Le storie che a nessuno interessa raccontare

di Annoiata
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arthur Kirkland/Oscar Wilde ***
Capitolo 2: *** Seychelles (Goldie)/Jack lo Squartatore ***
Capitolo 3: *** Francis Bonnefoy/Napoleone Bonaparte ***



Capitolo 1
*** Arthur Kirkland/Oscar Wilde ***


Londra, 1888


Quella mattina Petticoat Lane brulicava di gente più del solito. Era giorno di mercato, venditori e venditrici si sgolavano, protendendosi verso la folla che come un fiume in piena attraversava confusamente le strette viuzze tra i banchi e le tende dove vi era esposta la merce. Rumorose donnone palpavano frutta e verdura, distinti signori passeggiavano tra i banchi antiquati dei librai, in cerca un un buon affare.

Un giovane dalle folte sopracciglia cespugliose sporche di fuliggine e l’espressione corrucciata si faceva strada tra la gente a testa bassa, osservando attentamente quel groviglio di piedi e seguendone quasi ipnotizzato il rumoroso scalpiccìo. Intento a conformare il suo passo cadenzato con quello frettoloso della folla, improvvisamente urtò un ignaro passante, che al contrario di lui era dedito a rimirare il cielo, altezzosa nappa all’insù.

<< By Jove! Fate più attenzione a dove guardate! >> borbottò sistemandosi l’attillato panciotto, allontanandosi incespicando.

Il ragazzo era ormai lontano dall’uomo, e si stava rigirando soddisfatto tra le mani qualcosa di luccicante: un enorme orologio da taschino placcato in oro. lo pulì accuratamente con la manica della sdrucita giacca marrone, e con un movimento furtivo se lo infilò nuovamente in tasca.

Adesso aveva abbastanza dignità da poter camminare anche lui a testa alta: la refurtiva della mattinata, oltre al cipollone, comprendeva ben tre candidi fazzoletti ricamati ed un portafoglio vuoto. Ergo, O'Bannion quella sera non avrebbe avvuto di che lamentarsi, e lo avrebbe ricompensato lautamente. Magari con una doppia razione di salsiccia, o permettendogli di andare a spassarsela con Goldie. Si leccò le labbra pensando ad entrambe le cose.

Imboccando la via d’uscita dal mercato a passo svelto, pensò che le cose stavano andando finalmente per il verso giusto. Ne aveva fatta di strada da quando era arrivato a Londra dalla campagna, scarpinando per chilometri nel fango. Ripensava a quel lungo viaggio durato settimane con amarezza, ma stava lentamente cominciando a dimenticarsene, a dimenticarsi della stanchezza e del dolore così come del volto di sua madre.

Era stato separato da sua madre anni prima. L’ultimo ricordo che aveva di lei era quello di una donna dai capelli rossi urlante, dal volto paonazzo e dagli occhi verdi accecati dalla rabbia, ma pregni di quel luccicare acquoso dovuto al troppo whisky. Era stata portata via dai Bobbies mentre si trovava chiusa in stanza in compagnia dell’ennesimo energumeno dall’alito fetido. Lui era rimasto a guardare nascosto in un mobile della cucina, senza che i poliziotti potessero vederlo. Mentre gli ufficiali di polizia lottavano per tenere ferma sua madre, l’uomo se la svignava dalla finestra con i calzoni ancora abbassati, lasciando come pagamento uno dei suoi stivali. Non seppe più nulla di sua madre.

Non riusciva a ricordare per quanto tempo era rimasto rannicchiato nel buio ad aspettare che accadesse qualcosa, quando era stato svegliato –in realtà non ricordava se stesse dormendo o se avesse semplicemente smesso di pensare- da delle voci fastidiose. Altri Bobbies ed un panciuto uomo dal cappello a tricorno lo avevano tirato fuori dal suo nascondiglio senza tante cerimonie, ed il grassone lo aveva condotto fuori di casa e, strattonandolo per chissà quanto, lo aveva portato all’orfanotrofio.

Il soggiorno al St. Mary Orphan Asylum era durato qualche mese, perchè quando divenne stanco delle percosse, del poco cibo e d’intrecciare la canapa scappò nella notte per mai più farvi ritorno.

Con tutta l’audacia che un bambino poteva possedere, aveva attraversato per miglia la campagna inglese ed era finalmente arrivato a Londra. Lì, implorando la gente per un tozzo di pane e grattando alle porte per un sorso d’acqua come un vecchio cane rognoso; era stato soccorso da due ragazzini poco più grandi di lui, che indossavano i suoi stessi vestiti sporchi e rattoppati ma che avevano l’aria scaltra e la pancia piena. Erano i ragazzi di Sean O'Bannion. Probabilmente, se non avesse incontrato quei ladruncoli, e se il vecchio irlandese non l’avesse preso sotto la sua ala, non sarebbe mai diventato un “allegeritore di tasche”. Sicuramente sarebbe morto di fame sui freddi gradini di una chiesa.

Perciò poteva ritenersi più che felice della sua situazione al momento.

Fischiettò  annoiato that made me love Mary the Rose of Tralee, facendo roteare attorno al dito la catenella del pesante orologio; allentando il passo, ormai sicuro di essere abbastanza lontano dal luogo del delitto, quando...

<< Al ladro! Al ladro! Fermate il ladro! >>

Il giovane trasalì.

Shit.

I Bobbies.

Roteò gli occhi ed emise un grugnito disgustato. Erano troppo vicini, se fosse scappato avrebbe attirato la loro attenzione. Così sgattaiolò in un vicolo e si coprì il viso lentigginoso con le falde della giacca di due taglie più grande, sperando e pregando di non venire scoperto scomodando la Vergine Maria, Gesù Cristo, Padre, Figlio e Spirito Santo, la sua buona stella e Satana.

<< Bloody Hell, fermiamoci un attimo! >> sentì ansimare << Sei proprio sicuro che sia passato di qua? Non c’è anima viva! >> continuò la voce.

<< Non c’è anima viva! Non c’è anima viva, mi dice! Peste e corna Jenkins, hai visto o non hai visto il ragazzetto che camminava ciondolando, e che si è andato a ficcare in uno di questi vicoli puzzolenti della malora? Erà lì, ti dico, è stato veloce ma io l’ho visto, la canaglia! >> rispose una seconda voce altrettando affaticata.

<< Ma Bloch, io non ho visto nulla! Smettiamola d’inseguire fantasmi, ed andiamo a farci una pinta! >> ribattè sognante la prima voce.

<< UNA PINTA!? UNA PINTA!? Te la dò io la pinta, se non pensi a fare il tuo lavoro! >> urlò intervallata da rauchi colpi di tosse il Bobby che sembrava guidare l’azione. << Però... sai che ti dico, Jenkins? La tua non è affatto una cattiva idea, no affatto. Il ladro sarà ormai lontano, e poi quel giovanotto, anche guardandolo da una certa distanza, non mi è parso avesse proprio l’aria da delinquente. Dopotutto Lord Seymour ha descritto il ladro come una canaglia dai capelli selvaggi, le sopracciglia come spazzole ed i denti alquanto sporgenti. Un individuo losco del genere si sarebbe beccato anche a distanza. Non vi pare, eh, Jenkins? Non ho forse ragione? >>

Il povero Jenkins dette ragione al suo compare, ed insieme si allontanarono per raggiungere il pub più vicino.

Intanto il ragazzo contemplava il suo riflesso in una sordida pozzanghera con aria offesa. L’identikit del vecchio rimbambito non gli rendeva certo giustizia: era giovane, ben sviluppato, dai lineamenti delicati. Un naso piccolo ed un po’ a punta, due grandi occhi verdi e denti ancora dritti e sani. Forse aveva appena la fronte un po’ troppo spaziosa, i capelli un po’ troppo irsuti, e le sopracciglia decisamente troppo grandi. Ma le ragazze di Whitechapel non si erano mai lamentate, anzi, lo guardavano in modo diverso. Era consapevole del fatto che anche quelle che non erano alla sua portata gli riservavano talvolta sguardi più intensi e voluttuosi rispetto a quelli con cui adescavano gli altri uomini.

Rasente il muro uscì dal vicolo, ed emettendo un sospiro di sollievo scivolò a terrà con un tonfo.

That was close.

Proprio mentre stava per alzarsi e tornare a confondersi tra la folla, vide passare per quella strada deserta qualcosa che lo lasciò sbalordito per un momento.

Due gentiluomini passeggiavano chiacchierando, entrambi muniti di bastone da passeggio e cappello a cilindro. Uno dei due era piuttosto anonimo, e sembrava pendere dalle labbra dell’altro. Quest’ultimo era colui che il ragazzo non aveva potuto fare a meno di notare: indossava una camicia floscia con collo rovesciato e un’ampia cravatta di un inusuale color verde, calzoncini di seta nera e calze di seta ed una giubba di velluto. Appuntato al petto portava un grande giglio bianco. Non aveva mai visto niente di più ridicolo, sembrava quasi un valletto troppo cresciuto al quale si erano ristretti gli abiti addosso. In effetti l’uomo abbigliato in quella maniera assurda era piuttosto alto e robusto; ed il suo compagno quasi scompariva dietro di lui.

Gli passarono davanti con fare snob, ed il ragazzo, un po’ perchè era curioso di sapere qualcosa un più su quel bizzaro dandy, un po’ perchè desiderava spillare qualche penny ai due; afferrò il bavero della rendigote del tizio più basso, e con il suo sgraziato accento del cockney chiese:

<< Alms, Alms, my lords! >>

L’uomo si affrettò a strappargli di mano la stoffa della redingote, schifato. Subito però si dette un contegno, e guardò implorante il suo amico.

<< Oh, povero ragazzo! Così giovane e già per le strade a mendicare! >> disse compassionevole << Non avremmo qualcosa per lui, mon ami? Io non ho un soldo, ma a te sono rimaste giusto duecento ghinee, n’est pas? >>

L’altro alzò gli occhi al cielo.

<< Proprio questo stavo per dirti >> sbuffò << io non dono denaro ai miserabili come questo ragazzo, semplicemente perchè non riesco a provare compassione per loro. Tu avresti volentieri privato il portafogli dei tuoi ultimi spiccioli per questo cencioso ragazzino perchè mosso da compassione, io invece non riesco a provare questo sentimento per qualcuno che come me non sia un artista. Ecco, se questo ragazzo fosse un artista con il quale la vita è stata ingiusta, potrei addirittura piangere per lui. Invece cos’è questo bambinetto troppo cresciuto, se non un altro dei tanti ladruncoli che Londra rigurgita? >>

L’amico, il francese, adesso guardava il gigante con ammirazione.

Il ragazzo non aveva capito una parola dell’elaborato discorso del pagliaccio, eppure qualcosa nella voce melodiosa e calda di quell’uomo vi aveva scorto un che di accattivante che gli aveva impedito di venire subito alle mani.

Quella specie di dandy però adesso si era inginocchiato davanti a lui, e lo guardava dritto negli occhi. Le labbra carnose erano chiuse in un sorriso enigmatico ed i capelli scuri portati lunghi ed arricciati gli ricadevano sulle gote rilassate.

Non sapeva bene se mettersi a ridere o meno. Aveva una testa enorme ed una figura grottesca. Eppure i suoi occhi erano profondi e magnetici.

<< Sentito, ragazzo? >> sussurrò << non possiamo darti quello che chiedi. Il mio amico, come suo solito, è senza il becco di un quattrino, e tu non riesci proprio a stimolarmi. Forse... se fossi appena un po’ più bello... >>

Il giovane spalancò gli occhi indignato.

<< Ti sei offeso, giovanotto? Davvero singolare >> disse interessato,e con una flaccida mano guantata gli sollevò il mento. Il ragazzo era come pietrificato. Poteva tirargli un pugno, ma rimase ad aspettare, studiando le intenzioni dell’uomo.

Se si fosse avvicinato di più gli avrebbe aperto la testa in due.

<< Attore >> sentenziò con fare superbo. Al ragazzo sfuggì un “cosa” divertito.

<< Dovresti fare l’attore. Non sei brutto, sei soltanto povero. Hai dei begli occhi, e dei lineamenti quasi femminei. Potresti diventare un attore, ed io potrei darti quello che vuoi. Potrei provare compassione per la tua misera situazione, se solo tu facessi qualcosa per quei vestiti. E per quest’odore. Oh, e soprattutto per queste antiestetiche sopracciglia >>

Detto questo gli sorrise boriosamente, si alzò, prese sotto braccio il francese e si allontanò senza nemmeno gettare uno sguardo sull’attonito ragazzo.

Una volta che i due furono lontani, il ragazzo si alzò barcollando come un ubriaco, tenendosi la pancia dalle risa. I suoi amici non gli avrebbero mai creduto, eppure avrebbe fatto sbellicare l’intera combriccola di O’Bannion con quella storiella.

Ormai immerso nuovamente tra la folla, gli balenò in testa un’idea bislacca che mai prima d’ora aveva accarezzato.

Arthur Kirkland, attore.

Suonava bene.

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Capitolo 2
*** Seychelles (Goldie)/Jack lo Squartatore ***


Londra, 1888


Goldie si stringeva nello scialle sfilacciato, alitando di tanto in tanto sulle manine gelide. Quella notte si era sistemata un po’ più avanti rispetto al “solito posto”, piazzandosi proprio sotto la fioca luce di un lampione, all’incrocio di Buck’s Row, vicino ad uno dei tanti mattatoi del quartiere.

Goldie non sapeva bene perchè si fosse quasi inconsciamente allontanata dal vicolo buio dove solitamente adescava i passanti. Aveva avvertito un brivido correrle lungo la schiena, una strana ed inaspettata sensazione di crescente paura insinuarsi nel petto. Sentiva che sarebbe potuta esplodere in un urlo da un momento all’altro.

Ridicolo, aveva pensato. Da quando aveva messo piede a Londra e si era messa in società con Sean O’Bannion, uno dei tanti protettori e ricettatori della città, aveva imparato a non provare più nulla. Bisognava essere insensibili per poter continuare a battere il marciapiede senza impazzire.

Eppure Goldie temeva, come una sciocca bambinetta, che all’improvviso dal buio sarebbe uscito qualcosa che l’avrebbe aggredita. Anzi, non un semplice “qualcosa”. Non un mostro delle fiabe, no. Goldie aveva paura che il buio stesso potesse prendere forma ed attacarla, avvinghiandola tra le sue spire, soffocandola come una pesante coltre di fumo nero.

Perciò Goldie era uscita dal vicolo boccheggiando, alla ricerca istintiva di una minima fonte di luce. Agognava ad uno spiraglio di luminosità così come un naufrago in balìa delle onde desidera ardentemente cacciare la testa fuori dall’acqua.

Ed eccola lì, lontano dall’atmosfera opprimente della viuzza, intenta a stringersi addosso quei pochi indumenti scollacciati che aveva provando invano a riscaldarsi le membra. Aveva la fronte imperlata di sudore ed il respiro pesante, la strada era deserta e quella poca gente che passava non sembrava affatto interessata alla mercanzia, sebbene lei cercasse come sempre di apparire più accattivante che poteva. Smontare e tornare alla taverna era fuori discussione.

Sean ti manda a battere anche se ti sei beccata la peste, e se torni a mani vuote...

Mentre era immersa nei suoi pensieri una mano ghiacciata le arpionò la spalla, facendola trasalire.

<< Glodie, tesoro! Sono io, Gill! Ti ho spaventata? >> disse ridacchiando una donna dall’età indefinibile, dal quale abbigliamento provocante e trucco esagerato si poteva dedurre il mestiere.

<< Gill... che sollievo! >> fece Goldie portandosi una mano al petto strizzato nell’attillato corsetto, ed abbracciò calorosamente la donna. Gill era poco più vecchia di lei, eppure gli anni passati sul marciapiede avevano completamente sfiorito la sua bellezza giovanile. Quando Goldie guardava Gill non poteva fare a meno di pensare che anche quello sarebbe stato il suo futuro.

<< Come sta andando? Io ho appena finito >> chiese preoccupata Gill, che vedeva negli occhi febbricitanti della giovane ragazza un velo d’inquietudine.

<< Male, Gill, malissimo. Neanche uno straccio di cliente nelle ultime due ore. Povera me, Gill, se non guadagno almeno un penny è la buona volta che Sean mi ammazza! >>

<< Devi per forza continuare il giro? Sei uno straccio, tesoro. Stai male? >>

<< Credo di avere la febbre >>

<< Perchè non vieni con me da Sykes? Mettiti in società con lui, lui non ti manda in strada se hai la febbre >> insistette l’amica.

<< Ci penserò Gill, ma adesso ho davvero bisogno di trovare un cliente >> ribattè Goldie per congedarla.

<< Allora a domani sera tesoro, io sono troppo stanca e ho freddo >>

Una volta che la donna si fu allontanata, Goldie dovette resistere più volte all’impulso di girare i tacchi r tornare sui suoi passi per ripararsi da qualche parte. Chiuse gli occhi per qualche secondo ed in questo frangente sentì il caratteristico rumore dello scalpiccìo dei cavalli ed il cigolìo ritmico delle ruote: una carrozza.

Spalancò gli occhi, ed il cocchio era proprio fermo davanti a lei. Non l’aveva nemmeno sentito arrivare, ed avendo chiuso gli occhi non era riuscita nemmeno a capire da che direzione provenisse.

Dal finestrino della carrozza si affacciò un uomo dal cappello a cilindro, ma dal volto parzialmente coperto da un fazzoletto nero. L’unica parte del corpo visibile erano i piccoli occhi pungenti.

<< Vuoi salire? >> chiese sibilando. La sua voce era roca e suadente, eppure Goldie si ritrasse istintivamente a quella richiesta. La figura sinistra ripetè la domanda.

<< Subito, my lord. Sono brava e costo poco. Non se ne pentirà, my lord >> disse Goldie abbozzando sgraziati inchini.

L’uomo la fece accomodare in carrozza prendendole la mano, ed una volta dentro le offrì un succoso grappolo d’uva.

<< Ma quella è uva! >> constatò ammirata << voi dovete essere molto ricco, my lord. Ho fatto proprio un buon affare! >>

La carrozza ripartì.

 Goldie si lasciò sfuggire un’esclamazione poco elegante, ed estasiata si mise a piluccare gli acini uno per uno. Non poteva credere di stare viaggiando in carrozza, in compagnia di un tale gentleman. Forse l’aveva notata per la sua bellezza proprio tra tutte le prostitute del quartiere. La sua vanità le faceva credere così, del resto Goldie era una delle ragazze di più giovani che bazzicavano i marciapiedi Whitechapel, e Sean le aveva espressamente detto che una bellezza esotica come la sua sarebbe stata sicuramente apprezzata dagli uomini di Londra. Era bella, Goldie. Aveva la pelle eburnea come quella d’una principessa indiana, gli occhi grandi, intensi e marroni; e delle piccole labbra rosse che avevano tentato anche i gentiluomini più composti, quando, ancora bambina, vendeva fazzoletti rubati allo Spitafield Market.

La carrozza si fermò di colpo, e per poco Goldie non si strozzò con un acino. Rise imbarazzata, ed osservò dal finestrino l’ambiente circostante.

<< Ma come? >> domandò << ci fermiamo qui, in mezzo al nulla? Credevo mi stessi portando a casa tua. Ma se poprio vuoi farlo qui, va bene. Chi sono io per mettermi contro un signore e le sue voglie... >> quindi cominciò a spogliarsi in fretta. Abbassatasi per sollevare la gonna però, scorse ai piedi dell’uomo una valigetta di cuoio che prima non aveva notato.

<< Ci sono i vostri strumenti lì dentro? Siete un dottore, per caso? >> chiese incuriosita. Per tutta risposta l’uomo aprì la valigetta con uno scatto, ed il contenuto di essa non potè fare a meno di mostrarsi agli occhi increduli della povera Goldie.

Il sorriso impertinente della ragazza si tramutò all’istante in una smorfia di terrore. Ma fu quando l’uomo si tolse lentamente il pezzo di stoffa che gli copriva il viso fin sotto gli occhi, che il grido muto d’aiuto della ragazza si tramutò in uno strillo agghiacciate.

<< Urla quanto ti pare, mia cara. Non puoi scappare da me. Io sono il buio >>

Queste furono le ultime parole che Goldie udì. Poi più nulla.

***

Grazie  per le vostre recensioni. Vorrei precisare che questo secondo capitolo parla della stessa Goldie del primo, però la storia non è continua, poichè questa è una raccolta di One-shot. Non è escluso però che a volte alcuni personaggi possano ritornare, magari in un’epoca diversa. Da adesso aggiungerò il luogo e la data in cui si svolgono gli eventi.

Cosmopolita: sono contentissima di aver attirato l’attenzione di un’altra appassionata dell’Inghilterra vittoriana come me. E sono altrettanto contente che ti sia piaciuta la mia modesta caratterizzazione di Oscar Wilde, vuol dire che far fuori biografie del cocco più o meno ogni settimana mi è stato utile!

miristar: la mia Londra ti é piaciuta? Il cuore d’Europa in quei tempi era un paiolo brulicante di feccia, ma a me è sempre piaciuta. Ho cercato di ricreare quelle atmosfere alla Dickens che tanto le calzano a pennello. Comunque spero di riuscire a continuare questa raccolta di storie, dovrebbe essere relativamente meno impegnativa rispetto alle long-fic che ho in corso.

 

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Capitolo 3
*** Francis Bonnefoy/Napoleone Bonaparte ***


Waterloo, 18 giugno 1815

Il piano di battaglia era semplice, ed a detta di Francis Bonnefoy, un vero capolavoro.

Muovere dritto al centro della linea alleata in modo da fare una breccia fra il nemico, tagliarlo in due, spingere la metà britannica su Hal e la metà prussiana su Tongres, fare di Wellington e di Blucher due enormi tronconi; prendere Mont-Saint-Jean, impadronirsi di Bruxelles, buttare il tedesco nel Reno e l’inglese nel mare. Una volta divisi, Napoleone li avrebbe bombardati senza tregua. Bisognava far convergere l’artiglieria su un dato punto, e tempestare quel punto con la mitraglia e con i cannoni. Colpire, colpire, colpire senza tregua. Mai indietro. Il generale contava sull’artiglieria, e loro ne avevano eccome.

Duecentoquaranta bocche da fuoco francesi contro centocinquantanove inglesi.

Era così facile.

Quando il giovane Bonnefoy la sera prima era stato portato da suo zio, uno dei pochissimi veterani sopravvissuti alla campagna di Russia del 1812, al cospetto del generale Napoleone; la vittoria sembrava ad uno schioppo di tiro.

Ah, le Général. Aveva dovuto pregare suo zio in ginocchio per poterlo finalmente incontrare di persona. Quella notte pioveva ed il fango ostacolava i movimenti più semplici, eppure il generale aveva acconsentito a riceverli, e Francis aveva potuto ascoltare quella che era la perfetta pianificazione della vittoria direttamente dalle sue labbra.

Era rimasto ad osservarlo in silenzio, sforzandosi di apparire più freddo e composto possibile, quando in verità si sentiva trepidante come un bimbetto che aspetta il suo primo regalo. Ma il regalo più inatteso era venuto uno volta tornati all’accampamento: lo zio gli aveva promesso che sarebbe stato destinato alla Belle-Alliance. Far parte della Belle-Alliance significava trovarsi sotto diretto comando di Napoleone, prendere ordini direttamente dal generale significava tutto, almeno per lui.                                                                  

Francis infatti era ancora uno dei pochi tra i suoi commilitoni a pronunciare il nome di Napoleone con assoluta reverenza. Dopo la fallimentare campagna di Russia e la fuga, in molti cominciavano a guardarlo con occhi diversi. Ma Napoleone era tornato, e stavolta avrebbe vinto.

Era così sicuro che avrebbe vinto.

Il generale era un genio, uno stratega superiore a tutti i capi dell’esercito francese.

Ad Abukir una delle sue palle di cannone aveva ucciso sei uomini.

Per il soldato Bonnefoy era impossible perdere quella volta. S’immaginava l’imperatore a cavallo, che scrutava il campo di battaglia da un’altura con il suo cannocchiale, il suo volto autoritario sotto il cappello a tricorno della scuola di Brienne, la divisa verde, soprabito grigio, panciotto e pantaloni di velluto, stivali con speroni d’argento e spada al fianco; pronto a scagliare l’esercito in campo aperto contro il nemico.

Ma dov’era adesso il generale?

Con suo gran dispiacere, Francis era tornato all’ultimo momento sotto il comando del principe Jérome Bonaparte, sulla strada di Nivelles, a Hugomont.

Era lì che si trovava adesso. Lui ed altri suoi commilitoni, rintanati come ratti nella cappella del castello.

L’attaco al vecchio castello di Hugomont era cominciato in ritardo, così come il resto della battaglia, ed era stato giudato in fretta e furia, troppa furia. Francis, deluso, non aveva potuto fare altro se non lasciarsi trascinare nel fango dall’intera ala sinistra francese.                                                                                                                     
Ne aveva uccisi tre, tutti inglesi. Li riconosceva dalle divise.

Proprio mentre stava per gettare a terra la sua carabina ed afferrare quella appartenuta al cadavere accanto a lui, riuscì a percepire, tra il rumore assordante degli spari, una frase distinta:

<< Balle de canon! >>

Francis non fece neanche in tempo a voltarsi, che si ritrovò a terra fra mille pezzetti di pietra e vetro. Provò un dolore acuto alle gambe, fece per gridare dal dolore ma la voce gli morì in gola. Le immagini si fecero sfocate, poi una forza sconosciuta lo costrinse a chiudere lentamente i profondi occhi azzurri.

***

Quando rinvenne la cappella era diventata una fornace. Francis era ancora sdraiato per terra, ma oltre a qualche cadavere non c’era traccia dei suoi compagni. La testa gli girava, e non riusciva a distinguere bene le voci provenienti dall’esterno.

Urla o sussurri? Spari o parole? Voci inglesi, tedesche o francesi?

Tossì violentemente a causa del fumo, e sempre per colpa di quest’ultimo gli occhi cominciarono a lacrimargli.

 Gli ci vollero pochi secondi per inquadrare la situazione, e la sua mente ormai provata restrinse il campo all’unica spiegazione possibile:  quei cani bastardi degli inglesi avevano ucciso tutti i suoi compagni ed avevano incendiato la cappella.

Doveva uscire di lì, ma non riusciva a muoversi, qualcosa gli bloccava le gambe. Spossato, alzò il collo più che potè, e con orrore scoprì che ciò che l’enorme statua in legno della Madonna appoggiata al muro gli era piombata addosso, e lo teneva inchiodato al pavimento con tutto il suo peso. Tentò allora di mettersi a sedere, reggendosi sui gomiti insanguinati in un ultimo patetico sforzo.

Subito ricadde a terra privo di energie. Chiuse nuovamente gli occhi e rassegnato, si abbandonò al suo destino.                                                                                                                                                                                          
In quegli attimi ebbe il tempo di rimettersi nelle mani di Dio e di maledire sè stesso e quella battaglia.

Francis Bonnefoy morì soffocato dal fumo e dalla stanchezza, mentre l’unico raggio di sole in quella giornata tetra, penetrato da uno spiraglio sul tetto della cappella, si chinava a baciargli il volto.

***

Eccomi qua. Come vedete in questo capitolo il personaggio storico non interagisce molto con il protagonista, ma ho voluto mantenere la figura di Napoleone distante da quella semplice del giovane soldato. Ah, e Francis si sbaglia, furono i francesi stessi ad appiccare l’incendio alla cappella a Hugomont. L’hanno lasciato lì perchè credevano fosse morto. Cosmopolita e miristar, sono contentissima che il capitolo di Sesel vi sia piaciuto, e spero con tutto il cuore che vi piaccia anche questo.

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