Sogno reale

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Speranze ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Piani ***
Capitolo 4: *** Realtà/Helios ***
Capitolo 5: *** Realtà/Gioie e insidie ***



Capitolo 1
*** Speranze ***


Sogno reale 1

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

1 - Speranze

   

   

 Aveva ricevuto il suo primo bacio a novecento anni - anno più, anno meno - durante i suoi allenamenti nel ventesimo secolo. Il secondo bacio lo aveva offerto lei stessa allo stesso ragazzo - capelli argento, occhi d'ambra, un viso infantile che l'aveva incantata, piccola com'era stata.

Poi era tornata a casa. Era cresciuta.

Il tempo che l'aveva immobilizzata in una forma di bambina aveva smesso di essere crudele. Le sue membra si erano allungate, il suo corpo si era fatto morbido e grande.

Small Lady, un epiteto che si era perso nel passato. Era diventata My Lady, My Princess, legittima e riconosciuta erede al trono.

Quanto tempo è passato, Helios?

Pochi anni o i nove secoli che la separavano dal passato?

A volte non lo sapeva più.

La sua infanzia non le mancava, tanto a lungo era durata. Bramava di lasciarsela alle spalle, ricordando solo gli ultimi anni, i più preziosi. Le battaglie con Usagi, Mamo-chan, le ragazze. Ed Helios, officiante di Elysion, il suo primo amore.

Non ti ho mai dimenticato. Gli avrebbe detto così se per lei 'mai' non fosse stato un concetto troppo astratto per essere preso sul serio.

In nove secoli aveva dimenticato molte cose che aveva tentato di cristallizzare nei ricordi. Lo sapeva dalle immagini che vedeva di se stessa di tanto in tanto, quando i suoi genitori la invitavano commossi a riguardarsi in uno degli innumerevoli - troppi - video che avevano di lei.

Guarda quant'eri piccola! singhiozzava sua madre, la grande Regina Serenity. Tornava Usagi Tsukino nel piagnucolare disperata per la nostalgia di non poterla più sollevare tra le braccia. L'aveva fatto tanto a lungo da credere che sarebbe stato possibile per sempre.

Mamma, le diceva lei, accarezzandola su una spalla. Guarda che sono qui, puoi stringermi quando vuoi. Sua madre le si gettava addosso, stritolandola d'affetto sino a mozzarle il respiro. Unendosi a loro, suo padre le abbracciava intenerito, deglutendo un nodo alla gola.

Solo di recente Usagi li aveva scoperti vulnerabili e simili a lei. Finalmente li capiva.

Tutto cambia e tutto resta come prima, pensava, stretta a loro. Era in grado di guardare sua madre senza più alzare gli occhi, trovando finalmente il viso di lei alla stessa altezza. Suo padre era solo poco più alto di Mamoru. Era Mamoru. I suoi genitori erano stati ragazzi normali, con insicurezze, difetti e tante preoccupazioni. Persone umane, fallaci. Lei li amava per averle permesso di vedere oltre quel velo di perfezione che dovevano indossare per chiunque altro, necessario al loro ruolo.

Cresceva e in lei aumentavano le domande.

Vedeva i suoi genitori per ciò che erano solo per aver parlato coi ragazzi che erano stati? Non era piuttosto perché era cambiata lei stessa?

Con la maturità il mondo acquisiva ogni giorno sfumature affascinanti. Tutte le persone che conosceva diventavano più complesse; scopriva in loro sfaccettature che a volte la sorprendevano, a volte la turbavano. Se ne faceva una ragione rapidamente, abbandonando la visione di bianco purissimo, privo di macchie, con cui aveva soppesato la realtà.

Wow. Sono sempre vissuta in un mondo come questo? Già, e neppure mille esclamazioni di meraviglia sarebbero bastate per i suoi nuovi ragionamenti e pensieri.

Del passato le mancava da morire una cosa sola.

Helios.

Ti va di tornare da me?

Glielo chiedeva quando era sul punto di addormentarsi, allungando felicemente le gambe sino a trovare il bordo del letto. Gambe da persona grande, gambe finalmente lunghe.

Mi senti, lo so.

Spesso sognava di lui, ma non sognava con lui. Helios non veniva più a trovarla.

Forse lui aveva amato solo i suoi sogni di bambina. Magari non la riconosceva più, ora che lei era grande.

“Ci rivedremo, fanciulla.”

Bugiardo.

Se lui aveva intenzione di ripresentarsi, quello era il momento giusto per farlo.

Voglio l'amore, Helios. Sono una fanciulla grande ora.

Si risentiva tra sé per la mancanza di un segno, lasciata sola con la propria speranza.

So che mi senti.

Non era possibile che lui avesse smesso di esserne capace.

Torna da me, per favore.

Si addormentava accarezzando le coperte, graffiando lievemente la stoffa con le unghie. Avrebbe voluto passare le mani su di lui nello stesso modo.

Trova il modo di farti rivedere. Non fare il codardo, vieni qui. Guardami per ciò che sono diventata.

 


  

La sua fanciulla era un delizioso tormento che lo distraeva continuamente.

, le rispondeva Helios nella propria testa, mentre agitava le mani e l'anima, aiutando un nuovo sogno a realizzarsi.

Sì, fanciulla, forse sono codardo.

Per la propria titubanza aveva delle scusanti. Doveva assolvere ai suoi molti compiti - gli ultimi.

Dopotutto si preparava a lasciare il suo incarico.

Niente lo rendeva nervoso come sentire la realtà che formicolava a un soffio dalle sue dita.

Solo immaginazione, una sensazione, si diceva. Eppure il timore riaffiorava quando si concentrava sul proprio futuro: sarebbe andato a vivere per sempre in una realtà che non comprendeva, senza più possibilità di tornare indietro.

Non sono neppure mai stato un bambino.

Erano le sue mani di preadolescente a rivelarlo. Il termine per quello stadio di maturità fisica lo aveva appreso dalla sua fanciulla. Tramite i sogni di lei aveva lentamente scoperto una coscienza di sé più complessa, vagamente intimidatoria.

Prima di incontrarla non aveva pensato alle anime che sorvegliava in termini umani - come 'grandi' o, per contrasto, come 'piccole'. Aveva avuto una coscienza vaga delle diverse fasi di vita affrontate da una persona.

Sapeva che, da principio, tutti i sogni erano più luminosi e carichi dietro il riflesso degli specchi. In seguito essi diminuivano in numero e si mischiavano a pensieri e ricordi di vita vissuta. Era stato il suo concetto di tempo.

Prima di conoscere lei, aveva costruito una coscienza di se stesso - come essere umano - in circoscritte occasioni, quando aveva sollevato lo sguardo per osservare quei pochi altri che aveva conosciuto nella sua onirica realtà.

Nehellenia, triste ricordo.

Il suo principe, figura da rispettare.

E naturalmente lei, la mia fanciulla. Più bassa di lui, tanto più vicina a comprenderlo e a entrare in sintonia con la sua anima sfuggente.

Chi sono io?

Stando vicino a lei, Helios aveva imparato a essere più di un dovere e più di una funzione, più della gioia di prendersi cura di un sogno. Da quando si erano salutati, non aveva mai abbandonato la sua fanciulla.

Lei se n'era accorta.

Sognava di lui, sprazzi di immaginazione lucente che lo attiravano senza scampo. La sua fanciulla gli faceva percepire continuamente il proprio desiderio di rivederlo. Il loro era un contatto sempre aperto. Quel legame gli aveva permesso di appropriarsi dei frammenti di informazione necessari alla vita di cui voleva far parte.

Concetti, sensazioni, percezioni che lo confondevano, ma le sue poche certezze erano diventate una bolla che lo teneva prigioniero, lontano da lei, negandogli la felicità.

Sono un ragazzino.

Era stata una delle consapevolezze più dolorose. Lentamente, con inesorabile incedere, si era avvicinato al concetto di un dolore personale, la sofferenza di un sentimento ferito che fosse minimamente egoista.

Lui non cresceva come la sua fanciulla. Lei stava evolvendo assieme ai propri desideri, tanto rapidamente da renderlo inadeguato nel paragone.

Da principio Chibiusa aveva sognato di lui e di baci, gesti casti e leggeri che gli avevano ricordato il contatto percepito dalle sue stesse labbra. La realtà che lo aveva visto materiale e vivo, solo per breve tempo, era rimasto un ricordo nitido nella sua mente. Fuori dai sogni, rammentava un unico contatto sulla bocca. Uno sfioramento così...

Nella realtà i baci erano contatti fisici che sapevano di calore e concretezza, che facevano sentire formicolanti, deboli e forti, accesi. Lui aveva usato il gesto per trasmettere energia alla sua fanciulla morente, ritrovandosi punto da una fitta di sensazioni ignote e meravigliose.

Non si era atteso nulla di simile: il loro bacio onirico era stato un momento di dolcezza differente. Per Chibiusa quel contatto aveva rappresentato un incontro d'anime intenso, perfetto - il gesto adatto a restituirle l'energia vitale, aveva concluso Helios nel momento del pericolo. Non si era reso conto di cosa lo attendeva nel premere la bocca su quella di lei.

Ora aveva un ricordo reale dell'atto.

Un casto bacio, un bacio casto. Poche parole che lui sussurrava tra le labbra.

Per la sua fanciulla quel momento non era più materiale da sogno: i baci delle fantasie di lei avevano assunto nuove sfumature. Erano diventati baci divertenti, imbarazzanti, pieni di... emozione.

Helios riconosceva l'attesa trepidante di lei come l'ombra di un'immagine lontana, di cui distingueva i contorni senza conoscerne i dettagli. Chibiusa era spaventata dall'emozione intensa dietro quei gesti. Col passare del tempo - anni per lei, per lui... ebbene, molto meno - la situazione era peggiorata.

Poteva intimorirlo sapere cosa provava la sua fanciulla, ma era atterrito dal non riuscire più a cogliere l'essenza delle sensazioni di lei, evolutesi oltre la sua immaginazione. Nei baci che la sua fanciulla gli chiedeva in sogno, lo scenario e le sensazioni erano... sorprendenti. Per iniziare lui era diverso, con una fisicità irriconoscibile. Era... grande. Paragonandosi a quell'immagine, Helios aveva compreso quanto le fosse sembrato giovane e piccolo un tempo, quanto quelle caratteristiche ingenue e innocue potessero essere detestabili. Il concetto di infanzia aveva perso rapidamente i suoi maggiori pregi.

Il rimpianto cresceva: se fosse stato realmente un bambino, almeno avrebbe avuto modo di imparare a essere una persona vera; crescendo, cambiando, adattandosi. Opportunità che non avrebbe avuto.

La sua fanciulla continuava a lasciarlo indietro. I sogni di lei si riempivano di sensazioni ricche e complicate, tutte legate all'atto del bacio - inspiegabili per lui, a non sondare con attenzione la mente di lei in cerca di ragionamenti che potessero dare una logica a quelle azioni.

Aveva scoperto che non ve n'era alcuna.

Macché logica, rispondeva piccata la mente della sua fanciulla, senza neppure rendersene conto, mentre si stringeva alla figura che avrebbe dovuto essere lui - nei sogni di lei.

Questo è amore, questa è passione, ribadiva la sua fanciulla, rendendolo partecipe di concetti sconosciuti che lo facevano disperare.

Helios si era dato due soluzioni.

La prima, un azzardo senza molte scelte. Avrebbe capito molte cose, si era detto, quando fosse giunto alla vita. Ovvero, quando si fosse ritrovato nella realtà di lei con un corpo proprio, portato per natura a provare sensazioni senza l'ausilio di ragionamenti. La sua fanciulla la pensava così su se stessa: diventando adulta aveva conosciuto nuove pulsioni - chissà cos'erano realmente - che erano nate dentro di lei senza alcun aiuto. Succedeva a tutti, si era risposta da sola, dando qualche sicurezza anche a lui.

La sua seconda speranza era più intelligente: doveva fare qualche prova.

Non aveva mai avuto intenzione di sorprendere la sua fanciulla presentandosi nella realtà senza preavviso alcuno. Il suo tempo come guardiano dei sogni stava per scadere, la nuova anima che stava per sostituirlo era a un soffio dalla creazione. Proprio perciò lui era ancora più occupato: aveva sogni con molte ombre da dissipare, nuove speranze da cullare, specchi logori da risanare nella loro essenza, con pazienza e costanza.

Voleva andarsene nel migliore dei modi, lasciando dietro di sé una Terra di sogni felici, in un periodo di massimo splendore.

In contemporanea, per la sua vita personale - iniziava ad averne una - era tempo di muovere i primi passi che lo avrebbero aiutato a crearsi un'identità vera e propria. Era incerto e insicuro, ma era tempo di tornare nei sogni della fanciulla. Salutarla - sono qui, ti ho sempre sentito - e comprendere se poteva essere l'uomo adatto a lei.

Se poteva essere un uomo, per iniziare.

 


 

«Non trovate che la piccola sia irrequieta negli ultimi tempi?»

CereCere strinse i denti. La palla che rimbalzava contro il muro di marmo le stava facendo venire i nervi.

«Non gradisce sentirsi chiamare 'piccola'. E metti giù quella boccia!»

JunJun aumentò il ritmo. «Mi scarica i nervi. Che dici, poi? Usa-chan sa benissimo che la chiamo così per affetto.»

VesVes si ipnotizzò a guardare la sfera verde che tornava avanti e indietro, avanti - la vide picchiare la parete - e indietro - tra le mani di JunJun. La palla rimbalzante le faceva venire voglia di tirare fuori la frusta dei vecchi tempi - adorato concentrato di cuoio ed energia che non era altro. La teneva nascosta sotto il materasso, dove nessuno poteva vederla. Per il resto del mondo si era addomesticata abbastanza da averla scordata. Tutti dovevano continuare a crederlo.

«Non pensate che sua maestà ci abbia convocate qui proprio per lei?»

ParaPara sistemò la gonnellina azzurra che aveva indossato per la riunione. «Magari! Dite che ci manderà in missione con la piccola? Io sono pronta!»

CereCere la squadrò da capo a piedi, soffermandosi sul caschetto di capelli mossi che ParaPara teneva in ordine con due fermagli a forma di margherita. «Con che coraggio la chiami 'piccola'? Tu sei più infantile di lei.»

«Non è vero! Inoltre, io me la ricordo quando era piccina piccina così e giocavamo alle bambole divertendoci come matte-»

«Tu ti diverti ancora giocando alle bambole.»

«Be', ora che è cresciuta voglio andarci in missione insieme, ecco!»

CereCere provò a riaprire bocca e ParaPara si coprì le orecchie con le mani, cantando.

«Usa-chan sostiene di non essere più una bambina» sospirò VesVes. «Comunque sì, la regina deve averci chiamato per lei. Figurarsi se ci manda in missione, al massimo ci mette in mostra a una parata. No, grazie tante.»

CereCere si leccò di nascosto le labbra. Forse avrebbe potuto offrirsi per andare alla parata da sola? Aveva giusto un nuovo vestito che l'avrebbe fatta apparire nelle rubriche di gossip di mezzo pianeta. A malincuore, lasciò perdere. «Usagi non è irrequieta negli ultimi tempi, bensì inquieta

«Cosa vuoi dire?»

Essere la migliore amica della loro principessa aveva i suoi vantaggi. «Vi ricordate del signorino Helios?»

JunJun si lasciò quasi colpire dalla propria palla. «Oddio, il cavallo?» 

Sì, anche a lei il pensiero del ragazzino lasciava l'amaro in bocca. «L'officiante dei sogni, esatto. Usagi ne è ancora innamorata.»

VesVes non trattenne la smorfia di disgusto. «Era un bambino

«Ma Usagi è convinta che possa essere l'amore della sua vita.»

JunJun fermò la palla tra le mani e scosse piano la testa. «La storia dei suoi genitori l'ha rovinata.»

VesVes si alzò dal divano su cui si era tenuta calma a forza negli ultimi minuti. Rimanere ferma continuava a essere un problema per lei. «Usagi ti ha detto proprio così? 'L'amore della mia vita'?»

«No, ma si capiva da come ne parlava che crede in questa storia del destino, dell'amore eterno e-»

«Allora come al solito stai esagerando.»

ParaPara alzò timida la mano.

«Che c'è?» la fulminò VesVes.

«Non pensate che le farebbe bene conoscere... qualcun altro?»

Tre coppie di sopracciglia volarono in aria.

«È la prima buona idea che sento uscire dalla tua bocca da... sempre.»

«Bù!» gridò ParaPara. «Sei cattivissima, JunJun!»

CereCere alzò una mano per fermare sul nascere la lamentela. «Potrebbe essere un'ottima idea. Se ci organizziamo...»

La porta della stanza si aprì. Balzarono tutte e quattro in piedi, contemporaneamente.

La Regina della Terra si appoggiò contro la porta, chiudendola dietro di sé. «Ragazze.»

ParaPara evitò per un soffio l'inchino. Non era richiesto nelle occasioni non ufficiali e la Regina si dimostrava sempre dispiaciuta quando ne riceveva uno in incontri con facce familiari. «Maestà» le disse assieme alle altre.

La Regina mostrò loro un sorriso quieto. «Grazie per essere venute. Purtroppo neanche oggi ho molto tempo, ma, come forse avrete intuito, sono qui per parlarvi della nostra Lady.»

CereCere e VesVes annuirono per tutte.

«Sapete se c'è qualcosa che la preoccupa di recente? Mi pare che abbia la testa tra le nuvole.»

CereCere, la portavoce ufficiale davanti a sua maestà, non proferì parola in risposta. ParaPara si attenne allo stesso atteggiamento: CereCere era saggia e diplomatica, ad imitarla non si sbagliava mai.

La Regina le osservò con attenzione, scrutando le loro espressioni. «Non voglio intromettermi nella sua vita, ma... sono preoccupata. La vedo così sovrappensiero, distratta... Non voglio fare gli errori di un tempo. Devo sapere se posso esserle d'aiuto.»

«Eh-ehm» tossicchiò CereCere. «Forse la principessa sta solo... crescendo?»

La Regina rimase con una domanda nello sguardo.

CereCere sollevò un sopracciglio come sapeva fare solo lei, in quella sua maniera convincente e piena di significati che affascinava ParaPara.

La Regina sussultò. «Oh, ma certo. Parliamo di ragazzi.»

VesVes ebbe un ricordo distinto. Sua maestà non ha tatto, le aveva detto un giorno Sailor Mars, senza giri di parole. A passare del tempo con la Regina, non si poteva che dare ragione alla signora del fuoco.

«Forse» concedette CereCere. «Io e le ragazze abbiamo appena avuto un'idea, maestà. Se ci lasciate un paio di settimane di tempo, forse potremo portare Usagi a... rilassarsi.»

«Oh, se poteste!» La Regina sciolse le mani unite. Le lunghe code bionde le caddero dalle spalle. «Però siate discrete per favore. Il Re... Ebbene, sono nove secoli che ha una figlia sotto i dieci anni. Non so se è pronto a sentire di questa sua nuova fase.»

«Magari sua maestà potrebbe iniziare a introdurlo all'idea?» suggerì CereCere.

La Regina rimase concentrata, come a soppesare un ricordo. «Perché no? Tuttavia, finché non vi do il via libera... Siate riservate sulla faccenda.»

«Come sua maestà desidera.» CereCere si inchinò.

ParaPara la imitò felice: potersi inchinare davanti alla Regina era un tale piacere! Lei era così bella, gentile, maestosa... anzi, reginosa!

Sua maestà le illuminò con un sorriso. «Grazie infinite, ragazze!»

Grazie a lei! pensò ParaPara.

 


 

«Usagi...»

CereCere si azzardò ad aprire la porta della camera. Lo fece senza bussare: ad Usagi non piaceva quella formalità, diceva di non aver nulla da nascondere.

Del corridoio in penombra, ai suoi piedi, non vide l'illuminazione interna della camera, bensì un contrasto di luce minimo, che si fondeva col buio pesto.

CereCere infilò la testa oltre la porta. «Usagi?» Lei era lì, vero?

«Sto dormendo.»

Uh?

«Va' via, ci vediamo domattina.»

«Usagi.» CereCere chiuse la porta dietro di sé e la raggiunse sul letto, dove lei si era coperta fino alle spalle. «Stai male?»

«No» bisbigliò la sua principessa. «Sto solo cercando... bah!» Girandosi sul fianco, le diede le spalle.

«... ho fatto qualcosa di sbagliato?»

«No!» Usagi balzò a sedere e si sporse a prenderle le mani. «No» sospirò. «Tu non c'entri, è solo...»

CereCere rimase in attesa.

«Prometti che non mi riterrai una stupida.»

«Ma certo che no.» Non aveva mai pensato una cosa simile della sua principessa. Certo, c'era stato un tempo in cui, influenzata da un potere maligno, aveva avuto brutti pensieri su di lei - code di paglia di rosa, vocetta stridula, che strazio di bambina - ma da allora, dopo essere stata addormentata nei secoli solo per risvegliarsi nel futuro e poter essere la sua guardiana, le cose erano cambiate. Usagi aveva alcuni importanti difetti, non ultimo l'essere troppo avventata, ma era una bravissima ragazza che si faceva voler bene. A CereCere erano bastati pochi mesi per amarla.

Usagi raccolse le ginocchia contro il petto. «Ricordi che ti avevo parlato di Helios.»

«Sì» confermò prudente CereCere.

«Gli ho dato un ultimatum.»

... ad un ragazzo che non si sapeva neppure se esisteva ancora?

«Sono sicura che mi sente. Lo so in un modo che.... non so spiegarlo. Voglio che venga a trovarmi con tutte le mie forze, non sai da quanto tempo penso a lui. Lo chiamo sempre, lui mi sente e poi...» 

Usagi non pianse. Si sforzava di non farlo, anche quando voleva.

«Penso che abbia paura. Non so di cosa, non... Non so spiegarmi affatto!» Buttò in aria le mani. «Penserai che sia pazza.»

«... no.» In fondo Usagi era una principessa dai grandi poteri, con una madre che aveva salvato il sistema solare e l'intera galassia più volte. Se non succedevano cose strane a lei...

«Be', è da una settimana che gli sto dando questo ultimatum. Oggi... è l'ultimo giorno.»

Nel sentire il lamento lieve, a CereCere si spezzò il cuore. «Capisco.»

Non aveva alcuna importanza che Usagi si stesse immaginando ogni cosa. Anche se fosse stato così, la mattina seguente lei avrebbe sofferto moltissimo a giudicare dalle speranze che stava ponendo in quell'ultima nottata di possibili sogni.

«Tu mi credi?»

CereCere fu felice del buio. «Sì.» Le strinse le mani.

Se solo ci fosse stata VesVes: lei avrebbe detto a Chibiusa che era ora di smetterla di sognare, che era tempo di aprire gli occhi e cominciare a vivere nella realtà. A Usagi - avrebbe perso il chibi così - sarebbe servito udire qualcosa di simile. CereCere non ebbe il coraggio di spezzare i suoi sogni già quella notte.

«Ho deciso di dargli quale ora in più» sussurrò Usagi. «Perciò stasera sto andando a dormire prima.»

«Capisco.»

«Capisci sempre tutto, hm?» Un sorriso.

CereCere la abbracciò, affondando il naso nei suoi capelli rosa, sciolti e sempre così facili da pettinare.

Quanto sei diventata grande. Anche se non andrà bene, la supererai. «Ti lascio...» esitò, «al tuo sogno.»

Usagi annuì. «Dici che... se vado a dormire con fiducia, questa è la volta buona?»

Non farmi questa domanda. «Sì» le rispose ugualmente.

Fece illuminare Usagi di gioia, una felicità appena visibile sotto la luce pallida della Luna.

Non avendo nessun altro a cui rivolgersi, CereCere guardò proprio l'antico pianeta. Proteggila tu. Proteggi la tua anima questa sera, avrà bisogno di te.

Lasciò Usagi e la Luna alle loro speranze.

 

CONTINUA...

   


   

NdA - se questa storia esiste, lo dovete a Quintessence, che l'ha richiesta come premio per il concorso che avevo organizzato e che lei ha vinto con la fanfic Le Lancette del Destino (leggetela!). Quintessence voleva una storia con Chibiusa ed Helios ambientata nel futuro, in cui potesse esserci il quartetto delle Amazzoni e in cui i genitori di lei - i nostri adorati sovrani - le creassero qualche problema con questa relazione nascente (leggasi: iperprotettività).

Se posso, aggiorno già domani con la seconda parte, perché l'ho scritta per un bel pezzo (così come ho già scritto per metà la terza parte... fino a poche ore fa non sapevo se dividere in due o in tre). Oggi che stavo completando la fanfic mi è venuto in mente che il finale non mi convinceva e avevo ancora un mucchio di cose che mi sarebbe piaciuto dire per approfondire i vari personaggi e anche i rapporti tra loro. Qui ad esempio avete visto l'amicizia tra CereCere e Chibiusa.

Naturalmente nel prossimo pezzo vedrete Chibiusa ed Helios che si reincontrano :)

Ah, come si colloca questa storia all'interno della mia saga? Non si colloca, è un Alternate Universe, AU.

Nella mia saga per arrivare a questo futuro dovrei anticiparvi un sacco di cose che sarebbero spoiler non tremendi, bensì di più. Per ora ho solo un'idea vaga di come farei reincontrare Chibiusa ed Helios, però è già abbastanza definita da essere totalmente diversa da questa vicenda così leggera, divertente e romantica. Cioè, sarò romantica anche lì, ma più realistica. Col passo che sto tenendo ci arrivo tra altri tre anni, mi sa :D

 

Bene, spero che questo primo pezzo vi sia piaciuto.

Grazie a tutti per i commenti che mi lasciate sempre, anche alle altre storie. In questi giorni sto rispondendo. Piano piano - anche qui - ma arrivo :)

 

ellephedre

 

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Capitolo 2
*** Incontro ***


Sogno reale 2

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

2 - Incontro

   

Più si voleva dormire, meno era facile addormentarsi. Usagi aveva trascorso quell'ultima settimana a sfinirsi durante il giorno pur di poter crollare appena toccava letto la sera. Il suo corpo non le era stato di alcun aiuto in quell'impresa, rivelandosi più robusto di quanto lei avesse immaginato.

Per cominciare, aveva provato a correre attorno al perimetro di cinque chilometri del Crystal Palace. La prima sera era morta di sonno, ma nei giorni successivi, invece di stancarsi, aveva avuto sempre più energia.

"Così impari ad allenarti troppo" l'aveva redarguita Venus.

Scartate ulteriori sessioni di allenamento con Jupiter, nei successivi due giorni Usagi si era rivolta nell'ordine a Mercury e a Mars.

"Davvero desideri studiare lo spagnolo antico?" le aveva domandato Mercury, sorpresa. "Ma certo che ti aiuto!"

L'idea era stata quella di morire di noia dopo poche ore, ma la speranza si era rivelata vana: Mercury l'aveva messa a studiare con i suoi due figli più piccoli - bambini intelligenti tre volte la loro età - e naturalmente aveva chiamato a supporto anche il quartetto preferito di Usagi, le sue adorate amazzoni personali. Così la noiosissima sessione di studio si era trasformata in una favolosa lezione di classe trascorsa a lanciare bigliettini alle spalle dell'insegnante. Mercury ne aveva intercettato uno al volo, senza nemmeno girarsi.

"Ridammelo subito" aveva letto ad alta voce. "Che cosa devi restituire a tutti i costi alla nostra ParaPara, mia Lady?"

"Niente" aveva bofonchiato Usagi, nascondendo nel pugno un fermaglio a forma di margheritina bianca e gialla. Quel pomeriggio non le era rimasto che andare da Mars.

"Desideri esercitarti nell'arte della meditazione spirituale, mia Lady? Non è semplice, ma se vuoi provare..."

Usagi aveva insistito. Sarebbe andata da Venus per chiedere di divertirsi con lei in sfrenate sessioni di ballo - Venus non diceva mai di no ad un po' di sano divertimento - ma oltre a non essere sicura che il movimento l'avrebbe realmente stancata, aveva avuto una paura folle di incontrare di nuovo, prima del tempo, l'ultimogenito di lei.

Colui-che-non-voleva-più-nominare era uno sfacciato libertino di diciassette anni; Usagi lo conosceva sin da quando era un bambino con occhioni blu sfavillanti e capelli biondi morbidissimi - un adorabile pericolo vivente per il cuore di qualunque donna dai tre ai novecentonovantanove anni, grazie alle fossette nelle guanciotte paffute e ai sorrisi grandi e sinceri che sapeva produrre a comando. Da quando quel ragazzino aveva iniziato a crescere, la situazione era drasticamente peggiorata - o migliorata, secondo punti di vista che non erano i suoi.

"Lo sai che ho novecento anni più di te?" gli aveva detto lei la sera di una settimana prima, quando lui si era intrufolato in camera sua senza chiedere il permesso. Aveva rivisto in quel momento la sua politica sul bussare alla porta. Non deve farlo nessuno, ma lui sì!

Colui-che-non-voleva-più-nominare si era seduto sulla sedia della scrivania, al suo fianco, e l'aveva squadrata da capo a piedi con dolcissima attenzione. "A me sembra che abbiamo la stessa età."

In un certo senso, era così. Dopo la sua interminabile infanzia lei non era cresciuta di colpo, ma più lentamente rispetto alle persone normali. Colui-che-non-voleva-più-nominare l'aveva eguagliata rapidamente e da simil-cuginetto era passato ad essere suo amico, poi...

La ragione per cui non voleva più nominarlo era quella.

"Non ti sto chiedendo di metterci insieme," aveva ribadito lui con una smorfia divertita. "Facciamo solo qualche... esperimento tra noi." Aveva avvicinato la sedia alla sua, con calcolata astuzia. "Andiamo, Usa-chan. Chi c'è meglio di me per te? Non andrò mai a raccontarlo a nessuno. Siamo amici, no?"

Lo erano. Lo erano stati. Si era ancora solo amici quando uno dei due aveva voglia di sporgersi in avanti e sfiorare le labbra dell'altro ad occhi chiusi, assaporando il momento?

Non la spaventava l'idea di essere delusa da lui. Piuttosto, la terrorizzava la scoperta che aveva fatto quel giorno: voleva innamorarsi. Innamorarsi sul serio, tanto da voler vivere un'avventura folle come quella che le proponeva il figlio di Venus. Avrebbe voluto dirgli di sì - non aveva ancora scartato l'idea di farlo - giusto per sentir battere il cuore più forte e... sognare.

Da quando i miei sogni non ti includono più, Helios?

Se lo era chiesta di nuovo durante la sessione di meditazione con Mars, ponendo quella domanda solo a se stessa.

Grazie alla copertura fornita da una trasformazione con la penna lunare, qualche tempo prima aveva frequentato un istituto superiore comune - molto prestigioso, ma almeno aveva detto addio alle lezioni private. Aveva insistito per quell'esperienza normale con i suoi genitori e loro avevano finito con l'accontentarla.

Almeno in apparenza, aveva indossato i propri panni nell'andare ogni giorno in classe. Aveva chiesto alla penna di non cambiare il suo aspetto, facendo tuttavia in modo che nessuno potesse riconoscerla come la Lady della Terra, legittima erede al trono. Sua madre, per essere più sicura, aveva aggiunto un poco del suo potere a quella magia.

A scuola non erano state le lezioni ad attirare la sua attenzione, bensì i suoi compagni di classe. L'aveva divertita stare tra ragazze e ragazzi comuni, gustandosi le esperienze di una vita normale. Le chiacchiere durante la pausa pranzo, la paura per gli esami di fine trimestre, le rumorose lezioni di educazione fisica - trascorse a giocare malamente a pallavolo. Come una studentessa qualunque, si era presa anche qualche cottarella. Non se n'era preoccupata molto, aveva liquidato facilmente quei sentimenti passeggeri.

In fondo questa non è certo la mia vera vita. Non è Usagi a provare interesse per quel ragazzo carinissimo della terza sezione.

Forse. Ma non era stata la vera Usagi ad immaginare una relazione con un ragazzo, in un futuro non lontano? Una relazione reale - fatta di appuntamenti, discorsi faccia a faccia, il tutto condito dalla possibilità di vedersi e toccarsi. Helios come si legava al desiderio di quell'avvenire?

Non si lega.

Non aveva avuto il coraggio di ascoltare quella risposta, una verità inconfutabile. Conoscendola dentro di sé, un giorno era quasi arrivata ad accettare l'invito di un altro giovane che si era interessato a lei. Lui l'aveva invitata ad uscire insieme.

"Una sera di queste, ti va?"

Informate della notizia, le sue amiche di scuola si erano esaltate. "È una cosa seria!"

Io non voglio una cosa seria senza Helios, aveva pensato Usagi. Non voglio uscire con un ragazzo che non sia lui, non voglio neppure giocare ad amoreggiare con qualcuno che non sia il mio Helios.

Quel suo proposito stava venendo meno, glielo aveva dimostrato il figlio di Venus.

Fosse stato solo 'giocare', poi - non si sarebbe preoccupata tanto. Il punto era che era nato un bisogno nuovo dentro di lei, assieme a quella maturità che tanto a lungo aveva desiderato.

Perciò, in che cosa sto sperando?

In quale sogno aveva riposto tutte le sue speranze per tutto quel tempo? Helios sarebbe tornato da lei? Poteva farlo, ne aveva le capacità? Poteva almeno farsi rivedere una volta e dirle, 'Fanciulla. Ti amo ma non potrò mai essere un uomo vero"?

Lei si sarebbe messa il cuore in pace per qualche anno. Come faceva lui a non esserne sicuro?

Non lo avrebbe fatto uscire dalla sua vita solo perché messa di fronte a quella dura realtà. Affatto. Se anche il loro fosse stato destinato a rimanere un amore onirico, lei sarebbe stata felice. Lo avrebbe vissuto con tutta la sua anima, si sarebbe accontentata di vedere e amare Helios in sogno.

Certo, pianse, sentendo le guance rigate di calde lacrime. Magari non sarebbe durata per sempre, forse quel sogno era solo l'ultimo barlume della sua infanzia, una candela luminosa su cui avrebbero soffiato entrambi in futuro, dicendosi addio. Ma era una storia destinata a non cominciare mai se lui si ostinava a non entrare in contatto con lei.

Usagi era piena di speranze e desideri, ma non aveva più la forza di covarli tutta da sola.

Voglio un bacio, Helios.

Me lo prenderò da lui, se non vieni tu a darmelo.

... non sei geloso?

La stava ascoltando? Teneva ancora a lei?

Helios aveva sentito che quello era l'ultimo giorno in cui lei lo avrebbe aspettato in quel modo?

Dopo andrò avanti con la mia vita, devo diventare grande. Voglio diventare adulta, mi stai ascoltando?

In seguito non si sarebbe trattato più di una faccenda di baci e nemmeno di altre persone. Piano piano lei avrebbe dimenticato sempre più che cosa significava avere una mente di bambina. Lo sentiva, le era già capitato. Il traguardo della maturità era davanti a lei, quasi visibile, come una linea che non voleva ancora attraversare. A trattenerla c'era solo Helios.

Senza la stessa innocenza di un tempo, avrebbe mai potuto rivederlo?

Non farmi questo, Helios. Vieni da me.

Si addormentò.

Vieni stanotte.

    

Le sue mani, pensò Helios, sembravano a posto. Allungando le braccia davanti a sé fletté ripetutamente le dita, ammirando i suoi nuovi arti. Li aveva modellati sull'immaginazione della fanciulla; sembravano mani adulte, ma non si sentiva in grado di giudicarlo adeguatamente. In ogni caso era giunto il momento della sua prima prova, l'incontro tanto agognato con lei.

Gli era parso che oramai anche la sua Chibiusa desiderasse spasmodicamente rivederlo. Aveva sentito qualcosa di simile ad un richiamo da parte di lei, molto di recente. Lo avrebbe ascoltato con più attenzione se non avesse saputo che la voce della sua fanciulla gli avrebbe instillato maggior fretta, distraendolo irrimediabilmente dai suoi compiti. Per andarla a trovare quella prima volta, si era dovuto premurare di lasciare da parte i suoi doveri più importanti, portandoli perciò tutti a compimento. Altrimenti come sarebbe potuto andare da lei con mente libera, per dedicarsi solo a salutarla, a contemplarla, a stringerla?

Era agitato e felice. Il primo passo per diventare un essere umano.

Giusto.

Prese un immaginario sospiro e gli sembrò di sentire aria che fluiva dentro di lui.

Oh.

Concentrato, chiuse gli occhi. Li riaprì in un mondo di nuvole azzurre e rosa.

Aggrottò la fronte. I colori non gli dispiacevano, ma preferì dare a quel sogno le forme del suo caro Elysion. Visitare di nuovo quei luoghi con la sua fanciulla, in tempo di pace, sarebbe stato un ottimo modo per salutare degnamente il regno di cui era custode, la sua dimora. 

Non mi mancherà.

La meraviglia di quella sua esistenza da sogno era la mancanza del senso di colpa per il passaggio che stava per compiere. Il suo era un percorso naturale. Se solo - se solo! - gli fosse bastato saperlo, per essere sicuro che tutto sarebbe andato a posto.

Sentì la gola pesante - un altro sintomo di umanità? - e la schiarì con un colpetto di tosse.

Magnifico, si stupì. Tossire era solo quel semplice movimento?

Tornò concentrato. «Fanciulla» disse, mostrandosi a lei solo come una voce.

Lei si destò nel sogno. «Helios?»

«Fanciulla» sorrise lui.

Dall'ultima volta che l'aveva vista, lei era cambiata ancora. Si era fatta più grande la sua dolcissima fanciulla.

Lei balzò in piedi. «Helios!» Cominciò a correre disperata, infilandosi nel bosco vicino come una saetta. «Dove sei? Helios!»

La reazione lo sorprese. «Fanciulla!» Perché tanta agitazione?

L'anima di lei era così in pena che, per calmarla, lui dimenticò la sorpresa che voleva farle con la propria immagine. Si materializzò subito, seguendola senza ulteriori indugi. Prima che potesse prenderla per le spalle e girarla - la sua fanciulla si era fatta più bassa? - lei si voltò di scatto e gli sbatté contro, cadendo all'indietro.

«Chibiusa!» si preoccupò lui.

Coprendosi il naso colpito con una mano, lei spalancò gli occhi. «AHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!»

Helios sussultò e si ritrasse. «...fanciulla?»

Lei continuò a puntarlo con un dito. «AHHH!»

Cosa, perché?

Ah! Il suo aspetto! Non le piaceva, come aveva temuto.

Lei si coprì la bocca con le mani. «Helios...» sussurrò.

Le sue mani, pensò attonito lui. A vederle da vicino, le dita di lei si erano fatte lunghe e delicate. La sua fanciulla aveva unghie lucenti e indossava un pigiama bianco in due pezzi, con bottoncini a forma di rosa. Aveva ancora i capelli dello stesso colore saporito - saporito? - e il suo volto... Le sopracciglia si erano fatte più sottili, con una forma precisa. La linea delle sue guance aveva perso in rotondità, acquisendo grazia. La sua bocca si era fatta più scura, solo un poco di più. I suoi occhi erano dello stesso colore, tra il rosso del fuoco e la tonalità vivace della terra.

Helios non vedeva l'ora di vedere con i propri occhi umani ogni cosa, ma aveva in lei un'anteprima meravigliosa. «Sei più bella che mai, fanciulla.»

Lei non proferì parola.

«Chibiusa» tentò lui.

Ancora non la sentì dire niente.

Ebbe un ricordo. «Usagi.» Quello era il suo vero nome.

Lei annuì. «Ora mi chiamo Usagi.» Tremò col respiro. «Sei venuto da me.»

Naturalmente. «Sapevo che mi cercavi.»

Lei si appoggiò sulle ginocchia, cauta come un animale impaurito. Si sporse lentamente in avanti, le mani esitanti. «Mi dispiace per l'ultimatum» mormorò. «Che sciocca, hm?»

Ultimatum?

Lei lo sfiorò su una spalla e ritrasse di scatto la mano. «Sei... Sei come vero!»

Ci aveva provato, per lei. Avrebbero dovuto fare un lungo discorso in merito al suo nuovo fisico.

«Helios...»

La fanciulla - la sua Usagi - si trattenne dal toccarlo a stento, le mani a incorniciare la sua forma, come se temesse di scoppiare di gioia nell'accarezzarlo.

Gli voleva ancora bene come un tempo, capì lui. Il loro era un amore vero e puro.

«Helios!»

Si ritrovò a gestire lo slancio di lei tra le braccia. Non fu complicato, ma quando abbassò gli occhi per guardarla si ritrovò senza fiato. Lei gli aveva tappato la bocca con le labbra.

Non riuscì a respirare. Non poteva neanche pensare in quel modo. Quello era un bacio che non era un bacio, era strano, era troppo... Divenne un blocco di ghiaccio bruciato dalle fiamme e capì solo in quell'istante quanto poteva essere forte una reazione umana.

Tirò via Usagi per le spalle.

Lei divenne del colore dei propri occhi, un po' più rosa ma molto più imbarazzata. «Ah...»

    

«Ah...» Usagi stava avvampando da capo a piedi. Il suo primo bacio, il suo bacio con Helios! «Mi dispiace!» Sprofondò. Volle farlo, ma il laghetto cristallizzato sotto le sue ginocchia non accennò a volerla inglobare. «Sono stata terribile! Non abbiamo nemmeno parlato, ci siamo appena incontrati e io come una folle esaltata ti sono saltata addosso senza lasciarti nemmeno il tempo di-»

Le mani di lui la stringevano ancora per le spalle, mantenendola a debita distanza.

«Non ti ho nemmeno darti il tempo di... abituarti» terminò lei. Aveva esagerato, ma la reazione di Helios non era da meno. «Guarda che è stata colpa tua» si risentì.

«Come?»

«Sono giorni che ti ho dato questo ultimatum, ma sono anni che ti voglio rivedere! Lo sai benissimo, perché non sei tornato prima?»

«Cosa?»

«Perché sei qui solo adesso?! E sei così diverso e- Insomma, perché mi tieni lontana con le mani?» La forza della sua presa invece di diminuire era aumentata. «Non mi riconosci?»

Helios espirò profodamente. «Fanciulla... Certo.» Abbassò le braccia.

«Sono Usagi» gli ricordò lei.

«Usagi» annuì prontamente lui. «È naturale che ti riconosca, sento la tua essenza proprio come un tempo, come...» Non continuò. «Penso che, prima di parlare di altro, io debba spiegarti meglio il mio attuale stato.»

Cosa c'era da spiegare? Lei voleva un motivo per gli anni di separazione!

Helios si portò una mano al petto. «Questo corpo che vedi è in prova.»

Corpo? In prova?

«È la forma che mi sono dato sviluppando la coscienza che avevo di me, nonché raccogliendo i tuoi desideri.»

Ma certo, comprese Usagi. Per questo lui era diventato tanto... beh, perfetto oltre le parole. In realtà le sembrava cresciuto nell'unico modo in cui si era immaginata possibile vederlo adulto, ma... Sussultò. Quel corpo era solo in prova?

Helios le impedì di farsi vincere dal panico. «Potrò mantenere questa forma quando entrerò nella tua realtà, ma per il momento è come se la stessi solamente testando.»

Le aveva udito un'unica cosa. «Nella mia realtà?»

Lui annuì, cauto. «A breve. Quando avrò preso maggior confidenza con questa forma mortale, che adesso sto solo... sognando.»

Nella sua realtà?

«Per questo, fanciulla, ti devo chiedere se-»

Usagi non seppe se urlare o morire di felicità. «Diventerai umano!!!!» Si avventò contro di lui ed Helios divenne di nuovo un pezzo di roccia.

«Scusa!» Si tirò indietro. «Umano!» rise forte.

«Sì» confermò lui, con gioia contenuta. «Ma fanciulla... Usagi. Indosso questa forma, completa così come la vedi, solo da pochi momenti. Ho profuso molte forze nel perfezionarla. Mi sono impegnato per renderla il più reale possibile, ma ora è come se stesse diventando viva con te che mi sei accanto e io non so se...» Arrossì.

Meravigliata, Usagi si allungò a sfiorargli le guance.

«Non so molto di questo corpo» la pregò Helios, ritraendosi. «Non sono ancora pronto a... spremerlo, si dice così?»

Lei si abbandonò a una risatina.

Per la prima volta da quando lo aveva assalito, fu lui a sporgersi in avanti. «Usagi...» Le porse una mano e quando Usagi la prese si sentì... Si sentì...

Oh. Sei tornato da me.

Strinse le sue dita e chiuse gli occhi. Pianse una lacrima di felicità.

«Usagi.» Helios la abbracciò solo con la mano.

«È solo una lacrimuccia» giurò lei. «Per quanto mi sei mancato.»

Il pollice di lui la stava accarezzando.

Stiamo volando?

Le sembrava di vedere il mondo da sopra le nuvole, con le ali candide di lui dispiegate che la aiutavano a librarsi in aria, a crescere e a non avere più timore di nulla. Il suo migliore amico, che l'aveva conosciuta meglio di se stessa, era tornato da lei. Racchiuse le dita di lui tra le proprie, cercando di non stringerlo troppo. Niente briglie per te. «Perché sei rimasto lontano tanto a lungo? Non sentivi nostalgia di me?»

«Il tempo scorre diversamente in questo mio mondo» mormorò Helios, con quella sua voce nuova che non era più morbida e delicata come in passato.

Non più un bambino. Ma era rimasto giovane nell'animo.

Forse lei sbagliava a pensarlo, ma lo preferiva così: cresciuto e mai cambiato.

«Per me non è passato molto da quando eri piccola e volavamo insieme lassù.» Helios sollevò lo sguardo. «Nel cielo della notte.»

I loro ricordi, la loro storia.

«In questo tempo di separazione ho contemplato da lontano i tuoi sogni.»

Allora non si era solamente immaginata la sua presenza che la vegliava. «Non vedevi che mi mancavi?»

Helios abbassò lo sguardo sul laghetto trasparente che li sosteneva. Ne accarezzò le superficie con una mano larga e, quando colse l'immagine delle proprie dita, si fermò. «Era giusto lasciarti libera.»

Da lui?

Helios sembrò riempirsi di un peso. «Dovevi crescere. Fanciulla, avrei potuto essere solo un sogno per te. Un amico di un tempo caro, da conservare nella memoria come un ricordo amato. Non volevo impormi, rischiando di allontanarti dalla tua realtà.»

Quante sciocchezze. «Per me non sei mai stato qualcuno da relegare in memoria. Un ricordo non vive in ogni tuo sogno.»

«Lentamente» annuì lui, «ne ho preso consapevolezza.»

Quanto lentamente? Prima le parlava degli anni trascorsi come fosse stata solo qualche ora di lontananza, poi le lasciava intuire di aver speso un'eternità a riflettere su di lei, trasformandosi per incontrarla.

Lo giudicava ingiustamente. Non poteva comprendere cosa voleva dire vivere nel suo mondo. «Hai mai smesso di pensarmi?»

Helios inclinò la testa e le strinse piano la mano. «Mai.»

Solo questo contava. Anzi, contava solamente che avrebbero avuto moltissimo tempo per conoscersi e stare insieme.

«Era giusto che tu acquisissi esperienza, fanciulla.»

«Usagi.»

«Perdonami» sorrise lui. «Sei stata tanto a lungo la mia fanciulla...»

Voleva essere la sua fanciulla, la sua ragazza, mille cose per lui. Trattenersi dall'abbracciarlo con tutte le sue forze divenne una tortura.

«Volevo che avessi più amici» continuò Helios. «Volevo che vivessi e coltivassi tutti i desideri che potevi provare per altre persone-»

«Desideri?» avvampò lei. Per altre persone?

Lui fu sorpreso. «Sì. Desideri di amicizia e compagnia.»

Ah. «Quindi... tu conosci i miei desideri perché hai visto tutti i miei sogni?» Se aveva visto tutto, era necessario spiegargli molte cose.

Helios scosse lentamente il capo. «Nella realtà non esistono amici che possono leggerti nella mente, con accesso a tutti i tuoi desideri più profondi. Ho scelto di venire da te nel modo più normale possibile: non ho conoscenza dei tuoi ultimi viaggi onirici. Non saprei quantificare, in termini di tempo, da quanto non li osservo. Non molto, ma... abbastanza. Credo.»

Lei lanciò un urlo di gioia segreto. «Va bene.»

L'espressione di lui divenne mesta. «Nella realtà, noi... Noi non ci conosciamo che qui, in sogno. Il nostro sarà un rapporto anomalo. Io non so come reagirò nel trovarmi a vivere, non so se potrò essere... Non so se sarò ancora una persona che tu desidererai avere accanto.»

Era insicuro.

Usagi lo aveva percepito dentro di sé: lei era l'unica persona con cui Helios avesse mai fatto amicizia.

Tenendogli la mano, si adagiò sulla schiena. «Potremo fare così anche nella realtà. Cominciamo ora.»

Con una domanda nello sguardo, lui imitò la sua posizione. Sotto di loro, la superficie si fece morbida come un cuscino di piume.

«Iniziamo a parlare di noi. Che cos'hai fatto durante la giornata, a che cosa stai pensando... Comincio io. Helios, come passi il tuo tempo in questo mondo da sogno?»

Il viso di lui si aprì in un sorriso. «È complicato.»

«Non ha importanza. Spiegamelo, io voglio sapere di te.»

Lui si accese. «Io vorrei sentirti raccontare la tua vita.»

Come? «Non hai già visto i miei sogni?» I suoi ricordi non si facevano vivi tramite quelli?

«Sì, ma... erano immagini, sensazioni. Io desidero le tue parole. Le ho sognate.»

Avrebbe speso anni per lui, a raccontargli tutto ciò che voleva ascoltare. «Ho fatto la mia domanda per prima. Un po' per uno, un po' per notte.» Si rabbuiò. «Verrai tutte le notti, vero?»

«Sì. Ora posso.»

Ora?

«Ho avuto molte cose di cui occuparmi per trovare questo tempo da dedicarci.»

Oh. «Vedi? Sono curiosa. Parlami di te.» Parlami per sempre di te.

Helios perse lo sguardo in un ragionamento. Aveva occhi color ambra, del colore del miele. Li puntò felici al cielo. «I sogni sono come labirinti.»

I sogni, pensò lei, erano perfezione.

  


 

«Stanotte è cambiato qualcosa» esordì CereCere, raggiungendo le altre sotto l'edera che si arrampicava nel loro angolino segreto, un pezzo di giardino reale appartato, protetto da sguardi indiscreti. «Usagi è come rinata.»

«Qualche idea sul motivo?» JunJun tirò un ramo del rampicante e iniziò a torturarne le foglie, testandone la forza.

«Ho un'idea, ma non riesco a crederci.»

ParaPara scese con una giravolta dal palo vicino. «Mi piacciono le cose in cui non riesci a credere! Sono sempre fantastiche!»

VesVes non le badò. «Cos'è accaduto?»

«Usagi mi ha confidato di aver dato un ultimatum al suo Helios durante questa settimana.» Sarebbe stata restia a parlarne, ma non le sembrava più un segreto da nascondere. «Ieri era l'ultima notte in cui era decisa ad aspettarlo.»

JunJun strappò una fogliolina. «È una cosa così da lei.»

«È vero, ma ieri era molto delusa e stamattina invece non più. Brillava, era letteralmente raggiante. Deve averlo rivisto.»

«Lo avrà sognato.» VesVes scrollò le spalle. «Si autosuggestiona facilmente.»

CereCere avrebbe avuto un'opinione simile alla sua, se non fosse stato per un particolare. «Stamattina sono andata da lei per consolarla. Non l'avete vista, ieri era così piena di speranze che temevo... Be', quando sono entrata nella sua camera, stava ancora dormendo. E indossava un vestito.»

«Sarà stato un vezzo.»

«Ma ieri notte indossava un pigiama! E mentre la stavo guardando quel pigiama è ricomparso su di lei dal nulla.»

A ParaPara brillarono gli occhi. «Un sogno vivente!»

JunJun inorridì. «Il cavallo sta tornando da lei!» Conosceva bene il sogno di lui e Usagi che volavano nel cielo di notte, la loro amica vestita come una principessa. Usagi lo aveva raccontato più volte a tutte.

«Peccato.»VesVes non si era scomposta. «Oggi mi era venuta una certa idea sulla persona con cui potevamo combinarla. Lui, in fondo, ci stava già provando.»

CereCere drizzò le antenne. «Cosa?»

«Mi riferisco a Venus-chan.» VesVes si rifiutava di chiamarlo col suo nome: a lui dava fastidio sentirla usare quel nomignolo e proprio perciò lei lo teneva sulla punta della lingua tutte le volte che lo incontrava.

«L'altra sera, quando sua madre è venuta a parlare con la Regina, lui è sgattaiolato in camera di Usagi.»

CereCere si sentì svenire. «E tu glielo hai permesso?!? Secondo te cosa significa essere guardiane della principessa?!»

Non certo proteggere la sua virtù, pensò VesVes. «Sono amici. Inoltre a me piace lo stile deciso di lui.» Poteva rimproverargli molte cose, ma non la faccia tosta.

Sgranò gli occhi. «Eccolo.» Lo indicò in lontananza, mentre attraversava a larghe falcate i giardini, diretto verso l'esterno.

In un istante CereCere si era teletrasportata da lui. Nell'istante successivo lo aveva portato da loro, stretto in una morsa di ferro.

«Ehi!» si lamentò il malcapitato.

CereCere lo prese per il bavero della giacca azzurra. «Stammi bene a sentire, ragazzino. Si può sapere cosa diavolo ti passa per la testa?! Stiamo parlando della nostra Lady, di sua altezza la principessa, la venerata e adoratissima figlia dei nostri-»

«Arrabbiata sei ancora più bella, CereCere.»

Lei lo mollò con una spinta. «Poppante!»

«Ciao, Venus-chan» lo salutò VesVes.

«Ho un nome» dichiarò piccato lui, incrociando le braccia.

«A me non piace. Andiamo, tranquillizza CereCere: vero che l'altro giorno non hai defraudato la nostra principessa della sua innocenza? Se lo avessi fatto, per la tua incolumità ti consiglio il silenzio.»

Ignaro del pericolo che correva, il figlio di Venere scrollò le spalle. «Usagi mi ha convocato personalmente poco fa. Mi ha detto che desidera restare solo amici.» Sollevò un sopracciglio, il suo orgoglio intatto. «Sembrava contenta.»

ParaPara sollevò un paio di dita per salutarlo, con timidezza. «Si è innamorata.»

«Davvero? Peccato per me, ma per lei sarà un gran bene.»

Se c'era una persona che le faceva venire voglia di usare la sua palla, pensò JunJun, quello era proprio l'ultimo ragazzino di Sailor Venus. Lui aveva una faccia fatta per gli schiaffi; con una bella palla lo si poteva tramortire a dovere dopo il giusto numero di colpi, quindi portarselo via, ammanettarlo ad un letto e poi... Produsse una smorfia: Venere e le sue influenze la disgustavano piacevolmente.

«In che senso è un bene?» indagò CereCere.

«Mia madre mi ha parlato di Usagi e della sua tristezza. Secondo lei Usagi era troppo attaccata al ricordo di un certo Erioso...»

«Helios.»

«Ecco. Non so chi sia, ma mi sembrava un'ingiustizia: Usagi non deve rimanere ancorata al passato. Io, che sono più giovane di lei, ho sufficiente esperienza da sapere che il mondo va... gustato.» Lasciò indugiare lo sguardo su ParaPara, facendola avvampare. «Ho pensato di dare una mano a Usagi e farle tornare il sorriso.»

«Quanto sei altruista» sorrise tra sé VesVes.

«L'amore è il sale della vita» annuì lui, mordendosi le labbra. «Anche lo zucchero.»

CereCere continuò a fulminarlo con lo sguardo. «Cosa avresti fatto se sua maestà il Re ti avesse visto entrare in camera di sua figlia?»

«Lo avrei affrontato. Non vedi? Sono un eroe.»

Era un ragazzino, pensò CereCere. Si meritava una punizione. «Visto che non hai paura... Fungerai da specchietto per le allodole.»

«Cosa sono le allodole?»

CereCere lo ignorò e si rivolse alle altre. «Noteranno tutti molto presto che Usagi si è innamorata. Meglio che nessuno sappia per il momento di chi si tratta realmente.» Soprattutto perché non c'era ancora niente di reale in tutta quella faccenda. Usagi non doveva passare per pazza. «Perciò» continuò, «quando la Regina ci chiederà dove sia indirizzato l'interesse di sua figlia, noi indicheremo te.»

Il ragazzino mostrò un primo dubbio. «Se ci fosse stato qualcosa tra me e Usagi, io non avevo intenzione di parlarne a nessuno.»

Non era più un'opzione. «Se avremo bisogno di qualcuno da indicare, tu sarai il nostro uomo.»

«Posso essere l'uomo di tutte, ragazze, ma non a queste condizioni.»

JunJun lo colpì con un sassolino sulla giacca. «Rispetto, piccolo. Siamo le guardiane della principessa e siamo tutte più mature di te.»

«Non lei.» Un dito ammaliatore indicò ParaPara. «Ma grandi, piccoli... cosa conta? L'amore ci rende tutti uguali.»

Ma sapeva parlare di qualcosa di diverso? pensò abbattuta VesVes.

«E se proprio vi ritenete più mature di me, io sono qui apposta per imparare.»

L'ultimo figlio di Venere aveva un pensiero fisso. «Ti abbiamo scelto come capro espiatorio, rassegnati.»

«Che cos'è un capro?»

«Un animale che si può sgozzare» dichiarò felice CereCere. «Ora va'. Ti abbiamo informato, non abbiamo più bisogno di te.»

Lui riacquistò un briciolo di cervello. «Non lo farete, vero?»

«Oh, usarti come specchietto? Certo che sì.»

VesVes notò che Venus-chan si faceva seria. Lui ne era capace, quando voleva.

«Ebbene, se mia sorella è la dea dell'amore, io sarò il guerriero dell'amore!» Scomparve davanti a loro, un concentrato di fierezza.

«È stupido» decretò JunJun.

CereCere fece finta di non sentire il 'bellissimo' aggiunto da ParaPara.

«Meglio per noi.»

      


      

«Che cosa disturba il tuo sonno, amore mio?»

Udendo la domanda, Mamoru sbadigliò e si avvolse nelle coperte. Nella loro intima tranquillità, Usagi si trasformava in Serenity solamente quando aveva qualcosa da nascondere. Tutta grazia e parole dolci, lei cercava di sedarlo e massaggiare via le sue preoccupazioni proprio quando ne conosceva l'origine.

«Dimmelo tu» le disse lui.

«È qualcosa con cui posso aiutarti, tesoro? Mamo-chan mio?»

Mamoru rise.

Aderendo alla sua schiena, Usagi lo abbracciò forte. «Coraggio, raccontami tutto.»

«Non giocare con me, Usako.»

«Va bene. Oggi tre squadre di ingegneri sono venute direttamente da noi per sapere chi deve supervisionare la ricostruzione dei primi edifici lunari. So che ti disturba dover fare questa scelta-»

«No.»

«Non ti disturba?»

«Riprendiamo il discorso su cui non mi hai più detto nulla.»

«Il Pacifico? Mercury mi ha assicurato che l'operazione di pulizia procede a rilento ma a dovere-»

«No.»

«I ghiacci» piagnucolò lei. «Non ti piace come li ho risistemati sulle montagne.»

«Chibiusa.»

«Devo metterla sulle montagne?»

«Usagi.»

«Okay.» Sua moglie fece un attimo di silenzio. «Nostra figlia sta... bene.»

«È taciturna.»

«È una ragazza.»

«Tu parlavi sempre.»

«Lei ti somiglia di più. Quando ha da pensare lo fa in silenzio, da sola.»

Già. «Che cosa la preoccupa?»

«Saranno pensieri da ragazze. È come un'adolescente ora. Starà pensando al suo futuro.»

«Ha accettato il suo ruolo su questo pianeta.»

«Sì, be', mi riferivo al futuro in generale. Come dire, ad esempio all'idea di avere un ragazzo...»

«È ancora troppo piccola.»

Sua moglie fece una pausa pregnante.

«È molto più grande di un'adolescente comune.»

Sicuro, ma per molti versi Chibiusa era ancora giovane. La loro era una figlia speciale, che aveva vissuto un'infanzia tanto lunga da avere ancora l'innocenza di una bambina sotto molto aspetti.

«Non avrai paura che te la porti via un ragazzo, vero?»

Affatto, che sciocchezze. La loro piccola Usagi sapeva difendersi benissimo da sola.

«Oggi l'ho vista ridere.»

Come?

«Era felice. Avrà risolto la sua preoccupazione passeggera. Se domani riesci a cenare o pranzare con noi...»

Oh, senza dubbio. Voleva vedere sua figlia con i suoi occhi. «Quindi non c'è più nessun problema?»

Usagi scrollò piano le spalle. «Non posso saperlo, la nostra bambina ha diritto ai suoi segreti. Però adesso è serena.»

Era una cosa buona. Il giorno successivo Mamoru avrebbe cercato di concludere le sue riunioni più in fretta, per mangiare con la sua famiglia. Un tempo aveva pensato che col teletrasporto avrebbe risolto tutto. Quanto si era sbagliato: tolte le ore previste per gli spostamenti, per chiunque era semplicemente aumentata la mole di impegni. Quel loro mondo non si fermava mai e lui era il Re di tutti. Era un sovrano fiero, ma stanco.

Sbadigliò di nuovo.

Usagi lo spinse a sdraiarsi. «Dormiamo, su. Abbracciami.» Sistemò la testa contro il suo petto e canticchiò qualcosa sotto voce. Lui sorrise.

Stremati dalla giornata di lavoro, si addormentarono entrambi in breve tempo.

  


 

E sia, pensò Helios, deglutendo.

La sensazione della saliva che scendeva giù per la gola si faceva sempre più reale col passare dei giorni.

La sua fanciulla lo amava. Quel sentimento, da lui stesso condiviso, stava accelerando i tempi di ogni cosa. Di quel passo il suo sostituto sarebbe venuto a metterlo alla porta prima che lui se ne fosse reso conto. Si sarebbe ritrovato sulla Terra inerme, come uno sciocco, privo dell'esperienza necessaria a vivere come un essere umano comune.

Usagi lo avrebbe considerato ridicolo.

Una prova, si ripeté, era la chiave di qualunque successo.

Strinse forte le palpebre.

Mondo reale, allungò il proprio spirito oltre i sogni, sto arrivando a provarti.

Sperò che le sue guide lo avrebbero accolto altrettanto bene.

 

 

CONTINUA...

 


 

NdA- chi conosce la mia saga di Sailor Moon noterà che ho deciso di mischiare alcuni elementi da me concepiti all'interno di questa storia. Il teletrasporto per esempio, il fatto che le guerriere abbiano una famiglia e soprattutto un certo personaggio di cui mi sono divertita molto scrivere :)

Non ha un nome perché non lo conosco ancora - e mi sono divertita a trovare modi diversi per non menzionarlo. D'altronde, in questa fanfic lui è una spalla comica e tale rimarrà.

Se esisterà anche nella mia versione ufficiale? Se sì, passerà moltissimo tempo.

Da uno spoiler che ho lasciato nella pagina di Facebook, alcuni avranno intuito che con l'ultima frase di questo capitolo Helios si riferisce al Quartetto delle Amazzoni. Chi meglio delle migliori amiche della sua fanciulla per introdurlo nel mondo reale?

Ha pensato così, vedrete poi come gli andrà :D

 

Grazie delle impressioni che mi avete lasciato per il primo capitolo. Se voleste farmi sapere cosa pensate dell'evoluzione della storia, sarei molto felice :)

 

ellephedre

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Capitolo 3
*** Piani ***


sogno reale 3

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

3 - Piani

   

Ascoltando il suono del proprio respiro, CereCere sollevò il mento e offrì le palpebre alla luce della luna.

Era una bellissima notte. Aveva fatto bene a dormire sul letto accanto alla finestra.

Da quando aveva iniziato a voler bene ad Usagi, la Luna per lei era diventata fonte di un'attrazione irresistibile, impossibile da ignorare. Un po' come il sole, ma in una maniera più affascinante e benefica. Sotto la luce della loro stella ci si abbronzava - orrore! - mentre la Luna regalava un incarnato perlaceo e candido ad amarla a sufficienza.

Era convinta dell'esistenza di quella sottile magia, che teneva gelosamente per sé.

Le altre non coglievano la morbidezza del suo animo. Dormivano scomposte sui letti di fianco al suo, in quella notte che dedicavano al rapporto tra loro. Come Quartetto delle Amazzoni erano state tanto a lungo un'unica cosa - quattro corpi per un solo scopo - che, quando erano diventate guardiane di Usagi, si erano sentite destabilizzate. Ad ognuna era stata donata una camera personale, per gustare la propria privacy.

L'idea era stata di VesVes. «Vi andrebbe di tornare a dormire insieme di tanto in tanto? Un pigiama party settimanale, solo nostro.»

CereCere non aveva saputo esprimere il proprio sollievo: non aveva avuto il coraggio di confessarlo ma, nella sua grande e meravigliosa stanza le era capitato spesso di sentirsi sola.

Col passare del tempo, non era stata l'unica ad abituarsi alla propria individualità, ma nessuna di loro aveva proposto di abbandonare la dormita settimanale in comune. Anche da grandi, chiacchieravano fino a cadere stremate, felici di ritrovarsi. Usagi si era unita a loro di tanto in tanto, quando era cresciuta abbastanza da poter fare conversazioni più adulte.

Forse sarebbe venuta anche lei quella sera, se non fosse stata impegnata in ben più piacevoli compiti.

Da quando aveva incontrato l'amore dei suoi sogni, la principessa andava a dormire sempre alle nove di sera.

CereCere aggrottò la fronte.

Il signorino Helios le stava antipatico. Non perché stesse allontanando Chibiusa da loro - non era possessiva fino a quel punto. Era proprio lui a non rientrare nelle sue simpatie: da cavallo era stato un essere enigmatico e 'santo'. Noioso e borioso come pochi, con uno sguardo angelico che sembrava dichiarare, 'Io so cos'è il bene, ascoltatemi!'.

Tremendo.

Con tutta la sua allegria e vivacità, come avrebbe fatto Usagi a sopportarlo come fidanzato? Forse stava lì la chiave di volta: la loro principessa era una ragazza intelligente. Presto si sarebbe accorta che il suo adorato signorino Helios era tutto fumo e niente arrosto.

Nel buio della stanza, brillò un lampo.

CereCere balzò a sedere.

Nell'angolo più oscuro della camera si accese di nuovo una luce che illuminò una... nuvola? Seguì un tonfo sordo, pesante.

«Ohuu...»

Il lamento maschile la fece scattare in piedi. Un intruso nella loro stanza!

Era già morto e nemmeno lo sapeva.

Si trasformò in Sailor. «Ragazze!» 

«Che c'è?!!» VesVes rotolò a terra. Col suo urlo svegliò le altre.

«Kyahhh!» gridò a squarciagola ParaPara.

CereCere non le badò. Tenendo gli occhi fissi sulla figura rannicchiata al suolo, batté un piede a terra. «Luce!»

La stanza si illuminò.

Invece di alzarsi l'intruso si coprì il volto, rilasciando un altro lamento. Aveva capelli argentei, notò CereCere, e sembrava giovane. Che diavolo voleva da loro?

«E quello chi è?!» strepitò VesVes. In due attimi era diventata una Sailor anche lei e stringeva tra le mani la sua frusta. «Intruso, fatti vedere!»

«...spetta.»

CereCere richiamò tra le mani un cerchio luminoso e si preparò a lanciarlo sopra l'estraneo. Lo avrebbe intrappolato in un'altra dimensione, senza possibilità di fuga; bastava un solo movimento sbagliato da parte sua per-

«Aspetta» ripeté il ragazzo con più chiarezza, togliendosi la mano dal viso. Appoggiò i palmi sul pavimento e si spinse all'indietro, sedendosi.

CereCere puntò lo sguardo sul volto di lui. Appena ne ebbe una visione chiara, formulò due pensieri immediati.

Ohlalala! e Lo conosco!

Dove diavolo aveva già visto quel tizio? Dove, dove, dove, dove-?

In maniera ridicola, lui si appoggiò al muro vicino per mettersi in piedi. «Io... Scusate.» Gli tremarono le gambe e scivolò di nuovo a terra.

«Basta con le chiacchiere, sputa il rospo!» VesVes fece schioccare la frusta contro il pavimento.

Il suono violento causò un sobbalzo al ragazzo.

«Chi sei?» lo minacciò ancora VesVes.

Lui tentò di alzare una mano. «... Helios.»

CereCere impiegò un altro momento a capire.

Quando tutto divenne chiaro, gli occhi le rotearono nelle orbite. Svenne prima di toccare terra.

    

«-ma quanto è delicata?»

«Sono solo scene, ne ha fatte così tante che ha finito col crederci da sola.»

Qualcuno la stava tenendo per le spalle.

«CereCere.» ParaPara le faceva aria sul viso con un ventaglio azzurro. «Stai bene?»

CereCere rilasciò un suono di assenso.

«Visto?» proruppe VesVes. «Scene!»

Non lo aveva fatto apposta! Solo che le era sembrato... Spalancò gli occhi. «Il cavallo!»

Il viso seccato di VesVes si adombrò. «Purtroppo non era un brutto sogno.» Lasciò dondolare di lato la frusta, indicando dietro di sé. «È davvero qui, vivo e vegeto. Umano, per nostra disgrazia.»

«Stavo solo cercando il vostro aiuto.»

Sentendo la voce di lui, CereCere si aggrappò alla spalla di ParaPara e si mise seduta a fatica. Scorse il suo incubo dietro le spalle di JunJun.

«Non pensavo di fare niente di male» stava dicendo lui, risentito e con lo sguardo chino.

CereCere osservò i suoi abiti  - gli stessi vestiti bianchi! - i suoi capelli - gli stessi capelli argentei e mossi! - i suoi occhi - quei maledetti occhi ambra da equino beato! Uguali!

Helios, custode bambino del mondo dei sogni, aggrottò la fronte. Sotto le sue sopracciglia campeggiava un viso che aveva perso gli antichi tratti infantili. «La mia visita può non esservi gradita, ma vi chiedo cortesia.»

«Finiscila!» gli rispose a tono VesVes. «Uno che si intrufola in camera di quattro ragazze la notte non ha il diritto di parlare di cortesia

CereCere si mise in piedi. «Cosa ci fai qui?»

Lui fu grato per la domanda e provò di nuovo ad allontanarsi dal muro. «Cercavo il vostro aiuto.»

JunJun incrociò le braccia. «La risposta è no! Con che coraggio-?»

«JunJun!» la zittì CereCere. «Fa' silenzio, dobbiamo sapere cosa vuole.»

«Non mi interessa! Lui è il cavallo che ci ha dato tutte quelle pene-»

«Eravate voi a volermi catturare.»

«E quando finalmente lo abbiamo preso, non si è degnato nemmeno di essere amichevole con noi! Volevamo solo farci un giro sulla tua groppa, mica consegnarti subito a Nehellenia!»

«Non ho più groppe.»

La situazione era surreale. A parlare con loro era un tizio che sarebbe dovuto rimanere confinato per sempre nel mondo dei sogni. Ne era uscito - una volta - ma a CereCere era parso che si trattasse di un'eccezione irripetibile, che Chibiusa si stesse illudendo a pensare che... «È stata Usagi a chiederti di venire da noi?»

«No.»

«Allora cosa-?»

«Lasciatemi spiegare.»

CereCere si sforzò di tenere chiusa la bocca. Aveva il suo cerchio di luce a portata di mano, se il ragazzo avesse tentato scherzi era fritto.

Helios di Elysion si arrampicò sopra il comò vicino, sistemandosi con metà sedere sulla sua superficie. Era un ragazzo grande, ma aveva un controllo del proprio corpo più simile a quello di un bambino malato - o di una persona ferita.

«Stai bene?» gli domandò dubbiosa CereCere.

«Sì» rispose Helios. «È solo che...» Abbassò lo sguardo sulle proprie gambe. «Per me è tutto nuovo. È strano anche sentirmi parlare con questa voce.» Deglutì, a disagio.

«Che vuol dire?» indagò VesVes.

«Non sono entrato nella vostra stanza. Sono apparso qui direttamente dal mondo dei sogni.»

«Perché?»

La domanda più importante lo confuse. «Dovevo fare una prova.»

Per un momento CereCere si convinse che lui stesse per mettersi a piangere, genuinamente perso e addolorato.

JunJun buttò la palla a terra e vi si sedette sopra a braccia incrociate. «Sii più chiaro, ti dispiace? Non farci perdere tempo.»

CereCere avanzò di un passo. «Per caso sei appena diventato umano?»

Lui si limitò ad annuire.

Ciò spiegava molte cose. «La tua prova era entrare in questo mondo come umano?»

«Esatto» continuò Helios, grato.

«Perché?»

«Per Usagi.»

Oh, diavolo, maledizione, tutte a loro capitavano! «Usagi sa che sei qui?»

«No.»

«Ti stai preparando a vivere sulla Terra, vero?» Per Usagi. Per la principessa di tutta la Terra, da cui ci si aspettava un compagno più che favoloso, un futuro Re.

Helios era sollevato. «Voglio diventare un essere umano.»

«Oh no» mormorò VesVes, abbastanza forte da farsi udire.

«Mi dispiace se non rientro nelle vostre simpatie.» Sulla faccia di Helios si dipinse un broncio profondo, esagerato.

CereCere ebbe un'altra intuizione. «Quindi Usagi non ti ha mai visto nella realtà?»

«No.»

«E tu hai scelto di venire da noi perché potessimo aiutarti con...»

«Con... con tutto. Come potete, se volete.»

Secondo CereCere il giovane era un curioso mix di gentilezza e infantilismo. «Ragazze... Se mi state a sentire, penso di aver capito il suo problema.»

«Anche io» VesVes lo squadrò disgustata. «Questo qui è appena diventato un ometto. Non ha idea di come si faccia a essere una persona qualunque - non sa nemmeno stare in piedi - ed è venuto da noi in cerca di dritte per sopravvivere.»

«Perché siamo le migliori amiche di Usagi?» Furono le prime parole di ParaPara.

«Sì» sorrise lui.

«Aiutamolo, ragazze!»

CereCere lanciò un'occhiata disperata al soffitto.

Per VesVes la tentazione di usare la frusta in quel processo di insegnamento era forte. Si rivolse all'ex cavallo. «Se non impari a camminare nemmeno ci parli con noi. Fai uno sforzo, su!»

Scocciato, lui scese a terra con entrambi i piedi, senza mollare il comò.

«Stacca le mani e guarda avanti, non in basso. Le persone normali camminano a testa alta!»

«Ho capito!»

Doveva essere frustrante, pensò VesVes, entrare nella realtà con un corpo da adulto, senza aver avuto il tempo di essere ragazzini goffi. Be', era stato il signor Helios a decidere di essere grande, perciò ora doveva subire le conseguenze delle sue scelte.

Lui fece un passo in avanti e quasi cadde. VesVes sollevò le mani e indietreggiò, lasciandogli il tempo di riprendere l'equilibrio da solo.

«Ho fatto un passo» sorrise fiero.

Retrocessa a babysitter di equini umani, pensò VesVes.

«Brava, VesVes!» la incitò sottovoce ParaPara. CereCere la zittì con un'occhiataccia.

Era meglio non essere troppo clementi con l'ex ragazzino. La situazione era disperata: lui era arrivato sulla Terra per stare accanto alla loro principessa, ma in quelle condizioni era impresentabile a chiunque, Usagi compresa. Se lo avessero visto Re e la Regina... Rabbrividì.

Avevano concordato di nascondere la cotta di Usagi per il suo bello onirico con la copertura di Venus-chan, ma se il fidanzato dei sogni era appena diventato reale, quei piani andavano in malora. «Hai fatto due passi» disse ad Helios, certificando i suoi progressi. «Non mi sembra che tu abbia impedimenti fisici, perciò la realtà è semplice: tu, cavalluccio caro, sai camminare.» Si allontanò da lui. «Datti una mossa e dimostra che puoi raggiungermi.»

«Non sono un cavallo» dichiarò lui, stringendo i denti.

Oltre a non avere il controllo del proprio corpo, il signorino non aveva dimestichezza nemmeno nel gestire le proprie emozioni. Glielo dimostrò un istante dopo, coprendo per ripicca la distanza tra loro con tre passi decisi.

Persino lui se ne sorprese. «Ce l'ho fatta!»

«Bravo» annuì CereCere, avvicinandosi. «Mi permetti un altro consiglio?» Lo scrutò con un sopracciglio alzato. «Tu dovrai fare un lavoro molto lungo sul tuo comportamento. A volte somigli ad un ragazzino immaturo, quando rispondi.»

«Ne sono consapevole.»

«Bene, questa per esempio era una risposta adulta. Le persone normali parlano tranquillamente. Come hai sempre fatto tu un tempo, no? Ti comportavi benissimo quelle poche volte che ti ho visto.»

Lui inspirò profondamente. «Spero di riacquistare presto un equilibrio anche in questo mondo.»

VesVes gonfiò una guancia per la noia. «Ora puoi parlare, dicci tutto. Siamo ansiose di ascoltare.»

«Se vogliamo insegnargli ad essere educato» la fulminò con lo sguardo CereCere, «dovremmo essere noi le prime a non lasciarci trasportare dal sarcasmo.»

«Non scherziamo, questo qui sa tutto sulla cortesia. Appena arrivato sulla Terra, una delle sue prime idee è stata quella di rimproverarci! Gli abbiamo insegnato a camminare e non ci è voluto molto, perciò non sono più convinta di sapere cos'è venuto a chiederci.»

Helios agitò una mano tra i loro visi, per attirare la loro attenzione.

CereCere lo interruppe prima che potesse parlare. «Ecco, questo non si fa. È maleducato.»

Lui ritrasse di scatto le dita. «Sono venuto a chiedervi interazione. Mi serve interagire con altre persone per sapere come devo comportarmi in ogni occasione.»

A ParaPara brillarono gli occhi. «Oddio! Sarà come giocare alle bambole!»

VesVes sprofondò con la testa tra le spalle. «Se vuoi pensarla così...» Loro invece avevano cose serie di cui occuparsi. «Quindi dobbiamo prenderci cura di te?»

«No, aiutatemi a diventare una persona normale. Un uomo. Se è questo che sono.»

JunJun non si lasciò sfuggire l'occasione. «Quindi... il ragazzo-cavallo che un tempo ho cercato di montare è qui davanti a me a chiedermi di fare di lui un vero uomo?»

CereCere si morse le labbra. «Vorrei sottolineare che la tua delicata scelta di termini dà adito ad un doppio senso poco signorile che-»

«Zitta, CereCere.» JunJun sfregò i palmi tra loro.

Helios si impegnò nell'osservazione del soffitto marmoreo. «Noto che alcune di voi sono ancora amazzoni nell'animo.»

JunJun si riempì di un sorriso avido. «Ci puoi scommettere.»

«Hai compreso il doppio senso?» VesVes non credette alle proprie orecchie. 

«Hm?» fece Helios.

«Quello che poteva voler dire JunJun.»

«Ma che non volevo dire» precisò lei. «Non ci penso nemmeno a fare qualcosa con lui, sia chiaro! E non perché appartiene alla piccola!»

VesVes la zittì alzando la frusta. Negli ultimi tempi si era convinta che JunJun avesse gli ormoni scatenati: dietro molti suoi discorsi c'era un unico concetto di fondo. Non era colpa sua, ma forse era la prima tra loro a doversi trovare un ragazzo - smettendo di passare la maggior parte del suo tempo dentro il castello.

VesVes si rivolse di nuovo ad Helios. «Allora, avevi per caso colto un secondo significato nelle parole di JunJun?»

L'innocenza negli occhi di lui divenne confusa e VesVes provò pena per il suo prossimo destino. Con quell'espressione ingenua e dolce il cavallino sarebbe stato fatto a pezzi prima dalle loro maestà e poi dalle guerriere Sailor maggiori. Si consideravano tutte zie per la loro Usa-chan e in passato avevano già accennato a scrutinare attentamente le sue possibili frequentazioni. Naturamente a insaputa della stessa Usagi.

Helios indicò JunJun. «Io mi riferivo alla sua menzione dell'atto della monta, di cui ha parlato con molta enfasi.»

Persino CereCere dovette uccidere una risatina. JunJun stava fremendo di rabbia.

Helios non le notò nemmeno. «Una persona che ama tanto andare a cavallo è selvatica, giusto?» Unì le sopracciglia, come se neppure lui forse certo di quell'opinione. «Dalle leggende che ho imparato nei sogni, so che le amazzoni erano selvatiche. Come eravate voi.»

Bene, concluse VesVes, lo aveva ampiamente sopravvalutato: lui i doppi sensi non sapeva nemmeno dove stavano di casa. «Tu hai bisogno di un corso intensivo.»

«Di interazione umana?» continuò CereCere.

«Esatto. Altrimenti non ci andrà di mezzo solo lui, ma anche noi. Troveranno il modo di darci la colpa, vedrete, soprattutto perché noi lo nasconderemo.» Dovevano farlo per Usagi.

Helios inclinò il capo, curioso.

A VesVes dava un fastidio immenso sollevare la testa per guardare negli occhi uno che, fino a pochi momenti prima, non era stato neppure capace di camminare. «Hai forse intenzione di andare da Usagi ora?»

«Sì» sorrise lui.

«Sei pazzo!» gridò prima di lei CereCere. «Aspetterai almeno fino a domattina, non possiamo permetterti di vagare per il castello-»

Helios sollevò una mano davanti a sé. Lo fece con tanta calma che, per una volta, VesVes ebbe l'impressione di trovarsi davanti un suo pari.

«Adesso torno nel mondo dei sogni. Ve l'avevo detto, questa era solo una prova.»

Cosa?!

Lui accennò persino ad inchinarsi. «Vi ringrazio molto del vostro aiuto. Mi chiedevo se posso tornare a trovarvi, per il corso intensivo che mi avete proposto.»

JunJun era indignata. «Non si esce fuori dalla realtà!»

«Io posso ancora» sorrise Helios. Iniziò a diventare trasparente. «Torno domani sera?»

L'unica che riuscì a dare una risposta fu CereCere. Sconsolata e sbigottita, scrollò le spalle.

«A domani, dunque. Offro a tutte voi un saluto.»

Scomparendo dalla loro vista, Helios di Elysion tornò nel mondo dei sogni.

VesVes si strofinò la tempia. «Sarei più tranquilla se questo fosse stato solo un incubo.»

«Non abbiamo questa fortuna.» CereCere fece sparire la trasformazione, mentre ParaPara gridava, «Evviva!!»

    

«Mia Lady...»

La sensazione del soffio dietro l'orecchio fu divina. Usagi aprì gli occhi nel sogno. «Helios!» Voltandosi si ritrovò davanti un bosco incantato, vuoto. «Helios?»

«Qui, mia Lady.» Due braccia la afferrarono da dietro.

Lei si voltò nella stretta. «Helios!» Gli incorniciò il volto con le mani. «Perché? Da 'fanciulla' a 'mia Lady'. Perché non torni al mio nome? Usagi.»

«Mi piace portarti rispetto. Sento nei sogni degli abitanti di questo pianeta quanto amore provano per te. Il mio non è da meno.»

Usagi arrossì. «Il tuo amore è diverso, vero?» Come l'abbraccio con cui lui la stringeva. Con ogni notte che passava l'affetto di Helios si faceva più concreto, meno idealizzato - più fisico e umano.

Tenendola per la mano, lui la fece volteggiare con una spinta delicata. «Oggi desideri sognare un altro ballo?» Li circondò un salone immenso. Era il salone del Crystal Palace, il posto in cui lei sognava di danzare insieme a lui un giorno non lontano.

«No» gli disse. Si aggrappò alla sua mano e smise di ballare. «Se sei d'accordo, oggi vorrei portarti in un altro posto dei miei sogni.»

«Sono sempre d'accordo con ciò che decidi.»

A suo modo era un problema. «Puoi contraddirmi, sai? Non mi offendo.»

Lui si rabbuiò. «Qui sono custode dei sogni, Usagi. È naturale che io tenda a seguire il naturale flusso dei desideri del portatore di sogni il cui universo onirico mi trovo a visitare.»

A volte parlava lui in un modo troppo complicato.

«Spero...» Helios si interruppe e proseguì con maggior speranza. «So che quando arriverò alla vita, avrò una personalità distint - non diversa da quella attuale, ora posso promettertelo.»

La sua sicurezza la sorprese. «Come mai?»

«Sto facendo alcune... prove. Te ne parlerò meglio quando avremo più tempo. Ora dimmi dove volevi andare.»

Usagi accettò la poca precisione della risposta solo per non ferirlo. Sapeva già che alcuni suoi discorsi erano vaghi non per decisione sua, ma solo perché Helios non riusciva a dar loro maggiore specificità. La confusione lo faceva soffrire e lei non teneva a ricordargliela. Gli prese le mani tra le proprie. «Seguimi.» Si concentrò.

Quando sollevò di nuovo le palpebre, fu felice di trovare la penombra di una camera illuminata dalla Luna.

«Dove siamo?» le domandò lui.

«Nella mia stanza.»

Helios ammutolì.

Capiva - pensò Usagi - quando fosse importante per lei vederlo in quel luogo? Era in quel posto che aveva trascorso anni e anni a sognare di ritrovarlo. C'erano moltissime cose che voleva fargli vedere - parti di se stessa, di sogni ad occhi aperti che forse lui non conosceva.

«Guarda...» Creò un piccolo bagliore nella mano e illuminò la zona della scrivania. L'aveva voluta come una scrivania del ventesimo secolo, in legno d'acero chiaro.

«Non puoi accendere la luce pestando col piede e richiamandola?»

Usagi si voltò, sorpresa. «Come lo sai?»

Lui sembrò irrigidirsi, ma al buio non fu chiaro. «Dai tuoi sogni. Comunque posso aumentare io l'illuminazione.»

«No!» Afferrandolo per le spalle, lo fermò. «Basta la luce della mia Luna. È più romantico.»

Non comprese quale espressione stesse facendo lui, ma sentì di conoscerla. Quando lei gli rivelava i suoi sentimenti, con parole o gesti, gli occhi di Helios diventavano del colore di un miele delizioso, una tonalità ambrata scura e calda. Lui la guardava come se volesse abbracciarla e non lasciarla più andare, anche se ancora non si permetteva un abbraccio troppo intimo.

Lei lo trascinò con sé per la mano. «Questo è il mio letto.» Indicò la grande finestra a lato. «Ho chiesto che venisse posizionato qui per godere della luce lunare, fosse anche un solo bagliore. Non mi disturba, sai? Finora solo CereCere riesce a comprendere cosa mi fa provare la Luna.»

«È la tua essenza, mia Lady. È naturale che tu ne sia innamorata.»

In bocca a lui, la parola risultò infinitamente dolce.

«Sbagli. Innamorata è un termine che si usa per un amore... tra persone. Tra due esseri umani che desiderano stare insieme senza sosta, anelando la presenza l'una dell'altro.»

«Allora quello che provi per la tua Luna è un amore differente?»

Lui era meno romantico di quanto avesse creduto. «Sì. Amo la mia Luna perché è una parte di me.»

Helios volse lo sguardo al cielo. «È candida e luminosa. Ti somiglia.»

La luna piena del suo sogno arrossì al pari suo. «Ti va di sederti qui assieme a me? Questo è il letto in cui ti sogno, sai?» Si appoggiò per prima sul materasso. «Nella realtà, adesso, sono addormentata proprio qui.»

Helios si accomodò al suo fianco e osservò le lenzuola bianche. «Come mai tanto spazio, mia Lady? Hai il sonno agitato?»

Uno scherzo! Non si risentì per la piccola presa in giro. «Non penso. Vedrai, quando dormiremo insieme non ti darò fasti...» avvampò, senza terminare.

Il volto di Helios stava proprio sotto la luce della Luna; non ci fu alcun dubbio sulla sua momentanea confusione. «Si dorme insieme?»

Usagi spalancò gli occhi.

«Oh, giusto» commentò lui. «Magari si dorme insieme dopo che...» Si attese di sentirla completare la frase, curioso.

Lei morì di vergogna. Non era una cosa di cui si parlava con tanta schiettezza.

Lui si irrigidì. «Oh! È uno di quegli argomenti che creano imbarazzo, vero? Come la sensazione che avevo sentito io l'altra volta, quando mi sei venuta addosso e ti sei stretta a me tanto forte che-»

«Non ti ho assalito!» gridò indignata lei.

Helios si strinse nelle spalle. «Perdonami per la mia inettitudine. Cercherò di pensare cento volte prima di porre domande come questa.»

«No!» si disperò lei. «Non vergognarti. Se devi imparare, posso insegnarti io.»

Helios non le parve convinto.

«Non mi importa di imbarazzarmi, non voglio più che tu ti senta confuso.»

Lui sollevò lo sguardo al cielo, oltre la finestra aperta. Le tende svolazzavano tranquille dentro la stanza.

«Sono molte le cose che devo imparare» disse.

Usagi gli accarezzò una mano. «È sufficiente non correre troppo. Ci sono alcuni passaggi che seguono tutti. Ad esempio, prima ci sono le dita che si sfiorano, le mani che si toccano. Poi i baci sulla guancia. Gli abbracci, sempre più forti. E infine i baci. Sulla... bocca.»

«Noi siamo ancora agli abbracci» commentò lui, dopo un momento di silenzio.

Lei annuì. Non considerava il loro primo bacio da grandi come un vero bacio. «Abbiamo tempo. Qui nel sogno e anche quando sarai nella mia realtà. Possiamo andare piano, se vuoi.»

«Non è comune all'amore voler esaudire i desideri di chi si ama?»

Lei cercò il suo sguardo e un chiarimento.

«Provo questa sensazione ora» sorrise Helios. «Credo che questo mi avvicini sempre di più a te.» Si sporse in avanti. Esitò a metà strada e con un lungo respiro colmò la distanza tra loro, chiudendole le braccia dietro la schiena. Non cercò di parlare e di alleggerire l'atmosfera come suo solito; si permise invece di rimanere fermo, ad abituarsi alla sensazione.

«I tuoi capelli hanno un buon odore, mia Lady.»

«Usagi» si commosse lei. Soffiò un bacio sulla sua guancia, senza toccarlo con le labbra. Lo strinse forte a sua volta.

«Usagi» ripeté Helios. Accarezzò il viso contro il suo.

 


 

«Non me la raccontano giusta. Si comportano furtivamente, vanno a dormire presto la sera. Non sono mica ragazzine, sono adolescenti fatte!»

Minako soffiò delicatamente sul fumo del proprio tè. La fragranza Earl Tea, con un goccio di latte, era una prelibatezza che aveva imparato ad apprezzare solo negli ultimi anni; non aveva intenzione di sprecare un momento di più nel gustarsi ancora una volta quel liquido delizioso.

«Minako!»

«Che c'è?» trasalì.

«Mi stai ascoltando?!»

«Certo, maestà. Mentre tu parli io bevo il mio tè, che male può esserci?»

«Che cosa stavo dicendo?» la incalzò Usagi - la Usagi maggiore, come la chiamava scherzosamente lei assieme alle altre Inners.

«Uhm... Dormono presto la sera furtivamente perché sono adolescenti? Ma chi?»

Usagi sbuffò dal naso come una ciminiera. «Parlavo del Quartetto delle Amazzoni! Ho chiesto loro di vegliare su Chibiusa in questi giorni. Da quanto ho capito, col suo comportamento strano degli ultimi tempi c'entra un ragazzo. Minako, tu avresti raccontato alla madre della tua migliore amica del suo nuovo fidanzato?»

«Certo che no, non scherziamo.»

«Appunto!» Usagi quasi si morse le unghie dal nervosismo. «La mia bambina ha un ragazzo! Sono contenta, davvero, ma se non è un bravo giovane?»

Minako fu costretta ad appoggiare sul tavolino la tazza di tè. «Usagi... Nessuno ha controllato te quando hai incontrato Mamoru.»

«Ma lui era un futuro Re!»

Anche il futuro compagno della giovane Lady sarebbe stato un Re. Minako omise di specificarlo: a pensare tanto in là Usagi avrebbe potuto darsi ai mancamenti.

«Tua figlia saprà scegliere da sola.»

«Vorrei solo dare un'occhiata a questo ragazzo.»

Quale madre non lo vorrebbe? «Presto il Quartetto abbasserà la guardia e tu riuscirai a scoprirne di più.» Minako non aveva dubbi che le ragazze lo avrebbero fatto solamente quando il suddetto giovane fosse stato pronto ad essere presentato alle loro maestà. Sempre che Chibiusa lo ritenesse quello giusto: secondo Minako, anche la giovane Lady - con infinita discrezione - aveva diretto alle sue piccole storielle adolescenziali.

«Io non sto certo con le mani in mano!» Usagi le rubò il tè. «Ho deciso di tenerle tutte d'occhio.»

«Personalmente?» Chi l'avrebbe mai fermata? Oramai Usagi si teletrasportava dappertutto, senza bisogno di permessi o localizzazioni. Sua figlia era spacciata.

«Non ho molto tempo, ma andrò a dare un'occhiata alla mia piccola Lady tutte le volte che sarò libera da impegni, giorno e notte. La coglierò di sorpresa. Scoprirò chi sta cercando di nascondermi assieme al Quartetto.» Sorseggiò rumorosamente dalla tazza.

Minako pianse per il suo tè, gustato malissimo e senza alcun riguardo. «Perché non ti affidi a me? Ci penserò io, ho meno cose da fare.»

«Mi hai appena detto che tu non lo diresti alla mamma della tua migliore amica.»

«Ma la piccola non è amica mia, non ho più la sua età. Inoltre, ora anche io sono una madre.» Anche se ciò non significava che non avrebbe protetto l'amore della giovane Lady a tutti i costi.

«Minako, per te un'amica è un'amica per la vita. Conosci Chibiusa da quando eri una ragazzina. Inoltre hai una tolleranza molto alta per le intemperanze dei giovani.»

«Stai per caso criticando il modo in cui ho allevato i miei figli?» Minako brillò come la potente guerriera che era. «Sono tutti meravigliosi e assennati!»

Usagi preferì zittirsi. Che la progenie di Venere fosse affascinante era indubbio. Per quanto riguardava l'assennatezza... Ebbene, era la migliore qualità che il padre avesse tentato di trasmettere loro, con risultati variabili a seconda delle giornate.

«Scusami» disse ugualmente a Minako. Come si poteva criticare una madre? «Non volevo farti arrabbiare. Sono una mamma preoccupata e incline all'esagerazione.»

«Sei ancora la donna che ruba il cibo degli altri» sbuffò Minako. Si alzò, decretando chiuso quel piccolo incontro: da quel che aveva sentito, aveva dei piani da mettere in atto. «Cerca di ricordarti di quand'eri una ragazzina che nascondeva il fidanzato a mamma e papà.»

Usagi riacquistò il contegno di una sovrana. «Mi ricordo benissimo di tutto quello che faceva quella ragazzina con il suo fidanzato.»

Minako evitò la risata solo per un soffio. «Allora, se tua figlia è avventata come te, sai già a chi dare la colpa.» Salutandola con la mano, sparì.

   

«Vostra maestà.» Artemis si presentò da Re Endymion, profondamente onorato. Ogni volta che sua maestà lo convocava, lo attendevano sempre prestigiosi incarichi: l'ammodernamento dell'intero sistema informatico di Crystal Tokyo, la creazione di barriere di protezione naturali e meccaniche contro le intemperie della natura; la sua specialità era creare aggeggi che fossero utilizzabili anche da coloro che non avevano potere. Era noto in lungo e in largo sulla Terra per il suo ingegno nel comprendere le esigenze dei cittadini comuni. Essere stato gatto lo aveva reso umile.

«Artemis... Come sta Apollo?»

Il suo ultimo nato? Come mai sua maestà - Mamoru - si interessava al suo bambino? «Molto bene, mio sovrano.»

«Dimmi... è influenzabile come lo era un tempo Diana?»

«Come?» Artemis chiuse la bocca solo dopo essersi lasciato sfuggire un tono troppo colloquiale.

«Passa molto del suo tempo sotto forma di gattino, esatto? Vorrei chiedergli di essere di compagnia alla principessa.»

Alla giovane Lady? «Sua altezza desidera un compagno di giochi?» Non era troppo grande?

«Non proprio.» Re Endymion scese dal proprio trono. Quando lo invitò a seguirlo in un corridoio appartato, Artemis si chiese se fosse nei guai. Luna non lo aveva avvertito di nulla.

«Da padre a padre, Artemis.»

Le prime parole del sovrano lo scossero. «Sì?»

«So che anche tu hai avuto molte preoccupazioni con Diana.»

I ricordi recenti lo angustiavano ancora. «Già.»

«Vorrei solo che tuo figlio si avvicinasse a Chibiusa. In questo modo potrà starle vicino e io potrò chiedergli se, tramite le sue osservazioni, nota qualcosa di... strano.»

Strano? ... oh.

Povero Re.

«Mi capisci?»

«Sì, vostra maestà. Purtroppo Apollo è un micino meno astuto di quanto lo fosse Diana. Temo che potrebbe svelare il vostro obiettivo.»

«Non glielo diremo, a meno che non se ne accorga. Mi basterà interrogarlo giorno dopo giorno, per chiedergli in amicizia come se la passa mia figlia, con chi trascorre il suo tempo.»

Artemis deglutì: solidarizzava con Re Endymion, ma non avrebbe voluto trovarsi nei panni del giovane sfortunato. «Sua maestà ha motivo di credere che la principessa frequenti compagnie... inadatte?» Gli sembrò il termine migliore per descriverle.

«Non ne ho la certezza. Credevo fosse ancora troppo presto.»

Come si sbagliava, rimuginò Artemis. Diana lo aveva fatto disperare sin da quando aveva compiuto quattordici anni, col suo carattere solare e il sorriso grazioso che aveva donato a qualunque ragazzino avesse mostrato interesse per lei. In seguito le cose erano addirittura peggiorate.

«Sua maestà la Regina qualche giorno fa ha accennato ad una possibile... frequentazione. Non le ho prestato attenzione sul momento, ma osservando la recente disposizione della principessa, sono stato costretto a prendere in seria considerazione la possibilità.» Il Re strinse nel pugno lo scettro. «Spero di sbagliarmi.»

Artemis represse un brivido. «Speriamo, maestà. Devo presentare Apollo alla principessa ufficialmente?»

«Non vorrei insospettire la Regina. Limitati a portare il piccolo dove si trova mia figlia. Continuano a piacerle i gattini, soprattutto se sono parlanti. Diventeranno amici in maniera naturale. Chiedigli di starle il più vicino possibile ed essere discreto in questo suo proposito.»

«Sì.»

Seguì un momento di silenzio.

La conversazione era finita, capì Artemis. Offrì un inchino al Re.

«Artemis?»

«Sì?»

«Con 'discreto' intendo 'muto come un pesce'.»

A suo figlio i pesci piacevano molto, sospirò Artemis. Il paragone sarebbe stato facile. «Come desidera sua maestà.»

 


 

NdA: in tre parti la storia non è ancora finita, ma ho deciso: saranno cinque. All'apogeo comico giungiamo nella prossima parte, a quello romantico - alla realizzazione del sogno di Chibiusa ed Helios - nell'ultima, la quinta.

Grazie delle recensioni che mi avete lasciato finora. Spero che la storia continui a piacervi. Se avete dubbi o volete spiegazioni su alcune cose, sono qui :)

Ringrazio sempre Quintessence per la base di questa idea ;)

ellephedre

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Capitolo 4
*** Realtà/Helios ***


sogno reale 4

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

4 - Realtà/Helios

   

«Ciao.»

«Ciao!»

«Come stai?»

«Bene, grazie. E tu?»

«Non me la passo male. Ma in questi giorni mi sta succedendo una cosa che... E via dicendo con la questione di cui ti interessa parlare, capito? Questi» precisò CereCere, «si chiamano convenevoli

Helios rimase con lo sguardo su ParaPara, che aveva partecipato assieme a lei alla dimostrazione.

«Quindi... a ParaPara non è permesso parlarti direttamente di quello che è venuta a dirti. Prima deve chiederti informazioni sul tuo stato di salute?»

«Non è la salute» fu costretta a ripetere CereCere. «Ti ho già detto che noi non ci ammaliamo.»

L'espressione dubbiosa di lui la lasciò con l'impressione che Helios - officiante ancora in carica di Elysion - potesse diventare un ipocondriaco. Da quando aveva saputo di malattie e minuscole particelle che si infiltravano nel corpo umano per attaccarlo, aveva infilato in qualunque discorso domande su microbi, batteri e virus. Quantomeno, era stato crescentemente discreto nel tentare di soddisfare la sua curiosità, a testimonianza del fatto che stava imparando a comportarsi come una persona normale.

Forse era lei ad esagerare: non era passato che un giorno da quando Helios aveva preso coscienza che la realtà esisteva anche laddove era invisibile (una frase sventurata che lo aveva portato a lanciarsi in un discorso filosofico che nessuna di loro aveva seguito).

«Perciò» riprese lui, appoggiandosi coi gomiti sul tavolo, «se vado a trovare ParaPara non posso limitarmi a parlare di quello che sono andato a dirle?»

Quante volte era necessario ripeterlo?

«Almeno in questo non è strano» decretò annoiata VesVes. Un'occhiata alle unghie laccate di rosso la lasciò insoddisfatta. «Elly sta solo dicendo ad alta voce quello che pensano tutti gli uomini. Per loro i convenevoli sono completamente inutili, badano al sodo.»

«È troppo ingenuo per capire che 'Elly' è un nome da donna.» Prenderlo in giro rischiava di essere controproducente. «Ha ancora troppe cose da imparare, non dobbiamo confonderlo.»

«Posso fare un'altra domanda?» Il dito alzato fece di lui uno scolaro modello e di CereCere una maestra fiera.

«Certo.»

«Ho notato che per voi le differenze tra maschi e femmine sono importanti in molti frangenti. Nel comportamento, come hai detto tu adesso, o nei nomi. Perché?»

Invece di preoccuparsi della voragine che minacciava di inghiottirli tutti, JunJun abbozzò una risata.

Sconsiderata che non era altro, pensò CereCere. Come avrebbero potuto spiegargli una questione di tale immensa complessità?

VesVes non si pose il problema. «Abbiamo concordato che per tanti versi lui è ancora un bambino, giusto?»

Helios mandò giù una protesta.

«... sì» ammise CereCere. Per il loro allievo di vita era importante abituarsi a gestire con calma le frecciate.

«Be', su questa faccenda dobbiamo comunicare facile facile con lui, senza imbarazzi. Lasciate fare a me. Elly - anzi, Helios. Hai visto quella cosa che hai tra le gambe?»

«Eh?»

Ommiddio! CereCere torturò il legno del tavolo con la fronte. Non poteva essere vero, VesVes non aveva detto-

«Ecco, quella è la principale differenza: noi che siamo donne non l'abbiamo.»

Un'occhiata rapida al volto di lui fece scorgere a CereCere la coda di una brevissima riflessione. Quel mistero dell'universo non lo aveva sconvolto.

«Mi sembrava di saperlo, ma... l'altro giorno non ne ero più sicuro. ParaPara mi ha fatto vedere le sue bambole. So che voi avete queste.» Helios si portò due mani sul petto e curvò i palmi. «Le aveva anche la bambola femmina, coi capelli lunghi.»

CereCere giudicò opportuno sotterrarsi.

«La bambola maschio non aveva niente sul petto, ma sotto erano uguali.»

Santo cielo! «ParaPara! Hai cercato di insegnargli anatomia con le tue bambole?!»

Lei contorse le mani attorno al collo, in una grattatina nervosa. «Ho dovuto! Mi diceva che si sentiva strano là sotto, ho capito che doveva andare in bagno. Non potevo andare con lui, ho cercato di spiegargli!»

«Basta!» Era inconcepibile! «Non si parla di queste cose tra la gente!»

«Tra persone normali» ribatté VesVes, come se dovesse essere paziente tanto con lei quanto con Helios. «Lui non ha avuto dei genitori che gli spiegassero come funzionano queste faccende, dobbiamo pensarci noi. ParaPara secondo me ha fatto bene a usare le bambole.»

Forse, ma CereCere avrebbe preferito non parlare mai di certe questioni. «Non è educato fare simili discorsi in pubblico» gli spiegò. «Adesso va bene perché... be', perché è la prima volta che tu ne senti parlare, e sei con noi.»

«Quindi» ridacchiò JunJun rivolgendosi a lui, «credevi che anche noi donne avessimo l'affare che hai tu là sotto?»

«Più piccolo?» tentò Helios, prima di guardare tutte loro. «Ci sono diverse dimensioni?»

La risata sconnessa di JunJun fece venire a CereCere un attacco di bile. «Tracciamo una linea, di questo non si discute!»

«Non essere bigotta!» rise VesVes. «Se vuoi gliene parlo io dopo, in privato. Ma tu non puoi farlo sentire in colpa per queste curiosità.»

«È importante che impari che ci sono argomenti su cui si fa silenzio! Altrimenti collezionerà una serie di figuracce che-» Immaginarle in fila le tolse la voce. La Regina! Il Re! Sarebbero morti di vergogna!

Helios si era rannicchiato nelle spalle, incerto se aprire ancora bocca. Era infelice e frustrato.

«Esagerata.» VesVes ignorò i suoi timori con un colpo di mano. «Comunque stiamo divagando. Volevo solo dire ad Elly - Helios - che quella differenza anatomica è solo la più importante. Seguono caratteristiche come voce, altezza, dimensione della muscolatura. Carattere. Dipendono dargli ormoni, altre particelle che ci scorrono nel corpo. Buone, fanno parte di noi.»

«Sì» annuì attento lui, desideroso di capire.

«Da tutto questo, in tempi antichi, è derivato un diverso ruolo per le persone a seconda del loro sesso. Gli uomini, che erano più forti fisicamente, si impegnavano in tutte le maggiori attività che richiedevano movimento, tra cui la caccia. Dovevano essere sprezzanti del pericolo e coraggiosi per sopravvivere. Fuori di testa, diremmo oggi. Anche le donne procuravano da mangiare, ma tramite l'agricoltura, che richiedeva pazienza e costanza. Passavano tanto tempo con altre donne in situazioni tranquille, perciò hanno imparato a discutere di tutto e a spettegolare. Alcune non hanno mai smesso.»

CereCere si trovò a ricevere un'occhiata in tralice.

«In sintesi, uomini e donne avevano una diversa funzione che ha determinato quello che sono diventati qui sulla Terra, dove non esisteva per nessuno il potere che abbiamo noi oggi.»

L'evoluzione in due parole.

Helios stava annuendo. «La vostra storia è affascinante. Ne ho molti frammenti tra le mie conoscenze, ma non è semplice dare loro unità. Sarà meraviglioso imparare.»

Ovvero poter leggere, nel suo caso. Non ne era capace, come avevano scoperto solo qualche giorno prima. Era stato Helios a voler rimediare subito: ricordava già a memoria l'alfabeto neo-europeo e leggeva qualche parola; c'era di che essere orgogliosi.

«Ecco...» VesVes fece scricchiolare il collo. «Hai visto come CereCere mi ha sgridato per averti chiamato 'Elly'? È un nome dal suono femminile. Se altri uomini vedessero che lo accetti, si farebbero beffe di te. Succederà la stessa cosa se continui a parlare in quel tuo modo.»

Era ingiusto lanciargli quell'accusa. «Non parla male. Non cerchiamo di influenzarlo anche su questo.»

«Gli sto solo dicendo che il termine 'meraviglioso' è da usare esclusivamente a bassa voce, quando è da solo con una ragazza.» VesVes lo squadrò con occhi sottili. «Usagi, si intende. In altri momenti devi dire... Bello. Grande. Forte. Persino 'fantastico'. Ma 'meraviglioso' è... aulico. Antico. Effemminato.» Fu soddisfatta dell'ultimo aggettivo.

«Quindi è male» azzardò lui.

«Per un ragazzo? Sì.» Ma - VesVes ne era convinta - tutto per Helios sarebbe stato più chiaro quando avesse iniziato a provare quelle pulsioni naturali che, al momento, non sembravano colpirlo nemmeno di striscio. Lei aveva parlato di evoluzione, ma nel presente i fatti assodati erano semplici: gli ormoni condizionavano il comportamento di una persona, soprattutto di un uomo giovane. Era innaturale per lui continuare a comportarsi come un ragazzino; prima o poi quella faccenda si sarebbe dovuta sistemare. Magari sarebbe accaduto quando lui avesse smesso di saltare qua e là tra realtà e mondo onirico.

«Un'altra convenzione.» Lo sguardo di Helios era andato alla finestra aperta. Si alzò, avviandosi verso il balcone. L'alba stava sorgendo da qualche minuto.

«Tutte queste regole non mi piacciono molto, ma... qui avete il cibo.» Sorrise e VesVes ricordò l'abbuffata che si era fatto il primo giorno che gli avevano offerto un piatto di riso. Se non gli era venuto mal di stomaco era solo perché era tornato su Elysion in tempo, sparendo nel nulla come suo solito.

«Qui avete l'aria» proseguì lui, respirando a pieni polmoni. Con i primi raggi di luce non iniziò a dissolversi come era accaduto le notti precedenti; rimase un corpo concreto, vestito di bianco da capo a piedi.

Aveva l'aspetto di un principe, gli concesse lei. Non avrebbero dovuto lavorare sulla sua propensione alla regalità: nei suoi silenzi riflessivi Helios di Elysion ispirava rispetto.

Lui chiuse gli occhi. «Avete i profumi, con un odore vero.»

Aveva anche un'anima da poeta.

«Il sole. L'ho visto alto in cielo solo nei sogni, ma persino in questo momento, che lo intravedo solamente... Più lo sento sulla pelle e più mi sento vivo. Fuori avete... tutto. Alberi, gente, case.»

Parlava del loro mondo con un'ammirazione che per VesVes era impossibile racimolare.

Come gli avevano ordinato, lui non uscì sul balcone; rimase coi piedi saldamente all'interno della stanza, le mani sulle ante della porta-finestra. Era importante che nessuno lo vedesse, non era ancora pronto ad essere presentato al mondo.

«Rimanere qui dentro è sicuro. Se esco, sento che non potrò più tornare su Elysion.»

Mancò a tutte il fiato.

Veramente?

«È sempre più difficile tornare indietro.» La voce di lui era bassa, ma spezzava il silenzio della stanza. «Mi manca il senso di quello che accadrà, non è più...» La confusione pesò sui tratti del suo viso. «Non lo so più.» Rimase in silenzio, gravato dalla propria dualità, sperduto.

«Stai bene?» gli domandò CereCere.

«Sono... stanco.» Il sorriso pigro a cui diede vita mise in risalto la prima imperfezione che VesVes avesse mai notato sul suo volto: ombre scure sotto gli occhi.

«È piacevole dormire?» chiese Helios.

«Sì» rispose ParaPara. «Vuoi sdraiarti sul divano?»

Lui scosse la testa. Si sedette lentamente, abbandonando la schiena contro l'anta di vetro. «Questo è il mio confine, questa finestra. Sono ancora di là e già... di qua.» Inspirò e abbassò le palpebre. «Anche se non devo dirlo, VesVes, ciò che avete là fuori è meraviglioso. Proprio questa parola, non ne esiste una diversa.»

Il mormorio si era preso un sorriso di CereCere, lo stesso che marchiava, delicato, i visi di ParaPara e JunJun. VesVes si arrese all'evidenza: quell'animo romantico avrebbe portato Helios di Elysion molto lontano.

«Fa paura» disse lui.

Cosa?

«Il desiderio di restare.» Era per metà già nel mondo dei sogni. Iniziò a dissolversi nel rosa dell'alba.

«Qui c'è Usagi» gli ricordò a bassa voce CereCere, avvicinandosi.

«Lo so» furono le ultime parole di lui.

 


  

«Il sole...»

Il sussurro la destò con la chiarezza di una piuma passata sul collo.

Usagi si portò le dita sulla pelle, a sedare il ricordo del lieve solletico. Seppe prima di toccarsi che nulla l'aveva sfiorata. Nei sogni le percezioni dei suoi sensi si mischiavano, ma un'unica persona aveva una voce tanto elettrica da toccarla con le sole parole.

Si girò.

Di spalle Helios teneva la testa alzata, rivolta verso quel cielo in cui vi erano solo altre fantasie.

«Helios?»

Lui non sorrise nel vederla. Esitò, incerto sui propri pensieri. «Ti ho richiamata qui» disse infine. «Non volevo. Perdonami.»

Perché? Era un male incontrarsi due volte in una sola notte? «Cos'hai?»

Helios era rimasto fermo, non aveva accennato a raggiungerla. Era persino tornato a guardare lontano.

L'orizzonte dietro di lui era lucente come se il sole si fosse appena stagliato sui suoi confini. Se i loro occhi fossero stati reali, sarebbero rimasti entrambi accecati.

Era un sogno più onirico di altri. Il silenzio di lui era anomalo, lo scenario incomprensibile, l'atmosfera... sfumata.

Il loro ultimo sogno era stato molto più reale. Avevano parlato come in un appuntamento qualunque, osservando insieme le forme di molteplici animali. Avevano giocato ad associare i ricordi di lei a ciascun nuovo leone, panda, orso o giraffa che fosse apparso al suo comando. Aveva rivissuto con lui esperienze preziose perché minuscole, tanto lontane nel tempo da essersi quasi perse nella sua mente. Suo padre e sua madre che la portavano, in incognito, nei più grandi zoo del mondo; suo padre che le raccontava la favola del piccolo panda triste; sua madre che le insegnava a giocare con Diana; loro tre, tutti insieme, che guardavano film per bambini con animali parlanti, con la risata di sua madre che sovrastava la sua.

Per Helios era stato un modo di conoscerla meglio; per lei, di introdurlo attraverso frammenti della propria vita in quel mondo in cui lui intendeva vivere.

Fra quanto tempo arriverai? Era una curiosità che le martellava in testa, senza lasciarla in pace. Di quell'impazienza non gli avrebbe mai parlato. Il tempo non era uguale per loro due, lo aveva constatato con crescente riluttanza: per lui i giorni erano un battito di ciglia e le settimane pochi passi. A breve, le aveva detto, riferendosi al momento in cui si sarebbe unito a lei nella realtà. Ma, per raggiungerla nel mondo reale, a Helios sarebbero occorsi... anni? Era la risposta che più si avvicinava alla verità, lo temeva.

Non importa, mormorò di nuovo senza voce, tendendo le mani verso le sue spalle.

Quel vuoto che aveva sentito svegliandosi ogni mattina, vivendo di giorno in giorno, si era colmato senza sforzo. Non si sentiva più una bambina desiderosa di provare esperienze che non conosceva, partendo di corsa e andando, ovunque fosse. Lei era arrivata, da Helios. Forse sarebbe persino diventata una donna sognando con lui e non sarebbe mai stata una ragazza qualunque che, giovane e senza responsabilità, si sarebbe potuta permettere di uscire con il ragazzo che amava, a divertirsi senza pensieri. Poteva essere già una Regina per quando Helios fosse giunto da lei.

Non era mai stata normale, pensò, abbracciandolo da dietro. Andava bene proseguire su quella strada. Sarebbe stata la Regina felice di lunghissimi sogni, sino a che essi non fossero rimasti veri al di fuori della notte.

«Ho mai visto il sole?»

La domanda di lui la confuse di nuovo.

Helios ancora non la guardava. Teneva lo sguardo fisso sul cielo, quasi che in quella volta avessero trovato riparo le sue risposte.

«... nei sogni?» gli domandò lei.

«Quando avevo un corpo. Nei giorni in cui...» Abbassò gli occhi e con uno scatto la afferrò per le spalle. «Quando eravamo piccoli. Quando esistevo, quando-»

La forza della presa le tolse le parole. Gli toccò le mani, calmandolo. «Sì» ricordò. Perché era tanto importante? «Quando mi hai salutato e sei tornato qui. Era una giornata di sole. C'eravamo io e tutte le altre, ricordi? Ti ho abbracciato mentre non ci guardavano. Tu ti sei trasformato e sei volato via.» Sentiva ancora la criniera morbida di lui sulle guance, delicata, che profumava già di nostalgia.

La sostituì d'improvviso la sensazione di un palmo che la percorse su tutto il collo, prendendole la nuca, aggrappandosi a lei e allo stesso tempo... tenendola.

Helios affondò gli occhi nei suoi. «È confuso. Non ricordo.»

Il battitto di Usagi perse colpi. «... c-che cos'hai?» Aveva balbettato?

«Non ricordo.»

Lo smarrimento di Helios la riportò alla realtà. «Aspetta, cosa...? Siediti.» Lo costrinse a piegare le gambe assieme a lei, senza rompere il contatto che gli dava sicurezza. «Cosa succede? Qual è l'ultima cosa che ricordi?»

«Prima sognavo.» Il vetro nei suoi occhi si sciolse. «No... stavo là. Da te. Nel tuo mondo.»

Fu come ricevere un calcio in pieno petto. «Nel mio...»

Lui inspirò, riempiendosi di aria come se non l'avesse mai sentita prima dentro di sé. «Nel tuo mondo.» Riprese ulteriore consapevolezza. «Da quando ci siamo rivisti ho messo in atto delle prove. Sono andato dalle tue amiche.»

Da chi?

«CereCere. VesVes. ParaPara. Jun-»

L'elenco le mandò in cortocircuito il cervello. «Nei sogni, vero?» Non nella realtà. O sì?

«Nella realtà» ribadì lui e parve più stabile che mai. «Per questo ora non ricordo. Il tuo mondo si prende una parte della mia testa tutte le volte che-...» Si bloccò e diede alla propria confusione un nome. «Ho paura.»

La vulnerabilità lo rese più umano che mai.

«No.» Lei nascose il suo viso contro il petto. «È il mio mondo. Non c'è niente da temere...» Ma c'era. «Ti proteggerò io. Che cosa ti fa paura?»

I muscoli delle spalle di lui persero tutta la loro forza, ma Helios si aggrappò a lei con le braccia.

«Non doveva accadere in questa maniera. Per questo...?»

Cosa?

«Qui è arrivato il tempo per me di andare, ma.... Non dovevo passare in questa forma, dovevo... spegnermi. Riaccendermi nella realtà. Nascere.»

La puntura alla gola fu così vivida da indurla a tamponare l'inesistente ferita. «Daccapo? Dovevi essere un bambino?»

La risposta di lui fu solo un movimento del capo, lento. L'argento dei suoi capelli mandò riflessi di luce che parvero lacrime.

«Stai accelerando tutto quanto, vero?» Era lei a piangere?

«Credevo fosse più facile. Non sapevo che andando avanti, sempre più avanti...»

Lei non lo aveva aiutato. Aveva pensato solo a quanto era stata felice di averlo di nuovo accanto a sé.

Lo abbracciò con tutta l'energia delle sue oniriche braccia, pronta a salutarlo. «Ti perderai se continui.» Che vita avrebbe avuto in quelle condizioni? Avrebbe smarrito se stesso nelle incertezze che lo avrebbero invaso, non avrebbe saputo cosa essere. Non era preparato, era troppo presto perché fosse adulto. Era sbagliato. «Torna giovane.» Tremò. «Torna bambino.»

Quando eravamo piccoli, aveva detto lui. Piccoli insieme, un ricordo lucente che non si sarebbe spento. Quel passato era un sogno che avrebbe dovuto attendere ancora molto tempo per realizzarsi.

«Ti aspetterò.»

Lui aprì la mano sulla sua schiena. «Non voglio aspettare.»

Nemmeno lei, la pazienza sarebbe stata una tortura. «È meglio così. Saranno... vent'anni. Venticinque? Passeranno in un attimo.» Con che forza riusciva a dirlo?

«No, non hai...» Lui sollevò il volto, nascondendolo non più nel suo petto, ma nell'incavo del suo collo. Diventò un abbraccio reciproco, in cui non era più lei a sostenerlo.

«No» ribadì Helios. «Questo terrore è confuso, è confusione. È paura di andare via da qui. È stata tutta la mia vita. Si avvicina il passaggio, è il motivo.»

Il senso della risposta spezzata le sfuggì. «Sta' calmo.» Tentò di sedare il tremore che era tornato a scuoterlo. «Sta' tranquillo. Non avere paura.»

Il respiro di lui era affannoso. «Amo il tuo sole, fanciulla.» Raccolse due minuscoli lembi di tessuto sulla sua vita, accarezzò loro e lei. «Amo tutti quei suoni e come profumi. Voglio che sia vero toccarti.»

Perché, perché sembrava disperato?

Lo sentì irrigidirsi, di colpo.

Tra loro calò un silenzio assoluto. In due non mossero un singolo muscolo.

Usagi aveva il nome di lui bloccato in gola.

«Mi sta aspettando» disse infine Helios.

Chi?

«Vado. Devo farlo da solo.»

Lo sentì sorridere e le parve così assurdo che volle vederlo con i propri occhi. Non riuscì a farlo.

«Dormi, fanciulla.»

Il bacio sul lobo dell'orecchio le fece perdere l'equilibrio. Cadde senza traumi, con tutta la mente, verso un sonno profondo. A palpebre chiuse, sentì la mano di lui che stringeva la sua.

«Ci rivediamo nel nostro mondo.»

   

Infuso di pace, Helios osservò la sua fanciulla sparire, diretta alla realtà.

Non l'avrebbe più chiamata 'fanciulla', si ripromise. Era un nome legato ad un luogo che stava per lasciare.

«Non comprendo quello che provi» disse un eco alle sue spalle.

Si era fatto tutto luce, come l'alba che aveva visto nell'ultimo attimo di universo concreto in cui aveva vissuto.

Non era più custode dei sogni. Stava sognando lui stesso.

Si voltò.

«Non comprendo quello che provi» ripeté il ragazzino che lo fissava sereno, a pochi passi di distanza. «Ma il tuo timore è superfluo. Questo passaggio è nella nostra natura.»

«È per merito tuo se ho pace?»

«No» gli rispose il bambino dai capelli color cielo - il cielo di un giorno di sole - sicuro nella propria saggezza. «La mia vicinanza ti ha ricordato che cos'eri qui.»

E ciò gli aveva dato calma.

Gli piacque sentirsi Helios di Elysion per quei pochi altri momenti che gli rimanevano. Aveva vissuto in un universo di certezze. «Come sei arrivato in questo luogo?» Era curioso - proprio come un essere umano.

«Se non lo ricordi più, non ha importanza per te saperlo.»

... esatto. Non lo ricordava più. Si sentiva perso in un modo che non riusciva più a decifrare.

Era tutto confuso e, al tempo stesso, cristallino. «Non sarò pervaso dal timore quando sarò un essere umano.» La confusione era nata dalla dualità a cui si era costretto, per un seppur breve periodo.

«Quando verrà il mio momento, sceglierò il percorso più semplice.» Il nuovo giovane custode dei sogni sembrò incerto. «Non so cosa comporti, ma ho la consapevolezza che tu abbia creato difficoltà di cui non avevi bisogno.»

«Avevo bisogno di qualcos'altro.» Helios si alzò in piedi e avanzò verso il ragazzo. Sollevò un braccio.

Annuendo, il giovane si avvicinò a lui.

Prima di toccarlo sulla fronte, Helios ritrasse le dita tese. «Abbi cura del mio mondo.» Suo per infinite ere.

«È tutta la mia anima.»

Le parole che aveva pronunciato lui stesso agli inizi di ogni cosa.

Si inginocchiò e con un dito accarezzò il centro della fronte del suo successore, indugiando sul simbolo che brillò sulla pelle diafana.

Il giovane sollevò le palpebre. «Ben fatto, Elysion.» Lo toccò in mezzo agli occhi. «Il tuo compito è terminato.»

Gettato nel sonno diretto alla realtà, Helios ebbe come ultimo ricordo del suo mondo la sensazione immensa delle proprie mani che lo muovevano, accarezzando meraviglie inconcepibili che aveva avuto il dono di vedere.

Tornerai, gli disse una voce lontana. Sognerai anche tu.

Addormentato, sorrise.

  


   

Due dannatissime ore.

A tanto ammontava il sonno che VesVes si era fatta quella notte. Anzi, quella mattina! Uscendo, si trattenne dallo sbattere la porta della sua stanza.

L'equino umano non più tanto beato - e neppure così equino - veniva da loro da ben due settimane a prendere lezioni di vita. E CereCere tutta carina e gentile gli diceva 'Massì, ti aiuteremo', 'Massì, dobbiamo farlo per Usagi'. Intanto però dormivano tutte quanto pipistrelli senza una caverna oscura.

Di giorno dovevano stare sveglie per non insospettire nessuno e di notte - a notte fonda, dopo essere stato da Usagi - arrivava lui, Elly dai capelli d'argento. Quel maledetto le stava persino diventando simpatico. Da umano, col passare dei giorni, si era fatto meno santo e meno sciocco di quanto le fosse sembrato all'inizio. Lui aveva sempre la mentalità di un bambino di cinque anni, ma non possedeva l'indole perfettina che gli aveva affibbiato da principio. Era permaloso, incline a dire la sua, persino più curioso di Apollo - il gattino che sua maestà il Re aveva piazzato accanto a Usagi.

Quel giovanotto felino le preoccupava: dietro i suoi occhioni blu si nascondeva un'ingenuità pericolosa. Il piccoletto si era messo in testa di dormire vicino alla testa di Usagi e, naturalmente, la principessa non aveva opposto obiezioni. Era stata CereCere a doverle ricordare che di notte, tutte le volte che sognava il suo bello, le accadevano fenomeni particolari.

Se il gattino l'avesse vista con abiti da ballo dopo che era andata a dormire in pigiama, non si sarebbe forse insospettito?

Magari lui neppure sapeva cos'era il sospetto, ma di sicuro non era capace di tenere a freno la lingua. Avrebbe raccontato tutto quello che era successo con la principessa alla mammina Luna, al papino Artemis e allo zietto Mamo-chan, come chiamava sua maestà il Re. Il sovrano aveva insistito sull'affettuosa familiarità di quel nome. Tramava qualcosa.

ParaPara era stata geniale nel trovare un modo per risolvere il problema.

«Ti farò un regalo!» aveva detto al piccoletto, creando per lui un giaciglio a forma di castello sotto il letto di Usagi. Apollo si era fiondato felice sui voluminosi cuscini.

«Se non lo dici a nessuno, avrai un castello diverso ogni sera!» ParaPara non si era fatta impensierire dalla curiosità di lui, aveva avuto la risposta pronta. «Deve restare un segreto perché nessuno vuole che tu sia viziato troppo. Io voglio tanto essere buona con te, ma se lo dici alla mamma, non potrò più farti regali!»

La logica era sembrata ineccepibile per il piccolo Apollo.

Sospirando, VesVes si fermò davanti alla camera di Usagi. Chiuse gli occhi e, mettendo al lavoro i due neuroni svegli che aveva in testa, si teletrasportò all'interno della stanza.

Riapparve in posizione orizzontale, parallela al letto e a meno di mezzo metro dal pavimento. Attenta a non toccarlo, guardò per prima cosa sotto il materasso di Usagi. Nel suo castello di cuscini, Apollo dormiva sereno e ignaro.

Bene.

Trattenendo a forza uno sbadiglio, VesVes si rimise piano piano in verticale, attenta a non muovere troppa aria nella stanza. Certo che - notò - l'atmosfera era proprio carica per essere la camera di una persona che dormiva.

Gettò un'occhiata ai dintorni illuminati dal sole ormai alto.

Soffocò un urlo.

Addormentata sul divano c'era sua maestà la Regina.

Uno sguardo ad Usagi fece morire VesVes di crepacuore, sul colpo: sul letto la principessa non era sola!

La luce proveniente dalla finestra aperta illuminò di striscio una ciocca di capelli argento.

Elly!!

Col respiro bloccato dalle sue stesse mani, VesVes divenne così blu che per poco non perse i sensi. Si precipitò fuori dalle ante aperte, schizzando in cielo.

Solo a trenta metri di distanza si azzardò a inspirare a pieni polmoni.

Era morta, la sua carriera di guardiana era finita!

La Regina! Usagi ed Elly nella stessa stanza! Con la Regina! E dormivano insieme! Non con la Regina. Uccidere la risata la riportò alla realtà.

La Regina dormiva, non era ancora tutto perduto. Doveva portare Elly e Usagi fuori da quella camera.

Doveva solo toccarli per teletrasportarli da un'altra parte - nella sua stanza, decise.

Tornò indietro. Doveva toccarli pianissimo, era ovvio. Se solo uno di loro avesse mormorato svegliandosi, la Regina o Apollo avrebbero aperto un occhio e... sarebbe scoppiato il finimondo.

Volando circospetta, riuscì a posizionarsi sopra Usagi e il suo bello, che dormivano abbracciati, stretti stretti.

Elly, mandrillo che non sei altro. Lo aveva sottovalutato.

Sfiorò entrambi su una spalla. Quando fu sicura di avere una connessione stabile, chiuse gli occhi e li portò via.

Riapparendo in camera sua rilasciò il più grosso sospiro di sollievo della sua vita.

Rannicchiata sul letto, Usagi emise un mormorio confuso, nascondendo il viso contro il petto di Helios di Elysion. 

Lui è ancora Helios di Elysion? si domandò VesVes.

Lo avevano salutato meno di tre ore addietro e, prima di quel momento, lui non era mai apparso di giorno. Soprattutto, non era mai andato da Usagi.

Urgeva un consulto con le altre.

  

Mamoru squadrò la scena davanti ai suoi occhi. «Cosa ci fai qui?»

Sua moglie schizzò in piedi. «Ahhh! Mamo-chan!» La sua Regina dai capelli scarmigliati sgranò gli occhi e si guardò intorno. «Come, quando? Chi?»

Non aveva mai smesso di essere pazza. «Per quale ragione sei venuta a dormire in questa stanza?» Durante la notte, supponeva. «Per controllare Chibiusa?»

Lei si svegliò in un istante. «Dov'è?» Puntò lo sguardo sul letto. «Noo, l'ho mancata! Volevo vegliare sul suo sonno sereno-»

«Raccontala a un altro.»

«Non la stavo controllando!»

«Bene, perché hai detto a me di non farlo.»

«... maestà?»

La vocina paralizzò entrambi.

Uscendo da sotto il letto, Apollo stiracchiò le piccole zampe. Dopo uno sbadiglio gigante che terminò in un mezzo miagolio, si mise composto e chinò la testa. «Maestà, buongiorno!»

«Apollo?»

Mamoru si morse le labbra.

«Come mai sei qui?» proseguì Usagi.

Il gattino le offrì un sorriso. «Zio Mamo-chan mi ha detto di fare da amico a Usa-chan! È un onore!»

«Ah sì?» biascicò lei, la bocca serrata in un sorriso maligno. «Che bravo zio. Interessatissimo alle amicizie di sua figlia.»

Mamoru non volle più spettatori. «Apollo-chan, torna da tua madre.»

Lui annuì e si diresse zompettante verso la porta. «Oh? Usa-chan non c'è più?»

«È con il quartetto amazzonico» lo tranquillizzò Mamoru. Quando non aveva visto sua figlia, la prima cosa che aveva fatto era cercare l'energia di lei in giro per il castello. L'aveva trovata nella camera di Sailor Vesta. Poiché erano le nove e mezza di mattina, non si era preoccupato; a differenza di sua madre, Chibiusa non era mai stata una dormigliona.

«Col quartetto?» ripeté Usagi. «Allora tramano qualcosa?»

Educatamente, Apollo uscì dalla stanza.

Mamoru si avvicinò di un passo a sua moglie. «Anche se fosse così, dovremmo rispettare la privacy di Chibiusa.»

«Da quale pulpito? Hai infiltrato un tuo uomo in camera sua.»

«Stiamo parlando di un gattino di sette anni.»

«Lo hai usato! Cosa pensi che ne dirà Luna?»

Mamoru riuscì a non tremare. «Avevo il consenso di Artemis.»

«Lei ti farà a fette lo stesso.»

«Sono il Re!»

«E lei è la sua mamma!»

Era ridicolo! «L'ho solo fatto diventare amico di Chibiusa!»

Usagi perse interesse nella lite. «Ha scoperto qualcosa?»

Mamoru sospirò. «Niente. Pare che non stia succedendo nulla di strano.»

«Ah-ha!» gridò trionfante Usagi. «Vedi che ho fatto bene a venire qui? Ti sbagli, tesoro mio.»

Cosa?

«Certo che succede qualcosa. I sogni di una ragazza sono lo specchio del suo cuore.»

Mamoru trasalì. «Sei entrata nella sua testa?» Era troppo!

«No, sono solo venuta qui a notte fonda. L'ho sentita bofonchiare.» La risatina di Usagi sparì in un grugno esitante. «Be'... sogna di ragazzi.»

... gli stava nascondendo qualcosa. «Non mentire.»

«Omettere non è mentire.»

«Il motto dell'onestà.»

«Cerco solo di rispettare la privacy di nostra figlia.»

Proprio ora? «Usako, fuori il rospo.»

Lei pensò a lungo prima di arrendersi. «Niente, l'ho sentita dire...» Si abbracciò da sola. «Oh! bofonchiava. Oh! Helios!»

Mamoru spalancò gli occhi.

... Helios?

«Ehh» minimizzò Usagi. «Sarà stato un sogno del passato.»

«Allora perché ti sei abbracciata?»

«Perché lei sembrava molto appassiona- No! Felice!»

Mamoru ebbe voglia di torcere il collo a qualcuno. Poiché la rabbia che provava era illogica, benché giustificatissima, pensò di provare con se stesso.

«Dai, Mamo-chan. Anche io alla sua età facevo quei sogni.»

Non aveva bisogno di pensare a sua figlia in quella situazione. «Usciamo di qui.»

«Sei arrabbiato?»

«Sono in ritardo. Anche tu. Non ricordi la colazione fissata con gli ambasciatori?»

«Ahhhh!!!!» Sua moglie volò fuori dalla stanza.

Pensieroso, Mamoru la seguì senza entusiasmo.

 

Helios, il suo Helios. Addorolorata, Usagi lo abbracciò forte. Quando lo avrebbe rivisto? Come aveva potuto salutarlo?

Sospirò nel sonno. L'aria che le entrò nelle narici seppe di un tale buono che...

Doveva dormire per sempre con quelle lenzuola. E con quel cuscino, che era caldo e morbido - non come piume, bensì come un corpo solido che-

Bloccò i pensieri, iniziando a svegliarsi.

Era una delle ragazze? Perché dormiva con una di loro?

Aprendo gli occhi si ricordò che non era stata la serata della festicciola notturna. Da quando nei suoi sogni era arrivato Helios, non vi aveva più partecipato. Allora cosa...?

Dormiva con la testa contro un petto sorprendentemente ampio e piatto. Niente seni.

... non dormiva con una donna? Ma chi-?

Una mano si mosse sulla sua schiena, piano. Una mano grande, non di ragazza.

«Ahhh!!!» Si bloccò prima di riuscire a sferrare il primo calcio. La risata di sottofondo di JunJun divenne immediatamente un suono ovattato, quasi muto alla sue orecchie. Davanti a lei stava... Helios.

Fissandolo, Usagi serrò e aprì le palpebre, sempre più forte. Tremò senza controllo.

In lontananza, qualcuno tornò a parlare piano. «L'aveva scambiato per Adonis?»

Gli occhi ambra che si erano fissati su di lei, immobili, si voltarono verso JunJun, e ogni cosa divenne sorprendente reale. Helios si trovava ad un metro da lei, seduto sulle sue stesse lenzuola. Era confuso. Ignaro. Vero.

Tese le mani e riuscì a prendergli i polsi, affondando le unghie nella sua carne. L'ombra della smorfia di lui le causò un nuovo stato di choc.

Helios era vero. Vero.

«Usagi.» Fu un mormorio basso, una voce che fendette l'aria. Il suono, una nota sconosciuta, le solleticò le orecchie. Neppure quello era più un sogno.

Lui fece leva su un braccio per sedersi più dritto. La veste bianca che indossava si mosse sulle sue spalle, piegandosi sul suo petto. Le sembrò di non aver mai visto prima i suoi capelli, la consistenza di quei fili chiari. La pelle del suo viso, così compatta e - oh - calda. Doveva essere calda. Gli occhi. Ambra ma marroni all'ombra, riflettevano la luce creando decine di pagliuzze e sfumature. Erano occhi reali.

«Sotto quella roba indossi qualcosa, giusto?»

La domanda di VesVes ruppe lo stallo.

Usagi gli si buttò addosso, per soffocarlo tra le braccia. Non riuscì a toccarsi i polsi oltre le spalle di lui e scoppiò a ridere. Aveva sbagliato i calcoli, sino a quel momento aveva abbracciato solo un sogno. Mai più, pianse. Mai più.

«Io mi preoccupo che sotto sia nudo.»

«Zitte» bofonchiò Usagi, mormorando il nome di lui in una sequenza senza pause. Sentì delle braccia che cercavano di sistemarsi sulla sua schiena. Partì un dondolio anomalo, che forse era una stretta, forse era niente. Era Helios.

«È l'abbraccio più strano che abbia mai visto» commentò JunJun.

«Shh» fece CereCere.

E silenzio fu, per quell'incontro che aveva atteso un'eternità.

  

Aveva bisogno di scappare, pensò Helios.

Abbassando la testa, cercò l'orecchio di lei. «Usagi.» Venne invaso da un effluvio di aromi.

Stordito, schiacciò il naso contro la tempia di lei, inspirando fino a riempirsi la mente. Sentì il viso accarezzato da una massa morbida e rosa, capelli che sulla radice erano un concentrato di profumo inebriante. Fu sufficiente il movimento di un centimetro perché le sue narici venissero a contatto diretto con la pelle di Usagi. Ne morì felice.

«Oookay!»

Mani sconosciute lo strattonarono via, facendolo scivolare lungo il letto, all'indietro. Il vuoto improvviso sotto i suoi piedi lo portò a muovere furiosamente le gambe. Riuscire a non cadere fu un'impresa; tutti i suoi sensi erano concentrati a sfuggire al suo controllo e a generare una sensazione corporea così...

Il mondo vorticò instabile.

JunJun e VesVes gli furono davanti. Fu costretto ad appoggiarsi alle spalle di VesVes, solo per accorgersi che sarebbe caduto assieme a tutte e due. Ignara, JunJun lo squadrò dall'alto in basso; d'improvviso spalancò gli occhi.

«Seduto!»

Cosa?

«Siediti subito!» La pressione improvvisa sulle spalle gli fece perdere l'equilibrio. Cadde, atterrando su muscoli che pararono il colpo. Fece male lo stesso e capì solo in quel momento la ragione per cui, durante le sue prove, aveva evitato per istinto quel tipo d'incidente. Il dolore era una sensazione intensa e profondamente spiacevole.

«Cosa gli state facendo?!»

Usagi.

Lei cercò di farsi largo tra le sue amiche, ma CereCere la tenne per le spalle. «Un attimo. Sembra che siano i suoi primi momenti da sveglio, lascialo respirare.»

ParaPara annuì ripetutamente. «Ci vuole un controllino!»

Lui serrò le palpebre, disturbato dalla troppa luce. Era quello l'effetto del giorno sugli occhi?

Aveva davvero bisogno di un controllo: era tutto diverso dalle sue prove, più nitido, più vivido. Più strano - la sua testa continuava a girare. 

Il suono di una voce che canticchiava si avvicinò alle sue orecchie. Una mano si intrufolò dentro i suoi vestiti dallo scollo della veste, strappandogli un lamento. Era fredda. No, stringeva qualcosa di freddo. Metallo? Il ricordo della nozione gli regalò un istante di serenità.

«Ascolto il cuore» gli sussurrò rassicurante ParaPara.

«Sarà veloce» disse ancora più piano VesVes. «Non guardare in basso.»

«Perché?»

Le dita di JunJun sotto il mento impedirono a ParaPara di rispondere da sola alla propria curiosità. Non capì neppure lui, ma in un certo senso... capì.

Era la sensazione. L'effetto. Bisognava nasconderlo?

VesVes stava scuotendo la testa. «Io e te dovremo proprio fare un bel discorso.»

Due dita gli aprirono l'occhio destro a forza. «E ora un'occhiata ai bulbi oculari!» ParaPara lo accecò con una luce.

«Gli state facendo male!»

Usagi.

«Usa-chan, lo sto facendo per il suo bene!»

CereCere rilasciò un sospiro. «Se solo fossi stata così efficiente anche la volta scorsa, invece di usare le bambole per spiegargli...»

VesVes tornò in piedi. «Sta' tranquilla. La differenza più grande l'ha appena vissuta in prima persona.»

Eh?

Helios si ritrovò un bastoncino infilato in bocca.

«Fai 'ahhh'!»

La sua gola si ribellò all'intrusione.

«Scusa!» ridacchiò ParaPara, ritraendo lo strumento. «Non volevo farti scoprire il riflesso del vomito, so che è orribile!»

«Basta!» Usagi le spostò tutte di lato e gli fu davanti. «A lui penso io.»

«Finora ti sei rifiutata di studiare medicina, Usa-chan.»

Il commento di ParaPara non preoccupò Usagi. «Non serve, adesso gli trasmetto la mia energia.» Incrociò i suoi occhi. «O studierò medicina per te. Ma non starai male, vedrai. Concentrati sulla mia mano, ora passa tutto.»

La morbidezza della voce di lei mise a riposo tutti i suoi sensi offesi. Il timbro che le era uscito dalle labbra era stato molto più maturo di quello che aveva udito nei sogni. La fanciulla Chibiusa era cresciuta più di quanto avesse creduto.

Le sfiorò la mano libera e chiuse gli occhi.

Era umano.

Era rinato.

Finalmente.

  


  

«Cosa stai scrivendo?» Helios si sporse sopra la scrivania.

CereCere alzò lo sguardo. «Giorno uno. Oggi è il trenta agosto. Sarà il giorno del tuo compleanno.»

Compleanno. Una ricorrenza di festeggiamenti.

Comple-anno. Compie anno. Giusto, con ogni anno che passava si misurava la maturità di una persona.

Ricostruire il concetto in autonomia gli strappò un sorriso. Gradiva immensamente sorridere. Si piegavano i muscoli delle sue guance e il suo corpo veniva attraversato da una sensazione piacevole, di soddisfazione e contentezza.

Sospirò, ma ciò gli piacque meno.

Convincere Usagi ad andare, sostenendo l'invito delle altre, era stato spiacevole. Lei aveva desiderato annullare tutti i suoi impegni, ma le sue amiche l'avevano convinta a non rimanere con lui. Per non insospettire le loro maestà, avevano detto. Se avessero scoperto che lui era arrivato, non li avrebbero lasciati trascorrere del tempo insieme con facilità.

La ragione di quel possibile atteggiamento per lui era abbastanza chiara - ai genitori piaceva proteggere le figlie e supervisionare le loro future relazioni - ma non era il motivo per cui aveva preferito allontanarsi da Usagi. Si era reso conto di avere bisogno di qualche ora per... stabilizzarsi.

Camminava bene - le prove erano servite almeno a questo - e si sentiva sufficientemente capace di intrattenere una conversazione in cui non avrebbe stupito il suo interlocutore con osservazioni ridicole. Tuttavia, portando tutto il suo essere nel mondo concreto, si era aperta per lui una percezione della realtà sconosciuta.

Solo ora sentiva davvero gli odori. Solo ora sentiva che i suoi occhi funzionavano e che i suoi muscoli si muovevano.

Il suo corpo era stato completamente funzionante anche nelle sue visite precedenti, ma la sua testa non lo aveva accompagnato appieno in quei momentanei trasferimenti nella realtà, rimanendo per una parte nel mondo dei sogni.

La consapevolezza che aveva ora del proprio fisico... non era semplice gestirla. Con Usagi accanto era stato impossibile.

Usagi sorrideva. Parlava. Profumava. Si muoveva, voleva stringerlo. E lui voleva ricambiarla, ma secondo VesVes la prima volta aveva quasi combinato un disastro. Le volte successive - questione di pochi momenti - se n'era accorto da solo e lo aveva evitato in tempo.

Il suo corpo lo metteva a disagio; sembrava comandarlo invece che sottomettersi alla sua volontà. Non era riuscito a concentrarsi neppure su un discorso di Usagi. Aveva desiderato in maniera disperata un contatto fisico che non sapeva controllare. Era frustrante.

«Quel broncio mi piace» sorrise VesVes, sedendosi sul tavolo assieme a lui, di fronte CereCere - che ancora scriveva - e di lato JunJun - che invece stava a braccia incrociate. Avevano mandato via ParaPara.

«Quando sei imbronciato tiri fuori un po' di carattere.»

Lui aveva del carattere. «Riflettere non equivale a non saper agire.» Decise di ignorarla e spostò l'attenzione su CereCere. «Perché stai scrivendo? Temi di scordarti il mio compleanno?»

Lei nascose un sorriso. «Questa pareva una battuta cattiva.»

Cosa?

«Ma mi sembri ancora incapace di produrti in certi artifizi» continuò lei. «Comunque non è il caso di perdere tempo. Usagi non ce ne lascerà molto.»

«Infatti» concordò VesVes, picchiettandosi le ginocchia coi palmi aperti delle mani. «Al sodo.»

Al sodo? Al centro della questione, corretto?

VesVes puntò gli occhi sui suoi. «Oggi parliamo di api e fiori.»

Veniva preso per stupido. «Le api sono insetti gialli e neri, con piccole ali. I fiori sono vegetali che possono assumere forme e colori diversi.» Non erano servite nemmeno le lezioni oniriche di Usagi per imparare concetti tanto basilari. Con lei aveva appreso della divisione tra specie faunistiche; almeno Usagi lo aveva ritenuto più intelligente.

Sulla bocca di VesVes si era dipinta una risata... cattiva. No, capì subito: ironica. Il concetto gli saltò in testa dal ricordo di molteplici sogni che aveva supervisionato.

Si era dovuto trovare nella situazione per capirlo. Con tutta la testa nel mondo reale.

«Elly, siamo chiari.»

«Non chiamarmi Elly.»

Lei spalancò gli occhi.

«Hai detto che non dovevo accettare il nome.» Non spettava a lui difendersi?

«Già.» VesVes cambiò tono.

Il tono era una modulazione della voce che mostrava l'atteggiamento di chi parlava.

Con ogni nuovo concetto che definiva, Helios si sentiva sempre più sicuro.

«Come si riproducono gli esseri umani, Helios?»

Come?

«Da dove saltano fuori le persone?» VesVes scrollò le spalle. «Tu vieni dal mondo dei sogni, noi altri invece...?»

La domanda lasciata in sospeso presupponeva una risposta da parte sua. «Esiste un sistema di... riproduzione, come l'hai chiamato tu. Di copia.» Si era espresso male. «Per fare una persona ce ne vogliono due.»

L'espressione nel viso di CereCere fu incoraggiante.

«Nei sogni ho assistito molteplici volte allo svolgersi di questo evento. Si chiama... Il nome tecnico è 'sesso'. L'atto viene di sovente esaltato... costruito. Molti dicono che sia un modo per mettere in pratica l'amore.» 'Fare l'amore', poiché era necessario amare la persona che si sceglieva per la riproduzione, considerando che l'atto presupponeva molta vicinanza.

Sentì che nella sua testa si apriva un mondo di comprensione.

Per forza! capì. Il sistema di riproduzione era legato ad un sentimento d'amore perché era impossibile sentirsi a proprio agio con una persona di cui non ci si fidava. I corpi umani erano troppo sensibili e incontrollabili per condividere un'esperienza simile con degli sconosciuti. Per talune persone, difatti, l'esperienza era al centro di incubi terrificanti. Rabbrividì.

«A che cosa stai pensando?» gli chiese VesVes. «Sei meno ingenuo di quello che credevo, ma preferisco esserne sicura.»

«Non è un'esperienza in cui ci si sente a proprio agio, perciò è necessario sopportarla con la persona amata.»

Alla sua destra JunJun scoppiò in una risata.

Lo invase una sensazione spiacevole - di vergogna - che si tramutò in un fiotto di calore al viso.

«Ehm...» CereCere precedette il chiarimento di VesVes. «Sei stato custode dei sogni, non hai visto che questo 'atto' era giudicato... piacevole?»

Sì, in generale. Ma la sua personale esperienza, per quanto breve, gli diceva qualcosa di diverso. Non che quelle sensazioni fossero state negative - o spiacevoli - ma non poterle controllare era stato estremamente frustrante. «Perché dobbiamo parlare di questo?» Aveva un intero mondo da scoprire. Voleva uscire!

«Sei stato tu a costringerci ad accelerare i tempi.» La voce di VesVes era ferma. «Ti avverto sin da ora che ti ritroverai spesso a fare i conti con reazioni del tuo corpo volte a iniziare l'atto di cui abbiamo parlato.»

«Quanto sei tecnica» ridacchiò JunJun.

«Sono seria!»

«Sapete che vi dico? Non si sono mai viste tre donne che cercano di insegnare queste cose ad un uomo. Dovrebbe pensarci un altro maschio.»

CereCere si profuse nella sua prima risata. «E a chi potremmo chiedere? Al Re?»

«Ci sarebbe una persona che saprebbe mantenere questo segreto. Secondo me, Adonis-»

«Venus-chan!» esclamò incredula VesVes. «Sei impazzita? Lo trasformerebbe in un perverso erotomane privo di ritegno! Dobbiamo tenere Helios lontanissimo da lui. Qualunque sua influenza può solo rovinarlo!»

«Adonis?» Helios aveva già sentito quel nome in precedenza. «Perché lo avete nominato quando mi sono svegliato?» Nel bel mezzo dei suoi primi momenti di vita vera, con Usagi davanti a lui, non solo aveva dovuto subire il fastidio di commenti intrusivi, ma persino la citazione di una persona estranea - assente, a quanto era risultato in seguito.

VesVes scuoteva la testa. «Adonis è l'ultimo figlio di Sailor Venus. Non interessarti a lui, è meglio. È solo un ragazzino che si fa chiamare Venus-chan. Ecco, vedi? Tu sei stato bravo a non accettare più il nome 'Elly', hai vinto la tua prima prova di mascolinità.»

Cosa?

JunJun sbatté una mano sul tavolo. «Visto che non accettate il mio consiglio, adesso mi permettete di dargli una spiegazione rapida.»

Da lei non la voleva.

«Caro ex-cavalluccio.»

Ehi!

«Poche regole di vita chiare e semplici: tutte le volte che starai vicino alla piccola, avrai voglia di saltarle addosso. Capirai cosa vuol dire quando ti ci troverai invischiato, ma non dev'essere una faccenda spiacevole. Per il tuo bene, ti consiglio di metterti dei freni e aspettare. Da questo punto di vista sei immaturo come un ragazzino incapace e, se ti spingi troppo in là, metterai in imbarazzo te stesso e lei. Sarai rozzo e Usagi ti odierà, credi a me.»

«Stai esagerando» commentò CereCere.

«Per te non sarebbe sentirti odiato se Usagi iniziasse ad evitarti, a non volerti vedere e a non cercare più di abbracciarti?»

Gli stava descrivendo un incubo. Lui voleva solo stare con Usagi!

«Ecco, vedo che hai capito. Perciò quando senti una strana sensazione» indicò con un dito l'area colpevole del suo corpo, «allontanati e proponi di fare un giro. Pazienza sarà la tua parola d'ordine!»

Quindi poteva o non poteva stare vicino ad Usagi? «Non capisco.» Perché non si spiegava?

A JunJun non importò. «Inizia per te una via di incertezze. Dovrai essere stoico!»

VesVes scosse la testa. «E fortuna che dovevi fare di lui un vero uomo. Lo stai terrorizzando.»

«Secondo me questo è proprio quello che gli direbbe qualunque uomo adulto.»

«Helios.»

Il richiamo gentile di CereCere attirò la sua attenzione.

«Baci. Quelli vanno bene. Più ti eserciterai e più capirai molte delle cose che stiamo dicendo adesso, senza che te le spieghi nessuno. Quando sarai pronto, non spaventerai Usagi.» Esitò. «Solo quando sarai pronto, tienilo a mente.»

L'incertezza finale non lo aiutava.

«Eccomi di ritorno!» ParaPara spalancò la porta, chiudendola con un colpo secco dei fianchi. «Ho portato i vestiti!»

«Finalmente» esclamò VesVes. «Facci vedere!»

Lui tirò un lembo della veste bianca che lo ricopriva su tutto il torso, lasciando scoperte le braccia e le gambe, a partire dal ginocchio. «Questo abito non va bene?»

«Sembra una tenuta da trapasso. È indecente per andare in giro.» VesVes allargò tra le mani un indumento fatto di tessuto bianco.

Il suo colore preferito, pensò lui.

Lei lo buttò di lato. «Ci vuole un po' di vita, sei già pallido come un cencio. Avrai bisogno di prendere sole. A proposito, perché non sei apparso qui con le tue vesti da custode?»

La risposta stava nella domanda. «Erano le mie vesti da custode. Non mi appartenevano più.» Si alzò e si chinò a raccogliere l'abito buttato di lato. Lo prese tra le mani e lo rimirò. Non era un abito.

«Si chiama 'camicia'. Questa ha le maniche corte, siamo in estate.» CereCere gli offrì un sorriso incoraggiante. «Presto saremo in autunno, ma per ora fa ancora molto caldo.»

JunJun si avvicinò a loro, le braccia incrociate. «A proposito. Gli abbiamo dato un compleanno, ma non un'età. E nemmeno un cognome. Vogliamo fare Helios di Elysion? Ha un suono nobile.»

Helios ricordò un concetto. «Il nome è una questione importante.» Quel 'cognome' sembrava farne parte. «Vorrei rifletterci estesamente.» Per il momento non sarebbe stato presentato ad alcuno sconosciuto. Usagi e il quartetto concordavano su una cosa: dovevano tenerlo al riparo da altre persone. Finché non si fosse sentito più sicuro, concordava anche lui.

«E l'età?» rifletté CereCere. «Di solito non si inventa, ma nel tuo caso... Be', per fortuna non hai ancora un aspetto finito.»

Cosa voleva dire?

«Diciamo così delle persone che hanno terminato di invecchiare. È comune scegliere un'età limite vicina ai tre decenni. Tu non sembri molto più maturo di Usagi. Lei per ora ha fermato il proprio aspetto ai diciassette anni. Ne ha novecentoventitré.»

«Devo averne novecento anche io?»

«Nonono» rise piano CereCere. «Usagi è un caso molto particolare. Nessuno ti riterrà da meno se avrai... venticinque anni? Con un aspetto fermo sui venti, mi dai questa idea.»

Era sbagliata. «Ho vissuto per migliaia di anni. Imparerò coi tempi giusti ad adattarmi a questo mondo e a dimostrare ciò che so. Le mie conoscenze non mi hanno abbandonato, benché abbia difficoltà a conciliarle con la mia attuale situazione.» Ad accedervi, in realtà. La sua mente si era come ristretta, riempiendolo di dubbi e incertezze. Anche così, non riusciva ad essere pessimista sul futuro.

VesVes si lasciò andare ad una smorfia. «Non parlare in questo modo davanti ad Usagi, la farai scappare.»

«Usagi sa come parlo.» Lei accettava la sua natura.

CereCere era tornata a sedersi sul tavolo. Ripresa in mano la penna, stava scrivendo. Lesse a voce alta. «Helios, cognome da definire, nato a Crystal Tokyo il 30 agosto Two minus Thirty. Due anni prima del nuovo secolo» gli spiegò. «Usiamo un'altra lingua per gli anni. Dovrai impararla.»

«La conosco.» Conosceva molti idiomi di comunicazione e fu sollevato di non averli dimenticati. «Mi serve solo imparare a leggere. E scrivere.» Come stava facendo lei.

«Per questo ti sto preparando questo antico quaderno.» CereCere lo sventolò trionfante. «Lo useremo per i tuoi esercizi!»

«Intanto pensiamo a vestirlo» la interruppe VesVes.

Lui si tenne stretta la 'camicia'. «Voglio questa.» Voleva qualcosa di leggero e bianco.

VesVes buttò via uno dei due indumenti che aveva scelto. «Sei testardo. Ma nessuno va vestito di bianco da capo a piedi qui, perciò ti becchi questi pantaloni grigi e te li fai piacere. Anche queste scarpe.» Gli lanciò tutto. «Ppoi...»

«Voglio uscire.»

«Pretese a fiumi» fu il commento divertito di JunJun.

«Non puoi uscire, qualcuno ti vedrà.»

«Voglio un posto dove posso stare sotto il sole.» Voleva vivere al massimo, anche se gli avrebbero fatto male gli occhi.

«Possiamo portarlo nei giardini privati di Usagi» fu il suggerimento di CereCere. «Facciamo la guardia a turni, perché non entri nessuno.»

Le altre considerarono l'idea e alla fine la giudicarono una soluzione adeguata.

Fu così che Helios imparò una prima importante lezione: a insistere a sufficienza, otteneva tutto quello che si voleva.

 

CONTINUA...

 


 

 

NdA: questo capitolo doveva avere contenuti molto più estesi, ma stava diventando il doppio degli altri capitoli in lunghezza.

Inoltre, dopo averlo riletto, ho individuato un'unità narrativa importante: qui ho detto molto di quello che mi interessava raccontare sul personaggio di Helios.

Quindi il prossimo capitolo avrà come titolo 'Realtà/Usagi' e sarà sia il naturale proseguimento di questo, che la visione di Chibiusa sull'arrivo di Helios nella sua vita. Lui era sempre stato una figura da sogno, ma ora è una persona vera, con un carattere proprio, desideri e bisogni propri (non in quel senso, hentai! :D)

È il sogno di lei che diventa reale, ma forse non era tutto come si aspettava. Dev'essere un male? No :P

Come specificava la traccia iniziale della storia, proseguiranno le disavventure con Serenity ed Endymion mentre la loro sventurata figlia cercherà in tutti i modi di passare più tempo con Helios per conoscerlo, tra micini invadenti ed ex-pretendenti curiosi. Chibiusa avrà pace? Avrà guai, è la risposta, ma ne uscirà vincitrice :)

Oh, il nome di Venus-chan è saltato fuori dopo la lettura dell'ultimo volume di Sailor V. Appare un personaggio venusiano di nome Adonis. Avevo già pensato a nomi legati alla mitologia di Venere qualche tempo fa, ma Adone non mi piaceva. Mi hanno convinto la 'is' finale e l'intraprendenza del personaggio del manga con Minako :D Anche se era un cattivo, mi sapeva tanto di atteggiamento di Venus-chan :P

Sperando che questo capitolo vi abbia fatto sorridere. Alla prossima, molto presto :)

ellephedre

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Capitolo 5
*** Realtà/Gioie e insidie ***


sogno reale 4

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

4 - Realtà/Gioie e insidie

   

«Chibiusa.»

Chibiusa, nome di ragazzina, di figlia.

«Scusa, mamma, devo andare.»

Come poteva fermarsi? Il suo sogno si era fatto vero, era adulto e grande quanto lei. Era tempo di smettere di vivere di desideri realizzabili solo di notte, nella sua fervida immaginazione. Helios era divenuto corpo, occhi d'ambra meravigliosi, mani forti e dolcissime. Con lui non era più una principessa, ma solo una ragazza, la più fortunata su tutta la Terra.

«Devo veramente andare, mamma.» Scalpitava, ma sua madre si avvicinò veloce e la trascinò dietro un portone. Le ante erano talmente imponenti che vi si poteva nascondere dietro un elefante: una Regina e sua figlia trovavano spazio senza problemi.

«Usa-chan, vorrei che tu ed io trovassimo il tempo per una chiacchierata a quattr'occhi, che ne dici?»

Usagi si ricordò di aver preferito sua madre quando aveva badato meno alla forma. «Parliamo adesso.» In seguito lei non avrebbe avuto tempo da dedicarle: avrebbe trascorso con Helios giorno e notte, per settimane.

«Be'...» Sua madre si tormentò le sue dita con uno strofinio nervoso. «Così, a freddo, risulterei indelicata...»

Da quando le importava?

«No, dài, dobbiamo avere più tempo! Prendiamoci una serata tra ragazze, stasera.»

«NO!» Usagi si zittì di colpo; nel corridoio l'eco del suo grido tardò a sparire. «Voglio dire... proprio stasera? Oggi oggi? Avevo organizzato un party con il Quartetto...» Cercò di sembrare contrita; sua madre si risentiva sempre quando lei dimostrava di preferire la compagnia delle ragazze alla sua.

Nella penombra dietro la porta, i maestosi occhi blu della nuova Regina Serenity si erano fatti pensierosi. «Sai che fatico a trovare del tempo libero, ma... Okay, se tu hai un altro impegno...»

«Esatto!» Usagi la baciò sulla guancia. «Grazie infinite, mamma, a dopo!» Scappò via.

     

Usagi Regina incrociò le braccia, rimanendo nell'anfratto in cui era nascosta. Alcune operazioni richiedevano assoluta segretezza.

"Mercury?" pensò accovacciandosi.

La risposta tardò un momento a giungere.

"Sì, maestà?"

"Niente maestà! Ti chiamo in veste non ufficiale!"

"Oh. Ti serve qualcosa, Usagi?"

"Puoi attivare un campo video se ti segnalo un punto preciso?

Sentendo silenzio nella propria testa, Usagi si insospettì. "Ami?"

"Vuoi spiare Mamoru?"

"No! Che ragione avrei di spiarlo? Non sono gelosa, non ho motivo di- Oh, no. Hai pensato che mi riferissi a lui perché sai di un suo interesse segreto per un'altra donna e assieme alle ragazze me lo state nascondendo per non farmi piangere e disperare-"

"Frena, Usagi. Non so niente di Mamoru e sono certa che non abbia MAI pensato di tradirti. Ma tu mi hai chiesto un favore non ufficiale. Ho pensato che potesse riguardare solo la tua famiglia."

Usagi tirò un sospiro di sollievo grande quanto tutto il palazzo reale. "Pensavo a Chibiusa."

Ami si zittì. "Questo è sbagliato, Usagi."

"Decido io cos'è sbagliato per mia figlia."

"È un'affermazione ridicola. Non esiste relatività su questioni simili, la privacy è sacra e va rispettata."

"Chibiusa si vede con un ragazzo!"

"Non è un crimine."

"Si vede con un ragazzo che non vuole presentarmi."

Ami riuscì a inviarle il suono di un lungo sospiro paziente. "Come fai a sapere che ha conosciuto qualcuno?"

"Stamattina era solo una sensazione. Poi ho creduto di aver esagerato e che lei stesse facendo dei sogni su Helios. Ti ricordi di lui?"

"... l'hai spiata mentre dormiva?"

"Questo adesso non c'entra. Poco fa le ho chiesto di fare una bella chiacchierata tra noi, come ai bei tempi. Dovevi vedere com'era nervosa! Ha detto che stasera aveva da fare!"

"Magari ha davvero un impegno precedente."

"Io non ci casco! Le formicolavano le mani e ha detto che doveva assolutamente incontrarsi con il Quartetto. Ma le sta vedendo già tutti i giorni! Venus non ti ha riferito dei miei sospetti su di loro? Stanno architettando qualcosa!"

"Ne hanno sempre combinate tante..."

"No, questa volta sono tranquille! Quando c'è un guaio in vista sono agitate! Invece dalla scorsa settimana sono l'emblema dell'educazione e della calma! Vanno a dormire presto e restano a letto fino a tardi, tutti i giorni! Come Usa-chan!"

"Be'..."

"Dimmi cosa facevi tu quando raccontavi a tua madre che andavi a riposare di buon'ora e poi, la mattina dopo, eri stanca fino a mezzogiorno!"

"... be'..."

"Ahhh!" Usagi urlò mentalmente. Le scappò un gridolino anche dal vivo: persino Ami, che da giovane era stata tanto timida e discreta... Oh, no! "Non può essere già arrivata tanto in fondo con lui! E poi non ho sentito la presenza di nessun estraneo in camera sua, com'è possibile che-?"

"Usagi."

"Hm?" Era disperata!

"Non ti è venuto in mente che forse, visto che non sembra esserci nessun ragazzo e ci sono di mezzo solo le sue guerriere personali..."

"Sì?"

"Magari l'amicizia con una di loro può essere diventata qualcosa di... più."

Usagi spalancò la bocca. Le gonne piegate sulle sue ginocchia caddero al suolo. "Oh."

Ami si astenne saggiamente dal commentare.

"... ma le piacevano i ragazzi. Stanotte sognava Helios..."

"Non è detto che lui non le piaccia comunque. Questi sono meccanismi misteriosi. Inoltre... Aspetta."

"Cosa?"

"L'altro giorno parlavo con Minako. Mi ha detto una cosa che ora mi sta facendo riflettere."

"Hm?" Usagi stava ancora cercando di venire a patti con ciò che aveva appena saputo. Davvero c'era qualcosa di speciale tra la sua bambina e una delle Amazzoni? CereCere, forse?

Ami continuò come se nulla fosse. "Un paio di sere fa Minako mi raccontava che era molto fiera di Adonis. Sembra che, per la sua giovane età, lui sia molto in sintonia col suo potere. Secondo Minako è riuscito a imparare un trucco, un modo per celarsi dall'attenzione di chiunque. A livello di percezione, diventa invisibile per qualche secondo."

Che bravo, pensò Usagi. "E questo cosa c'entra con Usa-chan?"

"Ebbene... magari sono stata affrettata e non c'entra nessuna ragazza, bensì..."

"Ahhh!" gridò di nuovo Usagi. "Adonis! Quel ragazzino!"

"Ecco, forse..."

Fremendo di energia, Usagi chiuse il portone con un botto secco. Nel raggio di duecento di metri gli attendenti di palazzo fuggirono veloci.

"È venuto qui tantissime volte nelle ultime settimane! Era per lei, allora!"

"Usagi, ascolta..."

"Dov'è finito il rispetto?! Se vuole corteggiare mia figlia la principessa deve prima presentarsi da me e da suo padre, e solo poi...!"

"Usagi!"

Il rimprovero imperioso la calmò. "Cosa?"

"È importante non agire sulla base di conclusioni immaginarie. Ti prometto che stanotte saprai con chi si sta vedendo Chibiusa."

Ami era una grandissima amica! "Registrerai un suo piccolo video e me lo farai vedere?"

"No."

"Ma io non voglio spiare, voglio solo-"

"Lo so. Ma vedrò io questo video, di pochissimi secondi, solo per informarti e permetterti di stare tranquilla."

Ad Usagi sfuggì una risatina. "Ami, so che covi in te il desiderio segreto di fare tante marachelle come questa. Un giorno ti costringerò ad ammettere che ti piace essere coinvolta nei miei piani."

"Non è vero. Ora, se non vuoi che cambi idea, non ne parleremo più fino a stanotte."

Usagi udì con chiarezza la velata minaccia. "Va bene", si arrese.

"A più tardi, mia Regina."

Pfui. "A stasera, Mercury."

    


      

Fiori dai colori sgargianti, acqua limpida e luce che filtrava dal soffitto. Il tetto del giardino privato di Usagi era una cupola di vetro intarsiata. Ad Helios l'ambiente ricordava Elysion. Se non avesse reciso ogni legame con la sua dimora onirica, si sarebbe sentito a casa.

Era vivo da poche ore e tutto ciò che aveva visto sino a quel momento era una copia imperfetta del mondo da cui proveniva. Dov'era la confusione dei luoghi che aveva osservato nei sogni? Dov'erano le pareti sporche, vissute, e gli ambienti disordinati e rumorosi?

Se fosse stato più sicuro di sé - più coraggioso, ammise - avrebbe spalancato la porta di quella sala e sarebbe fuggitoh, in cerca del mondo reale.

La sua impazienza era pericolosa.

Esistevano particolari di quella stanza che lo meravigliavano - la sensazione di un pesce che gli sfiorava la mano dentro l'acqua della fontana, il graffio morbido della terra delle aiuole. Davvero pensava di essere pronto ad affrontare il grande mondo che lo attendeva fuori dal palazzo? Il supporto di Usagi sarebbe stato indispensabile per lui. Lei lo avrebbe preso per mano e...

Flettè le dita, chiudendole e aprendole, sorprendendosi per il solletico generato sul palmo. Una sensazione piacevole. Cosa la creava? Avvicinò l'arto al viso e fu costretto ad allontanarlo di colpo. La vista! Si era sfocata. Il fenomeno si ripeté durante più tentativi, tanto da fargli dedurre un importante insegnamento: non bisognava guardare troppo da vicino le cose.

A una distanza moderatamente prossima riusciva a scorgere le minuscole scaglie morbide di cui era fatta la pelle del suo corpo, piccoli rombi irregolari solcati da pieghe sottili. Le trame che disegnavano sulla sua mano erano visibili in corrispondenza delle nocche e della piega delle dita. Premendo su quei punti li trovò duri.

Ossa.

Già, c'era uno scheletro dentro un essere umano, così come nel corpo di molti esseri viventi.

Guardò la fontana. Non gli sembrava che i pesci avessero ossa.

E lui, ne aveva dappertutto?

Sotto la nuca, sì. La sensazione del massaggio che si procurò nel percepirle fu rilassante.

Vi erano ossa anche nelle gambe, protette da strati di carne dura: ne sentiva la presenza.

Tentò un salto. Dopo essere atterrato con successo, sentì il bisogno di provarne uno più alto. Le giunture dei suoi arti inferiori sostennero peso ed equilibrio per lui.

Saltare era...

Toccò la parte alta delle sue gambe. Se ricordava bene, il nome tecnico era cosce. Perché erano più dure? A causa dei muscoli, giusto? La carne della gamba si muoveva se spostava il peso avanti, così come quando lo spostava indietro.

Sarebbe stato interessante osservare la danza dei muscoli sottopelle, senza l'impaccio dei vestiti, ma le sue maestre Amazzoni si erano mostrate concordi su un unico punto: gli abiti si potevano togliere solo nei bagni e nelle proprie stanze private. Lo avevano chiarito dopo che lui aveva cominciato a svestirsi davanti a loro, un episodio che Helios ricordava ancora con imbarazzo - se era ciò che stava provando.

“Non hai pudore!” lo aveva sgridato JunJun.

Se aveva interpretato bene il concetto, l'imbarazzo che aveva provato nel sentirsi osservato da loro era una manifestazione della naturale ritrosia degli esseri umani a svelare il proprio corpo nudo. La spiegazione di pudore era venuta da CereCere, e lui aveva ritenuto saggio non chiedere deludicazioni sulla presunta naturalezza della reazione: in fondo, se la stava provando senza saperne nulla, aveva ragione lei.

Infastidito, strofinò il capo di vestiario che lo fasciava sotto i pantaloni, tra gambe e bacino. Era stretto e scomodo. Era vero - come gli avevano detto - che gli uomini lo indossavano quotidianamente? A lui faceva provare caldo.

Tentò di sedersi, ma la situazione peggiorò invece di migliorare. Anche se non era a proprio agio, ricordò che bisognava stare composti. Sospirando raddrizzò la schiena, esercitandosi in quella prova di sopportazione. Per la parte di umanità che era priva di ingombri in mezzo alle gambe la vita doveva essere molto più semplice.

Lui aveva una curiosità importante su quella parte del proprio corpo: era l'unica - a quanto aveva appurato sino a quel momento - che cambiava forma.

Muoveva il piede e quello rimaneva della stessa dimensione. Per la mano, uguale. Non gli risultava che le gambe si allungassero quando camminava. Era cosciente di quale fosse la funzione del cambiamento che lo incuriosiva, ma un conto era saperlo, un altro provarlo.

Secondo JunJun lui doveva imparare a controllarsi. Ma era complesso mettere in atto quel proposito senza avere maggior esperienza riguardo alla sensazione che doveva reprimere.

Tentò di ricordare gli episodi immediatamente successivi al suo risveglio, causati dalla vicinanza di Usagi.

Forse era sufficiente spingere giù con la mano? Stringere? Concentrarsi, no?

Fece qualche prova, ma finì con lo studiare la sensazione derivante dal contatto piuttosto che i suoi effetti.

Confuso, respirò a fondo e provò a premere più forte.

Fu in quel momento che nella stanza apparve lei.

     

Usagi sbatté ripetutamente le palpebre. Le chiuse forte, certa che una volta riaperte i suoi occhi avrebbero visto un Helios perfettamente normale. Si azzardò nuovamente a guardare: davanti a lei c'era Helios, seduto sul bordo della fontana, con la mano saldamente appoggiata sul proprio...

Ebbe la prontezza di creare una barriera sonora prima di gridare a squarciagola.

Lui scattò in piedi. «Cosa c'è?!»

«Tu- tu..!» Si ritrasse appena lui tentò di avvicinarsi. Helios si immobilizzò.

«Non...» Usagi si limitò a tenere alte le braccia, implorandogli di rispettare la distanza.

Ma cosa diavolo...? Era impazzito?! Lei era ansiosa di vederlo e lui, invece di aspettarla tranquillo, si dedicava a-

«Stavo facendo qualcosa di sbagliato.» Suonò come una domanda.

Usagi provò a parlare, ma riuscì solo ad annuire.

Helios deglutì e abbassò lo sguardo. I suoi occhi percorsero la distanza tra loro come se fosse un campo minato. «Non sapevo che... Non sono sicuro di cosa...» Arrossì, un fiotto cremisi sulle sue guance. Raddrizzò le spalle, un disperato tentativo di emanare sicurezza. «Sto cercando di imparare.»

«... che cosa?»

«Le regole.» Lo attraversò una risata amara, niente che lei avesse mai visto sul viso del ragazzo da sogno che amava. «Mi avevano detto che potevo sbagliare così tanto da causarti questa reazione. Adesso l'ho fatto. Vuoi che ti stia lontano?»

Sì. Ma non trovò il coraggio di dirlo.

Helios comprese comunque. «Se ho capito bene il mio errore, la prossima volta non sbaglierò più. È una promessa.»

Se aveva capito? «Come fai a non sapere che...» Lui era sempre così sicuro di tutto!

«Perché non so niente.»

«Ma quello che tu...» Imbarazzata oltre ogni limite, non trovò la forza di descrivere l'atto. Indicò il suo bassoventre con un gesto vago della mano.

«Ma io non lo so.» Il respiro di Helios era erratico ed irritato. «Io vedevo, non partecipavo a niente e non sapevo... Mi sento buttato in questo mondo che-» Si bloccò. «Sono capace di fare di peggio se qualcuno non mi ferma. Però imparo in fretta e, per una cosa che ancora non so, basta una parola e io...» Cercò nei suoi occhi qualcosa che non trovò e Usagi sentì di aver commesso un errore più grande del suo.

«Mi merito di essere guardato così.»

«No.»

«Guardami come vuoi. Mi servirà, perché mi fa sentire...»

Umiliato.

Con quale coraggio lo trattava in quel modo? Aveva promesso di aiutarlo e proteggerlo.

Helios inghiottì la mortificazione con una forza d'animo che la rese consapevole della propria grettezza.

«Non stare in silenzio, Usagi. Di' qualcosa che mi possa essere d'insegnamento.»

Poteva farlo subito. «Sai... Anche dopo aver vissuto novecento anni, si possono commettere errori madornali. Come ho fatto io ora.»

Lui non fu rincuorato dalla sua presa di responsabilità.

Usagi tornò ad una delle prime domande che aveva voluto fargli, ad un momento che, nella sua mente, sarebbe dovuto essere perfezione: loro due l'uno tra le braccia dell'altro, a inspirare la vita che finalmente potevano condividere. «Come sei arrivato qui?»

Helios aprì le palpebre, come sollevando un velo su un mondo lontano. «Il mio successore è giunto a prendere il mio posto. Mi stavo già separando da Elysion, lui mi ha permesso di andare.»

«Lui?»

«Un ragazzino come me.» Guardandosi, Helios si rese conto dell'errore. Provò a correggerlo, poi decise di non farlo. «Sì, un ragazzino, proprio come me.»

«È colpa mia se sei arrivato qui troppo presto.»

«No.»

«Avrei dovuto farti capire che potevo aspettare!»

«No! Io volevo venire qui con tutte le mie forze! Aspettavo da secoli!»

Il suo tono concitato la destabilizzò, la accese.

Mai, mai lo aveva amato col disordine e l'impeto di quell'attimo.

Stupidamente, invece di correre ad abbracciarlo, rimase immobile - sopraffatta come una bambolina troppo delicata.

Confuso e frustrato, Helios indietreggiò, ritrovandosi la luce del sole in pieno volto.

«Attento.» Usagi si sbloccò e lo raggiunse.

Lui si era coperto la faccia con la mano. «Ci si abitua?»

La vulnerabilità le aveva imposto un contatto. Toccarlo causò un tremito ad entrambi.

«Non ci si abitua, il sole sugli occhi fa male.» Per quanto era intensa la sensazione, le faceva male anche accarezzarlo sui polsi e sfiorarlo. «Imparerai a non fissare la luce direttamente. Avrai l'istinto.»

Helios non la stava guardando, si mordeva le labbra, teso. Si rilassò solo quando lei lo lasciò andare.

Perché fa male? Perché parlarti è come una fitta e volerti bene un tale dolore?

Incrociò i suoi occhi.

Scoprì di non riuscire a stare ferma, in preda a una scossa continua di nervosismo. «Le- Le ragazze ti conoscevano già.»

Gli sfuggì un sorriso calmo. Per lei fu come essere accarezzata sotto l'abito da un vento primaverile.

«Se non fosse per loro non avresti solo urlato, saresti già scappata via da me.»

Usagi si impose di respirare con calma. «Perché?»

«Mi hanno istruito in molte cose. Mi insegneranno a leggere.» Helios si accese di un barlume di entusiasmo. «Dicono che oggi è il mio compleanno.»

«Oggi?» Come una stupida, si rese conto che lui non aveva una vera data di nascita.

Helios non colse il suo errore. «Hanno detto che può essere oggi. E che io posso avere... Hm, due decenni di aspetto e venticinque anni di vita. Per finta.»

Usagi fu felice di aiutarlo a dissipare l'infelicità legata all'ultimo punto. «Tu sei più millenario dei miei genitori e io sono nata nove secoli fa. Non esistono anni reali per noi, bensì solo quelli che sentiamo dentro.» Gli prese la mano. Dove un tempo aveva sentito la forza del loro legame, percepì acutamente la distanza nata dalle differenze che volevano colmare. Fu di nuovo elettricità, una spinta a cercare di chiudere quello spazio che - come non mai - li rendeva due esseri separati, distinti nei loro bisogni.

Trascinò Helios verso la fontana. «Avrai già visto questa. L'ho f-fatta costruire per questi pesci che si stavano estinguendo, perché... insomma, è grande. P-prosegue per altre tre stanze, è uno spazio tutto per loro.» Stava balbettando vergognosamente.

Ignaro, Helios si accucciò per avvicinarsi allo specchio dell'acqua, trascinandola - volontariamente o meno - verso il basso con sé. «Prima ne ho toccato uno.»

«Un pesce?»

«È sgusciato via, non si è fatto prendere.»

Le uscì una risata. «Non si fanno mai prendere. Fuori dall'acqua non respirano.»

Lo scherzo divenne tremandamente serio per lui. «Potevo ucciderlo.»

Oh no. «Non l'hai fatto. Non ti preoccupare, i pesci sono particolari. Non puoi fare del male a nessuno se non usi violenza.»

Il concetto gli generò confusione e Usagi si preparò a dissiparla.

«Violenza è stringere?» Helios premette le dita attorno alla sua mano, avvolgendola fino a non lasciarle scampo.

«Devi avere fiducia in quello che senti» sussurrò lei, mentre tutto il suo essere tremava. «Una stretta come questa non genera dolore.»

Si ritrovò con la mano libera.

«Presto non farò più domande.»

«Sarò a chiederti molte cose» ammise lei. Gli avrebbe domandato cosa provava e cosa pensava; per sapere, per capire cosa c'era di lui che ora le sfuggiva e che voleva disperatamente conoscere. Si sporse in avanti, per appoggiarsi alla spalla su cui aveva posato la mano. Si ritrovò sbilanciata: Helios si era mosso all'indietro, incerto sulla punta dei piedi; per impedirgli di perdere l'equilibrio lei cercò di sostenerlo e inciampò sul vestito. Caddero tutti e due su un fianco, comicamente.

«Visto? Si sbaglia sempre, non è grave.»

Lui era incerto. «Bisogna ridere?»

«Sì.» Usagi gli prese il volto tra le mani, tirandogli verso l'alto gli angoli della bocca. «Così.»

La sensazione del suo respiro caldo sui polpastrelli fu come una colla: non gli avrebbe mai più staccato le mani di dosso, ne fu sicura.

Lui accennò ad un movimento rapido in avanti, con la testa. Lei indietreggiò, poi si sporse nella sua direzione, dove Helios si era già ritratto. In un gioco di piccole rincorse che nessuno dei due desiderava, giunsero a un centimetro di distanza, troppo ansiosi per riuscire a trovarsi alla stessa altezza con la bocca.

Ad occhi chiusi Usagi si tuffò in avanti, finendo con le labbra sotto il suo naso. Aprirono la bocca e finalmente si trovarono.

Il bacio di lui fu un respiro, quello di lei uno sfregamento morbido, pura estasi. Si trasformò tutto in un secondo: il contatto divenne colpetto umido, carezza frenetica - separazione, persino quella, e di nuovo unione, quando capirono entrambi come piegare la testa. Nell'angolo perfetto - un bacio finalmente unico - lui scivolò con le labbra tra le sue e le aprì veloce. Per come la toccò lì dentro, Usagi divenne crema. Si sciolse, o meglio cadde, perché l'equilibrio precario basato su un unico ginocchio venne meno col tessuto del vestito che perdeva aderenza col suolo liscio.

Colpì Helios sul naso, con la testa, e gli cadde in grembo, un groviglio di braccia che non seppe dove appoggiare. Nel rialzarsi, beccò il punto più sbagliato sul corpo di lui, appoggiandovisi.

«Scusa!» Si ritrasse con uno scatto, la mano che si copriva la bocca. Se liberava ancora le labbra non avrebbe potuto rispondere del loro operato.

Lui stava annuendo piano. La guardò, ma invece di avvicinarsi scivolò rapido all'indietro. «... scusa tu.»

«... per cosa?»

«Forse...» Stava scuotendo la testa. «Ci vediamo più tardi?»

La proposta secca la riportò alla realtà. «Eh?»

«Mi dicevi che devo ascoltare l'istinto.» Helios smise di toccarsi il naso e la fissò senza ostacoli, come se fosse doloroso guardarla. Per quanto era bello, capì lei, pervasa dal medesimo impeto.

«Tempo per... gestire. Per capire. Una pausa.»

Il significato della frase spezzata non le sfuggì. «Okay.» Anche se tutto il suo essere gridava il contrario, non vi era stata imposizione nel loro momento insieme. Non poteva essercene alcuna. «Allora torno più tardi.» Pensare ad un orario le sembrò assurdo: non vi era mai stato il concetto di tempo per loro due. Ma ora sì.

Prima che potesse andare via, Helios si allungò con un balzo e la raggiunse, una mano che quasi si azzardava a toccare la sua. «Sei come il sole.» Sorrideva. «Troppo fa male.»

«Imparerai ad abbronzarti.»

Lui inclinò la testa, senza capire.

«Ci si abbronza quando il sole colpisce la pelle. La pelle poi si abitua.»

«Allora... accetterò i colpi.»

Lei scosse la testa. «Io sono un sole buono. Bacio, anche la pelle.»

Le sue parole cominciarono a dargli un'immagine.

Per riuscire a separarsi da lui Usagi sparì in quel preciso momento.

        

«Allora?»

La domanda di VesVes incontrò il silenzio. Il signorino Helios le rivolgeva persino la schiena.

«Com'è andata con Usagi? CereCere la sta rincorrendo per avere la sua versione.»

Seduto per terra davanti alla fontana, nella parte che scorreva come un fiumiciattolo all'altezza del suolo, Helios si volse verso di lei solo con la testa. «Perché dovete sapere com'è andata?»

«Perché sì.»

Lui rifletté sulla motivazione. «CereCere ora non può insegnarmi a leggere?»

«Sta cercando Usagi.»

«Allora posso stare da solo?»

Cosa?

Lui non ripeté la richiesta, rimase in attesa di una risposta.

VesVes ammirò il suo ardire. «Okay, ma magari ti annoi. Vuoi il libro con le lettere dell'alfabeto?»

«Va bene.»

Dopo avergli portato il tomo, VesVes lo lasciò alla sua solitudine.

Non avere a che fare con un bambino a cui bisognava badare era un passo in avanti per tutte le parti in causa.

    


       

«Quel DEGENERATO!!!»

«Venus, calmati.»

«Macché calmarmi! È un ragazzino finito!»

«Ancora non sappiamo se davvero-»

«Lasciami andare!» Si agitò.

«No!» le intimò Ami. «Prima scopriamo se è colpevole, dopo potrai fargli quello che vorrai.»

«Non so di una sola volta in cui abbiamo accusato Adonis di qualcosa che non ha fatto! È stato lui, anche tu lo pensi, altrimenti non mi avresti chiamata qui! E io che come una sciocca ho creduto che mi accompagnasse a palazzo solo per farmi felice! Ha! Veniva con me per Usa-chan!» Le venne un attacco di lacrime. «Come può far questo a sua madre?!»

Ami cercò di consolarla. «Tecnicamente, starebbe solo corteggiando la principessa. Se ci pensi, non c'è nulla di male.»

«Ma non la ama! Credi che non sarei favorevole se fosse innamorato di lei? Pensa, mio figlio, un futuro Re!» Le brillarono gli occhi, la luce di un sogno che svanì in fretta. «Invece è un ragazzino che sta camminando sulle sabbie mobili. Oh, ma sprofonderà per mano mia, non permetterò che nessun altro lo punisca!»

Ami preferì evitare di sprecare altre parole. Se e come Adonis, figlio di Venere, fosse da punire, lo avrebbero stabilito tra poco, guardando la serie di brevissimi filmati che aveva registrato nelle ultime tre ore della mattina, a intervalli di dieci minuti. Il soggetto inquadrato per un raggio di dieci metri era la Lady della Terra, principessa Serenity.

Nonostante tutto, Ami continuava a pensare che fosse una buona idea aver informato preventivamente Minako. Se la rabbia di lei fosse stata giustificata, avrebbe avuto il tempo di sbollirla. Se lo avesse scoperto dopo i sovrani invece... be', Ami non voleva saperlo. Il giovane Adonis poteva essersi comportato molto male, ma per lei rimaneva un bambino. Le dispiaceva moltissimo che fosse punito duramente.

Non erano stati tutti ragazzi, ai loro tempi? Minako poi ne aveva combinate più di tutte loro messe assieme.

«Questo filmato arriva?»

«Sì, sì.»

Si trovavano nello studio della sua casa privata, dove di rado Ami faceva entrare estranei. Avrebbe provveduto ad usare il sistema informatico del palazzo se non avesse avuto timore di un potenziale hackeraggio da parte di sua maestà il Re.

Dopo aver saputo che esisteva un filmato della figlia con un ragazzo, solo il cielo - e Usagi - potevano immaginare di cosa sarebbe stato capace Mamoru Chiba.

Ami ordinò all'ultima riproduzione di partire. Appena vide Usa-chan che se ne stava sdraiata nelle sue stanze, a fissare il soffitto, capì di aver sbagliato tempistica.

«Scusa, perché non cominciamo dall'inizio?»

«La principessa si era appena allontanata da sua madre.»

«Non ha importanza. Ti assicuro che dieci minuti sono un tempo sufficiente per qualunque attività compromettente.»

Minako stava esagerando nel giudicare male suo figlio. «Pensi davvero che...?»

«Non lo penso, lo so. Voglio arrivare subito al peggio, così potrò dimenticarlo rapidamente.»

Per non perdere altro tempo, Ami la accontentò e selezionò il filmato di dieci secondi relativo alle undici di mattina.

Furono pochi momenti di grande cinema.

«Ma che...?»

Ami non seppe se tirare un sospiro di sollievo o trattenerlo. «Quello non è Adonis.»

Minako si sporse in avanti, come se così facendo potesse aumentare la risoluzione di uno schermo già grande.

Ami scosse la testa. «Schermo, aumenta focus su secondo soggetto.»

Il computer ubbidì, facendola inevitabilmente vergognare: da quando era caduta tanto in basso da spiare un momento intimo tra due ragazzi?

«Aww.» Minako stava sorridendo a braccia incrociate. «Che teneri! Da esperta posso dire una cosa: se questo non è un primo bacio, poco ci manca.»

I dieci secondi finirono rapidamente, cristallizzando l'immagine di Usagi e del suo misterioso accompagnatore avvinghiati precariamente. Ami impedì a Minako di far ripartire il video. «Computer, filmato successivo.»

«Ehi!»

«Da questo non si capiva nulla.» Comunque a brevissimo lei lo avrebbe estirpato per sempre dal suo sistema, prima di essere ricattata con la forza dalle loro maestà. Rabbrividì: quel materiale era pericoloso.

Il filmato successivo non fu di alcun aiuto: la principessa era già sola. 

«Però è strano.»

«Fammi rivedere il filmato in cui c'era lui» la incalzò Minako.

«No, volevo dire che nessuno ha percepito la presenza di questo giovane accanto ad Usa-chan. Com'è possibile?»

«Sarà un terrestre di prima generazione, no?»

Ami non ebbe il tempo di pensare a quale problema enorme rappresentasse quella circostanza.

«Ami, fammi vedere di nuovo il primo video. Non voglio fare la guardona, ma mi sembra aver riconosciuto il ragazzo.»

«Davvero?»

«Davvero.»

Rivedere i dieci secondi di baci rubati illuminò Minako fino alla comprensione.

«Ha-ah! Non ci credo, come ha fatto?»

«Che cosa?»

Minako la prese per le spalle, indicandole lo schermo. «Andiamo, non lo riconosci? Metti un bel cornino d'oro in mezzo alla sua fronte, tra tutti quei capelli chiari e ondulati...»

Ami spalancò gli occhi. «Oh!»

«Esatto! La principessa è riuscita nell'impossibile! Ha reso reale un uomo dei sogni!»

«Ma...» Ami si buttò nell'analisi dei dati: il sistema aveva raccolto informazioni ambientali oltre che immagini e suoni. La interruppe una mano di Minako.

«No, Mercury. Non dobbiamo sapere che cosa è lui.»

«Invece è molto importante.»

«Per il regno sì, ma... guardala. Che diritto abbiamo di distruggere la sua felicità? Per ora Helios, officiante di Elysion, è solo questo per Usa-chan.»

Ami abbassò gli occhi. Le loro maestà sarebbero state dello stesso avviso?

Minako scrollò le spalle. «Magari lui è in visita e se ne andrà tra poco.»

«Hmm...»

«Sai che ti dico? Non me ne starò con le mani in mano: combatterò per la loro felicità!»

Ecco, pensò Ami. Questo rischiava di causare un incidente interplanetario. «Forse...»

Minako le impedì di continuare. «Costruirò un nido d'amore per questi due amanti sventurati, dove nessuno li possa trovare!»

Ami fu colpita da un pensiero improvviso. «E io che cosa dico ad Usagi stasera?»

«Non hai trovato niente.»

«Eh?»

«Dille che non hai trovato niente. Hai distrutto i filmati perché non c'era niente d'interessante da vedere e quindi dovevi rispettare la privacy della principessa.»

Erano state più o meno le intenzioni di Ami, se ad essere coinvolto fosse stato Adonis. Però aveva sperato nel supporto morale di Minako per sostenere la menzogna.

«Ami.» Minako la stava guardando, implorante. «Non sai mentire per amore?»

Poteva mentire per amore, ma saperlo fare, a prescindere dalla motivazione, era un altro discorso. Sospirò. «Cercherò di essere convincente.»

«Brava Mercury-chan. La futura regina della Terra ti ringrazierà in eterno per questo favore, ne sono sicura.»

Ad Ami non interessava: per come stavano le cose, sperava solamente che la principessa non dovesse soffrire per aver amato un ragazzo giunto dal nulla.

       

Adooniiis!

Adonis si reputava un ragazzo di grande intelletto: quando sua madre lo chiamava con un tono tanto mellifluo, il pericolo era dietro l'angolo. Sarebbe fuggito, come la stragrande maggioranza dei figli terrestri poteva ancora fare, se sua madre non avesse avuto la capacità di localizzarlo a mille miglia di distanza. Lui portava in sé un potere che era come un faro nella nebbia per la capacità di percezione di Sailor Venus. Per questa ragione Adonis si era allenato giorno e notte pur di rendere invisibile la propria energia. L'obiettivo stealth-totale era ancora lontano, ma all'orizzonte si vedevano piccoli successi: riusciva a nascondersi per quasi trenta secondi oramai. A sua madre naturalmente aveva fatto credere che i suoi progressi non fossero andati oltre un quinto del tempo.

Sorrise, ma un brivido lo costrinse a girarsi. «Ciao, mamma.»

Lei era in piedi alle spalle, con un sorriso splendente in volto. «Caro. Dimmi, è vero che hai tentato di insidiare sua maestà la principessa Serenity?»

Adonis divenne di pietra. «Ebbene... Al contrario di quanto puoi aver sentito...»

«Allora è vero! Mentecatto degenere!!!»

Ahhh! «Non abbiamo fatto niente, nemmeno un bacio! Usagi è già innamorata di un altro, inoltre le mie intenzioni erano sincere!»

Sua madre smise di incombere su di lui. «Ti ha detto di chi è innamorata?»

«No. Penso sia quell'Erioso di cui parlavi tu, visto che è una sognatrice. Per quanto riguarda me, la mia proposta era di entrare, con gli occhi belli aperti e a condizioni chiare, in una relazione assolutamente innocua-»

«Risparmiatela.»

«Non volevo ingannarla! Sei stata tu a dire che si sentiva sola, volevo aiutarla!»

«Tu volevi far cadere questa famiglia in disgrazia! Per questo devi essere punito!»

AIUTO, PAPA'!!!

Sua madre interruppe il richiamo con uno 'Stanne fuori!' che ricevette maggior ascolto della sua invocazione.

Era un figlio maltrattato dai genitori!

«Smettila di comportarti da bambino e ascolta! Voglio che tu vada a proteggere quel ragazzo.»

«Chi?»

«Helios. Non è immaginario, si trova qui sulla Terra. In questo momento è vicino alla principessa.»

Helios cosa?

Sua madre lo prese per le spalle. «Renditi utile, prendila come una missione segreta! Se senti che si avvicinano le loro maestà, fuggi via con lui!»

Le loro maestà? Lui non voleva inimicarsele.

Sua madre lo guardò storto. «Cosa pensi che sarebbe successo se fosse nato qualcosa tra te e Usa-chan?»

Nessuno lo avrebbe mai saputo.

«Figurarsi.»

«Ehi! Non vale leggere nel pensiero!» Come aveva fatto?

«Non ho letto un bel niente, tranne la tua faccia! Comunque, se ti beccano ad aiutarlo, dirai che sei suo amico e nessuno ti farà niente. Andrai da Helios o no?»

Adonis si liberò dalla presa di sua madre, sentendosi finalmente adulto. «Certo che sì! Se Usagi ha bisogno di qualcuno che la aiuti, io non mi tiro indietro.»

Sua madre era commossa. «Sapevo che eri mio figlio!»

Lui si finse offeso. «Sei solo tu che non hai mai creduto che fossi anche io un guerriero dell'amore.»

Sparì, diretto in missione.

  

Minako trattenne un sorriso. Be', al suo piccolo Adonis spettava un ruolo diverso da quello legato a Venere, ma forse aveva sottovalutato la buona volontà di lui e l'affinità che aveva col loro pianeta.

Comunque, ora che aveva un alleato, poteva dedicarsi alla costruzione della casa dei sogni dell'amore.

Ah, sospirò. Se solo avesse avuto una madrina protettrice ai suoi tempi!

Si dissolse in una girandola di cuori.

      


      

ABCDE...

Helios si sentiva osservato.

Guardò ancora una volta il disegno delle lettere sul quaderno per bambini e chiuse il piccolo volume. Aveva imparato a riconoscere i segni dell'alfabeto neo occidentale; era stato bravo. In ambiente reale - terrestre - si diceva 'genio'? Forse peccava di superbia. D'altronde, stava semplicemente mettendo ordine nella propria testa in merito a conoscenze che aveva già acquisito; stava imparando poco o nulla da zero. In via teorica, era esperto anche riguardo a ciò che lo angustiava. Nella pratica si sentiva navigare in un mare di conoscenza al timone di una zattera in balia delle onde in tempesta.

«Tu sei Helios?»

Sobbalzò, girandosi con uno scatto.

E questo chi è?

In aria stava un ragazzo biondo, a braccia incrociate. Indossava un abito azzurro leggero, interessante per come gli stava bene.

Potrei metterne uno simile anche io? Helios notò che l'estraneo lo squadrava da capo a piedi, valutandolo.

Lo aveva chiamato col suo nome, come poteva conoscerlo? Usagi aveva già parlato ad altri di lui?

«Sì, tu devi essere Helios. Hai proprio l'aria del cavallo.»

Aveva tratti così allungati? Non gli era sembrato e ad Usagi piaceva il suo viso.

Il ragazzo rise a bassa voce, posandosi a terra. «Mi riferisco alla tua criniera.» Fece un segno verso i suoi capelli. «Mi presento. Io sono Adonis di Venere.»

Adonis? Adonis, il nome che JunJun aveva pronunciato al suo risveglio.

«Mi conosci?» gli domandò l'estraneo.

«Ti ho sentito nominare.»

«Allora non sei muto.»

Quella era ironia? «Non lo sono.»

«Bene. Ora perdonami, amico, ma ho perso troppo tempo in convenevoli. Ci rivediamo tra poco.»

Cosa-?

Con un colpo alla testa, il suo mondo divenne nero.

   

ParaPara sgranò gli occhi. «Hai sentito qualcosa di strano?» Fece dondolare lo yoyo sulla corda, da una mano all'altra, come faceva da ore.

Abbandonata sull'amaca, JunJun si lasciò sfuggire un lungo sbadiglio. «Questo turno di guardia è così noioso che stai inventando pericoli inesistenti.»

«Ma io...»

«L'equino innamorato se ne sta lì dentro a leggere il suo bel libro di apprendimento per ragazzini. Se lui lascia in pace noi, io ho intenzione di lasciare in pace lui. Non è con Usagi, solo questo conta.»

«Ma...»

«ParaPara, mi hai svegliato. Ora me ne torno a dormire.»

ParaPara sospirò. Nessuno che le desse mai retta.

    

«... Ti sei ripreso?»

La domanda sembrava rinchiusa in una bolla; rimbalzava sulle pareti invisibili senza avere un suono chiaro.

Ad Helios faceva male la testa.

«Proviamo così.»

Un dito premette sulla sua fronte, mandandogli una scossa. Helios scattò a sedere, la bocca spalancata per... Non gridò. La scarica di energia lo aveva sorpreso, ma non gli aveva causato danno. Anzi.

«Ora ti sei ripreso.»

Accanto a lui stava in piedi il ragazzo di prima, Adonis. Si trovavano in una stanza piena di luce, vuota ad eccezione di qualche divano, un tavolo e un grosso schermo sulla parete.

«Perché sono qui?»

«Non chiedi nemmeno dove siamo? Comunque questa è casa mia. Be', la mia parte di casa. Questo è il salotto che condivido con mio padre quando lui cerca scampo da mamma.»

Tutte informazioni che non gli interessavano. «Perché mi hai portato via?» Lo aveva persino privato dei sensi. Le Amazzoni avevano avuto ragione a non fidarsi di lui.

«Voglio aiutare te e Usagi.»

La menzione del nome di lei mise Helios sull'attenti. Tra le molte domande che ebbe, scelse la migliore. «È stata Usagi a dirti di me?»

«No. Ma è proprio questo il problema: troppe persone cominciano a sapere del tuo arrivo. Il Quartetto delle Amazzoni non è sufficiente a proteggerti.»

Era un insulto velato alle capacità delle uniche persone che fino a quel momento lo avevano aiutato. Helios provò l'impulso di difenderle, ma scelse di controllarsi; era la chiave per funzionare bene in quel mondo. «Tu chi sei?»

«Adonis di Venere, l'ho già detto. Se vuoi che mi spieghi meglio, puoi ricambiare. Così facciamo conoscenza.»

Quel ragazzo non gli ispirava fiducia; lo aveva portato via - rapito, per meglio dire - da un luogo che gli era stato indicato come sicuro per la sua persona.

Era un estraneo che insisteva a sorridere e a studiarlo, come se avesse già stabilito che tra loro due era lui ad avere in mano le redini.

Helios sentì il bisogno di sedersi composto. Il ragazzo gli lasciò lo spazio di farlo, ritraendosi e sedendosi sulla parte di divano adiacente. Il mobile ad angolo rientrante permetteva loro di stare faccia a faccia.

«Io faccio parte della famiglia di Venere, legata a Lady Venus, guerriera protettrice del Regno. Mia madre ti conosceva di persona; il suo antico nome era Minako Aino, lo ricordi?»

No. Ma ricordava un altro titolo. «Sailor Venus?»

«Esatto, proprio lei.»

Helios ricordava una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, molto giovane. Sulla Terra erano trascorsi molti secoli da quell'incontro. «Tu sei suo figlio?» Vi era una certa somiglianza fisica.

«Già. Conosco da tutta la vita le guerriere Sailor e le loro maestà. Anche la principessa Usagi. Siamo amici sin da bambini, puoi fidarti di me.»

Amici. Aveva davanti una persona che aveva condiviso la vita di Usagi negli anni in cui lei era cambiata e cresciuta.

Provò una sensazione spiacevole, un misto di amarezza e rabbia.

Il ragazzo si sporse in avanti. «Ora puoi spiegarmi chi sei tu? Non ho capito da dove sei uscito fuori. Ho sentito parlare di sogni e illusioni, ma sono le solite idiozie da donne.»

Idiozie? «Io vengo dai sogni. Ero il custode di Elysion, proteggevo i sogni di tutta l'umanità terrestre.»

«Cosa ti hanno fatto prendere le Amazzoni? Potrebbero darmi lo stesso allucinogeno, sembra innocuo.»

Il discorso gli risultò incomprensibile. «Puoi chiederlo a Sailor Venus. Lei ha combattuto con me e Sailor ChibiMoon nella battaglia contro la Regina Nehellenia. Insieme a Sailor Moon abbiamo salvato i sogni dell'umanità e sua maestà il principe.»

«Non ci sono più principi. Ma se stai parlando del passato...» Il ragazzo rifletté. «Quindi mia madre confermerebbe questa storia?»

Era una domanda a cui aveva già risposto, pensò Helios.

«Hm. Se fosse una balla, sarebbe più credibile.»

Balla?

Il ragazzo lo stava guardando con un sopracciglio alzato. «Non sei molto sveglio.»

Lo era a sufficienza da sapere che ne aveva abbastanza di quell'incontro. «Riportami dove mi hai trovato.»

«Ohi, calma. Scusa, forse ce l'ho con te per via di Usagi. Non che fossi coinvolto, però...» La perplessità si aprì in un sorriso che ad Helios non ispirò simpatia. «Ora lei è tua e a me sta bene. Sono contento che Usagi sia felice, lo meritava. Perciò, amico, ti aiuterò!»

Si trattava di aiuto quando esso veniva imposto? «Non ci conosciamo, mi sembra prematuro definirci amici

All'altro uscì un sospiro. «Ma da dove vieni? Aspetta, giusto. Anzi, giusto. Sei uscito fuori da questo mondo dei sogni e finora non hai mai vissuto nel mondo reale?»

Sembrava una colpa ed Helios evitò di confermare la sua difficile realtà.

Ad Adonis di Venere sfuggì una strana parola, un termine duro pronunciato con tono divertito.

«Che cosa vuol dire?» domandò Helios.

«Che sei nella... nei guai fino al collo. Sei come un bambino!»

La risata di scherno lo irritò. Tutto di Adonis di Venere fino a quel momento lo aveva infastidito ed era il primo essere umano di sesso maschile - all'infuori di sua maestà - con cui avesse mai dialogato. Il futuro non prometteva bene. «Non sono un bambino. Tu sei più basso di me!»

La rabbia nel volto del ragazzo gli fece piacere.

«Io posso ancora crescere! E un uomo si confronta in dimensioni su altre cose!»

Ad Helios mancò la risposta giusta. Si sentì ancora una volta stupido. «Riportami indietro. Senza farmi più svenire.»

Adonis di Venere aveva buttato la testa all'indietro, frustrato. «Dài, scusa. Siediti.»

Helios provò ad essere maturo - la persona calma che era stato un tempo, in un mondo di cui aveva avuto il pieno controllo. Inspirò. «Ti ringrazio per l'aiuto che vuoi darmi ma preferisco cavarmela da solo.»

Il ragazzo era incuriosito. «Sei capace di teletrasportarti?»

Hm?

«Sembra che le loro maestà ti stiano braccando. Se hanno intenzione di sorvegliare Usagi, il tuo idillio con lei finirà molto presto.»

Helios rimase interdetto. «Ci sta aiutando il Quartetto Amazzonico.»

«Nessuna delle ragazze del Sailor Quartet è capace di non essere localizzata.»

Cosa voleva dire?

«Se una di loro cerca di portarti via, il Re o la Regina la troverà subito, arrivando quindi a te.»

Perché dovevano fuggire con tanta insistenza dalla loro maestà? A lui sarebbe piaciuto rivedere entrambi.

«Mia madre mi ha chiesto di aiutarti: sono l'unico che sa muoversi senza essere percepito. Tra quelli della mia generazione, intendo. Come credi che sia riuscito a portarti via da sotto il naso di Junnie e Pallie?»

Junnie e Pallie? «Mi sembra corretto presentarmi alle loro maestà. Vorrei farlo, invece di scappare.»

«Sei un ingenuo. Chiedilo a Usagi la prossima volta che la vedi. Non è ancora il momento di incontrare i suoi genitori.»

Helios sospirò. Tra loro non c'erano già abbastanza difficoltà? Perché dovevano scappare anche da Sailor Moon e dal principe? Loro lo avevano sempre guardato con favore, erano stati suoi alleati.

Adonis di Venere stava sorridendo. «Senti, perché non mi fai fare quattro risate a spese del Quartetto? Che cosa hanno cercato di insegnarti sulla vita? È a loro che ti stai affidando, no?»

Helios non aveva intenzione di schierarsi contro le Amazzoni. «Secondo VesVes era meglio stare lontani da te.» Ora si ricordava bene il discorso. «Non so cosa significhi, ma non voglio essere trasformato in un perverso ero-... tome qualcosa.»

Il ragazzo scoppiò in una grossa risata. «Ti terranno lontano dagli uomini per il resto della tua vita!»

Helios non comprese, ma quando iniziò a farlo comprese ancora meno: possibile che fosse tutto così complesso?

«Ti svelerò un segreto: alle ragazze gli uomini non piacciono. Vorrebbero che fossimo donne come loro.»

Voglio tornare nel mondo dei sogni. Helios si massaggiò la tempia.

«Non ti preoccupare, accade solo all'inizio. Bisogna sapere come prenderle, poi fila tutto liscio. Tu adesso sei nella fase iniziale con Usagi. Se nessuno ti ha spiegato nulla, scommetto che avrai già fatto qualcosa che non le è andata giù.»

Helios si irrigidì: quel ragazzo aveva detto la prima cosa sensata da quando avevano cominciato a parlare.

Adonis di Venere premette le mani unite sul petto. «Chiedi tutto quello che vuoi. Sono qui per aiutarti.»

«Penso di aver già capito cos'ho fatto di sbagliato.» Forse.

«Ma non vuoi essere sicuro?»

Oh sì.

«Andiamo, spara.»

Fu la disperazione a spingerlo a fidarsi. Non voleva mai più che Usagi lo guardasse come se lui fosse un mostro che doveva essere tenuto a distanza. «Io... prima...» Non essere incalzato lo rilassò. «È sbagliato toccarsi davanti alle altre persone, vero?»

«Hm?»

Helios afferrò il proprio polso. «Posso toccarmi la mano.»

Non venne preso in giro. «Sì.»

«La gamba?»

«Sì, anche se, se ti metti a novanta gradi, la gente si chiederà che hai da toccare, a meno che tu non ti stia grattando.»

Helios immagazzinò l'informazione. «Invece qui non si può.» Aveva imparato e non toccò, si limitò ad indicare.

Il silenzio fu assordante.

«Davanti ad altre persone?» chiese dopo un momento Adonis.

Hm? «Non si può fare nemmeno da soli?»

Il figlio di Venere chiuse gli occhi. «Stavi...» Tremò con la bocca. «È stata una cosa veloce, sentivi fastidio?»

«No, stavo cercando di capire, massaggiandomi per...» Non seppe come spiegarsi. «Usagi è arrivata proprio in quel momento e sembrava che-»

«Pfffffffffff!» Adonis si coprì la bocca, poi si piegò in due e... esplose.

La risata sguaiata fu talmente alta da far tremare i vetri delle finestre.

Helios seppe che si sarebbe ricordato di quel momento per il resto della sua vita. Nella stanza c'era uno specchio. Per la vergogna il suo viso era diventato color porpora. «Smettila subito!»

Fu come gridare al vento, nessuno lo sentì.

Le Amazzoni lo correggevano in continuazione, guardandolo con pietà. Quel ragazzo rideva di lui e persino Usagi lo aveva guardato come fosse un idiota.

Era un essere umano ridicolo.

Continuò a guardare Adonis di Venere che cercava di rialzarsi e rideva. Capì che non sarebbe fuggito rapidamente dalla sua immediata realtà: era uno stupido ad occhi altrui, ma avrebbe imparato. Avrebbe imparato ogni cosa, a costo di sentirsi umiliato e deriso ad ogni singolo passo.

Nella stanza cadde di colpo il silenzio. Adonis si era colpito un'ultima volta sul petto. «Oh diavolo! La racconterei in giro se non- NO! Non andare via!»

«Non sto andando via!» Helios lo prese per le braccia, forte. «Voglio che sia tu a riportarmi indietro!»

«Come vuoi, ma prima devo spiegarti tutto quello che non sai.»

Quel ragazzo era la persona meno adatta ad istruirlo.

«Sai che stavi facendo sesso con te stesso davanti a Usagi?»

La menzione del concetto che aveva mandato in crisi le Amazzoni lo fece inorridire.

Adonis si liberò dalla sua presa. «Non avevi quelle intenzioni, lo so. Stavi solo dando una controllata, ma Usagi lo ha interpretato come ho detto io.»

Helios deglutì fino a sentire la gola secca. «In generale il sesso... è una cosa cattiva, giusto?»

«Non bestemmiare mai più in questo modo.» Adonis gli impedì di parlare di nuovo. «Scusa per la risata di prima. Adesso ti insegnerò quello che posso e, quando sarai bravo come me, riderai anche più forte di quanto ho fatto io. Parola mia.»

Helios scosse la testa. «Prima spiegami cosa vuol dire 'eromane'... o come ti hanno chiamato le Amazzoni.» Dopo aver sentito quello che aveva da dire, avrebbe deciso se credere o meno alla sua spiegazione.

«Eromane? Erotomane, visto che parlavano di 'perverso'. Hm, un erotomane è una persona malata di sesso. Questo è quello che le donne pensano di tutti gli uomini.»

«Perché continuate a fare tutte queste differenze? Siete tutti esseri umani.» Ormai lo era anche lui.

Adonis era entusiasta. «Quanto hai da imparare! Non vuoi far contenta Usagi? Io sono praticamente un Cupido, figlio della dea dell'amore.»

... mitologia antica? Ne sapeva qualcosa. «C'è una cosa di cui sono sicuro. Conosco i veri sogni di tutta l'umanità: uomini e donne indistintamente sono felici quando sono amati. Non mi interessa parlare di sesso a questo scopo, voglio solo... essere come tutti gli altri.» Voleva evitare di rendersi di nuovo ridicolo.

«Stai già parlando come una donna. La compagnia femminile non ti ha fatto bene.»

Il ragazzo continuava ad insistere su quel punto. «Almeno io non mi faccio chiamare Venus-chan.»

Adonis si indispettì. «Quello è uno scherzo! Permetto a VesVes di usare quel nomignolo per farla cadere piano piano nella mia trappola. Le donne forti come lei sono più facili da conquistare quando si inteneriscono.»

Nella sua ignoranza, ad Helios sembrava un piano privo di senso. «Io non voglio far cadere Usagi in nessuna trappola.»

«No, certo. Tu ti stai buttando a capofitto nella trappola finale, quella da cui non riuscirai più ad uscire. Se sei felice, in realtà non è una trappola.» Rifletté. «Non ti ho ancora chiesto una cosa. Tu rimarrai a vivere qui per sempre?»

«Sì.»

«In queste condizioni?» Lo indicò con lo sguardo.

«Quali condizioni?»

Per la prima volta Adonis di Venere gli sembrò maturo.

«Capisco. Be', mi piacciono gli innamorati sventurati. Anche a mamma, per questo vuole aiutarvi.»

Se per lui e Usagi c'era un'altra sventura in vista, Helios non voleva ancora conoscerla. Voleva stare con lei. Come essere umano, sapeva di poter dare un senso alla sua vita solo in sua compagnia.

Fanciulla.

Si sentì sorridere. «Per me è ora di tornare indietro.»

«Perché? Abbiamo ancora tempo e tu non sai ancora niente. Sfrutta sia me che le ragazze: possiamo insegnarti cose utili.»

«Se non mi trovano, si preoccuperanno.»

«Servirà a tutte loro. Portarti via è stato come rubare le caramelle ad un bambino. Se si prendono un colpo, la prossima volta staranno più attente. Difenderanno meglio Usagi.»

Ad Helios sembrava una dura lezione.

«Inoltre, magari, VesVes mi rispetterà di più. Sai, è a lei che sto puntando. Ha una bocca così morbida e rossa...»

Helios non capì. Provò a dare un'immagine alle parole e, appena l'ebbe in mente, si sentì inspiegabilmente a disagio per lo strano rimescolamento al livello del basso ventre.

«Ma tu arrossisci sempre?»

La domanda voleva una risposta negativa ed Helios si ripromise che un giorno sarebbe stato come quel ragazzo: non avrebbe provato imbarazzo davanti a nulla. So tutto, cercò di dirsi. Doveva solo sbloccare lentamente le sue vaste conoscenze.

«Siediti» fu l'invito di Adonis di Venere. «Cominciamo con queste spiegazioni. Sarà un lungo lavoro.»

     

CONTINUA...




NdA: per questo capitolo ero partita con un'idea che doveva mettere Chibiusa al centro della scena. Poi, dopo aver scritto la loro scena insieme, mi è venuta in mente talmente roba con riguardo a personaggi secondari e a tutto quello che potevo dire di questi primi giorni di incontri tra Chibiusa ed Helios, che ho dovuto allungare la trama di almeno un capitolo.

Beh, spero che quanto scritto finora vi abbia fatto ridere, e vi stia dando un'idea di come il rapporto tra i due protagonista sta cambiando, uscendo dal mondo dei sogni.

Una vostra parola mi farà felice *_*

Grazie di aver letto!

ellephedre

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