Give Your Heart A Break di Hagne (/viewuser.php?uid=33495)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Someday ***
Capitolo 2: *** 2- The Coldest Heart ***
Capitolo 3: *** 3 - A Never Ending Dream ***
Capitolo 4: *** 4 - Comatose ***
Capitolo 5: *** 5 - Hero ***
Capitolo 6: *** 6 - Awake and alive ***
Capitolo 7: *** 7- Hold on ***
Capitolo 8: *** 8 - On My Own ***
Capitolo 1 *** 1 - Someday ***
Capitoli revisionati
" How the hell did we wind up
like this
Why weren't we able
To see the signs that we missed
And try to turn the tables "
[...]
" Someday , somehow
gonna make it allright but not
right now
I know you're wondering when
You're the only one who knows
that "
( Someday - Nickelback )
Faceva freddo, ed era
buio, troppo buio.
La schiena gli doleva,
e il poco
fiato che aveva non riusciva ad uscire dalla bocca accartocciata in una
smorfia di dolore che gli irrigidiva il viso.
Era steso su qualcosa
di duro,
viscido e ruvido al tatto, una strada forse, non più il
manto
sabbioso della sua isola o il viottolo pietroso che portava al
villaggio.
Era una strada di pietra intarsiata da ghirigori che si
ritrovò a seguire con le punta delle dita tenendo
gli
occhi chiusi.
Non che non volesse
schiudere le
palpebre, ma era stanco, affaticato, dolorante in più punti,
come se un gruppo di uomini lo avesse arpionato per ogni suo arto
tirando nella propria direzione per vedere quanto a lungo avrebbe
resistito prima di spezzarsi.
E c’era una
voce, quella voce
che continuava ad urlare il suo nome mentre tutto diventava nero
e quegli occhi azzurri continuavano a cercare sul suo viso
una
risposta che neanche lui si sarebbe saputo dare.
- Dove stai andando
Pluto? Hai sentito qualcosa?
Una voce di donna,
gentile e venata
di curiosità rimbalzò da parte a parte,
quasi fosse
rinchiuso in antro piccolo e limitato, il vicolo stretto e umido nel
quale la voce di donna tornò a spezzare il silenzio dei suoi
pensieri.
- Allora?
Hai forse …oh!
Quell’esclamazione
di
sorpresa fu seguita dal fiato caldo e dalla linguetta umida che aveva
cominciato a scorrere sul suo volto impolverato prima che un profumo di fiori gli
stuzzicasse il naso.
Un odore dolciastro e delicato che lo convinse a schiudere debolmente
le palpebre per seguirne la fonte, e quando le ciglia grigie vibrarono
sui suoi occhi stanchi Riku non vide il cielo nero trapuntato
di
stelle, rinchiuso fra le due mura di mattoni, ma un viso
ovale e
pallido che fendeva il paesaggio e la sua vista sfocata.
Perchè
c'era una
ragazza china su di lui, seduta sui talloni,
intenta ad
osservarlo con la guancia poggiata su un pugno, gli occhi
verdi
vibranti di curiosità.
- Stai bene? Hai
bisogno di aiuto?
Aveva delle belle
labbra si ritrovò a pensare.
Labbra bianche e sottili piegate innaturalmente verso
l’alto, quasi faticasse a non sorridere
continuamente, ed
aveva una voce calda e morbida come quella di sua
madre,
una voce che non poteva fare male.
Una voce che forse non avrebbe vibrato dall'orrore come quella di Sora.
- Allora?
Non ti ho mai visto da queste parti. Da dove vieni? Ti sei perso?
Parlava troppo, ma
aveva una voce allegra, e Riku era troppo stanco per sentirsi
infastidito o quantomeno irritato.
Voleva solo chiudere gli occhi e smetterla di sentire e di pensare a
quello che aveva fatto.
A quello che aveva fatto a tutti loro.
- Capisco
– mormorò la donna, picchiettando un dito sul
mento con aria comprensiva e decisa.
Riku dubitava che
quella ragazza
avesse davvero capito il perché della sua presenza
in un
vicolo, di notte, ma quando un palmo caldo si accostò alla
sua
fronte non potè che rabbrividire nel percepire le
parole
confuse dell’allegra sconosciuta, una sorta di
litania.
Era fastidioso quel
bisbiglio, ma
faceva un po’ meno freddo, e il buio cominciava a schiarirsi,
ma soprattutto Riku non lo sentiva più urlare.
Ed era quello che più importava, che l’espressione
tradita
di Sora smettesse di strizzargli il cuore facendolo sentire un mostro.
°°°
- Sei la solita
sconsiderata! Non puoi portare qui chiunque trovi svenuto per strada!
Fu una voce rabbiosa
quella che lo
strappò dal faticoso dormiveglia, un vibrare di corde vocali
molto simili al gorgoglio profondo di un leone irritato, un tono di
rimprovero che non sembrò smorzare l’allegria di
quella
voce che Riku aveva continuato a sentire persino nei suoi sogni.
- Dovresti smetterla
di aggrottare
così tanto le sopracciglia o ti verranno
le rughe! Guarda qui!
Sembri una vecchia tartaruga brontolona!
Uno schioppo
improvviso lo
ridestò completamente, e quando riaprì di scatto
gli
occhi ci fu di nuovo quel viso ovale ad attenderlo, delicato
e
arrossato un poco a causa della risata che ancora le solleticava la
gola.
- Scusalo, sembra un
tipo
scorbutico ma è solo preoccupato per me
– mormorò
lei dolce, ammiccando con gli occhi alla porta appena chiusa
con
forza.
- Come ti senti?
Scusami se ti abbiamo svegliato.
Come
stava?
Riku fece mente locale
sui dolori
alla schiena e al petto che lo avevano fatto gemere di dolore poco
prima, ma ora non percepiva nulla se non un piacevole tepore
lì
dove i muscoli avevano rischiato di accartocciarsi per lo sforzo che
stava esercitando su se stesso.
Stava bene, almeno fisicamente, mentre non si poteva dire la
stessa cosa della sua mente.
Nella sua testa
cominciavano
infatti ad accavallarsi i ricordi confusi di una
porta, di
una voce melliflua che lo chiamava dalle ombre e dello
sguardo
sorpreso e spaventato di Sora, inghiottito dal nulla assieme a lui.
E no, non stava bene,
almeno, non
lo sarebbe stato fino a quando non avesse trovato Kairi e Sora,
probabilmente sperduti e confusi quanto e più di
lui .
- Perché
quella faccia triste? Hai perso i tuoi amici?
La donna
allungò una mano
sul suo volto, strofinando i polpastrelli sulla pelle fredda della
guancia per raccogliere la lacrima che Riku non si era accorto di aver
appena versato, e fu in un moto di disagio che le si
allontanò
con sguardo duro e diffidente.
Una smorfia
dispiaciuta
irrigidì il viso della ragazza seduta sul ciglio
del letto, un lampo di tristezza che la sua voce allegra e delicata
ripulì dal suo viso.
- È
successo anche a te?
Riku si
schiacciò contro la
parete tenendo d’occhio la porta dove
l’uomo era uscito
poco prima e inarcando un sopracciglio alle parole prive di senso della
ragazza.
La donna lo
osservò con
l’ombra di un sorriso consapevole, puntando le iridi chiare
sullo
stralcio di cielo che si riusciva ad intravedere dalla finestrella .
- Il tuo
mondo intendo. Anche il tuo è stato invaso dagli
Heartless?
Continuava a non
capire, a non
comprendere quel suo sguardo così triste e amaro,
ma fu un
attimo, un momentaneo sguardo addolorato che la donna
scacciò
con un lungo sospiro prima di stirare le labbra in
un
sorriso mite.
- Ti
aiuterò a trovare i
tuoi amici – se ne uscì
d’improvviso, saltando
giù dal letto con gli occhi grandi e colmi di aspettativa.
- Ti
aiuterò io! E sono
sicura che anche Leon vorrà aiutarti –
continuò
euforica, battendo le mani tra loro con una risata allegra, e Riku
non ebbe nè la forza nè la
voglia di
contraddirla o di andarle contro.
Era troppo felice,
troppo gentile, troppo
tutto, e lui non avrebbe avuto la forza di smorzare tutta
quella sua allegria, non ne vedeva il motivo in quel momento.
Poi lei
tornò a guardarlo, e
fu uno sguardo che da quel momento in poi, senza saperlo,
Riku
non sarebbe mai più riuscito a dimenticare.
- Non ti ho chiesto la
cosa più importante.
Passi frettolosi
cominciarono a tuonare fuori dalla porta, passi pesanti , maschili e
quasi arrabbiati.
- Qual'è il
tuo nome? Io mi chiamo-
- Aerith!
Quello fu il suo primo
incontro con Leon.
Durò meno
di un istante.
Un breve scambio di sguardi diffidenti e circospetti, carichi
di
domande alle quali ogni risposta avrebbe deciso se considerare l'altro
nemico o amico.
Riku
arricciò le
labbra nel sentire lo sguardo annoiato del ragazzo
levitare
su di sè, ma ancor prima che potesse sbottargli contro
Aerith
picchiettò due dita tra le sopracciglia profondamente
aggrottate
dell’uomo, incurvando l’angolo della bocca verso
l’alto con un sorriso affettuoso che presto avrebbe imparato
a
riconoscere ed amare.
- Vecchia tartaruga
– gli
ricordò lei severa, lisciando la pelle arricciata
con i
suoi polpastrelli, incurante del colore bluastro assunto dal
compagno ma incuriosita dal sorrisetto a mezza bocca del suo nuovo
amico tanto silenzioso.
Mago Merlino fece
appena in tempo
ad afferrare la pozione esplosiva prima che questa cadesse a terra
sotto l'onda d’urto generata dalla
voce maschile che il mago aveva imparato a riconoscere anche a distanza
di porte spazio-temporali.
Una voce che
periodicamente urlava
il nome della sua tenera allieva, la ragazza dagli occhi
verdi e
dal sorriso misterioso dalla quale tutta la città
di
Mezzo sapeva di poter ricevere un aiuto che lei non avrebbe mai negato
a nessuno.
Continua...
Un crack-pairing nato
dalla visione di un video su youtube che mi ha fatto apprezzare questa
strana coppia.
Riku & Aerith,
una coppia insolita, ma dai risvolti più che
interessanti .
Buona lettura!
Un saluto caloroso,
Gold eyes.
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Capitolo 2 *** 2- The Coldest Heart ***
Capitolo revisionati (2)
" My halo is broken now and
I'm all that's left
I hate to disappoint you but
it's thw way things went
I was blind to the things I
did
And after what was said ,
Tie up these loose ends
These voices are calling me
out "
[...]
"I'm losing hope ,
There's a hole in my heart
That's been cut out of stone
Could you fill this hole ?
'Cause I can't do it
alone "
( The coldest heart - The
Classic Crime )
Non c’era
mai stato un noi.
Questo Riku lo aveva sempre saputo.
Da bambini, forse, Sora poteva essere stato la
parte
mancante di se stesso, quella infantile e sciocca che non
era
mai riuscito a fare propria.
Lui in fondo non aveva
mai amato sorridere troppo.
Era sempre stato un bambino atipico, mite e pacato, quasi
indifferente a ciò che lo circondava, a chi
lo circondava, ma aveva imparato ad amare a modo
suo, ad
affezionarsi a qualcuno, a modo suo, non riuscendo, il più
delle
volte, a mostare che anche lui un cuore per amare ce lo aveva.
Un cuore capace di essere ferito.
Di rompersi.
E Kairi
era stata la prima crepa.
La novità della sua vita, delle loro vite.
Una bambina tanto misteriosa da attrarlo verso qualcosa che non fosse
se stesso e Sora, tanto curiosa e bizzarra da convincerlo a lanciare
lo sguardo al di fuori del suo
piccolo mondo, ma le novità non sempre portano qualcosa di
bello, e Riku questo lo aveva imparato sulla propria pelle.
Sul proprio cuore.
Perché,
più il tempo
passava, più il ritmo dei loro passi si faceva
incalzante
e il profilo dei loro volti sorridenti diveniva impossibile da
guardare,lì dove il baluginio delle loro iridi
chiare si
tingevano di qualcosa di nuovo, complicità.
E ancor prima di
esserne pienamente
cosciente, ancor prima di avere il tempo di difendersi dal dolore che
sarebbe sopraggiunto si era trovato indietro, nel buio,
nascosto dalle ombre di entrambi, dimenticato, da entrambi.
Solo.
E Riku aveva
cominciato ad
apprezzare il buio, ne era rimasto affascinato, ma Aerith non sembrava
essere del suo stesso avviso in quel momento.
- Andiamo
via – lo pregò infatti con voce sottile,
stringendo le dita attorno al suo gomito.
Intanto,
dall’altra parte della piazza
affollata Leon lanciava loro occhiate di apprensione,
incupendosi nel cogliere la smorfia che Aerith tendeva nel
non riuscire a
smuovere Riku da lì, nel non riuscire
a difenderlo dalla visione
del grottesco ballo ondeggiante dell’ Heartless
morente.
- Riku, per favore
– tornò a pregarlo accorata, stringendo la
presa sulla casacca di lui.
E sembrava
spaventata, ma lui non aveva paura, non ne aveva mai avuta.
A lui le ombre piacevano, lo avevano sempre ammaliato, e
quella piccola creatura nera sembrava fissare lui.
Solo lui .
Quando Leon trafisse
l’Heartless Riku sentì una
sorta di strappo
all'altezza del petto poco prima che le braccia morbide di Aerith gli
cingessero il capo, una mano immersa nei suoi capelli e la sinistra
andata a coprirgli la guancia, come per ricordargli che qualcuno c'era,
con lui.
Che lei ci sarebbe sempre stata.
Ed Aerith,
lei c'era stata davvero per lui, anche quando non aveva
chiesto di essere toccato, di essere consolato, anche quando
non aveva dato a vedere quanto rancore covasse nel petto, quanta rabbia
e frustrazione serbasse per se stesso.
Quanto l'odio lo stesse mangiando dentro.
Lei che era morbida, profumava di buono,
era gentile e sembrava capirlo.
Sembrava vedergli dentro e accettare comunque quello che lo stava
divorando.
L'oscurità
che ritrovò in fondo allo sguardo spento dell'Heartless e
nel proprio cuore mentre
intorno a loro le ombre continuavano ad aumentare, a smorzare la luce
dei lampioni e delle stelle inghiottite dalla notte.
Un nero pece al quale il fluttuare di un lungo mantello diede
un
suono e un viso che l'angolo della via inghiotti, lasciando alle sue
spalle una scia verdastra e luminosa intenta a guardarlo come
un
occhio di rettile sospeso nel vuoto.
Un occhio che guardava
lui.
Solo lui .
°°°
Leon non gli era mai
piaciuto.
Nessuno oltre Sora e Kairi gli era mai piaciuto, e lo
spadaccino
sembrava ricambiare la sua antipatia, la sua diffidenza con lo stesso
ed identico fervore.
Il soldato era
ombroso, scorbutico
e silenzioso, ma diventava incredibilmente loquace quando
doveva
mettere bocca su di lui, sul suo comportamento scostante e
sull’insensato attaccamento di Aerith nei suoi confronti, su
quel
bisogno di difenderlo sempre.
La ragazza sembrava
aver preso infatti la
snervante abitudine di non ascoltare i suoi consigli, i sui ordini, e
da buona insubortdinata qual'era sempre stata, continuava a cercarlo
con lo sguardo, come se volesse assicurarsi della sua presenza.
Una premura che Leon
accoglieva con il gorgoglio infastidito della sua gola.
- Non hai notato
qualcosa di
strano? Le ombre sembrano essere attratte da lui. Non è
normale.
Credo che ci sia qualcosa di tremendamente sbagliato in te –
ringhiò rivolgendosi direttamente a lui, ma Riku non
mostrò irritazione per le accuse rivolte e la parole dette.
Leon non gli piaceva,
e ciò che pensava di lui non gli importava.
- Credo che tu stia
esagerando
adesso – lo rimproverò severamente
Aerith, troppo
occupata a sistemargli una ciocca di capelli dietro
l’orecchio
per badare all’occhiata incredula del compagno.
Con un ringhio
frustrato Leon
abbandonò lo studio di Merlino, facendo vibrare il cardine
della
porta per la forza che esercitò per chiuderla.
Lei non
sembrò però farvi caso, china su Riku
con un sorriso morbido a curvarle le labbra pallide.
- Non preoccuparti,
è solo
preoccupato per l’aumentare di Heartless nella
città, non crede davvero a ciò che ha
detto –
lo giustificò con aria gentile, sfilando il fiocco
rosa
che le acconciava i capelli prima di sporgersi verso il suo
busto
e allacciarlo attorno al suo polso.
Il rosa della stoffa
stonava con i
suoi polsini giallo acido, ma non gli dispiaceva vederlo lì,
come il fiore in sboccio sulla pelle bianca e tenera
dell’avambraccio .
- Ci tengo molto,
perciò devi promettermi che me lo riporterai integro.
Lo disse con
gentileza,
l’indice che gli picchiettava la fronte a più
riprese, ma
c’era qualcosa di incredibilmente triste nel suo sguardo, una
consapevolezza che
rendeva i suoi lineamenti delicati terribilmente malinconici e
dolorosamente amati.
Lo era lei per lui,
amata, davvero tanto amata, ma non avrebbe
dovuto saperlo, come lui non avrebbe dovuto per forza capire quanto
Aerith lo avesse capito, quanto in fondo alla sua anima avesse guardato.
Quando Riku uscì di corsa dallo studio la ragazza
non
potè che abbandonare il braccio lungo la vita con occhi
stanchi che si trovò a chiudere pesantemente, il
lampo verde appena comparso dietro
la finestra a ferirle lo sguardo.
E mentre il
mantello di
Malefica calava come una mannaia alle spalle di Riku, Aerith non poteva
che pregare di avergli dato qualcosa in cui sperare.
Qualcuno in cui credere.
Qualcuno per il quale combattere, a cui promettere di tornare
prima di perdersi nelle ombre.
In se stesso.
Perchè
il mondo
gridava di paura mentre la notte e il buio calava fuori ,
al freddo, nel buio dei vicoli e nel fondo dell’anima
dell’uomo, ma in Riku, in lui erano dentro e fuori.
Nei suoi occhi spenti, e nel battito di quel cuore che sembrava
sempre sul punto di cedere.
Di spaccarsi a metà.
°°°
Lo
sghignazzare di
Jafar e del Baubau, più simile ad un latrato che a
vere e
proprie risate strisciavano come una mano artigliata lungo il pavimento
di marmo bianco salendo ad unghiate lungo la schiena ricurva di Riku,
accovacciato accanto al corpo dormiente di Kari con la spada
abbandonata di lato.
Teneva il mento
sollevato con le
nocche della mano chiusa a pugno, gli occhi chiari fissi sul
viso
delicato della sua migliore amica, la bocca tirata dolorosamente in un
sorriso amaro.
Perchè Kairi
aveva perso il cuore, e mentre lui si affannava nella ricerca di una
soluzione, Sora si era fatto nuovi amici, tanti, troppi amici,
lasciando entrambi indietro, lasciando lui, indietro.
Sora che continuava a
cercare lei,
a chiamare il suo nome, mentre il suo, di nome, non aveva
sfiorato le labbra dell'amico.
Mai.
Non quando ne aveva avuto bisogno davvero.
Non quando le ombre lo avevano reclamato.
E ora non poteva più salvare nessuno, neanche ora che
era diventato il custode del keyblade, l’eroe dei
mondi.
Riku sapeva di non poter essere più salvato.
Perchè il
suo migliore amico
era stato troppo occupato a salvare il mondo che rischiava di
crollare in pezzi per accorgersi della sua, di caduta, del crollo di
quell’anima umana che veniva divorata dalle ombre del suo
cuore,
fagocitata dall’odio e dal rancore che gli infiammavano gli
occhi
e il cuore.
La luce oramai lo
infastidiva,
doleva agli occhi, irritava l’epidermide, era repellente, una
carezza calda che odiava ricevere, sentire su di sé.
Il freddo delle
tenebre era invece
un toccasana per il suo sguardo tradito, per la rigidità dei
suoi arti e di quell’organo che continuava a raggrinzirsi nel
suo
petto, giorno dopo giorno.
- Riku ?
Malefica gli
arrivò alle
spalle nel solito frusciare di vesti serpentine e fluttuanti, le
pupille nere inghiottite dal verde raccapricciante
dell’occhio.
Era una strega
potente, e
avrebbe potuto aiutarlo a trovare il cuore di Kairi, lei che gli aveva
già
concesso il potere che bramava, la libertà dai ricordi che
tanto
agognava.
Il potere era
ciò che desiderava, e un Keyblade, quello
sì.
La chiave da affondare nel petto di Sora per strappargli il cuore e
costringerlo a chiedergli in ginocchio perdono per averlo abbandonato.
Per averlo lasciato solo.
- Ho
bisogno che tu vada in contro al custode della chiave. Bisogna finirla,
una volta per tutte.
Le gambe erano rigide
per la posa
scomoda mantenuta tanto a lungo, ma lo ressero abbastanza da fargli
raggiungere le alte porte della Fortezza Oscura.
E quando il vetro
della finestra
rimandò la sua immagine Riku osservò il proprio
viso
divenuto adulto, il petto ampio e lo sguardo dorato
del
mostro che era diventato.
Del traditore che si
era ritrovato ad essere.
°°°
Ironia, la vita era
piena di ironia.
Lo era lui, lo era stato il destino.
La luce lo infastidiva
ancora, ma
il suo corpo umano necessitava la luce mentre il suo
cuore
d’ombra si ribellava a quella carezza indesiderata.
Kingdom Hearts era la
luce.
Pura e semplice luce, e lui continuava ad essere diviso in due, in
bilico tra ciò che il suo corpo desiderava e
ciò
che il suo cuore chiedeva.
Re Topolino lo
sorpassò con
un balzo fendendo l’aria e urlando a Sora di andare
via, di
chiudere la porta alle loro spalle.
Sora .
Riku
abbozzò un passo nella
sua direzione, fermandosi poco dopo aver sentito la voce del
Re
che urlava loro di salvarsi, di richiudere il passaggio per il cuore di
tutti i cuori e proteggere gli altri mondi.
Ma anche se lui non poteva più essere salvato,
c'era una persona che voleva proteggere.
E non era Sora.
Non era Kairi.
Ma qualcuno che si era scoperto di amare più di entrambi,
più di se stesso.
Sentì
lo sguardo
ferito di Sora pungergli la schiena, ma quando la porta si chiuse alle
sue
spalle seppe di aver fatto la cosa giusta, per una volta.
Perchè quello non era un addio, non lo avrebbe permesso, lui
che
aveva ancora una promessa da mantere, una persona da cui tornare.
Chi aveva
capito e lo aveva
lasciato andare con qualcosa su cui abbandonare il proprio sguardo
stanco e fragile quando la solitudine fosse divenuta straziante, il
nastro rosa che anche nell'ombra più nera
riusciva a vedere.
Lei, la riusciva a vedere.
Nella sua mente, e in quel cuore che imparò a battere per
qualcosa che non fosse l'odio e il rancore.
Per qualcosa per cui valesse la pena lottare.
E vivere.
Amare.
Continua...
|
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Capitolo 3 *** 3 - A Never Ending Dream ***
Capitoli revisionati (3)
"
I'm standing on a hill and beyond the clouds,
The wind's blowing still and catching my doubts
I'm watching all the flowers dying away
Enheated by the fire at the dawing day "
[...]
" An illustrated sea descends in the steam
We're playing for the vice, emotional games
I'm turning off my eyes and hiding my shame "
( A Never Ending Dream - Cascada )
Merlino era il mago più anziano, saggio e
incorrutibile a
memoria d'uomo, ma Aerith
sapeva bene come scucire il permesso del suo mentore con uno dei suoi
più bei sorrisi, una linea di labbra morbide che
Leon poi
incassava con uno sguardo oltraggiato, come se qualcuno lo avesse
appena preso alle spalle, una mossa che il soldato riteneva scorreta e
priva d'onore, ma l'arma in questione era un
sorriso, e da
quelli non ci si difendeva di solito, perchè erano
innocui e
semplici sorrisi, incapaci di mietere vittime.
Eppure quello di Aerith poteva tramutarsi in un'arma di
distruzione di massa, una sorta di potente e indomabile
vibrazione elettrostatica che riusciva ad entrarti sotto
pelle
per scuoterti dentro fino a farti scrollare di dosso
l'orgoglio e
quel briciolo di dignità con il quale si era creduto
scioccamente di poterle negare qualcosa.
Le bastava dunque relativamente poco per riuscire a
strappare al non tanto incorruttibile mago e al poi non così
tanto invicibile guerriero la
possibilità di gironzolare per le strade senza la
supervisione e protezione dovuta.
Una protezione necessaria per i tempi che correvano.
La Fortezza Oscura in fondo era divenuta sempre
più vulnerabile agli
attacchi nemici, più indifesa e dunque
più soggetta
alle retate degli Heartless e dei Nessuno.
Quelli, in verità, erano il motivo principale del cipiglio
tetro di Leon.
Lei ne aveva visto uno, una volta.
Un uomo dai curiosi capelli color fiamma, ritti come stalattiti di
rubini, che mangiucchiava per strada un gelato dal particolare colore
azzurro
cielo.
Leon diceva che erano esseri malvagi, privi di scrupoli, ma Aerith non
lo aveva trovato pericoloso, ma tremendamente triste e malinconico.
E solo.
E nessuno più di lei sapeva quanto fosse triste essere soli
al mondo.
Ricordava che aveva un' andatura dinoccolata, come se faticasse a
reggersi sulle gambe lunghe e sottili come spilli, e che
faceva vagare gli
occhi chiari lungo la via, negli angoli, sul cielo terso e
rannuvolatosi al tramonto come se fosse in cerca di qualcosa, di
qualcuno.
Leon diceva molte cose, alcune non tanto giuste e imparziali,
ma non aveva mai mentito sulla pericolosità di un
individuo, questo Aerith lo sapeva bene, ma non aveva
potuto fare a meno di essere attratta dalla tristezza di quel
Nessuno.
Un'attrazione gravitazionale che un giorno l'aveva portata a
collidere con un mondo tanto diverso dal suo.
Avvenne per caso in realtà, in uno di quei giorni
in cui
il bisogno di stare un
pò in pace con i suoi pensieri l'aveva convinta a convincere
Merlino di poter tornare un po’ più
tardi del
solito, un ritardo che si era trovata costretta a
dilungare
quando, nel riconoscere la stramba e appariscente capigliatura lungo la
via non aveva potuto fare a meno di seguire lo
strano
essere d’ombra fino a ritrovarsi a
scendere il
sentiero scosceso che portava al grande fossato.
Quello era uno dei luoghi che lei amava meno in verità, ma
il Nessuno
dallo sguardo spento continuava a scendere, ignaro di lei che
guizzava alle sue spalle saltando da una roccia
all’altra per non farsi vedere.
Era troppo perso nei suoi pensieri per curarsi di lei, pensieri molti
tristi a giudicare dalla smorfia che gli piegava le labbra sottili.
Una smorfia contrita che Aerith osservò con un peso sul
cuore.
Aerith è
troppo ingenua diceva Leon ogni qual volta
aiutava per strada un passante dall'aria pericolosa e
scarmagliata.
Aerith non conosce ancor
il mondo continuava,
ma a dispetto di ciò che si poteva pensare di lei, la maga
sapeva fin troppo, aveva vissuto più di quanto la sua
età desse ad intendere, e il destino che aveva
patito era stato fin troppo crudele e tragico.
Perciò lei capiva la tristezza, la malinconia,
l’amarezza, il dolore, quando li vedeva.
Li aveva provati, li aveva vissuti sulla propria pelle, aveva provato
persino a curarli, e
quel Nessuno soffriva fin troppo per un essere che non avrebbe dovuto
possedere un cuore.
Per qualcuno che sarebbe dovuto essere pericoloso.
Era troppo fiduciosa nella bontà altrui forse, e dopo tutto
quello che aveva passato, dopo tutto ciò che aveva vissuto,
avrebbe dovuto essere selettiva nello scegliere di chi
fidarsi,
ma non riusciva a sopportare la sofferenza di altri, neanche quella dei
loro nemici.
Non vi riuscì, non volle neanche provarci, perchè
sarebbe
andata contro se stessa, e se c'era una cosa che aveva imparato col
tempo, era che ci si doveva accettare per quello che si era.
Per questo sbucò da dietro la roccia con un
sorriso amichevole e un saluto trepidante sulle labbra.
- Ciao.
Axel mandò giù il boccone
ghiacciato con il
rischio di strozzarsi per la fretta, ritrovandosi poco dopo a
stringere le dita affusolate sulle armi abbandonate ai suoi
piedi, ma quando rialzò gli occhi la visione della
ragazza non lo preoccupò, non lo mise in allarme
perché,
semplicemente, quella piccola umana non
rappresentava un
pericolo per lui.
- Cosa vuoi ? – soffiò lamentoso, tornando a
mordere il
gelato con aria indolente, seguendo con la coda
dell’occhio i passi fluidi con i quali la ragazza lo
raggiunse,
fermandosi a qualche metro di distanza da lui per studiarlo.
I capelli che aveva imparato a lasciare sciolti le coprirono
metà viso quando piegò la testa di lato, rapita
dal
colore sgargiante di quei capelli che fissò tra le
ciglia
frementi di curiosità mentre il viso pallido del Nessuno si
contraeva per la stizza.
- Cos’hai da fissare? Non hai paura di me? –
brontolò scontroso quello quando si sentì
studiato a quel
modo, aumentando la presa sulle armi.
Aerith tornò dritta con un movimento fluido, scivolando a
sedere accanto a lui con un sorriso tranquillo.
- Dovrei ? – domandò enigmatica, sbirciando da
sopra la spalla l’espressione infastidita del Nessuno.
Axel meditò un attimo su come avrebbe potuto strapparle il
cuore, un modo come un altro per togliersi dai piedi quella
seccatura, ma quella ragazza era davvero carina, e sarebbe stato un
peccato.
E poi non ne aveva voglia, in realtà non aveva
più voglia di fare nulla oramai.
- Stai cercando qualcuno ? – tornò a domandare con
la voce
calma e gentile, picchiettando l'anulare sul braccio
abbandonato in mezzo a loro, un contatto che fece rizzare i capelli
sulla nuca di Axel.
- Non toccarmi – sibilò irritato, sentendo il
calore
pizzicargli l’epidermide nascosta dal mantello, e
rimase
sconvolto dalla vampata di tepore che aveva raggiunto persino le sue
guance gelate.
Quella femmina umana era calda, profumava troppo, e faceva troppe
domande per i suoi gusti, ma aveva uno sguardo gentile e
quando annuì alla sua
domanda con un grugnito di fastidio lei tornò
a
sorridergli, poggiando una mano sul suo avambraccio.
L’espressione ghiacciata del Nessuno la fece ridere di cuore
mentre il sole tramontava e le urla di Leon tuonavano per la vallata, e
fu un tocco fuggevole che gli lasciò addosso una breve
sensazione di pace prima che lei si spostasse e spezzasse
l'incanto.
Con un saltello agile Aerith scese dal masso, spolverandosi il vestito
rosa e tornando a fissarlo con gli occhi grandi e verdi, occhi troppo
puliti, troppo chiari per un mondo come il suo, occhi che
persino nel
buio, forse, sarebbero stati capaci di non farti perdere.
Di farti ritrovare la strada di casa.
- Ti aiuterò a trovarlo – promise accorata,
voltandosi poi nel sentire il proprio nome urlato da Leon
per la terza volta.
Axel rimase a fissarla in silenzio mentre la vedeva andare
via agitando
debolmente la mano in un saluto prima di ritrovarsi inspiegabilmente
a parlarle ancora.
- Come fai a sapere che si tratta di un lui ?
Aerith si fermò poco prima di svoltare l'angolo, lo sguardo
proiettato oltre il cumulo di terra dietro al quale avrebbe trovato il
cipiglio iracondo del guerriero, e si attardò un'istante di
più
per alzare gli occhi al cielo e sorridere debolmente nel
pensare che
lo avrebbe spaventato se avesse ammesso che lei sapeva riconoscerle, le
persone che aspettano qualcuno.
Lei che aveva passato la vita ad aspettare, ma lui non avrebbe capito.
Nessuno, avrebbe capito.
- Istinto femminile.
°°°
- Roxas è un bel nome – rimuginò ad
alta voce,
addentando poco dopo il terzo gelato che Axel le aveva
allungato
con aria imbronciata prima di addentare il proprio.
- Vero – assentì sovrappensiero –
è proprio
un nome da lui, è così- si morsicò la
lingua
appena in tempo quando la vide sporgersi verso di sè con
occhi
enormi, curiosi e vibranti, uno sguardo che lo imbarazzò e
lo
portò a tacere.
- È così?- ripetè lei con
espressione trasognata, avvicinandosi ancora di più.
- Così e basta! Non capisco perché fai tutte
queste
domande! Sono giorni che chiedi perché, dove, chi!
–
gracchiò con la voce incrinata per l’imbarazzo,
scartando
il terzo gelato e ficcandoselo in bocca con sguardo irritato.
Aerith fece spallucce, addentando il suo e osservando la desolazione
del loro piccolo nascondiglio, la conca di detriti e sabbia dove la
ragazza passava ogni sua giornata da quando aveva promesso di aiutarlo
nella sua ricerca qualche settimana prima.
- Perché mi interessa saperlo, mi pare ovvio. Non siamo
amici
forse ? – buttò lì tranquillamente,
conservando lo
stecchetto appiccicaticcio nella tasca del suo bell’abito
rosa
per non lasciare prove.
Era sempre stata molto attenta in quello.
Perchè Leon poteva risultare troppo rude nei modi, ma era un
ottimo soldato, e non si sarebbe lasciato sfuggire una torre di
stecchetti di gelato senza farsi qualche domanda su chi li avesse
lasciati, e lei non era brava a mentire.
Perciò aveva preso l'abitudine di conservarli nella sua
stanza,
lì certamente Leon non avrebbe mai osato metter piede senza
prima
chiederle il permesso.
- Amici ? – ruggì il Nessuno poco dopo, il viso
illividito dalla collera
– amici dici? E da quando in qua io e te saremo amici? Sei tu
che
mi pedini da undici gio-
- Sedici giorni– rettificò puntigliosa, e tanto
bastò ad Axel per gettare indietro il capo con un ringhio di
frustrazione.
Un fiotto di sangue andò a colorargli le
guance per la stizza, ma era l'incredulità a farlo
tremare
da capo a piedi.
Lo infastidiva il non riuscire a capirla, il non poter
prevedere le sue mosse.
Tuttavia non sembrava cattiva, e se avesse voluto fargli del male lo
avrebbe
fatto da tempo, ma non era abituato ad un contatto fisico tanto
prolungato, men che meno con donne ciarliere che
sorridono
sempre e fanno domande su domande.
Lo metteva in imbarazzo, eppure non era un
imbarazzo che ti mette a disagio,
non era come quello che provava con Roxas, nessuno lo avrebbe mai fatto
sentire come si sentiva con Roxas, ma era ugualmente piacevole,
ugualmente bello, e capire che quella dannata umana
era altrettanto capace di farlo sentire a suo agio, di farlo
sentire di nuovo bene lo lasciava perplesso.
Perchè era fuori dalla sua portata e dalla sua comprensione.
Perchè lo trattava con gentilezza, non mostrava
segno di paura, di
raccapriccio, ma lo definiva
addirittura un …amico?
Un fastidioso rimescolio allo stomaco gli
ricordò che lui
di amici non ne aveva mai avuti, che nessuno aveva voluto esserlo, e
che quello era normale per uno come lui.
Per un Nessuno come lui.
Ma lui non lo era, normale, non lo era stato.
Eppure lei lo trattava come se lo fosse, e forse il suo
rossore non
era da attribuire solo alla stizza ragionò stanco,
osservando
tra le ciglia frementi l’espressione dolce della femmina
umana.
- Perché? Lo mettevi in dubbio ? – lo
riprese con aria
severa, raggiungendolo e picchiettando un dito sulla sua spalla.
- Mi pare ovvio che lo metta in dubbio. Guardaci. Io sono un Nessuno.
Colui il quale dovresti temere, colui il quale potrebbe e dovrebbe
strapparti il cuore, mentre tu sei-
- Una fioraia – lo precedette con voce dolce, intrecciando le
dita a quelle tremanti delle creatura, le mani alzate in aria in un
eccesso di sorpresa mista ad orrore ed incredulità.
Era calda si trovò a pensare inconsciamente,
profumava di
buono, e gli
stava stringendo le mani, come se fosse un suo pari,
come se fosse un umano.
- Una fioraia ? – singhiozzò incredulo,
osservandola da capo a piedi con un sopracciglio alzato.
Aerith sorrise, un sorriso morbido che però non raggiungeva
gli occhi.
- Si, una fioraia. Sono semplicemente una- il rumore di passi
la interruppe.
Passi veloci perfettamente sincronizzati, passi di soldato,
passi che Aerith riconobbe con un colpo al cuore.
Quando la ragazza lo spinse a nascondersi dietro una roccia
Axel
non capì il perché di tutta quella fretta, ma
quando
udì una voce maschile chiamare la fioraia non
potè che
capire.
Lo stava nascondendo.
Lo stava proteggendo.
Gli occhi di Leon erano sempre gli stessi, occhi stretti, troppo
azzurri, calcolatori, iridi che Aerith fissò senza
l’ombra
di un cedimento, allontanandosi dal masso e andandogli in contro con un
sorriso a mezze labbra.
- Cosa ci fai qui ?
Un ringhio sommesso fu l’unica risposta che ebbe, e
si
preoccuupò del modo in cui quegli occhi perlustravano
l’aria circostante, cercando nemici, cercavano
sempre
nemici.
- Questa dovrebbe essere la mia domanda. È qui che vieni a
rifugiarti ogni giorno?
Axel trattenne il respiro quando gli parve di essere osservato, fissato
con odio, ma lei tornò a parlare, ad attirare
l’attenzione
del soldato, a salvarlo da un combattimento inutile dal quale non
sapeva se sarebbe uscito vincitore, ora che era solo.
- Si, mi piace stare in solitudine qualche volta –
spiegò
con voce delicata – ma è tardi, credo dovremmo
tornare
entrambi a casa.
Leon sembrava restio, non sembrava crederle, non le credeva, ma
Aerith non poteva permettergli di trovare Axel, non
lui, non un Nessuno.
Perché il soldato non avrebbe ascoltato, non
avrebbe
capito, avrebbe solo combattuto, sempre, senza
chiedersi chi avesse
davanti, senza capire chi dovesse essere sconfitto o
risparmiato.
- Leon. Torniamo a casa – lo richiamò ancora,
porgendogli la mano e aspettando che lui la prendesse.
Nel non ricevere un cenno o una risposta si trovò allora a
strattonarlo per la manica del giacchetto di pelle,
trascinandolo
via dalla conca, dal Nessuno che tentava di proteggere.
E quando Axel tornò in piedi gli parve di vederla,
lì, poco sopra il vecchio arco che lo salutava con
la mano
prima di strattonare Leon con sé, ignara
dello
sguardo che il soldato aveva lanciato alle sue spalle e alla
chioma rosso rubino appena scomparsa in una nuvola nera.
Quella sera Leon non la sgridò, non le rivolse la
parola, le fece solo una semplice domanda.
- Cosa credi sia sbagliato Aerith?
E lei non rispose.
Si limitò ad osservare le fiamme del camino
lambire la
legna, consapevole dello sguardo confuso di Cid e
dell’occhiata
curiosa di Yuffie mentre Leon le stava innanzi con le braccia
incrociate sul petto, ad aspettare.
Ma la gente urlava nella sua testa, sua madre la pregava di fare
attenzione, e il mondo esplodeva sotto i suoi occhi, nelle
sue
ossa, dentro il suo cuore e tra le sue braccia aperte in un
abbraccio di morte e comprensione.
Alzò il viso con decisione, piantando le
iridi chiare in
quelle azzurre di Leon, senza ripensamenti, senza il minimo rimorso.
- Non sta a me deciderlo.
Merlino irruppe nel suo studio in una nuvola di scintille e profumi
esotici, ma quando i suoi occhiali a mezzaluna tornarono a stare ritti
sul suo naso acquilino non potè che chiedersi
perché Leon fosse appena scappato via con un espressione
tanto furiosa e perché la sua pupilla sembrasse
sul punto
di piangere.
°°°
Aerith sapeva che non era compito suo decidere cosa fosse giusto o
sbagliato.
Non era compito suo, non era compito di nessuno.
Lei e Leon lottavano per proteggere la città e le loro vite.
I Nessuno lottavano per avere un cuore.
Entrambi avevano qualcosa per cui combattere, entrambi erano nel
giusto, ma la morte non lo era, per nessuno.
La morte era lo sbaglio, era l’errore, era
ciò che
la fioraia temeva, e non per sé, ma per
coloro che le
stavano attorno.
Lei in fondo era morta, una volta, ed era stato orribile, una
sensazione di
disfacimento, di annientamento totale che l’aveva prosciugata
dalla forza di rialzarsi, di ricomporre i pezzi, di guardare avanti.
La responsabilità delle vite altrui l’aveva sempre
influenzata nelle sue scelte, l’aveva portata al sacrificio
di se
stessa, all’annullamento del suo essere,
perché era suo dovere, era ciò che era.
Eppure, sebbene tante morti e vite avessero influenzato il suo cammino,
Aerith avrebbe continuato ad essere atterrita dalla morte degli altri,
dal dolore che ne sarebbe derivato, dalla visione dei suoi amici che
perivano davanti ai suoi occhi.
Non ancora.
Non un'altra volta .
Aveva fatto una torta quel giorno, una torta salata visto i gusti di
Axel, il regalo che si schiantò al suolo quando
allentò
la presa sul cestino mentre gli occhi si dilatavano per
l'incredulità.
Perché c’era polvere, nella sua conca.
Polvere e sangue.
Lacrime e sudore.
C’era il cozzare di lame, e c’erano
urla, tante
, troppe urla, le urla di sua madre, le urla della sua gente.
Le sue urla
.
Axel si schiantò contro il terreno roccioso quando la
udì, lasciando il fianco scoperto e dando la
possibilità
a Leon di colpirlo con la spada, un taglio lungo tre centimetri che il
Nessuno provò a tamponare con le mani mentre lo sguardo
rimaneva
piantato sulla femmina umana.
Piccola, e spaventata, con le mani portate al viso pallido e le
labbra schiuse in un altro urlo, ancora più forte,
ancora
più acuto, squillante come la voce di mille anime,
come
l’urlo della terra, l’urlo di un mondo che dentro
di lei
esplodeva di dolore.
Leon le lanciò un'unica occhiata, tornando a brandire la
spada
con il respiro ansante, uno squarcio sul braccio destro e parte della
giacca bruciata dalle fiamme zampillate dal corpo del Nessuno.
- Vattene via. Questo non è affar tuo – la
aggredì
con voce roca, incurante di quegli occhi verdi lucidi di
pianto,
ma si sentì comunque ferito da quella
voce spezzata e tremula che
chiamava il suo nome con una richiesta.
Una richiesta che lei si vide negare.
Aerith si trovò a stringere le labbra in un moto di
rabbia, materializzando il suo
bastone nella mano destra per avere qualcosa con il quale difendersi,
con il
quale far sentire la voce che Leon non aveva voluto ascoltare, e quando
il metallo gelido dell’arma prese conoscenza con il calore
delle
sue dita scattò in avanti appena in tempo
per parare
il fendente con il quale l'amico avrebbe
voluto spezzare la vita del
Nessuno.
Lo sfrigolio derivato dal contatto tra le due lame stordì
entrambi, ma la fioraia riprese lucidità ancor
prima del
soldato, facendo forza sulle braccia e scostando con un colpo
secco la mole minacciosa del compagno per frapporsi tra lui e la
creatura d'ombra.
Con un ringhio frustrato Leon la osservò
brandire con più decisione il suo misero bastone, flettendo
le
gambe e ponendosi a difesa del Nessuno dai capelli rossi.
- Cosa credi di fare? Lui è uno di loro
–
soffiò furibondo, scuotendo la spada di lato per
intimorirla, ma
Aerith non tentennò, non diede segno di resa,
continuò a parare i fendenti nonostante le braccia le
tremassero
e le dita le dolessero per il peso del bastone.
- Lui non ti ha fatto nulla – tossì quando il
colpo di
Leon la spedì per terra senza però
ferirla, lui
che non voleva seriamente farle del male, ma solo
allontanarla,
farle capire le sue ragioni.
Con una smorfia contrita la strattonò di lato,
avvicinandosi ad Axel che continuava imperterrito a
guardarlo in
volto senza l’ombra di paura.
- Non ha importanza, prima o poi farà qualcosa, a
me, a te e a Sora.
Una vampata di fuoco cinse le braccia del Nessuno, il volto esangue
illuminato dal sorriso macabro che Leon osservò con disgusto
prima di calare la lama sul capo della creatura
d’ombra
mentre il sole tramontava e tingeva di sangue il profilo di entrambi.
Eppure non fu il sangue di Axel quello che
zampillò dalla ferita al
braccio, ma quello di Aerith, gettatasi addosso al Nessuno per fargli
da scudo con il proprio corpo.
E mentre la spada gli scivolava tra le mani, mentre Leon dentro
moriva, la fioraia lo
guardava da sopra la spalla del Nessuno con rammarico,
aumentando la presa
sul corpo che stringeva prima di perdere conoscenza nel
vortice d'ombra che la inghiottì.
Lei e il Nessuno.
Quando Yuffie cominciò il suo giro di perlustrazione fu
così che trovò Leon, fermo, immobile,
le mani
protese in alto, la spada insanguinata ai piedi e gli occhi puntati su
un cumulo di terra smossa, una piccola conca che aveva ospitato due
corpi fagocitati dalle tenebre.
Perché erano spariti, catapultati in una cittadina
perennemente
al Crepuscolo che Axel osservò con sguardo stanco
prima di chinare il viso e guardare in silenzio la ragazza
esanime tra le sue
braccia.
E si chiese per la prima volta da quando l'aveva
incontrata se davvero si potesse giudicare la sua
vita da essere senza cuore tanto importante come
quella di chi, di avere un cuore per amare chi amore non aveva mai
ricevuto, era sempre stata capace di fare.
Continua…
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Capitolo 4 *** 4 - Comatose ***
Capitoli revisionati (4)
" I hate feeling like this
I'm so tired of trying to
fight this
I'm asleep and all I dream of
is aking to you "
[...]
" Tell me that you will listen
Your touch is what I'm missing
And the more I hide I realiza
I'm slowly losing you "
( Skillet - Comatose )
L’arancio era un colore
caldo, una sfumatura meno cruda del rosso vivo che fin troppe volte
aveva visto sporcare l'erba che soleva calpestare in passato,
una tinta accesa ma morbida che
ad Aerith piaceva vedere mescolarsi tra i capelli di Axel, un
tocco di luce che rendeva la folta chioma ancora
più stramba e piacevole alla vista, un commento bizzarro e
insensato per il quale il
Nessuno non aveva trovato la forza, né
la voglia di chiederle
da dove le venissero certi pensieri.
Perchè era
strana, davvero troppo strana.
Quando era rinvenuta infatti, non solo la ferita pareva
essersi cicatrizzata nel suo dormiveglia, mentre nessuno guardava, ma
il primo
bisogno che la fioraia aveva espresso era stato accompagnato
dal
brontolio dello suo stomaco, zittito poco dopo dai quindici
ghiaccioli al sale marino che Axel le aveva allungato con
titubanza, come se stesse nutrendo qualche animale esotico e
particolare, uno di quei cuccioli mansueti e pacifici capaci di
azzannarti la mano e staccarti un braccio se stuzzicati, e il
suo cucciolo, se così la voleva pensare, aveva l'abitudine
di discorrere su cose strane, delle quali
non avrebbe colto il senso, nè il pensiero di fondo.
Era
inoltre così piccola e minuta da dare
l'impressione di poter essere saziata con qualche pagnotta e
un bicchiere di latte, ma in realtà mangiava in
quantità industriali, una voracità per
la quale si era trovato a bazzicare per le vie commerciali
della città in cerca di provviste annuali che sarebbero
bastate a sfamarla per quache ora.
Conosceva la
città a meno dito, e sapeva esattamente dove poter
repire quanto gli serviva, ma evitava di portarsi dietro la
fioraia, non solo perchè voleva liberarsi di
quello sguardo penetrante che sembrava scavargli dentro, ma
perchè la fioraia avrebbe attirato
l’attenzione con i suoi
grandi occhi verdi e il suo viso dolce, ed Axel doveva
nascondersi, non
essere sulla bocca di tutti.
Ma Aerith
era fuori dalla
sua portata e dal suo controllo, e si era trovata a pedinarlo a sua
insaputa fino a quando, stanco di dover terrorizzare i passanti che le
allungavano sguardi curiosi quando lei si fermava a chiedere se
conoscessero qualcuno di nome Roxas, si era trovato costretto
a tenersela stretta al fianco per paura di vederla incappare
in qualche brutto ceffo.
Perchè tanto nessuno avrebbe saputo risponderle, e non credeva
possibile che un
così blando tentativo potesse aiutarlo nella sua
ricerca, quando tuttavia
Aerith tornò da lui dopo essere sgusciata dalla sua presa
con un sorriso enorme e un pacco di
caramelle tra le mani capì che qualcosa era successo, doveva
solo capire se fosse qualcosa di positivo o negativo.
Il metro di giudizio
della fioraia era infatti sbagliato, tremendamente sbagliato.
Perché la ragazza aveva deciso di aiutare lui,
un Nessuno, andando consapevolmente contro i suoi compagni
per
qualcuno che avrebbe potuto rubarle il cuore da un momento
all’altro.
Era forse
fiduciosa nel suo buon cuore,
nella sua bontà d'animo, e se anche Axel avrebbe voluto
ricordarle che lui, un cuore, non ce lo aveva, quell'imprevedibile e
pericolosa ingenuità lo aveva portato a nutrire uno strano
senso
di protezione nei suoi confronti, un insano quanto complesso senso di
tenerezza quando lei gli sorrideva sincera.
Perchè molti dei suoi simili avrebbero provato a
toglierglielo dal viso, quel sorriso, se la avessero avuta
davanti, e chissà perchè bastava quel
pensiero a mettergli una terribile angoscia addosso.
- Cosa
sono quelle ? –
la interrogò con fare circospetto, scoccando un'
occhiataccia da
sotto il cappuccio al venditore di caramelle in fondo alla strada.
- Caramelle
– spiegò
ovvia, ingurgitandone tre e porgendogliene una dalla carta di
brillantini – sono riuscita a trovarne anche al sale marino.
Te
ne ho prese un pacchetto – e trasse dalla tasca un cartoncino
dal
peso considerevole, un regalo che Axel non ebbe modo di rifiutare
quando la fioraia lo intascò nel suo mantello nero con un
sorriso dolce.
- Inoltre –
continuò
misteriosa, sventolando davanti al volto del Nessuno l’indice
affusolato – ho una sorpresa per te.
Axel odiava le
sorprese,
specialmente se venivano da lei, ma quando Aerith cominciò a
trascinarlo per le strade non ebbe modo di opporsi
alla sua richiesta e al suo volere, sia perché,
nonostante
la statura minuta, la fioraia poteva sfoderare una forza considerevole,
sia perché Axel non voleva mostrarsi ingrato.
Lei in fondo lo aveva
salvato, gli
si era parata davanti per difenderlo, lo aveva protetto, e non avrebbe
potuto farle un torto o metterla nella condizione di chiedersi se
avesse fatto male a fidarsi di lui, non ci riusciva, non voleva.
Perchè, per quanto odiasse ammetterlo, aveva cominciato a
pensare a lei come una piacevole compagnia, come ... un'amica.
Aerith
era veloce e
agile quando voleva, ed incredibilmente forte se questo
voleva
dire trainare con sé un uomo sul metro e novanta senza
perdersi
nel flusso di gente, ma era decisa, e il venditore di caramelle le
aveva dato un indizio.
Man mano che entrambi
avanzavano la folla aumentava, le urla di incitamento si
facevano
più intense, e stare uniti cominciava a risultare
impossibile
D’un tratto
però, poco
prima di infilarsi nel cerchio di spettatori Aerith si
bloccò d'improvviso, rischiando di far inciampare il Nessuno
che
le era finito addosso affondando il naso tra i capelli
profumati
della ragazza.
Axel si ritrasse con
un grugnito
infastidito, impossibilitato a liberarsi dall’odore dolce dei
suoi capelli quando i suoi occhi incrociarono quelli verdi e
puliti della fioraia.
- Cosa
c’è ora ?
– sbottò esasperato, tirandosela contro quando un
passante
rischiò di farla inciampare.
Si trovò anche ad
incenerire con qualche fiammella il capello di piume di una
donna
alla loro destra che guardava la ragazza, la sua amica
con
fastidio.
- Potresti
darmi qualche
particolare in più su questo Roxas ? Il fatto che sia biondo
e
con gli occhi azzurri non mi aiuta molto.
Il Nessuno la
osservò con
sguardo confuso, aggrottando le sopracciglia ma cominciando
comunque a
sciorinare la descrizione del suo compagno, dilungandosi in
particolari sulla bellezza delicata di Roxas, sulla sua
chioma dorata, sui suoi occhi profondi, su …
- Sora!
Aerith
fuggì via ancor prima
che il Nessuno potesse fermarla, scostando la gente che le veniva di
fronte e aumentando l’andatura per raggiungere il ragazzo dai
capelli
biondi fermo in mezzo al ring di sabbia.
Con un salto
riuscì a
scavalcare un omino nero dallo strambo cappello a punta, scivolando
sulla sabbia con un sorriso enorme che zittì il cronista e
ammutolì gli spettatori attoniti di fronte l'entrata a
sorpresa
della giovane.
Seifer
indietreggiò
leggermente quando la ragazza si buttò addosso al suo
avversario, abbracciandolo stretto e ridendo di cuore sotto lo sguardo
scandalizzato del sindaco di Crepuscopoli.
Dal fondo del
ring Axel
si trovò a spintonare con qualche spallata alcune
ragazze, macinando
maledizioni contro quella piccola e dannatamente veloce fioraia una
volta che
riuscì a sbucare di fronte ai due combattenti, ma
tutto ciò
che fece fu dilatare le pupille e trattenere il fiato
nel vederlo.
Nel
riconoscerlo.
- Sono
così felice di averti trovato Sora. Mi sei mancato
– esclamò felice, rafforzando la presa sul suo
busto.
- Credo…
credo che lei abbia
sbagliato persona – bisbigliò il ragazzo
affogato
nel suo abbraccio, il viso in fiamme.
Aerith lo
scostò curiosa,
aggrottando le sopracciglia quando lo vide tanto disorientato, come se
non l'avesse riconosciuta mentre alle sue spalle
qualche
passante urlava di terrore nel vedere il vicino prendere letteralmente fuoco.
- Io mi chiamo Roxas
–
continuò con voce tremula, arrossendo quando la sconosciuta
si
chinò verso di lui per studiarlo da vicino.
Un momentaneo sguardo
di sorpresa,
e la ragazza capì di essersi sbagliata, registrando solo in
seguito il nome del ragazzo che tornò ad abbracciare
stretto,
ridendo di cuore prima di voltarsi a cercare il compagno.
- Guarda Axel!
L’ho trovato!
Olette
lanciò un urlo di sorpresa quando
vide il suo amico perdere i sensi tra le braccia della bella
sconosciuta mentre sotto lo sguardo di un'atterrita
Crepuscopoli veniva
raggiunta da uno strambo ragazzo dai capelli rossi a punta che, una
volta caricato entrambi sulle spalle, svanì in un
nugolo di
fiamme e calcinacci.
°°°
- Lasciatemi andare!
Aerith
scoccò un' occhiata rammaricata a Roxas, legato ad
una sedia per volere stesso del Nessuno
abbandonato lungo la parete apposta del vicolo con sguardo perso e
spento,
incurante delle urla del giovane dai capelli biondi.
Una desolazione
più che
giustificata dal comportamento di quello che non era più il
suo
compagno, il suo Roxas, ma un ragazzino che nel guardarlo con
terrore
aveva esalato una semplice frase che, se aveva sorpreso
Aerith,
aveva ferito lui.
Chi sei?
Era stata una sorpresa
il sentirlo
così deciso, il vederlo così arrabbiato, ed aveva
sbraitato contro entrambi, zittendosi solo alla vista
dell’espressione addolorata del Nessuno che si era trincerato
dietro un muro di silenzio e freddezza per affrontare stoicamente il
proprio dolore.
- Lasciatemi ho detto!
Non vi conosco ! Devo tornare dai miei amici, Olette e gli
altri saranno-
- Loro non sono
tuoi amici. Tu non esisti, questa è solo una
simulazione virtuale di Crepuscopoli.
Roxas si
zittì
sentendo il magone gonfiargli gli occhi di pianto, ferito dalle parole
dello sconosciuto e dai ricordi e dalla voci che lo tormentavano la
notte, avvisaglie di una realtà che il ragazzo non voleva
accettare, non ancora.
Con un sibilo
scocciato Axel si
rimise in piedi, irritato da tutto quello, e quando svanì in
un
nugolo di fumo nero Aerith si
inginocchiò davanti al ragazzo con un sorriso
triste.
- Non dovresti reagire
così
– mormorò docile, cominciando a sciogliere la
corda che lo
teneva legato – Axel era molto preoccupato per te.
Roxas
deglutì con rabbia,
trattenendo le lacrime e lasciando che le mani calde della sconosciuta
gli sfiorassero la testa e il viso in una dolce carezza che lo convinse
a sollevare lo sguardo e fissarla negli occhi
gentili.
- Non posso farci
niente se non lo
ricordo, io non ricordo nulla, io - le braccia della ragazza portarono
via con sé il suo pianto silenzioso, lasciandolo
spossato
e dolorante in viso.
Aerith lo
lasciò andar via
con la promessa di vedersi il giorno seguente prima di
cercare
per le vie bagnate dalla luna la figura dinoccolata di Axel.
E non era
nella luce che doveva cercare, questo lei lo sapeva bene.
Era negli angoli bui, nelle tenebre, nelle ombre, che il
Nessuno
si celava, e lì lo trovò, nascosto
nella pozza
d’ombra poco dietro la ferrovia, uno stralcio di tenebre che
Aerith illuminò con il suo sorriso delicato.
- È andato
via.
Axel non mosse un
muscolo,
continuò a rimanere immobile, ghiacciato dal
dolore, un
braccio corso a cingergli le gambe portate al petto e quello libero
abbandonato contro il freddo marciapiede sul quale poco prima aveva
deciso di crollare seduto.
- Credo che-
- Gli hanno cancellato
la memoria
– soffiò con un filo di voce, stringendo la mano
poggiata
sull’asfalto in un pugno -
Ha dimenticato tutto. Le nostre giornate sull’orologio, i
nostri
pomeriggi a mangiare i ghiaccioli, ha dimenticato tutto. Ha dimenticato
me.
Solo quando Aerith
percepì
la sua voce spezzarsi e andare in frantumi tese la mano per
toccarlo, e quando Axel sentì
le braccia morbide della donna stringerlo con calore sorrise con
riconoscenza tra le lacrime.
Perchè era grato che lei fosse lì, in quel
momento, che non fosse tornato solo, che lei avesse deciso di seguirlo,
di aver visto qualcosa di diverso in lui.
Un Nessuno capace di trovare un buon motivo per cui
piangere il proprio dolore.
-
Andrà tutto bene.
Ricorderà prima o poi, lo aiuteremo a ricordare
–
mormorò dolce, intrecciando le mani sul petto del Nessuno,
immobile nel suo abbraccio caldo e profumato .
Ed anche se quelli
come lui non
potevano avere un cuore, anche se non era nella loro natura, quando la
giovane fioraia cominciò a smozzicare una ninna nanna a
mezze
labbra Axel giurò di aver sentito il suo cuore
gonfiarsi
di commozione e affetto.
Anche se lui non ne
aveva mai avuto uno, anche se tutto ciò che stava provando
era solo un' illusione.
°°°
- Quindi voi siete
amici di Roxas?
Axel grugnì
una maledizione
nell’udire la voce di quell’umano impiccione, ma
venne zittito dalla gomitata che Aerith gli
rifilò
prima di sorridere conciliante.
- Si, siamo suoi
amici. È un piacere per me ed Axel conoscervi. Vi
ringraziamo per averci invitato alla vostra gita.
Olette
ricambiò il sorriso,
scendendo gli scalini del treno con l’aiuto di
Pence prima
di lanciare un' occhiata in tralice a Roxas, silenzioso e
attento
a non incrociare lo sguardo dello strambo individuo dai capelli a punta.
L’uomo dal
lungo mantello
nero rifuggiva a sua volta lo sguardo, preferendo aggrottare le
sopracciglia rubino ogni qual volta la sua compagna di viaggio provava
a farli parlare tra loro, anche se con scarsi risultati.
- Che ne dite di un
gelato ?
– esclamò Aerith con una punta di
esasperazione,
ammutolendo la probabile risposta scocciata del Nessuno con un'
occhiata caustica.
Axel
deglutì rumorosamente,
picchiettando la punta del piede con fare annoiato prima di
serrare la mascella e flettere le gambe, stranendo lei e la combriccola
di umani.
- Cosa
diavol- cominciò Hayner, ammutolendosi
poco dopo con il viso e il corpo cristallizzato in
una posa innaturale che i compagni alle sue spalle imitarono poco dopo.
Aerith si
portò una
mano al viso quando una folata di vento le turbinò attorno,
e fu
solo nello schiudere le palpebre che capì il
perché
dell’espressione guardinga del Nessuno e dell’aria
turbata
di Roxas, incredulo di fronte al grottesco ondeggiare degli Heartless
che li avevano appena circondati.
- Li vedete anche voi
vero ? Non me
li sto immaginando ? – chiese il ragazzo con voce
strozzata,
indietreggiando di un passo quando uno di quegli esseri
provò ad
andargli in contro, ma una vampata di fuoco costrinse
l' Heartless balzare indietro mentre Axel impugnava le armi e
digrignava i denti .
Il cozzare del bastone
di Aerith
con il corpo frusciante della creatura d’ombra
coprì
l’urlo del Nessuno, troppo impegnato a difendere Roxas per
accorgersi della ragazzina bionda apparsa alle loro spalle.
Neanche la fioraia la
notò
presa com'era dall’evitare le artigliate dei nemici, ma
quando
Aerith cadde a terra con uno sbuffo scocciato la vide.
Piccola, pallidissima
e con uno
sguardo assente che la colpì, ma quando vide Roxas correrle
in
contro non potè far a meno di richiamare Axel a gran
voce,
colpendo con il bastone la testa grigio perla del suo avversario.
- Naminè!
La ragazzina
osservò con
sguardo vacuo il Nessuno che l’aveva appena
richiamata, scomparendo alla
loro vista e lasciando Roxas con il respiro ansante per la corsa e gli
occhi pieni di domande.
- Dove pensi di andare
? – lo
riprese Axel quando vide il compagno correre via in tutta
fretta, lasciando Aerith a bloccare con un blizzaga i nemici
prima di accostarsi all'amico ed udire l’urlo
lontano di
Roxas chiamare ancora la nuova venuta.
- Villa –
soffiò
lei con voce rotta dalla fatica, guardando brevemente
l’aria cupa del compagno – ha detto
Villa, ma non
capisco cosa …- Axel la trascinò per un braccio
senza una parola,
abbandonando Olette e gli altri ancora pietrificati con il
fischio del vento e il sibilo dei Nessuno alle loro spalle.
Correva Axel, correva
per le
strade seguendo con lo sguardo la zazzera bionda appena
scomparsa
in un foro nella parete, e quando lo raggiunse fu costretto a trarre al
petto la fioraia quando Saix lo travolse con il suo ghigno
orribile.
Aerith si
trovò dietro le
spalle del compagno senza neanche accorgersene, attirata dalla chioma
blu notte del Nessuno a loro di fronte, tanto differente dalla creatura
d’ombra che la difendeva.
Troppo diverso .
Perché Axel
era gentile,
mentre lo sguardo di quel Nessuno era cattivo, crudele, una
malignità dettata dall’egoismo e dalla rabbia,
sentimenti
che non riuscì a comprendere, giustificare.
Non ci era mai riuscita .
- Vai da Roxas
– le
sussurrò piano in un'orecchio, richiamando un
turbine
di fiamme attorno al proprio corpo – trovalo e
salvalo.Credo vogliano farlo ricongiungere con Sora, e non
posso
permetterlo , non ora che l’ho trovato.
Era spaventato, lo era
la sua voce fioca e graffiata dalla disperazione, emotivo come sarebbe
stato un essere umano.
Come sarebbe stato un uomo qualunque.
Perchè
i loro nemici non erano tanto diversi da loro, lui
non era diverso da lei, da Leon, da Sora.
Erano tutti esseri
viventi, e lei
lo avrebbe aiutato ancora una volta nonostante le sue azioni
risultassero incoerenti con la fazione alla quale lei sarebbe
dovuto appartenere.
Loro che erano i buoni
mentre tutti gli altri erano i cattivi, ma Aerith sapeva che non era
compito suo giudicare.
Lei si era sempre limitata ad aiutare chi aveva bisogno, a
capire chi nessuno voleva capire, a proteggere chi nessuno voleva
proteggere.
E non avrebbe smesso.
Con un
aero riuscì a
librarsi sopra la testa del Nessuno, sgusciando via dalle sue braccia
simili a tenaglie per raggiungere il Nessuno di Sora.
Un suo amico.
Axel lo era, e non avrebbe mai abbandonato un'amico nei guai.
Mai.
°°°
C’era
disperazione nei suoi occhi, tanta disperazione.
Per ciò che era, per quello che rappresentava, per
il ragazzo inglobato in quel fiore
pallido, e Roxas non riuscì a soffocare a lungo il
suo urlo di
frustrazione quando lo ebbe davanti.
Quando venne messo di fronte alla cruda realtà.
Sora, il
protagonista dei suoi ricordi.
L’eroe dei mondi, l’essere dal quale era stato
generato mentre lui, lui era lo scarto che ora quell’uomo
bendato descriveva come feccia, immondizia.
Era un
ologramma, ma Roxas lo
colpì lo stesso, brandì il Keyblade e lo
colpì
una, due, tre volte, finendo carponi a terra con il viso arrossato
dalla rabbia e gli occhi gonfi di lacrime.
- Cosa credi di fare ?
Non è
compito tuo decidere, tu non sei niente se non un
surrogato, una brutta copia dell’eroe dei mondi.
Lo sapeva, Roxas lo
sapeva bene, ma
faceva ugualmente male sentirselo dire, un male del diavolo,
perchè era un
dolore che gli graffiava la gola e gli apriva il petto a
metà, anche se il cuore lui non ce
l’aveva, anche se era
un Nessuno.
- È tempo
che lui si risvegli, tu non saresti dovuto esistere fin
dall’inizio.
Roxas sentiva su di
sé
gli occhi cattivi dell’uomo bendato, non
dell’ologramma,
di quello vero, quello fatto di carne, ossa e sangue, la sagoma che
l'ombra poggiata mollemente contro la parete fissava in
silenzio, gli occhi dorati
incollati allo schermo del computer sul quale DiZ digitava i comandi.
- È
più cocciuto di
quanto pensassi – si lamentò l’uomo,
battendo un
pugno contro la scrivania in metallo prima di osservare con rabbia il
Nessuno di Sora.
L'ombra si
limitò a seguire il
dibattersi frenetico del ragazzo con noia, una reazione
che giudicava eccessiva e priva di dignità.
Roxas avrebbe
infatti dovuto accettare il
suo destino in silenzio, con un po’ di orgoglio, come un vero
uomo avrebbe fatto.
Ma quel ragazzino piangeva come un bambino e
urlava a squarciagola la sua
frustrazione, il suo dolore, pur sapendo che nessuno sarebbe
andato a salvarlo.
Che nessuna voce gli avrebbe risposto.
Si sarebbe spento in silenzio, come era giusto che fosse, come doveva
essere.
Come aveva calcolato.
Eppure una voce ci fu a rispondere a quel suo grido di aiuto, una voce
di donna per la quale si trovò a sgranare gli occhi e
sibilare un nome che dopo tanto tempo passato a brancolare nel buio
riuscì a ridare un nome all'ombra che per un momento smise
d'essere.
Quando fu
abbastanza vicina da prendere la mira Aerith colpì con forza
l’ologramma, abbandonando la presa sull’arma quando
questa
rotolò lungo il pavimento candido, emettendo un tintinnio
fastidioso che interruppe il pianto silenzioso di Roxas e lo convinse
ad alzare su di lei uno sguardo incredulo.
- Non si dovrebbero
dire queste
cose ad un ragazzino – proruppe severa, gli occhi grandi e
verdi accesi di rabbia - Dovrebbe essere
più
gentile – lo aggredì ancora, raggiungendo il
Nessuno di
Sora per aiutarlo ad rialzarsi.
E Roxas si
sentì stranamente al sicuro, tra quelle braccia.
Come se più
nulla avrebbe potuto fargli del male.
Come se le mani corse ad accarezzargli il volto avessero raccolto tutto
il suo dolore.
- E lei chi è ? –
domandò DiZ con voce tetra, voltandosi
per
incrociare lo sguardo dell'ombra che sorprendentemente
ritrovò all'interno dell'illusione di Crepuscopoli.
Aerith si
irrigidì nel percepire il sibilo del vento grattarle la
nuca, segno che qualcun'altro era lì con lei, e quando
vide
l’incappucciato accostare l’ologramma soppresse un
sussulto
di spavento, aumentando la presa su Roxas e armandosi di uno dei suoi
sguardi più minacciosi.
- Non ho paura di te -
spiegò nervosa - Non credere-
- Cosa ci fai tu qui
– le sbraitò contro l'uomo
incappucciato, zittendo la sua replica e
costringendola ad assottigliare le palpebre con attenzione.
Perché quella voce era familiare, lo erano i
ciuffi
grigi che sfuggivano al cappuccio, e la posa altera
delle
spalle che l'aveva fatta sempre sorridere. Era più alto e
cupo
di come ricordava, ma quello era...
- Riku ?
Il ragazzo soppresse
un ringhio di
frustrazione per zittire il singhizzo rumoroso che quella voce e quegli
occhi gli aveva causato in petto, affrettandosi
a scostare il cappuccio
per guardarla meglio in viso.
Perchè gli era mancata, gli era
mancata terribilmente.
Era passato molto
tempo dal loro
ultimo incontro, tanto, troppo tempo, ma si
ritrovò comunque a
sorridere nel pensare che lei non era cambiata, che quegli
occhi
verdi erano rimasti morbidi come ricordava, lei, era
rimasta come
la ricordava.
Come l'aveva sempre amata.
- Ti sei fatto alto
– sussurrò morbida, ignara dello sguardo
stranito di Roxas e di quello sorpreso di Riku.
Perchè era
passato tanto
tempo dall'ultima volta che si erano visti, e l’unica cosa
che Aerith aveva evidenziato era stata la sua
levatura, non il suo aspetto feroce, non le ombre che gli avevano
mangiato il cuore e lo sguardo, ma l’altezza.
Lei si era
interessata solo di quello, come se nulla importasse.
Come se per lei fosse rimasto lo stesso Riku che aveva
raccolto in quel vicolo buio tanti anni prima.
- Lo
conosci ? –
bisbigliò con un filo di voce Roxas tra le sue braccia,
incassando l’occhiata caustica dello sconosciuto con un
groppo in
gola mentre Aerith tornava ad aprirsi in un sorriso.
- Si, lo conosco.
Roxas si fece
guardingo, ma si
limitò a stare in silenzio nell’abbraccio della
donna,
perché era calda, profumava di buono e non ricordava di
essere
stato stretto da qualcuno in quel modo.
Nel vedere il Nessuno
di Sora
crogiolarsi nel calore della stretta Riku impugnò
il
proprio Keyblade con sguardo torvo, puntando la lama sotto la gola del
ragazzo che Aerith strinse maggiormente contro il petto con fare
protettivo.
- Cosa stai facendo ?
– lo
interrogò stranita, ruotando il busto e nascondendo
Roxas sotto quegli occhi divenuti freddi e
calcolatori nel
posarsi su di lui.
- Quello che deve
essere fatto. Lui deve ricongiungersi con Sora, non sarebbe dovuto
esistere comunque.
Era stato secco, era stato crudele,
ed Aerith reagì irrigidendo le braccia attorno al corpo del
ragazzo con sguardo severo.
- O no, no,
no, no –
negò con foga, scuotendo il capo e suscitando sorpresa in
Riku
– lui non si tocca, Roxas è mio amico. Ed ho
promesso ad
Axel che lo avrei protetto.
- Non dirai sul serio
–
sibilò Riku con voce sepolcrale, stringendo le
dita
attorno all’elsa della spada prima di lanciare
un’occhiata
significativa a Sora.
- Lui
è tuo amico , non quel-
- Non è
compito mio
giudicare, né tuo – lo interruppe frettolosamente,
poggiando le mani sulle orecchie di Roxas per non fargli udire quella
cattiveria – tutti hanno bisogno di aiuto, e lui è
importante tanto quanto Sora. In più ho promesso di
proteggerlo, ed è
quello che farò .
- Vuoi davvero che
combatta contro di te?
Il rammarico le
intristì i lineamenti, adombrando la felicità che
aveva illuminato le iridi chiare pochi attimi prima.
- Mi faresti davvero
del male ?
Lo aveva detto con un
filo di
voce, una tonalità fioca e bassa che gli
causò un
fastidioso strappo al cuore, ma Riku non riuscì ad
abbassare il Keyblade.
Perchè Sora
doveva
essere
risvegliato, così da potersi ricongiungere con
Kairi, e lui avrebbe finalmente
estinto il debito che sapeva di aver contratto con lui per il
suo
tradimento.
Sarebbe tornato tutto come prima, ma in quel momento non riusciva a
sentirsi completamente a suo agio
nel pensare alla loro felice riconciliazione.
Forse erano quegli
occhi
verdi a lasciarlo con l’amaro in bocca, o
l’ombra di
quel sorriso un po’ meno aperto, o semplicemente,
la
malinconia di quei lineamenti adombrati dal rammarico.
- Io-
Un muro di fiamme
scarlatte
interruppe il contatto visivo con Aerith, e quando Riku
riuscì a
trovarla dietro il fumo nero dell’incendio non
potè
che storcere la bocca e serrare la presa sul Keyblade quando la
vide stretta ad un Axel che, furioso, ricambiava lo
sguardo con altrettanto astio.
- Non ti
lascerò torcerle
neanche un capello – masticò acido, reggendo
Roxas contro di sé e sistemando Aerith contro il suo
fianco con un movimento fluido del braccio destro.
Lei lo
guardò ancora un istante, come se volesse dirgli qualcosa,
come se volesse provare a spiegargli, ma si limitò a
nascondere sotto le palpebre il dispiacere e
svanire in una nuvola di fumo nero mentre Riku abbandonava il
braccio lungo il fianco, lasciando che le ombre lo
inghiottissero ancora.
Che lo facessero
perdere, ancora.
Quando Sora si
risvegliò dal
suo lungo sonno lui non fu lì ad accoglierlo.
E mentre
Aerith fissava con curiosità una fila di canne di
bambù Riku si abbandonava all'abbraccio gelato
della pioggia che lavò via ciò che non doveva
essere visto sul suo viso prima che un’orda di Heartless
captasse l’odore del suo
cuore, quel cuore sempre gravido di rabbia e rancore.
Rimpianto.
Perchè,
anche se Sora si era svegliato, anche se era riuscito a fare
la cosa giusta, non si sentiva sollevato, non si sentiva appagato, non
provava orgoglio per aver saldato il debito di una vita, per aver
mostrato al mondo che era cambiato, perchè non era al mondo,
che aveva voluto dimostrarlo.
Non era la gratificazione, ciò che voleva provare.
Ma era amore.
L'amore che provava ma che, cordardo, non riusciva ancora a
chiederle.
Quell'amore sordo che lo spinse a
frantumare il silenzio angosciante del Mondo che non esiste con un
grido, frustrato per quel doloroso e
inappagato bisogno di allungare la mano e riempirsi le dita
di un viso che nell'oscurità del suo cuore era stata l'unica
fonte di luce, quella fragile e timida lucciola che sembrava sempre
sfuggire alla presa disperata di chi avrebbe solo voluto tenerla
stretta a sè e chiudere gli occhi per avere finalmente la
possibilità di riposare.
La possibilità di amare.
Continua…
|
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Capitolo 5 *** 5 - Hero ***
Capitoli revisionati (5)
" Heroes are made when you
make a choice
You could be a hero
Heroes do what's right
You could be a hero
You might save a life
[...]
" You could be a hero
You could join the fight
For what's right "
( Hero - Superchick )
Il frinio
delle cicale era
fastidioso, o almeno, Axel non poteva che ritenerlo
tale ora che cominciava a comprendere e non
apprezzare particolarmente la piega che aveva preso quella che oramai,
viste le circostanze, aveva smesso di
considerare una
ricerca infruttuosa.
Perchè alla fine quel qualcuno lo aveva trovato, li
aveva trovati lo corresse la voce petulante della sua
coscienza quando udì Aerith
definire quel
dannato cicaleccio
estremamente rilassante.
Sì, li aveva
trovati.
Al plurale.
Roxas tese una smorfia nel guardarsi attorno e
vedere solo
una noiosa e illimitata distesa d'erba davanti a sè, e
avrebbe preferito
trovarsi di gran lunga nella simulazione virtuale di Crepuscopoli
piuttosto che
in quella landa desolata, ma almeno c'era qualcuno con lui
pensò
con un velo di sollievo.
Anche se i suoi compagni di viaggio erano un uomo che farneticava di
ricordi dimenticati e una donna che era appena diventata il suo eroe
dalla scintillante armatura.
Axel si scrollò di dosso i fili di paglia con un grugnito di
fastido mentre la consapevoleza di essere finiti in un mondo
estremamente noioso cominciava a prendere piede nella sua testa, una
constatazione rinforzata dall'incredibile presenza di
tanto,
troppo verde e dell’aratro che avevano
scovato andando più avanti, lungo la via
ciottolosa che si inoltrava nella foresta.
Gli alberi erano alti
e rigogliosi,
e il profumo degli iris disseminati lungo il cammino era delicato, un
odore che Axel aveva catalogato come ‘puzza
quando Aerith gli aveva sbattuto in faccia un mazzo di quei
dannati e maleodoranti fiori.
- Un po’ di
allegria – soffiò lamentosa nel venire
scostata gentilmente di lato per poi chinarsi a raccogliere
da terra un fiore di ciliegio trasportato dal vento, incurante
dell’occhiata al vetriolo del Nessuno che la
fucilò con lo sguardo per invitarla a non accostare quella cosa ai suoi
capelli e dello sbuffo scocciato di
Roxas.
- Allegria ? E di cosa
dovremmo
essere allegri ? – smozzicò torvo Axel, calciando
un sasso e
afferrando la fioraia prima che questa potesse inciampare nella fossa
alla sua destra che ovviamente,
presa com'era a raccogliere quei fiori puzzolenti non aveva visto.
Aerith lo
ringraziò con un
sorriso, lanciando uno sguardo di gratitudine anche a Roxas che si
era istintivamente piegato sui talloni per attutire
l’eventuale caduta, un
atto spontaneo che trovò estremamente tenero .
Perché il
Nessuno di Sora lo era.
Tenero, ma confuso e triste, sentimenti che avrebbe trovato
il
modo di migliorare, perchè erano in un mondo nuovo, un mondo
da
esplorare e visitare, un pianeta che sentiva vibrare di vita, di pace.
- Del fatto che siamo
insieme. E
dal momento che Roxas non sembra recuperare la memoria, potremmo creare
nuovi ricordi – esordì ovvia, annusando il
ciclamino che
aveva scovato dietro una siepe di rovi.
- Vuoi davvero che
io... -
ma Axel si morse la lingua a sangue quando colse il barlume
di speranza
appena comparso nello sguardo di Roxas, come se fosse stato
rincuorato dalla possibilità di avere dei ricordi
solo suoi, di avere un fine più alto dell'essere la copia
sbiadita di un eroe.
E non era una cattiva
idea
ponderò con un po’ di titubanza, non se
la sua
concessione poteva regalargli un sorriso.
Poteva essere davvero un modo per strappargli quell’aria
sofferente dal
volto e accontentare allo stesso tempo la smania di
Aerith di rendere felice il mondo intero.
- Non mi sembra una
cattiva idea
– mormorò con un filo di voce, osservando
l’ombra di
un sorriso affiorare sul viso bianco di Roxas con le farfalle
nello
stomaco.
Con un sorriso
affetuoso la
fioraia accolse l’assenso di entrambi, soffocando una risata
all’espressione imbarazzata di Axel, ma quando il fischio del
vento le ferì un orecchio Aerith si
trovò a
terra con Roxas ed Axel sopra di lei e lo sguardo verde
puntato verso il
cielo terso.
- Stai bene ?
– le chiese il
ragazzo con sguardo allucinato, tastandole la fronte e le
braccia
in cerca di ferite, gesti convulsi compiuti con mani
tremanti, il
risultato della paura di vedere una freccia mancarla per un soffio.
La freccia che Aerith trovò piantata nel tronco di
un albero poco lontano quando riabbassò lo sguardo.
- Oh .
- Non darmi un
‘oh –
esplose Axel nel rimettere in piedi entrambi, frizionando le ciocche
scure con le dita lunghe e gelate, tutto sotto lo sguardo
mite della giovane – stavi per essere uccisa, e
tutto
ciò che sai dire è un ‘oh?
Era arrabbiato, lo era
la voce
roca per la paura e gli occhi furenti, ma Aerith non potè
che
bloccargli le mani con dolcezza e allontanarlo da sé con un
sorriso.
-
È tutto a posto, sto
bene – soffiò conciliante, accarezzando con una
mano la
spalla di Roxas – non c’è nulla da
…
Il fischio di una
tromba la
zittì e portò Axel a nasconderla contro
il proprio
petto mentre il Nessuno al suo fianco brandiva il Keyblade con sguardo
duro.
Quattro
sagome comparvero al
limitare del bosco, prendendo le sembianze di un uomo smilzo
dall’espressione poco intelligente, un omone pelato dal
sorriso
bonario, un ometto basso e tarchiato dalla barba ispida e un
ragazzino sottile e dal viso delicato, il soldato che Aerith
guardò con curiosità, inclinando il capo e
assottigliando
le palpebre per metterli a fuoco.
Yao fu il primo a
rinfoderare la
spada, adocchiando con aria maliziosa l’avvenente
creatura
che quello strano uomo dai capelli rossi stringeva al petto.
- Non sono degli Unni
– li avvisò stupito,
indietreggiando di un passo quando una
palla di fuoco lo mancò per qualche misero millimetro.
- Unni ? Che diavolo
state dicendo
? – eruttò Axel con voce sepolcrale,
incenerendo con
lo sguardo il bassotto barbuto e lo smilzo dal sorriso da imbecille.
- Potremmo portarli
dal capitano Li
Shang – consigliò Ling con la sua voce squillante,
infastidendo i due Nessuno ma facendo ridacchiare Aerith.
Yao annuì
convinto, estraendo nuovamente la spada ed ordinando a Chien
– Po di andarli a prendere.
Il soldato
annuì con aria serena, raggiungendo il Nessuno e chiedendo cortesemente di
farsi catturare da loro .
- Andiamo con loro
–
esclamò eccitata la fioraia, sgusciando via dalla presa di
Axel
e accostandosi mansueta al lato del soldato pelato.
Roxas
sospirò con
sconforto, imitando la ragazza con sguardo dubbioso mentre il
Nessuno alle loro spalle si schiaffava il viso con la bocca arricciata
in una smorfia incredula.
- Sarà
meglio andare – esordì Mulan, attirando
su di sé gli occhi
verdi della graziosa donna dai capelli scuri, uno sguardo intelligente
e
comprensivo che le annodò la gola per la paura di
essere stata appena
scoperta.
°°°
- Ricapitolando, voi
affermate di essere un guerriero, un venditore di gelati e una fioraia?
L’espressione
scettica di Li
Shang causò una repulsione istintiva in Axel, ma Aerith lo
ammansì pestandogli il piede e annuendo brevemente
all’uomo dall’aria severa.
- È proprio
come le ho detto
capitano – esordì con voce sicura,
sentendo lo
sguardo oltraggiato del Nessuno che si era sentito etichettare
dall’amica come
un venditore di gelati pungerle la schiena.
Il capitano strinse le
labbra
scrutando quel curioso terzetto, soffermandosi poi sul ragazzo
mingherlino che la giovane donna aveva definito un guerriero.
- Credo stia dicendo
la
verità – si intromise con sguardo basso Mulan,
zittita
dall’occhiata imperiosa dell'uomo che si ritrovò
con
l’indice della fioraia pressato sul naso.
Axel espirò
bruscamente,
chiudendo gli occhi e cominciando a contare fino a cento per calmarsi
mentre Roxas sgranava gli occhi per la sventatezza della
compagna
di viaggio.
- Non dovrebbe
rivolgersi
così ad una … - l’espressione
terrorizzata del
soldato cinese la portò a scegliere frettolosamente un'altra
parola – una creatura di sesso maschile – concluse
soddisfatta, indietreggiando e aspettando che il capitano ribattesse.
Li Shang si
limitò però ad aggrottare profondamente
le sopracciglia e uscire dalla
tenda in tutta fretta, masticando parole che Aerith non
capì ma alle quali non diede alcun peso.
Solo allora, quando finalmente rimasero soli Mulan fissò la
donna con sospetto, avanzando di un passo e fronteggiandola a testa
alta.
- Hai capito.
Aveva provato ad usare
una voce
grossa, da uomo, ma la fioraia aveva notato la vibrazione tremula in
quelle parole, la paura che la faceva sentire braccata in un
accampamento di soldati.
- Non mi è
così
difficile riconoscere una donna quando la vedo–
rispose delicata, accostandola con un
sorriso complice -
Ma non
preoccuparti, non lo dirò a nessuno – la
tranquillizzò poi, ammiccando anche ai suoi compagni di
viaggio
con espressione sicura.
- Ci mancherebbe
–
ruggì una voce profonda, ma Axel non aveva aperto bocca, e
Roxas
non si sarebbe rivolto mai con quel tono ad Aerith, per questo, quando
un piccolo dragone scarlatto sgattaiolò fuori dalla casacca
di
Mulan la fioraia non potè che inarcare le sopracciglia per
la
sorpresa.
- Se provate anche
solo a dire una
parola io … - l’occhiata minacciosa del Nessuno
zittì Mushu, acciambellatosi attorno al collo della protetta
con
uno squittio che fece ridere delicatamente Aerith.
- Ma che
carino –
esclamò deliziata, punzecchiandolo con il dito mentre il
soldato
la osservava con riconoscenza.
- Perché ti
sei travestita
da uomo allora ? – chiese dal fondo della tenda
Roxas, scrutando l’espressione mortificata della
donna
dagli occhi a mandorla, incoraggiata dal sorriso morbido della donna
gentile che la affiancava a raccontare la sua storia .
Solo quando ebbe
terminato Axel
tornò a sfoggiare la sua indelicatezza, trovandosi con Mushu
e
un grilletto a strattonargli i capelli sotto gli sguardi divertiti
delle due donne e quello esasperato del compagno.
- Ti aiuteremo noi a
superare l’addestramento, vero ragazzi ?
Axel sapeva che la
smania della
fioraia di aiutare tutti lo avrebbe portato prima o poi alla
morte cerebrale e non solo fisica, ma Aerith sorrideva, e il Nessuno
non sarebbe riuscito a contraddirla, non fino a quando avesse ricevuto
quel
sorriso.
Non fino a quando fosse stata lei a rivolgerglielo.
°°°
- Quell’uomo
è davvero
un esibizionista – si lamentò Axel con la voce
soffocata
dal drappo nero con il quale Aerith gli aveva nascosto il viso e la
capigliatura fin troppo evidente, appariscente e fin troppo visibile
anche tra le alte spighe nelle quali si erano
nascosti per
sorvegliare Mulan durante l’allenamento.
Il Capitano Li Shang
stava infatti
mostrando con una certa boria come maneggiare un
bastone di
legno, esibendosi in giochi di abilità con due
vasi di
terra cotta, movimenti fluidi e veloci che Aerith commentava con un
“anche io sono capace di farlo”.
Non che lo mettessero
in dubbio, ma
Mulan non se la stava cavando molto bene presa di mira
com'era dalle angherie dei soldati, particolarmente
maligni e vendicativi con la povera donna.
- Non è
giusto
– si infervorò Roxas, brandendo il Keyblade tra le
mani e
avanzando nel campo dorato, ma al gemito terrorizzato di Yao
il
Nessuno seguì con lo sguardo la piccola fiammella che
bruciacchiava il posteriore del soldato.
Axel soffiò
la punta
dell’indice con un sorrisetto
gongolante mentre il
panico si disperdeva per l’accampamento e Mulan
guardava
verso di loro, sorridendo debolmente e accennando un saluto con la mano
libera dall’arma.
Un saluto che Aerith
ricambiò agitando freneticamente le braccia prima di venire
issata sulla spalla di Axel per raggiungere il fiume nel quale
avrebbero eseguito la seconda prova.
E dopo la prima sfida, aiutare Mulan non fu
facile, per nessuno di loro.
Per quanto Axel avesse preso gusto nell’incendiare
le vesti
dei soldati, si era rivelato inutile il più delle
volte vista la sua unica abilità di creare panico
e
null’altro, un diversivo particolarmente efficace se si
voleva
fare qualche trucchetto per mascherare l’esito della prova,
ma
non era sempre necessario.
Dal canto suo Roxas
aveva fatto del suo meglio.
Si era offerto di immergersi nel fiume per riempire un'
intera cesta di
pesci che Mulan aveva mostrato con un sorriso conciliante a quello
scorbutico di Li Shang che, con sua profonda indignazione, non era
rimasto per nulla impressionato da quello che a sua
detta
doveva essere il risultato minimo
di un suo sottoposto, e benché
la prova fosse stata sufficientemente superata, Roxas si era ritrovato
fradicio con un pulcino, con lo sguardo altezzoso del Capitano a
grattargli la schiena fradicia e a rodergli il fegato per la stizza.
Anche Aerith si era
destreggiata
durante l’allenamento, riuscendo a bilanciare la traiettoria
della freccia di Mulan con la forza del vento, un trucco di magia che
le era costata un' occhiata torva di Axel e una sorpresa di Roxas.
Eppure, nel sentirsi
chiedere cosa fosse in realtà lei aveva risposto
con la stessa identica affermazione.
“Sono una
fioraia”.
Nonostante tutto
si erano
divertetiti davvero, e avevano creato nuovi ricordi, proprio come
Aerith aveva
suggerito di fare, memorie che Roxas si sarebbe
premurato di serbare nel cuore e di riportare alla mente nei
momenti più bui, quando il bisogno di rammentare a se stesso
di
avere qualcosa di suo
sarebbe divenuto pressante.
E di ricordi ne crearono molti, così tanti da poter quasi
colmare il vuoto che Roxas aveva in fondo al cuore.
Axel si
potè ritenere molto soddisfatto
del
bombardamento dei manichini di paglia che Aerith e Roxas gli
avevano indicato tra le risate, e perdere la voce
per urlare di frustrazione quando il Capitano non
degnava Mulan di uno sguardo nonostante la buona
volontà non era mai sembrato a Roxas così
divertente,
ma alla fine di tutto la giovane guerriera si
era dimostrata molto più forte di quanto
si fossero aspettati, e ben presto fu pronta per andare in battaglia.
L’idea di
combattere non era
molto allettante per Aerith, ma aveva promesso di aiutare
l’amica
dagli occhi a mandorla, e avrebbe vegliato su di lei, una
protezione che si decise a concederle dall'ombra dopo
l'arrivo
di Sora, Paperino e Pippo, altrettanto desiderosi di rendersi
utili.
La reazione di Roxas
era stata di
puro panico, terrorizzato all’idea di doversi riunire con
lui, ma
Aerith lo aveva ammansito con calore, promettendogli di andare via
subito dopo la buona riuscita della missione, così da non
attirare l'attenzione del prescelto.
E il giorno prima della battaglia Aerith si era
sentita in vena di una passeggiata in solitaria.
Quando uscì
la luna era alta e libera
dall'abbraccio soffocante di nuvole nere che da bambina fissava con
terrore per paura di vederle cadere giù, e le
tenebre
erano così fitte da rendere difficile non perdersi per
strada,
ma lei era abituata a viaggiare nell'oscurità.
Non lo aveva mai temuto, in compenso, aveva avuto paura di trovarsi in
alto, tanto vicina al cielo da poterlo
toccare con una mano, un terrore che con l'avanzare dell'età
e
la scoperta sulle sue origini aveva risposto alle sue domande, a quelle
voci che la chiamavano ma alle quali, in presenza di Elmyra, evitava di
rispondere.
Era stato difficile mostrarsi sorda a quei richiami, ma aveva tentato
di essere il più normale possibile per il tempo che le
rimaneva, per quanto aveva potuto, una normalità dalla
quale era stata spogliata per essere investita dal peso dei suoi
antenati, del suo compito e onere.
Raggiunse il lago in silenzio, e non si sorprese di trovare
Mulan raggomitolata su se stessa.
Perchè il bisogno di cercare il silenzio dentro se stessi lo
aveva provato anche lei, lo capiva, e non perché
fosse una
maga, ma perché anche lei era stata una donna che
un tempo
era stata
braccata e costretta a mantenere l’anonimato,
perciò, quando la raggiunse il soldato
la
guardò con un sorriso
incerto prima di tornare ad osservare il proprio riflesso
tremolante.
Era triste, dubbiosa
sul suo
futuro, su ciò che era, su ciò che doveva essere,
così simile a lei, a come si era sentita in passato.
Prigioniera di un destino che non aveva scelto.
Vittima di una condizione che la rendeva incapace di scegliere per
sè, di decidere cosa diventare.
Il destino di anime grandi dicevano alcuni, ma lei non aveva mai voluto
essere un'anima grande.
Lei per tutta la sua vita non aveva desiderato altro che
essere normale.
- Cosa vedi ?
Mulan
sobbalzò per la
sorpresa di averla udita parlare prima di seguire
con la coda dell’occhio la
silohuette della donna appena sedutasi su uno spuntone,
tornando ad osservare
poco dopo se stessa nello specchio d'acqua.
Cosa vedeva?
Una donna che aveva
mentito al
proprio padre, all’uomo del quale si era innamorata, una
sposa
indegna, una ragazza che non sapeva qual’era il suo
posto
nel mondo.
Ecco cosa vedeva.
- Nulla
– sussurrò con voce fioca, lasciandosi cadere
accanto alla fioraia con un sospiro di sconforto.
Aerith
osservò lei, il suo
riflesso, allungandosi e sciogliendo il pezzo di stoffa che
teneva i capelli del soldato legati severamente, e
quando
le ciocche corvine le caddero ai lati del viso con dolcezza
Mulan
sentì gli occhi pungere.
- Io vedo una donna
coraggiosa che non ha paura dei giudizi della gente. Io vedo
un eroe.
Mulan si
lasciò sfuggire un
singhiozzo a quelle parole, asciugando con la manica della tunica le
guance umide prima di guardarla con un sorriso tremulo in viso.
- Lo credi davvero ?
- Riconosco un eroe
quando lo vedo,
ne ho incontrati molti nella mia vita, e tu Mulan sei una di
loro–
e le prese il viso tra i palmi per invitarla a leggere la
verità
in fondo al suo sguardo, a specchiarsi e vedere ciò che era
davvero –e sei tu a decidere
cosa diventare, cosa essere, non i tuoi genitori, non i tuoi amici,
solo tu. E se credi di essere un eroe, allora lo sei. Il tuo
riflesso ti mostrerà sempre quelo che sei davvero.
La superficie del lago
era limpida,
immobile e sfocata per le lacrime che lasciò scivolare nella
pozza quando si voltò a fissare il
riflesso
che
le sorrise dolcemente in risposta, brandendo una lancia
illuminata
dal suo sorriso, dalla forza del suo orgoglio.
- Grazie.
Aerith le
sorrise con dolcezza prima di
decidersi a tornare nella grotta dove Axel sarebbe esploso in urla nel
non trovarla dove l'aveva lasciata, e per un attimo, solo per
un istante si soffermò a guardare il
suo, di riflesso, ma scostò subito lo sguardo con un sospiro
pesante, ignara degli occhi sgranati con i quali il soldato
osservava la
superficie del lago.
Un alone magico, un
fascio di luce
delicato che tendeva le sue mani d'aria verso la donna sulla quale
Mulan sollevò uno sguardo incredulo,
ritrovando solo una figura minuta accarezzata dal vento che
percorreva la via illuminata
da pulviscoli di luce, residui di un passato che non avrebbe
mai
smesso di ricordarle che anche lei, molto tempo prima, aveva voluto
essere qualcosa di diverso.
Qualcosa di normale.
°°°
Faceva freddo
lì in
montagna, un gelo secco che faceva battere i denti e arrossare le mani
e le guance, ma Axel non sembrava risentirne, né tantomeno i
compagni che teneva al caldo con il calore del proprio corpo.
Roxas era imbarazzato
dalla
posizione, ma Aerith non sembrava farci molto caso, issata
sulle
spalle del Nessuno mentre il ragazzo si trovava stretto tra le braccia
muscolose della creatura d’ombra.
- Sei meglio di un
camino –
cinguettò serena, strofinando il viso gelato contro i
capelli
rosso fiamma dell’amico, annoiato come d’abitudine,
ma con
un lieve sorriso ad arricciargli le labbra.
- Dovrei prenderlo
come un complimento ?
Aerith gli
lanciò un' occhiata saccente, tornando ad annidarsi sulle
spalle con un pigolio di soddisfazione.
- I miei sono sempre
complimenti
– ci tenne a sottolineare, rizzando le orecchie quando
udì
la tromba degli Unni dare inizio alla battaglia.
Erano nascosti sulla
cima
più alta della montagna, accovacciati su un spuntone di neve
che
fendeva la conca dove le due fazioni si correvano in contro, e lo
videro, Sora, correre con il Keyblade verso i nemici assieme a
Mulan, intrepidi e coraggiosi più delle truppe che
avanzavano
con titubanza alle loro spalle.
- È forte
– si
ritrovò a sussurrare Roxas nel vederlo difendere
l’amica
con maestria, fronteggiando gli Heartless con sguardo sicuro e mano
ferma come lui non era riuscito a fare, come forse non
sarebbe mai riuscito a fare pensò amareggiato.
Nel vederlo tanto
triste Aerith gli scompigliò affettuosamente i capelli,
pizzicandogli le guance con un sorriso dolce.
- Siamo tutti diversi.
Lui ha i suoi punti forti, tu i tuoi.
Ma
l’espressione scettica di
Roxas mostrò quanto il suo tentativo di consolarlo fosse
andato
a vuoto, ed Aerith si ritrovò a scalciare con stizza,
strozzando
Axel con la forza delle sue braccia.
- Digli qualcosa
tu –
esclamò infine esasperata,
allentando la presa
e tornando a guardare con naturalezza la battaglia in corso.
- Ha ragione lei.
Aerith
roteò gli occhi con una smorfia contrariata, picchiandogli
il capo con un pugno.
- Tutto qua? Non puoi
fare di meglio ? Non sei convinto neanche un po’ di quello
che dici!
Axel
digrignò i denti
scrollando le spalle per infastidirla ma riuscendo solo a farle
rafforzare nuovamente la presa attorno alla sua povera giugulare.
- Mi stai …
soffocando …
- E tu cerca di essere
più convinto,
- Non …
- Perché
Mulan ci sta puntando contro un razzo ?
Con un gemito
sconsolato Axel vide
la giovane dagli occhi a mandorla puntare davvero
l’arma contro lo
spuntone di neve sul quale si trovavano, e fu con
crescente apprensione che il Nessuno seguì
il
consumarsi della miccia prima di udire il fischio che precedeva lo
scoppio.
Roxas si
lasciò sfuggire un
gemito strozzato quando il razzo sfrecciò nella loro
direzione,
e mentre Axel si chiedeva perché mai
Aerith gli avesse
appena ordinato di incidere nel ghiaccio una lastra
spessa
tre metri e lunga
uno capì che non c’era tempo di capire la fioraia,
non ce
ne sarebbe stato mai abbastanza.
Sora
sobbalzò nel sentire il
frastuno del colpo, e seguì con occhi increduli la
caduta
di un quantitativo di neve che li avrebbe sommersi tutti, lui
ed i suoi
nemici compresi, senza lasciare a nessuno di loro via di scampo.
Paperino
cominciò a
starnazzare frasi incomprensibili, colpendo con il bastone
magico
la testa del povero Pippo mentre i soldati urlavano
la ritirata e Mulan osservava con decisione la valanga che aveva appena
sommerso Shan-Yu.
C’era gente
che urlava, voci
maschili che gridavano il nome dei propri comandanti o, più
semplicemente, chiedevano pietà per la propria vita,
perciò nessuno si sarebbe aspettato di sentire qualcuno
ridere,
non in quel momento, non quando una valanga rischiava di sotterrarli
vivi.
Sora fu il primo a
vederla, una
macchia scura che scendeva velocemente sulle onde di neve con le iridi
chiare sgranate per l’eccitazione, le mani artigliate sulla
placca di ghiaccio e la bocca schiusa in una risata profonda.
- Ma quella non
è Aerith ? -
chiese Pippo con aria confusa, riconoscendo la massa di
capelli scuri che Axel masticava tra i denti mentre Roxas, seduto in
mezzo ai due, si stringeva alla donna con gli occhi chiusi e
il
viso affondato nella schiena della giovane.
Stavano surfando sulla
cresta della
montagna con una placca di ghiaccio come slitta e una fioraia come
capitano di bordo, una constatazione che strappò un gemito
strozzato ad Axel e un urlo angosciato a Roxas.
Eppure Aerith non
riusciva a
smettere di ridere, virava ogni qual volta uno spuntone rischiava di
farli rovesciare, puntando decisa verso la conca senza
sentirsi
impaurita.
Era solo inspiegabilmente euforica, perchè si sentiva viva.
Si sentiva libera.
Sora si vide
strattonare
d'improvviso, e quando Mulan lo trascinò di forza dietro uno
spuntone che fendeva la pianura Yao, Ling e Chien-Po
con il
Capitano stretto tra le braccia di quest’ultimo volarono
già dal dirupo assieme alla neve.
Paperino
gettò un verso
isterico nel piantare i piedi palmati nella neve, reggendo per le
bratelle Pippo che a sua volta si caricava del peso di Mulan,
Sora, i tre soldati e Li Shang, una catena umana che
oscillava
nel vuoto e che un papero reggeva a fatica.
- Stanno per cadere, dobbiamo aiutarli!
- Cosa ? Ma sei
impazzita ? - le urlò contro Axel sopra il brontolio della
neve.
Aerith rise
di cuore,
pizzicando la gamba del Nessuno sempre così scorbutico e
virando
verso destra per far rientrare nella traiettoria Sora e i loro amici.
- Prendi Paperino per
le zampe, e tu Roxas , non lasciarmi per nessun motivo.
- Non ne ho alcuna
intenzione !
– strillò il ragazzo con voce acuta, stritolando
la vita
della donna e sentendo Axel allungarsi alle sue spalle.
- Te la
farò pagare
– la minacciò arcigno il Nessuno prima di
gettarsi di lato e
afferrare Paperino prima che questo potesse scivolare nel vuoto
assieme agli altri, e quando Ling urlò con la sua voce
agghiacciante nel vedersi cadere nel vuoto il sibilo della
placca
di ghiaccio che scivolava via coprì il gemito di
angoscia
di Mulan.
Eppure, quando ognuno
di loro
schiuse gli occhi poco prima serrati si trovò
sì il nulla sotto di sè, ma
si trovò anche vivo e
sospeso in
aria, sorretto dalla donna dagli occhi verdi che, senza un
motivo plausibile, sembrava aver ripescato dal suo strambo repertorio
l'improbabile capacità di volare.
Aerith prese un lungo
respiro prima
di fare forza sulle braccia e dondolare tutti verso il limitare del
dirupo, cosicchè potessero toccare terra, zittendo con un'
occhiata la maledizione a fior di labbra di Axel che aveva ripreso a
rimbrottarla alacremente.
Ling
affondò i denti nella
neve per far da leva alla povera fioraia, e quando tutti riuscirono ad
issarsi sul terreno ghiacciato Axel potè puntare gli occhi
in
aria e osservare con incredulità la figura fluttuante della
compagna di viaggio.
- Scendi subito da
lì!
Come se fosse facile
pensò divertita, ma era stanca, tanto stanca.
Aveva usato un vecchio incantesimo che Merlino le aveva insegnato tempo
addietro, ma erano secoli che non si esercitava, e i tempi di pace
avevano raffredato i suoi rapporti con la magia, perciò
richiedere un incantesimo di quelle proporzioni l'aveva sfinita.
Non riusciva a trovare neanche la forza di ammansire
l’amico con un sorriso perché anche le ossa del
viso le
dolevano per lo sforzo, ma quando nel discendere a
terra
rischiò di sbilanciarsi all’indietro
qualcuno la
afferrò appena in tempo con una presa salda.
- Ti sei deciso ad
intervenire alla
fine – sbottò Axel con asprezza, fulminando con
occhi
irritati l’alta figura del ragazzo che gli riservò
un'occhiata di ghiaccio – volevi rimanere nascosto per tutto
il
tempo ?
Riku
schioccò la lingua
senza alcuna voglia di rispondergli prima di aiutare la
donna a reggersi a lui benché Aerith riuscisse a
malapena
a tenere gli occhi aperti.
- Ti senti bene ?
Sora le si
avvicinò
cautamente nel vederla ondeggiare pericolosamente
su se stessa, ma la vide
tornare in sè nel riconoscere la sua voce, riservandogli uno
sguardo che valeva un abbraccio.
- Certo,
io … -
- Sei una dannata incosciente, ecco cosa sei - la
rimbrottò Axel,
sfilandola da un irritato Riku mentre Roxas accorreva al
fianco
del Nessuno con sguardo preoccupato.
Si sporse
per tastarle
il polso, e l'ondata di panico che lo aveva assalito si
quietò nel sentirle il battito.
Quando Paperino, nello
scrutare con
apprensione la vecchia amica riconobbe il Nessuno di Sora
cominciò ad inveire, consigliando al custode di colpirlo con
il Keyblade
per riappropriarsi dei suoi ricordi, ma il giovane eroe non avrebbe
potuto avanzare o indietreggiare, neanche se avesse
voluto, non quando un vortice di migliaia
di minuscoli pulviscoli di luce
circondò Roxas con fare protettivo, quasi a fargli
da scudo.
- Cosa-
- Credo sia Aerith,
non ho ancora
capito come ci riesca, ma sembra riuscire a trovare ogni espediente
possibile per
impedire che qualcuno gli faccia del male
–
spiegò asciutto Riku, sfiorando
delicatamente una di
quelle
graziose lucciole con una mano, e quando le vide
esplodere
con un grazioso 'pop accanto al suo viso, una bolla di calore
gli
soffiò sulle guance il calore di un bacio per il quale si
trovò a socchiudere dolcemente le palpebre.
Aerith sollevò il viso con un sorriso
morbido, attirando
l’attenzione di Axel che le riservò un' occhiata
torva con le sopracciglia color rubino profondamente
aggrottate.
- Ciao Sora.
Il custode
addolcì il
sorriso di circostanza quando riconobbe la voce delicata
dell'amica,
una tonalità calda che aveva sempre avuto il potere di farlo
sentire meno spaesato, meno confuso e impotente, da bambino, quando
tutti lo chiamavano il prescelto e pretendevano da lui di essere
salvati.
Ma c'era stata lei, che di domande non gliene aveva mai poste, come se
avesse intuito il bisogno di ascoltare più dell'essere
ascoltato, e lei lo aveva fatto.
Gli aveva dato delle risposte, e quando il peso diveniva
troppo
gravoso lo invitava sempre a sedere accanto a lei davanti al
camino
nello studio di Merlino per avere un pò di calma,
per
pensare a
cosa volesse fare lui, della sua vita, non a quello che
avrebbero
voluto gli altri che
lui facesse.
Ed
era cresciuto con
la consapevolezza di voler
essere il prescelto, perchè
diventarlo avrebbe voluto dire proteggere le persone che amava, e
lui voleva sapere tutti al sicuro.
E nel suo viaggio
aveva imparato cos’era la
giustizia, il perdono, e a non cercare
nemici, ma amici
anche in chi non ci sarebbe aspettato di poter trovare un aiuto, una
persona della quale fidarsi, e Aerith sapeva che
non
avrebbe fatto del male a Roxas, lo leggeva nel suo sguardo buono.
- Hai
fatto delle conoscenze
davvero insolite – scherzò divertito, portando il
Keyblade
sulle spalle larghe mentre Axel rispondeva all’occhiata vispa
dell’eroe dei mondi con un sibilo scocciato.
- E tu devi
essere il mio Nessuno, molto piacere.
Nel vedersi tendere la
mano con
tanta innocenza Roxas non seppe cosa dire, cosa fare, come interpretare
il sorriso amichevole di Sora e quegli occhi azzurri puliti
come
quelli di Aerith.
Gli occhi di chi non avrebbe
mai fatto del male.
Fu
proprio
quell’ultima constatazione a convincerlo a ricambiare la
stretta prima di ritrarre la mano, non del tutto abituato a
quello scambio di effusioni, benché amichevoli .
Il custode si decise
allora a
voltarsi verso l’uomo incappucciato alla sua
sinistra, la
sagoma affusolata che la donna vide fremere sotto i suoi occhi attenti.
E si aprì
un sorriso sul
volto disteso di Sora, un sorriso vero, uno di quelli che ti
riscaldano dentro e raschiano il dolore incrostato nel cuore,
in
fondo allo sguardo, un sorriso che Riku non ricambiò.
Non perché
non volesse
ma perché, semplicemente, a
lui
non piaceva sorridere, non gli era mai piaciuto, e questo Sora
lo
sapeva bene.
- Ti trovo bene .
Riku fece spallucce,
indifferente
alla pacca che l’amico gli aveva rifilato con una risata
profonda
prima di tornare a fissare Aerith, sorretta tra le
braccia
di Axel, con un espressione sollevata.
- Anche tu in viaggio
per i mondi ? Leon starà dando di matto.
Una risata le
sfuggì al pensiero – non immagini quanto, e tu
Sora ? Chi stai cercando ora ?
Un' ombra scura
solcò il
volto del custode per un secondo prima che questo tornasse a
sorridere, a illuminarsi per qualcuno.
- Ora che so che Riku
sta bene non mi resta che trovare Kairi. Le ho
promesso che sarei tornato da lei.
Riku non
potè fare a
meno di contrarre il viso in un moto di insofferenza al
quale,
per quanto impercettibile fu, nessuno sembrò far
caso, ma
lei, lei lo aveva visto, il dolore, lì, proprio in fondo ai
suoi
occhi dorati.
E il senso di colpa, il disagio.
Era ancora
incredibilmente fragile,
combattuto tra ciò che era giusto fare e ciò che
voleva,
ma era ancora giovane, e un cuore spezzato poteva
guarire,
con il tempo, questo Aerith lo sapeva bene.
- Se avete finito di
ciarlare come vecchie comari potremmo anche andare ora, questo mondo mi
ha stancato.
Lo aveva detto con
quell’aria
indolente che la faceva sempre sorridere, le iridi chiare cariche di
fastidio ed irritazione, sentimenti, emozioni che persino Roxas aveva
cominciato a riconoscere, ad apprezzare.
- Pensi che ci
rivedremo ? – le chiese Sora poco prima di vederli fare un
passo indietro.
- Ne sono
sicura – affermò risoluta,
allacciando un braccio attorno alla vita del Nessuno
–
credo che ci rivedremo spesso, vero Axel ? Magari prima di
quanto
pensiamo.
- Spero il più tardi possibile – fu il commento
acido di lui,
infastidito dallo sguardo torvo con il quale Riku aveva preso a
fissarlo, anche se a pensarci bene, quel ragazzino lo aveva
sempre fissato a quella maniera,
quasi volesse dirgli qualcosa, avvertirlo di qualcosa che non andava
fatto, non in sua presenza almeno.
E quando Aerith gli si
aggrappò all'avambraccio lo vide,
sentì
l'odio, la furia, e capì che quello che gli
incupiva il
viso non era ovvia avversione nei suoi confronti, ma gelosia.
Pura e semplice gelosia.
- Oh.
Roxas lo
fissò inorridito
quando udì quell’esclamazione così da
…Aerith, una constatazione che fece comprendere ad
Axel quanto in profondità la bella fioraia fosse
giunta, quanto ascendente avesse sulle sue azioni e, a
giudicare
dalla sua esclamazione, ora anche sul suo modo di parlare .
Aerith li
salutò entusiasta
mentre le ombre cominciavano ad addensarsi ai suoi piedi, e si
scoprì sorpresa dal modo in cui Riku
serrò d'improvviso le mani in pugni nel
guardare nella sua direzione prima che
le ombre la inghiottissero.
Fu allora, solo
allora che Axel si lasciò scivolare tra le dita la
ciocca bruna che
aveva accostato alle labbra e che abbandonò una
volta perduto il contatto visivo
con gli occhi incattiviti del ragazzino, consapevole di aver appena
trovato il punto debole di quel rompiscatole dai capelli
d’argento.
Perché Riku
era innamorato, ma non di chi Aerith si sarebbe aspettata.
Oh no.
Continua
…
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Capitolo 6 *** 6 - Awake and alive ***
Capitoli revisionati (6)
" I'm at war with
the world and they
Try to put me into the dark
I struggle to find my faith
As I'm slippin' from your arms
"
[...]
" I'm awake, I'm alive
Now I know what I belive inside
Now it's my time
I'll do what I want , because
this is my life
Here, right now "
( Awake and Alive - Skillet )
Non era mai capitato
di essere
separati nel passarre da un mondo
all’altro,
mai,
ma quando Axel non la trovò tra le sue braccia,
lì , dove Aerith sarebbe dovuta essere, dove
l'aveva
lasciata, un profondo quanto inaspettato senso di panico lo
scosse da capo a piedi.
Ma ancor prima che il
Nessuno
potesse abbandonarsi ad una crisi isterica con
tanto di
mani affondate tra i capelli e occhi sgranati, Roxas si
trovò
a fissare con un certo e angoscioso senso di inquietudine la
moltitudine di uomini e donne che li osservava in silenzio dall'alto
mentre il
terreno sotto i suoi piedi cominciava a tremare.
Tremare
?
Quando Axel lo
tirò a
sé per sollevarlo tra le braccia capì
che
c’era qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato
nell’espressione allucinata del Nessuno, nello
sguardo
eccitato di quelle persone e nel ruggito appena
sopraggiunto alle loro spalle.
Tremendamente sbagliato.
Perché
erano inseguiti da
una donna con dei serpenti in testa in quello che
solo poco dopo capì essere una sorta di anfiteatro.
Eppure, ciò
che
lasciò Roxas con un enorme punto di domanda non
fu il perché non si sentisse minacciato
da quella creatura, o infastidito da quegli sguardi che sembravano
apprezzare il suo terrore freddo, ma
perché, il trovarsi tra le braccia di Axel, il
trovarsi sempre
tra le braccia di Axel non lo turbasse quanto avrebbe
dovuto.
°°°
Ade capì
che qualcosa di
inquietante
si aggirava per l’Oltretomba, qualcosa che
amava ornare Panico e Pena di orrendi fiori rosa e che si
premurava di illuminare la strada alle anime che
avevano perso la via.
C’era un
fastidioso odore di
ciclamino lì sotto, lungo la ripida scalinata che portava la
livello più basso degli inferi, una puzza aberrante per le
narici divine di Ade, arrossate da quello che gli umani
definivano
profumo.
I suoi leccapiedi
erano scappati in
lacrime, pregandolo di liberarli dalla corona di fiori che un orrendo
mostro rosa aveva fatto loro indossare, un mostro con occhi enormi,
spiritati, e una bocca aguzza che sorrideva sempre.
Neanche i Titani erano
riusciti a
turbare a tal punto il dio, ma quando, nel
discendere
l’ultimo scalino, i suoi divini sandali
calpestarono l’erbetta rigogliosa di un prato
fiorito, un
enorme spazio verde lì dove sarebbero dovuto esserci una
distesa
di corpi in putrefazione e chiazze di sangue, Ade venne avvinto
dall'orrore.
E poi, poi
lo vide, il mostro rosa.
Un essere piccolo e bianco, con una disordinata massa di
capelli scuri e una
voce delicata che lo fece schiumare di rabbia, d'indignazione.
Perché quella
piccola ‘cosa
stava legando un enorme corona di azalee attorno al
collo di Cerbero, il mastino degli inferi, il cane infernale che
fissò sperando in qualche scherzo delle parche, ma era tutto
vero .
Lo erano i boccioli di rosa infilati dietro le orecchie, lo era
il
profumo che appestava l'aria, un profumo dolce e tanto delicato da
bruciare
irrimediabilmente l’olfatto della povera divinità.
- Tu!
Era stato come il ruggito della
terra, il dibattersi delle onde sugli scogli e il tuonare dei
lampi del cielo, una voce che convinse Aerith ad abbandonare
la
corona di fiori sul manto erboso per voltarsi a guardare il nuovo
venuto.
Non sobbalzò quando
quell’essere tornò ad additarla con
enfasi, non se
ne curò, ma venne rapita dal colore bizzarro della sua pelle.
Nel vederla sgranare gli
occhi Ade capì di essere riuscito a
spaventarla, di averle iniettato la paura, il giusto terrore
da serbare di fronte alla sua persona.
- Sei davanti al Re degli Inferi
– proclamò solenne, battendosi un pugno sul petto
e
mettendo in mostra una fila di denti simili a lame di argento ossidato
– inchinati di fronte al mio cospetto.
- Perché sei tanto …
- mormorò lei con voce bassa, interrompendosi e aggrottando
le
sopracciglia sottili con fare curioso.
Un sorriso veleggiò per il volto cinereo di Ade, un sorriso
che sapeva di vittoria.
- Cosa ? Perché sono tanto
malvagio, crudele ? – si pavoneggiò,
borioso e
sicuro del terrore che prima o poi le avrebbe fatto tremare le
ginocchia e gridare aiuto.
Eppure Aerith non tremò, non
urlò, non lo supplicò di risparmiarla,
si
limitò a sbattere le folte ciglia brune sugli
occhi di un
verde brillante come il prato sul quale sedeva, schiudendo le
labbra pallide in una smorfia indecisa.
- Perché sei tanto blu
?
Non aveva detto pericoloso.
Non aveva detto malvagio, si era limitata a sottolineare la sua
carnagione smorta e bluasta con
ingenuità, incurante
dell'espressione orripilata e della fiammata amaranto della quale si
investì la sua intera figura quando l'incredulità
si tramutò in oltraggio.
- Io non sono blu –
sibilò saccente, protendendosi in avanti e
trapassandola
da parte a parte con le iridi di pece – la mia carnagione
è color pervinca.
Tu piccola e stupida femmina umana.
Aerith si limitò a
osservarlo per un'altra manciata di secondi prima di annuire
brevemente e riassettarsi le gonne con un sorriso tranquillo,
dandogli nuovamente le spalle nel cogliere l'avanzare
indeciso dell' anima spaesata alla quale si offrì come guida.
Ade rimase a fissarla incredulo, la mente ottenebrata dalla voce
stizzita di una coscienza che gli ricordò l'accondiscendenza
con la quale la donna lo aveva appena guardato, come se avesse dovuto
mettere in riga un
moccioso, come se avesse appena fronteggiato un comune e semplice
umano, e non la terribile divinità
dell'Oltretomba.
Una vivente che si
prendeva gioco di lui gridò isterica
quella vocina stridula, una donna che
… che lo aveva definito blu, non crudele, non malvagio solo
tanto … blu.
In superficie l’urlo isterico
del dio fu percepito sotto forma di un terremoto di media
intensità, un avvenimento all’ordine del giorno
con le
orde di mostri che attaccavano la Grecia, perciò
nessuno
lo collegò al grido
oltraggiato di una
divinità greca che era stata appena usurpata dal suo
trono da una semplice umana, una viva.
Una donna che semplice in realtà non era
mai stata, perchè era Aerith,
e da lei c’era sempre
qualcosa di inaspettato da aspettarsi.
°°°
- Cosa significa che l’avete persa ?
Quello di Riku era stato uno di
quei sibili che ti frustavano l'udito e ti facevano sudare
freddo
per la paura, uno di quei rantoli sommessi che ti ingurgitavano e ti
sputavano solo perchè non eri neanche buono come digestivo.
E da quando era arrivato, nessuno aveva avuto più
la forza di alzare su di lui uno sguardo che non fosse di puro e
semplice terrore.
Persino Axel gli aveva lanciato una lunga e intensa occhiata,
ma lui era già a terra e non
correva
il pericolo di stramazzare al suolo per l’ansia o
di essere
percorso da brividi vista la propria temperatura corporea
arrivata a picchi mai visti, ma il giovane dai capelli
d’argento
faceva ugualmente una fottuta paura.
Anche mentre prendeva profonde boccate
d’aria, respirando dalle narici frementi con gli
occhi
chiari che ti facevano venire davvero la
tremarella.
- Si possono perdere gli oggetti, si può perdere una scarpa,
le proprie armi, ma non una persona, e non lei.
Axel grugnì
all’ennesima critica di Riku, una critica che non solo
metteva in
serio pericolo il suo equilibrio mentale, ma minava la sua
già
scarsa pazienza, perché Aerith era scomparsa, e
non
si trovava da nessuna parte.
Hercules, il bamboccio tutto
muscoli che aveva salvato lui e Roxas da Medusa li aveva aiutati nella
ricerca, e persino Sora, sopraggiunto con suo profondo disappunto poco
dopo aveva dato man forte visitando le grotte,
persino i
buchi sotto terra, ma Aerith non c’era, da nessuna
parte.
E Axel non avrebbe saputo dire chi fra lui e il ragazzino dalla testa
grigia era quello più in ansia.
- Se posso – si fece avanti
il semidio, subito incenerito dall’occhiataccia di Riku che
non amava essere interrotto – se non è
qui, né
sull’Olimpo, forse può essere caduta
nell’Oltretomba.
- Oltretomba ?
Quello di Roxas era stato un verso
strozzato, come se qualcosa fosse scivolato nella sua
cavità orale fino a bloccare le vie respiratorie,
perché Oltretomba era davvero una brutta, brutta
parola, e
il pensiero che l’amica fosse lì sotto
con una
divinità vendicativa a torturarla era più di
quello
che il ragazzo potesse sopportare.
- Cosa aspettavi a dircelo ?
– saltò su Axel con una fiammata a irradiare il
suo
profilo minaccioso, un'aperta intimazione
che
Hercules tentò di placare con le mani portare con reticenza
davanti al viso.
- Non avrebbe avuto senso visto che
nessuno di voi può accedervi. I vivi non
possono varcare le soglie dell’Oltretomba senza essere prima
passati a miglior vita.
Si udì un ‘crack
provenire dalle loro spalle, lo sbriciolarsi del terreno che
cominciò a franare sotto i loro piedi mentre Roxas
tornava a
colpirlo con il Keyblade sotto le sferzate di calore di Axel,
troppo impegnato ad incenerire e ad ammorbidire la terra con le sue
fiamme per far caso all’espressione sbigottita di Hercules .
Pippo, forse l'unico ad aver realmente compreso il tentativo dei
due Nessuno di aprirsi un varco andò in loro
soccorso per primo, cominciando a raschiare con lo
scudo il cumulo di cenere
che andava piano piano accumulandosi ai loro piedi.
- State distruggendo lo stadio
– belò Filottete con il viso scurito dai
calcinacci
che presero a zampillare dall’interno di quella fornace,
alzando
la voce nell’ultimo tentativo di fermarli.
Ma quando anche Sora si
lasciò scivolare nella conca di terra per farsi
spazio con
le mani e la propria arma il satiro capì che avrebbe solo
sprecato
fiato.
Solo allora Hercules, una volta capito che tentare di farli ragionare
non sarebbe comunque servito lanciò
un' occhiata implorante al cielo appena rannuvolatosi,
percependo
la presenza di suo padre farsi tangibile attorno a loro
mentre il
fascio di luce dorato si raggrumava attorno a loro, tanto da formare
una
pellicola protettiva che avrebbe facilitato la discesa negli inferi.
E poi, d'improvviso, tutto si fece nero.
Lo stadio, l’erba, il terreno, tutto.
E quando Riku scostò dal terreno la mano con la quale aveva
richiamato le ombre per creare un passaggio, una fessura
grande
quanto la tana di coniglio, si gettò nel passaggio
senza emettere fiato prima di essere seguito a ruota dagli
altri, e più Axel si trovava a cadere
nel vuoto, masticando maledizioni su maledizioni,
più quel profumo di ciclamini si
faceva più forte e maledettamente familiare.
°°°
- Questo posto me lo ricordavo meno … verde.
Quella fu la prima considerazione
che Hercules condivise con i suoi amici quando sbucarono al centro del
disco di pietra nera che un tempo era occupata da anime in pena e che
ora, per un motivo a lui oscuro, era stato sostituito da un letto di
fiori ed
erba profumata.
Ed era tutto davvero
troppo verde, un colore verso il quale suo zio non
aveva mai espresso un interesse particolare, non per qualcosa di
così mortale, non
lui, non una divinità che dimorava perennemente
nell’ombra
e che dei frutti della luce ne era disgustato.
Per questo, quando il semidio
si chinò per cogliere una margherita non potè che
aggrottare le sopracciglia e chiedersi cosa avesse spinto il dio dei
morti a rimodernare la propria dimora a quella maniera.
- È molto diverso da come me
l’immaginavo – commentò Sora
perplesso,
seguendo con aria stranita un rampicante di fiori di lilla diramarsi
per le pareti di pietra nera in un disegno astratto.
- In verità non era
così – spiegò Hercules con la stessa
perplessità, adocchiando un grazioso bouque di rose poco
prima
dell’entrata di un cunicolo – era più
cupo, e
puzzava di zolfo, ora invece profuma di-
- Aerith.
Il sibilo angosciato di Axel
stroncò il monologo del semidio, sorpreso di vedere il
Nessuno
rigirare tra le dita un ciclamino, i fiori che quella
maledetta
faceva comparire come per magia dovunque andasse.
- Credete sia stata la vostra amica
a fare questo? Ti sbagli - e c'era durezza nella voce dell'eroe
-
nessuno potrebbe far crescere la vita qui dentro, neanche mia madre,
né qualunque altra divinità. Voi avete dovuto
ricorrere al potere di mio padre per scendere quaggiù, la
vostra
amica potrebbe essere mo-
La punta della lama
scivolò lungo il pomo d’adamo che Hercules fu
costretto a fermare in fondo alla gola quando si
trovò a trattenere il
respiro sotto lo sguardo caustico di Riku, gli occhi dorati
colmi
di un odio talmente feroce da lasciarti languire di dolore mentre la
paura, il senso di perdita provava a rendersi
visibile con più di un lieve
pallore delle nocche.
- Non ci provare. Non provare neanche
a dirlo. Aerith non è morta, lei è-
- Scusi buon uomo.
Riku ritrasse il braccio
aggrottando profondamente le sopracciglia nel sentirsi picchiettare la
spalla mentre una voce di donna, calma e cortese tornava a richiamare
la sua attenzione con quel ”buon uomo”
per il quale si
decise a voltarsi.
Il primo a comprendere che la
donna che sostava alle spalle del ragazzo era un fantasma fu Roxas,
incuriosito dal libero fluttuare
dell’anima di un' anziana signora dal sorriso sdentato ma
bonario
.
-Scusi buon uomo, stavo passando di qui, e non ho potuto fare
a meno di ascoltarvi, avete forse detto Aerith?
L’anima dell’anziana
era di un caldo amaranto, opalescente e impalpabile come la
brezza gelida dell’inverno, un soffio di vento fresco che
solleticò le guance di Riku quando la donna tornò
a
parlare.
- Siete suoi amici ?
Dal momento che il
compagno sembrava troppo sorpreso per risponderle,
Sora lo
accostò con un sorriso amichevole.
- Si, siamo suoi amici. La conosce ?
Il sorriso dell’anziana si
ingrandì, mostrando una fila di denti mancanti con gli occhi
scuri solcati dalle rughe raddolciti da un pensiero che la
fece
sorridere con affetto.
- La conosco, una cara ragazza, sempre pronta ad aiutare.
Axel le fu sopra ancor prima che la
povera anziana potesse chiedersi perché quel bel giovane le
fosse saltata addosso con un ringhio frustrato, ma quando le mani del
Nessuno provarono ad artigliarle gli arti superiori le dita
strinsero l’aria, niente di solido da scuotere.
- O caro, sono troppo vecchia per
queste cose – chiocciò ridente quella, sventolando
la mano
davanti alla smorfia contrariata del Nessun tornato in piedi con un
grugnito di fastidio .
- E quando l’avrebbe vista, la cara ragazza?
- L’avete mancata di poco,
è corsa verso il pozzo oscuro, all’ultimo piano
degli inferi. M sembra per liberare l’anima di
Auron.
Sapete, quell’uomo è stato isolato per
la sua
aggressività, persino Ade ha difficoltà a tenerlo
a bada
– spettegolò con sempre più foga,
coprendosi la
bocca, come per confidare loro un segreto impronunciabile.
- Non che quel buono a nulla
sia riuscito a fermarla come avrebbe voluto, è davvero un-
Uno scossone particolarmente feroce
fece tremare il terreno, il soffitto di pietra e i cunicoli che si
snodavano davanti ai loro occhi, risultato di un urlo
agghiacciante che, se fece sgranare gli occhi a quella
combriccola di vivi, sembrò divertire l’anziana
pettegola.
- Sembra che l’abbia appena trovata.
Corsero ancor prima che la povera
anziana avesse finito di parlare, lanciandosi verso il cunicolo
più scuro e meno confortante, percorrendo un pezzo
di
terra ciottolosa che si gettava su un enorme e inquietante voragine
verde acido.
Riku era il più veloce tra
loro, e fu il primo ad intravedere il mantello di tenebra
della
divinità degli inferi che sbraitava contro qualcosa di
piccolo e
rosa, la donna dai grandi occhi verdi china su un uomo con una
cicatrice sull’occhio.
- Meg?
La giovane sollevò gli occhi
viola con sguardo incredulo, scostandosi un poco dalla giovane e
curiosa umana che continuava
imperterrita a
strattonare le catene d’ombra che inchiodavano al suolo
l’anima di Auron.
- Mega Fusto ?
Solo allora Ade smise di inveirle
contro per torcere dolorosamente il collo con un tic nervoso
all’occhio destro, arricciando le labbra in una
smorfia
incredula alla quale Hercules rispose con uno sguardo fermo.
- Cosa ci fai tu qui ? E cosa… tu !
Sora sobbalzò appena quando
la divinità lo richiamò con quel tono accorato,
assistendo in silenzio allo
sgranarsi inquieto delle iridi scure del dio.
- Tu! Cosa ci fai qui ? Perché sei …
Quando il prescelto del
Keyblade gettò un' occhiata preoccupata
all’amica
poco più in là Ade sembrò
capire il
perché della presenza di tutti quei visitatori nel suo
regno,
dei dannati viventi che si aggiravano indisturbati per gli
inferi.
- Lo sapevo che fosse colpa tua !
Tu hai
portato quel piccolo demonio nell’Oltretomba, tu e la tua
patetica squadra di eroi di seconda categoria –
sbraitò
fuori di sé, puntando il dito ossuto sulla donna
che si
girò a guardarlo con le sopracciglia aggrottate
prima di
dirottare lo sguardo alla destra del dio.
E quando Aerith li vide un
sorriso sollevato le si aprì in volto mentre gli occhi verdi
si
sgranavano per la sorpresa.
- Ciao.
Axel patì l’ennesimo
schianto dei suoi nervi contro la scatola cranica,
un
fragore di neuroni che implodevano e vene sul punto di cedere.
Perché la leggerezza con la quale la donna li aveva salutati
era
sbagliata, tremendamente sbagliata, lo era quel sorriso
rassicurante e la calma con la quale accostava un uomo
dall'aria
pericolosa.
Lo erano sempre stati i suoi racconti.
Perchè diceva di essere una fioraia, solo una
comune e semplice
fioraia, ma riusciva a muoversi tranquillamente e a far
crescere
addirittura l’erba nel regno dei morti, nel luogo in cui
neanche
un dio sarebbe riuscito a sopravvivere.
Poteva volare, controllare il
vento, e viaggiare per i mondi senza minimamente risentirne.
Perchè sembrava sapere tante, troppe cose per la sua giovane
età, quasi
fosse molto più vecchia e saggia di quanto sembrasse, come
se
avesse vissuto tante altre vite.
E perchè c’era comprensione in fondo
al suo sguardo, la conoscenza di eventi accaduti in un passato del
quale avevano sentito solo parlare, conscia di una
ciclicità che
la rendeva pronta ad ogni nuovo risvolto in quella bizzarra avventura,
una consapevolezza che la rendeva tanto triste e malinconica.
Perché sorrideva loro,
ma sembrava sorridere a qualcos’altro, a un destino
già
conosciuto, già visto.
Hercules raggiunse l’amata
senza minimamente curarsi delle lamentele dello zio, stringendola tra
le braccia e udendo appena i passi frettolosi con i quali Roxas e il
resto della truppa raggiunse Aerith.
Eppure, oltre ad un entusiasta
“siete ancora vivi” la donna non
sembrò badare
all’espressione arcigna di Axel o allo sguardo sollevato di
Riku,
troppo occupata a tirare la catena con rinnovata foga.
Auron provò a scostarla
sgarbatamente per la seconda volta, ma la donna
riuscì ad
intercettare il suo movimento e a scansarsi con le mani piantate sui
fianchi e l’aria severa.
- Smettila di lamentarti e fatti
aiutare – lo riprese con rinnovata enfasi,
strattonando la
catena e finendo seduta carponi quando riuscì a
liberarlo dal metallo nero che lo aveva tenuto inchiodato nelle
profondità degli inferi.
Uno sguardo tagliente fu
tutto ciò che la fioraia ebbe quando
l’uomo
tornò libero, ma lei non sembrò risentire
né
della voce laconica del guerriero né del suo
sguardo
irriverente.
Ad Axel quell’uomo non
piaceva per nulla, ma non sembrava intenzionato a far del male ad
Aerith, e tanto gli sarebbe bastato,
anche se Riku non sembrava essere dello stesso avviso.
I suoi occhi azzurri analizzavano
l’anima perduta con l’interesse che si sarebbe
riservato ad
un cadavere in putrefazione, un'attenzione che Auron non
sembrò
apprezzare.
La lama tesa non riuscì
tuttavia a raggiungere il viso del ragazzo dacché
Aerith
gli si era parata davanti, osservando la punta della spada ad un soffio
dalle sue labbra con fredda calma.
Roxas smorzò l' urlo
frustrato che era stato in procinto di lanciare nel
riconoscere
l' avventatezza fin troppo frequente dell’amica,
un’imprudenza che prima a poi avrebbe fatto impazzire Axel e
avrebbe portato lui all’isteria.
- Mi state facendo venire le carie ai denti.
Il commento al vetriolo di Ade
richiamò l’attenzione di tutti, persino quella di
Hercules
che sembrava essere stato assorbito completamente dalla presenza di
Megara.
- Allora ? Avete finito le presentazione o vogliamo, come dire,
divertirci un po’ ?
La dentatura della divinità
era simile a quella di uno squalo, una bocca enorme
che
richiamava alla mente una voragine senza fondo, aguzza e irta
di
spuntoni acuminati.
Ade non aveva mai amato la compagnia dei vivi, ma soprattutto, non
amava giocare pulito.
Per questo, quando un' orda di Heartless cominciò a
frusciare
alle sue spalle l’orrendo buco che aveva al posto
della
bocca aumentò di diametro, facendo inorridire persino
Aerith.
Il cozzare del Keyblade di Sora con
gli artigli delle creatura d’ombra venne seguito dallo
stridere
della lunga spada di Auron strisciata con il terreno, ma quando la
fioraia
provò a dar man forte ad Axel qualcosa la
inchiodò
lì, sul posto, una mano maschile dalla presa ferrea che la
convinse a fissare l’uomo alla sua destra con le sopracciglia
aggrottate.
Riku storse la bocca di fronte
quello sguardo severo, rafforzando la presa su di lei e
scacciando con un colpo
del proprio Keyblade l’ondeggiare fastidioso di un
Heartless, attento a non far avvicinare nessuno alla donna a
lui
di fianco.
Perché loro erano guerrieri,
lui lo era, mentre lei riusciva solo a renderlo vulnerabile
agli attacchi nemici per la preoccupazione di saperla al sicuro.
Ed anche se Aerith era combattiva era pur
sempre una donna, e il pensiero che qualcosa o
qualcuno
potesse ferirla rendeva Riku particolarmente nervoso, angosciato.
Neanche con Sora aveva mai provato quell'involontario spasmo di panico
nel saperlo in pericolo, quel senso
di protezione quasi ossessivo, non con Kairi, nessuno era
riuscito a
farlo sentire tanto impotente, inutile come un
ragazzino
alle prime armi.
Ma lui era cresciuto, tanto nel corpo quanto nella mente, e odiava
sentirsi tanto debole, odiava sentirsi tanto inadeguato.
- So difendermi da sola –
soffiò frustrata la maga, dimenandosi nella presa
con rinnovata
foga, ma riuscì solo a farlo innervosire ancora di
più, a
distrarlo, ancora di più.
Perché quando la fiammata lo
colse in pieno petto Riku non potè
dirottare la
sferzata di calore, non ebbe il tempo né la forza
di fare
nulla, in realtà .
E quando Aerith sentì la
presa allentarsi sulla sua vita sgranò gli occhi,
orripilata, allungando una mano per afferrare la figura di Riku
che vide cadere nel pozzo di anime senza che nessuno
potesse fare alcunché se non stare a guardare.
Riuscì a sfiorarlo con la
punta delle dita, un solo secondo, lo sprazzo di tempo necessario a
farle nascere in gola un urlo disperato che ghiacciò
Sora e il resto dei compagni.
- Oh.
Ade esalò quel monosillabo
con espressione incredula, scoppiando a ridere subito dopo con
divertimento, piegandosi su se stesso con lo stridere della propria
risata a graffiare l’udito di Axel e di Aerith.
- Non ci posso credere, lui è- è caduto nel pozzo
con un solo colpo.
Non faceva ridere.
Non era divertente, ma doleva al cuore, pulsava nella testa
di
Sora come la più dolorosa delle ferite, la più
profonda
delle cicatrici.
Perché Riku era morto
davanti ai suoi occhi senza che lui potesse evitarlo, così,
semplicemente, sprofondando in una voragine di anime disperate e
urlanti.
E Roxas lo udì, lo
strappo proprio lì, all’altezza del
proprio petto,
lì dove sarebbe dovuto esserci il suo cuore, un
annichilimento
che sembrò strappargli la forza alle gambe
facendolo piegare
su se stesso come un castello di carte abbattuto dalla ferocia del
vento.
L’ombra gemella della caduta
in ginocchio dell’eroe dei mondi, il Keyblade abbandonato al
suolo e gli occhi azzurri lucidi di un pianto che gli strozzava la
gola.
E nessuno aveva mai colto l'ombra di disperazione in lui, su quel viso
che riscoprirono rigato di lacrime.
Mai.
Perché Sora non amava piangere,
come Riku non amava ridere troppo, con nessuno, parti mancati di
un’anima che condividevano sin da bambini, un legame che
niente
avrebbe spezzato, per il quale entrambi avrebbero lottato.
Eppure piangeva, il custode
del
Keyblade, piangeva come il bambino che non era
più, come
l’infante che aveva dovuto combattere senza sapere come fare,
contro chi lottare, trovandosi persino a fronteggiare le sue
più grandi paure.
Ma erano sempre riusciti a farcela, insieme, divisi
dalle ombre dei propri cuori, ma ce l'avevano sempre
fatta mentre ora, ora non gli restava che
quell’immagine
a bruciare la retina e renderlo cieco per il dolore.
E intanto Ade rideva di quel pianto, dello sguardo addolorato di Roxas,
degli occhi sgranati di Aerith che continuava a
stringere l’aria e il vuoto tra le dita come aveva sempre
fatto da bambina.
Sempre ad abbracciare il nulla, a tendere le orecchie a
quelle voci che la chiamavano e chiedevano aiuto, soccorso, salvezza.
Una mano tesa alla quale potersi reggere durante la caduta.
La risata gli uscì strozzata
quando Ade si trovò ad espirare bruscamente nel
vedere il
piccolo demonio, l'umana che aveva portato la vita nel suo
regno tornare ritta per indietreggiare di qualche passo prima
di
gettarsi nella voragine senza paura, senza mai
guardarsi
indietro.
E fu il turno di Axel quello di
urlare.
E strepitò, si ritrovò
a stringere e aprire i pugni in preda al dolore sordo,
all’incredulità, mentre la risata grottesca del
dio
tornava a far male, a pulsare nelle teste, nelle
ossa, nei cuori.
Fino a quando giunse la luce.
Un fiotto di luce calda e morbida che piovve loro addosso come un fiume
in piena
che affogò nel suo abbraccio caldo il dolore, l'amarezza, la
disperazione che ripulì dai loro volti, zittendo le urla
eterne
delle anime perdute per concedere al mondo un lungo e piacevole minuto
di
silenzio.
Di pace.
°°°
Riku aveva sempre avuto freddo.
Perché le ombre non
riscaldano, non emettano calore, ma riflettono solo
il tepore
dell’esterno come la luna riflette la luce del
sole, restando
al buio in assenza di essa, e lui lo era, al buio, ci si era
trovato più di una volta.
E avrebbe mentito a se stesso nel non
ammettere che, sebbene le ombre lo avessero sempre attratto,
la
solitudine lo aveva dilaniato da dentro, aveva creato solchi profondi
quanto un pugno che nulla riusciva a colmare, a riempire.
E così Riku si era sempre
sentito nella sua vita, pieno di buchi, di solchi che nulla
riusciva ad
appianare, come se fosse crivellato dentro, una superficie tarlata
capace solo di far
scivolare via ogni traccia di calore e affetto che riusciva a
raccogliere nel palmo delle mani.
Per questo non capì il
perché di quel calore che bruciava l'anima, di
quel flebile soffio di luce che gli baciava le ciglia.
Era cinto da qualcosa di caldo,
morbido e profumato, un bozzolo di amore che lo portò a
socchiudere le palpebre con curiosità, affamato di quel
delizioso tepore che riscaldava gli arti stanchi e il suo cuore
raggrinzito dal troppo tempo passato al buio.
Seguì la linea morbida della
mandibola, il profilo grazioso del naso sottile, il taglio
dolce
degli occhi adombrati dalle ciglia prima di vederli, quegli occhi.
Gli occhi di chi si era innamorato da bambino.
Chi, senza realmente esserne cosciente, assieme a quel suo sorriso
gentile e profumato gli aveva regalato anche qualcosa per cui lottare.
Qualcosa da amare.
E Aerith gli sorrideva ancora,
accarezzandogli la fronte e ammorbidendo la linea della bocca nel
vederlo finalmente sveglio.
- Hai dormito tanto
– sussurrò flebile, soffiando un bacio
sulla guancia
che Riku sentì pizzicare, come se una
fiammella
gli avesse appena sfiorato lo zigomo.
Come se tutto si fosse stranamente amplificato.
La
percezione del calore corporeo delle gambe sulle quali poggiava la
testa.
La sensazione del respiro della donna sul viso.
La forza di
quello sguardo che sapeva scavare fin dentro l’anima.
E vedeva meglio, come se avesse aperto gli occhi per la prima
volta dopo tanto tempo, come se …
- Cerchi questo ?
Quando Aerith indicò il
fiocco nero che le acconciava la lunga treccia Riku
capì
il perché di quelle sensazioni enfatizzate, di quel senso di
libertà che ora lo faceva respirare meglio, a
pieni polmoni, il perchè, semplicemente,
attraverso le iridi chiare
poteva vedere il suo riflesso, il suo vero riflesso.
Era tornato a vedere la luce.
Lei, era la sua luce.
Quella che aveva cercato a lungo, sprofondando sempre più in
fondo nella speranza di riuscire ad afferrarla.
Ma era lì.
Era sempre stata lì.
Aerith fece leva sul lungo
bastone metallico quando la voce esagitata di Axel attrasse
l’attenzione di entrambi, ma mentre lei abbozzava i primi
passi in contro al Nessuno dalla chioma fulva Riku prese
tempo per se
stesso, per percepire di nuovo l’aria pulita riempirgli i
polmoni, ripulirli dallo sporco.
Aveva le gambe piantate nel terreno
farinoso dell’anfiteatro oramai distrutto, le braccia rigide
lungo il busto ricurvo e i capelli grigi impigliati
nell’enorme
spada che aveva legato sulla schiena, ma stava bene.
Si sentiva, bene.
Si voltò un attimo verso la voragine nero pece che portava
negli inferi, e
percepì le voci delle ombre, la gelida carezza del buio
sfiorargli lo zigomo caldo in una carezza seducente.
La pelle divenne violacea,
bluastra a quel contatto impalpabile, un soffio di malvagità
che gli tinse le iridi d’oro, ma poi quella voce
tornò a
chiamarlo, a sfrattare dalla sua testa tutto quel gelo.
E avrebbe voluto sorridere quando la
trovò ad aspettarlo in fondo al piccolo sentiero sterrato
mentre
i compagni riprendevano il cammino, la mano tesa verso di lui, una mano
che non
aveva fatto altro che tendergli, fin da bambino. .
Perché lei capiva il suo
bisogno di essere aiutato anche quando il suo orgoglio glielo
impediva, sentiva la voce che teneva chiusa nella
gola
stretta dall'amarezza ma che i suoi occhi avevano imparato a
gridare, e lei lo salvava da se
stesso.
L’aveva salvato da bambino, continuava a farlo ora che era un
uomo.
Afferrò quella mano, la
strinse, si lasciò irradiare dal calore del
sorriso che lei
gli regalò mentre la consistenza morbida del palmo di lei
ammorbiva i
tratti ruvidi delle sue falangi rese rozze
dall’impugnatura
della sua lama.
Riku il
traditore aveva sempre avuto freddo, e aveva imparato ad
amarlo,
ad apprezzare il
degradante silenzio della solitudine, ma si era riscoperto vulnerabile,
aveva trovato il suo punto debole, e lo aveva ritrovato in
lei.
Nel calore di una mano che non aveva mai smesso di guidarlo.
Nel viso che di sottechi aveva seguito con occhi innamorati.
In quella voce morbida e gentile che fin dal primo istante, fin da
quando l'aveva udita per la prima volta in quel vicolo buio e sporco,
lo aveva convinto di poter essere anche lui come Sora.
Di poter vedere anche lui la luce.
Continua…
Ringrazio chi ha letto , segue e seguirà questa storia .
Un ringraziamento particolare a kalea95 per il bellissimo commento ,
grazie davvero , a te dedico questo capitolo .
Un saluto ,Gold eyes
|
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Capitolo 7 *** 7- Hold on ***
Capitolo 7
“Instead of giving
in give it all
All we get to is far gone
Instead of looking up just
look down
And see how far we've
come”
[…]
“You
gotta hold on, hold on
Why do we keep Hold on, hold on
Why do we let it go out our
way?
Why don't we stand up and try
again?
You never know
What you lose by letting go
You gotta hold on, hold on or
letting go?”
( Hold On – Jojo )
Discutevano da ore, ma
non sembrava che si riuscisse comunque a venire a capo di niente.
Axel, dal canto suo,
non sembrava
voler scendere a compromessi, e la sua reticenza nel concedere a Sora
il desiderio di unirsi in un'unico gruppo di viaggio non
facilitava
la coesistenza tra i due gruppi.
Eppure Aerith
non poteva fare a meno di sorridere.
In cuor suo sapeva che
prima o poi
il Nessuno avrebbe ceduto al bisogno di far squadra
con il
salvatore dei mondi per avere maggior protezione, per essere
più preparato nell’eventualità di un
nuovo attacco
da parte dell’Organizzazione, che la sua avversione
in
fondo nasceva dal desiderio di non mettere Roxas a disagio, di non
porlo in una posizione scomoda, di svantaggio.
Per proteggerlo.
Quello era il vero
motivo della sua rigidità sull’argomento.
Era sempre stato
quello.
E se prima Roxas si
era mostrato
diffidente nei confronti di quell’ingiustificata apprensione
nei
suoi confronti, col senno di poi, dopo gli ultimi
accadimenti, aveva cominciato a nutrire l’ombra di
un
affetto
consumato che aveva gettato su entrambi il profumo
di
ricordi dimenticati ma non del tutto svaniti.
Lo intuì
dal fare maldestro
con il quale il ragazzo tentava di camuffare la propria gratitudine
per una protezione che non aveva chiesto, per quel continuo
cercare di renderlo felice, di assicurarsi di non ferire i suoi
sentimenti, sentimenti che per natura non avrebbe potuto provare,
sentimenti dei quali Axel però sembrava tener sempre conto,
nonostante tutto.
Ma non si era mai
trattato di cosa
non si potesse o si potesse provare, perché ogni
creatura,
che fosse fatta d’ombra o luce era stata creata, era nata
per nutrire emozioni, per desiderare
di avere qualcuno
accanto, per desiderare di essere amati da qualcuno, voluti,
da
qualcuno, e lei sapeva quanto in realtà avessero tutti
bisogno
di intessere legami, di crearsi una famiglia, di avere un motivo per
combattere.
Qualcuno da chiamare
quando la solitudine diveniva così straziante da stringerti
la gola e intristirti gli occhi.
- Non abbiamo bisogno
di nessun
aiuto – tuonò Axel d’improvviso, il viso
accartocciato dalla stizza feroce che gli avvelenava la voce
–
sono in grado di proteggere entrambi da solo.
La reazione di Sora in
quel caso
tuttavia non si esaurì in un’esasperata ma
paziente
sguardo comprensivo, perché ci fu l’improvvisa
rigidità delle pupille a inasprire la piega di un dialogo
che
Aerith non potè più definire pacifico.
Non quando
era Sora, il
ragazzino dal cuore gentile a tingere il proprio sguardo di durezza,
smorzando il sorriso amichevole per il quale si trovò lei
stessa
a perdere il proprio.
- Io non voglio
costringere nessuno
di voi a seguirmi, ma ho una responsabilità verso Aerith
–
spiegò loro, attirando con l’inflessione ferma
della sua
voce lo sguardo incuriosito di Riku su di sè–
perciò voi potete anche decidere di non accettare la mia
proposta, ma lei viene con me. È stata già
troppo
coinvolta.
Fu per la rabbia
incontrollata che
gli azzannò il cuore nel cogliere l’errore in quel
“con me” e “Aerith” a farlo
agire a quel modo,
o fu l’improvvisa scossa di panico che lo assalì
nel
pensare che se davvero il custode avesse ingaggiato battaglia per
riportarla indietro, Axel non avrebbe potuto impedirglielo,
ma
bastò scagliarsi con un ringhio sul
prescelto
per far scattare Riku nella sua direzione e far
materializzare nelle mani di Roxas il Keyblade.
E ancor
prima di poter anche
solo provare a quietare gli animi Aerith si trovò
a
guardare dal fusto spezzato della colonna sulla quale era seduta la
violenza di uno scontro derivato dalla tensione di qualche attimo, da
uno sguardo sbagliato, da una parola mal intrepretata,
rimamendo
immobile a pensare su come si fosse passati dal discutere
animatamente a metter mano alle armi.
Ma la risposta giunse
decisa e
rumorosa come il cozzare delle lame nelle quali riflesse lo sguardo che
puntò in basso con rammarico, ritrovandosi a
desiderare di
non dover assistere ad una contesa che l’aveva sempre privata
della libertà di scegliere, di poter mostrare quanto in
realtà fosse capace di decidere da sola, di difendersi, da
sola.
Non voglio coinvolgerti
le spiegava una voce che in passato, quando ancora poteva guardarsi
allo specchio e sorridersi senza doversi sforzare di non mostrare il
peso dei suoi anni, aveva amato più di se stessa.
Vogliamo solo assicurarci di
sapere dove trovarti
le rammentava il tono accondiscendete di un uomo
dall’elegante
completo scuro che vegliava su di lei per monitorarla,
perché era stato deciso che fosse così.
Che lei venisse
controllata da chi
aveva gettato l’ombra ingombrante del suo egoismo, del suo
desiderio di potere su di lei e su sua madre Ifalna.
Eppure, alla
fine di tutto,
quando il mondo si era trovato sul punto di pagare per l’odio
di
chi da questo era stato tradito, quando si era decisa ad accettare il
suo compito, il suo destino, aveva capito cosa fosse giusto fare.
E giudicare chi
meritasse la salvezza e chi no, non lo era mai stato.
Distogliere lo sguardo
da quelle
ombre che la guardavano e tapparsi le orecchie per divenire sorda alle
voci che la chiamavano non lo era mai stato.
Decidere di salvare,
di proteggere, di aiutare lo era stato.
Lo fu gettare un
incantesimo
elementare sulle figure che si trovarono a fissare il proprio riflesso
nella spessa lastra di ghiaccio prima di accorgersi finalmente della
voce che nessuno di loro aveva udito, dell’ arrendevolezza di
uno
sguardo che Aerith rivolse alla polvere che si scrollò di
dosso
con un gesto nervoso della mano.
- Sono davvero troppo
vecchia per
assistere ancora a queste cose – cominciò, la voce
vibrante di un’indignazione che le segnò
il viso
tornato a sollevarsi – se il problema riguarda chi
si debba
accollare o meno la mia protezione, allora posso liberarvi da questo
senso del dovere, perché sono sempre stata capace di
difendermi
da me.
- Io non volevo-
- Lo so Sora, ma
parlare di me come se non fossi presente non è stato molto
carino.
Il custode
raggrumò le
labbra in un moto di dispiacere che Roxas specchiò mentre
Riku
faceva svanire la propria arma in un abbraccio d’ombre e
Pippo si
scusava per la mancanza di educazione.
Solo Axel non si
mostrò
rammaricato da quanto detto, dall’insensibilità
dimostrata, e non perché non si fosse risentito della
propria
mancanza, ma perché era ancora scosso
dall’apparizione del
ghiaccio che si trovò a toccare con le sopracciglia
aggrottatesi
gravemente.
- Non sapevo che le
fioraie
sapessero controllare il ghiaccio – soffiò,
fissando
assieme al proprio riflesso il sorriso appena comparso sul viso di
Aerith.
- Da dove vengo io una
fioraia sa fare molte cose.
Piccola e enigmatica
donna.
Avrebbe voluto
dirglielo, porle le
domande che non aveva mai potuto rivolgerle perché non
c’era mai stato un momento adatto, ma Axel aveva colto
l’ombra calata sul suo sguardo, un velo impalpabile che
riluceva
di qualcosa che non andava scoperto, di un vaso che non andava aperto,
e la rabbia evaporò, il bisogno di sapere anche
mente
l’irritazione lo portava ad afferrare Roxas per
l’avambraccio e raggiungerla, un gesto che segnò
la sua
resa.
Una concessione per la
quale Aerith
lo ringraziò in silenzio, invitando Sora a tornare alla
Fortezza Oscura per chiedere notizie su Re Topolino e
decidere il da farsi,
su come prepararsi per quella che si prospettava come una nuova
avventura alla quale ognuno di loro avrebbe dato il proprio contributo.
Promisero a Hercules
di fare
ritorno per un nuovo combattimento una volta che l’arena
fosse
stata ricostruita, e mentre Sora si lasciava colpire amichevolmente con
una pacca sulla spalla dal semidio Riku seguiva con la coda
dell’occhio gli sguardi che di sottecchi Axel lanciava ad una
pensierosa e silenziosa fioraia.
- Allora? Vecchia hai
detto –
gettò lì con finto disinteresse, sentendo su di
sé
gli occhi verdi della donna farsi attenti e curiosi
– quanto vecchia?
Roxas si
trovò a tendere le
orecchie pur pentendosi di mostrarsi così poco fiducioso, ma
era curioso al pari del compagno di scoprire qualcosa in
più sulla misteriosa compagna di viaggio.
E non
perché volesse
informarsi di una possibile ed improbabile
pericolosità
della donna, ma per potersi sentire parte del bizzarro e nutrito gruppo
di strani eroi ed anti-eroi nel quale Aerith, pur non
ricoprendo
un ruolo ben definito, ne era divenuta la colla.
Lei che sembrava aver
salvato
ognuno di loro da qualcosa, da qualcuno, e poter riuscire a ricambiare
il favore era divenuto uno degli obbiettivi che Roxas si era prefissato
di raggiungere.
Quando Sora
attivò il
portale tra i mondi si strinsero l’uno all’altro
per non
venire sbalzati via dal campo di forza ed essere divisi durante il
viaggio, una possibilità della quale Axel
impedì il
riverificarsi allacciando un braccio attorno alle spalle della donna
per impedirle di andare a innervosire qualche altra divinità
vendicativa.
E fu mentre la luce li
bagnava che
Aerith si decise a rispondergli, afferrando la mano che Riku aveva
inconsciamente fatto veleggiare attorno al suo avambraccio
con
titubanza senza realmente afferrarla.
Li strinse tutti a sè in un moto di commozione,
tirando con la mano libera la casacca di Sora e guardando il lampo di
luce che le illuminò il viso di una consapevolezza
che le
ricordò che nonostante tutto, nonostante gli sbagli commessi
e
le perdite subite, valeva la pena soffrire per circondarsi di tanto
amore.
Ne sarebbe sempre
valsa la pena.
- Non ti hanno
insegnato che è maleducazione chiedere
l’età ad una signora?
°°°
Leon non si era sempre
chiamato così.
Un tempo, quando
ancora aveva un
orgoglio e un nome del quale andare fiero, quando ancora
poteva
definirsi un guerriero, il suo nome era stato un altro, lui,
era
stato qualcun altro.
Un
uomo forte, coraggioso, e invincibile, un tempo.
Ma poi non
lo era stato più.
E quando era successo,
quando si
era trovato in ginocchio a guardare impotente la distruzione della sua
città, della sua casa, quando era stato sconfitto, era
fuggito
per salvarsi la vita senza più guardarsi indietro.
Come un codardo
avrebbe fatto.
Come l’uomo
che era stato, lo Squall che la gente conosceva, non si sarebbe mai
permesso di fare.
Eppure lo
aveva fatto, era
fuggito, e il disonore lo aveva spogliato di un nome che non era stato
più quello di un eroe, ma di un vigliacco che non era
riuscito a
difendere la propria casa.
Aveva vagato a lungo
senza sapere
dove stesse andando, da quanto stesse camminando,
da quanto
non mangiasse o bevesse, quanto ancora mancasse per potersi sentire
meglio, per potersi guardare allo specchio, per poter alzare lo sguardo
da terra.
E quando era successo, quando
si era ritrovato a fissare dopo mesi di silenzio e
freddo
gelido la tonalità calda di uno sbuffo di capelli profumati
che
gli aveva frustato il viso, lo aveva alzato per
sibilare al
malcapitato di fare più attenzione prima di
sentire il
passante fermarsi ad osservarlo e decidere poco dopo di toccargli la
spalla per chiedergli se stesse bene.
L'aveva guardata a
lungo, in
silenzio, preso in contropiede dall’abbraccio
morbido di un
sorriso che la giovane donna gli aveva rivolto con gentilezza,
tendendogli al contempo una mano che lui aveva poi guardato diffidente,
come sempre era stato.
Come non aveva mai
smesso d’essere.
Lui che guardingo era
stato
costretto ad esserlo, fino a divenire paranoico, fino a nutrire
sospetto per un’innocua e innocente ragazza dal sorriso
gentile
che pareva solo volergli dare aiuto, ma lui non ne aveva bisogno.
Tutto ciò
che voleva era
dimenticare l’orgoglio ferito e fingere di non esistere, di
non
aver bisogno di un’inopportuna e stupida donna che gli
offriva
qualcosa che lui non aveva chiesto, e le cose sarebbero andate
diversamente, se non si fosse deciso a guardarla negli occhi per
consigliarle di farsi gli affari suoi.
Forse non si
sarebbe trovato dove era ora.
Non avrebbe avuto una
casa.
Non avrebbe
costruito una famiglia della quale assumersi la protezione.
Non
sarebbe tornato ad essere qualcuno al quale valesse la pena
dare un nome.
Ma lo aveva fatto.
Era stato tratto in salvo, era stato liberato dal peso di una vergogna
che il verde acceso di quelle iridi aveva ripulito come un
sorso
d’acqua fresca che lava via il dolore, l’amarezza,
il
rimorso e i rimpianti.
Perché
Aerith lo era stata per lui.
La mano da stringere
per poter tornare in piedi.
La voce da seguire per
poter trovare la strada di casa.
Lo sguardo in cui
poter ritrovare se stesso.
Ed era colpa sua se
ora si trovava
a rovistare tra i libri di Merlino con l’ansia di scoprire un
modo alternativo per viaggiare tra i mondi, per andare a cercarla.
Perché era
stato lui, lui e
il suo stupido e ossessivo bisogno di lottare, di trovare qualcuno da
punire per quello che aveva passato, ad averla allontanata da lui, ad
averle segnato il viso di delusione, di rammarico, e non sarebbe
bastata una vita a cancellare il dolore di quell’aria ferita.
Non se lo sarebbe mai
perdonato.
Avrebbe pagato il suo
errore per la
vita, e lo avrebbe fatto, ma dopo averla trovata, dopo essersi
assicurato che quel Nessuno non le avesse fatto del male, che stesse
bene, che fosse al sicuro.
Quando la porta e il
suo cigolio lo
avvisarono dell’arrivo di qualcuno Leon non si
diede pena
di alzare il viso dal libro che sfogliava da giorni, un libro che
parlava di porte segrete e passaggi che avrebbero potuto condurlo da
lei.
- Leon? –
chiamò
Yuffie nel precedere le figure che invitò a
rimanere
nell’ombra mentre Sora accostava la giovane ninja e posava
dopo
tanto tempo lo sguardo su quello che fin da bambino aveva preso come
esempio da seguire.
Un eroe, uno di quelli
che solo guardandoli ti facevano sentire al sicuro, protetti dai
pericoli.
- Ci sono delle visite.
- Merlino è
tornato? –
chiese il soldato con urgenza, ringhiando di frustrazione nel
richiudere il tomo e gettare uno sguardo esasperato al soffitto
–
ancora nulla – mormorò poi tra sé e
sé.
Yuffie soppresse un
sorriso – no, ma è qualcuno che sono sicura sarai
contento di rivedere.
- Davvero? E chi-
- Hey Leon!
Il tono era stato
amichevole, allegro e tanto familiare da
convincerlo ad abbandonare le
ricerche e cercare con lo sguardo quello che tempo
prima
aveva considerato un piccolo moccioso sulle cui spalle gravava un peso
troppo grande, troppo importante.
Il bambino inesperto dal sorriso buono che stentò a
riconoscere quando si voltò.
Perchè era cambiato, Sora.
Era diventato un uomo.
Era diventato
un eroe.
L’eroe dei
mondi al quale concesse uno sguardo colpito, orgoglioso.
- Guarda chi si
rivede. Ne è passato di tempo.
-
Già –
concordò il custode in preda all’imbarazzo,
grattandosi la
nuca con fare impacciato mentre Paperino e Pippo lo accostavano e
salutavano il temibile e silente guerriero della Fortezza
Oscura con
meno enfasi – ho avuto molto da fare.
- Tutti hanno sempre
qualcosa da
fare – lo riprese con il solito tono inflessibile,
abbandonando
lo sgabello scomodo che occupava da ore per raggiungerlo a braccia
conserte e sopracciglia aggrottate – ma il tempo per fare un
salto dai vecchi amici e far sapere loro se si è ancora vivi
lo
si trova sempre.
La battuta
colpì lì
dove doveva colpire, e il rossore che gli tinse le guance
mostrò
quanto davvero Sora si sentisse in colpa per averli fatti stare in
pensiero, ma soprattutto, per non ricordarsi abbastanza
spesso
che qualcuno ad aspettarlo ci sarebbe sempre stato.
- Lo so e mi
dispiace –
mormorò impacciato, schiudendo un sorriso largo per
sopperire al
disagio – ma Aerith mi ha già rimproverato a
sufficienza
per questo.
Quello Leon non lo
aveva visto arrivare.
Ma quando quel nome
lasciò
le labbra del custode Yuffie non poté che lanciare
un’occhiata indignata all’amico,
colpevole di aver
rovinato la sorpresa mentre il soldato pareva aver subito una paresi
facciale per la quale l’aura minacciosa che
già lo
rendeva temibile si accentuò tanto da far sobbalzare
Paperino e
Pippo per la paura.
- Cosa hai detto?
– lo sentirono sussurrare con un filo di voce.
- Ecco io-
-
Dov’è? Dov’è
lei? – cominciò a ringhiare
irritato, avanzando minaccioso di un passo –
dov’è quella piccola-
Il passo frettoloso di
quello che
pareva un piccolo cerbiatto sovrastò il sibilo che avrebbe
rischiato di far perdere a Sora altro colore al viso, e quando le assi
del pavimento accolsero i piccoli piedi di una donna dal sorriso
ampio e le guance spruzzate di rosso Leon non potè
fare
altro che tacere e stare a guardare.
Aerith si
sistemò una ciocca
di capelli dietro l’orecchio nel nascondere dietro la propria
schiena le figure spaventate di Pippo e Paperino, studiando in silenzio
l’espressione sorpresa del soldato dallo sguardo divenuto
improvvisamente vitreo.
- Sono tornata
–
esclamò, le braccia schiuse nell’accenno di un
abbraccio
nel quale Leon avrebbe anche potuto lasciarsi stringere se
l’irritazione non lo avesse reso tanto inavvicinabile.
Perché
Aerith gli
sorrideva come se non fosse scomparsa per settimane senza dare notizie
di sé facendolo sprofondare in un baratro di disperazione e
paura, e avrebbe voluto urlare quanto fosse stato in pensiero, quanto
si fosse sentito in colpa per averla trattata a quel modo, per non
averle dato modo di spiegarsi, di farsi ascoltare, ma tutto
ciò
che fece fu rimanere immobile e silente sotto lo sguardo curioso della
donna.
- Credo stia
elaborando di
chiuderti in uno scantinato e buttare via la chiave – le
bisbigliò Yuffie in un orecchio, adocchiando
l’espressione
granitica dell’amico – non faceva che brontolare
che quando
ti avesse trovato ti avrebbe chiuso da qualche parte per
impedirti di raccogliere per strada qualche altro brutto ceffo.
Ma Aerith che
conosceva il linguaggio del corpo del soldato poteva vedere il sollievo
in fondo agli occhi chiari di Leon.
Leon che non era bravo
a mostrare i propri sentimenti.
Leon che proteggeva e
amava in modo
sottile, in un modo che il più delle volte non si riusciva a
cogliere, né a vedere.
Ma amava, e lei aveva
passato
troppo tempo a leggere le anime degli esseri viventi per non
notare come quella di Leon fosse di un colore
sgargiante,
il rosso vivo di un leone dalla folta criniera capace di ruggire di
fronte un nemico e soffiare dolcemente su chi sceglieva di proteggere.
Di amare.
Quando la vide
andargli in contro
Leon non seppe come reagire, cosa aspettarsi, se indietreggiare o
lasciare che lei lo toccasse, un’indecisione che fu lei a
tramutare in azione allacciando le braccia attorno alla sua vita per
stringerlo in un abbraccio che sapeva di casa, che sapeva di Aerith.
Aerith che amava, e
che quando lo faceva amava troppo anche chi
quell’amore non se lo meritava.
Aerith che non aveva
paura di
lasciare il fianco scoperto, ma che aspettava di essere accettata, di
essere vista per quella che era.
Una donna che non
faceva distinzioni di razza e origine.
Una donna che quando
decideva di salvare, salvava tutti indistintamente senza
differenze di sorta.
Ma quando ti salvava,
quando tendeva la sua mano verso di te, non si poteva dirle di no.
E Leon non lo fece.
Smise di pensare a
cosa dirle, a
come spiegarle il perché delle sue azioni, a come
chiedere
perdono per i suoi sbagli, perché lei aveva
capito, e
nonostante tutto, lo aveva già perdonato, lo aveva
salvato
ancora una volta dalla sua incapacità di mostrare che oltre
al
viso inespressivo e lo sguardo duro c’era un uomo qualunque.
Un uomo come gli
altri, capace di ferire ed essere ferito, come gli altri.
Perciò si
arrese
all’idea di trovare parole complicate delle quali comunque
non avrebbe capito pienamente il significato, e si
limitò
ad agire come sempre aveva fatto, a esprimere in gesti quello che non
riusciva a dire a parole.
L'
abbracciò forte,
sorridendo debolmente nel sentirla rafforzare la presa attorno alla sua
schiena, dimentico di chi avesse davanti, di essere guardato e magari
giudicato, ma non gli importava, e si abbandonò a quel
momentaneo silenzio prima che il suono di una voce che non
conosceva, che non ricordava di aver mai sentito lo portasse
a
schiudere le palpebre poco prima serrate.
E ciò che
trovò gli
causò un brusco aggrottamento di
sopracciglia
per il quale Roxas, che non era riuscito a non tollerare quel
silenzio, si aggrappò istintivamente al braccio di Axel,
incupitosi a sua volta nel cogliere lo sguardo duro del soldato che nel
riconoscerlo si abbandonò a un basso sibilo di sconcerto.
- Cosa ci fa quello qui? E chi
è quel ragazzino?
Aerith comprese con un
sospiro
rassegnato di non poterlo più blandire,
sciolse
dunque l'abbraccio per seguire gli occhi cupi dell’amico
puntati
alle sue spalle, sulle tre figure appena uscite dall’ombra
una
volta capito di non aver più bisogno di rimanere nascoste.
- Che hai da guardare?
–
latrò Axel in un eccesso di irritazione, rafforzando la
presa
attorno alle spalle del compagno mentre Riku reggeva con sfida lo
sguardo feroce con il quale Leon si trovò a fissarlo,
inasprito
dall’aura cupa che se da bambino aveva reso Riku sbagliato e
pericoloso, ora che era adulto pareva aver persino
incattivito
quegli occhi di un gelo che ghiaccia il cuore e il respiro.
- Lui è
Roxas –
intervenne Aerith con voce calma, rigirandosi nell’abbraccio
per
indicare il ragazzino biondo che faticò a mantenere
l’occhiata feroce del soldato – lui invece
è Axel e
ti ricordi di Riku vero?
- Credo che sia
difficile
dimenticare uno come lui – si ritrovò a sibilare
cattivo,
cogliendo il modo in cui il ragazzo pareva averlo frustato con lo
sguardo incupito da una rabbia fredda che gli vomitava addosso con le
pupille strette e sottili.
- Ma - ma siamo di
nuovo tutti
insieme, ed è questo ciò che conta –
esclamò Yuffie nel vano tentativo di
stemperare la
tensione nelle spalle del compagno e nei suoi nuovi amici.
- Yuffie ha ragione
–
soggiunse Sora con entusiasmo, accostando l’amico
d’infanzia per rimarcare la sua posizione al riguardo
–
l’importante è che siamo riusciti a trovarci di
nuovo.
Leon
ammorbidì la piega
delle labbra a quell’ultima frase, toccato anche lui dal
ricongiungersi della vecchia squadra, tuttavia rimaneva il
fatto
che ancora non capiva cosa ci facessero quelle tre figure lì
con
loro, ma in fondo sapeva già a chi era dovuta quella visita
inaspettata.
Perché
Aerith aveva sempre
avuto la pericolosa abitudine di portare a casa personaggi di dubbia
provenienza, a partire dal migliore amico di Sora che in lui aveva
sempre lasciato un retrogusto amaro, una diffidenza che non aveva
potuto che acuirsi col passare del tempo e con il tradimento compiuto
da questo.
Ragionamenti che una
persona con un
minimo senso del pericolo avrebbe formulato, sfortunatamente
per
lui, l’amica sembrava aver maturato negli anni un metro di
giudizio che riteneva tutti bisognosi di aiuto, di un posto in cui
stare, di una persona in cui confidare.
E Leon odiava che lei
si rivestisse sempre di quel ruolo, come se si sentisse in dovere di
aiutare l’umanità intera.
Come se non avesse
fatto altro per tutto la vita.
Un pensiero che non
poteva sapere,
non si discostava così tanto dalla realtà, ma in
fondo
Aerith aveva trovato il suo posto nel mondo, una stanza nella
quale avrebbe cercato di far entrare quante più persone
possibili per essere loro d’aiuto, di sostegno, per mostrare
che
tutti avevano bisogno di amore.
Anche chi non si
credeva capace di provarlo.
E la prova era sotto
gli occhi di tutti, nei cuori di quei compagni che Aerith era riuscita
a riunire ancor una volta.
- Loro sono con me
Leon –
spiegò pratica, abbracciando con lo sguardo i nuovi
arrivati prima di sorridere e alzare il viso verso il
compagno
che per un’attimo, avrebbe potuto giurare di aver
visto
masticare una maledizione a mezze labbra – ti avevo promesso
che
avrei trovato nuovi membri per il nostro Comitato
di
Restaurazione di Hollow Bastion. Non sei contento?
Gridarle contro a quel
punto
sarebbe stato sciocco, perché tanto lei non avrebbe
ascoltato,
non avrebbe accettato un rifiuto da parte sua, si sarebbe opposta con
tutte le sue forze affinchè lui li accettasse, e il terrore
di
vederla andare via con quella stramba squadra di salvataggio lo
atterriva.
Il pensiero di non
poterle andare contro, lo atterriva.
Ma si arrese con un
blando cenno del capo.
Perché
era tornata, e
Leon aveva sempre saputo che quando l’avesse vista
entrare
da quella porta, quando si fosse decisa a tornare a casa dopo le sue
lunghe e solitarie passeggiate non l'avrebbe mai trovata
sola,
ma in compagnia di qualche anima persa che lungo la
strada
si era decisa ad aiutare, a salvare.
Perché lei
era Aerith, era
luce, e nessuno poteva impedirsi di seguire quell’unico
barlume
di speranza in un mare di oscurità.
Neanche lui.
°°°
Quando Aerith si
chiuse la porta
alla spalle tentò di non far scricchiolare l’asse
del
pavimento che Leon non si era mai deciso a cambiare, convinto di
poterlo adoperare come eventuale segnale dall’arme
nel caso
qualcuno avesse tentato di coglierli di sorpresa nella pace dei loro
letti.
Un pensiero da Leon
aveva risposto lei quando lo aveva udito la prima volta, ma con il
passare degli anni si erano quasi affezionati a quel lieve
scricchiolare, perché sentirlo avrebbe voluto dire che chi
era
stato di turno quella sera per la ronda era tornato sano e salvo a
casa, e ciò era bastato a lasciarlo lì
dov’era
sempre stato.
Tuttavia, svegliare
Sora e i
compagni dopo la lunga ed esasperante lotta verbale tra Leon e Axel
avrebbe impedito a tutti di avere il giusto riposo dopo un viaggio
lungo come il loro, perciò si premurò di
scavalcarla in
silenzio e discendere in punta di piedi le scale che
portavano
allo studio.
Aveva riposato per un
paio
d’ore, e benchè Cid le avesse sempre ripetuto che
una
ragazzina come lei aveva bisogno di più tempo per recuperare
le
forze, spiegargli che lei in passato aveva dormito anche
troppo a
lungo avrebbe sollevato domande alle quali non voleva dare una risposta.
Perché era
complicato.
La loro situazione,
era complicata,
e sarebbe stato doloroso riportare alla memoria ricordi dei quali
Yuffie e Cid avevano perduto cognizione.
Prima magari, quando
li aveva
ritrovati e non l'avevano riconosciuta aveva provato il desiderio
di confessare loro che lei li aveva conosciuti, in
una
vita passata, che avevano viaggiato e lottato insieme prima che il loro
mondo scomparisse, prima che lei andasse a raccoglierli per condurli
nel lifestream, ma quando aveva letto la pace nei loro volti, quando
aveva colto la felicità nei loro occhi non aveva avuto cuore
di
rivangare il passato.
In fondo, era passato
davvero tanto tempo da allora, da quando
il loro pianeta aveva ceduto ed era stato inghiottito dalle tenebre che
avevano divorato i cuori di chi ancora era rimasto.
Da quando era stato permesso solo ad alcune anime di salvarsi
e
di ritornare in vita, da quando solo ai cuori più
forti, a
chi nel futuro sarebbe potuto tornare a combattere una nuova
guerra era stato concesso di poter avere un’altra
possibilità, di poter rinascere, e lei invece, lei aveva
dormito
fino a quando qualcuno non l’aveva trovata e risvegliata.
Il suo compito,
più di tutti
gli altri, non era mai finito in verità, perché
lei era
l’ultima dei Cetra, l’unica che potesse
attraversare
il ponte tra morte e vita per condurre le anime alla luce, alla pace, e
quando il suo mondo era venuto meno, quando la salvezza non era stata
più possibile, un altro mondo aveva richiesto il suo aiuto,
il suo
potere.
- Bentornata bambina.
Non si era aspettata
di trovare
qualcuno, ma quando sentì la voce e il calore del
camino
acceso lambirle il viso riconobbe l’uomo abbandonato sulla
poltrona a fiori intento a rimirare le fiamme e bere una tazza di
tè.
Bambina.
L’aveva
chiamata così la prima volta che l’aveva vista,
quando era andato a svegliarla, a chiederle aiuto.
Merlino era un mago
potente, molto
più potente di quello che le apparenze lasciavano intendere,
ed
era forse il suo fare maldestro che ingannava i più sul suo
vero
ruolo in tutto quello.
Perché
ancor prima che il
keyblade fosse stato scoperto, prima ancora che un prescelto fosse
stato scelto, era a lui che i mondi si erano rivolti per
ricevere
aiuto.
Lui che viaggiava nel
tempo con
fare svampito e brontolava quando qualcosa andava storto, un eroe
avrebbero detto alcuni, un eroe strano e dimenticato visto
tutto il
tempo trascorso da allora, ma lei non aveva dimenticato niente, e
quando lui aveva deciso di prenderla sotto la sua ala protettrice e
farne sua allieva, anche lei aveva potuto avere la sua
seconda
possibilità.
- Una tazza di
tè con un
vecchio brontolone? – la invitò il mago con voce
gentile,
allungando una mano per indicarle la poltrona accanto alla sua.
Aerith gli sorrise con
calore,
raggiungendolo in silenzio mentre le fiamme del camino disegnavano un
gioco di luci e ombre sulla lunga vestaglia che sollevò da
terra
per non sporcarla con la cenere che si era depositata ai piedi del mago.
- Non declinerei mai
l’invito di un uomo tanto galante.
Merlino si
abbandonò ad una
risata soffice, raddolcendo le pieghe attorno agli occhi quando
l’ebbe tanto vicina da poterne percepire il profumo di fiori
e
bagnarsi della luce di uno sguardo che anche nella penombra
tingeva ciò che la circondava di un mite
e dolce
bagliore.
- Allora, ho
saputo della tua piccola avventura. Un Nessuno quindi?
- Axel – lo
corresse
istintivamente – Si chiama Axel. E non
è stata
una vera e propria avventura. Ho solo aiutato un amico nei guai.
Con un sorriso bonario
il mago fece
comparire una tazza di tè tra le mani della pupilla,
allungando
uno sguardo alla scala in ombra nel cogliere un lieve
scricchiolio dal quale Aerith, catturata dal movimento sinuoso delle
fiamme non sembrò esserne stata attratta.
- Molti farebbero
fatica
persino a considerare un Nessuno una persona,
mentre tu lo
hai appena definito un amico – le
fece notare
con voce indulgente, un sorriso sottile in viso.
Aerith
sollevò su di lui uno
sguardo sinceramente stupito, quasi non avesse colto la lieve nota di
orgoglio e sorpresa nel suo dire puntiglioso.
- Ma Axel è
una persona. Una brava persona
oltretutto, un
po’ bellicoso alle volte – e lì si
lasciò
sfuggire l’accenno di una risata – ma è
un buon
amico.
- Da come lo descrivi
non sembra uno di quei Nessuno pericolosi di cui Leon parla
sempre – constatò.
- Axel non
è
pericoloso, non metto in dubbio che vi siano
personaggi
pericolosi tra loro, ma essere un Nessuno non equivale ad
essere
una creatura pericolosa e crudele. Ho conosciuto uomini ben
più
terribili di loro.
E non mentiva.
Aveva conosciuto
uomini capaci di
mostruosità irripetibili, esseri umani capaci di calpestare
la
vita di un loro simile pur di raggiungere i propri fini, uomini tanto
crudeli e meschini da lasciare una bambina orfana di madre dopo averla
tormentata come il peggiore degli incubi.
- Non hai mai pensato
di
condividere il tuo passato con altri? Sai che Leon ha sempre sofferto
di questo tuo silenzio– mormorò Merlino
sovrappensiero, le
rughe del viso che si inspessivano nel cogliere l’ombra
calare
crudele sull’espressione ferita di Aerith.
Seguì
con la coda
dell’occhio il breve guizzare di un profilo che scomparve
subito
dietro l’angolo, un movimento del quale la giovane
donna,
presa com’era dal vortice di ricordi che le intristiva il
viso
non prese coscienza, ed era meglio così.
Perché
Merlino era vecchio,
tanto vecchio, più di quanto volesse credere lui stesso, e
sapeva che Aerith era circondata da persone che la amavano, persone che
avrebbero sacrificato se stessi pur di renderla felice,
compagni
che si struggevano per conoscere il motivo di quel breve ma sordo
dolore che alle volte feriva gli occhi della maga.
Un lampo di sofferenza
che lui stesso avrebbe voluto catturare tra le dita per liberarla da
ciò che la tormentava.
E c’era
qualcuno dietro
quell’angolo che si sarebbe voluto caricare di quel dolore,
qualcuno che avrebbe potuto amarla come avrebbe meritato,
perchè lui aveva
visto brillare negli occhi di quel bambino senza luce il desiderio di
proteggerla, di poter essere per lei un giorno
l’uomo al
quale affidarsi.
L’uomo dal
quale lasciarsi amare.
- E a quale scopo. Non
farei altro
che farlo soffrire – sussurrò a se stessa, il viso
inghiottito dalle fiamme nelle quali per un attimo rivide una figura
femminile che correva, che non aveva mai smesso, una figura che alla
fine di tutto, nonostante la distanza guadagnata, veniva sempre
raggiunta – credo che ognuno di noi abbia già
qualcosa per
cui essere tristi. Ed aggiungere dolore al dolore non sarebbe giusto.
- Ma neanche sminuire
il proprio
per il bene altrui lo è Aerith – e nella voce di
quel
vecchio mago si potè percepire la tristezza di un padre
incapace
di consolare il dolore di una figlia afflitta da un male incurabile.
Le coprì la
mano con la
propria in un gesto affettuoso che lei ricambiò debolmente,
inghiottita da immagini che nella sua testa divenivano sempre
più cupe, tristi, dolorose.
- Io non sminuisco
ciò che
ho subito, ma li amo troppo per potermi
permettere di condividere il mio passato con loro. Voglio che
mantengono la visione che hanno di me.
La stretta si
rafforzò sulla
sua mano, quasi a darle un conforto di cui Aerith non aveva bisogno,
perché non era per orgoglio che non voleva scoperchiare il
vaso
dei propri ricordi, non era per la paura di essere commiserata che non
parlava, ma era per difenderli da un dolore che era suo dovere reggere
da sola.
Lei che le sue
responsabilità se le era assunte fin da bambina.
Fin da
quando lo sguardo stupito di sua madre Elmyra le
aveva fatto capire di essere diversa.
Di avere un compito da
assolvere, un dovere che forse mai avrebbe smesso di portare a termine.
Perché ci
sarebbe sempre
stato bisogno di una guida in quel mare di oscurità, e
avrebbe
sempre teso la sua mano quando fosse giunto il momento di accogliere
una nuova anima sola.
Lo doveva ai
suoi antenati.
Lo aveva voluto per se
stessa.
Aiutare chi non
chiedeva aiuto. Salvare chi non voleva essere salvato.
Essere le braccia in
cui potersi abbandonare ad un sonno pacifico e sereno che niente
avrebbe più turbato.
- Ma loro conoscono
solo
l’Aerith gentile e caritatevole, mentre l’altra
parte di te
stessa rimane nascosta in quell’ombra che anche se non te ne
accorgi, qualche volta si riesce ad intravedere – le
mormorò con un filo di voce.
- E lì deve
rimanere –
si trovò ad affermare lei con durezza, alzando sul suo
mentore
uno sguardo che sapeva divenire più forte di un uomo con la
spada in mano, più saggio di un vecchio dalle rughe pesanti
come
coltri di sabbia, e in quel momento, più triste di un ultimo
respiro spirato nelle braccia di chi si sta per lasciare.
- Perché
anche se sono stata
braccata come un animale, anche se sono stata trattata come una cavia
da laboratorio da dissezionare e accoppiare ciò
non ha mai
cambiato quello che sono sempre stata.
- Cosa?
Attese Merlino.
Attese per secondi nei quali potè percepire i due respiri
strozzati in fondo alla stanza, e su per le scale, fermi ad attendere
assieme a lui un’affermazione che ripulì lo
sguardo di
Aerith dalla tristezza e della rabbia che le aveva scavato il viso.
- Una
fioraia.
La risata che
cavò dal petto
del vecchio mago fu dolce, una cascata di zollette di zucchero che
continuarono a galleggiare nel flusso dorato del tè che
ripresero a bere in silenzio, le mani strette in un abbraccio che
sapeva di un amore filiale che né l’uno
né
l’altra avevano avuto la possibilità di provare
fino in
fondo.
E mentre le prime luci
dell’alba rischiaravano le strade di un' assonnata Fortezza
Oscura Axel chiudeva in silenzio la distanza tra
le
scale e la stanza da letto, il viso prosciugato dal colore che la luce
filtrata dalla finestra del corridoio gli donò con
gentilezza.
Toccò
l’asse che
scricchiola, quello che aveva svegliato lui e l’altra
figura scivolata assieme a lui fuori dal letto
per
tendere l’orecchio e ascoltare ciò che non doveva
essere
udito, ciò che Aerith aveva fatto bene a non raccontare.
Perché
faceva male.
A lui, fece male.
Un dolore che se in
Axel aveva
risvegliato il desiderio di correre sotto le coperte e stringere al
petto Roxas nella speranza di aver solo sognato tutto quello, nel
ragazzo fermo sugli ultimi quattro scalini aveva ucciso la
luce
nello sguardo.
E fu quando i raggi di
una nuova aurora
raggiunsero lentamente il primo scalino, fu quando il passo
soffice
di piedi piccoli e la voce sottile toccò le corde di un
cuore
che nessuno prima d’allora era anche solo riuscito a sfiorare
che
Riku si convinse a muoversi, scendendo gli ultimi scalini in due e
celeri falcate che lo portarono lì dove il suo cuore gli
aveva
sempre sussurrato di voler essere.
Lì dove si
fermò a
guardare il sussulto di sorpresa con il quale Aerith alzò su
di
lui uno sguardo perso prima di riconoscerlo e augurargli il
buon
giorno con un sorriso mentre lo sguardo tornava ad illuminarsi
e
in fondo, lì dove la luce non arrivava,
un’ombra
ancora più terribile e crudele si annidava come un serpente
in
attesa di mordere e infettare del suo veleno chi quella stessa luce
aveva provato a smorzare.
Un veleno nero come il cuore che quelle piccole
mani pallide aveva raccolto da terra, divenendo inconsapevolmente una
prigione di dita dalla quale Riku non era
più riuscito a liberarlo.
Continua…
Dopo una vita, ecco un nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha letto, e dedico questo capitolo a kalea95
per essere stata ancora una volta
così gentile da farmi sapere la sua sulla storia, davvero,
grazie di cuore.
Cercherò di aggiornare per quanto possibile, un saluto
Gold Eyes
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Capitolo 8 *** 8 - On My Own ***
Capitolo 11
“There’s
gotta be another way out
I’ve been stuck in a cage with my doubt
I’ve tried forever getting out on my own.
But every time I do this my way
I get caught in the lies of the enemy
I lay my troubles down
I’m ready for you now”
[...]
“Bring me out
Come and find me in the dark now
Every day by myself I’m breaking down
I don’t wanna fight alone anymore
Bring me out
From the prison of my own pride
My God
I need a hope I can’t deny
In the end I’m realizing I was never
meant to fight on my own”
[…]
“I don’t wanna be incomplete
I remember what you said to me
I don’t have to fight alone”
( On My Own – Ashes Remain)
Di cose difficili, nella sua vita, ce ne erano state molte, forse anche
troppe se si prendeva in considerazione la sua età
come
cintura su cui imporre le tacche.
Accettarsi. Fidarsi.
Amarsi.
Tante, e non tutte le aveva portate fino alla fine, ma ci stava
lavorando, aveva deciso di lavorarci sù per
migliorarsi.
Cambiarsi d’abito, dunque, in comparazione a tutto
ciò che
aveva compiuto fino a quel momento, non avrebbe dovuto rappresentare
una tale sfida o richiedere un tale dispendio di energie da parte sua,
eppure, per quanto la cosa potesse risultare ridicola, Riku faticava a
compiere un’azione semplice come quella.
Era incapace, inabile, quale che fosse l’aggettivo
più
appropriato a descrivere la sua inettitudine non lo sapeva, ma si
trovava comunque a essere completamente inerme di fronte ad
una
sfida che pareva più difficile di quelle che aveva
affrontato in
passato, ed erano state tante, alcune, alle volte tanto
complesse
da aver richiesto più di un solo sforzo fisico, ma
la pila
di abiti che fissava in silenzio da ore, con il cuore stretto in gola e
le mani serrate lungo i fianchi sminuiva quasi ciò che aveva
passato, tutto impallidiva di fronte ad un’azione che, quella
volta, avrebbe richiesto troppo da parte sua.
Una sfida che gli avrebbe tolto più di quanto era disposto a
cedere, eppure, ogni qual volta la rabbia gonfiava i muscoli
del
suo braccio distendendo i tendini nervosi dei
polsi, Riku
arrivava quasi a
sfiorare la
stoffa con la punta delle dita irrigidite dalla frustrazione
prima di far ricadere indietro la mano sotto il peso di un
coraggio che tornava a mancargli ogni volta.
Codardo.
Riku lo masticò a labbra strette, gli occhi che guardavano
con
disprezzo il sedicenne dallo sguardo impaurito e le labbra
impallidite riflesso nello specchio,
un’immagine
che sembrava prendersi gioco di lui, di
quell’incapacità che ora risultava così
ridicola se
messa in confronto a ciò che aveva fatto, a ciò di cui
ancora era capace.
Ma non era per vanità che Riku stentava a compiere una
simile
azione, perché, per quanto di bell'aspetto sapesse d'essere,
nascondersi era sempre stata una scelta ben più
allettante
e sicura del mostrarsi alla luce del sole.
Eppure, in quel momento gli pareva di starsi comportando come una tra
le donne più sciocche e superficiali che si dibatteva su
quale
tonalità di rosa abbinare per mettere in risalto
il
pallore delicato del proprio incarnato, ma lui non aveva nessun
incarnato da mettere in mostra, nessuna vanità da
soddisfare,
solo la paura di un ragazzino che si rifiutava di tornare ad essere
ora che il suo fisico aveva preso le fattezze che gli erano
proprie.
Quelle di un bambino.
Un gorgoglio di collera gli ruggì in petto, una violenta
vibrazione di frustrazione che gli fendette il viso
strattonando
in basso l’angolo della bocca che si trovò ad
arricciare
quando la consapevolezza di non essere altro che quello, agli occhi del
mondo, ai suoi
occhi, lo fece ribollire di rabbia.
Di frustrazione.
Un bambino che si fingeva uomo. Ecco cosa vedeva in quello specchio.
Cosa aveva sempre visto.
Come doveva sembrare agli occhi di Aerith.
Un bambino da aiutare, un adolescente da capire, ma non un uomo da
amare.
Mai, un uomo da amare.
Come avrebbe potuto poi, se neanche lui amava ciò che
vedeva. Come avrebbe potuto lei amare ciò che lui odiava?
Eppure, come Ansem, come l’ombra che si era abituato ad
essere,
avrebbe potuto avere la possibilità di essere visto da lei
come
un suo pari, come qualcuno al quale sentirsi attratta, mentre
ora, ora non gli rimaneva che guardare gli abiti ordinatamente riposti
sul lavabo con il viso mangiato dal dubbio e il cuore
divorato
dall’ansia.
Dall’incertezza.
Stupido. Si sentiva così stupido ad essere rimasto
così a
lungo a fissare quelli che chiunque avrebbe visto come abiti,
semplici e normali abiti, ma che per lui non lo erano, non lo sarebbero
mai stati, non quando a spogliarsi non sarebbe stato solo il suo corpo,
ma la sua anima.
Quell’anima stanca che con il suo nero pece avrebbe
dato troppo nell’occhio, facendolo sentire diverso.
Una macchia.
Non era stato che quello. Da sempre.
Una sbavatura che aveva penetrato la carta fino a corroderne la
filigrana e fare marcire tutto ciò con cui era
entrato in
contatto.
Una macchia, una chiazza che passava inosservata
nell’oscurità più nera alla quale era
abituato.
Lì, lui non era diverso, non era strano, sbagliato,
lì lui poteva persino diventarlo, oscurità, e
persino
trovare riparo, un nascondiglio in cui nessuno lo
avrebbe
giudicato, perché non ci sarebbe stato nessuno ad
attenderlo, a
compatirlo, lì.
Come biasimare dunque la sua reticenza ad abbandonare un simile angolo
di pace, per quanto piccolo e scuro fosse?
Come mal giudicare la sua paura di abbandonarlo, quel timore viscerale
per ciò che stava fuori, per chi, fuori da lì,
avrebbe
parlato, accusato, e odiato lui per quello che aveva fatto e che
tuttora era disposto a fare?
Eppure, rannicchiarsi nelle ombre, bardarsi nella gobba del suo
mantello non sarebbe servito a niente, perché ogni qual
volta la
possibilità si fosse ripresentata, ogni qual volta il
bisogno di
nascondersi, di tacere le sue colpe e con queste anche se stesso fosse
tornato prepotente a spingerlo indietro, ci sarebbe stato il
ricordo di una promessa da mantenere a convincerlo a rimandare il
riposo nelle ombre, ci sarebbe stato un pezzo di stoffa a rammentargli
che lui, una via ancora ce l’aveva, che alla fine di tutto,
qualcuno lo stava aspettando, fuori di lì.
Che non tutti lo
avrebbero odiato.
Era stata un ricordo al quale aggrapparsi, quello, un ritornello da
canticchiare quando il buio diveniva troppo soffocante e la solitudine
troppo angosciante, così da ricordare a se stesso, quando
l’oscurità si faceva troppo fitta e lui faticava a
distinguere il suo stesso profilo, di guardare in basso e ritrovare nel
fiocco rosa che non aveva mai avuto il coraggio di strappare dal suo
braccio la sua ancora di salvezza.
La corda allacciata attorno alla vita che gli aveva sempre impedito di
cadere troppo giù.
Prezioso. Non aveva mai avuto nulla di più prezioso in vita
sua di quello.
Un fiocco rosa.
Ironico che una cosa così sciocca potesse risultare tanto
importante, ma per lui lo era, importante e troppo amato da potersene
separare, da poterlo scambiare per altra forza, lui che in fondo, aveva
barattato tutto per un po’ di potere, sacrificando ogni volta
un
po’ di se stesso, pezzo dopo pezzo, persino il suo cuore per
l’orgoglio, ma quello, quello non sarebbe mai riuscito a
lasciarlo andare.
Lei, non sarebbe mai riuscita a lasciarla andare.
Amore.
Riku non aveva mai saputo se si potesse chiamare così quella
stretta al petto che, con il passare degli anni, non aveva
fatto
altro che rafforzarsi, arrivando ad avvolgersi attorno al suo busto
fino ad abbracciare il suo cuore e ricoprirlo di una patina
traslucida e delicata capace, nonostante la sua impalpabile
consistenza, di riparare ciò che racchiudeva e porre una
barriera tra il suo cuore e ciò che minacciava di
avvelenarlo,
di strappargliene un altro pezzo.
Un battito
mancato.
Aerith era sempre stata questo per lui.
Quel respiro strozzato in gola per l’emozione,
l’incosciente dilatarsi delle pupille nel cogliere qualcosa
di
tanto bello da far male.
Amore.
Riku non sapeva cos’era, l’amore, ma se qualcuno
glielo
avesse domandato, e lui avesse dovuto dare una risposta sincera,
allora, in quel caso, avrebbe detto che Aerith era l’amore.
Il suo.
Il sussulto al cuore che lo coglieva ogni qual volta la sua mente, il
suo cuore e i suoi occhi si aggrappavano all’immagine
di
quella donna dal sorriso gentile che anni fa l’aveva trovato
agonizzante in un sudicio vicolo.
Non aveva mai avuto modo di paragonarlo a nient’altro,
neanche
negli anni di solitudine e isolamento, ma se non era amore
quell’insensato bisogno di vederla sorridere, di sentirsi
chiamare da lei, di essere anche solo guardato da quegli occhi verdi,
allora, non sapeva cos’altro potesse essere.
Amore. Lo era, o forse no.
Un amore non ricambiato. Taciuto. Fragile. E forse troppo
immaturo, ma un amore per il quale Riku ora si preparava ad affrontare
quell’ennesima sfida, quel salto nel buio per trovare ancora
una
volta alla fine del tunnel il suo sorriso.
E se per ritrovarlo doveva tornare ad essere se
stesso e
smettere di sembrare qualcun altro, allora, per lei, per quel sorriso,
lui l’avrebbe fatto.
Avrebbe fatto di tutto per farsi amare un po’ da Aerith.
Come se davvero ci fosse
qualcosa da amare in lui
schioccò la voce tesa della sua coscienza, maligna e cruda
come
una frustata tra le scapole, ma un colpo che Riku incassò
con
una smorfia, tentando invano di non perdere la presa su quella corda
rosa alla quale strenuamente tentava di rimanere aggrappato,
ricordandosi che lei sembrava crederci davvero, che qualcosa di bello,
qualcosa da amare ci fosse lì, da qualche parte, in lui,
dove,
non era suo desiderio scoprirlo, gli bastava sapere che lei ci credeva,
che lei lo vedeva.
Perché Aerith non gli aveva mentito, mai, neanche
una
volta, neanche quando farlo sarebbe stato più
semplice e
meno doloroso che dire la verità.
Ma lei non lo aveva fatto.
Non aveva mai negato la sua oscurità, non aveva mai fatto
finta
di non vederla, ma l’aveva sempre abbracciata, e persino
consolata, quando le tenebre dentro di lui stentavano a colmare il
vuoto nel suo petto, nella sua anima.
Lei, quel fiocco, erano il cammino che aveva scelto per sè,
il
confine tra oscurità e luce sul quale si
destreggiava a
rimanere in equilibrio.
Nel mezzo.
Era sempre stato così.
In mezzo ad ogni cosa.
In mezzo a Kairi e Sora.
In mezzo tra ciò che era giusto e ciò che era
sbagliato,
una posizione che lo aveva sempre angosciato assieme al peso delle sue
scelte che alla fine si erano sempre rivelate sbagliate, ma un posto
che era suo, che si era scelto lui, e nessun altro.
In mezzo come
ora tornava
ad essere, a metà tra il bambino al quale voleva smettere di
assomigliare e l’uomo che agognava a diventare.
Per lei. Era sempre, per lei.
Lei che non aveva smesso di aspettarlo, di pensarlo, di accettarlo e
che, Riku sapeva, con uno strano nodo alla gola, lo avrebbe
cercato, trovato e trascinato per mano via dalle tenebre che
lei
avrebbe rischiarato con la luce del suo sorriso.
Lo avrebbe fatto.
Lui lo sapeva, ne era certo, e di certezze Riku nella sua
vita ne
aveva avute davvero troppo poche per lasciarla andare, per non tenerla
stretta a sé con forza fino a lasciare i segni, proprio come
si
trovò ad allacciare le dita attorno al fiocco che gli
fasciava
il polso per prendere coraggio.
Non lo aveva rivoluto
indietro.
Riku aveva temuto, aveva atteso con angoscia che lei glielo chiedesse
indietro, che lo privasse di qualcosa che gli ricordava lei, che gli
dava l’impressione di avere una parte di Aerith, con
sé,
quando era lontano.
In fondo, era stato un prestito, il suo, un gesto di carità
quasi, ma a dispetto di quello che aveva pensato, creduto e
temuto, Aerith non aveva chiesto niente indietro.
Non gli aveva chiesto qualcosa in cambio come invece aveva fatto il
resto del mondo.
Ed era stato quando, preda di una realtà virtuale,
si erano
trovati ancora una volta sugli angoli opposti della barricata
che
Riku aveva capito.
Lui.
Aerith, più che al suo ornamento, più che a quel
fiocco, si era riferita a lui.
Si era sempre riferita a lui.
Al suo, di ritorno.
E si era sentito spaesato, confuso dall’inaspettato fiotto di
calore che gli aveva riempito il cuore e la bocca di un
sorriso
che aveva poi ingoiato a quella scoperta, perché il solo
pensiero che qualcuno potesse tenere così tanto a lui, che lei,
potesse tenere così tanto a lui dopo tutto quel tempo, dopo
tutto quel silenzio, lo aveva scosso, turbato, e fatto sorridere.
Sì, sorridere, a lui, che sorridere non piaceva.
Perché per un istante, per un solo, singolo istante, lui si
era
sentito felice, e quando Riku aveva pensato di non poterla amare di
più di così, aveva dovuto ricredersi
ancora una
volta quando, nel riaprire gli occhi, nell’abbandonare il
buio
sicuro dietro le sue palpebre, nel
tornare a vedere,
aveva trovato tutto quello che gli serviva, che gli sarebbe servito per
ripagarlo di ciò che aveva lasciato indietro, per
ricordargli
che ne era valsa la pena, alla fine, tornare.
E ne sarebbe valsa anche adesso, solo che quella volta avrebbe dovuto
metter mano a tutto il coraggio che ancora gli rimaneva per scegliere
chi essere.
Una scelta difficile, combattuta, la sua, e forse persino sofferta, una
scelta che forse non avrebbe neanche preso in considerazione, neanche
per Sora, neanche per Kairi.
Nulla e nessuno sarebbe valso quel prezzo.
Nessuno, eppure, per lei ne valeva la pena, perché se fosse
stato qualcun altro ad averlo privato di ciò che gli era
familiare, a chiedergli di rinunciare
all’oscurità, Riku
se ne sarebbe risentito, ne avrebbe fatto una questione
d’orgoglio, ma per lei, e per il ricordo del
tessuto grezzo
della sua benda avvolto nei capelli di Aerith si decise a scegliere.
Ad essere.
Una benda per un fiocco.
Quello era stato lo scambio tra loro.
Qualcosa di vecchio per avere qualcosa di nuovo, di migliore, e Aerith
aveva sempre avuto il potere di far sembrare il mondo migliore, di far
sentire lui, migliore di quello che era in realtà.
Di come si sentiva.
Spogliarsi del suo mantello, scegliere, nel suo caso prendeva
quindi un significato più profondo, ben più
angosciate di
quello che sembrava.
Uno scambio che avrebbe voluto dire spogliarsi di
ciò che
si era stato fino a quel momento, privarsi di un ruolo che
aveva
ricoperto con fierezza e orgoglio, perché era
stato lui, a
volerlo.
Era stato lui, per una volta, ad essere scelto.
Ed anche se erano state le tenebre, a volerlo, qualcuno lo aveva
comunque giudicato degno di poter essere preferito ad altri, di essere
migliore ad altri, e Riku sapeva di esserlo sempre stato.
Migliore, a suo modo, di tutti.
Di Sora.
Degli altri bambini del villaggio.
Di chiunque altro.
Una presunzione che alla fine presunzione non era mai stata, non per
lui, non per chi davvero avrebbe potuto fare grandi cose, se solo fosse
stato lui, ad essere scelto come custode del Keyblade.
E c’erano state volte in cui aveva immaginato a come sarebbe
stata la sua vita se fosse stato lui e non Sora, a diventare
l’eroe dei mondi, se fosse toccato a lui il compito di
salvare
gli altri, di essere quel bambino speciale circondato da tutto quella
meraviglia, da tutta quell’ammirazione, ma poi, poi quel se
cominciava a sbiadire sotto la mano bianca che si tendeva verso di lui
e pronunciava quattro lettere in un modo diverso da quello che il mondo
era solito adottare.
Un nome facile da pronunciare, il suo, semplice da ricordare,
ma
un nome che molti nel corso della sua vita avevano chiamato senza
riuscire a ricevere da lui più di uno sguardo di traverso,
diffidente, annoiato, un nome che era stato strillato, sibilato e mai, mai
semplicemente invocato, almeno fino a quando non era stata
lei, a pronunciarlo, a chiamarlo.
E quando lo aveva fatto, quando Aerith aveva pronunciato il suo nome,
lui aveva sorriso, si era voltato,e si era riempito
il
cuore e gli occhi di quella gentilezza che aveva ingentilito
anche il suo nome, il suo viso.
Il suo cuore.
Pareva quasi prendere un altro significato, sulle labbra di Aerith,
quella parola così tanto abusata, una parola che risultava
più una spigolosa successione di lettere dal taglio aguzzo,
ma
un sussurro che si ammorbidiva se pronunciato da quella voce che nella
sua mente soffiò parole che, d'improvviso, nel ricordare
quanto
udito la notte prima, gli riempirono gli occhi
d’orrore e la voce di sibili che aveva dovuto
soffocare
contro le labbra mentre il suo cuore inciampava e rovinava in un oceano
di oscurità, venendone inghiottito, divorato da denso,
torbido
liquido nero che aveva impastato la sua bocca in una sola domanda
simile ad un ruggito.
Chi?
Chi aveva osato farle del male? Come si poteva trovare il coraggio di ferirla?
- …anche se
sono stata
braccata come un animale, anche se sono stata trattata come una cavia
da laboratorio da dissezionare e accoppiare.
La porcellana del lavabo crepò sotto la pressione delle
dita, i
denti che penetravano con forza nella carne del labbro che si
trovò a mordere a sangue per non urlare la propria
rabbia,
per non dar voce al mostro che gorgogliava nel suo stomaco e chiedeva
solo una cosa.
Un cuore.
Un cuore da strappare, rompere, spaccare e sbriciolare tra le sue dita
fino ad arrivare a stringere solo polvere.
Semplice e appagante, lo sarebbe stato, ma troppo codardo per chiedere
il nome di chi aveva provato a toglierle dal viso il sorriso, troppo
confuso sul proprio ruolo nella vita di Aerith, su quale diritto
potesse vantare per arrivare a tanto, tutto ciò che Riku
poteva
fare per lei era proteggerla ora, quando poteva farlo, e alla
luce del sole non avrebbe potuto.
Lì fuori, non avrebbe potuto, non se non avesse lasciato la
presa su quel manto di tenebra che veleggiava alle sue spalle in attesa
di tornare a coprire la sua vita e una realtà nella quale
faticava a trovare il proprio posto come Riku, ma era arrivato il
momento per lui di prendersi le sue colpe e gli sguardi di sbieco.
Era arrivato il momento di essere l’eroe di qualcuno, e aveva
scelto di essere quello di Aerith.
Un lungo, profondo respiro e un ultimo sguardo lanciato di sbieco allo
specchio fu tutto ciò che Riku si concesse prima di sfilare
il
cappuccio dal proprio capo con lentezza, quasi ad abituarsi
al
freddo che, filtrato dal collo oramai scoperto, scivolò
lungo la
schiena nuda che lo specchio rimandava assieme ad ogni sua mossa,
aiutandolo a mantenere un contatto con ciò che stava per
abbandonare, con ciò che stava per diventare.
Perché, mentre il fruscio degli abiti accompagnava il guizzo
teso delle sue pupille, mentre il pavimento accoglieva quello che un
tempo era stato, l’ombra che il buio ora avrebbe faticato a
riconoscere con quelle tonalità accese a renderlo
così
diverso, così
normale,
un nuovo viso sbucava dal collo della maglietta, e un uomo nuovo
tornava a fissare il riflesso di un Riku che non era più
Riku il
traditore, Riku l’ombra, Riku il disperso.
Ma Riku.
Riku e basta.
°°°
Il senso di colpa era uno di quei noiosi e sgradevoli stati
d’animo di cui Axel, in quanto Nessuno, non avrebbe mai
dovuto
subirne l’influenza.
Eppure, per quanto ostinatamente si sforzasse di non dar un nome e un
significato all’amarezza che gli comprimeva il
petto scosso
dall’affanno della corsa, il Nessuno sapeva con una
sconcertante
e altrettanto irritante certezza che il suo, era solo il tentativo di
ignorare il disagio che faceva fremere d’orrore le pupille
ogni
qual volta sulle pareti di mattoni che gli sfrecciavano di fianco nella
sua fuga disperata compariva un’ombra dalle fattezze
femminili.
Un’ombra dalla quale istintivamente distoglieva lo sguardo
per
paura di incrociare il verde acceso di grandi iridi nelle quali, la
sola possibilità di leggere la delusione e la consapevolezza
di
aver dato fiducia, una casa e forse, anche un futuro migliore di quello
che spettava ad uno come lui, a qualcuno che non se lo meritava, lo
atterriva.
Lo angosciava.
Anche se Axel sapeva, e aveva sempre saputo,
quanto immeritevole fosse di fronte tutto ciò che
Aerith gli aveva dato
e che lui, in un battito di ciglia, aveva scrollato di dosso come un
peso
irritante.
Attenzione. Comprensione. Qualcuno con cui condividere i propri
patimenti e nel quale trovare aiuto, un alleato.
Aveva sprecato la sua unica possibilità di non essere solo
in
quell’accanita lotta per la propria sopravvivenza, ma se da
una
parte il rimorso per aver tradito la fiducia di Aerith gli gonfiava la
gola di un ringhio frustrato, dall’altra, il palmo sottile e
sudato che sentiva ricambiare la presa nel dover superare una via meno
riparata gli ricordava che fuggire e lasciarsi inghiottire dal nulla
fosse nella loro natura.
Dopotutto, non erano che ombre.
Non c’era salvezza per quelli come loro.
Non c’era possibilità di fermarsi,
perché, se mai
lo avessero fatto, se mai avessero permesso ai loro desideri di
prendere il sopravvento sull’istinto di sopravvivenza, allora
gli
altri
li avrebbero
trovati, puniti, ed infine, gettati in pasto
all’oscurità
più nera che di loro non avrebbe lasciato che un sussurro
angosciato di chi non avrebbe mai più riuscito a trovare la
pace.
Non c’era che morte, per quelli come loro, e se non quella,
ci
sarebbe stata una lenta e dolorosa agonia che prima o poi li avrebbe
portati alla pazzia, perciò Axel correva.
Correva e nel mentre, malediva se stesso.
Malediva la sua essenza. La sua inadeguatezza. La sua impotenza. E
infine, malediva Aerith. Sì. Anche lei.
Soprattutto,
lei.
Lei che gli aveva ridato ciò di cui non aveva bisogno,
ciò che aveva abbandonato da tempo. La speranza.
La speranza di poter cambiare, di potersi salvare, di potersi fermare,
e persino, di poter avere un lieto fine come tutti gli altri.
Gli aveva concesso, semplicemente, la speranza di poter continuare a
vivere, e Axel la odiava per quello, perché ora aveva
trovato un
motivo in più per soffrire per qualcosa che non poteva
avere,
qualcosa di cui poteva solo immaginare l'entità, la sostanza.
Aerith gli aveva donato un “se”.
Se avesse
potuto seminare l’organizzazione senza dover
continuare a fuggire e nascondersi.
Se avesse
potuto trovare per sé e per Roxas un lembo di mondo nel
quale poter vivere senza dover temere di svanire.
Se avesse
potuto finalmente
capire come sarebbe stato avere qualcuno che in sua assenza
avrebbe
sentito la sua mancanza, chiamato il suo nome, regalato un sorriso.
Se, ma lui
non sapeva che farsene, dei se.
Axel, non poteva permettersi di pensare ai se, alle
possibilità,
perché lui semplicemente non ne aveva, proprio come Roxas.
Roxas che aveva sentito gli occhi pungere di
lacrime di
delusione quando, nel cuore della notte, mentre Hollow Bastion
dormiva e le risate al piano di sotto concedevano al suo spirito stanco
uno strano senso di
calore, di appartenenza, di famiglia, si era visto strattonare verso il
bagno per arrampicarsi al
davanzale della finestra e fuggire.
Dove. Neanche Axel lo sapeva. Ma lontano, il più lontano
possibile dal prescelto che non sembrava capire quanto vicino e crudele
fosse il nemico contro il quale credeva di poter vincere.
Perché non poteva. Nessuno avrebbe potuto.
- Ho trovato delle impronte qui!
L’urlo che volò sopra le loro teste giunse
inaspettato e,
Axel, notò con orrore, tremendamente vicino, troppo vicino
per non convincerlo ad imboccare alla cieca una biforcazione e
tirare a sé Roxas per allontanarsi dalla ninja che
assieme
al soldato dello sguardo di ghiaccio e alla compagnia di eroi li stava
cercando.
Prevedibile.
Axel sapeva che prima o poi si sarebbero accorti della loro assenza, ma
aveva sperato che gli concedessero almeno un paio di ore di vantaggio
prima di
doversi sobbarcare in una corsa contro il tempo che ora li vedeva
schiacciati contro un muro, con il fiato corto, e gli occhi sgranati
dall’angoscia di essere scoperti e riportati indietro.
E forse, si
ritrovò a pensare il Nessuno mentre riprendeva fiato e si
permetteva di socchiudere gli occhi con il capo ripiegato
all’indietro contro il freddo muro, questa volta
l’uomo
dallo sguardo di ghiaccio non sarebbe stato tanto permissivo nei loro
confronti.
- Credi che se ne siano andati?
Con un verso d’insofferenza volto più alla
situazione che
al sussurro concitato di Roxas Axel si costrinse a schiudere le
palpebre e fissare il compagno stretto tra le braccia con attenzione,
stiracchiando un sorriso storto per smorzare la propria e la sua ansia
mentre con una mano gli scompigliava affettuosamente i capelli.
Roxas.
Una luce morbida gli accarezzò lo sguardo quando la sua
mente bisbigliò quel nome.
Era per lui che continuava a combattere.
Era per quello sguardo sperduto. Per quelle mani sottili e bisognose di
aggrapparsi a qualcosa. Per quel sorriso che lentamente, come lo
schiudersi dei petali di un timido fiore, sbocciò nel viso
delicato che Axel sfiorò in una carezza prima di scostarsi
dal
muro e osservare con un sospiro l’ennesima biforcazione che
li
avrebbe condotti, con un po’ di fortuna, alla loro salvezza.
- Coraggio – lo incitò, avvolgendogli un braccio
attorno
alle braccia minute per sospingerlo verso destra –
è
meglio continuare prima che –
Fu un attimo.
Un lieve scricchiolio alle loro spalle, e la parola che Axel stava per
sospirare si tramutò nel ringhio minaccioso con il quale
accolse
la venuta di uno dei loro inseguitori, i denti snudati in un ghigno
sinistro e le braccia rigonfie di fiamme che nella loro languida
discesa verso il terreno illuminarono lo stretto sentiero di mattoni e
un paio di vecchi e consumati scarponi marroni che videro fermarsi
assieme alla figura flessuosa appena uscita dall’ombra
dell’arco.
- Bella serata, non trovate?
Il tono era stato fra i più affabili e leggeri, come quello
di
chi si trova a discorrere sulle bellezze del mondo con uno sconosciuto
attorno al fuoco di un falò improvvisato nel deserto, e
proprio come un girovago dall'animo curioso non ci
furono ombre nello sguardo gentile nel quale Axel aveva tanto
temuto di cogliere la delusione e l’amarezza.
Ma non c'era niente, negli occhi di Aerith illuminati dal bagliore
delle fiamme.
Nessun rammarico, disprezzo, avversione, rancore, solo, una morbidezza
piena che ingentiliva l’aria e riscaldava il cuore.
- Così – continuò Aerith con l'aria di
chi si trovava a discorrere con vecchi amici che non vedeva da tempo e
non con due fuggitivi che avevano rifiuato il suo aiuto,
fuggitivi ancora troppo scossi dall'aria rilassata della
donna per riuscire a ritrovare una qualsivoglia compostezza
– volevate andar via senza neanche un saluto?
Abbassare la testa e mormorare un mortificato ‘scusa fu
un gesto istintivo per Roxas, il primo fra i due Nessuno a reagire
all’inaspettata ma piacevole apparizione, le spalle incurvate
in
una aperta dimostrazione di rimorso a cui Aerith rispose con una risata
leggera, abbozzando un paio di passi in avanti per poter guardare da
sotto le folte ciglia castane lo sguardo che per un attimo, solo un
attimo, Axel seppe di essere stato sul punto di diventare lucido prima
che un paio di battiti di ciglia ripulissero ogni traccia del sollievo
che gli aveva stretto la gola.
Ma, nonostante tutto, la bocca continuava ad essere impastata, la voce
troppo tremante da poter fare uscire e
il cuore troppo debole per potersi permettere altro
all’infuori
di quel fissare insistente che Axel sapeva, poteva risultare
sgradevole, uno
sguardo che si tinse di nuova ansia mentre il mento di Roxas scattava
verso l’alto quando una voce maschile, livida di rabbia, si
alzò nell’aria per chiamare la donna che in
silenzio li
fissava con un sorriso.
La donna dallo sguardo mite e dal sorriso leggero che, senza curarsi di
quelle voci insistenti, fece scivolare i palmi
morbidi e asciutti verso quelli sudati e gelidi delle due figure
bardate di nero che gentilmente strinse a sè per
tirarli verso
sinistra, imboccando una strada che Axel aveva scartato e che, nel
più completo silenzio, cominciarono a percorrere un
po’
alla volta.
Lentamente.
Come se ci fosse tutto il tempo del mondo.
Ed anche se non ne avevano, anche se il pericolo di essere scoperti era
ancora dietro l’angolo, e le voci scoccavano come
dardi sopra le loro teste,
tutto ciò che Axel riusciva a pensare era che, ancora una
volta,
Aerith aveva scelto di aiutarlo a dispetto di tutto.
Di ciò che avrebbero potuto dire i suoi compagni.
Di come fossero loro nel torto.
Di come crudelmente avessero tradito la sua fiducia infrangendo la
promessa di rimanere lì, con lei.
Perché?
La domanda premeva sulle sue labbra sigillate in una linea
secca,
ma per quante volte tentasse di emettere un suono, dalla bocca di Axel
usciva solo un verso rauco come se soffrisse di arsura.
Ma era solo commozione quella che gli grattava la gola e
appesantiva lo sguardo, una riconoscenza che Roxas non
riuscì a
tenere nascosta, aggrappandosi con forza alla mano fresca e
con
lo sguardo alla schiena sottile ad un passo di distanza da
loro.
Salda, sicura, e incrollabile come niente Axel e Roxas avessero mai
visto nella loro vita.
E fu forse per quel senso di protezione, per
quell’inaspettata
consapevolezza di non dover temere nulla, con lei, che si lasciarono
trascinare senza porre domande su dove li stesse portando,
perché, in cuor loro, Axel e Roxas conoscevano
già la
risposta.
Al sicuro.
Lo scricchiolio dei sassi sotto le suole e il flebile ululato del vento
accompagnò la loro lenta avanzata per una manciata di
minuti,
minuti nei quali le voci si erano fatti distanti, il buio un
po’
meno soffocante, e la sensazione di libertà un po’
più a portata di mano.
Una libertà che Axel e Roxas ritrovarono in uno spiazzo del
quale, per
un attimo, la parte più pragmatica del Nessuno dai capelli
rossi fu confusa, perchè non c'era mai stato
un posto simile ad Hollow Bastion, e lui lo sapeva, lo
ricordava,
ma quella era una voce fin troppo flebile per poter infrangere
l’improvvisa meraviglia di cui si colorarono gli occhi di
Roxas
quando le sue caviglie vennero sfiorate dagli steli di fiori.
Fiori che riempirono lo sguardo di Axel di incanto quando il
Nessuno tentò di abbracciare completamente quel luogo che
pareva
quasi irreale come un sogno ad occhi aperti.
- Attenti a non calpestare i fiori.
Axel ingoiò il grugnito e il commento al vetriolo che era
stato
sul punto di brontolare ma che cavallerescamente si
ostinò a ingoiare, preferendo non farle notare piccatamente
quanto irragionevole
fosse la sua richiesta dal momento che
ogni.dannato.centimetro quadrato era occupato da fiori, ma se Roxas
poteva farlo, allora anche lui poteva.
Con un grugnito incastrato in
gola, sì, ma poteva farlo anche lui. Si, ce la poteva fare.
Ce la fece. E quando Aerith si decise a fronteggiarli con ancora quel
sorriso leggero ad accarezzarle il volto, Axel strizzò gli
occhi
per impedire a se stesso di non mostrare il dispiacere che lo
assalì nel sentire la presa allentarsi attorno alla sua
mano,
cosa che Roxas non riuscì a fare, incurvando le labbra e
fissando insistentemente la donna che li scrutava tra le ciglia
con aria distratta e una luce di aspettativa in fondo al verde acceso
dell'iride.
- Che aspettate? Coraggio!
La sorpresa lampeggiò sui loro volti quando Aerith
agitò d'improvviso la mano nell’aria con
quell’incoraggiamento, un incoraggiamento che oltre a
prenderli alla sprovvista, entrambi faticarono a capire per
una buona manciata di minuti, trincerandosi in un attonito mutismo dal
quale faticarono a liberarsi.
La risata che d'improvviso vibrò nell’aria si
tramutò in una
nuova ondata di sorpresa per Axel che, seppur habitué delle
stranezze di quella stramba donna, ebbe l'ennesima
dimostrazione di quanto bizzarra e sconclusionata
potesse ancora essere Aerith.
- Oh avanti – li pungolò scherzosamente con il
gomito la donna,
agitando subito dopo le braccia in un ingarbugliamento di arti che
tentavano di ritrarre qualcosa, cosa, ancora Axel, faticava a
comprenderlo – è ora di fare quella cosa che fai
sempre, il ‘puff.
- Puff ? – le fece eco Roxas con aria perplessa, sbattendo le
palpebre con aria sconcentrata.
- Avete capito – tornò a ribadire la ragazza,
poggiandosi
una mano sul fianco e piegandosi leggermente in avanti per scutarli
negli occhi e bisbigliare alla stregua di un segreto
una
confidenza che fece sgranare gli occhi di entrambi all'unisono
– la barriera
magica non arriva fin qui, potete smaterializzarvi.
Il corpo reagì ancor prima che il cervello potesse
dare
l’ordine, e quando Axel vide la propria mano sfumare in una
nuvola di fumo si trovò a rialzare sul viso di Aerith uno
sguardo sorpreso che ben presto si costrinse a distogliere quando una
nuova assurda consapevolezza si fece strada in lui.
Li stava aiutando a
fuggire.
Il sorriso sul viso di Aerith si ammorbidì assieme allo
sguardo
quando la donna colse il guizzo nervoso nella mascella di Axel e il
lieve luccicore nello sguardo di Roxas, ma non vi era nulla di
straordinario in quello che stava facendo, nulla di eccezionale.
Stava
aiutando degli amici. Nulla di più.
Non stava facendo fuggire dei criminali.
Non stava tradendo la fiducia di Leon.
Non stava facendo nulla di sbagliato, solo, quello che sapeva, era
giusto fare.
Aiutare.
Non poteva che fare quello, per loro.
Dargli un po’ di tempo in più per pensare a cosa
volessero fare, a come desiderassero vivere.
Vivere.
Non sopravvivere.
Perché era quello che avrebbero fatto
fintanto che la paura, l’angoscia e l’ansia non
avessero
permesso loro di puntare i piedi e capire che non erano soli, che non
lo sarebbero mai stati.
Un pensiero che le carezzò la voce in un sussurro che, nel
silenzio della notte e nel gelo della sera, ebbe l’effetto di
una
scarica violenta negli occhi che d’improvviso Axel e Roxas
puntarono su di lei, sul suo sorriso leggero, sul suo sguardo
comprensivo e sul quella figura minuta dall’aria fragile ma
salda
come una montagna.
Un appiglio al quale istintivamente gli arti di Roxas si
allacciarono in una stretta goffa e disordinata mentre la spalla di
Aerith accoglieva il peso della fronte
che Axel premette ad occhi chiusi mentre quelli di Aerith si
incrinavano nel percepire un
lieve tremore scuotere le membra stanche di quei corpi magri
e
nervosi che ora sembravano così fragili contro il suo, come
quelli di un bambino spaventato.
E solo.
Roxas schiuse le palpebre che aveva serrato per trattenere le lacrime
quando sentì la mano di Aerith accarezzargli la testa
un’ultima volta prima che Axel si scostasse un poco per
incrociare lo sguardo verde e stringersi lui al fianco con un lieve
cenno del capo a sancire la separazione.
Quanto lunga, non stava a loro deciderlo, e forse, non volevano neanche
saperlo.
Eppure, c'era qualcosa che poteva ancora fare, una cosa in cui Axel
aveva perso fiducia ma che, per una volta, dopo tanto di quel tempo
passato a
lasciarsi condurre dagli eventi,si decise di
tornare a fare.
Di tornare a sperare.
°°°
Eroe.
Cosa significava davvero essere un eroe?
Cosa si doveva fare per diventarne uno?
Bastava davvero solo salvare qualche vita per esserlo?
No. Riku
chiarì il proprio dubbio con una convinzione e fermezza
tale da far sembrare la risposta data a se stesso il frutto
di un profondo
rancore nutrito verso il soggetto del quesito.
Ma non lo era.
La sua era, in realtà, una semplice constatazione, una presa
di coscienza che difficilmente avrebbe potuto mutare.
Perché il modo in cui la gente lo fissava non
sarebbe mai
cambiato, neanche, se avesse cominciato a fare l’eroe,
neanche se
avesse deciso di seguire le orme di Sora.
Sora che quando passava, calamitava su di sé sguardi bonari,
grati e alle volte, persino ammirati, mentre a lui, a lui toccava la
diffidenza, la paura e persino il sospetto.
Riku mantenne l’espressione granitica e impassibile quando
sentì gli occhi dell’anziana vecchia che aveva
appena
sorriso a Sora gravitare su di lui, uno sguardo scrutatore al quale
oramai si era abituato, avvezzo com’era a ricevere ben
più
che smorfie perplesse e guardinghe, ma l’anziana lo studiava
con
una tale meticolosità da fargli credere che forse, quella
vecchia non era poi così svampita come appariva.
E ne ebbe la conferma quando la vide aggrottare le sopracciglia in un
cipiglio serio mentre una frase a cui non diede voce ma forza con lo
sguardo arrivò fino a lui come una scudisciata in mezzo alle
scapole.
Sbagliato.
L’accusa di una vita.
Quanto sciocco era stato a pensare di aver lasciato l’ombra
delle
sue colpe in quel piccolo bagno profumato di fiori, quanto ingenuo e
patetico si era scoperto a tornare, ora che era adulto, ora che avrebbe
dovuto essere più forte, più duro, più
insensibile
a ciò che di lui veniva detto, ma la decisione era stata
presa,
la maschera era stata tolta e la volontà di non sembrare ma
di
essere lo portò a ignorare la donna e guardare Sora
scambiare
ancora qualche parola con Leon prima di partire.
Partire.
Riku non aveva voluto che quello.
Partire. Lontano. Scoprire mondi nuovi. Visitare luoghi sconosciuti.
Era tutto a portata di mano ora, non più il sogno di un
bambino
sognatore, non più il desiderio mai del tutto esaudito di un
ragazzino deluso, ma la reale e concreta possibilità che
tuttavia Riku aveva rifiutato.
Ironico.
La sua vita non faceva che tingersi di ironia ogni volta.
Poco tempo prima avrebbe dato di tutto per accompagnare Sora nei suoi
viaggi, salvare mondi, diventare un eroe, mentre invece, ora, tutto
ciò che voleva era rimanere fermo in un posto.
Era cambiato tutto.
Lui. Il suo modo di pensare. I suoi motivi per combattere, ed ora,
anche il suo desiderio più grande.
Scoprire. Sì, ma non più un mondo, non
più un posto lontano, ma una persona.
- Sei sicuro di non voler venire con me ?
La domanda giunse all’udito di Riku come un sussurro lontano,
perso com’era in pensieri che avevano fatto nascere
involontariamente sul suo viso un’espressione concentrata, ma
quando i suoi occhi si focalizzarono sull’aria dubbiosa di
Sora e
non più su un’immagine che inconsciamente si era
messo a
cercare nei ricordi, Riku si trovò a dare un cenno di
conferma
all’amico di una vita.
Un cenno sicuro come forse mai le sue decisioni erano state, e Sora,
che
conosceva la sua ostinazione nel raggiungimento di quanto prefissato,
non potè che incurvare le spalle con aria sconfitta prima di
sentire la mano salda di Riku stringergli la spalla mentre un sorriso a
labbra strette si apriva sul viso pallido del ragazzo.
- Ci rivedremo presto.
Tanto bastò a Sora per tornare a sorridere, ed anche in
quello,
Riku, trovò un motivo in più per
sottolineare la
differenza tra lui e Sora.
Tra l’eroe e l’anti-eroe.
Ma andava bene così, se lo ripetè mentre il viso
sorridente del suo migliore amico svaniva in un cono di luce, se lo
ricordò quando lo sguardo livido di Leon si puntò
su di
lui con la violenza di uno sparo quando il motivo della sua presenza
lì venne meno.
- Stai andando da lei?
Non ci fu bisogno di specificare a chi fosse riferito quel lei
ringhiato tra i denti, lo strascico di una rabbia che il soldato non
sembrava aver ancora digerito, non dopo ciò che
Aerith
aveva fatto la notte scorsa.
Quando, dopo l’infruttuosa caccia ai fuggitivi si erano
ritrovati tutti
nel laboratorio di Merlino per ragionare su una nuova
modalità
di ricerca e Aerith, da poco rientrata dal suo giro di perlustrazione,
aveva confessato candidamente di aver lasciato andare Axel e Roxas, la
rabbia di Leon non aveva fatto in tempo a manifestarsi in tutta la sua
devastante violenza che il ‘non
erano prigionieri di Aerith
aveva arginato il fiume di parole e la rabbia che l’uomo
aveva
ingoiato di fronte allo sguardo saldo della donna.
Occhi verdi capaci di tramortirti con la forza di quello
sguardo di vetro verde, una forza contro la quale Leon aveva dovuto
cedere, rinfoderando le domande e le maledizioni e trincerandosi dietro
un mutismo che, a detta di Aerith, sarebbe venuto non appena avesse
sbollito la rabbia.
Una rabbia che Leon non si faceva però problemi a sfogare su
di
lui ma che Riku faceva cozzare contro il proprio gelido disinteresse,
proprio come si decise a fare anche in quel momento, ignorando
l’aperto scontro che il soldato cercava per andare dalla
donna
per cui aveva deciso di restare.
Non fu difficile trovarla.
Yuffie lo aveva già informato sui posti in cui Aerith amava
soffermarsi a pensare.
E sebbene la ninja gli avesse dato modo, con
quell’informazione,
di sfoltire le numerose possibilità, Riku aveva avuto lo
strano istinto di cercare per primo il posto nella conca, lì
dove
Merlino gli aveva confessato che la sua allieva amava passare del tempo
con Axel.
Bastò il solo pensiero di quel nome a far nascere sul viso
di
Riku una smorfia mentre i suoi occhi mettevano a fuoco la
schiena di Aerith in lontananza e un ricordo richiamava alla
mente
l’irritante voce del Nessuno che lo aveva
disturbato
durante la sua lotta interiore nel bagno della casa.
“- Ehi fiore
di luna, il bagno
serve anche agli altri sai? Hai finito di metterti il rossetto o ti
serve altro tempo per farti le unghie?
Quando la porta si
aprì, lo
fece con uno schianto secco che fece sobbalzare Roxas ma non lui,
non l’uomo dalla chioma color fiamma che Riku si
trovò a fissare in cagnesco mentre Axel, quasi estraneo
all’aria tesa che cominciava a frizionare tra loro, si
trovava ad
allargare un sorriso scaltro ed ad aggirarlo per sistemarsi i capelli
con noncuranza guardando attraverso lo specchio, tra una sistemata ed
un sorriso scanzonato gli abiti che sembravano finalmente dare
un’età a quel ragazzino impertinente
prima che Riku,
accortosi di quel fastidioso e inopportuno scrutamento, lo
fulminasse con lo sguardo.
- Problemi?
–
soffiò malevolo il Nessuno, una mano corsa a lisciare con
accuratezza il collo della giacca che Aerith aveva ripescato da uno dei
bauli di quel vecchio strambo dal cappello a punta per dare a lui e
Roxas qualcosa da indossare.
Un verso di insofferenza
fu tutto
quello che Riku gli concesse prima di voltarsi ad osservare il Nessuno
di Sora e rifilargli una spallata per la quale Roxas si
trovò a
strizzare gli occhi prima che Axel lo fulminasse con
un’occhiata cattiva.
- Vedi di tenere il tuo
amico lontano
da Roxas e da me se non vuoi che si faccia
male– nella sua voce
Riku captò una scia di rancore fin troppo violento
per non farlo reagire, per non farlo ruggire.
- Sarai tu quello a
farsi male, invece, se non smetti di mostrarti così ingrato.
– lo riprese con un sibilo.
- Ingrato? –
ringhiò il Nessuno, ruotando il busto per mettere a
fuoco il profilo
affilato del ragazzo dai capelli di argento
– Io? E
per quale motivo sarei un ingrato?
Riku fece forza sul suo
buon senso
per non metter mano alle armi, le labbra agitate da un ringhio che si
costrinse a rigettare in fondo alla gola assieme a parole che avrebbero
acceso la miccia di una tensione che faticava a ignorare.
- Perché
hai ancora una voce per parlare.
Credere davvero di non
stracciare il
filo sul quale entrambi si erano trovati a fare i trampolieri era stato
sciocco, era stato inutile, ma quando i loro corpi si tesero come archi
pronti a scoccare frecce avvelenate ci fu un muro a franare loro in
mezzo, una barriera umana che Roxas rappresentò nello
scivolare
di fianco al compagno, afferrandogli l’avambraccio e
frapponendosi tra loro con sguardo serio.
- Levati di mezzo
– gli
ringhiò contro Riku in un eccesso d’ira, la mano
libera
dall'arma corsa ad afferrare il polso che il Nessuno di Sora gli
lasciò prendere, ma solo per averlo tanto vicino da poterlo
guardare negli occhi e fargli leggere
l’irreprensibilità
del suo gesto, l’irremovibilità del suo cuore.
- Aerith non ne sarebbe
felice se venisse a sapere quello che stavate per fare.
Axel lo
liberò dalla presa
ferrea di Riku con uno scrollo nervoso del braccio, scortando il
compagno sul primo gradino sul quale lui si fermò
mentre
Roxas lo precedeva nella discesa delle scale e Riku rimaneva indietro,
lo sguardo proiettato in avanti ma la mente rimasta indietro, in quel
bagno stretto dal grazioso lavabo rosa dal quale si decise a
distogliere lo sguardo poco prima calato nuovamente quando lo
udì parlare.
- Non esistono solo gli
eroi in
questo mondo, tu per primo sai che dall’altra parte della
barricata ci sono persone di cui non importa a nessuno – lo
sentì sussurrare come se avesse paura di alzare la voce, di
rendere altri coscienti della sua presenza – e sai che quando
la
morte tocca chi si trova dall’altro lato questa
conta poco
più di una goccia d’acqua gettata in un oceano,
per questo
non devo niente, né a te, né al vostro salvatore
dei
mondi. Se anche noi morissimo, se svanissimo da un momento
all’altro voi non ve ne rendereste neanche conto, non ve ne
accorgereste.
Perché non
siamo eroi, non
siamo indispensabili, non siamo i protagonisti, siamo solo delle ombre
di passaggio, e nessuno piangerebbe per delle ombre.
E fu su
quell’ultima parola, su
quella più breve ed intensa emissione di fiato che Riku si
voltò per incrociare gli occhi che in silenzio lo fissavano,
ricordandogli una cosa che lui sembrava dimenticare troppo
spesso.
- E perché
non è stato lui, a salvarci.
L’asse
scricchiolò
rumorosamente prima che il Nessuno svanisse oltre il primo scalino, una
scia di vento freddo che spirava d’improvviso, ecco cosa
sarebbero stati loro, cosa sarebbe stato lui.
Una brezza di passaggio,
un tocco che
sarebbe durato un battito di ciglia, troppo poco per venire ricordato,
visto come più di quello che era.
Un viso, un nome,
un’ombra che con il tempo sarebbe sbiadita fino a scomparire.
Perché lui
non era
l’eroe, lui non sarebbe divenuto qualcuno di cui il mondo
avrebbe
sentito la mancanza, ma sarebbe rimasto un ragazzo sperduto in un mondo
di tenebre che lo aveva inghiottito, che lo aveva mangiato fino a non
lasciare nulla se non ossa e il sentore della paura.
Un mondo dal quale Riku,
nel
discendere le scale e nell’incrociare a metà di
queste lo
sguardo sollevato del custode del Keyblade, si ricordò di
non
essere stato salvato da Sora.
Quando Riku riaprì gli occhi socchiusi per meglio
focalizzare il
ricordo ciò che trovò di fronte lo
portò ad
aggrottare le sopracciglia con una nota di confusione quando Aerith
entrò completamente nel suo campo visivo.
Gli stava di profilo, con la lunga treccia abbandonata in grembo alla
cui fine il ragazzo riconobbe con un certo imbarazzo la propria benda,
ma dal modo in cui teneva le palpebre leggermente socchiuse e il viso
reclinato di lato non pareva essersi accorta di lui.
Bizzarro, ma la sua attuale distrazione gli diede modo di scrutare un
po’ più approfonditamente la donna che gli stava
davanti
con un’aria che per un attimo gli parve malinconica, e triste.
Riku non capì perché la sua mente scelse proprio
quell’aggettivo, ma c’era qualcosa di profondamente
triste
nel profilo di Aerith, come se vi fosse un velo a dividerla dal mondo
che in quel momento non sembrava vedere.
Era una persona misteriosa, Aerith.
E avventata, alle volte.
Quello Riku lo aveva pensato fin da bambino, dal modo curioso e quasi
ingenuo con il quale la donna approcciasse gli
sconosciuti, dal suo modo innocente di sorridere a chiunque,
persino a lui.
All’inizio aveva scambiato
l’impavido
comportamento della giovane come ingenua curiosità, benevole
ignoranza, ma Aerith sembrava capire più di quanto desse a
vedere.
Era solo una sensazione quella di Riku, ma qualcosa gli diceva che il
più delle volte, quando Axel o Leon provavano ad attirarne
l’attenzione, lei stesse ascoltando altre persone oltre a
loro,
quasi ci fossero altre creature con le quali dialogare.
Persino in quel momento Aerith sembrava ascoltare
pazientemente
il racconto di un fantasma, perché non c’era nulla
davanti
a lei, nulla se non un una conca di terra e sabbia e il vento a
soffiarle nei capelli.
E il vento non parlava. Non in quel mondo. E non con gli esseri umani.
Fu dunque per istinto più che per un vero e
proprio desiderio di
farsi notare che Riku la chiamò, così da
strapparle dal
viso quell’espressione malinconica e non sentirla
così
distante, così lontana da lui.
Troppo lontana per poterlo sopportare.
- Aerith ?
Un piccolo sussulto scosse il profilo immobile della fioraia a quel
richiamo, e per un
attimo Riku si maledì per averla spaventata, ma quando,
sbattendo un
paio di volte le palpebre come a riprendersi da un sogno, Aerith si
voltò a guardarlo con un velo di sorpresa ad accenderle lo
sguardo, il ragazzo scacciò il rammarico per sorriderle a
labbra strette.
- Ho deciso di rimanere.
La sua era stata una constatazione alquanto sciocca, come se Aerith non
potesse vederlo lo rimproverò la propria
coscienza,
come se non lo avesse intuito dalla sua presenza
lì, e per un attimo Riku si trovò a maledire se
stesso e
quella goffagine che lo assaliva proprio di fronte a lei,
ridicolizzandolo, lei che però si
limitò a sorridergli conciliante e con quella che
intuì e
in cuor suo sperò essere sollievo, prima di tornare a
rimirare
il cielo con le mani unite abbandonate in grembo.
- Scusami se non ti ho risposto prima, una vecchia abitudine
– la
sentì sussurrare sofficemente tra sè e
sè, picchiettando la mano
sul posto vacante accanto al suo che Riku guardò incerto
prima di
osservare il suo profilo e decidersi con un sospiro a sederle di fianco.
Rimasero in silenzio per quelle che gli parvero ore, ma quello fu un
silenzio che a Riku trasmise quiete e pace, tanto che si
trovò a sua volta a chiudere gli occhi e ascoltare il vento
come
Aerith, nella speranza, magari, di capirla un po’ di
più e
svelare il mistero che si celava dietro quello sguardo che, qualche
volta, si colorava di tristezza.
Strano come il solo respirare potesse trasmettergli una
simile tranquillità, a quanto calmante fosse
inspirare,
espirare.
Dentro. Fuori.
Dentro. Fuori.
- Riku?
Sentirsi chiamare per nome fu più destabilizzante di quanto
mai
avesse creduto, e fu per puro orgoglio che Riku non si voltò
a
guardarla, costringendosi a tenere le palpebre chiuse per impedirsi di
mostrare l’evidente sgranarsi delle pupille che gli
avrebbe
dato le sembianze di un bambino spaventato, e lui, lui non voleva
essere più un bambino.
- Hmm.
La sentì sorridere.
Un pensiero bizzarro il suo, perché il sorriso non faceva
rumore,
eppure, anche a palpebre chiuse, Riku potè giurare
di aver
sentito un sorriso increspare le labbra di Aerith che, a sua insaputa,
stava ammirando il profilo tagliente del suo viso che
con il rosso accesso del tramonto come sfondo sembrava capace
di fendere il cielo.
- Sono contenta che tu sia rimasto.
Un tremore nelle dita.
Riku riuscì a catalizzare la sorpresa, l’emozione
e il
turbamento in quel semplice e all’apparenza naturale reazione
al
freddo della sera mentre sentiva levitare su di sé lo
sguardo di Aerith,
penetrante e probabilmente bellissimo con le luci delle prime stelle a
illuminarle il viso, ma quello se lo tenne per sè,
aspettando di
sentirla muoversi per tornare a guardare in alto il cielo che da
bambino lui aveva fissato con meraviglia chiedendosi se fosse lo stesso
in ogni parte del mondo.
Un cielo che i suoi occhi sbirciarono da sotto le ciglia grigie,
trovando la risposta a quella vecchia e sciocca
domanda rivolta al vuoto nel silenzio della sua stanza.
Perché quello, quello era il cielo più bello che
avesse mai
visto, ma anche quello, se lo tenne per sé, tornando a
chiudere
le palpebre e a tacere assieme al breve luccicore negli occhi
quell’anche io
che il sole morente portò via con sé
assieme al suo sospiro di sollievo.
Continua…
In ritardo, tremendo ritardo, ma l’ispirazione è
una
bestia rara che poche volte, se si è fortunati, si riesce ad
imbrigliare e la mia nell’ultimo periodo mi ha rifuggito come
la
peste.
Ringrazio chi ancora, nonostante la lunga pausa tra un capitolo e
l’altro, continua ad interessarsi e a leggere la storia.
Dedico questo capitolo alla gentilissima Kelloggs Snowflakes
che
ringrazio con un inchino per il commento e per i complimenti, davvero,
grazie infinite.
Un saluto,
Hagne
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