Tearin' me apart, cause you don't see me di Iris Fiery (/viewuser.php?uid=21874)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dizzy's all it makes us ***
Capitolo 2: *** I've been waiting for a boy like you to come around ***
Capitolo 3: *** You're messin' with my head ***
Capitolo 4: *** All that you want is under your nose ***
Capitolo 5: *** Tell me I'm a screwed up mess ***
Capitolo 6: *** But if you walk away I know I'll fade ***
Capitolo 7: *** But I see you with him ***
Capitolo 8: *** And you pray that everything will be okay ***
Capitolo 9: *** Tell me a lie ***
Capitolo 10: *** He'll only break you, leave you torn apart ***
Capitolo 11: *** Get outta control ***
Capitolo 1 *** Dizzy's all it makes us ***
Dizzy's all it makes us
Dizzy's all it makes us
~ZaynWord
<< Il signor Malik ora è impegnato, ripassi più tardi. >>
<< Zayn Jawadd Malik, sei
pregato di smetterla di dire stronzate e di uscire da quella camera!
>> Sento urlare da mia sorella, mentre batte ancora con forza la
mano sulla porta di vecchio legno della mia camera, che pare cadere da
un momento all’altro, cosa che succederà secondo me: non che io
l’ascolti, altrimenti ora dovrei già essere lì, ai suoi ordini, a fare
chissà quale lavoro stupido per quella ragazzina fastidiosa.
La lascio perdere, ma quando il
battere diventa ripetitivo mi alzo in piedi e appoggio il libro che
stavo leggendo sul mobiletto lì vicino: metto la mia giacca di jeans
scuro sopra ad una maglietta bianca e i pantaloni del medesimo colore
del soprabito ed apro la finestra di casa. Allaccio ben bene lo zaino
nero e sdrucito sulla schiena e salto sul ramo dell’albero vicino,
tenendo bene l’equilibrio: oramai faccio ciò da svariati anni, neanche
mi viene difficile.
Scendo con rapidità da lì e poggio
i piedi nella terra dove una volta vi era l’erba verdeggiante, ora vi
rimane solo del terriccio che rischia di farmi affondare ogni attimo di
più: quando vi esco con la mia sorellina Safaa ci divertiamo spesso ad
immaginarci che siano sabbie mobili, e che dobbiamo creare un percorso
per poterci salvare.
Poco possiamo fare in questo
quartiere del sud di Londra: i grandi palazzoni di costruzione
industriali hanno un colore grigio e sono talmente alti da coprire il
cielo azzurro. Le ciminiere in questi paraggi producono gran quantità
di inquinamento, tanto che a volte non ci è possibile uscire neanche un
attimo, perché l’aria non è possibile da respirare: l’erba e i prati
sono stati coperti dal cemento ruvido che ci sbuccia le ginocchia
quando giochiamo, e i divertimenti mancano in totale. Gli abitanti di
queste zone sono poveri, spesso immigrati come la mia famiglia: siamo
originari di Bradford, ma come si può ben vedere dalla mia pelle
ambrata e i miei tratti marcati non sono completamente inglese. Mio
padre è un immigrato pakistano venuto in Inghilterra molti anni fa per
cercare fortuna: questa non l’ha trovata ma a differenza di ciò, ha
sposato un inglese, Tricia, mia madre. Lui spesso dice che questa è la
miglior fortuna che gli potesse capitare, ma il loro amore non porta
mai il pane alla fine della giornata sulla nostra tavola.
Come ben dicevo, questo quartiere
periferico del sud situato nel Lambeth, viene conosciuto dalla maggior
parte della gente col nome di Brixton: solitamente viene poco
consigliato per girarvi a causa della forte immigrazione avvenuta qui
soprattutto a livello di popolazione caraibica e per il grande uso di
cannabis. È vero, è un quartiere pericoloso: fino all’età di sedici
anni, i miei quasi non mi permettevano di uscirvi ufficialmente,
sebbene ho fatto le mie esperienze.
Qui non è difficile vedere corpi di
gente buttati a terra, come cadaveri durante una guerra: le bande si
sfidano ogni giorno, i colpi di pistola esplodono in aria e spesso
colpiscono gente che non centra nulla, ma che vorrebbe solo vivere la
propria vita in pace. E come dargli torto, non tutti sono interessati
solo alla droga o ad altro: il quartiere è molto famoso per il proprio
mercato, per i piccoli negozi vintage, per le discoteche, per le
accademie e per la Brixton Art Gallery, una delle più famose gallerie
di arte contemporanea.
Anche se vi racconto tale bellezza,
nulla è così nella mia vita: mio padre, per portare avanti una famiglia
composta da sei persone è costretto a lavorare tutto il giorno nel
piccolo locale che abbiamo in gestione, rischiando la vita a causa
delle frequenti rapine. Mia madre, ora che ha i figli abbastanza grandi
per svilupparsi da sé fa le pulizie in casa dei signori per bene
nel quartiere di Notting Hill, dove vivono i ricchi proprietari di
Londra: alcune volte passo in quel quartiere dove eleganti signorotti
vestiti di tutto punto sfrecciano nelle loro costose macchine con
accanto donne perfettamente educate all’élite inglese. Dio, quanto odio
quella gente.
Quanto a me e le mie sorelle
facciamo le cose più disparate: purtroppo spesso il razzismo si fa
sentire, non vieniamo accettati per qualunque lavoro. La più grande,
Doniya, lavora lontano da in un quartiere del nord Londra, oramai non
la vedo più da quasi un anno, mentre Waliyha e Safaa frequentano ancora
le scuole superiori. Se si vuole parlare di me, diciamo che sono uno
che fa lavoretti “di mano”: per di più rubo, ho imparato negli anni a
non farmi scoprire. Inizialmente lo facevo a scuola, quando i miei
amici avevano le loro merende e io non avevo soldi per prenderli,
mettevo le mani nei loro borselli prendendo il giusto necessario: pian
piano, verso le superiori, iniziai a voler assomigliare ai ragazzotti
delle arie perbene della città, quindi mi intrufolavo nei grandi
magazzini e rubavo ciò che riuscivo, curandomi d’aspetto e facendo ciò
che potevo per non apparire il classico immigrato povero.
Ora, entrato da poco nei diciannove
anni e senza un diploma, continuo coi miei furti a livello economico:
spesso rubo cibo per la mia famiglia, oppure i soldi per pagare ciò di
cui le mie sorelle più piccole hanno bisogno. Non so cosa farò nel
futuro, ho sempre avuto una passione spropositata per la musica e non
me la cavo male: ma sono un immigrato, e questa non è una strada per
noi.
Penso a questo, mentre accendo una
sigaretta camminando a passo svelto verso la fermata metropolitana di
Brixton: la linea azzurra mi porterà alla fermata di Oxford Circus in
cui prenderò quella rossa e mi fermerò a Notting Hill Gate, per poi
fare qualche passo e arrivare alla nuova casa dove mia madre lavora
come donna delle pulizie. Mi ha detto che devo andare a prendere alcune
cose per portarle a casa e non mi sono tirato indietro.
Salgo sulla metrò già affollata
all’una del pomeriggio e cerco un posto tranquillo: decido poi di
arrendermi, appoggiando i capelli neri contro il finestrino, iniziando
a fissare il paesaggio scuro della metropolitana che inizia a muoversi
con velocità. Socchiudo poi gli occhi mentre le lunghe ciglia si
intrecciano tra loro e inizio a respirare a fondo, per non pensare alla
donna che mi sta spingendo ogni attimo più attaccato a questo vetro
sporco e freddo: cerco di non sentire gli urli dei bambini che, da
sopra le gambe della madre seduta poco distante da me, si lamentano di
essere stanchi. Decido poi di crearmi un mio spazio mentale, gioco che
uso spesso e che funziona: il tutto mi permette di immaginarmi in un
grande luogo, una spiaggia decido, con le palme caraibiche che mi fanno
compagnia, la sabbia brillante che si insinua tra le dita dei piedi e
le onde del mare che si infrangono sulla spiaggia, creando una dolce
melodia che accompagna il cocktail freddo: un insieme di papaya e
cocco, che crea un vortice incredibile dentro a quel bicchiere in cui
un limone e l’ombrellino dai colori accesi si fanno compagnia. Sorrido
appena, immaginando il cielo azzurro oltre l’ombrellone che copre il
volto, mentre sento il caldo sole prendermi tra le sue braccia,
avvolgermi come faceva la mamma quando da piccolo avevo freddo:
prendeva una coperta ricavata da vecchi pezzi di stoffa e me la metteva
addosso, prima di prendermi in braccio e portarmi nel vecchio letto.
Quando eravamo lì, poi, mi accarezzava la testa, vi spostava i capelli
per lasciarci un bacio e iniziava a canticchiarmi una dolce melodia, di
cui ora neanche ricordo le parole.
È da lei che è nata la mia passione
per il canto: la sua voce pareva quella di un usignolo, era melodiosa e
dolce. Quando era giovane, prima di incontrare mio padre, studiava
canto in una prestigiosa accademia qui in città: era la prima della sua
classe, aveva riconoscimenti in tutto il mondo e una carriera sicura.
Ma poi arrivò l’amore. Mi raccontò
che incontrò mio padre una sera, durante un suo concerto: cantava da
quel grande palco l’Aida, non ricordo precisamente quale aria ora però,
e i suoi occhi scuri e penetranti come il catrame la colpirono a tal
punto da farle dimenticare ogni parola, ogni persona in quella stanza.
Si sentiva già sua dopo uno sguardo: le ciglia lunghe incorniciavano
quel taglio non inglese, la pelle ambrata e le labbra carnose facevano
parte di quel viso leggermente squadrato, che a lei parve un sogno. E
per lui fu lo stesso. Si conobbero la stessa sera, dopo che lui, con
abilità, riuscì ad intrufolarsi nel dietro le quinte, portandole una
rosa bianca.
<< La tua pelle aveva la
stessa radiosità, sotto la luce. >> Le disse con un inglese non
prettamente perfetto, mentre lei arrossiva, prendendo quella rosa che
odorava di lui.
L’amore purtroppo non le permise di
continuare la carriera, rimanendo incinta di mia sorella quasi subito
dopo. Ma non avrebbe mai rinunciato a noi per la sua carriera, mi ha
detto.
Ben presto arriva la mia fermata:
questo cambio è sempre caotico, quindi sguscio velocemente fuori da
qui, precipitandomi alla linea rossa, in cui tutto cambia. Ora vedi la
gente non più vestita di stracci e colori a caso, ma bensì ricche
signore con abiti eleganti accompagnati da bimbetti già in cravatta e
camicia che sgambettano lì affianco. Parlano con un accento snob, di
dove andare a prendere il tè quel pomeriggio e altri discorsi ben poco
terra a terra: sono i classici abitanti del quartiere di Kensington.
Non mi sono mai trovato amalgamato a questa società perbenista e
spendacciona: probabilmente neanche sanno come diavolo si vive un
giorno in quartieri meno fortunati.
E ora che salgo con loro, vedo lo
spazio attorno a me, perché i miei tratti scuri e duri non assomigliano
a quelli dei classici ragazzini di qua, i cui occhi spesso assomigliano
a specchi d’acqua e i capelli riccioluti a quelli di un angelo appena
nato. Il mio comportamento, modo di camminare e chissà che altro non è
come quello dei giovani usciti dai corsi di buone maniere, neanche il
mio modo di vestirmi lo è: no, perché io vengo dalla periferia, perché
io sono uno straniero.
Ma meglio così, ora la possibilità
di respirare mi fa felice, e non mi interessano più le occhiatacce di
questa gente perbenista: ora non mi sento più secondo a nessuno, sono
fiero delle mie origini, della mia vita. Mentre mi siedo accanto ad
un’anziana donna che mi lancia un occhiataccia, prima che possa alzarsi
allungo velocemente la mano alla sua tasca, estraendone il portafoglio
ben fornito: mi allontano poi da lì, per avvicinarmi alla porta, visto
che oramai anche qui il mio viaggio è finito.
Quando tutto si ferma, scendo
velocemente da lì e cerco un angolino, in cui aprire il portafoglio: la
carta di identità mi mostra che abita nel quartiere di Notting Hill
proprio, in una villa probabilmente che è il doppio del mio intero
quartiere. Le banconote sono arrotolate in un mucchietto divise per
taglio, e noto che sono molte: non solo, le foto dei figli, qui tre
femmine con gli occhi azzurri e i lunghi capelli neri tanto simili da
sembrare gemelle, sono dentro alla carta di identità, di cui poco mi
importa. Butto via il superfluo, mettendo il ricco bottino dentro le
tasche dei pantaloni e avviandomi, per cercare il posto in cui devo
andare.
Quando salgo le scale della
metropolitana, il sole colpisce i miei occhi, cosa che nel mio
quartiere mai si è vista, a causa della coltre di smog presente: qui i
viali dipinti di bianco e l’erba fresca la fanno da padrone, mentre i
grandi palazzi con muri perfettamente stuccati e signori che passano
per strada vestiti di tutto punto fanno da cornice al tutto. Una
fontana zampilla nel Westbourne Park qui vicino, mentre i bambini vi
giocano correndo intorno e le madri parlano delle solite frivolezze
sedute al tavolino di costosi bar della zona.
I ragazzi usciti dalle scuole ora
vestono con eleganti uniforme, ognuna riportante il simbolo
dell’istituto, spesso viaggiano in gruppo e si avviano nelle loro
fantastiche case, mentre le signore attempate viaggiano con un
cagnolino tenuto stretto al guinzaglio tempestato di diamanti: non che
le loro padrone siano meno infiocchettate.
Nulla pare sbagliato qui, tutto sembra un bellissimo quadro, tanto è la perfezione.
Ma nulla è perfetto, tutto è facciata.
Ben presto mi confondo in questo
mondo di perfezione, come un bruco tra le farfalle: cerco di non
dimenticarmi di chi sono e dove provengo, mentre trovo la via e
l’indirizzo della casa che mia madre mi ha dato. Un’immensa villa si
affaccia davanti a me, con un giardino grandioso: tutto è circondato da
cancellate alte almeno quattro metri dipinte di bianco scintillante,
con tante sbarre mediamente vicine tra loro e un cancello immenso, con
la chiusura in oro e due leoni di marmo a fare da guardia da sopra le
colonne. Il giardino, da quello che vedo, ha molti viottoli fatti di
lastre bianche che accompagnano il visitatore fino alla villa,
una grandissima casa dalla facciata di muri rossi e decorazioni
bianche, due rampe di scale che salgono a circolo fino alla porta di
legno chiaro: al centro della costruzione vi è una grande fontana con
un cavallo sopra che spruzza acqua e ai suoi lati le famose scale per
entrare. Mi chiedo se mai l’acqua ha bagnato quelle scale rendendole
scivolose… Nel giardino vi sono alti alberi da frutto, l’odore che
arriva mostra che probabilmente il giardiniere ha pulito anche stamani,
e si sente il rumore di acqua, forse un laghetto.
Una villa, mia madre aveva ragione
di queste parti. Con ancora lo sguardo sbigottito, mi avvicino ad un
piccolo citofono sopra ad una delle colonne, pigiando il pulsante di
chiamata.
<< Chi è? >> Sento dire da una voce probabilmente anziana, resa metallica dall’apparecchio.
<< Sono il figlio di Tricia Malik. Devo portarle alcune cose. >>
<< La aspettavo. >>
Risponde l’uomo con perfetto accento inglese, mentre un rumore simile
ad un trillo si staglia in aria e ben presto la grande cancellata si
apre con estrema silenziosità, permettendomi di varcare la porta.
Rimango un attimo lì, prima di iniziare a camminare sulle lastre
bianche e lisce di questo giardino che visto da dentro pare almeno il
doppio.
Vi metto almeno qualche minuto
prima di iniziare a salire la grande scalinata di destra e noto la
perfezione geometrica con cui deve essere stato costruito il tutto: la
fontana al centro non tocca neanche lontanamente col proprio getto le
scale di marmo, ma è un perfetto accompagnamento alla salita.
Quando vi arrivo in cima, un uomo
vestito in frak mi sta aprendo la porta: il suo volto è incavato, la
pelle oramai rugosa e gli occhi una volta cristallini ora sono bianchi.
Due piccoli occhiali sono poggiati sul naso aquilino, i capelli oramai
non vi sono più e le mani sono coperte da guanti bianchi di lattice.
L’aspetto è estremamente serioso, e deduco sia l’uomo che mi ha prima
risposto al citofono.
<< Il signorino Malik
immagino. >> Mi risponde in perfetta dizione, prima di spostarsi
dalla porta, permettendomi di entrare.
Faccio qualche passo incerto in
tutto quel lusso e all’interno rimango inebriato da ciò che mi si para
davanti: un immenso salone, con grandi scale che salgono ancora ad
altri piani. Il soffitto è decorato da chissà quale artista, un immenso
lampadario di cristallo pende dal centro e statue e antichi mobili
fanno da compagnia alla sala. Le porte sono aperte, permettendomi di
notare il continuo del salone nelle due stanze adiacenti, mentre il
pavimento è decorato da fiori di marmo leggermente rosei: un paradiso.
<< Manderò a chiamare sua
madre. >> Mi dice l’uomo dal naso adunco che vedo sparire in
pochi attimi nel resto della casa, in cui io farei fatica a non
perdermi probabilmente.
Non sento rumori provenire dalle
immense stanze, probabilmente parecchie, se non il suono di un piano
poco distante: non pare perfettamente accordato però, o almeno così
sento. Non che io sia una cima a suonarlo, però qualcosa so fare.
Mi avvio verso quella musica
celestiale e un grande piano bianco latte con decorazioni d’oro sta
suonando, ma colui che lo usa non riesco a vederlo. Sospiro, facendo
qualche altro passo, mentre una visione celestiale mi si para davanti
agli occhi: un ragazzo dai riccioli castani e gli occhi di un verde
smeraldo è seduto lì, con la sua bella pelle bianca e le ciglia lunghe,
che ora mi fissano, e ben presto si perdono in me.
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Ebbene sì, eccomi con un altro lavoro uwu In realtà l'avevo in mente da un pò questa fic XD
Una ZaynXHarry ho deciso, inserendola in un universo alternativo.
In realtà ho deciso di scriverla dopo una chiaccherata con un mio amico proveniente
dall'Arabia: mi ha raccontato di come è stato per lui vivere in Italia, del razzismo da certe
persone e dalla curiosità di altre. Per cui, in un momento difficile come il nostro ho deciso
di scrivere questa fic, sperando possa incuriosire^^ Sappiatemi dire, aspetto qualche recensione<3
PS: ho deciso di aggiungere delle immagini per mostrare meglio ciò che presenterò in ogni capitolo^^
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Capitolo 2 *** I've been waiting for a boy like you to come around ***
I've been waiting for a boy like you to come around
I've been waiting for a boy like you to come around
~HarryWord
Il mio è un mondo ovattato. Ho
avuto la fortuna di crescere in una famiglia agiata e con ogni
comodità, vivere al di sopra delle possibilità di molta gente che non
ha nulla: anche molti miei compagni di scuola, figli di senatori o
altro, non possono arrivare alle mie stesse possibilità.
Mio padre è un importante agente di
banca, controlla le banche principali di tutta Londra e non solo: è
spesso in giro per il mondo per i propri affari esteri, ultimamente è
stato in Giappone e a New York, dove mi ha portato con sé. Stare una
settimana nella Grande Mela, che ha preso il nome dall’ippodromo che vi
era costruito, è stato il mio sogno: i nostri più alti palazzi mai si
possono paragonare ai loro, la gente ha tutto un altro modo di
comportarsi, vuoi meno elegante o altro, ma diverso.
In Giappone, poi, è un’altra
storia: ho visto indossare abiti impossibili, gente coi capelli di più
colori e la parlata strana. Quando mi chiedevano di dov’ero e cercavano
di parlare inglese, mi veniva da ridere perché il loro accento è
impossibile da capire, anche per un madre lingua come me: ho poi
scoperto che hanno un mito del nostro occidente. Mi hanno chiesto molto
di Londra, dei suoi quartieri, del London Eye… mi hanno anche chiesto
della regina, se la conoscevo di persona! In effetti ho incontrato
l’anziana donna più volte durante i parti principeschi organizzati
dalla borghesia inglese, e posso dire che quella donna non dimostra per
nulla la sua età avanzata: di spirito e intelligente, conosce molte
cose, che spesso di diverte a raccontarmi quando ci capita di
passeggiare per Buckingham Palace.
Mia madre, invece, non lavora: o
meglio, ha un azienda di profumi, che però gestisce comodamente da
casa. Quando era più giovane, calcava le passerelle dei più grandi
stilisti, probabilmente grazie alla sua altezza e la sua aristocratica
bellezza: grandi occhi verdi che ho ereditato, lunghi capelli biondi e
un corpo a dir poco perfetto. Anche ora, che oramai va avanti con
l’età, è veramente bellissima: a volte dicono che io le assomiglio, e
ciò è solo un complimento. Ha un’azienda di profumi, come dicevo, che
ha intrapreso come carriera appena ritiratasi dalle passerelle:
produrre fragranze è il suo lavoro preferito, ha un ottimo olfatto ed
io per primo ho sempre voluto usare le sue idee per me.
Per ultima, vi è mia sorella Gemma:
ha qualche anno in più di me e ora frequenta l’università di Cambridge,
prendendo legge come indirizzo. Non che abbia mai voluto fare
l’avvocato, ma i miei genitori pensano che quella sia la strada giusta
per lei: la sua chiacchera, la sua capacità di convincimento e molte
altre doti hanno fatto di lei la migliore avvocatessa che io conosca, e
probabilmente sarà un buon lavoro.
Io non so ancora che farò. Per ora
frequento l’ultimo anno di una prestigiosa scuola, la migliore
probabilmente, di Londra: non che mi interessi, ma probabilmente in
prossimo anno mi iscriverò a marketing o sociologia, così da poter
aiutare sia mia madre che mio padre con le loro attività e portarle
avanti poi un giorno. Oltre a scuola, seguo corsi di buone maniere e di
pianoforte: in realtà odio ambedue le cose, ma è ciò che mia madre ha
pensato giusto insegnarmi. Frequento anche tennis qualche volta, oramai
l’ho fatto fin da bimbo ed ho vinto parecchie competizioni: ringrazio
solo di non essermi impigrito davanti alla televisione, così che il mio
corpo crescesse snello e sodo.
Per altro, non c’è molto da dire di
me. Non mi aspetto molto dalla mia vita, sono solo un comune inglese
con una ricca famiglia alle spalle e di aspetto gradevole: gli occhi
verdi smeraldo, corti capelli riccioli e pelle bianca, tutto nella
media.
Passo le mie giornate tra corsi e
computer, ho pochi amici, perché ammetto di avere un carattere
leggermente altezzoso e arrogante: mi è sempre stato insegnato questo.
Il fatto di essere sempre impegnato poi in qualcosa non mi permette di
uscire, non frequento i locali dei ragazzi della mia età, ho imparato a
crescere tra i grandi da sempre. L’unico hobby che mi permetto tutto
mio è il canto: fin da piccolo ne ho avuto una gran passione e, sebbene
in casa mia questo sia un tabù, è quella la strada che mi piacerebbe
intraprendere.
Ammiro quei giovani che lasciano
casa da giovani per scappare in un mondo che vogliono: non hanno
remore, non hanno paura di fallire, perché sanno che ciò non capiterà.
Prendono i loro pochi stracci e vivono per strada, elemosinando ogni
pezzo di pane, vivendo della propria arte, senza agi.
Ma io non sono così.
Non sono mai stato indipendente, ho
un maggiordomo che mi pulisce la camera, uno che mi prepara la
colazione e perfino uno che mi riempie la vasca da bagno con la giusta
quantità di sali e olii: che io sia viziato lo so, ma ho sempre avuto
tutto, e non so se vi potrei rinunciare.
<< Signorino Harold, è
arrivato il suo maestro di pianoforte. >> Mi viene detto da
Albert, il nostro maggiordomo, che bussa con delicatezza alla porta di
legno chiaro che mi separa dal resto della casa.
La mia stanza è mediamente scarna,
vedendo il resto della casa: una parete è occupata dall’enorme libreria
con sopra tomi di ogni fattezza e tipologia. Vi è poi una scrivania di
color chiaro con sopra un computer appoggiato, un altro tavolo in cui
poter studiare, un grande letto che occupa la parete opposta su cui le
coperte blu come la notte vi fanno da copertura. Il pavimento è
decorato come il resto della casa, il soffitto è bianco e il grande
lampadario fatto in cristallo: la finestra, poi, è decorata di legno, e
la visuale da sul nostro immenso giardino, mentre poco sotto vi è una
colonna su cui si inerpicano alcuni fiori. Il sole brilla quasi tutti i
giorni qui dentro, illuminando maggiormente la stanza: ho un bagno
personale collegato, in cui fa scalpore la grande vasca ad
idromassaggio al centro, una spaziosa doccia e tutto ciò che può
servire per l’igiene personale. Ho anche un grande mobiletto in cui vi
sono vari prodotti per rilassarmi maggiormente.
Ora però devo andare: appoggio i
fogli su cui stavo disegnando malamente a terra e metto qualcosa di
presentabile per scendere. Decido per un paio di jeans bianchi,
semplici, con sopra una polo mezze maniche azzurra con un piccolo
simbolino di un giocatore di cricket viola chiaro sulla parte sinistra
e il colletto messo in ordine. Quando sono a posto scendo velocemente
di sotto, mentre il mio insegnante di pianoforte è già seduto sul
seggiolino, che mi guarda con superiorità e impazienza.
<< Ha ritardato di un minuto,
signorino Styles. >> Mi dice quasi con cattiveria, tanto che devo
per un attimo inchinarmi e chiedere umilmente scusa per ciò.
Noto però che non siamo soli. Una
donna sulla cinquantina ormai dalla belle chiara e gli occhi azzurri,
mentre i capelli ora sono corti e tenuti fermi da una piccola
coroncina: indossa un abito da cameriera e la trovo molto bella mentre
rimane ricurva su quel mobiletto che sta ora pulendo con impegno e
parsimonia. Mi chiedo chi sia, non l’ho mai vista qu, ma poi ricordo
che mio padre ha accennato di una nuova donna delle pulizie: il suo
nome è Tricia mi pare abbia detto, viene dal quartiere di Brixton, nel
sud di Londra. A quanto ho capito poi, dalle chiacchere del resto della
servitù, ha un quattro figli di cui un maschio davvero pestifero che
dovrebbe avere forse un anno in più di me.
Ha un eleganza innata quella donna,
classico di chi in giovine età ha studiato le buone maniere: ma allora
come mai si trova a fare tale lavoro ora?
Mi scuso ancora un attimo con l’insegnante e mi avvicino a lei.
<< Mi scusi. >> Le dico
con voce ferma e sicura, mentre i suoi occhi celestini si alzano su di
me: quando mi riconosce si inchina nuovamente. << Lei è la nuova
cameriera? >>
<< Sì, sono io signorino.
>> Mi dice lei con voce bassa e silenziosa, mentre il mio maestro
mi richiama all’ordine, dicendomi che è ora di iniziare la lezione.
Decido di rimandare a più tardi le
mie curiosità e mi siedo dietro a quell’immenso piano, iniziando a
suonare gli esercizi datimi la scorsa volta: non che abbia studiato
molto, il piano oltretutto è scordato e ancora non ho imparato a
come rimettere tutto a posto.
L’insegnante se ne accorge di ciò e
inizia a dirmi di come, se non ci metto impegno, potrò mai imparare a
suonare quello strumento complicato.
<< Il fatto che lei voglia
solo cantare, Styles. > Inizia con il solito discorso. << Non
deve impossibilitarle nell’imparare uno strumento così elegante come il
pianoforte. >>
<< Lei rende tutto noioso.
>> Dico poi con semplicità, guardando quell’uomo che ora diventa
paonazzo dalla rabbia, scuotendo la testa su come la maleducazione al
giorno d’oggi sia diventata la base della nostra crescita.
<< Non vi hanno insegnato nulla al corso di buone maniere? >>
<< Mi annoia, lei mi insegna
solo vecchi pezzi, e io non ho voglia di passare giornate di sole come
queste a suonare pezzi di Mozart e Beethoven. >> Incrocio poi le
braccia al petto, convinto di non continuare quella stupida farsa,
tanto che l’uomo vestito elegante si alza e ben presto se ne va,
balbettando di voler parlare con mia madre, tanto che si avvia al piano
superiore, dove lei ora sta rilassandosi.
Sospiro, oramai rimasto solo, mentre sento i passi della donna di prima avvicinarmisi.
<< Non le piace il
pianoforte? >> Mi dice con voce dolce che mi fa girare verso di
lei: ora che la posso osservare meglio, i suoi occhi splendono ancora
come il cristallo, ma le rughe si fanno avanti prepotentemente sul bel
viso oramai scavato dall’età. I capelli perdono il loro colore e le
tinte lasciano una parte di ricrescita scoperta: in ogni caso, la fede
d’oro che porta all’anulare sinistro mostra come sia ancora legata al
marito.
<< Mi annoia con quell’uomo.
>> Dico sbuffando più volte, mentre guardo nuovamente quelle
partiture poste sopra il piano: è come se diventassero sempre più
grandi, come se mi volessero inglobare al loro interno. Sono voraci,
vogliono mangiarmi, distruggermi.
Lei ridacchia, ora con voce soave e
giovanile, mentre la vedo portarsi elegantemente la mano che una volta
doveva essere inguantata perfettamente davanti alla bocca.
<< Posso capire, ma il piano
è un bellissimo strumento. >> Lei annuisce, mentre appoggia la
mano su un tasto, e una nota esce da quello strumento. << Non
sente questa melodia affascinante? Non è incredibile come l’uomo possa
costruire così tante belle cose? >> Mentre dice questo le si sono
chiusi gli occhi, le labbra sono diventate morbide e il volto sembra
aver perso almeno dieci anni. Emana un fascino particolare questa
donna, devo ammettere: probabilmente quando era giovane ha incantato
chissà quanti pretendenti. << io purtroppo non so suonarlo, ma
quando sento mio figlio, trovo che tutto ciò sia magnifico. >>
<< Hai un figlio? >> Dico, come se non sapessi nulla, leggermente incuriosito da quella donna così particolare.
<< In realtà ne ho quattro.
Una femmina, un maschio, e altre due femmine. >> Annuisce,
orgogliosa di ciò. << La più grande ora lavora nel nord di
Londra, è tanto che non la vedo. Le piccole frequentano ancora le
scuole e il maschio… >> La vedo poi azzittirsi, mentre abbassa
gli occhi a fissare le mattonelle, come se vi fossero misteriosi
ghirigori tutti da studiare.
Immaginando da dove provenga, posso
pensare che il figlio sia un malvivente: non che sia una novità, il
Lambeth è famoso per la sua criminalità spicciola, e quando si proviene
da una famiglia povera, non è difficile cadere in questo giro.
Immagino, almeno.
<< Non fa nulla per ora.
>> Dice dopo poco, continuando quella frase lasciata in sospeso
poco tempo fa. << Ha appena finito le superiori. >>
<< Ha un anno più di me
quindi. >> Dico io, sorridendole: questa donna quindi non è molto
distante dall’età di mia madre. Si vede come la differenza di vita tra
le due donne abbia portato lei ad invecchiare prima, ma in ogni caso a
rimanere più bella.
Lei annuisce. << Sì, Zayn ha diciannove anni. >>
<< Zayn? >> Chiedo,
incuriosito da quel nome dalla strana etimologia. Probabilmente non è
completamente inglese, ha una strana provenienza quel nome.
<< Sì. Mio marito è di origine pakistane. >> Mi dice lei con orgoglio, mentre ricomincia a pulire quella stanza.
Immagino sia questo il motivo per
cui ora lei sia qui: avrà rinunciato a tutto per averlo, in una società
in cui la parità viene vista spesso come un miraggio ancora. Mi
incuriosisce pensare come possa essere suo figlio però: avrà ereditato
i suoi tratti inglese, la sua pelle diafana e gli occhi di cristallo?
Oppure avrà tratti rozzi, occhi di catrame e pelle d’ambra?
Rimango ancora per un po’ perso nei miei pensieri quando quell’uomo torno nella sala, con passo spedito e aria arrogante.
<< Sua madre ha detto di
finire almeno questa lezione. >> Mi annuncia lui prima di
accomodarmisi affianco. << Ah sì, ha detto che ha bisogno di lei
al piano di sopra. >> Dice alla donna che sta lavorando che, con
un piccolo saluto verso di me e un segno d’assenso a lui sale al piano
di sopra, con passo stanco e leggermente goffo.
Cominciamo nuovamente con quei
noiosi allenamenti mentre sento il citofono suonare e Albert dire
qualcosa. Probabilmente sarà qualche amica di mia madre, solitamente si
incontrano per parlare di frivolezze al piano di sopra, mentre
aspettano le cinque, l’ora del tè. Per noi è un rituale: viene
preparato un tè tramite gli infusi creati da fogli e odori puri,
rovesciati in piccole tazze sul cui fondo vi è un po’ di latte e con
l’aggiunta di una zolletta di zucchero. Portati poi in un grande
vassoio in cui svettano ogni tipo di pasticcino, vengono pregustati per
almeno mezz’ora: ammetto che è una delle poche abitudini per cui
anche io impazzisco.
Ben presto la porta viene aperta e
un odore orientale si sparge nella casa, qualcosa che non ho mai
sentito: sembra odore di spezie, qualcosa di dolce e amaro allo stesso
tempo, di piccante. Non capisco bene cosa, ma vedo Albert andare al
piano di sopra e ben presto qualche passo si muove verso la stanza in
cui sto suonando, probabilmente provenienti dall’ospite di mamma.
Ma è qualcosa di diverso: non è un
passo elegante e regolare, niente che pare essere uscito da un uomo o
una donna dell’alta società. È un passo poco elegante, quasi pesante e
trascinato, ma in ogni caso sicuro, che mi incuriosisce ogni secondo di
più.
<< E tu chi sei? >>
Domanda il mio insegnante al nuovo arrivato mentre alzo gli occhi,
rimanendo per un attimo fulminato da quella visione.
È un ragazzo, poco più alto di me
ma molto diverso. Ha corti capelli neri, tenuti leggermente più corti
ai lati e alzati al centro, con occhi dal taglio orientale e di un nero
catrame, contornati da lunghe ciglia scure e la pelle ambrata: il viso
ha tratti leggermente più marcati dei nostri e anche il fisico è poco
più grosso del mio. Indossa una giacca di jeans nera con pantaloni
coordinati e una maglia bianca semplice, con uno zaino vecchio e
rovinato sulla spalla destra.
Rimango a fissarlo, per almeno
qualche altro minuto, mentre sogno già le sue labbra su di me, e le sue
braccia intorno al mio corpo: senza neanche saperlo, so già che il suo
nome è Zayn.
<< Cerco mia madre, si chiama
Tricia. >> Dice con voce calda e sicura, guardando l’uomo seduto
affianco a me, quasi con volto disgustato.
<< Sei già qui, Zayn?
>> La voce che prima mi parlava con dolcezza ora è fredda e
sicura. Vedo quel ragazzo fissarmi ancora un attimo prima di fare
qualche passo indietro, per scambiare due chiacchere con la madre.
La vedo dalla porta, gli sta
porgendo un sacchetto non troppo grande e vedo la mano di lui
accettarlo: nel braccio sinistro vedo un piccolo tatuaggio, uno YinYang
che ora come ora trovo una delle cose più perfette su di lui.
<< Torniamo alla nostra lezione, signorino Styles? >>
<< No, non ne ho voglia.
>> Dico a quell’uomo arrogante che ora inizia ad arrabbiarsi e mi
colpisce con uno schiaffo, mentre con voce cattiva mi chiede dove
diavolo io abbia imparato la mia scarsa, se non nulla, educazione.
Quando mi sta per colpire
nuovamente, la mano di quel ragazzo dagli occhi scuri prende al volo il
suo polso, stringendolo e lo allontana da me.
<< Mi chiedo dove l’abbia
imparata lei. >> Risponde con voce strafottente, che ora a me
sembra solo una dolce melodia. << Ha ragione a non voler suonare,
questa roba è noiosa. >>
<< Pensi di saper fare meglio
di me, ragazzino? >> Dice lui offeso nell’orgoglio. Si alza dallo
sgabello affianco a me e lo segna, come per invitarlo ad accomodarsi.
<< Sentiamo! >>
Guardo per un attimo per ragazzo
che ora sembra più insicuro e che mi si accomoda affianco. Le sue mani,
con lunghe dita, si appoggiano sui tasti e inizia a pigiarli in
successione, inizialmente con terrore, ma trasformando poi tutto in una
stupenda melodia, continua e perfetta: chiudo gli occhi, sentendo tutto
quello come qualcosa di perfetto, di divino e sorrido, fino a che non
finisce la sua esibizione, quasi con sollievo.
<< Perché non mi insegni tu?
>> Domando poi io dopo aver riaperto gli occhi e aver guardato
quel giovane con un sorriso splendente, che ora mi pare insicuro, ma
comunque perfetto.
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Capitolo 3 *** You're messin' with my head ***
You're messin' with my head
You're messin' with my head
~ZaynWord
Guardo quel ragazzino dagli occhi
verdi come il cristallo e il sorriso che ora appare dalle labbra rosse:
i denti bianchi luccicano come mai, ma non è solo quello.
<< Io? >> Dico, incerto
di aver capito bene, ma il suo annuire continuamente mi fa dedurre che
avevo capito benissimo. Perché io? Alla fine non ho la conoscenza base
per insegnare a questo ragazzo come suonare il piano, ciò che ho
imparato e stato solo da autodidatta e, teoricamente, non so molto.
Il suo maestro, quel vecchio dal
naso strano e il carattere impossibile inizia ad imprecare qualcosa
nella sua lingua natale pare e prende le sue cose, prima di andarsene a
grandi passi da quella sala.
<< Ora non hai gran scelta.
>> Dice lui ridacchiando, mentre mi porge la mano elegante,
simile a quella di una donna. << Io sono Harold. Harold Edward
Styles! >>
<< Ah… Zayn, piacere. >> Dico, stringendola con leggera forza, mentre mia madre mi colpisce piano sulla tempia.
<< Non essere maleducato! Lo
scusi, il suo nome è Zayn Jawadd Malik. >> Mai ho capito perché
mia madre deve sempre puntualizzare il mio nome completo: ho subito
molte prese in giro, oltre che aver sentito pronunciare il mio nome in
maniera davvero assurda. Jawadd, poi, non ho ancora mai trovato
qualcuno che sappia scriverlo correttamente: troppe lettere oppure, al
contrario, troppe mancanti.
Usare solo Zayn è più comodo: non è un nome tanto comune, e alla gente rimane sempre impresso.
Ma mentre mi sono perso nei miei
pensieri, vedo questo specie di principino annuire prima di rimettersi
alla posizione del piano, iniziando a suonare qualcosa: probabilmente
vuole farmi capire a che livello si trova. In realtà la tecnica è molto
buona, vedo che conosce teoricamente la musica ad un livello ottimale,
anche perché sta suonando per uno che non sa leggere uno spartito
musicalmente, ma ciò che manca è la passione: probabilmente è stato
costretto a suonare questo strumento.
<< Sei bravo. >>
Concludo infine, annuendo appena. << Ma ti manca la passione. Se
non ti piace quello che suoni, non dovresti neanche iniziare. >>
Gli dico in maniera schietta, mentre vedo i suoi occhi incupirsi
leggermente: probabilmente questo ragazzo non ha mai avuto un offesa ne
altro, non sa neanche cosa vuol dire essere secondo. << È una
cosa che acquisirai suonando cosa ti piace. Tecnicamente sei bravo.
>> Dico poi per rasserenarlo, mentre continuiamo quella lezione
per almeno mezz’ora.
La sua voce è dolce, mi chiede
spesso cose e lo vedo insicuro, anche se ciò non vuole darlo a vedere:
noto anche che non deve stare spesso con suoi coetanei, perché parla in
una maniera già troppo adulta. I diciotto anni che ha non li dimostra
per nulla, ha tratti così delicati che se avesse i capelli lunghi
sembrerebbe una bellissima ragazza e basta, invece che un ragazzo
effemminato che attira.
<< E questo ragazzo chi è?
>> Sento dire da una voce imponente alle mie spalle: è femminile
ma estremamente sicura di sé. Viene accompagnata da una fragranza
fruttata e da un passo elegante e, ai piedi, scarpe con almeno cinque
centimetri di tacco, i capelli perfettamente acconciati in uno chignon
e il trucco appena fatto sul volto: una bellissima donna in carriera
sui cinquant’anni immagino.
Mi alzo dal seggiolino e le porgo la mano, mentre la giacca che prima ho tolto ora è caduta a terra.
<< Mi chiamo Zayn Jawadd
Malik, sono il figlio di Tricia. >> Dico, prima di vederla
arricciare leggermente il naso a punta, tanto che capisco sia il
momento di ritirare la mano.
Probabilmente questa è la classica
donna che ancora non ha capito l’uguaglianza tra etnie: mi fissa, come
se fossi chissà quale specie di animale raro da studiare, da catturare,
e chissà cos’altro. Per un attimo il suo sguardo mi fa tornare a quando
ero piccolo, e venivo screditato per le mie origini da questi
inglesotti tutti per bene.
<< Sarà il mio nuovo
insegnante di pianoforte. >> Dice quel ragazzino curioso mentre
salta dritto sulle gambe, agile come un felino, incontrando lo sguardo
della madre che allarga leggermente gli occhi, come se fosse sconvolta
da ciò che ha detto, come se fosse una presa in giro. Probabilmente non
mi crede neanche capace di scrivere, figuriamoci di suonare.
Raccolgo da terra la mia giacca,
dandole un piccolo colpetto per togliere la polvere immaginaria che vi
è sopra: alla fine questa casa viene setacciata mattina e sera da
gente, di pulviscolo non ve ne è neanche in lontananza. La rimetto poi
velocemente addosso, alzando il colletto come mia abitudine e estraggo
il pacchetto di sigarette dalla tasca, mentre ne prendo già una fuori.
<< Lascia stare, immagino di
essere troppo selvatico per questo ambiente. >> Dico con voce
strafottente, mentre appoggio la sigaretta tra le labbra e mi preparo
ad accenderla: do un colpetto con la spalla a quella donna che perde
per qualche attimo l’equilibrio e mi avvio alla porta, dopo aver preso
il sacchetto di mia madre.
Esco con facilità, avviandomi a
passo spedito verso l’uscita mentre la sigaretta inizia ad ardere tra
le mie labbra, una mano mi afferra il braccio.
<< Aspetta ti prego. >>
Sento dire da quel ragazzino, che ora, colpito da questo sole
pomeridiano, risplende come un astro nel cielo. I suoi occhi paiono
pietre preziose, le sue labbra sono da assaggiare e altri pensieri mi
si parano in mente, ma ben presto vengono rimpiazzati da note di rabbia
e altro.
<< Ho da fare. >> Dico
con arroganza, liberandomi il braccio da quella misera presa debole, ma
il fatto di vedere quegli iridi leggermente opachi ora mi fanno
immobilizzare, capendo che alla fine non è colpa sua quella di essere
cresciuto in una famiglia come questa: non è mai colpa dei figli, non
devono pagare per le pene dei genitori, che alla fine vincono sempre e
comunque. << Di che hai bisogno? >> Mi intenerisco poco
dopo, mentre la vena triste nei suoi occhi viene ben presto rimpiazzata
dalla luce che ho visto poco fa.
<< Voglio imparare a suonare.
>> Annuisce convinto di ciò, prima di guardare il sole,
respirando a fondo. << Ma voglio imparare a vivere. E tu potresti
insegnarmelo. >> Dice, mentre il vento gli spira tra i capelli e
i bei riccioli castani volano ovunque, stagliandosi verso il cielo
cristallino, creandogli una corona regale intorno al viso: gli occhi
sono chiusi, la pelle sembra fatta di tanti piccoli cristalli
scintillanti e le labbra ora sono più rosse.
Ed è come se tutto cambiasse, se
ogni suono diventasse ovattato alle mie orecchie, perché una frase
simile mi ha scombussolato: vuole imparare a vivere.
È un ragazzino di appena diciotto anni che probabilmente non ha mai
preso la metropolita di notte, che mai ha camminato in bilico nella
stazione di un treno, che mai ha sbagliato, che mai si è innamorato ed
ha sofferto. Non ha mai avuto la mancanza di nulla, non conosce le
regole della nostra terra, non conosce falsità: vive dentro ad una
sfera di vetro, qualcosa che ben presto dovrà abbandonare, perché il
mondo ti fa le spalle.
Chiede a me, ad un ragazzo che mai
aveva visto prima e così diverso da lui di insegnargli una cosa così
importante, di fare qualcosa che i suoi genitori mai hanno fatto.
Rimette in mano a me tutto il suo futuro, chissà per quale strana forma
masochistica, chissà per quale diavolo di motivo, ma lo ha fatto.
Si fida di me.
Rimango ancora per qualche attimo
perso nel mio mondo, ponderando bene le parole. << Darò un
messaggio a mia madre e ti comunicherò la mia risposta. >> Dico
semplicemente, per non dargli ne speranze ne delusioni, prima di
riprendere il mio cammino, a passo svelto.
Ancora la sua voce risuona nelle
mie orecchie, nel mio cuore: è come se avesse smosso qualcosa nel
profondo di me, qualcosa che è rimasto bloccato per troppo tempo. La
parola fiducia non mi è
capitata di sentirla dire spesso, non sono uno a cui ciò si da con
facilità devo ammettere: sono un casinista, combina guai e spesso nulla
facente. Ho avuto piccoli problemi con la legge e ne avrei avuti molti
altri se non fossi stato bravo a nascondermi in varie occasioni. Il
fatto di sapere che un ragazzino perbene come lui si fidi di me, mi fa
sentire strano, è una strana sensazione…
Ma ben presto non ho più tempo per
pensare. La mia fermata arriva al volo e vi scendo, rientrando nel
quartiere di Brixton: il cielo, ora che vengo da fuori, pare ancora più
scuro del solito e l’aria si è fatta pesante.
Cammino per le strade asfaltate,
che mi accompagnano fin da quando sono piccolo: decido di avviarmi ad
un parco qui vicino, l’unica area rimasta in parte verde di questo
luogo disperso e dimenticato dal mondo. Il piccolo parco dove mi sono
avviato una volta aveva tante giostre: le altalene, le girelle e cose
simili. Ci giocavamo sempre io e gli altri bambini, ma poi tutto è
cambiato: siamo sempre rimasti più dimenticati dal mondo e ben
presto tutto è andato in rovina. Ora di quel tempo rimangono solo
le macerie che rendono questo posto la cosa più simile ad una rovina
antica: dondoli rotti, scivoli con immensi buchi, qualunque cosa
sarebbe potenzialmente pericolosa.
Ma non me ne interessa, non vengo
qui per ciò, ma vengo qui per lei, Helena, la mia principessa. Ora la
vedo, è lì, seduta su quella vecchia altalena, coi suoi lunghi capelli
rossi come il fuoco che toccano quasi terra stretti in due code, gli
occhi grigi puntano verso il grande libro che sta leggendo: le mani
sono perfettamente tenute e le unghie dipinte dal rosso come anche le
labbra, mentre gli occhi sono colorati di nero, che aumenta la potenza
della sua espressività. La sua pelle è diafana, ma sul braccio destro
vi è una specie di drago che si attorciglia per quasi tutto il braccio,
la cui testa muore sulla spalla di lei, bella come una dea.
La incontrai la prima volta quasi
un anno fa in un negozio di cd non lontano da qui: aveva le cuffie
nelle orecchie, vestiva come oggi, con quei corti pantaloni di pelle,
le scarpe alte e la camicia larga. Era arrabbiata col mondo, ascoltava
musica a palla tanto che sentivo io lì affianco e quasi mi incenerì al
primo scambio di battute: ma ben presto nulla era più come sempre. Era
come l’acqua e il fuoco, la luce e l’ombra, che per quanto si
contrastino, si attireranno sempre, e faranno nascere un circolo
vizioso da cui è impossibile allontanarsi: qualcosa in cui si rischia
di farsi del male, come io e lei.
La abbraccio alle spalle, mentre il
suo odore di frutta mi inebria il naso e non solo: l’odore dell’erba
che tiene tra le mani e ora porta alle labbra mi fanno già volare in un
altro mondo, ben lontano da qui, ma neanche tanto poi.
<< Ti aspettavo qualche ora
fa. >> Mi sussurra con la sua voce bassa e roca che tanto sa
farmi impazzire, mentre mi avvicina quella piccola canna alla bocca,
facendomi fare un tiro.
<< Ho dovuto fare una
commissione per mia madre a Notting Hill. >> Le sussurro
nell’orecchio forato, mordicchiandole il logo morbido, stringendo con
forza le braccia intorno alla sua vita che pari quasi nulla
confrontandola a me.
Questo splendore di ragazza è la
mia droga, il mio assenzio: solo l’odore della sua pelle mi porta già
in altri mondi, e la sua visione mi trasforma, mi fa diventare da
semplice bruco alla farfalla più bella che possa esistere. Come ciò sia
possibile? Non ne ho idea, ma da quando siamo vicini, siamo tutt’uno
l’uno con l’altro: non possiamo passare troppo tempo lontani l’uno
dall’altro, è come se non mangiassi da giorni, secoli se non la vedo. È
il mio nutrimento, la mia aria, la mia vita.
<< Zayn, andiamo a casa tua?
>> Mi dice dolcemente e io annuisco, prendendola tra le mie
braccia e camminando per qualche metro, così da arrivare alla mia
dimora, dove l’appoggio a terra, come giusto sia con ogni principessa.
Lei mi si avvicina, baciandomi con
quelle labbra carnose che ha, lambendo la mia lingua con la sua per
portarla in un gioco infinito di perversione: la canna tra le sue mani
inizia a consumarsi e lei l’avvicina ancora alle mie labbra. Un altro
tiro e ben presto la mia visione del mondo inizia a cambiare mentre la
porto in quel vecchio rudere: apro la porta con forza, dopo che si è
incastrata più e più volte a causa della mancanza di un chiavistello.
Saliamo le scale di vecchio legno scricchiolante fino al piano di
sopra, prima di chiuderci nella mia camera, dove le pareti odorano di
marcio e tutto cade a terra: ma a noi non importa, la spingo sul letto,
dove con ancora due tiri finiamo quella piccola nostra amica, e ci
perdiamo l’uno nelle labbra dell’altro.
Non importa se le coperte sono
sporche o macchiate di qualcosa, se la luce va e viene ad intermittenza
o altro, l’importante siamo noi due, e questo mai verrà cambiato.
Mentre le sue vesti cadono
miseramente a terra, però, sento qualcosa cambiare: ora nei suoi occhi
vitrei vedo quelli del ragazzo di oggi, smeraldo, che mi stanno
fissando con intensità, come se volessero ricordarmi qualcosa. Tutto è
confuso, perché penso a lui in questo momento?
Scaccio i miei pensieri devianti e
torno al suo corpo, al suo odore, ma qualcosa in me viene bloccato: è
come se sentissi qualcosa di diverso, una fitta allo stomaco.
<< Dio, che cavolo...
>> Sussurro tra me e me sedendomi sul letto, mentre sento le
unghie accarezzarmi il centro della schiena, e la sua voce ridacchiare.
<< Che ti succede, Zayn?
>> Pronuncia scandendo ogni lettera, tanto che il mio nome sembri
ancora più dolce di quello che già è.
Mi sdraio affianco a lei e la
guardo negli occhi, mentre quell’aria principesca la fanno ancora più
bella: non è come quella di quel ragazzo di oggi, no, perché il suo è
fascino inglese, mentre quello di Helena è qualcosa di orientale. È
come se le sue origini russe le dessero un fascino tutto suo: viene
dalla grande città di Mosca, fuggita qui a cercare lavoro con la
famiglia, ma la fortuna non l’ha trovata, anche se ha trovato me.
Quando mi parla del suo paese,
capisco perché siamo così simili: entrambi estirpati da un nostro luogo
natio, e catapultati in questo mondo di perbenismo che neanche ci
interessa. Io ed Helena siamo complementari, siamo un tutt’uno
indissolubile.
Le sposto i capelli dal viso mentre
un altro ansito roco mi fa venire dentro di me, e le lecco piano le
labbra, chiedendo se quel momento possa essere fermato per sempre.
Ma mai nulla è per sempre mi viene
raccontato: Safaa bussa con forza alla mia porta, lamentandosi che non
c’è nulla in casa da mangiare, e lei ha fame, essendo appena tornata
dalla scuola. Ringhio appena e mi stacco dalla mia principessa,
mettendo velocemente i jeans e avviandomi alla porta ancora a petto
nudo, mentre il volto di bambina dagli occhi profondi di mia sorella e
i lunghi capelli mori e ricci tenuti stretti in una treccia.
<< Tu riesci sempre a rompere
le palle. >> Le dico, infilando velocemente la maglia, mentre la
sento sbuffare, e buttare a terra lo zainetto rosa che ha.
<< Ho fame Zayn! >>
Dice con voce lamentosa e la porto al piano di sotto, chiedendomi a che
età impareranno a cucinare.
Cosa cucinare però, se il frigo è
vuoto? Quando constato che non vi è più nulla di commestibile, capisco
perché questa creatura ora mi piange sommessamente tra le braccia.
Tutto è finito, nuovamente.
Sospiro tra me e me e l’appoggio a terra, vedendo quei bei occhi pieni di lacrime. Sorrido appena, baciandola sulla fronte.
<< Ti porto a prendere
qualcosa. >> Le sussurro mentre vedo la mia bella Helena uscire
dalla porta come se fosse un fantasma, una mera illusione.
Dopo poco io e la mia sorellina
siamo fuori, che camminiamo in queste vie scure: la tengo stretta a me,
con la paura che qualcuno pensi di farle del male. I negozi sono
chiusi, la gente ha paura di aprirli perché la delinquenza è davvero
spicciola, ed hanno ragione: ma non me ne interessa, so come tenere
buone queste gang, e poi ho amici tra di loro.
<< Eccoci. >> Dico,
mentre arriviamo ad un piccolo pub irlandese alla fine della strada,
dove, sullo stipite, un biondo dagli occhi di cielo e le labbra carnose
mi sorride, buttando in terra la sigaretta.
<< Ciao Zayn, che piacere. >>
<< Tutto mio, Niall. >> Gli dico sorridendo, mentre ci fa strada dentro al piccolo pub.
Quando entriamo, l’aria si fa
leggera, e la luce diventa accecante: grandi lampade illuminano tutto
il locale, i cui tavolini sono circolari e di legno scuro, con intorno
grandi sedie decorate con fiori. Sopra ogni tavolo vi sono piccole
tovaglie bianche e semplici, e sulle pareti vi sono grandi quadri e
foto che mostrano il paesaggio irlandese, mentre dei fiori odorano
questo posto intimo.
<< Cosa desideri oggi?
>> Mi chiede, mentre va con passo elegante dietro al balcone del
pub che sta tenendo per i suoi genitori.
<< Il solito, qualcosa adatto
a questa piccola pulce. >> Dico, dandole un colpetto in testa,
mentre si allontana da noi, per andare a giocare. Niall mi lancia la
solita occhiata, prima di iniziare a pulire un boccale di birra, con
uno straccio che si vede già essere usato più volte.
<< Ancora senza nulla? >> Mi chiede a voce bassa, sorridendo appena.
<< No… anche se forse ho trovato un occupazione. >>
<< E cosa? >> Dice con
voce divertita, sapendo che io sono poco per essere ai comandi di
qualcuno. Diciamo che non mi faccio comandare, sono uno spirito libero,
non possono domarmi.
<< Insegnare pianoforte ad un
borghese a Notting Hill. >> E mentre pronuncio quella frase
capisco che è davvero l’unico modo che posso avere per vivere ancora.
(L’unico modo per rivederlo.)
Alzo lo sguardo su di lui,
mentre il bell’irlandese diventa pian piano più stranito, i suoi begli
occhi si allargano formando una strana espressione confusa e le labbra
si contraggono, prima di scoppiare in una risata fresca e proveniente
dal fondo.
Dal canto mio, lo guardo con un po’
di superficialità, alzando un sopracciglio, come per capire cosa ci sia
di così divertente nella mia frase.
<< Tu agli ordini di un
borghese? >> Dice, e da quanto ride appoggia il bicchiere sul
balcone, stringendosi la pancia con le braccia, mentre lo vedo
ricercare aria da ogni dove.
Scosso leggermente la testa e
controllo nel pacchetto di sigarette di averne un’altra che estraggo,
mentre un piatto con sopra un panino ben farcito arriva affianco a me,
e quella piccola pulce mi si avvicina per mangiare.
<< Sì, Niall, quei borghesi è
ora che vedano come viviamo noi pecore nere. >> Dico, sorridendo
tra me e me, mentre accendo la cicca, avviandomi fuori dal locale:
l’aria è mesta, mentre i miei occhi si alzano al cielo e per un attimo
sento quel nome risuonarmi nelle orecchie.
Harold Edward Styles.
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Capitolo 4 *** All that you want is under your nose ***
All that you want is under your nose
All that you want is under your nose
~HarryWord
È stato strano, vedere allontanarsi quel ragazzo così diverso da me ma
tanto affascinante mi ha confuso: è come se continuassi a sentire il
suo odore qui intorno a me. Il piano profuma ancora di spezie, inalo
quell’odore ogni attimo ma non solo, anche il resto ha ancora una parte
di lui all’interno: i suoi passi risuonano nella stanza, i suoi occhi
ancora bruciano la mia pelle, le sue labbra umide e carnose mi
sorridono. Tutto, anche le sue mani le vedo ancora affianco a me, che
si muovono con facilità e maestria su questi semplici tasti che hanno
avuto la fortuna di essere suoi per alcuni istanti.
<< Mi stai ascoltando Harold? >> Dice mia madre poco
distante da me, mentre la sua voce, a confronto di quella del bel
pakistano, ora sembra solo un fastidioso rumore che si ripete ogni
attimo più forte. << Quindi? Il tuo insegnante è praticamente
fuggito, come faremo con le lezioni? >> Mi guarda con occhi
inquisitori, e ricambio lo sguardo, come se tutto ciò fosse solo
retorico e la risposta fosse già scritta.
<< Mi aiuterà Zayn. >> Dico semplicemente scrollando le
spalle, mentre guardo la donna che sta pulendo lì vicino fermarsi
qualche attimo e spostare lo sguardo su di me: nei begli occhi aleggia
un velo di speranza, che però si infrange quando mia madre continua il
suo monologo praticamente.
<< È un ragazzino combina guai e non sai nulla di lui, come mai potrà insegnarti tale strumento? >>
<< Mi sembra che abbia dato una prova di bravura prima. >>
<< E quindi? >> Semplicemente scrolla le spalle, come se tutto ciò non bastasse.
Certo, perché lui non è come gli altri, non è un inglese come noi, che
veste come un damerino, parla in maniera aulica e si muove
delicatamente: no, lui è acerbo, è come un fiore ancora non sbocciato.
Si muove rudemente, in maniera sporca, perché proviene dal basso. Si
veste con stracci, perché non è quello che gli interessa. Parla con un
forte accento, perché nessuno gli ha insegnato come correggere i propri
difetti.
Sì, lui è sbagliato, è imperfetto, come tutti i giovani: sa vivere, non
ha paura di girare in piena notte per le strade perché vi è nato tra
cumoli di rabbia e dolore. Non sa cosa sia la vita facile perché mai ha
avuto un agio, si è sempre sviluppato da sé, non ha bisogno del
permesso di nessuno, perché ciò che vuole lo prende.
E dio, ha preso anche troppo di me ora.
Con paura mia madre non mi affida a lui, perché lui mi può insegnare la libertà, mi può insegnare a vivere.
<< Che tu lo voglia o no, sarà lui ad insegnarmi. >> Chiudo
tale assurdo discorso con questa frase, prima di alzarmi dal seggiolino
in cui mi ero seduto poco fa: guardo quella donna, la fantastica
creatura che ha dato alla luce quel giovane e le sorrido come meglio
posso. << Se Zayn è interessato alla mia proposta, lo aspetto
domani per quest’ora. >> Dico con semplicità, prima di inchinarmi
leggermente ed uscire da lì.
Le urla di mia madre, solitamente composta e perfetta, non mi turbano
mentre imbocco la tromba delle scale per andarmene via da quell’insieme
di rumori e voci fastidiose.
Entro con rabbia nella mia stanza, perché non capisco il motivo per cui
la propria etnia sia un problema, ed entro in bagno, in cui mi chiudo
dando qualche giro di chiave. Apro l’acqua bollente nella mia vasca,
mentre sfilo la polo azzurra e mi guardo riflesso nello specchio.
A volte mi faccio schifo da solo. Non un minimo graffio che attesti un
mio sbaglio sul volto, non un imperfezione, mai un capello fuori posto:
no, perché nel nostro mondo non esiste l’imperfezione, non esiste il
momento sbagliato, bisogna sempre essere pronti.
Sia mai che esca sul giornale la foto del figlio del più grande
banchiere inglese in maniera non consona all’etichetta, ciò porterebbe
scandalo e disonore: a volte penso ancora che sembriamo quelle vecchie
famiglie dell’epoca rinascimentale o chissà che altro. È come se tutti
aspettassero un tuo errore per affondarti, una tua debolezza, qualcosa
che ti renda umano.
Ma perché è un male essere umani? Vorrei tanto provare questa sensazione, una volta ogni tanto, essere un automa fa male.
Quando tutto è pronto, mi immergo nell’acqua in cui i sali da bagno
hanno creato una tiepida atmosfera di rilassamento: appoggio la testa
al muro dietro di me e chiudo gli occhi, mentre una nuvola di odori mi
cattura senza volermi più lasciar andare. Ed è questo che voglio, a
volte non mi vorrei mai svegliare da questi sonni infiniti, vorrei
stare qui per sempre, coi miei pensieri, i miei sogni, i miei desideri.
Sospiro, sistemando il papillon di color blu e azzurro, mentre il
centro ha una fettuccia tartan: allaccio bene la camicia bianca e metto
la giacca nera, mentre la piccola pochette bianca esce dalla tasca
sinistra. Accomodo anche i pantaloni beige e la cintura marrone, mentre
lo specchio riflette un immagine che non sento mia, quella di un
signorotto dell’alta borghesia, quello di… non lo so, ma questo non è
Harry Styles.
Il campanello di sotto mi preannuncia che sono arrivagli gli ospiti,
col loro perfetto figlio, Louis William Tomlinson, un ragazzo di
ventun’anni alto poco più di me, dal viso d’angelo, gli occhi azzurri e
i corti capelli castani: una bellezza devo ammettere, con un fascino
tutto suo e un comportamento da principe. Non che sia poi molto diverso
da me, ha ricevuto un educazione rigida e assolutista, quindi non può
sbagliare: suo padre è una famosa star del Regno Unito, e anche lui è
sempre sotto pressione, come me.
Quando scendo le scale, lui è il primo che mi appare alla vista: con
pantaloni uguali ai miei e scarpe nere, una perfetta camicia bianca
arrotolata sull’avambraccio e due bretelle nere con all’interno una
riga bianca mostrano il suo fisico statuario. Il fatto che i suoi occhi
e il suo atteggiamento lo facciano assomigliare ad un principe, rendono
il tutto simile alla scena di un film d’altri tempi: lui si inchina
gentilmente quando mi vede, mentre io faccio lo stesso, e i suoi
genitori, agghindati come alberi di natale, mi sorridono dolcemente.
Questo ipocrita gruppo felice si avvia poi alla grande sala dove un
tavolo di legno immenso occupa la maggior parte della sala, grandi
sedie simili a troni regali vi sono intorno e tutto è già imbandito con
posate d’argento e bicchieri di cristallo: ognuno sa già il suo posto
ed ognuno si accomoda, mentre io e Louis sediamo affianco.
<< È un piacere avervi qui, Mark. >> Dice mio padre, mentre
l’uomo si toglie il piccolo occhiello che indossa sempre e lo guarda,
sorridendo senza però scomporsi troppo.
Altra cosa che non sopporto è il non poter esprimere i nostri
sentimenti come vogliamo: non dobbiamo urlare o schiamazzare, ma bensì
mantenere un nostro rigido comportamento. Un sorriso appena accennato,
il tono di voce basso e un semplice gesto della mano non può esprimere
ringraziamento.
<< il piacere è tutto mio, casa tua è sempre più bella. >>
Annuisce, sorseggiando un po’ di vino, prima di guardarmi. << E
tuo figlio sembra sempre un principe. Come và, Harold? >> Quando
dice il mio nome, un brivido di odio passa nella mia schiena: dio, quel
nome, detto in quel modo poi, mi ricorda in quale diavolo di mondo io
viva.
Sorrido con falsità, cercando di reprimere la mia voglia di mangiargli
la faccia e cerco di essere più cordiale possibile. << La scuola
funziona molto bene, come anche il resto. Grazie dell’interessamento,
mister Tomlinson. >>
Li vedo compiaciuti di ciò che ho detto, e mi guardano come se fossi un
principe, mentre decido di alzarmi per un attimo, sentendo il mio
cellulare suonare. Esco dalla sala, vedendo un messaggio di una mia
compagna di classe: mi chiede di uscire. Cosa rispondere? Non che sia
brutta, ammetto che è molto carina, ma è strano: non ho mai sentito il
bisogno di uscire con qualcuna di loro, è come se la mia testa ora
volasse in altre parti.
<< Io fossi in te non accetterei. >> Sento dire da una voce
maschile alle mie spalle, mentre un volto mi si appoggia dolcemente
sulla spalla, e due occhi azzurri scrutano lo schermo del telefono.
Rimango per un attimo basito da ciò e mi sposto, prima di girarmi verso
quel ragazzo che ora mi mostra le mani e ridacchia, come se volesse
prendermi in giro.
<< E perché dovrei ascoltarti? >>
<< Perché dovresti uscire con me. >> Dice, mentre mi si
avvicina col suo affascinante sorriso sghembo e la camminata da play
boy, quale è immagino.
Dopo aver osservato ogni sua mossa, collego il cervello e ragiono su quello che mi ha detto. Uscire con lui?
<< Se mi prendi in giro non è simpatico. >> Gli dico,
mentre le mie guance devono essere diventate rosse inconsapevolmente,
perché lo vedo iniziare a ridere di gusto, tanto da piegarsi in due,
con la mano stretta su lo stomaco.
Non capisco perché ride: mi metto le mani sulle guance e le sento calde, immagino abbiano due sfere rosse disegnate sopra.
<< Sei uno spasso, piccolo Styles. >> Annuisce, prima di
avvicinarmisi e spingermi contro al muro, mentre il suo corpo si
appoggia sul mio. Una scarica di adrenalina mi passa in tutto il corpo
mentre lo guardo negli occhi e sento il cuore iniziare a battere ad
intermittenza, mentre uno strano calore mi sale dallo stomaco fino alla
gola. << E sei anche molto carino. >> Sussurra ora,
avvicinandomisi, poggiando le sue labbra su un angolo delle mie, e quel
contatto mi fa tremare ancora più di prima. Un po’ per la paura di
essere visti, un po’ perché… mi piace.
Ma ben presto tutto finisce, perché lui si stacca da me e mi guarda coi
suoi occhi languidi, prima di tornare nella sala dove sono tutti gli
altri. Inizio a cercare il fiato che ho perso in questi istanti, mentre
i suoi occhi e la sua bocca sono ancora su di me, come se tutto potesse
bruciarmi. Qualcosa non va, sentivo che non era una cosa normale, che
non avevo voglia di ragazze, perché io ho altre tendenze. E ora so che
dovrò reprimere questo, perché non è una buona cosa.
Quando torno nella sala, è come se tutti gli occhi fossero puntati su
di me: mi bruciano, la pelle la sento bruciare come se sapessero quello
che è successo. Che poi, cosa è successo, nulla, se non uno stupido
sfioramento di corpi.
E dio, che corpo.
Salutiamo i Tomlinson, mentre Louis mi guarda per un ultima volta prima
di andarsene e il mio cuore perde un semplice battito ma nient’altro.
Me ne salgo al piano superiore, buttando dove capita quella stupida e
fastidiosa giacca che nasconde il vero me, prima di buttarmi con poca
eleganza sul letto e affondare la testa nel cuscino: vorrei morire,
soffocare e chissà che altro, non riesco a credere a ciò che poco prima
ho ammesso.
Sento un bussare continuo alla porta e per qualche attimo rimango in silenzio, asciugandomi le lacrime.
<< Sì? >> Dico, con voce ancora rotta, mentre la porta si
apre, e quella donna dagli occhi di cristallo si affaccia, col capo
chinato.
<< Mi scusi se la disturbo signorino Styles. >> Sussurra,
quasi con voce sottomessa. << Ma ho ricevuto un messaggio dalla
signora, ha chiesto se può scendere di sotto. >>
<< Non ho voglia… >> Rispondo, mentre lascio andare
nuovamente la testa su quel morbido cuscino, iniziando a respirare a
fondo, come per riprendere quell’aria che mi manca.
Sento ben presto una mano che mi accarezza la schiena dolcemente,
dall’alto in basso, in un movimento continuo, come se fosse una
bellissima canzone. Sospiro rilassato, pensando che non può essere di
certo mia madre, perché mai mi ha trattato così.
<< Ehy, cos’hai piccolino? >> Sento sussurrare da Tricia,
quella donna che ora mi accarezza la schiena in maniera materna, forse
perché ha capito che ho bisogno di affetto.
<< Nulla. >> Dico, tenendo la testa pigiata contro quel morbido cuscino fatto di piume.
<< Sicuro? Puoi dirmi tutto. >> Sorride, e io alzo la
testa, vedendola qui vicino a me. È una madre vera, quella che io mai
ho avuto ma di cui avrei tanto bisogno. << Sai, ho anche io
figli, e posso capire i loro problemi. >>
So benissimo che lei potrebbe capirmi, perché sa capire le persone,
probabilmente più di quanto mi abbia mai capito qualcun altro.
<< Problemi di… cuore. >> Sorrido appena, mentre la sua
mano mi sale sul viso, togliendo l’altra lacrima solitaria che sta
scendendo, con una dolcezza non paragonabile a quella di nessun’altro
che io conosca.
<< Capisco. >> Dice lei e annuisce, con lo sguardo poi
basso. << Anche mio figlio, Zayn, ha questi problemi. Sai, alla
vostra età è normale… >>
Rimango un attimo in silenzio, dovendolo immaginare che un ragazzo come
lui, potesse già essere fidanzato, o comunque lì vicino. Insomma, è
praticamente perfetto.
Ma perché per me dovrebbe essere un problema? Poco me ne dovrebbe
interessare, è un tipo che ho appena conosciuto, cosa diavolo ha di
speciale per me.
<< Signorino Styles, a breve vi è la sua lezione di piano.
>> Mi comunica Albert al di là della porta, mentre sospiro,
annuendo appena tra me e me: mi dice le cose come se non le sapessi.
Zayn ieri sera non era in casa, quindi non ha potuto dire nulla alla
madre: è una sorpresa quindi, non so se avrò un insegnante o se dovrò
aspettarmi gli urli disperati di mia madre che mi dicono che sono solo
un disgraziato e stupidate simili.
Sospiro, indossando una semplice maglia a mezze maniche bianca, dallo
scollo tondo e dei jeans molto neutrali, di colore un po’ chiaro e
leggermente rovinati. Mi guardo allo specchio, iniziando
inconsapevolmente ad aggiuntarmi i capelli, come se volessi farmi
trovare più attraente: i denti sono bianchi splendenti, niente segno di
stanchezza ne altro. Perfetto.
Quando la porta di sotto si apre il mio cuore ha un sussulto ed esco di
corsa dalla mia stanza, iniziando a scendere le scale di gran numero,
quasi come se volessi balzare di sotto.
<< Attento! >> Sento urlare da Albert mentre i miei piedi
perdono aderenza dal terreno a causa dell’acqua che qualche idiota vi
ha fatto cadere e, se non vi fossero due braccia dalla pelle ambrata
che mi accolgono, avrei fatto un brutto volo.
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Capitolo 5 *** Tell me I'm a screwed up mess ***
Tell me I’m a screwed up mess
Tell me I’m a screwed up mess
~ZaynWord
Quando stamani ho preso la
metropolitana ho sentito qualcosa di diverso, come se la voglia di
andare da quel ragazzo mi portasse a fare tutto di corsa: con indosso
un semplice paio di pantaloni neri e una maglia a maniche lunghe del
medesimo colore tenuta con le maniche a tre/quarti scendo dalla
metropolitana, indossando gli occhiali da sole anni ottanta neri che mi
coprono il viso mi butto nella giungla metropolitana di questi alti
quartieri.
Ieri sera non sono tornato a casa:
quando sono uscito dal pub con Safaa, ho trovato Helena lì fuori che mi
aspettava. Il suo volto era ancora più bello del solito e illuminava
quel pomeriggio, tanto che ho chiesto a Niall se poteva poi portare mia
sorella a casa e mi sono allontanato con lei: ci siamo stesi nel primo
spazio che abbiamo trovato, iniziato a guardarci negli occhi e siamo
rimasti lì almeno tre ore, prima che la passione non sopraggiungesse e
abbiamo fatto l’amore due volte. Sentivo il cuore voler esplodere,
desiderando sempre di più, con la paura che lei potesse allontanarsi da
me: mi mancava l’aria, il respiro era affannato, mi stavo sentendo
morire. È così stare con lei, vieni completamente spompato, tutto il
tuo animo viene sputato fuori in pochi attimi e se prima eri pieno di
energie, con lei ti annulli, ti svuoti di tutto: muori completamente
ogni volta che la incontri, perché non vuoi più lasciarla.
Forse è l’amore, quello strano
sentimento di cui mi ha parlato spesso mia madre ma a cui io ho mai
creduto: perché io non posso amare Helena, quasi non so nulla di lei,
se non che proviene dalla Russia e poco di più. Ma i suoi occhi mi
ipnotizzano, mi catturano e mi fanno diventare suo.
Busso alla grande porta che ben
presto si apre e il signore distinto di ieri mi si presenta davanti: il
suo volto pare ancora più incavato se è possibile mentre mi lascia
passare. Muovo qualche passo nella grande dimora, perdendomi nuovamente
in quella ricchezza.
Ma ben presto tutto viene
disturbato: passi veloci, frenetici, che ben presto si trasformano in
un sordo tonfo. Apro le braccia al volo nel sentire quell’urlo e ben
presto un curly boy dagli occhi smeraldo è tra le mie braccia, con le
labbra poggiate sul mio petto e il corpo abbandonato a me.
Lo tengo stretto ancora per poco,
almeno finché non sento che le sue gambe riescono a tenere nuovamente
l’equilibrio e lo guardo negli occhi: quegli occhi che ieri mi
sembravano solamente belli, ora li trovo a dir poco splendenti.
Qualcosa all’interno sembra pulsare, come se cercassero la vita, come
se volessero chiedermi aiuto.
<< Stai bene? >> Gli
domando mentre lo vedo tirarsi in piedi ed annuire, prima di grattarsi
la testa, rosso in viso. Probabilmente è imbarazzato, il che mi porta a
sorridere mentre tolgo gli occhiali da sole e li metto attaccati alla
maglia, prima di mostrargli un piccolo blocco di fogli che ho dentro ad
una cartelletta. << Abbiamo molto da lavorare. >>
Ci accomodiamo davanti al
pianoforte, mentre gli mostro quale melodia vogliamo suonare: qualcosa
di un po’ pop, così che non si annoi. Gli mostro la prima parte, mentre
guardo quel foglio pieno di note e mi calo in quella magia per cui i
miei arti iniziano a scorrere in maniera autonoma: è come se tutto
attorno a me sparisse, il mondo diventa ovatta ed esisto solo io e
questo pianoforte.
Quando tutto è finito guardo quel
ragazzino che è rimasto a fissarmi: la bocca è socchiusa, le labbra
morbide e seducenti lasciano intravedere i denti bianchi e limati
perfettamente, oltre che la lingua. Il volto è rilassato, i suoi occhi
sembrano persi in chissà quale dimensione, le narici del naso mostrano
che si sta riprendendo.
Mi alzo, lasciandogli tutto il
posto che vuole mentre lo vedo riscaldarsi: inizia a leggere
attentamente quello spartito, iniziando a suonare parte per parte.
<< Bene, abbiamo finito per
oggi. >> Gli dico con un sorriso circa due ore dopo, mentre lo
vedo iniziare ad essere sfinito. Le mani si sono stancate, ma ha fatto
bene: è riuscito a suonare un brano quasi perfettamente, ciò mostra
come quel vecchio avvoltoio che aveva prima la teoria gliela aveva
insegnata bene.
Lo vedo annuire appena, leggermente
dispiaciuto mentre si alza in piedi. Mi guarda negli occhi, come se
volesse dirmi qualcosa di difficile.
<< Grazie. >> Sussurra soltanto, mentre un piccolo sorriso appare tra le sue labbra.
<< Mi accompagni al cancello?
>> Sorrido, per spezzare l’aria così tesa. << Ho paura di
perdermi nel tuo giardino! >> Lo vedo divertito da ciò: prendo
ciò che mi spetta come paga e la metto nei pantaloni, prima di
indossare nuovamente gli occhiali e avviarci.
L’aria è cambiata, sembra che la
primavera stia tornando, e con lei i piaceri che ci sono: il vento
odora di novità mentre le piante stanno rinascendo dalle loro ceneri
invernali e il sole fa capolino timidamente tra le nuvole che hanno
coperto la nostra bella Londra tutto l’inverno.
<< Ben presto dal London Eye
ci sarà una bellissima visuale! >> Annuncio con voce allegra,
mentre lo vedo sobbalzare appena, come se non si aspettasse tale
vitalità.
<< Non ci sono mai salito. >> Mi dice guardando a terra, osservando ogni più piccolo filo d’erba.
Lo guardo di mia volta, mentre gli occhi si spalancano di incredulità.
<< Vivi a Londra e non sei
mai stato sul London Eye? >> Inizio a ridere e ricordo la sua
frase del giorno prima: ecco cosa intende per vivere. Questo ragazzo
probabilmente non ha mai visto nulla al di fuori di questo immenso
giardino. << Allora ti ci porterò una sera. >> Gli
prometto, mentre vedo i suoi occhi prendere una diversa illuminazione e
le sue labbra ben presto piegarsi in un dolce sorriso.
<< Tua madre mi ha detto che
ieri sera non eri in casa. Si preoccupa molto per te. >> Mi dice
dopo poco, mentre lo vedo incuriosito da una coccinella posata su un
fiore: ben presto ella viene sradicata dal suo habitat e finisce tra le
sue mani, in cui si accomoda dolcemente, tanto che sembra poco decisa
ad andarsene.
Mia madre parla di me quasi sempre,
o almeno è ciò che mi dicono in tanti: il fatto che io fumi canne e
che, finite le superiori, non abbia intenzione di fare nulla la
preoccupa parecchio. E come darle torto, non ho un carattere
facile.
<< Lo so, anche troppo. Ero
da un’amica. >> Dico, prima di accendermi una sigaretta arrivati
al cancello immenso. Alzo gli occhi verso di lui, che mi fissa come un
cucciolo bastonato. << Che ti succede Harry? >> Chiedo,
chiamandolo con quel diminutivo che trovo molto più carino di Harold.
Oltretutto, visto il cognome che si ritrova, è meglio non esagerare con
le prese possibili in giro.
Lo vedo leggermente scombussolato dal mio modo di averlo chiamato, come se fosse strano l’usare un diminutivo.
<< Niente… >> Dice
incerto, ma vedendo il mio sguardo di uno che non si arrende con
facilità continua. << Non sono mai uscito di sera. >>
A quell’affermazione rimango
basito: penso di averne sentite di tutte, ma che un ragazzino di
diciotto anni non sia mai uscito col sole calato lo trovo realmente
assurdo.
<< Allora fatti trovare
pronto per le dieci. >> Sorrido, appoggiandogli una mano sulla
spalla. << Ti mostrerò la vera Londra. >> Lo vedo guardarmi
con un brillo di speranza mentre annuisce, controllando in giro che non
vi siano occhi o orecchie sospette.
<< D’accordo, mi fido di te, Zayn. >>
Le dieci arrivano presto. Con
attenzione scendo rapidamente dalla finestra di casa, con indosso un
paio di jeans marroni e una maglia a mezze maniche a righe fini bianca
e nera, con sopra un trench di pelle rossa, ed una cuffia nera in
testa. So benissimo che strade percorrere e vado con rapidità alla
piccola stazione metropolitana: gente ubriaca e completamente fatta mi
circonda, chiedendo soldi che neanche io ho, altrimenti glieli darei
volentieri. Vedo vecchi amici completamenti persi nella droga ora
sdraiati in terra, alcuni con ancora una siringa infilata nel braccio,
nella speranza di trovare per almeno qualche minuto un paradiso, che
però già più non esiste, perché pian piano vieni consumato, e ne hai
sempre bisogno di più, ma non puoi permettertela.
A volte ringrazio che la mia
famiglia mi abbia aiutato a non entrare in questo circolo, perché è
impossibile uscirne: e pensare che proprio ora sto per incontrarmi con
un borghese, uno di quelli che da piccolo odiavo con tutto me stesso.
Ma no, Harry non è come gli altri, lo sento: è stato piantato in quel
mondo che non gli appartiene.
Dopo non molto mi trovo con abilità
a salire su per le inferiate che mi dividono dal parco della casa:
quando sono sopra faccio un piccolo balzo e controllo non vi siano
telecamere, camminando poi furtivamente fino a quella piccola colonna
piena di erbacce che però mi aiuteranno. Infilo i piedi nelle fessure,
riuscendo a salire fino alla finestra di quel ragazzino e vi busso,
mentre sto attento che non vi siano pericoli. Dio, penso di non aver
mai fatto qualcosa di così divertente, probabilmente sarà uno spasso.
La finestra si apre e un ragazzino
in scarpe da ginnastica nere, jeans rossi e una camicia bianca mi si
presenta davanti che mette i piedi sul tetto, prima di guardarmi. Sta
morendo di paura, il che rendere tutto più divertente: sorrido,
allungando una mano verso di lui e lo aiuto a scendere, praticamente
trascinandolo.
Quando i nostri piedi toccano terra
sta per parlare ma gli faccio il segno di stare zitto, tirandolo verso
la grance cancellata che riusciamo a superare: appena fuori sorrido,
girandomi poi verso di lui.
<< Eccoci nel mondo reale,
Harry Styles. >> Il mio sorriso può sembrare strafottente, tanto
che lo vedo arricciare il naso, come se fosse un offesa verso di lui:
ma non lo è, è una semplice affermazione, una realtà. << Cosa
vuoi vedere? >>
<< Il quartiere di Soho!
>> Mi dice, annuendo con forza. << Mio padre ha detto che
non è un bel posto, quindi deduco ci si diverta! >> Se ancora non
avesse catturato tutta la mia simpatia, dopo questa frase lo ha fatto:
inizio a ridere, tanto da dovermi stringere lo stomaco con forza, dopo
essermi piegato in due.
<< In effetti è molto… multi
culturale! Penso che ci divertiremo. >> Faccio per un attimo
mente locale per capire come arrivare a Soho: sta nel quartiere di
Westminster, qui affianco, con una bella passeggiata vi possiamo
arrivare semplicemente.
Ci avviamo, mentre mi accendo una sigaretta, e lo vedo arricciare il naso.
<< Ti da fastidio? >> Chiedo, allontanando la mano da lui, mentre lo vedo scuotere la testa.
<< No… non ho mai sentito
l’odore di una sigaretta. >> Mi risponde con un po’ di imbarazzo,
mentre mi viene da chiedere davvero da che mondo possa venire. <<
Al massimo i sigari. >>
<< Troppo costosi. >>
Ridacchio, facendo un altro tiro, mentre mi avvicino leggermente a lui:
la notte di qua è tranquilla, le luci sono accese ed illuminano le vie
principali in cui la gente porta a spasso gli animali, oppure la
famiglia intera. Alcuni girano mano per mano, queste coppiette
imbarazzate perché non sanno cosa dire mi fanno tenerezza, ma non solo:
un po’ le invidio, forse perché tra me ed Helena mai è stato così
difficile da nulla. Perché non siamo noi a parlare, ma i nostri corpi:
non le nostre anime, è solo qualcosa di fisico, puramente,
schifosamente, fisico.
Guardo appena il ragazzino affianco
a me, e invece che solo un anno di differenza, sembrano molti di più:
forse il fatto del suo essere così infantile e in certi campi inesperto
mi portano a pensare ciò.
<< Harry. >> Gli dico
dopo un po’ che stiamo passeggiando in silenzio, mentre sento che
l’aria si fa più testa. << Hai mai fatto qualcosa che i tuoi
genitori non sapessero? >>
Lo guardo per un attimo, e vedo i
suoi occhi alzarsi verso il cielo, mentre porta la mano sotto il mento,
come se stesse pensando alla risposta giusta anche se, un cuor suo, sa
la verità.
<< No. >> Dopo un po’, infatti, il verdetto è quello che mi aspettavo. No.
Ridacchio, estraendo una piccola
cartina dalla tasca, mentre vi inserisco dell’erba: lo vedo curioso,
fissarla come se non sapesse cos’è. Probabilmente neanche se lo
immagina, ma non me ne preoccupo: lecco un lembo della carta e ben
presto la mia amica è pronta. Estraggo l’accendino dall’altra tasca e
le do fuoco, mentre un odore acre si sprigiona quasi subito, ma è una
libido per i miei sensi.
<< Fai un tiro. >>
Dico, passandogli la canna: lui la prende tra le magre e belle dita,
simili a quelle di una ragazza, e la guarda curioso. Probabilmente sta
cercando di capire che diavoleria sia, quest’odore deve essere una
novità per lui. << Tranquillo, non fa male. >> Lo
rassicuro, e ciò sembra bastare: l’appoggia tra le candide labbra e fa
un tiro.
Inizialmente si stacca con
violenza, iniziando a tossire a ripetizione, ma ciò non dura molto:
quando lo vedo fissarla e fare un altro tiro, capisco che è il momento
buono per lasciarlo andare.
Ben presto siamo a Soho, ed un
locale dalle luci soffuse, una discoteca direi, attira la mia
attenzione: lo prendo per il polso, sorridendo.
<< Andiamo a divertirci!
>> Non ascolto le sue repliche, che inizia a balbettare con
incertezza che non gli piacciono i posti con troppa folla: con facilità
riesco a superare i bodyguard ed entrare nel locale, nel cui fumo
appanna quasi la vista, e l’odore di alcool si fa pesante.
La gente balla, i corpi sudati si
incontrano, attaccano, come per diventare un’unica cosa, almeno per
qualche minuto: volti di gente che si guardano, e basta un attimo per
cadere in quella trappola.
I begli occhi del ragazzo accanto a
me ora sono lucidi, mentre fissa quell’inferno, che probabilmente ha
visto solo in tv: non capisce molto, la musica è assordante, e quella
canna che ha fumato deve avergli dato le vertigini, perché lo sento
barcollare, tanto che un mio braccio finisce inevitabilmente intorno
alla sua vita, tenendolo in piedi.
<< Ti porto a ballare.
>> Dico al suo orecchio, con enfasi: non che io ami questi
luoghi, ma Harry scommetto si divertirà. Qui si è in un altro mondo, si
può fare tutto senza essere giudicati: non si interessano di te gli
altri, perché troppo impegnati sulla prossima conquista.
Ci troviamo in mezzo al locale,
alla pista meglio dire, poco dopo e tutto si fa ancora più
confusionario: gente attacca a noi ci spinge l’uno contro l’altro,
mentre guardo quel giovane che ora è confuso, e si guarda attorno, in
un mondo che non ha mai vissuto. Si sente spaesato, si sente rinascere
forse.
Ma la gente qui non è del tutto a
posto, e io lo so: mi avvicino a lui, tenendo un braccio attorno alla
sua vita, così da far aderire i nostri corpi. In questo modo la gente
non si proverà ad approfittare di lui, e soprattutto lo sorreggerò,
visto che ogni tanto perde l’equilibrio a causa delle spinte.
<< Ma cos’è? L’inferno?
>> Mi urla lui all’orecchio destro, il che mi provoca un sorriso,
e lo guardo, a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
Ora che siamo così vicini, sento il
suo profumo, qualcosa simile alla vaniglia potrei dire: i suoi capelli
morbidi come la seta si appoggiano sul mio viso, solleticandomelo,
mentre i suoi occhi si perdono ben presto nei miei e le sue labbra
umide rimangono dischiuse.
È strana questa sensazione, perché
non sono stupido: ogni minima cosa di lui sembra attrarmi, e non
capisco come ciò sia possibile, proprio da me: mai mi sono interessato
ad un ragazzo e mai avrei pensato. Forse è solo una di quelle cose che
dice mia madre, quelle confusioni adatte ai ragazzi della mia età, la
cui identità sessuale è ancora confusa.
Può essere, ma allora perché le mie
mani, ora che sono appoggiate sui suoi fianchi, sembrano smaniose di
andare oltre? Perché questo ragazzino che appena ho incontrato già
riesce ad attrarmi come nessun’altro?
Forse è la sua aria ingenua: ho
sempre avuto un’attrazione per l’ingenuità e la genuinità, e di ciò lui
ne abbonda. O forse è il suo buon profumo, che sembra un piacere per
me: oppure il suo bel corpo, atletico e con ogni cosa al giusto posto.
Lui non sembra dispiaciuto di ciò,
devo ammettere. Le sue mani ben presto sono scivolate sulle mie spalle,
e ora i nostri petti si sfiorano: il mio coperto da questo trench che
ora maledico, il suo da quella camicia bianca già di troppo. Mi guarda
negli occhi in maniera desiderosa, ma so che parte di questo viene dato
dalla canna fumata prima, ma non mi interessa: rimaniamo così per
almeno altre due ore, senza aprire bocca.
Quando usciamo da quel posto
siamo sudati fradici, e la notte si è fatta scura: l’aria spira forte,
e sento il suo corpo tremare appoggiato sotto il mio braccio, forse per
il freddo. Mi stacco per un attimo da lui e mi sfilo il trench che gli
metto indosso: guardandolo, sembra fatto a posta, visto che il rosso
dei pantaloni è lo stesso. Un sorriso passa sul mio volto, e lo vedo
guardarmi con occhi grandi.
<< Grazie. >> Mormora
troppo piano, come se non volesse farmi sentire, ma non mi interessa:
lo prendo nuovamente vicino a me, con un braccio attorno alle sue
piccole e fini spalle, avviandoci verso casa sua. << Zayn.
>> Mi dice dopo qualche passo, con esitazione. << Ho fame.
>>
<< Fame? >> Dico,
leggermente sconvolto nel credere che qualcuno possa voler mangiare a
quest’ora: forse era l’erba, dopo averla fumata, viene sempre fame
anche a me. Ma non c’è problema, ho già un idea. Gli sorrido e inverto
il senso di marcia, annuendo. << Ti porto da un amico. Ti piace
la cucina irlandese? >>
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Altro capitolo, si fa interessante la cosa uwu bene, approfitto per ringraziare TUTTI che mi
recensite e mi date la voglia di continuare sempre^^ Ammetto che a volte mi scoraggia non avere
nessuno che mi recensisca, ma voi siete sempre ad aiutarmi^^
Approfitto anche per pubblicizzare la mia nuova fic uwu è una storia etero per cambiare XD
e avrà come protagonista Zayn e Rose, il mio pg originale: è una storia a cui tengo molto
quindi se siete curiosi, e spero di sì, fateci un giro, anche se per ora vi è solo
un prologhetto XD Questo è il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1020067&i=1
Grazie a tutti *w*
|
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Capitolo 6 *** But if you walk away I know I'll fade ***
But if you walk away I know I’ll fade
But if you walk away I know I’ll fade
~HarryWord
Tutto vortica velocemente intorno ai miei occhi: penso sia un miracolo
che io sia in piedi, ma non è questo. Il corpo di Zayn mi sorregge, se
lui non fosse qui ora mi starei trascinando come un verme tra la terra
sporca: è un po’ che siamo usciti da quel posto, e camminiamo verso il
locale di cui mi ha parlato. È di un suo amico, un immigrato irlandese
che ha la sua età: ha detto che si trova nei paraggi di casa sua,
quindi che il mio bel volto da principe non passerà inosservato. In
quel momento mi è venuto da ridere, soprattutto per quell’associazione
mentale, ma poi ho iniziato a rimuginare: forse intendeva dire che non
è un bel luogo, alla fine Brixton non è per nulla sicuro, a quest’ora
di notte poi.
Immagino intendesse questo, perché ora che camminiamo per queste strade
scure in cui gli ubriachi paiono essersi almeno moltiplicati, le
prostitute sono ad ogni angolo che ci chiamano, invitano a farle
compagnia: obiettivamente mi fa paura questo posto, e lui lo sente,
perché Zayn è diverso dagli altri, lo sento. È come se comprendesse
tutto di me senza che io gli dica nulla, ha sentito il mio freddo da
lontano, e sente la mia paura: la sua presa si fa più ferrea, perché
lui qui ci vive, non ha paura. Dio, questo suo lato così sicuro è così…
sexy, sì, è strano dirlo ma è così. Mi attrae come non mai questo suo
modo di essere così rude, così sporco: non in senso cattivo, è logico,
ma è affascinante la sua maledetta sicurezza, così al contrario della
mia perenne incertezza di sbagliare.
<< Eccoci arrivati. >> Mi sussurra dopo un po’ all’orecchio
con quella sua voce calda e sensuale che mi provoca un brivido:
entriamo quasi subito, neanche posso vedere la facciata, ma l’interno è
molto caldo.
I tavolini sono vari, a cui sono sedute persone con grandi boccali
pieni di birra e chissà che altro: giocano a carte, alzando la voce,
oramai alticci da chissà quante ore. Ma un biondino, un bel ragazzo
dagli occhi di cielo e i capelli color del grano mi attrae: è al
balcone, che sta servendo l’ennesima caraffa e quando ci vede fissa
attentamente me, prima di sorridere in maniera complice al bel
pakistano con me.
Il famoso Niall Horan, immagino. Quando ci avviciniamo e mi siedo sullo
sgabello di legno, lui mi squadra ancora, prima di ridacchiare.
<< Immagino che sia lui a cui dai lezioni. >> Dice,
segnandomi con un gesto della testa: mi accorgo che per quanto vorrei
rispondergli ora non ci riesco, sento la voce impastata e il cervello
fuso.
Zayn annuisce, ordinandomi qualcosa, prima di tornarmi a fissare: mi
pare che sorrida, ma non ne sono certo, perché la mia vista si sta
offuscando.
Ora ricordo quei lunghi discorsi di mio padre sulle canne: è vero, mi
ha sempre detto che fondono il cervello, che ti portano in un mondo in
cui nulla capisci. Ed è vero, diavolo se è vero: ma da una parte ne
sono felice, perché se non avessi fumato, ora non avrei la mia mano
stretta in quella di Zayn. Ora i suoi occhi su di me non brucerebbero
come tizzoni ardenti mentre mi appoggio praticamente alla sua spalla,
per sentire quell’odore che tanto mi ha attratto: un miscuglio di
tutto, che però è come una droga, perché mi attira a lui come
nient’altro, perché sento di volere di più.
Inizio a mangiare uno strano panino, riempito con cotoletta e altro che
non capisco, ma delizioso: immagino che lo capiscano perfettamente,
perché lo divoro in poco tempo.
<< Dio, sei così magrolino, ma sei un mostro. >> Sento dire
divertito al bell’irlandese che porta via il piatto oramai vuoto,
mentre passa a Zayn l’ennesima birra.
<< Non devi bere! >> Gli dico, con voce leggermente alta, a
pochi centimetri dal suo viso: lui sorride, accarezzandomi i capelli,
come se sapesse che non sono del tutto qui con la testa.
E non è l’unico: quel Niall mi fissa incuriosito.
<< Che diavolo ha fatto? >>
<< Fumato. >> Dice, e la sua voce roca in questo momenti mi
sembra solo una dolce melodia: come il canto di angeli, che sono qui
solo per me.
Devo aver preso una strana faccia assurda, perché il biondo inizia a ridere, prima di tornare pian piano serio.
<< Oggi ho incontrato Liam. >> Dice, con voce seria, ora.
<< Come sta? >> Chiede lui, mentre mi prende tra le sue
braccia: la mia testa è infatti caduta sulla sua spalla, mentre
appoggio il naso a quel collo, che tanto vorrei mordere.
L’altro sospira profondamente, ma poi si riprende.
<< In realtà bene. >> Gli sento dire con un minimo di
spirito in più. << Ora che è stato accettato all’università si
sente rinato. >>
<< Era l’unico di noi che ci poteva riuscire. Certo, anche tu, se non dormisti sempre. >>
<< Ma io ho il bar.. >> Dice, mettendosi a ridere, mentre
Zayn fa lo stesso: non perché lo sento, ma perché il suo petto inizia a
muoversi dolcemente, cullandomi.
Passiamo lì ancora una mezz’ora, ma ben presto Zayn capisce che è ora
di portarmi a casa: sarà dura, infatti, dopo due minuti mi prende tra
le braccia, portandomi come se fossi un piccolo infante.
Appoggio la testa sul suo petto largo, mentre le forti braccia mi
stringono a se, e l’odore dell’erba si sprigiona nuovamente: apro gli
occhi e lo vedo fumare, mentre guarda avanti. Quando è così sicuro di
se, lo trovo stupendo: in tanti anni di vita, non ho mai incontrato
nessuno col suo fascino. È strano, perché lo sento già mio, anche se ci conosciamo solo da due giorni: ma posso dire che sono stati i migliori giorni della mia vita, sì?
<< Zayn >> Mugugno, con ancora la testa spinta nel suo
petto e il suo silenzio mi fa capire che aspetta il continuo della
frase. << Sento di conoscerti da sempre. >> Sussurro poi,
aggrappandomi a lui con anche le braccia, prima di cadere in un pesante
sonno.
Quando mi sveglio, rimango sconvolto, perché sono nel mio bel letto,
con lui affianco a me: la sua mano mi sta accarezzando la fronte, ora
scoperta dai riccioli, e la sua pelle profuma come non mai…
<< Come diavolo… >> Sto per domandarglielo, perché non
credo che questo ragazzo abbia superato la cancellata, sia salito sulla
colonna e tutto con me tra le braccia: no, non puoi essere così perfetto.
<< Ti ho portato a letto. >> Dice, sussurrandolo a bassa
voce. << Eri parecchio stanco. >> Sorride a quest’ultima
frase, come fanno le madri che dicono qualcosa al figlio.
La luce fuori inizia a rischiarare la giornata in effetti, segno che
abbiamo passato tutta la notte insieme: ma non voglio che se ne vada,
tanto che mentre si allontana gli afferro la mano, strattonandolo
appena.
Lui mi guarda per qualche attimo e sorride, come se già avesse capito
ogni cosa: fa qualche passo verso di me, baciandomi affianco alle
labbra.
<< Grazie della bella serata. >> Mi sussurra con voce
sensuale all’orecchio, prima di andarsene, stavolta per sempre e
davvero.
Rimango per qualche attimo inebetito lì, su quel letto che ancora odora
di lui, mentre la sua voce risuona nelle mie orecchie come una dolce
melodia. Grazie? Io dovrei ringraziarti, dio, perché tu sei tutto Zayn,
lo capisci sì? Eri un estraneo e così, in due giorni, sei diventato la
mia vita, la mia linfa. Come diavolo faccio senza di te, ora?
Sospiro, scossando la testa, stanco di tutti quei pensieri per lui e
chiudo gli occhi, accoccolandomi sul cuscino, che sogno essere lui.
Purtroppo arriva presto l’ora del risveglio: Alberti viene ad aprire la
finestra, mentre io le do le spalle, perché sono troppo stanco per
alzarmi.
<< Signorino, è ora di alzarsi. >>
<< Non ci riesco… >> Sbiascico in qualche lingua strana,
tanto che il maggiordomo si avvicina e mi guarda, spalancando gli occhi.
Dio, devo avere un aspetto orribile: se mio padre mi vedesse,
intuirebbe qualcosa, perché ne a lui ne a mia madre piace Zayn. E dio,
questa è un offesa.
<< Stai bene? >> Una voce femminile e amichevole mi porge
la domanda appena siamo soli: sorrido appena guardando Tricia e
annuendo piano, perché la testa rimbomba con forza, tanto che sembra di
essere ieri sera.
Lei non ne è certa, mi accarezza il volto e sospira.
<< Sei uscito con Zayn. >> Sussurra, e non ha bisogno di
sapere la mia risposta: mi sfila la maglia del pigiama per mettermi una
maglia beige scusa, con lo scollo ad u e le mezze maniche. << Non
l’avevo visto in casa, in effetti… >>
<< Mi scusi, è stata colpa mia… >> Dico, come a volerlo
decolpevolizzare: alla fine è vero, sono stato io a chiedergli di
insegnarmi cosa è la vita.
Ma lei non pare arrabbiata, neanche mentre mi fa mettere i jeans grigio scuro, perché da solo ora non ci riuscirei.
<< Hai fumato? >> Mi guarda negli occhi, esaminandoli come
fa una madre col proprio figlio, che io non sono. << Non devi
farlo. È una brutta abitudine di quel testone di mio figlio. >>
Sbuffa quest’ultima frase e a me fa sorridere, perché si assomigliano
tantissimo loro due nell’espressività e nel modo di essere.
Quando sono pronto mi trascina in bagno e un po’ di acqua ghiacciata mi
fa rinvenire completamente: ora mi reggo in piedi e sorrido, ricordando
ogni attimo di quella sera appena passata. Il suo odore è ancora in
quel letto, anche se per pochi secondi è stato lì: ora che ci penso,
poi, ho la sua giacca.
Esco dal bagno, vedendo il trench rosso e lo abbraccio, mentre tutto mi
ricorda di lui, e mi fa sentire come se fossi vivo, per la prima volta:
dio, questa sensazione di farfalle allo stomaco mi preoccupa.
Scendo di sotto, dove l’abbondante colazione mi aspetta, mentre i miei
genitori sono lì, già indaffarati nei propri discorsi. Non che oggi ne
sia interessato, perché sono in un mio mondo, cosa che Tricia nota:
ogni tanto la testa dondola, finendo quasi dentro il caffè, ma grazie
ad un suo colpetto rinvengo pochi attimi prima, per scongiurare
l’immane tragedia che altrimenti sarebbe nata.
<< Oggi hai tennis. >> Mi ricorda mia madre mentre annuisco, come un ebete: diavolo, quindi oggi non verrà Zayn…
Poco male: mi alzo quando ho finito e vado da Tricia, che è nascosta in
un angolo a pulire. Purtroppo vengo fermata dalla voce fastidiosa di
mia madre, che mi chiama all’ordine.
<< Harold! >> Dice, pronunciando quel mio nome così
fastidioso e così odiato. << Sai che anche il figlio dei
Tomlinson frequenta il tuo stesso circolo di tennis? >> E per lei
questa è una lieta notizia, ma non per me: la guardo, con gli occhi
dilatati.
Louis. Ciò significa avere Louis attaccato lì, con i suoi occhi azzurri e le sue belle labbra che cerca di soggiogarmi. Dio no.
Annuisco appena, come per ringraziarla di quella poco lieta notizia e
torno da Tricia, che ora mi fissa, con un sopracciglio alzato:
probabilmente sa che voglio chiedergli qualcosa.
<< Tricia… >> Inizio il discorso con voce bassa, in un
sussurro, un po’ per non farmi sentire, ma anche per la vergogna di
dire quelle parole a lei, sua madre. << … potrei avere il numero
di Zayn? >>
Lei mi guarda stranita, probabilmente si domanderà per quale diavolo di
motivo io voglia ciò, ma poi acconsente e prende un foglietto,
scrivendo pochi numeri, prima di porgermelo.
<< È questo. Spero che non lo abbia cambiato. >> Dice con
un sorriso mesto: probabilmente non ha il rapporto che vorrebbe con lui.
Ma poco mi interessa, questa è comunque una speranza: sorrido, con
felicità in me finalmente e l’abbraccio forte, ringraziandola più e più
volte per quel numero, prima di salire di sopra a passi svelti e
veloci. Quando arrivo in camera prendo il telefono, scrivendo un
messaggio, che cancello più e più volte. Che cosa potrei scrivergli?
“Ti ringrazio per avermi trascinato
praticamente per mezza Londra, ma non sono abituato a stare sveglio
così fino a tardi. Mi dispiace che oggi non ci vedremo, perché ho
tennis. Harry”
Sospiro, componendo poi il numero: pigiare quell’invio mi pesa
parecchio, ma lo faccio. Quando vedo che la letterina del messaggio
sparisce, segno che è stato inviato, ho un tuffo al cuore e inizio a
guardare il soffitto, come se potesse calmarmi: in realtà sono agitato,
stanco e tante altre cose, tutte insieme, perché non capisco che
diavolo ci sia nella mia testa di così strano. So solo che vorrei
averlo qui, ora…
Ma il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare: un nuovo messaggio. Respiro a fondo, aprendolo: Zayn.
“Se mi dici dove fai tennis, vengo a trovarti. Zayn”
E dio, quelle poche parole mi fanno morire: sorrido, con un volto
probabilmente da ebete e appoggio la testa sulle braccia, mentre il
sorriso si trasforma in risa di gioia.
Zayn. Zayn. Zayn. Il tuo nome è musica per me, che stregoneria mi hai fatto?
........................................................................................................................................
Altro capitolo andato, oramai abbiamo perso Harry ragazzi XD Ahah, no davvero, oramai
lui è andato, ma avremo altre sorprese, promesso uwu
Intanto ricordo la mia nuova fic, a cui tengo^^
Indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1020067&i=1
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Capitolo 7 *** But I see you with him ***
But I see you with him
But I see you with him
~ZaynWord
<< Helena, puoi passarmi i miei pantaloni? >> Le chiedo
gentilmente, mentre rimango ancora steso su quel morbido letto, con gli
occhi chiusi: il respiro è ancora affannato mentre allungo la mano
verso il nulla.
Sento della stoffa appoggiarsi sopra e sorrido appena, mentre inizio a
rivestirmi, ancora distrutto dalle ore piccole fatte questa notte: sono
venuto qui dopo essere tornato da casa di Harry, ma avrei bisogno di
almeno cinque ore di sonno. Ma non posso, perché Harry mi ha scritto
che avrà tennis tra un’ora in un circolo vicino a Hyde Park: si è
preoccupato perché è un circolo molto snob, per cui dovrò vestirmi
elegantemente. Io, poi.
<< Dove devi andare? >> Mi chiede la mia dolce Helena,
mentre il suo corpo si appoggia sul mio, e le nostre labbra
s’incontrano per un breve bacio: è strano, perché se prima tremavo alla
sua sola presenza, ora qualcosa è cambiato.
<< Te l’ho detto, devo fare una cosa per mia madre. >>
<< Sai che non mi piacciono le bugie. >> Mi sussurra,
alzandosi velocemente da me, come se la rabbia non gli permettesse di
starmi vicino: io la guardo, rimanendo in silenzio, leggermente confuso
se dirle la verità.
No, che dirle poi? Che vado a trovare un amico? Che non ho passato la
nottata ad aiutare Niall al bar ma bensì fuori con Harry, a ballare in
un pub oggettivamente gay e sono stato con lui mentre dormiva
dolcemente come un bimbo nel letto? Mi ucciderebbe, conoscendo la sua
passione per il macabro mi staccherebbe la testa a morsi, e chissà che
farebbe del mio corpo: solo a pensarlo ho i brividi di terrore.
La guardo negli occhi e mi alzo, prendendola tra le mia braccia, in cui
lei sembra diventare ancora più piccola: ma questo non basta, perché i
suoi occhi ancora mi fissano con cattiveria, come se sospettasse.
<< Non ti direi mai bugie, amore. >> Sussurro, e lei si rincuora, perché non l’ho mai chiamata in quel modo.
Non sono uno sentimentale, penso che non sia nel mio carattere, e mai
l’ho chiamata amore o con altri aggettivi affettuosi: tra noi non c’è
mai stato bisogno di ciò e io mai ne ho sentito. Ma ora lei è insicura,
perché sente che rischia di perdermi: le donne hanno un sesto senso, lo
ripeto, e lei ha capito che la mia testa ora si sta perdendo per
qualcun altro.
Forse però non è stata la mossa migliore: dopo un attimo di felicità,
la vedo fissarmi negli occhi, come se quella parola, le facesse intuire
che è successo qualcosa. Non dice nulla, indagandomi con gli occhi fino
all’animo, ma sono bravo a nascondere ogni cosa: le sorrido e le bacio
una guancia, prima di salutarla.
Devo passare velocemente da casa, ma non dalla mia: solo lui può
salvarmi, Liam. Non parlo spesso di lui, perché a volte ho paura che la
gente se ne possa innamorare e allontanarlo da me, da noi: Niall,
ancora più che me, ha sempre avuto paura di perderlo. Sì, perché noi
tre siamo come fratelli: e mentre io vago senza una metà, Niall tiene
il bar di famiglia, il nostro Liam frequenta l’università più
prestigiosa di qui. Il fatto che la sua intelligenza sia nettamente
superiore a tutti noi l’ho sempre accettato: è qualcuno che fa tutto
per gli altri, e poco per se. Dio, ancora ricordo quando mi ruppi un
braccio: corse a casa mia, anche se era appena stato operato ed ora
aveva solo un rene.
Busso alla porta di casa sua, in un viale non troppo lontano da noi:
questa zona è un po’ più tranquilla, ma non tanto da tenere la finestra
aperta, non tanto come a casa di Harry.
Ben presto un giovane alto, dal corpo atletico, gli occhi nocciola e i
capelli castani mi apre la porta, con un sorriso che gli illumina il
volto: ma non solo lui, è come il sole, che porta felicità.
<> Ridacchia, mentre mi avvicino a
lui e ci stringiamo in un abbraccio fraterno che dura qualche minuto:
quando lo vedo, noto che indossa gli occhiali, segno che è sotto un
qualche esame. Sul volto ha un piccolo sfogo, probabilmente di ansia:
sì, è proprio sotto esame.
Mi fa accomodare, offrendomi qualsiasi bevanda possibile: è esagitato
e, unita alla grande caffettiera che ora è vuota, mi fa capire che deve
aver bevuto tanto caffè e dormito poco.
<< Non stressarti Liam. >> Gli ricordo io, e lui ridacchia.
<< Sono io a farti la paternale. Niall mi ha detto che hai un nuovo amico. >>
<< Sì, sono qui per questo. >> Lo guardo nei begli occhi
marroni, tirandomi i vestiti. << Mi serve qualcosa di elegante…
>>
Lo vedo per un attimo confuso, mentre la sua fronte si aggrotta e mi
fissa: mille domande si stanno facendo avanti, mille ipotesi, il che mi
fa divertire. Quasi non gli direi il motivo, probabilmente rimarrebbe
in dubbio per giorni, tanto da implorarmi di sapere perché: sì, Liam è
curioso, quanto un gatto. Secondo me, il gatto è l’animale più curioso
del mondo: ne avevo uno una volta, e mi ricordo che si divertiva ad
infiltrarsi in ogni buco possibile. Tubi di scappamento, di
riscaldamento e chissà che altro: una volta l’ho trovato dentro alla
lavatrice, ringrazio di aver controllato prima di avviarla.
<< Devo andare in un circolo del tennis. >>
<< Ah, ora ho capito! >> Sorride, dandosi un colpetto sulla
fronte, prima di farmi strada: l’appartamento è piccolo, poco più di un
monolocale, ma è sempre tutto in ordine. Tutto catalogato per la sua
perfezione, Liam odia il disordine: quando varca la porta di casa mia,
solitamente si porta le mani tra i capelli e prega di non guardare in
giro, tanto che lo devo accompagnare per mano nel luogo che desidera.
Mi viene da chiedermi come noi tre, così diversi, siamo così amici: io
sono un carattere a me ammetto, sono un casinista e spesso vanitoso.
Niall è un micio, sì: è dolce, i suoi occhi ti fanno sciogliere a
volte, ed è timido, anche se quando vuole il suo carattere lo tira
fuori. Ma è insicuro, troppo: non ne ho mai capito il motivo, perché
alla fine lui è perfetto, coi suoi occhi ghiaccio e i suoi capelli di
grano d’oro. Liam, poi, è il nostro intermezzo: ha la sua sicurezza ma
non è strafottente, oltretutto non si crede chissà che, anzi, è molto
modesto. I suoi occhi non mi hanno mai fatto sentire inferiore,
probabilmente lo vedrei bene a lavorare come psicologo: riesce a far
sentire tranquillo chiunque.
<< E come mai vai in questo circolo? >> Mi chiede, mentre
lo vedo affondare nel suo armadio, cercando di estrarre qualcosa che
possa andarmi, oltre che adatto.
Arrossisco, anche se non posso vedermi ma lo sento, le guance vanno a
fuoco: rimugino un attimo sulla risposta, prima di decidere di aprire
il cuore.
Mi butto sul suo letto, fissando il soffitto di un azzurro tenue, sorridendo appena.
<< L’amico di cui ti ha parlato Niall si chiama Harry. È il
ragazzo per cui lavora mia madre. Stanotte abbiamo passato la serata
fuori, e oggi volevo andare a trovarlo al tennis. >>
<< Uhm, ed è carino? >>
<< Sì >> Sorrido appena e socchiudo gli occhi, cercando di
ricordare ogni particolare di lui; non che mi sia difficile. << I
suoi occhi sembrano smeraldi incastonati nella pelle adamantina: ha i
capelli riccioli e perfetti, come quelli di un angelo, mentre il suo
corpo è sinuoso. Sinceramente non ci trovo difetti, anche la sua voce
pare melodia. >>
Lo sento rimanere in silenzio: forse ha trovato qualcosa?
Apro gli occhi e guardo verso di lui che ora mi fissa sorridendo come uno stupido: tiene qualcosa in mano, ma non è quello, no.
<< Quindi ti piace. >>
<< Non ho detto questo. >>
<< Infatti lo dico io. >> Mi risponde lui ridacchiando
dolcemente, prima di scossare la testa. << Vieni qui, ho trovato
qualcosa. >>
Mentre mi vesto, però, penso alle sue parole: piacere. Mi piace? Ma no dai, non può piacermi un uomo: io amo Helena, sì, la desidero con tutto me stesso.
Desidero. Aspetta Zayn, desiderare è diverso da amare: si, perché io
voglio il suo corpo, la voglio mia, ma ammettiamolo, non riesco a
dialogarci. Non penso che abbiamo mai passato un giorno a parlare senza
scambiarci qualche rapporto: no, cosa che con Harry non succederà.
Perché, sebbene così diversi, io e lui ci completiamo a vicenda: lui
con la sua innocenza, io con la mia sfrontatezza, stiamo insieme e
stiamo bene.
Dio, che Liam abbia ragione?
<< Sembri quasi un lord, Zayn! >> Dice lui e guardo la mia
immagine allo specchio: non sono io, non sono io quel ragazzo dalla
camicia bianca, con sopra un maglione a maniche lunghe e alcune
decorazione verde menta. I pantaloni di stoffa beige, mentre le scarpe
da ginnastica verde e rosse danno un tocco sportivo al tutto: con così
pochi accorgimenti, già posso essere più ai livelli di Harry.
Liam mi accarezza la testa, mettendo a posto i capelli in un ordine
decente, ma ben presto devo lasciare il mio caro amico, con la promessa
che gli riporterò tutto appena possibile: ma a lui non interessa, mi
dice solo di mandargli per iscritto qualche novità, se ci saranno
logicamente. Il fatto che lo dica con quel sorrisetto furbo non mi
piace molto.
Dio, questo posto è realmente da snob: guardo la facciata imbiancata
perfettamente, mentre il tetto e le finestre rosse come ciliegie
spiccano, come anche il nome del club. Sospiro, aprendo piano la porta
ed entrando, mentre vedo quell’ammasso di gente impegnata a parlare di
chissà che, sorseggiando costose bibite in calici di cristallo: alcuni
mi fissano, incuriositi della mia presenza, altri sono troppo impegnati
per darmi un’occhiata.
Mi avvicino al banco, guardando l’uomo che mi fissa sospettoso.
<< Cerco il signorino Harry… Harold Edward Styles. >>
Annuisco, sperando di non aver sbagliato il nome: ammetto che ho
piccoli vuoti di memoria riguardo i nomi.
Lo vedo scorrere un grosso libro, in cui tanti nomi sono fitti, prima di fissarmi.
<< Sono al campo nove. Sta giocando col signorino Tomlinson. >>
Lo ringrazio, avviando verso il numero nove: certo, questo solo dopo che ho capito dove si trovano i numeri.
Tomlinson: che nome curioso, l’ho sentito nominare varie volte,
probabilmente la sua famiglia deve essere molto famosa. Guardo tutti
quei tipi che giocano, tutti vestiti uguali, come piccoli damerini
ridicoli costretti nelle loro vesti: a volte ringrazio di essere nato
nei bassifondi.
Non ci metto ancora molto: un piccolo urletto di una voce a me
conosciuta mi fa sorridere, mentre vedo in un campo un ragazzino in
pantaloncini neri, scarpe bianche e maglia bianca correre qua e là. I
bei riccioli sono fermi da una fascia in testa, mentre i muscoli tesi
lo fanno diventare ancora più carino.
Ma non è solo lui a colpirmi: il ragazzo che gioca con lui deve essere
Tomlinson. Bel fisico atletico, con corti capelli castani e incantevoli
occhi come il mare: deve essere più grande di me, probabilmente, ma è
affascinante.
Mi appoggio alla rete che separa la strada dal campo da tennis,
rimanendo a fissare quel set che pare essere in pareggio: ancora per
poco, perché Harry con un rovescio fa punto verso quel tipo e fa un
piccolo saltino di vittoria.
<< Complimenti! >> Dico, a voce alta: ora lo vedo
immobilizzarsi e girarsi lentamente verso di me, mentre sul bel viso
sudato un largo sorriso nasce.
Butta la racchetta a terra, correndo verso di me, mentre esce con
agilità dalla porta: mi abbraccia, ma forse sono io a farlo, perché è
tale la forza che i suoi piedi ben presto non toccano più terra.
<< Sono sudato…! >>
<< Sei bellissimo. >> Sussurro al suo orecchio e lo sento
bloccarsi, mentre le sue braccia si stringono a me, e io ispiro l’odore
di lui: poche ore distanti e già mi mancava, che cosa strana.
Ma no, qualcosa non va: guardo oltre di lui e quel tipo ci fissa. I
suoi occhi mi sfidano, lo sento, mentre lo vedo con la mascella
contratta e gli occhi stretti, in una fessura: la mia mano si stringe
intorno al fianco di Harry, e la sua racchetta colpisce terra, prima di
avvicinarsi a noi a passo svelto.
Lascio il più piccolo, tenendo un braccio attorno alla sua vita,
puntando l’altro verso il tipo, perché non si avvicini troppo. Lui
sorride.
<< E questo vagabondo chi è? >> La sua voce ora pare strafottente, forse pure più della mia.
<< Non è un vagabondo, Louis… >>
<< E tu chi sei? >> Domando io, senza farmi intimidire da quel Louis.
Lui mi squadra, ogni parte di me prende fuoco, perché so cosa intende
dire con quegli occhi: mi vuol far sentire di troppo, ma qui è solo lui
ad infastidire.
Alle spalle di Harry, lo vedo farmi uno strano gesto: vattene
vuol dire, lo so benissimo, mentre allunga una delle sue sporche mani
nobiliari a lui. Scosso la testa, spostando Harry dietro di me.
<< Che diavolo fai, sporco straniero? >> Dice, ora ringhiando, come un cane ferito.
Questa no, non te la lascio passare: tutto si può dire di me, ma non
offendere questo. È come offendere la mia gente, la mia famiglia: il
maglione di Liam farà una brutta fine.
Alzo le maniche, arrotolandole intorno al bicipite e mi avvicino a lui,
che ora mi da le spalle: lo prendo per una spalla e velocemente lo
faccio girare, mentre un gancio destro gli colpisce la guancia,
facendolo vacillare pericolosamente.
<< Chi è lo sporco straniero? >> Gli urlo, e probabilmente
lo massacrerei, se Harry non si parasse davanti a me: ma poco posso
fare, perché Louis risponde al mio colpo con un altro pugno, che fa
centro sulla testa del più piccolo.
Lo vedo vacillare, mentre si tiene la testa con le mani e rimugina di
dolore: lo prendo al volo, abbracciandolo, mentre lo faccio accomodare
a terra. Louis sa cosa succederà a breve: torno verso di lui, e
stavolta i pugni volano a raffica. Faccio centro due volte sul suo
stomaco, tanto da farlo sputare qualche goccia di sangue, ma uno dei
suoi ganci mi colpisce il vento, facendomi mordere brutalmente la
lingua: il gusto ferroso del sangue mi occupa la bocca, ma ben presto
lo sputo a terra. Lo massacrerei, se non sentissi un singulto alle mie
spalle: Harry piange, e la gente si sta avvicinando per controllare.
Poco mi interessa di quell’idiota che mi minaccia di denuncia, ma mi
avvicino alla piccola creatura, prendendola in braccio, portandola
verso l’uscita del circolo: si è accoccolato, come un piccolo cucciolo
di gatto a me, e lo sento tranquillizzarsi, mentre porto entrambi a
sedere sotto un albero di Hyde Park. Qui lo appoggio lì contro, e gli
alzo il volto, per controllare se si è gonfiato o altro: il suo viso è
rimasto perfetto, ma non è così per me.
<< Che hai fatto… >> Sussurra, toccandomi il labbro che si
è leggermente gonfiato: io avrò qualche segno interno, ma quel Louis è
praticamente inguardabile.
<< Perché? >>
<< Lui… ti denuncerà… sono ricchi i suoi… >>
<< Nessuno ti può toccare oltre a me, Harry. >> Dico, ora
con voce ferma, mentre i suoi occhi diventano luccicanti, prima di
buttarsi a capofitto tra le mie braccia: sono pronto a riceverlo, e mi
sdraio all’ombra di quell’albero, con la creaturina su di me.
<< Sei bellissimo… stai benissimo volevo dire così. >>
<< Anche tu. >> Gli accarezzo i capelli, tenendo gli occhi chiusi, mentre le sue labbra si appoggiano sul mio collo.
<< Hai uno strano odore… di chi è? >> Gli sento sussurrare,
mentre i suoi occhi probabilmente si stanno riempendo di lacrime:
qualcosa rischia di spezzarsi.
<< Di nessuno di importante. Intanto ora odoro di te. >> In
effetti non è nulla lei, in confronto a lui: perché il mio cuore ora
batte, e non me ne interessa se avrò una denuncia, perché averlo tra le
mie braccia è la cosa più bella del mondo.
Sposto il volto verso di lui, e vedo che mi sta fissando: so cosa
aspetta, e non manca molto, perché le nostre labbra si poggino l’una
sull’altra. Nient’altro, se non che lo spingo sotto di me, salendogli
poi addosso: mi tengo alzato con le braccia per non schiacciarlo,
rimanendo con le labbra incollate ma nient’altro, non è ancora il
momento.
Quando abbiamo finito lui mi sorride dolcemente, mentre appoggio la
testa al petto, e l’aria di primavera ci accompagna in questo magnifico
sonno.
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Capitolo 8 *** And you pray that everything will be okay ***
And you pray that everything will be okay
And you pray that everything will be okay
~HarryWord
<< Merda… >> Lo sento
sussurrare, mentre vedo il suo labbro iniziare nuovamente a sanguinare:
sospiro, prendendo un fazzolettino da dentro un cassetto, tamponando
sopra quella ferita. È incredibile, per quanto se le siano date forti,
lui ha solo questo taglio al labbro e qualche livido sulle braccia e il
petto: Louis era massacrato, perché non può vincere contro Zayn.
Lo vedo sorridere appena mentre
compio quell’azione e ben presto mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe,
mentre i nostri petti vicini si attirano: le sue mani si poggiando sui
miei fianchi, e io continuo nella mia opera di guarigione.
<< Tua madre se ne accorgerà.
>> So già che Tricia probabilmente capirà il motivo per cui lui è
ridotto in tale maniera: dio, quella donna saprà già tutto, e se non mi
permettesse più di vederlo? No, non è questo il momento, non ora che ci
siamo trovati.
<< E quindi? >>
Risponde lui, mentre le sue labbra si incurvano in un sorriso sexy.
<< Penserà che sia un’altra delle mie discussioni: Liam mi terrà
la parte. >>
<< Liam? >> Dico, con
una punta di gelosia forse, pensando che il suo nome ancora non era mai
apparso nei suoi discorsi.
Ammetto di esagerare, perché lui
non è mio e non posso essere geloso di tutti i suoi amici, che
probabilmente sono troppi: ma voglio almeno sapere con chi devo
scontrarmi.
<< Sì. È un po’ il mio
fratellone, insieme a Niall sono le persone a cui tengo di più.
>> La sua risposta mi fa tranquillizzare e lui probabilmente lo
capisce, perché ridacchia dolcemente, prima di baciarmi la mano che è
ancora sul suo viso: questo gesto mi fa arrossire, forse perché il suo
viso è diventato dolce come non mai e i suoi occhi mi fissano, come per
mangiarmi.
Ben presto però se ne deve andare:
giustamente ha anche lui i suoi affari. Lo accompagno alla finestra,
mentre sale sul balcone rapido come una scimmia e mi guarda.
<< Probabilmente non potrò
più venire da te liberamente. Non farti portare via il telefono.
>> Mi guarda negli occhi severamente, mentre stringo a me quel
piccolo oggetto: neanche minacciandomi mi verrà portato via. <<
Appena le acque saranno tranquille, ti chiamerò. >> Sussurra,
tirandomi a se: le sue labbra si incontrano nuovamente con le mie,
mentre timidamente la sua lingua le accarezza, facendomele dischiudere
con dolcezza. La mano scende fino al centro della schiena, stringendomi
a se, mentre le nostre lingue intraprendono un gioco sensuale e
continuo, cercandosi e trovandosi per un tempo infinito.
Quando poi si stacca, mi sorride
ancora, mentre vedo la sua bella pelle saltare giù rapidamente dal mio
tetto: cammina a passo svelto nel grande giardino, guardandosi in giro
e poi va alla cancellata, scavalcandola fino a mettersi in salvo.
Ora che sono tranquillo, torno sul
mio letto e mi stendo: mia madre è stata avvertita della lotta al campo
e ora sta tornando velocemente a casa dal lavoro. So che è una
trappola, perché non è preoccupata per me, ma bensì della figura e
dell’idea che posso aver dato al circolo: il frequentare Zayn non è
visto di buon occhio. Probabilmente se io fossi con Louis, mia madre lo
preferirebbe: certo, non quello che vuole lui, ma la nostra amicizia
sarebbe vista normale, perché siamo due borghesi.
Ma lui no, perché lui ha la colpa
di avere del sangue non inglese, o almeno, non completamente: vive nei
bassi fondi, quindi è un delinquente, quando non capiscono che Louis lo
è molto di più. Zayn mi ha protetto buttandosi in mezzo, lui mi ha
ferito.
Dio, ammetto che due persone che
fanno a lotta per te è eccitante: oltretutto, vedere il corpo magrolino
di Louis a confronto con quello più temprato di Zayn mi… quasi mi
vergogno a dirlo, ma mi ha eccitato.
Anche il fatto del labbro di lui mi è piaciuto, perché quel sangue che
scendeva gli davano tanto l’aria da cattivo ragazzo: sembro una di
quelle ragazzine che guardano i film d’azione solo per il protagonista
figo.
La porta poco dopo si spalanca,
mentre mia madre entra: mi si avvicina e mi colpisce con uno schiaffo
sonoro sulla guancia, che ben presto inizia a bruciarmi. La stringo con
ambedue le mani, mentre lei fa cadere a terra qualcosa dal letto: la
sua giacca.
<< Cosa vuol dire che quello
Zayn era venuto al campo? >> Mi urla, prima di tirarmi un altro
schiaffo sul volto, peggiorando solo il dolore.
Sinceramente, nulla fa più male del
cuore ora, perché so che nulla finirà così facilmente. Perché Louis è
cattivo, e farà tutto per portare male a me e a lui.
Dio, me lo porterà via.
<< I Tomlinson hanno detto che, se dirai dove si trova il ragazzo, non faranno causa a te. >>
<< E a lui? >>
<< NON è questo il tuo
pensiero ora! >> Urla, ma mi riparo prontamente prima della
prossima contusione: Tricia sbircia dalla porta e io la vedo, mentre
dal suo occhio scende una lacrima. No, non fare così, tuo figlio mi ha
salvato…
<< Non lo dirò! >> Le
urlo, alzandomi in piedi, mentre la vedo sconvolta. << Perché mi
ha salvato lui, Louis mi ha colpito! >>
<< Lui gli ha spaccato la faccia! >>
<< Ed ha fatto bene!!
>> Urlo con tutta la voce che ho, sentendo le gambe iniziare a
tremare, e la voce ben presto gli fa compagnia: gli occhi si sono
riempiti di lacrime mentre la vedo borbottare e andarsene malevolmente
dalla mia stanza. Quando è fuori, la sento urlare il nome di Tricia.
Voglio solo essere felice, ora.
Una lunga settimana è passata, ma
l’apocalisse sarebbe stato meglio: Tricia è stata licenziata, e non ho
più sentito Zayn. L’ho provato a chiamare ma il telefono risultava
spento, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto: il cuore oramai si è
distrutto, in tante, troppe parti.
È venuto Louis ha trovarmi, mi ha
baciato, ed io ho risposto: perché così avrebbe lasciato in pace il mio
Zayn, sì. Non volevo, le sue labbra da stupido borghese non erano
confrontabili a quelle di lui, ma forse ora lo lascerà in pace: non mi
interessa, so solo che essere tra le sue braccia ora mi fa male. Perché
sento di aver tradito Zayn, perché sento di sbagliare tutto: lo voglio,
ora.
Sento il telefono suonare: spalanco gli occhi, fissandolo e lo afferro con rapidità, rispondendo.
<< Pronto? >> Dico, con rapidità: il cuore sta quasi per esplodere, mentre tremo con l’apparecchio tra le mani.
“ Harry? “ Sento dire da una voce a
me sconosciuta: è di un ragazzo, possente e sicura ma anche dolce e
confortante. Tutto il mio mondo si è nuovamente distrutto, ogni mia
speranza vana è sparita…
<< Sì, sono io .>> Disco sconsolato, mentre sento la mano di quel porco accarezzarmi la schiena.
“ Sono Liam. “ Dice poi lui, e la
mia mente subito vaga: Liam, l’amico di Zayn! Sì, quel tipo da cui era
andato prima… prima del fatidico giorno.
<< Ah sì ciao! Dimmi,
problemi con la scuola? >> Fortunatamente ho capito che non è uno
stolto: rimane per un attimo in silenzio, per capire.
“ No, non va nulla bene. È arrivata
la polizia e lo hanno arrestato per istigazione alla violenza e per
l’erba che aveva a casa. “ A quella frase, inizio a cadere in panico e
rimango immobile, immaginandomi la scena, mentre il mio cuore si
spezza: è tutta colpa mia, solo e soltanto mia.
“ Devi darmi dei soldi per la
cauzione, Harry. Tra me e Niall non ci riusciamo ad arrivare. “
Continua lui e io so che è il minimo: annuisco con convinzione.
<< Certo, passo ora a portarti i compiti. >> Dico io, mentre lui mi da un indirizzo: è poco fuori dal Brixton.
“ Niall passerà da casa tua e ti
accompagnerà. Tu seguilo da lontano. ” Dice ancora, prima di
riattaccare il telefono: mi stacco da Louis e mi alzo, cambiandomi,
spiegandogli che purtroppo un amico ha bisogno dei miei compiti e
fortunatamente non è tanto intelligente da capire che è solo una
stupidaggine.
Metto una semplice maglia a mezze
maniche nere e dei pantaloni chiari, prima di prendere tutto quello che
mi serve e scendere con Louis: il mio passo è frettoloso e lo trascino
praticamente fuori, dove lo aspetta la sua mini. Poco lontano, un
biondo col cappello, gli occhiali e una canotta mi guarda per un
attimo: lo riconoscerei lontano un miglio Niall Horan. È lui: saluto
Louis con un bacio e vado da lui, il cui sguardo è completamente
schifato, prima di spostarlo su Louis, rimanendo a fissarlo per almeno
dieci minuti. Quando arrivo da lui lo scuoto.
<< Andiamo… >>
<< Quindi ora stai con lui. >> Dice freddamente.
<< Aspetta… l’ho dovuto fare.
>> Lo guardo, sospirando. << Avrebbe combinato ancora di
peggio se non accettavo le sue avance. >> Sussurro, quasi
vergognandomi, mentre la sua mano stringe la mia, iniziando a
camminare: non gli importa tanto, forse mi ha creduto, ma vedo che
vuole muoversi.
Quando siamo arrivati
all’indirizzo, un ragazzo dai corti capelli color miele e gli occhi
nocciola ci aspettava: un bel ragazzo dall’aspetto distinto e adulto.
Liam, immagino.
<< Sei Harold, immagino. >> Dice con voce sicura, e ciò mi fa capire che sì, è lui.
Annuisco appena, sussurrando che
preferisco Harry: prendo poi il portafoglio, estraendo un grosso
malloppo di soldi, arrotolati, che ben presto lui si mette a contare.
<< Possono bastare? >> Chiedo speranzoso, e i suoi occhi si fanno un attimo seri, come se stesse calcolando tutto.
<< Sì, unendoli ai nostri sì.
>> Dice poi, prima di farci salire su una vecchia Mini di
parecchi anni fa: sporca qua e là, al suo interno i sedili sono
leggermente rovinati.
Ma poco importa, perché ben presto
partiamo: il suo piede pigia l’acceleratore indistintamente, e Niall
non fa una piega, ma io che sono abituato ad un autista che guida su
strade tranquille ciò non lo trovo calmo. Mi aggrappo ad un lato della
maniglia e lo vedo sospirare.
<< Scusa ma siamo di corsa. >>
<< Da quanto è in prigione? >> Domando io, cercando di riprendermi dall’ultima curva.
<< Praticamente da quando vi
siete salutati. È stato trovato poco lontano da casa tua. >> Dice
Niall, fissandomi dallo specchietto retrovisore con cattiveria, come se
fosse colpa mia.
E diavolo, lo è eccome, perché sono
stato io a farlo venire. Perché se non mi avesse conosciuto, nulla di
tutto ciò sarebbe accaduto diavolo.
<< E poi si bacia pure con
quello stronzo che lo ha mandato in carcere. >> Se ne esce poco
dopo, mentre faccio un piccolo salto, incastrandomi tra i due sedili
davanti, per vedere Niall negli occhi. << Zayn diceva che eri
diverso, ma per me sei uguale ad Helena. Ma lei almeno non era una
finta santa. >>
<< Helena? >> Chiedo, con la voce tremante, mentre vedo Liam fissare per un attimo l’irlandese.
<< Era l’ex di Zayn. Ci stava
insieme quando vi siete conosciuti. >> Dice semplicemente.
<< Ma dimmi, ti interessa qualcosa di lui oppure te la fai anche
con quell’altro? >>
<< Diavolo no, ma lui ha
minacciato di fare del male alla famiglia di Zayn… >> Dico, con
voce bassa e rotta, chiedendomi perché mai non possa avere fortuna in
nulla.
Ma non possiamo continuare, perché
il grande carcere si staglia davanti a noi: scendiamo con enfasi da
quella macchina oramai vecchia e corriamo a pagare quella stupida
cauzione.
Dei poliziotti annuiscono e li
vediamo andare nel grande corridoio oscuro, mentre poco dopo, con la
paura di tutti, lo vedo apparire: ha una vecchia maglia grigia e un
paio di pantaloni neri, mentre vedo il suo labbro oramai cicatrizzato e
gli occhi stanchi. Ha avuto paura, sento l’odore fino a qua: ma non me
ne interessa, perché corro da lui che, appena è libero, mi si butta
praticamente tra le braccia. Rimango esterrefatto, non ricordandomi
tale comportamento mai e lo stringo a me con un gran sorriso, mentre lo
sento affondare il volto nella mia spalla. Trema, come un bambino, e
forse una piccola lacrima scende: mi stritola quasi, ma non me ne
interessa.
<< Stai bene? >> Mi
sussurra con una voce debole e stanca, mentre rimango sconvolto: lui
che chiede a me se sto bene?
<< Io sì… ma sei tu che… >>
<< Ha detto che ti avrebbe fatto del male e che me ne sarei pentito. >>
<< Zayn… >>
<< Non è ancora finita, me lo
ha promesso. >> Dice, ma sento il sorriso nascere sul suo volto
mentre lo alza e ben presto incontra le mie labbra. Un bacio
passionale, romantico, voluto e atteso troppo: le sue mani percorrono
il mio corpo e mi stringono a se, mentre lo sento alzarmi leggermente
da terra. << MA se tu ora sei qui, non potrà fare nulla. >>
Sussurra poi, mentre appoggiamo la fronte l’una contro l’altra, e mi
perdo nei suoi occhi come il catrame, che già troppo amo.
Oh no Zayn, non è finita, perché Louis farà di peggio, me lo sento.
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Capitolo 9 *** Tell me a lie ***
Tell me a lie
Tell me a lie
~ZaynWord
Liam deve realmente cambiare la macchina: penso questo mentre rimango
poggiato ad Harry nel viaggio verso casa. Il mio “fratellone” ha
trovato giusto portarmi a casa mia, perché la madre è preoccupata:
ammetto infatti di essere stato arrestato probabilmente pochi secondi
dopo essere uscito dalla cancellata di casa Styles, lei neanche sapeva
nulla.
Mi chiedo che pensieri si sarà fatta su di me: forse ha pensato che
fossi entrato in chissà che circolo, oppure che io abbia ucciso
qualcuno. Ma non è lei che mi preoccupa, no, ma mio padre: lui chissà
che starà pensando di me, probabilmente al peggio. È stato in carcere
più volte, perché aveva ucciso per proteggersi dalle rapine: ciò che mi
ha raccontato è vero, è stata la settimana più lunga della mia vita.
Harry mi sposta i capelli dalla fronte, dove vede alcuni segni
rialzati: lividi che oramai non hanno più colore, come quelli sulle
braccia.
<< Che ti è successo? >>
<< Alcune discussioni coi tipi in cella con me. >> Dico,
sdraiandomi su un fianco, lasciando la testa poggiata sulle sue belle
gambe: ora che lo vedo da questa prospettiva, mi sembra ancora più
angelico di prima.
Ammetto che non è stato semplice, per niente. Quando sono saltato fuori
dalle cancellate, due uomini in divisa mi si sono avvicinati: i loro
occhi già mi studiavano, mentre vedevo delle manette pendere dalle mani
di quello più giovane e agile. Avevano passo sicuro e svelto mentre mi
puntavano con una mano.
<< Ehy, ragazzino! >> Mi urlarono, e inconsciamente, dentro
di me, già sapevo perché: quel bastardo di Tomlinson probabilmente
aveva già avvertito la polizia, che ora immaginava fossi da Harry.
Li guardai per qualche attimo, prima di iniziare a correre dalla parte
opposta: sentivo i loro urli dietro di me, mentre i passi si facevano
svelti. Per quanto io sia più giovane, la discussione con Louis mi
aveva stancato, e alcuni lividi sulle gambe iniziavano a dolermi:
mentre mi infilavo nei vicoli da me conosciuti, loro sembravano
aumentare la loro velocità, avvicinandomisi a grandi falcate. Sapevo
benissimo che non sarei riuscito a sfuggirgli, e presi il telefono,
mandando un messaggio a Niall: scrissi quello che stava succedendo, e
di tornare a prendere il mio telefono in quel piccolo vicoletto.
Avrebbe dovuto mandare un messaggio ad Harry, scrivendogli di stare
attento, ma pare che non l’abbia fatto.
Sia il caso, ben presto una mano si arpionò alla mia spalla dolente: mi
sbatté con forza al muro e, dopo alcune percosse, sentii intorno ai
miei polsi stringersi con forza del metallo che era freddo come il
ghiaccio. Li guardavo, quei due uomini divertiti, che mi fissavano d’in
piedi, mentre le mie ginocchia poggiavano debolmente sul terreno
ruvido: parlavano tra loro.
<< Ti dovevi arrendere subito, non saresti riuscito a sfuggirci.
>> Mi disse poi il più vecchio, mentre mi alzavano malamente,
chiamando una pattuglia nei paraggi.
Essere caricato su quella macchina mi fece male: vedevo la gente
fissarmi, applaudire a quegli uomini, che intanto mi avevano malmenato
cattivamente, forse per le mie origini, o solo per divertimento. Avevo
ogni arto del corpo dolorante. E lo sguardo della gente mi faceva male:
sentivo dire frasi come “guarda, un altro di quegli stranieri, chissà che diavolo avrà combinato” o comunque altre frasi razziste. Mi sentivo male, tanto che svenni in macchina.
Quando mi ripresi, ero dentro ad una stanza: non era grande, avevo
ancora le mani ammanettate dietro le spalle e sedevo su una semplice
sedia, mentre d’innanzi a me vi era solo un tavolo. Nessun rumore ne
altro: quel silenzio mi faceva solo pensare al dolore che avevo in
tutto il corpo, e nel cuore. Pensavo ad Harry, mi preoccupavo per
altri, e forse era la prima volta nella mia vita: perché lui era
debole, lui probabilmente era impaurito ora, e io lo lasciavo solo.
Ma tutto ciò non durò molto: la piccola porta, unico segno di
collegamento di quella stanza grigia con l’esterno, si aprì, e vi entrò
Louis. Il suo volto era tumefatto, alcuni segni rigonfiavano quei
tratti delicati e principeschi e lo vedevo trascinare leggermente una
gamba, forse dolorante. Da una parte sentivo gioia nel vederlo ridotto
così, ma dall’altro sapevo benissimo che la sua presenza era un
pericolo.
Mi si avvicinò con passo sicuro, mentre sul volto un piccolo sorriso si
faceva largo mentre mi alzava il viso con due dita sotto il mento: dio,
i suoi occhi erano cattivi, come mai ho visto quelli di qualcuno prima
d’ora.
<< Alla fine ho vinto io, pare. >> Sibilò, mentre mi
colpiva con un pugno sul mento, e sentivo nuovamente il sapore del
ferro in bocca, che questa voltai ingoiai. << Cos’è, ti hanno
tagliato la lingua, Zayn Jawadd Malik? >> Il sentire il mio nome
completo in bocca a lui mi fece tremare: se sapeva tutto quello, voleva
dire che avrebbe trovato facilmente la mia abitazione, e così la mia
famiglia.
Ma forse il suo sorriso mostrava che già aveva trovato tutto.
<< Che diavolo vuoi, Tomlinson? >> Risposi poco dopo,
mentre i miei occhi fissavano la sua mano, che ben presto mi colpì
violentemente lo stomaco: mi chiesi quanto diavolo avesse pagato perché
la polizia lo lasciasse trattare così malamente un detenuto.
Probabilmente poco, perché noi siamo solo carne da macello.
<< Sei stato arrestato per spaccio e per istigazione alla violenza. >>
<< Spaccio? >> Dissi, rizzandomi sulla sedia, mentre il suo sorriso si trasforma in una fastidiosa risata crudele.
Ricollegai tutto: la polizia doveva essere entrata in casa mia e aver
trovato l’erba mia e di Helena. Anche se era in quantità minime,
probabilmente era un’ottima scusa per aggiungere un campo di accusa
alla mia pena: lo spaccio era punito regolarmente, ma l’aver picchiato
un ricco era peggio.
<< Comunque tranquillo, mi prenderò cura io delle tue sorelline.
>> Sussurrò cattivamente, mentre sentivo le manette stringersi ai
polsi: cercavo di tirarle, per distruggerle, ma non ci riuscivo.
<< Come anche di Harry. >>
<< Che diavolo vuoi da lui? >>
<< Il suo corpo, che domande. >> Mi rispose, mentre un
forte calcio mi colpiva malamente la mascella oramai dolorante: un
piccolo singulto mi uscì, ma non avrei fatto altro, per non
soddisfarlo. << Desidero quel corpo magro e delicato da anni…
>>
<< Non gli metterai le tue sporche mani addosso, porco. >>
Lo guardai negli occhi, e probabilmente il suo piccolo tremolio era per
la paura: ora ero legato in quel punto, ma nessuno mi avrebbe fermato
quando sarei stato libero. << Perché lui è mio, di te poco gli
importa. >>
<< Vedrai che vincerò io, Malik. >> Disse: un ultimo pugno
sulle costole, incrinandone una almeno, prima di vedere la sua figura
uscire da lì.
Ora tremavo, perché la sua frase era vera: per quanto volessi proteggerlo, chissà quando sarei uscito da quel posto.
Ma non era ancora finito, il peggio arrivò poco dopo. Quando fui
portato nella mia cella, ebbi la sorpresa peggiore: al suo interno, un
altro ragazzo mi guardò. I suoi occhi erano freddi, di un azzurro
glaciale, mentre i corti capelli castani mostravano la cicatrice
sull’occhio destro, che glielo facevano tenere socchiuso: i muscoli
erano sottolineati dalla maglia stretta e a maniche corte che
indossava, mentre le gambe fasciate dai pantaloni.
Dio, in quel momento ebbi un tuffo al cuore: Louis doveva avermi
studiato, perché, per quanti nemici avessi, nessuno era peggio di
William.
William Horca Logan era sempre stato mio avversario: vicini di casa fin
dalla nascita, tutte le scuole le abbiamo fatte insieme. Se io ero
caffè, lui era latte: niente ci accumunava, se non la voglia di
comandare. Discussioni da ragazzini ci accompagnarono per anni, ma solo
l’ultimo sgarro mio lo fece realmente arrabbiare: come già ho detto,
Helena è molto bella, e non ne ero l’unico innamorato. Che William ci
provasse lo sapevamo tutti: ogni mattina si faceva trovare sotto casa
di lei, con un mazzo di fiori, un biglietto o altri regali. Se ne era
innamorato, ma lei non ne era interessata, lo vedevamo tutti.
Decisi allora di dargli il colpo di grazia: quel giorno nel negozio di
cd decisi di provarci, e ben presto Helena era mia. William non me la
perdonò: una notte entrò in casa mia e cerco di accoltellarmi, ma non
vi riuscì e tutto ciò era ricordato dalla cicatrice che gli feci col
suo stesso coltello. Venne messo in prigione per tentato omicidio, e
ora dividevamo la cella.
La settimana l’abbiamo passata a guerrigliare: colpi bassi, attacchi
nel pieno della notte, violenza fisica non poca, e chissà che altro.
Neanche lo ricordo, a volte i suoi colpi erano talmente potenti che mi
addormentavo e mi svegliavo solo qualche ora dopo: il corpo era
addolorato, distrutto e la mente oramai non funzionava più.
Soltanto tre giorni dopo che ero lì, ebbi buone notizie: mi aspettava
un ragazzo per parlarmi. Liam era lì, seduto dall’altra parte di quel
telefono e di quel vetro, che già mi fissava impaurito dai segni
dolorosi sul mio corpo.
<< Che succede? >> Sussurrò, e io gli raccontai tutto: i
suoi occhi erano prima impauriti, poi sempre più sconvolti, e quando
sentii quel nome, gli scappò un piccolo urlo, che riportò lo sguardo di
tutte le persone nella stanza su di noi. << William? >>
<< Sì. >> Dissi semplicemente, mentre i nostri s’incontravano.
<< Stiamo raccogliendo i soldi per la tua cauzione. >>
<< Avete sentito Harry? >> Chiesi, poco interessandomi
della mia situazione: erano giorni che pensavo al principe dagli occhi
smeraldo, e mi chiedevo come stava.
Liam rimase in silenzio, probabilmente mi stava dando dell’idiota, e forse aveva ragione.
<< Siamo arrivati. >> Dice ora, mentre mi scrolla dal quel
mio ripercorrere l’ultima settimana: sorrido appena, alzandomi da
quella posizione comoda, mentre usciamo dalla vecchia macchina, con
Harry al mio fianco.
Sulla porta di casa, non rimango stranito nel vedere mio padre, con
indosso un grembiule bianco e una sigaretta tra le labbra: ci
assomigliamo molto, lui è poco più alto di me e più massiccio, ma gli
occhi catrame e i capelli pece li ho presi da lui.
Mi guarda, con sguardo severo, mentre serra le labbra intorno alla
piccola sigaretta: ci avviciniamo a lui e lo saluto appena, prima di
superarlo, accompagnato dal resto della comitiva. Quando siamo dentro,
capisco cosa diavolo sia successo: la casa è ancora messa a soqquadro,
molta roba distrutta a terra, e alcune cose di valore, le uniche che
avevamo, sono mancanti. Louis. È colpa sua.
Dentro di me una rabbia potente si fa strada: mi sale fino alla gola e
si sfogherebbe, se l’abbraccio prima e lo schiaffo poi di mia madre non
mi colpissero in pochi secondi. La guardo, qui davanti a me, mentre i
suoi capelli hanno qualche filo bianco e la sua pelle pare invecchiata
più velocemente in questa settimana che in diciotto anni della mia
vita: i suoi occhi sono addolorati, mentre mi fissa, con disperazione e
compassione. È uno strano sentimento, ma mi fa più male il suo sguardo
che il dolore dello schiaffo.
<< Che diavolo hai combinato, Jawadd? >> Mi urla e capisco
la sua ira: non mi chiama mai così, se non quando è realmente
arrabbiata.
<< È stata colpa mia Tricia, lui mi ha solo protetto! >>
Dice Harry prima di me, inchinandosi davanti a lei, mentre unisce le
mani in segno di scusa. << Louis ha cercato di colpirmi e lui si
è messo in mezzo, credimi! >> La prega, continuando a rimanere in
quella posizione, mentre lo tiro in piedi, abbracciandolo a me con
forza: le sue mani si stringono intorno al mio collo, e lo sguardo di
mia madre oltre lui mi fa capire che ha già intuito più di quello che
abbia mai fatto.
<< In ogni caso, che è successo qui? >> Chiedo io, tenendo
ancora Harry in quel modo, deciso a non lasciarlo andare per un po’.
<< La polizia è venuta ed ha buttato tutto così. >> Sento
dire da mio madre, alle mie spalle. << Noto che hai combinato un
altro dei tuoi guai. >> Ora la sua voce non è ne di rimprovero ne
altro: è solo un affermazione, e ammetto che ha ragione.
<< Vai a cambiarti, Zayn. >> Sussurra mia madre poco dopo,
sospirando. << Dopo potrai parlare finché vuoi. >>
Annuisco appena, sentendo quegli abiti consunti oramai fastidiosi:
lascio andare Styles poco dopo, lasciandogli un bacio leggero sulle
guancia, sussurrandogli di aspettarmi un attimo fuori con gli altri,
prima di salire di sopra.
La mia camera è praticamente a pezzi: nulla è rimasto intatto, ne i
quadri di quando ero piccolo, ne i miei giocattoli, ne il letto. Hanno
distrutto tutto, tutta la mia vita, i miei sogni: anche il vecchio
piano che era qui, oramai è inesistente. Il cuore per un attimo si
ferma e gli occhi si riempiono di lacrime, mente indosso una maglia
semplice bianca, con sopra una camicia di jeans lasciata aperta e un
paio di jeans rovinati qua e là: arrotolo le maniche della camicia e
torno di sotto, uscendo, dove il mio bel Harry mi aspetta, con un paio
di jeans neri e una maglia bianca. È sexy, non lo ricordavo così bello:
affianco a lui Liam e Niall mi fissano e si allontanano, per lasciarci
soli, mentre mi avvicino a lui per baciarlo.
Lui mi ferma però, parando una mano tra le nostre labbra.
<< Dobbiamo parlare. >> Sussurra, mentre i suoi occhi verdi
si fanno mesti: lo prendo per mano, portandolo in un posto tranquillo,
dove ci possiamo poggiare su una rete metallica.
È nervoso, giocherella con un ciondolo al collo, mentre pensa alle parole da dirmi: io sorrido, tranquillizzandolo poco dopo.
<< Non mi arrabbierò, l’importante è che tu sei qui. >> Gli
sussurro, prima di appoggiarmi su di lui, stringendolo tra me e la
rete: lui sorride, baciandomi a fondo, mentre le sue mani si insinuano
nelle tasche dei miei pantaloni, tirandomi a se. È strano, sembra che
voglia baciarmi a lungo, per la paura di non potermi più avere.
Poco dopo infatti mi appoggio affianco a lui, guardandolo: inizia a fissare nel vuoto, parlando a vanvera.
<< Io e Louis stiamo insieme. >> Possibile che cinque
parole possano distruggere un uomo? << Ho dovuto farlo, perché
altrimenti avrebbe fatto del male alla tua famiglia, e Louis lo avrebbe
fatto. Non lo voglio, dio, ogni volta che quelle sue maledette mani si
appoggiano su di me ho un dolore immenso qui. >> Dice,
poggiandosi la mano sul petto, all’altezza del cuore. << Perché
voglio che siano le tue, solo le tue. >>
<< Harry, hai fatto l’unica cosa sbagliata. >> Gli rispondo
poco dopo, guardandolo, mentre le sue lacrime non riescono ad
impietosirmi, non stavolta.
<< Ma Zayn… >>
<< Ma Zayn? >> Dico, imitando la sua voce. << Cosa?
Dovrei sopportare questo ennesimo tradimento? >> La mia voce si
alza di qualche tono, i miei occhi diventano arrabbiati. << Dio,
mi aspettavo tutto, ma non questo. >>
Me ne sto per andare, ma la sua mano si stringe intorno al mio polso.
Rimaniamo in quel modo, mentre il mio cervello elabora il tutto: lo ha
fatto per me, non aveva scelta, alla fine…
<< Cosa è suo di te? >> Sussurro poco dopo, mentre una
morsa mi cattura il cuore: qualcosa di doloroso, di fastidioso, che mi
fa diventare debole.
Rimane in silenzio, qualcosa che mi tormenta l’animo.
<< Eravamo quasi andati a letto insieme, ma non l’ho soddisfatto nei preliminari, quindi si è stancato e fermato… >>
<< Almeno qualcosa di buono lo ha fatto. >> Sussurro tra me
e me, pensando che non posso colpevolizzare del tutto Harry: ma neanche
perdonarlo, perché non me la sento, ora. << Non posso dirti che è
tutto ok, perché non lo è: mi fa male sapere queste cose, avrei
preferito che me le avesti detto immediatamente. >> Mi giro,
guardandolo negli occhi. << Ma nel frattempo non posso neanche
colpevolizzarti a pieno, perché tu non vuoi, o almeno spero. >>
<< No che non lo voglio… >>
<< Ma devi darmi tempo perché mi passi tutto. >> Lui
annuisce, mentre mi si avvicina, poggiandosi tra le mie braccia:
inizialmente rimango sulle mie, ma poi lo stringo debolmente, mentre
una lacrima scende dai miei occhi.
Louis William Tomlinson me la pagherai. Per tutto.
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Capitolo 10 *** He'll only break you, leave you torn apart ***
He'll only break you, leave you torn apart
He'll only break you, leave you torn apart
~HarryWord
È stato difficile staccarmi dal suo corpo, dal suo abbraccio: non
fisicamente, perché era quasi disgustato di abbracciarmi. Era lì, con
le sue braccia attorno a me, ma con la testa da altre parti: forse
stava immaginando le orribili cose che abbiamo fatto con Louis,
probabilmente esagerava in ogni suo pensiero.
O forse stava pensando a questi pochi giorni, ma lunghi, passati in
carcere: non vuole dire che è successo, forse perché farebbe soffrire
tutti, ma un giorno sarà sincero, con me.
Lo guardo per un ultima volta lì, sulla porta, prima di iniziare
nuovamente ad allontanarmi a passo incerto e triste, chiedendomi quando
lo rivedrò.
<< Ho bisogno di pensare. >> Mi ha detto non molto fa,
mentre i suoi occhi erano freddi e il mio cuore andava miseramente in
frantumi. << Non so cosa farò, Harold. Perché so che non lo hai
fatto intenzionalmente, però ti sento sporco. >>
Dio, quella parola mi ha fatto male: perché è ciò che sono, sono
proprio così. Mi sono lasciato nelle mani di Louis, anche se in buona
fede.
Smettila di mentire, Styles.
Sì, perché sono un bugiardo, perché
non mi è dispiaciuto: mi faccio schifo, troppe volte mi sono sentito
orribile, ma mai così. Non che mi piace lui, ammettiamolo, ma le sue
attenzioni: era così dolce, mentre con le mani percorreva il mio corpo
nudo e glabro. Ogni tanto tremavo di piacere, e nel contempo mi
schifavo.
Lui e Zayn sono l’opposto: le mani di Zayn, quando mi toccano, lo fanno
in maniera sporca e quasi violenta, perché nel suo cuore batte la forza
della passione e del desiderio. Opposto a lui vi è Louis, i cui gesti
sono sempre gentili e dolci: ha l’animo da principe in effetti, questo
devo darglielo come pregio. Ma è strano, perché lui mi vuole solo
usare, e lo so: Zayn prova altro per me, come anche io per lui ma… non
mi soddisfa completamente, ora l’ho capito.
Sorrido appena, girando l’angolo, mentre una ragazza dai lunghi capelli
fulvi e gli occhi grigi mi fissa: è qui, ritta sulle gambe magre,
mentre risplende sulla pelle bianca un drago tatuato nel braccio, e le
labbra sono piegate in un segno di rabbia, contratte. Tremo appena,
sentendo un brivido di paura passarmi nella schiena, perché
inconsapevolmente, io so chi è: Helena.
Si avvicina a me ora, con passo sicuro e leggero, senza staccare i
nostri sguardi: lo sento, mi odia, è come se volesse sbranarmi oppure
torturarmi a morte e lasciarmi soffrire per strada. Quando mi è
affianco, la vedo fissarmi con sufficienza, e ora la rabbia diventa un
sorriso crudele e freddo.
<< Harry, immagino. >> La sua voce è grezza e graffiante, come quella di una cantante: fredda e spaventosa.
Annuisco appena con incertezza, mentre nei suoi occhi passa un brivido di odio e cattiveria, che non mi sfugge.
<< Come mai in questi paraggi? >> La vedo fermarsi, e ben
presto siamo a pochi centimetri di distanza. << Ti abbassi ai
nostri livelli? >> Le labbra rosse si schiudono e si mostra una
piccola fila di denti: mi sta prendendo bellamente in giro.
<< Sono venuto per Zayn. >> Dico, cercando di rimanere
certo delle mie parole, sicuro, ma senza riuscirci: un altro scintillio
passa nei suoi occhi, soddisfatta.
<< Anche io. >> Ridacchia, e mi da una piccola spinta
indietro, da cui mi riprendo, trovando l’equilibrio. << E
probabilmente, preferisce vedere me. >>
<< Sei Helena, quindi. >> Sussurro, chiedendomi perché sia qui: prima mi è stato detto che si erano lasciati.
<< Mi conosci? Non avrei detto. >> La vedo qualche minuto
pensierosa, prima di annuire, sorridendo. << Immagino l’abbia
detto Niall di me. Comunque mi chiedo perché abbia deciso di lasciarmi
per te. >>
Ora mi fissa, anzi, mi scannerizza: passa lo sguardo su tutto il mio corpo, soffermandosi su alcuni punti.
<< Gambe normali, vita mediamente stretta, spalle piccole, occhi
scintillanti e riccioli. >> Dice, come se stesse facendo la lista
della spesa. << Escludendo i tuoi occhi, non trovo in te nulla di
speciale. >>
Su ciò non ha che ragione, soprattutto comparando noi due: lei è
realmente bellissima, i suoi occhi sono glaciali, ti distruggono ad un
solo sguardo, e i suoi capelli paiono seta. Per non parlare del corpo
dalle forme perfette, e le labbra che sembrano disegnate mi fanno
eccitare.
<< In ogni caso, ti saluto, vado dal mio Zayn. >>
<< Tuo? >> Dico, con voce scettica, mentre la fisso con un sopracciglio alzato.
Lei ridacchia ed annuisce, avvicinandomisi al viso, mentre le nostre
labbra sembrano volersi toccare: sì, c’è tensione tra di noi, ma non la
classica tensione sessuale. È qualcosa di violento, di sfida.
<< Sì, mio. >> Ridacchia, prima di spingermi indietro, con
cattiveria. << Visto che te la fai con quel ragazzo degli alti
borghi, lascia stare Zayn. >>
<< E tu che diavolo ne sai di me? >> Ringhio appena, stringendo la mano a pugno.
<< Perché vi ho visti al parco l’altro giorno. Sapevo che eri tu,
ed ho deciso di seguirvi: sai, le descrizioni di Zayn sono sempre molto
affidabili, ed un ragazzino dagli occhi smeraldo, i riccioli e il volto
spocchioso non è difficile da vedere. >> Ridacchia, spostandosi
dal viso un ciuffo di capelli selvaggio. << Vi ho visti infilarvi
dietro ad un cespuglio: ammetto che avete un modo strano di discutere,
solitamente io non mi spoglio per parlare. >> Ora il suo volto è
contratto in una smorfia di riso cattivo, mentre i miei occhi si
stringono e cammino a grandi falcate verso di lei.
Ci metterei poco a colpirla, se una mano non mi tirasse indietro, bloccandomi.
<< Smettetela, infantili entrambi. >> Niall è poco dietro
di me e mi continua a tenere la spalla, mentre finisce la sua frase: la
voce è cattiva e seria. << Zayn vuole solo stare in pace, ora.
Quindi, Helena, vattene, perché abbiamo poco da spartire con te.
>> Lo sento rimanere un attimo in silenzio, mentre mi fa girare,
guardandomi negli occhi. << E per ora anche tu, perché non avete
più nulla da spartire. >>
Quella frase mi spezza il cuore perché, anche se lo sapevo, sentirselo
dire fa male: il volto di Zayn si materializza nella mia testa, mentre
le lacrime mi riempiono gli occhi violentemente, facendomi stare male.
Niall lo sa, lo vede, e per la prima volta capisco che anche lui è
leggermente dispiaciuto: per quanto sia stato freddo, ora mi abbraccia,
accarezzandomi la schiena gentilmente. Mi lascio andare contro di lui,
respirando a fondo, cercando di rimandare indietro le lacrime, che però
sgorgano violentemente dagli occhi, bagnandogli la giacca e il resto.
<< Non è bello piangere, poi penso di essere stato cattivo. >> Mi sussurra, spostando la mano tra i miei capelli.
<< In effetti è così. >> Sussurro, prima di staccarmi e
guardarlo negli occhi: i suoi occhi lucidi e azzurri mi fanno capire
che siamo ambedue stanchi e probabilmente preoccupati per Zayn.
<< Ma hai detto la verità, perché io non me lo merito: sono
indeciso, Niall, perché Louis mi soddisfa. >> Forse l’ho
sconvolto ed ho perso quel poco di fiducia che lui riponeva in me: ora
mi lascia, facendo pochi passi indietro, fissandomi inorridito.
<< Zayn mi fa stare bene, perché io sento di amarlo: ma Louis mi
tocca in una maniera che… >>
<< Fa già abbastanza schifo così la cosa senza che tu continui. >>
<< Niall, è difficile da far capire. >>
<< No, non lo è. Perché tu Zayn non lo conosci, perché ancora non
hai capito che persona è: se sei indeciso tra lui e Louis, allora hai
poco da scegliere, perché non te lo lascerò. >>
Lo vedo allontanarsi poco dopo a grandi passi, e per qualche attimo
penso al loro rapporto: è quasi morboso. Mi fa male quello che ha
detto, ma è vero, alla fine.
Mi incammino, ora da solo, con lo sguardo basso: cosa diavolo sto
facendo, io sento un amore verso Zayn, ma un attrazione verso Louis.
Alla fine, questa settimana che abbiamo passato insieme, ora che siamo
lontani, mi fa sentire confuso: se prima ero schifato, ora sento una
certa indecisione. Ma potrà l’amore bastare, contro tale attrazione?
Ammetto che Zayn mi piaccia fisicamente, perché mi fa impazzire, ma non
ho ancora avuto… occasione di provare il suo comportamento in un
momento di intimità.
Ho un lampo di genio e prendo fuori il telefono, mandandogli un messaggio. “Stasera vieni a casa mia dopo mangiato. Voglio essere tuo.”
Invio quel messaggio e, a grandi passi, mi riavvio a casa, preparandomi
a fare chiarezza nel mio cuore: stasera deciderò, una volta per tutte,
non posso aspettare. Non ora.
Quanto mi sento stupido. Vorrei poter trafiggere questo stupido cuore e capire cosa provo davvero.
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Capitolo 11 *** Get outta control ***
Get outta control
Get outta control
~ZaynWord
<< Chiariremo solo e poi me ne andrò. >>
<< Sei proprio un idiota, sai che non sarà solo così. >>
<< E quindi? Se io volessi soffrire? >>
<< Non venire poi a piangere da me. >> Dopo queste poche parole lo vedo alzarsi, in procinto di andarsene.
Mi avvicino e gli stringo il polso, prima di tirarlo a me,
abbracciandolo con forza, una stretta che ben presto viene ricambiata:
Niall ha solo paura che io stia male, come sempre. Tra noi due è lui
quello adulto, perché io sono solo l’idiota che fa tutto di testa sua:
lo vedo sospirare prima di staccarsi, mettendo a posto la maglietta
bianca che indosso e passandomi la camicia di varie tonalità da mettere
sopra. Mi guarda e sorride appena.
<< In realtà sai dove abito, se andrà male… >>
<< Sì, grazie. >> Annuisco, finendo di allacciare i
pantaloni beige ed esco da casa mia, mentre lui si allontana poco dopo
nella via opposta.
Conosco queste strade a memoria ormai e il mio corpo va da solo verso
la metropolitana, mentre il buio inizia ad inglobare questa città la
cui vita notturna è proporzionata a quella del giorno: le luci iniziano
ad infuocare le strade che diventano man mano che mi avvicino al suo
quartiere sempre più gremite e larghe. I miei occhi spiano i passanti,
ma oggi non sono in vena di fissarli troppo, perché sento il cuore
leggermente stanco, e la mia discussione con Harry stanotte lo
distruggerà: non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da
lui, e so che il mio stupido orgoglio farà di tutto per distruggerci e
farci litigare. Forse sarà un bene, perché non penso che siamo
destinati a stare insieme: troppe cose che io ritenevo futili ci
dividono, e purtroppo ci fanno del male.
Non siamo cresciuti nella stessa maniera, non abbiamo gli stessi
obiettivi o le stesse idee: siamo differenti su tutto, e se dicono che
gli opposti si attraggono, forse con noi questa elementare legge
chimica non è molto giusta. Perché gli opposti si arrabbiano, litigano,
sbagliano e soffrono, e io sono stanco di stare male per gente per cui
io sono nulla: se davvero mi voleva bene, ora non sarebbe in dubbio.
Che poi, se gli piace lui, gli chiedo come diavolo faccia a piacergli
anche io: penso sia qualcosa di meramente fisico, visto che
caratterialmente io e quel borghesotto siamo opposti.
Sospiro, facendo leva sui muscoli e supero facilmente la cancellata,
saltando al di là: atterro sulle gambe molleggiate così da non farmi
male e mi avvio. L’aria sembra più fredda del solito, il cielo più
scuro e la casa mi pare un enorme costruzione che vuole solo
inglobarmi: è come se volesse mangiarmi, farmi del male ancora più di
quello che già mi ha fatto Harry con delle semplici parole. Perché si,
sono quelle che mi fanno del male: il fatto che sia stato costretto, a
cui ora credo poi poco, a stare con lui non era un problema, perché ora
sarebbe tornato mio. Ma il fatto che è indeciso… mi fa schifo.
Salgo velocemente sulla costruzione davanti la sua finestra e busso due
volte: il cielo tuona, immagino stia venendo una pioggia bella forte e
io mi riparo il meglio possibile, sebbene qualche goccia mi colpisca
ugualmente.
Il vetro poco dopo si apre e io salto dentro senza tanti
complimenti: sospiro, passando le mani tra i capelli, che si alzano
ancora più di quello che sono e guardo Harry, poco distante da me. I
bei capelli riccioli mostrano il viso contratto, mentre indossa solo un
baio di boxer blu e una maglia bianca con sopra una stampa: sembra
ancora più piccolo ora.
Mi abbraccia ma io rimango immobile e lo sposto poco dopo da me, sfilandomi la camicia sopra, rimanendo in maglia.
<< Quindi? >> Chiedo poco dopo, guardandolo negli occhi verdi smeraldo che ora fissano in terra, insicuri.
<< Zayn… io… ti amo. >>
<< Si bella scusa. >> Mi metto a ridere, scuotendo la
testa, infastidito dalla tanta ipocrisia e falsità in lui. << Tu
non sai che vuol dire amare, Harry. Non lo sai, perché non puoi amarmi
e poi dire che ti piace Louis. >> Mi avvicino e lo fisso negli
occhi, mentre lo sento indietreggiare. Ha paura di me, ora? Che diavolo
di lavaggio gli ha fatto Louis?
Non sa cosa dire, perché sa che ho ragione: probabilmente mi dice
questo solo per la paura che io me ne vada o altro, non lo so. Forse
farei bene ad ascoltare Niall.
Si sfila la maglia, rimanendo col bel petto nudo e glabro davanti a me:
mi prende poi una mano, poggiandosela sul petto, sorridendo come un
bambino.
<< Sì… ti amo… e voglio essere tuo… >> La testa bassa, lo
sguardo triste e il resto mi fanno capire che qualcosa non va.
Forse sono anch’io un debole, probabilmente lo sono, ma giusto ora me
n’accorgo: ritiro la mano e scuoto la testa, mentre decido di
accendermi una sigaretta.
<< Tu non mi ami, Harry. Non me ne andrò se dirai la verità, me
ne vado se continui a mentirmi. >> Mi avvicino alla finestra e
nei suoi occhi passa un lampo di terrore, ma quando capisce che sono
qui solo per non far entrare il fumo si rilassa.
Si butta a sedere violentemente sul letto, con le mani strette intorno allo stomaco, e lo sguardo ancora più triste.
<< Io… >>
<< Niall mi ha detto di quello che vi siete detti. >>
Sorrido ora con rabbia, mentre lo guardo: la sua testa si alza
velocemente e i suoi occhi si svuotano. << Non voleva, ma vi ho
visti parlare e l’ho costretto. Quindi io non ti soddisfo. >>
<< Zayn… >>
<< Forse non ne ho avuto tempo, non pensi? >> Mi avvicino a
lui e gli alzo il viso verso di me, con una parte ancora cattiva nel
mio sorriso. << Sai, non sono come voi, non ho la possibilità di
non fare un cazzo tutto il giorno, perché io me lo devo meritare il mio
posto in questa terra, nulla mi è stato regalato. >> Mi siedo
affianco a lui e lo tiro sulle mie gambe, mentre lo vedo poggiare le
mani sulle mie spalle: i nostri occhi si perdono gli uni negli altri.
Trema, come un bimbo che ha rotto qualcosa ma non vuole dire nulla alla
mamma: ma ora la mamma lo ha scoperto, e non sa cosa fare.
<< Scusami, Zayn, ho detto una stupidata dopo l’altra. >>
Inizia, mentre scende una lacrima sulla guancia: mi avvicino a lui e
lascio un bacio su quel punto in cui ora la lacrima muore tra le mie
labbra. << Voglio stare con te… ma ho paura, perché io non sono
nulla in confronto tuo, o di Helena… >>
<< Helena? >> Chiedo poco dopo, mentre lo guardo negli occhi accigliato e lui annuisce dolcemente.
<< Sì… lei è bellissima e… >>
<< Se tra noi è finita, forse non voglio un suo altro clone, non
credi? >> Mi sembra una cosa ovvia, ma gli do una speranza in
più, ora.
Mi sorride e annuisce appena.
<< Scusami… scusami per tutte le stupidate che ho detto… >>
<< Non sarà così facile, Harry, perché pensavo anch’io di amarti
ma… ora non ne sono certo. >> Sono una persona sincera, anche a
costo di fargli del male: ma è meglio essere chiari, così da poter solo
migliorare il discorso. << Voglio però continuare a stare con te,
perché ti sento mio, perché ti voglio. >>
<< Grazie Zayn… >> Sussurra, stringendosi con le braccia attorno a me.
Poggio il volto nell’incavo tra la spalla e il collo e inizio a
mordicchiarlo, inizialmente pian piano, poi con maggiore intensità:
succhio leggermente e le sue mani si stringono nei miei capelli,
probabilmente gli piace assai questa cosa.
Quando mi stacco, un segno violaceo è ora impresso sul collo chiaro: glielo lecco appena, prima di guardarlo negli occhi.
<< Sarà difficile stare insieme per noi, lo sai. >>
<< Ma sono pronto. >> Dice, e ammetto di non aver mai
sentito una voce così sicura da lui. << Sono pronto ad andarmene
da qui, se proprio devo. >>
In effetti non sarebbe una cattiva idea: è maggiorenne oramai, o vi è
vicino, e se stesse direttamente con me, potremmo vederci sempre.
Qualcuno bussa alla porta e stringo la mia presa su di lui.
<< Harold, perché la porta è chiusa? >> Sento dire da una voce femminile, che riconosco essere quella della madre.
<< Ho da fare mamma. >> Dice con voce risoluta, e dei passi
mi dicono che se ne è andata. << Zayn… mi dispiace tanto per tua
madre… >> Sussurra poco dopo, poggiando la fronte alla mia.
<< Ora cosa fa? >>
<< Va a pulire gli ammalati che non possono muoversi. >>
Sorrido appena, mentre vedo i suoi occhi intristirsi ancora di più di
quello che già erano. << Ma è felice, e sta bene: un giorno
vorrebbe rivederti ha detto… >>
<< Quando vuoi, verrò da te. >>
Sospiro, sdraiandomi sul letto con lui affianco e lo stringo a me:
tengo il petto contro il suo per qualche attimo prima di scende e
poggiare la testa sul petto piccolo e magrolino. Tengo gli occhi
chiusi, mentre mi accarezza i capelli.
<< Hai detto che Louis ti tocca meglio di me. >> Sorrido,
alzando il volto verso di lui. << Semplicemente, io non mi voglio
approfittare e lo farò solo quando lo sento… >>
<< Lo so Zayn, l’ho capito solo ora. Perché averti tra le mie
braccia, mi sta facendo tornare in vita… Perché io ti amo.
>>
<< Amare me comporta molta fatica. >>
<< Sono pronto a scalare montagne a piedi. >> Sussurra e io
ora ci credo, mentre mi addormento in quella maniera, ora tranquillo.
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