Hello, is it me you're looking for?

di Itsamazaynx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo. ***


Primo Capitolo.
Finisco di copiare gli ultimi appunti, rileggere l’articolo e aggiustare la bozza. Soddisfatta del lavoro, chiudo la cartella e metto tutto su una penna usb. Abbasso lo sguardo sull’orologio a destra sullo schermo del pc e felice mi appoggio allo schienale della poltrona del mio ufficio.
5.45
Cinque e quarantacinque. Le sei meno un quarto. Diciassette e tre quarti, le diciotto meno quindici.
Se continui a ripeterlo, il tempo non passerà più fretta, Holly!  - dico tra me
E’ troppo presto per andare a casa, e troppo tardi per prendersi un’ora di permesso.
Devo mantenere la calma, tra poco potrò uscire da questa scatola bianca dove l’unico suono che si sente è il battito dei tasti del computer, a volte mi prendono attacchi di panico, le finestre sono minuscole e non riesco a respirare per via dell’aria viziata, ma poi mi affaccio da una di queste e il panorama che si apre davanti a me, mi tranquillizza.
Londra, una delle più belle città che esistano.
< Già finito? > la voce nasale e irritante di Jackson,  il bradipo ficcanaso-rubaspillatrici con cui per mia grande sfortuna condivido l’ufficio, mi riporta alla realtà.
< Sì > un secco sì, ecco ciò che si merita non lo sopporto, è un quarantenne che vive ancora con i genitori e trova la massima felicità girando per siti porno invece di lavorare. Quando sarò la direttrice di un importante giornale di moda farò ti tutto per farlo licenziare, lui e la segretaria del direttore si contendono il primo posto della mia lista nera.
Janet, una donna sulla sessantina, voce potente e sguardo indagatorio, è la segretaria del signor Shepperd, il direttore della redazione del mensile da quattro soldi in cui lavoro da più o meno tre mesi. Odio questo posto con tutta me stessa. Ma mi serve, ‘per farmi le ossa’ come dice mio padre. Mi serve per capire come funziona il mondo del lavoro, se voglio diventare una giornalista di cronaca conosciuta in tutto il mondo devo prima scrivere pezzi sull’eccezionale scandalo delle mozzarelle blu, come quello che ho appena finito.
 
5.50
Cinque minuti? Sono passati solo cinque minuti?
Morirò qui dentro, me lo sento. Non riuscirò mai più a vedere la luce del sole e respirare aria pulita. Mi metto a ricontrollare il pezzo, rileggerlo di nuovo. Oramai lo conosco a memoria, potrei diventare un’annunciatrice del telegiornale sarebbe bello, mi ci vedo a destreggiarmi tra notizie dell’ultima ora e interviste di ospiti illustri.
La tosse da fumatore accanito del mio ‘inquilino’ di ufficio mi dice che è quasi ora dell’uscita, accende la sua sigaretta con la stessa disinvoltura di tutti i giorni, è un gesto quotidiano che puntualmente mi dà ai nervi.
L’orologio sopra lo sportello dell’ascensore segna le sei.
E con gran calma che subito si trasforma in fretta afferro la mia borsa, il mio cappotto ed esco da quella prigione.
Lascio la pennetta alla segretaria gridandole di consegnarla al direttore il più presto possibile e mi butto letteralmente nella cabina dell’ascensore. Ansiosa che lui entri.
Chi è lui? Bè, lui è il ragazzo biondo cenere che lavora al quinto piano. Non so da quanto è qui, forse anche lui è in prova come me o forse è solo uno di quei ragazzi-postino che consegnano le ricevute dei pagamenti o appunto la posta a chi lavora lì.
So poco di lui, anzi quasi niente.
E’ irlandese, si riconosce dal suo aspetto. Ha perso l’accento, oramai si è adattato perfettamente alla metropoli londinese, potrebbe passare anche per un normale londinese solo se non fosse per i suoi  capelli biondissimi ed occhioni chiari, azzurri cielo. Io credo sia una delle creature più belle in assoluto.

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo. ***


Secondo Capitolo.
Quando l’ho visto la prima volta era il giorno del mio colloquio. Il mio primo colloquio per un lavoro serio. Non ero nervosa, ero solamente fuori di me, agitazione a mille.
 
Entrai nella cabina dell’ascensore, ero in ritardo.
Complimenti Holly, sei in ritardo al tuo primo colloquio, bella partenza!
La voce di mio padre risuonava nella mia mente, quella mattina lui mi aveva accompagnato davanti l’imminente palazzo della redazione, avendo perso il tram e non avendo la patente, lui era l’unico modo per presentarmi qui e cercare di guadagnarmi questo posto di lavoro.
Occupata a ripetere mentalmente la mia presentazione, l’esposizione del mio curriculum non mi accorsi che qualcuno era entrato e mi stava fissando.
Alzai lo sguardo e lo spettacolo che trovai, lo ricorderò per tutta la vita. Fu come se qualcuno avesse preso uno di quei grandi riflettori che si usano a teatro, e lo avesse puntato su di lui e i suoi meravigliosi occhioni luccicanti. In quel momento era forse l’unica ragione che mi teneva attaccata alla terra, la mia personale forza di gravità, un po’ come l’imprinting per i licantropi, credo si chiami proprio colpo di fulmine.
Due enormi fari, mi stavano fissando, un luminoso sorriso mi accolse e un timido < Ciao > uscì da quelle labbra.
< Ciao > risposi prontamente.
< Piacere Niall > tolse la mano dalla tasca e me la porse, la strinsi.
< Piacere Holly >
< Lavori qui? > chiese, mentre parlava non riuscivo a guardarlo in faccia così mi ritrovai a fissare intensamente le porte dell’ascensore, aspettando che si riaprissero.
< No, non ancora per lo meno, oggi ho un colloquio > dissi velocemente, questo è il solito effetto del nervosismo.
< Allora in bocca al lupo > sorrise.
< Crepi > come sempre incrociai le dita
< Sei nervosa? > mi chiese.
 risposi.
< Capisco, ho provato le tue stesse emozioni, a dire il vero le provo ogni volta che quella mucca in menopausa del mio capo mi chiama nel suo ufficio, ogni volta che ho un incarico da portare a termine > esattamente, tutta quella pressione che prova è ciò che sentivo io in quel preciso momento, il peso sulle mie spalle, la paura di non farcela e deludere chi ti ha sempre sostenuto.
< Anche tu vuoi realizzare i tuoi sogni ? > gli chiesi.
< Dimmi, chi non vuole realizzare i suoi sogni? > si voltò e mi sorrise, quel sorriso sincero mi fece rendere conto di aver appena fatto una domanda stupida, chi è che non vorrebbe che tutto ciò in cui ha sempre sperato si avverasse? Nessuno.
< E qual è il tuo sogno? > solo dopo aver pronunciato quelle parole messe in ordine confuso mi resi conto di non conoscerlo abbastanza per fargli domande del genere, di essere un ficca naso.
< Bè, il mio sogno è impossibile > oh.
< Scusa non volevo intromettermi nei tuoi affari, ma posso assicurarti che niente è impossibile, se desideri con tutto te stesso una cosa, alla fine riesci ad ottenerla > questa è la mia teoria.
< Non penso basti solo sperare, quando qualcosa è impossibile, fidati, lo è. Ora scusami, ma questo è il mio piano. > in quel preciso istante, le porte dell’ascensore si aprirono e uscì, salutandomi con un arrivederci, lasciandomi lì piena di dubbi e paure che subito si annullarono quando ripensai al suo sguardo, così spento, vuoto di fiducia.
 
Il colloquio andò bene.
Tornando a casa ripensai al suono della sua voce squillante, le mie orecchie erano incantate, era un mago ed io fui istantaneamente sua prigioniera. La cosa che più mi colpì di lui era quello sguardo, così sereno ma allo stesso tempo turbato, non ha senso lo so. Ma questa era l’impressione che mi sconvolse, improvvisamente volevo sapere tutto su di lui, scoprire perché era così pessimista sulla vita, volevo conoscere quel misterioso ragazzo.

 
 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo. ***


Terzo Capitolo.
Hello Niall!
Salgo nell’ascensore, scendo qualche piano e finalmente si ferma al tredicesimo. Aspetto alcuni secondi per far entrare la gente e tra la mandria di bufali che corre per accaparrarsi un posto, scorgo una scompigliata cresta bionda. Ciao Niall!
Vengo spinta addosso la parete di specchi da uno di quei ragazzi ventiquattrore. Sono definiti così quegli uomini vestiti tutti in tiro, con una valigetta ventiquattrore, l’auricolare sempre all’orecchio e l’immancabile faccia smorta, simile ad uno zombi. Ho stretto un patto con mio padre, se magari un giorno mi vedrà comprare una di quelle borse antiestetiche e le mie occhiaie arriveranno sottoterra, dovrà costringermi a cambiare lavoro.
Parla con un suo amico, rettifico un suo ‘strano’ amico. Indossa una maglia a righe e un paio di bretelle rosse abbinate accuratamente ai mocassini di pelle. Hey tu, tizio dall’acconciatura alquanto stramba, ti piace il rosso eh?
Smettono di parlare e quest’ultimo gli lancia uno’occhiata in direzione di una biondina imprigionata in un tallieur rosa appariscente, abbinato a un paio di decolté rosso fuoco, davvero di buon gusto, sì come no. Ma da dove è uscita quella?
Lui fa un’espressione buffa, quasi di disgusto e l’amico rimane un po’ deluso, ma non si abbatte e parte alla conquista di quella barbie da collezione.
Lui si stringe nelle spalle e si guarda intorno, per una frazione di secondo i nostri sguardi si incontrano, si accorge che lo fisso e mi sorride. Quel fantastico sorriso capace di cambiarti la giornata, migliorandola ovvio.
Gli sorrido di ricambio, assumendo il colore delle scarpe della ragazza che oramai ha dato il suo numero al tizio strambo. Dio li fa e poi li accoppia.
Niall accenna un saluto con la mano, faccio lo stesso poi si fa strada verso di me, lasciando uno ‘scusi’ qua e là e usando il suo sorriso come se fosse un permesso speciale utile per arrivare ovunque, bè non ha tutti i torni, mi chiedo: ma sei fatto dagli angeli? Se sì, bel lavoro. Volevano forse ricreare una piccola parte di paradiso e mandarla qui in terra solo per rallegrarmi le giornate? Probabile.
Finalmente mi arriva accanto e vengo inebriata dal suo profumo che si distingue dall’odore sgradevole di sudore e fumo disperso in quell’ascensore che ad ogni piano si ferma per far entrare altra gente.
< Hey > mi saluta con quell’aria da eterno bambino che ha stampata in volto, quante ragazze hai fatto fuori con quello sguardo, eh?
< Ciao Niall > ricambio il saluto.
< Com’è andata la giornata? > chiede.
< Ce ne sono state migliori > affermo un po’ sconsolata, la vita in questa redazione è dura. Sembra di essere in una giungla, chi è più scaltro, furbo e chi sa correre più veloce, vince, predomina gli altri. A volte è difficile mantenere il controllo, in fondo sono solo una ventunenne inesperta della vita.
< Bè, avrei un piano per migliorarla >
< Possiedi una fabbrica di gelato al cioccolato e io non ne sapevo niente? >
< Mi dispiace deluderti, ma no. Però esistono le gelaterie, ma sentito parlare? >
< No, mai > mi lancia finto sguardo sconvolto.
< Ti va di andare da ‘Doppia Panna’ all’angolo? > questo è un invito giusto?
< Prima mi illudi di essere il re del gelato e poi mi inviti in un’insulsa gelateria? > ci scherzo un po’ su, devo sembrare ‘normale’ o almeno non fargli vedere che muoio ogni volta che le sue labbra si increspano in una curva che porta allegria, luce. Un sorriso.
< Insulsa gelateria? Ma sei mai entrata in quel negozio? >
< Bè, a dir la verità no >
< E per quale motivo sto ancora parlando con te? >
< Non so, dovresti chiederlo a te stesso >
< Ti concedo una possibilità, se entri lì dentro e te ne innamori potrò continuare a parlare con te tranquillamente! >
< Facciamo questa prova, poi quando si parla di gelato non dico mai di no! >
< Perfetto, vieni con me > mi prende per mano e usciamo dall’ascensore.
 
 
Read me, please!
Premetto che ho aggiornato solo perché non lo facevo da quasi un mese e perché ho ricevuto quasi delle minacce di morte da Carol (lo so che stai leggendo).
Questo capitolo fa cagare, il prossimo sarà meglio. Ci sto già lavorando in pratica è quasi finito *fuckyeah* non ve lo aspettavate eh?
So.. arriverà presto, non vi farò aspettare un’altra eternità, giuro. Poi quello sarà importante, è carino cioè vanno da Doppia Panna cazzo :’) (?)
Bèèè, non ho altro da dire, spero vi piaccia e se invece succede il contrario, sentitevi liberi di farmelo sapere,
tanti abbracci,
Koala (:

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo. ***


 Quarto Capitolo.
Doppia Panna!
< Una coppa alla crema e caffè > Niall fa la sua ordinazione. Ancora affannata dalla corsa mi ritrovo seduta su uno sgabello di uno strano tavolino a forma di cono gelato, questa gelateria è tutta a tema di coni, coppette e frappè. Che posto carino.
< Per me una al cioccolato, con panna grazie >
< Ah, anche per me la panna grazie >
< Doppia? > chiede la cameriera, afferrando i menù che le porgevo.
< Doppia. > diciamo all’unisono, ci guardiamo e scoppiamo a ridere. La sua risata mi fa uno strano effetto, creature giganti come Gozilla ballano la macarena nel mio stomaco. Ma che è oh? 
< Allora come va la vita personcina con gli occhioni luminosi? > incalza il discorso facendo arrossire, di nuovo. Ma dice a me? PARLI CON ME PERSONA DI CUI FORSE SONO INNAMORATA?
< ..Va, persona di cui conosco soltanto il nome, e la tua? Com’è la vita al tredicesimo piano? > senso volerlo rivelo un particolare. Quel particolare se notato mi può far sembrare ossessionata, ma dai sono cose che si notano, il piano in cui lavora un tuo amico, si nota quando entra nell’ascensore in cui lo aspetti ansiosamente ogni giorno, si nota.
< Stressante e Horan > si passa una mano tra i capelli, come per sottolineare qualcosa.
< Horan? > guarda che lo so che sei irlandese, biondone! Tutti di te urla ‘Sono irlandese e me ne vanto!’
< Ora conosci il mio cognome > e solo ora capisco.
< Peterson >
< Piacere Holly Peterson > mi porge la mano, per ritrarla subito dopo e passarsela, di nuovo,  tra i capelli < Intendevo piacere di conoscerti Holly Peterson >
Gli sorrido come per rassicurarlo < Piacere Holly Peterson > gli porgo la mano, per la seconda volta, sembra un deja-vù.
< Piacere Niall James Horan > la stringe, che stretta calda e abbastanza forte. Mia nonna dice che ‘La stretta di mano di un uomo ti rivela segreti della sua personalità’, Niall ha le mani morbide e calde, ma il modo in cui la sua enorme, confrontata alla mia, l’ha racchiusa in una presa forte e rassicurante mi dice che è un ragazzo sicuro di se, conosce i suoi obiettivi, è determinato, anche se la morbidezza lascia capire che è dolce, addirittura debole. Almeno credo, poi magari conoscendolo a fondo è tutto il contrario e la teoria di mia nonna è completamente infondata.
< James? Fa tanto alla James, James Bond! > imito una pistola con le mani. Scoppia in una risata fragorosa che alla fine coinvolge anche me. Ma questo ragazzo ride sempre?
< Ma io sono una super spia! >
< Certo e io sono Kate Middleton >
< Non ci credi? > sguardo da sfida.
< Dimostramelo >
< So che ti chiami Holly >
< Ma te l’ho detto quando ci siamo incontrati! >
< So che hai ventuno anni >
< Non è così difficile da capire, basta sparare a caso >
< So che vivi con tuo padre e hai un cagnolino>
< Mi spaventi, come lo sai? >
< Per tuo padre, me l’ha detto Jackson >
< Jackson? Il bradipo? >
< Il mio vicino-bradipo > mi corregge facendomi l’occhiolino, no Horan, così non va proprio!
< E per il cagnolino, l’ho visto sullo sfondo del tuo cellulare, che vibra da dieci minuti! > continua indicando il mio telefono abbandonato su un angolo del tavolino.
Ero così incantata da quella singolare armonia creata dalla sua voce che non avevo sentito la vibrazione di quell’oggetto che in quel momento sembrava così inutile e fastidioso.
Il timbro della sua voce era così dolce e delicato che l’avrei lasciato parlare per anni, secoli solo per continuare ad essere cullata da quello sguardo ammaliatore.
Allarmata e rossa fino alla punta dei piedi rispondo, alzandomi e dandogli le spalle.
 
< Holly, dove diavolo sei? > chiede la voce di mio padre dal tono alto e quasi arrabbiato.
< Sono… in metropolitana >  cerco una scusa al volo
< E’ la terza volta che la scuola di Thomas mi chiama, se il mio capo scopre che sono al telefono invece di lavorare mi licenzia! Te ne sei dimenticata? >
< Scusa pà, ma è… ho avuto un contrattempo, cerco di arrivare il più presto possibile! > rispondo, chiudendo la chiamata e tornando da Niall.
 
< Scusa era mio padre, ora devo scappare, mi dispiace, ci vediamo domani okay? >
< Okay, dammi almeno il tuo numero, magari usciremo di nuovo.. possiamo provare tutte le gelaterie che vuoi! Sono stato davvero bene con te, non voglio essere invadente o non scambiarmi per uno che ci prova con tutte, cioè non volevo, se non vuoi darmelo fa niente, capisco >
Mentre parla uccidendo le sue mani e i lacci della felpa che indossa, prendo un fazzolettino fra quelli che mettono a disposizione sui tavolini e glielo scrivo.
< Sono stato bene con te, grazie per il bel pomeriggio! > e per salutarlo lo abbraccio. Forse è stato un gesto invadente ma per me è diciamo quotidiano.  Io abbraccio tutti, è un modo per dirti ti voglio bene, quando le parole mancano ma vorresti stare ore e ore a chiacchierare.
Lui ricambia, inaspettatamente devo aggiungere. Mi ritrovo così avvolta dalle sue braccia e il profumo di caffè del suo gelato.
Velocemente prendo il mio cappotto e salutandolo con un fugace ‘A domani’, esco dal locale correndo verso la metropolitana.
 



Hey Wey!
Salve, accomodatevi volete dei pasticcini? Vi preparo un tè?
Fate come se foste a casa vostra (?)
Bè, sono una donna di parola io, ho pubblicato subito subito, amatemi gente!
Allora:
spero che non ho deluso le vostre aspettative, questa storia mi esce così ad ogni capitolo mi vengono in mente idee nuove per continuare quindi se fa pena ditemelo okay?
L'ispirazione mi è venuta da un libro che ho appena finito di leggere. #nonviinteressa.
spero solo questo, vorrei tanto sapere se vi è piaciuto e cosa ne pensare, se dovrei aggiungere qualcosa o fare dei tagli, ditemi se qualcosa risulta stupida eh! çç
Ho così paura (?)
cejogjrperjgerigj bene, io vado eh.
Grazie di cuore per  aver letto, di aver recensito, di averla messa tra le seguite, preferite e tutto il resto, siete fantastici :3
Tanti abbracci,
Koala (:

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Capitolo 5
*** Quinto Capitolo. ***


Quinto Capitolo.
< Tommy! > col fiatone arrivo davanti l’asilo.
< Li! > un bambino di poco più di quattro anni si butta tra le mie braccia, lo abbraccio. Gli voglio bene.
< Ti sei dimenticata di me? >
< Sai che non potrei mai dimenticarmi di te! > Bugiarda, sei arrivata a mentire anche a tuo fratello Holly, che brava sorella che sei.
< Ho avuto un contrattempo al lavoro, tutto qua > Il senso di colpa mi assale.
 < Non fa niente > sorride, non c’è niente di più bello al mondo del sorriso di un bambino.
Ci incamminiamo verso il parco, come tutti i pomeriggi andiamo a dar da mangiare alle anatre del laghetto.
< Allora racconta, cosa hai fatto oggi a scuola? > dico porgendogli il pacchetto di pane che tenevo in borsa.
< Ho disegnato > dice tirando una briciola di mollica alle povere bestiole oramai obese per colpa mia e di mio fratello.
Oramai conosco la risposta a memoria. Mio fratello è un piccolo Picasso. Esprime se stesso, i suoi sentimenti, i suoi sogni ma anche le sue paure in disegni. Certo, per un bambino di quattro anni è naturale disegnare pupazzi a volte privi di occhi o di qualche arto o case con mille finestre, prati verde intenso e il sole giallo luminoso rigorosamente all’angolo della pagina.
Ma lui ci mette l’anima in quello che fa. In ogni disegno aggiunge una piccola parte di se stesso. Usa seicento tonalità di pastello per creare un cielo abbastanza azzurro anche se, secondo lui, quell’azzurro perfetto non lo raggiunge mai.
Il suo più grande sogno e aspirazione nella vita è possedere una scatola di pastelli da duecento colori.
E’ inutile chiedergli cosa se ne faccia di duecento colori che alla fine si ripetono, basta solo guardare la passione e la luce negli occhi che si accende quando vede una pagina di album bianca, completamente bianca. Un cielo libero di essere riempito, una storia pronta ad essere scritta. Tommy scrive storie con i suoi colori consumati. Storie di rondini libere di volare, storie di volpi che vanno sulla luna, storie di mendicanti innamorati di principesse. Tutte frutto di miscugli delle favole che nostro padre gli racconta prima di addormentarsi.
A volte vorrei tornare indietro nel tempo a quando era tutto semplice, facile e nuovo. Quando l’unico pericolo è quello di non arrivare in tempo a casa per vedere il tuo cartone preferito, quando l’unica paura era del buio pronto ad inghiottirti. Indietro a quando la mia mamma era accanto a me, pronta a mettere un cerotto sul ginocchio sbucciato in seguito all’ennesimo tentativo fallito di imparare ad andare sulla bicicletta.
Forse sto bene anche così, ma il vuoto dentro rimane, quel posto che prima era occupato che emanava amore e gioia ora è vuoto. Come il posto a tavola, come la parte destra del letto matrimoniale della camera dei miei, come il secondo scaffale dell’armadio di ciliegio in fondo al corridoio. Vuoto.
Mia madre se ne andò tre anni fa. Un tumore se la portò via qualche mese dopo la nascita di Thomas. Il dolore rimane, ma la vita va avanti e in poco tempo ti ritrovi con un pargoletto di pochi mesi tra le braccia che piange, e lì ti rendi conto che devi prendere in mano la tua vita e quella di chi sta intorno e renderla migliore.
Dopo due anni e qualche mese mi laureai col massimo dei voti, prima rispetto ai ragazzi della mia età, durante il giorno facevo da baby sitter a Tommy e la sera rintanata nella mia camera studiavo.
Ora sono qui, con un lavoro e un omaccione di quattro anni che continua a chiedere un gelato.
< Sì, andiamo ma uno piccolo però che tra poco si cena! > rispondo paziente, a volte mi stupisco da sola di quando responsabile sono diventata in questi anni, da diciottenne che si affaccia alla vita sembro una quarantenne sull’orlo di una crisi di nervi.
 
 
< Al cioccolato, giusto? > chiedo a Tommy prima di ordinare.
< Sì, senza panna >
< Ma hai intenzione di mandare in banca rotta tutte le gelaterie della città? > sbotta una voce abbastanza famigliare dietro di me.
Mi volta e testa bionda, guance rosse è di fronte a me.
< Hey, no veramente lui voleva un gelato > indico Tommy che oramai stava gustando il suo gelato sporcandosi tutta il mento.
< Allora è lui il colpevole > si abbassa alla sua altezza e gli scompiglia i capelli, Tommy fa una faccia quasi disgustata e aggiunge
< Non mi sei molto simpatico! >
< Ma Tommy, chiedi subito scusa, non si dicono queste cose! > arrossisco imbarazzata.
< Scusa, ma è vero non devi toccarmi i capelli, sei come la nonna! > mi scappa una risata, ma mi freno e subito mi scusa da parte sua
< Scusalo ma è piccolo, sai com’è.. >
< Ma figurati, ti capisco ragazzo, anche io odio quando  mi toccano i capelli! > e battono il cinque come due vecchi amici.
< Come ti chiami? > chiede Tommy
< Niall, e tu? > chiede il ragazzo biondo
< Tommy! Vieni con noi al parco? >
Lui dice sì, e lo prende per mano, lasciandomi indietro ad osservare il quadretto felice.

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Capitolo 6
*** Sesto Capitolo. ***


 Sesto Capitolo
Guardo scendere Holly e Tommy dalla mia auto, dopo aver chiacchierato e giocato a calcio per tutto il pomeriggio mi sono offerto per riaccompagnarli a casa. E’ stata una bella giornata, ho conosciuto più particolari di Holly, è una ragazza fantastica e Tommy è una forza della natura. Mi fa così tanta tenerezza. Giocare con quel bambino mi ha portato alla mente le intere giornate passate a giocare con Jake nel giardino della sua casa, adoravo passare interi pomeriggi con lui quando i miei genitori partivano per lavoro e mi lasciavano con mia nonna Juliet per intere settimane.
Devo dire che scendere a prendere il latte non è stata un’idea tanto brutta.
Oh cavolo il latte!
Dopo essermi accertato che i due siano entrati nel portone, faccio retromarcia e parto alla volta del bar.
 
 
Passano i giorni e il rapporto tra me e Holly si solidifica, diventa spesso e forte come una corda, questa ‘corda’ ci tiene uniti, legati l’uno all’altra attraverso un nodo, Tommy. Sto familiarizzando con quel bambino, ritrovo me stesso in lui, la sua voglia di vita, la sua creatività mi ricorda il sogno che avevo da bambino. Diventare un artista, colorare il cielo di mille colori diversi, con pastelli, colori a cera, con le tempere o con semplicemente una normale penna rossa, volevo spezzare quella banalità che mostrava. Odiavo il cielo e il suo terrificante colore monotono. Era a causa sua se i miei genitori non erano mai a casa. Mia madre, Amelia Likinson è un’assistente di volo e mio padre Robert Horan un pilota, dal loro amore ‘tre metri sopra il cielo’ nel vero senso della parola, sono nato io: Niall James. Mi lasciavano da mia nonna dieci giorni a settimana, ventinove ore al giorno. Anche se non mi dispiaceva trascorrere il tempo con lei, lì avevo stretto amicizia con Jake, un ragazzino dai capelli rossicci con l’innata capacità di ficcarsi nei casini.
Oltre all’aspetto fisico, noi due eravamo letteralmente agli antipodi. Io ero calmo e introspettivo, lui era sempre in movimento e odiava stare solo. Lui iperattivo, un uragano che portava sempre scompiglio con la sua risata cristallina e io, il ragazzino timido e goffo che arrossiva facilmente a qualsiasi complimento. Tra noi due c’è sempre stato un rapporto di complicità, che si era solidificato quando prima di iniziare il liceo avevo deciso di andare a vivere stabilmente da mia nonna.
Gli anni del liceo passarono in fretta, ci ritrovammo con un diploma e migliaia di sogni raggruppati durante il tempo che andavano portati alla vita, dovevamo dare un presente al nostro futuro, avevamo finalmente la libertà servita su un piatto d’argento e tutto quello che dovevamo fare era allungare la mano e afferrarla.
I primi tre mesi al college passarono tranquillamente, io lavoravo in un negozio di dischi nel pomeriggio per mantenermi e lo stesso faceva Jake. Lui era riuscito a trovare un posto che gli permetteva di guadagnare e divertirsi allo stesso tempo, faceva il cameriere in un pub, il tipico pub irlandese di cui tutto il mondo conosco solo la fama e non ciò che c’è dietro.
Dal quarto mese della nostra vita da collegiali tutto cambiò.
Jake era totalmente cambiato, lui usava la parola maturità per definire questa sbalorditiva trasformazione, io la chiamavo dipendenza.
Già, Jake era diventato un tossico. Jake si drogava, si faceva di anfetamina per stare più attendo in classe, per avere successo con le ragazze, per sentirsi forte, per sentirsi migliore. Jake aveva cominciato quasi per gioco, Jake non era riuscito a fermarsi. Jake oramai non riusciva a sopravvivere due o tre giorni senza farsi. Jake stava rovinando la sua vita con le sue stesse mani.
 
 
Quasi ogni pomeriggio all’ora dell’uscita di scuola di Tommy, Holly ed io ci incontriamo al solito parco e facciamo una passeggiata. E abitualmente dopo aver dato da mangiare alle anatre, ci fermiamo in gelateria.
E lì ogni giorno ci raccontiamo qualche particolare della nostra vita.
L’ho conosciuta a fondo, mi ha raccontato della sua famiglia, della situazione difficile cha sta vivendo da qualche anno e dei suoi studi.
Mi ha parlato del suo sogno, quello di diventare una giornalista.
Io le ho raccontato della mia famiglia, degli studi che ho fatto e di Jake.
Sì, le ho anche parlato di Jake, del nostro rapporto che si deteriorava ogni giorno. Le ho raccontato della terribile raccontata che abbiamo avuto a causa di una banale ragazza. Le ho raccontato della sua scelta di abbandonare gli studi e gli ho raccontato anche del fatto che Jake ora è in coma da quasi due anni.
Anche lei me ne ha parlato. Ho scoperto che le piace parlare. Le piace molto parlare.
Mi piace osservarla mentre parla, parla parla e parla, ma potrebbe andare avanti ore, mi piace osservarla mentre mi racconta la sua vita, mentre sposta un ciuffo di capelli biondi che sfugge dalla coda di cavallo, potrei ammirare quegli occhioni azzurri per secoli, mi ci perderei per quanto sono profondi.
Ho scoperto che è logorroica allo sfinimento, potrebbe vendere mute da sub ai pesci, sa raccontare i fatti con quel pizzico di enfasi che rende tutto più interessante.
E’ terribilmente superstiziosa, e come sospettavo è una patita dello sport. Da piccola giocava nella squadra femminile di calcio della sua scuola e al liceo, invece di entrar a far parte della solita squadra di ragazze pon pon quelle per cui i ragazzi impazziscono, lei preferiva cimentarsi in tutti gli sport possibili ed immaginabili. E’ stata campionessa di svariate competizioni che organizzava la palestra che frequentava, ma che purtroppo ha abbandonato quando la madre a causa della malattia non riusciva ad occuparsi più della famiglia.
 
< Ho una cosa per te! > annuncia Tommy uscendo di corsa dal portone della materna dirigendosi verso di me, lo vedo sventolare un foglio da disegno diviso a metà. Dopo aver rischiato un paio di volte di inciampare, arriva alla panchina dove sono seduto e si siede sulle mie ginocchia, mi porge quel foglio e lo apro. Sopra c’è disegnata una torta di compleanno strabocchevolmente piena di colori accesi. Sotto ci sono lettere messe alla rinfusa, quando Tommy si accorge della faccia che faccio cercando di capire il significato di quelle parole punta l’indice e fa legge, finge di saper leggere.
< Niall Horan, sei invitato alla più bella e supermegafantastica festa di compleanno di questo secolo! > interpreta alla perfezione quelle lettere al contrario
< E quando sarebbe questa super festa? > chiedo curioso
< Venerdì a casa mia! > risponde prontamente il ragazzino
< Allora non mancherò, campione! >
 
Prima di tutto scusate, vi chiedo perdono in ginocchio. Oramai avete imparato che sono una ritardataria cronica, chiedete in giro lo sono in tutto. Ho avuto un bel po’ da fare, non avevo ispirazione e scrivere è stato l’ultimo dei miei problemi.
.Vabbè, scusate ancora wpfojrgèehjkrt.
Primo, non so chi ancora segua questa storia, pensavate fossi morta?
Mi dispiace per voi, ma sono ancora qui a rifilarvi questi stupidi capitoli e.e
Primo, vi ringrazio per aver letto, ringrazio chi ha recensito gli scorsi capitolo e ringrazio chi ha messo la storia fra le seguite, so che è dura sopportare i miei record di non-aggiornamento quindi Grazie sul serio (:
 Secondo, ho inventato il nome della madre di Niall perché sinceramente non lo conosco, so solo quello del padre per via di Twitter tutto quel casino che si creò a Febbraio per via di Milano, Sanremo e compagnia bella.. #badmemories.
Comunque concentriamoci sulla storia.
In questo capito c’è un nuovo personaggio, Jake.
Vi ho raccontato più o meno la storia di Niall e si capisce di più anche sulla sua figura, non è famoso e non lo diventerà mai, è un semplice ragazzo che lavora, non so che età dargli, visto che Holly ha 21 anni, pensavo di dargli 23 anni o giù di lì, fate voi!
Per quanto riguarda Jake, è un non-personaggio fondamentale della storia, cioè mi spiego è un protagonista assoluto ma non avrà un parte precisa, non ci saranno mai discorsi o scene che richiedono la sua presenza, sarà un personaggio secondario abbastanza fondamentale, sì.
Ultima cosa,  chiudete un occhi e perdonate gli eventuali errori che ci possono essere, non sono una capra in grammatica ma semplicemente oltre ad essere ritardataria sono anche pigra quindi non ho riletto!
Ora vi faccio un applauso perché avete letto tutto questo spazio e boh, credo di aver detto tutto, tolgo il disturbo..
Buona serata, Chiara (:


P.s: Ho imparato ad aggiungere le gif nei capitoli, ora sono tipo innarrestabile, keep your eyes open! 

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