce fuori inizia a rischiarare la giornata in effetti, segno che abbiamo passato tutta la notte insieme: ma non voglio che se ne vada, tanto che mentre si allontana gli afferro la mano, strattonandolo appena.
Lui mi guarda per qualche attimo e sorride, come se già avesse capito ogni cosa: fa qualche passo verso di me, baciandomi affianco alle labbra.
<< Grazie della bella serata. >> Mi sussurra con voce sensuale all’orecchio, prima di andarsene, stavolta per sempre e davvero.
Rimango per qualche attimo inebetito lì, su quel letto che ancora odora di lui, mentre la sua voce risuona nelle mie orecchie come una dolce melodia. Grazie? Io dovrei ringraziarti, dio, perché tu sei tutto Zayn, lo capisci sì? Eri un estraneo e così, in due giorni, sei diventato la mia vita, la mia linfa. Come diavolo faccio senza di te, ora?
Sospiro, scossando la testa, stanco di tutti quei pensieri per lui e chiudo gli occhi, accoccolandomi sul cuscino, che sogno essere lui.

Purtroppo arriva presto l’ora del risveglio: Alberti viene ad aprire la finestra, mentre io le do le spalle, perché sono troppo stanco per alzarmi.
<< Signorino, è ora di alzarsi. >>
<< Non ci riesco… >> Sbiascico in qualche lingua strana, tanto che il maggiordomo si avvicina e mi guarda, spalancando gli occhi.
Dio, devo avere un aspetto orribile: se mio padre mi vedesse, intuirebbe qualcosa, perché ne a lui ne a mia madre piace Zayn. E dio, questa è un offesa.
<< Stai bene? >> Una voce femminile e amichevole mi porge la domanda appena siamo soli: sorrido appena guardando Tricia e annuendo piano, perché la testa rimbomba con forza, tanto che sembra di essere ieri sera.
Lei non ne è certa, mi accarezza il volto e sospira.
<< Sei uscito con Zayn. >> Sussurra, e non ha bisogno di sapere la mia risposta: mi sfila la maglia del pigiama per mettermi una maglia beige scusa, con lo scollo ad u e le mezze maniche. << Non l’avevo visto in casa, in effetti… >>
<< Mi scusi, è stata colpa mia… >> Dico, come a volerlo decolpevolizzare: alla fine è vero, sono stato io a chiedergli di insegnarmi cosa è la vita.
Ma lei non pare arrabbiata, neanche mentre mi fa mettere i jeans grigio scuro, perché da solo ora non ci riuscirei.
<< Hai fumato? >> Mi guarda negli occhi, esaminandoli come fa una madre col proprio figlio, che io non sono. << Non devi farlo. È una brutta abitudine di quel testone di mio figlio. >> Sbuffa quest’ultima frase e a me fa sorridere, perché si assomigliano tantissimo loro due nell’espressività e nel modo di essere.
Quando sono pronto mi trascina in bagno e un po’ di acqua ghiacciata mi fa rinvenire completamente: ora mi reggo in piedi e sorrido, ricordando ogni attimo di quella sera appena passata. Il suo odore è ancora in quel letto, anche se per pochi secondi è stato lì: ora che ci penso, poi, ho la sua giacca.
Esco dal bagno, vedendo il trench rosso e lo abbraccio, mentre tutto mi ricorda di lui, e mi fa sentire come se fossi vivo, per la prima volta: dio, questa sensazione di farfalle allo stomaco mi preoccupa.

Scendo di sotto, dove l’abbondante colazione mi aspetta, mentre i miei genitori sono lì, già indaffarati nei propri discorsi. Non che oggi ne sia interessato, perché sono in un mio mondo, cosa che Tricia nota: ogni tanto la testa dondola, finendo quasi dentro il caffè, ma grazie ad un suo colpetto rinvengo pochi attimi prima, per scongiurare l’immane tragedia che altrimenti sarebbe nata.
<< Oggi hai tennis. >> Mi ricorda mia madre mentre annuisco, come un ebete: diavolo, quindi oggi non verrà Zayn…
Poco male: mi alzo quando ho finito e vado da Tricia, che è nascosta in un angolo a pulire. Purtroppo vengo fermata dalla voce fastidiosa di mia madre, che mi chiama all’ordine.
<< Harold! >> Dice, pronunciando quel mio nome così fastidioso e così odiato. << Sai che anche il figlio dei Tomlinson frequenta il tuo stesso circolo di tennis? >> E per lei questa è una lieta notizia, ma non per me: la guardo, con gli occhi dilatati.
Louis. Ciò significa avere Louis attaccato lì, con i suoi occhi azzurri e le sue belle labbra che cerca di soggiogarmi. Dio no.
Annuisco appena, come per ringraziarla di quella poco lieta notizia e torno da Tricia, che ora mi fissa, con un sopracciglio alzato: probabilmente sa che voglio chiedergli qualcosa.
<< Tricia… >> Inizio il discorso con voce bassa, in un sussurro, un po’ per non farmi sentire, ma anche per la vergogna di dire quelle parole a lei, sua madre. << … potrei avere il numero di Zayn? >>
Lei mi guarda stranita, probabilmente si domanderà per quale diavolo di motivo io voglia ciò, ma poi acconsente e prende un foglietto, scrivendo pochi numeri, prima di porgermelo.
<< È questo. Spero che non lo abbia cambiato. >> Dice con un sorriso mesto: probabilmente non ha il rapporto che vorrebbe con lui.
Ma poco mi interessa, questa è comunque una speranza: sorrido, con felicità in me finalmente e l’abbraccio forte, ringraziandola più e più volte per quel numero, prima di salire di sopra a passi svelti e veloci. Quando arrivo in camera prendo il telefono, scrivendo un messaggio, che cancello più e più volte. Che cosa potrei scrivergli?
“Ti ringrazio per avermi trascinato praticamente per mezza Londra, ma non sono abituato a stare sveglio così fino a tardi. Mi dispiace che oggi non ci vedremo, perché ho tennis.  Harry”
Sospiro, componendo poi il numero: pigiare quell’invio mi pesa parecchio, ma lo faccio. Quando vedo che la letterina del messaggio sparisce, segno che è stato inviato, ho un tuffo al cuore e inizio a guardare il soffitto, come se potesse calmarmi: in realtà sono agitato, stanco e tante altre cose, tutte insieme, perché non capisco che diavolo ci sia nella mia testa di così strano. So solo che vorrei averlo qui, ora…
Ma il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare: un nuovo messaggio. Respiro a fondo, aprendolo: Zayn.
“Se mi dici dove fai tennis, vengo a trovarti.  Zayn”
E dio, quelle poche parole mi fanno morire: sorrido, con un volto probabilmente da ebete e appoggio la testa sulle braccia, mentre il sorriso si trasforma in risa di gioia.
Zayn. Zayn. Zayn. Il tuo nome è musica per me, che stregoneria mi hai fatto?












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Altro capitolo andato, oramai abbiamo perso Harry ragazzi XD Ahah, no davvero, oramai
lui è andato, ma avremo altre sorprese, promesso uwu
Intanto ricordo la mia nuova fic, a cui tengo^^
Indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1020067&i=1  


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Capitolo 7
*** But I see you with him ***


But I see you with him
But I see you with him

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~ZaynWord

<< Helena, puoi passarmi i miei pantaloni? >> Le chiedo gentilmente, mentre rimango ancora steso su quel morbido letto, con gli occhi chiusi: il respiro è ancora affannato mentre allungo la mano verso il nulla.
Sento della stoffa appoggiarsi sopra e sorrido appena, mentre inizio a rivestirmi, ancora distrutto dalle ore piccole fatte questa notte: sono venuto qui dopo essere tornato da casa di Harry, ma avrei bisogno di almeno cinque ore di sonno. Ma non posso, perché Harry mi ha scritto che avrà tennis tra un’ora in un circolo vicino a Hyde Park: si è preoccupato perché è un circolo molto snob, per cui dovrò vestirmi elegantemente. Io, poi.
<< Dove devi andare? >> Mi chiede la mia dolce Helena, mentre il suo corpo si appoggia sul mio, e le nostre labbra s’incontrano per un breve bacio: è strano, perché se prima tremavo alla sua sola presenza, ora qualcosa è cambiato.
<< Te l’ho detto, devo fare una cosa per mia madre. >>
<< Sai che non mi piacciono le bugie. >> Mi sussurra, alzandosi velocemente da me, come se la rabbia non gli permettesse di starmi vicino: io la guardo, rimanendo in silenzio, leggermente confuso se dirle la verità.
No, che dirle poi? Che vado a trovare un amico? Che non ho passato la nottata ad aiutare Niall al bar ma bensì fuori con Harry, a ballare in un pub oggettivamente gay e sono stato con lui mentre dormiva dolcemente come un bimbo nel letto? Mi ucciderebbe, conoscendo la sua passione per il macabro mi staccherebbe la testa a morsi, e chissà che farebbe del mio corpo: solo a pensarlo ho i brividi di terrore.
La guardo negli occhi e mi alzo, prendendola tra le mia braccia, in cui lei sembra diventare ancora più piccola: ma questo non basta, perché i suoi occhi ancora mi fissano con cattiveria, come se sospettasse.
<< Non ti direi mai bugie, amore. >> Sussurro, e lei si rincuora, perché non l’ho mai chiamata in quel modo.
Non sono uno sentimentale, penso che non sia nel mio carattere, e mai l’ho chiamata amore o con altri aggettivi affettuosi: tra noi non c’è mai stato bisogno di ciò e io mai ne ho sentito. Ma ora lei è insicura, perché sente che rischia di perdermi: le donne hanno un sesto senso, lo ripeto, e lei ha capito che la mia testa ora si sta perdendo per qualcun altro.
Forse però non è stata la mossa migliore: dopo un attimo di felicità, la vedo fissarmi negli occhi, come se quella parola, le facesse intuire che è successo qualcosa. Non dice nulla, indagandomi con gli occhi fino all’animo, ma sono bravo a nascondere ogni cosa: le sorrido e le bacio una guancia, prima di salutarla.
Devo passare velocemente da casa, ma non dalla mia: solo lui può salvarmi, Liam. Non parlo spesso di lui, perché a volte ho paura che la gente se ne possa innamorare e allontanarlo da me, da noi: Niall, ancora più che me, ha sempre avuto paura di perderlo. Sì, perché noi tre siamo come fratelli: e mentre io vago senza una metà, Niall tiene il bar di famiglia, il nostro Liam frequenta l’università più prestigiosa di qui. Il fatto che la sua intelligenza sia nettamente superiore a tutti noi l’ho sempre accettato: è qualcuno che fa tutto per gli altri, e poco per se. Dio, ancora ricordo quando mi ruppi un braccio: corse a casa mia, anche se era appena stato operato ed ora aveva solo un rene.
Busso alla porta di casa sua, in un viale non troppo lontano da noi: questa zona è un po’ più tranquilla, ma non tanto da tenere la finestra aperta, non tanto come a casa di Harry.
Ben presto un giovane alto, dal corpo atletico, gli occhi nocciola e i capelli castani mi apre la porta, con un sorriso che gli illumina il volto: ma non solo lui, è come il sole, che porta felicità.
<> Ridacchia, mentre mi avvicino a lui e ci stringiamo in un abbraccio fraterno che dura qualche minuto: quando lo vedo, noto che indossa gli occhiali, segno che è sotto un qualche esame. Sul volto ha un piccolo sfogo, probabilmente di ansia: sì, è proprio sotto esame.
Mi fa accomodare, offrendomi qualsiasi bevanda possibile: è esagitato e, unita alla grande caffettiera che ora è vuota, mi fa capire che deve aver bevuto tanto caffè e dormito poco.
<< Non stressarti Liam. >> Gli ricordo io, e lui ridacchia.
<< Sono io a farti la paternale. Niall mi ha detto che hai un nuovo amico. >>
<< Sì, sono qui per questo. >> Lo guardo nei begli occhi marroni, tirandomi i vestiti. << Mi serve qualcosa di elegante… >>
Lo vedo per un attimo confuso, mentre la sua fronte si aggrotta e mi fissa: mille domande si stanno facendo avanti, mille ipotesi, il che mi fa divertire. Quasi non gli direi il motivo, probabilmente rimarrebbe in dubbio per giorni, tanto da implorarmi di sapere perché: sì, Liam è curioso, quanto un gatto. Secondo me, il gatto è l’animale più curioso del mondo: ne avevo uno una volta, e mi ricordo che si divertiva ad infiltrarsi in ogni buco possibile. Tubi di scappamento, di riscaldamento e chissà che altro: una volta l’ho trovato dentro alla lavatrice, ringrazio di aver controllato prima di avviarla.
<< Devo andare in un circolo del tennis. >>
<< Ah, ora ho capito! >> Sorride, dandosi un colpetto sulla fronte, prima di farmi strada: l’appartamento è piccolo, poco più di un monolocale, ma è sempre tutto in ordine. Tutto catalogato per la sua perfezione, Liam odia il disordine: quando varca la porta di casa mia, solitamente si porta le mani tra i capelli e prega di non guardare in giro, tanto che lo devo accompagnare per mano nel luogo che desidera.
Mi viene da chiedermi come noi tre, così diversi, siamo così amici: io sono un carattere a me ammetto, sono un casinista e spesso vanitoso. Niall è un micio, sì: è dolce, i suoi occhi ti fanno sciogliere a volte, ed è timido, anche se quando vuole il suo carattere lo tira fuori. Ma è insicuro, troppo: non ne ho mai capito il motivo, perché alla fine lui è perfetto, coi suoi occhi ghiaccio e i suoi capelli di grano d’oro. Liam, poi, è il nostro intermezzo: ha la sua sicurezza ma non è strafottente, oltretutto non si crede chissà che, anzi, è molto modesto. I suoi occhi non mi hanno mai fatto sentire inferiore, probabilmente lo vedrei bene a lavorare come psicologo: riesce a far sentire tranquillo chiunque.
<< E come mai vai in questo circolo? >> Mi chiede, mentre lo vedo affondare nel suo armadio, cercando di estrarre qualcosa che possa andarmi, oltre che adatto.
Arrossisco, anche se non posso vedermi ma lo sento, le guance vanno a fuoco: rimugino un attimo sulla risposta, prima di decidere di aprire il cuore.
Mi butto sul suo letto, fissando il soffitto di un azzurro tenue, sorridendo appena.
<< L’amico di cui ti ha parlato Niall si chiama Harry. È il ragazzo per cui lavora mia madre. Stanotte abbiamo passato la serata fuori, e oggi volevo andare a trovarlo al tennis. >>
<< Uhm, ed è carino? >>
<< Sì >> Sorrido appena e socchiudo gli occhi, cercando di ricordare ogni particolare di lui; non che mi sia difficile. << I suoi occhi sembrano smeraldi incastonati nella pelle adamantina: ha i capelli riccioli e perfetti, come quelli di un angelo, mentre il suo corpo è sinuoso. Sinceramente non ci trovo difetti, anche la sua voce pare melodia. >>
Lo sento rimanere in silenzio: forse ha trovato qualcosa?
Apro gli occhi e guardo verso di lui che ora mi fissa sorridendo come uno stupido: tiene qualcosa in mano, ma non è quello, no.
<< Quindi ti piace. >>
<< Non ho detto questo. >>
<< Infatti lo dico io. >> Mi risponde lui ridacchiando dolcemente, prima di scossare la testa. << Vieni qui, ho trovato qualcosa. >>
Mentre mi vesto, però, penso alle sue parole: piacere. Mi piace? Ma no dai, non può piacermi un uomo: io amo Helena, sì, la desidero con tutto me stesso.
Desidero. Aspetta Zayn, desiderare è diverso da amare: si, perché io voglio il suo corpo, la voglio mia, ma ammettiamolo, non riesco a dialogarci. Non penso che abbiamo mai passato un giorno a parlare senza scambiarci qualche rapporto: no, cosa che con Harry non succederà. Perché, sebbene così diversi, io e lui ci completiamo a vicenda: lui con la sua innocenza, io con la mia sfrontatezza, stiamo insieme e stiamo bene.
Dio, che Liam abbia ragione?
<< Sembri quasi un lord, Zayn! >> Dice lui e guardo la mia immagine allo specchio: non sono io, non sono io quel ragazzo dalla camicia bianca, con sopra un maglione a maniche lunghe e alcune decorazione verde menta. I pantaloni di stoffa beige, mentre le scarpe da ginnastica verde e rosse danno un tocco sportivo al tutto: con così pochi accorgimenti, già posso  essere più ai livelli di Harry.
Liam mi accarezza la testa, mettendo a posto i capelli in un ordine decente, ma ben presto devo lasciare il mio caro amico, con la promessa che gli riporterò tutto appena possibile: ma a lui non interessa, mi dice solo di mandargli per iscritto qualche novità, se ci saranno logicamente. Il fatto che lo dica con quel sorrisetto furbo non mi piace molto.

Dio, questo posto è realmente da snob: guardo la facciata imbiancata perfettamente, mentre il tetto e le finestre rosse come ciliegie spiccano, come anche il nome del club. Sospiro, aprendo piano la porta ed entrando, mentre vedo quell’ammasso di gente impegnata a parlare di chissà che, sorseggiando costose bibite in calici di cristallo: alcuni mi fissano, incuriositi della mia presenza, altri sono troppo impegnati per darmi un’occhiata.
Mi avvicino al banco, guardando l’uomo che mi fissa sospettoso.
<< Cerco il signorino Harry… Harold Edward Styles. >> Annuisco, sperando di non aver sbagliato il nome: ammetto che ho piccoli vuoti di memoria riguardo i nomi.
Lo vedo scorrere un grosso libro, in cui tanti nomi sono fitti, prima di fissarmi.
<< Sono al campo nove. Sta giocando col signorino Tomlinson. >>
Lo ringrazio, avviando verso il numero nove: certo, questo solo dopo che ho capito dove si trovano i numeri.
Tomlinson: che nome curioso, l’ho sentito nominare varie volte, probabilmente la sua famiglia deve essere molto famosa. Guardo tutti quei tipi che giocano, tutti vestiti uguali, come piccoli damerini ridicoli costretti nelle loro vesti: a volte ringrazio di essere nato nei bassifondi.
Non ci metto ancora molto: un piccolo urletto di una voce a me conosciuta mi fa sorridere, mentre vedo in un campo un ragazzino in pantaloncini neri, scarpe bianche e maglia bianca correre qua e là. I bei riccioli sono fermi da una fascia in testa, mentre i muscoli tesi lo fanno diventare ancora più carino.
Ma non è solo lui a colpirmi: il ragazzo che gioca con lui deve essere Tomlinson. Bel fisico atletico, con corti capelli castani e incantevoli occhi come il mare: deve essere più grande di me, probabilmente, ma è affascinante.
Mi appoggio alla rete che separa la strada dal campo da tennis, rimanendo a fissare quel set che pare essere in pareggio: ancora per poco, perché Harry con un rovescio fa punto verso quel tipo e fa un piccolo saltino di vittoria.
<< Complimenti! >> Dico, a voce alta: ora lo vedo immobilizzarsi e girarsi lentamente verso di me, mentre sul bel viso sudato un largo sorriso nasce.
Butta la racchetta a terra, correndo verso di me, mentre esce con agilità dalla porta: mi abbraccia, ma forse sono io a farlo, perché è tale la forza che i suoi piedi ben presto non toccano più terra.
<< Sono sudato…! >>
<< Sei bellissimo. >> Sussurro al suo orecchio e lo sento bloccarsi, mentre le sue braccia si stringono a me, e io ispiro l’odore di lui: poche ore distanti e già mi mancava, che cosa strana.
Ma no, qualcosa non va: guardo oltre di lui e quel tipo ci fissa. I suoi occhi mi sfidano, lo sento, mentre lo vedo con la mascella contratta e gli occhi stretti, in una fessura: la mia mano si stringe intorno al fianco di Harry, e la sua racchetta colpisce terra, prima di avvicinarsi a noi a passo svelto.
Lascio il più piccolo, tenendo un braccio attorno alla sua vita, puntando l’altro verso il tipo, perché non si avvicini troppo. Lui sorride.
<< E questo vagabondo chi è? >> La sua voce ora pare strafottente, forse pure più della mia.
<< Non è un vagabondo, Louis… >>
<< E tu chi sei? >> Domando io, senza farmi intimidire da quel Louis.
Lui mi squadra, ogni parte di me prende fuoco, perché so cosa intende dire con quegli occhi: mi vuol far sentire di troppo, ma qui è solo lui ad infastidire.
Alle spalle di Harry, lo vedo farmi uno strano gesto: vattene vuol dire, lo so benissimo, mentre allunga una delle sue sporche mani nobiliari a lui. Scosso la testa, spostando Harry dietro di me.
<< Che diavolo fai, sporco straniero? >> Dice, ora ringhiando, come un cane ferito.
Questa no, non te la lascio passare: tutto si può dire di me, ma non offendere questo. È come offendere la mia gente, la mia famiglia: il maglione di Liam farà una brutta fine.
Alzo le maniche, arrotolandole intorno al bicipite e mi avvicino a lui, che ora mi da le spalle: lo prendo per una spalla e velocemente lo faccio girare, mentre un gancio destro gli colpisce la guancia, facendolo vacillare pericolosamente.
<< Chi è lo sporco straniero? >> Gli urlo, e probabilmente lo massacrerei, se Harry non si parasse davanti a me: ma poco posso fare, perché Louis risponde al mio colpo con un altro pugno, che fa centro sulla testa del più piccolo.
Lo vedo vacillare, mentre si tiene la testa con le mani e rimugina di dolore: lo prendo al volo, abbracciandolo, mentre lo faccio accomodare a terra. Louis sa cosa succederà a breve: torno verso di lui, e stavolta i pugni volano a raffica. Faccio centro due volte sul suo stomaco, tanto da farlo sputare qualche goccia di sangue, ma uno dei suoi ganci mi colpisce il vento, facendomi mordere brutalmente la lingua: il gusto ferroso del sangue mi occupa la bocca, ma ben presto lo sputo a terra. Lo massacrerei, se non sentissi un singulto alle mie spalle: Harry piange, e la gente si sta avvicinando per controllare.
Poco mi interessa di quell’idiota che mi minaccia di denuncia, ma mi avvicino alla piccola creatura, prendendola in braccio, portandola verso l’uscita del circolo: si è accoccolato, come un piccolo cucciolo di gatto a me, e lo sento tranquillizzarsi, mentre porto entrambi a sedere sotto un albero di Hyde Park. Qui lo appoggio lì contro, e gli alzo il volto, per controllare se si è gonfiato o altro: il suo viso è rimasto perfetto, ma non è così per me.
<< Che hai fatto… >> Sussurra, toccandomi il labbro che si è leggermente gonfiato: io avrò qualche segno interno, ma quel Louis è praticamente inguardabile.
<< Perché? >>
<< Lui… ti denuncerà… sono ricchi i suoi… >>
<< Nessuno ti può toccare oltre a me, Harry. >> Dico, ora con voce ferma, mentre i suoi occhi diventano luccicanti, prima di buttarsi a capofitto tra le mie braccia: sono pronto a riceverlo, e mi sdraio all’ombra di quell’albero, con la creaturina su di me.
<< Sei bellissimo… stai benissimo volevo dire così. >>
<< Anche tu. >> Gli accarezzo i capelli, tenendo gli occhi chiusi, mentre le sue labbra si appoggiano sul mio collo.
<< Hai uno strano odore… di chi è? >> Gli sento sussurrare, mentre i suoi occhi probabilmente si stanno riempendo di lacrime: qualcosa rischia di spezzarsi.
<< Di nessuno di importante. Intanto ora odoro di te. >> In effetti non è nulla lei, in confronto a lui: perché il mio cuore ora batte, e non me ne interessa se avrò una denuncia, perché averlo tra le mie braccia è la cosa più bella del mondo.
Sposto il volto verso di lui, e vedo che mi sta fissando: so cosa aspetta, e non manca molto, perché le nostre labbra si poggino l’una sull’altra. Nient’altro, se non che lo spingo sotto di me, salendogli poi addosso: mi tengo alzato con le braccia per non schiacciarlo, rimanendo con le labbra incollate ma nient’altro, non è ancora il momento.
Quando abbiamo finito lui mi sorride dolcemente, mentre appoggio la testa al petto, e l’aria di primavera ci accompagna in questo magnifico sonno.

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Capitolo 8
*** And you pray that everything will be okay ***


And you pray that everything will be okay
And you pray that everything will be okay

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~HarryWord


<< Merda… >> Lo sento sussurrare, mentre vedo il suo labbro iniziare nuovamente a sanguinare: sospiro, prendendo un fazzolettino da dentro un cassetto, tamponando sopra quella ferita. È incredibile, per quanto se le siano date forti, lui ha solo questo taglio al labbro e qualche livido sulle braccia e il petto: Louis era massacrato, perché non può vincere contro Zayn.
Lo vedo sorridere appena mentre compio quell’azione e ben presto mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe, mentre i nostri petti vicini si attirano: le sue mani si poggiando sui miei fianchi, e io continuo nella mia opera di guarigione.
<< Tua madre se ne accorgerà. >> So già che Tricia probabilmente capirà il motivo per cui lui è ridotto in tale maniera: dio, quella donna saprà già tutto, e se non mi permettesse più di vederlo? No, non è questo il momento, non ora che ci siamo trovati.
<< E quindi? >> Risponde lui, mentre le sue labbra si incurvano in un sorriso sexy. << Penserà che sia un’altra delle mie discussioni: Liam mi terrà la parte. >>
<< Liam? >> Dico, con una punta di gelosia forse, pensando che il suo nome ancora non era mai apparso nei suoi discorsi.
Ammetto di esagerare, perché lui non è mio e non posso essere geloso di tutti i suoi amici, che probabilmente sono troppi: ma voglio almeno sapere con chi devo scontrarmi.
<< Sì. È un po’ il mio fratellone, insieme a Niall sono le persone a cui tengo di più. >> La sua risposta mi fa tranquillizzare e lui probabilmente lo capisce, perché ridacchia dolcemente, prima di baciarmi la mano che è ancora sul suo viso: questo gesto mi fa arrossire, forse perché il suo viso è diventato dolce come non mai e i suoi occhi mi fissano, come per mangiarmi.

Ben presto però se ne deve andare: giustamente ha anche lui i suoi affari. Lo accompagno alla finestra, mentre sale sul balcone rapido come una scimmia e mi guarda.
<< Probabilmente non potrò più venire da te liberamente. Non farti portare via il telefono. >> Mi guarda negli occhi severamente, mentre stringo a me quel piccolo oggetto: neanche minacciandomi mi verrà portato via. << Appena le acque saranno tranquille, ti chiamerò. >> Sussurra, tirandomi a se: le sue labbra si incontrano nuovamente con le mie, mentre timidamente la sua lingua le accarezza, facendomele dischiudere con dolcezza. La mano scende fino al centro della schiena, stringendomi a se, mentre le nostre lingue intraprendono un gioco sensuale e continuo, cercandosi e trovandosi per un tempo infinito.
Quando poi si stacca, mi sorride ancora, mentre vedo la sua bella pelle saltare giù rapidamente dal mio tetto: cammina a passo svelto nel grande giardino, guardandosi in giro e poi va alla cancellata, scavalcandola fino a mettersi in salvo.
Ora che sono tranquillo, torno sul mio letto e mi stendo: mia madre è stata avvertita della lotta al campo e ora sta tornando velocemente a casa dal lavoro. So che è una trappola, perché non è preoccupata per me, ma bensì della figura e dell’idea che posso aver dato al circolo: il frequentare Zayn non è visto di buon occhio. Probabilmente se io fossi con Louis, mia madre lo preferirebbe: certo, non quello che vuole lui, ma la nostra amicizia sarebbe vista normale, perché siamo due borghesi.
Ma lui no, perché lui ha la colpa di avere del sangue non inglese, o almeno, non completamente: vive nei bassi fondi, quindi è un delinquente, quando non capiscono che Louis lo è molto di più. Zayn mi ha protetto buttandosi in mezzo, lui mi ha ferito.
Dio, ammetto che due persone che fanno a lotta per te è eccitante: oltretutto, vedere il corpo magrolino di Louis a confronto con quello più temprato di Zayn mi… quasi mi vergogno a dirlo, ma mi ha eccitato. Anche il fatto del labbro di lui mi è piaciuto, perché quel sangue che scendeva gli davano tanto l’aria da cattivo ragazzo: sembro una di quelle ragazzine che guardano i film d’azione solo per il protagonista figo.
La porta poco dopo si spalanca, mentre mia madre entra: mi si avvicina e mi colpisce con uno schiaffo sonoro sulla guancia, che ben presto inizia a bruciarmi. La stringo con ambedue le mani, mentre lei fa cadere a terra qualcosa dal letto: la sua giacca.
<< Cosa vuol dire che quello Zayn era venuto al campo? >> Mi urla, prima di tirarmi un altro schiaffo sul volto, peggiorando solo il dolore.
Sinceramente, nulla fa più male del cuore ora, perché so che nulla finirà così facilmente. Perché Louis è cattivo, e farà tutto per portare male a me e a lui.
Dio, me lo porterà via.
<< I Tomlinson hanno detto che, se dirai dove si trova il ragazzo, non faranno causa a te. >>
<< E a lui? >>
<< NON è questo il tuo pensiero ora! >> Urla, ma mi riparo prontamente prima della prossima contusione: Tricia sbircia dalla porta e io la vedo, mentre dal suo occhio scende una lacrima. No, non fare così, tuo figlio mi ha salvato…
<< Non lo dirò! >> Le urlo, alzandomi in piedi, mentre la vedo sconvolta. << Perché mi ha salvato lui, Louis mi ha colpito! >>
<< Lui gli ha spaccato la faccia! >>
<< Ed ha fatto bene!! >> Urlo con tutta la voce che ho, sentendo le gambe iniziare a tremare, e la voce ben presto gli fa compagnia: gli occhi si sono riempiti di lacrime mentre la vedo borbottare e andarsene malevolmente dalla mia stanza. Quando è fuori, la sento urlare il nome di Tricia.
Voglio solo essere felice, ora.

Una lunga settimana è passata, ma l’apocalisse sarebbe stato meglio: Tricia è stata licenziata, e non ho più sentito Zayn. L’ho provato a chiamare ma il telefono risultava spento, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto: il cuore oramai si è distrutto, in tante, troppe parti.
È venuto Louis ha trovarmi, mi ha baciato, ed io ho risposto: perché così avrebbe lasciato in pace il mio Zayn, sì. Non volevo, le sue labbra da stupido borghese non erano confrontabili a quelle di lui, ma forse ora lo lascerà in pace: non mi interessa, so solo che essere tra le sue braccia ora mi fa male. Perché sento di aver tradito Zayn, perché sento di sbagliare tutto: lo voglio, ora.
Sento il telefono suonare: spalanco gli occhi, fissandolo e lo afferro con rapidità, rispondendo.
<< Pronto? >> Dico, con rapidità: il cuore sta quasi per esplodere, mentre tremo con l’apparecchio tra le mani.
“ Harry? “ Sento dire da una voce a me sconosciuta: è di un ragazzo, possente e sicura ma anche dolce e confortante. Tutto il mio mondo si è nuovamente distrutto, ogni mia speranza vana è sparita…
<< Sì, sono io .>> Disco sconsolato, mentre sento la mano di quel porco accarezzarmi la schiena.
“ Sono Liam. “ Dice poi lui, e la mia mente subito vaga: Liam, l’amico di Zayn! Sì, quel tipo da cui era andato prima… prima del fatidico giorno.
<< Ah sì ciao! Dimmi, problemi con la scuola? >> Fortunatamente ho capito che non è uno stolto: rimane per un attimo in silenzio, per capire.
“ No, non va nulla bene. È arrivata la polizia e lo hanno arrestato per istigazione alla violenza e per l’erba che aveva a casa. “ A quella frase, inizio a cadere in panico e rimango immobile, immaginandomi la scena, mentre il mio cuore si spezza: è tutta colpa mia, solo e soltanto mia.
“ Devi darmi dei soldi per la cauzione, Harry. Tra me e Niall non ci riusciamo ad arrivare. “ Continua lui e io so che è il minimo: annuisco con convinzione.
<< Certo, passo ora a portarti i compiti. >> Dico io, mentre lui mi da un indirizzo: è poco fuori dal Brixton.
“ Niall passerà da casa tua e ti accompagnerà. Tu seguilo da lontano. ” Dice ancora, prima di riattaccare il telefono: mi stacco da Louis e mi alzo, cambiandomi, spiegandogli che purtroppo un amico ha bisogno dei miei compiti e fortunatamente non è tanto intelligente da capire che è solo una stupidaggine.
Metto una semplice maglia a mezze maniche nere e dei pantaloni chiari, prima di prendere tutto quello che mi serve e scendere con Louis: il mio passo è frettoloso e lo trascino praticamente fuori, dove lo aspetta la sua mini. Poco lontano, un biondo col cappello, gli occhiali e una canotta mi guarda per un attimo: lo riconoscerei lontano un miglio Niall Horan. È lui: saluto Louis con un bacio e vado da lui, il cui sguardo è completamente schifato, prima di spostarlo su Louis, rimanendo a fissarlo per almeno dieci minuti. Quando arrivo da lui lo scuoto.
<< Andiamo… >>
<< Quindi ora stai con lui. >> Dice freddamente.
<< Aspetta… l’ho dovuto fare. >> Lo guardo, sospirando. << Avrebbe combinato ancora di peggio se non accettavo le sue avance. >> Sussurro, quasi vergognandomi, mentre la sua mano stringe la mia, iniziando a camminare: non gli importa tanto, forse mi ha creduto, ma vedo che vuole muoversi.

Quando siamo arrivati all’indirizzo, un ragazzo dai corti capelli color miele e gli occhi nocciola ci aspettava: un bel ragazzo dall’aspetto distinto e adulto. Liam, immagino.
<< Sei Harold, immagino. >> Dice con voce sicura, e ciò mi fa capire che sì, è lui.
Annuisco appena, sussurrando che preferisco Harry: prendo poi il portafoglio, estraendo un grosso malloppo di soldi, arrotolati, che ben presto lui si mette a contare.
<< Possono bastare? >> Chiedo speranzoso, e i suoi occhi si fanno un attimo seri, come se stesse calcolando tutto.
<< Sì, unendoli ai nostri sì. >> Dice poi, prima di farci salire su una vecchia Mini di parecchi anni fa: sporca qua e là, al suo interno i sedili sono leggermente rovinati.
Ma poco importa, perché ben presto partiamo: il suo piede pigia l’acceleratore indistintamente, e Niall non fa una piega, ma io che sono abituato ad un autista che guida su strade tranquille ciò non lo trovo calmo. Mi aggrappo ad un lato della maniglia e lo vedo sospirare.
<< Scusa ma siamo di corsa. >>
<< Da quanto è in prigione? >> Domando io, cercando di riprendermi dall’ultima curva.
<< Praticamente da quando vi siete salutati. È stato trovato poco lontano da casa tua. >> Dice Niall, fissandomi dallo specchietto retrovisore con cattiveria, come se fosse colpa mia.
E diavolo, lo è eccome, perché sono stato io a farlo venire. Perché se non mi avesse conosciuto, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto diavolo.
<< E poi si bacia pure con quello stronzo che lo ha mandato in carcere. >> Se ne esce poco dopo, mentre faccio un piccolo salto, incastrandomi tra i due sedili davanti, per vedere Niall negli occhi. << Zayn diceva che eri diverso, ma per me sei uguale ad Helena. Ma lei almeno non era una finta santa. >>
<< Helena? >> Chiedo, con la voce tremante, mentre vedo Liam fissare per un attimo l’irlandese.
<< Era l’ex di Zayn. Ci stava insieme quando vi siete conosciuti. >> Dice semplicemente. << Ma dimmi, ti interessa qualcosa di lui oppure te la fai anche con quell’altro? >>
<< Diavolo no, ma lui ha minacciato di fare del male alla famiglia di Zayn… >> Dico, con voce bassa e rotta, chiedendomi perché mai non possa avere fortuna in nulla.
Ma non possiamo continuare, perché il grande carcere si staglia davanti a noi: scendiamo con enfasi da quella macchina oramai vecchia e corriamo a pagare quella stupida cauzione.
Dei poliziotti annuiscono e li vediamo andare nel grande corridoio oscuro, mentre poco dopo, con la paura di tutti, lo vedo apparire: ha una vecchia maglia grigia e un paio di pantaloni neri, mentre vedo il suo labbro oramai cicatrizzato e gli occhi stanchi. Ha avuto paura, sento l’odore fino a qua: ma non me ne interessa, perché corro da lui che, appena è libero, mi si butta praticamente tra le braccia. Rimango esterrefatto, non ricordandomi tale comportamento mai e lo stringo a me con un gran sorriso, mentre lo sento affondare il volto nella mia spalla. Trema, come un bambino, e forse una piccola lacrima scende: mi stritola quasi, ma non me ne interessa.
<< Stai bene? >> Mi sussurra con una voce debole e stanca, mentre rimango sconvolto: lui che chiede a me se sto bene?
<< Io sì… ma sei tu che… >>
<< Ha detto che ti avrebbe fatto del male e che me ne sarei pentito. >>
<< Zayn… >>
<< Non è ancora finita, me lo ha promesso. >> Dice, ma sento il sorriso nascere sul suo volto mentre lo alza e ben presto incontra le mie labbra. Un bacio passionale, romantico, voluto e atteso troppo: le sue mani percorrono il mio corpo e mi stringono a se, mentre lo sento alzarmi leggermente da terra. << MA se tu ora sei qui, non potrà fare nulla. >> Sussurra poi, mentre appoggiamo la fronte l’una contro l’altra, e mi perdo nei suoi occhi come il catrame, che già troppo amo.
Oh no Zayn, non è finita, perché Louis farà di peggio, me lo sento.

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Capitolo 9
*** Tell me a lie ***


Tell me a lie
Tell me a lie

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~ZaynWord


Liam deve realmente cambiare la macchina: penso questo mentre rimango poggiato ad Harry nel viaggio verso casa. Il mio “fratellone” ha trovato giusto portarmi a casa mia, perché la madre è preoccupata: ammetto infatti di essere stato arrestato probabilmente pochi secondi dopo essere uscito dalla cancellata di casa Styles, lei neanche sapeva nulla.
Mi chiedo che pensieri si sarà fatta su di me: forse ha pensato che fossi entrato in chissà che circolo, oppure che io abbia ucciso qualcuno. Ma non è lei che mi preoccupa, no, ma mio padre: lui chissà che starà pensando di me, probabilmente al peggio. È stato in carcere più volte, perché aveva ucciso per proteggersi dalle rapine: ciò che mi ha raccontato è vero, è stata la settimana più lunga della mia vita.
Harry mi sposta i capelli dalla fronte, dove vede alcuni segni rialzati: lividi che oramai non hanno più colore, come quelli sulle braccia.
<< Che ti è successo? >>
<< Alcune discussioni coi tipi in cella con me. >> Dico, sdraiandomi su un fianco, lasciando la testa poggiata sulle sue belle gambe: ora che lo vedo da questa prospettiva, mi sembra ancora più angelico di prima.
Ammetto che non è stato semplice, per niente. Quando sono saltato fuori dalle cancellate, due uomini in divisa mi si sono avvicinati: i loro occhi già mi studiavano, mentre vedevo delle manette pendere dalle mani di quello più giovane e agile. Avevano passo sicuro e svelto mentre mi puntavano con una mano.
<< Ehy, ragazzino! >> Mi urlarono, e inconsciamente, dentro di me, già sapevo perché: quel bastardo di Tomlinson probabilmente aveva già avvertito la polizia, che ora immaginava fossi da Harry.
Li guardai per qualche attimo, prima di iniziare a correre dalla parte opposta: sentivo i loro urli dietro di me, mentre i passi si facevano svelti. Per quanto io sia più giovane, la discussione con Louis mi aveva stancato, e alcuni lividi sulle gambe iniziavano a dolermi: mentre mi infilavo nei vicoli da me conosciuti, loro sembravano aumentare la loro velocità, avvicinandomisi a grandi falcate. Sapevo benissimo che non sarei riuscito a sfuggirgli, e presi il telefono, mandando un messaggio a Niall: scrissi quello che stava succedendo, e di tornare a prendere il mio telefono in quel piccolo vicoletto. Avrebbe dovuto mandare un messaggio ad Harry, scrivendogli di stare attento, ma pare che non l’abbia fatto.
Sia il caso, ben presto una mano si arpionò alla mia spalla dolente: mi sbatté con forza al muro e, dopo alcune percosse, sentii intorno ai miei polsi stringersi con forza del metallo che era freddo come il ghiaccio. Li guardavo, quei due uomini divertiti, che mi fissavano d’in piedi, mentre le mie ginocchia poggiavano debolmente sul terreno ruvido: parlavano tra loro.
<< Ti dovevi arrendere subito, non saresti riuscito a sfuggirci. >> Mi disse poi il più vecchio, mentre mi alzavano malamente, chiamando una pattuglia nei paraggi.
Essere caricato su quella macchina mi fece male: vedevo la gente fissarmi, applaudire a quegli uomini, che intanto mi avevano malmenato cattivamente, forse per le mie origini, o solo per divertimento. Avevo ogni arto del corpo dolorante. E lo sguardo della gente mi faceva male: sentivo dire frasi come “guarda, un altro di quegli stranieri, chissà che diavolo avrà combinato” o comunque altre frasi razziste. Mi sentivo male, tanto che svenni in macchina.
Quando mi ripresi, ero dentro ad una stanza: non era grande, avevo ancora le mani ammanettate dietro le spalle e sedevo su una semplice sedia, mentre d’innanzi a me vi era solo un tavolo. Nessun rumore ne altro: quel silenzio mi faceva solo pensare al dolore che avevo in tutto il corpo, e nel cuore. Pensavo ad Harry, mi preoccupavo per altri, e forse era la prima volta nella mia vita: perché lui era debole, lui probabilmente era impaurito ora, e io lo lasciavo solo.
Ma tutto ciò non durò molto: la piccola porta, unico segno di collegamento di quella stanza grigia con l’esterno, si aprì, e vi entrò Louis. Il suo volto era tumefatto, alcuni segni rigonfiavano quei tratti delicati e principeschi e lo vedevo trascinare leggermente una gamba, forse dolorante. Da una parte sentivo gioia nel vederlo ridotto così, ma dall’altro sapevo benissimo che la sua presenza era un pericolo.
Mi si avvicinò con passo sicuro, mentre sul volto un piccolo sorriso si faceva largo mentre mi alzava il viso con due dita sotto il mento: dio, i suoi occhi erano cattivi, come mai ho visto quelli di qualcuno prima d’ora.
<< Alla fine ho vinto io, pare. >> Sibilò, mentre mi colpiva con un pugno sul mento, e sentivo nuovamente il sapore del ferro in bocca, che questa voltai ingoiai. << Cos’è, ti hanno tagliato la lingua, Zayn Jawadd Malik? >> Il sentire il mio nome completo in bocca a lui mi fece tremare: se sapeva tutto quello, voleva dire che avrebbe trovato facilmente la mia abitazione, e così la mia famiglia.
Ma forse il suo sorriso mostrava che già aveva trovato tutto.
<< Che diavolo vuoi, Tomlinson? >> Risposi poco dopo, mentre i miei occhi fissavano la sua mano, che ben presto mi colpì violentemente lo stomaco: mi chiesi quanto diavolo avesse pagato perché la polizia lo lasciasse trattare così malamente un detenuto.
Probabilmente poco, perché noi siamo solo carne da macello.
<< Sei stato arrestato per spaccio e per istigazione alla violenza. >>
<< Spaccio? >> Dissi, rizzandomi sulla sedia, mentre il suo sorriso si trasforma in una fastidiosa risata crudele.
Ricollegai tutto: la polizia doveva essere entrata in casa mia e aver trovato l’erba mia e di Helena. Anche se era in quantità minime, probabilmente era un’ottima scusa per aggiungere un campo di accusa alla mia pena: lo spaccio era punito regolarmente, ma l’aver picchiato un ricco era peggio.
<< Comunque tranquillo, mi prenderò cura io delle tue sorelline. >> Sussurrò cattivamente, mentre sentivo le manette stringersi ai polsi: cercavo di tirarle, per distruggerle, ma non ci riuscivo. << Come anche di Harry. >>
<< Che diavolo vuoi da lui? >>
<< Il suo corpo, che domande. >> Mi rispose, mentre un forte calcio mi colpiva malamente la mascella oramai dolorante: un piccolo singulto mi uscì, ma non avrei fatto altro, per non soddisfarlo. << Desidero quel corpo magro e delicato da anni… >>
<< Non gli metterai le tue sporche mani addosso, porco. >> Lo guardai negli occhi, e probabilmente il suo piccolo tremolio era per la paura: ora ero legato in quel punto, ma nessuno mi avrebbe fermato quando sarei stato libero. << Perché lui è mio, di te poco gli importa. >>
<< Vedrai che vincerò io, Malik. >> Disse: un ultimo pugno sulle costole, incrinandone una almeno, prima di vedere la sua figura uscire da lì.
Ora tremavo, perché la sua frase era vera: per quanto volessi proteggerlo, chissà quando sarei uscito da quel posto.

Ma non era ancora finito, il peggio arrivò poco dopo. Quando fui portato nella mia cella, ebbi la sorpresa peggiore: al suo interno, un altro ragazzo mi guardò. I suoi occhi erano freddi, di un azzurro glaciale, mentre i corti capelli castani mostravano la cicatrice sull’occhio destro, che glielo facevano tenere socchiuso: i muscoli erano sottolineati dalla maglia stretta e a maniche corte che indossava, mentre le gambe fasciate dai pantaloni.
Dio, in quel momento ebbi un tuffo al cuore: Louis doveva avermi studiato, perché, per quanti nemici avessi, nessuno era peggio di William.
William Horca Logan era sempre stato mio avversario: vicini di casa fin dalla nascita, tutte le scuole le abbiamo fatte insieme. Se io ero caffè, lui era latte: niente ci accumunava, se non la voglia di comandare. Discussioni da ragazzini ci accompagnarono per anni, ma solo l’ultimo sgarro mio lo fece realmente arrabbiare: come già ho detto, Helena è molto bella, e non ne ero l’unico innamorato. Che William ci provasse lo sapevamo tutti: ogni mattina si faceva trovare sotto casa di lei, con un mazzo di fiori, un biglietto o altri regali. Se ne era innamorato, ma lei non ne era interessata, lo vedevamo tutti.
Decisi allora di dargli il colpo di grazia: quel giorno nel negozio di cd decisi di provarci, e ben presto Helena era mia. William non me la perdonò: una notte entrò in casa mia e cerco di accoltellarmi, ma non vi riuscì e tutto ciò era ricordato dalla cicatrice che gli feci col suo stesso coltello. Venne messo in prigione per tentato omicidio, e ora dividevamo la cella.
La settimana l’abbiamo passata a guerrigliare: colpi bassi, attacchi nel pieno della notte, violenza fisica non poca, e chissà che altro. Neanche lo ricordo, a volte i suoi colpi erano talmente potenti che mi addormentavo e mi svegliavo solo qualche ora dopo: il corpo era addolorato, distrutto e la mente oramai non funzionava più.
Soltanto tre giorni dopo che ero lì, ebbi buone notizie: mi aspettava un ragazzo per parlarmi. Liam era lì, seduto dall’altra parte di quel telefono e di quel vetro, che già mi fissava impaurito dai segni dolorosi sul mio corpo.
<< Che succede? >> Sussurrò, e io gli raccontai tutto: i suoi occhi erano prima impauriti, poi sempre più sconvolti, e quando sentii quel nome, gli scappò un piccolo urlo, che riportò lo sguardo di tutte le persone nella stanza su di noi. << William? >>
<< Sì. >> Dissi semplicemente, mentre i nostri s’incontravano.
<< Stiamo raccogliendo i soldi per la tua cauzione. >>
<< Avete sentito Harry? >> Chiesi, poco interessandomi della mia situazione: erano giorni che pensavo al principe dagli occhi smeraldo, e mi chiedevo come stava.
Liam rimase in silenzio, probabilmente mi stava dando dell’idiota, e forse aveva ragione.

<< Siamo arrivati. >> Dice ora, mentre mi scrolla dal quel mio ripercorrere l’ultima settimana: sorrido appena, alzandomi da quella posizione comoda, mentre usciamo dalla vecchia macchina, con Harry al mio fianco.
Sulla porta di casa, non rimango stranito nel vedere mio padre, con indosso un grembiule bianco e una sigaretta tra le labbra: ci assomigliamo molto, lui è poco più alto di me e più massiccio, ma gli occhi catrame e i capelli pece li ho presi da lui.
Mi guarda, con sguardo severo, mentre serra le labbra intorno alla piccola sigaretta: ci avviciniamo a lui e lo saluto appena, prima di superarlo, accompagnato dal resto della comitiva. Quando siamo dentro, capisco cosa diavolo sia successo: la casa è ancora messa a soqquadro, molta roba distrutta a terra, e alcune cose di valore, le uniche che avevamo, sono mancanti. Louis. È colpa sua.
Dentro di me una rabbia potente si fa strada: mi sale fino alla gola e si sfogherebbe, se l’abbraccio prima e lo schiaffo poi di mia madre non mi colpissero in pochi secondi. La guardo, qui davanti a me, mentre i suoi capelli hanno qualche filo bianco e la sua pelle pare invecchiata più velocemente in questa settimana che in diciotto anni della mia vita: i suoi occhi sono addolorati, mentre mi fissa, con disperazione e compassione. È uno strano sentimento, ma mi fa più male il suo sguardo che il dolore dello schiaffo.
<< Che diavolo hai combinato, Jawadd? >> Mi urla e capisco la sua ira: non mi chiama mai così, se non quando è realmente arrabbiata.
<< È stata colpa mia Tricia, lui mi ha solo protetto! >> Dice Harry prima di me, inchinandosi davanti a lei, mentre unisce le mani in segno di scusa. << Louis ha cercato di colpirmi e lui si è messo in mezzo, credimi! >> La prega, continuando a rimanere in quella posizione, mentre lo tiro in piedi, abbracciandolo a me con forza: le sue mani si stringono intorno al mio collo, e lo sguardo di mia madre oltre lui mi fa capire che ha già intuito più di quello che abbia mai fatto.
<< In ogni caso, che è successo qui? >> Chiedo io, tenendo ancora Harry in quel modo, deciso a non lasciarlo andare per un po’.
<< La polizia è venuta ed ha buttato tutto così. >> Sento dire da mio madre, alle mie spalle. << Noto che hai combinato un altro dei tuoi guai. >> Ora la sua voce non è ne di rimprovero ne altro: è solo un affermazione, e ammetto che ha ragione.
<< Vai a cambiarti, Zayn. >> Sussurra mia madre poco dopo, sospirando. << Dopo potrai parlare finché vuoi. >>
Annuisco appena, sentendo quegli abiti consunti oramai fastidiosi: lascio andare Styles poco dopo, lasciandogli un bacio leggero sulle guancia, sussurrandogli di aspettarmi un attimo fuori con gli altri, prima di salire di sopra.
La mia camera è praticamente a pezzi: nulla è rimasto intatto, ne i quadri di quando ero piccolo, ne i miei giocattoli, ne il letto. Hanno distrutto tutto, tutta la mia vita, i miei sogni: anche il vecchio piano che era qui, oramai è inesistente. Il cuore per un attimo si ferma e gli occhi si riempiono di lacrime, mente indosso una maglia semplice bianca, con sopra una camicia di jeans lasciata aperta e un paio di jeans rovinati qua e là: arrotolo le maniche della camicia e torno di sotto, uscendo, dove il mio bel Harry mi aspetta, con un paio di jeans neri e una maglia bianca. È sexy, non lo ricordavo così bello: affianco a lui Liam e Niall mi fissano e si allontanano, per lasciarci soli, mentre mi avvicino a lui per baciarlo.
Lui mi ferma però, parando una mano tra le nostre labbra.
<< Dobbiamo parlare. >> Sussurra, mentre i suoi occhi verdi si fanno mesti: lo prendo per mano, portandolo in un posto tranquillo, dove ci possiamo poggiare su una rete metallica.
È nervoso, giocherella con un ciondolo al collo, mentre pensa alle parole da dirmi: io sorrido, tranquillizzandolo poco dopo.
<< Non mi arrabbierò, l’importante è che tu sei qui. >> Gli sussurro, prima di appoggiarmi su di lui, stringendolo tra me e la rete: lui sorride, baciandomi a fondo, mentre le sue mani si insinuano nelle tasche dei miei pantaloni, tirandomi a se. È strano, sembra che voglia baciarmi a lungo, per la paura di non potermi più avere.
Poco dopo infatti mi appoggio affianco a lui, guardandolo: inizia a fissare nel vuoto, parlando a vanvera.
<< Io e Louis stiamo insieme. >> Possibile che cinque parole possano distruggere un uomo? << Ho dovuto farlo, perché altrimenti avrebbe fatto del male alla tua famiglia, e Louis lo avrebbe fatto. Non lo voglio, dio, ogni volta che quelle sue maledette mani si appoggiano su di me ho un dolore immenso qui. >> Dice, poggiandosi la mano sul petto, all’altezza del cuore. << Perché voglio che siano le tue, solo le tue. >>
<< Harry, hai fatto l’unica cosa sbagliata. >> Gli rispondo poco dopo, guardandolo, mentre le sue lacrime non riescono ad impietosirmi, non stavolta.
<< Ma Zayn… >>
<< Ma Zayn? >> Dico, imitando la sua voce. << Cosa? Dovrei sopportare questo ennesimo tradimento? >> La mia voce si alza di qualche tono, i miei occhi diventano arrabbiati. << Dio, mi aspettavo tutto, ma non questo. >>
Me ne sto per andare, ma la sua mano si stringe intorno al mio polso. Rimaniamo in quel modo, mentre il mio cervello elabora il tutto: lo ha fatto per me, non aveva scelta, alla fine…
<< Cosa è suo di te? >> Sussurro poco dopo, mentre una morsa mi cattura il cuore: qualcosa di doloroso, di fastidioso, che mi fa diventare debole.
Rimane in silenzio, qualcosa che mi tormenta l’animo.
<< Eravamo quasi andati a letto insieme, ma non l’ho soddisfatto nei preliminari, quindi si è stancato e fermato… >>
<< Almeno qualcosa di buono lo ha fatto. >> Sussurro tra me e me, pensando che non posso colpevolizzare del tutto Harry: ma neanche perdonarlo, perché non me la sento, ora. << Non posso dirti che è tutto ok, perché non lo è: mi fa male sapere queste cose, avrei preferito che me le avesti detto immediatamente. >> Mi giro, guardandolo negli occhi. << Ma nel frattempo non posso neanche colpevolizzarti a pieno, perché tu non vuoi, o almeno spero. >>
<< No che non lo voglio… >>
<< Ma devi darmi tempo perché mi passi tutto. >> Lui annuisce, mentre mi si avvicina, poggiandosi tra le mie braccia: inizialmente rimango sulle mie, ma poi lo stringo debolmente, mentre una lacrima scende dai miei occhi.
Louis William Tomlinson me la pagherai. Per tutto.

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Capitolo 10
*** He'll only break you, leave you torn apart ***


He'll only break you, leave you torn apart
He'll only break you, leave you torn apart

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~HarryWord

È stato difficile staccarmi dal suo corpo, dal suo abbraccio: non fisicamente, perché era quasi disgustato di abbracciarmi. Era lì, con le sue braccia attorno a me, ma con la testa da altre parti: forse stava immaginando le orribili cose che abbiamo fatto con Louis, probabilmente esagerava in ogni suo pensiero.
O forse stava pensando a questi pochi giorni, ma lunghi, passati in carcere: non vuole dire che è successo, forse perché farebbe soffrire tutti, ma un giorno sarà sincero, con me.
Lo guardo per un ultima volta lì, sulla porta, prima di iniziare nuovamente ad allontanarmi a passo incerto e triste, chiedendomi quando lo rivedrò.
<< Ho bisogno di pensare. >> Mi ha detto non molto fa, mentre i suoi occhi erano freddi e il mio cuore andava miseramente in frantumi. << Non so cosa farò, Harold. Perché so che non lo hai fatto intenzionalmente, però ti sento sporco. >>
Dio, quella parola mi ha fatto male: perché è ciò che sono, sono proprio così. Mi sono lasciato nelle mani di Louis, anche se in buona fede.
Smettila di mentire, Styles.
Sì, perché sono un bugiardo, perché non mi è dispiaciuto: mi faccio schifo, troppe volte mi sono sentito orribile, ma mai così. Non che mi piace lui, ammettiamolo, ma le sue attenzioni: era così dolce, mentre con le mani percorreva il mio corpo nudo e glabro. Ogni tanto tremavo di piacere, e nel contempo mi schifavo.
Lui e Zayn sono l’opposto: le mani di Zayn, quando mi toccano, lo fanno in maniera sporca e quasi violenta, perché nel suo cuore batte la forza della passione e del desiderio. Opposto a lui vi è Louis, i cui gesti sono sempre gentili e dolci: ha l’animo da principe in effetti, questo devo darglielo come pregio. Ma è strano, perché lui mi vuole solo usare, e lo so: Zayn prova altro per me, come anche io per lui ma… non mi soddisfa completamente, ora l’ho capito.
Sorrido appena, girando l’angolo, mentre una ragazza dai lunghi capelli fulvi e gli occhi grigi mi fissa: è qui, ritta sulle gambe magre, mentre risplende sulla pelle bianca un drago tatuato nel braccio, e le labbra sono piegate in un segno di rabbia, contratte. Tremo appena, sentendo un brivido di paura passarmi nella schiena, perché inconsapevolmente, io so chi è: Helena.
Si avvicina a me ora, con passo sicuro e leggero, senza staccare i nostri sguardi: lo sento, mi odia, è come se volesse sbranarmi oppure torturarmi a morte e lasciarmi soffrire per strada. Quando mi è affianco, la vedo fissarmi con sufficienza, e ora la rabbia diventa un sorriso crudele e freddo.
<< Harry, immagino. >> La sua voce è grezza e graffiante, come quella di una cantante: fredda e spaventosa.
Annuisco appena con incertezza, mentre nei suoi occhi passa un brivido di odio e cattiveria, che non mi sfugge.
<< Come mai in questi paraggi? >> La vedo fermarsi, e ben presto siamo a pochi centimetri di distanza. << Ti abbassi ai nostri livelli? >> Le labbra rosse si schiudono e si mostra una piccola fila di denti: mi sta prendendo bellamente in giro.
<< Sono venuto per Zayn. >> Dico, cercando di rimanere certo delle mie parole, sicuro, ma senza riuscirci: un altro scintillio passa nei suoi occhi, soddisfatta.
<< Anche io. >> Ridacchia, e mi da una piccola spinta indietro, da cui mi riprendo, trovando l’equilibrio. << E probabilmente, preferisce vedere me. >>
<< Sei Helena, quindi. >> Sussurro, chiedendomi perché sia qui: prima mi è stato detto che si erano lasciati.
<< Mi conosci? Non avrei detto. >> La vedo qualche minuto pensierosa, prima di annuire, sorridendo. << Immagino l’abbia detto Niall di me. Comunque mi chiedo perché abbia deciso di lasciarmi per te. >>
Ora mi fissa, anzi, mi scannerizza: passa lo sguardo su tutto il mio corpo, soffermandosi su alcuni punti.
<< Gambe normali, vita mediamente stretta, spalle piccole, occhi scintillanti e riccioli. >> Dice, come se stesse facendo la lista della spesa. << Escludendo i tuoi occhi, non trovo in te nulla di speciale. >>
Su ciò non ha che ragione, soprattutto comparando noi due: lei è realmente bellissima, i suoi occhi sono glaciali, ti distruggono ad un solo sguardo, e i suoi capelli paiono seta. Per non parlare del corpo dalle forme perfette, e le labbra che sembrano disegnate mi fanno eccitare.
<< In ogni caso, ti saluto, vado dal mio Zayn. >>
<< Tuo? >> Dico, con voce scettica, mentre la fisso con un sopracciglio alzato.
Lei ridacchia ed annuisce, avvicinandomisi al viso, mentre le nostre labbra sembrano volersi toccare: sì, c’è tensione tra di noi, ma non la classica tensione sessuale. È qualcosa di violento, di sfida.
<< Sì, mio. >> Ridacchia, prima di spingermi indietro, con cattiveria. << Visto che te la fai con quel ragazzo degli alti borghi, lascia stare Zayn. >>
<< E tu che diavolo ne sai di me? >> Ringhio appena, stringendo la mano a pugno.
<< Perché vi ho visti al parco l’altro giorno. Sapevo che eri tu, ed ho deciso di seguirvi: sai, le descrizioni di Zayn sono sempre molto affidabili, ed un ragazzino dagli occhi smeraldo, i riccioli e il volto spocchioso non è difficile da vedere. >> Ridacchia, spostandosi dal viso un ciuffo di capelli selvaggio. << Vi ho visti infilarvi dietro ad un cespuglio: ammetto che avete un modo strano di discutere, solitamente io non mi spoglio per parlare. >> Ora il suo volto è contratto in una smorfia di riso cattivo, mentre i miei occhi si stringono e cammino a grandi falcate verso di lei.
Ci metterei poco a colpirla, se una mano non mi tirasse indietro, bloccandomi.
<< Smettetela, infantili entrambi. >> Niall è poco dietro di me e mi continua a tenere la spalla, mentre finisce la sua frase: la voce è cattiva e seria. << Zayn vuole solo stare in pace, ora. Quindi, Helena, vattene, perché abbiamo poco da spartire con te. >> Lo sento rimanere un attimo in silenzio, mentre mi fa girare, guardandomi negli occhi. << E per ora anche tu, perché non avete più nulla da spartire. >>
Quella frase mi spezza il cuore perché, anche se lo sapevo, sentirselo dire fa male: il volto di Zayn si materializza nella mia testa, mentre le lacrime mi riempiono gli occhi violentemente, facendomi stare male.
Niall lo sa, lo vede, e per la prima volta capisco che anche lui è leggermente dispiaciuto: per quanto sia stato freddo, ora mi abbraccia, accarezzandomi la schiena gentilmente. Mi lascio andare contro di lui, respirando a fondo, cercando di rimandare indietro le lacrime, che però sgorgano violentemente dagli occhi, bagnandogli la giacca e il resto.
<< Non è bello piangere, poi penso di essere stato cattivo. >> Mi sussurra, spostando la mano tra i miei capelli.
<< In effetti è così. >> Sussurro, prima di staccarmi e guardarlo negli occhi: i suoi occhi lucidi e azzurri mi fanno capire che siamo ambedue stanchi e probabilmente preoccupati per Zayn. << Ma hai detto la verità, perché io non me lo merito: sono indeciso, Niall, perché Louis mi soddisfa. >> Forse l’ho sconvolto ed ho perso quel poco di fiducia che lui riponeva in me: ora mi lascia, facendo pochi passi indietro, fissandomi inorridito. << Zayn mi fa stare bene, perché io sento di amarlo: ma Louis mi tocca in una maniera che… >>
<< Fa già abbastanza schifo così la cosa senza che tu continui. >>
<< Niall, è difficile da far capire. >>
<< No, non lo è. Perché tu Zayn non lo conosci, perché ancora non hai capito che persona è: se sei indeciso tra lui e Louis, allora hai poco da scegliere, perché non te lo lascerò. >>
Lo vedo allontanarsi poco dopo a grandi passi, e per qualche attimo penso al loro rapporto: è quasi morboso. Mi fa male quello che ha detto, ma è vero, alla fine.
Mi incammino, ora da solo, con lo sguardo basso: cosa diavolo sto facendo, io sento un amore verso Zayn, ma un attrazione verso Louis. Alla fine, questa settimana che abbiamo passato insieme, ora che siamo lontani, mi fa sentire confuso: se prima ero schifato, ora sento una certa indecisione. Ma potrà l’amore bastare, contro tale attrazione? Ammetto che Zayn mi piaccia fisicamente, perché mi fa impazzire, ma non ho ancora avuto… occasione di provare il suo comportamento in un momento di intimità.
Ho un lampo di genio e prendo fuori il telefono, mandandogli un messaggio. “Stasera vieni a casa mia dopo mangiato. Voglio essere tuo.” Invio quel messaggio e, a grandi passi, mi riavvio a casa, preparandomi a fare chiarezza nel mio cuore: stasera deciderò, una volta per tutte, non posso aspettare. Non ora.
Quanto mi sento stupido. Vorrei poter trafiggere questo stupido cuore e capire cosa provo davvero.

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Capitolo 11
*** Get outta control ***


Get outta control
Get outta control

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~ZaynWord

<< Chiariremo solo e poi me ne andrò. >>
<< Sei proprio un idiota, sai che non sarà solo così. >>
<< E quindi? Se io volessi soffrire? >>
<< Non venire poi a piangere da me. >> Dopo queste poche parole lo vedo alzarsi, in procinto di andarsene.
Mi avvicino e gli stringo il polso, prima di tirarlo a me, abbracciandolo con forza, una stretta che ben presto viene ricambiata: Niall ha solo paura che io stia male, come sempre. Tra noi due è lui quello adulto, perché io sono solo l’idiota che fa tutto di testa sua: lo vedo sospirare prima di staccarsi, mettendo a posto la maglietta bianca che indosso e passandomi la camicia di varie tonalità da mettere sopra. Mi guarda e sorride appena.
<< In realtà sai dove abito, se andrà male… >>
<< Sì, grazie. >> Annuisco, finendo di allacciare i pantaloni beige ed esco da casa mia, mentre lui si allontana poco dopo nella via opposta.
Conosco queste strade a memoria ormai e il mio corpo va da solo verso la metropolitana, mentre il buio inizia ad inglobare questa città la cui vita notturna è proporzionata a quella del giorno: le luci iniziano ad infuocare le strade che diventano man mano che mi avvicino al suo quartiere sempre più gremite e larghe. I miei occhi spiano i passanti, ma oggi non sono in vena di fissarli troppo, perché sento il cuore leggermente stanco, e la mia discussione con Harry stanotte lo distruggerà: non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da lui, e so che il mio stupido orgoglio farà di tutto per distruggerci e farci litigare. Forse sarà un bene, perché non penso che siamo destinati a stare insieme: troppe cose che io ritenevo futili ci dividono, e purtroppo ci fanno del male.
Non siamo cresciuti nella stessa maniera, non abbiamo gli stessi obiettivi o le stesse idee: siamo differenti su tutto, e se dicono che gli opposti si attraggono, forse con noi questa elementare legge chimica non è molto giusta. Perché gli opposti si arrabbiano, litigano, sbagliano e soffrono, e io sono stanco di stare male per gente per cui io sono nulla: se davvero mi voleva bene, ora non sarebbe in dubbio. Che poi, se gli piace lui, gli chiedo come diavolo faccia a piacergli anche io: penso sia qualcosa di meramente fisico, visto che caratterialmente io e quel borghesotto siamo opposti.

Sospiro, facendo leva sui muscoli e supero facilmente la cancellata, saltando al di là: atterro sulle gambe molleggiate così da non farmi male e mi avvio. L’aria sembra più fredda del solito, il cielo più scuro e la casa mi pare un enorme costruzione che vuole solo inglobarmi: è come se volesse mangiarmi, farmi del male ancora più di quello che già mi ha fatto Harry con delle semplici parole. Perché si, sono quelle che mi fanno del male: il fatto che sia stato costretto, a cui ora credo poi poco, a stare con lui non era un problema, perché ora sarebbe tornato mio. Ma il fatto che è indeciso… mi fa schifo.
Salgo velocemente sulla costruzione davanti la sua finestra e busso due volte: il cielo tuona, immagino stia venendo una pioggia bella forte e io mi riparo il meglio possibile, sebbene qualche goccia mi colpisca ugualmente.
Il vetro  poco dopo si apre e io salto dentro senza tanti complimenti: sospiro, passando le mani tra i capelli, che si alzano ancora più di quello che sono e guardo Harry, poco distante da me. I bei capelli riccioli mostrano il viso contratto, mentre indossa solo un baio di boxer blu e una maglia bianca con sopra una stampa: sembra ancora più piccolo ora.
Mi abbraccia ma io rimango immobile e lo sposto poco dopo da me, sfilandomi la camicia sopra, rimanendo in maglia.
<< Quindi? >> Chiedo poco dopo, guardandolo negli occhi verdi smeraldo che ora fissano in terra, insicuri.
<< Zayn… io… ti amo. >>
<< Si bella scusa. >> Mi metto a ridere, scuotendo la testa, infastidito dalla tanta ipocrisia e falsità in lui. << Tu non sai che vuol dire amare, Harry. Non lo sai, perché non puoi amarmi e poi dire che ti piace Louis. >> Mi avvicino e lo fisso negli occhi, mentre lo sento indietreggiare. Ha paura di me, ora? Che diavolo di lavaggio gli ha fatto Louis?
Non sa cosa dire, perché sa che ho ragione: probabilmente mi dice questo solo per la paura che io me ne vada o altro, non lo so. Forse farei bene ad ascoltare Niall.
Si sfila la maglia, rimanendo col bel petto nudo e glabro davanti a me: mi prende poi una mano, poggiandosela sul petto, sorridendo come un bambino.
<< Sì… ti amo… e voglio essere tuo… >> La testa bassa, lo sguardo triste e il resto mi fanno capire che qualcosa non va.
Forse sono anch’io un debole, probabilmente lo sono, ma giusto ora me n’accorgo: ritiro la mano e scuoto la testa, mentre decido di accendermi una sigaretta.
<< Tu non mi ami, Harry. Non me ne andrò se dirai la verità, me ne vado se continui a mentirmi. >> Mi avvicino alla finestra e nei suoi occhi passa un lampo di terrore, ma quando capisce che sono qui solo per non far entrare il fumo si rilassa.
Si butta a sedere violentemente sul letto, con le mani strette intorno allo stomaco, e lo sguardo ancora più triste.
<< Io… >>
<< Niall mi ha detto di quello che vi siete detti. >> Sorrido ora con rabbia, mentre lo guardo: la sua testa si alza velocemente e i suoi occhi si svuotano. << Non voleva, ma vi ho visti parlare e l’ho costretto. Quindi io non ti soddisfo. >>
<< Zayn… >>
<< Forse non ne ho avuto tempo, non pensi? >> Mi avvicino a lui e gli alzo il viso verso di me, con una parte ancora cattiva nel mio sorriso. << Sai, non sono come voi, non ho la possibilità di non fare un cazzo tutto il giorno, perché io me lo devo meritare il mio posto in questa terra, nulla mi è stato regalato. >> Mi siedo affianco a lui e lo tiro sulle mie gambe, mentre lo vedo poggiare le mani sulle mie spalle: i nostri occhi si perdono gli uni negli altri.
Trema, come un bimbo che ha rotto qualcosa ma non vuole dire nulla alla mamma: ma ora la mamma lo ha scoperto, e non sa cosa fare.
<< Scusami, Zayn, ho detto una stupidata dopo l’altra. >> Inizia, mentre scende una lacrima sulla guancia: mi avvicino a lui e lascio un bacio su quel punto in cui ora la lacrima muore tra le mie labbra. << Voglio stare con te… ma ho paura, perché io non sono nulla in confronto tuo, o di Helena… >>
<< Helena? >> Chiedo poco dopo, mentre lo guardo negli occhi accigliato e lui annuisce dolcemente.
<< Sì… lei è bellissima e… >>
<< Se tra noi è finita, forse non voglio un suo altro clone, non credi? >> Mi sembra una cosa ovvia, ma gli do una speranza in più, ora.
Mi sorride e annuisce appena.
<< Scusami… scusami per tutte le stupidate che ho detto… >>
<< Non sarà così facile, Harry, perché pensavo anch’io di amarti ma… ora non ne sono certo. >> Sono una persona sincera, anche a costo di fargli del male: ma è meglio essere chiari, così da poter solo migliorare il discorso. << Voglio però continuare a stare con te, perché ti sento mio, perché ti voglio. >>
<< Grazie Zayn… >> Sussurra, stringendosi con le braccia attorno a me.
Poggio il volto nell’incavo tra la spalla e il collo e inizio a mordicchiarlo, inizialmente pian piano, poi con maggiore intensità: succhio leggermente e le sue mani si stringono nei miei capelli, probabilmente gli piace assai questa cosa.
Quando mi stacco, un segno violaceo è ora impresso sul collo chiaro: glielo lecco appena, prima di guardarlo negli occhi.
<< Sarà difficile stare insieme per noi, lo sai. >>
<< Ma sono pronto. >> Dice, e ammetto di non aver mai sentito una voce così sicura da lui. << Sono pronto ad andarmene da qui, se proprio devo. >>
In effetti non sarebbe una cattiva idea: è maggiorenne oramai, o vi è vicino, e se stesse direttamente con me, potremmo vederci sempre.
Qualcuno bussa alla porta e stringo la mia presa su di lui.
<< Harold, perché la porta è chiusa? >> Sento dire da una voce femminile, che riconosco essere quella della madre.
<< Ho da fare mamma. >> Dice con voce risoluta, e dei passi mi dicono che se ne è andata. << Zayn… mi dispiace tanto per tua madre… >> Sussurra poco dopo, poggiando la fronte alla mia. << Ora cosa fa? >>
<< Va a pulire gli ammalati che non possono muoversi. >> Sorrido appena, mentre vedo i suoi occhi intristirsi ancora di più di quello che già erano. << Ma è felice, e sta bene: un giorno vorrebbe rivederti ha detto… >>
<< Quando vuoi, verrò da te. >>
Sospiro, sdraiandomi sul letto con lui affianco e lo stringo a me: tengo il petto contro il suo per qualche attimo prima di scende e poggiare la testa sul petto piccolo e magrolino. Tengo gli occhi chiusi, mentre mi accarezza i capelli.
<< Hai detto che Louis ti tocca meglio di me. >> Sorrido, alzando il volto verso di lui. << Semplicemente, io non mi voglio approfittare e lo farò solo quando lo sento… >>
<< Lo so Zayn, l’ho capito solo ora. Perché averti tra le mie braccia, mi sta facendo tornare in vita…  Perché io ti amo. >>
<< Amare me comporta molta fatica. >>
<< Sono pronto a scalare montagne a piedi. >> Sussurra e io ora ci credo, mentre mi addormento in quella maniera, ora tranquillo.

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