Facile come bere un bicchier d'acqua

di imnotme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** . ***
Capitolo 2: *** . ***
Capitolo 3: *** . ***
Capitolo 4: *** . ***
Capitolo 5: *** . ***



Capitolo 1
*** . ***


«Jack, sei arrivata?»

«Sì tesoro, ma se non smetti ti telefonarmi e scrivermi ogni due minuti mi muore il telefono prima di arrivare da Mick. Mi faccio sentire io.»

«No aspetta, non dimenticarti di scriv...»

Chiuso il telefono e infilato in tasca, mette di nuovo lo zainone sulla spalla e riprende a camminare quel poco che la separa dalla fermata dell'autobus per South Central.

Sorride, si sente così dannatamente piena di vita che si definirebbe addirittura di nuovo speranzosa.

Mentre l'autobus corre, lei guarda fuori dal finestrino, guarda il volto di ogni passante, cercando di riconoscere qualcuno, sperando di riconoscere qualcuna.

 

«Sei già arrivata! E io che speravo ti fossi persa.» Un omone tutto spalle e niente collo apre la porta e si mette a ridere appena smette di parlare.

«Ma se sono passati solo 5 mesi... posso entrare?»

«Certo, il divano ti aspetta.» Sempre ridacchiando si sposta quel poco che serve per farla passare e guardarla meglio mentre entra. Alla vista non gli sembra cambiata di una virgola, stessi capelli biondicci e arruffati, stesse gambe ossute e un po' storte sotto i jeans consunti da una vita. Solo il giaccone sembra nuovo, ma il modello è lo stesso e le arriva fin poco sopra le ginocchia.

«Iniziamo il lavoro alle 4, vuoi metterti a dormire prima?»

«No, ho una cosa importante da fare. Ma prima hai una birra? Devo farmi coraggio.» Dopo aver piazzato lo zaino con le sue cose in un angolo vicino al divano, si siede guardandosi i piedi, probabilmente ripassando il discorso che dovrà fare.

«E da quando hai iniziato a bere ragazzina? Hai a mal appena compiuto l'età per farlo.» Ma prima ancora di finire ha già tirato fuori due lattine dal frigo e torna verso il divano passandone una a lei.

«Da quando ho smesso di farmi chiunque. Ma questo non dirlo a Lisa, ci rimarrebbe male.» Appena prende la lattina, la apre e se la scola in un attimo, fermandosi giusto una volta per prendere aria. Intanto Mick scoppia a ridere d'una risata poco divertita.

«Quel cazzo di programma che seguivi a Houston da quando te ne sei andata? E funziona? Quando mi ha chiamato la tizia ha detto che devi anche scrivere quasi ogni giorno quel che combini: Caro diario, oggi mi sono scopata una, ma mi dispiace molto... mi perdoni?» La risata si fa più grassa alla fine e appoggia una mano sulla spalla della ragazza, fingendo uno sguardo triste.

«Mica al diario devo chiedere scusa! Anzi vado, devo chiedere scusa a una mia... vabbè vado.»

Scatta dal divano e parte verso la porta, ma prima di aprire torna indietro, rovista nello zaino fino a trovare un braccialetto nascosto in una maglietta, se lo mette al polso e poi corre fuori dalla porta.

«Chiudi tu, magari mi riprende a vivere con lei!» Ridacchia mentre sta scendendo le scale, stretta nel suo giaccone.

 

«Pronto?»

«Hey Lis...»

«Jack, tutto ok?»

«Non lo so.»

«Non ti ha voluto parlare?»

«No... prima sì, si è anche messa a piangere quando mi ha vista, ma poi non mi ha più voluta vedere.»

«Ne avevamo parlato, ricordi? Te l'aspettavi...»

«Sì, però non è giusto. A me dispiace e mi mancava.»

«Dopo averle detto la verità è normale che si sia sentita tradita, ma forse con il tempo ti perdonerà.»

«Non le ho detto la verità. Come cazzo faccio a dirle che sono spartita da un giorno all'altro per andare a vivere da una che ho conosciuto mentre vivevo in casa sua? Se già così senza saperlo non mi vuole vedere...»

«Jack, non ti ho mai detto che sarebbe stato facile come bere un bicchier d'acqua. Forse non era ancora tempo di tornare, non ti sei ancora perdonata tu stessa...»

«No! Io mi sono perdonata eccome, io mi sto facendo il culo per cambiare e sto bene a LA. Sono loro che hanno un problema con me! Non ho mai promesso niente a nessuno e invece si aspettano tutto senza neanche chiedere.»

«Questo non è vero. Hai promesso a me che saresti stata forte.»

«Tu non centri e io non sono forte! Ciao.»

«Jac...»

Chiuso il telefono, continua a camminare veloce, ma cambia direzione e si fionda nel primo bar che trova. Si siede sul primo sgabello libero e cerca il barista con lo sguardo.

«Una birra... e qualcosa di dolce.» Borbotta e il barista quasi le scoppia a ridere in faccia, risparmiandosi però domande ovvie. Non si preoccupa di togliere i capelli arruffati dal viso, ma di aprire il giacchetto e, appena si trova davanti una bottiglia di birra e un muffin, afferra la prima senza pensarci troppo. Qualche minuto dopo la bottiglia è già vuota e lei sta masticando il muffin con impegno, è duro e secco, ma dolce.

«Non è colpa mia cazzo, io ci tenevo. Ma se prima tutte ti pagano e dopo devi andartene, o non ti pagano e dopo se ne vanno, come fai a capire che fare quando non ti pagano e non se ne vanno?»

Si ritrova a parlare con il ragazzo accanto, che lì per lì neanche capisce quel che sta dicendo.

«Ma che te ne fotte? Fotti chi ti pare, sennò fottono loro a te.» Tra i balbettii e l'impressione che stia parlando a se stesso, capisce sì e no metà di quel che lui dice, ma chiede un'altra birra e riprende.

«Eh ma ora non fotto più io. Al gruppo di sostegno mi capiscono... Lisa mi aiuta a smettere.»

«Ma cosa smetti?» il ragazzo scoppia a ridere, lo ferma solo per un attimo un colpo di tosse che sembra più un conato di vomito trattenuto. «Che sei pazza? Ti fotti da sola e sei scema e... e fanculo Linda!»

«Lisa...» lo corregge con qualcosa di triste nella voce, ma ci beve su anche la seconda birra. «Dice anche che non devo bere....»

«E che cazzo, come cambiarti il pannolino non te lo dice?» continua a ridere lui ancora più forte, appoggiando la testa pian piano al bancone, come se non avesse più forza di tenerla su.

«Nessuno mi dice un cazzo!» sbotta con una rabbia e si alza di scatto dallo sgabello. Lancia una banconota sul bancone ed esce dal bar. «Faccio quello che mi pare!» sbraita mentre cammina tanto veloce che sembra stia correndo. Non ci vuole molto prima di trovare i primi bar gay, la strada se la ricorda benissimo. Ne supera qualcuno prima di entrare in un bar per sole donne.

«Jackie?» da dietro il bancone una donna dai capelli corti e fisico asciutto la chiama incredula. L'aveva osservata da quando era entrata, seguendola nel suo girare tra le donne, sorridere con un sorriso più strano di quanto si ricordasse, e farsi dare qualche bacio sulla guancia, ma non ci voleva credere che fosse lei.

«Sam, buonasera bellissima.» Le sorride contenta, strascicando un po' le parole e scrollandosi di dosso la rabbia mentre si toglie il giaccone e passa le mani sulla maglietta stropicciata cercando di stirare un po' il sorrisone che c'è disegnato sopra. Appoggiati i gomiti sul bancone la guarda con un sorriso molto simile a quello che ha sulla maglietta.

«Pensavo che non saresti più tornata, non volevi fare la brava ragazza?» la donna le fa l'occhiolino e poi si piega sul bancone per darle un bacio sulla fronte. «Mi sei mancata.» sussurra per poi andare a prendere un succo di frutta.

«No, no! Voglio una birra Sam. E comunque io sono già una brava ragazza!» esclama con espressione seria.

«E tu da quando hai iniziato a bere? Ricordo che andavi avanti a dolci soltanto.»

«Da quando... da un po'.» si interrompe e fa spallucce scostando lo sguardo «Tu come stai?»

La barista porta la birra, ma non fa in tempo a rispondere che viene interrotta da una donna sulla quarantina che si avvicina a Jackie.

«Un Long Island e la birra della ragazza.» si rivolge con calma a Sam, che annuisce e si dà da fare col drink.

«Mi hai fatto aspettare molto tempo, piccola.»

La ragazza non la guarda, grazie ai tacchi la sovrasta di qualche centimetro e dovrebbe alzare lo sguardo per vedere il suo viso. Ma si ricorda già il suo viso, così come i suoi capelli lunghi e profumati, come quegli occhi scuri che sembrano sapere tutto. In qualche sorso finisce la birra, alzando lo sguardo verso di lei solo dopo.

«Ti avevo detto che non sarei più tornata...» borbotta poco convinta.

«Lo dicono tutte, ma tornano sempre.» le sue labbra si muovono piano in un sorriso e poi si vanno a posare sulla guancia di Jackie. «Andiamo.» Un'ordine dato con tanta naturalezza che sembra una domanda.

Prima che Sam abbia finito di preparare il drink, le due sono già fuori dalla porta.

Nella camera d'hotel è tutto come se lo ricordava, sempre la stessa, né troppo lussuosa sé troppo banale. Cammina dietro alla donna, guarda il suo corpo e respira il suo profumo. Appena si ferma e si volta, a un passo dal letto, i suoi occhi verdeazzurro si ritrovano sul collo della donna, sulla forma delle clavicole e sul suo petto; poi scivola di nuovo su, a contemplare la linea del mento e gli zigomi, fino ad incontrare i suoi occhi che sembrano coglierla di sorpresa, la sbigottiscono e le fanno aumentare il battito.

«Come fai ogni volta a farmi credere che mi guardi per la prima volta?» domanda la donna mentre le fa scivolare via il giaccone.

«Non lo so, e neanche tu lo vuoi sapere.» Il minuto dopo non esiste più niente se non il corpo maturo della donna, e non sa neanche il suo vero nome.

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Capitolo 2
*** . ***


«Sei in ritardo!»

«La spazzatura non se ne va da nessuna parte, anche se arrivo un quarto d'ora dopo.»

Ancora accanto al camion, con una sigaretta in bocca e un'espressione prima seccata e poi perplessa, Mick guarda la ragazza che sta cercando di chiudere velocemente e senza successo il giacchetto da lavoro. Evidentemente irritata, lei lancia occhiate di rabbia nel vuoto e non parla.

«Salta su, andiamo. Che ti prende?»

«Niente, ho altre cose a cui pensare.»

Senza neanche una parola in più i due salgono ai lati posteriori del camion della spazzatura e un attimo dopo questo parte.

Svuota cestini e lava le strade del centro in preda a uno sconforto che le ricorda molto i tempi prima di tornarsene a Houston, ma non avrebbe più senso scappare ancora. Borbotta da sola di tanto in tanto, invece i ragazzi scherzano e ridono. Forse si è dimenticata la vera Jackie in Texas.

 

«Così mi vizi, piccola.» la donna è distesa sul letto, stesso letto di tutte le sere, stessa stanza e stessi soldi. «Ma non esageriamo, non voglio che diventi un'abitudine.»

Appena la sente lei scoppia a ridere, una risata secca e amara, alla donna piace avere il controllo, piace essere imprevedibile. Alla donna piace Jackie molto più delle altre, ma non lo vuole ammettere.

«Sai dove trovarmi... se ti va.» seduta sul bordo del letto, si veste piano piano. Non riesce a guardarla, così le dà le spalle, è più facile non guardare quella donna, aiuta a dimenticarsi i suoi occhi. Alla fine piega con cura il giaccone su un braccio, ci tene molto al suo giaccone, e si alza per andarsene.

«Ciao.»

«Hey! Dove vai? Non ho detto di aver finito.» la donna non alza mai la voce, modula soltanto il tono in modo da renderlo un po' meno basso, così la sua voce sempre pacata raggiunge chiunque con un qualcosa di dolce ma non squillante, non si può sfuggire alla sua voce. «Non mi piace che pensi a qualcos'altro mentre ci sono io.» il tono è carezzevole ora che la ragazza si è seduta di nuovo sul letto, accanto a lei questa volta. «Che cos'è che gira per questa testolina più di me?» Alza il busto con la stessa lentezza con cui parla, e con la stessa ostentazione di fascino. Lascia che la coperta nasconda solo metà del suo corpo, mentre lei sfiora il collo e il viso della ragazza.

«Che non devo più venire... non voglio più venire qui.» Passano diversi attimi prima che riesca a parlare, sempre evitando il suo sguardo.

«E da quando ti importa della stanza?» Domanda, ignorando volutamente ciò che Jackie intende veramente. «Vuoi iniziare a fare i capricci?» Le labbra vanno ad afferrare il lobo dell'orecchio, sussurrando e cercando di distrarla.

Trasale, appena sente le sue labbra, e si scosta, ma non con forza bensì imbarazzo. «Io non faccio i capricci, io non ti ho mai chiesto niente. Non mi hai mai detto neanche il tuo nome... e io non te l'ho mai chiesto.» Balbetta un po', stringe i pugni e poi distende le dita, ma non la guarda. «Ora invece ti chiedo di lasciarmi andare, non voglio che mi paghi più e non voglio più venire qui con te.» Riesce poi a parlare con più fiato, a essere più convinta e si alza, infilando una mano in tasca e l'altra stringendola intorno al giaccone. A passi sicuri, più svelti e pesanti, va verso la porta e la apre per uscire, ma non riesce ad attraversarla.

«Andrea... mi chiamo Andrea.» Lei stringe forte il suo giaccone, lontano dalla sua mano che l'ha afferrato per trattenerla, ma per uscire dovrebbe lasciarglielo perché non è intenzionata a mollare la presa. E' in piedi dietro la ragazza, senza neanche essersi accorta di quando e perché si è alzata per andarle dietro.

«E' stato un piacere, Andrea. Grazie.» Solo ora si gira ad incontrare i suoi occhi. Bacia lentamente quelle labbra piene, sorride e non le lascia il tempo di pensare, che è già fuori dalla porta.

 

Si tratta di volontà, no? Si tratta di decidere di fare la cosa giusta, e lei la cosa giusta da fare l'aveva già decisa, solo la parte della volontà è un po' più difficile. Si tratterebbe anche di decidere di costruirsi un futuro, ma per un'orfana che non sa stare da sola e non è abituata a stare con la stessa persona, anche questo risulta difficile, o risulta più facile costruire scuse aggrappandosi a questo.

Per la prima volta da quando è tornata a LA si è ritrovata a pensare, ma evidentemente il periodo in cui non era riuscita a pensare da sola, senza nessuno che le dicesse quel che pensare e quel che sarebbe meglio fare, è stato ben più lungo di due giorni, altrimenti non si spiega perché è già arrivata davanti al bar di Sam e ha un po' di mal di testa.

«Un whisky doppio per la signorina?» La voce bassa ma vivace la raggiunge da dietro il bancone, e neanche un attimo dopo trova Sam a guardarla sorridente. «Che ti porta da queste parti con il sole ancora alto?» continua sarcastica, ma il suo sorriso è genuino, quello non riesce a controllarlo.

«Se me lo offri tu volentieri, altrimenti io mi prendo un succo d'arancia e te lo pago sistemandoti i tavoli... e magari ti aiuto anche con i bicchieri, ma solo perché mi stai simpatica.»

«mmh... tu inizia con i tavoli, poi vediamo.»

Ha una strana velocità scoordinata nei movimenti, una leggerezza improbabile e impacciata, ma viva di una forza che non si capisce da dove venga. Ci mette un attimo, magari qualcosa in più, dietro continui commenti e correzioni di Sam, a preparare i tavoli. Poi, tutta contenta, va verso il bancone, inciampando ovviamente nell'ultima sedia sistemata.

«Mi sono meritata il succo?»

«Direi di sì, ma solo se mi aiuti un altro po', sono da sola stasera. Dovrei smettere di prendere come aiutanti belle ragazzine, finiscono tutte per trovarsi qualcuna e mollare il lavoro dal nulla.» Borbotta senza smettere di preparare stuzzichini vari, ma sorride bonaria.

«Beh... se mi offri la cena posso stare io con te dietro il bancone stasera. E giuro che non vado via con nessuna, sto cercando di fare la seria... seriamente.» Lei parla con allegria e decisione, finisce il succo e poi si avvicina a Sam cercando di rubarle un mini hamburger.

«Puoi restare a cenare con me, ma non posso pagarti per una serata di lavoro tanto quanto ti paga quella per qualche ora soltanto.» Non oppone nessuna resistenza e la lascia rubare quel che vuole. «E poi tu non hai già un altro lavoro di notte?»

«Di solito attacco la mattina presto, verso le 4 o 5.» Parla a bocca piena, mesticando veloce il boccone. «E... quella non mi paga più. Le ho detto che non la vedrò più.» una volta finito di masticare deglutisce piano e poi parla con serietà, cercando di sembrare austera, o quasi. «Si chiama Andrea.»

«Davvero?» Ecco una buona ragione per staccare lo sguardo dalle mani e sgranare gli occhi verso Jackie. «Come cazzo hai fatto a scoprire il suo vero nome?»

Lei scoppia a ridere davanti a quella esclamazione, non pensava fosse così tanto importante. «Me l'ha detto dopo che ho deciso di chiudere, credo che così pensasse di trattenermi. Ma non pensavo fosse il suo vero nome... tu come fai a saperlo?»

Sam non risponde inizialmente, la guarda ancora con un'ombra di preoccupazione nello sguardo, poi torna a preparare. «Ci conoscevamo da giovani...» Risponde facendo spallucce, non vuole farla sembrare una cosa importante. «Vai a lavarti le mani, stasera lavori per me... e se te la cavi bene magari anche più di una sera.» Le fa l'occhiolino, ma l'espressione è ancora piuttosto seria e resta pensierosa anche mentre insegna a Jackie quel che deve sapere per aiutarla al meglio durante il servizio.

 

«Come sta andando la serata?» Domanda sorridente, mentre le sguscia veloce dietro la schiena con due birre in mano.

«Bene, se non fosse per una fastidiosa ragazzina che non sta mai ferma e che mi chiede in continuazione come sta andando la serata.» Sam ridacchia mentre continua a preparare i cocktail, intanto Jackie è già arrivata con le birre al tavolo, e un istante dopo è dietro il bancone di nuovo.

«E come faccio a sapere se sto andando bene se non te lo chiedo?»

«Se non ti ho ancora buttata fuori vuol dire che non sta andando poi tanto male... per ora.»

«Puah sarò la miglior barista mai esistita! Anche se non so ancora fare altro che aprire birre...»

Finito di preparare le bevute e appoggiate su un vassoio, Sam fa cenno a Jackie che le porta al tavolo. Escludendo la media di un bicchiere rotto su sei portati al tavolo sani, la ragazza sembra cavarsela bene.

«Un Long Island.» La voce calma e bassa di Andrea viene riconosciuta subito da entrambe, ma nessuna dimostra troppa emozione, o almeno entrambe provano a farlo. In qualche minuto Sam prepara il drink, mentre Jackie è costantemente in movimento tra bancone e tavoli.

«Non mi piace quello che stai facendo.»

«Io non c'entro niente.»

«Vuoi dire che è una coincidenza che ora lavora per te?»

«Si è offerta di aiutarmi, punto. Lo sai bene che non mi immischio in niente che ha a che fare con te.»

«Quindi non ti dispiacerà se stasera me la porto via prima della chiusura?»

«Tu puoi fare quello che ti pare e lei può fare quello che le pare. Io non voglio immischiarmi.»

«Perfetto.»

La donna finisce il drink e si allontana dal bancone, la barista invece continua il suo lavoro, come se non avessero mai parlato. Si sforza di concentrarsi sulle bevute e sui clienti, ma non riesce a non cercare con lo sguardo Jackie. E' impossibile capire cosa si stanno dicendo, ma Andrea le sta vicina e le parla, è impossibile anche non immaginare la sua voce suadente, non è difficile ricordare il tono con cui ammaglia le ragazze, il difficile è stato cercare di dimenticarselo. Un minuto più tardi Jackie è di nuovo dietro il bancone.

«Due Mojito per il tavolo 5.»

E la donna sta uscendo dal locale con una biondina.

 

«...uhm pronto?»

«Lis? Sei sveglia?»

«Chi è? Jack?»

«E' tardi, lo so, ma avevo voglia di parlarti. Posso parlarti?»

«Jack, che ore sono?»

«Dai svegliati, devo parlarti!»

«Un attimo...»

«Un attimo... ok... è passato! Puoi parlare ora?»

«Aspetta, chiudo la porta. Tutto ok?»

«Sì, cazzo! Va tutto alla grande Lis!»

«Non urlare! Che hai fatto?»

«Scusa... Lis, avevi ragione, piano piano sto migliorando.»

«Io ho sempre ragione, ricordi?»

«Questo è quello che diceva il signor Anderson, ma io te lo dico per esperienza ora. Forse ho trovato un nuovo lavoro e sono riuscita a dire di no ad una donna e non mi sento in colpa e Sam ha detto che sono brava come cameriera ma come barista devo migliorare e forse posso lasciare il lavoro da spazzina e magari mi faccio ospitare da Sam e lascio in pace Mick!»

«Wow! Complimenti, fai bene a star lontano dalle donne. Non sai quanto sono contenta che sei riuscita a rifiutarla, ora una poi un'altra, e piano piano sarai libera Jackie. Ma per il lavoro? Chi è Sam?»

«Sam è la proprietaria del bar che frequentavo prima di tornare a Houston. E' molto simpatica e buona, ha detto che se miglioro mi prende a lavorare con lei così posso lasciare quello schifo di lavoro.»

«No! Ma che dici? Dovresti lasciare il lavoro sicuro con Mick che ti guarda e andare a lavorare in un bar per sole donne?»

«Perché no? E' divertente, e poi visto che lavoro non potrò andare via con chiunque... Magari riesco a conoscere, ma proprio conoscere dico, qualche ragazza simpatica. Poi anche Sam si prende cura di me, si vede che ci tiene...»

«Appunto... un'altra donna che si prende cura di te. Ma ti ricordi il programma? Come fai a liberarti da una dipendenza se ne stai continuamente a contatto?»

«Ma stasera non ho avuto nessun problema...»

«E poi sempre in un bar per sole donne... Mi hai svegliata per dirmi che non è cambiato niente? Se stai sempre soltanto con le donne come cazzo farai a guarire?»

«A guarire?»

«Cioè... Nel senso... dalla dipendenza, come farai a farcela da sola se stai sempre con le donne?»

«Io è con le donne che voglio stare Lisa...»

«Sì, ma Jack, ti fanno male e tu lo sai. Noi siamo qui per aiutarti a liberarti.»

«Avevo capito che ora ti prendevi solo tu cura di me, non tutto il gruppo...»

«Il signor Andreson controlla sempre l'andamento di tutti, perché ci tiene, lo sai, perché vogliamo diventare tutti utili alla società. Ma ci sono io qui per te.»

«Lisa...»

«Ora è tardi, domani ne riparliamo, ok? Ma ricorda che non dovresti passare tutto questo tempo nei bar.»

«...»

«Jackie?»

«Sì, lo so.»

«Ah poi il diario? Lo stai scrivendo?»

«Comincerò prima di andare a lavorare, ho ancora tempo.»

«Ma se sono le 3 di notte, dovresti anche dormire un po'. E devo andare anch'io, sennò mio marito si preoccupa.»

«Sì, poi lo faccio... Senti Lisa... Tu ci verresti qui da me per un weekend di tanto in tanto?»

«Te l'ho promesso, ricordi?»

«Sì... ma era per sicurezza...»

«Quando avrai davvero bisogno di me volerò là.»

«...»

«Capito?»

«Sì, anche per vedere i miei progressi.»

«Sì, ovvio.»

«Ora vai Lisa, buonanotte.»

«Buonanotte, mi raccomando Jack.»

 

Caro diario del cazzo che si scrive a 8 anni e non serve a una beata minchia a parte che per farsi controllare, ho deciso che non ti scriverò. Ho deciso che farò esattamente quello che mi pare e migliorerò da me. Ho deciso che non ho nessuna voglia né di diventare utile alla società, né di diventare eterosessuale. Ho deciso che voglio Lisa e che voglio che lei venga a vivere con me.

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Capitolo 3
*** . ***


«Dici che è impossibile?»

«Non lo so, forse...»

«Forse cosa?»

«Forse sì, forse no.»

«Non puoi rispondermi così, io ho bisogno di certezze.»

«Io non ti posso dare certezze, non ho mai fatto una cosa del genere.»

«Sì, ma insomma, qualche idea? Qualche precedente... Poi scusa, che vuol dire che non hai mai fatto una cosa così? È colpa tua se siamo in questa situazione.»

«Ah grazie signorina “non ti preoccupare non è colpa tua”. E giusto per la cronaca, io non lancio bicchieri di vetro nei cessi dei locali per sport.»

«No? Sicura?»

«Beh se mi annoio può capitare... ma solo di tanto in tanto, specialmente quando qualche biondina strana mi spinge per passarmi avanti proprio mentre sto entrando. Lo sai che è maleducazione superare la fila per il bagno?»

«Sono castani... castano chiaro, non biondi. E se per questo è maleducazione anche spingere via chi sta cercando di andare a vomitare. Poi che ci facevi con un drink in bagno tu?»

«Niente. Muoviti a tirarlo fuori che le signore stanno sclerando.»

«E se mi si spacca in mano? Si sta pure allagando cazzo!»

«Non sono affari miei. Dovresti ringraziarmi che ti sto coprendo.»

«Sam mi ammazza... devo smettere di inventarmi nuovi drink e poi berli...»

«Ricordami di non farmi servire mai da te, ma poi mica hai vomitato... dillo che mi hai spinta solo perché volevi soltanto provar... Ho detto che sto male, smettila di bussare cazzo!»

«Forse Sam dovrebbe mettere un paio di cessi in più...»

«Ok togliti.»

«Ma che fai?» Un calcio ben piazzato, di tallone, risuona del bagno mentre riduce in pezzi il bicchiere incastrato nella tazza, che rischia di fare la stessa fine.

«Ma porca puttana mi si è bagnato lo stivale! Che schifo.»

«Wow sei come Superman!»

«Fammi asciugare per favore...»

«Uh guarda, con lo sciacquone è andato giù quasi tutto!»

«Mi fai asciugare sì o no?»

«Sì sì, andiamo di là.»

«Ma col cazzo che esco con un piede bagnato dal bagno!»

«E allora vieni qui e togli la scarpetta Cenerentola, c'è abbastanza carta igienica.»

«Veloce...»

«Sìssignora.»

 

«Jack tesoro... non mi avevi promesso che non ti saresti scopata nessuna durante il lavoro,? Ho dovuto far usare il bagno di servizio alle ragazze.» Da dietro il bancone, Sam alza la voce senza troppa discrezione, mentre fuori dalla porta diverse donne protestano contro le ragazze che stanno uscendo.

«Ma per favore! Non mi farei mai una come questa. Io sono Corey, la tua dipendente incapace mi stava aiutando con un problemino.»

«Vuoi qualcosa da bere Corey?» Sam le stringe la mano, una stretta salda, molto più salda di quanto si aspettasse da una bassina con la faccia da brava ragazza.

«Ah meglio di no, grazie.» Senza dire altro, probabilmente dopo aver incontrato uno sguardo conosciuto, la ragazza sparisce in mezzo ad un gruppo di donne più appartato. Da dietro il bancone Sam segue il caschetto castano finché non si perde in mezzo a spalle scoperte e bicchieri vuoti, gli occhi nel seguirla si fanno più pensierosi.

«È incredibile la tua capacità di ficcarti nei guai.»

«Ma io non ho fatto niente, dico davvero!»

«Tu non fai mai niente Jack...»

 

«Hey Lisa!»

«Buongiorno. Da quanto tempo...»

«Macché! Son passati a mal appena due giorni.»

«E ti sembrano pochi? Non hai dato nessun segno di vita. Per fortuna che Mick mi risponde al telefono.»

«Quella puttana!»

«Lui? E tu che sei a appena tornata e hai già lasciato il lavoro?»

«Ma perché ne ho un altro, te l'ho detto!»

«Sai cosa penso di certi posti.»

«Sì... vabbè.»

«...»

«Ti ho chiamata per dirti che ora posso pagarti il viaggio. Quando vieni?»

«Cosa?»

«E dai...»

«Jack...»

«Me l'hai promesso.»

«Solo se avevi bisogno di me.»

«Io ho bisogno di te!»

«Abbiamo detto nei casi gravi.»

«Devo riprendere a scopare a giro per farti venire qui? Magari sniffo anche un po'...»

«Jackie!»

«Ho davvero bisogno di vederti, mi manchi.»

«Sai meglio di me cosa ne pensa il signor Anderson...»

«E anche io manco a te.»

«Jack...»

«Faccio prenotare il biglietto per venerdì.»

«No... dai.»

«Sì. Ciao Lis.»

Lascia che il sole le surriscaldi il volto, man mano che sale, e che il mare le accechi la vista. Si scioglie piano verso la sabbia, ritrovandosi senza peso né coscienza. C'è ancora la forte luce diffusa sotto le palpebre, né buio né cielo, è quella coperta calda che protegge dalla realtà. È come andare sul terreno di battaglia prima che essa inizi, a fare amicizia con la terra che ti accoglierà mentre cadrai morente.

 

L'aeroporto è deserto, non c'è anima viva, né aerei, né rumore, né troppi taxi, né troppi bagagli. C'è solo una giovane donna, sui 25 anni, con una borsa abbinata alle scarpe che cercano di essere eleganti, un trench beige che copre un po' troppo e i capelli biondi raccolti sulla nuca.

«Ehm... dov'è Lisa?» Una risata dolce rende il viso della donna più morbido, riconoscibile.

«Sono proprio qui! Non si viene mica ogni giorno a Los Angeles, mi sono vestita bene per l'evenienza. Non mi dona?»

«Sì sì, ti dona tutto!» Jackie rimane a guardarla ancora qualche istante, un po' distaccata, finché non si ritrova ad abbracciarla. Il suo profumo e la morbidezza del suo corpo, di ogni suo movimento, un attimo, e poi la gente torna a camminarle veloce accanto, con borse che sbattono da per tutto e chiamate del taxi un po' troppo urlate.

«Quindi mi fai conoscere questa fantastica città?»

«Ma sei venuta per vedere me o LA?»

«...Entrambe.»

Lei si stringe nel suo giaccone aperto, non che abbia freddo, ha il bisogno di stringere qualcosa. L'espressione è felice e pensierosa allo stesso tempo, in attesa.

 

Fanno le turiste per tutto il giorno, strade e negozi che neanche Jackie aveva mai visto.

«Non posso crederci che hai vissuto a Los Angeles per quasi un anno e non sei mai stata a Beverly Hills.»

«Non pensavo mi facessero entrare col mio giaccone...»

«In effetti.»

«Ora posso portarti dove voglio io, è quasi ora?»

«Dove mi porti? Dimmi solo che non dobbiamo prendere di nuovo l'autobus, per favore.»

 

«Già che volevi portarmi sulla spiaggia, potevi portarmi a Venice Beach...»

«Sì, ma qui è più bello. Cioè è bello anche lì, ma qui si sta meglio, c'è meno gente ed è più facile pensare.»

«Tu pensi? E da quando in qua?»

«Da poco... ci provo. Ma non è per niente facile, sai?»

«Lo so. Complimenti per l'impegno però. Fammi sapere se poi ci riesci, e a cosa hai pensato.»

«Ok.»

«Perché è stran...»

«Non puoi semplicemente guardare il tramonto e basta?»

«Ok... scusa.»

Non passa molto tempo, meno di dieci minuti, ma sembra che si aggrappi a loro, che non voglia lasciare il cielo e che nel farlo, piano piano mentre scende sotto l'orizzonte, si trascini dietro la loro carne. Pesante quanto l'aria salata e umida che fa respirare meno liberamente.

«Quindi quando ti decidi a farlo?» La voce di Lisa risulta tanto pesante quanto il buio.

«A fare cosa?»

«A provarci Jackie.»

«Con chi?»

«... Con me.»

«... » Le viene meno il respiro, le si blocca in gola tutta quell'aria umida. Si bloccano anche le labbra, secche, come diavolo fanno ad essere secche con tutta quella umidità? È presa alla sprovvista, non che non ci sia abituata, ma è la lucidità e la asprezza di Lisa che la blocca.

«Io...» Soffia tra le labbra socchiuse, che non sembrano muoversi.

«Mi porterai a cena?» Lisa sorride, un sorriso meno timido del solito.

«Pensavo al bar di Sam.» Probabilmente è il sorriso a farla parlare, o l'imbarazzo o l'enorme afflusso di sangue alla testa che aggiunge un gran caldo all'umidità.

«No, così perdiamo un sacco di tempo. Poi non voglio stare in certi posti, te l'ho già detto.»

«Ah... ok.»

«Che c'è? Pensavo saresti stata contenta. Perché mi hai fatta venire qui altrimenti?»

«Beh... ma... non pensavo proprio... così...»

«Ti sto facilitando le cose Jackie. Tu mi piaci.»

«D...davvero? Davvero ti piaccio? Perché non ne sei mai sembrata così sicura, anzi sei sempre stata sicura di essere innamorata di Dave.»

«Ma figurati se sono innamorata di quella checca. Ci compriamo a vicenda.»

«Cosa? Ma... E il gruppo?»

«E il gruppo è il mio lavoro. Il nostro lavoro. Ci siamo conosciuti lì io e Dave, e abbiamo pensato di fottere Anderson così come lui fotte tutti i disperati che vanno, o che mandando, nel suo gruppo. Compresa te.»

«Eh?»

«Su Jack... arrivaci.»

«...E, se è solo per il lavoro perché pure al telefono parli come con lui? ...Ma ti sei fatta?»

«Perché quello stronzo registra le telefonate. Vuole essere sempre al corrente dei progressi delle persone, degli scemi, che vanno da lui... perché ci tiene tanto a farvi guarire. Almeno paga bene.»

«Quindi non ti sei fatta di niente? Sicura?»

«No, ma intendo farmi te, questo è certo. Appena torni in te.»

«Io devo tornare in me? Ma se stai tirando fuori cose che con la Lisa che conosco io non c'entrano un assoluto cazzo!»

«E che devo fare? In un modo o nell'altro devo vivere, con Dave abbiamo trovato un buon modo sia per vivere bene nella società sia per scopare quando ci va.»

«Fate così con tutti quelli che vi affida?»

«Sì, ovvio, non possiamo mica lasciare che credano alle stronzate che dice il Signor Andrestronzo.»

«Quindi ti scopi tutte...»

«Beh...»

«Mh»

«Che c'è? Non verrai mica tu a fare la moralista con me?»

«No.»

«Bene.»

«Mick non è a casa, andiamo?»

«Certo.»

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Capitolo 4
*** . ***


«Rape me, rape me my friend... rape meeee, rape me aagain. Tu...tututum tum... Am I the only one? Aaaaa am I th... oooh non cadere, non cadere... Am I the only one?» Un po' avanti, poi un paio di passi di lato, per riprendere l'equilibrio, uno indietro per lo slancio, e un altro po' avanti. Intanto canta, pensando a squarciagola e invece si sente solo un borbottio neanche abbastanza arrabbiato per la canzone. «Hate me, do it and do me again... o era do it? Do... Waste meeeee!»

Davanti al bar di Sam c'è ancora solo qualche anima persa nell'alcol e qualche altra anima che cerca ancora di scopare. Porta ancora aperta, anche se dentro è tutto spento, è verso quel buio che cammina, stringendosi nel suo giaccone e cercando di canticchiare qualche altra parola.

«Bionda!»

Non associa in nessun modo il nome “Bionda” al suo, quindi prosegue concentrata, un'altra decina di passi e dovrebbe essere al sicuro.

«Hey che fai mi ignori Bionda?» La ferma una stretta sul braccio, probabilmente ha fatto pure male.

«Ma che cazz...?» Non riesce a riconoscere subito la ragazza, ci mette più di un attimo anche solo ad individuare il volto, prima il caschetto castano e poi lo sguardo divertito.

«Sono qui giù... Corey, ricordi Bionda?»

«Ma quanto sei bassa? Chi? Io non sono bionda! È castano chiaro.» Intanto che cerca di capire chi sia, o che cosa voglia, o come fare a togliersela di dosso. Sta lì, a fissarla con la fronte aggrottata e col braccio ancora nella sua presa. Di tanto in tanto quella presa la aiuta anche a mantenere l'equilibrio.

«Io non sono bassa, così come tu non sei bionda. D'accordo? Ti senti bene? Volevo solo darti una mano.» Prende una sorta di annuire un po' confuso come un “Sì” e ci ride su, una risata incredibilmente matura, ci si aspetterebbe una risatina radiosa, da ragazzina, da una faccia così.

«Mh... Che vuoi Papà Gambalunga?»

«Simpatica... Vieni con me.» Senza mollare la presa sul braccio, se la porta addosso e inizia a camminare piano. «Mi aspettavo fossi più pesante, così è più facile.»

«Dove andiamo? Io devo lavorare da Sam...»

«Sam ormai ha chiuso, ti porto a dormire. Non intendo approfittarmi di te, tranquilla.»

«Peccato...»

 

Il taxi si ferma davanti ad una villa di West Hollywood, le luci dell'intera casa accese e diversa gente che si intravede dentro indicano una festa, ma non ci sono né urla né musica assordante.

La padrona di casa apre la porta con un sorriso contenuto, guarda le due dall'alto e sorride un po' di più. Senza dire una parola si sposta per far passare Corey e Jackie che è già mezza addormentata.

«Ora sei contenta? Così abbiamo evitato altre complicazioni, a parte il vomito. Te l'avevo detto che l'emmedì non era una buona idea.» Ferma nell'atrio, senza guardarsi intorno e senza essere guardata dalle donne ben vestite presenti, la ragazza parla con calma, non sembra neanche stanca.

«Potevi almeno evitare di buttarlo nel cesso. Non sono ancora contenta, in questo stato mi fa schifo anche guardarla...»

«Ma sì, le faccio fare una doccia e poi è a posto. Dai, non essere più triste, me ne occupo io.»

Un altro conato di vomito sveglia Jackie, vomita appena scende dal taxi, sul vialetto, sulle scale, e prima di vomitare nell'atrio sente una mano premerle sulla bocca. Sforzandosi di aprire gli occhi si vede sorretta da Corey ma non ha la forza di togliersi la sua mano dalla bocca, deglutisce senza sentire niente, poi riapre gli occhi ma non vede altro che luce e puntini colorati che ondeggiano piano piano, come se si trovasse sott'acqua. Nel sentirsi spostare l'immagine cambia, evidentemente Corey ha iniziato a camminare e ha cambiato la posizione in cui la teneva, più comoda questa volta, tanto da sentire le gambe che si muovono, non si ricordava di avere delle gambe che camminano. Non si ricordava neanche di avere delle palpebre, eppure queste si chiudono in continuazione, oscurando tutta quella luce, ma se si sforza riesce a tenerle per metà aperte, per mezzo secondo. Per quel mezzo secondo in tutta quella luce c'è una figura che resta lì, in mezzo agli occhi, non ancora nascosta dalle palpebre. A parte i capelli biondi e il rossetto rosso non ricorda altro.

«Andrea...?» Mormora sotto la mano stretta di Corey. Che la sente, o si immagina di sentirla, o risponde ad alta voce a un pensiero suo.

«Già tesoro... Non sei mica tu che decidi con lei.»

 

L'acqua scorre veloce, bollente, o fredda o sono mille aghi che cercano di pungere e non ci riescono, non la sente, ma scorre con un che di irritante. Come se fosse continuamente toccata, accarezzata su ogni millimetro di pelle su cui l'acqua passa. Come se quella dannata acqua ci si mettesse d'impegno a farle sentire le cose. Non si beve per sentire. Né per ricordare, ma almeno non si ricorda né dove si trova né come ci è arrivata. Né di Lisa, no, non ricorda proprio niente. No.

Cerca di muoversi, di togliersi da sotto l'acqua, ma non riesce neanche ad aprire gli occhi. Bisogna scostarsi, scappare, quando si cerca di dimenticare. Lei continua a mormorare, a svincolarsi, eppure ha sotto le palpebre appiccicato il suo corpo, il suo viso con gli occhi chiusi e le labbra dischiuse. Ha dentro le orecchie quei versi troppo forti, esagerati. Non fermarti Jack, non osare toglierti da lì. Non c'è niente di diverso in lei rispetto a tutte le altre, rispetto a ogni singolo corpo che ha bisogno delle sue mani – bocca – labbra, non di lei. Hanno bisogno che continui, non che rimanga lì dopo. E Lisa, con i fianchi morbidi e le cosce perfette, ora strette e contratte come tutte le altre, con le unghie che scavano nella pelle; fai male cazzo! Ma non importa, continua. Poi togliti, si deve vestire. Ciao Jack.

«Ci sei?» L'acqua si è fermata. «Se vomiti di nuovo giuro che ti faccio volare dalla finestra. Bionda? ...ehm Jackie?»

«Uh?»

«Apri gli occhi, brava.»

«Che devo aprire?»

«Chi occhi... ti senti un po' meglio?»

«Chi sei, Lisa?»

«Corey... su, ti aiuto a vestirti. No, aspetta. Non mi abbracciare, così mi bagni cazzo...»

«Non ti bagnare, dai...»

«Jackie!»

«Mh?»

«Andy mi ammazza.»

«Mhm.»

Non ci vuole molto a staccarsela di dosso, non è difficile far scivolare un'ubriaca indietro di culata. Non ci vuole molto, un'istante solo, uno di troppo, per sentire la sua pelle calda sotto le goccie d'acqua fredda.

 

«Non ti svegli piccina?» Le mani che la sfiorano ora sono decise, né delicate né rudi, sanno quel che vogliono. «Su svegliati.» Non sono né calde né fredde. «Non richiudere gli occhi, guardami.»

«Ciao...»

«Ciao Bella Addormentata.» Andrea è seduta sul margine del divano su cui lei dorme, le accarezza viso e collo, scivolando con le dita oltre il bordo dell'accappatoio di tanto in tanto. «Mi vuoi lasciare qui a parlare da sola?»

«Mh... che devo fare?» Con gli occhi ancora mezzi chiusi, lei cerca di togliersi l'accappatoio senza capire quel che ha addosso.

«Niente, che fai?»

«Un attimo... e ci sono.» Si divincola riuscendo a liberarsi il busto e strattonando la corda, o quel che è, che si sente legata intorno alla vita. «Ma che è?»

«Stai ferma, che fai? Non ti spogliare tesoro.»

«Sì, sì... ci sono. Facciamo quel che vuoi tu.»

«Non devi essere nuda per quello.»

«Mh?»

«Fermati.»

«Ok. Fai tu.»

«Non sei qui per il sesso...»

«Eh? E per cosa?»

«Perché voglio stare con te, piccina. Mi sei mancata.»

«Sì.»

«Sì.»

«Davvero?»

«Mi sei mancata.»

«Ah...»

«Sei più importante di quel che pensavo, sai?»

«No.»

«Sì.»

«Ok.»

«Hai fame?»

«...»

«Che vuoi mangiare? Apri bene gli occhi, guardami.»

«Mangio quel che c'è... Ciao, Andrea.»

«Buongiorno, tesoro. Vieni con me.»

«Dove?»

«A mangiare.»

«Sicura?»

«Sicura.» La sua voce è calma, giusta. Riempie l'aria con una risata poco divertita, ma è da per tutto. È certa.

Mangia in silenzio la quinta fetta di bacon, pulisce il piatto con un po' di pane dell'uovo e del grasso rimasto, mangia il pane e poi si beve il secondo bicchiere di spremuta d'arancia. Per un'oretta lo stomaco dovrebbe smettere di bruciare.

«Da ora in poi tu resti qui.»

«Sono qui.»

«Intendo dire che tu vivi qui. Da ora in poi starai con me.»

«Ah ok.»

«Sono seria. Vuoi mangiare ancora?» Andrea parla con quella sua voce ferma e morbida, giusta.

«Sì giusto. Poi andrò a fare il mio borsone.» Annuisce guardando il piatto vuoto. «Magari più tardi sì, ora sono sazia.»

«Puoi anche evitare di portarlo, ti comprerò io tutto quello di cui hai bisogno.»

«Sì...»

«Non mi piace la tua espressione.» Le accarezza il volto con fare amorevole, ma lo sguardo è concentrato.

«Sto pensando. Sono brutta quando penso? Forse non ti piace perché non mi hai mai vista mentre lo facevo... non capita spesso.» scherza e si stringe le spalle, le ossa premono contro la pelle a voler uscire, andarsene da sole, ma lei rimane lì. «Stavo pensando che forse è meglio pensare un po' meglio prima di decidere.»

«Cosa?»

«Cioè... pensare se è bene farlo o se è meglio continuare come prima.»

«Io non voglio tornare come prima. Io ti voglio e voglio che resti con me. E anche tu lo vuoi.»

«Sì... Ma ho preso un impegno con Sam, devo andare a lavorare...»

«Tu resterai qui con me e non avrai bisogno di lavorare. Tanto meno nel locale di quella. Non avevi detto di voler cambiare l'ultima volta che ci siamo viste?»

«Come cameriera, lavoro come cameriera!»

«E tu credi che ti terrà a lungo come cameriera? Sam non è una sprecona. Quella ha già fatto abbastanza male a me, non voglio che lo faccia anche a te.»

«Sam?»

«Non mi fa piacere parlarne, ma se è per evitare che tu stia male, te lo racconterò.»

«Aspetta... mi sto perdendo.»

«No, ci sono qui io e tu non ti perdi più. Ascoltami...» Il viso maturo della donna ha un'espressione quasi materna, benevola e piena di sincero dispiacere per la ragazza. «Non abbiamo iniziato bene io e te, ma perderti mi è dispiaciuto più di quanto pensassi.» Quel viso amorevole si accosta a Jackie, scompare nei suoi capelli scompigliati, la abbraccia e la immerge nel calore del suo corpo, nella sicurezza della sua persona. «Io voglio prendermi cura di te.»

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Capitolo 5
*** . ***


«Non si saluta più?»

«Vado via subito.»

«Non ti ho chiesto quando vai.»

«Voglio solo fare le cose nella maniera più semplice Sam. Pensavo dormissi a quest'ora.»

«Entri alle 5 di mattina a recuperare il tuo borsone sperando di non svegliarmi... guarda che non sono una delle tue ex.»

«Oh mia no sicuramente, ci mancherebbe.»

«Dove vai Jack?»

«Lontana da te.»

«Jackie...»

«Da Andrea...»

«...»

«Appunto, mi ha raccontato un po' di cose.»

«Ok.»

«Non hai niente da dire?» Il borsone non è ancora del tutto pronto, ma la ragazza si gira in cerca dello sguardo di Sam, in cerca di un segno, un minimo, dannatissimo segno che smentisca l'immagine da affarista senza scrupoli che le è piombata addosso.

«No.»

Nel giro di 2 secondi Jackie ha preso tutto e lasciato la casa di Sam, un taxi la aspetta fuori. La donna rimane dentro.

 

È un po' come Disneyland per sempre e per adulti. Tutto quel che si può volere, feste e compagnia, cibo e alcol, attenzioni e amore. Sono settimane che Jackie vive a Disneyland, ma non ha ancora capito se il suo lavoro è fare da Mickey Mouse o da Pluto. Andrea se la porta sempre dietro, la presenta a tutti i suoi amici e parlano insieme. Ma poi deve portare questo regalo alla Crudelia De Mon o Ursula di turno, imparare tutti i nomi e stare dietro all'assistente di Andy, perché le insegni bene come comportarsi. Ma il tutto è così luminoso e pulito e divertente che non brucia più neanche il naso dopo la sniffata. Tutto perfettamente sistemato, così leggero e ordinato che neanche se ne accorge del tempo. A volte alle feste incontra una qualche vecchia o nuova o solita amica di Andy; parlano, ridono, Andy sempre con la sua calma e i suoi bei modi rassicuranti, qualche avance da parte dell'amica di turno, il solito riderci su per far finta di niente, poi il giro della bellissima casa, piena di luce e tanto accogliente quanto una discoteca, ma molto più elegante, divanetti e tavolini ovunque, in vetro ovviamente.

 

«Dov'eri finita tu comunque, Papà Gambalunga?»

«Un po' di meritata vacanza...»

«Mica ti sei riposata tanto, eh?»

«Che dice Andy del modi in cui parli ultimamente?»

«Miglioro sempre, io. Tu che combini?»

«Sei ripetitiva biondina. Ascolta, ora che entriamo parla bene e sii il più decente possibile... so che sarà difficile, ma provaci, devi piacerle.»

«Ti ricordavo meno acida...»

Appena scese dal taxi si trovano davanti a un'agenzia di viaggi di lusso, una di quelle che ricorda tanto la hall di un albergo a mille stelle. Dietro una grossa scrivania stile impero, come tutto il mobilio di quella finta agenzia color crema, c'è una donna dall'età indefinita, bionda come il mobilio e dalla tipica espressione del botox.

«Non mi dire, il nuovo arrivo.» Ci sarebbe da cercare le casse da cui è uscita quella voce, perché la faccia della donna non si è mossa, ma Jackie le sorride e basta.

«Bella, no?»

«Buongio...»

«Se sta zitta ancora di più. Ma va bene.»

Serra le labbra appena viene interrotta e resta ferma accanto alla porta, sguardo a terra.

Intanto Corey prende tre statuette delle tante disposte sui mobili, il mondo ridotto a statuette grosse quanto una palla da basket, pesanti sui due - tre chili ciascuna. Un Moai, una Torre di Pisa e un mappamondo. Le porta una alla volta sulla scrivania e alla fine le paga. Intanto la donna le mette in buste regalo.

«A presto carina.» La donna saluta Jackie, che azzarda solo un sorriso in risposta ed esce.

«Grazie, arrivederci.» Dopo aver dato due buste a Jackie, Corey inizia a camminare in silenzio. Non le è piaciuto quel 'a presto'.

«Io non ho capito...» Da un paio di passi più indietro Jackie inizia a parlare perplessa.

«Sì, lo sappiamo già che non sei la più acuta del mondo, anche se con questi nuovi vestiti da signorina potresti sembrarlo.»

«Eh?»

«Non crederai mica di essere la prima ad aver perso la testa per Andy, o la prima che vive con lei.» Il tono della ragazza è strafottente e rassegnato.

«Eh...»

«Per quanto toccherà a te dovrai andarle a prenderle la roba e portarla alla gente a cui la vende. Dovrai essere bella e sveglia, ma su questo ci dobbiamo ancora lavorare. Tranquilla, probabilmente durerai poco visto che ti ha voluta solo perché tu hai osato dirle no.» Parla veloce e precisa, come una ragazzina che ha imparato una poesia a memoria, una brutta poesia.

«Ma...»

«Nessun ma, è così. Non la puoi amare senza queste cose, lei dice che amore e odio sono legati e non esistono separati.»

«Ma io non...»

«Tu non sei così. Ma lo diventerai, non ti preoccupare. Poi si riprenderà me.»

«Te?»

«C'ero da molto prima che arrivassi tu cara.»

«Da quando?»

«Da quando è diventata l'unica cosa che mi è rimasta della ragazza che ho amato...»

«Di chi?»

«C'è questa leggenda, di certi Dei creati a coppie... te la faccio semplice sennò ti perdi. Creati a coppie e poi separati. Sono invincibili, eterni. Niente li può scalfire. Ma da soli. Finché stanno l'uno lontano dall'altro. Ma poi sentono soli, inutili e finiscono per cercare sempre l'altro. E quando si trovano sai cosa succede?»

«Vivono felici e contenti per sempre?»

«Muoiono.»

«...»

«Diventano mortali quando sono insieme, invecchiano e muoiono. Soffrono, si fanno male. Odiano l'umanità, ma si amano troppo per separarsi.»

«E che vuol dire?»

«Che sei stupida come il cazzo bionda. Non capisci niente.» E scoppia a ridere, una risata amara e nei denti, ma ride.

«Non capisco sta cosa che avete di dire le cose a metà. Si allungano soltanto i tempi ma poi le cose si vengono a sapere lo stesso in un modo o nell'altro.»

«Fatti il favore di non cercare di scoprire da te le cose che ti dice Andrea, per favore.»

«Per favore? È a te o a me che devo fare il favore?»

«Tu fai la brava e basta.»

Jackie la guarda, poco dietro di lei, il caschetto scuro nel sole freddo. Questa cosa dell'amore e odio proprio non la capisce. Ha in mano le buste regalo con la neve per il Natale speciale di Andrea, ma con Andy non c'è bisogno di capire, si occupa lei di sistemare tutto.

 

«Ciao!»

«...Pronto?»

«Hey Jackie! Sei ancora viva, ottimo!»

«Ciao Lisa. Come stai?»

«Ora che ti sento bene, sono stata in pensiero sai.»

«Per me? Non ti devi preoccupare per me cara, ma sei stata molto gentile a chiamare. Stai bene?»

«Come non devo preoccuparmi per te? Sono qui per te, ricordi? Sempre.»

«Grazie, gentilissima. É stato un piacere sentirti Lisa. Spero tu stia bene. A presto.»

«Aspetta! Sono in aeroporto, appena arrivata. Vienimi a prendere, dobbiamo vederci e parlare meglio. Sono qui per te, che ti prende?»

«Sei in LA?»

«Sì, mi dispiace se sono stata affrettata l'ultima volta, ho sbagliato a essere così indelicata con te. Tu sei speciale, la mia piccola. Ti aspetto dai, fai presto!»

«Avresti dovuto avvertirmi prima, sono impegnata oggi. Ti mando un taxi e appena posso ci vediamo. Mi dispiace. Ciao.»

 

La sera dopo la reception informa Lisa di essere attesa per cena. Un bel vestito lungo, delicato sui fianchi morbidi, più scollato di quanto fosse abituata a vestire, capelli ben acconciati, per non sfigurare troppo rispetto all'eleganza dell'hotel, e la ragazza si presenta al ristorante. Ad aspettarla trova una giovane seduta composta, capelli stretti in uno chignon che lasciano il bel viso scarno libero, velato solo da un leggero filo di trucco che mette in evidenza gli occhi verdeazzurro e le labbra appena incurvate in un sorriso leggero. La ragazza si alza, aspettando che l'ospite si avvicini abbastanza da accostarsi in un abbraccio delicato. Vestiti eleganti accarezzano braccia secche, ossa che sporgono sempre, da sempre a voler scappare, ma Jackie sorride ancora e si siede di nuovo.

«...sono senza parole.»

«Una sorpresa piacevole spero.» Ha un tono pacato, non particolarmente dolce ma morbido. Le labbra continuano a sorridere e gli occhi ad altalenare tra il viso conosciuto e il cameriere che porta i drink.

«E tutto questo in appena tre mesi?» Si guarda intorno con occhi luccicanti e sorriso a 32 denti «Non dirmi che è stato il lavoro in quel bar a permetterti questa cena... e che bei vestiti... e hai anche imparato a pettinarti i capelli!» Risata squillante, tesa, incredula.

«No, non è stato quel lavoro. Mi fa piacere vederti, come stai?»

«Ah benone! Ho fatto shopping ieri e oggi, so che non ti saresti divertita... ma che lavoro fai che sei così tanto impegnata?» Fissa di nuovo quel corpo secco avvolto dal lusso senza un filo di disagio apparente, senza il bisogno di stringersi a un giaccone imbottito.

«Organizzo feste... e viaggi...» Appare poco propensa ad approfondire «Tu fai sempre lo stesso lavoro?»

«Sì... certo... lo faccio per una questione di principio sai, il signor Andrestronzo è impossibile da contrastare a viso aperto, sai come sono dalle nostre parti. Non è giusto che chi va da lui venga davvero preso per il culo così.»

«Se ti fa stare bene...» Finisce anche il secondo drink e sorride ancora, senza dar segno di accusare l'alcol. «State solo molto attenti, le persone con molto potere e troppa confidenza nelle proprie capacità non prendono bene i tradimenti.»

«E tu che ne sai?» Ridacchia ancora Lisa, brilla dopo il primo drink.

«Lo so.»

«Non ti preoccupare tesoro! È così bello rivederti... sei così...»

«Avrei un favore da chiederti.» La interrompe come se non avesse sentito una parola. «Ti presenti nella mia vita sempre proprio quando ho bisogno di te...» Sorride, sembra quasi imbarazzata. «Mi fido di te più di chiunque altro, lo sai.» Cerca il suo sguardo e una volta trovato ci resta, non la lascia deviare. «Ho bisogno di sapere come sta una ragazza a me cara. Sto rispettando il programma per cui non andrò io a parlarle, ma ho saputo di un incidente grave e ho bisogno di sapere se si riprenderà.» Non le lascia il tempo di pensarci su. «Devi solo passare vicino la sua stanza, vedere se è sveglia... se non ce la farà ho bisogno di andare a dirle addio, mi capisci?» Sospira, aggrotta la fronte, trattiene la disperazione di non sapere. «Se vedi che non si è ripresa, e solo in quel caso fammelo sapere. Per favore.»

«Non me ne frega niente del programma tesoro, qual è il problema?»

«Nessuno, ho solo bisogno di questo favore... per stare meglio.»

«Tranquilla, ne parliamo meglio dopo in camera?»

«Stasera non posso trattenermi, la prossima volta, con più calma. Mangiamo.»

 

Non c'è più traccia delle ferite sulla guancia dove le unghie perfette di Andrea hanno penetrato la pelle, stringendo il viso tra le mani. Come se non fosse mai successo niente, solo una piccola lezione di comportamento. Non si va a parlare con chi lei dice di non parlare.

«Tu sei mia. Tu sei mia. Tu sei mia. Tu sei sei mia. Tu sei mia. Tu sei mia. Tu sei mia. Tu sei mia.»

«Tu.» Il bar di Sam ha finito di bruciare ed è stato venduto e ristrutturato nel giro di due settimane.

«Sei.» La pelle è tornata liscia in altrettanto tempo.

«Mia.» Due mesi di impegno e lei è la sua ragazza perfetta.

 

 

Sta salendo le scale verso la suite di Andrea mentre vede la porta aprirsi e una figura minuta e nuda che esce in silenzio. Non l'avrebbe sentita se non l'avesse vista. Appena nota Jackie finisce di chiudere la porta in silenzio e inizia a scendere le scale andandole in contro. Solita postura fiera e sguardo deciso sul viso da bambina arrabbiata.

«Non andare ora.» Ha il tono di un'ordine ma è una preghiera. Lasciale il mio odore addosso ancora un po'.

«Sei tornata finalmente! Mi sei mancata Papà Gambalunga!» Salta quei tre scalini che le separano e la abbraccia prima che faccia in tempo a ritirarsi. Fili di seta che separano pelle calda e tesa da entrambe le parti.

«Smetti di abbracciarmi cazzo! Mi dai fastidio.» Senza fatica, nonostante la resistenza, se la stacca di dosso e si ritira di altri tre scalini, poco più alta di lei ora. «Comportati come la brava ragazza che sei diventata.»

«Dai acidona, bevi con me. Dobbiamo festeggiare... stasera non mi sono fatta l'ultima sfigata di cui sono stata pazza per mesi.» La guarda un altro po' e poi si volta scendendo le scale.

«Io ti avevo avvertita ma tu hai voluto fare la stupida lo stesso, hai imparato la lezione, non c'è niente da festeggiare.»

Il corpicino nudo si siede aspettando il suo drink, non così a suo agio come dimostra. «Fammi vedere il viso.» Ordina di nuovo ma con tono meno rigido. E si ritrova la faccia di Jackie davanti in mezzo secondo. Nessun segno, ma lo sapeva già.

«Non devi controllare ogni volta eh... me la cavo da sola. Dove sei stata per un cazzo di mese?»

«Non sono affari tuoi. Pensa a fare quello che devi fare bene.»

«Mi scopo Andrea molto bene, non ti preoccupare.» Parla senza scostare il volto, fissa gli occhi nei suoi per vedere bene il dolore. Stupido amore.

«Non durerai ancora a lungo, ancora meno se non la smetti di provocarmi.» Corey si allontana per bere il suo drink, trattiene la rabbia, se ne versa un altro.

«Scusa...»

Bevono entrambe il secondo drink in silenzio, poi Corey si alza per andarsene.

«Smettila.»

«Di fare che?»

«Potresti sparire da un momento all'altro, prima di fare la fine di Sam...»

«Mi hai portata tu qui. Portami via tu.»

«Smettila.»

 

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