Peace

di Bethan Flynn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Two Generals, one Ship. ***
Capitolo 2: *** Do you remember? ***
Capitolo 3: *** First memories ***
Capitolo 4: *** You're breaking the wall of my memories. ***
Capitolo 5: *** Waking Up from the Darkness. ***
Capitolo 6: *** Do you know what you are? ***
Capitolo 7: *** Could it get Worse? ***
Capitolo 8: *** A Sweet Journey to the Past. ***
Capitolo 9: *** I won't Surrender to the First Defeat. ***
Capitolo 10: *** This is the Place of Our Dreams. ***
Capitolo 11: *** Regret is Part of Human Life. ***
Capitolo 12: *** What's your favourite Colour? ***
Capitolo 13: *** Danger and Love. ***
Capitolo 14: *** Opening the Past. ***
Capitolo 15: *** Wipe away my Guilt with your Lips. ***
Capitolo 16: *** Don't bring Her away. ***
Capitolo 17: *** To the Rescue! ***
Capitolo 18: *** Two Generals on the same Ship. ***



Capitolo 1
*** Two Generals, one Ship. ***


-C-che piacere divedervi, Maestro…- il tono di Allen era tutto meno che festoso, mentre il Generale Cross lo lasciava cadere a terra, fissandolo col solito sguardo beffardo –vedo che finalmente riesci a evocare in maniera decente, eh, discemolo- sentenziò osservando la spada posata a terra accanto al ragazzo.
Uno schianto improvviso e una bolla d’acqua avvolse quello che fino a pochi minuti prima era stato Tyki Mikk e che si era trasformato in un mostro non meglio definito.
Una ragazza piccola e snella, con corti capelli biondi e grandi occhi azzurri emerse dal polverone, sostenuta in aria da due ali color grigio argento.
Si girò verso l’uomo con fare scocciato –accidenti, Marian! Non siamo qui per cazzeggiare, muoviti!- gridò guardandolo storto.
Il Generale sorrise con aria di sfida –e va bene, e va bene. Stavo solo salutando- disse, evocando l’innocence e scagliando Allen svariati metri più in là.
Atterrò sul sedere accanto a Lavi, Chaoji e Linalee, che lo fissavano allibiti.
-Quell’uomo è un mostro- piagnucolò Lavi –ma chi è la ragazza con lui?- un barlume di interesse per metà da Bookman e per metà da adolescente allupato scintillava nel suo unico occhio. Linalee sbuffò.
-E’ il Generale Tsubaki, Lavi. L’altro oggetto della nostra missione. Non farti strane idee- disse secca. Il rosso osservò ammirato la battaglia che si stava svolgendo di fronte a loro, in cui i due Generali stavano avendo decisamente la meglio sul Noah.
-Caspita, ma è fortissima- mormorò Allen –che tipo è la sua innocence?- la cinese scosse la testa –non ne so molto. So solo che ha la nostra età e che è già diventata Generale da un po’, quindi deve avere delle capacità straordinarie- poi lo fissò incuriosita –mio fratello mi ha detto che è stata discepola di Cross. Tu non l’hai mai conosciuta, Allen?- chiese.
Il ragazzo fece cenno di no –il Maestro mi ha accennato qualcosa a proposito di un allievo precedente a me, però non mi ha mai risposto quando ho tentato di saperne di più- mormorò.
All’improvviso la terra sotto di loro si mise a tremare in maniera incontrollata, crepandosi sempre di più.
-Via!- gridò Lavi, afferrando Chaoji per la manica.
Con un boato assordante, alle loro spalle comparve il Conte del Millennio.

---------

-Mi avete fatto chiamare, Sovrintendente?- un ragazzo biondo, con capelli lunghi e liscissimi raccolti in una treccia e due nei in fronte, osservava con aria solerte il proprio superiore, seduto dietro alla scrivania.
-Si, Ispettore. Sedetevi, prego- lo invitò. Il giovane ubbidì, chiudendosi la porta alle spalle.
-Dunque, volevo informarla che fra due giorni partiremo per il Quartier Generale dell’Ordine Oscuro, che si trova in Inghilterra- disse, spostando una pila di fogli e prendendone una cartellina giallastra –qui c’è tutto ciò che dovrete sapere quando partiremo. Ho avuto notizie molto interessanti riguardo al ritrovamento dei Generali Cross e Tsubaki- a quell’ultimo nome il ragazzo trattenne il respiro, cercando di non far trapelare la sua impazienza.
-Sono stati rintracciati, Sovrintendente? Era un po’ che non se ne avevano notizie- disse con calcolata noncuranza, sfogliando le prime pagine del fascicolo.
-A quanto pare si. Non è tanto Tsubaki, i cui rapporti ci sono comunque giunti con regolarità, ma Cross, ad essere importante. E soprattutto il suo allievo, Allen Walker- il biondo alzò gli occhi per fissare quelli stretti e sottili del Sovrintendente Lvellie –quello sarà il vostro compito, Ispettore Howard Link. Sorvegliare l’elemento Allen Walker e riferirmi ogni singolo movimento da lui compiuto, anche il più insignificante. Pensa di esserne in grado?- Link annuì, secco e sicuro come sempre, preciso in ogni gesto.
-Non ci saranno problemi, sovrintendente- mormorò con un cenno del capo.
L’uomo annuì e lo congedò, accompagnandolo alla porta.
Quando si fu richiusa, il ragazzo schizzò più veloce che potè verso il suo studio, cercando di non perdere i fogli che facevano di tutto per svolazzare via dalla cartellina.
Si barricò dentro, chiudendo la porta a chiave, e gettò il fascicolo sulla scrivania, abbandonandosi sulla sedia.
Al Quartier Generale.
I Generali Cross e Tsubaki.
Tsubaki.
Ce l’aveva fatta, alla fine.
Ma non doveva, non poteva lasciarsi andare, non subito, o sarebbe stato tutto inutile.
Sentiva il cuore andargli a mille nel petto, mentre quel nome continuava a vorticargli in testa.

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-Rie Tsubaki, Generale. Molto piacere- la ragazzina che stava davanti a loro sembrava totalmente diversa dalla macchina da guerra che avevano visto in azione durante il combattimento.
Smilza, non molto alta, capelli di un biondo chiarissimo tagliati corti, che si arricciavano appena sopra le spalle, e due occhi grandi e di un azzurro intenso.
Sembrava più una bambola che una guerriera.
Ora che tutto il gruppo di esorcisti si era riunito, era venuto il momento delle presentazioni.
-Io sono Allen, piacere- disse subito l’albino porgendole la mano, un po’ incuriosito da quella che sembrava esser stata la prima allieva di Cross.
-Ah, si, ti conosco già, di nome ovviamente- disse lei, stringendola con un sorriso –il mio successore. Mi hanno detto che Cross non ha cambiato metodi di educazione. Anche tu baro professionista?- gli ammiccò, passando poi a conoscere Lavi, Linalee, Chaoji, uno svenuto Crowley e un irritatissimo Kanda.
-Non mi sembra che abbia una bella cera- fece rivolgendo un cenno al vampiro –sarà meglio cercare di uscire da qui- sentenziò, voltandosi improvvisamente.
Sospirò, poi i fregi sul suo pugnale si illuminarono di un verde brillante, e un infuriatissimo Cross penzolò di fronte a loro, tenuto per la caviglia da una grossa radice.
-Dove pensavi di andare, Marian? Guarda che sei l’unico che sa come farci uscire di qui- disse con un tono fintamente allegro e un intento omicida assolutamente palese dietro al sorriso smagliante.
Lasciò piombare il Generale a terra e tutti gli esorcisti dietro di lei, Kanda compreso, la fissarono allibiti.
Nessuno, mai, si era preso così tanta libertà con quell’uomo.
-Accidenti, Rie, io ho una fama da mantenere- borbottò quello, tirandosi in piedi e pulendosi la polvere dal cappotto.
-Sai che me ne frega. Io voglio uscire di qui adesso, o rivelerò a questi candidi ragazzini le tue abitudini mattutine- disse con un ghigno sadico che fece sbiancare il Generale da dietro la maschera.
-Ok, ok, seguitemi- disse, filando in testa al gruppo senza fiatare.
Rie ridacchiò soddisfatta, seguendolo assieme agli altri ragazzi.
-Wow. Nessuno gli aveva mai parlato così senza finire atterrato- constatò ammirato Allen. La ragazza sorrise –so solo come prenderlo. Ci conosciamo da un po’, diciamo-
-Ehi, posso darti del tu, vero?- Lavi si intromise nel discorso, portandosi accanto a loro. Rie lo fissò con un sopracciglio alzato –certamente. Ho solo due anni più di te, Bookman Junior- disse lei. il rosso la fissò con tanto d’occhi –come fai a sapere che sono il successore di Bookman?- chiese. La bionda si stampò in viso un’espressione a metà fra lo spavaldo e il seccato –non sono molto all’Ordine, però questo non significa che non abbia orecchie, occhi e soprattutto informatori- sorrise, candida –comunque si, puoi chiamarmi per nome. Altre domande?- continuò.
Prima però che il rosso potesse risponderle fu arpionato per il colletto della maglia da Kanda, che iniziò a sbraitare mentre il peso di Cross e Allen li trascinava nel vuoto.
Rie acchiappò Lavi per un braccio, finendo trascinata a sua volta e sentendosi afferrare per una gamba da un imbarazzatissimo Chaoji, che cercava in tutti i modi di trattenerli senza posare lo sguardo sulla divisa della ragazza, un semplice vestito nero, che si era arrotolato fino alle spalle.
-Razza… di… idiota!!!- strillò Rie rivolta a Cross –ci vuoi tirar fuori di qui invece di cercare di ammazzarci, che diamine!-
-Sto foffocanfo…- fu il mugolio strozzato di Lavi.
-Tale discepolo, tale Maestro! Adesso ho capito da chi hai preso dannato mammoletta!- questo era Kanda.
-Mi chiamo Allen, Bakanda! Allen!! Maestro, insomma, fate qualcosa!- la voce di Allen era disperata come al solito.
-Uff, per un pelo- sospirò Cross.
-E’ tutto quello che avete da dire?!- questa volta l’urlo fu collettivo.
Provvidenziale fu l’arrivo dell’innocence di Chaoji, che riuscì miracolosamente a tirarli su tutti.
Rie si alzò subito in piedi, aggiustandosi il vestito, stringendo gli occhi in un’espressione che non prometteva nulla di buono.
Acchiappò Cross per il bavero –tu ci porti fuori- mormorò mortalmente seria –adesso. Sono mesi che ti seguo in queste dannate peregrinazioni, sono mesi che siamo all’interno di questa maledettissima scatoletta. Io. Voglio. Uscire- sibilò scandendo in maniera letale le ultime tre parole. Il Generale deglutì, annuendo.
I ragazzi si fissarono con tanto d’occhi: quel nuovo arrivo prometteva tutto, tranne che di essere noioso.



Note dell'Autrice:

Ecco che Bethan ritorna con una nuova fanfiction!
Ok, non fate finta che vi siano mancate u_u''
Spero che vi piaccia, non farò spoiler di nessun tipo anche perchè non ho ancora finito di scriverla -ebbene si, ho fatto di nuovo questa pazzia- quindi io stessa non so come andrà a finire il manga, soprattutto se continueranno a far morire e resuscitare personaggi a ripetizione!!
Ah si, solo questo: SPOILER enormi per chi non segue le scan e ci sarà anche un po' di yaoi... però verso la fine! Giusto per avvertirvi! Spero di non essermi scordata niente .__.

Ditemi le vostre impressioni su questo primo capitolo! :D

Bethan

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Capitolo 2
*** Do you remember? ***


-Generali Cross e Tsubaki. Quanto tempo- la voce secca del sovrintendente Lvellie risuonò nella sala, occupata quasi interamente da un enorme tavolo rotondo, dov’erano seduti tutti i Generali.
-La nostra missione ha richiesto tempo, Sovrintendente- replicò atona Rie, guardandolo come se non lo vedesse –dovrebbe esservi arrivato il mio rapporto a scadenze regolari, in ogni caso- continuò meccanicamente.
-E’ l’unico motivo per cui il Generale Cross si trova seduto a questa tavola e non al banco di un tribunale ecclesiastico- sentenziò l’uomo con sarcasmo, guardando fisso Cross.
Il discorso andò avanti lungo tutta una serie di rivelazioni sconvolgenti cui Rie non prestò particolare attenzione: sapeva già tutto.
Sapeva che Allen Walker era il portatore dell’eredità del Quattordicesimo Noah, sapeva che il suo maestro avrebbe avuto dei guai a non fare rapporto. Lei l’aveva avvertito, ma non era servito a niente.
Ogni tanto i suoi occhi si catapultavano sul viso di Marian, quando Lvellie faceva un’affermazione troppo forte, ma il Generale continuava a rimanere impassibile, calmo come al solito.
“Ma come fa? Se Lvellie mi parlasse a quel modo, lo ucciderei. Maledetto pallone gonfiato e ipocrita” si sfogò mentalmente la ragazza, immaginando di prenderlo a calci. Dovette sforzarsi per non lasciare sul suo viso spazio né alla rabbia, né al ghigno che si proponeva di affacciarsi sulle sue labbra nel pensare a un pestaggio organizzato.
-Bene, a questo punto vi presento chi dovrà tenere Allen Walker sotto stretta sorveglianza. Ispettore, può entrare- quelle parole fecero scattare in lei un moto d’interesse. Si girò verso la porta che si era appena aperta, e rimase di sasso nel vedere chi era appena entrato.
“No. Assolutamente, categoricamente, no. Non può essere” pensò, stringendo i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. Vide Cross girarsi a guardarla.
I suoi occhi incrociarono quelli grigi e altrettanto impassibili del ragazzo che era appena entrato. Riuscì a non mutare espressione, ma sentiva il cuore batterle così forte che temeva che sarebbe esploso.
Lui.
Cosa ci faceva lì, e perché era al seguito di Lvellie?

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-Ehi, Rie, tutto bene?-
La voce le arrivò come da chilometri di distanza, mentre la ragazza guardava con occhi sbarrati ora l’enorme dolce che Allen si stava sbafando, e che sembrava davvero delizioso, ora chi l’aveva portato.
-Rie? Ci sei?- una mano le sventolò davanti agli occhi.
Strizzò le palpebre, ricomponendosi.
-Si, si, Lavi. Ci sono- disse. Il rosso la scrutò incuriosito –che ti è preso? Hai fame, forse?- chiese –guardavi quel dolce come se tu volessi saltargli addosso!-
La ragazza dovette sforzarsi per non sussultare e scosse la testa –sono solo stanca, Lavi. E’ comprensibile, dopotutto, no?- sospirò. Il ragazzo tacque.
-Sono Howard Link, incaricato di tenere sotto controllo giornaliero Allen Walker. Cerchiamo di andare d’accordo- le parole del ragazzo biondo che si era seduto di fronte a loro arrivarono gelide, controllate, meccaniche.
Non dava alcun segno di averla riconosciuta, pensò Rie, e nemmeno lei riusciva a capacitarsi che fosse davvero lì.
Doveva essere una coincidenza. Ci sono altri che hanno quei nei, pensò, non è detto che sia per forza lui.
“Si, certo, come no. Non fare l’idiota, Rie” si disse subito dopo.
Si alzò di scatto, tirando bruscamente indietro la sedia.
-Rie?- Lavi la fissò, sbalordito da quell’improvviso cambiamento nel gelido contegno della ragazza –non sto molto bene, Lavi. E’ tutto a posto. Credo che andrò a riposarmi- disse, poi praticamente scappò dalla stanza senza aggiungere altro, finchè non sentì una voce rincorrerla.
-Rie! Dove vai? E’ l’ora dell’allenamento!- la ragazza si girò verso Allen, faticando per nascondere il suo sconcerto.
Erano appena stati a una delle riunioni più tese, tristi e pesanti della loro carriera, quel ragazzo aveva appena scoperto di aver impiantata dentro la memory del Quattordicesimo Noah e doveva essere guardato a vista, ucciso nel caso avesse perso il controllo… e si preoccupava dell’allenamento.
Non ebbe il cuore di negarglielo, gliel’aveva promesso poco prima di uscire dall’arca, anche se era consapevole di cosa avrebbe significato allenarsi da sola con lui.
“Fingi ancora un po’, Rie. L’hai fatto per una vita, coraggio” pensò, sforzandosi di sorridergli.
Sapeva che era fatto così, ma non credeva che la volontà di Allen di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno potesse arrivare a tanto.
-Beh, se sei sicuro…- disse esitante. Il ragazzo annuì con forza, precedendola.

-Walker! Dove stai andando?-

La voce risuonò secca nel corridoio, e Allen si immobilizzò di schianto, girandosi verso il ragazzo biondo che era appena uscito dalla stanza.
-Ad allenarmi, perché?- rispose con noncuranza.
-Perché devi dirmi qualsiasi cosa tu faccia. Devo stare assieme a te giorno e notte- rispose quello, duro.
Rie non sapeva cosa le fosse preso, ma dovette uccidersi mentalmente molte volte prima di smettere di fissarlo e prendere in mano le redini della situazione.
“Coraggio, Rie” si disse.
-Beh, allora seguiteci, Ispettore. Non è certo un allenamento che nasconde un complotto- disse con noncuranza, superandoli. Gettò un’occhiata ad Allen e sorrise –allora, vogliamo andare?- l’albino annuì, caracollandole dietro.
L’ispettore li seguì senza una parola.

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La ragazza sgusciava fra i colpi di Allen senza farsi neppure sfiorare, rapida e leggera.
Il ragazzo attaccava continuamente, veloce, ma non quanto lei.
Nei loro combattimenti non c’era spazio per le scommesse. Anche un bambino avrebbe capito chi dei due avrebbe avuto la meglio.
Ad un tratto Allen sembrò inciampare in qualcosa e finì a terra di schianto, prendendo una sonora dentata. La risata di Rie risuonò per tutta la sala.
-Ci sei cascato!- ridacchiò, porgendogli una mano.
-Ma… ma! L’innocence non vale!- sbuffò quello, aggrappandosi al suo braccio.
-Gli akuma non manterranno mai i patti, quando combatterai contro di loro, e tanto meno i Noah- disse, ma non fece in tempo a finire la frase che Allen l’aveva scaraventata parecchi metri più in là, approfittando del suo braccio teso.
Rie atterrò in piedi, sollevando una notevole quantità di polvere.
-E’ proprio questo che intendevo…- mormorò. La sabbia iniziò a formare mulinelli sempre più ampi e giganteschi che sommersero tutta la sala, finchè non si iniziarono a sentire i colpi di tosse dell’albino provenienti da un punto preciso dell’arena. Rie fermò l’invocazione e scattò verso quel punto, sferrando ad Allen un calcio micidiale che lo fece volare a terra.
-Basta, hai vinto- ansimò lui, ancora tossendo. La polvere si posò lentamente.
-Niente male, Allen Walker- disse lei, sedendosi lì vicino. Non era stanca, Allen non era un nemico contro il quale una come lei potesse sudare sette camice.

Rie Tsubaki, il più giovane Generale dell’Ordine Oscuro.
Link l’aveva osservata di sottecchi per tutto il combattimento.
Oltre al Generale Cross, al momento sotto custodia, Rie era l’unica esorcista ad essere compatibile di più di un frammento di innocence.
L’ “Esorcista Elementale”, la chiamavano.
Acqua, aria, terra, fuoco. Questi erano gli elementi che riusciva a controllare tramite l’innocence. Era capace di scatenare una potenza disumana, e lui lo sapeva bene, pensò con sarcasmo.
L’unica volta che l’aveva vista perdere il controllo gli era bastata per una vita intera.
Le era sembrata imbattibile, tutt’altra cosa dalla ragazzina mingherlina e allegra che faceva il solletico ad un Allen Walker insabbiato.
Appariva così serena, così spensierata, così soddisfatta della propria vita e di ciò che faceva che iniziò a chiedersi se non avesse fatto un errore di valutazione.
Forse quello che Cross gli aveva detto anni addietro era vero, forse lei non aveva bisogno che si rincontrassero.
Ma appena era entrato in quella sala aveva capito che Rie l’aveva riconosciuto, aveva visto i suoi occhi abbassarsi e le sue spalle contrarsi di colpo. Gesti minuscoli, che nessun altro aveva notato, ma che per lui erano chiari come il sole.
Avrebbe solo voluto chiederle perché era scappata, ma aveva dovuto continuare la farsa che metteva in atto da dieci anni.
“Non fare le cose di fretta. E’ spaventata, e lo sei anche tu. Aspetta” si disse, sospirando.
Tossicchiò sonoramente, riprendendo il suo solito contegno.
I due si girarono ancora ridendo.
Link chiuse il libro con uno schiocco –spero che la signorina Tsubaki avrà una soluzione per ripulire i miei libri dal polverone, o mi sarà alquanto difficile fare rapporto- disse con voce altezzosa.
Si odiò per quel tono, ma non poteva farci niente. Doveva continuare, continuare a fingere.
La ragazza si alzò senza fare una piega, afferrò il libro che l’ispettore teneva in mano e vi soffiò attraverso.
Le pagine volarono una dietro l’altra, e il testo tornò perfettamente pulito.
Le labbra di Rie si piegarono in un sorriso spavaldo e fintamente innocente e l’Ispettore si ritrovò a fissare quegli occhi chiari come il cielo al mattino che ben conosceva, e che sviavano sistematicamente dai suoi –ecco a lei, Ispettore. Mi scusi per il disturbo- cantilenò come se niente fosse. Poi salutò con un cenno lui e Allen e imboccò la porta dell’arena, chiudendosela alle spalle.

-------

Entrò nella sua stanza sbattendo la porta, poi si buttò sul letto.
“Calmati. Calmati. Calmati” pensò.
Non era possibile. Non poteva essere lui.
Non adesso che finalmente, dopo dieci anni, era riuscita se non a scrollarsi di dosso il peso di quella colpa che l’aveva sempre schiacciata, perlomeno a conviverci.
Howard Link. Il cognome c’era, i due nei pure, gli occhi grigi anche.
Non li aveva mai dimenticati, e non li avrebbe dimenticati mai.
Il fratello di James Link non poteva essere che lui.
Sospirò: dunque era questo che Dio o chi per lui voleva farle capire?
Che non sarebbe mai potuta scappare da ciò che aveva fatto?
Che avrebbe dovuto sentire il peso della sua colpa per tutta la vita?
Che c’era qualcos’altro, sotto la sua fuga?
Un sordo bussare alla porta la distrasse.
-Avanti- disse.
-Ehilà!- la voce rude e fintamente allegra del generale Cross le fece emettere un verso di stizza. Cosa diamine voleva da lei, a quell’ora?
-Ma non ti avevano rinchiuso, guardato a vista?- domandò acida, ma l’uomo non fece una piega e si sedette sul letto di fronte a lei.
-Ci hanno incastrati per bene, eh?- chiese. Domanda retorica, ovviamente. Lui conosceva tutta la storia, era uno dei pochi a saperla per intero e ad averla udita da lei. Per il resto, erano tutte voci.
Rie annuì senza dire niente, mentre Cross riempiva due bicchieri di un liquore dall’odore dolciastro. Storse il naso –dovresti smetterla di bere quella roba, e pure di farla bere a me. Sono appena maggiorenne, ebete d’un maniaco- sbottò, ma sfilò comunque il calice dalle mani di Cross e lo tracannò tutto d’un fiato, sentendo il liquido bruciarle la gola e lo stomaco. Sapeva che poco dopo sarebbe arrivato alle ginocchia e infine alla testa.
Chissà, magari in quel modo sarebbe riuscita a dormire.
Le dita dell’uomo afferrarono una ciocca dei suoi capelli biondi, chiarissimi, segno della sua discendenza dai popoli dell’Europa del Nord, nonostante il suo nome.
-Sei cresciuta troppo in fretta- mormorò con una nota di tristezza nella voce –mi chiedo se non sia stata anche colpa mia, se non abbia fatto degli errori giganteschi sia con te, sia con Allen…- la ragazza scosse la testa, liberando i capelli dalla presa di Cross. La disorientava quando partiva con quei discorsi, come se da lui fosse dipesa la direzione che Rie avrebbe potuto prendere.
-Sono cresciuta quando la mia vita me l’ha imposto, Marian. Ti prego di non fare sentimentalismi; non sei il tipo, e poi basto io- sbuffò appoggiando la testa al muro. L’uomo rimase in silenzio.
-Dici che mi ha riconosciuta?- sussurrò poi, fissando lo specchio appeso alla parete opposta. Il generale sospirò –penso di si. Prima, quando tu ed Allen vi allenavate, non ti ha tolto un momento gli occhi di dosso- rispose con un’occhiata eloquente.
Rie rabbrividì senza volerlo, serrando le palpebre.
-Rie- la chiamò lui. Spalancò gli occhi di schianto, girandosi a guardarlo. Cross la stava fissando seriamente –non combattere da sola. Lui ti ha cercata, lo sai, e non credo sia per vendetta- disse.
La ragazza non rispose, limitandosi ad annuire in modo meccanico, come faceva sempre quando il discorso verteva su quegli argomenti.
L’uomo finì di fumare la sua sigaretta, poi la lasciò sola.
Rie sentì la testa girarle, ma non sapeva se ciò fosse dovuto all’effetto del liquore o allo shock della sua vita che le imponeva di non dimenticarsi di lei.
“Maledetto alcool” pensò, abbandonandosi sul letto.





Note dell'Autrice:

Bene, ecco a voi il secondo capitolo! Dal prossimo inizierò a dipanare un po' la matassa sul passato comune di Link e Rie, ma come sempre accade nelle mie fanfiction, NIENTE è così semplice come sembra! mwahahahahahaha!
Ok, dopo questo sfogo -per fortuna breve- di pazzia, rispondo alle recensioni e vado FINALMENTE a letto come le galline, visto che sto per collassare sulla tasbsodbsjb
Nuirene: ma ciao! :D sono contenta che l'incipit ti sia piaciuto! Link sarà molto presente in questa storia, avrai di che essere soddisfatta :3 a presto!

Sherly: come farei senza la mia fedele commentatrice?? Ti voglio bene *__* che altro aggiungere??

Oìche Mhaith!!

Bethan

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Capitolo 3
*** First memories ***


Corre. Corre sempre più forte, ma non ce la fa comunque a sfuggire a quello.
“Quello”, non sa cosa sia, è solo un essere gigantesco, dalle proporzioni grottesche, con un’enorme mascherone dove intuisce dovrebbe esserci la faccia. Lontano, le fiamme e il silenzio avvolgono il villaggio dove “quello” ha ucciso tutti quanti, tutti tranne lei.
E continua ad inseguirla.
Perché vuole proprio lei? Che cos’ha fatto?
Inciampa, finisce con la faccia a terra, sente la voce gracchiante e orribile di quel mostro.
-E adeeeesso ti uccido!- chiude gli occhi, terrorizzata, troppo anche per piangere.
Ha perso sua mamma, suo papà, i suoi fratelli.
“Quello” li ha uccisi di fronte a lei.
“E’ te che vogliamo” le ha detto “è colpa tua se sono morti tutti”.
-Sigillo di sangue. Distruzione- una voce profonda fa capolino dagli alberi, e il mostro caccia un urlo bestiale, terrificante.
Si sente afferrare per le braccia e prendere in braccio delicatamente, ma continua a tenere gli occhi serrati, il cuore che va a mille, come un animale in trappola che sa di non poter fare più niente per scappare.
Avverte il vento sulla faccia, e sente che stanno correndo. Poi, dietro, un’esplosione fa tremare la terra.
Improvvisamente scende il silenzio, il passo di chi l’ha salvata rallenta. Avverte il suo cuore battere velocemente per la fatica della corsa.
-Puoi aprire gli occhi, sei al sicuro adesso. Non ti farò del male- la voce era gentile, e lei le credette.
Aprì piano le palpebre e fissò le iridi scure di un uomo abbastanza giovane, che la fece salire di fronte a lui su un cavallo e la avvolse in una coperta.
-Ti porterò a casa mia. Gli akuma non ci troveranno, lì, stai tranquilla- le parla con un tono rassicurante, ma continua a guardarsi intorno a scatti, segno che è nervoso.
Lei se ne accorge e riprende a tremare, mentre il cavallo parte al galoppo.
Le braccia dell’uomo la stringono cercando di scaldarla, ma i brividi che la scuotono non sono di freddo.
Prova a distrarla.
-Io sono James. Tu come ti chiami?- lei apre la bocca un paio di volte per rispondere, ma entrambe la richiude.
Si sforza, cerca nella sua mente, si picchia in testa con la mano, poi inizia a piangere piano.
-Io… io non mi ricordo- sussurra, singhiozzando.
L’uomo l’abbraccia e la protegge dal vento –va tutto bene, non sforzarti. Fra poco arriveremo e ti potrai riposare. Quando avrai voglia, potrai anche giocare con mio fratello. Avete la stessa età, sai?- inizia a raccontare, a parlarle di com’è la casa e dei giochi che ci sono e lei, piano piano, si addormenta.

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-Rie! Rie, svegliati, presto!- la ragazza sobbalzo, ritrovandosi ad un palmo dagli occhi agitati di Linalee.
-Che succede?- mugugnò, ancora mezza intontita dal sonno e dalla sbronza della sera prima.
-Devi andare in missione, è urgente. Sembra che Hebraska abbia rilevato una risonanza fra l’innocence dispersa e la tua, anche se non so bene cosa significhi- disse, aspettando impazientemente che si vestisse e che capisse che cosa stava cercando di dirle.
Se un altro cubo di innocence era entrato in risonanza con i suoi, voleva dire che…
“Non è possibile” pensò “non può andare tutto così storto”.
-Dimmi che non è un nuovo impianto, Linalee, dimmi che Heb non ha detto questo- mormorò, una morsa le attanagliava lo stomaco. La cinese sviò gli occhi dai suoi.
-Ha detto che potrebbe esserlo, ma che non ci sono certezze, e non ci saranno finchè non l’avrai recuperata- disse, camminandole in fretta davanti, gettandole ogni tanto sguardi incuriositi. Rie la seguì in silenzio, il cuore che batteva a mille. No, non le avrebbe detto degli impianti.
Primo, perché era troppo intontita, secondo, perché era un’eventualità troppo spaventosa anche solo perché lei stessa la prendesse in considerazione e avesse voglia di parlarne.
-Ah, non andrai da sola- continuò la cinese, vedendo che la bionda non raccoglieva i suoi sguardi curiosi –con te verranno Allen e Link - Rie imprecò mentalmente.
Se da un lato era sollevata –Allen era uno degli esorcisti del Quartier Generale con cui aveva legato di più in quel poco tempo- dall’altro sentiva che la presenza di Howard non avrebbe portato niente di buono. Non sapeva ancora se lui l’avesse effettivamente riconosciuta, del resto erano dieci anni che non si vedevano, e la speranza che lo shock e il tempo avessero cancellato i ricordi era l’unica cosa che le impediva di darsela a gambe in quel preciso istante, mandando al diavolo Ordine e famiglia Link.
Si sentì immediatamente in colpa a quel pensiero.
Forse Cross aveva fatto davvero degli errori con lei, si disse, a partire dal renderla cinica e strafottente verso il resto del mondo.
Trovarono i due ad attenderle all’uscita della Home, assieme a Komui.
-Eccovi, Generale Tsubaki. Immagino che Linalee vi abbia già spiegato…- disse. La ragazza annuì seccamente –lascia perdere il voi. Quanto è probabile che sia un nuovo impianto, Komui?- chiese col cuore in gola, sentendosi addosso gli sguardi stupiti di Link e di Allen. Il supervisore sospirò –molto, a dire il vero. Hebraska ha lasciato pochi dubbi- la guardò negli occhi, lei distolse lo sguardo, sentendosi terrorizzata.
-Rie, dovresti aver imparato a…- esordì l’uomo, ma l’occhiata che lei gli lanciò gli fece morire le parole in gola. Ci mancava solo che rivangasse il fatto che non riuscisse a controllare immediatamente la nuova innocence con Howard lì davanti, pensò stizzita. Il cambiamento di carattere nel ragazzo le era parso evidente: se avesse scoperto una cosa simile, non ci sarebbe stato da stupirsi se lo fosse andato a rivelare a Lvellie seduta stante.
E allora si che sarebbero stati guai, pensò.
-Ho capito, Komui, non devi preoccuparti. Andrà tutto bene- disse atona, assumendo il suo solito contegno schivo.

Salutarono Komui e Linalee e si avviarono verso la carrozza. Sarebbe stato un viaggio lungo, l’innocence era stata localizzata in un punto impervio nel mezzo delle Highlands.
Rie sospirò: se Heb era così sicura che il cubo fosse entrato in risonanza con quelli già all’interno del suo corpo, avrebbe fatto meglio a prepararsi.
-Rie?- la voce di Allen la riscosse.
-Dimmi-
-Che cos’è l’impianto? Cosa intendeva Komui?- le parole di Allen furono bruscamente interrotte dal fracasso provocato da Link. All’ispettore era caduta di mano una gigantesca pila di libri, che ora si stava affrettando a raccogliere imprecando contro il dondolìo del treno.
Rie si sentì stringere lo stomaco.
“Ma chi vuoi ingannare, Howard?” pensò con tristezza.
Anche lui stava fingendo, e l’allontanamento dall’Ordine aveva agito da rilassante sui suoi nervi tesi, portandolo a combinare disastri e a sciogliere la sua maschera di stizza e pignoleria.
Non le andava molto a genio rivangare il suo scarso autocontrollo sull’innocence di fronte a lui, ma Allen doveva sapere a cosa l’aveva mandato incontro quel pazzo di Komui.
Sospirò –Allen, come ormai sai io sono diventata Generale perché sono la compatibile di quattro blocchi di innocence- cominciò. L’albino annuì.
-Ecco, questi blocchi, ogni volta che io mi sono avvicinata a loro, sono entrati in risonanza, hanno cioè scatenato il loro potere, il più delle volte in maniera distruttiva- fece una pausa, sbirciando verso Link, ma quando vide i suoi occhi fissi su di lei si rivolse immediatamente verso Allen.
Era chiaramente sbalordito, evidentemente non si aspettava che sarebbe stata in grado di menzionare gli effetti del suo mancato controllo.
-Ecco, l’impianto avviene quando io tocco uno di questi blocchi, che si innesta nel mio corpo- deglutì, rabbrividendo –non è un processo piacevole- mormorò –fa male, molto male, e c’è il rischio che io non riesca a controllare subito la potenza dell’innocence, dal momento che il mio corpo ne sopporta già una grande quantità- concluse. L’albino era basito.
-Ma se tu non riuscissi a controllarla, io…- Rie finì la frase per lui –dovresti attaccarmi, Allen, in modo da rendermi inoffensiva- disse secca. Vide il ragazzo abbassare gli occhi e sospirare.
-Non preoccuparti- disse con più gentilezza, scompigliandogli i capelli, un gesto così spontaneo che sorprese anche lei –farò il possibile per controllarla. Mi sono allenata in questi anni, eh. Non sono diventata Generale per niente- sorrise, e sorrise pure l’albino, rassicurato.

Si fermarono in un villaggio molto a nord della Scozia, Allen aveva bisogno di mangiare in maniera sostanziosa, come il suo stomaco rombante aveva più volte manifestato durante il corso del viaggio.
Rie e Link lo aspettarono vicino alla carrozza. Si scoprì che l’Ispettore soffriva di mal di mare, e lei, d’altro canto, era troppo nervosa per la missione per poter pensare di mangiare, quindi l’albino caracollò verso una locanda, accompagnato dal cocchiere.
-Ispettore, provi queste- disse la ragazza ad un tratto, lanciandogli un sacchettino. Link scrutò le caramelle con aria interrogativa. Dall’interno proveniva un forte odore di limone.
-Sono contro il mal di mare, non ho ancora trovato una persona con cui non funzionino- continuò lei –avanti, le provi- si sentiva ridicola ad essere così formale, ma doveva reggere quella messinscena. Aveva troppa paura ad affrontare Link a volto scoperto.
-Rie- fece lui, dopo aver masticato la caramella. In effetti dava evidenti segni di miglioramento.
“Accidenti, era meglio se continuava ad avere il mal di mare” pensò. Il sentirsi chiamare per nome da quella voce le aveva inviato uno scossone nei pressi dello stomaco. Il ragazzo non attese che rispondesse.
-Non credi sarebbe meglio smetterla con questa farsa?- mormorò, guardando fisso l’orizzonte. A Rie sembrava che le parole non fossero mai pesate così tanto come in quel momento. Si rifiutavano di uscire dalla sua bocca.
-Non capisco cosa intendete dire, Ispettore- balbettò, cercando di sembrare il più sicura possibile. Non era pronta per affrontarlo, non ancora.

Link sospirò senza dire niente, senza guardarla.
Era ovvio che non potesse andare subito così liscia.
Rie fissava ostinatamente l’orizzonte, apparentemente dimentica della sua presenza, e questo gli consentì di soffermarsi qualche istante in più sulla sua figura.
Ovviamente, era cresciuta. Avevano la stessa età, vent’anni, ma continuava a sembrargli come se non fosse cambiato niente.
Sentiva il suo smarrimento come se fosse il proprio, e la vedeva nascosta sotto un’armatura che non era la sua. Vedeva quegli occhi guardare sempre avanti per paura di voltarsi indietro, ma sentiva anche che in qualche modo, riemergendo dal passato, era riuscito ad agganciarla.
Doveva essere cauto, o avrebbe rischiato di perderla di nuovo, e per sempre.



Note dell'Autrice:

Ecco a voi il terzo capitolo prima della mia partenza! :D Si inizia ad intuire qualcosa del passato di Rie -per una volta non l'ho tirata tanto per le lunghe- però il peggio deve ancora venire!

Nuirene: si beh, la fanfiction è ancora in via di scrittura e nonostante io sia quasi alla fine non ho idea di come sbrogliare questa faccenda degli elementi T_T però mi farò venire in mente qualche colpo di scena! ;) per quanto riguarda l'interesse di Cross... pazienta, pazienta! Non ti deluderò! :D comunque l'avviso ooc l'ho messo apposta per alcuni comportamenti che hanno delle cause ma non sono proprio conformi a quelli originali... meglio prevenire!!

A presto! Recensite, vi prego *___*

Baci!

Bethan

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Capitolo 4
*** You're breaking the wall of my memories. ***


-Rie, aspetta! Non correre così!- il ragazzino biondo corre dietro alla compagna, molto più veloce di lui.
-Forza, Howard! Se non ti muovi lo perdiamo!- grida lei, senza smettere di avanzare nell’erba alta, noncurante della terra che le sporca il vestito.
Sono passati due anni, ormai, da quando è arrivata lì.
I due bambini corrono a perdifiato in mezzo al campo, verso il limitare di un’altissima scogliera che si getta a precipizio nel mare tinto di rosso dalle ultime luci del tramonto.
Arrivano in cima, sfiniti, ma il sole non è ancora andato giù del tutto. Lei sorride, contenta, e si mette a sedere. Fa cenno all’amico di fare lo stesso.
-Ehi, Rie- ansima lui, obbediendole.
-Mh?- Rie lo ascolta, ma non lo guarda. I suoi occhi azzurri sono concentratissimi sull’orizzonte.
-Ti trovi bene a vivere qui?- quella domanda, però, cade così inaspettata che lei deve girarsi per forza. Howard vede la sorpresa sul suo viso.
-Certo che sto bene. Mi avete salvata- risponde semplicemente, ma lui sente che è sulla difensiva. Lo è sempre, quando parlano di come è arrivata lì.
Non si è mai lamentata, non ha mai neppure detto che le manca casa, in un anno, o che le manca la sua famiglia.
Eppure devono mancarle, queste cose, pensa Howard, e glielo chiede.
Non l’ha mai fatto da quando è lì, ma quella sera, non sa perché, sente come se non potesse più rimanere senza saperlo.
Rie abbassa gli occhi e inizia a giocherellare con l’erba, come sempre quando è nervosa.
-Mi mancano- sussurra –ma ora è questa casa mia, e la mia famiglia siete voi- però non dice quelle parole che ha sempre tenuto custodite nei suoi ricordi, non esprime quella paura che ha sempre avuto da quando gli akuma hanno ucciso la sua vecchia famiglia.
“E poi, è colpa mia se sono morti”.
Tutte le volte che ci pensa, non riesce a frenare il terrore che la storia si ripeta.
Che succeda di nuovo.
-Non torneranno. James ha detto che non glielo permetterà- dice Howard, come se avesse capito quello che sta pensando.
Rie lo guarda, le lacrime agli occhi –come fa a saperlo?- sussurra. Lui le prende una mano, è piccola, anche più piccola della sua.
Sono due bambini, hanno undici anni.
-Non lo so- confessa –ma io mi fido di lui- dice poi, orgoglioso. Rie non ribatte, vorrebbe fidarsi, vorrebbe credere che quell’incubo sia finito, ma l’istinto dei bambini raramente sbaglia, e lei sente che se quei mostri la volevano c’era un motivo, che nessuno le ha ancora detto.
Guardano entrambi l’orizzonte, in attesa.
Il confine del sole, rosso come il sangue, è quasi al limitare dell’orizzonte. E’ diventato un rito, ormai, per loro due, quando c’è bel tempo.
Poi, all’improvviso, eccolo: un lampo verde, una striscia continua appena al di sopra del mare ed appena al di sotto del cielo, che sembra proseguire all’infinito, li lascia a bocca aperta.
-Rie- Howard spezza quel silenzio incantato, lei, come al solito, ascolta.

-----

Il sole stava ormai tramontando, e Allen non si vedeva tornare.
-Sono un po’ preoccupata- disse Rie, spezzando quel silenzio pesante come il piombo –vado a cercarlo. Aspettatemi qui, Ispettore- ma Link si aggiustò gli occhiali sul naso con fare professionale e raccolse le sue cose.
-Controllare Walker è l’obiettivo della mia missione. Verrò anch’io- disse secco. Rie gli andò dietro sospirando, tesa.
Si sarebbe tagliata la lingua piuttosto che ammetterlo, ma quella situazione le faceva un male cane. Un dolore sordo, una tristezza infinita che per dieci anni aveva rinnegato.
“E’ il dolore dei ricordi, Rie. Adesso sai com’è” pensò sarcastica, sbuffando. Quella era una frase da Marian.
Camminarono in un silenzio di tomba, avvicinandosi al villaggio, e mano a mano che i profili delle case si facevano sempre più definiti diventava sempre più chiaro che qualcosa non andava.
Sembrava tutto deserto, non una voce, non un bambino a giocare, non il rumore di un animale.
E, ovviamente, nessuna traccia di Allen e del cocchiere.
-Qui si mette male- sussurrò Rie, tirando fuori il pugnale da un fodero nascosto.
Era un’arma singolare, notò Link, con elaborati fregi ed intarsi di un materiale all'apparenza bianco, ma che variava tonalità ad ogni mutamento di luce, un motivo floreale che si estendeva sia sul manico, sia sulla lama completamente nera.
Avanzarono per qualche decina di metri, poi un’esplosione fece completamente polverizzare una vecchia casa di pietra poco più avanti.
Un akuma gigantesco uscì dal polverone, il sorriso distorto a spaccarne il volto in due. Rie scattò in avanti, velocissima.
-Trova Allen!- gridò a Link, poi evocò l’innocence.

“Elementi. Attivazione. Aria”

Spiccò un balzo che la catapultò su un tetto, esattamente di fronte all’akuma.
-Eeeesorcista! Sei la seconda, oggi!- ghignò quello –vuoi morireeeee?-
-Oh, sta’ zitto!- ringhiò. Non sopportava niente degli akuma.
Non erano anime da salvare, per lei.
Odiava la loro forma.
Odiava i loro sguardi biechi e vuoti.
Odiava le loro voci e le loro risa meccaniche.

“Attivazione. Terra”

I fregi sul pugnale si tinsero di un color verde smeraldo, e grosse radici spuntarono fulminee dal terreno, ancorando l’akuma in modo che non potesse scappare.

Link seguiva la battaglia dalle vie del paese, correndo a perdifiato.
-Walker! Dove diamine sei finito?- gridò, scansando l’ennesimo crollo di un edificio diroccato. Le braccia dell’akuma si stavano allungando a dismisura, distruggendo qualsiasi cosa gli sbarrasse il cammino.
Con la coda dell’occhio vide Rie su un tetto, in piedi, guardava l’akuma con un’espressione per niente indecifrabile.
Odio. Nient’altro.
-L-Link- una voce soffocata alla sua destra lo fece sobbalzare.
L’albino era sepolto da un intrico di fili neri come il carbone, simili ad una ragnatela, eppure duri come l’acciaio.
Cercò invano di colpirli, ma tutto ciò che ne ricavò furono ustioni alle mani.
Dark Matter. Evidentemente aveva percepito la presenza di esorcisti.
-Vado a chiamare il Generale- ansimò, schizzando fuori dall’abitazione.
La ragazza schivava i colpi dell’akuma con un’agilità fuori dal comune, ma non riusciva ad avvicinarsi. Link non aveva altra scelta, doveva metterle fretta, o la Dark Matter avrebbe ucciso Walker.

-Rie!- la voce concitata la fece girare di scatto. Link si stava sbracciando, urlando come un pazzo.
-Walker è sepolto dalla dark matter! Devi far fuori quell’akuma!- gridò. La ragazza annuì e tornò a concentrarsi sul suo nemico.
In fretta, doveva fare in fretta.
Ma quel mostro aveva moltiplicato le proprie braccia, e se si fosse avvicinata troppo l’avrebbe sicuramente colpita in pieno.
Ad un tratto, tutto il suo corpo fu colpito da una scarica di dolore allucinante, che la fece crollare di schianto.
Quel tormento era inconfondibile.
“Un impianto? Adesso?!” pensò, la mente sconvolta che cercava di resistere.
Fra le lacrime vide l’akuma ridere, beffardo, ma il suono della risata era superato dalle sue stesse grida.

Link la vide accasciarsi, e temette il peggio.
-Rie!- urlò, ma tutto ciò che gli rispose fu un grido terrificante, mille volte peggio, per lui, di un animale ferito a morte, di un condannato sotto tortura.
Si catapultò dentro il palazzo e salì le scale quattro a quattro, preparando i sigilli.
Non avrebbero fatto granchè, ma perlomeno avrebbero fermato l’akuma.
La trovò in cima al tetto che si contorceva, gridando.
Eresse una barriera più in fretta possibile e si fiondò accanto a lei.
Non sapeva che cosa fare, il panico lo stava attanagliando, esattamente come dieci anni prima.
Quando aveva visto tutto il suo tormento senza poter muovere un muscolo.
Si sentì afferrare una mano.
-E’… l’impianto- la sentì sussurrare, due parole mozzate dal dolore.
-Che devo fare?- la fissò negli occhi, quegli occhi che si erano riconosciuti nell’esatto istante in cui Link aveva messo piede nella sala.
-Trovala- mugolò lei –trova… l’innocence- altre grida, la stretta convulsa sulla sua mano che si intensificava ritmicamente, mano a mano che il dolore si faceva più forte.
Link annuì, scattando in piedi e sottraendosi a quella morsa. L’idea di lasciarla lì faceva ribellare ogni fibra del suo essere, ma doveva trovare quella dannata cosa e portarla lì per farla sincronizzare. Non poteva essere lontana.
-Howard- un sussurro strozzato. Il suo nome.
Si chinò nuovamente –è… sotto un… albero- parlava dell’innocence. Evidentemente aveva visto qualcosa, e il ragazzo non si domandò neppure per un secondo se quelle parole avessero un fondamento oggettivo.
Si preparò a sradicare tutti gli alberi nel raggio di dieci chilometri.
-Va tutto bene, Rie. La troverò- le sussurrò, poggiandole una mano sulla testa. La sentì annuire, poi partì senza voltarsi indietro.

-----

Le mani di James l’afferrano all’improvviso.
Le torce le braccia dietro la schiena, le tappa la bocca. Rie ha paura, cerca di ribellarsi, ma non può muoversi. Sente il cuore batterle furiosamente nel petto e nelle orecchie, vorrebbe urlare, ma la mano dell’uomo le copre quasi tutta la faccia.
-Se stai zitta ti farò il favore di non ucciderti- sussurra, poi le dita allentano la presa sulla sua bocca, pronte a scattare al minimo segno di un grido.
Rie non capisce, sente solo una paura troppo grande per la bambina che è.
“Aiuto” pensa soltanto. Non le viene neppure in mente di gridare, di chiamare Howard al piano di sopra. Sicuramente la sentirebbe, ma lei sarebbe morta ancor prima che possa muovere un passo.
E poi Howard adora James. Non può distruggere in quel modo la sua famiglia.
“Aiuto” continua a pensare, come un mantra “qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa, aiuto”.
E poi arriva, il dolore.
E le grida, quelle, stavolta, non riesce proprio a trattenerle.
Il dolore non è stato causato da James, no, è come se tutto il suo corpo stesse andando a fuoco. Le bruciano le mani, le braccia, le scoppia la testa.
Grida con tutto il fiato che ha in corpo, sente i passi di Howard scendere, tenta di urlargli di andare via.
Le mani di James l’afferrano bruscamente, ma con un’esplosione l’uomo viene sbalzato lontano.
Fiamme.
Fiamme che avvolgono ogni cosa, adesso non è più soltanto lei a gridare.
Vede una figura avvolta dal fuoco, e capisce che è James.
Il dolore non smette, e lei continua a urlare.
Ha paura, non sa cosa sia successo.
Poi vede Howard, e quello sguardo, l’ultimo che vi sarà fra loro, non se lo scorderà più.
Terrore, solo questo.


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Capitolo 5
*** Waking Up from the Darkness. ***


Trovò l'innocence in un tempo relativamente breve, ai piedi di una grossa quercia.
Ringraziò Dio o chi per lui l’aveva aiutato, facendo avvolgere improvvisamente l’albero da fiamme nere come il carbone.
Racchiuse il cubo luminescente in una barriera e tornò di corsa verso il villaggio.

Quando lo vide tornare, Rie pregò che quel tormento finisse alla svelta.
Afferrò l’innocence dalle mani di Link, ormai semi incosciente per via del dolore, ma prima di fondersi con essa doveva farlo andar via di lì.
-Va’ via- sussurrò senza fiato. I polmoni le bruciavano, gli occhi non volevano saperne di vedere come si deve, né di stare aperti –va’ da… Allen, non… stare vicino a… me-. Procedette solo quando fu sicura di averlo visto scomparire.
Il cubo pulsava di una luce azzurrina nel palmo della sua mano.
Rie lo guardò con odio e vi avvicinò il pugnale.
-Inno…cence, impianto- ansimò, toccandolo con la punta.
I fregi che correvano lungo tutta l’arma si tinsero dello stesso nero cupo del manico e della lama, animati solo da qualche lampo violaceo, poi Rie rivolse il coltello verso se stessa e se lo piantò dritto nel petto, senza un attimo d’esitazione.
Esattamente nel cuore.

Il respiro di Allen si faceva sempre più faticoso ed affannato, mentre la sua innocence continuava a sopportare l’estremo sforzo di epurare il corpo del ragazzo dall’effetto della Dark Matter.
Link, seduto lì accanto, il cuore in gola, non sapeva che fare.
-Link- sussurrò l’albino a un tratto –dov’è Rie?-
Il biondo aprì la bocca per rispondere, quando un’esplosione li fece sobbalzare entrambi. Scattò in piedi, colto da un inquietante presentimento.
-Aspettami qui- disse.
Che frase inutile, pensò subito dopo. Dove cavolo voleva che andasse, conciato in quello stato?
Uscito dal palazzo, si trovò di fronte a uno scenario da Apocalisse.
L’edificio su cui aveva lasciato Rie pochi minuti prima era completamente crollato, la polvere oscurava una buona parte della visuale e l’akuma giaceva a terra, contorcendosi.
Ma la cosa che lo atterrì di più fu vedere Rie in piedi, di fronte a quella carcassa, senza dare il minimo cenno di volerlo finire.
Sul suo petto spiccava una grossa stella nera, visibile dall’uniforme strappata, e nelle sue mani il pugnale mandava lampi cupi.
Sembrava che tutta la sua figura fosse avvolta da un’aura sinistra, quasi malvagia.
-Rie!- gridò, correndole incontro –che diamine stai facendo? Finiscilo! Walker sta morendo, laggiù- i suoi occhi si spostarono su di lui, ma era come se non lo vedessero.
Arrivò a pochi passi da lei e si fermò.
-Che ti prende?- sussurrò. L’espressione della ragazza non accennava a mutare, e neppure l’oscurità insita in quegli occhi di solito chiari, e che ora sembravano amalgamarsi al colore del fregio sul suo pugnale.
L’akuma approfittò di quel momento di distrazione. Con un movimento fulmineo, riuscì a sollevarsi dalle radici quel tanto che bastava a prendere la mira e a sparare diretto verso di lei.
Link non ci pensò un secondo. Afferrò i talismani e li scagliò contro l’akuma, gettandosi addosso a Rie. Caddero a terra con un tonfo, i proiettili che la barriera non era riuscita a fermare che fischiavano sopra di loro.
La prese per le spalle e le tirò uno schiaffo –riprenditi! Cessa l’invocazione, usane un’altra, fa’ quello che vuoi, ma ammazza quel dannatissimo coso!- urlò fuori di sé.
Le iridi di Rie si schiarirono di schianto, gli occhi si sgranarono, assumendo un’espressione sbigottita.

Non ricordava niente.
Non ricordava assolutamente niente, prima di vederselo piombare addosso.
L’aveva salvata, e adesso era lì, sfinito, terrorizzato, ma pronto a riprendere la battaglia.
Sentì l’akuma prepararsi a ricaricare il colpo, ma non gliene avrebbe dato il tempo.
Strinse il manico del pugnale con più forza e si alzò in piedi, ignorando il dolore alla testa e ai muscoli.
Chiuse gli occhi, respirando profondamente, cercando il contatto con quel nuovo blocco di innocence che adesso portava dentro di sé.
“Insegnami come usarti” pensò, mentre il mondo sprofondava in una sorta di trance.
“Presto, non ho tempo”.
Avvertì il proprio braccio disegnare nei simboli nell’aria con la punta del pugnale, mentre la coscienza del proprio corpo si faceva sempre più debole.
“Innocence, evocazione. Ritorno dalle tenebre” pensò inconsciamente.

Non riusciva a credere ai suoi occhi.
Per quanto si sforzasse, quello andava al di là di ogni previsione, al di là di ogni immaginario che finora avevano sortito le ricerche sull’innocence.
L’akuma si contorse su se stesso a ogni simbolo disegnato da Rie, rimpicciolendo sempre di più fino ad assumere una dimensione umana. Quando l’evocazione cessò, Rie cadde in ginocchio a terra, respirando affannosamente, mentre quello che fino a pochi attimi prima era stato l’essere che avrebbe potuto ucciderli entrambi, ora si dirigeva verso di loro col passo smarrito di due gambette infantili.
Una bambina.
Un caschetto di capelli castani, un vestito stracciato addosso, numerosi segni sul volto, forse di qualche malattia, inequivocabilmente umana.
Fatta eccezione per gli occhi.
Dove avrebbe dovuto esserci la pupilla, spiccavano nette due stelle nere, le cinque punte che finivano nel contorno dell’iride.
-Mam-ma?- balbettò avanzando. Rie si girò allibita verso di lei, poi fissò Link con gli occhi sgranati. Il biondo non potè far altro che leggervi lo stesso sgomento che stava provando di fronte a quello che era inequivocabilmente un processo inverso della trasformazione in akuma.
In pratica, quella bambina era resuscitata.
-Non è possibile…- Rie si toccò il petto, trattenendo una smorfia di dolore. Il simbolo era bollente e faceva male al tatto.
-Dov’è la mia mamma?- la bambina aveva iniziato a piangere, sempre più forte. La ragazza si alzò di scatto, ma le forze l’abbandonarono improvvisamente che non aveva mosso neppure un passo.
La testa le girava, le faceva male dappertutto e non si era mai sentita così debole.
“Che diamine sta succedendo?” pensò, poco prima di perdere conoscenza.

---

Howard fissa pietrificato il muro di fiamme che ha avvolto James all’improvviso, strappandolo da Rie.
Il vestito è lacerato lungo tutta la manica e la spalla, e le è calato fin quasi alla vita. Si vergogna, ma non riesce a smettere di guardarla e di cercare un senso a quello che stanno vedendo i suoi occhi.
E’ terrorizzata, Howard lo sente, ma lo è anche lui, e le urla di suo fratello rimbombano in tutta la stanza.
-James…- sussurra, poi si gira di nuovo verso la bambina che lo guarda atterrita, gli occhi spalancati e muti, ma con una supplica ben visibile.
“Non odiarmi” dicevano “non è come sembra”.
-Rie, perché…- inizia a dire, ma una trave cede, e parte del tetto crolla fra loro due. Il fumo è sempre più denso, e Howard non riesce a vedere niente.
Il corpo di James è riverso a terra, poco più di un tizzone ardente, irriconoscibile, che sprigiona un odore allucinante.
Tossisce, grida aiuto, chiama James, chiama Rie, ma nessuno risponde.
Piangendo si sdraia in un cantuccio, chiude gli occhi.

---

Quando riaprì gli occhi si ritrovò a fissare il soffitto bianco dell’infermieria dell’Ordine. Il dolore al petto era scemato, ed anche i muscoli erano rilassati.
Ma come diamine c’era arrivata, lì?
Cercò di tirarsi a sedere, ma un capogiro la dissuase immediatamente.
Quella nuova innocence l’aveva davvero indebolita così tanto?
E perché non c’era nessuno? Quella stanza non era mai stata così silenziosa.
Girò il capo e vide Allen disteso sul letto accanto al suo, che dormiva. La sua espressione era tranquilla e beata, Rie ne dedusse che non doveva essersi fatto troppo male.
“Grazie al cielo” pensò sospirando.
Poi, all’improvviso, si ricordò di lei.
La bambina.
Quella che lei, Rie Tsubaki, aveva praticamente fatto resuscitare.
Il solo pensiero le faceva stringere lo stomaco.
-Ok, non è possibile, Rie. Calmati- disse al vuoto, cercando nuovamente, ma molto più piano, di alzarsi. Andò meglio, riuscì a mettersi seduta.
Lo specchio di fronte al letto rimandò l’immagine di una ragazza smilza, pallida come un fantasma.
-E questo cosa cavolo…- sussurrò Rie, portandosi una mano al seno e osservando la sua gemella allo specchio fare lo stesso.
Una stella, nera come quelle che avevano soppiantato le pupille nelle iridi di quella bambina. Il simbolo dell’innocence che le connetteva.
Ritorno dalle Tenebre.
Rabbrividì, pensando al nome che inconsciamente aveva dato all’attacco e all’effetto che aveva avuto.
Ed era andata bene che non aveva perso il controllo.
Chissà cosa sarebbe potuto succedere, con un potere del genere.
Decise di botto di alzarsi e di andare a cercare Heb o qualcun altro, o sarebbe impazzita a star lì a rimuginare.
Rimase qualche istante malferma sulle gambe, poi quando decise che aveva abbastanza stabilità si mosse decisa verso la porta, aprendola.

Quando se la trovò davanti, in piedi, il viso stanco ma inequivocabilmente viva, Link non potè che tirare un segretissimo e blindato sospiro di sollievo.
-Dove pensi di andare?- chiese perentorio, non spostandosi di un millimetro davanti alla sua faccia scocciata.
-Dov’è lei?- si era aspettato quella domanda. Sospirò –è chiusa nei sotterranei, Heb la sta analizzando e Komui anche. Della dark matter non c’è più traccia, e le sue funzioni vitali sono buone- disse.
-Ma?- fece Rie. Aveva sentito l’esitazione nella sua voce.
Possibile che dopo dieci anni fosse ancora in grado di entrare in sintonia con lui a quel modo?
-… ma non dà segno di una ripresa di conoscenza, mentale, intendo- aggiunse poi. Rie contemplò per qualche attimo lo stipite della porta, immersa in chissà quali pensieri, poi sospirò e lo guardò di nuovo.
-Fammi passare, Howard- disse piano.
-Sei appena uscita da uno dei più grossi casi di sovraccarico fisico da innocence che l’Ordine abbia mai conosciuto. Sarebbe il caso tu ti riposassi- replicò lui impassibile, afferrandola per le spalle e guidandola verso il letto.
Rie cercò di divincolarsi, ma le gambe le cedettero improvvisamente.
Non cadde, c’era Link a sostenerla. Abbassò la testa bruscamente –non serve che mi prendi in braccio, so camminare. Devo vederla, subito- mormorò, cercando di recuperare un autocontrollo. Si sentiva il viso in fiamme.
Il ragazzo sospirò –e va bene- disse –dovrei stare con Walker, ma faremo uno strappo alla regola- buttò il taccuino con gli appunti sul letto e la prese in braccio come se niente fosse, decretando che sarebbe stata sicuramente una bella forma di suicidio.
Rie cercò subito di ribellarsi –che accidenti fai? Mettimi subito giù, adesso!- sbottò, ma ottenne solo un cenno secco di diniego –mi ammazzeranno già abbastanza perché ti faccio uscire, non ho intenzione di dover spiegare a Komui perché mi trovo solo con uno dei suoi migliori Generali in pieno collasso- rispose, chiudendo con uno scatto la porta dell’infermeria.
Rie non disse più niente, limitandosi a farsi trasportare.

---

-Dimmi, Howard. Che c’è?- ancora abbacinata dalla luce verde, Rie lo guarda con la testa lievemente inclinata.
Lui deglutisce. Sa cosa vorrebbe dire, ma le parole che gli vengono in mente o sono sbagliate, o sono troppe, o sono troppo poche.
-Non dovrai più preoccuparti di loro- dice piano –se non ti fidi di James, fidati di me. Io ti proteggerò- il viso assume il cipiglio risoluto con cui i bambini fanno le loro promesse più importanti. Rie sorride, contenta ma anche triste.
Sa che niente dura per sempre, quello l’ha già scoperto.
Anche lei vuole diventare forte, per proteggere, e non per essere un peso.
-Mi fido- dice semplicemente.


Note dell'Autrice:

Nessuna recensione per lo scorso capitolo, che depressione T___T
Mi sa che è un po' colpa mia, devo fare ammenda: so che le vicende passate di Rie scritte così fanno capire ben poco. La storia era nata in un modo diverso in realtà, ovvero James non aveva semplicemente intenzione di picchiare Rie ma avrebbe voluto essere ancora più stro***... a buon intenditor poche parole. Ovviamente le cose sarebbero poi andate esattamente allo stesso modo: niente sarebbe accaduto perchè sarebbe morto stecchito. Però sul sito ci sono precise regole riguardo questo tipo di rapporti, quindi anche se non avevo certo fatto descrizioni particolareggiate o indugiato più di due parole sulla cosa ho pensato che fosse meglio "aggiustare" le scene che parlavano di quell'episodio. E' anche vero che così la storia sta meno in piedi, però non volevo rischiare di dare noia a qualcuno, nè tantomeno di incorrere in sanzioni.


Spero che qualcuno continui a seguire!! *__*

A presto!

Bethan

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Capitolo 6
*** Do you know what you are? ***


-Rie! Come ti senti?- Komui le corse incontro, ma la sua faccia stanca non prometteva niente di buono.
La ragazza smontò dalle braccia di Link con la maggior noncuranza di cui era capace –bene- si limitò a rispondere, secca –dov’è lei?- il supervisore la guardò per qualche istante, poi le fece cenno di seguirlo.
-Solo Rie, Ispettore, mi spiace- disse all’indirizzo di Link. Il biondo scattò sull’attenti ed annuì, lanciando un’ultima occhiata alla ragazza prima di uscire dalla sala.

-Dobbiamo fare una prova, Rie- disse Komui serio, fermandosi davanti ad una porta blindata –la bambina risponde a ogni stimolo fisico correttamente, ma quello che mi preoccupa è come non reagisca a nessun tipo di richiamo- iniziò a inserire una serie di combinazioni così velocemente che Rie dovette distogliere lo sguardo.
-Eppure con me ha parlato- disse ad un tratto –quando ho fermato l’evocazione- continuò, in risposta allo sguardo perplesso dell’uomo –ha parlato, e mi ha guardata- Komui annuì –è per questo che ho bisogno di te. Forse con te sarà più semplice- disse.
La porta si spalancò rimbombando, e la sala in cui entrarono era pressoché immersa nell’oscurità, fatta eccezione per una lampada ad olio poggiata su un tavolino, che dava al tutto un’aria ancor più spettrale.
Rie rabbrividì d’istinto, Komui la seguì chiudendosi la porta alle spalle –visto il suo labile stato psichico, temo che troppa luce possa scatenare delle reazioni nervose- disse, guidandola verso un letto.
La bambina stava sdraiata lì, immobile, gli occhi spalancati, le stelle ben visibili anche in quella semi oscurità. Rie ne ebbe quasi paura.
Era stata lei a crearla… o a farla tornare.
Si sedette su uno sgabello accanto al letto, e d’istinto le accarezzò la testa. Forse quella bambina avrebbe preferito rimanere nell’aldilà, assieme a tutti coloro che aveva sterminato dopo essere diventata akuma, e che sicuramente aveva amato.
In qualche maniera, le ricordava se stessa.
-Mamma?- fu solo un sussurro, eppure bastò per farla sussultare, assieme alla piccola mano gelida che andò a stringere la sua.
-Io…- Rie era in preda al panico, non aveva la più pallida idea di cosa dirle.
Poi sentì l’innocence sul suo petto reagire a quel tocco e a quella voce, tanto da diventare bollente.
“Che cosa devo fare?” pensò disperata. Nella sua carriera di esorcista non si era mai sentita così spaesata.
Si impose di rilassarsi, e di assecondare l’impulso che l’innocence le mandava. Il bruciore si calmò, e la mano della bimba divenne calda; un po’ di colore le tornò sulle guance.
-Dove sono?- chiese in un sussurro. Rie sorrise, a disagio, non sapendo se ciò che avrebbe detto si sarebbe o meno rivelato una bugia –sei al sicuro, adesso. Va tutto bene. Come ti chiami?- mormorò, tanto per distrarla.
-Rei- rispose quella. Seguirono attimi di silenzio.
-E’ troppo buio qui- la sua voce infantile riempì di nuovo lo spazio, non richiesta, impetuosa. Komui guardava al loro indirizzo con un gran sorriso –vado subito a fare un po’ di luce, Rei- disse, sparendo di volata.
Il disagio di Rie aumentava ad ogni minuto; doveva trovare un modo per allentare quella tensione. Parlare alla bambina di akuma e innocence le sembrava una pessima idea, senza contare che non sapeva se avrebbe mai capito che il suo posto in realtà non era fra i vivi.
Che cos’era, realmente, quella bambina?
Avvertì di nuovo, distintamente, la stretta di quelle dita tiepide fra le sue e il peso di ciò che l’innocence le aveva concesso di fare quasi la schiacciò.
Fu allora che iniziò a cantare.
Era una canzone celtica, che le cantava spesso sua mamma, una di quelle tradizionali dal ritmo dolce e avventuroso al tempo stesso, che fanno sognare di essere in mondi molto più belli e meravigliosi di quello in cui si era.
Rei, dopo poco, si addormentò, senza mai lasciare la sua mano.

---

-Mi dispiace di essermi fatto cogliere di sorpresa in quel modo- Rie sorrise di fronte alla faccia costernata di Allen –tranquillo, si è risolto tutto. Abbiamo anche trovato l’innocence- sorrideva, ma era un sorriso finto, che mal celava la sua preoccupazione.
Heb aveva esaminato il nuovo blocco d’innocence, e non aveva potuto far altro che rilevare l’esatta uguaglianza con tutti gli altri. La sua evocazione non era immensamente potente, non aveva caratteristiche particolari, non era il cuore.
E allora perché cavolo sembrava che potesse far resuscitare le persone?
Rie avrebbe voluto gridarglielo, ma sapeva che Heb non poteva farci niente.
Tornava da Rei una volta al giorno, leggendole delle storie, giocandoci, portandole da mangiare. La bambina continuava a rispondere solamente a lei; vani erano gli sforzi di chiunque le si avvicinasse.
“Ha sicuramente qualcosa a che fare col potere di quest’innocence” aveva detto Hebraska. Bisognava soltanto vedere in che modo.
Intanto, la massima priorità era impedire che Lvellie lo scoprisse. Avrebbe sequestrato Rei per studiarla, e non era un mistero che fine facessero gli studi di quel pazzo megalomane… Rie rabbrividì: no, decisamente non poteva lasciarglielo fare. Si sentiva legata a quella bimba, o perlomeno responsabile per lei.
-Rie? Rie, ci sei?- la voce di Link la fece sussultare.
Giusto, Howard.
Il cagnolino del pazzo megalomane.
Quello, in effetti, avrebbe potuto essere un problema, anche se non credeva che sarebbe davvero andato a spiattellare tutto a Lvellie.
O almeno, non voleva crederlo capace di tanto, fino a prova contraria.
-Eh? Cosa?- fece distrattamente. Doveva trovare un modo per convincerlo a non spiccicare parola, virgola, pensiero nel suo rapporto al sovrintendente, o sarebbero stati guai.
Era evidente che anche lui era cambiato, e Rie si chiese fino a che punto.
-Ho detto che l’orario delle visite è finito. Dovremmo uscire- ripetè serio. Rie annuì, sorrise all’indirizzo di Allen e uscì quasi di corsa dall’infermeria, andando a sbattere contro un Kanda più nero del solito.
-E sta’ attenta!- sbottò lui. La ragazza lo fulminò con lo sguardo, consapevole di quanto poco sarebbe convenuta al giapponese una gara fra chi dei due avesse più grattacapi.
-Scusa. Vai a trovare Allen?- sorrise, sadica, all’ennesimo sbuffo d’irritazione.
-Non perdo tempo con le mammolette. Venivo a dirti che abbiamo una missione fra due giorni, e che Komui ha detto di portare anche quella- disse meccanicamente.
Rie spalancò gli occhi: voleva che portasse la bambina in missione?
-E perché?- chiese, ormai dimentica della piccola tenzone. Il moro alzò le spalle –e io che ne so. Chiedilo a lui- caustico come al solito, filò via nel corridoio mal illuminato senza degnarsi di ulteriori spiegazioni.

-Non dirò una parola a Lvellie, se è questo che ti preoccupa- Link non sapeva da che parte di sé fossero uscite quelle parole, e tanto più era incerto se pentirsene istantaneamente o meno.
Una violazione considerevole al protocollo, una dichiarazione definitiva di voler giocare a carte scoperte, che però ben valeva l’occhiata sorpresa, a metà fra sgomento e gratitudine, che gli lanciò Rie in risposta.
Aveva intuito facilmente il motivo della sua preoccupazione; sapeva lui stesso che avrebbe dovuto fare rapporto, ma per quanto cercasse di evitare di pensarci era evidente che l’aver ritrovato Rie aveva mescolato le carte in tavola.
Non poteva far finta di niente.
L’aveva cercata per dieci anni, anni in cui lei, a quanto pareva, aveva fatto di tutto per non farsi trovare.
Il loro rapporto attuale era quanto di meno chiaro potesse immaginare: avrebbe voluto dirle tante cose, chiederle perché non aveva mai fatto in modo di ritrovarlo, ma in fondo temeva già di sapere la risposta.
Temeva, perché sapeva che se le sue supposizioni erano esatte farle cambiare idea sarebbe stata un’impresa titanica.
-Vieni con me. Devo provare una cosa- le parole bisbigliate di Rie lo riscossero dai suoi pensieri. La ragazza lo afferrò per un braccio, trascinandoselo dietro.
-Ma dove stiamo andando?- sussurrò Link. Stava riconoscendo la strada, e la cosa non prometteva niente di buono. Rie si voltò a guardarlo –se Komui vuole che porti Rei con me, significa che crede che sia una sorta di arma anti-akuma o qualcosa del genere. Devo vedere se è veramente in grado di difendersi- immise la combinazione, velocissima, e la pesante porta si spalancò.
Link vide la bambina sorridere all’indirizzo di Rie, ma rabbuiarsi subito quando lo vide entrare nella stanza. La ragazza però non ci fece caso e si avvicinò al letto, facendo cenno al biondo di seguirla.




Note dell'Autrice:

Capitolo più tranquillo! In sostanza, non succede praticamente niente .__. la partenza di questa storia è un po' lenta, però ci saranno anche punti in cui ne capiterà una dietro l'altra, quindi sopportate questo eccesso di calma! XD

rose princess: sono felice che la storia ti piaccia :D si le LinkAllen non sono il mio forte... volevo vedere cosa succedeva inserendo l'ispettore per una volta in un rapporto etero XD però un po' di fanservice yaoi ci sarà, anche se non su Link ovviamente ^^''
Quanto al passato di Rie, purtroppo l'ho dovuto aggiustare così. Certo, la versione originale era più comprensibile, ma non volevo creare problemi! D:
Mi spiace di non riuscire ad aggiornare molto rapidamente, ma con gli impegni universitari è un po' un'impresa T__T continua a seguire *__* e i commenti sono sempre molto ben accetti! ^_^

Ciao a tutti! :D

Bethan

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Capitolo 7
*** Could it get Worse? ***


-Questo è Howard, Rei- disse sorridendo. Link cercò di stirare le labbra in qualcosa che somigliasse il più possibile ad un sorriso amichevole, ma la bimba continuò a guardarlo in cagnesco, le stelle in mezzo ai suoi occhi che la rendevano ancora più inquietante.
Gli metteva una tensione infernale, come se non bastasse quella della generale situazione in cui si trovava.
Rie sospirò, poi continuò a parlarle –Rei, Komui ha detto che dobbiamo partire assieme, io e te, fra un paio di giorni- la bambina si fece subito attenta –andiamo a cercare l’innocence, ti ho spiegato un po’ cos’è- negli occhi scuri balenò un luccichio di comprensione –però dobbiamo vedere se sai difenderti, altrimenti potrebbe essere un pericolo troppo grande per te- la ragazza si alzò e si girò verso Link.
-Adesso attaccaci. Con tutta la forza che hai- mormorò, sfoderando il pugnale.
Rei si alzò di scatto dal letto e si posizionò davanti a lei, gli occhi che brillavano di riflessi violacei.
-Ma sei impazzita? Non posso fare una cosa simile!- gridò lui, ma una radice gli afferrò un piede, stringendolo alla caviglia dolorosamente. Gli occhi di Rie erano due pezzi di ghiaccio, fermi, senza emettere alcuna emozione.
-Attaccaci, o giuro che ti stacco una gamba- sibilò. Link ne ebbe paura, una paura folle. Come ne aveva avuta in missione, come ne aveva avuta dieci anni prima.
La Rei che lui aveva conosciuto non sarebbe mai stata in grado di lanciare uno sguardo simile a chicchessia.
Sperò che a scatenare il suo cambiamento fosse stata la loro lontananza, perché in quel preciso istante giurò a se stesso che, se avesse scoperto che il motivo era quello, si sarebbe fatto ammazzare prima di perderla di nuovo.
Tirò fuori i talismani e attaccò.

Era un gigantesco azzardo, pensò Rie, ma appena vide la reazione della bambina alla sua evocazione seppe di aver fatto centro.
“Innocence, evocazione”.
Sentì la stella sul suo petto pulsare, mentre sulle spalle di Rei spuntavano due ali piumate, nere come la notte. Nelle manine stringeva un piccolo arco, con una freccia dalla punta a forma di stella.
-Attivazione dell’arma anti-akuma Black God- mormorò la bimba, incoccando la freccia. Rie sperò che la barriera di Link reggesse all’attacco, perché non aveva la più pallida idea di quanta forza potesse possedere.
Come evocata dai suoi pensieri, la voce della bambina la istruì –sono la tua innocence. Sei tu che devi imprimere forza al mio attacco- mormorò.
-Che effetti ha?- chiese, tesa. Non sapeva neppure se era in grado di controllarla, tutta quella situazione le stava decisamente sfuggendo di mano, e il suo cervello ancora si rifiutava di credere veramente che quella bambina fosse solo un’arma.
-Gli akuma, li uccide. L’innocence di Black God agisce nei loro corpi come il loro virus nei nostri- disse –e può risucchiare il virus dagli umani- il suo sguardo era irreale, serio e vuoto.
Rie fermò d’impulso l’evocazione e ali, frecce ed arco sparirono. Rei rimase in piedi, fissandola.

-L’innocence di cui sei compatibile era la sua, un tempo- la voce di Komui fece sussultare tutti e tre.
Quando era entrato? Ma il supervisore non sembrò alterato dal trovarli lì.
Rie alzò la testa di scatto –che cosa vuol dire?- un presentimento si stava affacciando alla sua mente.
-Questa bambina, Rei Takeshi, era stata identificata da Heb anni fa come compatibile del cubo d’innocence che è entrato in risonanza con i tuoi- spiegò il supervisore –fu trasformata in akuma prima di potersi fondere con la materia sacra. Per questo non l'abbiamo mai trovata- Rie lo guardò sbigottita –vuoi dire che l’innocence ha fatto tutto da sola?- chiese quasi gridando. Se continuavano a dirle cose del genere, le sarebbe venuta una crisi isterica.
-Si. L’innocence ha, per la prima volta nella storia, riportato in vita un compatibile tramite i poteri di un altro- enunciò il cinese –posso solo ipotizzare che sia stata scelta tu- continuò, scorgendo la muta domanda negli occhi della ragazza –perché hai indubbiamente un potere straordinario di compatibilità con l’innocence. Mai prima d’ora, quasi mai- aggiunse, rimanendo pensieroso per un momento -un esorcista era riuscito a sopportare più di due armi- concluse –l’innocence vi ha scelte. Potete solo accettare la vostra missione-.
-Io sono solo la tua arma anti-akuma, nient’altro- disse Rei, parlando per la prima volta –obbedisco soltanto a te e combatto solo se tu mantieni l’invocazione attivata. Quando il cuore sarà trovato e attivato, io sparirò come tutte le altre armi- mormorò. Rie la fissò sbalordita, così come Link. Komui, invece, sospirò –è così, purtroppo. Il corpo di Rei Takeshi è polvere da molti anni, ormai. Questa è solo l’anima che tu hai salvato, animata dall’innocence. Impara a considerarla come tale-.
-Come faccio?- la voce di Rie conteneva a stento la rabbia e la frustrazione. Tre paia di occhi si girarono a guardarla.
-Come accidenti faccio a considerarla un’arma, un oggetto inanimato?- la sua voce salì di un paio di ottave –doveva essere morta, morta! E l’innocence l’ha riportata in vita! Si può sapere come accidenti fai a prenderla così alla leggera?- Komui aprì la bocca per replicare, ma la ragazza era un fiume in piena –mi rifiuto di pensare di essere in grado di fare un’altra volta una cosa del genere!- gridò, poi corse fuori dalla stanza, incurante delle grida di Link e Komui che la richiamavano.

Corse a perdifiato su per le rampe di scale, alla cieca, senza sapere dove diavolo andare.
Un’arma anti-akuma.
Una bambina, morta anni fa.
Peggio di Grave of Maria. Perlomeno, Cross non aveva la sensazione di averla resuscitata, di averla strappata alla pace eterna.
Maria non parlava, non dialogava, Rei si. Il suo colore preferito era il blu e le piaceva il ramen. Disegnava, giocava.
Come poteva considerarla solo un’arma?
Ansimò, spalancando la porta della propria stanza e sbattendosela alle spalle. Poi vi si appoggiò sopra e scivolò lentamente fino a terra, appoggiando la fronte sulle ginocchia.

---

A cena parlarono tutti poco. Link mangiava in silenzio accanto ad Allen, come al solito, ma fra i membri del gruppo strideva la mancanza di Rie, che negli ultimi tempi era diventata una presenza fissa.
-Ehi, ma Rie che fine ha fatto?- Lavi mise bocca alla domanda di tutti. Il biondo trattenne il fiato, finchè non si rilassò sentendo la risposta di Linalee.
-Mio fratello ha detto che si è sentita poco bene- disse –penso sia stato a causa di Rei- aggiunse poi a voce bassa, piluccando svogliatamente il riso.
Tutti tacquero per qualche istante, lasciando libero campo al tintinnare delle posate e dei piatti.
-Non dev’essere piacevole, pensare di poter resuscitare qualcuno- mormorò Lavi soprappensiero –non so, io me ne sentirei schiacciato-.
Linalee sospirò –immagino che è quello che succederebbe a chiunque, e che sia quello che le sta succedendo. Ma Rie non l’ha resuscitata- a queste parole, tutte le teste del gruppetto di esorcisti si volsero verso di lei. Erano tutti ansiosi di saperne di più su quella strana bambina.
-Mio fratello mi ha spiegato che Rei era una compatibile dell’innocence che si è innestata nel corpo di Rie- iniziò la ragazza –è un fenomeno senza precedenti, ma evidentemente quel frammento ha due compatibili. Deve aver avvertito la presenza di Rei sotto forma di akuma, e allora ha cercato l’altro suo compatibile per poter essere attivato- spiegò. Le facce erano una più confusa dell’altra; la cinese sospirò –non ho capito molto bene neanch’io, ciò che è chiaro è che Rei non è resuscitata, quella è solo la sua anima a cui l’innocence ha dato forma corporea, per poter combattere al fianco di Rie, che adesso è la compatibile principale-.
-Quindi, non dovrebbe accadere di nuovo, no?- chiese Allen. La mora fece cenno di no col capo –a meno che non vi sia un terzo compatibile, cosa che spero non sia possibile- rispose.
-Ma allora dov’è il problema? Che cos’ha Rie contro quest’eventualità?- chiese Lavi –non l’ha resuscitata, ha fatto tutto l’innocence, tolto il fatto che è il primo cubo che abbia due compatibili, dovrebbe essere tutto come al solito, no? Anzi, ha pure portato via l’anima dalla sofferenza dell’essere incatenata all’akuma-
-Ma certo. L’hai mai vista quella bambina, tu, Bookman Junior?- la voce secca e sarcastica di Link fece trasalire tutta la tavola. Nessuno si era aspettato un suo intervento nella discussione.
-Si comporta come un essere umano, quando l’evocazione non è attivata. Non avresti un po’ di remore a spedire una bambina sui nostri campi di battaglia?- chiese acido –senza contare il fatto che Rei risponde ed obbedisce soltanto a Rie, in quanto compatibile, quindi c’è il grosso rischio che Rie si affezioni a lei molto di più di quanto chiunque farebbe con un’arma anti-akuma normale- concluse, ma Lavi ancora non colse il problema.
-E che c’è di male?-
-C’è di male che quando, se mai potrà succedere, troveremo il Cuore, Rei sparirà come tutte le altre armi anti-akuma, come ogni altro blocco d’innocence- Link sospirò irritato: possibile che fosse davvero così ottuso?
Era ovvio che, se Rie non si fosse saputa controllare, sarebbe stato quasi come perdere una figlia. L’innocence stabiliva connessioni molto più profonde di quanto tutti loro potessero sapere.
Nessuno disse più niente, sorpresi com’erano dall’arringa dell’ispettore, sempre così tranquillo e pacato, finchè Allen non fece l’ennesima domanda infelice di quella giornata.
-Link, ma tu e Rie vi conoscete?-
Al biondo andò bruscamente di traverso il tè che stava bevendo a piccoli sorsi. Quando si fu ripreso, si alzò da tavola con un secco –non sono cose che riguardano né te, né chiunque seduto a questa tavola, Walker. Adesso mi ritiro, sono stanco- detto questo si precipitò fuori dalla mensa senza salutare nessuno.
-Che serata storta!- esclamò Crowley, che aveva seguito in silenzio l’intera discussione.
Tutti non poterono che assentire.



Note dell'Autrice:

Oooook, ecco un altro capitolo semi-inutile. Chiedo perdono per questa mancanza d'azione, stiate pur certi che recupererò con gli interessi!
Scusare la fretta immensa, grazie a rose princess per il commento (meno male che commenti tu, altrimenti mi verrebbe una depressione..! *__*), e alla prossima!!

Baci

Bethan

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Capitolo 8
*** A Sweet Journey to the Past. ***


 E’ arrivata da poco, e ancora non è uscita dalla sua camera.
Howard fissa quella porta ostinato, per metà incuriosito e per metà impaurito da quella bambina strana che suo fratello ha portato a casa.
“Starà qui con noi” gli ha detto “sii gentile” ma lei non aveva neppure detto come si chiamava, semplicemente era entrata nella camera e si era chiusa a chiave. A niente erano valsi i richiami di James, la porta era rimasta chiusa.
Quel giorno, però, Howard vuole tentare in un altro modo.
Suo fratello ha fatto un dolce – li fa sempre, è bravissimo - e il profumo si è spanto per tutta la casa. Visto che lei non mangia da tre giorni, pensa il bambino, avrà sicuramente fame.
Esce di soppiatto dalla porta della cucina, una fetta gigante di torta ben avvolta in un panno e riposta in un tascapane, e prende la scala più lunga che hanno, quella nel capanno. Gli sembra enorme, e a malapena ce la fa a trascinarla fino alla casa, sotto la finestra della bambina, e a appoggiarla al tetto antistante.
Inizia ad arrampicarsi, sudando freddo.
Soffre di vertigini, tutti i suoi amici glielo rinfacciano sempre, però questa volta per la paura non c’è posto.
“Non guardare giù” si ripete, e quella litania ha il potere di confortarlo e di farlo arrivare indenne fino al ripiano di tegole.
Non sa cosa lo induce a tentare di rompersi il collo per quella bambina, sa solo che vuole farlo, punto e basta.
Bussa piano alla finestra, le tende sono chiuse, ma una tegola di coccio scivola da sotto il suo piede, e Howard cade di schianto con un grido, afferrandosi come può a uno spunzone di ferro mal fermato.
Vede la finestra aprirsi, due occhi grandi, azzurri, fissarlo da dietro una frangetta chiarissima.
Il perno cede e lui grida di nuovo, convinto di cadere, ma una presa calda gli afferra il polso, frenando la scivolata.
-Alzati- le dita sottili della bambina sono artigliate attorno alla sua mano. Howard le afferra e si tira su, insieme entrano dalla finestra, sudati, spaventati.
-Che cosa vuoi?- gli chiede lei con uno sguardo ostile. Non si lascia intimorire, e tira fuori la fetta di torta –avrai fame. L’ha fatta mio fratello, è buonissima- dice, appoggiandola sulla scrivania –mangiala-.
Sorprendentemente, lei gli ubbidisce, prima iniziando a piluccarla controvoglia, poi finendola in un lampo, con morsi piccoli e voraci.
-Come ti chiami?- chiede intanto Howard, ma lei non risponde, di nuovo.
Finito di mangiare, lo acchiappa per un braccio e lo trascina verso la porta, aprendola di quel tanto che basta per farlo uscire.
-Mi chiamo Rie- dice, poco prima di richiuderla con uno scatto.
Howard sorride, perché non sente il cigolio della chiave nella serratura, neppure quando ha già sceso le scale.

-----

Si svegliò di soprassalto quando sentì bussare alla porta. Si alzò, anchilosata dalla posizione poco ortodossa in cui aveva dormito.
-Chi è?- mugugnò, buttandosi a sedere sul letto. Fissò fuori dalla finestra: era buio.
-Sono io. Posso entrare?- la voce di Link fece capolino da dietro la porta. Rie rimase qualche secondo interdetta, poi andò ad aprirgli. Che ci faceva lì a quell’ora?
-Che ci fai qui a quest’ora?- chiese, ma poi scorse il vassoio che teneva in mano, coperto da un tovagliolo.
-Non è poi così tardi. Pensavo solo che dovresti mangiare, sei convalescente- fece lui, entrando e appoggiando il vassoio sul tavolo.
-Grazie- balbettò Rie stralunata. Quella situazione le sembrava irreale.
Si ritrovavano dopo dieci anni, anni in cui lei non aveva fatto altro che cercare di far sapere il meno possibile di sé, convinta che lui la odiasse, e adesso Howard Link le portava la cena.
E si preoccupava per lei.
Sarebbe piovuto fuoco, molto presto, si disse mentre si sedeva con un sospiro.
Mentre mangiava, chiacchierarono del più e del meno, di come stava Allen, di come Rie era diventata Generale.
-Mi trovò Cross- disse, quasi strozzandosi con gli spaghetti e bypassando in corner le circostanze in cui l’aveva trovata, ovvero dentro la casa carbonizzata di James Link –e mi prese come allieva, prima di Allen. Fu allora che Hebraska cominciò ad avvertire la risonanza di diversi cubi d’innocence con la mia presenza- sorrise, ricordando come tutto le sembrasse assurdo a quel tempo –non capivo niente, né cosa fosse l’innocence, né perché dovessi fare gli impianti. Komui ci mandava in missione dovunque Hebraska avesse il sospetto potesse esserci un cubo compatibile con me, e sono arrivata a quattro- mentre parlava, Link la fissava in silenzio.
Se per ogni impianto aveva provato un dolore simile all’ultimo, c’era da meravigliarsi che non fosse impazzita.
-Con gli anni e con l’allenamento ho imparato a controllarli tutti. Non è stato facile, te lo assicuro- fece uno sbuffo, simile ad una risata sarcastica –ma ho avuto un maestro d’eccezione, diciamo. Marian è l’unico che sia compatibile di più blocchi, come me- disse –anche se non deve sopportare gli impianti. Purtroppo, dal momento in cui sono entrata in contatto con la mia innocence, quella si è trasformata in un potenziale parassita, ogni singolo cubo- continuò –questo significa che è un ibrido: non posso estrarla dal mio corpo senza sentire dolore, non posso diventarne compatibile senza provarne altrettanto-.
Il biondo era sempre più stupito: Rie rappresentava un’anomalia vivente a tutto ciò che l’Ordine sapeva sull’innocence. Compatibile di più cubi, tipo parassita, o quello che era, per ognuno di essi, e ora pure Rei.
-Ma come diamine hai fatto a non diventare matta?- la domanda gli uscì così spontanea che non riuscì a fermarla in tempo. Rie lo fissò con stupore, poi ridacchiò –è una domanda che mi sono sempre fatta anch’io- disse, poi la sua espressione si intristì –non credo di avere il diritto di impazzire, in ogni caso- mormorò. Scoprì l’ultimo piatto che le rimaneva da mangiare e rimase di sasso.
Il biondo studiò la sua reazione, cauto.
Aveva fatto un bell’azzardo, lo sapeva, ma voleva tentare di riallacciare i ponti con lei.
Rie avrebbe riconosciuto quel dolce fra mille: era quello che Howard le aveva portato quando era appena arrivata, per farla mangiare. Quando lei aveva rotto il muro di silenzio che senza quell’intervento spontaneo e sincero sarebbe durato per molto più tempo.
Aprì la bocca un paio di volte, ma non riuscì a dire niente.
Sentì le molle del letto cigolare lievemente quando Link le alleviò del suo peso, poi avvertì le mani del biondo posarsi sulle sue spalle, il petto aderente alla sua schiena.
Le vennero i brividi.
-Perché, Rie?- mormorò lui –perché sei sparita?-.
La ragazza spalancò gli occhi.
Come sarebbe a dire, “perché sei sparita?”?
Aveva ucciso suo fratello.
Aveva rischiato di uccidere anche lui.
Aveva distrutto la sua famiglia, la famiglia che l’aveva accolta.
E nonostante tutto, lui l’aveva sempre cercata.
Qualcosa in lei si spezzò.
-Io non volevo- sussurrò con un filo di voce, un nodo alla gola le impediva quasi di parlare, ma poi le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso, sempre più copiose, e Rie iniziò a singhiozzare.
-Non volevo! Non volevo!- gridò, si prese il viso fra le mani, graffiandosi le guance.
-Rie! Rie, calmati!- le braccia di Link si spostarono, le sue dita si strinsero attorno ai polsi di Rie, togliendole le mani dalla faccia, poi la abbracciò, stringendola così tanto da lasciarla senza fiato.
Poco a poco i singhiozzi si calmarono, ma il ragazzo vide che continuava a tenere gli occhi serrati, le mani strette attorno alle ginocchia, tesa.
Sospirò: se l’era immaginato.
Sospettava che fosse quello il motivo per cui Rie aveva continuato a scappare, e non poteva biasimarla, in effetti.
Lui avrebbe fatto lo stesso, e a onor del vero, per un certo periodo l’aveva odiata, perché credeva l’avesse fatto apposta.
Ma erano tempi vecchi, in cui era appena un bambino che ha visto morire bruciato il proprio fratello.
Non l’aveva mai odiata realmente, specialmente dopo aver capito.
-Non volevo ucciderlo- il sussurro della ragazza arrivò attutito dalla sua camicia –non volevo- sentì che stava per rimettersi a piangere, e rafforzò la stretta.
-Lo so- appoggiò il mento sui suoi capelli –stai tranquilla, Rie. Lo so- disse solo. Aveva aspettato così tanto che non si ricordava più cosa dire. Poco dopo sentì le mani di Rie aggrapparsi alla sua schiena.





Note dell'Autrice:

VISTO che prima o poi sarebbe successo QUALCOSA? (ancora non si sa cosa, ma perlomeno è qualcosa!) mi piace questo capitolo *-*
E...si, ve lo lascio in sospeso proprio così perchè amo la suspance e perchè dopo gli ultimi noiosissimi due capitoli (che poi sono ancora i primi, ma sono dettagli T^T) mi devo far perdonare!! Se qualcuno ha già letto altre mie storie, non temete: i miei colpi di scena impossibili arriveranno numerosi!! :D

Rispondiamo ai commenti:

rose princess: ma ciao ^^ sono contenta che a qualcuno siano piaciuti anche questi capitoli così...statici! Spero che ti piaccia anche questo *__* Rei diventerà determinante per un punto preciso della storia... ma avverrà un po' più in là comunque ^^ non faccio spoiler! Grazie per la recensione, continua a seguire <3 <3

Nuirene: wah *-* sono contenta che continui a seguire, grazie davvero per i complimenti! *lacrime* in effetti a Grave of Maria NON CI AVEVO PENSATO ._________. mi hai dato uno spunto geniale su come continuare la storia, sei un genio!! Ti sono debitrice :D :D :D continua a seguire, mi raccomando ^^ e non preoccuparti per le recensioni, per me è già tanto sapere che qualcuno la segue e che a qualcuno piace!! ^///^

A presto!! ^^

Bethan <3

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Capitolo 9
*** I won't Surrender to the First Defeat. ***


-Entra, avanti- Howard rimane impalato sulla porta, la bocca aperta che non si preoccupa in nessun modo di celare lo stupore.
Quello… un Generale?
Osserva ogni dettaglio di quell’uomo: capelli rossi, spettinati e lunghi fino alle spalle, che da chissà quanto tempo non vedevano scorrere l’acqua di una doccia. Una maschera gli copre metà del viso, mentre sull’altra metà è disegnata un’espressione beffarda, annoiata e strafottente, con un ghigno capace di mettere in ridicolo anche il più sicuro degli uomini.
-Scusi la domanda, ma… lei è Marian Cross?- chiede, ancora troppo incredulo per cedere a ciò che i suoi occhi stanno osservando. L’uomo sbuffa sonoramente, stravaccandosi su un divano circondato da bottiglie di rhum –se ti sembro Rie…- dice, fissandolo in cagnesco. Howard trasale a sentire quel nome: allora sa perché è lì.
-Forza, entra e chiudi quella dannatissima porta. Fa freddo- sbotta l’uomo.
Si affretta ad obbedire: non ha di certo fatto quel viaggio per essere buttato fuori da un Generale troppo eccentrico.
Si siede su uno sgabello rivestito in velluto rosso, macchiato di vino, nella migliore delle ipotesi.
-Che cosa vuoi?- gli chiede Cross.
Howard fa un respiro profondo. Spera davvero di poter trovare delle risposte in quell’uomo, altrimenti se ne andrebbe.
-Cerco Rie. Rie Tsubaki. La conosce?- lo guarda dritto negli occhi, determinato.
Si fissano per qualche minuto, poi il generale emette una gigantesca nuvola di fumo, sbuffando.
-Non credo sia il caso che tu la veda- dice, aspirando un’altra boccata di quel sigaro puzzolente che appesta l’aria già pesante.
Howard incassa il colpo.
Ovvio, era sparita, non poteva certo pensare che sarebbe stato facile. Ma non vuole arrendersi, non ora che è arrivato così vicino.
-E perché?- chiede, senza distogliere un attimo lo sguardo da lui, pronto a scattare ad ogni minimo accenno di bugia.
Cross sospira e lancia la bomba –Rie non vuole vederti- Howard non vede menzogna nei suoi occhi, ma quelle parole gli aprono uno squarcio nel petto.
-Perché?- sussurra con un filo di voce. L’uomo si alza, spegne la sigaretta in un posacenere stracolmo e gli batte una mano sulla spalla –so che hai fatto un lungo viaggio, ma non è ancora il momento per voi di rivedervi. Rie non è in grado di capire che ciò che ha fatto non è stato colpa sua- dice.
Howard deglutisce.
Lo sa. Sa cosa stava cercando di farle suo fratello, sa che è stata l’innocence ad attivarsi, per difenderla.
-So che non è colpa sua. Mi basta vederla per poco, solo per dirglielo- lo supplicherebbe, se potesse. Da quando ne ha perso ogni traccia, continua a sentire un vuoto immenso, come se mancasse parte della sua stessa anima.
-So che lo sai. E’ lei che non lo sa. Mi dispiace, ragazzino, non puoi vederla- conclude il Generale, perentorio.
Howard china la testa, sconfitto.

-----

Un bussare alla porta li fece sobbalzare di schianto.
-Chi diavolo è?- sbottò Rie, staccandosi di botto da lui. Quello strappo le fece male. Avrebbe voluto rimanere in quell’abbraccio all’infinito.
-Fammi entrare, Rie, o sfondo la porta a calci!- la voce aspra del Generale Cross li fece pietrificare sul posto.
Howard sudò freddo –non credo che dovrebbe trovarmi qui- sussurrò. Rie lo acchiappò per un braccio, aprì la porta del bagno e ce lo chiuse dentro senza fare una piega. Poi spalancò la porta della stanza.
-Posso esserle utile, maestro?- fece in tono ironico, ma appena vide la faccia di Cross capì che non c’era proprio niente da scherzare. L’uomo aveva una profonda occhiaia sotto l’unico occhio visibile, ed un’espressione stravolta.
-Che succede?- chiese Rie, allarmata, mentre Cross si buttava sul letto.
-Lvellie è venuto a sapere di Rei- disse tutto d’un fiato –devi andartene, Rie, assieme a lei, o ridurrà a cavie te e lei, innocence o non innocence- la ragazza trattenne il respiro, atterrita.
-Come cavolo ha fatto a saperlo? Chi gliel’ha detto? Parla, Marian, dimmelo!- esclamò afferrandogli un braccio, ma il Generale le accarezzò il viso col dorso della mano –non c’è tempo. Devi andare via ora, subito- mormorò.
-Andarmene? Sono un Generale, domani ho una missione! E poi, dove vado?- la voce di Rie era disperata, ma l’uomo scosse la testa –non ha importanza. Dovunque. Portala via, prima che sia troppo tardi- disse secco, poi si alzò di scatto –devi agire entro stanotte. Cercherò di prendergli più tempo possibile durante la riunione- si avviò alla porta, incurante delle proteste della ragazza –buona fortuna, Rie. Sii forte- fu l’ultima cosa che disse, sfiorandole una guancia.
Rie si accasciò a terra, in ginocchio.
Scappare? E dove sarebbe dovuta andare, con una bambina con stelle al posto delle pupille? Nell’ambito dell’Ordine sarebbe stata una passeggiata rintracciarle, una volta che Lvellie avesse spiegato le sue forze a tutto spiano.
-Rie- sentì la voce di Link alle sue spalle, ma non riuscì a rispondere niente. La sua mente vagava come impazzita fra tutte le emozioni che stava provando.
-Rie, c’è una soluzione- le parole del ragazzo la riscossero lievemente. Si girò verso di lui, in attesa che continuasse –conosco un posto dove Lvellie difficilmente penserebbe di cercare- disse –ma ha ragione Cross, se vuoi fuggire devi muoverti in fretta- Rie annuì, alzandosi –sei certo che questo posto sia sicuro?- chiese.
Howard si sforzò di reggere quello sguardo limpido, segnato dalla preoccupazione. La stava portando nel posto peggiore per lei dell’intero universo, probabilmente, però non aveva altra scelta. Annuì.
-All’uscita principale, fra mezz’ora- mormorò Rie, prima di uscire dalla stanza.
Il biondo rimase fermo per qualche istante.
Stava dicendo addio a tutto quello che era stato fino a quel momento.
Ispettore, cane fedele di Lvellie, che crepasse quel bastardo pazzoide, ligio alle regole e al protocollo.
Se finora si era mostrato così, era stato solo per ritrovare lei. Adesso, niente di tutto ciò aveva più importanza.
Infilò la porta alla svelta.

---

-Rie, ma dove stiamo andando?- la ragazza sorrise, cercando di sembrare il meno tesa possibile mentre stringeva la mano di Rei, trascinandosela dietro nel buio dei corridoi.
-Va tutto bene, Rei, se staremo insieme andrà tutto bene- disse piano, controllando che la via fosse libera.
Attraversarono a passo svelto la sala grande. Link le aspettava davanti al portone, un mantello nero col cappuccio lo avvolgeva, scendendo fino a terra.
-C’è anche lui- la voce di Rei era contrariata, lo sguardo si era adombrato –si, ci sta aiutando. Lui è un amico, Rei. Non devi avere paura- la bambina annuì poco convinta.
Gli occhi grigi si piantarono in quelli azzurri, chiedendo conferma. Rie annuì, decisa.
Link le consegnò due mantelli simili al suo, neri, lunghi fino ai piedi. La ragazza aiutò Rei ad indossarlo, poi si coprì.
-I cavalli sono qui fuori. Andiamo, seguite me- disse il biondo, uscendo.
L’aria fredda della notte pizzicò loro le guance. Rie sorrise, vedendo l’espressione stupita di Rei di fronte alle stelle. La bimba si era bloccata col naso all’insù, ma non potevano perdere tempo.
-Andiamo, Rei. Potrai guardarle mentre cavalchiamo- disse prendendola in braccio e mettendola in sella davanti a sé.
Partirono al galoppo, lasciandosi alle spalle l’Ordine e Lvellie.
Rie sentì solo una punta di rimorso per quei compagni che non aveva mai salutato, ma era sicura che Cross avrebbe in qualche modo fatto sapere loro perché se n’era andata.
Fissò la schiena di Howard per tutto il viaggio, sentendosi come se quel pezzo della sua anima andato miracolosamente a posto avesse scombinato tutti gli altri.
Ore dopo, legarono il cavallo di Rie a quello del ragazzo, permettendole di dormire.

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-Come sarebbe a dire “è sparita”?- la voce di Lvellie rimbombava per i corridoi, mentre il sovrintendente camminava furiosamente, seguito da un trafelato Komui –non so come spiegarlo, ma la bambina non è più nel sotterraneo- disse.
-E l’esorcista? Quella che dovrebbe averne il controllo?- chiese l’altro, brusco.
-E’ in missione, avevo deciso di rimandare l’uso di Rei, volevo che Heb la studiasse ancora- rispose il cinese, impassibile.
Era una balla, ovvio, che faceva il paio con l’avergli detto che in missione con Rie c’erano Allen e Link, anziché Kanda, per non fargli scoprire che il suo amato ispettore aveva deliberatamente cambiato bandiera.
Komui aveva sudato freddo quando Cross gli aveva riferito tutto, ma aveva convenuto che quella di farla scappare era stata la miglior decisione possibile, sul momento. Non erano riusciti a tutelare neppure Allen, che era d’interesse per tutto l’Ordine, dalle pretese di Lvellie, che speranze avrebbero avuto con una cosa del genere?
Quello che non si sarebbe mai aspettato era che ad incasinare tutto ci si mettesse anche quell’Ispettore. Che mai aveva a che fare, lui, con Rie? Non aveva potuto fare a meno di chiederselo.

-Che? Rie se n’è andata?- Allen tappò subito la bocca di Lavi, che prometteva un tono esageratamente alto. Il gruppo di esorcisti si fece subito intorno a loro. L’albino sospirò, fulminando il rosso con lo sguardo –me ne ha parlato il maestro ieri sera. Lvellie è venuto non si sa come a sapere di Rei, e Cross ha detto a Rie di fuggire il prima possibile assieme a lei. Link è andato con loro- aggiunse, per spiegare la strana assenza dell’Ispettore al suo fianco che tutti avevano subito notato.
-Allora si conoscevano- sussurrò Lavi, ma Allen scosse la testa –non ne ho idea. Il maestro mi ha detto di non impicciarmi e di farmi vedere il meno possibile, dal momento che Komui ha raccontato a Lvellie che sono in missione assieme a Link- disse.
-Vorrei fare qualcosa per aiutare Rie- disse Linalee soprappensiero, mentre riaccompagnavano Allen in camera –non dev’essere facile sfuggire ai controlli dell’Ordine, se poi si pensa a quant’è conosciuta- i compagni annuirono mesti.
-In questo momento non possiamo fare granchè. Se Link è andato con lei, vorrà dire che aveva in mente un piano. Non è uno che lascia molto spazio all’improvvisazione- constatò Lavi.
-Non saprei- fece l’albino pensieroso –in questi giorni mi sembrava si più teso, ma non credo stesse meditando una fuga. Del resto, non mi pare che con Rie si parlassero granchè- constatò.
-Che si conoscessero è evidente, comunque- aggiunse Linalee –uno come quel Link non si sarebbe mai defilato dalle sue adorate regole in quel modo, altrimenti-.
La curiosità restò loro incollata.







Note dell'Autrice:

FINALMENTE succede qualcosa! ^^ animo, comincia un po' d'azione. Le note son corte perchè dopo un esame devastante DEVO DORMIRE D:

Rispondo ai commenti ^^

nuirene: hahaha sai quelle volte in cui le cose più OVVIE ti sfuggono? Ecco, a me succede spesso D°X meno male ci sono persone che recensiscono e che me le fanno notare! La storia si fa sempre più intricata, si... e al punto in cui sono arrivata a scriverla sono lì lì per dare di matto perchè non so come andare avanti nè QUANDO, visto che sono in piena sessione d'esami! T^T Grazie mille per i complimenti *_* spero che il capitolo ti sia piaciuto! A presto! :D

rose princess: per la decisione di Rie dovrai aspettare ancora un po' purtroppo! Non posso certo rendergli le cose così semplici! XD Link è SEMPRE tenero, è Rie che non capisce nulla XDXD comunque, riguardo alle intenzioni di James non so come metterla in maniera "politically correct", quindi. Nella versione che avevo scritto all'inizio si capiva chiaramente che voleva abusare di lei bambina -OVVIAMENTE senza riuscirci perchè poi Rie spaccava tutto-, però avevo paura che questo potesse dar noia a qualcuno sul sito, quindi l'ho un po' riadattato. So che è meno comprensibile, ma preferisco così. 
Comunque anche io amo quel capitolo *_* a presto!! :D :D

Ciao a tutti! ^__^

Bethan

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Capitolo 10
*** This is the Place of Our Dreams. ***


Arrivarono all’alba, e Rie si pentì immediatamente di non aver prestato attenzione al paesaggio che avevano attraversato durante la notte.
Quel paesaggio ricorreva nei suoi incubi da dieci anni.
Come aveva potuto portarla lì?
E lei, come aveva potuto essere così disattenta da cascarci?
La collina su cui si erano arrampicati discese improvvisamente, formando una piccola conca verde, in cui tutto era esattamente come Rie si ricordava.
La scogliera si spalancava di fronte ad un largo spiazzo d’erba, con la grossa quercia che troneggiava sovrana, unico albero in mezzo al verde.
La casa, o meglio, ciò che ne restava, era l’unica nota stonata in quel luogo che niente aveva perso della sua bellezza naturale: un ammasso di assi carbonizzate, col tetto crollato quasi del tutto, circondata da un largo circolo di terra bruciata.
La ragazza fermò il cavallo, sentendosi mancare il fiato, ma Link si voltò e le fece cenno di seguirlo, lanciando poi il cavallo a tutta velocità lungo la discesa.
Rie prese un respiro profondo.
“Fidati di lui. Servirà a proteggerla” si disse, pensando a Rei, poi spronò il cavallo al galoppo.
Fu come immergersi in una doccia fredda. Una scossa gelida le attraversò le membra, facendola sussultare e rischiando di far imbizzarrire il cavallo. Rei si svegliò di soprassalto –cos’era?- chiese allarmata, gli occhi spalancati.
Rie recuperò fiato –una barriera. Ecco perché Howard ci ha por…- le parole le si mozzarono in gola.
Non c’era più traccia del rudere bruciato che fino a pochi secondi prima campeggiava nel mezzo della conca: era stato sostituito dalla stessa casa, ricostruita, evidentemente, esattamente com’era prima di bruciare.
Rie si avvicinò cautamente e vide Link tracciare simboli nell’aria, estraendo un talismano dopo l’altro. La ragazza ne vide molti piazzati attorno alla costruzione.
“Un vero e proprio baluardo” pensò mesta, smontando da cavallo e prendendo in braccio Rei.
Una volta finita l’opera, il biondo tirò un sospiro di sollievo e si scoprì il capo, sorridendo.
Buffo, pensò Rie, da quando l’aveva incontrato era la prima volta che lo vedeva sorridere.
-Dovrebbe bastare. Non ci troveranno, qui- disse sicuro, poi afferrò le briglie dei cavalli e li condusse dentro un capanno.
Rie si riscosse e fissò la casa come inebetita: era proprio tutto come allora. Le stesse porte, le stesse tende, le stesse pietre color grigio chiaro che rivestivano i muri.
Immaginò che anche l’interno fosse identico a quando l’aveva lasciato, e rabbrividì.
-Stai bene?- la voce limpida di Rei la riscosse: già, era per lei che doveva farlo, per lei e per se stessa. Se le avessero trovate, sarebbe stata la fine.
Sorrise, cercando di dissimulare l’angoscia –si, tranquilla. Sono solo un po’ stanca- la bimba la fissò ancora per qualche istante, pensierosa, poi seguirono Link dentro la casa.

Per Rie fu come entrare allo stesso tempo nel suo sogno più bello e nel suo incubo peggiore.

Era tutto terribilmente uguale: la stessa scalinata, gli stessi mobili nella stessa posizione, le stesse stanze.
Si sentì girare la testa e dovette aggrapparsi al bordo del tavolo.
-Pensavo che Rei potrebbe stare nella…- iniziò Link.
-…stanza al piano di sopra, vero?- Rie finì per lui, con una voce così tetra che sembrava uscita dall’oltretomba. Il biondo si girò di scatto a guardarla e quasi si spaventò: negli occhi di Rie c’era un dolore immenso, che altro non faceva che acuire la sensazione di aver fatto uno sbaglio gigantesco a portarla lì.
-Rie, che cos’hai?- la voce della bimba era preoccupata, ma la ragazza le strinse una mano e le si accucciò di fronte –Rei, adesso ti porto a vedere la tua camera. Ti piacerà, c’è molta luce- disse sorridendo, ma quelle parole lasciarono Link agghiacciato.
Erano le stesse che James aveva detto a Rie quando l’aveva portata lì, parola per parola, pausa per pausa. La ragazza accompagnò la bambina su per le scale, lasciandolo solo.
Che cos’aveva messo in moto?
Poco dopo sentì i passi di Rie scendere giù per le scale in fretta, e si preparò al peggio. La ragazza si fermò davanti a lui, scrutandolo con aria truce.
-Io, tu, fuori. Adesso- sibilò, uscendo precipitosamente in giardino.
Link la seguì, mesto e pienamente consapevole di quanto si sarebbe meritato tutto ciò che gli avrebbe detto.

Rie camminò più veloce che potè, arrivando fino al limitare della scogliera, fissando il mare che si infrangeva svariate decine di metri più in basso, sollevando spruzzi bianchi ed un gran fragore.
Respirò quell’aria salmastra, rendendosi improvvisamente conto di quanto le fosse mancata, beneficiando dell’orizzonte che si estendeva infinito, dopo la sensazione di trovarsi in gabbia che aveva provato ad entrare in quella casa.
-Rie- sentì la voce di Howard alle sue spalle, ma non gli diede neanche il tempo di parlare.
-Giurami soltanto che servirà a proteggere Rei- mormorò con la voce che le tremava. Credeva che lui in un certo senso avesse capito quanto lei avesse sofferto in quegli anni, quanto i ricordi le avessero fatto male, ma evidentemente si era sbagliata.
Howard guardò il viso della ragazza: i suoi lineamenti non esprimevano alcuna emozione, ma i suoi occhi erano tristi e incredibilmente stanchi.
-Servirà. Nessuno può arrivare in questo posto, a meno che non lo conosca- la ragazza chiuse le palpebre un paio di volte, una lacrima le scivolò lungo la guancia.
-Rie…- ritentò lui, ma la bionda alzò una mano, fissandolo, per la prima volta, negli occhi.
-Non dire niente, Howard, non c’è niente da dire- mormorò.
Fece per tornare verso casa, oltrepassandolo, ma la voce del biondo la bloccò.
-E invece si- Rie sentì la vibrazione di rabbia repressa in quelle parole –si che c’è qualcosa da dire, Rie- l’afferrò per un polso, voltandola bruscamente.
La ragazza sentì il cuore batterle furiosamente in petto, terrorizzata dalla somiglianza fra quella scena e quella dei suoi ricordi; sentì le gambe tremarle.
Link dovette accorgersi del suo spavento, perché allentò subito la presa ed addolcì l’espressione, ma sul suo viso rimaneva stampata la sofferenza.
-Credi che io non abbia sofferto?- chiese in un sussurro –credi che per me questo posto non sia pieno di ricordi, come lo è per te? Forse ne ho anche di più- mormorò. La ragazza abbassò lo sguardo.
Lo sapeva, sapeva che era stata colpa sua, se tutto quello che Howard aveva amato in quel luogo era andato distrutto.

-Ti ho cercata per dieci anni-
Era arrivato il momento di dirglielo. Quella guerra continuava a sottrarre loro ogni attimo di serenità, ogni barlume di vita normale, era come vivere costantemente appesi a un filo. Non c’era tempo per lasciare dubbi irrisolti o colpe senza ragione.
Si era illuso di poter fare le cose con calma, di poter far sì che Rie si abituasse di nuovo alla sua presenza, di poter far ritornare il loro un rapporto normale, e poi parlare di tutto. Ma non c’era tempo: quegli anni gliene avevano portato via troppo.
-Mi hanno portato via di qui altri esponenti dell’Ordine, della sede centrale. Mi sono unito a loro soltanto per trovarti, Rie- la vide spalancare gli occhi. Certo, dopo dieci anni passati a credere che lui la odiasse a morte non doveva essere facile scoprire che invece era stato l’esatto opposto.
-In tutti questi anni non ho fatto che andare a caccia di Cross, non appena ho scoperto che ti aveva presa in custodia, ma non sono mai riuscito ad avvicinarmi a te quanto bastava- continuò. Lei lo ascoltava in silenzio, immobile. –Sapevo che stavi scappando. L’unica cosa di cui ero capace di accertarmi era che tu fossi ancora viva, e pur di saperne di più avrei continuato a leccare i piedi di Lvellie per altri dieci anni, se fosse stato necessario- rafforzò la presa sul suo polso e l’avvicinò a sé, tanto che i loro corpi quasi si sfioravano, poi le sollevò il mento e piantò i suoi occhi grigi in quelli di Rie, azzurri e lucidi.
Rimasero a fissarsi per degli istanti che sembrarono lunghissimi, eppure avrebbero voluto che non finissero mai.

La ragazza si riscosse all’improvviso, sfuggendo alla sua stretta.
Non riusciva a parlare, o meglio, non sapeva cosa dire.
Era sempre stata convinta che lui la odiasse, che non l’avrebbe mai perdonata per aver ucciso suo fratello, l’unica famiglia che gli fosse rimasta, che sparire dalla sua vita e cercare di non lasciare alcuna traccia sarebbe stata la cosa migliore da fare.
E invece, adesso saltava fuori che Howard l’aveva cercata, sempre, fino a diventare uno degli sgherri più disprezzati delle alte cariche dell’Ordine, per lei.
Era felice, certo, ma anche confusa. Avrebbe voluto che qualcuno le dicesse finalmente cosa doveva fare.
Sentiva chiaramente, per la prima volta in grado di ammetterlo con se stessa, quanto le fosse mancato, e quanto avesse sperato di sentirsi dire quelle parole, ma il dolore continuava a bloccarla.
Com’era possibile che potesse svanire tutto in una bolla di sapone?
-Non serve che tu dica niente, adesso. A me basta che tu sappia- la voce di Howard si intromise nei suoi pensieri riprendendone come sempre il filo, un’abilità che gli anni avevano lasciato inalterata, a quanto pareva.
Rie annuì bruscamente, lasciandosi scivolare i capelli sul viso, e si diresse verso la casa, dandogli le spalle.
Non avrebbe voluto lasciarlo a quel modo, dopo tutto ciò che le aveva detto, ma aveva bisogno di riflettere, di capire.



Note dell'Autrice:

Uff che fatica aggiornare con gli esami di mezzo T_T vi preannuncio già che a luglio farò una pausa parecchio lunga, dovuta al fatto che sarò in Germania e -ahimè- senza pc T_T mi farò perdonare postando mille capitoli quando tornerò! Intanto spero che vi sia piaciuto questo e gli altri che cercherò di pubblicare da qui alla mia partenza ;)

Rispondo ai commenti:

rose princess: per i momenti romantici migliori di questi due ci sarà ancora da aspettare un po'... lo so, questi capitoli sono un patema D: ma arriverà anche un po' d'azione, lo giuro XDXD comunque LAVELLO è la cosa migliore che abbia mai sentito. Comincerò ad usarlo anche io *-*

Ciao a tutti, scappo a studiare (sigh ç__ç)

Bethan <3

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Capitolo 11
*** Regret is Part of Human Life. ***


-Si può sapere perché non vuoi vederlo? Quel poveretto ti sta cercando- il maestro fuma come un turco sulla veranda, mentre lei gli versa il tè. Rie lancia un’occhiata di fuoco che si infrange contro le lenti degli occhiali dell’uomo.
-Mi odia. Starà cercando vendetta, è comprensibile- dice secca, ma la voce le si abbassa di tono, come sempre quando le parole mal rispecchiano ciò che il cuore le sta urlando.
-A me non è sembrato affatto assetato di sangue- gli occhi azzurri si risollevano precipitosamente verso quelli scuri di Cross.
-Lo hai visto?- chiede incredula. Un cenno affermativo –si, ma sapendo la tua posizione al riguardo l’ho mandato via- dice, tracannando un sorso di tè, ma solo dopo averlo innaffiato di rhum.
Rie annuisce, sollevata. Non vuole vedere Howard, non vuole vederlo mai più.
Ha sulla coscienza il peso della distruzione di due famiglie, la propria, per via della sua compatibilità con l’innocence, e la sua, per l’incapacità a controllarla.
Non vuole sentirselo rinfacciare da altri, lo rimpiange già lei ogni giorno di più.
-Rie, dovrai superarlo prima o poi. Non hai colpe- le parole del maestro, anche se dette già molte volte, la colpiscono in maniera brutale, tutt’altra cosa dalle interazioni che Howard era in grado di fare con i suoi pensieri.
Era come se la sentisse.
“Basta, smettila di pensarci” si ripete, cercando di articolare una risposta, ma Cross la previene di nuovo.
-Eri una bambina, e non è un mistero per nessuno cosa stesse cercando di farti quell’uomo- sentì una vibrazione d’ira nelle ultime parole di Cross, e un brivido le corse lungo la schiena, mentre le immagini vivide di quel momento le tornavano alla mente.
Ripensandoci, col senno di poi, capisce cosa vuol dire il maestro, ma non è tanto per James che rimpiange ciò che ha fatto. Un uomo di quel genere meritava solo la fine che ha avuto, pensa.
No, è per Howard, è per aver distrutto la famiglia di Howard, che il senso di colpa non l’abbandona mai.
-Piuttosto, domani partiamo. Abbiamo una nuova missione- la voce aspra del maestro la riporta alla realtà.
Giusto, la missione.
Rie benedice quell’impegno continuo in battaglia, l’unica cosa che riesce a distrarla dalla vita, in quel momento, è la morte.

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-Maledizione, Generale! Questo non è un gioco! Se scoprono che lei c’entra con la fuga di Rie, e che pure il sottoposto di Lvellie è coinvolto, ci saranno un sacco di guai per tutti!- la mano del supervisore Komui sbattè violentemente sul tavolo pieno di bottiglie vuote, ma agli occhi accesi dell’uomo rispose il solito sguardo freddo e calcolatore di Cross.
-Era l’unico modo, Komui. Sai cosa sarebbe successo se Lvellie l’avesse trovata- disse secco, scolandosi un altro bicchiere –quell’innocence è speciale, è la testimonianza dell’evoluzione della materia sacra, della sua volontà propria- scandì, enfatizzando ogni parola –non vorrai un’altra Hebraska, eh, Komui?- lo apostrofò seccamente, sbattendo il bicchiere sul divanetto macchiato. Il cinese rimase in silenzio per qualche istante, poi alzò nuovamente gli occhi –potreste andarci di mezzo voi, o addirittura Allen. Possibile che non ve ne importi niente? E’ il vostro allievo, dopotutto!- la sua voce si era alzata di un paio d’ottave, mentre Komui perdeva nuovamente le staffe.
Finalmente Cross lo fissò negli occhi con uno sguardo meno imperturbabile, quasi ostile –anche Rie è mia allieva. Mi preoccupo di tutti e due allo stesso modo- ma sapeva benissimo di mentire.
Per quanto fosse affezionato a Mana e ad Allen, e per quanto volesse proteggerlo, Rie era speciale.
Non avrebbe mai e poi mai permesso che Lvellie la trasformasse in una cavia.
Non avrebbe fatto lo stesso errore due volte.
Il supervisore sospirò, passandosi una mano nei capelli –è inutile discutere con lei, Generale. Mi auguro solo che sappia quello che sta facendo- concluse secco, poi uscì con un inchino frettoloso.

Rimasto solo, Cross si scolò il resto della bottiglia, pensieroso.
Sperava solo che quel biondino fosse riuscito a portarla abbastanza lontano, e in un luogo abbastanza schermato dai rilevatori dell’Ordine, pensò.
No, non gli importava delle conseguenze che tutto ciò avrebbe avuto su di lui, sempre ammesso che l’avessero scoperto.
In effetti, non aveva pensato a come, sparendo anche Link, avrebbe potuto andarci di mezzo Allen. Solo il cielo sapeva di cosa erano capace Lvellie e la sua schiera di clericali corrotti.
Sospirò profondamente, scompigliandosi i lunghi capelli rossi.
Non gli importava delle conseguenze, ma avrebbe tanto voluto rivederla, prima che lo scoprissero.
Da quando Allen era entrato all’Ordine, lui e Rie erano rimasti fianco a fianco per altri tre anni. La sua assenza così totale quasi lo frastornava.
Si, avrebbe voluto parlarle ancora una volta, per dirle tutto quanto.

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-Ehi, Allen- al richiamo di Lavi rispose un mugugno soffocato dai mitarashi dango.
-Come credi che farai con Lvellie? Intendi continuare a fingere che i rapporti siano scritti da Link? Quei due lavorano insieme da anni, conoscerà benissimo il suo stile- l’albino alzò le spalle, inghiottendo rumorosamente –non ho scelta- disse –se non faccio così, Lvellie scoprirà che Link è scomparso, e non penso sia una grande idea lasciare che succeda- disse, tornando a concentrarsi sui fogli che aveva davanti.
-Dunque… secondo te risulta esagerato se scrivo che ho mangiato due scatole di mitarashi dango più sei della terza? Eppure Link registrava anche quando Tim mi mordeva un orecchio… sarà meglio scriverlo, al massimo lo prenderà per eccesso di zelo- riflesse, intingendo la piuma nel calamaio.
Lavi sospirò rassegnato. Tutti si ostinavano a portare avanti quella messinscena, lui compreso, pur di proteggere Rie. Capiva benissimo cosa sarebbe potuto succedere se la ragazza fosse stata trovata da Lvellie, ma davvero non capiva perché Link era sparito con lei.
Che legame avevano, quei due?
“Pensa, Bookman” si disse. Non capiva poi perché gli interessasse tanto, ma sentiva che c’era qualcosa che non tornava in tutta quella storia, a partire da ciò che aveva sentito origliando alla porta della sezione scientifica, quando Komui aveva parlato col Panda.
“Sai anche tu quale fu l’unico cubo di innocence in grado di possedere una volontà propria, e che fine abbia fatto” aveva detto il supervisore.
Di che volontà parlavano? Forse di quella che l’innocence aveva mostrato divenendo compatibile di Rie per poi utilizzare il corpo di quella bambina come veicolo, come arma?
Forse, quel cubo d’innocence voleva essere trovato? Si era attivato come se possedesse un’intelligenza pensante?
La sola ipotesi gli metteva i brividi, se poi pensava che ce n’era stato anche un altro nella storia e alla fine che poteva aver fatto…
-Finito!- l’esclamazione giuliva di Allen lo distolse dai suoi pensieri.
Afferrò il foglio sospirando e si alzò in piedi –vado a darlo a Komui- disse. L’albino annuì, grato. Doveva farsi vedere in giro il meno possibile: la versione ufficiale era che lui e Link fossero in missione assieme a Rie.
Improvvisamente, la porta si spalancò e ne entrò una Linalee terrorizzata. I ragazzi balzarono in piedi.
-Che succede, Lina?- chiese subito Allen.
-Ci attaccano! I Noah sono dentro l’Ordine!- gridò la ragazza, afferrando entrambi per una manica –dovete venire, subito!- non se lo fecero ripetere un secondo e corsero a perdifiato dietro di lei.




Note dell'Autrice:

So che questo capitolo è un po' corto, lo so. Ma sennò veniva ventimila pagine e la mia riserva di capitoli si sarebbe accorciata drasticamente, quindi abbiate pietà ç__ç
Non mi dilungo in note perchè devo tornare a studiare, me misera!
Rispondo ai commenti ^^

rose princess: eeeeehm, ne avrai di motivi per arrabbiarti in questa fanfiction XD se pensi che le cose fra Rie e Link saranno semplici ti sbagli di grosso, sono nota per il sadismo con le mie protagoniste! *faccia malefica* ma spero (no, non lo so nemmeno io ancora ç-ç) di riuscire a dare almeno a loro due una conclusione felice, visto che il finale della mia storia precedente mi ha lasciata psicologicamente distrutta T^T

DarkAngel_: ma ciao *__* come mi sono mancate le tue recensioni *momento di commozione* ç_ç sono felice che Rie ti piaccia, a me convince sempre meno mano a mano che vado avanti D: D: ho bisogno di una scarica di autostima per la mia povera protagonista T_T non farti venire un collasso che siamo solo ai primi capitoli...e la storia ne ha moooooooolti di più! ^____^

Grazie a chi legge/segue/recensisce, scusate la brevità ma lo studio, ahimè, mi chiama ç__ç

La vostra disperata Bethan

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Capitolo 12
*** What's your favourite Colour? ***


Dopo quella discussione, Rie si chiuse in camera assieme a Rei per un giorno intero.
Howard la capiva, e sapeva di aver ribaltato tutte le carte in tavola, ma non poteva fare a meno di sentirsi deluso.
Deluso, irritato, stanco, triste.
Affettò con violenza una zucchina, lanciandone i pezzetti in una ciotola.
D’accordo, l’aveva sconvolta, ma due parole avrebbe anche potuto spenderle. Sospirò: non sapeva davvero cosa avrebbe dovuto aspettarsi, gli sembrava solo che la sua felicità per averla ritrovata non fosse affatto contraccambiata.
Si buttò sul divano: era troppo presto per preparare la cena, troppo tardi per affogare i dispiaceri nel cioccolato, troppo inutile salire le scale e tentare di parlarle.
Decisamente, forse portarla lì era stata una pessima idea.
Tese l’orecchio, quando avvertì uno scalpiccio che non era di Rie.
La bambina comparve in fondo alle scale, impacciata. Le sorrise, ottenendo in cambio uno sguardo a metà fra il curioso e l’incerto.
Sempre meglio dell’espressione omicida con cui l’aveva fissato la prima volta, pensò.
-Ehi, tutto bene?- le chiese, sforzandosi per sembrare gentile e esperto di bambini.
Purtroppo, l’unica categoria di persone che potevano metterlo realmente a disagio, dopo Rie, s’intende, erano i bambini.
-Rie dorme, mi annoio- si lamentò lei.
Il ragazzo si alzò dal divano, andando ad accucciarsi di fronte a lei –lasciala dormire, è molto stanca- disse gentilmente –se vuoi ti faccio vedere il mare- Rei fece una faccia interrogativa così buffa che dovette sforzarsi per non mettersi a ridere.
-Cos’è?- chiese.
-E’…- oh santo cielo, come glielo spiegava, cos’era il mare? -… è come un prato, immenso e fatto tutto d’acqua- faceva schifo come insegnante, pensò depresso.
-E’ grande?- gli occhi di Rei si erano ingranditi, il volto acceso di curiosità.
-E’ enorme. Non ne vedi la fine- asserì serio –se ci sbrighiamo, vediamo anche il tramonto. Allora, che ne dici?- si tirò in piedi, porgendole la mano.
Rei la strinse lievemente, seguendolo.

Quando la vide spalancare la bocca dalla meraviglia, nel vedere l’oceano tinto di un rosso che sfumava nel blu dagli ultimi raggi del sole infuocato, Howard si rese conto improvvisamente di come fosse terribilmente facile non considerarla un’arma.
Com’era possibile che si riducesse solo a quello?
-Non sporgerti, tira vento- disse, vedendo che Rei si avvicinava pericolosamente al bordo della scogliera.
-Ma voglio guardare giù- fece quella, imbronciandosi. Il biondo sospirò –e va bene- la prese in braccio, strappandole un’esclamazione stupita, e si posizionò esattamente sul bordo.
Buffo come non soffrisse più di vertigini, pensò guardando i cavalloni infrangersi metri e metri sotto di loro.
Alzò gli occhi e vide che il sole era quasi del tutto scomparso sotto l’orizzonte. Si tirò indietro, sedendosi poco distante.
-Adesso guarda l’orizzonte, Rei- disse, indicando il punto dove il sole si abbassava sempre di più.
-Perché? Cosa succede?- chiese la bambina.
-Lo vedrai fra poco. Se te lo dice, non sarà più una sorpresa- Rie arrivò alle loro spalle e si sedette sull’erba di fianco a Rei, sorridendo, gli occhi fissi sulla linea che separava nettamente cielo e mare.
Fu un lampo, e l’orizzonte s’infiammò di una linea color verde smeraldo, spessa e intensa come poche se ne vedevano, brillante.
Le risa di Rei riempirono l’aria.
-Ancora! Voglio vederla ancora!- gridò, ma Rie fece cenno di no –è molto raro da vedere. Succede solo quando in cielo non c’è nemmeno una nuvola- spiegò, prendendola per mano e rialzandosi.
-Ma era così bella…- mormorò tristemente lei.
-E’ bella perché è speciale. Se tu la vedessi sempre, non lo sarebbe più- disse Howard alzandosi a sua volta e seguendole lungo il pendio.
La voce eccitata di Rei gli arrivava alle orecchie: la descrizione del mare, del cielo che diventava rosso, delle onde sugli scogli. Vide Rie sorridere e annuire a tutto quello che la bambina diceva, e pensò che quando avrebbero trovato il Cuore…
No. Scosse la testa.
Non doveva pensarci, non in quel momento, anche se sapeva di stare sbagliando e di stare trascinando Rie con sé senza sapere se lei stessa se ne rendesse conto, in quel momento pensò solo che avrebbe voluto vedere quell’espressione sul viso della ragazza per sempre.

Quella sera, Rie si coricò sul letto a castello, sopra quello di Rei, ma non riuscì a prendere sonno.
La discussione con Howard e quella giornata così strana e bellissima al tempo stesso l’avevano messa in agitazione, senza contare il fatto che si trovasse in quella casa.
Appena sentì il respiro della bambina farsi pesante, discese lentamente dal letto e uscì dalla stanza, richiudendo silenziosamente la porta.
Scese le scale, quasi inconsapevole di dove la stessero portando le sue gambe, e si fermò nell’angolo da cui aveva avuto origine tutto.
Sfiorò la parete gelida, ma si rese conto che allora non l’avrebbe mai sfiorata in quel punto, che allora era molto più piccola, circa delle dimensioni di Rei.
Si accucciò, e rivide tutto da quella prospettiva.
Una bambina. Ecco cos’era, allora.
Non appena nata, ma quasi.
-Bastardo- sussurrò con rabbia, stringendo il pugno.
Chiuse gli occhi e rivisse quei momenti, istante per istante. Sentì il cuore andarle a mille nel petto, ma non era dolore.
Era rabbia.
In quel preciso istante, si rese conto di odiare James, di averlo sempre odiato da quel giorno, ma che il senso di colpa aveva ricoperto l’odio come una consolante coperta che le consentisse di non vedere ciò che realmente pensava.
Lei aveva voluto ucciderlo anche allora, inconsciamente.
Anche allora l’aveva odiato.
Ma questo non migliorava le cose, non avrebbe cambiato niente con Howard.
Anzi, forse se gli avesse detto che aveva odiato suo fratello la situazione sarebbe pure precipitata.
Guardò di nuovo la stanza: non arrivava nemmeno al piano del tavolo.
Il disgusto la colpì come un pugno.
Appoggiò la fronte sul muro freddo, pensando che l’avrebbe volentieri sfondato a testate, mentre tutte le immagini le tornavano in mente vivide, come se stessero accadendo di nuovo sotto i suoi occhi.
D’improvviso sentì una mano sfiorarle una spalla, e il suo corpo reagì d’istinto, irrazionalmente, come se il cervello non avesse fatto in tempo a comunicare alla sua paura che la storia non poteva ripetersi.
Il ragazzo biondo crollò a terra con uno scivolone di vari metri, colpito in pieno petto da un calcio sferrato con tutta la potenza che aveva.
Rie schizzò accanto ad un agonizzante Howard senza dire una parola.
-I-immagino… che avrei dovuto tossicchiare… o qualcosa di simile- ansimò lui, reggendosi lo stomaco.
-Scusami- mormorò –mi… mi hai spaventata-
-E tu… mi hai quasi… ammazzato- tossì il biondo, contorcendosi a terra.
La ragazza lo sollevò di peso, passandogli le braccia sotto le ascelle, e lo trascinò verso il divano.
-Ma… che?- fece lui, ma lei lo zittì con un sonoro “ssshh!” e lo fece sdraiare, impedendogli di tornare ad avvolgersi la pancia con le braccia.
-Fa… male, Rie-
Rie iniziò a passargli piano le mani dove l’aveva colpito, pigiando un poco, massaggiando per sciogliere i muscoli contratti.
La situazione le sembrava un tantino irreale, ma il suo corpo si stava muovendo dando retta a qualcosa che sicuramente non era la ragione.
Poco a poco sentì la schiena del ragazzo rilassarsi, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il respiro tornare regolare e non spezzato.
-Va meglio?- chiese piano, fermandosi. Howard annuì, fissando il soffitto.
-Non volevo spaventarti- sussurrò dopo un po’. Rie scosse la testa –non so che mi sia preso, scusami- ripetè. Ripensandoci, era ovvio che avesse agito sotto l’influsso dei suoi ricordi legati a quel posto.
-Come stai?- chiese lui ad un tratto. La domanda, così spontanea, la colse completamente alla sprovvista.
-I-in che senso?- balbettò cercando di guadagnare tempo. Il ragazzo sospirò.
-So che detesti stare qui. Ma non avevo in mente altri posti- si tirò su quel tanto che bastava per guardarla negli occhi, e Rie si sentì attraversata da quelle iridi grigie esattamente come le succedeva in passato, come se fossero capaci di leggerle dentro tutto quello che la maggior parte delle persone non vedeva.
-Potrebbe essere qualsiasi altro posto, la situazione non cambierebbe- mormorò dopo un po’, sedendosi con la schiena appoggiata al divano –come non è cambiata in dieci anni, dovunque mi trovassi- abbassò la testa fino a toccare le ginocchia con la fronte.

Howard la osservò per qualche istante, senza avere la più pallida idea di cosa dire.
Il dolore che Rie si portava dietro era tanto irrazionale quanto profondo, e dubitava che solo con le parole avrebbe potuto farle cambiare idea. Ma cosa poteva fare? Riconosceva di sapere ben poco ormai di lei; di certo non poteva illudersi che fosse rimasta come quando aveva undici anni.
Si rese conto di non sapere neppure le cose più insignificanti.
-Rie- gli rispose un mugolio indefinito, che non gli tolse di testa l’idea malsana che vi aveva piantato radici in meno di dieci secondi.
-Qual è il tuo colore preferito?- la vide girarsi verso di lui, un sopracciglio alzato sull’occhio sinistro come per dire “mi stai prendendo in giro?”. Mantenne la sua espressione più imperturbabile, finchè la ragazza non capitolò sospirando.
-Il grigio- rispose brevemente, distogliendo gli occhi, ma rivolgendosi quasi subito di nuovo verso di lui –il tuo?-
Howars sorrise –il verde- le labbra di Rie si incurvarono appena all’insù, mentre le sue dita giocherellavano con una delle ciocche più lunghe dei capelli chiari.
-E il tuo cibo preferito? Qual è?- andò avanti con la sfacciataggine più ostentata, facendole una domanda dopo l’altra.
Sorse il sole, e li trovò addormentati, le dita intrecciate.
“Mi sei mancata, Rie”.
L’ultima, non era stata una domanda.

----------

-Rie? Che ti succede?-
-Mh? Che intendi?- la ragazza guardò stranita il biondo, che a sua volta fissava il suo petto. Arrossì bruscamente –Howard! Dove diamine stai guardando, brutto…- afferrò il coltello da cucina con cui stava affettando un pomodoro, ma il ragazzo scosse la testa, alzando le mani –no, Rie, c’è qualcosa che brilla… lì- disse, arrossendo a sua volta.
-Qualcosa che…- la ragazza si portò subito una mano sotto il collo del vestito e ne tirò fuori un ciondolo che Howard non le aveva mai visto.
Era una pietra bianca, appesa a una catena che la circondava con fili d’argento, e che adesso brillava di una luce intensa.
-Oh, cavolo- mormorò, poi chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, Howard capì subito che c’era qualcosa che non andava, e qualcosa di grosso, anche. L’espressione della ragazza era cambiata istante per istante: le sopracciglia si erano aggrottate, la bocca spalancata, ed era diventata ancor più pallida del solito.
Rompendo gli indugi le afferrò un braccio, scuotendola dal torpore –Rie! Che cosa succede? Che cos’è?- chiese, ma la ragazza lo allontanò bruscamente e crollò a sedere sul divano. Rei le si avvicinò subito. Sfiorò il medaglione, ma si ritrasse con un grido, e Rie glielo tolse subito dalle dita.
-No, Rei, non toccarlo. La connessione è troppo forte- mormorò con gli occhi spalancati. Howard vide che le tremavano le mani e fece un secondo tentativo, andando ad accucciarsi di fronte a lei –Rie, di che connessione parli? Che cosa succede?- chiese di nuovo, fissandola in quegli occhi azzurri che rimandarono uno sguardo spaventato.
-L’Ordine è sotto attacco. Akuma a tonnellate, e Noah- mormorò, le pupille che saettavano da una parte all’altra –devo tornare- disse di scatto, alzandosi in piedi e quasi travolgendolo. Afferrò il mantello e si precipitò fuori, verso la stalla.
Howard la seguì di corsa –aspetta un attimo! Aspetta, maledizione!- gridò, afferrandola –con chi ti sei connessa? Che cos’è quell’affare? Sei sicura che non sia una trappola?- le chiese bruscamente, più duro di quanto in realtà non volesse essere, ma l’agitazione della ragazza lo stava rapidamente contagiando –è Cross che mi ha chiamata, non mentirebbe mai- disse scura in volto.
-Però potrebbero costringerlo a farlo- mormorò lui, ma Rie scosse la testa –ho percepito la potenza della dark matter anche attraverso la connessione, hai visto l’effetto che ha avuto su Rei appena l’ha sfiorato. Se anche l’avessero costretto, l’Ordine è pieno di akuma, e tutti i miei compagni sono lì- continuò, fissandolo –io devo tornare. Tu fa’ quello che vuoi- Howard capì che non avrebbe mai cambiato idea. Annuì.
-Prendiamo i cavalli, presto- disse.






Note dell'Autrice:

Eeeeeeeee... sono bastarda, lo so. Vi lascio con questo capitolo per ritrovarvi (spero) fra tre settimane in cui non aggiornerò causa permanenza all'estero. Vedrò di farmi perdonare quando sarò tornata aggiornando mooooooolto spesso ;) ;)

Rispondiamo ai commenti:

DarkAngel_: non odiarmi, ti prego T__T ho lasciato volontariamente la suspance per avrere ancora qualche lettore disposto a seguire questo catorcio di storia aspettando un aggiornamento che verrà dopo un mese! XD prometto che il prossimo capitolo sarà lungherrimo *-* e soprattutto... (spoiler) pieno di Marian Cross *ç* aspetta fiduciosa il mio ritorno *___* baciiiii <3

rose princess: ecco un intero capitolo dedicato ai nostri due piccioncini, visto che non se ne sapeva più niente ^^ dal prossimo cominceranno i colpi di scena, e il momento della sveglia di Rie si fa sempre più vicino..! E la stronzaggine di Lavello raggiungerà picchi inimmaginabili, in effetti sono stata proprio stronza con la povera Rie D: D:
Farò una pausa piuttosto lunga, spero che tu continui a seguire ^__^ mai vorrei liberarmi di qualcuno che ha il cuore di commentare *-* ps. anche "Lagnalee" è meraviglioso XD

Baci gente, parto per Cruccolandia! :D

Bethan <3

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Capitolo 13
*** Danger and Love. ***


Il livello quattro aveva ridotto la Home un colabrodo. Le urla dei feriti riempivano ogni angolo, trasformati in marionette del Conte dagli Skull.
-Dannazione, dove sono i Generali?- Lavi imprecò, tirando l’ennesimo calcio ad un akuma per allontanarlo. Senza innocence lui e Kanda non avevano speranze di combattere in maniera decente. Potevano solo rinviare il peggio, e anche gli altri esorcisti erano stremati.
Improvvisamente, Lulu Bell attaccò Miranda, avvolgendola in una gigantesca bolla d’acqua.
-Miranda!- il rosso sentì il grido di Marie e dei finder che la ragazza stava proteggendo e scattò in quella direzione.
-Allen!- gridò, pregando che la sua voce lo raggiungesse –aiutala!- l’albino era l’unico che avesse un’innocence decentemente funzionante, tutti loro erano ko.
-Lavi, Kanda! Spostatevi da lì, gli akuma..!- Lavi si girò all’improvviso, richiamato dal grido dell’albino, e vide le macchine del Conte arrivargli addosso a frotte.
“E’ finita” pensò, serrando gli occhi.

-Flame Gate, Cerchio dell’Inferno!- gridò una voce, e un muro di fiamme si innalzò di fronte a loro, incenerendo gli akuma che non avevano fatto in tempo a fermarsi.
-Rie!- gridò Lavi, mentre il fuoco scemava. La ragazza gli corse incontro, abbracciandolo, mentre Rei, ali nere e arco in mano, stava facendo una vera e propria strage di akuma.
-Sono qui, scusate il ritardo- disse –facciamo secchi questi bastardi- sibilò. Lavi le indicò Miranda e la ragazza annuì, mettendosi a correre.
I fregi sul pugnale divennero di un blu intenso, mentre Rie attivava la terza invocazione, l’acqua.
-Ancient Memory, Obbedienza- mormorò. L’acqua che avvolgeva Miranda si spaccò improvvisamente in due, lasciando di schianto la ragazza, che fu afferrata da Marie.
Rie le corse incontro, sostenendola –Marie, proteggila finchè non sarà in grado di evocare nuovamente la barriera- mormorò. Lui annuì, sorreggendo Miranda che tossiva a più non posso.
-Rie!- quella voce acuta la fece girare di scatto e vide Rei assediata dagli akuma.
“Ok, volete il gioco duro? E lo avrete” pensò, rimettendosi a correre.
Nel bel mezzo della battaglia, capì che uno dei posti in cui poteva veramente trovare se stessa era quello.
Spiccò un balzo.

-Evocazione combinata, Elemental Exorcist. Cherubino- mormorò.
Sulla sua schiena apparvero le ali piumate, argentee, più grandi del solito, mentre nella sua stretta il pugnale si modificò sino a diventare una lunga spada infuocata. La sua uniforme divenne color verde cangiante, e nella mano sinistra comparve un globo azzurrino.
Tutti si fermarono di schianto a guardarla: in pochi avevano visto l’evocazione completa di Rie, Cherubino. Era come se la ragazza si fosse trasfigurata, divenendo davvero l’angelo a guardia del Paradiso Terrestre. La sua figura, terminata l’evocazione, risplendeva di una potenza terribile, devastante.
-Allora non è diventata Generale a caso- mormorò Kanda, fissandola.
Rie rimase sospesa nell’aria, sbattendo appena le ali, come se fosse l’aria stessa a sostenerla, senza bisogno che lei facesse alcuno sforzo.
Green chains. Mani dei defunti
Liane verdi spuntarono dal suolo, dritte sotto gli akuma che circondavano Rei, e li avvolsero completamente, stritolandoli e mandandoli in mille pezzi.
Nella sala era sceso un silenzio irreale come se tutti, esorcisti, akuma e Noah, si fossero immobilizzati a guardarla.
Rie si girò verso il livello quattro, negli occhi solo un odio immenso e profondo.
-E adesso ti ammazzo- sibilò, lanciandosi verso di lui.

Quando l’aveva vista evocare tutti gli elementi assieme aveva avuto paura.
Paura che il suo corpo non avrebbe retto, paura che perdesse il controllo, ma soprattutto ebbe paura quando vide l’evocazione ultimata.
Rie non era più Rie. L’innocence la modificava, intensificava a dismisura il suo odio verso gli akuma: in Cherubino c’era qualcosa di tremendamente potente e sbagliato al tempo stesso, e Howard poteva sentirlo sulla pelle.
Quel poco della ragazzina che ricordava e che era riuscito a tirar fuori in quei  giorni era sommerso dal potere che l’evocazione le dava, il potere di combattere contro ciò che aveva distrutto la sua vita.
Vide la ragazza schizzare verso il livello quattro e travolgerlo con la spada infuocata, sollevando un cerchio di fiamme che lo avvolse completamente.
Come lui, tutti gli altri combattenti erano rimasti pietrificati dalla potenza sviluppata da Rie.
Una mano improvvisa sulla sua spalla lo fece sussultare.
-Fermala- disse la voce di Cross, ansimante e sfinita. Il biondo si girò stizzito a guardarlo –fermarla? E come pensa che potrei fare, di grazia?- rispose acido, ma lo sguardo serio del Generale non gli diceva niente di buono.
-Il suo corpo non sopporterà a lungo un’evocazione simile. Devi distoglierla dal livello quattro, ci penseremo io e Allen a finirlo- mormorò alzandosi in piedi.
Link lo fissò sbalordito, senza avere la minima idea di come fare a fermare quella che in Rie si era trasformata decisamente in una pazzia omicida. Vide gli occhi della ragazza, freddi e spietati, e capì che Cross aveva ragione: non doveva proseguire con l’evocazione. Non c’era in ballo solo la sua vita, ma anche la sua anima.
In un lampo vide che gli altri akuma si erano rimessi in moto, e gli venne un’idea.
Un’idea suicida, certo, ma pur sempre un’idea.
Sperava davvero che Rie tenesse a lui, pensò scattando in piedi e correndo nel centro dell’assembramento nemico, altrimenti sarebbe stata la fine.

-Guarda guarda, che bel bocconcino è venuto a consegnarsi nelle nostre mani!- Rie sentì le voci gracchianti degli akuma dietro di sé e interruppe di botto l’attacco, con un presentimento atroce.
-Rie!- la voce di Rei –aiutalo!- gridò la bambina.
Howard era assediato nel bel mezzo di una frotta enorme di akuma, tanto che era quasi impossibile scorgere la sua barriera oltre la coltre nemica.
Eresse fra sé e il livello quattro una coltre d’acqua e schizzò verso il ragazzo, facendosi strada a suon di fendenti contro i nemici.
-Ci pensiamo noi a lui, Rie- la voce di Marian, calma persino in mezzo a quell’inferno, le fece capire subito di essere cascata in uno dei suoi innumerevoli espedienti per farle cessare l’invocazione.
Cherubino scomparve, Rie tornò normale, il pugnale stretto nella mano. I suoi occhi si fissarono in quelli del maestro, guardandolo con una rabbia che lo colpì più di un attacco fisico. Poi la ragazza si lanciò in mezzo agli akuma.
-Flame Gate!- le fiamme avvolsero tutti i nemici attorno alla barriera mistica eretta da Howard, ma quando Rie vide che iniziava a traballare fu presa dal panico.
-Howard! Guai a te se fai cadere quella barriera!- strillò, facendosi strada in mezzo al fuoco che non la toccava neppure. Sentì solo un tossire convulso, e vide la luce chiara dei talismani farsi sempre più debole.
“Maledizione” pensò imprecando. Sentiva le forze scemare sempre di più: mai aveva evocato l’innocence così a lungo.
-West wind. Ali di ghiaccio- sulla sua schiena ricomparvero le ali argentee, e Rie si levò in volo appena in tempo per afferrare Howard e trascinarlo via dalle fiamme. La barriera cadde in quell’istante.

Sentì il contatto violento col suolo, gelido in confronto all’inferno in cui era stato immerso fino a poco prima, e vide Rie accasciata accanto a sé.
Respirava affannosamente, ma aveva cessato l’evocazione.
“Grazie al cielo” sospirò, pensando alla sfuriata che gli sarebbe toccata.
-Trovata, Esorcista!- la voce del livello quattro e il vederlo sopra di loro gli fece gelare il sangue nelle vene. L’akuma puntò i suoi cannoni dritti verso Rie, caricandoli, e Howard non ci pensò un secondo.
-Rie!- si gettò addosso a lei, facendole scudo col proprio corpo.

Rie non poteva crederci, non voleva.
Eppure la realtà le si presentò davanti in tutta la sua crudezza quando scostò il corpo di Howard da sé e lo vide riempirsi di pentacoli.
-No…- sussurrò, lo afferrò per le spalle, mentre sentiva le lacrime iniziare a scendere, fuori dal suo controllo. Una mano del ragazzo le sfiorò una guancia, coperta di stelle nere. Lei la afferrò senza dire niente, un dolore sordo e di cui non conosceva l’origine le squarciava il petto, rendendole difficile persino respirare.
-Ti proteggerò, Rie… sempre- ansimò lui. Rie pianse ancora più forte –non andare via, non andare…- gli occhi grigi di Howard si stavano lentamente chiudendo, mentre il virus compiva il suo corso di morte.
-Rie, non c’è niente da…- la ragazza scacciò bruscamente la mano del maestro dalla sua spalla –voglio rimanere con lui. Va’ via, Marian. Vattene- sibilò, chinando la testa.
Non poteva fare niente. I pentacoli continuavano a serpeggiare sul corpo di Howard, e non c’era modo di fermarli.
-Last Hope, Stella della Speranza- una freccia nera si conficcò dritta nel petto del giovane, la stella che le faceva da punta completamente scomparsa sotto la pelle.
Rie sussultò e alzò lo sguardo di scatto, vedendo Rei svolazzare sopra di loro, l’arco in mano, le stelle che aveva al posto delle iridi che risplendevano di una luce violetta.
Quasi non voleva crederci, quando vide tutti i pentacoli confluire nella freccia, che poi tornò fra le mani della bambina.
Howard tirò un respiro profondo, sfinito, ma vivo.
Rie sorrise fra le lacrime, senza dire niente, circondandolo con le braccia e stringendolo a sé. Guardando negli occhi di Rei, sillabò:
“Grazie”.

La battaglia ormai si era spostata. Il livello quattro stava per ricevere il colpo di grazia da Allen e da Linalee.
Rie disattivò definitivamente l’evocazione e anche Rei tornò al solito aspetto di bambina, fatta eccezione per le stelle che le ingrandivano gli occhi. La ragazza non volle saperne di staccarsi dal fianco di Link nemmeno per un secondo: seguì la barella fino all’infermeria, rifiutando ogni attenzione per le proprie ferite. Si accorse di avere un grosso squarcio su un fianco, probabilmente dovuto alla caduta rovinosa dopo aver portato via il ragazzo dagli akuma, ma in quel momento non le importava.
Il solo vederlo respirare, ferito ma vivo, le aveva fatto tornare ogni energia.
Energia che non perse tempo a dissipare non appena Cross le comparve davanti. Il suo viso stanco, che fino a quel momento non aveva avuto attenzione che per il biondo steso sul letto, si irrigidì improvvisamente e negli occhi azzurri balenò una rabbia gelida, mentre Rie tirava violentemente indietro la sedia.
-Tu, fuori. Adesso- mormorò guardandolo in cagnesco, poi si rivolse all’infermiera –mi chiami se si dovesse svegliare, per favore- chiese. La donna annuì.
La porta non fece in tempo a chiudersi completamente che nel corridoio e nella stanza da cui erano appena usciti risuonò chiaramente il rumore di un cazzotto sferrato con una discreta potenza.

-Che cosa cavolo ti è saltato in testa, Marian?- Rie stava guardando l’uomo seduto per terra con tutta la rabbia di cui era capace. Cross si risistemò la maschera, massaggiandosi la mascella.
-Io non ho fatto niente, gli ho soltanto detto di fare in modo che tu fermassi l’evocazione- replicò quello, col suo solito tono noncurante, ma le mani della ragazza lo afferrarono bruscamente per il bavero e lo inchiodarono alla parete. L’uomo fissò gli occhi azzurri di Rie, carichi di una rabbia e di una frustrazione che non le aveva mai visto, del tutto opposte al contegno distaccato che ostentava di solito.
-Gli akuma l’hanno quasi ucciso per la tua bella pensata- gli sibilò in faccia –se evoco o meno Cherubino è affar mio, e non tuo, chiaro? Siamo entrambi Generali, abbiamo lo stesso grado, e che tu ci creda o no so valutare quanto vicino sia il mio limite- lo lasciò con uno strattone brusco –non azzardarti mai più a mettere Howard in mezzo a una cosa simile. Quella di oggi è stata solo fortuna- gli diede le spalle e fece per riaprire la porta.
-Dovresti pensare a quello che senti per lui, Rie- disse Cross alla sprovvista, facendola rimanere immobile –forse non ha tutto questo senso che tu continui a rifiutare la vita- la mano della ragazza tremò sulla maniglia, ma Rie non cedette.
-E’ tutto?- chiese fredda. Rimase in silenzio finchè non sentì il Generale allontanarsi con un sospiro, poi rientrò nella stanza.




Note dell'Autrice:

Eeeeeee rieccomiiiii!! :D :D mi è sembrata lunga secoli questa pausa, spero di essere riuscita a farmi perdonare con questo capitolo, visto che a breve ce ne sarà un'altra! Ma vedrò di darmi da fare sul serio quando tornerò definitivamente in patria!

Grazie a tutti quelli che hanno recensito/seguono e commentano, scusate se non mi dilungo a rispondere ma devo sfruttare il poco tempo in Italia, ho una marea di cose da fare! ç__ç

A presto (spero!) <3

Bethan

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Capitolo 14
*** Opening the Past. ***


-Visto? Io ve l’avevo detto che si conoscevano!- Lavi bisbigliava rivolto ad Allen e Linalee. Nell’infermeria c’era un silenzio tranquillo, e gran parte degli esorcisti dormivano, recuperando le forze. Rie e Link erano nella stanza adiacente.
-Lavi, insomma! Non capisco perché ti interessi tanto!- la cinese sbuffò, prendendo l’ennesimo piatto pericolante dal vassoio stracolmo di Allen. L’albino annuì –non è così strano, Lavi. Lei è stata allieva del maestro Cross, può darsi che si siano conosciuti alla sede centrale, ci saranno pur andati, qualche volta- un brivido corse lungo la schiena dei tre esorcisti quando, voltandosi all’unisono, trovarono Rie a fissarli con un sorriso sadico a trentadue denti stampato in volto.
-Vi pregherei di non rimuginare troppo sulla vita della sottoscritta- disse in tono fintamente allegro, sempre sorridendo –ci sono cicatrici che non andrebbero scoperte, immagino che lo sappiate bene anche voi- fissò Linalee con aria eloquente e la ragazza arrossì bruscamente, abbassando gli occhi.
La bionda non li degnò di un ulteriore sguardo, afferrò alcune bende da un cassetto e tornò da Link sbattendo la porta.
I tre si guardarono raggelati.
-Secondo voi se l’è presa sul serio?- bisbigliò Allen.
Linalee sospirò –non so molto di lei, Allen. Non potete pretendere che conosca tutti i membri dell’Ordine e che sia autorizzata a raccontare quello che so. Se volete scoprire come mai conosce Link, chiedetelo a lei- mormorò, cadendo in un silenzio colpevole.
-Già, discemolo, dovresti fare a meno di impicciarti dei fatti altrui!- la voce potente di Cross li fece sobbalzare per la seconda volta.
-M-maestro?- balbettò Allen –ma cosa ci fate qui?- l’uomo non rispose e spalancò la porta dietro alla quale si era chiusa Rie poco prima, facendo un fracasso infernale.
-Marian! Che cavolo fai? Non vedi che qui dormono tutti?- il sibilo della ragazza era così infuriato che fu perfettamente udibile anche se era appena un sussurro.
-Lvellie è stato mandato alla Sede Nordamerica- disse il Generale, senza fare una piega, poi indicò Link addormentato sul letto –quando si sveglia dovrete andarvene di nuovo, prima che vi mandino in missione-.
Lavi, Linalee e Allen si erano alzati e ora stavano affacciati sulla porta, curiosi di vedere come andava a finire lo scontro.
Rie abbassò la testa, poi fece cenno di no. Rei, che fino a quel momento era rimasta seduta accanto a lei senza aprire bocca, parlò per la prima volta.
-Non voglio scappare. Qui avete bisogno di Rie, lei deve rimanere, e io con lei- disse, guardando l’uomo dritto negli occhi, senza alcuna traccia di paura o soggezione.
Era incredibile il cambiamento che aveva fatto da quando Rie l’aveva portata all’Ordine.
Sembrava davvero umana.
Si sentì stringere lo stomaco, ma si impose di scacciare i pensieri.
-Io rimango qui, Marian. Non posso coinvolgerlo oltre, e sai che mi seguirebbe, se scappassi- mormorò guardando il viso di Link addormentato.
A causa della Dark Matter il suo organismo aveva reagito con una febbre violentissima, che non era ancora calata del tutto e che l’aveva lasciato in uno stato di semi incoscienza per cinque giorni. Rie non l’avrebbe mai e poi mai lasciato in quel modo, non dopo che aveva quasi rischiato di morire per proteggerla.
Non dopo tutto quello che in pochi giorni erano riusciti a condividere, dopo dieci anni di lontananza.
Guardò negli occhi il suo maestro: ancora non l’aveva perdonato per aver messo in testa al ragazzo l’idea balzana di farsi quasi ammazzare per farle cessare l’evocazione, ma quello che vide nell’iride non coperta dalla maschera fu solo una grande preoccupazione. Si arrese e sorrise, un sorriso stanco ma sincero –starò bene, me la caverò. Tu pensa a non farti mandare all’Inquisizione-. L’uomo non disse niente, si limitò a guardarla ancora per qualche istante, poi scansò bruscamente i tre esorcisti appollaiati sulla porta e uscì dall’infermeria.

Rie alzò gli occhi azzurri verso Allen, Lavi e Linalee, sospirando profondamente.
-Immagino di dovervi spiegare qualcosa, o la vostra curiosità inopportuna finirà per fare dei danni- disse, facendogli cenno di avvicinarsi.
-Rie, ecco, noi non…- iniziò Linalee, ma l’altra la interruppe con un sorriso –non c’è problema. Sarebbe venuto fuori, prima o poi- fece un respiro profondo. Era difficile trovare le parole, era maledettamente difficile mettere a nudo quello che per anni si era portata dentro, sentimenti che anche lei aveva paura a rivangare, ma si disse che poteva fidarsi di loro.
-Nacqui in un villaggio nel nord dell’Irlanda, una tranquilla cittadina di pescatori, affacciata su una scogliera. La mia vita era abbastanza normale, tutto sommato, fino a quando- la voce le si abbassò fino a diventare un mormorio –fino a quando non sono arrivati gli akuma- sentì Linalee trattenere il respiro. Quella ragazza era troppo impressionabile.
Le venne quasi da ridere, pensando che quella fosse probabilmente la parte più leggera dell’intera storia.
-Devastarono il villaggio. Mi ricordo che mia madre mi urlò di uscire di casa, e poco dopo vidi le mura crollare, polverizzate dai colpi degli akuma. Scappai in mezzo a quella distruzione, certa che mi avrebbero uccisa- una mano andò distrattamente a scostare un ciuffo di capelli dalla fronte di Link, e sentì la pelle scottare sotto le sue dita. Prese una pezza e la immerse in una bacinella di acqua fredda, posandogliela delicatamente sul viso, poi continuò.
-Caddi, e sarebbe stata la mia fine se non mi avesse trovata James Link, il fratello di Howard- i tre esorcisti fecero delle facce allibite –ha un fratello? E chi se lo aspettava!- esclamò Allen, ma Rie scosse la testa violentemente, serrando gli occhi.
Adesso arrivava la parte più difficile.
-Vissi con loro per due anni, temendo sempre che gli akuma tornassero a perseguitarmi, tormentata dal senso di colpa per la morte della mia famiglia- la mano di Linalee si appoggiò delicatamente sulla sua –non è stata colpa tua, Rie- disse, ma la bionda scosse il capo nuovamente –li sentii parlare, nel loro linguaggio gracchiante: cercavano me, perché ero una compatibile, ma ancora non lo sapevo- sospirò, tutti tacquero.
-Ad ogni modo, sembrava quasi come se avessi potuto ricominciare ad avere una vita normale, quando invece le carte si stravolsero nuovamente- mormorò –avevo undici anni, ero una bambina. James tornò a casa, puzzava di alcool, erano molte notti che rientrava tardi, e io quella volta ero scesa in cucina per prendere un bicchier d’acqua- il silenzio si fece carico di attesa e di orrore, come se i tre esorcisti immaginassero dove sarebbe finito il discorso ma non volessero assolutamente avere conferme alle loro ipotesi.
-Mi mise le mani addosso, dicendomi che mi avrebbe uccisa se avessi aperto bocca per chiamare aiuto. Io non fiatai, ma l’innocence del Fuoco sentì il mio terrore e si manifestò- si interruppe bruscamente, cercando aria. Non credeva che potesse essere così doloroso rivangarlo, ogni parola era come una coltellata dritta al petto.
-Non volevo che succedesse- sussurrò chinando il capo –ero una bambina, avevo paura, non riuscivo a capire. In quel momento, cercavo solo aiuto- sentì la testa di Rei appoggiarsi alle sue gambe e le accarezzò i capelli, sforzandosi per non scoppiare a piangere.
-Prima di svenire, l’espressione di Howard fu l’ultima cosa che vidi- mormorò –ho ucciso suo fratello, ho ucciso la sua famiglia, ed è una cosa per cui non potrò mai perdonarmi- concluse –mi trovò Cross, mezza morta fra le macerie carbonizzate della casa, e mi portò con sé come sua allieva. Questa è la mia storia, a grandi linee-.
Nessuno dei tre esorcisti disse niente.
-Lavi, Allen, che ne direste di andare a farvi un giro?- tre paia di occhi si posarono sbigottiti su Linalee che sorrideva candidamente all’indirizzo dei due ragazzi.
-Ma come? Perché?- frignò Lavi ma Allen, che aveva capito al volo, afferrò il rosso per un braccio –vieni Lavi, andiamo in mensa che sto morendo di fame!- esclamò trascinandoselo dietro.
Le lamentele del giovane proseguirono finchè i due ragazzi non furono definitivamente usciti, dietro le minacce di morte della capoinfermiera.
Linalee sorrise a Rie, imbarazzata –scusami, Rie. Non avrei dovuto chiederti niente- disse –so quando possano far male i ricordi- lei sorrise di rimando –tranquilla, il passato già stato scritto. Non parlarne non lo farà cambiare- mormorò. Gli occhi azzurri tornarono a posarsi sul viso addormentato del ragazzo –sembra quasi simpatico quando dorme- Rie si girò di scatto verso la cinese, che si premette una mano sulla bocca, rossa come un pomodoro, poi scoppiò a ridere a crepapelle.
Cercò di recuperare un contegno, ma la cosa le riuscì difficile –scusami- balbettò –è che… non è sempre stato così, ecco. Con me non è così- disse, recuperando fiato affannosamente –però posso capire perché non vi vada a genio- si rigirò fra le dita una ciocca dei capelli lunghi del ragazzo.
-Non è che non mi vada a genio… meglio lui di Lvellie, in ogni caso- disse Linalee, rabbrividendo. Rie non potè far altro che concordare.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finchè la bionda non decise di provare a confidarsi una volta per tutte. Linalee le sembrava in grado di capire, perlomeno meglio di altri. Rei, nel frattempo, si era rimessa a letto, e ora dormiva tranquilla.
-Non so cos’avrei fatto se fosse morto- sussurrò con un filo di voce. Vide Linalee farsi immediatamente attenta, e sentì le lacrime avvicinarsi di nuovo.
-Si vede che tenete molto l’uno all’altra. Non sarebbe scappato con te, se non fosse così-
-Io ho sempre creduto che mi odiasse, Lina, ho sempre pensato di dovergli stare più alla larga possibile. Insomma, ho ucciso suo fratello-
-E invece?- chiese l’altra.
-E invece me lo ritrovo qui, e scopro che per dieci anni non ha fatto altro che cercarmi, e che è diventato un cane di Lvellie solo per avvicinarsi all’Ordine e trovare me- sbottò Rie bruscamente, la voce che le tremava –si è fatto quasi ammazzare per salvarmi, quando io avrei preferito morire mille volte piuttosto che trovarmelo davanti coperto da quei maledetti pentacoli!- scoppiò a piangere, nascondendo il viso fra le mani. Sentì le braccia di Linalee avvolgerla e si ritrovò a singhiozzare sulla sua spalla, disperata come una bambina.

Linalee si limitò a stringerla finchè i singhiozzi non si calmarono. Per la prima volta in vita sua, non aveva le parole giuste per consolare il dolore di una compagna.
Inutile dirle che non era colpa sua, se il fratello di Link era stato una grandissima carogna schifosa, Rie già lo sapeva, ed il problema non stava lì.
Dopo che si fu calmata, la bionda si scostò quasi bruscamente, asciugandosi gli occhi con una manica –scusami- borbottò –che figura, esplodere in questo modo…- ma Linalee la fissò seriamente –non devi dirlo nemmeno per scherzo. E’ normale esplodere, nessuno può contenere una tensione simile tanto a lungo- disse sorridendole. Le labbra di Rie si incurvarono lievemente all’insù –grazie- rispose, poi sospirò –è che non so cosa fare, adesso. Ho troppa paura per fare qualsiasi cosa, e ho paura che se aspetto troppo ci dividano di nuovo- sussurrò.
-Sai, con un lavoro come il nostro bastano istanti per stravolgere le nostre vite- disse la cinese pensierosa –posso dirti cosa sarebbe meglio fare in teoria. La pratica non è il mio forte, a dire il vero- tossicchiò imbarazzata, e Rie colse al volo il riferimento ad Allen.
Una cosa abbastanza evidente, in effetti.
-Credo che non possiamo consentirci il lusso di aspettare che le cose si evolvano gradualmente, Rie. Rischiamo di perderle per sempre- continuò. La bionda fissò il pavimento. Linalee aveva ragione, tutti avevano ragione, tutti le dicevano le stesse cose e lei sapeva e strasapeva che erano giuste, ma era maledettamente bloccata.
-Ci dev’essere qualcosa che lo ha spinto a cercarti e ad autoinfliggersi il calvario costante di Lvellie, e io non penso proprio che sia la sete di vendetta per suo fratello- Linalee si alzò, dirigendosi verso la porta con un sorriso –adesso devo andare, è ora che Heb mi controlli l’innocence- disse. Rie annuì, ringraziandola prima che uscisse dalla stanza.


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Capitolo 15
*** Wipe away my Guilt with your Lips. ***


Nella Home regnava una calma irreale.
Non si sentiva Kanda che inveiva contro tutto e tutti, Lavi e Allen non stavano strillando, Komui non era in preda ad attacchi d’ansia per l’imminente (e falsamente annunciato) matrimonio di Linalee e soprattutto non si sentiva la voce aspra e odiosa del sovrintendente Lvellie.
Rie guardò fuori dalla finestra il sole scintillare sul prato antistante la torre dell’Ordine e pensò che sarebbe stato quasi un bel panorama, se non fosse esistito il background di tutto ciò che quella costruzione significava.
Il vento smuoveva piano le tende, una leggera brezza primaverile che faceva venir voglia di sonnecchiare.
O forse era solo la stanchezza accumulata in quei giorni che stava iniziando a farsi sentire, assieme alla mancanza di una doccia.
Rie scrutò furtiva il viso di Howard, poi si disse che cinque minuti non avrebbero cambiato niente. Chiuse a chiave la porta della stanza in cui si trovavano, si infilò in bagno e aprì il getto bollente, ficcandocisi sotto non appena iniziarono ad alzarsi le prime nuvole di vapore, buttando per terra i vestiti insanguinati e laceri.
Ogni singola ferita, abrasione, graffio le mandò una serie infinita di fitte brucianti che le fecero lacrimare gli occhi.
In effetti, da quando Howard era entrato lì dentro lei si era rifiutata di scollarsi dal suo letto. Notò nuovamente lo squarcio preoccupante al fianco sinistro, e stringendo i denti iniziò a pulirlo lentamente col sapone. Il sangue ricominciò a scorrere.
Le girò la testa.
“Oh oh. Questo non l’avevo previsto” uscì a precipizio dalla doccia, aggrappandosi al bordo del lavandino e coprendosi alla bell’e meglio con un asciugamano, il mondo che iniziava a farsi a chiazze nere.
“Che diamine mi prende?” pensò respirando affannosamente. La gamba sinistra le cedette all’improvviso, facendola piombare a terra.
Aprì a fatica l’armadietto, trovando del cotone e delle bende.
Strinse i denti e iniziò a medicare la ferita alla meno peggio, giusto per tamponare momentaneamente l’uscita del sangue finchè non fosse stata in grado di reggersi in piedi.
Quando ebbe terminato si sdraiò a terra, sfinita: decisamente l’idea della doccia era stata pessima.
Sospirò, pensando che a breve avrebbe dovuto aiutare gli altri nel trasloco della sezione scientifica: come diamine avrebbe fatto, conciata a quel modo?
I contorni iniziarono a definirsi più nettamente, e il ronzio che aveva nelle orecchie scomparve. Rie si rimise in piedi, fissando il pavimento con occhio critico: sembrava che fosse passato un serial killer.
-Mio Dio! Che cos’è successo qui dentro?-  
Alle sue spalle stava un’infermiera pallida come un lenzuolo, la faccia sconvolta, che fissava a tratti le mattonelle bianche imbrattate di sangue, a tratti lei e la medicazione di fortuna che stava già iniziando a chiazzarsi di rosso. Rie si coprì frettolosamente con l’asciugamano –avevo una ferita. Superficiale, niente di che, ma ha perso una marea di sangue. Se mi date uno straccio metto tutto a posto- sospirò, ma la donna scosse violentemente la testa –quella- indicò il suo fianco –non è affatto una ferita superficiale, deve curarla immediatamente, Generale Tsubaki. Perché non l’ha fatto presente prima?-
Rie alzò gli occhi al cielo –piantatela di darmi del lei, potrei essere vostra figlia!- sbottò –non c’è tempo per medicare le mie ferite, sono resistente e ci sono esorcisti conciati molto peggio di me- la oltrepassò, rimettendosi l’uniforme lacera e trattenendo a stento una smorfia di dolore quando dovette sollevare le braccia.
-Lasci pure tutto com’è, dopo vengo a mettere a posto, adesso mi aspettano per il trasloco- disse, rifuggendo le premure dell’infermiera: se in quel momento l’avessero pure costretta ferma in un letto sarebbe impazzita.
-Ah, solo una cosa- aggiunse, girandosi così all’improvviso che la povera donna quasi le andò a sbattere addosso –chiudete quella porta a chiave. Se si sveglia e entra lì dentro- disse, accennando a Link che dormiva della grossa –non sarà un bel risveglio. Inutile che vi ripeta di chiamarmi all’istante, qualora si dovesse svegliare- la fissò negli occhi finchè non annuì, poi infilò un corridoio e scomparve nel buio.

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-Miranda, stai bene? il tuo battito cardiaco è un po’ stra…- le parole di Marie furono troncate sul nascere da una sorprendentemente audace Miranda, che aveva appena azzannato il collo del povero esorcista.
Nel vedere la reazione di Marie ci sarebbe stato da rotolarsi dal ridere, ma di buffo effettivamente c’era ben poco, constatò Rie mentre correvano a perdifiato cercando di mettersi al riparo da quella marea di zombie in cui si erano trasformati gli abitanti della Home.
Pensò a Howard: sperava che la pazzia momentanea dell’infermiera non si fosse riversata su di lui.
Si rifugiarono in un corridoio deserto e la ragazza crollò a terra, ansimando e tenendosi il fianco.
-Ehi, Rie. Tutto a posto?- un Lavi reso bambino dall’accidentale caduta di una delle pozioni di Komui la fissava preoccupato. La bionda annuì, stringendo i denti. Forse quello di non farsi medicare era stato un errore.
Ritirò la mano dal fianco: era rossa.
-Che cos’hai lì?- l’espressione del rosso era sorprendentemente seria per quel viso infantile. Rie si schernì –non è nulla, solo un taglio che non smette di sanguinare-
La conversazione scomoda fu interrotta dall’arrivo degli altri Generali, tutti in tenuta rigorosamente da bagno, che evidentemente erano sotto l’influsso della malefica ondata di morti viventi.
-Vecchioooo!- urlò Lavi a un per nulla scontento Bookman, afferrato per il collo da una Cloud più nuda che vestita.
-Marian! Copriti, che diamine!- strillò Rie, sfoderando uno dei suoi poderosi calci in pieno petto all’uomo che la stava attaccando e che aveva ovviamente perso l’asciugamano.
Il suo maestro non fece una piega, l’afferrò per un braccio e se la tirò addosso, stringendola. Il cuore di Rie mancò di un battito mentre la ragazza arrossiva violentemente.
-Che-che-che-che cavolo stai facendo?!- gridò, ma fece appena in tempo a sentire le labbra del Generale sul collo e un dolore lancinante, poi fu solo buio.

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Si svegliò e fissò attonita il soffitto dell’infermeria.
Ma che diamine era successo?
Cercò di tirarsi a sedere, ma il corpo le mandò una serie infinita di fitte che le dicevano chiaramente quanto fosse una scelta migliore rimanersene buona e sdraiata.
Sentì tirare i punti di sutura alla ferita sul fianco, e in quel momento realizzò di avere un ago infilato nel braccio, cui era attaccata una sacca di sangue.
Disgustata, si girò dalla parte opposta, trovandosi a fissare un Howard a dir poco infuriato. La fissava con sguardo gelido, senza dire una parola.
Rie si preparò alla sfuriata.

Quando l’aveva vista svegliarsi, aveva davvero dovuto fare uno sforzo sovrumano per non mostrarsi infuriato, ma immaginò che tutti i suoi tentativi di training autogeno fossero stati inutili, dal momento che l’espressione intimorita di Rie non lasciava molti dubbi su quale fosse la propria.
-Adesso dimmi perché non ti saresti fatta curare quella ferita- disse a bassa voce, guardandola seriamente. La paura che si era preso quando l’avevano trasportata in infermeria coperta di sangue ben valeva una ramanzina, pensò.
Rie scosse le spalle con fare noncurante, come sempre quando voleva cercare di sdrammatizzare –con tutto quello che è successo me ne sarò scordata. Non è niente di grave, comunque- Howard sbattè violentemente una mano sul comodino, facendo sobbalzare le pile di fogli che vi aveva appoggiato in maniera pericolante.
-“Non è niente di grave”? Rie, classificami la parola “grave”, per favore. Hai rischiato di morire dissanguata- sbottò, accennando alla sacca di sangue per la trasfusione –sai quante ne sono servite?- la ragazza fissò l’ago che aveva nel braccio, poi scosse la testa in segno di diniego –dieci, Rie. E’ un miracolo che tu sia ancora viva- il ragazzo sospirò, abbandonandosi sullo schienale della sedia.
Non gliel’avrebbe detto, non in quel momento, ma quando l’aveva vista aprire gli occhi aveva pensato che per quel blu sarebbe valsa la pena di farsi massacrare da milioni di akuma messi insieme.
La ragazza non disse niente, fissava ora il lenzuolo, ora lui di sottecchi, tormentando il bordo della coperta con le dita.
Forse era stato troppo duro, rimuginò Link. Del resto, Linalee gli aveva detto che Rie aveva rifiutato di farsi visitare per stare accanto a lui; ma era proprio per questo che era arrabbiato.
Non voleva che si facesse del male per colpa sua, se n’era già fatta anche troppo.
Si tirò in avanti di scatto, afferrandole la mano con cui stava smagliando la lana infeltrita e logora.
Le loro dita si intrecciarono senza che nessuno dei due dicesse niente.
-Come stai?- fece Rie dopo un po’.
-Va meglio. La febbre è scomparsa, le ferite anche- si portò inconsciamente una mano al petto, dove la freccia di Rei l’aveva trapassato per salvarlo dal virus.
Non aveva mai sentito un dolore così forte.
-Howard- la voce di Rie tremava. Alzò gli occhi per guardarla e vide che stava facendo di tutto per non perdere il controllo, a discapito della beffarda indifferenza mostrata fino a poco prima. Lo fissò per qualche istante, e lui ebbe paura di quello sguardo: era perso, niente a che vedere con la determinazione che tutti erano abituati a scorgere in quegli occhi di ghiaccio.
-Non… farlo mai più- sussurrò a voce bassissima, chinando la testa. Intuì che doveva riferirsi alla battaglia –promettimelo. Giurami che non farai mai più una cosa simile, anche se l’innocence dovesse ammazzarmi-
-Non posso, Rie. La mia promessa era un’altra, e lo è ancora- rispose Howard con dolcezza, alzando una mano per accarezzarle il viso, ma lei si scansò bruscamente.
-Non mi interessa!- sbottò -rompi quella promessa, risale a dieci anni fa! Non sono più una bambina, e non voglio che rischi la vita per me-. Era rossa in volto, turbata come non mai. In quel momento Howard temette davvero di non conoscerla più, ma fu solo un istante: Rie era rimasta Rie, doveva solo capire come districare tutte le contraddizioni in cui si era ingabbiata in quei dieci anni.
-Rie, nemmeno io sono più un bambino: potrei dirti di si, che non rischierei più la mia vita per te, ma sarebbero tutte sciocchezze. Alla prima necessità lo farei di nuovo- la ragazza lo guardò senza dire niente –non ho vagato per mezzo mondo al seguito degli Esorcisti per sport o per chissà che vocazione, fosse per me Lvellie potrebbe marcire all’inferno per tutto quello che ha fatto, e non c’è niente che detesti di più dell’essere il suo tirapiedi- il suo tono si era fatto più brusco, Rie non era l’unica ad essersi portata dentro dolore e sofferenza –ho sofferto anch’io, Rie, ma di niente, di nessuna umiliazione, di nessun dolore fisico, di nessuna di tutte le angherie che ho sopportato in questi dieci anni mi sono pentito, quando ti ho trovata- recuperò fiato, la vide aprire bocca, ma non le diede il tempo di parlare –ho rincorso Cross per mezzo mondo, sperando di poterti incontrare, ma ogni volta mi sentivo rimandare indietro. Sono stato più vicino alla morte in quei momenti, che quando mi hanno sparato gli akuma- mormorò.
Rie sospirò, appoggiandosi di botto sui cuscini –perché, Howard?- chiese con voce rotta –perché mi hai cercata, quando io per dieci anni non ho fatto altro che cercare di farti scordare la mia esistenza? Perché continui a cercare qualcosa che ormai non c’è più?-
-Niente può farmi dimenticare di te, Rie. Quello che sto cercando, io l’ho già trovato. Non esiste che lo perda di nuovo senza lottare- come volevasi dimostrare, sarebbe stato impossibile per loro parlare normalmente, finchè tutte le barriere non fossero state abbattute.
-Howard, io ho ucciso la tua famiglia, ho ucciso James. Perché mi cerchi, dopo una cosa simile?- quella domanda gli fece definitivamente andare il sangue alla testa.
-Rie, vuoi sapere cosa penso che fosse James? Lo vuoi sapere sul serio?- la sua voce secca ebbe l’effetto di riscuoterla –penso che se per disgrazia fosse ancora vivo, dopo quello che ha cercato di farti, stavolta sarei io a dargli fuoco- sbottò, facendola sobbalzare –devi smetterla di colpevolizzarti, come diamine puoi pensare che io ti ritenga responsabile di quello che è successo? Poteva succedere quando ero ancora un bambino, allora faticai a capire, ma non adesso! Rie, sganciati da questo maledetto senso di colpa!- il suo tono era salito di un paio di ottave. Il fatto che Rie si sentisse ancora colpevole dopo tutto quello che le aveva detto, lo mandava fuori dai gangheri, dandogli una frustrazione incredibile. Come poteva pensare ancora che lui non capisse?

Non l’aveva programmato. Non aveva previsto di scoppiare in quel modo, aveva cercato di controllarsi il più possibile.
Eppure le parole di Howard, che le avevano sbattuto in faccia quanto il suo scappare avesse peggiorato le cose, quanto l’odio che lei stessa sentiva per James fosse giustificato, polverizzarono ogni sua barriera.
Le lacrime iniziarono a scorrere, prima piano, poi sempre più forti, il petto squarciato dai singhiozzi.
Rie si raggomitolò su se stessa, la testa fra le ginocchia, piangendo disperata.
Sentì le braccia del ragazzo stringerla forte, senza dire una parola, come aveva sempre fatto. In quel momento, Rie pensò che avrebbe voluto che quell’abbraccio non finisse mai; non era affatto sicura che ce l’avrebbe fatta a tenersi tutto dentro come quella volta sulla scogliera.
Si rilassò pian piano contro il suo petto, portando le braccia a cingergli il collo e affondando il viso nell’incavo della sua spalla.
Il suo corpo si mosse ignorando totalmente la volontà della ragione, un’abitudine che ormai sembrava divenuta ricorrente; appoggiò le labbra sulla pelle di Howard, rimanendo ferma e rabbrividendo mano a mano che le dita del giovane le si infilavano fra i capelli, accarezzandole la nuca.
C’era una cosa che doveva assolutamente dirgli, in quel preciso momento, mentre tutto ciò che stava fuori da quella stanza non contava affatto, mentre il suo cuore le urlava qualcosa con tutto il fiato che aveva.
-Ti prego, Howard. Non rischiare più, io non voglio perderti di nuovo- mormorò aggrappandosi a lui ancora di più. Non riusciva a dirgli tutto quello che dentro di sé aveva capito da assai più tempo, ma doveva fargli almeno capire quanto fosse importante per lei, in quei momenti di pace che avevano visto benissimo quanto facilmente fossero esposti alla rovina.
-E io non voglio perdere te, non adesso, mai- Rie quasi sussultò quando le labbra del ragazzo le sfiorarono l’orecchio.
Ma che diamine le stava succedendo? Era come se il cervello e la razionalità fossero andati in ferie, lasciando spazio solo alle sensazioni totalizzanti che le scatenava la vicinanza del ragazzo.
Sospirò, inconscia di essere distante millimetri dalla sua pelle.
Sentì Howard immobilizzarsi completamente, come se fosse diventato di pietra.
-Tutto… bene?- chiese titubante, scostandosi un poco senza slacciare l’abbraccio.
L’espressione che gli vide stampata in faccia la fece quasi scoppiare a ridere, tanto che per trattenersi dovette simulare un colpo di tosse.
Il biondo aveva le guance in fiamme e gli occhi serrati, come immerso in una concentrazione che non voleva saperne di dargli retta.
Ma quando spalancò le palpebre di botto, Rie si trovò a perdersi in quegli occhi che avevano lo stesso colore del mare in inverno, quando riflette il grigio delle nuvole e lo illumina di bagliori metallici, una superficie all’apparenza quieta, ma sotto la quale si celava un mondo in fermento.
-Rie- mormorò il suo nome, ma era diverso dalle altre volte. La ragazza si sentì arrossire di colpo ed abbassò lo sguardo, presa dal panico.
Cos’era quel sentimento?
Perché il cuore le stava andando a mille a quel modo, come se fosse sul ciglio di un baratro, indecisa se buttarsi o meno?
Perché le dita di Howard che le accarezzavano la guancia, seguivano la riga del mento e le sollevavano il viso sembravano roventi più del fuoco?
Si ritrovò di nuovo a guardarlo negli occhi, che si erano fatti più vicini, decisamente più vicini, e vide sotto quegli specchi di tranquillità lo stesso turbamento che stava provando lei.
-Howard..?-

Si era ripetuto mille e mille volte di andarci coi piedi di piombo, di non affrettare le cose, di aspettare che lei accettasse il fatto di non essere colpevole di niente e che lui non aveva fatto altro che cercarla.
Pensieri e ragionamenti buttati al vento, annegati in quegli occhi azzurri che ora lo fissavano con quell’espressione indecifrabile, pronti a lanciarsi nel vuoto ma ancora impauriti da tutto ciò che non conoscevano.
Avrebbe voluto essere abbastanza forte per diventare la loro certezza, il loro appiglio, la loro conoscenza, che li rendesse in grado di sentirsi al sicuro.
Per questo non poteva lasciarla, per questo non poteva rompere quella promessa, perché era da quando si erano rivolti la parola per la prima volta dopo dieci anni che aveva capito quanto Rie avesse bisogno di lui, nonostante lo negasse con tutte le sue forze.
E aveva capito anche quanto lui stesso avesse bisogno di lei, perché era tutto ciò che gli era rimasto, perché era tutto ciò che aveva sempre voluto.
Sentì il suo corpo muoversi lentamente, avvicinarsi a lei. Era finito il momento degli indugi, le loro vite erano appese a dei fili sottili come ragnatele e non c’era tempo di aspettare che un intervento estraneo li spezzasse.
Vide gli occhi della ragazza spalancarsi di più, la sentì pronunciare il suo nome, la voce confusa, come se non capisse cosa stesse succedendo.
La verità, pensò mentre compiva il passo più lungo della gamba, era che non lo sapeva nemmeno lui.
Sfiorò le labbra di Rie con le proprie, un bacio lieve, non invadente, dolce.
Avrebbe potuto essere quasi fraterno, se solo la reazione che scatenò in entrambi non fosse stata una scossa elettrica fuori dall’ordinario.
Chiuse per un attimo le palpebre, per riaprirle subito dopo, allontanandosi.




Note dell'Autrice:

Chiedo umilmente perdono a) per l'assenza prolungata, ma ero convinta di aver pubblicato lo scorso capitolo prima di partire E INVECE NO, non so in quale spazio del World Wide Web sia finito ma di sicuro non su efp -eppure io l'avevo messo, giuro T__T- e b) per l'assenza di note e ringraziamenti, ma visto che sapevo che avrei pubblicato a brevissima distanza anche questo capitolo per farmi perdonare ho deciso di fare tutto qui :3
Per la gioia di coloro che aspettavano questo benedetto bacio, ECCOLO QUI. Dal prossimo capitolo ci sarà di nuovo un bel parapiglia, grazie al cielo perchè dialogo con Linalee + dialogo con Link = carie per 6 mesi, ci vuole un po' d'azione!

Ringrazio tantissimo itsinthescars e rose princess per le recensioni, con mille scuse a quest'ultima per un capitolo (quello prima di questo) in cui si vede solo la sua odiata Linalee, ma ormai c'era e non riuscivo più a cancellarlo x_x ha fatto due maroni così anche a me che l'ho scritto, fidati D:

Continuate a seguire, commentare e soprattutto leggere <3 I'm finally back! :D

Baci <3


Bethan

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Capitolo 16
*** Don't bring Her away. ***


Delle voci concitate all’esterno ruppero quella bolla di pace che si era creata fra loro.
Rie si voltò di scatto, sussultando –è Lvellie- mormorò. Le tremava la voce.
-Cosa?- Link si alzò velocemente, andando verso la porta –ma non era in viaggio verso la sede Nordamerica?- non fece quasi in tempo a finire la frase che la porta si spalancò bruscamente ed entrarono quattro guardie vestite di rosso, le divise dell’Ufficio Centrale, seguite da Lvellie.
-Generale Rie Tsubaki. Siete da questo momento sotto custodia dell’Ufficio Centrale. Dobbiamo analizzare la vostra innocence- due guardie strapparono in malo modo l’ago dal braccio di Rie, che emise un mugolio di dolore, e la strattonarono fuori dal letto.
La ragazza si divincolò –lasciatemi, cani schifosi! Toglietemi le mani di dosso!- gridò. Alle sue urla si aggiunsero anche quelle di Rei, ma le guardie furono più veloci, mettendole al collo una catena di talismani. Quando tentarono di fare lo stesso con la bionda, Rie per tutta risposta sferrò un calcio violentissimo in faccia ad una di loro, che crollò a terra svenuta.
Ma ciò che successe dopo, la privò di ogni possibilità di fuga.
-Sovrintendente Lvellie! Il Generale è ferito, ditegli di usare un po’ di delicatezza!- era intervenuto Link. Rie lo fissò terrorizzata: se avesse fatto un passo falso, sarebbero stati guai grossi anche per lui.
Come se le azioni potessero essere evocate dai pensieri, Lvellie afferrò il giovane per un braccio, torcendoglielo dietro la schiena e immobilizzandolo.
-Sovrintendente! Ma che…- le parole del ragazzo furono troncate da un mugolio di dolore al braccio che si storceva sempre di più.
Rie si fermò di schianto –lo lasci. Adesso- mormorò –prima che la riduca ad un arrosto ambulante- non scherzava, Link glielo lesse negli occhi. Avrebbe davvero potuto uccidere Lvellie e tutte e quattro le guardie, e lui non poteva permetterglielo.
-Generale Tsubaki, ho informazioni molto dettagliate riguardo alla sua fuga e all’inadempimento dei suoi doveri, e su come il mio sottoposto qui presente l’abbia aiutata- quelle parole ebbero l’effetto del piombo.
Le conseguenze erano ovvie, come sottolineò subito il sorriso sadico dell’uomo –se non vuole che sottoponga il nostro amico a Inquisizione, le consiglio di collaborare, Generale- sibilò.
-Rie, no! Vai via, scappa! Vattene!- il biondo provò a divincolarsi, ma la presa dell’uomo era troppo forte.
Rie fissò a terra per qualche istante, poi si volse verso la bambina che guardava le guardie con occhi sgranati dalla paura.
-Perdonami, Rei- mormorò con una tristezza infinita nella voce, avvicinandosi alla guardia che, rialzatasi, stringeva le manette magiche. Link capì all’istante.
-No! No! Rie, vattene da qui! Andatevene!- urlò con quanto fiato aveva in gola, ma lei non fece una piega mentre la imprigionavano.
Si girò verso Lvellie –avete voi le chiavi- disse, accennando ai talismani –fatemi parlare con lui un momento, da sola- mormorò –vi seguirò, l’avete già capito- Lvellie sorrise, spingendo bruscamente a terra il biondo –sapete quale sarebbe il prezzo per una scelta diversa, Generale Tsubaki. Avete cinque minuti, e quella viene con noi- indicò Rei, che arrancava dietro alle guardie. La ragazza sbarrò loro il passo con una gamba, fissandoli uno per uno –se le fate del male, metterete a dura prova i vostri trucchi magici- sussurrò. Vide balenare la paura nei loro occhi, mentre rallentavano il passo. Si accucciò di fronte a lei –va tutto bene. Arrivo subito- mormorò, poi attese che fossero usciti.
Si avvicinò a Link, che nel frattempo si era rimesso in piedi.
Il ragazzo la afferrò per le spalle –Rie! Ma sei impazzita, per caso? Sai che tipi sono, vi tortureranno!- ma lei gli appoggiò le mani sul petto, sforzandosi di sorridere.
-Andrà tutto bene. Meglio gli esperimenti su di me che l’Inquisizione a te, io perlomeno ho buone probabilità di sopravvivere- mormorò, poi appoggiò la fronte sulla sua spalla –tornerò. Questa volta non sto scappando- disse decisa.
Certo che sarebbe tornata.
-Promettimelo, Rie- la voce di Howard le arrivò soffocata. Capì che stava piangendo, e si sforzò per non crollare anche lei.
Era tremendo separarsi di nuovo, ora, perdere tutto quando le cose sembravano poter finalmente andare a posto.
Si staccò da lui, fissandolo negli occhi –te lo giuro- mormorò. Gli passò una mano sulla guancia, asciugandogli le lacrime –prenditi cura di Allen e degli altri. Racconta tutto a Cross, se ce la fai- disse.
-Il tempo è scaduto- la guardia spalancò la porta, fissandola impaziente. Rie annuì, poi si lasciò portar via, continuando a fissare Howard negli occhi finchè il legno non si richiuse dietro di lei con uno schianto secco.

---

-Che cosa?!- Linalee quasi si strozzò col caffè quando apprese la notizia –fratello, dimmi che non è vero! Non possono averla portata via! Non puoi averlo permesso!- urlò. L’uomo di fronte a lei non fece una piega –Lina, non potevo fare altrimenti. Lvellie ci ha in pugno, e ha minacciato Rie con l’unica cosa che avesse cara qui dentro. Neppure lei si è potuta opporre- mormorò, dando un pugno al tavolo. Poi si passò una mano fra i capelli –domani partirete tutti, andrete in missione. Dobbiamo pensare che Rie è forte e che ce la farà, perché adesso non possiamo fare altro- la cinese guardò suo fratello negli occhi, e vide quanto anche lui stesse soffrendo in quel momento.
Ma, ne era sicura, c’era almeno una persona in tutto l’Ordine che era più distrutta di lui.
-Dov’è Link?- chiese. Komui sospirò –si è trincerato nella sua stanza, non sta più nemmeno dietro ad Allen- disse. La ragazza annuì, decisa.
Era arrivato il momento di smettere di far finta di nulla e prendere il toro per le corna.



Note dell'Autrice:

Scusate per la brevità di questo capitolo, ma altrimenti veniva mastodontico e la mia scorta si sta rapidamente esaurendo T_T
Torno a seppellirmi di esami, grazie a itsinthescars e rose princess per le recensioni (pazientate e ricomincerò a postare capitoli decenti, il ritorno alla realtà universitaria è duro T^T) ^__^

Baci a tutti <3

Bethan


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Capitolo 17
*** To the Rescue! ***


Quando se la vide piombare in camera in quel modo, avrebbe voluto mettersi a gridare di andar via, di lasciarlo in pace, ma l’espressione della sorella del supervisore non ammetteva discussioni.
-Allora?- chiese impaziente.
-Allora cosa?- mormorò lui, fissando il muro.
Linalee guardò la stanza con occhio critico: il letto sfatto, fogli e carte ovunque, cibo a malapena toccato.
Mai avrebbe pensato che un pezzo di ghiaccio come Link potesse ridursi in quel modo. Allora era umano anche lui, pensò.
-Hai intenzione di star qui a aspettare che Rie venga trasformata in una seconda Hebraska, razza di idiota?!- una voce maschile proruppe nella stanza, seguita dall’ingombrante figura di Cross.
-Una cosa?- le parole dell’uomo l’avevano riscosso di botto. Sperava proprio di aver sentito male.
Il Generale gli si sedette davanti, prendendolo per le spalle.
-Senti- disse –non posso spiegarti nei dettagli, ma l’Ordine non ammette forme di innocence dotate di una volontà propria. Hebraska ne era un esempio, anni fa- mormorò, e sul suo viso passò un’ombra di tristezza infinita, così simile alla sua che Link dovette trattenersi dalla tentazione di volerne sapere di più –salvala- sbottò Cross, fissandolo negli occhi –salvala, non deve diventare così anche lei. Non dobbiamo lasciarglielo fare- quella supplica lo lasciò senza parole. Possibile che Cross tenesse tanto a Rie? Che rapporto c’era fra di loro?
-Generale, ma come farebbero a trasformarla in qualcosa come… Heb? Voglio dire, Hebraska era… una persona?- la voce di Linalee tremava, inorridita. L’uomo annuì, sospirando.
-Hebraska era la figlia di Lvellie- mormorò, poi sganciò la bomba –è la madre di Rie, e Rie è mia figlia- le due paia di occhi presenti nella stanza lo guardarono sgomenti, ma il Generale tornò a rivolgersi al ragazzo –ti prego, vi prego- disse, guardando anche Linalee –inventatevi qualcosa e salvatela dalle grinfie di quel pazzo- concluse, alzandosi –io non posso far niente, ora- mormorò, e dal tono della sua voce fu chiaramente percepibile la sua frustrazione. Poi uscì quasi di corsa dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
Linalee e Link rimasero in un silenzio sbigottito e lievemente ostile per qualche istante, ognuno immerso nei propri pensieri.
-Oh, al diavolo!- gridò il ragazzo ad un tratto, girandosi di scatto verso di lei –dove mi mandano in missione, domani?- chiese brusco.
-I-in Turchia, assieme ad Allen- balbettò la ragazza, stupita da quell’accesso di vitalità rabbiosa.
Link tirò un pugno al muro –maledizione!- Linalee vide che le sue mani erano graffiate e sporche di sangue. Evidentemente, quello non era il primo cazzotto alla parete che tirava.
-Secondo Cross, io come diamine faccio ad aiutarla, eh? Come ci vado, io, dalla Turchia fino alla sede Nordamerica?!- si sedette di nuovo sul letto, bruscamente.
La cinese vide chiaramente il suo turbamento: era ovvio che si sentisse colpevole, ma star lì a macerarsi non avrebbe risolto le cose.
-Devi andare in Turchia con Allen, domani- mormorò –Rie non si è fatta portare via perché tu cada un’altra volta nelle trappole di Lvellie- lo vide aprire bocca per risponderle, ma poi la richiuse subito. Era vero. Se avesse commesso un altro errore, per lui sarebbe stata Inquisizione e tanti saluti.
-Ma se non vado da lei…- mormorò a un tratto. L’immaginarsi il genere di  esperimenti che avrebbero potuto fare lo fece sentir male.
-Link, ragiona. Cosa potresti fare, in ogni caso? Lvellie se l’aspetta, di sicuro- disse lei. il ragazzo si prese la testa fra le mani, disperato –è tutta colpa mia- sussurrò serrando gli occhi –mi sono fatto fregare come un idiota, e ora l’ho persa di nuovo- sentì la mano di Linalee stringergli delicatamente la spalla –non l’hai persa. Non la perderai, la ritroveremo e la tireremo fuori di lì. Ma non ci aiuterà il voler fare tutto subito, dobbiamo riflettere e portare avanti il gioco per un po’- disse.
-Hai un piano?- mormorò lui. Linalee scosse il capo –a dire il vero, solo idee sparse. Farò del mio meglio, e una buona idea sarebbe mettere gli altri al corrente di questa situazione- gli scoccò uno sguardo serio quando vide la sua espressione a metà fra l’indignazione e l’imbarazzo –oh, andiamo. Ormai, dubito che tu possa ancora considerare la vergogna come un sentimento ammissibile. Se non te la senti, glielo spiegherò io, ma…-
-No- disse lui, alzandosi in piedi –hai ragione, sarò io a dirglielo- la ragazza sorrise.
-Benissimo. Andiamo, allora-.

-Ehi, ma avete sentito? Lvellie ha portato via Rie!- l’esclamazione di Lavi fece girare tutta la tavolata. Perfino Kanda, che non mostrava mai uno straccio di interesse, gli scoccò un’occhiata meno acida del solito.
-Non è possibile…- mormorò Miranda –cosa le vogliono fare?-
-Esperimenti- la voce secca del giapponese fece scendere il gelo sulla tavolata –sarà fortunata se sopravvive- mormorò, fissando il vuoto.
-Non dite queste cose, invero! Il Generale Tsubaki è forte!- esclamò Crowley, provocando solo uno sbuffo a metà fra lo scocciato ed il sarcastico da parte del moro –nessuno è abbastanza forte per quelli là-.
-Ehi, ecco Lina e Link. Chissà se lo sanno già- mormorò Allen, ma appena i ragazzi al tavolo videro le loro facce, fu chiara la risposta.
Linalee prese posto accanto a Miranda, fissando il biondo in maniera decisa. Lui annuì, sedendosi a capotavola.
Tutti notarono il cambiamento, troppo evidente per esser lasciato perdere. I capelli erano sciolti, sparsi sulle spalle in ciuffi spettinati, gli occhi cerchiati di rosso e segnati da occhiaie profonde, il volto concentrato in una perenne espressione di preoccupazione mista a dolore.
-Ho bisogno di parlare con voi… con tutti voi- esordì, tormentando il bordo del tavolo. Anche la voce non era più la stessa, niente era rimasto del portamento austero e inflessibile dell’antipaticissimo Ispettore Howard Link.
Era un ragazzo, in quel momento, come tutti loro, e questo suscitò un moto di simpatia generale.
-Spero che sappiate cos’è successo a Rie, perché francamente non credo di farcela a ripeterlo per filo e per segno- mormorò. Cenni d’assenso seguirono le sue parole.
Alzò gli occhi, fissandoli uno per uno. Mai avrebbe immaginato che parlare gli sarebbe costato così tanta fatica, e tantomeno mai avrebbe pensato di aprirsi con quegli esorcisti che l’avevano sempre considerato una sorta di registratore di cassa di Lvellie.
-Io la amo- buttò fuori tutto d’un fiato, senza far caso alle occhiate sbigottite –e per dieci anni non ho fatto altro che cercarla. Adesso che l’avevo trovata, l’hanno portata via di nuovo, e la colpa è solo mia- sentì un nodo alla gola, ma si sforzò di andare avanti –per favore, aiutatemi. Dobbiamo tirarla fuori di lì, vi prego. Se solo sapessi come farlo da solo, non chiederei nemmeno il vostro aiuto, ma la verità è che non so cosa fare- sussurrò.
Lo stupore nella stanza era palpabile. Nessuno si sarebbe aspettato che dietro all’inflessibile e ligio “due nei” ci fosse un essere umano come tutti gli altri, né tantomeno si sarebbero mai aspettati una confessione così spassionata.
-Ti aiuteremo, Link- fu Allen a parlare anche per gli altri, deciso –e credo che anche Komui sia dalla nostra parte. Ho parlato con lui poco fa, e mi ha detto che Rie è stata portata nella sede Asia- il biondo lo guardò spalancando gli occhi. Non voleva quasi crederci –evidentemente Lvellie voleva convincerti che Rie fosse migliaia di chilometri lontana dal luogo della nostra missione, ma non aveva fatto i conti con Komui- continuò l’albino sorridendo incoraggiante –troveremo un modo per tirarla fuori. Immagino che a nessuno qui piaccia saperla rinchiusa là dentro, vero?- guardò i suoi compagni uno per uno, senza che un fiato fosse emesso per contrastare ciò che aveva appena detto.
-Ma Allen- fece Lavi dopo un po’ –sarete comunque soltanto in… tre- aggiunse dubbioso, fissando Kanda, che non si era affatto espresso a favore dell’impresa –noi saremo dall’altra parte del mondo- il ragazzo annuì –lo so, e voi dovrete svolgere le vostre missioni. Non possiamo esporci troppo, ma ricordatevi che io ho ancora il controllo sui gate dell’arca, con o senza autorizzazione- dichiarò deciso, guardando Link.
Quello aprì la bocca per rispondere, per cercare di ringraziarli con parole adeguate a quello che sentiva, ma Linalee lo precedette.
-Bene, sembra che siamo tutti d’accordo!- esclamò –chi ha opinioni contrarie le esprima adesso, altrimenti che nessuno si tiri indietro quando arriverà il momento!- nessuno fiatò, e quella che sembrava a tutti gli effetti una riunione segreta si sciolse.

Link si avviò assieme ad Allen verso la loro stanza, in silenzio.
-Sai, Link- esordì l’albino quando furono entrati, buttandosi sul letto con un sorriso –non credevo tu fossi vulnerabile ai sentimenti, quando sei arrivato qui sembravi una specie di automa- ridacchiò.
-Non ricordarmelo… Allen- disse lui, stranamente a disagio nell’usare per la prima volta il suo nome.
Il ragazzo si tirò a sedere –quindi… vi conoscevate già- mormorò, alludendo a Rie. Gli rispose un cenno d’assenso secco.
Il dolore che pensare a lei gli procurava in quel momento era visibile anche dai gesti.
-Eravate tutti e due allievi del maestro?- chiese. Link sospirò: era ovvio che la curiosità ad un certo punto dovesse prendere il sopravvento. Si sedette di fianco ad Allen, fissando ostinatamente il pavimento e cercando di districare i nodi che aveva nei capelli.
-No. Cross la trovò dopo che Rie ebbe perso il controllo dell’innocence- mormorò –ancora non sapeva di essere una compatibile- proseguì, in risposta allo sguardo interrogativo di Allen –eravamo bambini, e mio fratello l’aveva salvata dagli akuma che la inseguivano. Ma quello che nessuno di noi due avrebbe mai potuto prevedere fu il suo cambiamento- fece una pausa. Il pensare a quello che aveva tentato di fare suo fratello lo disgustava –James cercò di… ecco… era ubriaco, quella sera, ma non era la prima volta. Solo, di solito picchiava me. Invece fu Rie a scendere le scale- Allen spalancò gli occhi. Sapeva già cos’era successo, ma riuscì a riprendersi in tempo per ricordarsi che Link dormiva quando ne avevano parlato.
Nessuno sapeva molto di Rie, ma da quando erano tornati dall’arca, nei giorni precedenti all’arrivo di Lvellie, fra loro si era instaurato una sorta di rapporto simile a quello che lui aveva avuto con Cross. Lei gliel’aveva sempre ricordato molto.
Non riusciva ad immaginare come avesse fatto a portarsi dietro una cosa simile per tutto quel tempo, e che fosse incapace di superarla.
-Rie si è macerata per dieci anni nel senso di colpa. Era convinta, è convinta di aver distrutto la mia famiglia- proseguì secco Link –quando in realtà io odiavo mio fratello, e dopo aver capito cosa fosse successo ho odiato la sua memoria- si sdraiò sul letto con un sospiro –se solo fossi riuscito a trovarla prima…-
-Non ti avrebbe mai ascoltato- disse Allen, pensieroso –certo non la conosco  quanto te, ma un po’ credo d’averla capita. Rie è la cocciutaggine fatta persona, quando si ficca in testa una cosa non dev’essere facile farle cambiare idea- il biondo lo fissò lievemente stupito. Invidiava la capacità di quei ragazzi di capire le emozioni altrui. Lui era assolutamente negato per farlo.
-Deve arrivarci da sola. Credo che tu l’abbia trovata esattamente nel momento adatto, e quando la tireremo fuori da là dovrete parlare sul serio, una volta per tutte- affermò deciso. Link ridacchiò –se riusciamo davvero a portarla via, giuro che finirò la voce- mormorò tristemente.
Non dissero più niente.






Note dell'Autrice:

Ok, ok, lo so che in questi due ultimi capitoli non succede un beneamato accidente, ma ormai non ho più voglia di mettermi a modificare tutto D:
Almeno in questo qui ci sono un po' di rivelazioni (veramente ce n'è solo una, ma almeno vendiamola bene u_u)... il discorsetto di Link ha commosso pure me -SI, lo so, sono malata, nel caso che qualcuno di voi lo stesse pensando! ç__ç

Che depressione non vedere nemmeno una recensione piccina piccina T_T devo metterci un po' più d'azione in questa fanfiction!

A presto! <3

Bethan

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Capitolo 18
*** Two Generals on the same Ship. ***


Il viaggio era stato interminabile e a malapena avevano dato loro da mangiare.
Rie, in ogni caso, aveva lo stomaco chiuso.
Le manette di talismani magici la indebolivano tantissimo, togliendole anche le forze fisiche e non solo quelle dell’innocence. Sentiva i cubi dentro di sé ribellarsi a quella costrizione, evocati anche dalla sua rabbia, ma non poteva farci niente.
Rei stava accoccolata in braccio a lei, inerte, gli occhi aperti che fissavano il vuoto. Ogni tanto Rie le accarezzava la testa, ma non sapeva neppure cosa avrebbe potuto dire per tirarla su, quando a lei stessa sembrava di star sprofondando in un baratro.
Pensava a Howard, all’espressione che aveva quando era stata portata via.
Doveva tornare da lui, assolutamente, o ne sarebbero morti entrambi. La verità era che non aveva idea di come fare, l’unica soluzione le sembrava quella di scatenare l’innocence a tutta potenza, polverizzare la sede Nordamerica con tutti coloro che vi stavano dentro e poi schiattare per via dello sforzo che questo le avrebbe richiesto.
Decisamente, doveva pensare a qualcos’altro.
“Vieni a prendermi, Howard” si trovò a scongiurare, sbalordita da se stessa.
“Ho bisogno di te. Aiutami” quei pensieri le fecero salire le lacrime agli occhi. Nascose il viso nei capelli della bambina appoggiata a lei.
“Non smettere di cercarmi proprio adesso” sentì la mano piccola di Rei accarezzarle una guancia.

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Si sente scuotere lievemente, poi avverte un tocco freddo sulla guancia.
Cerca di aprire gli occhi, ma la testa le gira, e si sente debole.
Vede sfocata la figura di un uomo altissimo di fronte a lei, si spaventa.
Fa appello alle poche forze rimaste, che mosse dal terrore sono sufficienti a farla spostare bruscamente da quel tocco, portandola a rannicchiarsi in un angolino.
L’uomo le si inginocchia di fronte.
Rie non lo vede bene, ha una maschera bianca che gli copre metà del volto, e il colore rosso dei suoi capelli la intimorisce.
Rosso, come le fiamme.
-Cos’è successo?- le chiede quello con gentilezza, ma lei inizia a piangere.
-N-non volevo! Non volevo!- grida fra i singhiozzi.
Attorno a sé è terra bruciata. Solo un’ala della casa è rimasta parzialmente in piedi, ma è carbonizzata. Il resto è ridotto a un cumulo di macerie annerite e ridotte a polvere.
Sente le braccia di quell’uomo avvolgerla, calde. Anche il suo petto è caldo, e grande. Quelle braccia non sono come quelle di James, vogliono proteggerla, e Rie lo sente.
-Va tutto bene piccola. Adesso ti porto via da qui- mormora, sollevandola in braccio.
-Howard..!- esclama lei all’improvviso, ma vede il suo salvatore scuotere la testa.
-E’ al sicuro, ma non puoi vederlo adesso- dice. Rie annuisce.
-Non voglio vederlo. Basta che stia bene- sussurra, decisa.
Va bene così, pensa. Howard di sicuro la odia: non dimenticherà mai la paura che gli ha letto negli occhi, non dimenticherà mai di aver distrutto la sua famiglia.
No, non vuole rivederlo, mai più.
Mai più.
Quelle parole sono corte, ma dentro di lei producono un vuoto immenso, una sentenza.
E’ colpa mia, dicono.

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-Siamo arrivati- una voce brusca, la porta del loro scompartimento si aprì di schianto e le guardie di Lvellie le strattonarono fuori dal treno senza troppi complimenti.
-So camminare- sibilò Rie a quello che la stava tenendo per un braccio così forte da farle male.
-Non mi è stato ordinato di essere gentile- rispose secco, e la ragazza vide che era quello che si era beccato il suo calcio in faccia. Avrebbe dovuto sapere che ci sarebbero state ripercussioni, pensò stringendo i denti sotto la morsa di quelle dita adunche.
La sede Nordamerica era immensa. Entrarono in un salone gigantesco per il riconoscimento, e quando Rie vide Bak sussultò per la sorpresa e il sollievo.
Erano nella sede Asia. Lvellie le aveva mentito, Howard sarebbe stato vicino.
Il pensiero seguente la colpì però come un pugno: se Howard sapeva che lei si trovava nella sede Nordamerica, mai l’avrebbe cercata lì dove si trovava.
La tristezza fece per impadronirsi nuovamente di lei, ma la scacciò dalla sua mente.
L’uomo la fissò sbigottito, poi i suoi occhi si spostarono sulle manette addosso a lei e a Rei, e infine su Lvellie –che cosa significa?- chiese, serio.
Il sovrintendente non fece una piega –significa che dobbiamo studiare meglio l’innocence di Rie Tsubaki. Applica la solita procedura- lo fissò con uno sguardo che non ammetteva repliche, ma Bak aprì lo stesso la bocca per replicare.
Si fermò solo quando vide il cenno di diniego di Rie, che lo fissava decisa.
-Molto bene- mormorò –ci penso io- prese la ragazza sottobraccio, strappandola alla guardia, poi mise una mano sulla spalla di Rei e le condusse su una piattaforma che iniziò a scendere sempre di più.
-Rie! Ma che cosa significa? Come ha fatto a incastrarti?!- esclamò, appena furono fuori dalla portata delle orecchie di Lvellie.
La ragazza sospirò –ha minacciato di sottoporre Howard a Inquisizione se non avessi collaborato. Non avevo scelta- rispose. Il nervosismo iniziava a farsi sentire.
-Quel bastardo schifoso- imprecò Bak.
-Bak, non voglio che facciate niente, niente per tirarmi fuori di qui. Mi hai capita?- chiese Rie decisa.
-Ma sei diventata matta o cosa?!- sbottò lui –questi qui non stanno giocando! Ti tortureranno!-
-Lo so, che cosa credi?!- gli strillò lei in faccia, esplodendo definitivamente. Le loro voci rimbombarono assordanti nel tunnel che scendeva sempre di più –ci sono io di mezzo, non scordartelo. Ma non posso permettere che prendano Howard. Non posso, Bak- sussurrò, abbassando il tono.
Arrivarono, e lo scenario che le si parò davanti la riempì di un terrore folle.
Avrebbe solo voluto scappare, mentre le mani tremanti dell’uomo la incatenavano a una parete con le solite manette magiche.
-Aspetta qui. Arriveranno fra poco- mormorò.
Rie annuì, poi le luci si spensero e rimasero immerse nell’oscurità più totale.
Sentì un pianto sommesso.
-Rei?!- esclamò. I singhiozzi aumentarono.
-Va tutto bene, Rei. Non ti faranno niente- mormorò. Ne era abbastanza sicura. Quello di cui non era affatto sicura era che non facessero niente a lei.
Aveva paura, come non ne aveva mai avuta in vita sua.
I suoi pensieri si spostarono di nuovo su Howard, e la sensazione delle loro labbra che si sfioravano la colpì come un pugno.
Perché doveva perderlo ora? Perché dovevano portarla via proprio quando aveva deciso di smettere di scappare?
“Vieni a prendermi, Howard” pensò.

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La luna risplendeva nel cielo, piena, brillante come uno specchio appena lucidato, contornata dalle stelle che trapuntavano il blu della notte.
Il freddo aveva gelato i vetri delle finestre, ma lui ci appoggiò la schiena lo stesso, sentendo i brividi percorrergli la spina dorsale.
Il bicchiere tremò nella sua mano.
Chissà dov’era Rie, chissà cosa le stavano facendo, o le avevano già fatto.
Si odiò per non essere in grado di aiutarla, si odiò per non averle detto niente quando ne aveva avuto l’occasione.
“Maledetta paura” pensò, scolando tutto d’un fiato l’ennesimo sorso di cognac.
Aveva comunicato ad Hebraska cos’era successo, e lei era rimasta in silenzio.
Lo biasimava, era ovvio.
Per non aver mai parlato, per non aver mai detto a Rie la verità.
 Chinò la testa. Adesso l’unico che aveva una motivazione abbastanza forte per salvarla era lui, Howard Link. Doveva solo sperare che non si arrendesse, ma la disperazione che gli aveva letto negli occhi lasciava ben sperare.
Dei lievi colpi alla porta lo riscossero dai suoi pensieri.
Il Generale afferrò la pistola, poggiata di fianco a lui sul davanzale della finestra, e la caricò.
-Avanti- disse, cauto.
Un colpo assordante, un dolore al viso, poi fu il buio.



Note dell'Autrice:

Scusatemi, sono troppo morta causa malattie varie, esami e partenza imminente per produrre un commento decente x___x

Grazie a rose princess per la recensione <3 si, Rie è proprio sfigata. E più va avanti la storia, peggio sarà X°D non sono mai buona con le mie protagoniste, mi odiano tutte XD

Vado a dormire, Leute.

Baci <3

Bethan

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