You're clouding up my mind.

di lethebadtimesroll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Not gonna ever own what's mine. ***
Capitolo 2: *** Swag on you. ***
Capitolo 3: *** I cannot win your loosing fight. ***
Capitolo 4: *** I never meant to brag. ***
Capitolo 5: *** Guess I'm dreaming again. ***
Capitolo 6: *** You're gonna loose it. ***
Capitolo 7: *** Eating us alive. ***
Capitolo 8: *** Too damn scared. ***
Capitolo 9: *** I'm just tryin' to make a little conversation. ***
Capitolo 10: *** Don't be so cold, we could be fire. ***
Capitolo 11: *** Hey girl. ***
Capitolo 12: *** I can take you home. ***
Capitolo 13: *** Somewhere down at the bottom. ***
Capitolo 14: *** Got to find other ways. ***
Capitolo 15: *** Got to find other ways. (II) ***
Capitolo 16: *** avviso. ***



Capitolo 1
*** Not gonna ever own what's mine. ***


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- Io prendo un hamburger Minnesota. – riconsegnai il menu ad una cameriera decisamente annoiata. – Grazie. –
- Di niente, cara – rispose, e suonò così canzonatoria che le scoccai un'occhiataccia: era un controsenso.
Scossi la testa. - Allora, racconta! – mi rivolsi poi a Rose, quando fui sicura che la cameriera fosse a debita distanza.
- Non puoi immaginare – rispose quella, sporgendosi sul tavolo. – Justin e Madison stanno davvero insieme! –
Raccolse una ciocca di capelli dietro l'orecchio, attendendo una mia risposta.
- È questo quello che dovevi dirmi? -
Annuì entusiasta.
Allora era vero. Cercai di coprire i brividi sulle braccia con le maniche della felpa. Mi sembrava che improvvisamente facesse freddo...
- Grazie - dissi piatta alla cameriera quando mi appoggiò il piatto davanti.
D'accordo, iniziamo. Mi chiamo Lily Williams, e la rossa seduta davanti a me è Rose Jackson.
La nostra vita ruota praticamente intorno alla scuola: diligenti, pensavamo noi, nerd pensavano gli altri.
Funziona così: per quanto Montreal possa essere una città moderna, industrializzata, sviluppata, una volta varcata la soglia della Westmount High School ci si può considerare in pieno settecento, parlando di classi sociali.
Noi "nerd" facciamo parte della popolazione inferiore, secondo la gente che conta.
Secondo me, è tutta una cazzata.
Un problema non sottovalutabile giungeva invece con i bulli: spietati come animali sia con i ragazzi che con le ragazze, attratti dal cercare rogne solo per dimostrarsi all'altezza o per divertimento, erano l'incubo di tutti, soprattutto di noi. Bisognava sempre evitarli, sempre.
Ma se inspiegabilmente ci si ritrovava a volersi ritrovare sulla strada del ragazzo più forte e più temuto della scuola, se ci si ritrovava a cambiare gli orari delle lezioni solo per osservarlo qualche istante in più da lontano, beh, allora era davvero un casino.
Il ragazzo in questione, Bieber, poteva essere definito un predatore.
Gli occhi marroni – che avevo intravisto qualche volta solo di sfuggita – sembravano passare l’anima da parte a parte. Individuava subito i punti deboli delle persone, e ciò lo rendeva stranamente un bullo intelligente, quindi doppiamente pericoloso. Non aveva scrupoli né riguardi, chiunque capitasse sulla sua strada poteva definirsi ufficialmente in pericolo.
Nonostante fosse appena diciottenne era già alto, e i muscoli - sebbene poco definiti - avevano un’aria minacciosa: nel corso di quattro anni di scuola superiore era riuscito a conquistarsi la fama di ragazzo più forte del quartiere, e a nessuna persona sana di mente passava per l’anticamera del cervello di mettersi sul suo cammino.
E proprio perché Bieber era un predatore, era dotato inevitabilmente di una bellezza devastante.
Una bellezza di quelle che non vengono ignorate, una bellezza superficiale e profonda allo stesso tempo. Un dono che sapeva sfruttare al meglio, soprattutto per farsi fare favori e commissioni - in genere di tipo sessuale - anche se solo le ragazze più belle e popolari della Westmount potevano vantare di essere passate per il suo letto.
Per quanto avessi cercato di mentire a me stessa, la cosa era ormai troppo evidente: ero attratta da lui, non solo dalla sua bellezza ma anche dal suo carattere ribelle e dalla totale noncuranza delle regole.
Il che era come minimo preoccupante, considerando il tipo di ragazza che ero.

Per fortuna ero abbastanza intelligente, e nonostante lo osservassi più del lecito - tanto che Rose iniziava ad insospettirsi - cercavo di fare ciò che mi riusciva meglio, ovvero restare nell’ombra. Se si fosse accorto che ero interessata a lui sarei stata spacciata: non sapevo che cosa sarebbero stati in grado di combinare lui e i suoi amici, ma dopo ciò che avevo visto negli ultimi anni potevo aspettarmi di tutto.
Annuendo distrattamente alle parole di Rose, ormai era trascorsa mezz’ora e il mio hamburger mi era finito tra le mani senza neppure che me ne accorgessi.
- Andiamo, o faremo tardi per matematica – esordì Rose, alzandosi dalla sedia rumorosamente e aggiustandosi i capelli. Diedi un’occhiata fugace all’orologio sul mio polso e raccolsi la borsa. Pagai veloce il conto alla cassa e uscimmo fuori senza neppure infilare la giacca. Una volta scesi gli scalini del ristorante intravidi subito la scuola, dall’altra parte della strada.
- Giovedì ci ritroviamo a casa di Mark per vedere Creepshow 2 – si schiarì la voce, alzando gli occhi verdi verso il cielo nuvoloso. – Vieni anche tu? –
Mi concessi qualche secondo per riflettere. Giovedì…
- Non so, non penso, venerdì ho il compito di storia. – Attraversammo il piazzale della scuola, diretta verso la scalinata che portava all’entrata.
- Oh, andiamo, ci sarà da divertirsi! -
Ridacchiai. Un po' di horror vecchissimi, i pop corn, il divano... - Mi hai quasi convinta - dissi ridendo. Ma il sorriso mi si spense sulle labbra quando alzai gli occhi in prossimità della scalinata, ed ebbi un tuffo al cuore.
- Oh merda – mormorai. Un campanello di allarme suonò subito nel cervello quando scorsi alcuni ragazzi in cima alle scale.
- Che c’è? – chiese Rose, guardandosi attorno. – Oh, merda. – sussurrò a sua volta quando li vide.
- Non guardarli – intimai sottovoce, dirigendomi lentamente verso la porta, come se ritardare l’entrata sarebbe servito a farli scomparire.
- Non credo vadano al corso di matematica... –
Ignorai Rose, continuando a salire le scale riluttante, tenendo lo sguardo ben piantato per terra.
Respira, Lily.
Mi fermai con Rose nel pianerottolo, in uno spazio di tre metri quadrati e decisamente non in buona compagnia.
Posai la mano tremante sul campanello di fianco alla porta: mi sembrava che la mia paura fosse percepibile a miglia di distanza e cercai di assumere un’aria sicura, senza successo.
Mentre fissavo il legno della porta mi balenò in mente il titolo di un giornale che avevo letto due settimane fa "
Lite tra ragazzi, un ferito grave ricoverato al Westminster Hospital  : una denuncia e una sospensione, è questa la giusta punizione?"   
Due settimane fa. Quei ragazzi avevano quasi ammazzato di botte un tizio di terza ed ora erano lì in piedi di fianco a me, a squadrarmi in silenzio.  
Le gambe mi stavano cedendo dalla paura, mentre l’odore acre del fumo di una sigaretta mi si insinuava nelle narici. Sentii un rumore di passi all’interno dirigersi verso la porta: sospirai, immediatamente più sollevata.
- Lily, Rose, entrate! – il legno bianco lasciò posto alla faccia della bidella che ci accolse contenta – Siete qui per il corso? –
Annuii, regalandole un sorriso spaventato: ma non feci in tempo a mettere piede nel corridoio che mi sentii tirare per la manica, e nello stesso istante una fitta di paura mi attanagliò lo stomaco.
- Ehi. -
Quella voce profonda bastò a raggelarmi il sangue.
Dannazione, non mi ero accorta che ci fosse anche lui.
Mi voltai piano, mentre le altre due scomparivano dietro alla porta.
Codarde.
- Sì? – la mia voce era un sussurro mentre alzavo gli occhi sul viso del ragazzo biondo.
- Ti è caduta questa. –
Mi allungò la giacca: la presi con mani tremanti, indugiando velocemente sulla sigaretta che teneva tra le due dita della mano.
Come diavolo aveva fatto a cadermi?
La ripresi alla svelta e con un – grazie – strascicato mi dileguai dietro alla porta, cercando di mettere la maggior distanza possibile tra me e lui.
La porta si richiuse automaticamente: l'ingresso della scuola però era già vuoto.
Mi avviai verso la classe, cercando di togliermi dalla mente gli occhi indagatori di Justin, che ero riuscita ad evitare con cura per quattro anni.
Avevo come la sensazione che non mi avrebbe più ignorata.
Ero ufficialmente in pericolo.

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Capitolo 2
*** Swag on you. ***


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- Ci vediamo la prossima settimana, mi raccomando ripassate tutto il programma in preparazione alle olimpiadi di matematica. - La prof si sedette e iniziò a raccattare le sue scartoffie mentre tutti si alzavano, dirigendosi verso la porta.
Tranne me.
Forse ero totalmente anormale, anzi lo ero per certo, ma quegli occhi così inquietanti ed attraenti allo stesso tempo mi stavano facendo uscire di testa. Ero sia spaventata che lusingata dallo sguardo che mi aveva regalato qualche ora prima.
- Lily? Tutto bene? – Rose si avvicinò.
- Uh? Certo – risposi, accennando un sorriso. Non se la bevve.
- Dai, che è successo? –
Alle volte odiavo il fatto di essere così… Leggibile. Non avevo alcuna capacità di nascondere ciò che provavo veramente, tutte le mie emozioni erano sempre lì, in bella vista sul viso.
Sospirai, prendendo la gomma e iniziando a cancellare un paio di occhi che avevo disegnato sovrappensiero sul banco. Rose prese la sedia del banco davanti e la girò verso di me, sedendosi e prendendosi il volto tra le mani. – Allora? –
- Prima, quando stavamo entrando – rimisi la gomma nell’astuccio e lo chiusi – mi è scivolata la giacca. Ero così spaventata che non ricordavo neppure di tenerla tra le mani e… ed è caduta. –
- Wow. – mi interruppe, alzando un sopracciglio.
- Fammi finire! Sei impossibile. – Infilai l’astuccio nella borsa, lanciando un’occhiataccia alla prof che aveva iniziato ad origliare. Non appena se ne accorse, abbassò veloce lo sguardo, prendendo un pacco di fogli sottomano e uscendo dall’aula.
- E Bieber… Beh, me l’ha raccolta. – A quelle parole, alle mie stesse parole, le budella si torsero. Era incredibile, mi stavo esaltando per una frase che avevo detto ad alta voce.
Rose mi fissò per qualche istante, per poi replicare solo – Non l'avevo visto. –
- Neppure io. – biascicai, infilando la giacca. Questa volta non mi sarebbe caduta.
Misi la borsa su una spalla e mi incamminai verso l’uscita, lieta di avere qualcosa a cui pensare per il resto della giornata.
Era assurdo.

La mia casa era in pieno Montreal centro, a qualche centinaio di metri dalla scuola: Rose abitava vicino a me e così anche Mark. Niente di particolare, le solite villette a schiera bianche con il giardinetto e un cancellino grigio, ma mi piaceva. Ero un’amante del rigore e dell’ordine.
- Allora a domani – dissi, passando davanti a casa di Rose.
- A domani, Lily. – mi rivolse un bel sorriso prima di entrare in casa, spingendo via col il piede il cagnolino che voleva uscire.
Mi diressi velocemente verso casa: mi fermai davanti al cancello, le guance che ribollivano per il vento gelido, frugando nella tasca alla ricerca delle chiavi.
Richiusi il cancello alle mie spalle e attraversai il piccolo vialetto lastricato, lanciando un’ultima occhiata al cielo nuvoloso prima di aprire la porta. – Mamma? –
- Ciao Lily! – urlò indaffarata dalla cucina. Non mi curai neppure di andare a salutarla personalmente e salii direttamente le scale per andare in camera mia.
Pur amando l’ordine, la mia camera restava una delle cose più belle che avessi mai visto nella mia inutile vita.
Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle, sospirando.
Le pareti erano di un caldo color pesca, coperte da poster e fotografie: nella parete di fronte, una grande libreria in legno attorno a cui avevo attorcigliato delle piccole lucine blu - un po’ natalizie, ma sempre belle. Il letto era nella parte destra, pieno di coperte, peluche e cuscini colorati. Per finire avevo fatto una testata personalizzata al letto: quasi l’intera parete di destra era ricoperta da vecchie polaroid. Rappresentavano le cose più banali: fiori, animali, oggetti, persone a me sconosciute, paesaggi, tramonti. Era meravigliosa.
Tolsi le scarpe, la giacca e la sciarpa, poi aprii l’armadio e indossai una felpa. Mi buttai sul letto, sprofondando tra i cuscini. Tastai con la mano fino a trovare il libro che avevo lasciato lì la sera prima e mi infilai sotto alle coperte, consapevole che non avrei prestato attenzione ad una sola parola.
 
 
- Buongiorno! –
Presi i libri dall’armadietto e richiusi l’anta, salutando Mark a mia volta.
Mark era un ragazzo adorabile. Nonostante fosse spesso dolce e disponibile a volte diventava un po' isterico, ma gli volevo bene così com'era.
Ci incamminammo insieme verso l’aula di spagnolo mentre fingevo di ascoltare le sue lamentele: a quanto pare il fatto che io non potessi andare alla sua serata film horror non gli andava molto bene.
Continuò a parlare, passando dalle lamentele alle preghiere, finché non acconsentii – per una volta avrei preso una B nel compito. Pazienza.
- D’accordo, basta che la pianti con questa ciancia – sbottai. Mancavano ancora cinque minuti alla fine dell’intervallo: portai i libri sul banco e poi uscii dalla classe vuota, prendendo Mark sottobraccio e avviandomi verso la classe di Rose, ma mi fermai subito alla vista di ciò che stava succedendo.
Ogni volta che un gruppo di ragazzi si radunava in cerchio in mezzo al corridoio e prendeva ad urlare senza alcun motivo apparente, poteva significare una sola cosa: rissa.
Feci per allontanarmi ma - Guarda Lily! - Mark mi trascinò inevitabilmente in mezzo a quell’orda di gente – stupido, stupido fanatico. Alzai gli occhi al cielo mentre ci infilavamo tra la gente.
Riuscimmo ad arrivare in prima fila e quando mi avvicinai al suo orecchio per urlargli che lo avrei ammazzato se non ci fossimo dileguati al più presto, lo vidi.
Non c’era niente da fare: restava bellissimo anche mentre cercava di sottrarsi alla presa dei suoi amici, che lo tenevano per le braccia. Lo sguardo era furioso come non mai, i suoi bellissimi occhi nocciola erano contratti nell’espressione più terrorizzante che avessi mai visto. Dall’altra parte del corridoio, seduto con la testa contro la parete, stava un altro ragazzo biondo: aveva il viso ridotto male e si teneva un braccio con l’altra mano, lamentandosi del dolore.
Forse avrei dovuto essere spaventata, sdegnata, in pena ma… Tutto quello che pensavo era quanta forza dovesse avere in quelle braccia muscolose per sbattere al tappeto persino un giocatore di hockey. E non me ne pentii neppure: ero da ricovero.
Il suo torace si alzava e si abbassava velocemente, mentre continuava a tirare con le braccia per liberarsi dalla presa salda dei suoi amici. Erano quattro, ma faticavano a fermarlo.
Mi chiesi cosa fosse successo: probabilmente non l'avrei mai saputo.
Con uno spintone più forte si sottrasse dalle braccia dei ragazzi, avvicinandosi velocemente all'altro: lo fermarono ancora, poco prima che lo raggiungesse.
- Dannazione Justin, vuoi calmarti? Hai regolato abbastanza conti per oggi! – Chuck lo spinse contro il muro, e faticai ad ascoltare la sua risposta, coperta dalle voci degli altri ragazzi intorno.
Jake - solo in quel momento l'avevo riconosciuto - abbassò lo sguardo dal soffitto della scuola, soffermandosi sugli occhi di Justin per poi fissare il pavimento: allora mi accorsi della ragazza che stava poco lontano da Justin.
Madison era la bellezza fatta persona, non c’era altro modo per definirla: tutto ciò che di meglio si potesse avere in una ragazza – da un punto di vista maschile, ovviamente.
Aveva lunghi capelli castani e la sua abbronzatura era perfetta anche in pieno inverno. I lineamenti del viso erano dolci, un nasino perfetto, labbra piene e occhi di ghiaccio. Era una bellezza quasi fuori dal normale.
Dal punto di vista femminile, e più precisamente dal mio, era soltanto un'ipocrita. Peccato solo che nonostante avesse a disposizione praticamente l’intera popolazione maschile della scuola, aveva rivolto le sue attenzioni all’unico ragazzo che mi piaceva: lui, dal canto suo, l'aveva accolta a braccia aperte. E a quanto pareva stava durando: doveva essere una cosa seria.
Quando i ragazzi si calmarono e la folla cominciò a diradarsi, Madison si avvicinò a Justin. Scambiarono qualche parola, e lei gli stampò un bacio sulle labbra. Justin aggrottò le sopracciglia per il dolore ma non parlò, ricambiando il bacio.
Avevo visto abbastanza.
Per fortuna la campanella giunse in mio aiuto: avrei conservato volentieri solo le immagini dei muscoli facendo a meno dell’ultima parte, ma ormai era tardi.
Mi voltai e mi diressi verso la classe, senza neppure degnare Mark di un saluto. Sedetti al mio banco e tirai fuori un foglio per prepararmi a prendere appunti. Inspiegabilmente, nel tempo in cui la prof era arrivata e aveva chiamato i primi nomi dell’appello, la mia mano aveva iniziato a muoversi piano sul foglio: ad appello finito, mi accorsi che avevo disegnato un paio di occhi.
Ancora.
 
Aprii lentamente gli occhi: mi accorsi incredula di essermi appisolata sul banco. Mi guardai intorno: tutta la classe sonnecchiava – l’ora di spagnolo era atroce.
- Prof – biascicai, piatta. – Prof? –
- Williams – chiese lei, stupita che qualcuno facesse un intervento.
– Potrei andare in bagno? –
Affilò lo sguardo: era arrabbiata. Ehi, non era colpa mia se le sue lezioni erano così tremende.
– Veloce. –
Uscii dalla classe e camminai lenta fino al bagno delle ragazze.
Indugiai per qualche istante a guardarmi nello specchio, aggiustando inutilmente i capelli.
- Mi dispiace, Jake. -
Madison?
Mi guardai intorno alla svelta e, facendo il meno rumore possibile, entrai in una porta vuota richiudendomela poi alle spalle.
La porta accanto alla mia si aprì e poi una voce maschile: - Non fa niente. –
Che dannazione ci faceva Jake nel bagno delle ragazze?
- La prossima volta non provarci così spudoratamente, oppure finiamo nei casini sia io che te. – disse Madison, scocciata.
Mi appiattii contro alla parete: porca miseria.
- Justin non si farebbe scrupolo di prendersela con una ragazza, e lo sai bene. –
Sentii uno sbuffo - Non possiamo parlare qui. –
- Passo da te oggi pomeriggio tardi, ok? –
- D’accordo. –
Madison sospirò. – Allora a dopo. –
Quando fui sicura che entrambi fossero usciti, aprii lentamente la porta del bagno, con la sensazione di avere per le mani qualcosa di grosso.

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Capitolo 3
*** I cannot win your loosing fight. ***


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- Io so cosa sei. –
- Dillo. –
Affondai il cucchiaio nella ciotola dei cereali, masticando con l’eleganza di un lama. Lanciai un’occhiata veloce alla finestra: pioveva ancora. Il tempo oggi era orribile, il cielo così scuro e minaccioso a tal punto che neppure Twilight reggeva il confronto. Sprofondai ancora più nelle coperte morbide, mettendomi comoda.
- Ad alta voce. – proferì Edward.
- Dai Bella – mugugnai, con la bocca piena.
In quel momento, il cellulare suonò. Sbuffai, lasciando perdere la tanto agognata - seppur conosciuta - risposta di Bella e scostai le coperte dal mio giaciglio caldo, avviandomi verso la libreria illuminata e recuperando il telefonino che vibrava come fosse vivo.
- Pronto? – chiesi, ancora masticando. Incastrai il telefono tra la guancia e la spalla e mi aggiustai la coda di capelli che stava scivolando, mentre una Rose trafelata iniziava ad urlare così velocemente che non compresi nulla.
- Aspetta, calmati! – la interruppi, facendola sospirare.
– Non ho capito niente. Riparti. –
- Oggi ho chiamato Mark, ma dopo un po’ mi ha risposto sua mamma perché aveva lasciato il cellulare a casa. Ha detto che l’hanno portato in ospedale. –
Lasciai immediatamente perdere la coda. – Che cazzo dici? –
- Oggi pomeriggio, dopo scuola. Non so cosa sia successo, so solo che non è niente di grave… Almeno, così ha detto lei. –
- Ma possiamo andare a trovarlo? – domandai, spaventata. Il cuore aveva iniziato a battere più forte.
- No, no, non vuole: ha detto che non è nulla di importante e in ogni caso domani torna a scuola. – alla sua frase seguì qualche istante di silenzio, interrotto solo dal rumore della pioggia e da una piccola interferenza che disturbava appena la comunicazione.
- Tu hai qualche idea ? – chiese infine, facendomi trasalire. Ero persa nei miei pensieri.
Spostai gli occhi sul televisore: ora Edward e Bella si parlavano, guardandosi negli occhi come per carpirsi l’anima.
– Sì. –
Non rispose: sapeva benissimo cosa intendevo, senza bisogno di chiederlo. Non avevo neppure il coraggio di pensarlo chiaramente, solo una piccola parte della mia mente cercava di abituarsi piano all’idea.
- Perché? – chiese solo la sua voce preoccupata.
- Non lo so. Ma ho intenzione di scoprirlo. –
 
 
- Mark? Mark fermati! Dannazione – sbottai, lanciandomi al suo inseguimento. – Mark! –
- Coglione – bisbigliai sottovoce, quando lo vidi accelerare il passo. Avevo perso il conto di quanti ragazzi e ragazze avessi investito nel tentativo di seguirlo, e quella era ormai la sesta volta che lo chiamavo.
- Pensi di risolvere qualcosa così? – urlai.
Alcuni ragazzi si voltarono verso di me, e Mark si fermò. Restò fermo qualche istante, indeciso sul da farsi, poi ripartì veloce, ma ormai avevo guadagnato terreno.
Con uno scatto mi portai davanti a lui e mi ci piazzai davanti. – Ehi. –
Lui, la testa bassa, deviò a sinistra quanto bastava per evitarmi, continuando a camminare.
- Mark! –
Lo afferrai per la maglietta, e a quel punto si girò. – Che vuoi? – sussurrò a denti stretti.
Portai le mani sui fianchi e lo fissai.
Sospirò, lasciando cadere la guardia, e lentamente alzò lo sguardo.
- Dove cazzo… Oh – la mia voce si affievolì, quando notai un cerchio leggermente più scuro su tutto l’occhio sinistro.
- Oh – ripeté lui, annuendo.
– Che è successo? –
La mia staffetta all’inseguimento di Mark si era ormai prolungata oltre all’inizio delle lezioni e il corridoio si stava svuotando.
- Ieri ero rimasto venti minuti in più con la Smith per parlare delle lezioni del club di matematica – a proposito, giovedì non c’è lezione.
- Sì sì ma vai avanti – dissi, impaziente.
- …E quando sono uscito da scuola erano rimaste poche persone, qualche ragazzo e basta. Cioè, in realtà c’era anche Judie. Presente no? Quella del secondo anno. -
Annuii.
- Era seduta da sola sulla panchina del piazzale e stava piangendo. Mi sembrava scortese ignorarla, quindi mi sono fermato e le ho chiesto se… se c’era qualcosa che non andava. Ma poi sono arrivati loro.
Prima era solo Louis. Ha iniziato a dire che non dovevo toccare la sua ragazza. Poi ne è arrivato anche un altro e allora hanno ritenuto opportuno spingermi a terra, ma cadendo sono inciampato su... qualcosa, credo... -
Alzò la manica della maglia, scoprendo un lungo graffio sulla parte inferiore del braccio
– Qualcosa di tagliente. Ho detto a mia madre solo che ero caduto... Non ha fatto domande e mi ha portato direttamente in ospedale, perchè dovevano togliere i granelli di sassi e dare alcuni punti. –
- Allora non era tanto grave – osservai.
- Cioè sì - mi corressi ad una sua occhiata - mi dispiace per il tuo braccio, ma almeno non ce l'hanno con te. -
Sbuffò. - Credo che Louis non mi ami alla follia. -
 

– Ehi Mark! – esclamai, scorgendolo in prossimità dell'uscita.
– Ehi. – si voltò, salutando i suoi amici e avvicinandosi a me
.
- Ti va se torniamo a casa insieme? - chiesi.
Annuì.
Mi girai e lo guardai dolcemente, continuando a camminare. – Sono sicura che è stato un episodio isolato, vedrai che si aggiusterà tutto. Non si ricorderanno neanche più di te domani! – esclamai, cercando di suonare ottimista.
Annuì e continuò a fissare il marciapiede: mi schiarii la voce.
- Però, che giornata infernale! – irruppi, alzando lo sguardo verso il cielo nero. Erano da poco passate le quattro ma stava già facendo buio. – C’è anche poca gente in giro oggi!–
- Non c’è mai molta gente da queste parti, Lily – dichiarò Mark con una nota di tristezza nella voce.
- Beh, già – assentii. – Allora, che farai oggi? –
Si morse un labbro. – Beh, probabilmente farò un po’ di compiti: Josh ha chiesto se volevo andare a giocare a calcio, ma mi fa ancora male la gamba. –
- Mi dispiace – dichiarai, osservando le poche persone in lontananza. – Sono sicura che potrai tornare a giocare presto. – Lo guardai con un sorriso.
- Ma guarda un po’ chi si vede! –
Alzai di scatto lo sguardo, e mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Louis e Chuck venivano verso di noi fissandoci beffardi. Al loro seguito, altri due ragazzi che avevo già visto in giro.
Non capivo come diamine facessero a trovarsi lì, nella strada di casa: mi gettai un’occhiata intorno allarmata, ma tranne che per loro quattro, la strada era deserta. Vidi solo un ragazzo che camminava, ma era troppo lontano.
Il mio sguardo corse immediatamente a Mark: era fermo, immobilizzato dalla paura.
- Bene bene. Che ci fai qui, bastardo? – chiese Louis, in tono canzonatorio. –
Oh, e lei chi è? Ti sei portato dietro la ragazza? – Sollevò lentamente le maniche della felpa. – Così eviti di rompere i coglioni alla mia – continuò poi, assottigliando lo sguardo. Chuck ridacchiò.
- Lascialo in pace – intervenni a sorpresa, senza neppure accorgermene. Le parole erano uscite da sole.
I ragazzi risero con cattiveria. Presi istintivamente Mark per mano, con il respiro affannato e feci per voltarmi, quando mi accorsi che scappare sarebbe stato totalmente inutile: erano troppi, ed erano due volte più grossi di noi. Merda.
- Dove pensi di andare, tesoro? – chiese, con tono falsamente dolce.
La mia presa sulla mano di Mark si fece più forte: mi sentii persa.
Ma all'improvviso, il rombo di una macchina ci fece voltare. Riconobbi la vernice bianca e blu ed emisi un sospiro di sollievo.
Il finestrino si abbassò e un poliziotto si sporse fuori - Tutto bene, ragazzi? –
Per un attimo ci fissammo tutti, senza sapere cosa dire.
Poi sentii una voce - una voce che non mi sarei mai immaginata di sentire - e un ragazzo comparve dietro di loro - Certo, tutto bene. Stavamo giusto per andarcene. -
Justin prese i due ragazzi per la giacca e li spinse in avanti, mormorando qualcosa di incomprensibile.
Non l'avevo visto, ma potevo immaginarlo bene: gli occhi scuri, i capelli biondi acconciati alla perfezione, i lineamenti morbidi. E le sue labbra.
L'uomo ci sorrise e ripartì - non aveva capito un cazzo, no.
Con la coda dell’occhio li vidi passarci davanti in religioso silenzio, ma tenni gli occhi bassi. Justin si fermò vicino a Mark.
- Tu farai meglio a farti i cazzi tuoi. – disse solo, freddo.
Poi il suo sguardo si posò su di me. – E tu restane fuori. –
Non dissi nulla, assimilando bene quelle quattro parole. Ad un suo cenno del capo, i ragazzi se ne andarono.
Li seguì poco dopo, lanciandomi un’ultima, penetrante occhiata con quei suoi dannatissimi occhi scuri.
Eravamo salvi, per ora.

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Capitolo 4
*** I never meant to brag. ***


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Io e Mark ci eravamo guardati negli occhi per alcuni minuti prima di constatare che eravamo effettivamente illesi.
Molto cautamente, misurando ogni passo, eravamo tornati a casa senza spiccicare parola, e io in particolare mi ero attirata lo sguardo dei passanti – sì, quando i ragazzi erano andati via quelli erano comparsi improvvisamente – a causa della mia faccia stralunata.
Ero entrata in casa e avevo investito il mio gatto su per le scale, compromettendo sia la sua salute che la mia, infine mi ero rintanata in camera.
Una volta ripreso il controllo della parola avevo chiamato Rose: inutile dire che era stata una mossa decisamente poco astuta, servita solo a farla agitare di più.
Con i miei genitori, invece, non avevo intenzione di aprire bocca: del resto, non era successo niente.
Beh, più o meno.
Mi ero fatta una dose abbondante di film romantici per tutta la serata; lo scopo era quello di distrarsi e magari dimenticare ciò che era successo, ma di fatto ne avevo ricavato solo due occhiaie violacee e i compiti di matematica non fatti - per la prima volta.
Verso le due di notte, circa al trentaseiesimo minuto di Remember me, avevo spento la tv ed ero rimasta a fissare lo schermo nero con lo sguardo vacuo, permettendo ai miei pensieri di vagare liberamente – in realtà, non li avevo mai repressi.
E tutto ciò che ero riuscita a concludere era che qualcosa, nel mio cervello, non funzionava.
Insomma, un mio caro amico era stato preso di mira dai bulli, guardavo film romantici da ore facendo la parte della depressa cronica e… L’unica immagine che avevo in mente restavano quei due penetranti occhi nocciola.
 
*
 
- Oh, andiamo, non succederà niente! – disse Rose, più rivolta a se stessa che a me. - Dentro alla scuola siamo al sicuro, cosa… - Smise di parlare quando la fulminai con un’occhiataccia.
- Ok, non siamo proprio al sicuro, ma sta tranquilla. Tu evitali, e non ti faranno niente. –
- Sai Rose – esordii, interrompendola. – Sono stanca. –
Salimmo la grande scalinata in marmo sotto alla scritta “Westmount High School” e ci dirigemmo verso i nostri armadietti, passando per la segreteria e i corridoi brulicanti di ragazzi. – Sono stanca di dover passare le ore scolastiche in preda al panico. D’accordo essere sfigati, d’accordo avere paura, ma mi sembra più di dover sopravvivere. –
Ci fermammo davanti ai nostri armadietti: mi fissò con aria comprensiva mentre aprivo lo sportello grigio e tiravo fuori il libro di letteratura inglese, continuando a sfogarmi.
- Non voglio vivere così! Vorrei che non ci fossero persone pronte a minacciarti dietro ogni angolo, vorrei poter camminare tranquillamente in giro per la scuola anche quando tutti sono in classe a fare lezione, senza dover prima controllare i corridoi come… Come un… -
La campanella venne giusto in tempo per interrompere il mio monologo di sfogo. Sbuffai, vinta, e appoggiai la fronte all’armadietto. Che era ancora aperto, perciò la scena risultò abbastanza comica.
Rose cercò di soffocare le risate, tossicchiando, mentre mi tiravo fuori dall’armadietto.
- Mi dispiace, Lily. Ma non è detto che un giorno tutto cambierà. – disse, e mi sorpresi nel vedere che parlava seriamente.
– Mi prendi in giro? Siamo al quarto anno, non siamo riuscite a ritagliarci un cazzo di posto in questa scuola durante tutti questi anni e ora qualcosa dovrebbe cambiare? – chiesi, acida.
- Sono solo ottimista – mormorò quella. – Cercavo di tirarti su. –
Sospirai e le posai una mano sulla spalla. – Scusa. Lo apprezzo, è solo che sono così amareggiata… -
- Cerca di non pensarci. – Mi fissò con un sorriso, prima di incantarsi a fissare qualcuno che passava in quel momento.
- Quel tipo è nuovo? – chiese, la bocca aperta.
Gli lanciai un’occhiata veloce: quando mi resi conto che era veramente nuovo, e che era veramente carino, tornai a fissarlo.
- Oh mio dio – mormorai solo.
Il ragazzo in questione aveva dei meravigliosi capelli scuri, che ricadevano sopra la fronte in un ciuffo morbido. Le sopracciglia erano arcuate in un’espressione meravigliosamente tenera, e i suoi occhi erano di un azzurro così meraviglioso da sembrare trasparenti.
In quello stesso meraviglioso istante si voltò, fissandoci con un sorriso innocente: ci affrettammo a chiudere le bocche e ci voltammo verso gli armadietti. Fosse stato per me, l’avrei riaperto e ci riavrei ficcato dentro la testa: che razza di figura.
- È… meraviglioso! – biascicò Rose. – Ed è… è… Santi numi, è ancora fermo davanti alla tua classe di spagnolo!
- Che sia in classe con me? –
Ci voltammo lentamente l’una verso l’altra, sgranando gli occhi. Rose stava per parlare – beh, non ne ero sicura – quando sentii uno schiocco di dita. – Williams, in classe. –
- S-sì – balbettai verso il prof de la Rosa, e mi diressi nell’aula, lanciando un’ultima occhiata piacevolmente stupita a Rose.
Non appena entrata, adocchiai subito due posti vicini al centro: mi ci fiondai come se ne andasse della vita, occupando quello vuoto con lo zaino. Avrei difeso quel posto con le unghie e con i denti; se avessi avuto un po’ di fortuna, Mr. Meraviglioso si sarebbe seduto di fianco a me.
Captai qualche parola dal discorso che Lindsay mi stava indirizzando, tra cui “sfigata” e “banco”, e non riuscii a fare a meno di lanciarle un’occhiata placida. Ricambiò con uno sguardo di sfida, circondata in tutti i banchi vicini dalle sue amichette: perfetto.
Sembrò passare un’eternità, prima che de la Rosa entrasse: all’inizio, furono i soliti schiamazzi, che però andarono scemando molto velocemente alla vista del ragazzo che lo seguiva sorridendo angelicamente.
- Cosa bastava per farvi zittire… - iniziò, sottovoce. Poi proseguì più forte. – Bene, questo ragazzo è Adam: si è trasferito dal New Jersey qualche giorno fa ed oggi è il suo primo giorno. – si grattò la testa: il ragazzo sorrise ad un’occhiata di Lindsay, e sentii la rabbia ribollirmi dentro.
- Adam ha fatto solo qualche corso di spagnolo e anche se è quasi in pari col programma avrà bisogno di aiuto con gli studi – continuò.
Il ragazzo arrossì, spostando lo sguardo a terra: avrei voluto uccidere il professore solo perché lo teneva lì impalato accanto a lui. Che stava aspettando? C’era un meraviglioso posto libero accanto a me.
- Professore – disse Lindsay, masticando la cicca e arrotolandosi una ciocca di capelli intorno al dito. Non riuscivo a capacitarmi di come alcune persone riuscissero a compiere gesti così patetici con una sfacciataggine del genere: io mi sarei sentita veramente stupida.
- Se permette – disse, con una gentilezza finta come il suo trucco – potrei aiutare io Adam con i compiti. – Fissò il moro, sorridendo maliziosa; lui si limitò ad alzare lo sguardo su di lei.
La risata del prof non tardò ad arrivare: - Spiacente, Lindsay, ma ho già scelto la persona più indicata per questo compito, ovvero la signorina Williams. –
Ehi, un momento.
Erano angeli quelli che stavano cantando?
- Sai, credo che riesca a mantenere l’attenzione focalizzata sui suoi doveri, come dire. – Spiegò, facendole l’occhiolino; la vidi chiaramente diventare viola.
- Prendi pure posto accanto a Lilith – de la Rosa indicò con un gesto sbrigativo il banco di fianco al mio, rivolgendo poi l’attenzione al registro.
Accolsi con un sorriso a trentadue denti Adam la meraviglia, mentre sedeva di fianco a me. Non mi voltai per vedere l’espressione di Lindsay, ma sono sicura che ne sarebbe valsa la pena.
- Bene – disse il prof, chiudendo il registro dopo averlo compilato, cercando di riportare la classe all’ordine. – Oggi diamo una ripassata generale ai verbi irr.. –
Un violento bussare alla porta e delle voci forti lo interruppero, facendolo sbuffare. – Che c'è? –
Non appena vide entrare il preside scattò in piedi, dirigendosi verso di lui. – Oh, prego! Entri pure! – lanciò una rapida occhiata di perlustrazione per controllare che la classe fosse in condizioni accettabili.
- Grazie, ma non sono qui per trattenermi - iniziò il preside - Devo lasciare solo alcuni ragazzi dalla classe di letteratura. La professoressa Mason non era più in grado di sopportarli - e mi creda, non la posso biasimare. – proseguì sottovoce. – Forza, ragazzi, non siate timidi. –
E non capivo perché la sfortuna fosse così affezionata a me da non voler lasciarmi mai una tregua.
Uno dopo l’altro, li osservai entrare impotente e con il batticuore.
Sentivo lo sguardo curioso di Adam puntato addosso, ma per la prima volta non me ne curavo.
Incrociai le dita sotto il banco quando i tre energumeni presero posto, sperando che almeno fosse finita lì, ma naturalmente non potevo passarla liscia.
Justin entrò per ultimo, sbattendo la porta così forte da far tremare il muro e lanciando un’occhiataccia al prof, che lo ignorò bellamente.
Scivolai piano sotto il banco, mentre lui si dirigeva con passo strascicato verso il fondo della classe: Lindsay infatti si era ripresa dalla rivincita della sottoscritta e aveva cacciato via Taylor senza troppi complimenti, facendo segno al ragazzo di sedersi accanto a lei.
Dio, ti prego, rendimi invisibile.
Con la coda dell’occhio lo vidi abbandonarsi sulla sedia in stile divo di Hollywood.
- Allora - iniziò de la Rosa - Non si va in bagno, non si mangia, non si disturba la lezione, non si parla e non si respira. Chiaro? -
Si passò una mano tra i capelli e prese un gesso - Dicevamo,... -
Era questione di attimi prima che i suoi occhi si posassero su di me, poi su Adam e infine di nuovo su di me, potevo sentirli anche senza vederli.
Mi feci più vicina ad Adam, che nel frattempo aveva lanciato uno sguardo indecifrabile a Justin, chiedendomi se sarei mai uscita viva da lì.









Ciao ciao ciao.
Ricominciamo il mio teatrino in stile Petrarca: chiedo scusa per il ritardo, btw vi offro un capitolo più lungo.
Però vi chiedo scusa se è lungo, in quanto io i capitoli troppo lunghi li leggo a fatica D:
Tipo: domando scusa per questi versi che ho composto con la massima cura, per il fatto che sono brutto e ho il naso storto - no quello era dante - per il fatto che respiro e... Vaffanculo. Il sistema dell'excusatio non petita mi sa tanto di vittimismo èé ma Petrarca mi sta sul cazzo a prescindere solo perchè mi farà andare male nella prossima interrogazione di letteratura uù
Allora! So che non c'è molto Biebah in questo chapter, solo che ve lo voglio fare agognare un po', se no che gusto c'è?
Ho cambiato il banner, spero che sia ok: ho dovuto mettere una foto del Biebs ancora col biebercut perchè gimp non riusciva a tagliarmi il crestino di Justin xD voi però immaginatelo com'è adesso.
Basium da moi e da Petrarca!! *salutano con la mano*

P.S. il mio prof di spagnolo delle medie si chiamava davvero "Fabrizio De La Rosa".
Ora non insegna più... Fa il giardiniere.
Ehi non guardatemi così, dico sul serio.

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Capitolo 5
*** Guess I'm dreaming again. ***


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- Lindsay, sei nella prima squadra. E smetti di guardarti lo smalto! –
Mr Wright portò le braccia sui fianchi mentre Lindsay si dirigeva sculettando verso la sua povera squadra.
- D’accordo, pronti? – Soffiò forte nel fischietto. – Via! –
In quel momento il mio umore era sotto zero, per tre motivi assolutamente validi.
Primo, era l’ora di ginnastica. E non esisteva qualcosa sulla terra che io odiassi più della ginnastica a scuola.
Cosa c’era di più orribile? Spogliatoi, odore di sudore, divise schifose, e poi farsi deridere da tutta la classe: angosciante.
Secondo: i quattro simpaticoni avevano ritenuto la lezione di de la Rosa così interessante che erano voluti restare nella nostra classe.
Terzo… Non c’era un terzo motivo.
Ero un misto di imbarazzo, paura e goffaggine. Continuavo a cercare una valida via di uscita da quella palestra, non fosse per il fatto che gli insegnanti di ginnastica non mi avrebbero concesso una tregua neppure se mi fossi presentata sanguinante con una gamba mutilata e un occhio che penzolava sulla guancia: che dire, erano sadici. Provavano un gusto immenso a vedere i ragazzi soffrire.
Comunque sembrava che dispiacesse solo a me: tutti correvano avanti e indietro per prendere la palla e persino quell’oca giuliva di Lindsay si muoveva urlando, sempre con la scorta al seguito.
Ero talmente imbarazzata e desiderosa di uscire che mi sentii quasi al settimo cielo quando, mentre bazzicavo in fondo alla palestra nel tentativo di allontanarmi dalla partita, una palla da rugby mi colpì in testa. L’impatto fu abbastanza forte, tanto che vacillai, e decisi di prendere l’occasione al volo.
- Ahi! – gemetti, scivolando a terra sulle ginocchia e prendendomi la testa tra le mani. Mi strinsi i capelli mentre qualcuno iniziava una serie infinite di scuse.
Che dire? Ero un’attrice nata.
- Williams, tutto bene? – Mr Wright si avvicinò, grattandosi la testa. Nel frattempo ero scivolata a terra e mi ero accoccolata su me stessa, nonostante sentissi solo un vago fastidio.
- No – mugugnai piano.
- Non pensavo fosse così grave… Beh, vai a farti un giro in infermeria, d’accordo? Comunque entro poco dovrebbe passare… -
Mi alzai vacillando e tentando di mascherare un sorriso quando vidi Adam avvicinarsi alle spalle dell’insegnante.
- Prof, non sarebbe meglio se l’accompagnassi? – chiese.
Era adorabile, con i pantaloncini corti e il ciuffo più pesante del solito che gli ricadeva su quelle perle azzurre.
Mr Wright bisbigliò qualcosa, poco convinto quando sentii una voce roca che mi auguravo sinceramente di non sentire. – La accompagno io. –
Lo stomaco si strinse su se stesso e sentii un brivido freddo salirmi lungo la schiena: no, no e ancora no.
Seguì un istante di silenzio in cui il prof si voltò impercettibilmente, restio ma privo di alcuna voglia di discutere.
– Euh… Sì, va bene. –
Oh dio.
Mi alzai completamente in piedi, dimenticando di recitare e fissando il prof che si allontanava con aria sbalordita e impaurita.
Posai un attimo gli occhi su Adam, che guardava Justin con aria ostile: quello lì mi avrebbe ammazzata di botte se fossimo rimasti soli. Ne ero sicura.
Boccheggiai, quando si voltò verso di me, e trovai il coraggio di parlare, fissando il pavimento poco lontano da lui – Davvero, non è un problema.. Posso andare da sola… -
Ma Justin non mi ascoltò; solo in quel momento mi accorsi che pareva divertirsi un mondo mentre mi prendeva sottobraccio e squadrava Adam con un’aria divertita.
Il ragazzo strinse i pugni: dal canto mio, una fitta fortissima allo stomaco mi aveva scosso non appena avevo sentito il suo braccio posarsi sulle mie spalle.
Sentii la paura avvolgermi, mischiata al suo profumo così intenso e inebriante da farmi girare la testa.
Continuava a guardare Adam anche mentre uscivamo dalla palestra, apparentemente soddisfatto: non capivo perché lo avesse tanto in antipatia. Stava di fatto che se gli sguardi avessero potuto uccidere, ai miei piedi ci sarebbe stato solo un mucchio di cenere.
Fu quando la porta si richiuse alle nostre spalle con un cigolio per niente rassicurante e davanti a noi si stagliò un lungo corridoio deserto che iniziai a sudare freddo seriamente.
- S-senti – iniziai – Non importa che mi accompagni.. G-grazie comunque… -
Mi fissò, indagatore, dettaglio che colsi con la coda dell’occhio perché non avrei alzato gli occhi su di lui per tutto l’oro del mondo: se avessi visto il suo viso così bello ed inquietante allo stesso tempo avrei avuto un attacco di panico, anche se più o meno lo stavo già avendo.
- No, è okay – disse, con un tono secco che avrebbe potuto benissimo chiudere la conversazione.
Eravamo completamente soli e la tensione era talmente forte che lo stomaco mi faceva male: al passo successivo, sentii il ginocchio cedere dalla paura e rischiai quasi di rovinare a terra.
In un secondo, con una spinta forte, mi ritrovai inconcepibilmente in alto, e solo quando realizzai che sotto ai piedi non avevo altro che aria, mi voltai a fissarlo.
Il suo volto era esattamente come lo avevo immaginato: freddo, duro e ostile, gli occhi talmente scuri e profondi da sembrare neri.
- C-c.. – mi dimenai, cercando di staccarmi da lui. Cosa cavolo gli passava per la testa?
Si fermò di colpo, facendomi scontrare contro il suo petto. – Te lo dirò una sola volta: stai ferma, o mi incazzo. Chiaro? –
Riprese a camminare, distogliendo lo sguardo, e non potei fare altro che stringermi a lui per non scivolare.
Stavo provando sentimenti così contrastanti in una volta sola da lasciarmi stupita: da un lato l’istinto di sopravvivenza, quello di scendere e darmela a gambe, rintanarmi da qualche parte e non uscire più.
Dall’altro lato quella minuscola parte irrazionale del mio cervello, che aveva deciso di prendere la meglio proprio ora, mi spingeva a stringerlo più forte e a inspirare il suo profumo a pieni polmoni. Sentivo le sue braccia forti reggermi senza il minimo segno di stanchezza, ma avevo ancora impressi in mente i suoi occhi spaventosi: i due minuti che impiegammo per raggiungere l’infermeria mi sembrarono i più intensi della mia vita.
O almeno, così credevo.
Mi scaricò senza tanti complimenti davanti alla porta ed entrò per primo, senza curarsi di me. Si sedette su una delle sedie ai lati della piccola stanza e con un movimento sinuoso estrasse l’iphone dai pantaloni, prendendo subito a digitare velocemente.
Entrai a mia volta ed andai a sedermi sul lettino, tremante, mentre l’infermiera entrava poco dopo. – Posso aiutarvi? –
Mi schiarii la voce.
Spiegai sentendomi un po' scema che una palla mi aveva colpita in testa.
Justin alzò per un attimo gli occhi dallo schermo, poi li riabbassò.
L'infermiera diede una rapida occhiata e poi dichiarò solo – metti un po’ di ghiaccio, cara – porgendomi un pacchettino azzurro che aveva tirato fuori da uno scaffale.
- Grazie – mugugnai, poco convinta, uscendo di nuovo dalla stanza sotto il suo sguardo curioso.
Odiavo il ghiaccio: non serviva a niente, e faceva venire male alle mani.
Quando sentii Justin seguirmi, sperai che non avesse intenzione di riprendermi in braccio: ad ogni modo, le ginocchia non tremarono e lui si mantenne a distanza.
Avevo la testa così fitta di pensieri che sentivo a stento il ghiaccio bruciarmi tra le mani, fino a renderle rosse: gli occhi erano fissi sul pavimento ma tendevo bene le orecchie per sentire se fosse sempre dietro di me.
Era stato stupendo sentire il suo profumo, e a tratti mi arrivava ancora abbastanza forte, tanto da farmi perdere la lucidità: stringevo il ghiaccio con la mano ma non sentivo il freddo pungente farmi male, riuscivo solo a vedere quegli occhi neri quasi come se fossero ancora davanti a me.
Eravamo ormai giunti alla porta della palestra quando mi sentii prendere per le spalle e mi ritrovai contro il muro, le sue mani strette sulla mia maglia e il suo viso a pochi centimetri dal mio: si staccò veloce, riponendo l’iphone in tasca come se sbattere persone al muro fosse la cosa più normale del mondo.
- Un’ultima cosa: fossi in te starei lontana da quel tipo. – Mi guardò negli occhi per qualche secondo mentre io, troppo codarda per fare lo stesso, fissavo il pavimento.
Entrò nella stanza e si richiuse la porta alle spalle, lasciandomi fuori piena di paura e di confusione: scivolai lentamente a terra, mordendomi forte il labbro per trattenere le lacrime.
Ora avevo davvero paura.










Guten tag, carine madmoiselle!
Ahahah umiliazione totale per una che è al terzo anno di linguistico lol
Voi vi chiederete: ma se sta qua non ha un cazzo da dire, perchè fa le note? Cioè tanto vale non farle!
E sapete una cosa? Avete ragione. Obiettivamente, cosa c'è di serio in queste quattro righe?
Really nothing.
(?) Alors, bene visto che volevate Bieber vi ho messo un capitolo a 360 gradi (okay, facciamo 180..) però dai. Insomma spero di non aver fatto succedere tutto troppo velocemente ma noi in fondo che ne sappiamo? Può anche darsi che Adam abbia ucciso la nonna di Bieber e lui pensi che Lily potrebbe in futuro prendere parte ad un altro complotto contro di lui OMMIO DIO mi spavento da sola.
Anyway, niente, questo è il mio capitolo. xD
a presto women, baci :3

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Capitolo 6
*** You're gonna loose it. ***


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Mi svegliai, come al solito, in ritardo di cinque minuti per le ripetizioni – c’era da ringraziare che Adam fosse un tremendo ritardatario – e fui costretta a restare immobile nel letto per qualche istante, a causa di un giramento improvviso della testa.
Erano sempre più frequenti, e come biasimarmi? La piega che ultimamente avevano preso gli eventi mi faceva sentire come se abitassi in un’altra dimensione.
Le cose sembravano essere peggiorate dall’arrivo di Adam – che inizialmente sembrava una benedizione – anche se di fatto erano già in equilibrio precario.
Innanzitutto Mark parlava volentieri con me, ma se Adam era nelle vicinanze era in grado di piantarmi un bel broncio e di ignorarmi.
Rose continuava ad accamparmi una scusa dello studio davvero poco credibile. Il motivo per cui avesse deciso di evitarmi mi era ignoto: avevo stabilito con me stessa che avrei lasciato passare per qualche giorno, nel caso i suoi problemi fossero passeggeri. Se non fosse cambiato nulla, sarei intervenuta.
Per non parlare della situazione generale a scuola. Sembrava che l'attenzione si fosse improvvisamente spostata su Adam, e per attenzione intendo sia positiva che negativa.
Probabilmente Justin si era sentito punto sul vivo, dato che il nuovo arrivato aveva suscitato un grande interesse in tutte le ragazze della Westmount High, e aveva ritenuto opportuno fargli capire chi era a dettare legge, anche se le intimidazioni non spaventavano per niente il nuovo arrivato.
Per quanto mi riguardava, non era cambiato nulla: continuavo a sentirmi un’emerita idiota e a pensare continuamente a lui.
Forse era il mal di testa, o forse semplicemente ero pazza, ma mi sembrava che diventasse ogni giorno più bello.
La cosa più preoccupante restava il fatto che ad attirarmi fosse proprio quello che faceva: la sua aria da cattivo ragazzo mi ammaliava sempre più, ed ero ben lieta che nessuno sapesse della mia cotta assurda fino all’inverosimile.
Per fortuna in quell’istante il campanello suonò, ricordandomi di Adam. Infilai i jeans alla svelta e mi coprii con una felpa, poi scesi velocemente le scale.
Mentre andavo ad aprire la porta sentivo le tempie martellare tanto che la vista si annebbiò: quando aprii rischiai quasi di stramazzare addosso al ragazzo, che mi sostenne con un abbraccio incerto.
– Ehi, tutto bene? –
Feci un sorriso debole. – Beh, non proprio… Vieni, entra, io intanto prendo un’aspirina. –
Richiuse la porta alle sue spalle e mi seguì in cucina, dove prese posto su una sedia. Rimase ad osservarmi curioso mentre scartavo la compressa, la testa appoggiata alla credenza e gli occhi socchiusi.
– Senti, se per te è un problema oggi possiamo saltare.. –
- Oh, no, tranquillo – mi affrettai a dire. Portai il bicchiere sul tavolo e mi sedetti di fronte a lui. – Allora, hai dei dubbi sulla roba dell’altra volta? –
Mi fissò con un sorrisetto. – Beh, in verità non capisco ancora la differenza tra por e para… -
- Oh, cielo! – lasciai andare la testa sul tavolo con un lamento. – Te l’ho spiegata duecento volte! – aggiunsi, mugugnando.
Seguì un minuto di silenzio: sentivo la testa così piena e pesante da non riuscire a sollevarla. Mi concessi una risatina solo quando sentii una matita punzecchiarmi su una spalla e un – Lily? – sussurrato.
- Scusa – dissi, alzando il viso e portandomi il bicchiere alle labbra. – Oggi sono distrutta. –
- Ho notato – disse, e sembrava che i suoi bellissimi occhi azzurri parlassero per lui. – Forse è meglio se torno domani. –
- No! Per favore, puoi restare almeno a farmi compagnia? Mia mamma tornerà tra qualche ora e non mi va di stare a casa da sola.. –
- D’accordo – rispose, con un bel sorriso sulle labbra piene. Si mise più comodo e iniziò a giocherellare con la matita. – Di cosa vuoi parlare? – chiese.
- Di quello che vuoi tu – risposi, massaggiandomi le tempie.
- Io non so di cosa parlare. –
Per qualche istante regnò il silenzio più assoluto, rotto solo dal ticchettio dell’orologio a parete. Poi, quando lo fissai con la faccia di chi la sapeva lunga, ridacchiò, mettendosi composto. – Okay, scusa. –
- Ho una cosa da chiederti – dissi improvvisamente, in un barlume di curiosità.
- Diga –
- Digas –
- Digas, giusto. – fece un gesto di assenso con la mano.
- Ma, esattamente, cosa è successo tra te e Justin? –
Pronunciare il suo nome mi dava sempre una sensazione strana. Era come un brivido: intenso e lampante.
Sapevo che non era normale.
- Uh… - il suo sguardo perse di allegria e si fece pensieroso. – Beh… -
- Se mi è dato saperlo – aggiunsi.
Si grattò la testa, mordicchiandosi le labbra, mi fissò ancora.
- Cioè… Non che io abbia qualcosa contro di te, solo che… -
- D’accordo, ho capito – sbottai, delusa. – Non preoccuparti. –
Abbassai lo sguardo sul bicchiere vuoto e sulle tracce di polvere bianca al suo interno.
Perché non poteva dirmi nulla? Era qualcosa di tanto importante? Mi aveva fatto peggiorare ancora il mal di testa, se possibile.
- Ti piace, non è vero? – intervenne a sorpresa, con voce pacata.
- Chi? – chiesi, anche se avevo già capito. Alzai lo sguardo sul suo viso e mi finsi stupita. – Lui? Oh, certo che no! –
Senza neppure accorgermene avevo alzato il tono di mezza ottava. Iniziai a contornare le striature di legno del tavolo, ignorandolo. Sapevo che mi stava guardando.
Mi fermai e chiusi la mano a pugno sul tavolo.
- È davvero tanto evidente? – chiesi con un filo di voce.
Sospirò e annuì. – Basta saper osservare. –
Assentii. Sotto ai miei occhi, il tavolo aveva iniziato ad ondeggiare, perciò fui costretta a chiuderli.
- In realtà Justin ha i suoi motivi per odiarmi – sussurrò Adam.
Lo guardai accigliata, incitandolo a continuare.
- Beh, per farla breve.. Ci ho provato con la sua ragazza. –
Sorrise.
- Madison. È davvero bella. –
Mi sentii male. Un po’ perché sì, Madison era davvero bellissima. Un po’ perché Adam sembrava l’unico ragazzo che mi considerasse, ma evidentemente mi sbagliavo.
E un po’, cioè, un bel po’, perché l’aveva definita la sua ragazza.
- Lily? –
- Sì, sì. Ti sto ascoltando. –
- Non sembra. Ad ogni modo, è stata più lei a provarci con me. Sì, ero quasi sul punto di cedere, ma mi disgusta davvero il fatto che non abbia un minimo di cervello. E poi andiamo, se la fa con quel Jake, lì. –
- Che stai dic… - iniziai, confusa. Ma poi tutto mi tornò in mente, e scattai in piedi come una molla, incurante del male alla testa. – Ma certo! Jake! Io li ho sentiti parlare insieme nel bagno, circa due settimane fa! Questo vuol dire che lei lo tradisce! –
- Lo sa tutta la scuola.. – bofonchiò Adam. – Tranne lui. Solo che nessuno ha le palle di dirglielo. Sai, se non si vogliono beccare un osso rotto o un occhio nero. A proposito, hai visto il suo occhio? –
- Sì – sospirai – è bellissimo lo stesso. –
Adam non parve approvare.
- Gliel’ha fatto uno che viene ad inglese con me: si sono picchiati perché lui mi ha difeso. - Infilò la matita nell’astuccio e lo richiuse. – Questa storia del bullismo ha dell’incredibile: sono in grado di picchiarti solo perché respiri – dichiarò, sdegnato come poco prima.
- A Montreal funziona così – dissi, poco attenta.
- Ora sarà meglio che vada. – Si spostò il ciuffo dagli occhi chiari con una mano, e si avvicinò a me.
- Ci vediamo a scuola – bisbigliò, prima di stamparmi un bacio sulla guancia ed uscire.
Rimasi interdetta per qualche istante: avevo troppa roba in testa. Dovevo assolutamente chiamare Rose e Mark e decidermi sul da farsi.










#inutilenota
Ehi ciao ragazze. Mi perdonate per il ritardo? Sì, grazie, prego. Perchè ho avuto un po' di casini - non è vero - e ho preferito riposarmi.
Anyway, ho scritto quasi 4 pagine di word, eppure le ho rilette in un secondo. E dopo ero tipo "oh mio dio, questa roba va troppo veloce, devo aggiungere qualcosa" però non mi va. Diciamo che ora in quanto a testa sto peggio di Lily, quindi..
Poi. Sì, scusate, in questo capitolo non c'è Bieber ma per 2 motivi MOOLTO validi.
1) ci vuole un po' di punto della situazione dato che molte di voi non hanno capito niente. E vi giuro, non vi biasimo x°
2) sto già iniziando il prossimo capitolo: ve lo posto il prima possibile, non dico domani però entro la fine della settimana, e lì bieber ci sarà.
Poi merda, ho comprato someday, ma che roba è? DIOO delirio totale, è squisito! Poi quando ho visto la sua sagoma e sono entrata da douglas con mia sorella sono scappata via. Giuro! E lei era tipo "dai ari vieni qua" (perchè lei si vergogna di me no xD) in ogni caso non riuscivo a vederlo. Era cosi bello! Poi mi sono abituata alla sua presenza (della sagoma, eh) e dopo l'ho anche abbracciato. Ahh *w*
Sentite ma voi di che colore avete gli occhi? No ve lo chiedo perchè sono un'ossessionata degli occhi (azzurri, ma anche in generale). Poi aspetto le vostre recensioni.
Baci!

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Capitolo 7
*** Eating us alive. ***


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Gli occhi verdi di Rose erano tanto sgranati che temevo le cadessero dentro alla tazzina del tè: avevo altre cose da dire a lei e Mark, ma come inizio non era per niente rassicurante.
- Dai – rise Mark, nervoso. – Sii seria! Non è divertente. –
Prese una pausa e si grattò il mento. – Perché tu stai scherzando, non è vero? –
Fissai il fondo della mia tazza e i resti del tè. Lo avevo già bevuto tutto per  riempire le pause imbarazzate della conversazione e cercare di ritardare il più possibile la verità che mi gravava sulle spalle. Alzarsi per andare a prenderne dell’altro non sarebbe stato possibile.
E poi, una volta che avessi finito anche la seconda tazza e tutto il tè del bollitore? Non sarebbe successo niente: avrei avuto mal di pancia, sicuramente, ma prima o poi dovevo svelare ai miei migliori amici ciò che passava per il mio cervello bacato.
Non potendo aprire gli occhi più di quel tanto, Rose iniziò ad aprire la bocca.
- Oh, andiamo! Siete un po’ esagerati, non vi sembra? –
- Forse ha la febbre… - suggerì Mark a Rose.
- Cioè, Justin Bieber? Mi prendi in giro? – chiese lei, senza togliermi gli occhi di dosso. – Non è possibile! –
- Lo è… - mormorai.
- No – continuò Mark. La sua espressione si andava facendo sempre meno incredula e più severa. – Lily, un ragazzo è finito persino in ospedale. Come può lontanamente piacerti un mostro come lui? –
- Non decido io chi mi deve piacere e chi no, succede e basta. Mi dispiace, ma penso che dovrete imparare a conviverci – sbottai irritata.
Seguì qualche istante di silenzio, ma riuscii finalmente a tranquillizzarmi un po’ quando Rose, pensierosa, tornò a bere fissando il muro.
- Penso che tu sia una fuori di testa ma… Se ti piace… -
Mark sbuffò ma io feci un gran sorriso. – Grazie, Rose. –
Sorrise di rimando, e Mark si alzò in piedi dal letto. – Dio, che casino. Facciamo il punto della situazione. –
Prese a camminare su e giù per la mia stanza. Io approfittai del posto libero sul letto per sdraiarmi, finalmente: quella giornata sembrava eterna, in più il mal di testa non accennava a smettere.
- Allora… Tu mi stai dicendo che Jake e Madison si incontrano di nascosto da Justin, che non ne sa niente: nel frattempo è arrivato questo Adam, a cui tu devi dare ripetizioni di spagnolo. Che poi, perché proprio tu? –
Sbuffai. – Continua. –
- Ok, a cui tu devi dare ripetizioni, e Madison ci ha provato anche con lui, ma le è andata buca. Bieber però se l’è presa con te, perché… Perché? –
- Perché non vuole che nessuno stia dalla parte di Adam, credo. Se la prende con tutti quelli che lo difendono. –
- E hai paura che ti faccia qualcosa.. Giusto? –
Annui febbrilmente.
- Il che non sarebbe un problema, se non fosse che quel coglione ti piace! –
Sospirai con la faccia nascosta nel cuscino. Replicare non sarebbe servito a nulla.
- Mark, non fraintendermi, mi dispiace per te, ma lui non ti ha fatto niente; almeno, non direttamente. Anzi, se vogliamo metterla così ci ha anche parato il culo una volta… -
- D’accordo, scusa – mi affrettai ad aggiungere quando vidi la sua faccia irritata. Comunque era vero.
- Hai intenzione di dirgli di Madison e Jake? – chiese Rose.
- Assolutamente no! – sbottai. – Non avrei mai il coraggio di parlargli, e poi non voglio attirare la sua attenzione su di me. –
- Sì che vuoi! – mi accusò Mark.
Stavo iniziando a detestarlo: un’altra frecciatina e poi sì che avrebbe avuto qualcosa per cui lamentarsi.
- E… Cosa pensi di fare? Col fatto che ti piace, intendo. – Rose riavviò i capelli in attesa di una mia risposta, che tardò ad arrivare. Biascicai un – Niente – deluso, per poi immergermi nuovamente con la testa nel cuscino.
Cos’avrei potuto fare? Sicuramente non ero ai livelli di Madison, troia e stupida, ma pur sempre bellissima. E inoltre era impensabile che una sfigata come me, spaventata persino dalla sua ombra, riuscisse a stare con un ragazzo così forte, misterioso ed affascinante.
Più che impensabile, era scientificamente impossibile.
Né Rose né Mark replicarono: sospettai che stessero facendo il mio stesso ragionamento.
Per fortuna, quello era l’ultimo anno: quando dopo qualche mese le nostre strade si sarebbero divise, il tempo mi avrebbe aiutata a cancellare questa stupida cotta che, ad essere sinceri, stava iniziando a preoccuparmi.
Il flusso dei miei pensieri venne interrotto bruscamente dallo stridore di freni di una macchina: la mamma era tornata.
- Ragazzi, sicuri che non volete rimanere per cena? – chiesi da sotto le coperte.
- Mia mamma mi aspetta per le otto – si giustificò Mark, e Rose annuì.
- D’accordo. Grazie per essere passati e per… per aver… Euh, cercato di accettarlo. Vi voglio bene. –
- Anche noi – disse Rose dolcemente, spostandomi i capelli dal viso. – E vedi di guarire presto, eh! –
Li osservai uscire dalla porta: poco più tardi li sentii parlare con mia madre, e salutare ancora.
Quando scesi per la cena, ero sfinita.
 
 
Mi faceva sempre venire i brividi, scendere nei sotterranei della scuola. Era un posto che detestavo con tutta me stessa: buio, freddo, inquietante… Ma dovevo passare a riprendere i disegni per il compito di venerdì.
Mi augurai che non ci fosse qualcuno a far lezione: odiavo entrare nelle classi sotto agli occhi di tutti.
Ma il laboratorio era vuoto, per mia fortuna.
O forse sfortuna.
Attraversai in fretta l’aula, immersa nel profumo di fogli e tempere, fino all’armadietto. Stavo giusto accingendomi ad aprirlo quando un cigolio sinistro mi fece voltare di scatto, spaventata.
- Adam! Santo cielo, mi hai fatto venire un accidente! –
Mr meraviglia mi si avvicinò con un sorrisetto scherzoso; mi voltai nuovamente, lieta di avere almeno un po’ di compagnia.
- Scusa, non era mia intenzione. – Con uno scatto si abbassò e lo ritrovai in ginocchio di fianco a me. – Che fai di bello? –
Era normale che la sua vicinanza mi rendesse un po’ nervosa? Forse sì. Non ero ancora riuscita a farci l’abitudine.
- Devo recuperare dei disegni. E tu? – Indugiai per un attimo sui suoi occhi azzurri cordiali, prima di sedermi a gambe incrociate per esaminare la mia cartellina.
- Ho perso il mio libro di storia dell’arte; speravo di averlo lasciato qui in giro da qualche parte. –
- Capisco.. –
Ciò che non capivo era perché continuasse a guardarmi così intensamente: stava iniziando a mettermi a disagio.
Estrassi veloce i due fogli di cui avevo bisogno e richiusi la cartellina, alzandomi in piedi. – Allora sarà meglio che tu inizi a dare un’occhiata. –
- Magari dopo.. – bisbigliò, così piano che non sarei riuscita a sentirlo altrimenti. Si alzò in piedi e fece per seguirmi.
Questo era davvero strano.
- Umh.. Ok… - Uscii dalla classe e Adam si richiuse la porta alle spalle con un tonfo sordo.
E poi tutto precipitò.
Inizialmente non mi ero accorta della loro presenza; ma mentre percorrevo il corridoio sentivo dietro di noi un leggero rumore di passi, e quando mi ero voltata per controllare, il mio cuore era sprofondato.
- Simons?! –aveva esclamato uno di loro rivolto ad Adam.
Dannazione.
Che diamine ci facevano nel sotterraneo ad orario quasi terminato? Non era possibile: sicuramente mi stavano perseguitando.
Era la voce di Chuck, ma ero sicura che lui fosse lì. Riuscivo a sentire la sua presenza anche senza vederlo.
- Adam, sbrigati – sussurrai, accelerando di molto il passo.
- No! – ringhiò lui di rimando, restando indietro. – Non scappo da due coglioni! –
- Come ci hai chiamato? –
Questa era la sua voce. La sua bellissima, pericolosa voce.
- Non ho intenzione di farmi picchiare per te, stupido! – dissi a voce più alta. Gli altri due si erano fatti più vicini.
- Non ti picchieranno. Le ragazze non si picchiano. – Era incredibilmente serio, sul volto un cipiglio cupo.
- Si picchiano eccome! – contestai. Poi iniziai ad allontanarmi velocemente – Mi dispiace, non resterò qui per il tuo cazzo di orgoglio. –
Mi voltai ed iniziai quasi a correre, chiedendomi come avrei fatto ad andare avanti per altri cinque mesi in una scuola del genere.
Volevo bene ad Adam ma, se avevano deciso di pestarlo a sangue, sperai che si fermassero a lui. Io non c’entravo niente, ed era solo colpa sua e del suo ego smisurato se rischiava di finire male. Dovevo andare subito a cercare qualcuno che lo potesse aiutare.
Decisi in fretta di valutare la situazione: Adam e Chuck avevano già iniziato a spintonarsi, ma di Justin non c’era traccia.
Restai ferma a guardarli, indecisa. Se la sarebbe cavata? Da qualche parte nel mio cervello una voce mi urlava di correre via, ma non potevo lasciare Adam tutto solo con due farabutti del genere.
Eppure era solo colpa sua se ora era in quella situazione, e io non ero abbastanza coraggiosa da buttarmi nella mischia per salvarlo.
Mi girai subito ma, con orrore, mi accorsi che la strada era sbarrata.
Mi sentii svenire quando, ormai incapace di proseguire, guardai negli occhi il ragazzo davanti a me.
La sua espressione era un misto di disinteresse e freddezza, ma la mia immaginazione non aveva reso giustizia alla bellezza del suo viso.
- Mi dispiace – disse, la voce gelida. – Non puoi passare. Facciamo che ora torniamo indietro senza protestare, ok? –
Un senso di nausea crescente mi assalì mentre si avvicinava e, senza tanti complimenti, mi respingeva verso gli altri due attraverso il corridoio deserto.
Pregare di vedere un’anima viva era inutile, e se anche ci fosse stata si sarebbe certamente dileguata al più presto: continuavo a sentire le ginocchia cedermi ed entro breve sarei sicuramente svenuta.
- Oh, bene, siete tornati! – esclamò Chuck soddisfatto, mostrando uno dei suoi sorrisi più bastardi. – Ci tenevo che non perdeste lo spettacolo. –
Sussultai quando colpì con un pugno la mandibola ad Adam, che era già ridotto abbastanza male. Chuck invece sembrava ancora troppo intatto, il che era davvero un brutto segno.
- Adam! – gridai, prossima alle lacrime, ma con una spinta troppo forte mi ritrovai contro al muro, mentre una scarica di dolore mi percorse la spina dorsale.
Per la seconda volta, il suo viso si avvicinò al mio.
Mi sentii persa; ormai non avevo nessuna speranza di uscire illesa.
- Credi che non mi ricordi di te? – ringhiò, fissandomi con gli occhi minacciosi.
Chiusi i miei: non volevo più vederlo.
- Ti avevo avvertita di stargli lontano, ma non sembra che tu mi abbia ascoltato. –
Non appena ebbe finito di parlare, un dolore lancinante mi colpì nello stomaco. Scivolai lentamente a terra, e prima che riuscissi a rannicchiarmi su me stessa una ginocchiata troppo forte mi percosse la spalla. Riuscii a soffocare un lamento.
Il mio unico pensiero era che non volevo morire. Non pensavo sarebbero arrivati a tanto, ma la paura si era impadronita di me e mi offuscava la vista, insieme alle lacrime.
Quando finalmente riuscii a riaprire gli occhi, scorsi Adam a terra, in una situazione peggiore della mia. I suoi lamenti e le risate degli altri rendevano la cosa così orribile che forse persi davvero i sensi per qualche istante.
Ma poi mi resi conto di qualcosa che non andava.
Qualcosa che non avrei dovuto provare.
La mia mente era annebbiata, eppure, quando lo guardai con un sussulto, mi sentii male.
Perché era davvero bello.
Perché nonostante ciò che aveva fatto, ciò che mi aveva fatto, continuava a piacermi come prima.

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Capitolo 8
*** Too damn scared. ***


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Quella stessa notte, lo sognai.
Era un sogno stupido, privo di senso o di qualsiasi logicità, eppure lui c’era. Ero semplicemente consapevole della sua presenza.
La spalla non faceva troppo male e riuscivo a tenerla ben nascosta. Non volevo che mia madre lo venisse a sapere, e men che meno volevo dirlo ai miei migliori amici. Questo avrebbe comportato solo qualche inutile tentativo di dissuadermi, ed io ormai non ero più capace di lasciarlo perdere.
Ero innamorata di lui.
 
Tornare a scuola non era stato difficile quanto avevo creduto: in fondo io per lui non ero nessuno, e Adam era sicuramente in guai più seri.
La verità era tanto semplice quanto amara: non gli importava di me.
Ero in balia di un sentimento sconfortante, in equilibrio tra la mia voglia di lui e la consapevolezza che non avrei mai potuto averlo. Era come essere in alto mare.
Ma stranamente, nei giorni successivi, accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata.
 
Era una giornata pessima, come al solito. Le nuvole scure offuscavano interamente il cielo e di tanto in tanto la pioggia scendeva sulle strade grigie di Montreal, ora piano, ora più forte.
Il vento era talmente intenso che di usare l’ombrello neanche a parlarne: avevo dovuto rispolverare uno dei miei impermeabili che, con mia grande meraviglia, avevo trovato addirittura carino. In genere i concetti impermeabile e carino non vanno mai d’accordo.
Ero riuscita a passare le cuffie in mezzo al groviglio umido di capelli e in quel momento, con le guance rosse a causa del vento e i capelli bagnati, ascoltavo una canzone deprimente della quale avrei fatto volentieri a meno, ma ero troppo pigra per cambiare la riproduzione casuale.
Imboccata la porta principale, quell’atmosfera tranquilla di solitudine che mi aveva accompagnata fino a scuola scemò lentamente davanti al chiacchiericcio dei ragazzi e delle ragazze della Westmount, e constatai con un sospiro che niente sarebbe mai cambiato. Fremevo quasi all’idea di andare all’università, dove la selezione degli studenti sarebbe stata più rigida: di ragazzine mezze nude e palestrati senza cervello lì non ci sarebbe stata neanche l’ombra, almeno speravo.
Ancora persa nel mio mondo, mentre attraversavo i grandi corridoi adornati dai dipinti alle pareti, mi diressi verso l’armadietto facendo mente locale su ciò che davvero in quel momento contava: la borsa di studio in palio per le olimpiadi di matematica. Quel pomeriggio avrei dovuto esercitarmi al massimo, perché avevo tutte le capacità – e le intenzioni – per vincere.
- Ehi – Salutai Rose con un sorriso, per poi allungare la mano verso il lucchetto a combinazione.
 - Lily! Perché non mi hai risposto al telefono ieri? – chiese, appoggiandosi su un lato al mio sportello e impedendomi di aprirlo.
- Euh.. Non sapevo mi avessi chiamata. Ho dormito tutto il pomeriggio ieri, sai… -
- Oh.. Tutto bene? – chiese dubbiosa.
- Certo, una meraviglia. – Presi un respiro per cercare di mantenere la calma, ma inutilmente.
- Va alla grande! – In uno scatto d’ira sbattei violentemente un pugno contro il metallo freddo, cosa che, avrei dovuto saperlo, non migliorò la situazione.
Alzò un sopracciglio. – Okay, credo che tu abbia un problema. –
Chiusi gli occhi e nascosi il viso tra le mani, prossima alle lacrime.
Tutte le immagini che avevo cercato di rimuovere mi stavano inesorabilmente riaffiorando alla mente: la paura, l’espressione di Adam, lo scintillio di rabbia in quei occhi profondi, il dolore.
Asciugai gli occhi, tolsi le cuffie dalle orecchie e la abbracciai: avevo bisogno di qualcuno che mi volesse bene.
- Mi ha picchiata, Rose. – Sussurrai infine, stanca.
Si staccò subito. – Che stai dicendo? Aspetta… – Mi fissò incredula, e mi limitai ad annuire in risposta.
- Come.. Quando? –
Aprii l’armadietto, finalmente libero, buttandoci dentro l’ipod senza neppure curarmi che fosse in pausa o meno.
– Venerdì, prima di tornare a casa. Ero nei sotterranei con Adam. – Strinsi forte gli occhi, come per cancellare il ricordo, infine scossi la testa. – Ce l’avevano con lui… -
- Ma questo cambia tutto… -
- Cosa? -
- Euh, niente. Ma tu non c’entri con Adam! –
- Sembra che il fatto di frequentarlo basti – replicai, seguita immediatamente dal suono della campana. – Beh, devo andare. –
- Aspetta! Devi raccontarmi meglio! – Spostò velocemente lo sguardo alle sue spalle. – Mark lo sa? -
- No – mormorai. – Rose, non ce la faccio più.. Voglio che tutto questo finisca.. –
Strinse le labbra e mi fissò con gli occhi verdi, stringendomi nuovamente a sé per un abbraccio.
- Ti prometto che le cose si aggiusteranno. Qualunque sia il suo problema, lo risolveremo, e se non ce la faremo ne parleremo con qualcuno che possa intervenire. – Mi fissò con gli occhi verdi colmi di dispiacere, e mi sentii davvero un po’ meglio.
- Un’ultima cosa: dopo le lezioni, a pranzo, vieni al tavolo in fondo insieme a me ed Adam. Dobbiamo parlare di una cosa urgente. –
Senza darmi il tempo di chiedere qualsiasi cosa si dileguò nella direzione opposta alla mia. Alla fine mi decisi ad entrare in classe, sospirando.
 
Nonostante non fosse tardi Adam era già seduto al banco di fianco al mio, con un’espressione nervosa. Appena mi vide prese a dibattersi come un baccalà, tanto che cadde quasi dalla sedia, poi mi corse incontro. Forse aveva l’intenzione di abbracciarmi ma, nel dubbio, si fermò ad un passo da me.
Saggia scelta.
- Lily! Che bello vederti a scuola! Non credevo saresti venuta, sai, dopo… –
Esitai qualche istante, indecisa tra stringerlo forte a me, insultarlo in ogni lingua che conoscessi, tirargli un calcio nelle palle o ignorarlo. La terza opzione mi tentava, ma mantenni il contegno.
- E invece eccomi qua. – Tesi le labbra in un sorriso, probabilmente uno dei peggiori del repertorio. Non ero brava a fingere, soprattutto se dovevo sorridere ad un ragazzo che volevo strozzare con le mie stesse mani.
Attese che mi sedetti al mio banco, in piedi come uno stupido, poi in un lampo di lucidità corse a sedersi accanto a me e afferrò il quaderno che stavo aprendo.
- Mi dispiace, Lily. –
Scossi la testa. – Fa niente. –
Sbatté qualche volta gli occhi azzurri, poi riprovò.
- Ti giuro che se avessi saputo che sarebbe finita così non l’avrei mai fatto. Ho sbagliato a pensare solo al mio orgoglio e non a te, che sei così importante.. Ti prego, perdonami. -
Lo interruppi con un gesto della mano, pentendomi di ciò che stavo per dire.
Perché ero così dannatamente buona?
–Non sei tu a dover chiedermi scusa. – Gli rivolsi un sorriso tirato. – Sta tranquillo. E poi non è con me che ce l’hanno. –
- Ah – ridacchiò, mollando la presa sul mio quaderno. – Comunque non preoccuparti, so cavarmela. –
– Ho notato – commentai scettica.
- Ehi, dico davvero! – esclamò, approfittando del fatto che la conversazione si fosse alleggerita. – È stata solo una svista, e poi quelli non fanno sul serio. Non sanno neppure dove mettere le mani per far davvero male! –
- Beh, in tal caso ne sono felice – conclusi, non appena il professore ebbe varcato la soglia dell’aula. Si prospettava una mattinata eterna.
 
- Se sapessi quanto mi dispiace! Se potessi lo picchierei con le mie stesse mani, finché… -
- Okay, okay, non importa. Tanto non cambierà niente – dissi a Mark, che pareva aver preso la faccenda sul personale.
Sbuffò.
- Non farla grave, non ce l’hanno seriamente con me – iniziai, aprendo la mia bottiglia d’acqua. – Lui… -
- Lilith, dannazione, vuoi smetterla una buona volta di difenderlo? – mi ribeccò, sbattendo il pugno sul tavolo. – Non ha scusanti! –
- D’accordo – acconsentii poco convinta; non avevo voglia di litigare.
- Eccomi! –mugugnò una Rose trafelata, il vassoio tra le mani coperto di cibo e diversi fogli tra le labbra. Posò i fogli accanto a lei – Scusate il ritardo: Turner mi ha tenuta impegnata fino alla seconda campana. L’interrogazione peggiore della mia vita, davvero. –
– Mi dispiace – commentò Mark, poco interessato alle sue faccende personali. – Allora, spara il rospo. –
- Si dice sputa, ignorante! – lo rimbeccò, sedendosi. – Non ho intenzione di sparare un bel niente. -
- Ragazzi, per favore! Forza Rose. –
Improvvisamente il tavolo si fece silenzioso. Rose fissò prima Mark, poi me, infine rovistò tra i fogli che aveva appoggiato sul tavolo di legno, fino ad estrarre un minuscolo foglietto blu.
- L’ho visto stamattina, appena entrata a scuola, attaccato sul tuo armadietto. Non sapevo se ti saresti arrabbiata o meno, ma l’ho preso lo stesso. Quando mi hai detto di ciò che ti aveva fatto ero dubbiosa se dirtelo o buttarlo semplicemente via, però… - Si rigirò il pezzo di carta colorata tra le mani. – Oh beh, è tuo. Dovrai decidere te cosa farci. –
A quel punto ero davvero curiosa. Mi allungò il foglio sul tavolo, e quando lo girai lessi solo tre parole, in una calligrafia disordinata.
 

Scusa.
Dobbiamo parlare.

 
Non avevo bisogno della firma per capire chi fosse.
Circa un migliaio di sentimenti diversi mi percossero, facendomi tremare. Alzai lo sguardo, incontrando quello severo di Mark.
– Oh, no. Non se ne parla. –










Ciao ragazze! Scusate per il ritardo ma sono stata in vacanza in Puglia (stupenda) e sono tornata solo oggi pomeriggio. Ammetto che avevo zero idee, ma in vacanza me le sono un po' schiarita e ora ho già in mente qualcosa. Colgo l'occasione per ringraziare le venti che mi tengono tra i preferiti, tra i seguiti, le 49 recensioni e le 3 ricordate. Davvero, sono contenta che la mia storia vi piaccia e d'ora in poi - nel caso non si fosse notato - le  cose cambieranno perchè di bulli e gente che viene malmenata non ne posso più lol
Ultima cosa: chi di voi c'è al concerto? Mia mamma non mi mandava a meno che non fosse stato sotto casa, ma io sono di bologna, quindi ho avuto davvero un culo assurdo xD a presto! Baci
p.s. scusate il ritardo immane, io odio quando la gente ci mette tanto ad aggiornare e sono la prima a farlo! D: perciò cercherò di essere piu breve anche perchè ho diverse idee uu

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Capitolo 9
*** I'm just tryin' to make a little conversation. ***


- Lily non lo farà! – esclamò Mark risoluto, quasi a voler convincere se stesso più che Rose.
- Sì che lo farà! – ribatté Rose sulla difensiva che, grazie al cielo, aveva deciso di schierarsi dalla mia parte.
Per qualche istante si guardarono in cagnesco.
- Non ha alcun senso – sibilò, aggrottando le sopracciglia nere. – Perché dovrebbe volerlo vedere dopo quello che ha fatto? –
Mi schiarii la voce. – Ragazzi… -
- Non ha cattive intenzioni! – esclamò l’altra, facendo immediatamente una pausa nella quale Mark rise amaramente. In effetti, come frase non suonava bene.
- Per favore… -
- Se avesse voluto farle del male di certo non le avrebbe scritto questo! – gli sventolò un foglio sotto al naso.
Mark dovette faticare per reprimere un ghigno - Quella è la tua tesi di scienze. –
Rose fissò il foglio. – Insomma, hai capito cosa intendo! – Rilesse le prime righe. – Una bella tesi, comunque. –
Sorrisi, poi presi un respiro fissando il mio amico. – Mi dispiace Mark, ma credo che spetti a me decidere. E io… - Mi morsi un labbro mentre lui si copriva il viso con le mani, scuotendo la testa. – Ho deciso. –
- Lily, non lo merita, non merita che tu… -
- Insomma, non è la fine del mondo dannazione! Probabilmente vorrà solo chiarire. Dovresti calmarti e pensare positivo. –
- Pensare positivo – ripeté, alzando gli occhi al cielo. – Che cazzata. Beh, io ti ho avvertito. Ci si vede. – concluse poi, raccogliendo lo zaino ed uscendo dalla mensa.
- Gli passerà – mi rassicurò Rose, sebbene io non fossi troppo preoccupata.
Era impegnata a raccogliere tutti i fogli, facendo tintinnare i braccialetti ai polsi quando sentimmo una sedia spostarsi e Mr Perfezione comparve davanti ai nostri occhi.
– Ragazze – esordì, con un sorriso gentile. – Che si dice? –
Rose era rimasta immobile, perciò fui costretta a darle un calcio sotto al tavolo perché si riprendesse e mormorasse qualcosa di incomprensibile, assumendo una tonalità rossa quanto i suoi capelli.
Come biasimarla? Per quanto Adam non fosse il mio tipo era veramente uno splendido ragazzo: in questo momento sbatteva gli occhioni azzurri dolcemente e, in effetti, anche in un modo un po’ idiota, solo per attirare il mio sguardo poco interessato fisso sul tavolo.
Mi piaceva il rapporto che avevamo: nonostante avesse scalato la classifica della fama scolastica in poco tempo grazie alla sua bellezza magnetica, era ancora disposto a perdere tempo accanto ad una sfigata come me.
Acchiappai il foglietto azzurro sul tavolo e glielo allungai, attenta alla sua reazione.
- Ecco che si dice. –
Smise subito di fare il cretino e dopo averlo studiato il suo sguardo tornò su di me, dubbioso e anche un po’ preoccupato.
- Non è quello che penso, vero? –
- In effetti… Credo di sì. –
Mi valutò pensieroso. – Credo sia inutile chiederti cos’hai intenzione di fare. –
Scrollai le spalle affermativamente.
Credevo avrebbe opposto più resistenza, per la faccenda dei loro contrasti personali e tutto, invece si limitò a sussurrare dolcemente uno – Sta’ attenta – che mi fece rabbrividire.
Davvero gentile, da parte sua…
- Non preoccuparti – risposi quasi meccanicamente, mentre si alzava e mi passava di fianco per lasciarmi il solito bacio sulla guancia.
Speravo solo andasse tutto bene.
 
 
Avevo appena raggiunto Mark e stavo per cantargliene quattro sulla scenata della mensa quando, prima che potessi aprire bocca, fui chiamata dal prof di letteratura inglese, che si stava affannando nel corridoio per raggiungermi.
Alcuni ragazzi si voltarono e ridacchiarono, e in quel momento desiderai scavare un buco per terra e sparire. Non poteva aspettare di essermi vicino per parlare?
Liquidai Mark con uno sguardo tipo la tua ora arriverà, eccome se arriverà e, cercando di non mostrare il mio disappunto, mi voltai verso il prof.
- Williams – constatò inutilmente, dato che ormai mi era davanti.
- Professore – risposi piatta, essendo lui l’ultima persona che avessi voglia di vedere in quel momento.
Cercò di stirare alla bell’e meglio il foglio che teneva in mano, ma ormai era spiegazzato in modo irrimediabile.
– Ho qui la tua verifica di mercoledì scorso – disse porgendomela a mo’ di scusa.
Riconobbi la mia calligrafia ordinata e scesi velocemente verso le linee rosse che correvano lungo il margine del foglio. Nel frattempo il prof continuava il suo monologo di cui mi ero persa l’inizio.
- …buona verifica, sicuramente, ma leggermente in calo rispetto all’esordio dell’anno, che era partito bene come sempre… -
Oh mio dio. Non riuscivo a capacitarmi di aver fatto errori di distrazione tanto stupidi.
Sussultai, perché credevo di saperne la ragione. Finché restavo a piagnucolare sui miei sentimenti repressi era una cosa, ma che andasse ad intaccare lo studio era inammissibile.
Il rendimento scolastico era una delle cose che contavano di più, per me e per la mia famiglia.
- …e la borsa di studio di maggio, per la quale serve un rendimento non inferiore ad una A meno, perciò… - Voltai il foglio, sul quale era stampata una C +.
Orrore.
- Non si preoccupi – lo rassicurai, incurante del fatto che non avesse finito il suo discorso. – È stata solo una distrazione temporanea. –
Annuì energicamente. – Certo, certo, temporanea, può capitare.. Mi aspetto ottimi risultati dal prossimo test. –
- Naturalmente – sorrisi convincente, e lo guardai andarsene.
Aprii la porta del mio armadietto e lasciai cadere lo zaino a terra.
- C più. – Aprii la cerniera e raccolsi il tomo di storia dell’arte. – C più. Al diavolo – sbuffai, infilando nel ripiano il grosso volume e segnando a malincuore una C + sulla tabella dei voti. – Che disastro – imprecai, sbattendo lo sportello… E sobbalzando nello stesso istante, accorgendomi di una figura affianco a me.
Trasalii quando, ad una prima occhiata, mi accorsi che non erano né Rose, né Adam, né Mark.
Né nessun altro dei miei amici.
Mi guardai intorno disperata, cercando un viso familiare o qualcosa che potesse rassicurarmi. Infine presi un respiro profondo per tentare di calmarmi.
- M-Mi hai spaventata – balbettai, con il cuore che batteva a mille, sebbene il verbo al passato non fosse poi così azzeccato.
Alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, continuando a fissare davanti a sé da sotto le lenti scure degli occhiali.
Restammo in silenzio per un po’, con il solo sottofondo del chiacchiericcio post-lezioni. Di tanto in tanto, qualche curioso ci osservava dalla parte opposta del corridoio.
Si decise a parlare solo quando il silenzio iniziava a pesare sul serio, passandosi una mano tra i capelli biondi – C più… Non mi sembra poi tanto grave. –
Boccheggiai in cerca di qualcosa da replicare, ma prima che potessi spiccicare parola parve riprendersi e si voltò verso di me.
Sempre restando comodamente addossato alla parete.
Ero consapevole del fatto che non si sarebbe mai scusato, perciò restai attentamente in ascolto, nonostante le mie gambe premessero per scappare e il cuore martellasse instancabile nel petto.
- Ci stanno guardando tutti – disse sottovoce, con un tono che mi fece rabbrividire fino alla punta dei piedi, un po’ per la paura ed un po’ per…
- Che problema avete? – chiese poi, irriverente, rivolto a tutti i ragazzi intorno a noi. Fu questione di un secondo e di nuovo cominciai a sentire voci e rumori.
Perché io non avevo questo potere?
- Volevo solo sapere che programmi avevi per sabato – riprese, una volta che il silenzio imbarazzante fu terminato.
- I-Io? – chiesi. Tacque, reputando la domanda troppo stupida per meritare risposta.
“Lily, calmati” mi imposi. Respirai profondamente.
Non mi sbilanciai, per non rischiare di rimanere vittima delle mie stesse parole – Dipende… Perché? –
Spostai lo sguardo su di lui: era tanto bello da far quasi male.
Le mani tranquillamente sprofondate nelle tasche dei jeans troppo bassi, le scarpe argento accavallate l’una sull’altra. Distinguevo anche la giacca in pelle, ma non avevo ancora accumulato abbastanza coraggio per guardarlo in faccia.
- Vorrei parlarti – disse, la voce un po’ roca. – Ma non qui – aggiunse.
Mi sentivo a metà tra privilegiata e complice. Assolutamente accondiscendente.
Assolutamente inopportuna.
Fece per avvicinarsi ancora un po’ e pregai che non si muovesse oltre, o mi sarei sentita male davvero.
- Sabato – iniziò, di nuovo sussurrando. Mi accorsi che altra gente ci stava fissando – do una festa, a casa mia, e se vuoi venire… - Lasciò la frase in sospeso.
Wow.
Invitata alla festa di uno dei ragazzi più popolari della scuola.
Io.
Dopo che mi aveva presa un po’ a calci.
Prometteva bene.
E invece risposi, stupendomi di me stessa – Non credo sia il caso. –
Parve sorpreso, anche se dietro quelle lenti nere non si sarebbe mai potuto capire.
Ebbe l’accortezza di non domandare niente al riguardo, cosa per la quale gli fui grata, dato che spostare la maglia per mostrare il grande livido violaceo sulla spalla mi sembrava un po’ drammatico.
Eppure non desistette.
- Voglio solo parlarti – tentò, con una voce suadente che avrei certo ritrovato nei miei incubi peggiori. Controllai bene di non avere la bocca aperta o robe simili.
- Perché? – chiesi.
Non c’era alcun motivo per cui qualcuno come lui avesse qualcosa da spartire con me.
- Vieni e lo saprai. –
Sospirai, e questa volta lo guardai in viso.
- Ad una condizione. –
Increspò un angolo della bocca in un sorrisino sghembo. – Ah, pone anche le condizioni. –
Restai un attimo interdetta da quel tono così dannatamente complice, ma cercai di riprendermi.
- Potrà venire anche la mia migliore amica. –
Fu svelto a valutare la situazione. – Altrimenti non verrai? –
Annuii. Parlare con lui si stava facendo un pochino più semplice, ma solo un po’.
Accettò controvoglia. – E sia. Ma una sola. È una festa abbastanza privata… -
Certo. Si riferiva al fatto che eravamo sfigati e tutto.
Inumidì le labbra perfette e indugiò per qualche secondo, prima di andarsene velocemente com’era venuto, strascicando un saluto vago.
Stanca ed eccitata allo stesso tempo poggiai la fronte allo sportello freddo, ignorando gli sguardi penetranti dei curiosi.
Chissà di cosa mai doveva parlare il fantastico Justin ad una come lei, si chiedevano tutti.
Ed ero lieta che non lo sapessero.
Perché non lo sapevo nemmeno io.










Sono stata brava, ammettetelo.
Avevo promesso che entro oggi avrei postato e l'ho fatto. :'D
Allora dato che non ho molto da dire posto qualche foto, perchè mi sembra giusto per darvi un'idea dei personaggi, dato che non mi sono fermata molto a descriverli.
Questi sono Lily , Rose , Adam , Mark .

Ovviamente è come li immagino, voi pensate come vi pare.
Scappo perche se mia madre mi becca al pc mi trucida. Baci!


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Capitolo 10
*** Don't be so cold, we could be fire. ***


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- Pronta? –
- Pronta – replicò, sicura.
Assunsi il tono più formale che potei e mi inginocchiai davanti alla mia migliore amica, prendendole la mano.
- Signorina, è ufficialmente invitata alla festa di domani sera, … - feci una pausa drammatica - … di Justin Bieber. –
Ritirò la mano, fissandomi inorridita. – Stai scherzando. –
- No! –
Le reazioni di Rose erano le migliori: c’era sempre da divertirsi.
- Non è vero – continuò, alzandosi e mettendosi a girare avanti e indietro. – Non è vero – ripeté.
- E invece sì. Ed è questo il problema: ho accettato l’invito ma non sai quanto vorrei non averlo fatto. –
Parve ignorarmi, quindi continuai – Non credo di aver la forza di andarci, per questo ho bisogno di una mano a trovare una scusa o roba del genere. –
- Scusa? – si ridestò immediatamente – Nessuna scusa! Tu ci andrai, ci devi andare! O preferisci morire dalla curiosità? –
- Non morirò – assicurai.
Si portò le mani tra capelli rossi, trattenendosi dall’urlarmi addosso qualcosa di poco carino. – Lily, ascolta, è un’occasione che non ti capiterà mai più, è la tua occasione! È il ragazzo che ti piace, dannazione, è il ragazzo che ti ha ignorato per tutti questi anni e che ora ti dà una possibilità! Non buttare tutto all’aria, ti prego. –
Non replicai; sapevo che aveva ragione, anche se il fatto della possibilità mi dava qualche dubbio: chi doveva darla a chi?
Mugugnai qualcosa, e lei riprese a camminare su e giù per la sua stanza.
- Bene, ora abbiamo invece un problema molto più grande –sentenziò, spalancando le quattro ante di armadio.
Sbuffai, preparandomi psicologicamente per quello che mi aspettava.
- Sei andata in giro per quattro anni in jeans e felpe – constatò, iniziando a sfogliare i vestiti appesi. – Suppongo tu non abbia nessun vestito o qualcosa che sia degno di essere definito elegante. –
Si voltò verso di me, ma tornò ben presto al suo armadio quando alzai un sopracciglio per dire non so di cosa tu stia parlando.
- Non credo di poterti prestare niente – asserì pensierosa, studiando dei vestiti dai colori troppo sgargianti. – Ho paura che avremo bisogno di un pomeriggio di shopping. –
Proprio come temevo.
 
 
Michelle sedeva sulla poltrona rosa accanto ai camerini, messaggiando distratta con il cellulare e aggiustandosi gli occhiali di tanto in tanto.
Poco più in là, Rose era alla ricerca di un vestito adatto – l’ennesimo – e meno male che il negozio era poco affollato.
Le due commesse disoccupate ci fissavano da dietro il bancone, in attesa che il miracolo si compisse – cioè che riuscissi a trovare finalmente l’abito giusto.
Lisciai con una mano le pieghe sulla gonna, poi uscii, dubbiosa. – Com’è? –
Michelle alzò gli occhi dal cellulare, poi scosse la testa.
- Uhm, no – borbottò Rose. – Assolutamente inopportuno, troppo leggero e svolazzante – mi raggiunse per rivoltarmi addosso una dozzina di vestitini colorati.
Ancora.
Cercai di far riaffiorare la testa da quell’ammasso di stoffa – Se è tanto inopportuno, perché me l’hai dato da provare? –
Mi ignorò, perciò mi rintanai inviperita nei meandri del camerino, districando il primo indumento da quella montagna colorata.
- No – era la sentenza per quello a balze.
- No – quello bianco.
E ancora – no – per quello rosso e nero. Che oltretutto era l’unico carino.
Si ebbe una svolta circa al diciannovesimo capo, quando uscii dal camerino avvolta in un abitino con corpetto nero e gonna liscia di un rosa salmone, ma ancora non c’eravamo, a detta delle altre.
Il vestito successivo era inopportuno, cioè uguale al precedente ma con una gonna attillatissima fino a metà coscia: non certo il mio genere.
Inutile dire che piacque a tutti.
Rose era estasiata, Michelle si era pure degnata di alzare gli occhi dal telefono e ora sorrideva mestamente. Persino la commessa si era alzata per dare la sua opinione – non richiesta.
E positiva.
Perciò non credevo mi restasse scelta.
 
 
Ci fermammo sul ciglio della strada: ormai era buio e quando il motore della macchina di Rose si arrestò con un rombo, il silenzio calò pesante nell’abitacolo, quasi a sottolineare una minaccia incombente.
- Sai bene che ti impedirò di scappare e roba varia vero? – chiese Rose, afferrando la borsa dai sedili posteriori.
Per tutta risposta spalancai lo sportello della macchina e mi guardai attorno circospetta – hai sbagliato casa, mi sa. –
- Impossibile – disse, controllando l’ultima volta l’indirizzo su un foglietto di carta. – È questa. –
- Ma è troppo grande! E poi fa troppo freddo, non possiamo scendere così, anzi, ho bisogno di una giacca. –
- Lily. – mi fissò con l’espressione di chi la sapeva lunga.
- Aspetta – feci un altro tentativo – Mi sa che ho chiuso Norberto in giardino. Devo assolutamente tornare e metterlo in casa, poverino, con questo freddo! –
- No! Se morirà ti comprerò un gatto nuovo. Andiamo, scendi e piantala con le scuse! –
Oh, cielo.
Ma che razza di idea avevo avuto? Avevo davvero accettato l’invito?
Quel posto era inquietante: erano quasi le undici della notte e da dentro la casa illuminata proveniva un sottofondo raggelante di bassi dell’ultima canzone di Nicki Minaj, accompagnato da un vocio rumoroso dal giardino.
- È enorme, non può davvero vivere qui! – esclamai, ma Rose ormai si era calata nella parte di invitata ad una festa vip e, riavviando la borsa su una spalla, si incamminava decisa verso il cancello aperto.
- Rose – mi lagnai, traballando un po’ a causa del terreno irregolare – o meglio, a causa dei tacchi alti. – Ho paura, aspettami! –
- Muoviti, dai! – esclamò sistemandosi i lunghi capelli rossi perfettamente arricciati per l’occasione.
- Voglio tornare a casa! –
- Nome, prego – proferì una voce burbera, davanti al cancello.
Rose mi fissò stranita, poi si rivolse all’uomo. – Che? È uno scherzo? –
- Nome – continuò lui, entrando nel fascio luminoso di uno dei fari sulle colonne, rivelandosi nientemeno che un buttafuori.
- È assurdo… -
- Lilith Williams – sbuffai al tipo che ora lanciava occhiate furenti a Rose, naturalmente ricambiate.
No davvero però, che diavolo… ?
Sfogliò l’elenco che teneva in mano, per poi alzare lo sguardo con una luce completamente diversa negli occhi. – Signorina Williams! Prego! –
Si scostò, lasciando la visuale ad un lungo viale lastricato in pietra grigia al cui centro, parecchi metri più in là, troneggiava una fontana. Contro il cielo nero della notte si stagliava invece una villa bianca più simile ad un palazzo che ad una casa.
Già molte persone occupavano il viale, chiacchierando o fumando una sigaretta: perlustrai rapidamente la zona, ma non vidi nessuno che potesse assomigliare a lui.
L’uomo ci fece strada per i primi dieci metri, blaterando che per qualsiasi cosa potevo rivolgermi a lui e cose del genere.
Seriamente. Dove cavolo ero finita?
- Davvero quel tipo lavora per un ragazzino di diciotto anni? Quant’è caduto in basso – mormorò Rose, o forse meglio dire che lo disse ad alta voce, attirandosi un altro sguardo assassino – e poi, che viziato questo qua! Persino i buttafuori! –
- Sarà roba seria – sussurrai, iniziando a sentire le gambe cedere. – Non sono stata ad abbastanza feste per poter giudicare – aggiunsi, quando Rose si accorse del mio stato comatoso.
Ci fermammo nei pressi della fontana, sulla quale sedevano alcune ragazze in abiti talmente succinti che smisi subito di preoccuparmi per il mio.
Rose mi prese per mano – Lily, al minimo bisogno vieni a cercarmi subito, ce ne andiamo quando vuoi d’accordo? Se la situazione si mette male e non mi trovi chiamami al telefono. E tieni dritta quella pochette, santi numi! Non agitarti e sii te stessa. Andrà tutto bene – mi sorrise dolcemente. – E poi – continuò, mentre seguivamo il viale in pietra fino alla porta – credo che ci sarà da divertirsi. –
Ammiccò ad un quarterback della squadra scolastica che la guardava sorridendo.
– A scuola non lo avrebbe mai fatto! –
Scossi la testa, salendo i gradini.
La porta era aperta e dall’interno giungeva quella musica infernale che mi faceva tremare le interiora: ormai era troppo tardi per tornare indietro, perciò ci addentrammo in mezzo al tumulto.
Il soggiorno era qualcosa di enorme, avvolto completamente nell’oscurità e illuminato solo a tratti da luci colorate sul soffitto che si alternavano ritmicamente. L’aria era quasi irrespirabile e mi chiesi se non avesse invitato tutta la scuola, a giudicare dal gran numero di ragazzi che ballavano sotto ad una console completa di dj. Ad ogni angolo, ragazze vestite come cubiste si aggiravano in gruppi o ridacchiavano appiccicate a qualche ragazzo.
- Vieni, andiamo a prendere da bere! – mi esclamò Rose in un orecchio, conducendomi verso quella che sembrava una cucina ma che avrebbe potuto contenere tranquillamente victoria square – e no, non esagero.
In genere non bevevo mai ma quella volta acconsentii perché, insomma, ero ad una dannata festa. Avevo persino indossato i tacchi! Infatti iniziavo a sentire un dolore acuto al tallone, come se la parte posteriore stesse lentamente uscendo andandosi a conficcare nel piede: avevo bisogno di sedermi.
Rose mi prese sottobraccio e propose di andare a fare un giro di ricognizione: volevo assolutamente scappare – e l’avrei fatto persino con le decolleté – ma mi convinsi a restare e ad affrontare quel momento che aspettavo da tutta la settimana.
E che non tardò ad arrivare.
Fu un istante: un secondo prima le luci erano spente, e un secondo dopo illuminavano un ragazzo dalle fattezze di un angelo che veniva verso di noi con una disinvoltura ed uno stile inconfondibile.
- Rose – mormorai, ma quando mi voltai mi accorsi che ero rimasta sola.
Presi un respiro profondo e cercai di aggiustarmi il vestito.
Quando alzai lo sguardo, era già vicino. Troppo.
- Ehi – disse, guardandosi intorno. Mi limitai ad ammiccare dato che qualsiasi cosa avessi detto non si sarebbe capita a causa della musica.
- Usciamo? – chiese, e percepii il suo sguardo indagatore addosso. Annuii.
Per non perderlo in mezzo alla calca fui costretta ad avvicinarmi a lui più di quanto il mio buon senso permettesse.
Dovevo restare calma.
Quando uscimmo il vento pungente si insinuò immediatamente tra la stoffa del vestito, facendomi sussultare. Sfregai una mano sul braccio in un patetico tentativo di riscaldarmi.
- Bella festa, J! – urlò un ragazzo passandoci accanto.
- Grazie man – rispose lui.
Dovetti allungare il passo dato che la stabilità dei miei tacchi non era esattamente uguale a quella delle sue supra enormi: almeno ora eravamo quasi alla stessa altezza.
- Ehi Justin! –
Lindsay – assurdo: quella ragazza era ovunque – fece per venirci incontro, ma si fermò quando si accorse di me.
- Ciao Lindsay – rispose lui, con la voce strascicata. – Jess ti stava cercando. –
La bionda annuì, senza togliermi gli occhi di dosso. Sbuffai.
Justin si lasciò cadere su una panchina a qualche metro dalla fontana, lontano dagli altri invitati.
Molto lontano.
– Tutto bene? –
- Sì – cercai di sorridere e di reggere il suo sguardo, ma dopo una rapida occhiata a quegli occhi impenetrabili fui costretta a guardare altrove. – Ho solo un po’ freddo. –
Mi pentii di averlo detto quando tolse la giacca e me l’allungò.
- Oh, non imp… Grazie – dissi infine, poiché sembrava non desistere. La indossai: era pesante, però era calda, quindi andava più che bene.
Cercò la posizione più comoda, e cioè mezzo sdraiato con il braccio sullo schienale. Io mi strinsi nella giacca che emanava un profumo intenso e inebriante, restando rigida come un pezzo di legno.
- Bella la tua casa – dissi per rompere il ghiaccio, sinceramente ammirata.
- È una villa del seicento – spiegò, passandosi una mano tra la cresta color miele – ovviamente ristrutturata. È bella, ma alle lunghe stanca. –
Calò un silenzio denso di sottintesi ma, stranamente, non imbarazzato.
- So che può sembrarti tutto… strano – iniziò, con voce cauta e pacata.
Ogni rumore che ci circondava in quel momento divenne secondario, e tutto ciò che non fosse lui si oscurò.
Mi concentrai solo su ciò che stavo per ascoltare.
- È strano anche per me – continuò, accennando un minuscolo sorriso.
Mi sentivo del tutto fiacca ed inconsistente.
Sospirò, prima di iniziare a raccontare.
– Sono sempre stato convinto di ottenere ciò che volevo semplicemente chiedendolo, e questo è ciò che mi è sempre successo. Oggetti, amici, ragazze… Qualsiasi cosa volessi, potevo averla – fissò pigramente la punta delle scarpe.
- Soprattutto le ragazze – ribadì.
– E poi, nessuno ha voglia di avere una relazione seria a quest’età: tutti vogliono divertirsi – accennò ai ragazzi intorno a noi.
– È stato così anche per me… Almeno finché non ho incontrato Madison. Sapevo com’era lei, ma la verità è che a me piaceva davvero. Le avrei dato tutto, qualsiasi cosa avesse voluto. –
Deglutii, sentendo il cuore dolermi nel petto: ma aspettavo fiduciosa che qualcosa nel suo racconto si incrinasse, ed ero curiosa di sapere il punto di giuntura con questa storia e me.
- Adoravo stare con lei, era così bella e dolce… È stato tutto fantastico, almeno finché non mi hanno raccontato di lei e Jake. –
Restai senza fiato. Ma certo! Come avevo potuto dimenticarlo?
- Allora te l’hanno detto – sussurrai, guardandomi le mani sbucare dalle maniche troppo lunghe.
- Lo sapevi? – chiese sottovoce, fissandomi.
- Ahm, no, cioè… Le voci… Io… -
Ridacchiò. – Non preoccuparti. –
Seguì un’altra pausa.
- Immagino che sia così per tutti, no? Quello che fai ti torna sempre indietro, in un modo o nell’altro. Sarà ciò che merito. –
Tacque, e lo stesso feci io, persa nella piega intima che aveva assunto quella conversazione. Soltanto quando ormai capii che non aveva intenzione di continuare, chiesi, racimolando tutta la sfacciataggine di cui disponevo – Ma io cosa c’entro esattamente? –
- Ah, già – per un attimo le sue labbra si illuminarono di un sorriso dolce, poi tornò serio.
– Beh, quando sei come me, quando tutti ti danno ciò che vuoi, poi ti monti la testa e per capire che non sei il centro dell’universo hai bisogno di andare a sbattere contro la verità. E la verità è che Madison mi ha tradito per un ragazzo migliore; la verità è che non tutto ruota attorno a me, e la verità è che ora riesco finalmente a pensare lucidamente e… mi pento per molte cose che ho fatto. –
Ah.
Ecco il punto.
- Con il senno di poi, non avrei mai voluto far male a qualcuno ma… - scosse la testa.
- Insomma, guardati – continuò amareggiato – non hai neppure il coraggio di guardarmi negli occhi! –
Arrossi immediatamente, ma non mossi comunque lo sguardo dalle mie ginocchia nude.
- Lily. –
Il mio nome pronunciato con quella voce mi fece sussultare.
- Guardami. –
Rabbrividii, colta alla sprovvista quando la sua mano ruvida, posandosi lentamente sulla guancia, portò il mio viso di fronte al suo. Le sopracciglia scure erano inarcate verso il basso, le labbra carnose leggermente dischiuse.
Persino gli occhi erano più chiari, ora tendenti ad una sfumatura ambrata e colmi di indulgenza.
– Perdonami. –
Per un attimo rischiai di perdermi in quel mare traboccante di emozioni: mai avevo visto un’espressione più umana sul suo viso. 
Infine riuscii a sfilarmi dalla sua presa, senza che lui opponesse resistenza.
– L’ho già fatto – biascicai.
A quel punto la conversazione era davvero finita: mi lasciai andare contro lo schienale di pietra grigia, improvvisamente stanca.
- Quindi… Posso avere una seconda possibilità? – chiese pacatamente.
Annuii, sentendo la tensione allentarsi per lasciare posto ad un altro sentimento che non avevo mai provato prima.
Gradualmente tutte le voci e i rumori riaffiorarono chiari alle mie orecchie, ed ebbi come l’impressione di svegliarmi da un sogno.
- Posso riavere anche la giacca? Sto morendo – aggiunse, e finalmente risi.
Dovevo segnarla come la serata più bella di tutta la mia vita.

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Capitolo 11
*** Hey girl. ***


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- Oh, ce l’ho sulla punta della lingua… È che ho bevuto un po’ e non ricordo granché… No, aspetta, si chiama Bryan! – Sospirò – Bryan… Che bel nome, no? –
Rose sfoderò un sorriso a trentadue denti. Mi limitai ad annuire: ero ancora in trance.
Rose mi fissò con un sorriso sornione, prima di infilare i pantaloni grigi della tuta abbandonati sul pavimento. Quando si lasciò ricadere pesantemente sul letto la sua espressione aveva assunto una nota preoccupata.
- Justin – sussurrai, prendendomi il viso tra le mani. – Justin Bieber. –
- Come pensi di fare ora con le ripetizioni di Adam? Voglio dire, è sempre a casa tua… -
Adam? Mi sentii come se qualcosa di importante fosse improvvisamente riaffiorato dall’anfratto buio che era la mia mente.
Qualcosa di importante… E fastidioso.
- Ti riferisci al fatto che loro due non si sopportano? – accolsi pigramente Norberto quando mi saltò in grembo con un balzo. Ripensai a ciò che mi aveva detto di Madison e un brivido mi percorse la schiena: se avesse saputo che lei ci aveva provato con Adam, il mio amico si sarebbe ritrovato nei casini.
Rose annuì. – Non penso sarebbe troppo contento di sapere che vi vedete tutti i giorni… -
Accarezzai la testolina grigia del gatto – Non lo saprà. –
 
Rose optò per uscire a fare un giro: la fine dell’inverno stava portando con sé temperature sempre più miti e la neve si era quasi completamente sciolta, lasciando solo qualche cumulo marrone e sporco sulle strade.
Era domenica, perciò scendemmo velocemente a mangiare qualcosa per uscire il prima possibile – i negozi avrebbero chiuso nel tardo pomeriggio.
Per poco Rose non mi incendiò i capelli nel tentativo di scaldare il latte e rovesciò buona parte dei cereali a terra: Norberto ne fu felice, io un po’ meno.
Una volta finito di mangiare sostituimmo le stoviglie con libri e quaderni: verso le undici meno un quarto mi ero già preparata per il test di scienze e i compiti di trigo erano finiti.
- Che cazzata di test – aveva commentato Rose dopo una rapida occhiata agli argomenti della verifica – ce l’avessi io, un prof come il tuo! –
- Con una classe del genere è anche troppo difficile – ribattei, avviandomi in camera.
Aprii l’armadio per scegliere dei vestiti adatti: una rapida occhiata allo specchio mi rivelò che i miei capelli erano scompigliati in maniera irreparabile e probabilmente solo una piastra avrebbe risolto le cose, ma poiché Rose aveva in programma un sacco di roba da fare fui costretta a rinunciare, limitandomi ad aggiustare con le mani i ricci rovinati.
Optai per un paio di nike bianche e pantaloni verdi militari – larghi, comodi: una congiura contro lo stile – da abbinare a una delle mie solite felpe extra large ed extra calde.
Probabilmente Rose voleva ribattere ma non lo fece, dato che il cavallo dei suoi pantaloni di felpa sfiorava quasi le ginocchia: dopo la fatica della sera prima avevamo detto no a tacchi e vestitini per qualche tempo.
Infilammo le giacche ed uscimmo. Effettivamente fuori la temperatura si era davvero alzata di qualche grado, ma per non correre rischi scendemmo direttamente alla città sotterranea con la metro.
Rose si orientava bene, io non tanto; dovetti correre per starle dietro in mezzo a quel groviglio di luci, negozi colorati, fontane, ristoranti e gallerie illuminate.
La prima tappa fu poco produttiva a causa dei prezzi esorbitanti dei negozi: dopo una maratona attraverso scale e gallerie ci fermammo ad un fast food per mangiare qualcosa.
A pranzo finito, sonnecchiai un po’ sulla scomoda sedia di plastica prima di essere trascinata di nuovo fuori per un altro giro di shopping.
- Allora – ricapitolò Rose mentre si dirigeva a passo di marcia verso la stazione sotterranea della metro. – Se scendiamo alla prossima fermata possiamo passare da Clarks e da Fortin – la porta della metro si aprì con un sibilo, lasciando scendere una dozzina di persone – e possiamo anche farci una pattinata sul ghiaccio, ma verso le cinque devo andare perché ho appuntamento con Mark, sai, devo raccontargli di ieri sera… -
Prendemmo posto su due sedili vuoti. – Mi fanno male i piedi – mi lagnai – non ho voglia di pattinare. –
- Ehi – sussurrò – guarda chi c’è! –
Seguii la traiettoria del suo sguardo per trovare, a qualche metro di distanza, Madison e Jake che parlavano tra loro, mano nella mano.
- Secondo te si sono messi insieme? – chiese.
Non risposi.
Mi ero incantata a guardarla, gli occhi azzurri che brillavano, un sorriso bianco che risaltava sopra l’abbronzatura perenne. Con quel cappellino ridicolo era ancora più buffa e dolce. Era bellissima.
Sentii una fitta di disperazione nel constatare che di fronte a lei io sarei sempre sfigurata, in qualsiasi modo. Nessuna ragazza avrebbe mai retto il confronto.
- Lily, dobbiamo scendere! – esclamò Rose – e grazie tante per la risposta. –
Sospirai e la seguii lungo una strada fitta di gente, che conduceva ad un negozio imponente dalle vetrate luminose.
Varcammo la soglia a fatica, tanto il negozio era gremito. Una prima occhiata ai prezzi mi tranquillizzò immediatamente.
- Credo che la roba per noi sia al secondo piano – disse, leggendo le indicazioni affisse alle pareti. – Questo posto è una favola! –
Salimmo al piano superiore con le scale mobili: una volta arrivate ci perdemmo subito nell’intricato labirinto di vestiti e manichini.
- Mi tieni questi jeans? E guarda questa maglia! Devo provarla. Ma dove sono i camerini? –
- In fondo a sinistra. Ti spiace se questa maglia la provo anche io? – ma lasciai subito perdere quando mi accorsi del luccichio in cima ad uno scaffale.
Rose era già entrata perciò mi avvicinai di più per vedere meglio.
Erano le scarpe più belle che avessi mai visto. Con il tacco vertiginoso e la suola rossa, erano completamente ricoperte di brillanti bianchi. Ricordai di averle viste forse una volta addosso a qualche cantante famosa.
Erano…
- Belle, vero? – chiese una voce alle mie spalle.
Dolce, eppure un po’ grezza – e le farfalle nello stomaco. Impossibile non riconoscerla.
- Sono fantastiche – sorrisi, dopo essermi schiarita la voce.
Aggiustò la visiera del cappellino con le lunghe dita, facendo tintinnare un braccialetto d’oro al polso. – Sai perché non c’è scritto il prezzo? – continuò, fissandomi divertito.
Ridacchiai.
- Che ci fai qui? – chiesi infine, cercando di sembrare disinvolta.
Si voltò ad indicare dietro di sé – ho accompagnato delle amiche a fare shopping. Tu? –
Mi sporsi per vedere tre ragazze che discutevano animatamente: le avevo già viste a scuola, ma non conoscevo i loro nomi.
- Anche io – esitai, ma non aggiunsi nulla.
Alzò le maniche della felpa e sprofondò le mani in tasca
– D’accordo… Fai qualcosa domani pomeriggio? –
 
 



 
 
 
 
 
 
 
Scusate, sono pessima.
So che vi ho fatto aspettare tanto ma è stato un trauma pure per me perché il pc si è rotto e io senza pc vado in crisi d’astinenza. Serio.
Forse questo capitolo non è quello che vi aspettavate, è corto e di passaggio ma prometto che il prossimo arriverà presto, ora che il pc è aggiustato non vi farò più aspettare così tanto.
Due o tre cose da dire, farò un elenco puntato.
- Mi dispiace per quelle persone che hanno smesso di seguire la mia storia proprio oggi, spero non sia colpa del ritardo.
- Ho faticato un sacco per sto capitolo perche non è facile scrivere di neve con 50 gradi e in piu… mi sono resa conto che non ero per niente informata su montreal. D’accordo quindi vado a documentarmi e scopro che… Si parla il francese. Argh! Bieber però parla inglese!
Insomma, i miei personaggi sono anticonformisti. Parlano inglese, d’accordo? E lo parlano pure bene. uù
- Lasciatemi il vostro nick di twitter: prima non ci ho mai fatto caso perche non lo usavo ma ora sono tornata quindi. Anzi fate una cosa, se volete che vi segua, twittatemi, io sono @xdontwakemeup , tweettate qualcosa e vi seguo indietro.
- Questo capitolo è di passaggio, nei prossimi ci sarà più Justin. Scusate ma fare una storia che parla di lui in ogni capitolo mi sembrerebbe banale e un po’ noiosa.
Al prossimo capitolo! Grazie per tutte le recensioni fantastiche, bacioni
Ari

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Capitolo 12
*** I can take you home. ***


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Hockey.
Ma perché” era tutto ciò che riuscivo a chiedermi mentre mi dirigevo a passo svelto verso l’entrata del campo.
Era già buio e i lampioni nel piazzale erano tutti accesi. Nessuna persona passava in quel momento, in compenso dall’interno dello stadio illuminato proveniva un discreto baccano.
Mi strinsi nella giacca: certo a quell’ora avrei potuto essere a casa a studiare per la borsa di studio, oppure a prepararmi per recuperare quell’odiosa C +, oppure…
Il concetto era che qualsiasi cosa sarebbe stata più costruttiva di una funesta partita di hockey.
Insomma, quello sport mi spaventava.
Gli energumeni di due metri mi spaventavano.
La violenza mi spaventava…
Per cui essere circondata da bestioni armati di spalle imbottite, mazze e spregiudicatezza non mi faceva sentire esattamente a mio agio.
Mi chiesi cos’avevo in testa quando avevo accettato… Forse nient’altro che i suoi occhi profondi.
Ad alimentare il fatto che tra il mio pensiero fisso ed il nuovo acquisto della Westmount non corresse buon sangue, si aggiungevano ora le due squadre rivali nella competizione di quella sera: il Montreal – Junior – Hockey Club e i New Jersey Devils.
Per fortuna tra Justin in campo e Adam sugli spalti c’era una rete di sicurezza e un campo di ghiaccio, ma… Da qualche parte avrei pur dovuto schierarmi.
Pagai velocemente in biglietteria e cercai tra le gradinate i miei amici: individuarli fu facile, raggiungerli un po’ meno: era tutto gremito, e oltre alle facce che vedevo a scuola tutti i giorni c’erano anche molte altre persone.
Era una partita importante, Justin me l’aveva detto; in ogni caso non sapevo perché. Non mi intendevo di sport.
- Ehi – mi sedetti affianco ad Adam e una parecchio imbarazzata Rose, afferrando il caffè caldo che mi offriva. Approfittai del calore del bicchiere di carta per riscaldarmi le mani.
- Devils – esclamò Adam – Whoo! Finalmente oggi il New Jersey mostrerà a voi pallidi canadesi di cosa è capace! –
- Va avanti così da dieci minuti ormai – mormorò Rose.
Appoggiai le labbra alla cannuccia, fissandola con comprensione. – Poverina. –
Adam non ci ascoltò neppure. Era proteso in avanti e i suoi occhi brillavano.
- Meno male che è carino – sussurrò. Scrollò i capelli rossi all’indietro e si riprese subito. – Sai, ieri ho parlato con Mark. Gli ho detto di Bryan. –
- E com’è andata? – chiesi. Avevo subito smesso di bere perché al primo sorso mi ero già bruciata la lingua.
- È ancora molto scettico. – Scosse la testa. – In compenso sono quasi riuscita a fargli cambiare idea su di te. Ancora non lo capisce, però inizia ad accettarlo. –
- Accettare cosa? – chiesi stupidamente, fissando il campo con occhi vacui.
Era infastidita dal fatto che non gli prestassi attenzione. - Il tuo amore impossibile – rispose piccata.
- Scusa – replicai con un sorrisetto. – Ehi, ti ho detto della C che ho preso… -
Fui interrotta da urla e fischi di acclamazione, e qualche gradino sotto di noi i giocatori entrarono in campo.
- Per chi devo tenere? – chiesi a Rose, completamente incapace di distinguere le squadre.
- Dipende – sorrise maliziosa. – Se vuoi sostenere Adam oppure… -
- Rose. – staccai le labbra dal bicchiere. – Dimmi in che squadra è. –
- D’accordo, dev’essere uno di quelli con la giacca bianca e blu. Io terrò per Adam comunque – replicò.
“Ruffiana” mimai con le labbra, prima di dedicarmi al campo dove i giocatori stavano prendendo posto lungo le linee di gioco.
 
 
- Trattenuta! – urlò Adam. – Ehi, che razza di arbitro! Guardalinee! Quello era fuori gioco! –
Le urla di Adam mi risvegliarono dal torpore in cui ero caduta: il bicchiere del caffè era a terra – il suo intervento era stato abbastanza inutile -, il chiasso assordante e in campo era in corso una disputa.
- Che schifo! – esclamò Mr New Jersey – Proprio a due minuti dalla fine! Quel punto è nostro! –
- Che succede? – chiesi mezza addormentata a Rose. Adam era troppo preso per rispondermi.
- Il Montreal sta cercando di recuperare, ma noi stiamo vincendo. –
Fece l’occhiolino e mi trattenni a stento dal sottolineare che anche lei era canadese, nonostante stesse tifando per dei tizi muscolosi e abbronzati – che era un valido argomento, lo capivo pure io.
- Ti sei addormentata dopo cinque minuti dall’inizio – rise – e ti sei persa una gran partita. Il tuo adorato sta giocando benissimo, si muove con un’agilità incredibile – commentò, ammirata.
Mi lasciai scivolare contro lo schienale di plastica – non c’è praticamente niente che non sappia fare – constatai con un sospiro.
– Sei completamente cotta – asserì allegra, prima di tornare alla partita.
Neppure un minuto più tardi Adam era in piedi e saltellava infuriato sul posto al fischio che determinava la fine del terzo tempo. – Bell’arbitro! L’hanno pagato, lo dico io! -
- Mi dispiace Adam – farfugliai quando si voltò a guardarmi imbronciato.
- Fa niente. Tanto abbiamo vinto! –
Strabuzzai gli occhi. – Almeno non ti lamentare – borbottai, mentre mi facevo prendere in giro per la perdita.
- Lily – mi chiamò Rose, distraendomi da Adam e indicandomi un punto ai margini del campo. – Credo che ti stia chiamando. –
Nonostante non vedessi niente a causa della folla, riuscii lo stesso a farmi strada e scendere fino al bordo campo. Nella zona panchine erano seduti diversi ragazzi: uno mi fece segno di avvicinarmi.
- Ciao – dissi, sedendomi un po’ imbarazzata accanto a lui. Non sapevo neppure se potessi stare lì.
- Ciao – rispose, sfilando il casco e riordinandosi i capelli scompigliati. Ricordai a fatica di respirare: lo sentii posare il casco a terra e iniziare a slacciare i pattini. – Ti va… -
- Justin, sei stato grande! – Lindsay si piazzò davanti a noi con una bottiglietta d’acqua in mano – assolutamente fenomenale! –
Lui prese l’acqua e la liquidò con un – grazie – disinteressato. Dopo un istante di esitazione in cui mi fissò fredda, la ragazza se ne andò corrucciata.
La guardò allontanarsi, poi riprese – Torni a casa ora? –
- Eh… Sì – risposi, fissando lo sguardo sulla sua divisa. Morivo dalla voglia di guardarlo negli occhi ma, a parte qualche sbirciata fugace, non ne ero proprio in grado.
- Ti va se ti accompagno, quando finisco di cambiarmi? –
Deglutii. Ero un po’ spaventata dall’idea di restare sola con lui, ma la cosa mi attraeva due volte tanto. In teoria avrebbe dovuto farlo Rose, ma non credevo avesse niente in contrario.
- Sì – mormorai infine. Dopo un’occhiata inquisitoria, tornò ai suoi pattini. – Puoi aspettarmi qui fuori, allora. –
Nello stesso istante, un tipo lo chiamò e io ne approfittai per sgattaiolare fuori dal campo.
- Che voleva? – chiese Rose curiosa, una volta che ci ritrovammo fuori.
Ero tesissima. Presi a torturarmi le maniche nervosamente  – Ha chiesto se voglio tornare a casa con lui. Spero non ti dispiaccia… -
Aprì la bocca in un’espressione meravigliata. – Oh mio dio! Gli hai detto di sì vero? –
Annuii.
– Che bello! Beh, io… –
Adam, che era stato zitto fino a quel momento, si schiarì la voce. Mi ero quasi dimenticata che forse lui poteva non essere tanto d’accordo.
- Sai, non riesco a credere che dopo ciò che ti ha fatto sotto i miei stessi occhi tu possa provare certe cose per lui. – proferì pacato.
Non sapevo cosa rispondere. Rose era immobile, rossa dall’imbarazzo quanto i suoi capelli.
- Sono affari miei – dissi infine.
Lui incrociò le braccia. – Non permetterò che ti faccia male un’altra volta. –
Alzai gli occhi al cielo. Adam si era perso tutta la parte delle scuse, perciò quando replicai sbuffando che non mi avrebbe fatto niente si limitò ad una risata amara, che risuonò nell’oscurità di quella serata.
- Se fossi in te, annullerei subito e tornerei a casa senza nessuna complicazione. – Mi fissò con gli occhi azzurri dall’alto in basso.
Avrei accettato che tentasse di difendermi, ma così suonava davvero sbruffone.
– Grazie per il consiglio. Non credo che lo seguirò. –
Parve interdetto, ma si riprese presto. – Fa’ come ti pare. –
Detto ciò, se ne andò senza neppure salutare: i sensi di colpa mi avvolsero non appena scomparve alla vista, ma del resto erano solo problemi miei.
Avevo voglia di fare un po’ di testa mia, di prendere da sola le mie decisioni e sbagliare, se necessario. Ero stanca di fare ciò che dovevo solo perché era giusto.
- Fantastico… - commentò Rose ironica. – Vuoi che ti faccia compagnia o preferisci che vada? –
- No, ti prego, non andare – la pregai con voce lamentosa.
Nonostante a fine partita il parcheggio fosse abbastanza movimentato avevo paura ad aspettare da sola, perciò ci accomodammo su una panchina in un angolo, e sinceramente l’attesa fu piuttosto lunga: Justin si presentò soltanto una mezz’ora minuti più tardi, il borsone a tracolla e solo una maglia leggera addosso.
La sua faccia abbastanza inviperita la diceva lunga: quasi mi pentii di avere accettato.
- Ci vediamo domani – mormorò Rose, e si dileguò in un istante.
Ad un suo cenno della mano mi alzai e lo raggiunsi, restando a debita distanza: abbassai le maniche della felpa per coprirmi le dita intirizzite e automaticamente aumentai il passo per stargli dietro.
Costeggiammo una fila di auto parcheggiate; nonostante stessi combattendo contro l’istinto, lo sguardo scivolò dalle spalle lungo la schiena, fino a fermarsi sui glutei perfetti. Fu parecchio imbarazzante quando dovette chiedermi per ben due volte l’indirizzo: distolsi immediatamente lo sguardo, ma ormai un sorriso malizioso si era già dipinto sul suo viso.
Che deficiente, continuavo a ripetermi, sentendo le guance ribollire. Ero tanto presa dall’insultarmi mentalmente che mi accorsi a stento che si era fermato e aveva estratto una chiave dalla tasca.
Alzai lo sguardo su un alto fuoristrada dal profilo insolitamente aerodinamico. I fanali erano stretti e allungati verso l’esterno, la carrozzeria tanto scura da confondersi con il cielo buio.
- Questa è la tua macchina? – chiesi stralunata, senza riuscire a nascondere la sorpresa. Annuì e parve rilassarsi un po’ a quella domanda.
- Evoque – commentò, osservandomi compiaciuto mentre accarezzavo la sagoma tondeggiante della maniglia. – Un regalo per i diciotto anni. –
La macchina si aprì con uno scatto metallico.
Mi abbarbicai sul sedile del passeggero mentre lui gettava con poca grazia la sacca sui sedili posteriori e tornava a sedersi al posto di guida.
Gli interni erano beige, rilegati in pelle: la luce era calda e soffusa, i comandi talmente tanti che non riuscii a distinguerne la maggior parte.
Insomma, ero abituata all’auto di Rose: lì l’unica manopola era il volume dell’autoradio – rotta, anche.
Tutta un’altra storia.
Armeggiò qualche istante con i pulsanti, infine mise in moto. Prima che potessi spiccicare parola aveva già fatto manovra e stava uscendo dal piazzale.
Mi resi conto che non avevamo mai parlato realmente – o meglio, avevamo avuto conversazioni un po’ strane – e non disponevamo poi di tanti argomenti di cui discutere.
Confidai in ciò che avevo sperato dal primo momento in cui si era offerto di accompagnarmi, e cioè che avesse qualcosa da dirmi. Invece si limitò a chiedere, inaspettatamente – Ti dà fastidio se fumo? –
Scossi la testa in risposta.
Estrasse una sigaretta dal pacchetto e la infilò tra le labbra: con una mano tastò fino a trovare un accendino sul cruscotto, con l’altra continuò a reggere il volante.
Era teso, si vedeva: si tranquillizzò solo quando una prima voluta di fumo uscì dalla bocca.
Cercai velocemente di distogliere lo sguardo e mi abbandonai contro il sedile, sobbalzando quasi nello stesso istante a causa di una brusca frenata. L’auto inchiodò violentemente un metro prima del semaforo; ringraziai di essermi allacciata la cintura, altrimenti in quel momento sarei stata spiaccicata sul parabrezza.
- Scusa – disse, abbassando il finestrino – colpa della trazione integrale. –
Annuii, come se sapessi cosa diavolo fosse una trazione integrale. Mi ritrovai a fissarlo ammaliata mentre prendeva un lungo tiro e si allungava per soffiar fuori una boccata di fumo.
Rabbrividii, probabilmente a causa dell’aria fredda che era entrata.
Quando scattò il verde, il fuoristrada ripartì in quarta: tenni il tachimetro ben lontano dalla mia visuale – avevo come il sospetto che leggerlo non mi avrebbe aiutato a restare calma.
Fuori dalla macchina, i pochi lampioni della strada sfrecciavano a una velocità incredibile. Sebbene non fossi abituata a viaggiare tanto veloce mi scoprii estremamente a mio agio, avvolta dal calore tenue del riscaldamento e dall’odore penetrante del fumo.
L’auto svoltò nella strada di casa dopo neppure dieci minuti. Ero abbastanza sorpresa, dato che con Rose mi ci sarebbe voluto circa il doppio del tempo.
Quando parcheggiò lentamente davanti al cancello e spense il motore, il silenzio calò nell’abitacolo. Avrei voluto restare lì dentro per sempre, ma era evidente che dovevo andare. Mi sforzai di muovermi e quando ci riuscii mi allungai a cercare la maniglia.
- Grazie mille – dissi con un sorriso e feci per aprire la portiera, ma mi immobilizzai quando sentii la sua mano sfiorare la mia. – Aspetta – sussurrò.
Mi voltai, sorpresa, sebbene un po’ me lo aspettassi.
- Io… - fissò fuori dal finestrino, e la debole luce lunare accarezzò il profilo del suo viso. Tamburellò un po’ le dita sul volante, poi si fermò. – Volevo solo essere sicuro che mi avessi scusato… Per ciò che è successo. –
- È tutto okay, sul serio – replicai.
Seguì solo il rumore insistente della pioggia che aveva iniziato a cadere leggera sul parabrezza.
- D’accordo – sussurrò, ma il suo tono di voce suggeriva che non era finita lì. Aspettai pazientemente, e prese la mia attesa come un invito a continuare.
Abbassò lo sguardo.
- Un’altra cosa – era superfluo. – Prima che sia lui a dirtelo, io e il tuo amico abbiamo avuto un… diverbio – giocherellò distrattamente con il portachiavi d’argento.
- Adam? – chiesi. Annuì.
- Ero già agitato per via della partita e… - scosse la testa. – Mi innervosisco con poco. –
- Ma cos’è successo? – chiesi. Di nuovo il suo sguardo era puntato fuori, oltre la strada e le case buie.
- È preoccupato per te. Ha paura che io possa farti del male. – si morse le labbra.
Mi massaggiai le tempie, sospirando. Di certo Adam era una testa dura, ma non pensavo che fosse addirittura arrivato a parlarne con lui: non sapevo se fosse un bene o un male.
Non ci capivo niente in verità, quella conversazione aveva qualcosa di surreale.
– Ma si sbaglia – sussurrò dolcemente, e fu quando si voltò a guardarmi che la situazione prese una svolta imprevista. – Non voglio. –
Sentii un brivido lungo la schiena, e mi chiesi se avessi sentito giusto. Stava studiando ogni mia reazione, nel tentativo di capire cosa mi passasse per la testa senza bisogno di parole.
Dubitavo che ci sarebbe riuscito, perché neppure io lo sapevo.
Mi sentivo così molle e inconsistente che persino quando lo sentii avvicinarsi lentamente e protendersi verso di me non fui capace di muovermi.
Ebbi un fremito quando la sua mano calda si posò sul mio collo, prendendo ad accarezzarmi piano. Dovunque le sue dita sfiorassero, la pelle bruciava.
Il suo viso era sempre più vicino al mio, e il suo profumo tanto buono e caldo da stordirmi.
Stavo per andare in iperventilazione, ma lui continuava a fissarmi, calmo: rischiai quasi di impazzire quando la sua bocca morbida sfiorò la mia guancia. Irruppi in un sospiro tremolante, ricordando improvvisamente che stavo trattenendo il fiato.
Con un lentezza esasperante, lasciò che le labbra scivolassero verso le mie. Solo quando ormai si sfioravano chiese, la voce un po’ roca – Hai paura di me? –
Tacqui, incapace di qualsiasi movimento o risposta logica.
E mi resi conto che non lo sapevo.
La mia paura era quasi irrazionale, dettata dal bisogno di vederlo, di pensare a lui, di essere conscia della sua presenza. Se tutto ciò fosse venuto a mancare, allora avrei avuto paura.
E finalmente, con questi pensieri illogici in testa, annullai la distanza tra noi.
Le sue labbra erano bollenti, eppure soffici. Per un attimo tutto sembrò fermarsi, fossilizzarsi in quel momento eterno, ogni cosa al di fuori di lui si annullò.
Poi prese a muovere la bocca dolcemente sulla mia.
All’inizio era un movimento delicato, gentile, che si fece via via più sinuoso, facendomi salire i brividi lungo le braccia.
La sua mano strinse la presa dietro al collo e, quando si fermò dischiudendo le labbra, mi avvicinò ancora di più a sé.
Fu con estrema calma che la sua lingua si insinuò nella mia bocca, cercando la mia e prendendo ad accarezzarla lentamente.
D’impulso fui colta dal bisogno di toccarlo: allungai una mano sulla sua spalla, per poi salire fino al collo e lisciare i capelli rasati sul lato.
Avevo perso completamente la cognizione del tempo, perciò non seppi mai quanto tempo restammo a baciarci.
Ma di una cosa ero certa: da quel momento in poi, tutto sarebbe cambiato.















#nota
Hallooo wie gehts ihn?
Non chiedetemi cos'ho detto perchè non lo so.
Cioè, wow, non ho mai fatto tanta fatica a pubblicare un capitolo. È arrivato in ritardo non perchè io fossi disinteressata o cosa, ma semplicemente perchè ogni volta che mi ci mettevo su era un parto, e alla fine lasciavo sempre perdere.
Giuro, dovevo pubblicarlo giorni fa. È stato atroce.
Dunque, qualche parolina? In realtà ci tenevo a dire che io so benissimo cos'è una trazione integrale, alle medie ero tipo una fanatica delle macchine. Chiaramente la range rover evoque è un'auto stupenda che io adoro, quindi non potevo non metterla.
*biiip* comunicazione di servizio: ho riletto la storia dall'inizio ed ero tipo CAZZO, DAVVERO HO SCRITTO QUESTE COSEEE RICOVERATEMIII  PLEASE ma cose assurde! C'è cazzo se vedete degli obbbrobri (con 3 b, si) ditemelo, per favore.
Poi avrete sicuramente visto le tre foto HHHOOOT che justin ha pubblicato e mi hanno ispirato taaaante brutte cose, quindi è solo grazie a lui che ho messo questo bacio, perchè non ci doveva neppure essere. Poi ero tipo "ok, siamo al dodicesimo capitolo, sarebbe ora" lol
Dunqueeee, non so quando arriverà il prossimo capitolo, ve lo dico sinceramente. Perchè mi mancano ancora un sacco di compiti e tra poco inizia la scuola quindi. Cercherò di farvelo comunque avere il prima possibile.
Bacioni!

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Capitolo 13
*** Somewhere down at the bottom. ***


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– Anche quello moro non è male – Christine assottigliò lo sguardo, abbassando gli occhiali da sole sul naso.
– No, non è male per niente – constatò poi con un sorriso, riaggiustando gli occhiali mentre si allungava per prendere la sua bottiglia di birra mezza vuota.
Alzai gli occhi dal paragrafo sulla termodinamica e scrutai per qualche istante la pista da skate, che quel pomeriggio era gremita. – Adam – mormorai poi, riparando gli occhi con una mano dalla luce rossastra del tramonto.
– Scherzi? Il ragazzo nuovo? – chiese, togliendo finalmente gli occhiali per poi alzarli sui capelli scuri e riccissimi. – Quello che viene dal New Jersey? Quello con gli occhi azzurri? –
– Esatto – risposi distrattamente. Staccai gli occhi dal mio ormai non più amico per spostarli su un altro ragazzo, e sorrisi.
– Oh cielo – Christine riappoggiò la birra a terra e recuperò un iPhone rosa dalla borsa grandissima – Adam – sussurrò sognante, tra sé – certo, l’ho visto per i corridoi a scuola. Non credo esista un ragazzo più bello! –
Risi, godendomi la leggerezza di quel momento che sapevo sarebbe presto finito. – Io credo di sì! –
Arricciò il naso – ma tu sei di parte! – scrisse un messaggio con telefono, poi lo rimise nella borsa.
– Una volta anche io la pensavo come te – continuò sconsolata, gli occhioni verdi sul mio libro. – Non era umanamente possibile credere che esistesse qualcosa di meglio di Justin Bieber, ma… Non è proprio il mio tipo di ragazzo. Cioè – si corresse quando alzai un sopracciglio, voltandomi verso di lei.
– Abbiamo provato a stare insieme, ma con me ci vuole dolcezza e gentilezza, capisci? Non so che farmene di un irruento e insensibile e… - sbuffò, in cerca delle parole.
– Invece potrebbe stupirti – ribattei convinta, mettendo il libro nello zaino e godendomi il breve tepore del sole ormai consumato sulla pelle.
– Stupirmi… – parve riflettere, mentre incrociava sulla panchina di vernice scrostata le gambe avvolte in un paio di jeans verdi.
– Senti un po’ – assunse il suo tipico tono da investigazione, quello che ormai dopo un mese e mezzo avevo imparato a conoscere… e sopportare. – È  vero che ti ha regalato un paio di Louboutin? –
– Un paio di che? – chiesi, rendendomi conto in ritardo che ero fissa sul riquadro della legge di Archimede da una buona mezz’ora.
–Sono scarpe. – sillabò, come se stesse parlando ad una stupida.
– Oh – sbuffai. Quelle.
– Se intendi il motivo per cui mi sentirò in colpa per il resto dei miei giorni, allora sì. Per il mio compleanno. –
– Splendido – sussurrò, a metà tra l’ammirato e il sognante – le metterai alla festa, sabato sera? –
Risi, incredula – per rischiare di uccidermi? No, tante grazie! – 
Mi fissò divertita. – Non ti capisco, Lily. Ci sono rischi che una donna dovrebbe essere disposta a correre. –
– Ho già corso i miei – risposi, improvvisamente seria. Speravo lasciasse cadere in fretta l’argomento, tanto più che io stessa l’avevo messa al corrente delle strane vicende della nostra storia, fin dall’inizio. Fece una pausa per l’appunto, che purtroppo per i miei nervi durò ben poco.
– E quindi… dicevi che non avete ancora fatto sesso? –
– Ma quanto sei diretta! – chiusi il libro, con un sorriso stupido sulle labbra, infilando una mano tra il groviglio dei miei capelli per riportali indietro.
– Non ti agitare! Non devi sentirti in imbarazzo con me. A pensarci bene, posso raccontarti io qualcosa a proposito, se ti interessa… –
- No, non credo, grazie comunque! –
Ridacchiò, poi tornò seria. – Ti piacerà, vedrai. –
– Cosa le piacerà? – chiese una voce divertita un po’ troppo vicina al mio orecchio. Mi voltai sorpresa, per poi ritrovarmi faccia a faccia con l’ultima persona che avrebbe dovuto essere lì in quel momento, tutto sopracciglia sollevate e sorriso rosso sulle labbra a cuore.  
– Ma tu non stavi… – indicai la pista – tu… –
– Christine, per favore – Justin si rivolse a lei aggrottando le sopracciglia, tirando su le maniche del maglione nero – evita di spaventare la mia ragazza con queste cose. – Rabbrividii, mentre mi posava un bacio lascivo sulla guancia. 
– Non vorrei turbarla… Si impressiona abbastanza facilmente, sai – si fissarono per qualche istante, trattenendo le risate.
– Ah, si – mormorai distogliendo lo sguardo, un sorriso incancellabile sulla bocca – davvero simpatici, non c’è che dire! –
– Non te la prendere… – bisbigliò Justin, facendo leva sulle braccia tatuate per lasciarmi un bacio lento, al contrario, sulle labbra. Erano ancora umide quando proseguì, tremendamente vicino – la tua innocenza ti rende ancora più sexy. –
Arrossii violentemente.
– Bleah! – esclamò Christine, tirando fuori la lingua. Tutto ciò che ricevette in risposta fu una spinta decisamente poco delicata da parte di lui, e un’alzata di occhi annoiata da me.
– Ecco Lily, che ti avevo detto? – proruppe, imbronciando le labbra rossissime – è una persona talmente violenta! –
Schioccai la lingua contro il palato, in evidente disappunto; Justin si sedette sullo schienale dalla parte opposta, ma non prima di essersi acceso l’ennesima sigaretta della giornata. Portò distrattamente la mano sui miei capelli spettinati, prendendo ad accarezzarli, e chissà perché al suo tocco sembrarono quasi più morbidi e sottomessi.
– È un ragazzo dolcissimo – mormorai istintivamente. Non ero solita manifestare il modo in cui stravedevo per lui, tranne per ciò che non mi era possibile controllare - battito accelerato, sospiri assolutamente indesiderati e altre cose imbarazzanti.
Perciò mi fissò con un filo di sorpresa in fondo agli occhi marroni, resi aranciati dalla luce del tramonto. Mentre prendeva un altro tiro dalla sigaretta fumante tra la punta delle dita, fece scivolare la mano libera sulla spalla sinistra, sfiorando il punto in cui ormai i segni del livido non si vedevano più. Gli sorrisi candidamente reclinando la testa all’indietro e mi sorrise a sua volta, pacato.
– Dolcissimo un corno! – Christine raccattò velocemente la sua roba e infilò la giacca imbottita, di cui per qualche minuto il calore del sole aveva reso possibile fare a meno. – Okay, voi ragazzi mi state facendo vomitare. Io vado a conoscere questo Adam, che sicuramente è più interessante e meno… Bleah. Ciao! –
Justin avrebbe replicato, ne ero certa, ma in quel momento il suo telefono squillò.
Ora, ne sapevo abbastanza sulla vita per capire che, quando le cose vanno bene per troppo tempo, di solito succede qualcosa di estremamente brutto a ricordarci sempre che siamo uomini, e come tale non meritiamo di essere felici – o quantomeno di essere lasciati in pace.
La verità era che speravo che questo qualcosa – o qualcuno – di inevitabile tardasse il più possibile, perché non credevo di esser stata mai più felice in vita mia.
Tanto per cominciare – maledizione – sibilò, fissando lo schermo lampeggiante, con un tono talmente irritato che persino Christine, già partita in quarta, si fermò con un’espressione preoccupata.
– Tutto bene? Chi è? – azzardai, timorosa di una sua reazione che arrivò tale e quale a come l’avevo immaginata. Infatti mi lanciò un’occhiata veloce e – nessuno – rispose brusco, alzandosi con il telefono che ancora suonava in mano e allontanandosi velocemente.
– Ma chi è? – fece Christine, più curiosa che altro. Ci voltammo entrambe verso di lui che, ormai ad una decina di metri, teneva il telefono troppo grande contro l’orecchio e apriva le labbra di rado, fissando la sigaretta consumata senza fumarla.
– Non ce lo dirà mai – constatai, mentre Justin ingiungeva al suo interlocutore di andare a quel paese, la voce neanche tanto bassa.
– Non deve avergli fatto piacere questa chiamata – dedusse lei, grattandosi la testa un po’ confusa.
Eppure avevo un brutto presentimento. Il suo sguardo era troppo nervoso.. Mi convinsi che doveva essere qualcuno di importante. La testa prese a girare forte.
– Oh, fanculo – sbottai, rivolta un po’ a lui, al suo telefono, ad Adam, al mondo intero e all’ente superiore che aveva deciso che a me, Lilith Williams, cinque minuti di calma non potevano proprio essere concessi.
Avevo un brutto, bruttissimo presentimento.
Christine restò a guardarlo in silenzio.
Un altro pessimo segno arrivò quando, una volta tornato, mi si piazzò davanti evitando le sue solite smancerie.
– Lily – fece, cacciandosi le mani in tasca per estrarre la chiave della macchina – devo andare. Vuoi che ti riaccompagni a casa? –
– Posso sapere dove sei diretto? – alzai lo sguardo su di lui, assottigliando gli occhi per il sole.
Mi fissò, impenetrabile e poi – no… – mormorò, spostando lo sguardo sulle sneakers rosse.
– Perfetto – gli sorrisi, anche se dentro mi sentivo rompere in mille pezzi. – Torno a casa insieme agli altri allora. Divertiti! –
– Per favore – supplicò, con una nota di fastidio nella voce che mi fece rabbrividire. Feci un cenno a Christine, rimasta in silenzio per tutto il tempo, e insieme passammo oltre.
Fatto qualche passo mi voltai, per dirgli chiaramente ciò che – non – pensavo di lui.
Ma non c’era già più.
Christine esitò, spostando i ricci neri dal viso mentre ci dirigevamo, in religioso silenzio, verso la pista – Beh… Vuoi parlarne? –
–Tu – cominciai, glaciale – non puoi nemmeno immaginare quanto lo odio quando fa così! –
– Oh, posso invece. Non sopportavo nemmeno io i suoi stupidi cambiamenti di umore… Chi credi che fosse? –
– Non… Non ne ho idea – balbettai, anche se per la verità qualche idea ce l’avevo.
Mi auto imposi un bel reset momentaneo. Prima avrei risolto questa faccenda di Adam e poi avrei pensato a tutto. Deglutii e presi forza, abbastanza stupita di dover faticare per ostentare indifferenza sotto lo sguardo vigile di Christine.
– Ehi, biondo – urlai, facendo segno con la mano. Come avevo previsto, Adam fu il primo a voltarsi. Stava slacciando con cura una scarpa, seduto all’estremità in alto con una gamba penzoloni. Mi fissò per un attimo, incredulo, poi rise.
– Stai sbagliando persona, tesoro – urlò in risposta. Oh, fanculo.
Gli feci segno di scendere, già rassegnata, ma stranamente mi ascoltò. Sbuffò, questo sì, ma poi mise lo skate sotto i piedi e scese con un salto.
– Non credevo mi ascoltasse – confessai a Christine. Dal canto suo, aveva completamente dimenticato la faccenda di Justin e lo stava guardando con occhi sognanti.
– Intanto – iniziò Adam, venendo verso di noi con lo skateboard sottobraccio, jeans strettissimi e una maglia bucata – non sono biondo. E secondo, con te non ci parlo. – Per un istante ci fissammo in cagnesco, poi si accorse di Christine.
– E tu chi sei, dolcezza? – chiese placido, allungandole la mano.
– Lei è Christine – intervenni io, anche perché non ero sicura che fosse in grado di rispondere. Per l’appunto, si limitò ad un sorriso idiota e totalmente estasiato.
– Adam – disse lui, sorridendo cortese. Le strinse la mano, ignorandomi completamente.
– Ah e per inciso, volevo solo che vi conosceste – asserii piccata – neanche io voglio parlare con te! –
– Bene, allora! – ribatté. – Nel caso, non avresti avuto speranze! –
Per quel giorno, avevo fatto il pieno di idiozie e menefreghismo. Perciò girai sui tacchi.
– Io me ne torno a casa. A domani, Christine – sottolineai.
– Aspetta, Lily! – replicò lei, finalmente in grado di spiccicare parola; ma mi limitai soltanto a caricare lo zaino sulle spalle e infilare le cuffie nelle orecchie.
Scesi lungo il viale alberato e svoltai l’angolo. Percorsi tutto il marciapiede a lato della strada fino ad arrivare alla scalinata che risaliva nella parte alta della città, e solo a quel punto mi accorsi del ragazzo che mi stava di fianco.
– Che vuoi? – chiesi. Oh, aveva ragione la mamma quando diceva che la compagnia di Justin non faceva bene alle mie buone maniere.
E alla mia capacità di controllo, avrei aggiunto.
– Aspetta – ingiunse, con un tono decisamente più calmo e disponibile. – Christine mi ha raccontato cos’è successo… –
– Non è successo un bel niente okay? Abbiamo solo… –
– No, non son venuto fino a qui perché mi dispiace che abbiate litigato – disse, serio.
Aveva buttato una felpa larga sulla maglia e si era rimesso la cuffia di lana in testa. Passò la lingua sulle labbra piene, alzando gli occhi azzurri al cielo per riflettere. – Io…–
– Okay – dichiarai – ora spiegati, in fretta. –
– Non è facile – si giustificò. – Naturalmente con questo non voglio trarre nessuna conclusione però… Ti voglio bene, Lily. E se ti sta nascondendo qualcosa, credo di dovertelo dire… –
Presi a tremare, in attesa, nonostante la temperatura non fosse troppo alta.
Quanto ero stanca di vedere le mie previsioni avverarsi sempre.
– L’ho visto parlare con Madison, l’altro giorno, fuori dalla scuola. Erano… Erano da soli. –
Esatto.
Mi sentivo così stupida, e inadatta, mentre tornavo con la mente a soli due mesi prima, quando giravano sempre insieme per i corridoi, sempre appiccicati, con quegli sguardi dolcissimi negli occhi, tanto ardenti che quasi bruciavano alla vista.
Amavo il modo in cui Justin mi guardava, ma avrei dovuto sapere che io non sarei mai stata la stessa cosa.
– M-ma non sembrava una discussione calma. Stavano litigando credo – Mi strinse in un abbraccio, mentre sentivo già le lacrime spingere prepotenti per uscire – Non è successo niente! Non piangere!  –
– Non capisci – mormorai, la voce spezzata – Loro due sono stati insieme per tanto tempo… sono perfetti entrambi mentre io… Io non c’entro niente con lui. –
– Non dire questo! Non dirlo! – Mi strinse ancora più forte contro il suo petto, dandomi uno scossone – Dovrebbe essere lui a dire questo! Sei così bella, e così.. Sei fantastica. Coraggio, non piangere! –
Mi lasciò un bacio sui capelli, mentre sentivo ogni vena del corpo riempirsi dalla consapevolezza che lei era perfetta per stare con il mio ragazzo, che un tempo era stato suo.
Né io, né Christine, né nessun’altra che poteva competere con la sua bellezza, che poteva sentirsi adatta davanti ad un ragazzo così divino.
E mi sentii stupida, perché non c’era neppure spazio per la gelosia di fronte alla verità: loro due erano fatti per stare insieme.
– Andiamo piccola… Ti riaccompagno a casa. Forza. –
Ero stata semplicemente troppo fortunata.











Lasciate che vi dica che mi sento un verme.
Okay, quindi oggi, dopo la bellezza di quattro mesi che non aggiornavo, pubblico questa cosa.
Io spero veramente che vi piaccia anche se l'ho scritta con la tastiera buttata sopra la versione di latino, ho gli occhi a pezzi, tutti i compiti da fare ma ci tenevo.
Ci tenevo anche a dirvi che non ho dimenticato la storia. Non esagero se dico che prima di questo ho scritto una dozzina di fogli di word, una dozzina di inizi diversi.
Parliamo di Christine? foglio numero 1= ex fidanzata assolutamente marginale. foglio numero 2 = ex fidanzata troia atomica. foglio numero 3 = ex fidanzata dolce e gentile e carina. foglio numero 4 = ex fidanzata falsa e stupida. Insomma, capitemi.
Inoltre questo doveva essere l'epilogo. Doveva! ma mi sono resa conto che non sono ancora pronta per farla finire.
So che sono davvero imperdonabile, ma per ora pubblico: nel caso non avessi più idee la farò finire, altrimenti... puff.
Che storia!!
Spero vi piaccia e mi raccomando, non esitate MAI a fare critiche, su linguaggio/trama/dialoghi, everything. È tanto tempo che non scrivo e davvero, preferisco un parere sincero piuttosto che tremila complimenti non meritati. Questo capitolo l'ho scritto in fretta quindi immagino ci sia molto da correggere.
A presto! Baci

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Capitolo 14
*** Got to find other ways. ***


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La mattina seguente mi svegliai stanca ed arrabbiata.
Come prima cosa – perché il buongiorno si vede dal mattino – calpestai Norberto.
Bisognava precisare che da qualche giorno a quella parte aveva la stupida abitudine di dormire ai piedi del mio letto, perciò per quanto mi riguardava si doveva assumere le responsabilità di una scelta così incosciente. Nessun gatto normale avrebbe rifiutato delle coperte calde per sonnecchiare su un duro pavimento di legno, ma da sempre Norberto aveva avuto un’indole abbastanza anticonformista e antisociale.
Calpestai il gatto per l’appunto, e mi beccai un morso nella caviglia accompagnato da un ringhio poco amichevole.
La mia reazione sarebbe stata degna di una protesta da parte degli animalisti, sommata anche a qualche tonnellata di rabbia repressa: ma semplicemente riuscii a controllarmi.
Slegai i capelli e, dopo aver guardato il mio riflesso disordinato nello specchio, mi convinsi a collegare la piastra alla corrente.
Infilai un paio di jeans skinny e una maglietta grigia: un’occhiata veloce all’orologio a parete mi rivelò che ero già in ritardo, perciò corsi in bagno a lavare velocemente i denti. Nel tornare in camera mi trovai davanti agli occhi una scena davvero esilarante perché Norberto, tornato furtivamente per cercare vendetta, si era bruciato il muso con la piastra. Risi mentre lui se ne andava a culo dritto borbottando qualcosa che non riuscii a capire.
Ovviamente fui costretta a pettinare attentamente i capelli, perché si erano ridotti ad un groviglio che avrebbe fatto scappare a gambe levate il più intrepido dei parrucchieri. Perciò impiegai un’altra buona decina di minuti, passando sotto la piastra ogni ciocca che ricadde morbida e calda sulle spalle.
Indossai una giacca di pelle nera che non mettevo da tempo, poi infilai velocemente i libri nello zaino e lo buttai in spalla, scendendo in cucina. Trovai un post-it della mamma che, nonostante ormai ci fossi abituata, mi ricordava che quel pomeriggio avrebbe tardato. In più, tanti baci e la raccomandazione di vestirsi bene.
Lo ignorai, ed uscii di casa senza neppure fare colazione.
Il concetto dei vestiti pesanti in inverno era abbastanza relativo; se c’era qualcosa che, mio malgrado, avevo imparato da Justin, era che quando un vestito ti piaceva potevi indossarlo sempre. Cappellini di lana in estate e t-shirt ad inverno inoltrato compresi.
Chiusi la porta di casa e infilai la chiave in tasca: a quel punto non fu più una sorpresa non trovare il fuoristrada nero ad aspettarmi fuori – a stento ricordavo l’ultima volta che era successo. Osservai per qualche secondo la strada vuota come in trance, poi mi incamminai verso scuola con un sospiro nostalgico. Rabbrividendo dal freddo, maledissi il genere maschile e chiunque l’avesse creato. Solo a metà del tragitto, quando ormai – secondo i miei calcoli – la prima campanella stava per suonare, mi arrivò un messaggio.
Scusa se non sono riuscito a passare stamattina – ci vediamo a scuola.
Sbuffai per poi rispondere, attenta a non inciampare:
Se anche non ci vediamo fa lo stesso. Avrai sicuramente qualcosa di meglio da fare.
Suonava un po’ infantile, perciò cancellai l’ultima frase e lo inviai.
Era davvero una fortuna abitare vicino a scuola, specie nel caso si venisse scaricati in maniera così poco carina: salii di corsa le scale a lato del piazzale e, una volta entrata, attraversai velocemente la segreteria e il corridoio.
Arrivai in classe col fiatone, ma fortunatamente la seconda non era ancora suonata e della prof non c’era traccia.
C’era invece uno strano sovraffollamento nell’aula quella mattina, ma per fortuna Michelle, che mi aveva tenuto un posto libero, mi fece segno di sedermi accanto a lei.
- Ehi – la salutai in fretta, aprendo lo zaino per controllare di non aver dimenticato il libro. L’interrogazione era stata la scorsa settimana e mi aspettava un’ora di noia totale, ma nonostante questo cercare di seguire rientrava davvero nei miei piani.
- Nuovo look? – chiese con un sorriso, picchiettando la matita sul banco.
- Nah, ho solo lisciato i capelli – spiegai, richiudendo lo zaino.
Il suo sguardo si perse alle mie spalle; quando finalmente mi lasciai cadere sulla sedia, il libro aperto davanti a me - va tutto bene? – chiese.
- Oh lo so. È assurdo, vero? Semplicemente mi andava… -
- No, intendo, con Justin Bieber – sottolineò.
Socchiusi gli occhi per un momento.
– Da quello che sapevo vi sentite… o no? -
Sbuffai mentalmente, senza alcuna voglia di dirle la verità. Ero riuscita a tenerlo lontano il più possibile dalla mia mente, e il patto che avevo fatto con me stessa prevedeva di non parlarci più se non fosse stato lui stesso a farlo per primo. Magari chiedendomi anche scusa e dandomi una spiegazione del perché i fattacci della sua ex lo interessassero tanto.
- Sì. Tutto bene, certo. Perché? –
- Oh – sorrise confusa, corrugando le sopracciglia – no, così. Credevo che almeno vi sedeste vicini in classe. -
E riguardò alle mie spalle.
A quel punto fui costretta a voltarmi anche io, lentamente e di malavoglia, per trovarlo effettivamente seduto nella mia stessa classe, qualche banco più indietro. Sentii il battito del mio cuore accelerare immediatamente mentre alzavo gli occhi per incontrare i suoi.
Era attorniato dalla solita folla di ragazze e ragazzi che lo circondavano inspiegabilmente dovunque andasse, e quel giorno sembravano tutti perlopiù interessati a me.
Lui compreso, anche se in modo decisamente poco positivo. Teneva le braccia incrociate al petto nella sua posizione di incazzatura standard, che tutto sommato non era malaccio – avevo visto di peggio.
Completamente insensibile al freddo, indossava solo una camicia a quadri arrotolata sui gomiti e un paio dei suoi jeans bassissimi.
Mi voltai di nuovo verso Michelle con una smorfia – Da quando è in questa classe? –
Fece spallucce. – Allora, vuoi sederti vicino a lui? –
- Oh, no, certo che no. – risposi decisa, non troppo forte per non farmi sentire nel silenzio imbarazzato della classe.
Doveva suonare abbastanza incoerente dato quel “va tutto bene” di poco prima, ma in quel momento la prof entrò tutta trafelata, scusandosi per il ritardo e prendendo posto alla cattedra.
Mi sentivo tesa, e per una sorta di egocentrismo assolutamente fondato sentivo gli occhi di tutti addosso a me.
Sospirai.
Beh, almeno ero riuscita a sedermi vicino a Michelle. Se quel giorno non ci fosse stata sarebbe stato decisamente…
- Scusa – sentii una voce ben conosciuta alle mie spalle che, per qualche strano motivo, mi fece contorcere lo stomaco su se stesso. – Ti dispiace spostarti? –
Michelle mi fissò per un attimo e raccolse velocemente il libro e la matita, per poi scomparire.
Neppure il tempo di protestare ed era già lì, abbandonato sulla sedia con la schiena al muro, i capelli impeccabili e uno sguardo truce ad oscurargli gli occhi.
Sospirai teatralmente, massaggiandomi le tempie. Come non detto.
- Perché sei qui? –
Parlai piano, ma la mia voce suonò più chiara di quanto avessi voluto. Non avevo mai sentito un tale silenzio durante l’ora di storia.
- Manca il nostro prof – mormorò. Come spiegazione mi sembrava plausibile, ma non intendevo indagare.
Mi fissò con uno sguardo talmente ostile che mi avrebbe quasi spaventato, se non mi fossi sentita tanto arrabbiata e frustrata contemporaneamente.
La prof iniziò a fare l’appello.
- Molto carino da parte tua cacciare via la mia amica. Ci stavo parlando. –
- Non mi interessa – alzò lievemente le sopracciglia, in quella sua espressione che sembrava rimbambita ma in realtà era solo concentrata – vuoi spiegarmi cosa ti ho fatto? –
Aprii la bocca, sorpresa dal fatto che non l’avesse ancora capito, ma poi la richiusi. – Se vuoi parlarmi potrai farlo in ricreazione, forse. Ora devo seguire la lezione. –
Lo sentii sbuffare, poi estrasse qualcosa dalla tasca. Poco dopo mi ritrovai con un iPhone nero sul libro, aperto alla schermata di un nuovo messaggio.
“Quanto sei pallosa. Dimmi qual è il problema.”
Gli lanciai un’occhiata di sottecchi e presi il telefono.
“So vhe sei uscito con lei.”
Gli allungai il telefono, spostando il diario davanti per nasconderlo.
Mi tornò indietro neppure dieci secondi dopo. Bloccato.
Ebbi qualche difficoltà a sbloccarlo, e con la coda dell’occhio vidi Justin battersi una mano sulla fronte.
“È vero. Ma se pensi che mi piaccia ancora sei completamente fuori strada.”
Alzai lo sguardo sulla prof: sembrava che l’argomento fosse un po’ noioso persino per lei, e in quel momento stava spiegando a voce bassa con la testa abbandonata sulla mano.
 “Forse e piu importante di me, se m hai lasciata da sola per lei”
Glielo passai ancora. Tenne gli occhi fissi sullo schermo per qualche istante. Alzò lo sguardo sulla cattedra, per poi tornare a digitare una risposta.
- Non bloccarlo – bisbigliai.
Sospirò.
“Crede di piacermi ancora, ma non è così. C’era solo bisogno di mettere le cose in chiaro. C’è un’altra ragazza che mi piace da impazzire ora, e non è lei.”
Per poco non lasciai cadere il telefono a terra.
Era ovvio che gli piacessi, per quanto inconcepibile potesse essere; ma leggerlo lì, scritto per davvero, mi fece sorridere come una cretina. Cancellai i messaggi e gli restituii il cellulare, cercando di recuperare un’espressione dignitosa. Non lo guardai.
Era probabilmente l’ora più silenziosa a cui avessi mai assistito: l’argomento era talmente soporifero che sembrava quasi un miracolo che ci fossero dei superstiti, e la loro attenzione era concentrata su tutto meno che sulla spiegazione.
Tutti sapevano di me, nonostante non mi facessi vedere spesso in giro con Justin. Avevo un carattere troppo chiuso e passavo la maggior parte del mio tempo in casa a studiare; per quanto ricordassi, lo avevo accompagnato qualche volta ad allenamento o alla pista da skate in cima alla città, a cui bisognava aggiungere la serata stupenda in cui ci eravamo parlati per la prima volta. Probabilmente quella era la fine della lista.
Per non so quale strana coincidenza di eventi inoltre non avevo neppure conosciuto i suoi amici, e potevo quasi dire che la cosa non mi dispiacesse fino in fondo. Il nostro rapporto però, tutto sommato, era abbastanza strano.
Justin si abbandonò di nuovo contro al muro, soddisfatto della mia reazione al suo messaggio.
In seguito cercai di fingermi interessata alla lezione, impresa che risultava ardua dal momento in cui teneva gli occhi fissi su di me, mettendomi naturalmente a disagio.
Gli lanciai qualche occhiata eloquente che ignorò bellamente: perciò, decisa a non usare più quel maledetto telefono, sussurrai – puoi smetterla di farmi i raggi x? –
Si protrasse verso di me, prima di lanciare un’occhiata veloce alla prof. – Che hai fatto ai capelli? – bisbigliò, fissandoli con l’ombra di un sorriso sulle labbra piene.
In quel momento la campanella suonò, facendo ridestare l’insegnante e buona parte dell’aula da uno stato comatoso di dormiveglia.
- Li ho solo pettinati – risposi a voce alta, mentre tutti si ridestavano e iniziavano a rialzarsi. Dato lo stato piuttosto comatoso della classe, fummo i primi ad uscire. Mi si affiancò passandomi un braccio sulle spalle per avvicinarmi a sé.
– Forse dovresti pettinarli più spesso – osservò, spostandomi i capelli dietro la schiena con l’altra mano.
Sorrisi, un po’ in imbarazzo ma decisamente lusingata.
- Che lezione hai adesso? – salutò un ragazzo che non conoscevo, prima di prestarmi nuovamente attenzione.
- Due ore di ginnastica. Ma ho casualmente dimenticato la roba a casa, perciò non la farò. –
Ridacchiò – non sei molto portata, vero? –
- La ginnastica è inutile. E comunque sono portata per tante altre cose. –
- Ah sì? Ad esempio? –
- Beh, non saprei. Ad esempio… - di colpo mi resi conto che la strada per la palestra era dall’altra parte. Il corridoio era quasi deserto. – Dove stiamo andando? –
- A fumarci una sigaretta – ribatté tranquillo, come se fosse stato il nostro scopo fin dall’inizio. – Dicevi? –
Mi fermai subito – ma io ho lezione ora! –
- Ma dai? – si fermò, inarcando le sopracciglia scure – anche io se è per questo – sbuffò rincamminandosi, e mio malgrado fui costretta a seguirlo.
- Se ci trovano è un casino – mugugnai, ormai rassegnata. Svoltammo l’angolo scendendo le gradinate interne che portavano al retro della scuola: in quel tratto non c’era anima viva.
- Quattro anni che vengo qua e non mi hanno mai beccato. E poi smettila, stai diventando noiosa – sorrise.
La porta a vetri dava su un piccolo porticato adiacente ad un giardino incolto. Le finestre delle classi erano completamente serrate.
Mi sentivo il cuore battere forte, continuando ad osservarmi intorno nervosamente e sperando dal profondo del cuore che nessuno ci vedesse. Non avevo mai fatto una cosa del genere e non ero propriamente sicura del fatto che quella dovesse essere la prima volta.
Ci sedemmo sul marciapiede contro al muro. Incrociai le gambe mentre lui le distese davanti a se, sospirando. Infilò la mano in tasca quando – oh, fanculo – sbottò – le ho lasciate in classe! –
- Fantastico – borbottai. Imprecò, estraendo il cellulare dalla tasca e inviando un messaggio.
- Non è grave, andiamo – commentai. Ricevetti in risposta solo un lamento contrariato.
Risi, alzandomi per poi pulirmi i pantaloni. – Direi che ora possiamo tornare a lezione, finalmente. –
Ma non si mosse.
- Aspetta… - si passò una mano fra i capelli, facendomi poi segno di sedermi di nuovo – c’è qualcosa di cui vorrei parlarti. –










Scusate.
So che questo capitolo è molto brutto, non è di certo qualcosa per cui vale la pena aspettare, ma sono quelle cose di transizione che purtroppo sono necessarie, un po' come andare dal dentista a togliersi i denti. Il senso del titolo (e qualcosa di decente si spera) si scopriranno nel prossimo. Per ora spero che tanto basti a pararmi il culo perchè, a dirvi la verità, non so niente di ciò che succederà.
Alcune di voi mi hanno detto "so che sei molto impegnata ma per favore cerca di aggiornare presto" la verità? Non sono impegnata per niente. Non faccio un cazzo da mattina a sera.
Il fatto è che sto passando un momento veramente penoso, il periodo più brutto della mia breve vita per quanto ne so, e mi riesce difficile fare qualsiasi cosa che non sia stare in casa a cazzeggiare.
Sono arrivata al punto di avere (non voglio fare invidia a nessuno, chiedo scusa in anticipo) due biglietti in tribuna per il concerto del ragazzo che aspetto di vedere da anni, ad un'ora di macchina da casa mia e dubitare seriamente di riuscire ad andarci.
Questo, per chi non riuscisse ad immedesimarsi, è un trauma.
Non starò ad annoiarvi con le mie vicende personali perché non voglio fare vittimismo, e poi ho un'ultima cosa da dire:
Grazie.
Credevo davvero in questa storia quando l'ho pubblicata. Ora, a distanza di tempo, mi rendo conto che è stupida e banale, ma ci ho messo e - per quanto mi è possibile - continuo a metterci il cuore. Non posso credere che sia finita in classifica e che se la stia cavando bene, perchè la mia vita ora è un totale disastro e vedere che almeno qui io sono qualcuno e ciò che faccio è qualcosa che piace, voi non avete idea di quanto significhi per me. Tengo un sacco a questa storiella e ad ogni fantastica ragazza che mi continua a recensire e a sostenere nonostante i miei vergognosi ritardi e i miei contenuti spesso discutibili.
Io spero solo di riuscire a mettere un po' di ordine in me stessa, e di conseguenza nel mio scrivere, e di portare questa storia al livello che credevo meritasse cinque o sei mesetti fa. Se non capite non vi preoccupate. Non ha senso.
Spero di riuscire a continuarla senza deludere nessuna di voi. Vi adoro.
A presto.

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Capitolo 15
*** Got to find other ways. (II) ***


Attenzione, prego.
Si avvisa che ognuno di voi ha il diritto di mandarmi a fanculo per il mio enorme ritardo ANCORA. Non mi capacito di questi ritardi, davvero. Come vi ho già detto è un periodo NERO ma nonostante tutto sto iniziando a migliorare, lentamente, e mi sembra incredibile.
Quindi posto questo capitolo che, vi avverto, senso e coerenza non ne ha neanche un po'. Ma avevo voglia di scrivere e ho pensato che se devo scrivere qualcosa che non mi piace giusto perchè sia coerente con il resto della storia, meglio scrivere qualcosa di molto sentito che magari non c'entra un cazzo. Avrò fatto delle ripetizioni assurde lol ma scusatemi.
Se trovate la cosa penosa, troppo esagerata per il tipo di storia, allora non fate altro che commentare nel modo più sincero possibile. Come mi disse qualcuno una volta, le critiche servono molto più dei complimenti per andare avanti. Io credo che servano entrambi, ma ad ogni modo questo è quanto.
Sono emozionata come una bambina e non so neanche perché, ma ho riletto tutte le vostre recensioni e ho visto che ci tenevate così tanto, quindi...
Spero vi piaccia.





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Richiusi la porta malconcia dello spogliatoio alle spalle e appoggiai zaino e borsa sulla panca di legno, tra un mare di altre borse e vestiti delle mie compagne. Un’occhiata al mio cellulare preistorico mi rivelò che forse, se mi fossi sbrigata, sarei riuscita ad entrare in palestra prima dell’appello. Sfilai la giacca e le scarpe contemporaneamente, sperando che l’insegnante non si accorgesse della mia assenza nonostante il ritardo.
Justin aveva infine desistito dal suo proposito originario di “chiacchierare un po’”; ad ogni modo, malgrado le rassicurazioni, il tono gentilmente disponibile che aveva usato mi dava tutti i motivi per essere preoccupata.
Avevamo deciso – lui aveva deciso, per la precisione – di rimandare il discorso a quel pomeriggio; poi era uscito da scuola, come se andarsene alla seconda ora di lezione fosse la cosa più normale del mondo, affermando candidamente che si era rotto le palle.
Infilai la maglia bianca con il logo della scuola, chiedendomi di cosa mai ci fosse bisogno di parlare. Per la verità avevo qualche idea, ma speravo sinceramente di sbagliarmi.
Quando aprii la porta con un piede, le mani impegnate a raccogliere i capelli in una coda di cavallo, per poco non inciampai in due ragazze accampate fuori dagli spogliatoi. Ero sicura di non averle viste prima di entrare e, data la velocità con cui mi ero cambiata, non potevano essere lì da più di un minuto.
Imbarazzata arrotolai le dita nell’ultimo giro dell’elastico ma, quando feci per proseguire, una di loro mi chiamò.
Per nome.
- Sì? – risposi un po’ sorpresa, improvvisamente dimentica del ritardo.
Per qualche istante si guardarono negli occhi; poi quella che mi aveva chiamato, una ragazza bionda che avevo già visto in giro per la scuola, si rivolse nuovamente a me – Eri con Justin prima? –
La fissai un po’ storto, domandandomi per quale razza di motivo due sconosciute seguissero i miei spostamenti.
- Justin Bieber, intendo – aggiunse.
- Sì – replicai, piuttosto duramente – perché? –
Parve sorpresa mentre passava gli occhi azzurri su di me, scannerizzandomi. L’altra fece lo stesso, concludendo poi con una finta occhiata disinteressata al cellulare in un tentativo di mascherare lo sgomento nel suo sguardo che, ovviamente, non riuscì.
- State insieme? – aggiunse poi, fissandomi ancora.
Ora si spiegava tutto.
In quel momento mi sentii tremendamente male. Certo che stiamo insieme, avrei voluto risponderle, gelosa di lui fino al midollo, ma d’altra parte sentivo che la risposta più giusta sarebbe stata qualcosa tipo “non per molto ancora”. Le cose non andavano bene, lo sentivo sulla pelle, e speravo non si notasse da fuori.
Socchiusi gli occhi.
- Può darsi – riuscii a rispondere, tagliente. Nonostante tutto lei sembrò rilassarsi. Assunse un’espressione rassegnata e – sei fortunata – commentò mestamente. L’altra aveva ancora uno sguardo scettico e sembrava voler urlare “il più figo della scuola sta con questa perdente? Davvero?” ma riuscì a trattenersi.
Quando fu ovvio che nessuno aveva più nulla da dire girai sui tacchi, lanciando un’ultima occhiata alle due, poi entrai in palestra, mille volte più arrabbiata, insicura e gelosa di prima.
Come previsto, tutti mi notarono quando entrai. Il prof diede ordine agli altri di continuare la partita, dirigendosi poi a passo veloce verso di me.
- Williams – affermò risentito – come mai così in ritardo? –
- Io.. – scossi appena la testa, per cercare di scacciare tutti i sentimenti che quella brevissima conversazione aveva fatto tornare a galla. – Il professore di inglese mi ha trattenuta un attimo – buttai lì, sperando fosse credibile.
- Trattenuta per… - controllò l’orologio a polso, aggrottando poi le sopracciglia scure – mezz’ora? –
- Beh, sì – giocherellai nervosamente con la parte posteriore del telefono, che cadde a terra. Mi chinai per raccoglierla e – la mia ultima verifica non è andata tanto bene – aggiunsi sottovoce in tono confidenziale, ammiccando.
Mi guardò storto, poi sbuffò. – Scegli una squadra – ordinò rassegnato, per poi tornare verso la partita di pallacanestro.
Mugugnai in disapprovazione per la tremenda scusa che mi ero inventata – non era proprio il mio forte – e quando ricontrollai il telefono, il simbolo di una letterina era apparso in alto a destra, accanto alla batteria. Aprii il messaggio.
Oggi pomeriggio passo io a prenderti, così sono sicuro che non mi scappi. x
Sorrisi alla x finale, e non riuscii a fare a meno di sentirmi meglio. Per quanto tutta questa storia fosse assurda – il più figo della scuola e la perdente, intendo - forse non sarebbe stato terribile come avevo immaginato. Forse “dobbiamo parlare” non era sempre sinonimo di cattive notizie: tuttavia data la mia poca esperienza nelle relazioni, non ne avevo idea. Lasciai il telefono sul tavolo insieme agli altri.
- Buongiorno – mi accolse Adam, i pantaloni che ricadevano sulle gambe magre e le maniche della maglietta arrotolate. – Come mai così in ritardo? –
- È una lunga storia – risposi noncurante, sperando che sarebbe bastato a distoglierlo dall’argomento.
- Già – fece, mentre mi seguiva verso il fondo del campo. – Sarà meglio che tu e le tue scarse capacità ginniche vi concentriate sulla partita. – Ammiccò. Gli sillabai un “vaffanculo” in risposta, poi ci sorridemmo a vicenda e per qualche istante sembrò quasi che tutto andasse bene.
Adam era bravo a basket. Durante la prima mezz’oretta feci finta di giocare, seguendo lo spostamento di massa ed addentrandomi di tanto in tanto in mezzo alla mischia per dare credibilità al mio interesse verso il gioco. Adam era gentile abbastanza da fermarsi per qualche commento durante le pause o le rimesse, ma non tanto stupido da passarmi la palla o cercare di farmi partecipare. Dopo poco fui costretta a rinunciare e mi sedetti accanto alla maggior parte delle ragazze che, come me, erano già stanche.
Aspettai cinque minuti per riposarmi e recuperare il fiato, poi osservai il prof. Sembrava abbastanza preso, come tutti gli altri. Mi guardai intorno ancora un attimo prima di sgattaiolare verso l’uscita, badando bene a recuperare il telefono prima di tornare nello spogliatoio.
Le due tipe di prima non c’erano più.
Mi sedetti tra i vestiti disordinati, appoggiando la testa all’indietro contro il muro di piastrelle pieno di scritte colorate, poi presi in mano il telefono.
Dove sei?” digitai velocemente, abituata alla mia cara e vecchia tastiera.
Non dovetti attendere molto prima di sentire la suoneria attutita a causa dei vestiti su cui avevo appoggiato il telefono.
In giro. Perché?
Era una cosa pazza e senza senso. E assolutamente non giusta. E punibile in termini di regolamento scolastico.
Ma più pensavo al tempo che dovevo ancora trascorrere a scuola, a ciò che doveva dirmi, alla sua assenza, più avevo voglia di scappare.
Non farlo”sussurrai a me stessa. Ma per la prima volta dopo tanto tempo, non mi ascoltai.
Tolsi in fretta la maglietta e i pantaloncini, indossando i jeans. Spruzzai una buona dose di deodorante nonostante non fossi molto accaldata, poi infilai nuovamente la maglia.
Vienimi a prendere” digitai, raccogliendo la giacca che era caduta a terra.
 
 
- Wow – fu la prima cosa che disse quando, dopo aver buttato zaino e borsa nei sedili posteriori, mi abbarbicai nel posto accanto al suo, chiudendo lo sportello. – Davvero lo stai facendo? –
- Non chiedermelo. Andiamo via – allacciai la cintura, guardandomi intorno nervosamente.
La macchina tuttavia restò ferma; quando mi voltai per fissare Justin con sguardo interrogativo, si limitò a ridacchiare.
- Sembra che tu abbia molta fretta – constatò. Era alle prese con una confezione di cartine e sembrava non gli interessasse molto che qualcuno potesse vederci.
- Sai, è la terza ora e dovremmo essere entrambi dietro i banchi quindi… Sì, sono un po’ nervosa – replicai ironicamente. – Parti? –
Lanciò un’occhiata prima a me, poi al finestrino, tornando a rollare la sigaretta con una tranquillità incredibile. Infilò un filtro bianco tra le labbra, per poi riprenderlo qualche secondo più tardi. Sbuffai, distogliendo lo sguardo.
Lo sentii ridere ancora e – Oh, andiamo – iniziò con un tono estremamente divertito – dov’è finito tutto il tuo coraggio? –
Mi stava prendendo in giro. Senza dubbio.
Mi voltai verso di lui risentita, pronta a rispondere, ma mi bloccai immediatamente quando lo vidi tirare fuori la lingua per passarla lentamente sul bordo della cartina. Mi lanciò un’occhiata, trovandomi con gli occhi incollati alle sue labbra; solo in ultimo riuscii a spostare lo sguardo, deglutendo.
Durò tutto soltanto un paio di secondi, ma fu molto imbarazzante. Ed eccitante.
Sentivo le guance bruciare mentre i miei occhi scorrevano distratti lungo la strada, tornando a controllare che nessuno ci vedesse. Seguirono alcuni scatti dell’accendino e la macchina partì qualche secondo più tardi, mentre l’odore del fumo riempiva l’abitacolo.
- Sembri agitata – commentò, una volta che fummo usciti dal parcheggio della scuola. C’era poca circolazione per le strade, e il cielo si stava scurendo.
Sapevo benissimo a cosa si riferiva, e lo sapeva anche lui.
Non risposi.
- Dove andiamo? – domandai invece, dopo essere quasi riuscita a recuperare la calma. Probabilmente avrei fatto meglio a tenere lo sguardo fuori dal finestrino: guardarlo fumare era quasi più spossante che giocare ad una partita di pallacanestro. Ad ogni modo non riuscii a resistere e lo guardai, trovandolo già intento a fare la stessa cosa. Gli sorrisi appena.
- Dovunque tu voglia andare – non tentò neppure di sdrammatizzare la solennità della frase, continuando a fumare.
Ci pensai per qualche istante.
- A casa mia – decretai, prima di poter avere altri ripensamenti. Non ero per niente sicura e probabilmente se ne accorse anche Justin, che mi rivolse uno sguardo un po’ sorpreso.
– A casa tua? –
– Se vuoi – aggiunsi, fingendo di mettermi seduta meglio. Iniziavo ad essere agitata.
- Certo – rispose, ma potevo sentire dalla sua voce che era stupito almeno quanto me.
Per il resto del viaggio non fumò più.
 
 
 
La prima cosa che fece una volta entrato in camera, fu analizzare attentamente ogni cosa visibile.
Mi sedetti sulla scrivania, a disagio nella mia stessa stanza, accarezzando Norberto che continuava a lanciarmi dei miagolii sussurrati per avvertirmi dell’intruso, pensando evidentemente che non fossi abbastanza intelligente per accorgermene.
Dovevo ancora capacitarmi della sua presenza in effetti, e i sensi di colpa per aver saltato la scuola mi stavano assalendo, ma ormai era troppo tardi. Avrei dovuto pensarci prima.
- E questo? – si piegò sulle ginocchia per riuscire a leggere l’inscrizione su un piccolo quadro di velluto nero che avevo lasciato a terra appoggiato al muro.
- Non leggerlo, per favore – mi lamentai.
- Terza edizione del concorso nazionale indetto dall’ufficio di alta matematica – lesse. Nascosi il viso in una mano, sospirando. – Seconda classificata. – Tolse la polvere dalla cornice con un dito – sei un mostro, in poche parole. –
- Non è come sembra, era… molto facile. Erano cose basilari. –
Si voltò verso di me, un sorriso di circostanza sulle labbra, uno di quelli che si fanno quando la mente è già impegnata. Lo guardai curiosa.
- I tuoi genitori devono essere fieri di te – osservò distratto.
- Mia madre – sottolineai – è fiera di me. –
Mi guardò senza proferire parola.
- Mi piace studiare – continuai, spostando il discorso. Norberto scese con un balzo dalla scrivania e uscì dalla stanza. Forse iniziava ad annoiarsi.
- L’avevo intuito – disse Justin rialzandosi, allontanandosi lentamente verso la finestra.
A quel punto era evidente che aveva qualcosa da dire. Restai in silenzio, inclinando appena la testa.
Si appoggiò al muro, tenendo lo sguardo voltato verso le case dall’altra parte della strada. Il cielo si rifletteva nei suoi occhi scuri, rendendoli più chiari.
- Dev’essere questo il motivo per cui non esci con me – dedusse, il tono non abbastanza basso da non essere udito.
A quelle parole sentii una sensazione di freddo lungo la schiena.
– Che intendi dire? – chiesi, quasi obbligata, abbassando lo sguardo dal suo viso al torace, poi alle gambe e infine al pavimento.
C’eravamo.
Scosse la testa senza troppa convinzione, come per cancellare quello che aveva detto. Tornai a fissarlo in silenzio, sapendo che c’era dell’altro.
- Voglio dire – spiegò – è come se tutto stesse finendo un po’ alla volta, no? – infilò le mani in tasca e in quell’istante avrei pagato per sapere il motivo per cui non mi guardava.
– Non eri la ragazza giusta per me, Lily – sentenziò, facendomi quasi crollare il mondo addosso – non ancora ma, sai, avremmo potuto lavorarci. –
Infine si voltò lentamente, trovandomi con un’espressione probabilmente disperata, anche se ancora ferma immobile.
– Tu saresti diventata quella giusta per me, e io avrei fatto lo stesso. Volevo davvero provarci e sentivo che, molto in fondo, anche tu lo volevi. –
Mi sorrise amaramente, e la nostalgia e la mancanza di momenti mai vissuti mi travolsero, opprimendomi.
Sostenni il suo sguardo, non disposta a far finire tutto.
Volevo disperatamente quelle labbra, quel sorriso, volevo essere il centro dell’attenzione di quegli occhi. La consapevolezza di tutto ciò che provavo per lui mi si aprì davanti, ed era come vedere tutto da una prospettiva nuova. Mi resi conto con un nodo alla gola, nel momento in cui se ne stava andando, che lo amavo e che per lui avrei potuto fare ed essere di tutto.
Interruppi il suo monologo con la domanda più scontata e più adatta al momento, sebbene conoscessi già la risposta – perché parli al passato? –
Forse non era ciò che voleva vedere. Ero ancora immobile, con gli angoli della bocca tirati verso il basso come un sorriso fatto nel modo sbagliato, le mani fredde sotto alle cosce e le caviglie intrecciate, e nonostante dentro stessi morendo da fuori sembravo la personificazione del disinteresse. Volevo urlargli che non era così, ma mi precedette.
- Dio, perché sappiamo entrambi quanto tempo ti ho lasciato, piccola –  rabbrividii, chiudendo gli occhi bagnati.
Il mio posto avrebbe dovuto essere tra le sue braccia, in quel momento.
Fece una pausa, per guardare l’effetto delle sue parole su di me. Forse questo era ciò che voleva vedere.
– Ormai non credo ci sia più niente da.. –
Risi, interrompendolo. Non riuscii a guardare la sua espressione perché gli occhi erano serrati e neanche le lacrime potevano scendere, ma la immaginavo bene.
E così, avevo rovinato tutto.
Non ero riuscita a capacitarmi di ciò che avevo tra le mani, neppure l’invidia delle altre ragazze o gli sguardi che, avrei dovuto capirlo, Justin regalava soltanto a me e a nessun’altro erano riusciti a svegliarmi dalla mia apatia. E per colpa della timidezza, o della mia scrupolosità nella scuola, o della paura o di qualsiasi altra fottuta cosa, avevo rovinato tutto.
- È assurdo, non è vero? – sorrisi ancora. Aprii gli occhi, trovandolo nella stessa identica posizione di prima, ma lo sguardo non era più su di me ed era impenetrabilmente teso.
Neppure lui voleva che finisse.
- Perché siamo così diversi e sembra tutto impossibile, ci siamo frequentati per così poco tempo che sappiamo pochissimo l’uno dell’altra ed è solo colpa mia – dissi tutto d’un fiato, rendendomi conto che per la prima volta mi prendevo tanta confidenza nei suoi confronti.
– Non sei il ragazzo che nessuna persona sana di mente immaginerebbe per me, e da fuori è come se non c’entrassimo niente insieme, ma dentro sento che per te.. – non riuscii a proseguire perché mi interruppe a sua volta.
- È quello che sento anche io – mi sorrise, dopo aver capito che provavo la stessa cosa. Passò una mano tra i capelli, abbassando la testa, e quando la rialzò mi sembrò di vedere qualcosa brillare sulla guancia, ma sicuramente mi sbagliavo.
- È come se ti conoscessi così bene e allo stesso tempo non ti conoscessi neanche, riesci a capirmi? – chiese sottovoce. Annuii forte in risposta, passandomi una mano sugli occhi. Capivo perfettamente.
- Ho avuto tante ragazze, credimi, ma non mi è mai capitato di riuscire ad immaginarmi insieme a loro. E anche se la realtà è totalmente diversa, io… abbassò lo sguardo sulla camicia sbottonata – mi piace ciò che potremmo essere insieme...  Ma tu non fai niente per me – concluse. Ci sostenemmo lo sguardo a vicenda; sembrava che i ruoli si fossero invertiti e la sua espressione era leggermente imbarazzata. Stavamo tirando fuori tutti e due quelle emozioni che un mese fa non avrei creduto possibile provare, e il modo in cui ci sentivamo giusti l’uno per l’altra mi riempiva di una felicità stridente con la situazione.
- È la prima volta – gli confessai, come si svela un segreto ad una persona di cui senti di poterti fidare. – È la prima volta in ogni senso e anche se non so come devo comportarmi, io… Voglio che tu stia con me. –
Il mio sguardo era fisso nel suo.
Annuì appena, un sorriso che si allungava sulle sue labbra, e notai gli occhi impercettibilmente arrossati.
- Vieni qui – bisbigliò, e senza neppure accorgermene eravamo già stretti l’uno all’altra, in un abbraccio talmente soffocante da sembrare quasi irreale.
Era forse il primo abbraccio in assoluto.
– Se vuoi ancora provarci, ti insegnerò io – mi baciò i capelli, mentre mi stringevo ancora di più a lui, fermandolo contro il muro.
Annuii, sospirando.
Era difficile credere che fossimo ancora noi due, quelli che fino ad un momento fa chiacchieravano e scherzavano con un muro invisibile alzato tra di loro e ora si ritrovavano stretti l’uno all’altra, le lacrime sul volto e i resti delle barriere spezzate sparsi sul pavimento.
- Mi piace tutto di te – mi sussurrò all’orecchio, stringendomi le mani sui fianchi per avvicinarmi. La voce ora era molto più sicura e la sentivo completamente diversa. Sapeva di sicurezza, e di tranquillità. La adoravo.
Mi sentivo diversa. Mi sentivo emozionata ed eccitata, perché stavo per ricominciare con la persona più giusta e allo stesso tempo più sbagliata.

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Capitolo 16
*** avviso. ***


Ciao a tutte, guardate un po' chi si rivede.

Ho riletto più volte il regolamento di efp e non avendo trovato nulla in contrario, scrivo due righe per spiegarvi la situazione  (e so benissimo che se ho fatto qualcosa contro il regolamento, l'amministrazione non si farà alcun tipo di problema a segnalarlo).

Dunque. Lasciate che vi dica che io tenevo alla storia.
Come ho spiegato a qualcuno che si è recentemente interessato alla mia salute (grazie) ultimamente non riuscivo più a scrivere nulla, neppure un capitolo finale (cosa che, tra parentesi, ho provato a fare spesso).
Bene. Inoltre il mio rapporto con Justin - e con i cantanti famosi in genere - si è complicato, perchè ormai sono talmente presa dal mio dolore che riesco ad interessarmi a poco altro.
Ergo, facciamola breve che non frega a nessuno: vi prego di scusarmi per essere sparita dalla circolazione.
Per i miei ultimi ritardi pazzeschi che hanno superato la soglia dei quattro mesi.
Per aver tirato tutto per le lunghe senza mai concludere niente.
Per aver scritto una storia perfetta, nella mia testa, senza mai averla tradotta sulla 'carta'.

E vi ringrazio per, nonostante tutto, aver continuato a cercarmi, a recensire inutilmente, a interessarvi a me sia come scrittrice che come persona, di questo vi sono estremamente grata.
Credo che per un po' non scriverò più niente, e credetemi, mi dispiace da morire perchè ho un mondo di schifo dei sentimenti più disparati da esprimere, ho una gran voglia di scrivere, di migliorarmi, di estraniarmi da questa realtà in cui non voglio più stare.
Ma vabbè.

Per qualsiasi cosa, contattatemi pure su twitter (xdontwakemeup) e grazie, ancora, a tutti.
Baci
Ari
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