Dietro la pelle di Eralery (/viewuser.php?uid=116009)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aprile 1977 - Maggio 1978 ***
Capitolo 2: *** Ottobre 1978 - Giugno 1979 ***
Capitolo 3: *** Agosto 1979 - Ottobre 1979 ***
Capitolo 4: *** Dicembre 1979 - Maggio 1980 ***
Capitolo 5: *** 5. Giugno 1980 - Luglio 1980 ***
Capitolo 1 *** Aprile 1977 - Maggio 1978 ***
dietro la pelle
Autore: Eralery. Titolo: Dietro la pelle. Personaggi: L’Ordine della Fenice, Marlene
McKinnon, Mangiamorte, Regulus Black, Un po’ tutti. Pairing: Marlene/Regulus. Contesto: Malandrini/Prima guerra magica – da
aprile 1977 ad agosto 1980. Avvertimenti: Het, What If?, forse OOC. Genere: Drammatico, Sentimentale,
Introspettivo. Rating: Giallo. Prompt utilizzati: Prigionia, animo, libertà, spavento
(inteso come ‘paura’), malvagità. Beta: Blankette_Girl ♥ Introduzione: E nonostante tutto, che si
trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa
che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o
distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire.
Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del
giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne
accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato
circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia,
superiorità e disprezzo che doveva provare. Ma stava a lui decidere, in
fondo. NdA: Cara mia, preparati a delle note un
po’ lunghine. Allora, come ti ho già detto, il
titolo della storia, Dietro la pelle,
è una doppia citazione: a te, con Sulla
tua pelle, e a Skins, perché Effy nella 4x05 dice quelle parole. Dietro la pelle, però, non è solo una
citazione; in questa storia, infatti, ho cercato di mostrare quel che loro
hanno dietro la maschera, dietro la pelle, di mostrare la loro anima, in un
certo senso. Non so se ci sono riuscita, comunque. Comunque. La storia percorre l’arco
di tempo tra l’aprile del ’77 all’agosto del '80: questa shot (posso chiamarla
così? D:) è in ordine temporale, e ogni pezzettino equivale ad un mese diverso
– ma vaaaaa *capitan ovvio*. Ecco, vorrei chiarire una cosa:
Voldemort non ha ancora il ministero dalla sua parte, in quel tempo, lo
acquisterà, per me, solo dopo la morte di Regulus. ^^’’ Un’altra cosuccia: ci sono dei pezzi
non Reglene, perché comunque credo che l’evoluzione di Regulus sia una parte
importante sia per il suo personaggio che, in un certo senso, per la coppia. I
motivi per cui Regulus inizia ad avere dei dubbi e a cambiare idea sono
spudoratamente ispirati alla meravigliosa fan fiction su Regulus di Julia
Weasley, “Eroi non si nasce, si diventa”,
così come i dialoghi del mini pezzo tra Severus e Regulus. Volevo metterlo in
chiaro fin da subito perché il merito va tutto a quel genio, senza la quale io
mi sarei persa completamente. C: Ho paura di essere andata un po’
OOC. Mi spiego: la mia Marlene è una nata babbana, perciò probabilmente Regulus
non l’avrebbe calcolata più di tanto. Ma se Marlene è babbana, è perché, a mio
parere, da più spessore alla coppia. Il come lo vedremo più avanti. Comunque… Il prompt su cui mi sono
soffermata maggiormente, anche se non da subito, è prigionia. Prigionia
perché Marlene, essendo, appunto, Nata Babbana, fuori da Hogwarts si ritrova
più volte le strade sbarrate. Prigionia, perché Regulus ha avuto un’educazione
ferrea, chiusa e severa: una prigione dell’anima, e Marlene è l’unico modo che
ha trovato per uscirvi e trovare un po’ d’aria non viziata. Prigionia, perché
il loro rapporto non sarà mai semplice e, in fondo, del tutto vero: avere gli
occhi chiusi non aiuta a trovare la luce. Ma ora come ora, rileggendo questa
storia, io direi anche animo e libertà: la liberta di Regulus,
che sta nelle sue scelte, e molte di esse sono dovute a Marlene; la libertà di
Marlene, limitata, costretta, ma comunque talmente grande da bastare per due. Animo perché qui credo ci siano
loro.
Dietro la pelle.
«Sai perché le particelle
subatomiche non obbediscono alle leggi della fisica? Si muovono secondo il caso, il caos,
la coincidenza. Si scontrano l’una con l’altra nel
mezzo dell’universo e poi c’è il bang! e l’energia. Noi siamo come loro». (Skins UK)
1.
Aprile 1977 (quinto anno)
Seduta per terra, sul pavimento di pietra di uno dei corridoi del quarto piano,
Marlene si rigirava la propria bacchetta di legno d'acero tra le dita, facendo
partire, di tanto in tanto, qualche scintilla dalla punta. I capelli mossi e
biondi erano raccolti in una treccia disordinata dalla quale scappavano molti
ciuffi, visto che se li era fatti da poco scalare da una sua compagna di
dormitorio. Il bordo inferiore della camicia, lasciato scoperto dal maglione
forse un po’ troppo corto, era stropicciato, così come anche le maniche candide
che spuntavano fuori da quelle grigio scuro.
Quando la porta accanto a lei si aprì, Marlene sollevo in alto il mento. Jenny,
una delle sue più care amiche, era un Prefetto, e lei non poteva certo
aspettare il ritorno in stanza per raccontarle tutto!
Non appena la testa riccioluta e castana dell’amica spuntò fuori dalla porta,
Marlene scattò in piedi, sfoggiando uno dei suoi soliti, enormi sorrisi
raggianti. Jenny sgusciò fuori dalla piccola folla di Prefetti e la raggiunse,
mentre quella riponeva la bacchetta in tasca.
“Léne!” esclamò, ricambiando il sorriso.
Marlene la travolse in un abbraccio per qualche secondo, prima di lasciarla
andare e iniziare a spostare il peso da una gamba all’altra. Marlene era così:
non riusciva mai a stare ferma, aveva bisogno di muoversi e di avvertire
movimento attorno a lei; l’immobilità la deprimeva, Jenny a volte pensava le
facesse addirittura paura. Poi, la bionda disse: “Ti devo raccontare un sacco
di storie, Jenny!”
“Andiamo in camera?” domandò allora quella, inclinando appena la testa di lato.
“Sì, ti racconto mentre andiamo,” annuì, e sembrava una bambina a cui viene
donato uno di quei lecca-lecca grandissimi e coloratissimi.
“D’accordo,” le sorrise Jenny. “Prendo una cosa in aula e torno subito.”
Marlene annuì di nuovo e mentre l’amica rientrava, si passò una mano sui
capelli e sul collo. Poi si osservò le punte delle scarpe, dondolandosi
leggermente in avanti ed indietro. Ancora, si guardò attorno, chiedendosi
perché l’amica ci stesse mettendo tanto – okay, erano passati solo due o tre
minuti, ma ormai Jenny avrebbe dovuto sapere quanto odiasse aspettare.
“Hai perso qualcosa?” la richiamò una voce piatta.
Si girò rapidamente, con una mezza giravolta come suo solito, sorridendo
affabilmente al ragazzo dai capelli neri che la guardava da qualche metro più
in là: “Sì, la stanza mi ha rubato l’amica!”
Regulus inarcò le sopracciglia, scettico, per poi scrollare le spalle e
andarsene. Mentre Jenny usciva nuovamente dall’aula, Marlene urlò un allegro:
“Comunque ciao anche a te, Black!”
*
Settembre 1977 (sesto anno)
Regulus era seduto in uno degli scompartimenti del quarto vagone, quando sentì
una risata allegra e forte accompagnare il cigolio della porta che si apriva.
Alzò lo sguardo dal libro, mentre una testa bionda faceva capolino dal
corridoio con altre due more dietro.
“Micetto!” esclamò – o meglio, quasi urlò – la voce di Marlene McKinnon.
“Possiamo sederci?” aggiunse poi, accennando a se stessa e alle sue due
compagne.
“No,” rispose pacatamente Regulus, riaprendo il libro all’ultima pagina che
aveva letto.
Lei si corrucciò, arricciando le labbra in una smorfia da gatto insoddisfatto:
“Ma i posti sono tutti vuoti! Ci sei solo te!”
“Su, Black, per favore!” s’intromise anche una delle altre due – Jenny Mc-qualcosa, ricordava vagamente Regulus,
che in quel momento stava inarcando ancor di più le sopracciglia scure.
“Fallo per quella lezione di Pozioni in compagnia della sottoscritta!” continuò
Marlene, riprendendo a sorridere, raggiante come sempre – aveva un bel sorriso,
Marlene, e ti chiedevi come avesse fatto a mantenerlo, in un periodo del genere.
“Il calderone è esploso,” le ricordò il ragazzo, parlando lentamente, come se
avesse davanti un bambino di cinque anni. “È esploso in faccia a me, mentre tu controllavi se per caso
qualcosa ti avesse rovinato lo smalto blu.”
Marlene aprì la bocca per ribattere, pronta a difendersi – e difendere il
proprio smalto, perché diamine, lo smalto è importante! – ma una sua compagna
sbuffò sonoramente e strattonò le altre due per un braccio. “Léne, Jenny,
andiamo, su,” sbottò con malagrazia – tipica
dei Grifondoro, pensò Regulus come se fosse la cosa più naturale del mondo
(e forse, per lui, lo era).
La ragazza di nome Jenny annuì e seguì l’altra, palesemente stizzita. Marlene
rimase un attimo lì, ricambiando l’occhiata scettica del ragazzo con il solito
sorriso tutto denti: “Tanto lo so che avresti detto di sì, se potessi!”
“Ah, sì?” chiese Regulus, mentre la voce di una delle altre due chiamava ancora
Marlene. “E perché?”
“Perché blu,” rispose Marlene, andando poi via con passo vagamente saltellante.
*
Gennaio 1978 (sesto
anno)
Il volto di Marlene era rigato da lunghi fili di
dolci appesi al soffitto. Gli occhi azzurri, grandi e truccati con matita e
rimmel, erano limpidi ed ingenui come al solito. Mielandia le era sempre
piaciuta: per lei, nata e cresciuta fino agli undici anni nel mondo Babbano,
quello era il paradiso – rane di cioccolata che saltavano, caramelle che ti
sollevavano da terra, scarafaggi di gelatina a grappolo: era meraviglioso.
“Marlene, hai fatto?” la chiamò Audrey, una ragazza di Tassorosso con cui aveva
fatto amicizia il mese prima.
“Sì, quasi,” rispose calma lei. “Se vuoi uscire, mi aspetteresti fuori? Devo
prendere alcune cose!”
“Certo. Ti aspetto fuori, intanto mi faccio una sigaretta,” rispose, uscendo
dal negozio, seguita dal rumore di una porta che sbatteva e di campanellini che
si scontravano tra di loro.
Marlene rimase così ancora un po’, giusto due minuti, osservando i mille colori
e le varie forme delle caramelle appese che aveva davanti. Solo quando la
caramella che aveva preso come ‘misura’ ripeté un colore già visto, si
raddrizzò e si sistemò meccanicamente la gonna con un gesto della mano.
“Che stavi facendo?”
“Blacky!” esclamò, raggiante, con un sorriso a trentadue denti. Vedendolo
storcere la bocca in una smorfia, aggiunse senza scomporsi: “Preferisci Regghy?
O lisca di pesce?”
“Scusa?”
“Scusa cosa?”
Regulus aprì la bocca per replicare, ma la richiuse dopo poco, limitandosi ad
una scrollata di spalle e ad un appena accennato abbassarsi di palpebre. “Che
stavi facendo, comunque?” chiese nuovamente, raddrizzando un po’ la schiena.
“Guardavo le caramelle,” rispose con semplicità la ragazza, annuendo alle
proprie parole e facendo così muovere le ciocche bionde che aveva lasciato
libere sulle spalle, coperte da un cappotto di fattura Babbana.
“Hai sedici anni o ne hai sei?”
Marlene arricciò il naso, un po’ infastidita. “Mi stai dando della bambina?”
“Forse,” sillabò Regulus, impassibile. Immobile
– pensò Marlene. Quelle labbra raramente si piegavano in un sorriso, mai in una
risata – lei, perlomeno, non l’aveva mai udito ridere – e il movimento più
usuale di quel volto era quello scettico e dannato inarcare le sopracciglia.
“Blacky,” iniziò con fare amorevole, inclinando la testa di lato e sorridendo.
“Ti sembro una bambina?”
Regulus si soffermò sul volto, scendendo poi fino alle spalle. Giunto a quel
punto, rialzò lo sguardo, imperturbabile, mentre la risata trillante della
ragazza gli giungeva alle orecchie.
“Merlino, poi sono io la bambina,” rise Marlene, afferrando un pacchetto di
Cioccorane e passargli accanto per andare alla cassa. Così facendo, gli pizzicò
un fianco, facendolo piegare appena.
Sorrise. Ti sei piegato, non sei immobile
come vuoi sembrare.
*
Febbraio 1978 (sesto
anno)
“Perché ti parla?” le domandò Astris, con gli
occhi verdi sgranati e l’espressione confusa.
Marlene si strinse nelle spalle, spazzolandosi i capelli e controllandosi nello
specchio del bagno del terzo piano. “Boh,” si limitò a rispondere e rimise la
spazzola dentro la borsa. Si controllò nuovamente, passandosi un dito sotto
l’occhio destro per cancellare un piccolo sbafo di matita.
“È strano.”
“Mmh, Blacky non mi è mai sembrato molto normale. O sbaglio?” ridacchiò
Marlene, voltandosi verso l’amica, che era seduta per terra con la schiena
poggiata al muro, e appoggiandosi al lavabo dietro di lei.
“Un po’ strani lo siamo tutti,” commentò l’altra, sbattendo le palpebre
velocemente. “Anche io e te siamo strane. Anche Xeno è strano. Siamo tutti
strani.”
Marlene rise forte, gettando la testa all’indietro e socchiudendo gli occhi.
“Forse hai ragione.”
“Tu cosa vuoi fare?” chiese ancora Astris, mentre l’altra si accendeva una
sigaretta con un accendino Babbano.
“Non so,” rispose, aspirando del fumo. “Niente, credo. È troppo magro.”
“Non intendevo quello,” disse Astris, guardandosi con attenzione una ciocca di
capelli biondo sporco. “Non hai paura di legarti?”
“Legarmi? A Black?” esclamò, ridendo con maggiore intensità. “Non corro nessun
pericolo, Ast, tranquilla. È un misantropo, quello.”
“Secondo me, ha solo troppi Gorgosprizzi per la testa,” ribatté l’altra, con
quell’aria perennemente spaesata. Marlene l’adorava anche per quello, perché,
nonostante molti la credessero matta, Astris ti faceva ridere, con quelle sue
uscite quasi ad effetto. Distraeva, in un
certo senso; distraeva dalla guerra e dal destino che Marlene sapeva già di
avere.
*
Maggio 1978 (sesto anno)
La pioggia che
continuava a battere e la scopa sulla spalla coperta dall’uniforme della
propria squadra, Regulus stava percorrendo la distanza che c’era tra il campo
da Quidditch e gli spogliatoi. I vestiti gli si erano appiccicati al corpo
magro e un po’ gracilino, i capelli neri e lunghi ricadevano ai lati del volto
infervorato e le labbra erano dischiuse in una smorfia seccata.
Quando arrivò agli spogliatoi e vide una ragazza bionda poggiata al muro,
riparata appena dalla pioggia scrosciante, sbuffò. “Salazar, mi perseguiti.”
Marlene si corrucciò: sporse il labbro inferiore in avanti come era solita fare
e aggrottò la fronte. Poi arricciò gli angoli delle labbra e ribatté: “In
realtà stavo aspettando Smith.”
Regulus rimase immobile per un attimo, e in quell’attimo Marlene l’odiò con
tutta se stessa: Regulus poteva permettersi di rimanere fermo, immobile, ed aspettare finché voleva,
perché non c’erano scadenze sulla sua testa, sul suo cuore, sulla sua vita. A
Marlene, invece, tutto ciò non era permesso: a volte pensava addirittura di
avere un foglietto appiccicato sulla nuca con su scritta la data di scadenza – come sui prodotti che puoi
comprare al supermercato.
“Buon per te,” sviò Regulus, alzando le spalle. Un po’ di fastidio, sotto
sotto, quelle parole gliel’avevano procurato: era strano, il legame che si era
creato tra di loro. Forse legame è una parola troppo forte per descrivere una
situazione come la loro, ma a Regulus non venivano in mente altre parole. E nonostante
tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di
malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa
che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non
sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo
via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno
senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e
si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che
sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.
Fuori o dentro, Regulus. Luce o buio.
Imprigionato o libero, fuggitivo.
Marlene, intanto, annuì impercettibilmente e le sue labbra si mossero appena
nel mormorare parole che mai giunsero all’orecchio di Regulus; poi si
raddrizzò, si sistemò la gonna della divisa ed i capelli e lo oltrepassò
dicendo semplicemente: “Già.”
Forse non era quello il giorno della
luce. Forse non lo sarebbe stato mai.
***
La fanfiction partecipa al contest "A White Rabbit whit pink eyes ran close by Alice", indetto da Daphne Kerouac sul forum di Efp. Per chi fosse interessato, QUESTA è la mia pagina, dove ogni tanto potete trovare qualche novità sulle storie in corso e in pubblicazione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Ottobre 1978 - Giugno 1979 ***
Dietro la pellus
2
Ottobre 1978 (settimo anno)
C’era Marlene che correva verso la serra con i libri in mano ed Astris di
fianco, mentre ridevano con allegria ed i capelli finivano sugli occhi e sulle
guance e sulle labbra. Non sapeva perché stessero ridendo così, Marlene, sapeva
solo che si sentiva bene. Astris era arrivata, quella mattina, sorridendo
nonostante tutto quel che stava succedendo fuori da Hogwarts e le aveva
mostrato una foto di lei, con un retino da farfalle in mano, e Xeno che la
stringeva, e Marlene l’aveva abbracciata ed era scoppiata a ridere senza un
perché.
Non sempre bisogna avere un motivo per
ridere, Marlene. Si ride e basta.
Astris le prese la mano e iniziò a correre più forte, con Marlene che vedeva
solo la sua massa di capelli biondo sporco al vento, al contrario dei suoi,
legati in una coda alta e approssimativa.
Lo fai se ne hai bisogno.
Marlene rise ancora, rise più forte, forse per dimenticare sua madre e
ricordarne solo le rare perle di saggezza che le aveva impartito prima di
lasciare lei e i suoi fratelli per sempre.Lo
fai se ne ha bisogno qualcun altro.
Regulus passò in quel momento, e quando incrociò lo sguardo azzurro di
Marlene fu solo per un istante: abbassò gli occhi di colpo, lanciando
un’occhiata al proprio avambraccio sinistro. Ma Marlene non sapeva, non poteva
sapere – Marlene era ingenua, Marlene era considerata una ragazzina che pensava
solo a divertirsi e a se stessa –, e gli sorrise con spensieratezza mentre
continuava a correre.
Lo fai se senti di voler veder sorridere
qualcuno.
*
Marzo 1979 (settimo anno)
“Oggi non ti sei truccata,” decretò un Regulus apparentemente annoiato, mentre
si fermava, in piedi, accanto a lei, sui gradini di pietra della Guferia.
Marlene nemmeno alzò gli occhi dal Lago che s’intravedeva in lontananza, seduta
proprio di fianco alle gambe di Regulus. Poi rise appena, con le spalle che si
alzavano e si abbassavano, finendo con il poggiare una tempia sul ginocchio di
lui.
“Che c’è?”
“Grifondoro ha perso la partita di Quidditch,” sviò allora lei, giocando con la
sciarpa rosso ed oro che aveva al collo.
“Già,” commentò Regulus, sforzandosi di non ghignare al ricordo della
schiacciante sconfitta dei Grifondoro. “Senza Potter siete delle mezze
calzette.”
Marlene trattenne a malapena un sospiro: Regulus Black non era una persona
empatica, lo si poteva capire anche da come, in quell’ultimo anno, aveva preso
ad isolarsi. Prima lo si poteva vedere in giro con Barty Crouch, Effy Stonem e,
di tanto in tanto, con Severus Piton, che si era diplomato l’anno prima. Poi,
sin dall’inizio del nuovo anno scolastico, Regulus aveva iniziato ad
allontanarsi anche da loro – Marlene ricordava di aver sentito, una volta,
verso dicembre, i singhiozzi della Stonem provenienti da un gabinetto chiuso.
“Sta’ zitto, Black,” sbottò allora lei, con malagrazia. Regulus sgranò gli
occhi – forse sorpreso dalla risposta secca di quella ragazza sempre allegra,
forse semplicemente infastidito dall’essere trattato così. “Tu non sei meglio,”
aggiunse poi, e Regulus pensò che fosse tutto normale, che forse quello di
prima era stato solo un momento no.
“Come no,” convenne ironicamente il ragazzo, alzandosi improvvisamente e
pulendosi i pantaloni – Marlene lo guardò sgranando gli occhi: perché si era
pulito i pantaloni anche dove aveva poggiato la testa lei? “Vado. Buona serata,
McKinnon.”
Se ti faccio tanto ribrezzo, perché
sprechi il tuo tempo con me?
*
Marzo 1979 (settimo anno)
Marlene lo evitò come la peste.
Il sorriso le si cristallizzava sulle labbra quando Regulus entrava nella sua
visuale, assumeva d’improvviso un’aria stanca e reticente, si raddrizzava sulla
schiena ed irrigidiva la postura delle spalle.
Regulus non se lo spiegava: aggrottava la fronte ed inarcava impercettibilmente
le sopracciglia.
Fu ad aprile che si parlarono nuovamente.
Si scontrarono a cena, proprio nel bel mezzo della Sala Grande. Si urtarono per
sbaglio. Fu perlopiù un tocco ed uno “Scusa” da parte di Regulus appena
mormorato – dopotutto, restava un Black, e un Black non chiede scusa ad una
SangueSporco.
C’era troppa gente, lì, per dare spettacolo – Marlene l’avrebbe anche fatto,
probabilmente: l’impulsività era sicuramente l’unica qualità Grifondoro che
possedesse. Perciò si limitò ad un: “Datti fuoco,” sputato, un sorriso
sarcastico sulle labbra.
Sul momento, Regulus rimase fermo, non sapendo bene cosa fare. In quel momento
il suo amico Barty lo richiamò dal tavolo, e Regulus si limitò a lanciarle
un’occhiata strana prima di apprestarsi a raggiungere l’amico.
“Che voleva quella?” gli chiese, non appena si fu seduto.
“Ci siamo solo scontrati,” rispose con calma Regulus, prendendo poi il libro
che l’altro gli stava porgendo – era per quello che Barty l’aveva richiamato.
“Mmh,” mugugnò Barty, prima di tornare a sorridere come se niente fosse ad una
Cassandra Harper lusingata e dopotutto anche un po’ infastidita.
Regulus sgusciò fuori rapidamente – pensava di metterci più tempo – e non
appena vide una testa bionda allontanarsi in direzione della Guferia, la seguì
senza pensarci – lo faceva troppo spesso, meditò, quando c’era lei: non sapeva,
tuttavia, dire se fosse giusto o meno.
“Black?”. Non si era accorto che si fosse girata, Regulus, finché non la vide
guardarlo da poco lontano con gli occhi azzurri colmi di sospetto – e rabbia,
forse? Regulus non avrebbe saputo dirlo – forse non avrebbe voluto e basta.
“McKinnon,” disse semplicemente, muovendo appena il capo per cercare di darsi
un’aria un po’ spavalda – in realtà non aveva idea di cosa stesse facendo,
tutto ciò non era premeditato. E ciò era strano, molto. Aveva provato ad
imitare un po’ il comportamento che suo fratello Sirius assumeva quando Mary
MacDonald, che a quanto pareva era l’unica che fosse stata in grado di colpirlo
davvero, era arrabbiata con lui. Non sapeva recitare molto bene, stimò, vedendo
l’altra sogghignare appena.
“Blacky, sei talmente patetico che potresti sembrare tenero,” gli fece notare,
e lui si sentì giusto un poco più leggero: non l’avrebbe mai, mai detto – e
sarebbe stato così davvero –, ma a lui quei soprannomi piacevano, sotto sotto.
“Questo sarebbe un complimento, McKinnon?” chiese, inarcando un sopracciglio
assumendo finalmente la propria aria un po’ distaccata e vagamente nobile –
lato che Sirius, Regulus ci tenne a precisarlo nella propria mente, non aveva
ereditato.
“Prendilo come ti pare,” storse la bocca lei, sistemandosi poi la borsa sulla
spalla. “Ci si vede,” disse, e fece per andarsene, ma Regulus la trattenne,
dopo aver controllato che in giro non ci fosse nessuno: “Mi stai evitando.”
Lei sembrò cristallizzarsi sul posto, ma poi si girò lentamente, guardandolo in
modo strano. “Sì,” si limitò a rispondere, spiazzandolo per un attimo. Certo,
Marlene non era una di quelle ragazze che si potevano proprio definire ‘comuni’,
ma quella risposta l’aveva colpito particolarmente.
“Scusa?”
“Scusa un cazzo, Black,” sbottò allora lei – Regulus si chiese quanto potesse
essere lunatica una donna: per Merlino, Marlene in quel momento sembrava una
Banshee, mentre solo pochi minuti prima aveva quasi sorriso a lui dopo secoli.
“E se proprio vuoi scusarti, scusati per avermi trattato di merda alla Guferia!
Ah, no, giusto, tu sei Regulus Black! Perché dovresti scusarti con una lurida
Sanguesporco? Che sciocca che sono stata. Dovrei essere io a doverti chiedere
scusa solo perché respiro la tua stessa aria, no?”
Se non si fosse contenuto, Regulus era sicuro che in quel momento la sua
mandibola avrebbe potuto toccare terra. Non l’aveva interrotta, l’aveva
ascoltata fino alla fine, per poi guardarla cercare di ritrovare aria, con le
guance rosse per la rabbia.
“Io non intendevo scusa per…” si morse la lingua e si corresse velocemente,
giusto prima che lei aprisse la bocca. “Sta’ zitta un attimo, McKinnon,
Salazar. Scusa, okay?”
“Sei solo un coglion…” iniziò, prima di sgranare gli occhi azzurri. “Eh?”
chiese quindi con voce acuta.
“Scusa,” ripeté, già scocciato. “Non ho intenzione di ripeterlo, comunque.
Okay? Quindi fattelo bastare.”
“Io… Sei strano, Regghy.”
“Io?” chiese, inarcando le sopracciglia, perplesso.
“Sì, tu. Sei… criptico,” – Regulus sbuffò una risatina al sentire ciò – “E non
fare così! Comunque, sembri un rebus. No, niente, roba Babbana,” si affrettò a
spiegare Marlene, nel vederlo così spaesato. “Dicevo che… oh, sì, che sei un
rebus, vabbe’. Mi piacciono i rebus, comunque. Ciao.”
Mentre Marlene se ne andava, lasciandolo lì da solo con un’aria che stupida era
dire poco, Regulus si chiese cosa fosse un rebus e se per caso gli piacesse
anche lui. Per la prima volta non scacciò il pensiero dalla mente.
*
Giugno 1979 (settimo anno)
Le feste non erano certo il suo passatempo preferito, ma Effy l’aveva
praticamente costretto ad accompagnarla a quella di ‘fine Hogwarts’. Che poi,
accompagnarla? Non sapeva nemmeno dove fosse, quella ragazza: era sparita di
botto, con la scusa di dover prendersi da bere – Regulus pensò si trattasse
ancora della celebre, per lui e Barty, cotta di Effy per Davies, il quale in
quel momento si trovava proprio davanti alle bibite.
Poi dicono che Silente non ha preferenze…
E nemmeno la McGranitt, eh… Come se non lo sapessero che nella Sala dei
Grifondoro si tiene una festa ogni anno per la fine della scuola – pensò
ironicamente, facendo una smorfia.
“Sempre quella faccia, Blacky?”. Marlene McKinnon era quella che si poteva
definire una ragazza da festa: ballava sempre, rideva sempre, aveva un drink
sempre in mano ed era sempre circondata da qualcuno. Sempre. Stranamente in
quel momento no – Regulus vide due delle sue amiche sdraiate su un divano con
il viso contratto in una smorfia a causa delle risa provocate da una probabile
sbronza.
“Sai com’è, è la mia, McKinnon,” ribatté, sorprendendo se stesso nel reggerle
il gioco. Anche lei, inizialmente, apparve piuttosto sorpresa, ma poi gli sfilò
dalle mani il bicchiere che teneva in mano e ne bevve qualche sorso, prima di
sbuffare. “Burrobirra? Mi stai
prendendo in giro, Black?” Marlene scosse la testa, e lo afferrò per un polso –
Regulus si divincolò appena, ma tanto era buio e praticamente tutti i presenti
erano già mezzi o del tutto sbronzi.
La ragazza si fermò davanti al davanzale di una delle finestre, che avevano
allargato così da poterci mettere su gli alcolici. Guardò le varie bottiglie
sul banco, prima di stringersi nelle spalle, prendere un bicchiere e versarvi
un po’ di tutto.
“Tieni,” sorrise poi, raggiante, porgendogli il bicchiere. Lui la guardò,
scettico, e Marlene rise forte: “Non è veleno.”
Regulus non era del tutto convinto, perciò ne bevve solo un sorso, tanto per
assaggiare. Marlene doveva avervi versato tutti gli alcolici più pesanti,
perché la gola iniziò subito a bruciargli; tuttavia, dopo aver ingoiato, in
bocca gli era rimasto un aroma fruttato decisamente non male.
“Com’è?” gli chiese Marlene, mentre lui ne beveva un altro po’, abituandosi
così a quel bruciore che in fondo si rivelava ad ogni sorso sempre più
piacevole – come Marlene, con il suo sorriso e i suoi occhi limpidi e i capelli
biondi ed il suo essere così Marlene.
“Buono.”
“Sì?” gli occhi di lei si illuminarono. “Fammi assaggiare.”
Marlene gli tolse di mano il bicchiere e bevve un po’, con aria concentrata,
prima di aprirsi nell’ennesimo sorriso. Gli restituì il bicchiere ed iniziò a
tastarsi il vestito, sotto lo sguardo perplesso di Regulus; alla fine riuscì a
trovare ciò che stava cercando, ovvero una matita per occhi, ed iniziò ad
annotarsi sul palmo sinistro i vari alcolici con cui aveva creato quello di
Regulus.
“Bene!” esclamò a lavoro finito, riponendo la matita dove l’aveva presa e
preparando un altro drink.
“Vuoi ubriacarti?” domandò Regulus, scettico e divertito – sentiva l’alcol
scorrergli già nelle vene ed arrivare al cervello.
“Mmh, no. Voglio andare in vacanza,” rise lei, che stava già finendo il
bicchiere, ma nonostante ciò si sentiva ancora molto sobria.
“Da domani saremo in vacanza,” le fece notare, lasciandosi sfilare ancora il
bicchiere dalle mani: Marlene lo riempì nuovamente per poi ridarglielo.
“Tu, magari,” disse lei, sorridendo. “Io no,” e si versò qualcos’altro nel
bicchiere – piuttosto forte, vista la smorfia che fece subito dopo e la
risatina che successivamente le sfuggì dalle labbra piene.
Stavolta Regulus, il bicchiere, lo svuotò talmente in fretta che la testa prese
a girargli appena, mentre al quarto bicchiere non ci capiva già nulla – non lo
reggeva bene, l’alcol, non come Marlene, che in quel momento si stava
preparando il quinto drink ridacchiando tra sé.
Mentre lei beveva il sesto bicchiere, Regulus barcollò pericolosamente e
Marlene gli risparmiò la caduta trattenendolo per un braccio.
“Regghy Blacky barcollino,” mugugnò lei, ridendo ancora e senza lasciargli il
braccio – la mano di Marlene era caldissima, e non importava il fatto che ciò
che stava dicendo non aveva un senso, perché nonostante tutto andava bene così.
“Mmh.”
La testa vorticava e la musica continuava a pompargli nelle orecchie,
stordendolo sempre di più. A malapena vide Marlene ridere e prendere una
bottiglia prima che lo afferrasse per un braccio e lo trascinasse da qualche
parte. La ragazza, dopo vari tentativi, aprì una porta e poi la richiuse dietro
di loro; lei si sedette rumorosamente sul gradino di una scala a chiocciola che
assomigliava a quella che conduceva al suo dormitorio a Serpeverde e si attaccò
alla bottiglia.
Marlene bevve qualche lungo sorso, prima di porgergliela; una volta ch’ebbe le
mani libere, si appoggiò ai gradini successivi ed iniziò a ridere senza sosta.
Regulus ridacchiò un po’ e guardò la bottiglia che teneva in mano, e poi lei lo
strattonò per la stoffa dei pantaloni, costringendolo a sedersi accanto a lei.
Marlene lo guardò bere, prima di soffiargliela di nuovo.
“Voglio un Ippogrifo,” disse Marlene, chiudendo gli occhi e sollevando il mento
verso il soffitto. Poi ridacchiò appena, mentre Regulus beveva ancora qualche
sorso. Ormai la bottiglia era già a metà.
“Perché vuoi… perché vuoi un Ippogripo?”
ciancicò Regulus, strofinandosi gli occhi. Non ci capiva più niente: a malapena
si ricordava chi era lui. E che lei era Marlene, ma nient’altro. Aveva anche
caldo, a dire il vero: si sentiva quasi soffocare. Slacciò il nodo della
propria cravatta e l’allargò, aprendo un po’ la camicia bianca.
“Non lo so,” ammise Marlene, stiracchiandosi sulle scale come un gatto. “Però
sarebbe… sarebbe, uhm, bello, no?” domandò ancora, ridacchiando ed
appoggiandosi al braccio di Regulus.
“Non lo so,” sgranò gli occhi lui, finendo poi con il ridere davvero assieme a
lei. Marlene annuì e buttò giù un altro po’ di vodka – le sembrava fosse
quello, l’alcol all’interno della bottiglia –; poi gli strofinò la guancia
sulla spalla, salendo poi con il viso fino al suo collo e soffiandovi appena
sopra.
“Mmh,” si lamentò lui, infastidito. Si raddrizzò sul posto, finendo
inevitabilmente con il far sollevare anche lei, e le fregò nuovamente la vodka.
Ne bevve ancora – qualcosa ancora ci capiva, in quel momento, e lui non voleva
capirci più niente: sarebbe stato più
facile, più semplice, più bello, e per una volta voleva provarci.
La sentì passargli le braccia attorno al collo e ridere contro il proprio petto
magro, mentre lui sollevava il fondo della bottiglia verso l’alto per berne
anche le ultime gocce. Non sapeva cosa fare: l’alcol sembrava aver preso le sue
vene per strade ad alta velocità, gli girava la testa, aveva una ragazza – una
Sanguesporco – appesa al collo e non gli dispiaceva niente di questo.
Ma non lo disse, non lo disse mai.
Non lo disse quando le labbra carnose di Marlene si posarono sulle sue. Non lo
disse quando ricambiò quel bacio che sapeva d’alcol – e forse qualcos’altro.
Non lo disse quando si alzarono in piedi, mentre la bottiglia s’infrangeva sul
pavimento, e iniziarono a salire le scale l’uno abbracciato all’altra. Non lo
disse quando posò le mani alla base del collo di Marlene ed entravano in una
stanza – probabilmente quella di Marlene e le sue compagne, ma non importava.
Non lo disse quando sentì le mani di Marlene sfilargli cravatta e sbottonargli
la camicia. Non lo disse quando si ritrovò la pelle del torace a contatto da
quella di lei, ormai coperta solo dall’intimo.
Non lo disse quando si stesero sulle coperte rosse, anche se avrebbe voluto
urlarlo a tutti.
Il giorno dopo era già troppo tardi.
Si svegliò presto, quella mattina, Regulus. C’era troppa luce, più di quanta i
suoi occhi fossero abituati ad incontrare appena svegli. Fece per tirarsi a
sedere, quando si accorse di avere ancora il braccio di Marlene attorno al
collo ed il suo corpo morbido appoggiato al proprio.
Se si sforzava, riusciva anche a riportare alla mente qualche spezzone della
notte precedente: le pelli a contatto l’una con l’altra, i capelli biondi di
Marlene tra le dita, le sue labbra morbide sulle proprie e tutto il resto.
Cercando di non prestare attenzione al fiato caldo di Marlene sulla propria
pelle, Regulus si sciolse dalla sua presa e scostò appena le tendine del
baldacchino, giusto per vedere se ci fosse qualcuno. A quanto pareva, l’unico
letto occupato era quello più vicino alla porta, visto che era l’unico a sua
volta avente le tendine tirate.
Gli pulsavano le tempie – sicuramente per via della sbronza della sera prima –
ma nonostante ciò cercò a tastoni i propri vestiti e poi sgusciò fuori dal
letto. Si rivestì in fretta, senza indossare però la cravatta, e lanciò uno
sguardo alla sveglia sul comodino di Marlene: erano le sei e quattro minuti –
per i corridoi non doveva esserci nessuno.
Si chiuse la porta alle spalle proprio quando lei aprì gli occhi e nascose il
viso nel cuscino, stanca.
Note: Ooookay.
Fatemi prendere un bel respiro profondo, perché, nonostante questa
storia non stia avendo un grande successo qui sul sito, sul forum
sembra essere piaciuta. Eh già. Perché non solo è arrivata SECONDA al
Contest di Daphne, ma ha anche vinto il PREMIO GIURIA. E sì, io ora
sono strasupermegaiper-fomentata, perché è la seconda volta che una mia
storia riceve un giudizio del genere che mi fa commuovere e kdhakja -
senza contare che questa storia mi piace da impazzire, proprio come
l'altra (che, tra parentesi, è la Sirius/MARLENE - sì, sembra che
Marlene con me faccia 'furore', e mi vanto pure, yeeeeH - che si chiama
Tutti i sogni che tenevamo stretti sembrano finire in fumo e che ha partecipato al contest di Tefnut) MA COMUNQUEH. Nel primo capitolo ho postato il MERAVIGLIOSO banner che mi ha fatto Daphne - è tanto bello che tra poco scoppio a piangere ;A; POOOOOI.
Che ne pensate di questo capitolo? Fatemi sapere, a me piace
abbastanza, tranne il primo pezzo - non ha senso, lo so, quel pezzo non
ha un briciolo di senso -, ma degustibus. Ora però mi ritiro che devo studiare e sistemare il capitolo di una mia Long. VI AMO IMMENSAMENTE ;A;
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Agosto 1979 - Ottobre 1979 ***
dtp
3.
Agosto 1979
Orion Black lo guardava, seduto sulla poltrona dietro la scrivania del suo
studio, con le sopracciglia folte e scure perfettamente arcuate come sempre ed
il solito bagliore un poco sinistro che v’alloggiava. Davanti a lui,
posizionate ordinatamente sulla superficie scura della scrivania, stavano
scartoffie di vario genere, e ciò che vi era scritto, a Regulus, non interessava
più di tanto.
“Allora,” intavolò la conversazione suo padre, poggiando i gomiti sulla
scrivania e congiungendo le mani. “Sai perché siamo qui, no?”
“Sì, padre,” rispose Regulus, annuendo appena e con educazione.
Orion parve soddisfatto: arricciò le labbra in un sorrisino e continuò a
parlare. “Bene, così ci evitiamo inutili giri di parole, Regulus. Ho già
parlato con gli Hardgraves, sono d’accordo con il fissare il matrimonio l’anno
prossimo, verso settembre od ottobre. Vogliono aspettare che Lavinia finisca
gli studi, cosa comprensibile, dopotutto.”
“D’accordo.” Risposte semplici e dritte: erano queste quelle che piacevano più
a suo padre, specialmente se concordavano – praticamente sempre, quindi, perché
bisognava essere d’accordo con Orion
Black – a quel che stava dicendo lui. E non importava che tu fossi contrario,
perché dovevi essere d’accordo e basta: non importava se a lui, di sposare
Lavinia Hardgraves, non andava proprio. Ma alla fine lo sapeva, lo sapeva che
la sua era una vita già scritta, e lui non poteva che attenersi al copione e
andare avanti. E Marlene – perché, per quanto lui si sforzasse di non pensarci
mai, lei c’era stata – era stato solo un errore commesso quando si era
dimenticato quelle fottute battute.
“Perfetto, direi,” sorrise Orion, sistemando meglio i fogli fittamente scritti
in una pila. “Puoi andare, Regulus.”
Il giovane si alzò dalla sedia e si avviò verso la propria camera, senza
riuscire – per l’ennesima volta – però a non lanciare prima uno sguardo alla
porta di quella di Sirius. Forse, se fosse stato smistato a Serpeverde anche
lui, in quel momento sarebbe stato lì, l’avrebbe ascoltato.
O forse, se lui, Regulus, fosse stato
smistato a Grifondoro, non sarebbe stato lì, a Grimmauld Place, ma con Sirius.
E con Marlene.
*
Settembre 1978
“Oh, giovane Black,” disse Lord Voldemort, un sorriso sgradevole sul volto
pallido, rigirandosi la bacchetta di tasso tra le mani, seduto a capotavola di
Villa Lestrange. “Sei arrivato, finalmente.”
“Scusi il ritardo, Signore,” rispose a voce ben chiara, esibendosi in un
piccolo inchino non appena entrò nella vasta sala da pranzo. Alcuni dei maghi
seduti al tavolo assieme al Signore Oscuro – sebbene a debita distanza – lo
guardarono, chi con disprezzo chi con ironia, e lui resse i loro sguardi uno ad
uno, quasi sfidandoli a dire qualcosa.
“Problemi d’amore?” sputò Riddle,
ovviamente sarcastico, scoppiando poi in una risata bassa e ancor più
sgradevole di quel suo sorriso. “Quell’amore che Silente va tanto millantando…
Non ha ancora capito nulla… Ma tu, giovane Black, tu scommetto che hai capito.
O no?” lo chiese, e Regulus tentennò un attimo, prima che l’altro scoppiasse a
ridere facendogli così capire che la sua era una domanda retorica. “Ma bando
alle ciance!” Voldemort allargò le braccia. “Ora che sei arrivato, sappi che
stasera tocca a te.”
“D’accordo, mio Signore.”
“Vai, giovane Black. Ti aspettano fuori.”
“Sei eccitato, Black?” gli domandò Mulciber, mentre uscivano con attenzione da
Villa Lestrange, che si stagliava, nera ed austera, nel mezzo di una radura
verdeggiante che la nascondeva bene. “La tua prima vera missione… Ricordo
ancora la mia, l’anno scorso…” concluse, con un baluginio strano.
A Regulus, Mulciber non era mai piaciuto. Era di un anno più grande di lui, e
da quel che si vociferava aveva attaccato Mary MacDonald, una volta, al quarto
anno. Senza pensarci, Regulus si chiese se per caso la MacDonald e suo fratello
stessero ancora insieme, se avessero una loro vita e capì che avrebbe voluto
farne parte.
Ma io sono il buio, vero, Sirius?
Yaxley, accanto a lui, lanciò un’occhiataccia a Mulciber, sibilando: “Sta’
zitto, Mulciber, una buona volta. Vuoi farmi scoprire?” – Mulciber sbuffò e
roteò gli occhi – “Ora muoviamoci, abbiamo poco tempo. Ci smaterializzeremo subito
fuori il cancello.”
Regulus strinse la bacchetta senza accorgersene e si strinse nel lungo mantello
scuro. Non si sentiva pronto a compiere quel che stava per fare. Ad esser
sinceri, pensava che non si sarebbe mai sentito pronto per fare ciò.
Paura, Regulus?
Non ho paura.
Perché un Black non può avere paura, ad un Black non è permesso. Perciò alzò il
capo al cielo, e prima di smaterializzarsi sperò con tutto se stesso di non
dover uccidere nessuno, di non dover condurre nessuno nel buio.
Ti ricordi di quando, da piccoli, ti
dicevo che il buio mi faceva paura? Te lo ricordi, Sirius? Perché mi fa ancora
paura.
*
Ottobre 1979
Marlene era davvero l’ultima persona che si sarebbe mai aspettato di incontrare
alla Testa di Porco, eppure quel piovoso lunedì sera la trovò lì, seduta ad uno
dei tavoli più nascosti della sala. Fu lui a vederla per primo, e fu lei ad
affievolire il proprio sorriso prima di guardarsi attorno con aria circospetta.
“Sono da solo,” l’avvisò, avvicinandosi a lei con il capo chino per non farsi
riconoscere – anche se, tra quegli ubriaconi, dubitava ci fosse qualcuno di sua
conoscenza – ed un bicchiere di whisky in mano.
Marlene sembrò tranquillizzarsi, poiché gli sorrise – dopo tanto tempo, e fu
doloroso, perché in quel momento Regulus capì quanto Marlene fosse più forte di
lui, quanto riuscisse a reggere tutto meglio di lui.
“Sono riuscita a traviarti all’alcol, vedo,” buttò lì la ragazza, appoggiando
la schiena alla sedia e sorseggiando il proprio bicchiere di whisky.
“Sarebbe successo comunque,” disse lui, inarcando un sopracciglio e sedendosi
davanti a lei, la schiena rivolta verso la porta: non era bene farsi vedere con
una Sanguesporco, lo sapeva, e si chiedeva perché lei, al contrario suo,
sembrasse così tranquilla.
“Probabile,” acconsentì lei, inclinando appena la testa. “Però l’ho fatto io.”
“Sarebbe suc—”
“Sarebbe successo comunque,” gli fece il verso lei, roteando gli occhi. “Non me
ne frega niente. Sono stata comunque io a traviarti, quindi sssh.”
“Mi hai appena fatto sssh?” chiese,
allibito.
“Proprio così, Blacky,” sorrise ancora, raggiante, e Regulus per qualche
assurdo motivo sentì il bisogno di dirlo:
“Tra un anno mi sposo.” Marlene aggrottò la fronte e bevve ciò che rimaneva del
suo whisky, continuando a guardarlo dritto negli occhi, prima di stringersi
nelle spalle, ghignare e dire: “Be’, almeno la tua futura moglie avrà del buon
sesso garantito.”
“Eh?” domandò, guardandola accendersi una sigaretta sotto lo sguardo truce di
Aberforth – Regulus sapeva, però, che non avrebbe detto niente, visti tutti i
traffici illeciti che si tenevano all’interno del locale.
“Eh?” ridacchiò lei, aspirando un po’ di fumo e rilasciandolo dopo,
continuando: “Ricordo abbastanza da poter affermare con certezza quasi assoluta
che quella rientra tra le migliori tre scopate della mia vita.”
Regulus inarcò, ancora le sopracciglia, cercando di dissimulare l’imbarazzo e
il lieve compiacimento che l’avevano colto solo a sentire le parole di Marlene.
E nonostante avesse dissimulato spesso – sempre
–, quella volta gli sembrò più difficile, forse per quegli occhi azzurri che
non la smettevano di guardarlo o forse per il ricordo delle coperte rosse e il
corpo di Marlene a contatto con il proprio.
“Grazie?” tentò, mostrandosi il più distaccato possibile. Lei si strinse nelle
spalle e tirò un’altra boccata di fumo dalla sigaretta. Regulus non riuscì a
trattenersi dall’osservare la scena con aria critica e dire: “Ti uccideranno,
quelle cose, lo sai, vero?”
Il sorriso sul volto di Marlene parve allargarsi maggiormente, a quelle parole,
e lei ribatté: “Sempre che li battano sul tempo, no?”
Regulus si irrigidì sulla sedia ed il suo sguardo corse rapidamente e senza
volerlo all’avambraccio sinistro. Era agghiacciato, davvero. Il sorriso di
Marlene, poi, non lo aiutava: sembrava dire io
lo so, ma lei non poteva sapere. O sì?
“Certi dettagli non te li dimentichi, anche se dopo una bevuta particolarmente
abbondante,” gli disse, quasi fosse in grado di leggerli nel pensiero. “Non
l’ho detto a nessuno, comunque. Però qualcuno lo sospetta già.”
Sotto lo sguardo apparentemente calmo di Marlene, Regulus iniziò a sentirsi
strano ed agitato. Lei non era al sicuro, ma ora non era al sicuro nemmeno lui.
Come faceva a sapere che Marlene non l’avrebbe detto a nessuno? Si guardò
attorno, la stessa espressione di un cane in gabbia.
“Vuoi calmarti?” domandò allora lei. “Vuoi dare spettacolo, per caso?” –
Regulus scosse appena la testa, e Marlene allora posò sul tavolo i soldi del
suo whisky e si alzò dal tavolo, facendogli segno di seguirla – “Ti aspetto
fuori, raggiungimi tra cinque minuti.”
Per un attimo fu tentato di dirle di no, solo per il gusto di farlo – e lei
avrebbe arricciato le labbra in una smorfia irrisoria come faceva anche ad
Hogwarts –, poi però, quando la ragazza si chiuse la porta del locale alle
spalle, sentì il desiderio di seguirla subito. Scostò la manica della giacca
dal quadrante dell’orologio e aspettò che i minuti passassero, gli occhi grigi
che guardavano la lancetta dei secondi muoversi lentamente dietro al vetro.
Non appena furono passati quei maledetti cinque minuti, Regulus si strinse nel
cappotto ed uscì dal locale senza far rumore e senza attirare l’attenzione di
qualcuno su di sé – o sarebbero stati guai.
Marlene era appoggiata al muro della casa di fronte alla Testa di Porco: i
capelli biondi e mossi erano mossi dal leggero vento di ottobre e ai suoi piedi
giaceva la sigaretta che aveva fumato dentro, ormai spenta. Al vedere quel
sorrisino ancora sulle sue labbra, Regulus sentì la rabbia e la paura salire
ancora; le si avvicinò con passo veloce, e quando le fu di fronte parlò a bassa
voce:
“Non lo devi dire a nessuno, capito? A nessuno.”
“Cosa, Blacky?” domandò lei, con aria fintamente innocente. “Non capisco.”
“Lo sai, McKinnon,” sibilò lui, sbiancando appena quando sentì la propria voce
tremare notevolmente. Anche Marlene dovette accorgersene, perché scoppiò a
ridere forte, mentre il vento si rubava quel suono così come se ne sarebbe
beato Regulus in un altro momento.
“Seriamente, Reggy-Reg, perché dovrei dirlo a qualcuno? Cosa ci guadagnerei?”
“Merlino, ma cosa ci facevi a Grifondoro?” Regulus era basito, completamente
basito: quello non era un comportamento da Grifondoro, un Grifondoro non
avrebbe mai detto nulla del genere. Marlene parve offesa, offesa davvero, e
qualcosa in lei sembrò spegnersi: le spalle s’incurvarono appena, il sorriso
crollò per un istante. Si riprese subito, fulminea, però, e scrollò le spalle con
indifferenza. “Tu non sai niente di me, Blacky.”
“Sì,” rispose, dopo essersi reso conto che Marlene aveva ragione, che lui la
conosceva a malapena, che di lei, a parte il nome e la Casa e lo stato di
sangue, non sapeva niente. Si rese anche conto che sapere qualcosa in più non
gli sarebbe dispiaciuto, ma lo tenne per sé, come tenne per sé anche molte
altre cose.
“Ti va un giro?” gli chiese lei, quindi, dopo poco, disinvolta.
“McKinnon,” iniziò lui, “Tu sai cosa sono. Perché vuoi rischiare così tanto?”
“Rischio lo stesso, alla fine.”
“Ma io no.”
“Ne sei così sicuro? In una guerra rischiano tutti.”
“Non ho paura,” stabilì lui, cercando di porre fine a quel discorso insensato.
“Davvero?” chiese lei, sarcastica. “Allora facciamo così: tra una settimana
qui. Arriva alle sette e mezza, stanza numero sette. Vediamo chi non ha paura,”
concluse, prima di sorridere ancora e smaterializzarsi.
*
Ottobre 1979
Ormai, Regulus Black era diventato quasi una sfida. Sempre così statico, fermo,
immobile, farlo crollare sarebbe sicuramente entrato tra i migliori risultati
mai ottenuti. Lui le sembrava sempre troppo pacato e freddo, come ghiacciato in
quella sua aura di algida superiorità; era riuscita a scheggiarlo – se ne
intendeva, lei, di ragazzi, e l’aveva visto, nonostante lui avesse cercato di
nasconderlo –, e ora doveva solo scagliare il colpo finale.
Eppure, per la prima volta, non si sentiva pronta. Sarà stato il pericolo ogni
giorno sempre più opprimente e presente, sarà stata la paura, sarà stato
qualcos’altro: lei non lo sapeva, ma non si sentiva pronta. Forse, però, lo
sarebbe stata se lui si fosse davvero presentato, quel giorno.
Lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete del salone, e quando vide le
lancette indicare le sette meno un quarto si alzò dalla scrivania, lasciando i
propri libri a loro stessi, e prese borsa e cappotto. Uscendo, si fermò prima
davanti allo specchio, sistemandosi con una mano i capelli mentre con l’altra
afferrava le chiavi.
Una volta che fu sufficientemente lontana dalla propria casa, roteò su se
stessa e si smaterializzò.
Il sorriso di Marlene fu la prima cosa che vide, quando la ragazza aprì la
porta. Dietro di lei, la camera numero dodici della Testa di Porco era forse
anche meglio di come se l’era immaginata – perlomeno era pulita.
“Ehilà,” lo salutò Marlene, spostandosi per farlo entrare. Regulus si richiuse
subito la porta dietro le spalle, mentre Marlene domandava ironicamente: “Che
c’è, paura che ti vedano con una come me?”
Regulus la guardò in silenzio, prima di rispondere lentamente. “Per ora, ho
paura che vedano te con me. Io rischio di meno.”
“Casomai, rischi di più,” ribatté lei, sedendosi sul bordo del letto. Regulus
si appoggiò al muro, accanto alla finestra chiusa e coperta da delle tende e
davanti alla ragazza. “Ma che ne dici di cambiare discorso?”
“Non era per questo che eravamo qui?” domandò lui, un po’ spaesato. “Per
chiarire?”
“Cosa c’è da chiarire? Tu hai fatto una scelta, tutti devono scegliere,”
Marlene si strinse nelle spalle, e a Regulus parve di vedere un lampo di
malinconia attraversarle gli occhi mentre continuava: “Me lo diceva sempre
Astris: tutti, prima o poi, si ritrovano
a dover fare i conti con qualcosa di più grande di loro, e allora dovranno solo
scegliere cos’è meglio per loro.”
Regulus preferì non commentare: non era ancora del tutto sicuro che la sua
scelta fosse stata dettata da quel che desiderava. O forse sì: voleva rendere
orgogliosi i propri genitori, e in quel modo ci era riuscito. Eppure spesso gli
sembrava di aver sbagliato, come quando ascoltava quel che diceva il Signore
Oscuro o quel che facevano gli altri Mangiamorte durante le missioni.
“Astris?” chiese quindi, giusto per sviare.
Marlene annuì, prima di sorridere ancora – ed in quel sorriso traspariva
affetto e nostalgia, come se stesse ricordando qualcosa di talmente dolce che
in un momento del genere la faceva rattristare. “Era di Corvonero.”
“Era?” domandò lui, ricordando vagamente il volto pallido di una ragazza dai
capelli biondo sporco. “È… è morta?”
Marlene ridacchiò appena, sebbene il suo sguardo fosse ancora un poco perso.
“No, per carità… Ma è in viaggio con il fidanzato. Si sposerà a giugno…
Comunque, non importa,” disse poi, battendosi le mani sulle cosce. “Siamo qui,
caro Blacky, per parlare.”
“Parlare?” chiese Regulus, basito, prima di portarsi le mani ai capelli. “Tu
sei matta! Ti rendi conto che stiamo rischiando tutto per stare qui, ora? E tu
mi dici che dobbiamo parlare? Parlare di cosa, poi?”
Marlene sorrise allegra, nel vederlo in quello stato. “Su, Blacky, rischiamo la
vita ogni giorno, non dovresti preoccuparti per qualcosa del genere. E poi oggi
non avevo niente da fare, mi andava di chiacchierare.”
“Come facevi a sapere, una settimana fa, che oggi avresti voluto parlare con
me?”
“Beccata,” rise lei, alzando le mani in segno di resa. “Ma ora, visto che sei
qui, che ne dici di restare, chiacchierare un po’ e farci compagnia?” chiese, e
Regulus avvertì chiaramente un pizzico di malizia nel tono assunto da Marlene.
***
Maaaaacciao. Sì,
so di essere molto simpatica a postare il nuovo capitolo praticamente
dopo un mese, ma ecco a voi la terza parte di Dietro La Pelle. Oddio,
abbiamo superato la metà! Ho piuttosto paura, visto che d'ora in poi si
va molto
sull'introspettivo - specialmente di Regulus, piccolospoiler - ed io ho
sempre paura di sbagliare alla grande. Mi fiderò di Daphne e fingerò di
sapere di aver fatto un lavoro decente (lei dice più che buono, ma lei
è troppo gentile è_è). Ecco. E
ci avviciniamo anche al mio compleanno *non gliene frega a nessuno*,
che è il dodici giugno *gente (se c'è) che pensa "ma a noi che ce ne
frega?"*, e quindi posterò l'ultimo capitolo proprio quel giorno *cori
di "oooh" un po' scettici*. Muahahah. Come sono originale. NO, per
niente, ma shalla. Sì,
sto sclerando, ma ora fuggo, perché domani mi interroga scienze sicuro,
ho il compito di inglese, correggiamo i compiti di greco (e il mio è
andato una mmmerdaH ;A;), e rischio di essere interrogata pure in epica. Al peggio non c'è mai fine, porca miseria. Perciò addio, e alla prossima settimana ù_ù A.
Non scherzare, McKinnon,” disse quindi, la gola secca. “Non ho
intenzione di rovinare tutto solo per una sbronza. Quel che è successo a giugno
è… è successo e basta.”
“Lo so,” annuì Marlene, e Regulus avrebbe voluto cancellarle quel sorrisetto
dalle labbra piene. “Posso dirtela una cosa, però, Blacky?”
“Sentiamo un po’!” sbottò lui, lanciando uno sguardo alla porta. Perché c’era
qualcosa, negli occhi di Marlene, che lo attiravano ma allo stesso tempo lo
respingevano; erano di un azzurro brillante, e così pieni di vita e di libertà
e di Marlene che lui avrebbe voluto stare lì a guardarli per tutto il tempo del
mondo ma allo stesso tempo scapparne per sempre.
Lei piegò le labbra in un ghigno appena accennato, prima di parlare: “Vedi,
Blacky, tu ti preoccupi troppo. E questo non è un bene, Micetto. Fammi
indovinare: tu pensi che quel che sia successo a giugno non possa più capitare
perché ti rovineresti la vita? Merlino, era sesso. Dillo con me: ses-so. Non è
il sesso che rovina tutto, ma i sentimenti. Niente sentimenti e il gioco è
fatto”. Concluse il proprio discorso con un’aria soddisfatta, Marlene – forse
per l’aria attonita di Regulus, o più semplicemente perché sapeva di essere lei
il vento di Regulus, in quel momento.
“Io…” iniziò Regulus, con le intenzioni migliori – almeno secondo lui –, ma si
bloccò vedendola alzarsi dal letto e avvicinarsi a lui. Mentre la ragazza si
scioglieva i capelli, domandò: “Che stai facendo?”
“Ti mostro come il sesso possa essere diviso da tutto il resto,” rispose lei,
sorridendo. Regulus fece per respingerla, ma lei posò le sue mani alla base del
suo collo e lui non ci pensò più – non pensò più a niente. |
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Dicembre 1979 - Maggio 1980 ***
dietrolapelle
4.*
Dicembre 1979.
Il tintinnio delle posate sui piatti di
ceramica gli rimbombava nelle orecchie, mentre Orion e Walburga
s’intrattenevano con i coniugi Hardgraves e cercavano, di tanto in tanto, di
rendere partecipi lui e Lavinia, la figlia dei due ospiti, nonché sua futura sposa.
Di tanto in tanto, Regulus alzava gli
occhi dal proprio piatto e li puntava di nascosto e con discretezza sulla
figura della ragazza: i capelli biondi erano sciolti sulle spalle, gli occhi
erano di un grigio chiarissimo e il corpo era piccolo e minuto. Quando la guardava, Regulus non poteva
trattenersi dal fare paragoni. Perché se una volta era il colore degli occhi,
dopo era la linea delle labbra, e poi i capelli, e dopo ancora tutto il modo di
fare. Lavinia aveva un’aria distaccata, simile alla sua, mentre Marlene era una
di quelle persone esuberanti, che si fanno prendere spesso dall’entusiasmo.
C’era una differenza abissale tra le due, e Regulus era sicuro che i suoi
genitori avrebbero sempre preferito Lavinia – anche se Marlene fosse stata
Purosangue –, mentre lui avrebbe scelto Marlene comunque. Marlene,
Marlene, Marlene. Quando era in missione non ci pensava
mai, un po’ perché non voleva un po’ perché quel che vedeva era talmente
raccapricciante da impedirgli di pensare a qualcosa di bello. Aveva paura,
Regulus, ce l’aveva sempre, perché bastava poco, uno sbaglio, un errore, una
parola, un pensiero e tutto sarebbe finito e lui sarebbe morto – e con molte
probabilità sarebbe morta anche Marlene. Ci pensava troppo spesso, da quando si
vedevano. Era solo sesso, quel che c’era tra loro, se lo ripetevano a vicenda
ogni volta, quasi avessero paura di scordarlo. Eppure, nonostante ciò, Regulus
spesso sentiva di essere come ossessionato da lei: Marlene, per lui,
rappresentava l’unica cosa che avrebbe sempre voluto, la libertà. Questo
significava per lui Marlene, ed era per questo che non la voleva lasciar andare
via, in un certo senso: quando era con lei, in quella camera impolverata e
ormai piena di loro due, era come se non appartenesse a nessun posto, come se
potesse essere quel che voleva dove voleva. “Mi passeresti il sale?” chiese Lavinia,
con voce pacata, distogliendolo da quei pensieri. Regulus, dopo un attimo di
smarrimento, le passò la saliera, nascondendosi dentro tutto – tutti i pensieri, tutte le parole, tutte le carezze.
*
Gennaio 1980.
“Passate buone vacanze?” domandò Marlene,
appoggiata al cornicione della finestra della solita stanza della Testa di
Porco, la bacchetta con cui aveva aperto la porta ancora in mano. “Ovviamente,” rispose lui, neutro,
togliendosi il cappotto e appoggiandolo allo schienale di una sedia vicino al
tavolino. Si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e lanciò appena
un’occhiata al vassoio pieno delle prelibatezze di Aberforth che si trovava sul
tavolo. “Tu?” “Non mi lamento,” disse, stringendosi
nelle spalle ed alzandosi in piedi. Gli si avvicinò, rapida e senza far rumore,
allacciandogli poi le braccia dietro la nuca e piegando le labbra in quel suo
sorriso da gatta. Marlene avvicinò il proprio viso al suo, e per l’ennesima
volta non servirono parole.
Marlene si staccò da lui, i riccioli
biondi che gli solleticarono il torace magro, e si allungò verso il comodino,
cercando di afferrare il pacchetto di sigarette là sopra. Si tirò a sedere,
appoggiandosi con la schiena nuda alla testiera del letto, e, dopo aver sfilato
una sigaretta dalla confezione, l’accese con l’accendino. Regulus la guardò
aspirare e trattenere il fumo per una decina di secondi, prima di rilasciarlo e
guardarlo espandersi sopra di loro. Poi Marlene scoppiò a ridere, scivolando appena
verso il basso e dando un’altra boccata alla sigaretta. “Ti uccideranno, quelle cose,” le fece
notare Regulus, guardandola con le sopracciglia scure inarcate. Marlene alzò le spalle, sbuffando un
risolino e un poco di fumo, e ribatté come tempo addietro aveva fatto: “Penso che lo farà prima qualcun altro.” Regulus sbiancò appena, ancora, al sentirla
pronunciare tali parole, e si coprì un po’ di più con le coperte del letto. Lo
impressionava il modo di parlare di Marlene: sembrava essersi come rassegnata
alla morte, quasi non avesse possibilità di scamparla e di salvarsi. Però non
sapeva, Regulus, come lo impressionava: a tratti la considerava una stupida,
perché volendo avrebbe potuto combattere, a tratti sveglia, perché nonostante
tutto si godeva la propria corta vita. “Non è detto,” rispose infine, con
studiata calma, la voce piatta. Non lasciar trapelare nessuna emozione, era
questo il trucco. Era sempre stato quello. “Oh, sì che lo è,” commentò lei, ciccando
in un posacenere fatto apparire poco prima. “E tu dovresti saperlo meglio di
me,” aggiunse, lanciandogli un’occhiata penetrante. E Regulus si sentì scoperto
da tutte le maschere che indossava, perché sapeva che lei era al corrente di
tutto e che non perdeva occasione di ricordarglielo. Era una cosa che odiava, e
ogni volta avrebbe voluto urlare che non era una cosa che aveva scelto lui, ma
che gli era stata praticamente imposta. “Sarà,” si limitò a controbattere,
girandosi a pancia in sotto ed affondando il viso nel guanciale. Sentì Marlene
– che aveva posato la sigaretta nel posacenere – muoversi verso di lui; gli si
sdraiò accanto, accarezzandogli poi la schiena con una mano e sistemando una
gamba tra le sue. “È così,” mormorò Marlene, posando le
labbra prima sulla sua spalla, poi un po’ più verso la nuca e poi sotto
l’orecchio. “Ma ora non importa.”
*
Febbraio 1980.
Regulus sgranò gli occhi, mentre il suo
viso perdeva colore. Accanto a lui, Severus Piton osservava la scena con
un’espressione disgustata: poco distante da loro, stava Greyback, ormai noto
come uno dei peggiori Lupi Mannari del tempo – se non il peggiore. “Cosa ci fa lui qui?” domandò a bassa
voce, osservando con orrore i denti acuminati del Licantropo. Severus voltò il capo verso di lui e gli
intimò: “Abbassa la voce, Black. A quanto pare è uno dei nostri. È entrato da
poco tra le schiere dell’Oscuro Signore.” Il viso di Regulus si tramutò in una
maschera di stupore misto a ribrezzo e terrore. “Ma come… è… è un ibrido,” sussurrò, mentre Greyback
diceva qualcosa ad un Rabastan Lestrange piuttosto schifato. “Non può stare
qui.” Il
Signore Oscuro non lo permetterebbe mai. O forse
sì? Ma lui
vuole liberarci dalla feccia… e Greyback fa parte della feccia. Perché è qui? Seveurs si strinse nelle spalle, e
rispose: “Non ha il marchio. Ma è a capo di un branco di Licantropi, e altri
alleati potranno tornarci utili.” Regulus annuì impercettibilmente, per
nulla convinto. Quel che aveva appena scoperto aveva fatto crollare un po’ di
quel suo muro fatto di convinzioni che i suoi genitori gli avevano inculcato
sin da quand’era solo un ragazzino. Aveva sempre pensato che i Licantropi,
essendo degli ibridi, sarebbero stati esiliati; non aveva mai nemmeno
immaginato che un giorno il suo Signore avrebbe anche solo preso in
considerazione l’ipotesi di unirsi a loro. Eppure
l’ha appena fatto -
pensò, mentre dubbi e supposizioni si accavallavano nella sua mente. Cosa vuole in realtà?
*
Marzo 1980.
Marlene gli baciò le labbra, le mani
poggiate sulle sue guance, mentre lui le stringeva la vita con le braccia.
Tuttavia, Regulus non era in grado di pensare ad altro che non fossero le
parole di Kreacher, spezzate dai singhiozzi sfuggiti all’elfo.
“Kreacher…” mormorò, mentre l’elfo si
stringeva le ginocchia, rannicchiato sotto le proprie coperte. “Kreacher, che
succede? Kreacher, parla, che è successo?”
“Padron… Padron Regulus,” gracchiò la
creatura, torturandosi le dita ossute delle mani. “Cose orribili, padron
Regulus… C’erano mani bianche, e c’era acqua dappertutto… Kreacher voleva
gridare, ma Kreacher doveva bere la pozione… Kreacher aveva tanta paura…”
Regulus sentì la rabbia montare in lui,
guardando l’elfo che l’aveva cresciuto preda di un dolore tanto grande. Era
sempre stato molto affezionato a Kreacher, lo trattava bene e lui si prendeva
cura di lui, si premurava che stesse sempre bene.
Ma io non sono
riuscito a fare lo stesso.
“Kreacher,” disse a voce bassa ma
perentoria. “Dimmi che è successo.”
Le mani calde di Marlene si facevano
largo sotto la sua maglietta, e, sebbene non stesse pensando a lei e a quel che
stava accadendo in quel momento, Regulus inarcò maggiormente la schiena,
permettendole di sfilargliela. Lui fece scorrere le mani sulla pelle candida e
scoperta di lei, i polpastrelli che intanto ne saggiavano la morbidezza per
l’ennesima volta.
“E… e il Signore Oscuro è andato via,
lasciando Kreacher da solo. L’acqua era fredda e a Kreacher faceva tanto male
la gola… Mani bianche sono spuntate dal lago e hanno afferrato Kreacher… E
Kreacher ha provato a resistere, ma loro erano di più… E poi… E poi a Kreacher
è stato ordinato di tornare a casa, e Kreacher ha fatto come gli era stato
detto.”
Regulus aveva ascoltato il racconto di
Kreacher in silenzio, il viso contratto in una smorfia schifata e rabbiosa. Non
riusciva a credere a ciò che il suo Padrone aveva fatto a Kreacher, era
qualcosa di troppo vergognoso da poter capire o dimenticare.
“Non devi dire a nessun altro quel che è
successo in quella caverna, Kreacher, mi raccomando,” disse quindi, con la voce
tremante di rabbia. L’avrebbe pagata. “E nasconditi. Non farti vedere da
qualcuno che potrebbe farti del male, okay?” L’elfo annuì, impaurito,
stringendo con forza la propria coperta rattoppata. “Ora vai a dormire,
Kreacher. Hai bisogno di riprenderti,” aggiunse, sinceramente dispiaciuto.
Kreacher annuì ancora e, dopo essersi
alzato in piedi, si avviò, barcollante, verso l’armadio dove dormiva.
Regulus non dormì, quella notte, pensò
solo a chi aveva sacrificato la propria vita.
Ti sei mostrato
per quel che sei davvero, ed è troppo tardi.
Ma la pagherai.
Marlene gemette contro la sua spalla, i
capelli biondi sparsi sul cuscino sotto la sua testa e le palpebre velate di
trucco calate sugli occhi azzurri. Regulus diede qualche altra spinta, con i
gomiti poggiati ai lati della testa della ragazza per non pesarle addosso; alla
fine, arrivò l’orgasmo e Regulus si sdraiò accanto a lei con il fiatone. Accanto a lui, Marlene si passò le mani
tra i capelli, il petto che iniziava ad alzarsi e ad abbassarsi ad intervalli
regolari. Poi la ragazza si girò di fianco, posando la testa sulla sua spalla e
passandogli un braccio un po’ sopra la vita; lui la imitò, stringendola a sé e
aspirando il profumo dei suoi capelli. Riflettendo, Regulus pensò che
effettivamente il suo momento preferito era il dopo orgasmo. Regnava la pace,
in quei minuti, e c’era talmente silenzio che lui poteva anche contare i
respiri di Marlene accanto a sé; e poi c’era proprio Marlene, che gli si
accoccolava vicino e le sembrava la persona più vicina a lui in quel tempo. Non
sapeva cosa gli stava accadendo, ma nascondere tutto al Signore Oscuro – solo a
pensarci, la rabbia s’impossessava ancora di lui – diventava ogni giorno più
difficile. “Blacky, è tardi…” mormorò appena
Marlene, parlandogli sulla pelle. Lui lanciò un’occhiata all’orologio,
prima di tirarsi a sedere, trascinandola così con lui. Lei gli scoccò un lieve
bacio sul collo, ridacchiando appena ed accendendosi la solita sigaretta,
mentre lui si rivestiva e, dopo aver aperto la porta, controllava che non ci
fosse nessuno. Nessuno doveva vederlo lì, con Marlene, o sarebbe stata la fine. Perché era tardi per tutto, ma per loro
era ancora troppo presto. (E
forse, lo sarebbe stato sempre.)
*
Aprile 1980.
“Tutto bene?” le chiese Emmeline,
versandole del tè. Erano sedute al tavolo della cucina del quartier generale
dell’Ordine da ormai una mezzoretta, ma fino ad ora avevano passato il tempo
lancia dosi occhiatine di sottecchi – nel caso di Emmeline – o guardando fuori
dalla finestra – nel caso di Marlene. A scuola, loro due non si erano mai
parlate. Emmeline aveva due anni più di lei ed era stata una Corvonero, perciò
oltre a non avere corsi in comune non l’aveva mai nemmeno incrociata in luoghi
comuni. Avevano iniziato a legare quando, circa sei mesi prima, era stata
coinvolta in un attacco dei Mangiamorte ed Emmeline l’aveva tratta in salvo,
portandola da Silente. Lui aveva proposto a Marlene di entrare nell’Ordine, ma
lei ci aveva messo qualche settimana a decidersi. Da allora, Emmeline era
diventata la sua più grande amica: Astris era ancora in viaggio – doveva
tornare a luglio, e Marlene non vedeva l’ora di rivederla e poterla
riabbracciare – mentre le altre sue amiche di Hogwarts sembrano essere
scomparse, inghiottite dalla guerra. “Oh, sì,” sorrise Marlene, tranquilla,
soffiando sul proprio tè. “Grazie,” aggiunse poi, indicando la tazza con un
cenno del capo. Emmeline scosse la testa, come a farle intendere che non c’era
nulla per cui ringraziare. “Tu?” “Bene, bene,” rispose Emmeline,
sistemandosi una ciocca scura dietro l’orecchio. “Senti… è da un po’ che ti
vedo strana. C’è qualcosa che vorresti dirmi?” “Mmh? Strana?, in che senso?” chiese
Marlene, sorseggiando il tè, assumendo un’aria curiosa. “Non lo so,” ammise Emmeline,
sorridendole dolcemente. “Sei sicura che non ci sia niente? Con me puoi
parlare, se c’è qualche problema puoi dirmelo.” Marlene scosse la testa, i riccioli
biondi che si muovevano sulle spalle. “Ehi, tranquilla,” ridacchiò quindi. “Non
succede nulla.” Emmeline si morse il labbro inferiore,
osservandola con un’espressione decisamente poco convinta. Aveva paura per lei,
glielo si leggeva negli occhi velati di un misto di dispiacere e paura. Marlene
si chiese perché avesse paura Emmeline, se non ce l’aveva neppure lei; o
almeno, lei non l’aveva per se stessa, ma non poteva negare di essere
terrorizzata dall’idea della morte della sua famiglia. E sapeva, Marlene, che
stare nell’Ordine sì, conferiva loro maggiore protezione, ma allo stesso tempo
erano più ambiti tra i Mangiamorte. Alla fine, Emmeline parve convincersi,
perché sbuffò e si raddrizzò sulla sedia. Poi le sorrise, quasi volesse parlare
per risollevarle il morale. Marlene si era a malapena trattenuta
dall’aggrottare le sopracciglia, nascondendo tutto dietro il solito sorriso
sfacciato e sicuro di sé. “Vabbe’, ma che mi racconti?” chiese,
infatti, ora curiosa. “A volte sparisci per pomeriggi interi… Impiccio?” “Non lo definirei proprio un impiccio,”
sorrise Marlene, bevendo un altro po’ di tè. “Oh,” Emmeline si illuminò. “Quindi è
qualcosa di più serio!” “Non esageriamo,” la bloccò la bionda,
perché Emmeline, quando ci si metteva, sapeva parlare finché non crollava. “È
solo… niente, già,” annuì, pensierosa, per poi posare la tazza sul tavolo e
battere le mani. “E tu, invece? Ragazzi?” Emmeline arrossì ed iniziò a parlarle di
un certo Samuel, che seguiva il suo stesso corso al Ministero. Marlene, prima
di poterselo impedire, si chiese perché lei non potesse fare lo stesso con
Regulus. Poi si ricordò chi erano entrambi.
*
Maggio 1980.
“Avrei un incarico per voi, spero lo
svogliate con l’attenzione e la precisione necessarie,” si premurò di dire
Voldemort, guardando i quattro Mangiamorte davanti a lui. Regulus, Bellatrix,
Rodolphus e Severus annuirono. “Dobbiamo ringraziare Peter, che ha deciso di
unirsi a noi e collaborare,” aggiunse, senza degnare di uno sguardo Peter
Minus, che lo guardava, tremante, da un angolo poco lontano. “Li abbiamo
scovati, finalmente. Agirete domani.”
Quella volta fu Marlene ad alzarsi per
prima da quel groviglio di coperte, vestiti e talvolta anche cenere. Si rivestì
rapidamente, prendendosi solo il tempo di fumare una sigaretta accanto alla
finestra. Regulus la guardò lasciar uscire il fumo
fuori, coperta solo dall’intimo, i capelli biondi che le arrivavano quasi a
metà schiena in onde morbide e profumate – odoravano di mela, i capelli di
Marlene, ormai l’aveva capito. Mentre la ragazza si rivestiva, Regulus
non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era bella, Marlene, e lo sapevano
entrambi: snella, slanciata, bionda e dall’aria fresca. Una di quelle bellezze
che colpiscono al volo, e lei aveva sempre usato questa sua dote a proprio
vantaggio, ad Hogwarts; fuori da scuola era stato più difficile: non sapeva chi
fossero i Mangiamorte, a parte qualche persona grazie al suo ruolo nell’Ordine,
e a volte aveva paura di essere riconosciuta. Di solito dava la colpa al suo
spiccato egocentrismo. Allacciandosi i bottoncini della
camicetta, Marlene si sedette sul bordo del letto, accanto a Regulus. Poi gli
prese il viso fra le mani e catturò le sue labbra in un bacio dolce, forse
anche troppo per loro due. Lui non disse niente, limitandosi a ricambiare e poi
a guardarla uscire via. Perché
gli era sembrato tutto un addio?
Regulus seguì sua cugina e il marito
attraverso la stradina di una cittadina semi-magica piuttosto piccola. Si
trovavano vicino Tinworth, gli era parso di capire. Lungo i cigli della strada,
le foglie degli alberi erano verdi, ed il cielo diventava mano a mano sempre
più scuro. Si fermarono davanti ad una casa come
tutte le altre: le luci del salone e due del piano di sopra erano accese, e a
volte si vedevano delle ombre proiettate sui muri. Regulus sentì sua cugina
Bellatrix ridere ed estrarre la bacchetta. “Ancora non si sono accorti delle
barriere,” commentò, sarcastica. “Che sciocchi”. Con un incantesimo, Bellatrix
aprì il cancelletto che dava sul cortile della casa. Regulus aveva la pelle
d’oca e non sapeva perché: si guardava attorno con aria circospetta, e più che
tutto cercava di capire di chi fosse la casa in cui stavano entrando. Rodolphus fece scattare la serratura di
casa, aprendola senza far rumore: erano entrati in una specie di atrio lungo e
un po’ stretto. Dalla porta un po’ più avanti verso la destra arrivò il rumore
di passi affrettati e sussurri decisi. A Regulus parve di sentire un: “Chiama
gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti
accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò
Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure
Silly vi metterà in punizione!” I rumori cessarono e calò un silenzio
innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e
scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!” Se non avesse indossato la maschera,
Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il
suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato
Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le
scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che
aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene. Rodolphus e Rabastan entrarono nel
salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono
la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate
in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la
maschera, solo per non vedere quel ghigno. “Marlenuccia, non potrai scappare in
eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a
Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai
capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a
pieni polmoni. Il piano superiore era completamente
buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del
corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun
altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro
mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe
voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da
far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle
lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non
doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente. Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui
punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando
andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva
parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!” Quando Bellatrix puntò la bacchetta
contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella,
puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la
donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e
Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la
disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita. Bellatrix le lanciò contro un incantesimo
di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la
Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally.
E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di
pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie. Regulus si costrinse a guardarla, e così
facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui.
Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata:
non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un
giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover
vivere quel momento. “Vuoi avere l’onore?” gli chiese
Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di
scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi
lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli
occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso
conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma
se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché
in quel preciso istante Bellatrix gridò: “Avada
Kedavra!” Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di
lacrime, persero la luce che solitamente li emanava, mentre il suo corpo si
afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle
una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.” Regulus tuttavia rimase lì, mentre
Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a
realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel
sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri. E si odiò, Regulus, senza riuscire ad
impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si
era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era
perso nel buio, e anche la luce era stata spenta. Marlene
non gli avrebbe più illuminato la strada.
***
Me tanto triste. Me tanto triste perché
questa storia - che giuro, amo con tutta me stessa - è già arrivata al
penultimo capitolo, e io non mi sento ancora pronta a postare l'ultimo:
Dietro la pelle significa così tanto per me, ma mi tengo il discorso chilometrico per l'ultimo discorso. Però, ai pochi che seguono questa fanfiction (solo la mia Tef♥), prometto che presto o tardi mi vedrete tornare con un'altra Reglene♥,
perché li amo troppo e, nonostante il loro ciclo si stia chiudendo -
già, nonostante sia morta Marlene, loro non sono ancora finiti, e per
me non finiranno mai -, non potrò mai lasciarli. Comunque. Non
avete idea di quanto sia stato difficile scrivere la morte di Marlene -
lei, così vitale: vederla spezzarsi in questo modo mi ha distrutta,
sebbene, ovviamente, essendo l'autrice, sapessi già come sarebbe
successo. Ci tengo solo a specificare che NO, manca ancora un pezzo, e
Marlene purtroppo non comparirà, ma ci sarà solo Regulus - e non con i
suoi soliloqui su Marlene, ma alle prese con qualcosa di più importante
che la morte di Marlene gli ha fatto finalmente vedere. La parte di Greyback è ispirata, come detto nelle note di inizio ff, a Eroi non si nasce, si diventa di Julia Weasley - la amo, il suo Regulus è il migliore del mondo, leggetela, merita davvero! Ora
vado a finire Hunger Games (o almeno a tentare di finire di leggere
HG), oppure a scrivere qualcosa - qualcosa farò, in sostanza. Ai lov iu oll, ai suer (sto sclerando, non fateci caso) ♥ Eralery
LA MIA PAGINA E' QUESTA. A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri”
dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare
strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola.
“Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un
urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi
Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo
per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore:
Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse
fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non
solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di
Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco
delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in
direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus
avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel
ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a
salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al
salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che
si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che
filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia.
All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena
percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix
fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di
Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano
umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio
attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e
che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però
Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si
trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la
bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò
forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua
bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene
lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel
buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto
per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per
un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò
un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così
fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene
gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno
della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre
Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva
capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe
arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta.
Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della
Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde
per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a
quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa,
ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba,
perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
“Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che
solitamente emanavano, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento.
Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando:
“Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla
stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non
esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei
baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai
voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la
sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era
stata spenta.
Marlene non gli avrebbe più illuminato la
strada.A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente
familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la
bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola.
“Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un
urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi
Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo
per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore:
Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse
fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non
solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di
Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco
delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in
direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus
avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel
ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a
salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al
salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che
si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che
filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia.
All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena
percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix
fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di
Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano
umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio
attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e
che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però
Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si
trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la
bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò
forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua
bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene
lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel
buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto
per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per
un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento,
scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu
così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di
Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno
della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre
Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva
capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe
arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta.
Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della
Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde
per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a
quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa,
ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba,
perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
“Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che
solitamente emanavano, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento.
Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando:
“Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla
stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non
esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei
baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai
voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la
sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era
stata spenta.
Marlene non gli avrebbe più illuminato la
strada.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5. Giugno 1980 - Luglio 1980 ***
cap 5 dlp
5.
Giugno 1980.
Regulus girò velocemente la pagina
del tomo che stava leggendo. Era passato un mese dalla missione, e in quei
giorni aveva scoperto più di quanto avesse mai potuto immaginare. Era successo
tutto una sera, dopo un discorso ambiguo da parte del Signore Oscuro.
“Forse, un giorno, anche voi scoprirete
i segreti della morte,” stava dicendo Voldemort, la bacchetta di tasso stretta
fra le dita bianche. “Anche se, ad essere sincero, non credo riuscirete ad
ingannarla come me.”
Ci aveva riflettuto a lungo,
Regulus, ed era andato a parlare con l’unico che potesse dire di conoscere
almeno in parte chi era prima Lord Voldemort, Tom Riddle: Horace Lumacorno.
“Imperio,” sussurrò Regulus, la bacchetta puntata di
nascosto verso il vecchio insegnante, il cui sguardo divenne improvvisamente
vacuo. “Cosa sa di Tom Riddle?”
Horace parve impaurirsi, nonostante
la maledizione, ma fu obbligato a rispondere: “Era… Tom Riddle era uno studente
brillante ed incredibilmente dotato, non c’è che dire… Era anche molto bravo
a…”
“No,” lo interruppe Regulus, rapido,
guardandosi attorno con aria guardinga. “Intendo sul suo rapporto con la Magia
Oscura.”
“Io… All’inizio pensavo fosse solo
un interesse scolastico. Ricerche e cose del genere… Qualche volta mi chiese
anche alcune cose.”
“Ad esempio?” insisté Regulus. “C’è
qualcosa di… di molto pericoloso che le chiese?”
Regulus sentiva l’adrenalina
scorrergli nelle vene, mentre una goccia di sudore gli scivolava lungo la
tempia. Si sentiva euforico: era in procinto di scoprire il segreto del Signore
Oscuro. Ma nonostante ciò, era anche preoccupato: ormai aveva capito che il
Signore Oscuro era in grado di fare qualunque cosa gli potesse garantire
maggior potere o più forza.
“Lui… lui mi chiese qualcosa
riguardo una magia tanto potente quanto oscura…”
Regulus lo incitò a continuare,
mentre iniziava a tremare appena.
“Gli Horcrux,” rispose il vecchio, e
non appena lo disse Regulus spezzò l’incantesimo per cambiargli la memoria.
All’inizio si era scoraggiato,
perché non aveva mai sentito parlare di Horcrux. Aveva provato a cercare
qualcosa su di loro nei libri che aveva a casa, ma, nonostante essi fossero
piene di magie oscure, non aveva mai incrociato la parola Horcrux. Era anche
andato da Magie Sinister con
l’intento di trovare qualcosa, ma non aveva avuto fortuna. Alla fine, aveva preso il coraggio a
due mani ed era andato a casa di Lucius Malfoy. Villa Malfoy era grande, e
sapeva bene quanti libri contenesse la sua biblioteca privata. Lucius l’aveva guardato un attimo,
colpito dalla richiesta di fare una ricerca, ma alla fine aveva acconsentito e
l’aveva accompagnato alla biblioteca. Lì gli aveva chiesto se avesse bisogno di
una mano e gli aveva indicato gli scaffali riguardanti il tempo, l’amore, il
buio, la morte e tanti altri. Regulus, dopo che Lucius se ne fu andato, corse
immediatamente a quello sulla morte. Dopo svariate ricerche, aveva
trovato qualche accenno a ciò che stava cercando. Fu un pezzo in particolare a
fargli capire fin dove si era spinto il Signore Oscuro: Con la parola Horcrux si definisce un oggetto in cui qualcuno ha
riposto parte della propria anima. Un Horcrux, quindi, impedisce la morte del
mago che lo ha creato: il frammento d’anima che risiede al suo interno,
infatti, resterà illeso e permetterà al mago di sopravvivere. La via per la
creazione di un Horcrux è crudele e dolorosa, e per questo motivo non ne
parleremo in questo libro. Questo era stato tutto ciò che era
riuscito a trovare in un intero pomeriggio, e nonostante avesse controllato
anche in altri volumi – tra cui quello che teneva aperto sul tavolo – non era
stato in grado di ricavare altre notizie su gli Horcrux. Ma erano bastate
quelle frasi a fargli capire quanto si fosse spinto in là Lord Voldemort. Mentre chiudeva il libro che aveva
letto fino a quel momento, un pensiero gli balenò per la mente: Non vincerai. Non avrebbe permesso che Voldemort
vincesse la guerra, avrebbe fatto di tutto per impedirlo. Stava cambiando
rotta, se ne rendeva conto, ed era impaurito da ciò; un poco alla volta si
stava distaccando dagli insegnamenti dei suoi genitori. “Io non sono come loro, e se lo vuoi non lo sei neanche tu,” gli aveva detto
Sirius, un giorno, e in quel momento si rese conto di volerlo. Afferrò il libro
dove aveva trovato l’accenno agli Horcrux e, dopo aver ritrovato la pagina, la
strappò e se la ficcò in tasca. Nessuno doveva sapere cosa aveva
scoperto.
*
Giugno 1980. Le labbra di Marlene erano morbide e piene, e quando si piegavano verso
l’alto le donavano un’aria tanto bella quanto fuggente. Regulus si rigirò nel letto,
cercando di addormentarsi – cosa che ormai tentava di fare da quasi un’ora. Negli occhi di Marlene c’era il cielo, ed ogni emozione era come una
nuvola bianca: ballerina, e di tanto in tanto le velava gli occhi di una
malinconia che se ne andava quasi subito. Regulus si tirò le coperte fin sopra
la testa, quasi sperasse che così tutti i ricordi lo lasciassero in pace. Le pallide lentiggini sul viso di Marlene erano tante quanto i dubbi e le
incertezze di Regulus, solo che le ultime due erano molto più marcate. Regulus sentì qualcosa stringergli
appena lo stomaco – e forse anche qualcosa un po’ più in alto, verso sinistra. Marlene aveva contribuito ad accentuare le sue paure. Regulus si rannicchiò sotto le
coperte, mentre sentiva Morfeo prenderlo finalmente con sé. Ma la morte di Marlene le aveva sollevate tutte completamente.
*
Luglio 1980.
Era strano non dover più andare una
volta alla settimana alla Testa di Porco, nonostante fossero passati quasi due
mesi dalla morte di Marlene. A volte – ma non lo avrebbe mai detto a nessuno,
come non avrebbe mai detto niente di loro a nessuno – gli sembrava anche di
rivederla, magari sull’altro ciglio della strada; e quando si girava e una
macchina passava, lì non c’era che la polvere sollevata dalle ruote che
correvano. Stava ancora cercando il modo per
tenersi impegnato tutti i giorni. Cercava di limitare, per quanto possibile, la
sua presenza a Villa Lestrange, e quando aveva del tempo – se ne aveva – e Marlene gli tornava in mente lui si chiudeva nella
biblioteca di casa Black per fare qualche altra ricerca sul medaglione.
“Com’era fatto il medaglione,
Kreacher?” gli chiese un giorno, mentre sua madre dormiva e l’elfo rimetteva in
ordine le stoviglie. Kreacher si era irrigidito ed aveva preso a tremare,
perciò Regulus gli posò una mano sulla spalla gracile.
“D’oro,” gracchiò dopo un po’. “Con
delle porticine davanti, come quelle del ciondolo della Padrona. E c’era una
‘S’ di smeraldi. Kreacher… Kreacher non ricorda altro.”
Ancora non sapeva bene cosa fare
delle informazioni in suo possesso, ma ogni giorno si diceva che ci avrebbe
pensato il giorno seguente. La verità è che proprio non ne aveva idea. Non
sapeva cosa fosse quel medaglione – se non che era l’Horcrux di Lord Voldemort
– o come arrivare alla caverna. Ogni giorno, però, diventava sempre
più difficile fare finta di nulla davanti all’Oscuro. Se n’era accorto,
Regulus, degli sguardi indagatori che alcuni Mangiamorte gli lanciavano. Barty,
poi, che era stato un suo caro amico ad Hogwarts, lo aveva quasi minacciato,
dicendo che se avesse tradito l’Oscuro avrebbe tradito anche lui. A Regulus era
dispiaciuto tantissimo, ma lui non poteva farci niente, ormai lo sapeva. Lo sapeva, e sapeva anche che presto
sarebbe morto, perché Voldemort, prima o poi, avrebbe scoperto tutto. Ma aveva
già deciso che non si sarebbe fatto rincorrere e poi uccidere, no, se avesse
dovuto sarebbe andato incontro alla morte. Mentre pensava ciò, l’occhio gli
cadde su uno dei tomi che ancora doveva leggere, Oggetti magici preziosi. Lo afferrò al volo, iniziando a sfogliarlo
con impazienza, finché non trovò l’immagine di un grosso medaglione d’oro come
quello che gli aveva descritto l’elfo. Con il cuore che batteva forte,
Regulus chiamò: “Kreacher!” “Il padrone ha chiamato?” chiese
l’elfo, una volta apparso di fronte a lui. “Io – sì, ti ho chiamato,” rispose,
annuendo, prima di fargli segno di avvicinarsi. “È questo?” L’elfo sgranò gli occhi, iniziando
ad annuire freneticamente. A Regulus dispiacque molto provocargli tanto dolore,
ma doveva farlo. “Sì, è questo, Kreacher lo ricorda
bene.” Il Medaglione di Serpeverde…
Il giorno dopo Regulus decise di far
forgiare un doppione del medaglione, nel caso potesse tornare utile.
*
Luglio 1980.
Alla fine aveva preso la sua
decisione. O meglio, aveva capito cosa doveva
fare. Era accaduto durante la riunione dei
Mangiamorte, mentre Benjy Fenwick veniva trucidato e tagliato a pezzi da alcuni
seguaci dell’Oscuro, che li guardava, vagamente compiaciuto, accarezzando la
testa del suo serpente Nagini. Regulus era rimasto fermo, paralizzato
da quella visione tanto oscena e ributtante. Non solo avevano ucciso
quell’uomo, ma poi avevano anche infierito su quel corpo già martoriato e ormai
ridotto allo stremo. Era tornato a casa stremato, ma
deciso a dare un contributo per finire quella guerra sanguinolenta che
imperversava già da troppo tempo, annegando il mondo magico nel terrore più
puro. Aveva chiamato Kreacher, la voce alta ma tremante, e quando l’elfo si
Materializzò davanti a lui, Regulus vide nei suoi occhi un’orrenda
consapevolezza. E qualcosa scattò in lui. “Portami alla caverna,” ordinò,
perentorio, cercando di tenere ferma la voce e di non far trapelare alcuna
emozione da quelle parole. Regulus guardò Kreacher cercare di ribellarsi e alla
fine cedere, non prima di chiedergli se fosse sicuro. “Lo sono.”
Non era come se l’era immaginato –
era mille volte peggio. Le onde si infrangevano sugli
scogli, l’acqua schizzava ovunque e l’odore salmastro entrava nei polmoni. La
rientranza era in ombra, e Regulus – che tremava sia per il freddo che per la
paura – era sicuro che in pochissimi l’avessero mai vista, nascosta tra le
rocce com’era. Regulus osservò le pareti rocciose,
cercando con gli occhi l’entrata alla caverna, ma dopo molti ed inutili
tentativi si girò verso l’elfo. Kreacher tremava forte, molto più di lui, e si
guardava attorno con aria terrorizzata; gli occhi scuri erano lucidi e
brillanti, e mai a Regulus erano parsi più grandi di allora. “Fammi strada,” gli disse,
dispiaciuto per il dolore che stava provocandogli. Seppur riluttante, Kreacher annuì e
gli indicò un punto preciso nella parete. Regulus annuì ed estrasse la
bacchetta, sapendo già quel che aveva da fare poiché era una delle cose che
Kreacher gli aveva riferito prima di cadere in preda ai singhiozzi. “No!” gracchiò l’elfo, tirandolo per
una manica. “Non lo faccia, padron Regulus! Non entri là dentro, la prego.
Kreacher non vuole che padron Regulus entri lì, è pieno di cose bruttissime!
Kreacher non vuole!” Regulus sorrise appena, mentre
l’aria insolitamente fredda per il mese in cui si trovavano gli scompigliava i
capelli che si era lasciato crescere negli ultimi tre mesi. Sapeva quel che lo
aspettava, una volta varcata la soglia, sapeva cosa lo aspettava alla fine. “Kreacher, devo farlo.” Non posso permettere che altra gente muoia per colpa sua. “Allora lasci che lo faccia
Kreacher, lasci che lo faccia Kreacher,” singhiozzò forte l’elfo. “No, Kreacher,” Regulus scosse la
testa, mentre con la bacchetta si apriva una ferita nel palmo della mano
destra. Quella si aprì davanti ai loro occhi, permettendo ai due di vedere il
buio che dominava all’interno. “Sai tu la strada,” gli disse poi, facendogli
segno di precederlo. Kreacher annuì, nolente, ed entrò.
Regulus lo seguì subito dopo, e, quando la parete si fu richiusa alle loro
spalle e l’unica luce all’interno della caverna era verde e proveniva dal
centro di un lago, alzò la bacchetta e mormorò: “Lumos.” Seguì Kreacher vicino al Lago, dove
l’elfo gli indicò una catena che usciva dall’acqua. Regulus si piegò sulle
gambe e iniziò a tirare la catena, che sbatté più e più volte a terra,
provocando un sinistro clangore, finché una piccola imbarcazione non uscì
dall’acqua scura. Tirando, Regulus la fece avvicinare a loro. “Saliamo,” mormorò, e per la caverna
rimbombarono quelle quattro sillabe miste ai singhiozzi di Kreacher – che salì
sulla barca come gli era stato detto, il piccolo corpicino che tremava
violentemente, sussurrando frasi sconnesse. La barca si mosse da sola non appena
furono saliti entrambi, conducendoli sempre più vicini al centro del lago,
proprio verso l’origine di quella pallida luce. Nel breve tragitto, Regulus
ebbe il tempo di pensare davvero a ciò a cui stava andando incontro: nessuno
avrebbe mai saputo quel che avrebbe compiuto di lì a poco, alcuni lo avrebbero
considerato un codardo, altri un traditore, suo fratello uno stupido che non si
era reso conto di star sbagliando sin dall’inizio. E gli dispiacque, perché sapeva che
avrebbe recato disonore alla sua Casata, che avrebbe posto fine ai Black, che
sarebbe stato l’ennesima delusione dei suoi genitori. E anche di Sirius, perché
nonostante cercasse di nasconderlo anche a se stesso lui non voleva che suo
fratello lo ritenesse un idiota senza spina dorsale. Sarebbe stato ancora in tempo per
tornare indietro, uscire e andare a dire tutto a Sirius, a qualcuno, ma ormai
aveva preso la sua decisione. E doveva continuare, nonostante quel che la gente
avrebbe pensato di lui. Una volta giungi nell’isolotto al
centro del lago, Kreacher precedette ancora Regulus, scendendo dall’imbarcazione
ed aspettandolo, cercando di tenersi il tenersi il più lontano possibile
dall’acqua, purtroppo memore di quel che era successo l’ultima volta. “Padrone…” tentò debolmente l’elfo,
quando Regulus l’ebbe raggiunto. “Non c’è bisogno che lo faccia… La prego…” “Ce n’è bisogno, invece,” ribatté
lui, avvicinandosi al bacile di pietra che si stagliava, netto e chiaro, in
mezzo all’isolotto. Al suo interno, un liquido verdastro brillava, ed in fondo
si intravedeva un medaglione identico a quello che aveva tenuto in tasca e che
stava tirando fuori in quel momento. “Kreacher, fa’ attenzione,” disse ancora,
attirando così l’attenzione dell’elfo. “Adesso io berrò tutta la pozione – e anche se mi dimenerò, tu dovrai
farmela bere, sono stato chiaro? – e, una volta che l’avrò finita, tu dovrai
scambiare il medaglione con questo qui,” – gli porse il falso Horcrux – “Poi
porterai quello qui dentro a casa e dovrai distruggerlo. Okay?” “S-sì, padron Regulus.” Regulus gli mise in mano il
medaglione finto – che Kreacher infilò in una delle pieghe del suo straccio –
e, prendendo in mano il calice sul bordo del bacile, disse infine: “Una volta
scambiati i medaglioni, torna a casa. Dovrai lasciarmi qui.” Kreacher annuì, senza riuscire a
parlare, iniziando a singhiozzare ancora più forte mentre le lacrime iniziavano
a scendergli da quegli occhi enormi. Mi dispiace – pensò, ed era vero. Gli dispiaceva
per Sirius e quel che gli aveva detto l’ultima volta che si erano visti, per i
suoi genitori ed il dolore che gli avrebbe portato, gli dispiaceva per Marlene e
il dolore che lui non aveva potuto alleviarle, per Kreacher e per la tortura
che consapevole e nolente gli stava costringendo a subire. Mi dispiace. Il primo sorso bruciava, scottava le
pareti della gola e a Regulus si annebbiò la vista per un attimo. Ma non poteva
fermarsi: perché se anche lo avesse fatto, Kreacher avrebbe dovuto obbedire
agli ordini e fargli bere la pozione fino all’ultima goccia. Perciò Regulus
immerse per la seconda volta il calice nel liquido verdastro, riempiendolo il
più possibile e portandoselo poi alle labbra.
“Voglio un Ippogrifo.”
Svuotò il calice per la seconda
volta, la gola che ardeva come se delle lingue infuocate la stessero lambendo
dall’interno. Gli occhi avevano iniziato a bruciare, e nella sua testa si
accavallavano voci e parole, che andavano a superare ciò che diceva Kreacher.
“Starò sempre con te, fratellino.
Non ti lascerò da solo al buio.”
Regulus poggiò una mano sul bacile
di pietra fredda appena in tempo, impedendosi di scivolare a terra. Non si era
nemmeno accorto che i suoi sensi avevano iniziato ad intorpidirsi, tanto era
preso ad ascoltare le voci nella sua testa. Il terzo sorso fu l’ennesimo fiume
di lava lungo la sua gola secca e bruciante. Non riusciva già quasi più a
reggersi in piedi, ma tentò di farsi forza appoggiando una mano al bordo mentre
l’altra corse verso il liquido, riempiendone ancora il calice.
“Non toccare mia sorella, puttana!”
Regulus iniziò a perdere coscienza
al quarto bicchiere, mentre delle urla – le sue – echeggiavano nell’ombra della
caverna; il raschiare del calice contro il fondo del bacile gli provocava,
però, uno strano senso di soddisfazione, eppure ogni volta che alzava lo
sguardo il liquido nel bacile gli sembrava sempre troppo.
“Ti uccideranno, quelle cose.” “Come ti ho già detto, penso che lo
farà prima qualcun altro.”
“Acqua…” mormorò, crollando a terra.
Avrebbe voluto solo dell’acqua fresca, dell’acqua con cui dissetarsi. E intanto
le voci continuavano a riempirgli la testa, più concitate di prima, e si
susseguivano l’una dopo l’altra, veloci, rapide. E facevano male.
“Tu non sei più mio figlio!” “Erano anni che aspettavo che tu lo
dicessi!”
“Beva questo, padrone,” gracchiò
Kreacher. “La farà stare bene…” Regulus lasciò che Kreacher gli
avvicinasse il calice alla bocca semiaperta e ne lasciasse scorrere il
contenuto in bocca e lungo la gola. Ma fu ancora fuoco: fuoco che divorava, che
massacrava e che non lasciava pace. E tremava, Regulus, continuando ad
urlare.
“Li abbiamo scovati, finalmente.
Agirete domani.”
Avrebbe solo voluto farle smettere.
Avrebbe solo voluto dimenticare per non soffrire ancor di più, perché ogni
volta che sentiva qualcosa il vuoto che avvertiva all’altezza del petto sembrava
ampliarsi maggiormente.
“Comunque ciao anche a te, Black!”
Il viso di Marlene gli apparve un
attimo, e poi comparve quello di sua madre, contratto, arcigno, che gli urlava
di essere stato l’ennesimo disonore dei Black.
“In una guerra rischiano tutti.”
Non ce la faceva più, ad ogni
sorsata – ormai non ricordava neppure quando avevano iniziato – gli sembrava di
perdere parte di se stesso. E la cosa non gli piaceva per niente, e poi fu il
caos, nella sua testa.
“Il mio unico fratello si chiama
James.” “Regghy!” “Non devi avere paura, fratellino, ci
sono io con te. Noi siamo più forti, insieme.” “Tu hai fatto una scelta, tutti
devono scegliere.” “Se dovessi cambiare idea… vai da Silente.”
Le urla continuavano, mentre
Kreacher gli metteva fra le mani il calice – per l’ultima volta. “È tutto… è tutto finito, padrone,”
singhiozzò, e Regulus neanche avvertì il tintinnio del falso medaglione che
andava a cozzare con il fondo del bacile. Kreacher si mise in tasca l’Horcrux,
come gli era stato detto di fare. La pozione scese per l’ultima volta
lungo la sua gola, mentre l’unica cosa che desiderava era poter bere acqua. Per
terra, si trascinò fino al bordo dell’isolotto, nonostante la resistenza di
Kreacher, che cercava di trattenerlo tirandolo per le vesti scure. Allungò le
braccia verso l’acqua salmastra e, le mani congiunte a calice, prese più acqua
che poté; si portò le mani alla bocca, ma quando bevve l’acqua presa non
avvertì alcun sollievo impossessarsi di lui. Riprovò e riprovò, mentre Kreacher
urlava, disperato, finché delle mani bianche e morte lo afferrarono per le
spalle e iniziarono a tirare. Cercò di opporre resistenza, di non farsi
trascinare giù, nel baratro, perché aveva ancora troppe cose da dire, ma ormai
aveva fatto la sua scelta e doveva andare avanti – nonostante quel che sarebbe
successo e nonostante sapesse che non avrebbe più fatto ritorno. Le mani lo tirarono con forza verso
di loro, e alla fine lui cadde. L’acqua era fredda, gelida, e le mani che
avevano infranto la superficie si erano come triplicate, una volta dentro. Le
caviglie, i polsi, le spalle – sentiva le loro mani ovunque, sul suo corpo
ormai stremato e freddo quanto loro. Non sentiva più Kreacher – le sue
urla erano ormai del tutto attutite dall’acqua sopra di lui. Gli dispiaceva, per il dolore che
avrebbe procurato a qualcuno – Regulus non sapeva dire a chi, con precisione, ma
sperava, sebbene potesse sembrare crudele, che Sirius facesse parte di loro. E mentre l’acqua gli riempiva
i polmoni e l’aria finiva del tutto, a Regulus parve di udire la risata di suo
fratello e di vedere gli occhi di Marlene.
*
Già, è finita. E' proprio finita. Ancora non ci credo. E' finita. Mi fa strano dirlo, ma andiamo avanti. Ringrazio Hayley Black, la mia SvergognataH, che mi è stata sempre accanto durante la stesura di questa storia. Ringrazio Daphne Kerouac, per le belle parole che ha speso per questa storia. Ringrazio Tefnut, che anche prima di leggerla credeva in questa storia. Ho amato Dietro La Pelle con tutta me stessa, ci ho messo tutto l'impegno possibile e immaginabile, e credo di aver fatto un buon lavoro. Qui
trovate un altro banner, stavolta creato da me. (E sì, quella è la mia
pagina, se vi interessa il gruppo basta chiedere in bacheca) Baci, Eralery.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1019996
|