Ten days

di TittiGranger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno ***
Capitolo 2: *** Secondo giorno ***
Capitolo 3: *** Terzo giorno ***



Capitolo 1
*** Primo giorno ***


I personaggi di questa raccolta non appartengono a me ma a J

I personaggi di questa raccolta non appartengono a me ma a J. K. Rowling.

Lo sappiamo già tutti, ma è sempre meglio ricordarlo.

 

 

Stavolta pubblico in silenzio, senza anticipazioni o premesse.

Questa raccolta racconterà i dieci giorni successivi alla fine della Guerra, un capitolo per ogni giorno.

Voglio dedicare questa raccolta a Voi che leggete sempre le mie storie e mi accompagnate piacevolmente in ogni lavoro, dandomi consigli e suggerimenti.

Per me siete diventati dei compagni fissi.

Ecco perché ogni capitolo della storia sarà dedicato ad uno di Voi, per un motivo specifico.

Questo è il mio modo per ringraziarvi di tutte le meravigliose emozioni che mi fare provare ogni volta.

Grazie di cuore.

 

 

 

A Ciara,

Perché con una storia mi ha fatto ammirare ed amare la sua Hermione.

Per questo motivo, è con grande piacere che le regalo un pezzetto della mia.

 

 

 

Primo giorno

 

 

Silenzio, calore.

Calore, silenzio.

La mente le suggeriva di aprire gli occhi, di guardarsi intorno, ma il suo corpo non rispondeva, non obbediva.

Con uno sforzo che sembrò costarle ogni energia, mosse un braccio, sfiorando una superficie liscia e morbida.

Dove si trovava?

Se fosse riuscita ad aprire gli occhi solo per un secondo…

Ma no, la stanchezza era troppa. Si sentiva le ossa doloranti, le palpebre pesanti.

Si sentiva stanca e svuotata.

Toccò ancora la superficie su cui era distesa, percependo la morbidezza e la leggerezza di quella che sembrava essere stoffa. Si mosse impercettibilmente, molleggiando.

Era un letto?

Aprì gli occhi, resistendo al bruciore.

In un primo momento non vide nulla, ma una volta che i suoi occhi affaticati si furono abituati al buio, iniziò a scorgere delle forme… c’erano dei letti, disposti in circolo.

Hermione conosceva quel posto, sì.

Cercò di rannicchiarsi meglio sotto le lenzuola bianche.

C’erano anche delle tende scure, da cui filtrava una fioca luce… c’erano delle cassapanche e…

Era un dormitorio vuoto.

Era ad Hogwarts?

Come ci era finita?

E d’improvviso, una serie di immagini le mitragliarono la mente.

Fuoco, esplosioni, morte.

Harry in braccio ad Hagrid, senza vita.

Bellatrix che rideva.

Distruzione, urla.

Lupin e Tonks nella Sala Grande…

Pianti, urla.

Fred…

Urla, urla, urla.

- No, no… no…

Si coprì la testa con il cuscino, stringendo forte.

Non ebbe neanche la forza di liberare quel singhiozzo che le mozzava la gola.

Semplicemente, si lasciò trascinare di nuovo nel buio.

 

 

- Hermione?

Sussultò quando si sentì chiamare. Avrebbe voluto aprire gli occhi e sollevarsi, ma pareva che l’unica cosa funzionante in quel momento fosse la sua mente.

- Hermione!

Si sentì accarezzare il braccio. Aveva riconosciuto quella voce, quel sussurro.

- Lo so che sei stanca… ma… momento… Hermione…

Strinse gli occhi, mentre un cerchio doloroso le stringeva la testa. La sentiva ardere, bruciare.

Aprì gli occhi per un nanosecondo, riuscendo a malapena a distinguere la figura di Harry seduto sul bordo del letto accanto a lei.

- Hermione… qualcosa… mangiare…

Il bagliore che emanava la bacchetta del suo migliore amico la costrinse a richiudere gli occhi.

Sentiva la testa scoppiargli di dolore.

Sentiva che Harry le stava dicendo qualcosa, ma non riusciva a comprendere.

Il suo corpo non voleva sentire.

- Hermione?

Con un ultimo sforzo si voltò dall’altra parte, stringendo a sé il lenzuolo.

Dopodichè non sentì più nulla.

 

 

Ancora silenzio.

Silenzio, solo silenzio.

Senza aprire gli occhi, tentò di muovere le dita dei piedi, che obbedirono al comando all’istante.

Si stava riappropriando del suo corpo.

Stava tornando ad essere padrona di se stessa.

Schiuse gli occhi, guardandosi intorno.

Qualcuno aveva aperto le tende… era quasi buio fuori, doveva essere il crepuscolo.

Studiò la stanza, cogliendo più particolari di quanto avesse fatto ore prima.

Notò lo stemma familiare di Grifondoro affisso sopra la porta… alla sua destra c’era la porta del bagno e…

Il bagno a destra.

Nel suo dormitorio il bagno era sempre stato alla sinistra dell’entrata: dunque si trovava nel dormitorio maschile.

Ma prima che potesse porsi altre domande e darsi altre risposte, sentì una leggera pressione sulla schiena. Una pressione circolare, simile ad una carezza.

Si rigirò nel letto lentamente, sciogliendosi dalla posizione accucciata in cui aveva dormito, percependo i muscoli del collo bruciare, costretti per ore in quella posa rigida.

- Buongiorno - la salutò Ron con un mezzo sorriso sulle labbra - O buonasera, sarebbe più appropriato.

Hermione lo guardò confusa, in un primo momento.

Poi ricordò.

La Guerra.

Voldemort sconfitto.

Hogwarts distrutta.

Fred…

Si alzò a sedere di scatto, cosa che non si dimostrò essere per niente saggia.

Una fitta di dolore alla testa la costrinse a stringersi il capo tra le mani.

- Hei, hei, calma… - intervenne subito Ron, preoccupato. Si alzò in piedi - Ti porto in infermeria.

- No… - protestò subito lei, mentre il dolore abbandonava lentamente le sue tempie - E’ stato solo… devo aver dormito troppo. Che ore sono?

Ron la osservò un momento, come indeciso se fidarsi o meno.

- Le sei e mezza quasi - disse infine, sedendosi di nuovo accanto a lei e continuando a guardarla serio.

Lei strabuzzò gli occhi, cercando di nascondere al meglio la scia di dolore che le attraversò la fronte - Le sei e…? Dormo da più di dieci ore… io… perché non mi avete svegliato prima? - lo rimproverò.

Ma non era un vero rimproverò.

Era quasi un lamento, carico di dolore e stanchezza.

Si sporse ai lati del letto, facendo per scendere, ma prontamente Ron la trattenne per i polsi.

- Non dormivi da tre giorni, Hermione. Ne avevi bisogno più di tutti gli altri - disse guardandola negli occhi.

Si fissarono un momento, senza parlare.

Hermione notò i segni scuri sotto gli occhi di Ron, il pallore del suo viso, i capelli arruffati.

- E comunque, non ero venuto per svegliarti - le disse, lasciando la presa intorno ai suoi polsi - Volevo solo che mangiassi qualcosa - si sporse all’indietro, recuperando un piatto posato sulla cassapanca ai piedi del letto. Era un sandwich ripieno di qualcosa.

Quando lo vide, sentì la fame bruciarle in gola, ma al tempo stesso, il suo stomaco si restrinse in un nodo.

- Non… non ne ho voglia - disse Hermione, scuotendo la testa. Si affacciò oltre la sponda del letto, alla ricerca delle sue scarpe.

- Lo so - fece Ron, spingendo il piatto verso di lei - Ma lo mangerai lo stesso.

Continuava a tenerlo fisso davanti a lei, insistente.

Hermione sospirò, afferrando il piatto.

- Come mai siamo qui? - chiese Hermione flebilmente, mettendosi seduta meglio a gambe incrociate.

Ron fece schioccare la lingua - Bella domanda.

Hermione sollevò le sopracciglia, dando un minuscolo morso al panino.

- Hai presente stamattina quando sono venuto a recuperarti… in infermeria? - disse, arrossendo.

Anche Hermione sentì le guance bruciarle: ricordava benissimo cosa era accaduto quella mattina*. Abbassò lo sguardo annuendo e continuando a masticare.

- Eh, bè… ecco, quando siamo arrivati qui alla Torre, non sei voluta salire in dormitorio perché dicevi che ti saresti solo riposata un paio d’ore e che poi saresti…

Hermione inghiottì un boccone, quasi strozzandosi.

- Dovevo tornare in infermeria ad aiutare Madama Chips! - fece, dimenandosi sul letto, con il sandwich in mano e la bocca piena, cercando freneticamente le sue scarpe da un lato all’altro - Tutta quella gente ferita… io dovevo andare!

Ma Ron la bloccò per le spalle - Hermione, sta’ buona! Sono arrivate decide di volontari dai villaggi vicini, Madama Chips non è sola, tranquilla.

Questo parve tranquillizzare Hermione che, dopo essere riuscita ad ingoiare tutto il boccone, riprese fiato.

- Va bene - si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e senza pensarci si guardò nuovamente intorno - Non… non ricordo di essere salita in dormitorio però.

Ron scosse la testa, arrossendo di nuovo - No, infatti. Ti… ti sei addormentata su un divano in Sala Comune. E ti ho portato io qui… - si grattò la testa, senza guardarla - Per problemi tecnici non potevo salire al tuo dormitorio… - disse, facendole un mezzo sorriso - E quindi ti sei dovuta accontentare del mio letto.

- Oh!

Lui abbassò lo sguardo, fissandosi il piede che con un movimento meccanico scivolava su e giù sul pavimento, seguendo una venatura del legno.

Hermione sospirò, sentendosi nuovamente abbattere da un’ondata di stanchezza e infelicità.

Si sentiva una sciocca, lì seduta su quel letto, con quel sandwich in mano che perdeva i pezzi, mentre fuori da quella stanza c’era gente che soffriva.

Fuori da quella stanza c’era un mondo distrutto.

Guardò Ron e le si strinse il cuore.

I suoi occhi celavano una tristezza incolmabile, la sua espressione era una maschera di malinconia.

Si morse le labbra, depositando quel mezzo panino sul piatto e, senza pensarci, allungò una mano verso il viso di lui.

Ron sussultò quando si sentì accarezzare, e alzò lo sguardo verso di lei.

Nel momento in cui i loro occhi si incontrarono, Hermione comprese che non aveva scampo: dovevano affrontare quel dolore, non potevano continuare a nascondersi dietro futili chiacchiere come avevano fatto fino a quel momento.

Il panino, le scale, i dormitori, l’infermeria…

Tutte scuse.

Tutte scuse per evitare di affrontare la verità.

Tutte scuse per non dover accettare lo straziante dolore che gli occhi di Ron le comunicavano in quel momento.

Gli accarezzò il viso, sfiorandogli la guancia ispida, senza riuscire a pronunciare una sola parola.

Non riusciva a dire una sola schifosa parola.

Al suo tocco, gli occhi di Ron si inumidirono; li strinse forte, stringendo le labbra e si avvicinò alla mano di lei, stringendola tra spalla e guancia.

Quell’immagine le provocò un dolore tale da stordirla. Si mise in ginocchio sul letto e si avvicinò a lui, stringendogli la testa con il braccio libero, mentre fiumi di lacrime silenziose le scivolavano irrispettose sulle guance pallide.

Sentì Ron  singhiozzare sul suo petto e l’unica cosa che poté fare era stringerlo ancora più forte.

Avrebbe voluto consolarlo, avrebbe voluto dirgli che sarebbe andato tutto bene, avrebbe voluto pronunciare parole che lo avrebbero fatto sentire meglio.

Ma che peso potevano avere le parole di fronte a quella sofferenza?

Nessuna parola avrebbe scacciato il dolore.

Nessuna parola avrebbe riportato indietro Fred e gli altri.

Nessuna parola.

E quindi lo strinse forte, silenziosamente, teneramente.

Lo strinse finché non lo sentì a mano a mano, calmarsi…

Quando Hermione si accorse che Ron aveva afferrato la mano che lei teneva ancora sul suo collo per baciarle il dorso, si decise ad allentare la presa, scostandosi per guardarlo.

Aveva i capelli ancora più arruffati di prima, ma lo sguardo meno perso.

Hermione tirò su con il naso, tentando di sorridergli, senza dire nulla.

- La… - Ron tossicchiò, schiarendosi la voce - La McGrannit ha detto che domani ci sarà una piccola funzione per… - esitò - …i caduti. I mie hanno deciso di partecipare… - fece un lungo respiro, mentre Hermione annuiva, mordendosi le labbra - E anche la signora Tonks ha deciso che… insomma… Lupin e Dora avrebbero… voluto.

Hermione continuò ad annuire, paralizzata dall’impotenza.

Non c’era risposta a certe parole.

Non c’era reazione possibile, non c’era protesta, non c’era nulla.

In alcuni casi si ha solo la possibilità di lasciarsi colpire e sconfiggere.

- Va bene, certo… va bene - fece Hermione, confusamente, scendendo dal letto.

- Dopo potremo tornare a casa.

Hermione strinse forte gli occhi, nel sentir pronunciare quelle parole. Sollevata del fatto che Ron non potesse vederla, fece un sospiro tremolante, lottando contro le lacrime che nuovamente minacciavano di esplodere.

Nessuno l’aveva preparata a ciò.

Nessun libro, nessuna persona, nessuno.

Come si affronta tutto questo? Da dove si comincia?

Sentì il respiro bloccarsi nei suoi polmoni mentre indossava la felpa posata ai piedi del letto.

Casa.

Lei non aveva alcuna casa.

Lei non aveva nessuno.

“Egoista“.

Quella parola le risuonò nella testa come una campana stonata.

“Sei un’egoista a pensare questo, in un momento del genere”.

- Va bene - disse di nuovo, accondiscendente, senza sapere davvero a cosa fosse riferito quel “va bene”.

Niente andava bene.

Ron annuì, alzandosi - Allora io… scendo.

- Arrivo subito… il tempo di… - indicò il bagno, scansandosi i capelli dal viso - …darmi una rinfrescata.

- Certo - disse Ron, facendo qualche passo - Credo di andare in… Sala Grande a vedere come… - gli mancarono le parole - Insomma, in Sala Grande. Quindi se non mi trovi… - continuò, gesticolando con le mani - Ma ci dovrebbe essere Harry sotto.

Hermione trasalì, sentendosi in colpa per non aver ancora chiesto notizie sul suo migliore amico - Harry è giù? In Sala Comune?

- Sì. Gironzolare per il Castello, tra giornalisti e Ministri che vogliono congratularsi non è la cosa migliore in questo momento - disse.

- Sta…? - ma le parole le morirono in gola. Stava per dire “sta bene?”, ma conosceva Harry da abbastanza tempo da poter già conoscere la risposta.

- Sta. - disse Ron, scuotendo le spalle - Prima è venuto a portarti qualcosa da mangiare… ma stavi dormendo - fece, indicandole con lo sguardo il comodino, sul quale era appoggiato un piatto con delle uova strapazzate e del bacon ormai rinsecchito.

- Oh… forse l’ho… sentito vagamente.

Ron annuì, e si diresse verso l’uscita.

- Ron! - lo richiamò lei.

Lui si voltò, in attesa che lei parlasse.

Ma Hermione non aveva nulla da dire. Era là, ferma al centro della stanza, senza sapere neanche perché lo avesse richiamato: semplicemente, le era venuto spontaneo, era stato istintivo.

Tuttavia, parve che a Ron quel richiamo fu più esplicito di qualunque altra richiesta: in pochi passi tornò indietro e la strinse forte, lasciando che le mani di lei si stringessero spasmodicamente alla sua maglietta.

- Andrà tutto bene - le bisbigliò, con una convinzione che, francamente, Hermione non si sarebbe aspettata da Ron in un momento del genere.

Lei annuì ad occhi chiusi, sospirando.

Lo guardò dirigersi di nuovo verso le scale, e scomparire.

Mantenne lo sguardo fisso verso quella porta.

Fece un altro lungo respiro, pensando che una volta oltrepassato quel portone, avrebbe dovuto affrontare il mondo.

Sarebbe dovuta essere forte per tutte quelle persone che per lei, negli ultimi anni, erano state una famiglia.

Sarebbe dovuta essere forte per tutta la gente che aveva subito delle perdite.

Sarebbe dovuto essere forte in rispetto di tutti coloro che, in nome di quella Guerra, avevano perso la vita.

Sì, una volta superata quella porta, sarebbe stata forte.

Ma adesso, aveva solo voglia di piangere.

 

 

 

 

Penso siano necessarie alcune delucidazioni.

 

Numero uno: come ho già anticipato, questa raccolta racconterà i dieci giorni successivi alla fine della Guerra. Sappiamo che lo scontro finale tra Voldemort ed Harry si ha intorno all’alba; io ho iniziato a contare i giorni a partire dall’alba del giorno successivo. Il primo giorno quindi non è quello che si apre con lo scontro finale… nella mia mente questo è il giorno finale della Guerra (insomma, non me ne frega niente che la Guerra sia finita all’alba, comunque il giorno è perso! ;p) Non credo si sia capito cosa voglio dire, quindi se vi ho confuso ancora di più tenterò di rispiegarvelo diversamente.

 

Numero due: dunque, questo mio primo giorno non è altro che il seguito di That’s All. Chi ha seguito le mie storie precedenti sa che questo missing moment è proprio ambientato all’”alba del giorno dopo”. il primo capitolo di Ten Days non è altro che il proseguimento della giornata (giornata che praticamente Hermione trascorre dormendo si. Anche in questo caso, chi ha letto That’s All, saprà perché Hermione dorme tutto  questo tempo!)

 

Numero 3: il capitolo in questione è scritto dal POV di Hermione. Non saranno tutti dal suo punto di vista ovviamente. Questa raccolta nasce con l’intenzione di osservare le reazioni di tutti i personaggi coinvolti, dunque sarànno protagonisti anche la famiglia Weasley e altri. Naturalmente, da brava Drunk mi soffermerò in particolar modo su due personaggi in particolare, su questo potete stare tranquilli (o preoccupati, dipende da come la prendete!)

 

Numero 4: questo capitolo è particolarmente introspettivo- malinconico. Trattandosi del primo giorno dopo la Guerra, ho voluto soffermarmi di più sulla sensazione di spaesamento e dolore che provoca un evento del genere. L’ho dedicato ad Hermione e ai suoi pensieri, per proseguire sulla scia di That’all e mostrare il lato debole di una ragazza che, pur essendo intelligente, forte e coraggiosa, è pur sempre una giovane donna con le sue paure e le sue debolezze.

 

Mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto quel tanto che basta ad indurvi a leggere anche il secondo!

Grazie e a prestissimo!

Un abbraccio

Titti

 

 

* Anche in questo caso, c’è un chiaro riferimento a That’s all.

 

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Capitolo 2
*** Secondo giorno ***


Questo che tra poco leggerete, è un capitolo piuttosto introspettivo

Questo che tra poco leggerete, è un capitolo piuttosto introspettivo.

Tratta di un sentimento che ognuno di noi interpreta a proprio modo.

Questo è il mio.

Voglio dedicarlo a TheStarbucksGirl,

Perché spesso lei riesce a leggere tra le righe dei miei pensieri

meglio di chiunque altro.

 

 

 

Secondo giorno

 

Seduta sul bordo della poltrona di velluto, Hermione si massaggiava le tempie, sperando che quel mal di testa che la perseguitava dal giorno prima le desse una tregua.

Quella mattina, stremata, era andata in infermeria a farsi dare una pozione, ma non aveva ottenuto alcun risultato.

Forse perché non era il mal di testa il vero problema.

Era qualcosa di più forte e distruttivo che neanche la pozione più potente avrebbe potuto cancellare.

La porta della Sala Comune di Grifondoro si aprì, ed Hermione vide Harry scavalcare il buco del ritratto ed andare verso di lei.

- Ciao - le disse, sedendosi sul divano accanto ad Hermione. Lei si limito a rivolgergli un gesto con la mano - Ti cercavo.

Lei si scoprì gli occhi, sospirando - Sono passata in Sala Grande - disse, senza aggiungere altro.

Sul viso di Harry si abbassò un’ombra scura; si sfilò gli occhiali, pulendoli con la maglietta. Aveva un profondo taglio sulla fronte, ma la pulizia che Madama Chips gli aveva fatto con un unguento la sera prima lo stava già facendo rimarginare - Anche io - le disse, infilandosi nuovamente gli occhiali - Sono tutti di sotto ora. Io sono rimasto un po’ ma… - boccheggiò, guardandola, come in cerca di aiuto.

Hermione sentì una fitta al cuore quando scorse la disperazione negli occhi dell’amico.

L’impotenza e il senso di colpa erano limpidi quanto il verde dei suoi occhi.

- …ti sei sentito di troppo - concluse Hermione per lui, sfiorandogli il braccio.

Lui annuì, abbassando lo sguardo - Già.

Hermione lo abbracciò, posando la testa sulla sua spalla.

Poteva forse mentirgli? Poteva forse dirgli che non era vero?

Lei stessa era stata vicina alla famiglia Weasley, aveva lasciato che Ginny piangesse sulla sua spalla, aveva sentito le urla di Molly, aveva dovuto guardare l’espressione stravolta di George.

Aveva pianto insieme a quella famiglia, aveva sofferto con loro.

Ma si sentiva in colpa nel farlo. Si sentiva in colpa a paragonare il suo dolore a quello dei Weasley.

Sebbene la considerasse la sua famiglia, Hermione si sentiva di troppo.

Sebbene stesse soffrendo come gli altri, si riteneva indegna di poter comprendere un dolore del genere.

Il dolore per la morte di un fratello.

Il dolore per la morte di un figlio.

Non aveva il diritto di far pesare la sua sofferenza su di loro.

- Sei ancora sicura di volerlo fare? - chiese Harry, accarezzandole la schiena e distogliendola da quei pensieri.

Lei si discostò, scuotendo le spalle - Forse è la cosa più… - tentennò.

Giusta?

O forse appropriata?

Lei ed Harry ne avevano parlato quella stessa mattina e si erano detti che magari, era la soluzione che avrebbe causato meno problemi ai Weasley.

- Va bene - la interruppe Harry, capendo - Sarà meglio dirlo a Ron prima della funzione.

 

 

Persino la natura si stava burlando di loro.

Un sole caldo e luminoso accompagnò la loro discesa verso il campo di Quidditch, dove ci sarebbe stata la celebrazione.

Un sole del tutto inappropriato per gli inizi di maggio inglesi.

Un sole del tutto inappropriato per quella giornata così dannatamente buia.

Hermione, Ron ed Harry camminavano in silenzio, per raggiungere gli altri. Erano rimasti indietro perché la McGrannitt li aveva richiamati, per discutere di questioni burocratiche.

Hermione, rimasta un paio di passi indietro rispetto a Harry e Ron, li seguiva in silenzio, avvolta da quel caldo tepore che la avvolgeva, compensando la freddezza che provava in corpo.

Il venticello faceva ondeggiare la sua coda e scompigliare i capelli dei suoi amici.

Alzò lo sguardo per osservarli: due ragazzi alti, dinocciolati… magari Harry un po’ meno robusto rispetto a Ron, ma comunque diversi.

Erano due uomini.

Perché non se ne era mai accorta prima?

Anche stavolta, i suoi pensieri furono interrotti quando Harry si schiarì la voce, lanciando uno sguardo eloquente nella sua direzione.

Hermione comprese e fece qualche passo più lungo per raggiungerli.

- Ron, dovremmo dirti una cosa… - disse Harry, stancamente.

Ron si bloccò, guardandoli preoccupato. Passò lo sguardo dall’uno all’altra, con la confusione dipinta sul volto.

- No, no… niente! - si affrettò a rassicurarlo Hermione, avvicinandosi a lui e afferrandogli un braccio - Non è nulla di grave.

- E allora cosa? - fece Ron, sospettoso, guardandola. Hermione aprì la bocca per parlare, ma ogni parola le morì in gola. Guardò Harry, in cerca di aiuto.

- So che forse non è il momento migliore questo, amico - disse Harry, a disagio - Ma pensavamo di dirtelo prima… per non disturbarvi dopo la funzione…

- Avete intenzione di parlare? - disse Ron con tono stanco e confuso. Hermione sapeva bene che in altre situazioni, Ron a quel punto si sarebbe già infastidito. Ma stavolta, c’era uno strato di dolore che offuscava ogni altra sensazione.

- Ecco, noi pensavamo che… - cominciò Hermione, gettando un’occhiata ad Harry - Che forse sarebbe… meglio… per motivi organizzativi - “che diavolo sto dicendo?”, quelle parole suonavano assurde persino a lei che le pronunciava - …che per motivi organizzativi, io ed Harry andassimo a stare qualche giorno a Grimmauld Place.

Disse l’ultima frase in fretta, come se in quel modo sarebbe stata più semplice da accettare, più facile da comprendere.

Harry accanto a lei annuiva, ma la sua espressione tradiva disagio e malinconia.

Ron non diceva nulla. Si stava limitando a guardare l’uno  e  l’altra, come in attesa che il discorso continuasse, con l’espressione confusa di chi ha appena ascoltato un discorso privo di senso - Che cosa?

Harry si fece avanti - Ron, con tutto quello che la tua famiglia sta passando… è una cosa privata e… noi non smetteremo mai di essere grati ai tuoi per quello che hanno fatto per noi in questi anni - cercò con lo sguardo l’appoggio di Hermione, che annuì prontamente, ancora stretta al braccio di Ron - Per quello che hanno fatto per me, da quando mi conoscono. Loro sono stati i genitori che non ho mai avuto e… - gli tremò la voce - E proprio per questo sappiamo che tengono troppo a noi, per poterci dire che… in questo caso siamo di troppo.

Una folata di vento più forte accompagnò l’ultima parte della spiegazione.

Hermione rabbrividì all’impatto con quel caldo, sentendolo penetrare nelle ossa.

Il viso di Ron era impassibile.

Continuava a guardare Harry, ed Harry reggeva lo sguardo con la stessa forza.

Hermione si stava giusto chiedendo se fosse il caso di intervenire, ma qualcuno la precedette.

- Harry, ma che cavolo dici? - sbottò con enfasi.

Reazione che prese in contropiede i suoi amici, che si guardarono sorpresi, mentre l’uno invitava con lo sguardo l’altra a parlare e viceversa.

Dal canto suo, Ron continuava a fissarli, ma il suo era uno sguardo quasi distratto, come se stesse facendo fatica a rimanere concentrato sulla questione.

Hermione si sentì mortificata; sapeva che quello non era un buon  momento per dire a Ron che lei ed Harry avevano deciso di andare a Grimmauld Place, perché ritenevano che fosse la cosa più giusta per la famiglia Weasley, che in quel momento aveva bisogno di rimanere unita più che mai, ma d’altra parte, quale lo era?

- Ron - intervenne Hermione, continuando a sfregargli il braccio - Questo è un momento terribile… terribile per tutti noi e soprattutto per la tua famiglia - disse, nel tentativo di non scoppiare a piangere - Noi siamo estremamente grati per quello che i tuoi hanno fatto per noi in questi anni - aggiunse, cercando l’appoggio di Harry, che annuì mestamente - Ed è proprio per questo che… riconosciamo… che in un momento del genere dobbiamo metterci da parte.

Si morse le labbra, sotto lo sguardo confuso di Ron, che sembrava stupito e confuso.

Ma ben presto, la maschera di confusione scivolò via dal suo viso pallido, lasciando il posto ad un’improvvisa apparenza di comprensione - Ragazzi, io… - disse, alzando le mani come in segno di resa - Va bene, che devo dirvi? - fece, con tono arrendevole. Si passò una mano tra i capelli e ad Hermione parve che quel gesto rivelasse tutta la sfinitezza che aveva accumulato - Lo so che non… che non sarà facile stare alla Tana, dopo quello che è successo - continuò, passando tristemente lo sguardo su di loro - Lo so che sarà un inferno, che niente tornerà come prima…

- Ma che dici, Ron…?

- Ron, non è per quello, noi…

Harry ed Hermione intervennero subito, comprendendo cosa stesse intendendo Ron.

- Ragazzi, ascoltatemi - fece lui, risoluto, bloccandoli - Non posso e, soprattutto, non voglio chiedervi di affrontare tutto questo - disse, mentre la voce gli cedeva -  Andate a Grimmauld Place, va bene così… va bene così - continuò, fermando Hermione che stava per dire qualcosa. La guardò, sfiorandole la mano che lei teneva ancora poggiata sul suo braccio - Tra l’altro sono l’ultima persona che potrebbe chiedervi di rimanere…

Quell’ultima frase per Hermione fu come una pugnalata.

Una pugnalata che le riportò alla mente uno dei periodi più brutti della sua vita.

Una pugnalata che le scosse il corpo, scuotendola.

Una pugnalata che, in quel momento lei sentì di meritare.

- Tu credi davvero che il nostro problema sia il fatto che la Tana non sarà un posto… “piacevole”? - intervenne Harry, sconvolto. Sembrava oltraggiato dalle sue stesse parole.

- Sai che non è per quello, Ron - riuscì a dire Hermione - Noi… vogliamo solo evitare di… peggiorare la situazione. Vogliamo solo…

- Allora restate - la bloccò Ron. Hermione alzò lo sguardo, incontrando quello disperato e mortificato di lui - Voi siete parte della famiglia quanto noi altri… - la voce gli si incrinò e lui distolse gli occhi da quelli di lei, voltandosi verso Harry - Restate… per favore…

L’ultima cosa che Hermione vide, fu lo sguardo addolorato di Harry che stringeva Ron in un abbraccio fraterno, un attimo prima che anche lei fosse trascinata in quella stretta, un attimo prima che le sue lacrime si mischiassero a quelle dei suoi due migliori amici.

Fu in quel momento che si pentì di aver dubitato anche solo per un secondo che quella fosse la sua famiglia e dai singhiozzi sommessi di Harry, capì che anche lui aveva pensato la stessa identica cosa.

 

*

 

Davvero quello era il posto in cui aveva trascorso i momenti più belli della sua vita ad Hogwarts?

Davvero quella era stata la culla dei suoi momenti di gloria?

Agli occhi di Ron, il campo da Quidditch sembrava appartenere ad un altro mondo.

File di bare di legno chiaro erano state allineate davanti ad un altare.

Di fronte, erano state portate delle sedie bianche per i parenti più stretti delle vittime.

Le vittime.

Ron sentì gli occhi bruciare, quando quella parola rimbombò nella sua mente.

Suo fratello era una vittima. Il ragazzo con cui aveva condiviso quasi tutta la sua esistenza, uno dei punti fermi della sua vita, una parte di se stesso adesso era diventata una vittima.

Strinse i pugni, mentre insieme ad Harry ed Hermione avanzava lungo la navata centrale di quell’ambiente desolante. Proseguivano lentamente, come se le loro gambe si rifiutassero di camminare, di raggiungere le prime file e di affrontare il quello che sarebbe successo, di qualunque cosa si trattasse.

Mentre camminavano, qualcuno si voltava a guardarli, altri rivolgevano loro flebili cenni di gratitudine, ma nessuno li avvicinò.

Quando scorse un gruppo di teste rosse nelle prime file, Ron fece segno agli altri due di seguirlo.

Hermione aveva un’espressione sconvolta dipinta sul viso pallido.

Harry aveva gli occhi cerchiati dietro gli occhiali storti.

Ron gli fece strada, ma quando furono abbastanza vicini, ebbe quasi voglia scappare via.

Un gruppo di persone si stringeva intorno alla famiglia Weasley; conoscenti e amici accorsi a far loro le condoglianze e a bisbigliargli inutili parole di conforto.

Un macigno crollò sul suo petto nel momento in cui vide Molly, seduta su una delle sedie che continuava a scuotere la testa, quasi incredula continuando a bisbigliare continuamente uno straziante “Mi si spezza il cuore”.

Incessantemente.

“Mi si spezza il cuore, mi si spezza il cuore”.

Costantemente.

“Mi si spezza il cuore… mi si spezza il cuore”.

Abbracciava coloro che si avvicinavano a lei per rivolgerle parole di cordoglio, ma lei continuava nel suo instancabile lamento.

“Mi si spezza il cuore”.

Li guardava con sguardo vacuo, come se non riconoscesse davvero quelle persone; stringeva le mani di chi gliele porgeva, ma per tutti aveva un’unica risposta.

“Mi si spezza il cuore”.

In piedi accanto a lei, il Signor Weasley ringraziava sommessamente tutti, con il volto segnato dal dolore e la voce incrinata dalla disperazione.

Ma quando Ron vide lo una figura accovacciata su una sedia poco distante, sentì che il macigno che aveva in petto scese giù, fino allo stomaco, come se fosse destinato a rimanere lì, stabilmente.

Quando Ron vide George, chino su se stesso, con le braccia piegate a tenersi la testa, senza curarsi di tutti i conoscenti che, passando, gli bisbigliavano parole di incoraggiamento o gli lasciavano solidali pacche sulle spalle, ebbe davvero l’impulso di rigirarsi e correre via.

Non riusciva a credere di essere là, al funerale di suo fratello.

Il funerale di Fred.

Fred, la persona a cui meno di tutte al mondo era possibile associare la parola morte.

Vide la schiena di George sussultare, scossa dai singhiozzi.

Vide Ginny, seduta con la testa appoggiata alla spalla di Molly.

“Mi si spezza il cuore… mi si spezza il cuore”.

Bill, vicino a loro, piangeva compostamente, stringendo tra le braccia Fleur, la cui bellezza, quel giorno, pareva spenta. Come i loro cuori.

“Mi si spezza il cuore”.

Charlie sedeva accanto a Percy, intento a ripulirsi gli occhiali bagnati dalle lacrime.

 “Mi si spezza il cuore, mi si spezza il cuore”.

Quando lo videro arrivare, parenti e conoscenti si avvicinarono anche a Ron, pronti a dirgli di “essere forte” e di “farsi coraggio”.

Ron annuiva, ringraziando, senza però ascoltare davvero le loro parole.

L’unica voce che riusciva a percepire in quel silenzioso trambusto era lo straziante sottofondo di sua madre.

“Mi si spezza il cuore… mi si spezza il cuore”.

Quando l’ennesimo sconosciuto gli strinse la mano, facendogli le condoglianze, Ron sentì che non ce l’avrebbe fatta. Si voltò, pronto ad allontanarsi un attimo, pronto a riprendere fiato, pronto a raggiungere le uniche persone che avrebbero potuto comprendere il suo vero dolore…

Ma quando si voltò, urtò contro Hermione, che era proprio dietro di lui.

- Siamo qui vicino a te, Ron - gli disse, facendogli un sorriso incoraggiante, incrociando le sue dita con quelle di lui.

Accanto ad Hermione, Harry annuì convinto.

Ron li ringraziò con lo sguardo, mentre con la mano stringeva quella di un lontano zio e con l’altra quella piccola di Hermione.

 

*

 

I cancelli di Hogwarts quel giorno erano stati aperti per permettere alla gente dei villaggi vicini di rendere un ultimo omaggio agli “eroi della guerra”. Quell’invito era stato accolto con rispetto e solidarietà da centinaia di persone che, in rispettoso silenzio, si stavano sistemando sugli spalti.

Dopo il loro arrivo, molti parenti e conoscenti dei Weasley si erano avvicinati a Ron per porgere le loro condoglianze.

Lei ed Harry erano stati accanto a lui per tutto quel triste rituale, senza mai allontanarsi.

Ora che la celebrazione stava per cominciare, tutti avevano iniziato a prendere posto, lasciando spazio ad un immobile silenzio, rotto solo dal pianto sommesso dei presenti.

Con il volto teso e gli occhi cerchiati da stanchezza e sofferenza, la Professoressa McGrannitt salì sull’altare insieme a Kingsley e ad un altro ometto dai lineamenti dolci, che probabilmente avrebbe dovuto celebrare la funzione.

Dopo aver eseguito un incantesimo per amplificare la sua stessa voce, la Professoressa parlò, lasciando che le sue parole rimbombassero in tutto lo stadio.

- E’ con… è con grandissima tristezza che oggi siamo qui… - la voce le cedette. Kingsley le passò prontamente un fazzolettino bianco, che la McGrannitt accettò con sguardo riconoscente, soffiandosi il naso, mentre l’omino le batteva amichevolmente delle pacche con la mano paffuta - Scusate - riprese - …che oggi siamo qui a porgere l’ultimo saluto ai nostri cari. Prima di lasciare la parola a Padre Rudolf, vorrei esprimere un mio personale omaggio a tutti… tutti coloro che hanno combattuto per la salvezza del Mondo Magico…

Hermione, vide Harry accanto a lei, portarsi una mano sugli occhi. Con una mano ancora stretta in quella di Ron, allungò l’altra verso l’amico, che subito la strinse.

C’era ancora chi si muoveva tra le bare, mentre la McGrannit parlava.

Chi si fermava a lasciare dei fiori, chi si limitava ad accarezzarle.

Hermione dovette distogliere lo sguardo, concentrandosi di nuovo sulle parole della Professoressa.

- Ed è per questo che con il cuore colmo di sofferenza, ma con la mente piena di gratitudine per aver avuto la possibilità di conoscere persone così speciali da… combattere e sacrificare la propria vita per un bene comune… Penso di poter parlare a nome di tutta la comunità, nel dire che rimarrete nei nostri ricordi per sempre…

E mentre la McGrannit concludeva il suo discorso di ringraziamento, lo sguardo di Hermione colse una figura famigliare che si moveva tra le file di bare, curva sotto il peso del dolore.

Quando vide Andromeda Black chinarsi davanti ai corpi di suo genero e di sua figlia, e dondolarsi avanti e indietro, lentamente, disperatamente, si chiese se davvero i ricordi sarebbero stati sufficienti a colmare tutto il vuoto che le vittime avevano lasciato nelle vite dei propri familiari.

 

 

 

Una faticaccia questo capitolo.

L’unica cosa che posso dirvi per “rassicurarvi” è che nel mio progetto, questo capitolo doveva segnare il livello massimo di tristezza: da qui in poi, la situazione potrà solo “migliorare” (pian piano, ma migliorerà).

Come avrete notato, questo capitolo non è prettamente incentrato su Ron ed Hermione: in questo caso, però, avevo un po’ le mani legate… volendo raccontare dei dieci giorni successivi alla battaglia finale, non potevo non inserire questo passaggio.

Ma state tranquilli, nei prossimi capitoli non mancheranno scene dedicate prettamente a loro.

Come sempre, i vostri pareri sul capitolo, positivi o negativi che siano, sono sempre accolti a braccia aperte!

Un abbraccio,

Titti

 

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Capitolo 3
*** Terzo giorno ***


Urge una specificazione: ricordate lo scorso capitolo

 

Urge una specificazione: ricordate lo scorso capitolo? Raccontava della funzione in memoria dei caduti.

Subito dopo, nel primo pomeriggio, i personaggi tornano tutti alla Tana, passano il resto del giorno e vanno a dormire = fine secondo giorno.

Al mattino si svegliano, trascorrono tutta la giornata alla Tana e di nuovo vanno a dormire: questo capitolo racconta quindi cosa accade durante la notte del terzo giorno, (precisamente, tra la notte del terzo e l'alba del quarto) in quanto la giornata è già trascorsa (e no, non l’ho raccontata!).

 

 

 

 

Un boato. E fumo grigio le appannò la vista.

Tutti correvano… ma verso dove?

Correvano, correvano. E ai loro lati esplodevano bombe, crollavano edifici.

Hermione sentiva di non farcela… avrebbe mollato, se Ron non l’avesse presa per mano, tirandola.

Non, ce la faceva, non aveva più fiato.

Avavanti a lei c’era Harry. E Ginny e Bill con Fleur.

Correvano, mentre tutto intorno a loro crollava.

C’era Molly. La McGrannitt, Hagrid.

- Dai, Hermione! Più veloce, più veloce! - il volto di Ron, accanto a lei era contratto dallo sforzo.

Hermione voleva girarsi, guardare da cosa stessero fuggendo…

Invece, no. Si limitò a correre, senza fiato.

Neville, Luna, Arthur Weasley. Tutti correvano, le bacchette sguainate per proteggersi.

Correvano, correvano.

C’erano anche… i suoi genitori.

Anche loro correvano, ma…

Non dovrebbero essere qui! Loro sono babbani, non possono difendersi… non devono stare qui!”.

Continuavano a correre.

- Mamma! - non sapeva neanche lei da dove le uscisse quel fiato - Mamma! Papà, andate via! VIA!

Correvano, correvano. Ron la tirava, ma lei avrebbe voluto fermarsi. Non ce la faceva più.

-Mamma!

E nell’attimo in cui la signora Granger, trafelata, si voltò a guardarla negli occhi, un altro boato sovrastò le grida e un fascio di luce illuminò il cielo…

 

- NO!

Sospirò, affannata, mentre i suoi occhi si abituavano al buio della stanza. Si portò la mano alla gola, sperando di non aver urlato.

A poco a poco, i contorni si fecero più delineati. La poca luce che filtrava dalla finestra accostata le permise di tranquillizzarsi. I boati del sogno rimbombavano ancora nella sua testa, ma presto furono placati dal silenzio che la circondava.

Considerando l’ora in cui era andata a dormire, dovevano essere da poco passate le quattro.

Si voltò alla sua destra, per assicurarsi di non aver svegliato Ginny e si stupì quando incontrò il letto vuoto.

Senza pensarci due volte, si scostò il lenzuolo dalle gambe e scese dal letto.

Nella Tana regnava il silenzio.

Non c’era traccia del continuo chiacchiericcio dei giornalisti che di giorno circondavano la Tana, in cerca di dichiarazioni; non c’era il borbottio di Ron e dei suoi fratelli sul da farsi; non c’era il suono del pianto sommesso di Molly, o dei sospiri di Arthur.

No, c’era solo spazio per il silenzio.

Hermione passò davanti alla stanza di Harry e Ron. Silenzio.

Scese le scale, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Sorpassò l’ingresso e proseguì verso la cucina.

Non si stupì nel trovare la porta di servizio semi aperta.

- Ti pare questa l’ora di venire a prendere una boccata d’aria?

Avvolta in una coperta decorata, Ginny le sorrise, scuotendo le spalle. Era seduta sulla panca che dava verso le colline. In lontananza, di giorno, si scorgeva vagamente il profilo della casa di Luna.

- Purtroppo questa zona ad altre ore è off limits - rispose Ginny - Mi adatto.

Si scansò, facendo posto all’amica e offrendole un lembo della coperta.

Hermione si tirò le ginocchia al petto, coprendosi le spalle con la lana calda della coperta.

- Non riesci a dormire? - chiese Hermione, appoggiando una guancia sul ginocchio per poterla guardare.

Ginny continuava a guardare fissa davanti a sé, come attratta da un confine invisibile.

Il fruscio delle foglie accompagnava il loro silenzio.

Scosse le spalle, lasciando che i lunghi capelli lisci le scivolassero davanti al viso.

- Dovresti almeno provarci, Gin - sussurrò Hermione.

- Provarci per poi passare la notte ad avere incubi? - chiese Ginny, guardandola con le sopracciglia alzate. Poi sorrise mestamente - No, grazie.

Hermione emise un gemito - Oh, cielo. Ti ho svegliata io.

- No, non sei tu, tranquilla - la rassicurò Ginny.

Un rumore indistinto proveniente dai cespugli poco distanti le distrasse, forse uno gnomo di passaggio.

Sebbene fossero solo i primi di maggio, il cielo era limpido e puntinato di stelle.

- Secondo te cosa succederà adesso? - chiese poi Ginny.

Hermione tentennò prima di rispondere.

Quella di Ginny non sembrava una domanda dettata dalla disperazione, dal dolore. Anzi, pareva proprio che derivasse da un vero e proprio spiraglio di razionalità.

Hermione si era stupita della  parte di Ginny che aveva scoperto in quegli ultimi giorni. Anche se erano migliori amiche da anni, non aveva mai testato quel lato di lei.

E invece, Ginny l’aveva sorpresa. Dopo essersi concessa un momento di malcelata sofferenza, dopo aver dato sfogo al legittimo dolore di una sorella, si era rimboccata le maniche.

Aveva affrontato le schiere di parenti venuti a far visita alla famiglia Weasley con un contegno ammirabile.

Era stata una spalla per la sua famiglia, un muro per i suoi genitori.

- Voglio dire… - continuò Ginny, scuotendo la testa - Guarda cosa è successo in… quanto? Tre? Quattro giorni? Fino a pochi giorni fa non sapevamo neanche quando o se la Guerra sarebbe finita, non sapevamo cosa ne sarebbe stato di noi… e adesso… - sospirò - Fred non c’è più. Lupin, Tonks… Hogwarts non c’è più… Niente sarà più come prima. Solo tre giorni fa, era tutto… come doveva essere.

Hermione si morse le labbra, incontrando lo sguardo rattristato dell’amica - Tre giorni fa il futuro era una macchia nera, Gin. Non sapevamo neanche se lo avremmo avuto, un futuro. Ora è finita.

Anche Ginny appoggiò il mento sulle sue ginocchia, ma continuò a guardare dritta davanti a sé - Ma ancora non sappiamo cosa potrebbe succedere.

Fu il turno di Hermione a scuotere le spalle - Di qualsiasi cosa si tratti, non saranno brutte sorprese. Solo sorprese.

Questo sembrò accettabile per Ginny, che si limitò ad annuire, concedendo all’amica un sorriso di comprensione.

- Ma a quanto pare qualche sorpresa si è già avuta… - disse Ginny, con un tono che Hermione non le sentiva usare da parecchio. Il tono dei vecchi tempi, delle confidenze, della spensieratezza.

Allo sguardo interrogativo di Hermione, Ginny rispose - Ron.

Hermione strabuzzò gli occhi, presa in contropiede.

Doveva dirglielo? Cosa doveva dirle?

In realtà, non  lo sapeva neanche lei. Con Ron, non avevano toccato l’argomento, ovviamente.

Non ce ne era stata occasione e francamente, con quello che stava passando la famiglia Weasley non le pareva il caso.

- Oh, Ginny… io non… - borbottò, sulla difensiva.

- Hermione, risparmiami le balle - la bloccò subito Ginny, a bassa voce - E’ da giorni che vi vedono tutti, non provare neanche a negarlo.

Hermione arrossì leggermente - Che cosa hanno “visto tutti”? - bisbigliò, concitatamente - Non potete proprio aver visto un bel niente, perché proprio non c’è stato… perché quella faccia?

Ginny aveva alzato gli occhi al cielo, sospirando - Perché continui a voler nascondere una cosa chiara come il sole. Siete un caso perso.

A questo Hermione non ebbe da ribattere. Dopotutto, lei e Ron avevano avuto un pessimo tempismo, da sempre. Mancato tempismo misto a sfortuna, per giunta, perché ora che si erano decisi a “chiarirsi”, la situazione non era certo delle migliori.

- Non lo so, Ginny. E’ che ora non è il momento.

- Questa è una fesseria - le fece notare Ginny, decisa, aggiustandosi la coperta sulle spalle - E io le fesserie me le aspetto da mio fratello, non da te - provò a scherzare.

Hermione sorrise, scuotendo la testa.

Il cielo aveva iniziato a schiarirsi, le stelle stavano per scomparire. Per qualche attimo si godettero il silenzio che, come sapevano bene, era destinato a sparire nell’arco di pochissimo tempo.

- Non dovete sentirvi in colpa, Hermione - aggiunse all’improvviso Ginny, dolcemente - E’ una cosa bella questa che vi è capitata. Ed è proprio in… momenti come questi che bisogna attaccarsi alle cose belle, no?

Hermione a stento trattenne le lacrime. La rincuorava in modo totale sentire che c’era qualcuno che la capiva. Era sempre stato così con Ginny: per quanto volesse bene a Harry e Ron, Ginny la capiva senza bisogno di spiegazioni  preliminari.

- Come te ed Harry? - chiese Hermione, per smorzare la situazione.

Ginny fece un gesto con la mano, trattenendo un sorriso - Lascia stare me ed Harry, adesso! - borbottò - Questa è un’altra storia.

- Ah, si certo - scherzò Hermione, ricordandosi di usare un tono di voce basso per non svegliare gli altri - Mi sembra che qui si usino due pesi e due misure.

Ginny sbuffò - E’ il minimo che si usino due pesi. Tu e Ron ci avete massacrato le scatole per anni!

Hermione sollevò gli occhi al cielo - Bella scusa.

Ginny ridacchiò, facendosi poi sfuggire un sospiro - E sai chi sarebbe felicissimo per voi, Herm?

Hermione conosceva benissimo la risposta, ma non disse nulla.

Sentiva già le lacrime annebbiarle nuovamente la vista.

- Fred - concluse Ginny, con la voce leggermente incrinata, tirando su con il naso. Passò qualche secondo prima che aggiungesse - Erano anni che perseguitava Ron. Lo prendeva in giro su di te, da almeno… il terzo anno.

Questa volta, non poterono fare a meno di trattenere una risatina.

Ma prima che l’una o l’altra potessero aggiungere qualcosa, lo scricchiolio della porta le fece voltare entrambe.

- Bè? Cosa c’è un pigiama party, qua?

Con la maglietta del pigiama stropicciata e i capelli scompigliati, Ron aveva esattamente l’aria di uno che si era appena alzato dal letto.

Pochi secondi dopo, anche la testa scarmigliata di Harry fece capolino dalla porta.

Ginny schioccò la lingua, sorridendo - A quanto pare siamo al completo.

- Si può sapere che ci fate qua? - disse Ron, ciabattando con le gambe lunghe fino alla panca su cui erano sedute - A quest’ora si dovrebbe dormire! - si accarezzo le braccia scoperte - E fa pure freddo!

- Non mi pare che tu lo stia facendo! - lo rimbeccò Ginny, sbadigliando.

- In realtà, fino a poco fa lo stavo facendo eccome! - ribatté Ron, continuando a sfregarsi le braccia - Il problema è che… la vedi quella finestra? - disse indicando verso l’alto. Quattro paia di occhi saettarono verso una finestra aperta. L’unica stanza da letto che dava su quel lato - Ecco, è la nostra! Ed è difficile dormire con il vostro… adorabile sottofondo notturno! - concluse, con voce non più assonnata.

Stava per arrivare l’alba. Il cielo era sempre più chiaro e presto i primi raggi del sole avrebbero fatto capolino tra le colline davanti a loro.

- Oh! Vi abbiamo svegliato noi? - esclamò Hermione, dispiaciuta.

- A dirla tutta, a me mi ha svegliato lui! - disse Harry, indicando Ron. Avanzò verso di loro, sistemandosi gli occhiali sul naso - Per sporgersi verso la finestra, è inciampato sulla mia brandina. Sono stato svegliato dal soave suono di un suo “Porco troll”:

Ginny ridacchiò.

- Complimenti per la raffinatezza,  Ron - fece Hermione, scuotendo il capo.

- Hei, hei, hei. Non prendertela con me, amico! - sussurrò Ron - Prima che fossi svegliato dalle due chiacchierone qui presenti, io stavo dormendo come un bambino.

- E su questo non abbiamo dubbi - commentò Ginny, facendo sorridere gli altri due.

- Simpatica anche di prima mattina, eh, Gin? - disse Ron, facendole una smorfia - Ora fatemi spazio che sto morendo di freddo!

Così dicendo, si avvicinò alla piccola panca sedendosi dal lato di Hermione.

- Ron, non ci entriamo! - si lamentò Ginny, sospinta verso la parete.

- Se tu spostassi il tuo sederino di qualche centimetro, ci staremo eccome!

- Se tu non fossi uno stampellone, quale invece sei…

- Calma, calma! E fate piano che svegliamo gli altri! - li rimproverò Hermione, mettendosi tra i due.

Ron si accoccolò al suo fianco,  tirando la coperta per coprirsi. Harry si sedette ai loro piedi.

Per un po’ rimasero in silenzio, a guardare la notte che andava via, poco a poco.

Hermione si sentiva bene come non accadeva da mesi e mesi. Sebbene sapeva che mancasse ancora parecchio a quel traguardo, sentiva che qualcosa stava cambiando in meglio.

Che si intravedesse una luce, tenue come quella che in quel momento stava colorando il cielo.

Ma pur sempre una luce.

D’istinto, da sotto le coperte, cercò la mano di Ron, che all’istante ricambiò la stretta.

- Siamo ancora qui - sussurrò Ron, abbastanza forte da farsi sentire dai tre amici.

Nessuno rispose, ma tutti accolsero quella scintilla di speranza come un modo per andare avanti con la propria vita.

E rimasero lì, loro quattro insieme,  tra pensieri tristi, speranza, ricordi e forza, ad attende l’inizio di un nuovo, nuovissimo giorno.

 

 

 

 

 

Lo so che il capitolo è breve.

Ma da come si erano messe le cose, è già abbastanza che ci sia un capitolo.

Come avrete notato questo capitolo è più leggero rispetto ai due precedenti: volevo smorzare un po’ la situazione, dato che nei primi due avevo raggiunto livelli di paranoia allucinanti.

Quindi, questo potete considerarlo come un capitolo di passaggio.

Con questo non intendo di certo che nel prossimo i personaggi saranno già felici e contenti, pronti a brindare alla vittoria.

 

Ho paura a chiedervi se il capitolo vi sia piaciuto… quindi fate voi! ;-)

Con la promessa di farvi avere il “quarto giorno” con minor ritardo di questo, vi lascio un abbraccioneone!

 

Titti

 

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