Days are forgotten

di Storm_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

Capitolo 1
 
Sid era in anticipo, come al solito.
Si sedette sulla solita panchina, sgangherata e piena di schegge, e prese ad osservare la copertina sgualcita del libro che teneva in mano. Il paradiso degli orchi, di Daniel Pennac.
Sperava che a Ciel sarebbe piaciuto.
Ormai quegli incontri mattutini erano una tradizione.
Sid non ricordava esattamente come si fossero conosciuti lui e Ciel. Ricordava solo che, da un giorno all’altro, avevano preso ad incontrarsi tutte le mattine. Sempre davanti al negozio di tatuaggi dove lavorava Ciel.
Avevano sempre qualcosa da dirsi. Ciel mostrava a Sid i suoi disegni, che sognava di trasformare in tatuaggi, e gli parlava del corso di teatro che seguiva. Sid le portava sempre dei nuovi libri da leggere, riteneva che l’unica cosa buona di casa sua fosse l’enorme varietà di libri che i suoi genitori possedevano. Per il resto amava ascoltare Ciel vaneggiare sul suo futuro. L’ottimismo della ragazza riusciva talvolta a contagiarlo, anche se lui rimaneva sempre con la sua visione pessimistica di ogni cosa.
Sid si accese una sigaretta, più per un’abitudine ormai sordamente radicata nel tempo che per il gusto di riempirsi i polmoni di fumo.
Quando ormai il piede di Sid aveva calpestato il mozzicone della sigaretta, l’insegna sbilenca della Inked Hearts prese a lampeggiare fiaccamente, mentre con un cigolio la saracinesca cominciava ad alzarsi.
Dietro alla ferraglia della claire apparvero le solite Vans consumate, e poco alla volta si profilò per intero una figura piuttosto esile e minuta.
Le braccia e le gambe della ragazza erano ricoperte di tatuaggi, in netto contrasto con la sua pelle pallida.
Era ancora presto, e un velo di buio sembrava dividere Sid da quella ragazza.
Ciel attraversò velocemente la strada senza neanche controllare se stessero passando delle macchine, tanto a quell’ora era scontato che la strada fosse deserta.
Rivolse a Sid il solito sorriso sbilenco, che venne ricambiato con una smorfia, ciò di quanto più simile ad un sorriso Sid riuscisse a produrre a quell’ora.
-Sid! Stanotte ti ho fatto un ritratto. Gli annunciò Ciel, con aria solenne. Aveva degli enormi occhioni grigi che riflettevano tutte le prime luci del mattino moltiplicandole all’infinito nelle sue iridi.
-Ma dormire come le persone normali no, eh? La prese in giro Sid, conscio del fatto che Ciel non sarebbe mai stata quello che si definiva una persona normale. I suoi capelli corti e tinti di blu, le sue enormi camice a quadretti e le sue Vans consunte. Ma soprattutto la genialità della ragazza, che non tutti capivano. La maggior parte della gente pensava semplicemente che Ciel si facesse di tutto quello che le capitava a tiro, e la lasciava perdere.
-Non è colpa mia se i lampi di genio mi vengono solo dopo le due di notte. Comunque eccolo. Disse la ragazza, porgendogli un foglio un po’ stropicciato e sistemandosi gli occhiali da sole in testa, a mo’ di cerchietto. Per lei il fatto che fosse Novembre era irrilevante, voleva sempre avere con sé i suoi occhiali da John Lennon.
Sid fu stupito dal fatto che quello ritratto sul foglio sembrava proprio lui. Stessi lineamenti indecisi se essere adulti o infantili, stesso sguardo incurante.
-Cazzo, è meraviglioso. Un giorno o l’altro capirò come fai. Ah, comunque, ti ho portato un libro. Spero che ti piaccia. Detto ciò, le porse il libro.
Ciel lo prese e squadrò la copertina per qualche minuto.
Intanto il sole stava iniziando ad alzarsi nel cielo, illuminando tutta la via.
-Mh, grazie Sid. Lo inizierò a leggere stasera. Sorrise.
A Sid il sorriso di Ciel piaceva, e anche tanto. Sapeva con certezza di non essere innamorato della ragazza, però sentiva anche che senza quei sorrisi le sue giornate non sarebbero iniziate in modo così.. luminoso.
-Scusami Sid, ma devo andare. E’ lunedì e se Jay non trova tutti gli attrezzi a posto cominciamo male la settimana. Speriamo solo che ieri non abbia bevuto niente, che già è intrattabile senza doposbornia.
Ciel inveì contro il suo corpulento datore di lavoro e riattraversò la strada dopo un breve saluto a Sid.
Sid guardò l’orologio, constatando che aveva ancora tre ore buone prima che arrivasse il suo turno al bar.
Disse a se stesso che poteva anche passare le successive tre ore seduto su una panchina ad osservare le nuvole che si muovevano nel cielo, fingendo di avere una vita priva di preoccupazioni come quelle dei film e nella quale Ciel era l’unico coprotagonista.
 
Lo chiamavano “spazio dell’autrice”
Per chiunque sia arrivato fin qui: sei un/a figo/a e io ti adoro :3
Comunque, so che questo primo capitolo non è un granchè, diciamo che è  solo una piccola introduzione.
*prega disperatamente di lasciare una recensione, anche negativa, non importa*
http://www.youtube.com/watch?v=qZA8gMz7sTs questa canzone non centra niente con il capitolo, ma ascoltandola mi ha ispirata e quindi volevo farvela sentire.
Sì, tanto lo so che sto parlando da sola.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2

Un sonoro tintinnio accompagnò l’entrata di Ciel nel negozio.
La ragazza, constatando con piacere che tutto era già in perfetto ordine, si accomodò su una delle poltrone logore che occupavano lo spazio nel negozio, in attesa che arrivasse Jay.
Scrutò attentamente le sue gambe, percorrendo con gli occhi tutti i tatuaggi che le ricoprivano. Ognuno era frutto di un suo disegno, e corrispondeva a qualcosa che Ciel non voleva dimenticare.
Il suo sguardo divagò fino all’avambraccio destro, ancora bianco. Da un po’ di tempo Ciel aveva in mente di farsi un tatuaggio in onore di Sid, che vedeva come una specie di angelo custode.
Era stato l’unico ad essere gentile con lei. Dentro di sé Ciel benediceva il giorno di tre mesi prima in cui aveva deciso di andare a prendersi un caffè al Central Pub, un baretto piuttosto malmesso che portava un nome pomposo.
Qualcuno entrò nel negozio, annunciato dal solito scampanellio. Ciel alzò gli occhi, che andarono a posarsi sul ragazzo che era appena entrato.
-Buongiorno. Farfugliò il ragazzo.
Ciel, un po’ intontita dal fatto che aveva passato una notte in bianco, rimase qualche secondo a squadrare il tipo che era appena entrato. Decise che quei ricci rossi le ispiravano simpatia.
-Come posso aiutarti? Chiese, cercando di soffocare nella cordialità l’ennesimo sbadiglio.
-Volevo sapere se qui facevate anche piercings. Rispose quello.
-Sinceramente non ne ho idea. Lavoro qui da solo tre mesi.. Però se hai tempo tra poco dovrebbe arrivare il proprietario!
-Ok,d’accordo..
Ciel gli accennò alla poltrona di fianco alla sua, spellata e consunta più dell’altra.
-Accomodati!
Il ragazzo si sedette, o per meglio dire sprofondò nella poltrona, e prese a guardarsi intorno.
Il negozio era tappezzato di poster di ogni tipo, dei quali la maggior parte era ormai così sbiadita che non si distingueva più il soggetto della foto.
C’era un silenzio quasi imbarazzato, che stava cominciando a dare sui nervi a Ciel.
Si accoccolò nella poltrona e chiese al rosso:
-Che piercing vorresti fare?
Il ragazzo sembrava sorpreso che Ciel avesse parlato, ma almeno distolse gli occhi dalla parete opposta, che stava fissando in modo quasi ossessivo.
-Oh.. al sopracciglio. Le rispose debolmente, quasi come se si vergognasse di ammettere a voce alta la sua decisione. O forse era solo timido.
Ciel non fece in tempo a replicare, anche se non aveva idea di cosa avrebbe potuto dirgli, che il suo vecchio cellulare annunciò l’ arrivo di un messaggio.
Era Jay.
“Ciel, oggi non posso venire. Ciao.”
Tra i pixel Ciel riusciva a leggere l’ ordine sottinteso di Jay: chiudi il negozio e vattene.
Ciel si chiese quanto avesse bevuto Jay la sera prima, di solito il mal di testa non gli impediva di presentarsi al lavoro.
Si accorse che il ragazzo riccioluto la stava osservando , con un gigantesco punto interrogativo negli occhi.
-Oggi è proprio un giorno sfigato, amico. Il proprietario non c’è, e senza di lui io non posso fare niente. Figurati, non si fida neanche della sua ombra! Mi dispiace. Borbottò , mentre si rialzava stancamente dalla poltrona spellata, seguita a ruota dal ragazzo, che sembrava vagamente deluso.
-Oh. Beh, tornerò domani. Rispose, poco convinto. Ciel sapeva già che appena uscito di lì il ragazzo sarebbe andato in cerca di un altro negozio. Solo che era troppo educato per non lasciarle almeno l’illusione che sarebbe tornato.
Ciel si chiese come avrebbe potuto trascorrere la giornata. Tornare a casa era fuori discussione, stare chiusa fra quelle quattro mura ammuffite a sprecare la sua vita non era da lei.
Per ora poteva infilarsi in un bar, in modo da poter progettare con calma il suo nuovo tatuaggio in compagnia di una bella brioche. Come al solito voleva che fosse qualcosa di unico ed originale.
Notò che quel ragazzo dai capelli rossi era ancora in piedi in mezzo al negozio.
Si guardava intorno con aria un tantino smarrita, come se avesse avuto bisogno di un ordine da parte di Ciel per muoversi.
Per rompere quel sottile muro di imbarazzo che il rosso sembrava davvero abile a costruire, Ciel avanzò una proposta:
-Ti va se andiamo a prenderci un caffè? Non so tu, ma io non ho ancora fatto colazione!
-Oh, d’accordo.. Grazie. Farfugliò il ragazzo, assumendo un colorito rossastro che non fece che far risaltare i suoi occhi.
-Comunque, io sono Ciel.
-L’avevo intuito.. ce l’ hai tatuato sulla clavicola! Con un debole sorriso il ragazzo proseguì: -Io sono Chris.
-Piacere. Su, andiamo!

**
 

Erano seduti ad un tavolino del Central Pub da più di un’ora e mezza, ormai.
La ragazza dai capelli blu aveva deciso che quel Chris Pritchard era proprio un bel tipo.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno aveva abbandonato tutto quanto e si era trasferito lì. Nessun rimpianto.
Ora lavorava come volontario in un orfanatrofio, e andava avanti grazie a vari lavoretti come imbianchino. In soli sei mesi era riuscito a ricostruirsi una vita, sfasciata da chissà quali avvenimenti passati.
-Dov’è che vivevi, prima? Gli chiese Ciel, dopo una buona mezz’ora passata a parlargli della sua passione per il teatro.
-Oakland.
-Oh! Anche il mio migliore amico viveva lì.
Era strano parlare a qualcuno del suo rapporto con Sid, tuttavia la definizione “migliore amico”  le sembrava adatta, nonostante odiasse dare un titolo alle persone.
-Ma tu davvero ti chiami Ciel? Cioè.. è proprio il tuo nome di battesimo? 
Se vogliamo proprio essere pignoli, è il mio secondo nome. Il primo è Sarah. Non mi si addice, non l’ho mai considerato.
-Sarah Ciel Jones. Sì, quel Sarah in effetti è un po’ di troppo. Disse Chris, tuffando il suo terzo cornetto nel caffelatte.
In quel momento un altro ragazzo entrò nel Central Pub. Un ragazzo con una folta capigliatura nera e molto scompigliata e una maglietta dei Ramones di almeno tre taglie più grande.
Sid non ce la faceva più a starsene seduto sulla panchina ad aspettare. Di sicuro a Valerie, l’altra ragazza che lavorava al Central Pub, non sarebbe dispiaciuto staccare un po’ prima dal lavoro. Aveva sempre qualcosa da fare.

Ma la vista del ragazzo con cui stava parlando la proprietaria della famigliare zazzera blu lo paralizzò, i suoi anfibi parevano incollati alle luride scale d’ingresso.
 
Mon petit angle.
Ebbene sì, ecco qui già  il secondo capitolo. Mi è venuto in mente stamattina e, dato che il primo ha già avuto tre recensioni, cosa che non mi sarei MAI aspettata, ho deciso di pubblicarlo. Spero che vi sia piaciuto!
Ringrazio chi ha recensito e messo la storia nelle seguite, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Capitolo 3
 
Non poteva essere lui.
Eppure quella chioma rossa e ribelle, quegli occhi azzurri che sprizzavano vitalità erano gli stessi del parchetto di Oakland.
 
12 Luglio 2005, Oakland.
Sid è uscito di casa ed è andato al parco. 
Nessuno se n’è accorto.
Con tutte quelle urla che perforano i timpani, come si potrebbe far caso ad un silenzioso bambino di dieci anni che esce di casa?
Ora Sid è sdraiato sull’ erba ancora fresca di rugiada, incurante dei fili d’erba che gli solleticano le braccia nude.
Si sente solo ed abbandonato. Come quel randagio che ha visto poco prima. Gli sarebbe piaciuto portarlo con sé, ma mamma è allergica al pelo dei cani. 
Non è facile crescere a dieci anni se le due persone che dovrebbero amarti sembrano odiarsi tra loro.
Sid sarà anche piccolo e ingenuo, ma sa che alla balla della tempesta passeggera non deve credere. Vorrebbe,ma non riesce.
Le lacrime cominciano a scendere sul suo viso, andando a confondersi con la rugiada.
Alcune gli entrano nell’orecchio, dandogli fastidio.
Si tira su a sedere, e vede arrivare un altro bambino. Sembra avere più o meno la sua stessa età, ma è molto più alto.
Tiene in mano un blocco e qualche pastello a cera.
Sid fa per asciugarsi le lacrime, i maschi non possono certo piangere, quando l’ altro gli domanda, senza preamboli: -Cosa ci fai tu nel mio posto?
Sid, tirando su col naso, ammette: -Non sapevo che fosse il tuo posto. Scusami. Però non volevo restare a casa.
Il tono sconsolato con cui pronuncia l’ ultima frase sembra ammorbidire quell’apparizione riccioluta.
Il ragazzino si siede vicino a Chris e, candidamente, gli chiede: -Perché piangi?
-Perché mi sento solo.
Detto ciò Sid scoppia a piangere definitivamente, senza più alcuna barriera, senza preoccuparsi del fatto che davanti a lui c’è un altro bambino.
Con la stessa immediatezza con la quale gli ha posto la prima domanda, il bambino dai capelli rossi stringe Sid in un abbraccio, e comincia ad accarezzargli i capelli. Come se abbracciare uno sconosciuto fosse la cosa più scontata del mondo.
Se quel bambino profumasse di gelsomino, per Sid sarebbe proprio come stare fra le braccia di sua madre.
Il bambino si stacca da Sid e gli dice con semplicità:-Ecco, adesso non piangi più.
Sorpreso, Sid si accorge che è vero.
-E sai che non sei solo. Mh, per oggi posso anche cederti il mio posto speciale. Ciao.
Sid è ancora troppo stordito dall’accaduto per realizzare il tutto, e quando finalmente si riprende l’altro è già andato via.
Per terra ha lasciato un pastello a cera verde, spezzato a metà. Che l’abbia fatto apposta?
Sid se lo infila nella tasca dei jeans e decide di tornare a casa, pronto ad affrontare i rimproveri dei genitori per essere uscito senza avvisare. Sempre che se ne siano accorti.
 
I genitori di Sid andarono da un consulente matrimoniale e dopo sei mesi tutto era tornato a posto.
O almeno, la facciata della famiglia era tornata a risplendere come un tempo.
Nel febbraio 2006 la famiglia Peters si trasferì molto lontano da Oakland, e Sid non pensò mai più al bambino che quel giorno al parco lo aveva abbracciato.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

Capitolo 4
 
Il ragazzo si chiese dove diavolo fosse finito quel pastello a cera verde.
Non l’aveva mai usato.
Per quanto ne sapeva poteva anche averlo perso a Oakland lungo la strada di casa.
Non ci aveva mai pensato fino a quel momento, ma ora si sentiva fastidiosamente vuoto per colpa di quello stupido pastello verde che mai gli aveva colorato la vita prima.
Inchiodato nell’ingresso del bar, stava ostruendo il passaggio ad una vecchietta. Si spostò, facendo spazio ad una folata di naftalina che lo investì in pieno.
Sid si rese conto che non gli andava di stare lì, ad assorbire le radiazioni che gli occhi del rosso emanavano.
Ma ormai Ciel, girandosi verso l’entrata, l’aveva visto.
-Siiid! Lo chiamò, sventolando ampiamente il braccio e invitandolo a sedersi con loro a quel tavolino appiccicoso.
-Oh, ciao.
Si avvicinò a loro, un po’imbarazzato dalla presenza del rosso.
-Chris, Sid; Sid, Chris. presentò velocemente Ciel con il consueto brio.
-Piacere.
Senza lasciare a Chris il tempo di rispondere, Sid farfugliò che il suo turno era già iniziato e nel giro di un nanosecondo era già scomparso alla ricerca di Valerie.
-Che tipo. Fu l’unico commento che Chris spese su Sid, per poi continuare imperterrito a chiacchierare con Ciel.
La ragazza decise di non preoccuparsi, quella ritirata istantanea era perfettamente nello stile di Sid.
Tornò a godersi la compagnia del rosso, ormai arrivato al sesto cornetto.
Intanto Sid, trovata Valerie, le picchiettò sulla spalla per attirarne l’attenzione. La biondina trasalì girandosi verso di lui con uno scatto. Rendendosi conto che era solo Sid, i suoi muscoli si rilassarono e la bocca si distese in un sorriso screpolato.
-Scusa Val, mi stavo annoiando, e mi chiedevo se per te c’erano problemi a finire il turno adesso.
Che domanda idiota.” Si disse il ragazzo.
-E me lo chiedi? Pfft.  Valerie, passandosi la lingua sulle labbra secche, si sfilò il grembiule con tanto di cartellino identificativo e lo cacciò nel borsone in malo modo.
-Ti ringrazio. Dovresti annoiarti più spesso. A domanii! Cinguettò, resa gentile e zuccherosa dall’ora libera in più.
Sid s’infilò dietro il bancone di marmo scuro e cominciò a giocherellare con il mozzicone di una sigaretta abbandonato in un posacenere.
A quell’ora il bar era quasi totalmente deserto.
-Sid, dobbiamo pagare!
Si trovò davanti Ciel. Alle sue spalle Chris sembrava esposto in vetrina da quanto sorrideva.
-No.. non vi preoccupate..Offre la casa.
-Sicuro?
Con un sorrisone grato in duplice copia i due uscirono dal bar.
Ma che cazzo ho fatto? Già non viene mai nessuno, se poi mi metto pure a regalare il cibo agli unici clienti della mattinata..”
Sid tornò a fissare una macchia d’umido sulla parete di fronte a lui. Si stava espandendo sempre di più, divorando il bianco consumato delle pareti.
Il ragazzo ancora non lo sapeva, ma avrebbe passato il pomeriggio osservando la muffa agli angoli delle pareti chiedendosi se Chris ricordasse il loro abbraccio e soprattutto perché quest’ultimo interrogativo fosse così dannatamente importante.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

Capitolo 5
 

Chris si guardò intorno, era completamente solo.
Non sapeva come definire il posto in cui si trovava. Parco? Troppo lusinghiero. Discarica? Troppo dispregiativo. Era un mix fra quelle due cose e molte altre.
Alla periferia della città si trovava quello spiazzo di terra dura agghindata da qualche sporadico ciuffetto d’erba. Oltre a un divano verde e qualche scatolone strapieno di cianfrusaglie, la distesa lasciava spazio al grigiume del cielo. Nel cervello di Chris si fece drasticamente strada la desolazione, seguita dai ricordi che piovigginavano corrodendogli i neuroni.
Si sedette sul cuscino meno disastrato del divano e ricontrollò il cellulare. Non escludeva la possibilità di essersi sognato tutto, non sarebbe stato così strano.
Invece no, nella memoria del suo telefono erano ancora registrati i quarantatre secondi della chiamata telegrafica di Sid. La sua voce, fredda e distante tanto da sembrare battuta a computer, gli chiedeva di incontrarsi al loro posto. Quel posto, che aveva visto tutti e tre crescere e distruggersi.
Chris non si radeva da una settimana e cominciava a pentirsi della sua pigrizia. Voleva che Sid rivedesse nel ventunenne i lineamenti freschi di tre anni prima.
-Eccoti. La voce di Sid gli fece alzare la testa.
Gli occhi di Chris incontrarono quelle iridi verdi dalle quali erano rimaste separate per troppo tempo, e l’istinto gli urlò di abbracciare il suo angelo nero, facendogli dimenticare per un attimo che loro non si amavano più.
Sid congelò in fretta quel momento, borbottando: -Dobbiamo parlare di molte cose.
Chris annuì. -Come sta Ciel?
La ragazza rappresentava l’unico fragile anello che ancora accennava a poterli tenere uniti, l’unica lama che poteva scalfire l’odio che Sid ora provava nei confronti di Chris.
-Mettiamo in chiaro che penso ancora che tu ci abbia rovinato la vita, ma ora l’unica cosa importante è aggiustare il cuore di Ciel. Lei sta meglio, ma alla clinica credono che non sia ancora pronta a rivederci. Ti rendi conto che si trova lì per colpa tua? Sbottò.
-Nostra. Replicò il rosso, le lacrime pronte a esplodergli in faccia.
In realtà credeva che tutto fosse stato causato da qualcosa di più grande di due ragazzi che si amano.
Una intricata serie di particolari sbagliati li aveva condotti lì.
Dal loro primo bacio era scoppiato un amore che aveva fatto sentire Chris felice come non lo era da tempo. Sid sapeva dargli esattamente la felicità di cui aveva bisogno. Rendeva speciali anche i minuti passati in silenzio, quando fissavano il vuoto insieme per poi scoppiare a ridere come due imbecilli ed abbracciarsi.
Chris non ricordava né come né quando tutto avesse iniziato a franare.
Distratti dal loro amore, avevano lasciato Ciel in balìa di se stessa, e lei era andata alla deriva nella sua solitudine.
L’avevano abbandonata nel momento del bisogno, senza far caso alle occhiaie segnate dalla disperazione o ai sottili graffi che cominciavano a comparire sui polsi della ragazza.
Il suo cuore urlava, mandava continui messaggi in codice, ma nessuno era lì per captarli.
Fino al giorno della svolta estrema.
Una sera Ciel aveva trovato un barattolo di vernice nera e, probabilmente condizionata anche dalla quantità si stupefacenti nel suo sangue, si era cosparsa di nero da capo a piedi, ridendo soddisfatta mentre le pennellate ricoprivano i suoi tatuaggi.
La madre l’aveva trovata quasi subito, sdraiata nella vasca da bagno con il pennello ormai secco ancora in mano. Vicino a lei, un biglietto scarabocchiato in fretta e furia spiegava: “Il nostro aspetto esteriore rappresenta l’interno. Ecco perché ho passato la vita a colorare la mia pelle con tinte vivaci. Ma ora sono sola, ed è tutto nero senza quei due.
Senza farsi domande, la madre chiamò l’ospedale.
Ora Ciel era tornata ad avere l’aspetto di sempre, ma dentro doveva sentire ancora quel buco nero che le aveva risucchiato gli organi.
E’ tutto nero senza quei due.” Quelle sei parole erano bastate a scatenare in Chris e Sid il senso di colpa.
Sid sapeva di aver tradito brutalmente la prima persona che gli avesse mai voluto bene.
Ciò gli aveva fatto vedere Chris sotto un’altra luce. Era convinto che fosse tutta colpa del ragazzo, che non aveva voluto abbastanza bene alla ragazza per accorgersi che i suoi occhi si stavano spegnendo.
L’aveva lasciato senza preamboli né spiegazioni, ed aveva cercato di tornare alla vita di sempre anche se mancava l’elemento essenziale. La mancanza di quel blu era un vuoto incolmabile, ma Sid voleva tentare l’impossibile.
Però era dura ricordare com’era la vita due anni prima.
Così, mentre Chris tentava di raccogliere i pochi cocci che rimanevano di lui all’orfanatrofio e Ciel passava la vita seduta su un rigido letto d’ospedale, Sid affogava l’anima nell’alcol, più che altro in mancanza di alternative.
-Sid, adesso metti da parte tutti i sentimenti negativi che provi verso di me e cerca di pensare a come eravamo due anni fa, prima che tutto questo iniziasse. Non ti manca almeno un po’?
-Forse. Ma pensando a quanto abbia sofferto Ciel per colpa nostra mi rendo conto che abbiamo sbagliato terribilmente. Comunque dovremo cercare di metterci in contatto con sua madre, forse almeno lei capirà che la terapia migliore per Ciel è parlare con noi, dopo un anno di silenzio. Ora devo andarmene, ma vedrò di farmi sentire.
Chris balzò in piedi come se il divano fosse stato incandescente. –Aspetta! Mica dovevamo parlare di tante cose? Ho così tanto da dirti.
Le parole di Sid lo gelarono. –No, Chris. Le poche cose che vorrei dirti è meglio tenerle per me, non vorrei che un’altra persona tentasse il suicidio a causa mia. La sofferenza di Ciel basta alla mia coscienza per tutta la vita.
Il rosso rimase per un tempo incalcolabile seduto su quel logoro divano, mentre le lacrime si mimetizzavano con la pioggia che aveva cominciato a cadere.
Era andato tutto terribilmente storto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

Capitolo 6
 

Seduto sul gelido parquet dell’appartamento, Sid finiva l’ennesima sigaretta.
Continuava a fissare la libreria di fronte a lui, più occupata dalla polvere che dai libri.
Ma in quel momento non gli importava né degli acari né della letteratura.
La sua attenzione era interamente dedicata ad un quadernetto nero infilato fra due tomi impolverati.
Sid non sapeva se era pronto a rileggere quelle parole, la valanga di ricordi che l’avrebbe investito forse era troppo pesante. Schiacciò il mozzicone contro il pavimento, ormai nero di cenere e cosparso di cadaveri di sigarette.
Stancamente, si alzò e si diresse verso l’ormai marcia libreria.
Due anni prima, quando si era trasferito in quel minuscolo appartamento, aveva montato la libreria senza neanche aprire il libretto delle istruzioni, inchiodando alla meglio le assi.
La mensola sulla quale era poggiato il quadernetto era, se possibile, inchiodata peggio delle altre. Sarebbe franata da un momento all’altro.
Sid lo sfilò con cautela, temendo di lacerare definitivamente i legamenti usurati della copertina.
Riprese posto sul vecchio parquet ed aprì il suo diario.

17 Novembre 2012, sabato.
Chris è davvero strano. Stamattina ero al lavoro e me lo sono visto entrare nel bar, con un sorriso da un orecchio all’altro. Impugnava una vecchia telecamera e, appena mi ha visto, ha cominciato a parlarmi come se fossi un suo vecchio amico, anche se ci “conosciamo” da appena una settimana. All’ improvviso, mentre cercavo qualcosa da dire, ha acceso la telecamera e si è messo a filmare le pareti umide del Central Pub, continuando a chiacchierare come se niente fosse. Non ho fatto in tempo a chiedergli cosa stesse facendo, perché in quel momento è entrata anche Ciel ed ha salutato la telecamera con nonchalance.
Mi sono sentito escluso da qualcosa, ma non sapevo bene cosa potesse esserci di speciale in un ragazzo che fa delle riprese in uno squallido bar. Forse avrei voluto che Chris filmasse anche me.


20 Novembre 2012, martedì.
Ancora non ci posso credere. Chris si ricorda di me, si ricorda del 12 Luglio 2005, del nostro abbraccio. Oggi lui, Ciel ed io siamo andati al parco, quello che io e Ciel abbiamo scoperto a Settembre. Chris aveva ancora la videocamera con sé. Ha iniziato a filmare lo spazio vuoto intorno a noi, mentre io mi buttavo sul divano.
Dopo un po’ si è seduto di fianco a me e, con un coraggio proveniente da chissà dove, gli ho chiesto se si ricordasse di un bambino, tanti anni prima, che piangeva in un parchetto di Oakland. Ha spento la videocamera all’istante, ed ha preso a fissarmi con intensità, come alla ricerca delle lacrime che avevano solcato il mio viso sette anni fa.
Ha annuito lentamente, farfugliando qualcosa a proposito di un pastello verde. Il pastello verde che mi ero portato a casa io.
Dopo siamo rimasti a fissare il cielo grigio, senza spiccicare parola.


22 Novembre 2012, giovedì.
Chris e il suo occhio elettronico sono tornati al bar, oggi. Chris mi ha chiesto se avessi voglia di tornare al parco, finito il lavoro. Mi ha rassicurato il fatto che in quel momento la sua telecamera fosse spenta. Non sarei riuscito a dirgli di sì davanti all’obbiettivo.
E’ curioso come per lui sia naturale andare in un posto sperduto con un ragazzo quasi sconosciuto. Se fosse una ragazza, con tutta questa fiducia verso chiunque, scommetto che l’avrebbero già violentato.
Non abbiamo fatto molto, al parco. Anzi, a ripensarci, non abbiamo fatto proprio niente.
Ci siamo solo seduti sui cuscini sbiaditi del divano, lui che osservava i pixel muti dello schermo della videocamera spenta ed io che rimiravo le stringhe delle sue scarpe.
Devo inventarmi qualcosa da dirgli, questo silenzio mi imbarazza.


27 Novembre 2012, martedì.
Immagino che tra la gente normale se uno viene da te tutti i pomeriggi e ti chiede di uscire insieme, perché è questo che fa Chris, vuol dire che prova qualcosa per te.
Devo capire cosa significa la sensazione di felicità che mi assale quando mi domando se Chris possa essersi innamorato di me.


30 Novembre 2012, venerdì.
Oggi ero con Ciel al parco. Era da un po’ che non ci vedevamo. Ho portato con me la mia vecchia chitarra, erano secoli che non suonavo. Avevo dimenticato quanto fosse bello far danzare le corde sotto le mie dita. E poi dovevo mantenere la promessa che ho fatto a Ciel, insegnarle a suonare la chitarra. Mi dispiace ammettere che è davvero imbranata. E’ come se le sue braccia pallide innalzassero una barriera fra il suo cuore e lo strumento.
Non so spiegarlo, mi sento un po’ idiota in questo periodo. Come se tutti i miei pensieri fossero insensati a prescindere.


2 Dicembre 2012, martedì.
Vorrei davvero sapere cos’ha Chris nel cervello. Se mai ne possiede uno. Non si accorge di avermi fatto innamorare di lui? Ecco, cazzo. L’ho detto. Sono innamorato di Christopher Pritchard. Ci è voluto così tanto a capirlo.
Peccato che a lui piacciano le ragazze. Oggi, al bar, mentre stavo cercando di rimettere in funzione il registratore di cassa, mi si è avvicinato con aria da cospiratore e mi ha chiesto: “Hei, Sid. Che tu sappia, la biondina che lavora qui con te è impegnata?”
Non volevo rispondergli. A dirla tutta, non volevo neanche guardarlo in faccia.
Mi sono sentito come se avessi scoperto un tradimento dopo cinquant’anni di matrimonio.


4 Dicembre 2012, giovedì.
Adesso Chris lavora al Central Pub. I lavoretti da imbianchino non gli bastavano più, dice lui. In realtà lo so che è solo per rimanere appiccicato a Valerie il più possibile.
Domani non ho voglia di trovarmelo in mezzo ai piedi. Forse dovrei chiedere a Ciel se Jay ha bisogno di qualcun altro, alla Inked Hearts. 


8 Dicembre 2012, lunedì.
E’ fatta, “lavoro” al negozio di tatuaggi insieme a Ciel. In realtà non facciamo molto. Puliamo il negozio, prendiamo appuntamenti, stiamo seduti sulle poltrone a cazzeggiare, in attesa di qualcos’ altro.
Oggi Jay non si è presentato al lavoro e ci ha mandati via con un messaggio. Io e Ciel abbiamo fatto la spola tutto il giorno fra una piccola libreria ed un negozio di vinili. Sembrava che lei volesse dirmi qualcosa ma all’ultimo momento rinunciasse.


14 Gennaio 2013, lunedì.
Oggi Chris mi ha portato all’orfanatrofio. Mi ero quasi dimenticato che lavorasse lì. Non so perché l’ abbia fatto. Il palazzo grigio era tutto deserto. Chris mi ha portato in una specie di cortile interno, dove c’era solo una panchina. Ci siamo seduti lì e, dopo cinque minuti che avrebbero potuto anche essere vent’anni di silenzio, ha sbottato :”Senti Sid, so che è strano; ma tu mi piaci.”
Non scriverò quel che è successo dopo, so che me lo ricorderò alla perfezione lo stesso anche quando avrò ottant’anni. Spero solo che allora Chris sarà ancora con me.


Sid non riusciva ad andare avanti, era già troppo così. Rimase a fissare la sua scrittura spigolosa illuminata dalla luna e dai fari delle macchine di passaggio per un tempo indefinibile.
Ricordava come se fossero passate poche ore la videocamera di Chris, i loro silenzi al parco, la gelosia che lo uccideva a causa di Valerie, la dichiarazione di Chris, il loro primo bacio nel cortile deserto dell’orfanatrofio.
Ma ricordava ancora meglio ciò che era successo dopo, e desiderava non aver mai conosciuto Chris.
Si accese un’altra sigaretta, e mentre osservava il fumo che saliva verso il soffitto, che sembrava voler scappare da lui, pensò a quante cose fossero cambiate. Non riusciva a capire se quello che provasse verso Chris fosse davvero odio. I ricordi erano in qualche modo riusciti a farlo ragionare, le sensazioni di quel 14 Gennaio si risvegliarono in lui e Sid capì che Chris non aveva più colpa di quanta non ne avesse lui stesso.
Il ragazzo frugò nelle sue tasche alla ricerca dell'accendino. Fece scattare la fiammella un paio di volte, ogni volta più vicino al quaderno nero, prima di decidersi.
Le fiamme divoravano velocemente le pagine del quadernetto, che cadevano sul pavimento sotto forma di cenere. 
Cinque minuti dopo, il diario di Sid non esisteva più, ed il ragazzo si sentì per un attimo privato della parte più preziosa di lui.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

Capitolo 7
 

Sid, ancora seduto sul gelido parquet, osservava le prime luci dell’alba che bagnavano con i loro riflessi tenui la cenere sul pavimento.
Quella cenere era lui, era Chris, era Ciel, era loro.
L’odore di bruciato stava passando e Sid cominciava ad avere caldo. Inoltre non si faceva la doccia da una settimana, e la puzza di sudore cominciava a farsi sentire.
Esasperato, Sid si alzò di scatto e spalancò la finestra cigolante in malo modo.
-Ohhh! Finalmente si respira, cazzo! Sbottò, con le guance in fiamme per l’attrito con l’aria fresca.
Rileggere il suo diario lo aveva scosso profondamente. Non era più così sicuro di non voler perdonare Chris. Se mai davvero il suo ex aveva colpe irreparabili.
 Il quel momento provava il fortissimo impulso di litigare con qualcuno, arrabbiarsi tanto da aver male allo stomaco, urlare fino a perdere la voce.
Forse il fumo l’avrebbe calmato un po’. Frugò nelle tasche dei jeans lerci, già consapevole che avrebbe trovato un umido pacchetto di Camel. Aprendolo, il coperchio si staccò. Sid sospirò infastidito e prese una sigaretta. Ne restavano solo tre. Rimise la sigaretta nel pacchetto, dopotutto non aveva voglia di cercare l’accendino. Prese a masticarsi l’interno delle guance. Più i secondi passavano, e più la confusione nervosa di Sid aumentava.
Non capire cosa provasse lo faceva andare in bestia, voleva liberarsi di quella scaglia di vetro incastrata tra il cuore e i polmoni.
Il suo sguardo si fermò sulla vernice scrostata della cornice della finestra.
Dopo cinque minuti di contemplazione immobile, sbottò:- Perché cazzo sto qui come un coglione a fissare una stupida finestra!?! Saranno cazzi suoi se è verniciata male!
Rendendosi conto di ciò che aveva detto, cominciò a ridere istericamente, commiserandosi sempre più ad ogni singulto.
Si accasciò sul parquet, con le mani aggrappate al davanzale. Stava cominciando a sentirsi davvero triste e solo.
Vicino al calorifero stava una bottiglia di birra mezza piena. Sid la vide mezza vuota, ovviamente.
L’afferrò violentemente, come se fosse il vetro verde il colpevole della sua ira, e tracannò un lungo sorso.
Con un grugnito di rabbia, sputò la birra tiepida e sgasata mirando alla libreria.
-Che schifezza atroce! Perché va tutto così male, cazzo!?
Balzò in piedi all’improvviso, sbattendo la testa contro lo spigolo della finestra ancora aperta.
-BASTA! Urlò, scoppiando in un pianto isterico ed inconsolabile. Si faceva pena da solo, aveva schifo delle piccole lacrime che arrivavano solo a bagnargli le ciglia.
Non riusciva neanche a piangere davvero, si sentiva prosciugato e gli occhi gli facevano male da morire.
Bruciavano, pulsavano sopra le occhiaie, urlavano di dolore, sussultavano con lui.
Sid attraversò velocemente il monolocale, afferrò la sua giacca di pelle nera, spalancò la porta e scese i tre piani di scale alla velocità della luce.
In strada si accorse che nella tasca della giacca c’era il suo vecchio lettore MP3. “A che serve un lettore MP3 senza cuffie, però?” si chiese.
Lo accese comunque e prese a scorrere i brani che conteneva. Appena leggeva il titolo di una canzone, il suo cervello automaticamente ne accennava qualche nota, non riuscendo però a concentrarsi su nulla.
Nell’ennesimo impeto di rabbia, Sid scagliò il lettore dall’altra parte della strada e prese a correre. I suoi piedi scalzi si muovevano come se avessero il pilota automatico, sapevano bene dove Sid voleva andare.
Arrivato al parco, si appoggiò al tronco di un albero e, seguendo un istinto proveniente da chissà dove, vomitò.
Si sentiva esattamente come prima, solo che ora gli faceva anche male la gola e in bocca aveva uno schifoso sapore acido. Si pulì la bocca con la manica e sputò per terra.
Solo allora si accorse che qualcuno lo stava osservando.
Chris era raggomitolato sul divano e i suoi occhi rossi di pianto seguivano Sid muovendosi in modo meccanico.
Il ragazzo sembrava una statua. Sul viso era scolpita un’espressione stanca di essere disperata, e i capelli, di solito ricci e indomabili, gli stavano tutti appiccicati sulla testa per la pioggia della notte precedente.
Sid si chiese se Chris l’avesse riconosciuto. Gli sembrava conciato davvero male.
Con cautela il ventenne si avvicinò al divano sfondato, e passò una mano davanti agli occhi vitrei di Chris.
Il rosso sbatté le palpebre un paio di volte, boccheggiando come un pesce a cui manchi l’aria.
Sid gli si sedette di fianco fortemente imbarazzato. Come aveva potuto pensare di abbandonare anche solo per un attimo il suo Chris? Ne aveva bisogno. E dalle condizioni del rosso, si sarebbe detto che anche lui, almeno in quel momento, aveva bisogno di Sid.
Il ragazzo si sfilò la giacca e l’appoggiò sulle spalle di Chris. Con tutto il coraggio che era riuscito a racimolare, cinque minuti dopo gli cinse le spalle con un braccio.
Anche se Sid era gracile e magrolino, tutto il contrario dell’alto e muscoloso Chris, sapeva che in quel momento toccava a lui essere forte per entrambi.
Chris starnutì fragorosamente, spaccando il silenzio. Sid, ancora alla ricerca di qualcosa da dire, tirò su col naso.
-Sei stato qui tutta la notte? Domandò infine, esasperato per la stupidità della domanda. Era sicuro che Chris gli avrebbe riso in faccia.
Invece il rosso si strinse nelle spalle e mugolò qualcosa che sembrava un’affermazione.
Sid decise che era arrivato il momento di parlare, le barriere distrutte di Chris gli avrebbero facilitato il compito.
-Mh. Senti, ho riflettuto molto. Nonostante tutto, non posso non amarti. Non posso incolparti di tutto quello che è successo. Non posso ignorarti. Non posso stare senza di te. E lo so che ora tu mi starai mentalmente eleggendo Capitan Coerenza, perché fino a ventiquattro ore ‘ti odiavo’, ma come cazzo si fa a odiare una persona come te? Casomai dovrei odiare me stesso per non esserci arrivato prima. E poi..
Sid venne interrotto dai singhiozzi del ragazzo vicino a lui.
Gli venne istintivo accarezzare i ricci di Chris, come ai vecchi tempi.
Aveva paura a chiedergli perché piangesse.
Chris sorrise tra le lacrime. –Non sto piangendo perché sono triste, se è quello che ti stai chiedendo. Certo, non sono felice, ma non posso dire di essere triste ora.
A Sid sembrava infantile chiedergli se l’avesse perdonato, fortunatamente l’ abbraccio di Chris lo risparmiò dal penoso compito di trovare delle parole.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

Capitolo 8
 

Sid spalancò la porta del suo monolocale, esordendo con voce poco convinta: -Ecco.. scusa per il disordine. 
Chris fece una smorfia divertita, Sid che si scusava per qualcosa era davvero il colmo.
-Le scuse per qualcosa di cui non ti importa niente sono odiose. E' una cosa talmente stupida. D'altronde lo sapevo già che sei odioso e stupido, tappetto. Lo canzonò affettuosamente mentre varcava la soglia dell'appartamento.
-Che ne so io, magari in questi anni sei diventato un perfettino che si scandalizza per una bottiglia di birra lasciata in giro. asserì Sid, fingendosi risentito.
-Ah, cazzo, le bottiglie di birra lasciate in giro proprio non mi vanno giù!
Chris era di buon umore, e con le sue battute stupide stava contagiando anche il suo ragazzo, teso come una corda di violino e ansioso di comportarsi in modo impeccabile, così da far intendere a Chris che tutto sarebbe davvero tornato come prima.
Non aveva neanche il coraggio di mandarlo scherzosamente a quel paese per paura che il rosso potesse fraintendere. Sapeva che sotto l'armatura di allegria Chris si sentiva ancora fragile ed in bilico. Di sicuro anche lui stava provando la stessa paura folle di sbagliare, era semplicemente un buon attore.
Intanto che Sid era immerso in quelle riflessioni, Chris scandagliava la stanza con il suo radar azzurro.
Il suo sguardo si soffermò sul letto sfatto di Sid. Mentre lo osservava trasudava scetticismo da tutti i pori.
Finalmente, con grande sollievo da parte di Sid che stava già per andare in crisi a causa del silenzio prolungato, si decise a sparare la sua sentenza contro la povera brandina.
-Come diavolo facciamo a starci in due, su quella roba? E' minuscola. E pericolante. Dovremmo dormire l'uno sopra l'altro. Concluse, con un tono un po' troppo malizioso per gli standard di sopportazione di Sid.
-C..che? E cosa ti fa pensare che dovremmo dormire insieme? Farfugliò Sid, cercando di controllare la voce e sperando di non essere arrossito troppo. 
Non gli sarebbe dispiaciuto per niente dormire con Chris, anzi.
Il problema era, però, che Chris era sempre così schietto e immediato da non lasciare a Sid il tempo di orientarsi.
-Il fatto che stiamo insieme. L'assoluta semplicità con cui lo disse fece comparire sul viso di Sid un sorrisetto a dir poco deliziato. Che bel suono avevano quelle parole, pronunciate dalla soave voce di Chris!
"Devo smettere di comportarmi come una cazzo di adolescente innamorata. E la voce di Chris non è soave." Si rimproverò Sid, come al solito irritato dai momenti di tenerezza che lo spingevano ad essere onesto con i suoi sentimenti e ad ammettere di essere completamente cotto di Chris.
-Però riconosco che è un miracolo che questo "letto" non sia ancora franato, meglio trovare un'altra soluzione.

-Dormo io sul pavimento, non c'è problema. Fece Sid. -Ti assicuro che non c'è molta differenza tra quella sottospecie di materasso ed il parquet. Anzi, forse è più comodo qui per terra.
-Allora dormiamo tutti e due per terra.
-Però io ora non ho sonno.
-Neanch'io. 
Affermò il rosso, prima di sporgersi verso una pila di CD che, a giudicare da tutti gli strati di polvere che la ricoprivano, doveva essere rimasta in quell'angolo per molto, moltissimo tempo.
Chris ne prese uno e, dopo che ebbe soffiato via il grigio dalla copertina, i suoi occhi si illuminarono dall'emozione.
-Ti prego, dimmi che hai uno stereo.

Sid si avvicinò al suo ragazzo per vedere quale CD avesse attirato a tale punto la sua attenzione, riconoscendo poi un vecchio CD di Janis Joplin che gli avevano probabilmente regalato. Non sapeva che a Chris piacesse quel genere di musica. In mesi di assidua frequentazione non avevano mai approfondito l'argomento "musica", cosa abbastanza strana data l'importanza che quest'ultima aveva nella vita di entrambi.
Probabilmente le cose che Sid non sapeva di Chris non si fermavano ai gusti musicali, ma in quel momento al moro non interessava scambiarsi segreti con Chris come le solite cazzo di adolescenti.
Si alzò di malavoglia e, da un mobile non meglio identificato, tirò fuori uno stereo che, almeno ad occhio e croce, poteva benissimo essere più vecchio di lui.
Chris trattenne a stento una risata.
-Dì, quanti anni ha quel coso?
-Abbastanza per funzionare ancora per almeno altri cinque anni. Non rompere. Ribattè Sid, piccato. Era inspiegabilmente affezionato a quel vecchio ammasso di circuiti malandati.
Attaccò la spina, mentre Chris si prodigava in un'altra delle sue battutine.
-Sapevo che avevi una passione per il vintage, ma dell'interesse per la paleontologia ancora non ero stato informato!
-Non è necessario che tu mi sfotta in continuazione, sai? Qunato sei diventato stronzo! Sbottò Sid, sull'orlo della seconda crisi di pianto della settimana.
-Scusami. Chris si rese conto di aver esagerato con la spiritosaggine. Stava solo cercando di mascherare a tutti i costi la paura e il nervosisimo, esattamente come Sid, ma è risaputo che il troppo stroppia.
-Allora, cosa metto? domandò Sid dopo qualche minuto di frustrante imbarazzo.
Dopo aver consultato il retro del CD, Chris si decise per la traccia 4. Dati gli anni che erano passati dall'ultima volta che Sid aveva ascoltato quel CD, il ragazzo non ricordava quale canzone corrispondesse alla quarta traccia.
Dopo che il ventenne ebbe pigiato qualche tasto, l'indescrivibile voce di Janis Joplin si impossessò di quelle quattro pareti ammuffite.
Sid si appollaiò a gambe incrociate sul parquet e chiuse gli occhi, permettendo alla musica di ipnotizzarlo. Il suo stato pacifico, però, durò poco, perchè durante il ritornello un'altra voce si affiancò a duettare con la Joplin.
-I want you to come on! Come on! Come on! Come on and take it! Take another little piece of my heart now, baby! Break another little bit of my heart now, darling, yeah, yeah, yeahhhh!
Dai Sid, canta con me!
Quella sera Sid imparò una cosa molto importante: nemmeno Chris era perfetto in tutto. Ad esser sinceri, sul piano canoro era proprio scarso.
-You know you got it, child, if it makes you feel good!
Sid sbottò: -Chris, ti amo eccetera eccetera, però per favore chiudi quella ciabatta!
Il rosso scoppiò in una risata cristallina. -La mia ultima ragazza apprezzava molto le mie doti canore. Lo provocò.
Sid cercò di non cascarci, inserendo un altro CD ed alzando il volume.
Quella volta fu la voce calda di Joey Ramone a invadergli le orecchie.
-Ma CD di gente ancora viva non ne hai? Si lamentò Chris.
-Non rompere, altrimenti ti faccio dormire fuori.
-Non ne avresti il coraggio!
-Non mi sfidare. Lo ammonì Sid. Era ovvio che non gli avrebbe fatto prendere altro freddo per colpa sua, ma Chris lo stava innervosendo con quei modi così irriverenti.
-Siamo tornati insieme da neanche un giorno e già sembriamo sposati da cinquant'anni! Sei pesante, caro mio.
-Come siamo adorabili oggi. Borbottò Sid, soffocando uno sbadiglio. 

Chris si fece improvvisamente serio. -Ieri ho sentito i miei, hanno chiamato mentre ti stavi facendo la doccia. Da Oakland gli è venuta la malsana idea di trasferirsi qui. 
Sid non disse niente, aspettandosi che dalla gola del suo ragazzo uscisse l'ultima scaglia; era sicuro che ci fosse qualcos'altro.
Infatti Chris, dopo un sospiro, gli confessò: -Gli ho detto che stiamo insieme, sai?
-E loro come l'hanno presa? I genitori di Chris, ferventi cattolici, erano dotati della rinomata ristrettezza mentale.
-Non lo so. Hanno messo su la loro cazzo di faccia compassionevole e, schifati, mi hanno detto che mi amano lo stesso.
-Cosa ti aspettavi da loro? Domandò Sid con amarezza. Non sapeva quale famiglia lo disgustasse maggiormente, se la sua o quella del compagno. Era una dura lotta.
-Il colmo è che pretendono che io vada a vivere con loro. 
-Questo sarebbe fuori discussione anche se avessi la famiglia migliore del mondo. Tu vivrai con me. Poi, quando la dimetteranno, staremo anche con Ciel.
-Pensi davvero che lei voglia parlarci? Io la vedo dura. E anche se così fosse, non credo che si esporrebbe ancora al rischio di soffrire così tanto. Le abbiamo fatto davvero tanto male. Non voglio che si senta ancora il terzo incomodo, abbandonata a se stessa perchè noi abbiamo di meglio da fare che stare con lei. Se mai tornerà da noi, non potremo permetterci di abbandonarla ancora. Dovremmo stare molto attenti con lei, già era una ragazza fragile prima di tutto questo. Non so neanche se ci meritiamo ancora la sua fiducia. 
-Lo so. E il mio obiettivo è quello di fare di tutto per riconquistarmi la fiducia di Ciel, che è stata la prima persona in assoluto ad allungare la mano per salvarmi dal baratro che mi ero creato da solo. Prima di conoscere lei non puoi neanche immaginare quanto stessi di merda. Ciel è stata il filo che ha cucito tutti i miei tagli. Ora è il mio turno di salvarla. E ovviamente centri anche tu, perchè per Ciel sei come un fratello maggiore.
Chris annuì, stupito dalle parole che Sid aveva appena pronunciato. Era vero, dovevano impegnarsi per riconquistare la fiducia di Ciel, e solo insieme c'erano probabilità di farcela.
-Penso di aver scoperto in quale clinica è ricoverata Ciel. Ho il numero. Proviamo? Domandò con il cuore in gola, pronto ad iniziare subito il loro piano.
-Certo! Sbottò Sid, mentre già estraeva il vecchio cellulare dalla tasca dei jeans.
Mentre digitava i numeri che gli venivano dettati da Chris sentiva che a breve il suo stomaco avrebbe respinto l'hamburger che aveva ingurgitato a pranzo. Le dita gli tremavano sempre di più mentre dall'altra parte un telefono squillava.
Contattare una persona dopo un anno e più di silenzio è senz'altro snervante, se poi la persona in questione è importante come Ciel lo era per Sid, dite addio ai vostri nervi.
Dopo qualche squillo una voce tanto fredda che Sid la scambiò per la segreteria telefonica rispose. -Clinica psichiatrica George Washington. Posso aiutarla?
-Ehm.. credo di sì. Avrei bisogno di parlare con una vostra paziente. Sid si fermò per fare un profondo sospiro. Aveva paura, una paura folle.
-Mi dica. La donna sembrava spazientita da quei tre secondi d'attesa.
-Si chiama Sarah Ciel Jones.
-Oh, Ciel. Tu devi essere Sid o Chris. Quei ragazzi di cui parla in continuazione nel sonno, ma che poi da sveglia rifiuta di ricordare. 
-N..no, ma che dice? Sono un.. un amico di famiglia.
Ci sarebbe voluto Chris a sostenere quella telefonata, le bugie di Sid erano riconoscibili come un corvo in uno stormo di colombe.
-Hmm-hm. In ogni caso Ciel sta dormendo. E se sente quei due, sarà meglio che li faccia vergognare di come hanno ridotto quella povera ragazza. Mi sembra ovvio che non voglia più sentirli. L'hanno ferita brutalmente.
Non importava con che nome Sid si fosse presentato, aveva comunque ottenuto una verità straziante. Si sentiva come se qualcuno gli stesse riaprendo tutte le vecchie ferite per poi cospargerle di sale.
Guardò Chris, che era riuscito a sentire tutto. Stava per crollare come un vecchio edificio pericolante.
Chris lo abbracciò, stringendolo a sè con tutta la forza che gli rimaneva.
Gli sussurrò all'orecchio, con tutta la dolcezza che gli riuscì di raccimolare: -Primo tentativo fallito. Ma domani è un altro giorno.



Precisazioni &co.
Innanzitutto, mi volevo scusare per aver lasciato passare quasi un mese fra questo capitolo e il precedente. Faccio abbastanza schifo a mandare avanti una storia in modo serio. Però finalmente rieccomi qua. Questo capitolo è un po' più lunghetto rispetto ai soliti, spero che siate riusciti ad arrivare fino in fondo senza stramazzare al suolo, uccisi dalla noia. Bien, eccovi un bello zoom sul rapporto tra Chris e Sid. Don't worry, di solito Chris è più gentile.
Il prossimo capitolo arriverà domani o dopodomani, giuro.
Alla prossima c:
Aurora 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

L’infermiera attaccò la cornetta e si diresse verso una delle molteplici porte bianche, tutte uguali e disposte in fila come i denti nella bocca di un mostro.
Ne aprì una, aspettandosi si trovare Ciel addormentata tra le pieghe candide del lenzuolo, ma la ragazza con quei buffi capelli di un azzurro scolorito era seduta a gambe incrociate sul letto, perfettamente sveglia e sull’attenti.
Ruth non fece in tempo a richiudere la porta dietro di sé per iniziare la quotidiana chiacchierata serale con Ciel che la ragazza, senza neanche cercare di dissimulare la foga dell’interrogativo, le chiese:
 –Chi era al telefono?
Quasi che sapesse che era per lei. Di sicuro ci sperava, Ruth lo sapeva. Ormai aveva capito che a Ciel i suoi amici mancavano, ma qualcosa la bloccava dall’ammetterlo. Forse la paura di un nuovo rifiuto.
La donna si sedette vicino a lei e le accarezzò i capelli. Non sapeva quale reazione avrebbe potuto avere Ciel di fronte al fatto che i suoi amici avessero provato a contattarla. Ciel era come un neonato, dolce e vivace, ma non si sarebbe mai arrivati a capire con precisione come avrebbe reagito ad uno sconvolgimento.
Un tuo amico.
Gli occhioni grigi della ragazza si spalancarono. –Ma io vivo barricata qui dentro da più di un anno. Non.. non ho nessun amico, a parte te!
Ruth sentì il cuore riempirsi di miele quando la ragazza la definì la sua unica amica, ma si sentì in dovere di ricordarle i due ragazzi. Il ragazzo al telefono le sembrava davvero ansioso.
E Sid e Chris dove li lasci? Al telefono era di sicuro uno dei due. Si è presentato come un amico di famiglia, ma chiunque avrebbe capito che mentiva. Mi sembrava molto preoccupato.
A Ciel sfuggì un sorrisetto divertito. Sid non era mai stato capace di mentire, di sicuro era lui ad averla chiamata. Si chiese dove fosse Chris.
Tu che gli hai detto, Ruth? Domandò, accoccolandosi nel lenzuolo.
Che stavi dormendo e che loro due dovrebbero vergognarsi.
Perché?
Sai che è ciò che penso. Quei due ragazzi ti hanno fatto molto male.
Ciel cominciò ad osservare le unghie dei suoi piedi. Quel giorno si era fatta prestare lo smalto da Norma, la sua vicina di stanza, e se le era dipinte di azzurro pallido, in tinta con i suoi capelli. Ciel li preferiva quando erano blu. Ora tutta la sua vita corrispondeva alla tinta dei capelli. Sbiadita.
Cosa avrebbe potuto rispondere a Ruth? Sapeva benissimo quanto fosse stata male per Chris e Sid. Era per loro che si trovava in quello strano posto, dove per i corridoi ricoperti di moquette ispida e piena di briciole passava solo gente stramba, finita lì per qualche pazzia commessa. Come era successo a lei, d’altronde.
La ragazza cominciò a guardare fuori dalla finestra, che sfortunatamente dava sul parcheggio e le offriva quindi un panorama che non permetteva di essere ammirato per abbastanza tempo.
Come al solito, in pochi minuti la voglia di ripensare a Chris e Sid le scivolò di dosso.
Che faccio se chiamano ancora?
Ciel ci pensò su un attimo. Le parole di Ruth avrebbero influenzato le anime dei suoi amici. Spettava a lei decidere che farsene dei due cuori che aveva in mano. Poteva divorarli brutalmente, se solo avesse voluto.
La ragazza fissò lo sguardo su una vettura gialla che stava entrando nel parcheggio in quel momento, dando le spalle a Ruth.
Non voleva far soffrire Chris e Sid, non ce l’avrebbe mai fatta. D’altro canto, non era ancora pronta a perdonarli e andare indietro.
Continuò imperterrita a seguire la macchina gialla con gli occhi, fingendo di ignorare la domanda di Ruth.
L’infermiera capì.
Ti dico solo una cosa, piccola. Se non puoi tornare indietro dove diavolo vai?
Le parole di Ruth rimasero a galleggiare nell’aria asettica della stanza, in attesa che Ciel le pescasse.
La donna uscì silenziosamente dalla camera.
Durante tutto l’ultimo anno, Ciel si era sempre ripromessa di non sprecare nemmeno un pensiero nel ricordo di Chris e Sid. Che restassero in un cantuccio polveroso della sua mente, un incubo soffocato sotto un mucchio di pelle morta.
Sapeva che da qualche parte voleva loro bene. Ma quell’amore era giusto un granello, uno spillo infilato in una zona morta del cuore.
Non dimenticava le notti insonni passate a chiedersi dove avesse sbagliato, i giorni sprecati nel tentativo di decifrare i loro silenzi e interpretare i loro sguardi.
Odiava portare rancore, per quello aveva perdonato senza pensarci due volte le centinaia di chiamate senza risposta, gli appuntamenti annullati.
Ma ogni piccola cosa diventava sempre più grande, le delusioni riaffioravano, sporche del trucco nero che colava dagli occhi di Ciel.
Ciel afferrò un libro dal pavimento, intenzionata a cicatrizzare una volta per tutte quelle ferite aperte.
Iniziò a far scorrere gli occhi rossi di stanchezza sulle pagine del libro, senza davvero leggere.
L’inchiostro nero era troppo intenso, le faceva venire il mal di testa.
Qualcuno bussò alla porta. –Mh. Mugugnò Ciel, tanto per far capire alla persona oltre la porta che poteva entrare.
La persona in questione era Frank, che viveva nella camera di fronte alla sua. Aveva i capelli lunghi e biondi, degli occhi azzurri che mettevano a disagio ed un viso davvero bello. Di sicuro sarebbe sembrato un angelo, se fosse stato più pulito.
Le sue mani torturavano la lana grezza delle maniche del maglione. Doveva essere di almeno tre taglie più grande.

Ciao Frank. Stentò un sorriso amichevole. 
Il ragazzo fece qualche passo incerto sulla moquette grigia della stanza di Ciel.
Da quanto tempo siamo qui? Le chiese. 
Più di un anno di sicuro. Rispose Ciel, senza capire a cosa stesse puntando Frank.
Ecco! Un anno mi è bastato per capire che ho sbagliato. Non ce la faccio più! Sbottò istericamente.
Ciel non aveva mai capito con esattezza cosa avesse portato Frank alla clinica psichiatrica George Washington, e nemmeno ci teneva a saperlo.
Beh.. immagino che allora tra poco ti faranno uscire.. Borbottò senza troppa convinzione.
In quel momento voleva solo che Frank se ne andasse, la sua presenza la stava irritando. Che diavolo pretendeva da lei quel ragazzo?
Dai, non credi neanche a ciò che stai dicendo. Non farmi ridere. Io stanotte scappo, ho già organizzato tutto.
Perché lo stai dicendo proprio a me? Come faceva Frank a prendersi così tanta confidenza con una ragazza che aveva solo incrociato un paio di volte nel corridoio?
Perché oltre a noi due su questo piano ci sono solo Norma, Jack e Tammie. Norma dorme sempre, Jack si dimentica le cose e Tammie mi sta sul cazzo. E io dovevo dirlo a qualcuno. Poi immaginavo che anche tu fossi stufa di questo posto di merda. 
Che finezza. Commentò Ciel, cercando di deviare il bersaglio al quale Frank stava puntando.
Se scappiamo insieme abbiamo più probabilità di riuscirci, non credi?
Quindi tu non mi conosci quasi per niente e vorresti scappare con me?
Così suona abbastanza squallido, ma l'intenzione di base era quella...
Ciel lo squadrò scettica. Era un'idea talmente assurda. Sapeva che Frank non sarebbe riuscito ad arrivare oltre la porta della reception. Non erano mica in un assurdo film di spionaggio.
Non riusciva a dirgli in faccia ciò che pensava.
L'unica cosa che riuscì a fare fu continuare ad ispezionarlo con lo sguardo.

Ok, forse mi devo organizzare meglio, va bene! Sbottò il biondo, interpretando male lo sguardo dubbioso che Ciel aveva dipinto in volto.
Argomento chiuso. Posso restare? Mi annoio da morire.
Ciel annuì. Se Frank aveva davvero accantonato il brevissimo lampo di follia che l'aveva spinto a voler scappare, a Ciel avrebbe fatto tantissimo piacere avere un po' di compagnia.
Vado a prendere una cosa.
In un secondo Frank era di nuovo nella camera di Ciel, accompagnato da una chitarra piuttosto malandata.
Si sedette a gambe incrociate sul bordo del letto di Ciel e la fissò.

Sei capace di suonare qualcosa? Hai mai provato?
No. Mentì Ciel. Cercò di scacciare il ricordo di quando Sid aveva tentato di insegnarle a suonare la chitarra, mentre Frank borbottava un -Ok. ed iniziava a pizzicare delle corde.
L'assoluta ignoranza di Ciel in campo musicale le impediva di capire cosa significasse l'armeggiare delle lunghe dita sottili di Frank intorno al manico della chitarra.
Ma quando Frank iniziò a cantare, non le importò più niente di capire qualcosa.
La voce del ragazzo, dolce ma rovinata dal fumo di troppe sigarette, era il suono più ipnotico e perfetto che avesse mai sentito.
La voce di Frank era la colla giusta da far scivolare nelle incrinature del suo cuore.
 

Spazio autrice.

Hey, sono ancora viva. Faccio davvero schifo a mandare avanti una storia, lo so lo so lo so. Chiedo venia!
Spero che il capitolo sia valso la pena dell'attesa. Mi sono impegnata molto per scriverlo e devo dire che mi son divertita come una polla! Bene, la bozza del capitolo era già pronta da un po' ma non ho avuto tempo di sistemarla, e dire che d'estate non ho mai un cacchio da fare... 
Oggi è stato un giorno tristissimo, ma non penso v'interessi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Dite ciao a Frank! Indovinate da chi ho preso spunto per lui c:
Vi DEVO assolutamente raccontare una cosa.
E' interessante, o almeno credo.
L'altro giorno, in piscina, ho visto una coppia di ragazzi. Erano uguali a Chris e Sid. 
Non vi dico che fatica trattenermi dal correre ad abbracciare i "miei personaggi".
Cristo se erano uguali. Erano così dannatamente dolci.
Un'ultima cosa. Su consiglio di zxcvbnm8, sto iniziando a scrivere dei missing moments di questa storia. 
Se magari c'è un momento in particolare che vi piacerebbe leggere, dite pure a zia Aurora!
Grazie a tutti quelli che recensiscono eccetera eccetera. Davvero. Alla fine di questa storia mi imparerò a memoria i vostri nickname (anche se già li so puahahahah) e boh... qualcosa farò!
Ok, un'ultimissima cosa. Ho disegnato sia Chris che Ciel. Sono venuti un po' strani, ma oh, non sono Van Gogh.

Chris: http://a3.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc6/602524_395179657206140_1059123652_n.jpg
Ciel: http://a2.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash3/552713_395179867206119_1715902977_n.jpg

 

ALLA PROSSIMA

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

(Vi consiglio di ascoltare questo mentre leggete c: http://www.rainymood.com/ )

Nonostante fosse passata la metà di Luglio, pioveva.
Ciel stava appollaiata sul davanzale di marmo grigio e teneva in mano un block-notes a righe.
Il giorno prima Frank l'aveva sfidata a scrivere una poesia.
La ragazza al momento di accettare quella sfida, che aveva il solo scopo di riempire una serata con delle letture, aveva pensato che buttare giù quattro parole in rima non potesse essere poi così difficile, dopotutto.
Ora invece si trovava davanti al foglio bianco, incapace di macchiarlo con l'inchiostro blu della penna che stava mordicchiando.
Fissò con antipatia le sottili linee grige che formavano i binari sui quali la sua penna avrebbe dovuto correre. 
Le sembrava, invece, che quelle righe la stessero bloccando. Erano sbarre che imprigionavano le parole giuste.
Ciel avrebbe tanto voluto estirparle dalla carta per liberare il bianco che stava sotto.
Distrattamente, graffiava con le unghie smaltate la superficie liscia del foglio. Non ce l'avrebbe mai fatta.
Scagliò con stizza il blocchetto dall'altra parte della stanza. La innervosiva essere piena fino a scoppiare ma non riuscire a svuotarsi. Come un lavandino otturato.
Quella stupida gara le stava causando delle strane fitte allo stomaco da quando si era svegliata.
Aveva bisogno di sfogarsi.
Da tempo rimaneva immobile di fronte ad ogni impulso, si stava pian piano trasformando in un'ameba.
Sentiva la sua forza espressiva scivolarle di dosso, e lei non faceva niente per trattenerla, non le era più importato nulla. 
Tormentandosi l'unghia del pollice, ridotta a una scaglia informe, continuò ad osservare la pioggia che sferzava il vetro dell'enorme finestra con romantica vista sul parcheggio.
Quella pioggia bastarda. Traditrice. Avrebbe potuto suggerirle almeno una parola.
Fin da piccola, a dispetto del suo carattere solare, la pioggia l'aveva affascinata in modo irresistibile.
Le goccioline grige che, subdole, si infilavano dappertutto, accompagnate dal familiare fresco uggioso, le suggerivano un dolcissimo senso di lieve disperazione su cui lei ricamava ore e ore di riflessioni.
Quando sentiva il ticchettio della pioggia sapeva di potersi tranquillamente cullare nella beatitudine dell'abbandono.
In quello stato di trance, le idee affioravano alla sua mente come se nulla fosse.
Quel pomeriggio di Luglio, però, il battito regolare della pioggia le dava quasi fastidio.

-Il pleure dans mon coeur, comme il pleut sur la ville... Recitò a fior di labbra, ricordando una poesia che anni prima era stata costretta a imparare a memoria.
Quell'uomo francese le aveva rubato le parole qualche secolo prima.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

La finestra cominciava ad avere un aspetto nebuloso, come se delle piccole meduse fossero rimaste intrappolate nel vetro.
Gli occhi di Ciel erano sbarrati. Nuotavano con le meduse, di cui seguiva febbrilmente i movimenti scoordinati.
Il ticchettio della pioggia era solo un ricordo lontano, sepolto dalle incongruenze sonore prodotte dai neuroni di Ciel. Generavano il silenzio più totale e perfetto.
Un’onda sonora imprevista e lancinante, la voce di Frank.
La stava chiamando, da almeno dieci minuti.
–Ciel, scrostati da quella cazzo di finestra, ti prego! Stai iniziando a farmi paura.
Ciel percepiva le parole di Frank, ma non aveva la minima intenzione di alzarsi.
Da qualche parte nel suo cervello c’era una voce senza corpo che la spronava ad alzarsi, sentiva gli arti pronti a reagire, ma qualcosa la teneva incollata al davanzale.
Tutto ad un tratto sentì la nuca paralizzata dal dolore per una sberla tiratale dal dolcissimo amico.
Si riscosse e rivolse a Frank uno sguardo truce.
–Ma si può sapere che cazzo fai?
–Scusa, ma mi stavi palesemente ignorando. Non sai che fastidio… Cercò di giustificarsi Frank.
–Mi ero a malapena accorta della tua presenza, ad essere sinceri… Senza offesa, eh. Soggiunse, notando lo sguardo risentito di Frank.
Il ragazzo cambiò velocemente argomento. –Sei riuscita a scrivere qualcosa?
Per tutta risposta, Ciel gli indicò con un cenno il taccuino, che giaceva sulla moquette lurida.
Esperimento fallito, allora. Sentenziò Frank.
Già. Rispose Ciel, interessata alla finestra nebulosa più che alle ciance dell’amico.
Frank capì di essere indesiderato e, silenziosamente, la lasciò sola, capendo che era ciò di cui aveva bisogno.

**

Nella piovosa notte di Settembre, un ragazzo chiuso in uno squallido appartamento di periferia osservava la luna. Quell’astro sembrava osservarlo con disprezzo, del tutto indifferente al suo tormento e ai silenziosi singhiozzi che gli percorrevano la cassa toracica.
Esattamente tre anni prima Sid aveva conosciuto Ciel.
Lo straniva pensare che in tre anni, solamente millenovantacinque giorni, tutto fosse cambiato.
Aveva trovato quello che probabilmente era l’amore della sua vita, ma al prezzo dell’unica persona che gli fosse mai stata amica.
Quella notte, Sid accese con mani tremanti una candelina blu.
La luce della fiammella illuminava debolmente i ricci di Chris, addormentato sul parquet.
Sid guardò la candelina bruciare e consumarsi lentamente, come era successo a lui. Che ne rimaneva, ormai?
Aveva sempre sentito dire che nella vita avrebbe dovuto fare delle scelte, e che ogni scelta avrebbe avuto una logica conseguenza.
Ma Sid non avrebbe mai immaginato che la felicità di un amore potesse essere così dolorosa da sopportare.
Nel suo mondo, Chris e Ciel non erano riusciti a coesistere. La colpa, lo sapeva, era stata sua.
Non era certo bravo nelle relazioni umane.
La candelina era diventata un grumo di cera sciolta sul pavimento, ma Sid non si preoccupò di pulirlo.
Osservando quell’angelo riccioluto che gli stava vicino, si rese conto di quanto gli fosse costato caro stare con lui. Quasi quanto la decisione che aveva preso qualche giorno prima, riguardando le vecchie foto di quando lui e Ciel si infilavano nelle macchinette alla stazione giusto per fare spazientire qualche passante bisognoso di fototessere.
Quel ricordo felice, sommato a molti altri, ed i sensi di colpa, erano una valanga che lo stordiva e travolgeva.
Era una decisione irreversibile, ma non avrebbe certo avuto modo di pentirsene. Sapeva che doveva andare così.
Nel buio, Sid sorrise. Almeno a se stesso poteva evitare di raccontare balle.
Lui voleva che andasse così, non c’era niente che lo obbligava. Semplicemente aveva deciso cosa fare e voleva farlo.
Forse era solo il capriccio di un’anima martoriata dal rimorso, o il suo cervello che stava beatamente andando a puttane.
Si impose di smettere di pensare.
Posizionò con attenzione il biglietto che aveva appena scritto vicino alla mano di Chris, era sicuro che l’avrebbe trovato.
Chris si sarebbe arrabbiato a morte con lui, e anche con se stesso, ma non avrebbe avuto nessuna utilità.
Sid, rischiarato dalla luce della luna, si preparò a scrivere l’ultima comunicazione importante della sua vita.


Heilà! Spero vi ricordiate ancora di me. avevo promesso di postare il 18 twwt
Comunque, mi scuso per i 9 giorni di ritardo, sono tornata dopo il previsto dalle vacanze e ho avuto qualche problema di connessione. Ma eccomi qui!
Devo farvi sapere che quello che avete appena letto è il penultimo capitolo della storia. A breve la fine e i missing moments, che saranno più che altro una storia nella storia °-°
Ah, qualcuno di voi ha Twitter? Io ho finalmente capito come cappero funziona, sono @xxaurot c:
A presto, spero!
P.S.  Una lettrice, mllebonnefoy, mi ha segnalato questa foto in quanto le ricordava Ciel quando si è verniciata di nero. Non posso che darle ragione, ammirate pargoli owo
http://www.flickr.com/photos/seanenmiddleton/5146248173/in/photostream

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Cecilia si guardò allo specchio, ammirando soddisfatta il suo nuovo look.
I capelli, lunghi solo qualche millimetro, erano tinti di uno squillante verde prato, e alla narice destra brillava un delicato anellino d’argento.
La ragazza aveva occupato quell’appartamento solo qualche sera prima, accompagnata da una valigia, il suo amico Frank e una lettera da aprire.
Era arrivato il momento di disfare le valige. Frank ronfava nella stanza accanto, ancora sconvolto dal fuso orario di Sydney.
Prima di aprire il bagaglio, però, l’attendeva una busta, spessa e di uno sgradevole marroncino, consegnatale da Ruth al momento dell’ultimo saluto.
Cercò di non strappare quell’odiosa carta marrone in modo troppo barbaro, ma si arrese quasi subito e lacerò la busta con infinito piacere.
Una busta azzurra e un piccolo biglietto scivolarono sulle sue gambe incrociate.
Il bigliettino, evidentemente scritto da Ruth, che tracciava delle ‘t’ inconfondibili, diceva semplicemente: “Piccola, forse ti arrabbierai con me. Perdonami. Ma credo che a questo ragazzo dovresti dare un’ultima possibilità. Leggi le sue parole, anche se ormai è tardi. Ti voglio bene, R.”
Cecilia, perplessa, rilesse il bigliettino lasciatole da Ruth. Le parole dell’infermiera le parevano deliranti e incomprensibili. Forse leggendo ciò che conteneva la busta azzurra avrebbe capito.
L’aprì senza sforzo, non era nemmeno stata sigillata.
Conteneva un foglio spiegazzato, coperto da una scrittura spigolosa che solleticava la sua memoria.

Quando leggerai questa sottospecie di lettera, io… diciamo che non sarò raggiungibile.
Mi dispiace per tutto quello che ti ho causato. Forse la cosa migliore sarebbe stata non incontrarci.
Di sicuro tu saresti stata meglio.
Senza di te io sarei precipitato, ma alla fine dei conti non è che ora io stia bene.
Ovviamente la colpa è mia.
Spero che tu stia meglio, te lo meriti.
Ti voglio bene, Ciel.


La ragazza rimase immobile ad osservare quelle parole, senza riuscire ad elaborarne il significato.
Le parevano un’accozzaglia di frasi di circostanza, udite migliaia e migliaia di volte nei film più squallidi che avesse visto.
Ma quelle scuse spigolose riguardavano lei, non erano state sbandierate al pubblico servendosi di due attori dalle dubbie capacità recitative.
E sembrava che provenissero seriamente dal cuore di qualcuno.
In quel momento, la ragazza provò il fortissimo desiderio di cancellare tutto.
Voleva tornare indietro e riabbracciare Sid.
Ma lei non era più Ciel.


Cieeeeeeo c:
Ho postato l’11° capitolo stanotte e stasera posto il 12, è un vero e proprio record per una pigrona come me –O-‘’
Comunque, eccoci alla fine.
So che questa storia non è il massimo.
Solo 12 capitoli, e tutte le parti più importanti sono implicite.
Vi sembrerà tutto senza senso, inverosimile o non so che altro, ma sono felice di aver scritto questa storia.
Ringrazio tutte le belle personcine che mi hanno recensito, seguito e preferito. (in particolare SamDBazinga, WestboundSign_, ItsJ_, PowerG e zxcvbnm8 che recensiscono sempre)
Davvero, GRAZIE. C’è, l’ho scritto pure in maiuscolo, uau. Bene…
Ma… sì, c’è un ma!
Perché teoricamente questa non è l’ultima volta che leggete dell’adorabile trio! (Oddio, che mi succede stasera?) Ovviamente, sempre che vogliate continuare a seguirmi.:)
A breve posterò il primo capitolo della “storia nella storia”, che ho deciso di intitolare Lost and burnt per mancanza di fantasia.
Ho finito. Arrivederci o addio, a voi la scelta!

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