Scambio di coppia

di AlexDavis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Si, lo so dovrei aggiornare 'Innamorato di mia madre' e invece vengo qui con un'altra storia. Sono scema, lo so.
Chi già mi conosce saprà di cosa sto parlando, ma a chi non mi ha mai letto dico 'Benvenute'.
Sono Mary, anche se tutti mi conosceranno come Alex, non sono nuovadi qui posso considerarmi una veterana. Ho scritto molte storie in questo contest, ne ho due in corso 'Lo stagista sexy' e appunto 'Innamorato di mia madre', ne stavo scrivendo un'altra 'The Show Must Go On' ma l'ho eliminata perchè non mi piace, ma ritornerò con lei rivisionata. Ne sto scrivendo un altra tra le originali 'Due magnetici occhi azzurri'.
Questa storia mi è venuta in mente mentre stavo lavando i pieatti ieri, le mie idee mi vengono sempre quando sono sommersa dall'acqua, anche in doccia  o sotto la pioggia. L'acqua mi apre la mente, direi.
Cmq ritornando alla storia...Bella è una giornalista per un importante giornale newyorkese e si ritroverà in un situazione alquanto strana e pericolosa. Sua sorella gemella scappa qualche settimana prima del matrimonio e a lei toccherà recitare la sua parte con il fidanzato Edward. Il problema non è chissà quanto grave, ma BElla ha sempre avuto un debole per Edward, quindi sarà davvero difficile.
Spero vi piaccia.
Buonalettura.
xoxo Alex



Capitolo 1


 

Quella mattina tutto era cominciato come al solito. Sveglia alle sei e mezza, corsetta a Central Park alle sette, colazione alle otto, metropolitana alle otto e trenta e in ufficio alle nove. Sempre in perfetto orario e in perfette condizioni.
La mia segretaria appena entrata mi aveva sorriso e porto dei foglietti con dei messaggi. Quelli della sera prima che non avevo preso perché ero uscita un’ora prima e quelli di quella mattina, di persone che non aspettavano neanche che io entrassi e già mi martellavano.
Sono caporedattrice della sezione narrativa del New Yorker. Il mio lavoro consiste nel selezionare i racconti o i saggi che i miei collaboratori selezionano tra quelli che ci arrivano. La mia sezione va abbastanza bene anche perché New York è piena di persone con qualcosa da dire.
Appena entrai nel mio enorme ufficio con un altrettanta enorme vetrata che dava direttamente su New York, feci un grosso respiro e poi mi spuntò il solito sorriso soddisfatto. Quando avevo scelto la facoltà di giornalismo nessuno credeva in me, perché sono sempre stata una dalle mille idee e dai mille fallimenti o abbandoni. Quando avevo deciso di andare all’università e lo avevo comunicato ai miei mi avevano riso in faccia pensando che stessi dicendo un’altra delle mie stronzate, ma quando si erano resi conto della mia faccia seria e della determinazione che ospitava i miei occhi avevano tentato in tutti i modi di farmi cambiare idea, ma non ci erano riusciti. Mio padre mi aveva posto una condizione, lui avrebbe pagato la prima retta, ma appena avrebbe visto che le cose andavano male sarei dovuta andare a lavorare con lui in azienda. Mio padre ha un azienda di import ed export ed io avrei dovuto fargli da segretaria. Un pacchia, praticamente. Ma non era stato così, avevo portato a termine i cinque anni di università e ne ero uscita con il massimo dei voti rendendo orgogliosi tutti in specialmodo mia sorella.
Io e mia sorella siamo gemelle, abbiamo pochi minuti di differenza. Si chiama Rosalie ed è un vero angelo. Nonostante nessuno mi considerasse, lei è sempre stata l’unica che ha creduto in me fin dall’inizio anche quando facendo di tutto per deludere le persone. Lei era sempre lì con un sorriso o una carezza. Abbiamo frequentato la stessa università, solo che lei è diventata un avvocato un ottimo avvocato.
Siamo sempre stato l’una l’opposto dell’altra, ma nessuno si ama come ci amiamo noi. Lei è quella calma, ed io la casinista; lei è l’orgoglio di tutti ed io lo scarto; lei è l’angelo ed io la pecora nera; lei ha un fidanzato ed io passo da un letto all’altra con la stessa facilità con cui mia sorella cambiare le sue caste mutande. Ma questa nostra differenza e la differenza nel modo in cui ci vedevano gli altri, non ci ha mai toccate più di tanto. Non mi sono mai sentita ingannata o presa in giro da lei, né ho provato gelosia o invidia nei suoi confronti. Sapevo che era così, conoscevo i miei limiti e i miei difetti e conoscevo i pregi e le meraviglie di mia sorella.
La cosa che penso tutte le gemelle abbiano è che si è in grado di capire lo stato d’animo dell’altra senza neanche guardarla, è una sensazione a pelle. Come se l’anima fosse legata all’altra.
E in quelle due settimane nonostante Rose facesse di tutto per negarlo, qualcosa la turbava, ma se non me ne parlava lei non potevo costringerla. Conoscevo abbastanza bene mia sorella da sapere che aveva bisogno del tempo per aprirsi.
Quindi quella mattina in ufficio mi parve strano trovare quattro messaggi tutti suoi. Non feci neanche in tempo ad appoggiare il leggero cardigan sull’attaccapanni che il cellulare mi squillò, pescai nella borsa e quando lo trovai risposi senza neanche vedere chi fosse.
<< Bella, sono io. >> mi rispose mia sorella con voce strana.
<< Che succede, Rose? >> chiesi preoccupata.
Rimase in silenzio. << Sei in ufficio? Ho bisogno di parlarti da vicino. >>
<< Sono qui, ti aspetto. >> e riattaccai.
Calcolai che le servisse almeno un quarto d’ora per arrivare da casa sua al mio ufficio, quindi firmai alcune carte che mi aveva rimasto Jenna sulla scrivania, feci una telefonata e posai alcuni racconti sulla scrivania dei miei ragazzi che poi avrebbero mandato il tutto in stampa. Quando mia sorella uscì dall’ascensore io la stavo aspettando vicino alla porta del mio ufficio, mi indirizzò un sorriso che era la pessima imitazione del suo solito.
<< Vuoi un caffè? >> le chiesi avvicinandomi alla macchinetta.
Scosse la testa. << Un tè, grazie. >>
Ecco un’altra differenza. Lei aveva la fissa per il tè e le cose genuine, io amavo il caffè e facevo indigestione di cheeseburger e patatine.
Preparai il caffè e il tè alle erbe e mi accomodai di fianco a lei. La vedevo strana e sciupata, con profende occhiaie sotto agli occhi segno che era da molto che non dormiva bene.
<< Rose, cosa ti succede? >> le chiesi dolcemente appoggiandole la mano sulla gamba
Lei scosse la testa e si alzò sospirando. << Ti sei mai trovata in una situazione senza sapere come ci sei entrata? >>
Annuii. << Quasi sempre, ma questo è alla Bella Swan. >> le dissi facendola sorridere.
Ma ritornò subito seria. << Ho sempre avuto sotto controllo tutto. La mia vita, il mio lavoro, tutto, ma adesso non….mi sento compressa, Bella, mi sento sottovuoto. >> disse guardandomi.
Mi alzai e mi avvicinai a lei. << Cos’è che ti comprime? >>
Lei scosse la testa. << Non lo so… davvero, non riesco a capire cosa… >>
Le afferrai le mani tra le mie. << Rose, c’è bisogno che ti ricordi chi hai davanti? Tu sai qual è il problema, perché non me lo dici? Ti sentirai meglio. >>
Lei sospirò e sorrise amaramente. << Già. >> poi si appoggiò alla scrivania. << Edward… >> sospirò.
Edward era il suo fidanzato strafigo con cui molte volte avevo sognato di farci sesso, ma era off-limits per me. Non voglio dire di essere una santa, perché avevo avuto relazioni anche con uomini sposati o fidanzati e non mi ero mai fatta nessuno scrupolo, ma il fidanzato di tua sorella per di più gemella è proprio un campo minato impossibile da battere.  Ma nessuno mi aveva mai vietato di masturbarmi pensando a lui ed era stato davvero appagante devo dire. Edward era uno dei soci dello studio legale dove lavorava mia sorella e si era conosciuti proprio lì, si erano messi insieme e poi avevano deciso di fidanzarsi e da li ad un mese circa ci sarebbe stato il matrimonio. Quando me lo aveva presentato mi era sembrato di presentarmi ad un cubetto di ghiaccio, tanto fosse freddo e distaccato e non lo era solo con me. Trattava nella stessa maniera mia sorella che non era da meno. La loro storia per me non aveva mai avuto senso, perché non erano innamorati l’uno dell’altra, ma stavano insieme perché era comodo ad entrambi. Edward e mia sorella erano i tipi che dedicavano la loro intera vita al lavoro e a nient’altro e quando avevano trovato nell’altro un appiglio, si erano messi insieme. Si piacevano certo, perché era davvero il colmo se non si piacessero, ma non c’era passione ne desiderio a quanto ne sapevo io, non erano andati neanche a letto insieme una volta. Cosa che per me era inconcepibile, se io fossi fidanzata con uno come Edward a prescindere dal motivo ci avrei fatto sesso e non una sola volta.
<< Cosa succede con Edward? >> chiese imitando la sua posizione.
Lei fece spallucce. << Questa cosa del matrimonio e tutto il resto… mi rende nervosa. >>
<< Ti sei resa conto finalmente che il motivo non stava in piedi? >> le chiesi più acida del solito.
Lei mi lanciò un’occhiataccia. << Non è questo è che io avevo immaginato qualcosa di piccolo e intimo. Io, tu, Edward e suo fratello. Gli sposi e i testimoni. >>
Finalmente capii. Rosalie fin dall’inizio aveva detto che voleva qualcosa di intimo, ma appena nostra madre aveva saputo del fidanzamento si era messa all’opera dicendo di voler organizzare il matrimonio del secolo, un matrimonio che sarebbe rimasto sulla bocca di tutti per anni. Nessuno era riuscito a farla calmare e quindi Rosalie aveva accettato tutto, ma adesso la cosa non le stava più bene e di certo io non la potevo biasimare. Mia madre era un tipetto davvero esasperante.
<< E fallo, no? Andate fuori per il week-end, trovate un chiesetta e sposatevi. >> le dissi non capendo cosa glielo stesse impedendo.
<< E dopo? Chi lo dirà alla mamma, chi arginerà il fiume di lacrime e di lamentele? Lei ha speso tutti i suoi sogni su di me e il matrimonio. >>
Forse mia madre aveva ragione ad essere così presa ed entusiasma per questo matrimonio, perché glielo avevo detto chiaro e tondo che non mi sarei sposata e se mai l’avessi fatto sarei andata a Las Vegas in un di quelle carinissime chiesette dove dopo ti davano le tazze e quant’altro con i vostri nomi e le vostre facce sorridenti. Non sapevo se davvero fosse così, l’avevo visto in un film, ma ero curiosa di scoprirlo.
Quando le avevo detto questo mia madre era andata su tutte le furie, aveva cominciato a sbraitare. << Hai trent’anni non puoi continuare a fare la ragazzina per sempre. >> aveva urlato.
Io con calma le avevo sorriso. << Continuerò a fare sesso libero per sempre, mamma, cosa c’è di meglio? >>
Mia madre a quella risposta era quasi svenuta e mia sorella, con un sorriso divertito sul viso, le aveva sventolato una mano davanti la faccia per calmarla. Fortuna che mio padre non c’era o mi avrebbe segregata a vita.
Feci spallucce. << Cosa vuoi che sia, si rassegnerà. >> le dissi tranquillamente quasi con indifferenza.
Lei sbuffò. << Prenderai mai qualcosa con la giusta preoccupazione? >>
Scossi la testa. << Dovresti saperlo, no? >> dissi alzandomi avvicinandomi alla tazza di caffè che avevo rimasto sul tavolino.
La riempii un altro po’ e la bevvi sotto lo sguardo rassegnato di mia sorella. Ormai si limitava solo a quelli perché sapeva che con le parole non mi sarei convinta, perché la mia vita mi piaceva troppo così com’era.
Avevo un lavoro che mi piaceva e che permetteva di mantenermi un modesto attico e fare una vita agita; avevo un comitiva di amici molto unita e in continua espansione; avevo uno scopamico fisso e altri con cui mi divertivo ogni tanto. Cosa potevo chiedere di più?
Sospirò. << Che devo fare? >> chiese più a se stessa che a me.
Feci spallucce. << Intanto potresti prenderti un giorno a lavoro e passare la giornata con me al centro estetico, hai un aspetto orribile. >>
Lei s’imbronciò avvicinandosi allo specchio che avevo appeso sulla parete di fianco alla scrivania. << Faccio tanto schifo? >> chiese toccandosi le guance.
Annuii. << Tanto. Andiamo? >> le chiesi facendole segno verso la porta.
Lei sospirò. << Vorrei tanto, ma ho un’udienza tra meno di due ore e mi conviene anche andare. >> disse poi dirigendosi verso la porta oscillando sui suoi tacchi.
Infatti la mise era quella da udienze, un tailleur giacca e gonna a vita alta nero ed una camicetta grigio perla. Uno stretto chignon professionale e del trucco leggero per non apparire una stupida.
<< Vai, tigre. >> la incitai.
Lei ridacchiò e mi mandò un bacio. << Ci sentiamo stasera, okey? Fai la brava. >> si raccomandò poi prima di uscire.
Se, fai la brava, come se per me fosse facile.
 
Poche spinte e arrivai con un urlo strozzato mentre Jacob mi dava un morso sulla spalla. Quando i respiri si regolarizzarono, ci alzammo dalla mia scrivania e cominciammo a vestirci.
<< Come stai, Bells? >> mi chiese.
Io e Jacob eravamo migliori amici da una vita e ogni tanto ci divertivamo in quel modo, ma tra me e lui non era mai cambiato nulla. Lui era innamorato di una ragazza che neanche lo calcolava ed io er ben lieta di fargli dimenticare i problemi, anche perché Jacob era davvero bravo a letto.
<< Sto bene, tu? Leah? >>
Jacob fece spallucce abbottonandosi gli ultimi bottoni della giacca. Jacob era il contabile di un’azienda che aveva la sede di fianco al palazzo del mio giornale, quindi passavamo tutte le pause pranzo insieme o io da lui o lui da me come quel giorno.
<< Sta con un tatuato cocainomane del cazzo! >> disse sbuffando.
Sorrisi intenerita e mi avvicinai a lui accarezzandogli un braccio. << Ma perché non la lasci perdere, Jake? Ti sta solo facendo soffrire, non merita altro. >>
Lui mi guardò e annuì sconfitto. << Posso lasciarla perdere, ma posso smettere di amarla? >> mi chiese poi.
Scossi la testa. << Non può spegnere un interruttore, ci vuole del tempo, ma tu comincia a pensare ad altro. >>
Lui annuì poi mi guardò in modo malizioso ed io ridacchiai. << No, è tardi, devo lavorare. >>
Lui sbuffò e mi strinse da dietro. << Sarà una cosa veloce. >> mi disse all’orecchio mordendomi poi il lobo.
Scossi la testa, ma non lo fermai quando mi alzò la gonna, mi abbassò gli sleep e mi fece stendere con il petto sulla scrivania. Mi piaceva farlo in quella posizione, potevo sentirlo meglio e più in fondo. Non capivo perché le ragazze odiassero il sesso anale, perché pensassero che fosse una cosa da film porno. Anche il sesso orale può sembrare da porno, ma intanto lo facevano. Io facevo entrambe le cose, non mi ero mai negata nulla e ne avevo negato nulla a qualcuno. Era una ragazza parecchio disponibile.
Certo qualcuno potrebbe pensare che sono una puttana e che dovrei vergognarmi, ma a me piace il sesso perché dovrei frenarmi solo pensando a cosa potrebbe dire di me la gente.
Jacob entrò dentro di me lentamente e dopo avermi fatto abituare alla sua presenza cominciò a muoversi lentamente, ma con un ritmo cadenzato, come piaceva a me.
<< Vuoi ancora che me ne vada? >> mi chiese ansimando
Scossi la testa e ad una prima scossa di piacere afferrai la scrivania e mi tenni per evitare di crollare visto che le gambe mi erano diventate molli. Dopo qualche spinta venni e Jacob subito mi seguì accasciandosi sulla mia schiena.
<< Ah bhe Isabella Swan, in quanto a dimenticare le cose, sei bravissima. >> mi disse ed io ridacchiai.
Jacob se ne andò dieci minuti dopo lasciandomi da sola con i miei innumerevoli racconti da leggere. Dovevo essere brava a sceglierne perché poteva essere che qualcun potesse far fortuna scrivendo poi un libro e in un certo senso il futuro di quelle persone era nelle mie mani.
Erano le sei quando il mio telefono squillò. Era mia madre.
Feci un grosso respiro e risposi. << Ciao mamma. >>
La sentii sbuffare. << Perché mi sembra sempre che tu non abbia voglia di parlare con me? >>
<< Perché forse è davvero così? >> chiesi sicura di farla irritare.
<< Bhe oggi mi trovi male perché non ho voglia di stare alle tue provocazioni. Hai sentito tua sorella? >> mi chiese poi assumendo un tono preoccupato.
Anche lei aveva notato che qualcosa in Rose era cambiata in quel periodo. Era una madre assillate e insopportabile, ma ci amava e soffriva vedendoci preoccupate o strane.  Era un’ottima madre, dopotutto.
<< E’ venuta da me in ufficio questa mattina poi non l’ho sentita più. Perché, è successo qualcosa? >> chiesi poi preoccupandomi anche io.
<< Ha chiamato Edward dicendo che non riusciva a trovarla ne a rintracciarla e adesso mi sto preoccupando anche io. >>
Sospirai. << Adesso ci provo io e ti faccio sapere così chiami Edward. >> e riattaccai senza neanche darle il tempo di rispondere.
Rose, ma che stai facendo? chiesi al nulla.
Andai sulla rubrica per trovare il suo numero quando la casella postale mi informò che c’era un e-mail per me proprio da parte di Rosalie. L’aprii trepidante e quando la lessi per poco non mi cadde la mascella a terra. Ma si era bevuta il cervello?
 
Ciao sorellina, lo so che ci siamo viste stamattina e so anche che avevi ragione, ma non ce la faccio. Vado qualche giorno fuori città a cercare di capire che cosa voglio, sta tranquilla mi farò sentire io.
Non dire nulla alla mamma e ne a papà e neanche ad Edward, inventati qualcosa.  
Ti ricordi quando da piccole giocavamo a scambiarci i ruoli?  Bhe dovresti farlo anche adesso. Fingiti me con Edward, lui non se ne accorgerà mai.
Ti devo un favore.
Rose.  


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Holaaaaaaaa chicaaaaaa!!!
Come state, bellissime?
Eccomi ritornata con il secondo capitolo di questa storia che a quanto ho notato vi piace molto e questa cosa non può che farmi contenta.
Non posso rispondere alle vostre recensioni perchè devo scendere, vado a fare un servizio e poi vado a vedere di nuovo BD al cinema per la terza volta, certo senza contare tutte le volte che l'ho visto in streaming, ma vabbè non fa niente.
In questo capitolo si conosceranno altre persone e ancora di più la nostra Bella.
Buona lettura, angeli.
xoxo Alex




CAPITOLO 2


 

Non so per quanto tempo rimasi ad osservare quella misera e-mail dove mia sorella, la persona sana della coppia, mi chiedeva di fingermi lei con il suo fidanzato strafigo. Ma siamo seri? Come pensava che avesse in qualche modo potuto funzionare? Eravamo identiche, certo, eravamo delle vere e proprie copie, ma non pensavo assolutamente che questo avrebbe potuto ingannare Edward. Rose è una persona seria, elegante e posata ed io sembro più uno scaricatore di porto in gonna e tacchi alti.
Scossi la testa spegnendo il computer e prendendo il cellulare. Provai a chiamare Rose per un paio di volta, sul cellulare e a casa, ma non mi rispondeva. Poi chiamai il suo ufficio dove la segretaria mi disse che dopo aver lasciato il tribunale la mattina non si era più fatta sentire.
Alla fine mi decisi a chiamare mia madre dicendole che aveva avuto un contrattempo e quindi era andata fuori città, ma mi feci dare il numero di Edward così mi sarei finta lei rassicurandolo, ma preferii non metterla al corrente di quest’ultima cosa.  
Prima di chiamare lui però rimasi qualche minuto ad osservare il numero su quel pezzetto di carta. Come avrei cominciato la conversazione? Ciao amore o ehi tu?
Imprecai non molto elegantemente e composi il numero, dopo qualche squillo la sua voce calda e sensuale mi rispose. << Edward Cullen. >>
Mi schiarii la voce. << Ehm… E-edward? >> chiesi e mi maledissi da sola.

Lui rimase un attimo in silenzio. << Rosalie? >> chiese confuso.
Sospirai di sollievo almeno al telefono non mi aveva riconosciuta, ma il problema poteva sorgere quando mi avesse visto. << Ehm si, sono io. >>
<< Di chi è questa numero? >> chiese sempre più confuso.
Fatti i cazzi tuoi, avrei voluto rispondergli, ma in quel momento con era Isabella Swan il ragazzaccio, ma era la composta Rosalie, la sua fidanzata.
<< Ehm si, ho cambiato numero, mi ha dato qualche problema. >> dissi inventandomi qualcosa in quel momento.
Sentii della carta spostarsi, molto probabilmente si trovava ancora in ufficio come me a svolgere del lavoro arretrato o magari stava preparando la difesa di un suo cliente.
<< Che fine hai fatto? Dovevamo discutere della pratica Thompson, te ne sei dimenticata? >> chiese irritato.

Mi irritai immediatamente della sua totale mancanza di interesse verso mia sorella. Se il mio fidanzato fosse sparito per un giorno intero appena lo avessi sentito al telefono mi sarei preoccupata di chiedergli se stava bene e cosa gli fosse successo, ma lui si limitava a rimproverarla per la mancanza di professionalità.
<< Sono stata con mia sorella. >> gli dissi.
<< Spero non ti abbia preso tra le sue spire, quella spostata. >> disse in tono beffardo.
Subito assunsi un’espressione sbigottita a sentirlo parlare in quel modo di me. Ma come si permetteva di considerarmi una spostata, quell’egocentrico spocchioso? Certo, ero spostata in quel periodo, ma lui che mi aveva visto si e no quattro volte in tutto non aveva nessun diritto di considerarmi tale.
Gli stavo dando uno delle risposte alla Bella Swan, ma non potevo perché stavo interpretando Rose Swan e lei non sbrocca quasi mai.
<< E’ mia sorella, ci passo quanto tempo voglio. >> dissi indignata.
Lui ridacchiò e mi parve il suono più sensuale che avessi mai sentito, ma poi mi ricordai del modo in cui mi aveva etichettato e tutta l’attrazione che provavo per lui scemò in un attimo.
<< Siamo agguerrite, Rosellina? >> mi prese in giro.
Strinsi le mani a pugno fino a far diventare le nocche bianche e ad imprimere in profondità il segno delle mie unghia chilometriche, tutto pur di non mandarlo a quel paese.

<< Senti volevo dirti che passo la notte da lei e che ho bisogno di qualche giorno. >>
<< Rose hai già ottenuto una settimana, ricordi? >>  chiese divertito prendendomi per una stupida mentre io avrei preso mia sorella e le avrei fatto una faccia di schiaffi, ma siccome non l’avevo a portata di mano mi appuntai di farlo appena l’avessi vista.
<< Ehm si scusa, oggi mi sento fuori fase. >> mi giustificai arrampicandomi proprio sulle vetrate di un palazzo altro che specchi.
<< Rosalie, sicura che vada tutto okey? >> chiese ma comunque sembrava una domanda di routine e non una domanda interessata.
<< Ehm si, adesso devo andare, mi farò sentire io. >> dissi volendo staccare subito.
Lui rimase un attimo in silenzio a riflettere su qualcosa, invece io attesi terrorizzata dall’idea che avesse capito qualcosa. Il problema non era che avrebbe potuto chiamarmi in ogni modo possibile, perché comunque mi odiava già, ma mi preoccupava la reazione nei confronti di mia sorella.
<< Domani sera abbiamo la cena da mia madre, ricordi? >> mi chiese poi.
Avrei voluto sprofondare e tutto quell’amore tra sorelle svanì facendomi immaginare altre mille modi in cui avrei potuto uccidere la mia dolce e quasi morta gemella.

<< Ehm si, certo… a domani. >> dissi cercando di staccare, ma lui mi trattenne.
<< Ti passo a prendere alle otto. >> e riattaccò finalmente.
Cazzo!
 
Bevvi un po’ di birra dalla lattina ed intanto guardavo le mie due migliori amiche che stavano ponderando su tutto quello che avevo raccontato loro. Le avevo chiamate prima ancora di tornare a casa e capendo che qualcosa non andava nella mia voce si ero precipitate a casa mia portando da mangiare e da bere.
Alice, la mia migliore amica dai tempi del corso preparto, era lì che mi osservava arricciando il suo grazioso naso all’insù. Aveva la mia età, eravamo nate con qualche giorno di differenza, io ero la più grande. Alice era una donna allegra, spostata come me e generosa. Faceva la weddings planner ed aveva anche parecchio successo, tanto che riceveva clienti da quasi tutti gli Stati Uniti. Era sposata da tre anni con un pilota e avevano una bellissima bambina di due anni che era la mia figlioccia.
Al suo fianco c’era Tanya una modella che avevo conosciuto grazie ad uno dei racconti che aveva mandato al mio giornale. Tanya poteva passare per la solita ochetta bionda senza cervello, ma era laureata in letteratura con il massimo dei voti e scriveva dei bellissimi racconti. Lavorava nell’azienda del padre come addetto alle pubbliche relazioni e da quando c’era lei i clienti erano aumentati e anche i profitti rendendo suo padre felice e fiero di lei, molto più di quanto non lo fosse già.
Tanya prima di conoscermi era una ragazza tranquilla e composta, ma poi aveva avuto la sfortuna di incontrare me sulla sua candida strada ed era diventata una scapestrata, nei limiti ovviamente. Come me non aveva una storia fissa, ma comunque era in cerca del grande amore, non come me che andavo in cerca solo del grande orgasmo multiplo.
<< Sei in un bel casino, sorella. >> commentò Alice.
La guardai con fare ovvio. << Grazie per la tua illuminazione. >>

Lei mi fece una smorfia ed io la ricambiai, ma poi sorridemmo divertite dal nostro ennesimo comportamento infantile.
<< Vedi il lato positivo, puoi andarci a letto senza sentirti in colpa. >> commentò, invece, Tanya prendendo un’altra fetta di pizza.
La guardai con il sopracciglio inarcato e lei sbuffò posando la pizza e pulendosi la mano con un tovagliolino, ma mi rispose solo dopo aver bevuto dalla sua lattina di birra.
<< Tua sorella ti ha chiesto di fingerti lei, quindi ti ha dato il permesso di scopartelo. >> disse sorridendo convinta della sua teoria.
Scossi la testa e le lanciai il tovagliolo sporco in faccia ricevendo un ‘vaffanculo’ e un altrettanto fazzolettino unto.
Dopo un attimo di deragliamento ritornammo sui binari del mio problema e mi affidai alla saggia della situazione, Alice.
<< Che devo fare? >> chiesi disperata guardandola con gli occhi da cucciolo.
Si, ha trent’anni suonati mi affidavo ancora alla tattica degli occhi da cucciolo e il labbro tremulo.
Alice fece spallucce. << Non puoi che assecondare quella pazza squilibrata di tua sorella. Sta attraversando un brutto periodo e aveva bisogno di staccare la spina, il minimo che puoi fare dopo tutte le volte che ti ha coperto il culo è aiutarla. >> mi disse senza giri di parole.
Sbuffai. << Ed io che speravo in altro. Non hai, tipo, un mio clone che mi sostituisca? >> chiesi tanto per dar fiato ai denti.
Lei mi guardò come se stesse guardando una pazza o molto probabilmente la stava guardando davvero. << Ma ti ascolti quando parli? E se pure lo avessi anche lui troverebbe una scusa per non farlo. >> mi disse facendomi chiaramente capire che sono una spostata come aveva detto Edward.
Lasciai cadere il discorso perché alla fine finivano sempre per dirmi che ero una pazza e quant’altro evitando accuratamente di guardarsi allo specchio. Essere amica di una come me vuol dire essere uguale, tipo chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Io ero lo zoppo e loro le mie seguace zoppe a loro volta.
Restammo ancora un po’ a parlare fino a che Alice non ricevette una telefonata da Jasper che le diceva che la piccola non stava molto bene e quindi neanche il tempo di riattaccare era già scesa in strada a cercare un taxi. Tanya rimase ancora un po’ con me, ma poi se ne andò anche lei dicendo che aveva un aereo da prendere il giorno dopo e voleva essere riposata.
Prima di andare in bagno a fare il mio solito rituale prima di dormire, misi in ordine il salottino gettando gli avanzi di pizza, gli scatoloni e le lattine di birra. Succedeva sempre così, se ne andavano sempre tutte evitando di aiutarmi. Amiche ingrate.
Dopo aver spento le luci da tutte le parti ed essermi accertata che non fosse rimasto niente, mi diressi in camera da letto dove presi un ricambio e il mio pigiamone antistupro.
Potevo essere considerata una bomba del sesso, una insaziabile, ma quando stavo a casa mi piaceva stare comoda. In casa ero una da pigiamone, pantofole a forma di animale e mollettone in testa.
Mi feci una rapida doccia poi passai dieci minuti davanti allo specchio dedicandomi alla cura del viso. Fin dall’adolescenza avevo avuto dei problemi di acne e quant’altro e dall’ora ero diventata una fissata. La sera facevo impacchi, applicavo creme e lozioni e la mattina altrettanto. Usavo solo trucco costoso e che mi proteggesse la pelle. Avevo la pelle del viso e anche di tutto il corpo liscia come il culo di un bebè.
Dopo aver sistemato in bagno, tornai in camera e dopo aver spento la luce mi infilai sotto le coperte. Stavo per addormentarmi quando il telefono mi squillò, imprecai e risposi senza neanche vedere chi fosse.
<< Rose? >> mi chiamò Edward.
Immediatamente mi svegliai, mi schiarii la voce e risposi. << Si? >>
<< Potremmo incontrarci domani mattina? >> mi chiese, ma non mi sembrava mi stesse chiedendo un incontro galante, ma comunque dovetti rifiutare.
<< Ho… ehm… la prova dell’abito. >> dissi ricordandomi gli appunti che mia sorella mi aveva rimasto sulla segreteria telefonica.
<< Dobbiamo vederci, Rosalie. >> mi impose.
Questo suo modo di fare cominciava a darmi su i nervi davvero e non sapevo se sarei riuscita a resistere. Sperai che mia sorella si sbrigasse a pensare e a prendere quella fottuta aria che le serviva o io avrei tolto per sempre dalla faccia della terra quella fottutissima faccia di cazzo del suo fidanzato.
<< Perché? Cos’hai da dirmi? >> chiesi con calma.
Lo sentii sbuffare. << Dobbiamo parlare del tuo strano comportamento. Rosalie, non farti pregare, sia che lo odio. >> dissi irritato.
<< Ed io odio essere svegliata. Buonanotte, Edward. >> e riattaccai spegnendolo definitivamente.
Al diavolo Edward Cullen.
 
La mattina seguente nonostante tutto mi svegliai riposata e in perfetto orario. Quella mattina non dovevo andare a lavoro quindi avevo tutto il tempo di preparami e magari fare un giro in centro prima di andare all’atelier a misurare il vestito di Rose. Fortuna che avevamo la stessa taglia o mia sorella si sarebbe aggrappata al cosiddetto tram. Feci colazione con del caffè e un muffin al cioccolato, ma adesso che ci rifletto non fu proprio uno. Dopo accesi lo stereo in salotto, aspettai che le note di Express colonna sonora di Burlesque si spargesse per la casa e poi mi andare a lavare facendo uno shampoo rigenerante con tanto di impacco e contro impacco. Ero un caso disperato, secondo le mie amiche e non potevo che dar loro ragione. Ero una fissata, lo ammetto.
Dopo essermi sciacquata per bene uscii dalla doccia e mi avvolsi nel mio accappatoio di cotone viola come era il resto dell’arredamento. Io ed il viola avevamo una relazione stabile che durava da anni e non l’avevo mai tradito.
Mi asciugai i capelli facendoli ricadere in morbide e lucenti onde sulla schiena e poi passai al trucco applicando colori caldi che si sposavano bene con la mia leggere abbronzatura. La settimana prima avevo passato qualche giorno a Los Angeles per lavoro e ne avevo approfittato tornando leggermente dorata. Dopo aver finito in bagno passai nella mia stanza dove avevo preparato i vestiti da infilare. Una canotta bianca con una gonnellina arancione a vita alta che metteva in risalto le mie gambe toniche e senza un’ombra di cellulite, sopra infilai una giacca lunga marroncino chiaro come le scarpe dal tacco alto. A fine capolavoro mi osservai allo specchio e sorrisi soddisfatta.
Quando scesi giù al palazzo incontrai il figlio del portiere che mi osservò facendomi un sorrisino malizioso. Io in risposta ridacchiai. << Continua a sognare, ragazzino. >> gli dissi.
Lui sbuffò. << Tu smettila di torturarmi, Bella. >> e poi sorrise anche lui.
Chiamai un taxi e venti minuti dopo entravo nell’atelier un po’ troppo bianco e pieno di merletti per i miei gusti. Sbuffai sperando che quella tortura finisse subito, ma comunque fui costretta ad aspettare una mezz’ora prima che qualcuno si degnasse di avvicinarsi a me.
<< Signorina Swan, benvenuta. >> mi salutò una graziosa quanto grassoccia signora di massimo cinquant’anni compressa in un tailleur nero.
Sorrisi cortesemente. << Salve... >> guardai il cartellino che aveva appuntato sulla giacca in corrispondenza del suo prosperoso seno. << … signora Tipton. >>
Lei mi sorrise avvicinandosi definitivamente. << E’ venuta per il suo vestito? >> mi chiese.
Per cos’altro sarei dovuta andare lì? Molto probabilmente uno dei bignè con cui aveva fatto indigestione le era andato a finire nel cervello bloccando il normale flusso dei pensieri e della perspicacia.
Ma comunque sorrisi lo stesso. << Si, certo. >>
Lei annuì contenta e prendendomi per il braccio mi condusse verso quello che doveva essere un camerino. Più camminavamo e più il bianco delle pareti, delle porte e dei vestiti in esposizione si faceva lucente ed i miei occhi ne stavano pagando lo scotto. Restai con gli occhiali da sole per tutto il tempo, anche mentre una ragazza mi aiutava ad infilare il vestito che dovevo ammettere era davvero bello. Era avorio senza spalline, con un fiocco sotto al seno e poi scendeva stretto con lo strascico dietro. Era semplice ed elegante, era da Rose.
Mi andava perfettamente quindi non c’era bisogno che Rose tornasse una seconda volta, sempre se era ancora intenzionata a sposarlo.
<< Come lo sente? >> chiese la signora grassoccia apparsa dal nulla.
<< Perfetto. >> mi limitai a dire prima di rientrare nel camerino e chiudermi la porta dietro.
Mi rivestii, mi aggiustai i capelli, presi la borsa ed uscii fuori, ma quello che vidi mi fece gelare il sangue. C’era Edward Cullen che mi stava aspettando con le mani infilate nelle tasche del pantalone blu parte del completo giacca e cravatta che indossava.
Stavo pensando di sgattaiolare via senza farmi vedere, ma lui si girò in quel momento inchiodandomi con quel suo sguardo magnetico. Edward aveva due bellissimi e lucenti smeraldi al posto degli occhi, ma erano freddi e calcolatori come lo era lui.
Mi osservò attentamente da capo a piede con il sopracciglio inarcato nella miglior posa scettica che potesse assumere.
<< Scelta piuttosto discutibile di vestirsi. >> commentò alla fine.
Mi osservai e mi resi conto che quello che indossavo mia sorella non l’avrebbe messo neanche se l’avessero minacciata di ucciderla. Dovevo pensare che avrei potuto incontrarlo, ma avevo voluto sperare di rimandare il nostro incontro.
Mi schiarii la voce. << Bisogna cambiare ogni tanto. >>
Lui annuì, ma senza troppo interesse. << Andiamo a prendere un caffè. >> mi disse cominciando a camminare sicuro che l’avrei seguito e lo feci, non potevo fare altrimenti.
All’ingresso salutai la sinora grassoccia e poi come un condannato alla ghigliottina seguii Edward ad un bar di fronte dove ci accomodammo. << Allora? >> chiesi sperando che tutto passasse in fretta.
Mi aveva dato l’impressione di non avermi riconosciuto, ma non si sa mai.
<< Ci stai ripensando, Rosalie? >> mi chiese senza troppi giri di parole.
Di nuovo non mi sembrò troppo interessato a quello che avevo da dire e mi venne voglia di dirgli chi ero, ma sapevo che non gliene sarebbe importato nulla. Non risposi perché il cameriere ci interruppe per prendere le nostre ordinazioni.
<< Un caffè espresso, grazie. >> disse Edward senza neanche guardarlo.
Il cameriere si rivolse a me e mi sorrise, io ricambiai sorridendo lascivamente. Si, a quel tempo ero una gatta morta, ma mi piaceva provocare.
Erano le undici quindi presi un martini e dopo avermi sorriso di nuovo il cameriere sparì all’interno lasciandomi sola con Edward che mi guardava in modo strano.
<< Che c’è? >> chiese appoggiandomi allo schienale della sedia e accavallando le gambe alla Sharon Stone in Basic Instinct e sorrisi compiaciuta vedendolo sgranare leggermente gli occhi.
Ma la sua espressione durò un attimo ritornando ad essere altezzoso e arrogante avvocato Edward Cullen. << A che gioco stai giocando, Rosalie? Cosa vuoi? >> mi chiese.
Feci spallucce. << Nulla, che io sappia, ma se mi viene in mente qualcosa te lo faccio sapere. >> dissi tranquillamente sorridendo al cameriere che aveva portato le nostre ordinazioni.
Gli sorrisi di nuovo notando il piccolo pezzetto di carta che aveva infilato sotto il mio bicchiere, era probabilmente il suo nome con il suo numero che fosse avrei usato, era abbastanza carino.
Anche Edward lo notò e prima che potessi fare qualunque cosa spostò il bicchiere e lo prese leggendolo. Sgranò gli occhi nervoso, poi lo accartocciò e lo gettò nel cestino accanto a noi.
Lo guardai tranquillamente e un po’ mi compiacqui, forse qualcosa per mia sorella lo provava e non era solo per convenienza che ci stava insieme.
<< Geloso? >> chiesi alzandomi e lasciando una banconota sul tavolino.
Lui mi guardò e deglutì quando mi avvicinai a lui. << Buona giornata, Edward. >> gli diedi un bacio sulla guancia dove rimasi per un attimo interminabile e poi me ne andai sculettando pienamente cosciente dei suoi occhi piantati sul mio culo.

Questa è la canzone http://www.youtube.com/watch?v=ZhiTB3N8ous&ob=av2n 



Vestito Bella              Tanya         Alice






 

  

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve bellezze. Come state?
Io ho un cazzo di raffreddore, uff.
Cmq eccomi ritornata con il terzo capitolo di questa storia che più la scrivo e più mi piace e a quanto vedo piace anche a voi e questo mi fa davvero felice.
Cmq in questo capitolo incontreremo altre persone e coosceremo finalmente Emmett.
Buona letturo.
xoxo Alex


Capitolo 3
 

La cosa positiva di quella giornata, oltre alle due ore passate al centro benessere, fu la chiamata della segretaria di Edward che mi avvisava dell’annullamento della cena con la madre per quella sera per problemi di lavoro. Quindi avrei evitato di mentire a quella graziosa signora che avevo incontrato tanto tempo fa.
Edward, lei e suo fratello erano soli, senza un padre, non sapevo il motivo e non avevo mai chiesto. Non sono il tipo che si impiccia degli affari degli altri e di certo non avrei cominciato con quel borioso arrogante di un avvocato. Esme, aveva più o meno cinquantacinque anni lo sapevo perché Edward ne aveva trentacinque e lei era uscita incinta all’età di vent’anni. Emmett ne aveva trenta, ma era un bambinone. Esme quando nacquero i ragazzi era sposata, ma poi il marito era sparito.
L’avevo incontrata alla cena che organizzarono i miei quando Rose diede loro la notizia del fidanzamento. Avevamo parlato molto e subito mi era piaciuta, tanto da monopolizzarla per tutta la serata, ma dal suo entusiasmo nel parlare con me non le dispiaceva.
Pranzai da Alice quel giorno e dopo pranzo lei uscì per un appuntamento lasciandomi sola con la mia figlioccia. Adoravo passare del tempo con lei, era davvero uno spasso quella bambina anche se era tendente ai capricci degni solo della madre. Ma comunque passammo un bel pomeriggio fino a che non tornò Jasper e mi liquidò.
<< Me la lego al dito questa, Jazz! >> gli urlai dall’entrata.
<< Attenta a non farla tropo stretta, potrebbe fermarsi il sangue e potresti fare una brutta fine. >> mi rispose facendomi ridere.
Con Jasper era stato così dalla prima volta che Alice me lo aveva presentato. Ero arrabbiata perché pensavo me l’avrebbe portata via, ma poi quella sera dopo le continue frecciatine da parte mia si era scocciato e aveva parlato chiaro.
<< Stammi a sentire, ragazzina, sono molto più grande di te e non mi faccio prendere in giro da nessuno. Amo Alice in un modo che non puoi neanche lontanamente immaginare e se per colpa della tua lingua lunga dovessi perderla, sta sicura che ti scoverò ovunque tu sia per sbranarti. >> mi aveva detto avvicinandosi pericolosamente a me.
Lo guardai per un interminabile secondo, ma poi sorrisi soddisfatta e gli offrii la mano che lui strinse sorpreso. << Benvenuto in famiglia, Top Gun. >> gli dissi
Lui alzò un sopracciglio, ma poi sorrise. << Grazie. >> e dal quel giorno eravamo diventati amici e molte volte ci eravamo alleati contro sua moglie nei suoi momenti di esaurimento.
<< Ci vediamo, Top Gun. >> lo salutai.
<< Ciao, Bradshaw. >> mi chiamò usando il soprannome che mi aveva affibbiato.
Quando scesi in strada ci pensai su e forse aveva ragione a chiamarmi così. Ero bellissima, amavo gli uomini e amavo farci sesso, ero una giornalista, amavo le scarpe e adoravo la mia New York. Potevo essere classificata più sotto Samantha Jones, ma forse il ruolo della protagonista di Sex and the city mi si addiceva più.
Camminai per strada attirando sguardi languidi e sorrisetti maliziosi a cui io rispondevo con un sorriso altrettanto malizioso. Mi piaceva essere guardata dagli uomini e mi piaceva essere corteggiata.
In poche parole, ero nata per essere la protagonista.
 

Quella sera non avevo nessuna voglia di uscire così, dopo aver preparato qualche sandwich mi ero rintanata nel mio ufficio e mi ero messa all’opera. Avevo dei racconti da leggere e da dare poi ai miei ragazzi. Erano le dieci quando mi fermai un attimo, non per mia volontà, ma il citofono stava suonando.
<< Chi è? >> risposi.
<< Jake, apri. >> mi disse imponendomelo direttamente.
Aprii e lo aspettai appoggiata sulla porta. Quando arrivò sorrisi notando il suo abbigliamento, aveva una semplice tuta ed una busta tra le mani.
Mi sorrise, con il suo sorriso da lupetto, e mi diede un bacio sulla guancia. << Ciao piccola. >> mi salutò entrando in casa.
<< Che ci fai qui? >> chiese seguendolo in cucina dove lo vidi aprire i mobili e prendere dei piatti.
<< Avevo fame e volevo vederti, quindi ho unito entrambe le cose ed eccomi qui. >> disse sorridendomi poi e mostrandomi la busta con il cibo.
Annuii rassegnata, ormai ero abituata alle sue idee. Portammo tutto in salotto ed io lasciai fare tutto a Jake perché non ne avevo voglia e poi era lui che era piombato in casa mia all’improvviso.
La cosa positiva, era il cinese che non mangiavo da molto, quindi alla fine l’irritazione di quella visita inaspettata si dissolse.
<< Indovina un po’ chi mi ha chiamato nel suo ufficio oggi. >> mi disse all’improvviso Jake bevendo un sorso di birra.
Feci spallucce. << Il padre eterno? >> dissi beccandomi un’occhiataccia da lui e ridacchiai.
<< Leah. >> mi disse ed io subito mi interessai.
<< Allora? Racconta, non parlare come un libro stracciato. >> mi lamentai.
Lui ridacchiò. << Mi era sembrata strana già ieri pomeriggio, ma non ci ho fatto caso, però oggi quando mi ha chiamato quel presentimento è ritornato. Sono entrato nel suo studio e la prima cosa che ho notato è stata l’assenza della foto del cocainomane che aveva prima sulla scrivania. >> mi disse gongolando.
Sorrisi. << Si sono lasciati? >>
Lui annuì. << Si o almeno credo, non gliel’ho chiesto. >> disse poi ritornando serio.
Alzai un sopracciglio. << Sei scemo? >> chiesi, ma mi sembrava più una domanda retorica. Era scemo, si.
Lui sbuffò. << Ti fai raccontare, per favore? >> mi disse esasperato, io annuii e lui continuò. << Mi ha chiesto dei resoconti e poi mi ha fatto una domanda un po’ strana. Mi ha chiesto dove ero andato ieri nello spacco, quando gliel’ho detto mi è sembrata leggermente irritata, ma poi quando le ho chiesto il perché di quella domanda, ha cambiato discorso. Cosa significa? >> chiese poi.
Ridacchiai in quel momento di fronte a tutta quell’ansia, quell’ansia che era tipica delle donne e che a Jacob non calzava per niente.
Feci spallucce. << Non lo so, Jake, ogni donna è diverse e ha il suo modo di agire. Io, se avessi chiesto una cosa del genere al mio contabile sexy, lo avrei fatto perché volevo scoparmelo. Ma lei, non so. >> dissi cercando di fargli capire che non ero il portavoce di tutte le donne esistenti sulla faccia della testa.
Lui parve dimenticarsi di Leah e di altro, perché si sporse verso di me con il suo sorrisetto malizioso. << Quindi mi trovi sexy e vorresti scoparmi, eh? >> sussurrò a due centimetri dalla mia bocca.
Ridacchiai e gli diedi un bacio a stampo. << Stavamo parlando della tua bella, Jake. >>
Lui mi schiacciò completamente sul divano. << Abbiamo tempo per parlare. >> e mi baciò.
Per le due ore successive nessuno disse una sola parola, solo sospiri, ansimi, gemiti e urla da parte mia. Jacob era sempre riuscito a farmi avere un orgasmo cosa che molti uomini con cui ero stata non potevano vantarsi. Non lo so perché a volte non riesco a venire, l’ho chiesto anche alla mia ginecologa e mi ha detto che non è un problema mio, ma dell’uomo non abbastanza bravo per soddisfarmi. Abbiamo riso a quella battuta ed io ho smesso di farmi problemi.
Eravamo entrambi placidamente sdraiati sul tappetto coperti da una coperta che avevo sul divano, ero stretta al suo petto mentre lui mi accarezzava la spalla.
<< Vuoi sapere la novità? >> gli dissi.
Lui annuii ed io gli raccontai della storia di Rose ed Edward facendolo ridere. << Pensi non se ne sia accorto? >> mi chiese poi.
Feci spallucce. << Io ed Edward non abbiamo mai passato tanto tempo insieme, quindi non ci conosciamo molto. >>
<< E’ pur sempre un avvocato, Bella, lo capirà se non lo ha già capito. >> mi fece presente Jacob.
Forse Jacob aveva ragione, forse Edward lo aveva già capito, ma non aveva detto nulla per vedere fino a che arrivavo. O forse non aveva capito nulla ed io mi stavo facendo problemi inutili.
L’una o l’altra cosa, non era un mio problema, io dovevo solo tenerlo occupato fino a che mia sorella non fosse tornata poi ognuno per la sua strada.
Non mi restava che sperare che Rose ritornasse.
 
Il giorno dopo era sabato, ma se per tutti era giorno di riposo, quella mattina io andai a lavoro. Non avevo molto da fare, ma dovevo consegnare i racconti e poi dovevo prenderne altri da controllare. Molti racconti che avevo letto erano andati a finire nel cestino, perché senza capo ne coda, quello era il mio lavoro però mi dispiaceva. Così ogni volta mandavo un e-mail e mi scusavo. Il capo della baracca mi aveva detto molte volte di non farlo, che non era importante, ma avevo sempre evitato di ascoltarlo.
Quel pomeriggio tornai a casa verso le quattro e dopo aver mangiato qualcosa, cercai di chiamare Rose che fortunatamente rispose.
<< Dove cazzo stai? >> le chiesi irritata.
Sentivo uno strano brusio e della musica. << Bella… >> mi salutò.
Quella musica di sottofondo non mi era sconosciuta e dopo qualche nota mi resi conto perché.
<< Rose, non dirmi che sei con lui. >> le dissi davvero arrabbiata.
Il lui a cui mi riferivo, era il suo primo grande amore e la sua più grande delusione. Royce King, chitarrista squattrinato di un gruppo rock la cui massima aspirazione era suonare nelle case di riposo. L’aveva trattata come una pezza,  l’aveva abbandonata e lei nonostante tutta la sofferenza e le lacrime versate non aveva mai smesso di amarlo né di sperare in un suo ritorno e forse quel giorno era arrivato.
<< Bella, per favore… >> mi disse e la sentii che si allontanava da quel macello.
<< Per favore un paio di palle. Che ci fa con lui? Che cosa stai facendo, Rose? >> le chiese sempre più nervosa.
<< Avevo bisogno di capire, Bella, di capire cosa volevo. >> si giustificò.

Imprecai. << E vuoi lui, Rose, quel pezzo di merda? Lui, che ti ha lasciato non appena gli hai detto di essere incinta? >>
<< Bella… >> mi disse sofferente ed io avrei voluto tagliarmi la lingua.
Sapevo quanto quella storia la facesse ancora soffrire, nonostante quel bambino non sia mai nato, lei lo ha aveva amato dal primo secondo.
Rose, quando Royce l’aveva abbandonata, si era aggrappata con tutte le forze a quel bambino, ma dopo neanche due mesi aveva avuto un aborto spontaneo e aveva passato un anno in terapia per superarlo. Nessuno sapeva di quella storia a parte noi della famiglia e forse Edward, ma non pensavo Rose fosse arrivata a questo.
Sospirai. << Scusami, Rose, solo che… >>
<< Mi vuoi bene e non vuoi farmi soffrire, lo so. Bella, ti apprezzo per questo e ti amo ancora di più, ma lasciami fare per una volta. >> mi pregò.

Da quell’ esperienza l’avevo seguita passo per passo, non l’avevo mai lasciata diventando apprensiva e insopportabile alla stregua di mia madre. Ma Rose è la mia vita e non potevo permettere che le succedesse nient’altro perché vederla in quello stato mi aveva fatto male. E se diventare come mia madre, l’avrebbe protetta e salvata, l’avrei fatto.
Sospirai di nuovo. << Promettimi solo di tornare da me quando vedi che le cose si fanno difficili. Rose, ti prego, non… stai attenta, tesoro, okey? >>
<< Ti amo, lo sai, vero? >> mi disse, poi continuò. << Io e te, per sempre. >>
Sorrisi a quella frase. << Per sempre. >> e riattaccò.
Dopo quella telefonata non avevo voglia di fare nient’altro, solo infilarmi sotto le coperte e dormire fino al giorno dopo e ci provai, ma qualcuno verso le otto mi svegliò.
Presi il cellulare senza neanche vedere chi fosse. << Bellina! >> urlò il mio orso dall’altro capo del telefono.
Il mio orso non era altro che il fratello di Edward e ancora oggi mi domando come facciano ad essere fratelli. Uno, freddo e calcolatore, l’altro dolce e coccoloso.

<< Ciao orso. >> lo salutai svegliandomi completamente.
<< Dormivi, piccola? >> mi chiese interessato.
Annuii. << Si, ma qualcuno mi ha svegliato. >> dissi lanciandogli la frecciatina.
Lui ridacchiò. << Che cosa indossi? >> disse cambiando discorso.
Emmett era sempre stato il mago dei doppisensi e non. Lui era il tipo che in testa non aveva altro che quello e non voleva fare altro che quello.
Ci conoscevamo da molto prima che mia sorella si fidanzasse con il fratello e qualche volta avevamo anche fatto sesso, ma poi ci eravamo resi conto che non era per noi ed eravamo diventati amici, migliori amici.
<< Smettila, orso. Che cosa vuoi? >> chiesi sorridendo divertita.
<< Stasera andiamo tutti al Pacha, ci vieni? >> mi chiese speranzoso.

Guardai la sveglia digitale sul comodino e sbuffai. << A che ora? >>
<< Ti passo a prendere verso le dieci e mezzo. Allora? >> mi chiese ancora.
Non avevo molta voglia di fare baldoria, ma la prospettiva di passare un’intera serata a casa con il costante pensiero di Rose, non mi allettava.
<< Okey, ci vediamo più tardi. >> e riattaccai senza neanche aspettare una sua risposta.
Rimasi altri dieci minuti sul letto per svegliarmi completamente, poi andai in cucina e presi dalla dispensa una barretta di cioccolato. Avevo fame, ma non il tempo di cucinarmi qualcosa.
Dopo andai in bagno e mi concessi un lunghissimo e rilassante bagno nella mia enorme vasca da bagno. Mi lasciai cullare dal dolce profumo dei sali da bagno e dal calore dell’acqua e rischiai quasi di riaddormentarmi, ma  la voce di Beyoncé che proveniva dal mio stereo mi svegliò. Uscii dal bagno avvolta nel mio accappatoio e aprii il mio armadio guardando senza toccare.
<< E adesso? >> chiesi all’aria e come per magia un vestito si illuminò.
Era un vestito dorato che arrivava a metà coscia ed era bello luccicoso, lo avevo comprato in uno dei miei giri di shopping antistress. Al piede avrei infilato un paio di decolté dorate parecchio alte, ma per me erano sempre troppo basse. A stento arrivo al metro e sessantacinque quindi ho bisogno di una mano.
Scelto il vestito e accessori, mi accomodai allo specchio nella mia stanza e mi dedicai al trucco. Ero abbastanza brava anche perché Alice tempo addietro mi aveva costretto a partecipare con lei ad un corso di make up artist. Tutto sommato non era andato male anche perché l’insegnate era abbastanza carino, gay, ma un bel vedere.
Dopo asciugai i miei capelli, lasciandoli sciolti sulle spalle in morbide onde lucenti, spruzzai un po’ di lacca e il quadro era perfetto. Per le dieci ero pronta. 
Quando scesi giù al palazzo Emmett mi aspettava in tutto il suo splendore appoggiato alla sua Lamborghini. Aveva ricci capelli neri, occhi azzurri e un sexy pizzetto. Era alto più o meno un metro e ottanta, spalle larghe, ventre piatto e gambe lunghe e muscolose.

Mi sorrise e le due dolcissime fossette spuntarono sulle sue guance. << Ciao piccola, sei stupenda. >> mi disse avvicinandosi a me e dandomi un bacio sulla guancia.
Sorrisi anche io. << Grazie, anche tu sei bello. >> e gli accarezzai una guancia.
Lui sorrise. << Puoi dirlo forte, sorella. >> urlò quasi ed io risi.
Quanto era bello passare del tempo con lui?
 
Fuori al locale c’erano i ragazzi ad aspettarci. Eravamo in tutti quattro ragazze, compreso me e tre ragazzi. Ci conoscevamo da anni, eravamo un gruppo unito e scatenato.
Il più grande era Joe con i sue trentadue anni. Aveva i capelli biondo cenere e gli occhi intriganti di un verde scuro e per finire due belle labbra carnose. Poi c’era Jack, capelli biondi ed occhi azzurri, leggermente abbronzato ed un bellissimo sorriso. Era alto più o meno come Emmett e muscoloso quasi quanto lui. Si era nominato dall’inizio, la mia guardia del corpo ed io l’avevo lasciato fare perché mi piacevano le sue premure. Poi c’era Anne, che era la più piccola con i suoi ventisette anni. Aveva lunghi capelli castani e gli occhi dello stecco colore, fossette sulla guancia ed un bellissimo sorriso e con una perfetta dentatura bianca che le avevo sempre invidiato. Era alta quanto me, ma qualche chilo in meno. Poi Diane, un bellezza dai lunghi capelli biondi e dai profondi occhi azzurri. Aveva trentuno anni, ma era bellissima e non per niente faceva la modella per un nota rivista di moda. Potrebbe sembrare snob e presuntuosa, ma aveva un gran cuore ed era dolcissima. Infine, c’era Grace. Grace era l’anticonformista del gruppo, quella dai capelli quasi bianchi sopra e neri sotto acconciati perennemente in morbidi ricci. Quella dal trucco nero pesante a contornare i suoi bellissimi occhi blu. Quella dai vestitini neri in pelle e dalla perenne sigaretta tra le dita.
Appena arrivai le ragazze mi abbracciarono. << Ciao troietta. >> mi salutò Grace.
Alzai gli occhi al cielo. << Ciao anche a te. >>
Dopo aver abbracciato e baciato tutte, mi avvicinai ai miei uomini. Joe mi diede un bacio sulla guancia e mi sorrise dolcemente. << Ciao zucchero. >> mi salutò.
Sorrisi. << Come stai, Joe? >>

Lui fece spallucce. << Meglio di ieri peggio di domani. >> e sorrise enigmatico.
<< Eh che palle, Joe. >> disse Jack entrando nel discorso e sollevandomi letteralmente da terra per abbracciarmi.
Ridacchiai e gli diedi un bel bacio sulla fronte. << Jake, mi stai strangolando. >> mi lamentai.
Lui mi diede un bacio sul mento e poi mi lasciò andare sulla terra ferma, ma senza mai togliere il braccio che aveva intorno alla mia vita. Era Jake, il mio amico, quindi non mi dava fastidio anzi, mi appoggiai completamente a lui.
Quando entrammo dentro la musica ci sommerse completamente e subito la mia parte da pazza scatenata prese il sopravvento e neanche il tempo di appoggiare la borsa e il tranch nel guardaroba che avevo già trascinato Jack in pista.
Ballammo sulla voce di Rihanna e mi strusciai letteralmente su di lui, ma sapevo che non avrei procurato nessun effetto. Jack era completamente e totalmente checca e non era un segreto la sua cotta pazzesca per Joe.
Non so quanto tempo restammo in pista a scatenarci, ma poi ci fermammo perché eravamo stanchi, accaldati e assetati. Saltai sulle spalle di Jack che prontamente mi prese e facendosi spazio tra la folla si avvicinò al tavolo che i ragazzi aveva occupato nel frattempo.
Stavano già tutti bevendo qualcosa e c’erano anche due bicchieri in più, segno che avevano pensato anche a noi. La cosa però che non mi aspettavo era un’altra testa, una testa che avrei preferito non vedere. Edward Cullen mi stava guardando con un sorrisetto di scherno e con la sua impassibile faccia da schiaffi.
Scesi dalla schiena di Jack e mi accomodai accanto ad Emmett sorridendo dolcemente ad un suo bacio sulla guancia. << Ti ho preso qualcosa da bere. >> mi disse porgendomi il mio martini.
<< Grazie. >> e presi un sorso.
Lo poggiai sul tavolo e guardai Edward. << Ciao Edward. >> dissi con voce tranquilla.
Lui mi fece un cenno con la testa. << Isabella. >> disse con voce fredda.

Avrei voluto prenderlo per i capelli e sbatterlo con la faccia sul tavolino e zittirlo per sempre, mi sarei tolta un peso in più dalle palle.
<< Come mai sei qui? >> chiesi e gli feci capire esplicitamente che non ero contenta della sua presenza.
Fece spallucce. << Mi hanno invitato ed eccomi. >> per poi bere il suo whisky liscio.
Guardai Emmett e gli lanciai un’occhiataccia, lui mi sorrise dolcemente e con quegli occhi da cucciolo a cui io non riuscivo a resistere. << Me la pagherai lo stesso. >> gli sussurrai.
Lui ridacchio e mi diede un altro bacio, stavolta sul naso. << Fai la brava, micetta. >>
Dopo quello scambio di battute alquanto gelide tra me ed Edward cercai di ignorarlo, ma era difficile ignorare qualcuno che non faceva altro che fissarti intensamente con quei due smeraldi al posto degli occhi. Per tutta la serata sentii i suoi occhi addosso e molte volte ero stata tentata di girarmi verso di lui e chiedergli che cazzo voleva, ma mi ero trattenuta, non amavo dare spettacolo in pubblico.
Eravamo tutti seduti al tavolo a ridere e a scherzare quando un ragazzo, anzi un Dio greco si avvicinò. Era altissimo, molto più di me, due bellissimi occhi ghiaccio e mascella squadrata. Il mio tipo, in pratica. Con mio sommo piacere non guardò nessuno, tranne me, ed io gli restituii lo sguardo facendo un piccolo sorrisetto.

<< Ciao bellezza. Ti va di ballare? >> mi chiese con voce roca e sensuale.
Mi alzai senza dire nulla e gli offri la mano. << Certo, zuccherino. >> gli risposi.
Ci buttammo tra la mischia e subito cominciammo a muoverci a tempo di musica. Si sapeva muovere molto bene ed io ne approfittai strusciandomi su di lui e sorridendo compiaciuta quando notai che non era l’unico ad essere sveglio e attivo.
<< Sono Alex. >> si presentò sussurrando al mio orecchio.
<< Bella. >> dissi  immergendo la mano tra i suoi capelli e appoggiando l’altra sul suo petto.
Cominciai a muovere il bacio vicino al suo e lui seguì i miei movimenti mettendomi le mani sul fondo schiena. Continuammo a ballare per qualche minuto così fino a che stanca di tutto quello e impaziente di arrivare al dunque mi avvicinai al suo orecchio.
<< Spero tu abbia affittato una stanza nel privè. >> gli dissi facendogli chiaramente capire cosa volevo.

Lui annuì e prendendomi per mano si immerse nella folla dirigendosi ai privè. Le stanze non erano grandi, ma avevano dei divanetti abbastanza spaziosi, luci soffuse e pareti insonorizzate. Così che nessun suono poteva entrare e nessun gemito poteva uscire.
Quando arrivammo dentro e Alex si chiuse la porta alle spalle non gli diedi neanche il tempo di parlare e non ce ne fu bisogno neanche per la mezz’ora successiva.
 
Mi stavo allacciando le scarpe e lui si stava abbottonando la camicia. << Dio Santo, ragazza, sei… >> commentò non riuscendo a trovare però le parole.
<< Sono da una sola volta. Ciao bello. >> gli dissi poi salutandolo e uscendo dalla stanza.
Quando tornai al tavolo erano ancora tutti lì, sembrava non si fossero mossi e invece il tavolo era già ricolmo di bicchieri ed Emmett era intento ad esplorare la bocca di una ragazza. Sembrava gli stesse facendo una visita odontoiatrica o che le stesse svuotando il lavandino otturato visto i rumore che facevano.
<< Andate nel privè, cazzo. >> commentai sedendomi sulle gambe di Jack visto che la ventosa si era presa il mio posto.
<< Come hai fatto tu? >> chiese l’ultima persona che avrei voluto lo dicesse.
Mi girai verso di lui e lo fulminai con lo sguardo. << Quel è il tuo problema, Edward? E’ tutta la sera che mi sento giudicata dai tuoi occhi. >> dissi stanca di quel comportamento.
Lui fece spallucce. << Perché dovrei? Hai fatto qualcosa per cui io dovrei farlo? >>
Forse aveva ragione Jacob, forse Edward aveva capito tutti e mi stava esasperando, mi stava portando al livello di esasperazione tale da raccontargli tutta la verità.
Ma forse, l’unica cosa che Edward non aveva capito, era che ero un fottutissima bastarda, più di lui.
Edward Cullen voleva giocare e Isabella Swan avrebbe accettato la sfida.  


abbigliamento Bella
















    

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Salve ragazze belle, come state?
Io sto leggermente incazzata. Questa linea internet che appare e scopare, mi ha rotto le palle.
Cmq noto un leggero calo delle recensioni, che succede?
Vabbè comunque ringrazio tutte le ragazze che hanno letto e commentato, chi l'ha messa tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite e le lettrici silenziose.
Vi adoro tutte.
xoxo Alex


Capitolo 4


 

La mattina seguente mi svegliai con un grandissimo mal di testa, ci dovevo essere abituata con tutte le volte che in quegli anni mi ero ubriacata, ma faceva sempre male e dava un fastidio incredibile.
Quando mi girai nel letto cercando un posizione migliore andai a sbattere contro un corpo, caldo e decisamente muscoloso.
Aprii gli occhi lentamente e il tempo di mettere a fuoco sospirai di sollievo. A dormire placidamente accanto a me c’era Joe, che molto probabilmente mi aveva riportato a casa ed era rimasto a dormire da me, come a volte succedeva.
Mi girai definitivamente e dopo essermi aggiustata per bene chiusi di nuovo gli occhi per riaddormentarmi, ma qualcuno aveva deciso che non dovevo farlo. Il mio cellulare cominciò a suonare, una fastidiosa vibrazione seguita da un altrettanto fastidiosa suoneria.
Con gli occhi chiusi lo afferrai e risposi quasi ringhiando. << Dormivi, tesoro? >> mi chiese innocentemente mia madre.
Sbuffai. << Che c’è, mamma? >>
La sentii sospirare. << Quando mi tratterai bene sarà ormai troppo tardi. Vieni a pranzo da noi, oggi? >> mi chiese poi.
Passare la giornata a casa senza fare nulla e magari dormire tutto il giorno o andare a cena da mia madre e sorbirmi le sue lamentele sulla mia vita sregolata e senza uno straccio di fidanzato?
<< No, mamma, ho un impegno. >> dissi optando per la mia sanità mentale.
La sentii sospirare ancora. << Bella, ti prego. >> mi implorò.
Aprii gli occhi di scatto meravigliata, ma anche preoccupata. Da quando mia madre mi implorava?
<< E’ successo qualcosa? >> chiesi alzandomi a sedere ignorando il lenzuolo che mi era scivolato da dosso scoprendo il mio seno coperto da un misero reggiseno nero.
<< No, tesoro, tranquilla. E’ da tanto che non ci vediamo e ho anche preparato il tuo piatto preferito. >> mi disse dolcemente.
Fu il mio turno di sospirare. << D’accordo, mamma, ci vediamo più tardi. >> stavo per riattaccare, ma lei mi bloccò.
<< Tesoro, aspetta, avvisi tu Rose? >>
Cazzo e adesso? Non sapevo cosa dirle e neanche se dirle o meno la verità, però se Rose non ne aveva fatto parole voleva dire che voleva lasciare mamma fuori da tutto.
<< Ehm… no, mamma, Rose pranza con Edward e alcuni colleghi. >> dissi inventandomi una balla su due piedi.
<< Oh, vabene, allora ci vediamo dopo. >> e riattaccò.
Posai il telefono sul comodino, mi buttai letteralmente con la testa sul cuscino e sospirai, immediatamente sentii delle braccia circondarmi e della labbra posarsi sulla mia tempia.
<< Che succede? >> mi chiese preoccupato Joe.
Sospirai di nuovo e stringendomi a lui gli raccontai la situazione, rimase sconvolto, ma poi rise divertito.
<< Veramente da piccole lo facevate? >> mi chiese poi.
Annuii sorridendo divertita. << Se un ragazzo mi piaceva, ma era cotto di Rose nel momento del loro appuntamento mi ci presentavo io e me lo spupazzavo per bene. >> e ridacchiai.
<< Nessuno vi ha mai scoperto? >> chiese poi cominciando a farmi i grattini sulla pancia, una cosa che io amavo tanto.
Feci spallucce. << Nessuno si è mai lamentato. >>
Lui annuì e continuò a farmi i grattini mentre io gli accarezzavo i capelli. Non c’era nulla di malizioso in quei gesti, non c’era mai stato nulla tra noi, solo profonda e solida amicizia.
<< Sono innamorato, Bells. >> mi disse poi all’improvviso.
Sorrisi dolcemente. << E’ stupendo, Joe. Chi è la fortunata? >> chiesi e immediatamente lo sentii irrigidirsi.
Mi scostai un po’ da lui e gli alzai il viso per guardarlo negli occhi. Erano tristi e cupi e l’espressione del suo viso era così tenera che lo abbracciai e lo strinsi forte.
Si lasciò cullare da me per un po’ poi si scostò sospirando e sedendosi. << Il problema è che non è una lei… >> disse sussurrando come se non volesse farsi sentire, ma capii perfettamente.
Rimasi un po’ sorpresa. << Sei… >>
Lui scosse la testa. << No, perché a me piace solo lui. Mi conosci, Bells, io amo le donne…ma… >>
<< Ma lui ha qualcosa di speciale che ti ha colpito in pieno petto, eh? >> dissi accarezzandogli la schiena.
Lui annuì. << Centranto in un solo colpo. >> e sospirò.
Mi alzai anche io e appoggiai il mento sulla sua spalla abbracciandolo. << Chi è? >> chiesi troppo curiosa.
<< Lo conosci. >> mi disse timidamente.
Alzai un sopracciglio scettico. << Davvero? >> chiesi, ma poi cominciai a pensare. << Emmett? >>
Lui mi guardò sconvolto. << Ma sei scema? No… >>
Lo guardai un attimo poi sgranai gli occhi sorridendo a piena dentatura. << Oddio ti sei innamorato di Jack! >> urlai quasi.
Lui mi chiuse la bocca con le mani e mi gettò sul letto seguendomi e poi annuì abbassando lo sguardo imbarazzato. Ma che scemi che erano tutti e due? Si amavano e invece di dichiararsi si tenevano tutto dentro soffrendo.
Mi girai verso di lui e gli sorrisi dolcemente. << Non posso dirti nulla, ma provaci sono sicura che non rimarrai a mani vuote. >>
Lui mi guardò con i suoi occhi blu lucidi in quel momento. << Sei sicura? >> mi chiese emozionato.
Era bellissimo vederlo così emozionato e così vulnerabile. Non lo avevo mai visto così, lui si era sempre presentato come quello duro e impenetrabile. Quello pronto ad aiutarti, ma mai a farsi aiutare; quello pronto ad accontentarti senza mai chiedere nulla in cambio perchè non ne ha bisogno.
Molte volte quelle sue forti braccia mi aveva stretta a se quando ne avevo bisogno e quante lacrime di rabbia la sua maglia aveva incorporato.
Joe per me era il mio angelo custode e sapere di essere l’unica a cui aveva confidato quel segreto mi faceva sentire orgogliosa e mi faceva commuovere.
Probabilmente i miei occhi divennero lucidi perché lui mi guardò preoccupato. << Piccola, cos’hai? >>
Scossi la testa e mi gettai tra le sue braccia. << Ti voglio bene, Joe, tanto bene. >> dissi sorprendendomi e sorprendendo lui.
Io potevo essere considerata la sua versione al maschile e quindi quei gesti di affetto ed altro non erano cose di tutti i giorni.
Lui mi strinse a se. << Anche io, piccola, e grazie. >> disse dandomi poi un bacio tra i capelli.
 
Joe dopo essersi fatto una doccia e aver fatto colazione con me se ne andò perché aveva delle commissioni da fare e poi aveva intenzione di invitare a pranzo Jack e trovare finalmente il coraggio di dichiararsi.
Mentre aspettavo che si facesse l’ora per andare da mia madre, misi un po’ in ordine la casa e pulii il bagno. Le mie amiche spesso mi avevano detto che ero stupida perché comunque la signora delle pulizie sarebbe venuta il Lunedì mattina per pulire. Ma io non volevo che trovasse il mercato e quindi le dimezzavo il lavoro.
Scesi da casa vero mezzogiorno e decisi di farmi un po’ di strada a piedi, avrei potuto farla tutta, ma se volevo passare in pasticceria a prendere il dolce preferito di mio padre avevo bisogno di sostegno.
Quando uscii dalla pasticceria il mio telefono squillò, lo presi e senza guardare chi fosse risposi.
<< Rose. >> mi salutò.
Alzai gli occhi al cielo, che cosa voleva di domenica mattina? Ma non aveva una vita sociale, non aveva altro da fare oltre a lavorare e a rompermi le palle?
<< Edward. >> dissi facendogli capire tutta la mia irritazione.
Sospirò. << Potremmo vederci? Magari pranziamo insieme. >> mi disse con voce stanca.
Un po’ mi sentii in colpa in quel momento sentirlo così stanco e abbattuto. Rose e poi io gli stavamo davvero rendendo la vita difficile e lui incassava sempre, forse perché a differenza di quello che dava a vedere era innamorato di mia sorella. Forse quella situazione lo stava facendo soffrire.
<< A pranzo no, ma potremmo uscire questa sera. Ti va? >> chiesi con voce più dolce ed un atteggiamento più accondiscendente.
<< Certo, ti passo a prendere alle otto. Buona domenica, Rose. >> mi salutò poi dolcemente riattaccando.
‘Ti passo a prendere alle otto’, quindi questo implicava che io devessi farmi trovare all’appartamento di Rose e che avrei dovuto indossare i suoi indumenti. Oddio…
 
Quando arrivai a casa di mia madre tutto l’amore e la tenerezza che avevo provato per lei quella mattina svanirono immediatamente quando trovai seduto a tavola un collega di mio padre. Doveva avere massimo la mia età, con capelli biondi e perfettamente pettinati ed un paio di occhi marroni coperti da un paio di occhiali dalla montatura discutibile.
<< Salve. >> salutai quando entrai in salotto.
Mio padre alzò lo sguardo dal ragazzo e mi sorrise dolcemente. << Ciao tesoro. >>
Gli sorrisi anche io e mi avvicinai a lui dandogli un bacio sulla fronte e facendogli una carezza sulla spalla. << Stai bene, papà? >> chiese.
Lui annuì sfiorandomi un fianco. << Qualche acciacco, ma sono ancora un fighetto. >> e ridacchiò insieme a me.
Alzai lo sguardo verso il ragazzo e gli rivolsi un sorriso di circostanza. << Lei è? >> chiesi.
Lui sorrise. << Sono Albert, piacere. >> e mi offrì la mano.
La strinsi e a stento trattenni una smorfia di disgusto, aveva la mano sudata e appiccicaticcia. << Isabella. >> dissi ritraendola subito. << Ehm… vado a dare una mano a mia madre. Con permesso. >> e me ne andai.
Quando arrivai nell’enorme cucina la vidi mentre cacciava dal forno una teglia piena di pasta. Era così presa da quello che stava facendo che quando la chiamai sussultò facendo appena in tempo a posare la teglia sul marmo dell’isolotto.
Mi guardò accigliata. << Bella, tesoro, mi hai spaventata. >>
Le lanciai un’occhiataccia. << E tu mi hai preso per una stupida, per caso? >> chiesi arrabbiata.
Mi guardò confusa, interpretando egregiamente la parte della mamma ignara di tutto. Come se non fosse stata lei a chiamare quel ragazzo per accasarmi o chissà cosa.
<< Perché dici così, tesoro? >> mi chiese prendendo un cortello e cominciando a tagliare le porzioni di pasta.
<< Vuoi dirmi che non sei stata tu ad invitare Albert, che poi che cazzo di nome è? Comunque, lasciando perdere il nome, perché è qui? >> chiesi sempre più infervorata.
Fece spallucce. << Tuo padre mi aveva accennato al fatto che fosse da solo e quindi… >> e lasciò la frase in sospeso.
Stavo per saltarle addosso e darle un morso in testa, ma mi trattenni e sospirai. << Rimarrò a pranzo perché non ho cucinato nulla e poi mi dispiacerebbe per papà, ma non sperare che mi presti al tuo giochetto stupido. >> dissi per poi girare i tacchi e lasciarla da sola a servire il pranzo.
Quando arrivai in soggiorno mio padre mi rivolse un dolce sguardo e mi fece cenno di accomodarmi accanto a lui. Lo feci e gli accarezzai il dorso della mano per poi stringerla e sorridergli dolcemente.
Il rapporto con mio padre è davvero morboso, lo amo, lo amo davvero tanto. Da piccola lo consideravo il mio principe azzurro e avevo sempre detto che da grande lo avrei sposato, non mi diceva che poteva sposarmi, ma che se avesse incontrato prima me di mia madre, mi avrebbe sposato. Da piccola non sapevo che una cosa del genere fosse impossibile e quindi gli credevo, pendevo completamente dalle sue labbra.
Lo faccio tutt’ora, ma adesso sono cresciuta e mi limito un po’ anche se vederlo con quel suo visetto da bambolotto mi smuove sempre qualcosa dentro. Ho detto che lo amo, no?
<< Come stai, piccola? Il lavoro? >> mi chiese interessato snobbando completamente il suo collega.
<< Molto bene, grazie. Il lavoro è pesante, ci sono sempre più racconti da mandare in stampa e sempre più delusioni da dare. >> spiegai facendo spallucce.
<< Albert, sai, mia figlia è caporedattrice al New Yorker. >> si vantò mia madre entrando con i piatti.
Alzai gli occhi al cielo e guardai mio padre che mi fissò divertito per poi sorridere dolcemente a mia madre che gli posò davanti il piatto di pasta.
<< Davvero? Di cosa ti occupi? >> mi chiese direttamente quello dal nome orrendo.
<< Settore narrativa. >> dissi telegrafica.
Non volevo parlare con lui, non perché mi stesse antipatico o altro non lo conoscevo, solo che mi sembrava una cosa programmata e non mi piaceva. Non mi andava giù questa mania di mia madre nell’accasarmi, non mi andava che cercasse di programmarmi un matrimonio così da avere due figlie sposate in casa.
Il ragazzo annuì leggermente stranito dal mio atteggiamento, mia madre mi ammonì con lo sguardo, ma io la ignorai iniziando a mangiare e a parlare di politica e quant’altro con mio padre. Albert si unì alla conversazione, facendo qualche commento ogni tanto, ma non provò mai più a parlare direttamente con me ne a farmi nessuna domanda di alcun genere.
Quando me ne andai da quell’inferno dove mia madre non aveva fatto altro che elogiarmi, cosa alquanto strana visto che non perdeva occasione di criticarmi, erano le cinque. Avevo passato tutto il pomeriggio stretta a mio padre prendendo in giro implicitamente Albert e alla fine lui se ne era uscito con una frase che aveva fatto completamente schizzare fuori il cervello a mia madre.
<< Dove andrai per il quattro luglio, Albert? >> chiese mia madre riferendosi alla festa che sarebbe arrivata da li a qualche settimana.
<< Il mio ragazzo verrà dalla Francia e passeremo la giornata insieme. >> disse contento finalmente di rivederlo.
Io e mio padre avevamo a stento trattenuto una risata guardando la faccia sconvolta di mia madre. Da quella dichiarazione mi ero comportata diversamente nei suoi confronti, mi ero rivolta a lui con più dolcezza.
Tornai a casa e neanche il tempo di rientrare che mi squillò il telefono. Era Alice, e passai a parlare con lei per un’oretta più o meno e così il tempo passò in fretta.
Dal mio cassetto presi un cambio, afferrai un paio di scarpe e sperai che mia sorella avesse qualcosa da abbinarci, afferrai altre cose che potevano servirmi e me ne andai.
Edward sarebbe venuto a casa di Rose ed io dovevo farmi trovare lì, certo ero terrorizzata all’idea di scavare tra gli abbigliamenti di mia sorella che la cosa più normale e sexy che aveva era una camicetta bianca ed un paio di jeans stretti. Lo sapevo perché in una delle nostre giornate glieli avevo comprati di nascosti e mai una volta glieli avevo visti indosso.
Quando arrivai in casa sua mi arrivò al naso un odore di lavanda, il suo odore. Amavo quel profumo.
Mi diressi direttamente in bagno ed i miei occhi si illuminarono alla vista dell’enorme vasca da bagno, molte volte ero andata da lei solo per fare un bagno. Anche la mia era grande e spaziosa, ma la sua era gigantesca.
Mi concessi un bagno di quasi un’ora e mezza, poi fui costretta ad uscire perché Edward sarebbe arrivato a momenti e Rose era un tipo abbastanza puntuale, diciamo era una maniaca della puntualità. Anche il suo ciclo era puntuale in modo raccapricciante.
Dopo aver asciugato i capelli ed essermi truccata leggermente, aprii l’armadio e mi venne il terrore. Ma che cazzo si metteva questa?
Alla fine fui costretta a prendere quel paio di jeans che le avevo comprato che mi stavano alla perfezione, anzi mi stavano come una seconda pelle, infilai la camicetta a body bianca e sbottonai i primi bottoni esponendo la mia terza abbondante. Andai in cerca di qualcosa da mettere su, perché comunque la sera la temperatura si abbassava leggermente nonostante stessimo alla fine di Giugno.
Fortunatamente e per mia grande sorpresa trovai una giacca scozzese nei toni del beige e del bianco che si abbinava perfettamente anche alle scarpe alte che avevo portato.
A lavoro ultimato mi guardai allo specchio e sorrisi divertita. << Cazzo, sembro davvero lei. >> commentai ad alta voce.
Proprio in quel momento bussarono al citofono e senza vedere chi fosse uscii dall’appartamento  chiudendo tutto. Quando scesi giù Edward era appoggiato alla sua macchina, in pantaloni classici neri e camicia azzurra. Era bellissimo e la sua aria da bello e dannato era un vero colpo per me.
Mi avvicinai a lui sorridendo, o almeno cercando di farlo. << Edward. >> lo salutai.
Lui mi fece un sorrisetto storto e altamente erotico e mi si avvicinò. << Ciao Rose. >> soffiò sulla mia guancia prima di darmi un bacio.
Sgranai gli occhi per la sorpresa e per un attimo pensai che il cuore mi stesse schizzando fuori tanto batteva velocemente.
Che cazzo gli è preso?
 
 
  abbigliamento Bella per l'uscita con Ed.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Salve ragazze, scusate il ritardo.
Come state? Anche da voi sono venuti i pinguini? Da me si gela, non si può stare.
Cmq eccomi ritornata con il nuovo capitolo molto movimentato e... no, non ve lo dico, leggete e lo scoprirete.
Ringrazio tutte le lettrici silenziose e chi recensisce, le ragazze che l'hanno messa nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite.
Vi adoro tutte come sempre.
Buona lettura.
xoxo Alex.
ps. Buona Natale in anticipo.
pps questo è il mio profilo fb http://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=343001115725965&id=100000482385010#!/profile.php?id=100000482385010


 

Capitolo 5

 

Tutto sommato la mia recita stava andando bene, stavo facendo esattamente ciò che avrebbe fatto Rose. Ignorare il suo fidanzato, non l’avevo mai vista fare una cosa del genere, ma me lo aveva raccontato. Mi aveva detto delle loro rare volte a cena fuori e non avevano fatto altro che parlare di lavoro senza mai sbilanciarsi troppo. Ma come cavolo si poteva sposare una persona così sexy e non… farci nulla? Si doveva avere un autocontrollo pazzesco e magari essere frigida e….Rose lo era?
Edward era tranquillo e canticchiava a bassa voce una canzone che stava passando in radio. Visto così sembrava un ragazzo normale uno capace anche di ridere e provare qualcosa, ma era tutta apparenza ed io questo lo sapevo. Sapevo benissimo come poteva essere freddo e arrogante, solo che non capivo perché.
Da quando Rose ci aveva presentati la prima volta avevo subito notato il suo ignorarmi e disprezzarmi come se gli avessi fatto chissà quale torto o altro. Ma il problema era che non gli avevo fatto nulla non l’avevo neanche preso molto in considerazione troppo presa da Emmett che quella sera era particolarmente allegro. Forse gli aveva dato fastidio l’essere ignorato? Bhe a me aveva dato fastidio lo sguardo di sufficienza che aveva rivolto a mia sorella. Mi ero comportata di conseguenza e se adesso lui mi odiava di certo a me non importava, continuavo a magiare e a scopare anche senza di lui.
<< Rose, dove vorresti andare? >> mi chiese riportandomi alla realtà.
Mi girai verso di lui e rimasi piacevolmente sorpresa dal suo sguardo tranquillo ed il suo sorriso sereno. Davvero sembrava un ragazzo diverso.
Feci spallucce. << Non lo so, tu dove vorresti andare? >>
<< Ehm… direi che a cena fuori non è… ho pranzato da mia madre ho fatto rifornimento per l’inverno. >> disse facendo una battuta e dandosi un buffetto sulla sua pancia piatta.
Per un momento mi immaginai poter toccare quella sua pancia e vedere se era così scolpita come diceva Rose, ma poi mi riscossi e cercai di sorridere alla sua battuta.
<< Bhe… ti va il bar dell’Empire Hotel? >> chiesi ricordando di quel grazioso bar sul tetto.
Era piena estate e quindi non era il caso di chiudersi dentro, quindi quella era la scelta giusta anche perché sapevo che piaceva anche a Rose e quindi non era un passo falso.
Lui annuì. << Certo, mi piace molto lì. >> commento prendendo la strada per arrivare all’hotel.
Non parlammo per il resto del viaggio e a me stava più che bene, non avevo nessuna voglia di fingere o almeno non ero ancora pronta per farlo del tutto. Avevo già finto con lui, ma era stato per poco tempo, adesso saremmo stati insieme per un po’ e quindi dovevo prepararmi psicologicamente alla tortura. Tortura perché sapevo benissimo che Edward avrebbe tentato in qualche modo di adempiere ai suoi doveri di fidanzato e questi includevano attenzioni particolari, carezze e baci, mi fermavo a questo perché non osavo pensare a quello che avrebbe potuto chiedere sotto casa. Ma comunque su quel campo forse potevo stare tranquilla visto che Rose mi aveva confidato che solo una volta avevano superato quel confine ed erano entrambi ubriachi.
E se avesse voluto? Se all’improvviso si fosse reso conto che tutta quella reticenza da parte di Rose gli stava stretta? Cosa avrei dovuto fare se avesse avuto intenzione di fare sesso? Se ci avesse provato, sorella o no, l’avrei strozzata.
Mi conoscevo sapevo che se Edward ci avesse provato con me ci sarei cascata, perché cazzo era davvero sexy ed io non ho mai rifiutato un ragazzo sexy. Forse il fatto che fosse il fidanzato di mia sorella mi avrebbe fermato… all’inizio, ma poi ci sarei cascata.
Faccio schifo, lo so, ma a quel tempo mi piaceva il sesso e mi piaceva Edward. Che avrei dovuto fare?
<< Siamo arrivati. >> la voce di Edward mi riportò in quella macchina.
<< Eh? Ah si… >> dissi riscuotendomi ed uscendo dalla sua macchina e che macchina.
Non mi venne ad aprire la portiera come succedeva nei film e gli fui grata, non avrei sopportato tutta quella galanteria.
Lui mi aspettava sul marciapiede e quando mi avvicinai mi porse il braccio facendomi segno. Che? Voleva che mi appoggiassi a lui? In che secolo eravamo?
Io avrei accettato in un'altra situazione e con un’altra persona, ma con lui non mi sentivo a mio agio, non mi ci vedevo a fare una cosa del genere.
Ma comunque accettai perché non ero io, ma Rose.
Lo seguii fino a dentro e poi in ascensore, rimasi tutto il tempo aggrappata al suo braccio, ma senza muovere la mano anche se la tentazione di accarezzarlo e scoprire se era così muscoloso e possente come appariva era troppo forte. Quando arrivammo in cima un cameriere ci attendeva alla porta dell’ascensore, ci sorrise e ci condusse ad un tavolo. I tavolini erano bassi e di diversi colori, il nostro era rosso, le panche erano coperte da cuscini enormi per rendere la permanenza comoda. Su di noi c’era il cielo stellato di New York illuminato dalla luna piena e dalle luci dello skyline newyorkese. Era un posto carino, suggestivo e….romantico, questo è quello che avrei pensato se fossi Bella e se non stessi fingendo di essere Rose, ma siccome stavo fingendo non dovevo trovarlo così romantico quel posto così come la situazione.
Edward si accomodò accanto a me e prese il menù che il cameriere gli offrì. << Cosa prendi? >> mi chiese.
Ero seduta con le gambe accavallate e la schiena diritta, avevo una certa ansia a restare seduta così vicino a lui. << Non lo so, vedi prima tu. >> dissi riferendomi all’unico menù che ci avevano dato.
Lui scosse la testa e fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata. Allungò il braccio sulla mia spalla e mi avvicinò a lui, stringendomi stretta per facilitare la lettura ad entrambi.
Il mio cuore accelerò immediatamente e trattenni il respiro a quella vicina improvvisa e all’effetto che mi fece il suo profumo. Potevo metterci la mano sul fuoco che fosse il suo e non un profumo comprato. Era il suo odore di uomo a stordirmi.
<< Così potremmo leggere entrambi. >> mi disse all’orecchiò e rabbrividii.
Cazzo, Edward Cullen, smettila!avrei voluto urlare, ma mi trattenni e portai tutta la mia attenzione al menù.
Quelle scritte e quelle figure non mi parvero mai così interessanti, tanto da prendere in considerazione la grafica, magari apportandola al mio giornale.
<< Cosa prendi, piccola? >> mi chiese.
Eh? Come mi aveva chiamato? Bhe… Edward Cullen quella sera ce la stava mettendo tutta per minare il mio autocontrollo.
Fanculo, Edward Cullen!
<< Ehm… non lo so, tu cosa prendi? >> chiesi scostandomi leggermente da lui e dalla sua aura tentatrice.
Fece spallucce. << Il solito, anche tu? >> mi chiese forse capendo la mia difficoltà a scegliere qualcosa.
Non sapevo quale fosse il solito di mia sorella, solo quando annuii sperai che non fosse qualche tisana alle erbe perché mi sarei aperta una fossa e mi ci sarei buttata dentro.
Quando il cameriere se ne andò con le nostre ordinazione Edward girò leggermente il busto verso di me. << Come stai, Rose? >> mi chiese forse riferendosi a quei giorni in cui ero più dentro che fuori.
Feci spallucce. << Meglio, grazie. >> e cercai di sorridere.
Lui mi osservò intensamente e cercai in tutti i modi di non fare nessun movimento che avrebbe potuto mascherarmi, ma quel suo modo di guardarmi così intensamente mi stava facendo sudare e agitare.
<< Sei diversa, Rose, sei… più bella. >> mi disse prendendo una mia ciocca di capelli e portandola dietro l’orecchio in una carezza altamente erotica.
Deglutii e cercai di sorridere. << S-sono sempre la stessa. >> tentai di dire, ma la voce mi uscii leggermente più roca.
Lui mi indirizzò un sorriso da infarto e con i polpastrelli mi accarezzò la guancia, poi il collo e poi di nuovo su avvicinandosi alle mie labbra che si schiusero. Mi maledissi per la debolezza e cercai di riprendere possesso delle mie azioni, ma lui disse qualcosa che mi spiazzò.
<< Sei diversa, Rose, sembri un’altra persona. >> sussurrò avvicinandosi un po’ a me.
Mi schiarii la voce. << E-ed… è una cosa brutta? >> chiesi non riuscendo a frenare la mia lingua.
Lui scosse la testa e sorrise. << No, anzi…ti preferisco così. >> sussurrò ancora avvicinandosi definitivamente e poggiando le sue labbra all’angolo della mia bocca.
Appoggiò le sue labbra per un interminabile momento in cui il mio cuore fece le capriole e il mio respirò si bloccò. Poi si staccò per l’arrivo del cameriere ed io potei notare il suo sorriso compiaciuto, quel sorriso che odiavo, quel sorriso che solo una cosa voleva dire: ‘So tutto!’
Cazzo, lui aveva capito tutto e mi stava rendendo la cosa difficile, si stava vendicando. Ma ancora una volta non aveva messo in conto che io ero completamente diversa da mia sorella, io sarei stata al gioco.
La mia speranza di non trovare una tisana fu inutile, perché fu quello che mi portarono. Avvicinai il naso alla tazza e lo storsi al bruttissimo odore che emanava, sembrava l’intruglio che mi preparava Rose quando tornavo a casa sbronza.
Ma che cazzo bevi, Rose?
Ma adesso dovevo berlo per forza, ma Rose non l’avrebbe passata liscia. Quello era uno delle tanti motivi che erano stati trascritti sulla lista ‘Uccidere Rose’.
<< Non ti piace? >> mi chiese divertito Edward.
Lui sperava che io non la bevessi per potermi smascherare, quindi gli sorrisi e senza mai staccare gli occhi dai suoi presi la tazza e feci un lunghissimo sorso senza battere ciglio. Edward mi guardò con una sorta di ammirazione negli occhi, ma poi ritornarono di nuovo normale, tenendo fuori ogni tipo di sentimento.
Perché, Edward? Perché tieni nascosta quella parte di te capace di provare qualcosa? Avrei tanto voluto saperlo, ma non lo chiesi e neanche in futuro lo avrei fatto perché nonostante tutto non potevo negare una certa somiglianza tra me e lui. Lui si nascondeva dietro una gelida corazza io dietro ad una Bella che non ha paura di nulla e che ama la vita. Io non sono sempre stata così, non mi sono sempre comportata da menefreghista. Io ho amato, ho sofferto, ho pianto, sono caduta, ma mi sono rialzata e ho trincerato il mio cuore. Come potevo chiedere ad Edward cosa lo avesse fatto diventare così quando era la prima a non volermi scoprire?
Molto probabilmente mi ero incantata a guardarlo perché mi guardò curioso. << Cosa c’è? >> mi chiese interessato.
Mi riscossi e feci spallucce. << N-nulla. >> e tornai al mio intruglio.
Lui annuì poco convinto e prese un altro sorso dal suo whisky liscio senza mai staccare i suoi occhi dai miei. Mi stava studiando, stava cercando di capire perché di tutta quella situazione o forse non aveva capito nulla e mi stava guardando e basta.
Sostenni il suo sguardo imponendomi di non apparire debole ai suoi occhi, per non essere umiliata ancora. Ma i suoi occhi erano così limpidi e inquisitori che con un sospirò abbassai lo sguardo, rassegnata.
<< Sei stanca, Rose? >> mi chiese, ma non sembrava molto interessato.
Annuii, forse la serata poteva finire. << Si, ti dispiace se… >>
Lui scosse la testa. << Non c’è problema. >> e chiamò il cameriere che subito dopo portò il conto.
Tentai di prendere delle banconote in borsa, ma lui appoggiò una sua mano sulle mie e offrì cinquanta dollari al ragazzo. << Tieni il resto. >> gli disse congedandolo.
<< Ma… >> cominciai.
Lui mi fulminò con lo sguardo. << Ti ho mai lasciato pagare? >> mi chiese.
Cos’era? Una domanda a trabocchetto o una semplice constatazione?
Con tutta quella farsa stavo diventato un tantino paranoica e lui con tutte quelle domande ed attenzioni non mi facilitava il compito.
<< Ehm… no? >> dissi titubante.
Lui fece il suo sorriso sghembo. << No, adesso andiamo. >> e me lo impose.
Ma guarda tu questo!
Ci alzammo ed il cameriere ci accompagnò all’ascensore augurandoci una buonanotte. Sperai che fosse davvero così, che ad Edward non venisse nessuna pazza idea in testa perché non sapevo se avrei retto. Nessuna persona sana di mente rifiuterebbe un adone del genere, solo mia sorella. Io l’ho sempre pensando che lei era la tonta della coppia.
Edward restò in silenzio per tutto il tempo, senza mai fare nessun gesto che mi facesse capire cosa stesse pensando. Forse potevo stare tranquilla per quella sera, forse avrebbe reclamato i diritti di fidanzato quando Rose sarebbe tornata ed io potevo svignarmela. Ma io non sono mai stata fortunata.
Quando fermò la macchina sotto il palazzo di Rose cominciai a sudare e a farmi prendere dall’ansia. Cominciai a pensare a qualsiasi cosa pur di non irrigidirmi e far notare la mia tensione.
Edward scese dalla macchina e venne dalla mia parte aprendomi la portiera e aspettando che scendessi per poi chiuderla. Mi accompagnò sotto al palazzo e restò in silenzio per tutto il tempo che persi per cercare le chiavi che non mi sarebbero servite a nulla visto che appena Edward se ne fosse andato avrei preso un taxi o magari stesso a piedi me ne sarei tornata a casa mia.
Alzai lo sguardo verso di lui e cercai di sorridere. << Ehm… gr-grazie per la serata. >> dissi cercando di apparire tranquilla.
Lui mi sorrise e si avvicinò a me posandomi le mani sui fianchi e stringendomi a se. Lo lasciai fare troppo sorpresa e… si, terrorizzata da quello che sarebbe successo da lì a pochi secondi.
Come a rallentatore vidi il suo viso avvicinarsi al mio, il suo alito caldo scontrarsi con le mie labbra tremanti ed in attesa. Si, perché lo volevo, volevo quel bacio, lo volevo nonostante non potessi.
Annullò definitivamente le distanze tra noi e appoggiò le sue calde e morbide labbra sulle mie in un fugace contatto per poi staccarsi e sorridermi.
Ma che cazzo? Cioè, fammi capire, mi hai fatto terrorizzare e si, anche eccitare e mi dai un miserabile bacetto?
Lui mi guardò un attimo negli occhi e non seppi cosa ci lesse, ma il suo sorrisetto soddisfatto e compiaciuto mi fece capire che avesse capito più quanto avrebbe dovuto.
Mi lasciò così senza dire nulla, salì in macchina e sgommò via.
<< Pezzo di merda! >> quasi urlai.
Rimasi altri due minuti sotto al palazzo per calmarmi poi mi incamminai verso casa mia, non chiamai un taxi, avevo bisogno di camminare e dirmi della scema. Ma come avevo fatto a cascarci? Se lo avesse saputo Rose probabilmente mi avrebbe detto che non dovevo preoccuparmi che comunque era parte del gioco e poi era un misero bacetto. Ma solo io sapevo che non era stato un misero bacetto, un misero bacetto non ti smuove l’intero corpo, un misero bacetto non ti eccita, un misero bacetto non era quello che avevo immaginato mentre le sue labbra mi toccavano.
Persa nei miei pensieri non mi accorsi di essere arrivata a casa mia, salutai il portiere notturno e stavo per entrare quando qualcuno mi chiamò.
Mi girai e mi si gelò il sangue nelle vene.
Cazzo! 

 

 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ehilà ragazze.
Ce l'ho fatta, pensavo di passare direttamente la settimana prossima, invece sono riuscita a scrivere il capitolo.
Certo è un pò corto, ma succederanno delle cose importanti, quindi eccolo qui.
Ci sentiremo direttamente dopo la Befana penso, quindi...
BUON ANNO!!!!!
Buona lettura.
xoxo Alex

Capitolo 6

 

Ero immobile sul marciapiede con le chiavi in mano e lo guardavo nella sua posa abituale, impassibile e fredda. Mi guardava in modo gelido e canzonatorio ed io ero leggermente terrorizzata perché potevo solo immaginare come fosse quando era incazzato e forse quella vena pulsante alla tempia poteva essere un indizio.
Era livido di rabbia.
Lo guardai avanzare con passo tranquillo verso di me, afferrare le chiavi dalle mie mani e aprire il portoncino. Lo seguii in silenzio, come se stessi andando io nel suo appartamento, ma non mi sembrava il momento di offendermi e di dichiarare guerra.
Chiamò l’ascensore e fece cenno di entrare, io lo accontentai in silenzio e sempre così arrivammo al mio piano. Lui si recò vicino alla mia porta e aprii lasciandomi entrare per poi chiudere la porta e accendere le luci del salotto.
Mi tolsi la giacca e l’appoggiai sul divano mentre lui restava immobile vicino alla porta guardandosi intorno. Era da tanto che non veniva e avevo fatto qualche cambiamento, come ridipingere le pareti e comprare qualche mobile.
Feci un grosso respiro. << V-vuoi qualcosa da bere? >> chiesi per essere cortese.
Lui scosse la testa e avanzò verso di me. << Non so dirti cosa sia più irritante. Tu, che cercavi di prendermi in giro o  sempre tu che mi baci. >> esordì con voce fredda.
<< Senti, Ed… >>
Lui mi fermò con le mani. << Dov’è? >> mi chiese.
La guardai e scossi la testa, facendolo innervosire ancora di più. << Dove diamine è Rose? >>
Sospirai. << Non lo so. >> risposi.
<< Stai cercando di farmi incazzare, Isabella? >> mi chiese alterandosi leggermente e avvicinandosi di qualche passo. << Voglio sapere dov’è Rosalie. >> mi disse scandendo bene le parole.
<< Edward, davvero, non lo so. >> dissi cercando di fargli capire che ero una vittima della situazione anche io.
Lui mi guardò attentamente negli occhi cercando di captare qualsiasi movimento avrebbe potuto mascherarmi, ma poi si allontanò sospirando.
Cominciò a misurare il perimetro del mio appartamento avanti ed indietro pensando a chissà che cosa mentre io ero ancora immobile ad osservarlo. Stava ragionando sulla punizione da infliggermi molto probabilmente o forse stava pensando che dopotutto io non avevo colpe e che poteva lasciarmi andare.
<< Cosa pensavate di fare? Era uno stupido giochetto per capire se riuscivo a distinguervi? >> mi chiese fermandosi e girandosi verso di me.
Scossi la testa. << Non è come pensi, se tu mi lasciassi il tempo di spiegare, forse capiresti. >> risposi un po’ troppo acida, ma mi stava stancando.
Lui mi guardò per un interminabile secondo poi mi fece cenno di parlare, come se lui fosse il re ed io la schiava.
<< Oh grazie tante, maestà. >> dissi sarcastica inchinandomi a lui.
<< Fai poco la spiritosa, Isabella. Parla! >> mi impose.
Ma guarda questo!
<< Rosalie mi ha mandato un e-mail qualche giorno fa dicendo che aveva bisogno di qualche giorno, ma non voleva che tu lo sapessi. Quindi… >> e lasciai a lui l’ultima parola.
<< Quindi ti ha chiesto di fingerti lei. >> concluse guardandomi irritato.
Annuii. << Già. >> e lo lasciai in salotto dirigendomi in cucina per farmi un caffè, avevo ancora in bocca il bruttissimo sapore di quella tisana del cazzo.
Lo sentii seguirmi e anche se non lo vedevo potevo sentire i suoi occhi perforarmi il cranio tanto era l’intensità con cui mi stava guardando.
<< Veramente credevate che non me ne sarei accorto? >> chiese quando mi girai verso di lui con la tazza di caffè fumante tra le mani.
Feci spallucce. << Ci speravamo. >>
Lui fece una specie di sbuffo. << Sono un avvocato, Isabella, il migliore che tu possa trovare sulla piazza. Ho mandato dentro più della metà della feccia che c’è nei carceri, pensavi davvero che non mi sarei reso conto di questa farsa? >> mi chiese sempre più incredulo.
Sbuffai spazientita. << Senti, io non so che dirti sinceramente. Io sono stata messa in questo casino, dovevo solo preoccuparmi che tu non venissi a saperlo, ma adesso che lo sai posso smetterla di fingermi lei. Non mi posso preoccupare del tuo ego ferito, non era nel piano. >> dissi posando la tazza e uscendo dalla cucina.
Mi diressi verso la porta del mio appartamento e l’aprii girandomi poi verso di lui che mi aveva seguito.
<< Se non abbiamo altro da dirci, e non lo abbiamo, sei pregato di andartene che la tua presenza mi ha già urtato abbastanza. >> dissi ormai stanca di recitare e di fingermi carina con lui.
Non lo avevo mai sopportato e di certo non avrei iniziato in quel momento guardandolo ferito o altro. Se ne doveva andare e se non se ne fosse andato avrei chiamato la vigilanza.
Lo sguardo che mi lanciò non mi fece per niente tranquillizzare, anzi, aveva un non so che di inquietante. Si avvicinò lentamente a me fino ad arrivare a pochi centimetri dal mio viso, appoggiò la mano a palmo aperto sulla porta e con una leggera spinta la chiuse dietro le mie spalle.
<< Non così in fretta, Isabella. >> sussurrò sulle mie labbra prima di scostarsi e camminare verso il centro del salotto.
Mi appoggiai alla porta per dare il tempo alla circolazione del sangue di riattivarsi e al mio cuore di ricominciare a pompare regolarmente. Era mai possibile che uno stronzo del genere potesse farmi quell’effetto? Sembravo una cagna in calore in sua presenza.
Feci un grosso respiro e mi staccai dalla porta, ma senza avvicinarmi a lui, volevo evitare altre figure di merda.
<< Cosa vuoi, Edward? >> chiesi stanca di tutto quello con solo la voglia di andare a dormire e dimenticarmi tutto.
Lui si girò completamente verso di me con le braccia conserte sul petto scolpito, mi guardò con quel sorriso storto sulla sua faccia da schiaffi.
<< Rosalie ti ha chiesto di fingerti lei con me, giusto? >> chiese per avere una conferma.
Annuii un po’ timorosa. << S-si, è così. >> dissi.
Lui annuì. << Bene, molto bene. >> disse soddisfatto pensando a chissà che cosa.
Sbuffai. << Vogliamo finirla qua o vuoi ancora tenermi sulle spine? Sono stanca, Edward, voglio andare a dormire. >>
Lui annui ancora. << Continuerai a fingere, ma stavolta per me. >> disse con sempre il suo sorrisetto sulle labbra.
Eh?
 
 
Quando mi svegliai quella mattina non riuscivo ancora a crederci. Edward mi aveva chiesto di portare avanti la recita perché gli serviva, mi aveva in un certo senso ingaggiata ed io come la scema avevo accettato.
Perché poi? Perché avevo accettato?
Perché quando il viso di Rose mi era apparso davanti agli occhi non avevo potuto fare altro che accettare per evitare che succedesse qualcosa, non volevo che poi tutte le colpe se le accollasse lei. Dopotutto ero stata io quella che si era fatta scoprire, non lei.
Quando mi alzai, mi diressi direttamente sotto la doccia per sciogliere i muscoli in tensione e riacquistare un po’ della faccia tosta che ho sempre avuto.
Quella mattina avremmo fatto colazione insieme perché aveva una specie di programma da consegnarmi, come in un vero ingaggio. Stavo pensando seriamente di farmi pagare, tanto lui poteva permetterselo ed io ci avrei ricavato qualcosa da tutta quella messa in scena.
Quando uscii dalla doccia mi asciugai i capelli lasciandoli sciolti e poi mi truccai leggermente, usando dei colori caldi. Quando ritornai nella mia stanza aprii l’armadio e afferrai la prima cosa che sembrasse decente e più o meno adatta alla riunione con i pezzi grossi che avevo quella mattina in ufficio.
Infilai un paio di pantaloncini bianchi come la canotta ed una giacca in fantasia marroncino chiaro e i sandali aperti dello stesso colore. Mi osservai allo specchio e mi piacqui, quindi afferrai la borsa e gli occhiali ed uscii di casa.
Gli avevo dato appuntamento al bar sotto il palazzo sede del mio giornale, così dopo subito avrei fatto. Decisi di andare a piedi per arrivare più o meno tranquilla all’appuntamento, ma quando lo vidi seduto tranquillamente sul tavolino all’aperto mentre leggeva un giornale tutta la tranquillità che avevo accumulato svanì in un colpo.
Mi avvicinai silenziosamente a lui e mi accomodai. << Buongiorno. >> salutai accavallando le gambe appoggiando la borsa sulla sedia accanto alla mia.
Lui spostò il giornale e mi guardò sorridendo sghembo. << Buongiorno a te, Isabella. >> mi salutò con voce melodiosa piegando il giornale e posandolo sul tavolo.
<< Dormito bene? >> mi chiese e sembrava davvero interessato, ma sapevo che era tutta una recita.
<< Evitiamo queste domande. Qual è questo famoso programma? >> chiesi facendo cenno al cameriere che subito si avvicinò.
<< Volete ordinare? >> chiese cortese guardandomi e ignorando completamente Edward.
Gli sorrisi senza preoccuparmi della recita, tanto Edward lo sapeva. << Vorrei del latte caldo e un cornetto alla crema. >> e gli sorrisi ancora sbattendo le ciglia.
Lui rimase un attimo sorpreso, poi restituì lo sguardo e mi fece l’occhiolino. Eravamo impegnati in una conversazione silenziosa quando Edward si schiarì la voce riportando la nostra attenzione su di lui, che dire irritato era poco.
<< Vorrei un caffè, grazie. >> disse per poi fargli cenno di andarsene.
Sorrisi compiaciuta e lo guardai aspettando che iniziasse la conversazione, magari lasciandomi del tempo per conoscere quel cameriere davvero carino.
<< Sei qui con me, non ti sembra inopportuno flirtare con altri? >> mi chiese con voce irritata.
Sorrisi divertita. << Non mi sembra tu abbia qualche diritto su di me. >>
Lui sbuffò. << Ma sei con me, diritto o meno, esigo rispetto. >>
Ridacchiai. << Edward Cullen, non stai parlando con uno di quei leccaculo con cui te la fai. Con me capiti male, non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno, figurarsi da un ragazzino spocchioso come te. >>
Mi sentii libera e soddisfatta e la sua faccia sconvolta non poteva che gonfiare in modo spropositato il mio ego. Isabella 1- Edward 0, che goduria.
Edward rimase in silenzio forse troppo sconvolto per dire qualcosa e a me stava bene così, amavo fare colazione in santa pace. Quando il cameriere tornò con le ordinazione sorride e mi offrì la mano. << Sono Jeff. >> si presentò.
Sorrisi anche io. << Bella. >>
Lui sorrise ancora e gli uscirono due simpatiche fosse sulla guancia, mi ricordavano tanto quelle di Emmett. << Ho scritto il mio numero sullo scontrino, se ti va chiamami. >>
Annuii. << Lo farò. >> e se ne andò richiamato dentro.
Edward mi stava guardando con gli occhi che fiammeggiavano di rabbia ed io non riuscii a trattenermi e risi, risi davvero di gusto, attirando l’attenzione su di noi. Era così comico vederlo in quello stato, non sapevo potesse essere così divertente.
<< Isabella, smettila. >> mi ammonì a denti stretti.
Cercai di darmi un contegno e mi schiarii la voce mentre cercavo di asciugarmi le lacrime agli angoli degli occhi.
<< Si, eccomi. >> dissi cercando di trattenermi.
Lui sbuffò. << Ti diverto tanto? >> mi chiese irritato.
Annuii. << Davvero spassoso, direi.  >> e addentai il mio cornetto.
Edward mi osservò attentamente per poi sorridere sghembo, lo vidi avvicinarsi lentamente a me per poi posare un dito sulle mie labbra e prendere quello che doveva essere uno sbaffo di crema. Lo osservai mentre guardava il dito e poi se lo portava alla bocca succhiando la crema in modo altamente erotico.
Lo guardai con gli occhi sgranati e il battito a mille, mi stava letteralmente scombussolando.
Lui sorrise soddisfatto e capii perché lo avesse fatto, si stava vendicando e ci stava riuscendo.
Isabella 1-Edward 1, cazzo! 


vestito Bella

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Salve ragzze scusate l'enorme ritardo e il poco tempo che passerò qui adesso.
Ho problemi con la linea e adesso sto dalla mia best, ma posso stare solo poco perchè suo fratello rompe.
Non è chissà che cosa questo capitolo è più uno di passaggio...
Buona lettura e scusate ancora.
xoxo Alex



Capitolo 7

 

Quella mattina Edward mi aveva chiamato all’alba, per me ovviamente, per avvisarmi che quella sera avremmo cenato con sua madre quindi voleva dire solo una cosa. Dovevo fingermi Rose con Esme, quella più difficile da prendere in giro. Mi piaceva Esme e l’idea di doverle mentire non mi allettava per niente, però dovevo farlo per Rose, dovevo accaparrarmi la fiducia di ‘mia suocera’ se volevo che il suo matrimonio funzionasse.
<< Gradirei ti vestissi in modo decente. >> mi aveva detto prima di riattaccare senza aspettare neanche un risposta e senza dirmi ciao.
Pensavo di poterlo tollerare di più man mano che il tempo passava, ma non stava succedendo, anzi continuavo a non sopportarlo come prima se non di più.
Dopo aver ricevuto la sua telefonata decisi di farne una io, avevo bisogno di pranzare con le mie migliori amiche.
<< Ci vediamo a pranzo al solito posto, okey? >> dissi appena mi risposero.
<< Che è successo? Comunque non ci sono problemi. >> rispose Tanya mentre la sentivo affannata.
<< Centra per caso Edward? >> chiese Alice che stava vestendo sua figlia.
<< Vi spiegherò tutto dopo, adesso devo andare. Buona giornata. >> e riattaccai.
Mi alzai definitivamente dal letto, sistemandolo e dopo aver preso un enorme tazza di caffè per eliminare definitivamente il sonno che Edward mi aveva interrotto, mi andai a preparare.
Quella mattina faceva più caldo del solito, quindi mi infilai una minigonna di jeans, una maglia beige con dei diamantini per tutta la lunghezza della scollatura e dei dettagli sul petto e al piede un paio di sandali dello stesso colore della maglia. Pettinai i capelli con le mani dando un po’ di volume, passai un filo di trucco sul viso e poi uscii da casa.
Quando scesi giù decisi di prendere un taxi per vari motivi, il primo era il troppo caldo e il secondo era che non potevo già mettere a dura prova i miei piedi.
Quando arrivai in ufficio la mia segretaria mi consegnò alcuni foglietti con dei messaggi. << Questi sono di ieri sera e di stamattina, c’è una cartella di racconti sulla tua scrivania e il grande capo ti vuole nel suo ufficio tra mezz’ora. >> mi disse efficiente come sempre.
Annuii dirigendomi nel mio ufficio e contemporaneamente leggendo i messaggi e mi irritai ancora di più vedendone uno di Edward che mi ricordava il nostro ‘impegno’. Neanche in ufficio avevo un po’ di pace, anche lì nel mio tempio doveva disturbarmi. Ma non aveva una vita sociale? Nessun amico a cui rompere le palle?
Era in quei momenti che compativo mia sorella e provavo pena per lei, perché assumersi la responsabilità di vivere per tutta la vita con lui nella stessa casa era davvero un bel atto di coraggio.
Nella mezz’ora successiva prima di andare dal capo feci qualche telefonata per rispondere ad alcuni messaggi, ne approfittai e chiamai anche Jacob che mi raccontò dei nuovi risvolti sul fronte Leah e almeno lui qualche stava concludendo.
<< Vedrai che prima o poi troverai anche tu la tua anima gemella. >> mi aveva detto prima di riattaccare.
<< Io l’ho trovata, ma preferisce un’altra, una certa Leah. >> dissi sorridendo divertita.
Jacob ridacchiò. << Ti adoro, lo sai? >> e aveva riattaccato.
Ero poi salita ai piani alti dove mi attendeva il mio capo, un uomo di cinquant’anni molto affascinante, ma molto sposato e fedele.
Quando entrai mi sorrise cordialmente indicandomi la poltrona davanti la sua enorme scrivania in ciliegio. << Prego, Bella, accomodati. >> mi disse con la sua voce calma.
Mi accomodai e accavallai le gambe. << Mi volevi? E’ successo qualcosa? >> chiesi adesso leggermente preoccupata.
Lui scosse la testa tranquillizzandomi. << Non ti devi preoccupare, è tutto okey. >> si alzò e mi si avvicinò sedendosi sul bordo della scrivania. << Tu sai che ho una figlia di diciotto anni, no? >> mi chiese.
Annuii. << Certo. >>
<< Ha scritto un libro e… mi chiedevo se potevi leggerlo. >> mi disse quasi imbarazzato.
Un giornalista, abituato a scrivere e altro che chiedeva aiuto a me per poter correggere un libro scritto da una ragazzina? Il mondo stava andando proprio a rotoli.
<< Perché io e non tu che sei suo padre? >> chiesi cercando di capire.
<< Appunto perché sono suo padre ho bisogno di te. Mi conosco e so che lo riterrei il miglior romanzo al mondo perché sono di parte è mia figlia, ma tu no, tu sarai obiettiva. >> mi disse guardandomi speranzoso.
In un certo senso aveva ragione, non avrebbe mai potuto essere obiettivo con sua figlia. Non sapevo se accettare o meno perché avevo il terrore che se avessi espresso un’opinione negativa su quel libro si sarebbe poi ritorto tutto contro di me e la mia carriera ed io ero a metà del percorso per diventare qualcuno.
Lui mi guardò divertito. << Cosa stai pensando, Bella? >>
Scossi la testa e lo guardai imbarazzata. << Questo mi gioverà? >> chiesi cercando di fargli capire i miei dubbi senza offenderlo in qualcuno modo.
Lui scosse la testa ridacchiando. << Tranquilla, questo non avrà nulla da spartire con il tuo lavoro. E’ un favore che ti sto chiedendo da amico. >> e così dicendo mi tranquillizzò.
Sorrisi più rilassata. << Bene, allora, quando potrò averlo questo manoscritto? >> chiesi alzandomi perché non c’era nient’altro da dire.
Lui fece il giro della scrivania, poi si abbassò ad aprire un cassetto da dove tirò un elaborato di più o meno trecento pagine. Me lo porse e io abbassai lo sguardo per leggere il titolo del libro, ma non c’era.
<< Non ha messo il titolo. >> constatai guardandolo.
Lui scosse la testa. << Ha bisogno di aiuto anche su questo. >> mi disse.
Annuii ancora, poi gli porsi la mano e gli assicurai che l’avrei letto e che avrei chiamato sua figlia il prima possibile. Dovevo correggerlo io, ma avevo bisogno di lei se qualche periodo o qualche pensiero non era giusto.
Quando ritornai nel mio ufficio infilai il manoscritto nella ventiquattr’ore che mi ero portata quella mattina e poi mi dedicai ai miei racconti, avevo tutta la baracca da mandare avanti e non potevo perdere tempo anche perché a pranzo sarei dovuta uscire.
 
Quando arrivai al ristorante seduta c’era già Alice che parlava animatamente al telefono attirando l’attenzione di non poche persone.
<< Non me importa un fottuto cazzo, Rick, ti pago per fare il tuo lavoro e voglio che tu lo faccia al limite dell’impossibile ed oltre…quindi muovi quel tuo dannato culo e sbrigati! >> urlò ancora prima di riattaccare.
La guardai divertita. << Le persone avrebbero fatto a meno di sentire i fatti tuoi, ma qualche informazione in più non fa mai male. >>
Lei si girò intorno imbarazzandosi immediatamente e sprofondando con la testa nel menù. << Oddio che figura. >> mormorò.
Ridacchiai e afferrai il menù levandole ogni via di fuga. << Che è successo? >>
Lei fece spallucce. << Succede che ho un assistente incompetente. >> si lamentò.
<< Parlando di assistenti, mi sono appena scopata il mio che è tutt’altro che incompetente. >> esordì Tanya sedendosi accanto a me.
Mi girai verso di lei e la guardai emozionata. << Oh sono fiera di te. >> e l’abbracciai.
Alice ci guardò leggermente sconvolta e anche disgustata. << Mi domando ancora perché sono vostra amica. >> e scosse la testa affranta.
Ridacchiammo e anche Alice ci seguì ormai stanca di opporsi alla nostra vita sregolata. Il cameriere venne da noi e ordinammo qualcosa di leggero, ma che piaceva a tutte e tre così potevamo assaggiare un po’ di tutto. Avevamo fatto sempre così anche quando andavamo a mangiare la pizza, era ormai un rituale.
<< Ci hai chiamate ed eccoci, vorresti parlare? >> chiese Alice bevendo un po’ d’acqua.
Tanya stava attendendo il cibo mangiando qualche grissino. << Si, racconta. >> mi disse minacciandomi con mezzo grissino all’origano.
<< Attenta con quest’arma. >> dissi spostandolo dalla mia traiettoria.
Lei lo tolse e mi incitò ancora con un gesto della mano, io feci un grosso respiro e cominciai a raccontare tutto quello che si erano perse. Mi ascoltarono, ma sperare che l’avrebbero fatto in silenzio era troppo, mi fermai una decina di volte in poco più di qualche minuto.
<< Quindi adesso stai fingendo per lui. >> concluse Alice riflettendo mentre anche lei aveva preso a mangiare qualche grissino.
Annuii. << Si, Sherlock. >> dissi sarcastica.
Lei mi lanciò un occhiataccia, ma il cameriere la bloccò mentre mi stava dicendo qualcosa di brutto. Cominciammo a mangiare in silenzio, ma io sapevo che tra un po’ qualcuno avrebbe detto qualche stronzata e chi altro se non Tanya.
<< Bene, adesso hai il suo permesso per scopartelo. >> disse mentre addentava una carota dal piatto di Alice.
Alzai gli occhi al cielo. << Sto pensando che insegnarti le cose non sia stato un bell’affare. >> dissi maledicendomi.
Alice sorrise divertita. << Bhe… però ha ragione in questo caso. Lui ti sta dando il permesso di comportati come la sua fidanzata e questo include tutto. >> disse afferrando un patatina dal mio piatto.
Avrei voluto negare, ma adesso che ci pensavo avevano ragione entrambe. Edward era abbastanza intelligente da sapere che se avessi cominciato a mentire per lui avrei dovuto farlo bene e questo comprendeva non il sesso, perché quella era una cosa privata e non avevamo bisogno di mentire quando gli altri non ci vedevano, ma comunque nel pacchetto c’erano baci, abbracci e carezze. Cosa aveva in mente davvero Edward? Era in questo modo che voleva farmi pagare per la piccola recita a cui ero stata costretta? Voleva vedere fino a che punto mi sarei spinta per la causa?
Mi meravigliavo che Edward ancora non avesse capito con chi si era messo in affari, forse lui era convinto di poter comandare tutti quindi era abbastanza tranquillo che l’avrebbe fatto anche con me. Ma ancora un volta avrebbe sbagliato.
<< Cosa stai macchinando con la tua mente diabolica? >> mi chiese Alice divertita.
Sorrisi. << Assolutamente nulla. >>
Tutte e due mi guardarono con un sopracciglio leggermente inarcato in un espressione scettica ed io sbuffai. << Perché avete così poca fiducia in me? Siete delle amiche ingrate e senza cuore. >> dissi portandomi la mano al petto e fingendomi scandalizzata.
Continuarono a guardami in quel modo fino a che non sbuffai. << Pensavo a come rendere la sua vita un inferno. >> dissi confessando.
 
Quando ritornai a casa alle cinque decisi di farmi un doccia veloce per poi cominciare e leggere il manoscritto della ragazza. Ma il telefono che stava squillando non era dello stesso avviso, quindi lo afferrai e risposi senza nascondere la mia irritazione.
<< E’ scocciante anche per me sentirti. >> rispose dall’altro capo del telefono.
Alzai gli occhi al cielo. << Tu non mi scocci solamente, mi irriti all’inverosimile. >> commentai acida.
<< Isabella è sempre bello parlare con te. >> commentò sarcastico.
Sbuffai. << Cosa vuoi? Se è per confermare ancora la cena, ti sbatto il telefono in faccia. >> disse togliendomi nel frattempo le scarpe e sospirando di piacere per il sollievo al contatto con il parquet freddo. << Oh si. >> sospirai e troppo tardi mi ricordai di Edward dall’altra parte del telefono.
<< Oh Isabella non mi sembri troppo irritata dal mio tono di voce… >> disse con un punta di divertimento nella voce.
Repressi un’imprecazione. << Che.cosa.vuoi? >>
<< Cambio di programma, vengo a prenderti verso le sei. >> disse e poi riattaccò senza aspettare una mia risposta.
Le sei? Guardai l’orologio e stavolta imprecai fiondandomi in bagno e gettandomi letteralmente nella doccia soffrendo per i primi minuti sotto l’acqua gelida. Mi lavai i capelli, mi insaponai e mi risciacquai in nemmeno dieci minuti. Quando uscii dal box mi avvolsi in un asciugamano e frizionai i capelli con un'altra.
Quando ritornai in camera mentre mi infilavo l’intimo guardavo nell’armadio cercando qualcosa da mettere. Che cosa ci si mette per andare a cena con la propria suocera? Non mi ero mai trovata in una situazione del genere quindi mi trovavo leggermente in difficoltà. Esme era una persona molto elegante, ma anche alla mano quindi avrei optato per qualcosa di quel genere.
Afferrai un vestitino di una tonalità di beige molto chiaro quasi nel panna, monospalla, stretto in vita che arrivava sopra al ginocchio. Per le scarpe optai per un paio di scarpe alte verde scuro con una fibbia decorata sopra.
I capelli li asciugai e ci passai la piastra lasciandoli lisci e lunghi quasi fino al sedere abbastanza sodo. Era una delle parti del mio corpo che mi piacevano di più.
Mi truccai con colori caldi e dopo uno spruzzo di profumo ero pronta giusto in tempo per il citofono che suonò.
Afferrai la borsa e scesi giù guardando l’opera conclusa solo nell’enorme specchio dell’atrio.
<< E’ splendida, signorina Swan. >> mi disse sorridendo l’anziano portiere.
Gli sorrisi dolcemente. << La ringrazio. >> ed uscii fuori dal palazzo facendogli un cenno di saluto.
Edward mi stava aspettando appoggiato alla sua macchina con le braccia conserte e la faccia annoiata.
<< Cullen. >> dissi attirando la sua attenzione.
Mi guardò e per un attimo, un piccolissimo momento, sgranò gli occhi sorpreso. Subito ritornò in se, ma ormai io lo avevo visto e il sorriso compiaciuto sulle mie labbra nessuno lo avrebbe tolto e neanche un suo cipiglio irritato.
<< Bhe…hai cercato di fare del tuo meglio. >> commentò aprendomi la portiera e facendomi cenno di entrare.
Mi avvicini a lui e accostai le mie labbra la suo orecchio. << Il tuo inquilino non è della tua stessa opinione. >> sussurrai.
Lui si irrigidì ed io sorrisi soddisfatta entrando in macchina.
Sono una persona con la vista molto sviluppata e di certo non mi era sfuggito il leggero rigonfiamento all’altezza del suo inguine. Mi trovava bella e sexy e non avevo bisogno di sapere altro, avrei fatto leva su quella cosa ogni volta che me ne avrebbe dato il motivo. 


pranzo          cena

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Eccomi eccomi eccomiiiii!!!!!
Bene c'è qualcosa che devo dirvi....
La mia vita ultimamente non è tutta rosa e fiori, ho dei problemi che non sto qui a dirvi, ma che per un attimo mi hanno portato all'esaurimento e a sospendere tutto. Poi dopo una notte insonne mi sono data della stupida è detto 'Mary, perchè abbandoni l'unica cosa che ti da un pò di respiro?'
Così eccomi qui e sono anche tornata con una nuova storia che spero voi leggiate 'Amore proibito'....
Cmq basta chiacchiere ed ecco il nuovo capitolo....
Buona lettura.
xoxo Alex


Capitolo 8


 

Eravamo in macchina e non voleva neanche una mosca. Mi piaceva il silenzio, evitavo di sentire la sua voce dal tono borioso ed arrogante e lui forse evitava di parlare pensando ancora alla figura patetica che aveva fatto prima.
Ancora gongolavo dentro di me per la reazione che gli avevo provocato e gongolavo ancora di più per tutto quello stava minando molto il suo ego ed il suo orgoglio. Eccitarsi davanti alla sua nemica, cosa da psicoanalisi.
<< Sei vestita decentemente, potresti passare per Rose, ma… >> cominciò cercando di farmi incazzare, ma il mio stato di gongolamento non era facile da scalfire.
<< Edward, ti vedo nervoso. >> dissi fingendomi interessata.
Lui digrignò i denti. << Isabella, per favore. >> mi implorò quasi.
Scossi la testa ridacchiando. << Per favore, cosa, Edward? >> chiese sempre con il tono più innocente che potessi trovare.
Sbuffò. << Okey, si, mi sono eccitato, cazzo! >> imprecò ad alta foce stupendomi.
Non riuscii a trattenermi e scoppiai, ridendo sguaiatamente fino a farmi venire le lacrime agli occhi. Continuai a ridere fino a che Edward non parcheggiò davanti ad una pasticceria e scese forse per comprare il dolce da portare a sua madre.
Restai in macchina causa attacco di ridarella acuta e poi sicuramente Edward si era fermato per lasciarmi calmare e non per comprare davvero un dolce perché sicuramente Esme ne aveva preparato uno.
Non ritornò subito, si fermò dal fioraio a qualche negozio dopo e prese un’orchidea. Lo osservai sorridere al fioraio e osservare il fiore sorridendo dolcemente, quella visione mi bloccò le risa e mi ritrovai a pensare che fosse davvero bellissimo con il viso rilassato mentre sorrideva. Perché non era così normalmente? Perché con me doveva cacciare tutto il suo lato peggiore?
C’era da dire che anche io ci mettevo tutta me stessa per farmi odiare, ma quando lo conobbi cercai di essere gentile, ma lui non ci ha mai provato con me. Faccio tanto schifo come persona?
Quando ritornò in macchina mi ero calmata e adesso lo guardavo con comprensione e dispiacere. << Senti, mi dispiace di aver riso, ma ammettilo anche tu è stato divertente. >>  dissi ridacchiando.
Edward alzò gli occhi al cielo, scocciato, ma poi ridacchiò anche lui. << Bhe si, in un certo senso. >> e rise apertamente.
Mi presi un attimo per osservarlo e vederlo così rilassato e spensierato era un colpo al cuore. Era bello da far male, splendente come il sole.
Per un attimo desiderai essere davvero la sua fidanzata, ma poi distolsi lo sguardo perché non erano pensieri giusti.
Lui era il nemico e avrebbe sposato mia sorella, questo bastava per essere off limits.
<< Ehi, cos’hai? >> mi chiese costringendomi a girarmi verso di lui.
Scossi la testa. << Nulla. >> mi girai di nuovo verso il finestrino. << Andiamo o faremo tardi. >> gli dissi facendogli capire perfettamente che quel momento di amicizia o chissà che cosa era finito.
Lo sentii osservarmi, poi sospirò e mise in moto. Nello stretto abitacolo non volò una mosca per il resto del tragitto e non mi importava neanche dire qualcosa.
Ero turbata per quei sentimenti che stavo provando per lui.
Era sbagliato, era sbagliato lui, era sbagliata la situazione ed ero sbagliata io. Perché io non ero la persona che stava per sposare, ero sua cognata porca miseria!
Se Rose fosse venuta a conoscenza di una cosa del genere come minimo mi avrebbe linciato e poi eliminato dallo stato di famiglia perché poi anche i miei genitori mi avrebbero diseredata.
Certo, era un po’ tragica come previsione, ma il senso era quello. Si sarebbe infuriata e non mi avrebbe più parlato ed io senza di lei non sono nulla.
<< Siamo arrivati. >> mi annunciò riscuotendomi dai miei pensieri.
Feci un grosso respiro e mi girai verso di lui. << Come si comporta Rose con tua madre? >> chiesi slacciandomi la cintura di sicurezza.
Lui fece spallucce. << Rosalie è fine, educata, elegante e…fredda. >> disse forse pensando a lei.
Sbuffai. << Come ci si comporta da persona fredda? >> mi lamentai esasperata.
Fece di nuovo spallucce e quella cosa mi stava urtando. << Basta evitare gli atteggiamenti affettuosi e spendere pochi sorrisi. >> e scese dalla macchina.
Mi aspettavo che se ne sarebbe andato, ma poi lo vidi aprirmi la portiera e offrirmi la mano. Non volevo afferrarla, ma quella macchina era bassa e avevo bisogno di una mano.
Sospirai e l’afferrai facendo leva sul mio autocontrollo già in precario equilibrio.
Sono una donna con una vita sessuale abbastanza soddisfacente, mi piacciono gli uomini belli e aitanti ed il sesso.
Quindi averlo così vicino, così bello e così sexy mi stava facendo ribollire il sangue e forse aveva ragione Rose quando diceva che ero trasparente come l’acqua, perché se ne accorse anche Edward.
Fece il suo sorriso storto e sexy. << Cosa c’è, Isabella? >> chiese con voce suadente avvicinandomi al mio orecchio.
Rabbrividii ed imprecai silenziosamente. << Stronzo. >> sussurrai a denti stretti.
Lui ridacchiò e mi lasciò andare, poi chiuse la porta e si diresse verso la villetta di sua madre. Esme era una persona elegante e di buona famiglia quindi era sempre stata abituata a vivere in posti abbastanza moderni e di buon gusto.
Era una villetta di due piani color rosa antico, con gli infissi di legno come la porta, un giardino ben curato con rose e viole ed un vialetto di entrata di mattonelle colorate di blu e rosa.
Mi appoggiai al braccio di Edward e mi incamminai cercando di evitare cadute e figure di merda anche perché la porta si era appena aperta e il viso bello e sorridente di Esme aveva fatto la sua comparsa.
Aveva il viso pulito con solo qualche ruga, capelli biondo cenere e gli occhi blu come Emmett. Edward non aveva molto di lei, anzi proprio niente, però erano madre e figlio e si adoravano.
<< Eccovi, ragazzi, cominciavo a pensare che vi foste fermati da qualche parte e fare lo cose sconce. >> disse sorridendo divertita.
Arrossi di botto e lasciai il braccio di Edward mentre quest’ultimo ridacchiava divertito dalla mia reazione e dalla sfacciataggine di sua madre.
<< Mamma, per favore, la metti in imbarazzo. >> disse avvicinandosi a lei e abbracciandola.
Esme gli diede un bacio sulla guancia. << Cosa c’è di imbarazzante, tesoro, è normale. >> disse e poi gli diede un buffetto sulla guancia.
Mi avvicinai ad Esme e le sorrisi senza troppo entusiasmo, feci il mio sorriso di circostanza. << Salve, signora Cullen. >> salutai.
Lei mi liquidò con un gesto della mano. << Rose quante volte ti devo ricordare che mi chiamo Esme? >> mi chiese e mi prese una mano tra le sue tirandomi in casa.
Dentro era elegante come l’esterno. I muri erano tutti bianchi, come anche l’arredamento del salotto cioè due divani, un tappetto ed il camino sulla parete opposta. In ogni cosa c’era l’impronta artistica di Esme, che era un’arredatrice di interni.
Ci fece accomodare e lei uscì dalla stanza dirigendosi in cucina a prendere qualche stuzzichino mentre aspettavamo che fosse pronto.
<< Sicuramente mia madre ti chiederà di te, cioè Bella, stai sempre sul vago. >> mi informò Edward mentre osservava il giardino all’esterno bevendo un bicchiere di whisky che si era preparato appena entrato.
<< Parlare di me in terza persona, perfetto. >> mi lasciai scappare con voce acida.
Lui si girò verso di me. << Ti sei messa tu in questa situazione adesso non lamentarti. >> e poi mi fece cenno di tacere perché Esme si stava avvicinando.
<< Eccomi qua. >> disse sorridente mentre appoggiava sul tavolino un vassoio, con una teiera e qualche tartina.
<< Ti piacciono le tisane, verso? >> chiese un po’ titubante e pregando forse di non fare brutta figura.
Avrei voluto rispondere di no, che mi facevano rivoltare, ma ero Rose così cercai di sorridere e annuì. << S-si, certo. >> e accettai una tazza con della roba giallastra dentro.
Alzai lo sguardo verso Edward che stava cercando di trattenersi dal ridere così gli lanciai un’occhiataccia e mi rivolsi ad Esme con  il sorriso più angelico che potessi fare.
<< Esme, anche ad Edward piacciono le tisane, alla fine l’ho convinto. >> e guardai Edward che per poco non si strozzò con il suo liquore.
Esme guardò suo figlio sorridendo entusiasta. << Oh tesoro perché non me l’hai detto prima. >> e così prese una tazza e la riempì.
Edward si avvicinò come un condannato a morte e l’afferrò trucidandomi con lo sguardo, gli indirizzai lo stesso sorriso che aveva fatto ad Esme.
Contemporaneamente dopo aver osservato il liquido giallastro e aver represso un conato di vomito, lo bevemmo. Il mio stomaco si stava ribellando, ma non potevo deludere Esme.
Lo bevvi tutto di un sorso per evitare di agonizzare e anche Edward pensò la stessa cosa. Aveva gli occhi chiusi e il naso arricciato, ero un visione molto divertente e per un attimo dimenticai di essere nella sua stessa situazione e ridacchiai. Lui mi sentì, mi guardò e sorrise anche lui divertito.
<< Oh che carini che siete. >> disse Esme incrociando le mani a mò di preghiera.
Guardai Edward poi abbassai lo sguardo arrossendo perché mi ero resa conto anche io che non stavamo più recitando, che tutti quei gesti erano fatti perché sentiti. Da fuori potevamo apparire per una coppia di innamorati affiatati, come aveva fatto capire Esme con i suoi occhi a cuoricini.
Appoggiai la tazza sul vassoio e mi alzai. << Ehm… Esme, potrebbe indicarmi il bagno? >> chiesi rispettosa.
Lei annuì confuse. << In fondo al corridoio, cara. Ti senti bene? >> mi chiese poi preoccupata.
Annuii cercando di sorridere. << Certo, devo solo… incipriarmi, si. >> e uscii dalla stanza.
Quando mi chiusi nel bagno feci un grosso respiro e presi il cellulare dalla borsa, per chiamare l’unica persona che mi avrebbe potuto calmare e darmi qualche consiglio.
<< Ehi tesoro, come stai? >> mi rispose senza neanche salutarmi.
<< Mi trovo nell’elegante bagno dell’elegante dimora dell’elegante Esme, mamma del pomposo e mi sento che sta per arrivarmi un attacco di panico. >> dissi disperata.
<< Bene, Bella, fa qualche respiro profondo e dimmi cosa sta succedendo. >> mi disse Alice cominciando a respirare anche lei con me.
Quando mi calmai feci di nuovo un lungo respiro e cominciai a raccontare. << Capisci? Sembravamo…, non lo so, cazzo! >> imprecai poi alla fine.
<< Bella, tesoro, per cosa ti stai preoccupando? >> mi chiese poi entrando in modalità ‘io so cosa ti sta succedendo, ma non te lo dico perché voglio farti esaurire’.
<< Ho chiamato te per questo, no? >> dissi con fare ovvio.
<< No, tesoro, tu hai chiamato me per prenderti per il culo. >> disse con fare da sapientino.
<< Che? >>
Sbuffò. << Con questa storia del ‘faccio finta di essere la tua fidanzata’ ci sei cascata con tutte le tue Manolo. >>
Mi guardai i piedi e neanche a farlo a posta avevo le mie Manolo verdi. Alzai lo sguardo verso lo specchio ed un paio di occhi consapevoli mi restituirono l’occhiata.
<< Bella, tesoro, ti piace. >> mi disse con delicatezza.
Sbuffai. << Non può piacermi, Alice, lui è… >>
<< Il tuo orgasmo multiplo, tesoro. >> disse divertita.
Sgranai gli occhi e ormai non c’era più niente da negare, Alice aveva ragione, avevo trovato il mio orgasmo multiplo. Quello per cui avrei potuto rinunciare alla mia vita da libertina e abbracciare a pieno quella della monogamia e dell’amore.
<< E adesso? >> chiesi disperata.
<< Adesso ritorni in salotto, passi una bellissima serata con sua madre, poi ritorni a casa e te lo spupazzi un po’. >> disse ridacchiando alla fine.
Riattaccai senza neanche risponderle perché era esattamente quello che avrei voluto fare, ma non potevo. Ero una fottutissima stronza, però non avrei mai fatto del male a mia sorella nonostante stesse latitando per non sposarsi.
Feci un grosso respiro, mi rassettai i vestiti, passai la mano tra i capelli ed uscii. Mi venne un colpo perché ad attendermi appoggiato al muro più bello che mai c’era Edward.
<< Edward, cazzo, mi hai spaventata. >> dissi a denti stretti.
<< Cosa hai fatto tutto questo tempo? >> mi chiese ignorandomi completamente.
Alzai un sopracciglio. << Ti è parso che io ti abbia dato la confidenza per trasformarti in un marito petulante? >> dissi e lo lasciai sbalordito appoggiato al muro.
Quando rientrai in salotto Esme non c’era, ma la portafinestra che portava in giardino era aperta così uscii fuori e la vidi che stava posando sul tavolo in ferro lavorato con fiorellini e rami i piatti e le forchette.
Mi guardai intorno e rimasi piacevolmente sorpresa da quel giardino che solo nei film avevo visto. Era curato e ben disposto così da non sembrare troppo pacchiano, era elegante come tutto il resto.
<< Esme, è bellissimo. >> dissi entusiasta guardandomi intorno.
Lei alzò lo sguardo e sorrise contenta. << Oh grazie, cara, lo curo personalmente. >> disse orgogliosa.
La guardai così contenta e mi sentii uno schifo, le stavo mentendo e lei non se lo meritava. Mi venne voglio di piangere e se qualcuno non avesse sbattuto la porta dell’ingresso le avrei detto tutto.
<< Buona sera, famiglia! >> urlò qualcuno uscendo in giardino.
Mi girai ed Emmett mi restituì lo sguardo sorridendo entusiasta. << Bel… >> ma lo fulminai con lo sguardò. << Oh bella Rose… quando sei bella Rose. >> disse poi cercando di riparare al danno.
Alzai gli occhi al cielo e sorrisi divertita mentre Edward, che era entrato nel momento in quei l’aveva detto scosse la testa esasperato.
Emmett si avvicinò alla madre. << Dammi un po’ di amore, donna. >> disse e aprì le braccia.
Esme sorrise dolcemente e lo abbracciò dandogli un bacio sulla guancia mentre lui gliene dava uno sulla fronte. Emmett adorava sua madre e non passava giorno che l’andasse a trovare o la telefonasse se non poteva perché impegnato.
Quando si staccò da lei andò verso la tavola e allungò la mano sulle noccioline che Esme aveva appoggiato lì. << Ho fame, mamma, quando si mangia? >> chiese come facevano i bambini piccoli.
Esme scosse la testa e rientrò dentro lasciandoci soli, mi offrii di aiutarla, ma mi fulminò con lo sguardo.
Mi avvicinai ad Emmett e gli diedi una sberla dietro la nuca. << Ma sei scemo? Stavi per farci scoprire. >>
Lui mise il broncio, il suo adorabile broncio. << Scusami. >>
Non riuscivo a resistere alla sua faccia così gli accarezzai il braccio. << Non fa niente. >> e gli sorrisi.
Mi fece il suo sorriso da orso e aprì le braccia. << Mi dai anche tu un po’ di amore? >>
Gli saltai letteralmente al colo e gli riempii la faccia di baci mentre lui mi teneva sollevata da terra stringendomi a se.
<< Bello il mio orso. >> e gli diedi un bacio sulle labbra.
Per tutto il tempo di quell’abbracciò sentii gli occhi di Edward sulla mia schiena, li sentii quasi perforarmi.
Mi girai verso di lui e lui distolse lo sguardo imbarazzato ed io gongolai. Mi aveva dato un’altra conferma, mi voleva ed era geloso, cosa potevo chiedere di più?
Forse che non stesse per sposare mia sorella? Forse.  

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Salve ragazzette mie, come state?
Eccomi ritornata con un nuovo capitolo molto molto bello e anche aspettato, penso.
Non rispondo alle vostre recensioni perchè non ho il tempo, devo andarmi a preparare e già non ho voglia.
Vi lascio al capitolo.
Buona lattura.
xoxo Alex


Capitolo 9

 

Esme ci aveva intimato di accomodarci, quindi alla mia destra si era messo Emmett e a capo tavola alla mia sinistra c’era Edward e facendo due conti Esme si sarebbe seduta di fronte a me.
<< Sapete cosa ha cucinato? >> chiesi addentando una tartina dalle mani di Emmett che mi lanciò un’occhiataccia.
<< Te la farò pagare per questo. >> sussurrò a denti stretti prendendo un’altra tartina.
Afferrai anche quella e risi della sua faccia, alla mia risata si aggiunse anche la sua.
<< Smettetela! >> ci richiamò Edward in tono brusco.
Ci girammo verso di lui con due espressioni differenti sulla faccia. Io ero stufa del suo modo di fare, Emmett aveva messo su uno dei suoi sorrisi maliziosi da orso.
<< Che c’è, fratello? Geloso della tua fidanzata? >> disse in tono beffardo.
Per poco non mi strozzai con l’acqua, mentre osservavo il viso di Edward sbiancare. Emmett stava ancora ridacchiando quando Esme tornò con un vassoio tra le mani.
<< Che succede? >> chiese guardandoci confusa.
Scossi la testa e cercai di sorridere. << N-nulla. >>
<< Si, infatti, nulla. >> confermò Edward minacciando suo fratello telepaticamente.
Esme ci guardò ancora un attimo e poi sorrise convenendo che era meglio non continuare con le domande.
<< Che cosa hai cucinato di buono, mamma? >> chiese Emmett cercando di sbirciare nel vassoio.
Esme sorrise. << Beh so che Rosalie è vegetariana così ho fatto la pasta al forno bianca con funghi e polpettine di tofu con contorno di broccoletti. >> disse fiera di se stessa inclinando un po’ il vassoio per darci una completata visuale di quello…scempio che osavano chiamare cibo.
Solo a sentire tofu il mio stomaco stava creando di uscire dalla mia bocca. Edward si portò un bicchiere d’acqua alle labbra per evitare che Esme lo vedesse ridacchiare.
Emmett sbuffò. << Bene, vado a farmi una pizza dopo. >>
Stavo quasi per concordare, ma Esme mi aveva già preceduto rimproverandolo. << Emmett esigo rispetto ed educazione in casa mia. >>
<< Mamma, ma Be… >>
<< Bello quel vaso, Esme, è cinese? >> subentrai io cercando di distogliere l’attenzione da Emmett che appena resosi conto della stronzata che stava per dire abbassò lo sguardo mortificato.
Esme parve confuso, ma poi sorrise e mi raccontò la storia di quel vaso mentre serviva le porzioni di pasta.
Cominciammo a mangiare parlando del più e del meno, Edward non spiaccicò quasi parola ed Emmett rispondeva a monosillabi sussurrati a stento. Pensava che fossi arrabbiata con lui e un po’ lo ero, ma comunque non riuscivo a tenergli il muso così senza farmi vedere gli appoggiai la mano sulla gamba.
Lui si girò verso di me ed io gli sorrisi dolcemente,  si illuminò e mi indirizzò il suo sorriso da orso. La pace era fatta.
La cena proseguì meglio dopo il ritorno di Emmett, avremmo potuto evitare le polpette al tofu, ma i broccoli erano buoni.
Quando passammo al dolce, una buonissima torta alle fragole, ci spostammo su una paio di panchine bianche in giardino.
<< Esme questa torta è buonissima. >> commentai mangiandone una seconda fetta.
Esme sorrise entusiasta. << Oh grazie, cara. >>
Mentre Emmett stava raccontando una delle sue storielle ed Esme scuoteva la testa il mio telefono squillò, lo afferrai e sgranando gli occhi guardai Edward che subito capì chi era facendomi segno di allontanarmi.
Mi alzai scusandomi e mi allontanai entrando in casa. << Rose? >> risposi.
<< Bella, come stai? >> mi chiese contenta di sentirmi.
<< Sto bene, ma tu? Tornerai? >> chiesi sperando che quella fosse la volta buona.
<< No, o almeno, non adesso. >> si fermò. << Bella io non ho mai capito cosa si provasse a vivere come fai tu, pensavo fossi superficiale e… stupida, ma è bello, sai? >> mi disse e potei sentirla sorridere.
<< Vivere come te, invece, è un vero inferno. >> commentai evitando accuratamente di pensare al suo commento poco felice sulla mia persona. << Voglio tornare alla mia bella vita, Rose, sono stanca. >>
<< Bella, ti prego… >> cercò di farmi ragionare.
Avrei potuto dirle che forse mi ero innamorata del suo fidanzato e che se non fosse venuta nell’immediato futuro me lo sarei preso, ma non lo feci perché comunque l’avrei sempre protetta da tutto.
<< Rose questa storia non mi piace, ma…ti darò ancora qualche giorno, dopodiché o tornerai o chiamerai Edward per annullare le nozze. >> dissi comunque dandole un ultimatum.
<< Okey. >> disse afflitta.
<< Ma dove sei? >> chiesi almeno per sapere dove fosse, tutta quella cosa del brancolare nel buio mi faceva stare in ansia.
<< Ehm… adesso devo andare. >> disse incerta.
<< Rose, no… >> cercai di fermarla.
<< Ti chiamo io. >> e riattaccò.
Imprecai gettando il telefonino nella borsa. << Cazzo! >> esclamai ancora, incazzata nera.
Rimasi ancora qualche secondo in casa facendo lunghi respiri cercando di calmarmi non avrei voluto rispondere male ad Esme solo perché ho una sorella più fuori di un balcone.
<< Ehi tutto okey? >> mi chiese Emmett venendo alla mie spalle.
Scossi la testa e mi appoggiai con la fronte sulla sua spalla mentre lui mi circondava le spalle con le sue grandi e forti braccia.
<< Non va niente bene, Emm, ed io odio quando perdo il controllo della situazione. >> dissi afflitta stringendomi a lui.
<< Che ne dici se dopo questa orribile cena andiamo a mangiare qualcosa di umano? Così parliamo un po’. >> disse alzandomi il viso verso il suo.
Sorrisi e annuii. << Certo. >> poi mi alzai sulle punte e gli sfiorai le labbra con le mie. << Sei il migliore amico al mondo. >>
Lui sorrise contento. << Lo so. >>
Ridacchiai dandogli un pungo sulla spalla e poi insieme uscimmo in giardino dove Esme mi guardò preoccupata. << Tutto okey, cara? >> chiese.
Annuii. << Certo, tranquilla. >> e mi accomodai di nuovo.
Guardai Edward e scossi impercettibilmente la testa facendogli capire che l’esito della telefonata non era positivo come speravamo. Vidi la sua mascella irrigidirsi, poi si scusò ed entrò in casa.
Avrei voluto seguirlo, ma non sapevo come comportarmi e cosa dirgli. Come si fa a consolare una persona che non sa più se si sposerà perché la sua fidanzata e dispersa in chissà quale paesino e tra chissà quali braccia?
Sapevo che non si amavano come avrebbero dovuto fare due persone in procinto di sposarsi, ma comunque era pienamente libero di provare rabbia e delusione verso di lei.
<< Rosalie, prima io ed Edward stavamo parlando di tua sorella. Come sta? >> mi chiese Esme sorridendomi.
Ecco arrivata la parte in cui avrei dovuto parlare di me in terza persona senza farle scoprire nulla. << Oh… ehm… Bella è Bella, sta bene. >> dissi immaginando il modo in cui avrebbe dovuto parlare Rose.
Esme annuì sorridendo. << Sono contenta è una così cara ragazza. >>
Cosa puoi fare quando la persona a cui stai mentendo spudoratamente dice cose carine su di te? Niente, puoi soltanto roderti il fegato.
<< Oh... si, lo è. >> dissi cercando di sorridere.
<< Potevamo invitarla questa sera, che maleducata che sono stata. >> si angosciò portandomi le mani in grembo.
Scossi la testa. << E’ fuori città in questo momento, non avrebbe neanche potuto partecipare. >> dissi inventandomi la prima stronzata che mi fosse venuta in mente.
Esme parve rianimarsi, ma poi quel sorriso luminoso ed entusiasta che gli si stampò in viso mi terrorizzò un po’. << Magari potremmo rifare questa cena quando tornerà. Le farebbe piacere, secondo te? >>
<< M-ma certo. >> dissi copiando la sua stessa espressione facendole capire che questa idea mi piaceva e che era la regina delle idee.
Esme esclamò un entusiasta ‘Che bello!’ prima di alzarsi e afferrare il vassoio con il caffè e la torta.
Quando fui certa che non mi potesse né sentire né vedere sospirai di sollievo e mi accasciai sulla panchina. Emmett ridacchiava mentre mi dava dei buffetti sulla gamba per consolarmi. << Guarda il lato positivo… potremmo mangiare carne. >>
Mi girai verso di lui per lanciargli un’occhiataccia, ma la sua faccia era così comica che risi con lui. << Sei sempre il solito. >> commentai appoggiandomi per un attimo con la testa sulla sua spalla.
 
Quando ci concedemmo tutti e tre da Esme con la promessa che saremmo tornati molto presto con anche Bella, ci dirigemmo alle macchine.
Emmett guardò l’ora sul suo orologio. << Bhe… io direi di andare a farci quella pizza. >> disse guardandomi.
Annuii. << Oh si, ti prego. >> e mi avvicinai alla sua macchina.
<< Ehm… scusate… po-potei venire con voi? >> chiese un incerto Edward.
Emmett lo guardò tranquillamente. << Paghi tu? >> disse sorridendo poi furbo prima di entrare in macchina.
Io intanto stavo ancora guardando Edward con un espressione leggermente sconvolta. Edward mi stava guardando senza barriere ed era anche imbarazzato, un’espressione che in quella serata era la seconda volta che si presentava, ma mi aveva di nuovo stupito.
<< Posso? >> mi chiese guardandomi.
Mi riscossi dai miei pensieri. << Ehm… certo, paghi tu? >> chiesi anche io entrando nella macchina di Emmett, ma non mi sfuggii il sorriso che gli piegò le sue belle labbra.
Andammo in un disco pub in centro dove quella sera c’era la serata di latino americano che io subito apprezzai seguita da Emmett che subito scelse un tavolino non molto lontano dalla piccola pista da ballo.
<< Allora? Che prendete? >> chiese Edward guardando il menù.
Si era tolto la giacca e aveva arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti rendendo quella visione altamente erotica per i miei ormoni impazziti.
<< Carne, patatine e carne. >> commentò Emmett richiamando l’attenzione di una cameriera.
Concordai e prendemmo due panini con salsiccia, insalata e mozzarelle, un enorme porzione di patatine e due birre medie mentre Edward si limitò ad un insalata mista ed una bottiglina d’acqua. 
<< Quanto sei palloso. >> commentò Emmett sbuffando.
Ridacchiai mentre Edward alzava gli occhi al cielo anche perché Emm non aveva neanche aspettato una sua risposta che si era alzato puntando verso la sua prima preda per la serata.
Mi aveva lasciata da sola con Edward e mi sentivo in imbarazzo adesso che sapevo di provare qualcosa per lui che andava oltre la semplice sopportazione o tolleranza.
<< Cosa ti ha detto Rosalie? >> mi chiese all’improvviso.
Feci spallucce. << Niente di nuovo, purtroppo, ma le ho dato un ultimatum. >>
Lui annuì. << Ottimo. >> lo disse con stizza.
Lo guardai stupita, ma non feci nessuna domanda anche perché arrivarono i nostri panini e la sua insalatina.
<< Ha ragione Emmett, sei noioso. >> commentai ridacchiando.
Lui sorrise divertito e afferrò una patatina mangiandola a tradimento, ma poi la sua faccia leggermente disgustata mi fece ridere di cuore. << Oddio come sei buffo. >>
Ridacchiò anche lui e cominciammo a mangiare discorrendo tranquillamente di discorsi più o meno poco intelligenti a cui si unì anche Emmett per poi raccontarci qualcosa della sua ultima povera vittima sacrificale.
Stavamo chiacchierando e mangiando le patatine quando il dj annunciò che tra qualche minuto sarebbe iniziata la serata ed io applaudii contenta con gli altri clienti. Mi piaceva ballare e scatenarmi in pista e poi avere Emmett al mio fianco che era altrettanto gasato aumentava la mia allegria.
Appena cominciarono le canzoni io ed Emmett ci lanciammo in pista e cominciammo a ballare e a scatenarci fino a che la sua vittima non lo venne a reclamare lasciandomi sola.
Stavo per tornare a posto quando qualcuno di inaspettato mi si avvicinò afferrandomi per il braccio. << Voglio ballare. >> mi disse.
Mi girai verso di lui e lo guardai stupita. << Sul serio? >>
Lui annuì e mi strinse al suo corpo. << Sul serio. >> sussurrò al mio orecchio cominciando a muoversi.
Quella che stavano mandando era una canzone che mi piaceva molto dove il movimento di bacino era d’obbligo così cominciai a muovermi e lui dopo qualche secondo mi seguì. Era bravo e poi guardare il suo culo bello e sodo era davvero uno spettacolo.
Mi girai si schiena appoggiandola al suo petto e mi mossi facendo anche un po’ la stronza e gongolando quando qualcuno si svegliò. Le sue mani si artigliarono ai miei fianchi e sentì il suo fiato caldo pericolosamente vicino al mio orecchio.
<< Fai la brava. >> sussurrò stringendomi ancora di più a lui.
Continuammo a ballare fino a che per me fu possibile, poi mi staccai uscendo dal locale. La vicinanza al suo corpo non andava bene, non andava proprio bene, era troppo eccitate ed io troppo attratta da lui.
Se fossi rimasta ancora qualche altro minuto al suo fianco probabilmente lo avrei preso, portato nei bagni e scopato fino allo sfinimento anche se ero convinta che mi ci facesse arrivare prima lui.
Dopo qualche minuto uscì anche lui con la mia borsetta e la sua giacca tra le mani, mi individuò subito e mi si avvicinò. << Ti accompagno a casa. >> mi disse in tono freddo e distaccato.
Annuii e in silenzio lo seguii in macchina dove per il tutto il tragitto regnò il silenzio e la tensione si poteva tagliare a fette con un coltello. Non sapevo cosa stesse passando per la sua testa, ma ci avrei scommesso tutto il mio prossimo stipendio che erano gli stessi dubbi e sentimenti che albergavano nella mia.
Quando arrivammo sotto al mio palazzo spense la macchina, ma non si girò verso di me.
Mi slacciai la cintura e sospirai. << Ehm… grazie per la serata. >> dissi aprendo poi la porta ed uscendo. << Buonanotte. >> sussurrai per poi mettermi quasi a correre verso il portone.
Ero arrivata all’ascensore quando lo sentii affannare dietro di me e afferrarmi il braccio. << Bella. >> mi chiamò girandomi verso di lui.
<< C-cosa? >> chiesi turbata.
Le porte dell’ascensore si aprirono ed Edward mi spinse dentro guardandosi intorno e sospirando di sollievo quando si chiusero rimanendoci soli e lontano da occhi indiscreti.
<< Che ti è successo? >> chiesi un po’ irritata.
Si avvicinò a me, afferrò il mio viso tra le sue mani e appoggiò le sue labbra calde sulle mie. Per un attimo rimasi confusa e con gli occhi sgranati, ma poi mi sciolsi lasciandomi andare a quel bacio che avevo da sempre desiderato.
Mi costrinse ad aprire le labbra e sentii subito la sua lingua calda in cerca della mia che subito si fece trovare e cominciarono a  danzare tra loro. Era bravo, cazzo, era bravissimo!
Con un solo bacio sentivo il cuore esplodere e il sangue ribollire nelle vene per non parlare della gelatina nella gambe.
Mi arrampicai letteralmente su di lui immergendo le mani nei suoi morbidi capelli mentre lui avvolgeva le braccia intorno alla mia vita sollevandomi a qualche centimetro da terra. Continuammo a baciarci fino a che non si sentì il rumore dell’ascensore che ci avvertiva che eravamo arrivati.
Mi fece appoggiare di nuovo i piedi a terra e si staccò da me dandomi un paio di dolci baci a stampo.
<< Buonanotte. >> sussurrò.
Sconvolta uscii dall’ascensore e lo vidi sparire dentro questi portandosi con se il mio cuore e lasciandomi il senso di colpa.  

Canzone: http://www.youtube.com/watch?v=tLuL5slr304 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Ehilà girls, come state?
Io sto a casa del mio ragazzo che dorme alla ben e meglio ed io ne approfitto per lavorare mentre osservo sua madre correre a destra e a manca.
Cmq eccomi ritornata con un altro capitolo dopo il bacio inaspettato.
Vedo che la cosa vi è piaciuta, speriamo che continui così.
Adesso vi lascio al capitolo.
xoxo Alex


Capitolo 10

 

Quella notte non dormii per niente, troppo scossa da quel bacio inaspettato e sbagliato. Ma come mi era venuto in mente di ricambiare e come era venuto in mente a lui di farlo?
Porca miseria, stai per sposare mia sorella, stronzo! Questa era esattamente la cosa che avrei dovuto dirgli invece di infilargli la lingua in bocca come se niente fosse.
Perché Emmett mi aveva lasciata sola? Non era la serata delle conquiste, doveva rimanere con me per evitare qualche stupidaggine, invece no, doveva sempre fare il marpione.
Alle cinque mi alzai dal letto esasperata, mi feci una doccia, infilai la tuta e decisi di farmi una corsetta a Central Park, avevo bisogno di scaricare la tensione.
Dopo un ora di corsa mi sentivo già meglio, così decisi di decelerare e fare una camminata veloce e poi decelerare ancora fino a fermarmi del tutto e fare gli esercizi.
Alle sette ero di ritorno a casa, avevo fatto una sosta alla pasticceria a qualche isolato di distanza e avevo preso un muffin e un caffè. Il ragazzo dietro al bancone aveva ridacchiando quando mi aveva visto mangiare il dolcetto sudata e in tenuta da jogging, anche io avevo riso perché non era il massimo.
Quando ritornai a casa mi gettai direttamente sotto la doccia, mi lavai accuratamente i capelli perché avevo sempre il terrore che si potesse sentire l’odore acre del sudore. Molte volte mi era capitato di stare vicino a qualcuno che puzzasse e non era una cosa molto carina, neanche sentirselo dire visto la faccia imbarazzata e rattristata che aveva quella persona a cui lo avevo fatto presente.
Uscii dalla doccia appena in tempo per sentire squillare il mio cellulare, lo presi e risposi azionando il vivavoce.
<< Ciao stronzetta. >> rispose Tanya dall’altro capo.
Sorrisi. << Ciao troia, come stai? >> chiese mentre mi passavo la crema sulle gambe.
<< Molto bene, grazie. Tu? Alice mi ha aggiornato ieri sera… >> disse mentre la sentivo armeggiare con qualcosa, evidentemente si stava truccando.
Alice era peggio di un giornale quando ci si metteva, ma comunque mi aveva risparmiato un altro racconto che mi avrebbe portato a ricordare la fine della serata anche se non l’avevo dimenticato ancora.
<< Bhe… che ne dici se andiamo a pranzo insieme tutte e tre e vi racconto quello che è successo dopo? >> chiese mentre infilavo l’intimo rosso abbinato alle scarpe.
<< Perché, che è successo dopo? >> chiese maliziosa mentre la sentivo chiudere un mobile.
Infilai il vestitino bianco di pizzo, stretto in vita e che arrivava a metà coscia. Era un vestitino che avevo comprato un mese prima quando era andata qualche giorno in Messico, lo avevo trovato su una bancarella e me ne ero innamorata. I migliori cinque dollari spesi in vita mia.
<< Bhe… vi racconto dopo, dai. Chiami tu Alice? >> chiesi mentre mi passavo un velo di fard sul viso.
<< Certo, al solito posto, okey? Buona giornata, ciccia. >> e riattaccò.
Alzai gli occhi al cielo mentre mettevo un leggero strato di gloss sulle mie labbra piene, passai un po’ di ombretto bianco sull’occhio per dare un po’ di luce e un po’ di mascara sulle ciglia.
I capelli li avevo raccolti in una treccia larga con qualche ciocca che scendeva dando un look trasandato, ma che mi stava particolarmente bene.
Infilai le scarpe, afferrai la borsa e tutto quello che mi serviva e poi uscii da casa alle otto e mezza precise. Quando mi ci mettevo ero peggio di un orologio svizzero, ma questa cosa succedeva raramente.
Giù ad aspettarmi c’era il solito portiere che mi sorrise e mi diede il buongiorno sempre con educazione e rispetto.
Decisi di fare qualche passo a piedi, magari trovavo qualcosa di carino da comprare in qualche negozio.
Dopo cinque minuti qualcosa di carino lo avevo visto, ma non erano né un paio di scarpe né un vestito, era un uomo e che uomo.
Era alto forse un metro e ottanta, spalle larghe e corpo muscoloso che si intravedeva dalla camicia bianca. Aveva i capelli brizzolati, mascella squadrata e due bellissimi occhi azzurri che in quel momento mi stavano squadrando da capo a piedi come stavano facendo i miei con lui.
Era seduto ad un tavolino in un bar e aveva il giornale in mano, ma non lo stava guardando troppo impegnato a farmi la radiografia.
Sorridendo in modo malizioso mi avvicinai a lui e mi accomodai al suo stesso tavolino accavallando le gambe. Lui osservò con lo stesso sorriso tutte le mie mosse, poi chiuse il giornale e lo appoggiò sul tavolo vicino alla sua tazza di caffè.
<< Ciao. >> salutai.
Lui spostò la tazza di caffè e appoggiò le braccia sul tavolo avvicinandosi a me. << Ciao bellissima. >> e sorrise.
<< Sono Bella. >> dissi presentandomi offrendogli la mano.
<< Lo so… >> io ridacchiai alla battuta stupida e lui sorrise divertito. << Sono Eric, molto lieto. >> e mi diede un leggero bacio sul dorso della mano.
Osservando le sue labbra il mio sguardo cadde sul suo orologio che segnava le nove meno un quarto. Cazzo, ero in ritardo!
Presi un foglietto dalla mia borsa e scrissi il mio numero personale sul retro, cancellando quello dello studio e del cellulare che usavo per il lavoro.
Gli porsi il biglietto. << Chiamami. >> e me ne andai sculettando più del normale sentendo i suoi occhi su di me.
Stavo camminando quando mi squillò il telefono, lo presi e risposi. << Si? >>
<< Hai detto chiamami, ma non quando avrei dovuto farlo. >> mi disse con la sua voce sensuale.
Risi divertita e sentii anche la sua bella risata.
<< Oggi a pranzo ho un impegno, ma ti va di vederci stasera a cena? >> continuò quando le risate cessarono.
<< Ci vediamo alle nove da Arno, okey? >> chiesi.
<< A stasera. >> sussurrò prima di riattaccare.
Quella mattina in ufficio fu davvero tragica e poi a sorpresa venne la figlia del capo e passai con lei una buona oretta, leggemmo solo il primo capitolo, senza neanche discutere sul titolo. Era brava, ma la sua scrittura era acerba, aveva bisogno di maturare un po’.
Quando arrivai al ristorante dove avevo appuntamento con le ragazze per parlare di Edward, mi resi conto che per tutta la mattina non ci avevo pensato, avevo in mente solo Eric e la serata che avremmo passato insieme.
Quando mi accomodai c’erano già gli altri due Angeli ad aspettarmi. << Salve, ragazze. >> salutai dando un bacio sulla guancia ad ognuna.
<< Ciao, tesoro. >> sorrise Alice.
Tanya mi diede uno schiaffetto sul culo. << Ciao ciccia. >>
Alzai gli occhi al cielo alla diversità di entrambe poi mi accomodai facendo cenno al cameriere che venne in un attimo e prese le ordinazioni per poi lasciarci sole.
<< Siamo a tua totale disposizione. Parla! >> mi impose Alice.
Tanya annuì assentendo all’ordine di Alice, così sospirai e raccontai loro tutto quello che era successo dalla telefonata che avevo fatto a quest’ultima.
<< … l’ascensore si stava per chiudere, quando è entrato mi ha preso e mi ha baciato. >> finii.
Loro sgranarono gli occhi a quell’ultima notizia. << Che tipo di bacio? A stampo senza pretese o con tanto di lingua e saliva? >> chiese Tanya eccitata.
<< Saliva, lingua e strusciamento… >> precisai.
Tanya battè le mani eccitata. << Oh che cosa carina…. >>
Fu il turno di Alice di alzare gli occhi in gloria. << Tanya, per favore, qui la situazione è tragica. >> la rimproverò, poi spostò lo sguardo su di me. << Hai risposto al bacio? >>
Abbassai lo sguardo mortificata e lei capì. << Ma dai, Bella! >> commentò. << Che ti è saltato in mente? E’ il fidanzato di tua sorella, cazzo! >>
Alzai lo sguardo arrabbiata. << Appunto non avrebbe dovuto farlo e tu mi conosci, sai che appena vedo un uomo sexy che vuole baciarmi non mi faccio tanti problemi. >> commentai stizzita.
Alice mi lanciò un’occhiataccia. << Non lo so, forse il fatto che è di proprietà di Rosalie avrebbe potuto bloccarti? >>
Scossi la testa. << Sono una troia, Alice, niente mi blocca. >>
Tanya ridacchiò mangiando il suo grissino, Alice sospirò mentre il cameriere imbarazzato posava sul tavolo la nostra ordinazione.
<< E-ecco… >> disse balbettando.
Ridacchiai e gli indirizzai un sorriso malizioso facendolo fuggire via rosso come un peperone. Alice a quell’ennesima scena imprecò lasciandoci un po’ sorprese, raramente perdeva il controllo e quasi tutte le volte la colpa era mia.
<< Bella, devi smetterla di comportarti così, okey? Sei una donna matura non puoi sempre comportarti da ragazzina allupata. >> commentò spezzando un po’ di pane.
<< Sono una ragazzina allupata. >> commentai afferrando un raviolo e portandomelo alle labbra. << Non posso farci nulla. >> e mangiai.
Alice a quel commento preferì non proseguire perché sapeva come ero fatta, avevo sempre ragione io. Mio padre diceva sempre che ero ‘un chiodo senza punta’, cioè in qualsiasi situazione avevo sempre ragione io, la mia opinione era sempre quella giusta e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea facilmente. Chi mi conosceva sapeva che era inutile parlare con me, ma Alice cercava sempre di trovare il modo giusto di prendermi, ma dopo tanti anni di amicizia e di prove non ci era ancora riuscita.
Dopo l’ennesimo sbuffo da parte sua mi scocciai. << Senti è stato un episodio unico, okey? Non si ripeterà più anche perché stasera ho un appuntamento. >> e sganciai la bomba.
Tanya super eccitata volle sapere tutti i particolari e anche Alice parve dimenticarsi della discussione che avevamo avuto.
<< E quindi stasera usciamo insieme. >> conclusi finendo anche il piatto di pasta.
<< Posso sceglierti i vestiti? >> mi chiese Tanya aggrappandosi al mio braccio e strattonandomi.
Inarcai un sopracciglio. << Ti pare che ho bisogno di un aiuto? >> le chiesi offesa.
Si rattristò in un attimo e mi lasciò bruscamente per poi mettere il broncio. << Stronza. >> commentò.
Ridacchiai e cercai di farle una carezza, ma si scostò, allora io mi gettai su di lei abbracciandola e riempiendo il suo viso di baci. Alla fine ridendo restituì l’abbracciò e mi diede un piccolo bacio sulle labbra. << Sei comunque stronza. >> mi disse staccandosi da me.
Alice ci guardava con un leggero broncio, così mi avvicinai a lei e le riservai lo stesso trattamento a cui si unì anche Tanya. Qualcuno ci stava guardando prendendoci per della pazze, ma a noi non importava, stavamo bene in quel momento quella era la cosa fondamentale.
 
Quando tornai a casa quella sera alle sette, mi lasciai andare un attimo sul divano rilassando i muscoli delle gambe e i miei poveri piedi ridotti a delle polpette doloranti. Quel pomeriggio avevo corso a destra e a manca perché c’erano stati dei problemi con le stampe ed i computer, avevo chiamato un tecnico che si era presentato con due ore di ritardo ritardando ovviamente la tabella di marcia e avevo anche dovuto subire le sue occhiate lascive e terrificanti.
Il mio capo mi aveva chiamato per sapere come andava con sua figlia e si era leggermente imbronciato quando gli avevo riferito che a stento avevamo fatto il primo capitolo. Cosa si aspettava, che lo riscrivessi daccapo dandole poi il merito?
Verso le sette e mezzo mi recai in bagno per concedermi una lunga doccia e un rilassante shampoo alla fragola, il mio preferito. Dopo mi passai la crema sul corpo, dandole un buonissimo odore di vaniglia e cioccolato. Mi truccai accuratamente e lasciai i capelli sciolti in morbide onde che ricadevano leggere sulle spalle.  Indossai un vestito blu notte drappeggiato senza spalline ed un paio di sandali dorati.
Mi stavo osservando allo specchio mettendo un po’ di gloss sulle labbra quando il citofono suonò, confusa andai a rispondere. << Edward. >> disse semplicemente.
Sgranai gli occhi dalla sorpresa e aprii, aspettando vicino la porta aperta per accoglierlo appena fosse salito sopra.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono e lui mi guardò sgranò gli occhi e poi scosse la testa abbassando lo sguardo e mormorando qualcosa che solo lui capì.
<< Che ci fai qua? >> chiese spostandomi per farlo entrare.
Lui si fermò in mezzo al salotto girandosi verso di me, con sguardo freddo ed indagatore. Io lo guardai senza battere ciglio, senza fargli capire che lo trovavo davvero sexy con quel jeans e quella maglietta grigia a mezze maniche.
<< Dove stai andando? >> mi chiese brusco.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo. << Se sei venuto solo per fare conversazione io continuo a prepararmi mente la facciamo. >> dissi ritornando in camera mia. << Comunque esco. >>
Lo sentii dietro di me. << Con chi? >> chiese ancora.
Quella conversazione stava prendendo sempre più le sembianze di un interrogatorio e la cosa mi urtava. << Non penso siano problemi tuoi. >> commentai mettendo gli orecchini.
<< Isabella.con.chi.esci. >> disse scandendo bene le parole.
Lo guardai sconvolta per il tono arrabbiato che aveva usato. << Edward, ti sembra normale venire in casa mia e farmi il terzo grado quando non si è nella posizione per farlo? >>
<< Io ho tutto il diritto di venire qua, tu sei… >> ma si interruppe capendo che stava per dire una stronzata.
Lo guardai incrociando le braccia sotto al seno e guardandolo con un sopracciglio inarcato. << Sono cosa, Edward? La tua ragazza? No. Tua sorella? No. Non sono nessuno per te come tu non lo sei per me. >> commentai acida e anche parecchio irritata.
Lui digrignò i denti. << Tu… lavori per me, non puoi uscire con altri. >> disse cercando di arrampicarsi sugli specchi.
Risi davvero divertita per quel suo modo di farmi capire che non dovevo uscire perché era geloso. Mi avvicinai a lui lentamente. << Ascoltami bene, Edward Cullen, io non lavoro per te ti sto solo facendo un favore come l’ho fatto a mia sorella. Ma questo favore non include l’annullamento della mia vita privata, quindi io stasera uscirò con quest’uomo e se mi andrà ci farò del grandioso sesso e tu, mio caro, non potrai dire o fare niente per impedirmelo. >> dissi arrabbiandomi di più ad ogni parola che dicevo. << Ora, se vorresti farmi il favore di andartene, mi faresti davvero contenta. >> dissi poi girandomi di spalle e ritornando a guardarmi allo specchio per controllare le ultime cose.
Sentii ancora per qualche secondo i suoi occhi trafiggermi, poi se ne andò sbattendo la porta così forte che tremarono i vetri ed il mobile.
Sbuffai irritata e imprecai quando mi resi conto che quella sceneggiata mi aveva fatto perdere del tempo e che se non mi sbrigavo sarei arrivata tardi.
Mi guardai un’ultima volta allo specchio, poi afferrai la borsa con il leggero cardigan blu e uscii dal mio appartamento sperando che per quella sera le sorprese fossero finite, ma mi sbagliavo e anche alla grande.  




                        Eric

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Salve ragazze, come state?
Scusate il ritardo, ma sono stata troppo impegnata a mandare di continuo il DVD di BD....
Da quando l'ho comprato l'avrò visto un centinaio di volte, sia in italiano che in inglese...
Cmq basta chiacchierare ecco un altro capitolo...
Spero vi piaccia.
Buona lettura.
xoxo Alex




 

Capitolo 11


 

Arrivai al ristorante con dieci elegantissimi minuti di ritardo, per mia scelta ovviamente. Mi facevo sempre aspettare figuriamoci al primo appuntamento con un uomo, era basilare il ritardo.
Quando entrai nel ristorante mi sorprese che ci fossero molte persone a cena, nonostante fosse lunedì sera.
Mi avvicinai al cameriere lo fermai sorridendogli. << Salve, sto cercando Eric Sloan, è già arrivato? >> chiesi.
Lui annuì. << Certo, l’accompagno. >> e mi fece cenno di seguirlo.
Il tavolo dove Eric era seduto era abbastanza appartato a pochi tavoli di distanza dal pianoforte dove un ragazzo stava suonando una dolce melodia.
Il cameriere mi lasciò lì ed io sfiorai la spalla al mio accompagnatore che alzò lo sguardo e sorrise in modo illegale. Immediatamente una specie di languore si addensò al mio basso ventre e deglutì, sperando che non si notasse la voglia che avevo di lui. Era da un po’ che non facevo sesso e andare a cena con un uomo così sexy non mi aiutava nel mio tentare di tenere un’astinenza forzata.
Si alzò e mi sorrise ancora. << Ciao bellissima. >> e mi sfiorò la guancia con le sue perfette labbra.
<< Ciao. >> e gli lanciai un’occhiata lasciva.
Fece il giro del tavolo per scostarmi la sedia da vero gentiluomo ed io ne approfittai per guardarlo in tutta la sua bellezza. Aveva indossato un paio di pantaloni bianchi di lino, una camicia azzurra che faceva risaltare molto i suoi occhi ed una giacca blu. Era semplice ed elegante ed era tanto, tanto sexy.
Mi riscossi dai miei pensieri e lo ringraziai con un sorriso mentre mi sedevo facendo attenzione a non far vedere cos’ avevo sotto il vestito. Ero stata tentata di non mettere le mutande, ma poi avevo convenuto che era un po’ troppo presto farmi vedere già in quello stato.
<< Ho già ordinato del vino, ti dispiace? >> disse lui dopo che si fu accomodato di fronte a me.
Scossi la testa e sorrisi. << No, hai fatto bene, sono negata in queste cose. >> e ridacchiai seguita da lui.
Il cameriere che mi aveva accompagnato al tavolo arrivò con una bottiglia di vino rosso che versò nei nostri bicchieri dopo che Eric lo ebbe assaggiato dandogli il via libera. Osservai le sue labbra appoggiarsi al bicchiere e desiderai tanto essere quelle gocce di vino per accarezzarle, così distolsi lo sguardo per evitare che si notasse il mio sguardo da ninfomane arrapata.
Quando il ragazzo se ne andò Eric riportò di nuovo tutta la sua attenzione su di me e sorrise divertito. << Ti rendi conto che conosciamo solo il nome dell’altro? Non mi era mai capitato di comportarmi così… >> disse scuotendo da testa incredulo.
Sorrisi anche io divertita, ma poi il mio lato da gatta motta e troia ebbe il sopravvento e mi sporsi verso di lui. << Bhe evidentemente nessuno era sexy come me. >> sussurrai.
Lui deglutì e si sporse verso di me. << Evidentemente è così. >> si ritrovò a sussurrare di rimando.
Restammo in quella posizione senza dire niente soltanto guardandoci e dicendoci quello che avremmo dovuto dire fin da quella mattina. Che ci attraevamo, che avevamo voglia l’uno dell’altra e che alla fine di quella serata ci saremmo conosciuti meglio, molto meglio.
Il cameriere venne ad interromperci portando i menù che sfogliai senza neanche applicarmi tanto, se fosse stato per me ci trovavamo già in macchina sua diretti al mio appartamento per fare tanto sesso.
<< Prendo della carne sulla brace e dell’insalata. >> dissi chiudendo il menù e guardando Eric.
<< Prendo un risotto ai carciofi e un insalata mista, grazie. >> e congedò il ragazzo.
Quando se ne fu andato ritornammo a guardarci. << Allora, Bella, cosa fai nella vita? >> mi chiese interessato.
<< Sono caporedattore della sezione narrativa del New Yorker. >> dissi fiera di me stessa.
Lui mi guardò divertito. << Bhe, questa cosa ti piace, eh? >>
Ridacchiai imbarazzata. << Si, amo profondamente quello che faccio. >> poi mi ricomposi e lo guardai. << Invece, tu? >>
<< Sono un discografico. >> disse orgoglioso quanto me del mio lavoro.
Discografico? Lo guardai un attimo e poi sgranai gli occhi dalla sorpresa e dal piacere. Avevo davanti a me il più grande discografico degli ultimi dieci anni, era il Re incontrastato della musica, era stato lui a scoprire i cantanti che andavano in quel momento.
<< Non ci credo, tu sei Eric Sloan,  lo Sloan della Sapphire? >> chiesi per avere conferma.
Ma lo urlai leggermente così da attirare gli sguardi degli altri clienti, qualcuno lo salutò contento di incontrare un personaggio famoso.
Eric ridacchiò. << Sono io, ma preferirei che non lo sapessero tutti. >> e sorrise divertito.
<< Oh scusami. >> e mi portai la mano alla bocca in un espressione di studiata sorpresa.
Si, qualcuno potrebbe pensare che sono un pò falsa in alcune occasione, e forse lo sono anche, ma questo è il mio modo di essere di certo non devo dar conto a nessuno.
Gli feci qualche domanda sul suo lavoro e risi tanto alle sue battute e proprio mentre stavo ridendo per una che aveva appena fatto lo vidi.
Era seduto al bar del ristorante con un scotch in mano e mi guardava intensamente e con rabbia, come se stessi commettendo chissà quale reato.
Mi strozzai con la mia stessa saliva ed Eric preoccupato mi riempì il bicchiere d’acqua che io scolai in un solo sorso.
Quando mi fui ripresa Eric mi guardò divertito. << Prometto che non farò più battute. >> disse.
Scossi la testa cercando di sorridere, ma ero troppo turbata dalla sua presenza. Che ci faceva lì? Perché continuava a seguirmi e a pretendere qualcosa su di me?
<< No… scusa… troppa foga. >> mi giustificai riportando l’attenzione su Eric.
Cercai di non distogliere più lo sguardo da lui, cercai di non dare troppa importanza ad Edward che sentivo mi stava ancora guardando e ne ebbi conferma quando Eric si alzò per andare in bagno.
Il cameriere mi si avvicinò con un bigliettino. << Lo manda il signore seduto al bar. >> mi disse imbarazzato.
Tremante di rabbia lo lessi : ‘ Non divertirti troppo, tanto dopo dovrai chiudere.’
Quelle semplici parole per me valsero come minaccia, con rabbia strappai il bigliettino e alzai lo sguardo su di lui fulminandolo con gli occhi, lui in risposta mi sorrise. Ma che razza di bastardo si era trovata mia sorella?
Quando Eric tornò mi alzai io per andare in bagno e corsi quasi per evitare che mi seguisse, chiusi la porta a chiave e presi immediatamente il telefonino.
<< Pronto? >> rispose un po’ affannato.
Rimasi un attimo sorpresa. << Dimmi che non stai facendo sesso. >> dissi esasperata.
Lui ridacchio. << Mi piacerebbe, ma no. Sto spostando delle cose in casa, ma tu perché mi chiami? Il ragazzo non è attraente come sembrava? >> e ridacchiò ancora.
<< C’è quello stronzo di tuo fratello che mi manda bigliettini minatori. >> dissi evitando di rispondere alle sue domande.
<< Che? >> chiese confuso.
<< Mi ha seguita, Emm, e adesso è seduto al bar del ristorante. Mi osserva e mi manda bigliettini stupidi… >>
Emmett imprecò e lasciò cadere qualcosa a terra. << Coglione! >> commentò. << Dove sei? >>
<< Da Arno, fa presto. >> supplicai.
<< Cinque minuti e sono da te. >> e riattaccò.
Quando uscii dal bagno mi sentivo più sollevata, ma quando arrivai in sala avrei voluto sprofondare. C’era Edward seduto al tavolo nostro e chiacchierava tranquillamente con un Eric leggermente imbarazzato, ma troppo educato per farglielo presente.
Mi avvicinai a loro. << Che succede qui? >> chiesi con voce dura.
Edward alzò lo sguardo verso di me. << Ciao Bella, siediti. >> e mi fece un cenno verso la sedia.
Mi accomodai incapace di fare altro e guardai Eric che mi sorrise gentilmente, io al suo posto mi sarei imbufalita, ma io sono un caso a parte.
<< Che ci fai qui, Edward? >> chiesi a denti stretti.
Lui mi sorrise innocentemente. << Oh stavo giusto spiegando a Ric che il mio collega mi ha dato buca. >>
<< Eric, sono Eric. >> preciso lo stesso Eric esasperato.
<< Non hai risposto alla mia domanda… che ci fai qui? >> chiesi ancora trattenendomi a stento dal tirargli una sberla in faccia.
<< Mi sono trovato solo e quindi mi sono avvicinato. Rimango a cena con voi, no? >> e fece cenno al cameriere di avvicinarci.
Rimasi sconvolta ed immobile, incapace di fare e dire qualunque cosa. Eric mi guardava cercando di capire chi fosse Edward e perché stava lì seduto con noi, ma io scossi la testa facendogli capire che neanche io ci stavo capendo niente.
<< Si, signore? >> chiese il cameriere quando arrivò al tavolo.
<< Aggiunga un posto e mi porti il menù, grazie. >> disse entusiasta.
A quell’affermazione mi riscossi e feci cenno al cameriere di andarsene. << Non si preoccupi, se ne sta andando. >> dissi cercando di essere gentile ed educata. << Vero, Edward? >> dissi a denti stretti guardandolo.
Lui mi guardò confuso. << No, non me ne vado, ceno con voi. >> disse sempre più convinto.
Ma questi cinque minuti quando duravano per Emmett? Mi sembrava essere passata un’eternità o forse era il comportamento infantile e sciocco di Edward che mi stava esasperando e stava esasperando anche Eric che sembrava proprio sul punto di alzarsi e andarsene.
Stavo per dirgliene quattro, quando Emmett apparve come un angelo sceso in terra. Era vestito di bianco… sembrava una divisa da dottore, quasi…. No, era una divisa da dottore.
Spostò lo sguardo per la sala fino ad individuare il mio supplichevole e si avvicinò quasi correndo verso di noi.
<< Eccoti dov’eri finito, Edward, ti stavamo cercando tutti. >> disse sollevato.
Era un attore nato, lo avevo sempre detto.
Edward alzò lo sguardo verso di lui e lo fulminò. << Cosa ci fai qui, Emmett? >>
Emmett ridacchiò alzando gli occhi al cielo. << Edward, amico mio, è ora di ritornare in ospedale. Ti sei divertito abbastanza oggi. >>
Vidi chiaramente gli occhi di Eric sgranarsi dalla sorpresa, poi mi fissò ed io gli feci capire che ne avremmo parlato appena se ne fossero andati.
<< Ospedale? Ma che stai dicendo, Emm? >> chiese Edward irritato alzandosi.
Emmett cercò di afferrare il suo braccio. << Andiamo, Edward, basta scherzare. >> e gli passò un bracciò sulla spalla. << Hai bisogno delle tue medicine e di tanto risposto. >> e cercò di trascinarselo dietro.
Ci riuscì perché era troppo sconvolto per opporsi. Li osservammo mentre uscivano dal ristorante, Eric sconvolto ancora ed io troppo orgogliosa del mio migliore amico. Ne sapeva una più del diavolo.
<< Ma cosa? >> chiese Eric ancora incredulo.
Scossi la testa affranta. << Faccio volontariato in una clinica psichiatrica ed Edward ed uno delle persone che assisto. Si è preso una cotta per me e oggi evidentemente mi avrà sentito mentre raccontavo di te ad una mia collega, si è ingelosito ed è scappato. >> dissi apparendo dispiaciuta.
Anche io ero da premio Oscar, avrei potuto sbancare se avessi fatto l’attrice.
<< Quando è tranquillo è così un bravo ragazzo, ma poi ci sono momento in cui dimentica chi è e… mi dispiace così tanto, Eric, lo capirei se volessi lasciarmi perdere. >>
E la vincitrice per miglior parte drammatica è… Isabella Swan.
Immediatamente lo sguardo di Eric si addolcì e senti la sua amano accarezzarmi il braccio. << Non ci avevo neanche pensato a lasciati perdere, tranquilla. >> e mi sorrise dolcemente.
Sorrisi anche io e strinsi la sua mano. << Ti va se dimentichiamo questa scena e continuiamo con il nostro appuntamento? >>
Lui annuì e riprendemmo a chiacchierare tranquillamente, lo facemmo anche mentre mangiavamo e mentre passeggiavamo per New York in cerca di un locale carino per un dopo cena.
Avevo scoperto che era divorziato e aveva una figlia di diciassette anni che però viveva momentaneamente con la madre perché quest’ultima era incinta del suo nuovo marito. Era stato contento quando la sua ex moglie si era risposata e le aveva fatto anche da testimone e avrebbe fatto da padrino al bambino quando sarebbe nato. Gli piaceva leggere e amava andare a correre a Central Park di sera, amava il cioccolato e odiava i film horror.
Avevamo molte cose in comune e la cosa mi stuzzicava sempre di più. Mi piaceva parlare con lui, non era mai pesante né troppo frivolo, era giusto in tutto quello che diceva e faceva.
Non era uno che non faceva che parlare di se, gli piaceva anche ascoltare e quella sera parlai molto, davvero tanto, come non facevo da tempo.
Mi sentivo a mio agio con lui e la prospettiva di continuare e vederlo si stava facendo sempre più reale.
Trovammo un piccolo locale e ci accomodammo ordinando un Manhattan per me ed un whisky per lui.
<< Sembra davvero una cosa fantastica conoscere i cantati prima di tutti, no? >> chiesi mentre afferravo una nocciolina dal piattino che il cameriere aveva portato insieme alle ordinazione.
Eric fece spallucce. << Hai solo la possibilità di vederli prima che diventino spocchiosi e senza carattere. >>
<< Disse colui che li incitava a diventare così. >> e ridacchiai.
Lui sorrise divertito, poi scosse la testa. << Io non do a loro una possibilità di diventare così, io do loro la possibilità di dare agli altri qualcosa. Non so se hai mai notato, ma il primo CD che viene messo sul mercato rispecchia quelli che sono i veri sentimenti del cantante, i successivi sono soltanto una patetica imitazione. >> prese un sorso del suo drink. << Io cerco sempre di non far perdere mai la giusta via ai miei ragazzi, ma posso farlo fino ad un certo punto, poi sta a loro… sono loro che devono sempre cercare di rimanere loro stessi. >>
Sembrava quasi che parlasse dei suoi figli, potevo capirlo perché mi comportavo allo stesso modo con i miei autori. Conoscevo personalmente tutti loro e molte volte li chiamavo per avere loro notizie e per incoraggiarli sempre, qualcuno grazie a me aveva qualche pubblicato qualche libro.
Cercavo sempre di essere presente, anche se il mio lavoro non lo includeva, ma odiavo passare per la fredda caporedattrice che si nasconde dietro a occhiate gelide e sbraitamenti vari.
<< Non posso che essere d’accordo con te. >> e gli sorrisi.
 
Quando arrivammo sotto al mio palazzo Eric mi accompagnò fino all’ascensore. Ero in imbarazzo, cazzo, io che non esitavo mai a portarmi qualcuno a letto, che faceva sempre la prima mossa.
<< Ehm… >> tentai di dire, ma mi bloccai.
<< Mi piaci, Bella, davvero tanto. >> mi disse prendendo le mie mani tra le sue.
Sospirai. << Ma? >>
Lui mi guardò aggrottando la fronte. << Ma, cosa? >>
<< Ti piaccio tanto, ma? >>
Lui scosse la testa e sorrise divertito. << Non c’è nessun ma, tranquilla… solo, vorrei fare le cose con calma, non so se… >>
Annuii. << Si, ho capito. >> e sorrisi contenta di quella cosa.
Nessuno mi aveva mai detto facciamo le cose con calma, anche perché non avevo mai dato loro l’agio di poterlo fare. Eric aveva qualcosa che gli altri non avevano e ci avrei passato volentieri del tempo con lui per capirlo.
<< E’ okey, per te? >> chiese preoccupato.
Annuii e mi alzai sulle punte appoggiando le mani alle sue spalle. << E’ okey. >> e gli sfiorai le sue labbra con le mie in un fugace contatto.
<< Buonanotte. >> sussurrai per poi entrai in ascensore.
Ero contenta di quella svolta, ma quella notte a letto avrei dovuto provvedere da sola.  

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Ciao angeli.
Sono in ritardo di un giorno, scusate.
Cmq leggo e adoro ogni vostra recensione, ma non posso rispondere.
Vi adoro tutte anche le lettrici silenziose...
Buona lettura.
xoxo Alex


Capitolo 12

 

 Era una settimana ormai che io ed Eric ci frequentavamo e le cose andavano bene, molto bene. Ci eravamo visti quasi ogni sera, ma non eravamo andati mai oltre il bacio e che baci.
Eric era un baciatore provetto, sapeva fare magie con quella lingua e quelle labbra e non osavo pensare cosa avrebbero fatto quando finalmente avremmo fatto sesso, al solo pensiero un leggero languore si ammassava nel mio basso ventre.
La terza sera che uscimmo andammo al cinema e passammo quasi tutte e due le ore a baciarci come degli adolescenti arrapati. Era una cosa che non avevo fatto neanche quando ero un’adolescente in piena crisi ormonale.
La sera dopo eravamo andati a passeggiare per Central park e avevamo mangiato un panino da un carinissimo signore con un carretto, quel panino era il migliore che avessi mai mangiato.
Avevamo passeggiato, parlato e riso fino alle lacrime.
Era un comico nato, sapeva farmi ridere fino allo sfinimento, fino a che il mio stomaco non implorava pietà.
Quando la sera mi riaccompagnò sotto casa, restammo mezz’ora a baciarci. Ero regredita all’adolescenza e mi piaceva.
In quella settimana non vidi ne sentii Edward, era come sparito e a me stava bene perché se lo avessi visto lo avrei torturato a sangue. Non mi ero di certo dimenticata la figura che mi aveva fatto fare al primo appuntamento con Eric, fortuna che quest’ultimo fosse una persona abbastanza intelligente e che Emmett fosse molto creativo o avrei perso tutto.
Di Rosalie neanche l’ombra e cominciavo davvero ad innervosirmi. Okey, mi hai chiesto aiuto ed io da brava sorella te l’ho dato, ma adesso non ti sembra di approfittarne un po’ troppo?
Le avevo dato un ultimatum, ma lei se l’era fatto passare da un orecchio all’altro, quindi mi consideravo libera da ogni vincolo sia con lei che con Edward.
Per questo quella sera stavo andando proprio da lui di mia spontanea volontà, cosa alquanto strana, per informarlo.
Sapevo dove abitava perché una volta avevo accompagno Emmett, ma non ero salita da lui, quindi l’interno dell’appartamento mi era sconosciuto e morivo dalla curiosità di sapere come fosse.
Era un palazzo simile al mio, come lo erano più o meno tutti gli altri.
Quando mi aprì con rispose e quando salii capii anche il perché. C’era un corso una specie di festa ed io mi ero appena autoinvitata, perfetto!
C’erano una quindicina di persone vestite in modo informale, ma si capiva che ogni capo era firmato e costato tanto, e con un bicchiere di liquore o una semplice bottiglia di birra tra le mani.
<< Bella? >> mi chiamò una voce dietro di me abbastanza sorpresa.
Mi girai ed Edward mi stava guardando confuso. << Che ci fai qui? >> mi chiese avvicinandosi di qualche passo.
<< Volevo parlarti, ma vedo che sei impegnato, quindi passerò un altro giorno. >> e feci per andarmene, ma qualcuno mi fermò e non fu lui.
<< Rosalie Swan? Sei tu? >> chiese un ragazzo.
Mi girai verso di lui e lo guardai con un’espressione confusa. << Si? >> dissi prendendo subito le sembianze della mia casa sorella latitante.
<< Finalmente ti conosciamo. >> esultò. << Ragazzi, c’è Rosalie, la fidanzata di Eddy! >>
Eddy? Oh povero.
I ragazzi presenti che sentirono quel richiamo si avvicinarono e si presentarono entusiasti di conoscermi. Non avevo ancora capito chi fossero quei ragazzi, ma non chiesi per evitare brutte figure perché si presuppone che la fidanzata dell’ospita sappia con chi ha a che fare, no?
Comunque lo avrei chiesto ad Edward quando saremmo rimasti soli.
<< Ti va di restare un po’? >> mi chiese proprio lui offrendomi una bottiglia di birra già stappata.
Sbuffai e l’afferrai. << Ho altra scelta? >>
Lui annuì. << Si, come sempre. >>
Lo guardai in modo strano corrugando la fronte. << Che significa? >>
Lui scrollò le spalle lasciandomi il beneficio, poi mica tanto, del dubbio e andando dai suoi amici.
Lo guardai mentre rideva e scherzava con quei ragazzi e sembrava davvero un’altra persona. Mai lo avevo visto ridere così, sembra davvero essere l’anima della festa, mister ghiacciolo.
Feci un grosso respiro e con la mia birra tra le mani cominciai a farmi un giro per la casa facendo un cenno o un sorriso a chi mi chiamava cercando di attirare tutta la mia attenzione, cosa che io non feci.
Alla fine capii che quelli erano amici del college ed era una delle rimpatriate mensili che facevano, quel mese era toccato ad Edward ospitarli.
Era una cosa davvero carina e divertente, io non incontravo i miei amici del college da una vita e non ne sentivo neanche l’esigenza.
Stanca di tutta quella confusione uscii sul terrazino e mi godei la leggera brezza estiva che mi scompigliava i capelli e faceva svolazzare leggermente la mia camicetta blu, che avevo abbinato ad un paio di pantaloncini di tela bianchi ed un paio di sandali bassi blu.
<< Ehi… >> qualcuno mi chiamò facendomi sobbalzare per lo spavento.
Mi girai verso la voce e mi trovai un ragazzo dalla carnagione leggermente dorata, capelli color miele lunghi legati da un codino sulla nuca e due dolci occhi nocciola. Era alto più o meno quanto Emmett, ma aveva il corpo più asciutto con i muscoli appena appena accennati.
<< Scusa se ti ho spaventata, non volevo. >> mi disse con voce gentile ed un leggero sorriso imbarazzato sulle labbra.
Cercai di sorrise. << Non fa niente, tranquillo. >>
Ritornai a guardare il panorama, mentre lui si avvicinava alla ringhiera guardando verso la mia stessa direzione. << Adoro New York di notte, ha qualcosa di magico. >> sussurrò.
Annuii. << Già. >> girai lo sguardo verso di lui. << Tu non sei di qua, vero? >>
Scosse la testa. << Sono di Chicago, infatti. >> rispose guardandomi.
Annuii, poi mi ricordai di non essermi presentata. << Io sono…. >>
<< Bella… >> continuò lui lasciandomi spiazzata.
Lo guardai con gli occhi sgranati e con la gola secca incapace di dire nulla. Cosa avrei potuto dire? Glielo aveva detto Edward o era stato lui a capirlo? Se fosse stato così com’era possibile?
<< C-come… >> cercai di dire, ma non trovavo le parole giuste.
<< Io sono Garrett, il migliore amico di Edward e il suo testimone, oltre Emmett. >> mi disse convinto che quello poteva farmi capire qualcosa.
Edward aveva un migliore amico? Chi era così pazzo da esserlo? O dovevo cominciare a pensare che solo con me era uno stronzo bastardo? Forse dovevo cominciare veramente a pensarlo.
<< Quindi… >> cominciai e lui annuì.
<< Mi ha detto tutto, cioè urlato tutto, ma il senso è quello. >> disse divertito forse pensando alla reazione di Edward. << Non l’ho mai visto così infuriato con Rose. >> 
<< Non con me? >> chiesi ormai convinta che fossi io la causa.
Garrett scosse la testa. << No, non ce l’ha con te… in realtà non ce l’ha mai avuta con te. >> e mi guardò come se io in quella frase dovessi trovarci chissà quale messaggio segreto.
Cosa dovevo capire? Che non era colpa mia se Edward mi trattava in quel modo che era un suo problema? Certo, poteva anche essere uno suo problema, ma quel suo problema lo aveva nei miei confronti quindi era anche mio.
<< Se hai qualcosa da dire, dilla senza giri di parole, li odio. >> dissi un po’ troppo acida.
Lui non parve turbato dal modo in cui parlai, infatti fece un sorriso divertito. << Sei un po’ troppo acida per passare per una che non si preoccupa di certe cose. >>
Inarcai un sopracciglio. << Avevamo detto senza giri di parole, Hercules. >>
Lui mi guardò aggrottando la fronte. << Hercules? >>
Annuii. << Mi ricordi lui con quell’acconciatura. >> poi sbuffai. << Stiamo divagando, parla! >>
Lui sospirò. << Sto cercando di dirti che forse potresti evitare di aggredirlo quando sta con te e capire il vero motivo del suo comportamento. >> si girò verso il cielo. << Edward è una delle persone più fragili ed insicure che conosca, ha bisogno di essere capito e… rassicurato. >> e quest’ultima parola mi guardò attentamente negli occhi.
Che cosa voleva da me? Io ero semplicemente una povera vittima che si era ritrovata a risolvere il problema creato dalla sorella. Edward aveva bisogno che gli altri lo capissero e lo rassicurassero, non io, io non ero nessuno, non era un problema di mia competenza.
Ma qui tutto pensavano che dovessi essere io a tappare i buchi creati dagli altri.
<< Senti, Garrett, apprezzo il fatto che ti preoccupa così tanto la situazione del tuo migliore amico, ma sono cose che non devi dire a me. Io non sono Rose, non sono io la donna che ama e che deve sposarselo, okey? >>
Lui mi guardò in silenzio per un attimo e questa cosa mi mise a disagio, mi sembrava tanto che mi perforasse con quegli occhi.
<< Sei sicura? >> disse alla fine per poi lasciarmi da sola rientrando dentro.
Eccone un altro che se ne andava lasciandomi con l’ennesima domanda a cui non sapevo dare una risposta. Ma che volevano da me quella sera? Mi maledii per essermi presentata senza avvisare, avrei potuto evitarmi quel martellante mal di testa.
<< Che palle! >> imprecai girandomi e rientrando in casa.
 
Quando rientrai dentro ed entrai nel salone mi ritrovai una scena davvero comica davanti, cosa che ritenevo ormai passata per persone di quell’età. Erano disposti tutti in cerchio seduti per terra o sulle sedie o suoi divani, e stavano cominciando a giocare ad ‘Obbligo o verità’.
Ma siamo seri? A trent’anni suonati ancora con quei giochetti adolescenziali? Bhe…evidentemente una volta a mese ritornavano quei ragazzi che si erano conosciuti al college e scollegavano il cervello.
Stavo per avvicinarmi ad Edward per avvisarlo che me ne sarei andata quando il ragazzo che prima mi aveva accolto con entusiasmo mi afferrò per il gomito.
<< Ehi Rosalie dove vai? Vieni, stavamo cominciando a giocare. >>
<< Proprio per questo me ne stavo andando. >> dissi facendo uscire la mia parte maleducata fuori, ma quello con quella sua vocina spaccatimpani mi stava sul cazzo.
Ma lui non mi ascoltò perché mi trascinò facendomi sedere malamente su una poltrona nera come l’intero arredamento, nero come l’animo del padrone.
Guardai Edward, ma lui mi rivolse uno sguardo tranquillo e rilassato girandosi poi a guardare una ragazza e a parlare con lei ignorando bellamente la minaccia che gli avevo mandato attraverso i miei occhi infuocati ed irritati.
Bene, non mi restava che assecondare i bimbi.
Ci fu un attimo di chiasso, ma poi si fermarono e cominciarono a decidere chi dovesse cominciare quella stronzata.
Una ragazza dai capelli ricci e rossi e due grandi e bellissimi occhi azzurri alzò la mano. << Posso cominciare io? >> disse con voce squillante, da bambina.
Non aspettò che gli altri le dessero il permesse che cominciò. << Allora… Jason hai imbrogliato all’esame di diritto internazionale? >> chiese a questo ragazzo con voce angelica.
Questo Jason sbuffò ed io lo individuai ed era proprio il ragazzo seduto accanto ad Edward. Aveva i capelli rasati, carnagione pallida e occhi verdi. Era abbastanza carino se ti soffermavi a guardarlo, ma non era una di quelle bellezze che ti giri a guardare in strada.
<< Mel, stai scherzando? >> chiese arrabbiato.
Alzai gli occhi al cielo, ci mancavano soltanto i rancori che si portavano dietro dal college, ma qualcuno era cresciuto almeno? Si, Edward, ma con quel carattere che si ritrovava poteva anche evitare di crescere, magari a quei tempi era più spensierato e meno bastardo.
Questa Mel, che sembrava tanto una barbie, gli sorrise. << O rispondi o avrai una penitenza e sai quanto so essere malefica. >>
Oh bene questa ce le aveva proprio tutte con lei era davvero un barbie puttana e stronza.
Jason, quel povero martire, si alzò di scatto. << Me ne vado, non starò qui a farmi infangare da una come te. >>
E stava per andarsene, ma io non potevo permetterlo un po’ perché quella ragazza aveva bisogno di una lezione e un po’ perché mi dispiaceva che si rovinasse la serata con i suoi amici. Quel ragazzo sembrava davvero una brava persona e non si meritava quel comportamento e questo lo pensò anche Edward che stava per dire qualcosa, ma lo anticipai.
<< Posso continuare? >> chiesi alzando la mano.
Tutti si girarono a guardarmi compreso il ragazzo che si era alzato, annuirono tutti tranne quella Mel.
<< Bene… Allora, ragazza, quanti pompini hai fatto per laurearti? >> le chiesi adoperando il suo stesso sorriso innocente.
Lei sgranò gli occhi dallo stupore, poi passò alla rabbia e strinse i pugni che aveva appoggiato sui braccioli della poltrona. << Come osi? >>
<< Oh quindi tu puoi permetterti di infangare qualcuno e nessuno può farlo con te? Oh non è una cosa carina da fare. >> la rimproverai come avrei fatto ad un bambino.
Lei si alzò si scatto e mi si avvicinò convinta di incutermi paura, ma io ero più bastarda di lei e non mi facevo certo spaventare da una ragazzetta come lei.
<< Potrei farti davvero male se volessi. >> mi minacciò.
Le sorrisi divertita. << Oh bambina, non esserne così sicura. >> le dissi beffeggiandola, poi mi alzai ed ero più alta di lei. << Adesso vattene e stai zitta. >> le intimai.
Lei mi guardò furente per un attimo buttando fumo dalle orecchie e dal naso, aveva gli occhi iniettati di sangue, mi sembrava di avere davanti un cane affetto da rabbia. Con i cani affetti dalla rabbia si ricorre all’abbattimento quindi se non se ne fosse andata in tempo l’avrei abbattuta e poi fatto una danza intorno al suo corpo.
Battè il piede a terra furioso, poi mi diede le spalle e se ne andò sbraitando e ringhiando contro di me che ero ritornata a sedermi tranquillamente sulla poltrona.
C’era silenzio nella sala e tutti mi guardavano così sorrisi. << Continuiamo? >> chiesi e loro si riattivarono.
Jason, la vittima, si accomodò di nuovo e mi guardò facendomi un sorriso riconoscente che io ricambiai.
Era bello fare un’azione buona una volta tanto.
 
Il gioco proseguì e fortunatamente nessuno mi interpellò e neanche Edward fu sottoposto a domande, quindi evitai qualcosa di imbarazzate, ma avevo sospirato di sollievo troppo presto.
Avevano deciso che si sarebbe fatta un’ultima domanda poi il gioco sarebbe finito e fu chiamato proprio Edward.
<< Sei pronto, Eddy? >> chiese Jenny una ragazza abbastanza simpatica e alla mano.
Edwards sospirò. << Sii buona, okey? >>
Jenny annuì poi pose la domanda. << Fammi pensare un po’….mmm… oh si, ci sono! Quando ti sei reso conto di amare davvero Rosalie? >>
Quasi mi strozzavo con la mia stessa saliva e il ragazzo accanto a me, quello con la voce spaccatimpani, mi diede qualche buffetto dietro la schiena.
Lo fulminai con lo sguardo e lui alzò le mani in segno di resa e ritornò a fare i fatti suoi mentre io alzavo lo sguardo verso Edward.
Lo scoprii a fissarmi e subito mi sentii incatenata a quei smeraldi che mi stavano guardando intensamente, quasi a volermi entrare dentro con solo la potenza dello sguardo.
Perché mi guardi così, eh? Cosa stai cercando di dirmi, Edward? Perché continui a guardarmi così? Perché continui a tormentarmi, ad entrare a forza nella mia vita? Perché non mi lasci stare?
Senza staccare gli occhi dai miei rispose: << Probabilmente nel momento in cui lo baciata per la prima volta… in ascensore. >>  e la sua voce era ferma e sicura.
Hai baciato lei nell’ascensore, vero? E’ di Rosalie che sei innamorato, vero? Ti prego, Edward, dimmi che è Rosalie quella che ti ha rubato il cuore in ascensore e non io. Ti prego, dimmelo che è lei la donna della tua vita perché se così non fosse non saprei cosa fare più per resisterti.
Perché nel momento in cui mi aveva guardato con quei suoi occhi così belli ed intensi avevo capito di essere profondamente innamorata di lui, che quelle settimane erano stato solo un’illusione, che Eric era soltanto un diversivo.
Perché nel momento in cui l’avevo guardato negli occhi mi ero resa conto che tutto quello che volevo era lui.  
Lui e basta.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Salve, salve, salve!!!!!!
Come state, bellissime?
Eccomi ritornata con un capitolo bello nuovo nuovo....
Prima di lasciarvi andare al capitolo ho delle cose da dirvi...
Ce ne saranno altri due o altri tre escluso il capitolo, okey?
Poi...leggo e adoro tutto quello che mi scrivete, ma ho problemi ancora con la linea che c'è e non c'è...
Adesso scappo, girls.
Vi adoro tutteeeeeee...
xoxo Alex 

Capitolo 13

 

Era il quattro luglio e quella mattina sarei andata con i miei amici a Central Park a fare una specie di pic-nic, era una tradizione che avevamo da qualche anno.
Ognuno di noi portava qualcosa da mangiare, quasi sempre noi donne gli uomini si occupavano delle bevande e di andare a prendere il posto migliore.
Il sole era alto e caldo ne cielo, quindi afferrai un paio di pantaloncini di jeans con delle bretelle e infilai una maglia bianca a mezze maniche con la scritta nera e al piede, infine, misi un paio di scarpette bianche. Era una giornata di divertimenti quindi bisognava stare comodi, specialmente io che ritornavo bambina in quella giornata.
Legai i capelli in una coda alta e lasciai il viso pulito, perché in quella giornata finivo sempre per abbronzarmi un po’ e per questo sotto la maglia aveva il pezzo di sopra di un costume che avrei esposto al momento giusto, quando il sole sarebbe stavo davvero cocente.
Non sarei stata l’unica quella giornata a sfoggiare il costume, quindi non mi preoccupava farmi vedere in giro così.
Quel giorno faceva esattamente una settimana da quando ero scappata dall’appartamento di Edward, scappata da quella che credevo una dichiarazione in piena regola, ma che in realtà non lo era per niente.
Quella notte non chiusi occhio cercando di capire che cosa fosse successo, ma non trovai nessuna risposta, anzi la trovai quella mattina quando mia sorella mi chiamò.
 
Stavo facendo colazione con del caffè nero come il mio umore, senza nient’altro, quando il telefono squillò. Credevo fosse Edward così lasciai partire la segreteria telefonica, ma appena sentii la voce di mia sorella quasi mi ruppi il collo per rispondere.
<< Eccomi, eccomi. >> le rispose con l’affanno.
Le ridacchiò. << Da dove vieni? >>
Non risposi la sua domanda e le avrei dovuto spiegare tutto. << Tu dove stai, piuttosto? >>
<< Bhe… se te lo dicessi poi dovrei ucciderti, no? >> disse cercando di fare la simpatica, ma non avevo nessuna voglia di ridere.
<< Evitiamo le frasi fatte da film, okey? >> dissi un po’ troppo acida, poi sospirai. << Rose mi sono davvero scocciata, adesso, non ne voglio più sapere di questa storia, me ne tiro fuori. >>
<< Bella, ma che… >>
<< Ho conosciuto un uomo e ci sto bene, non posso continuare a fingermi la fidanzata di un altro. >>
Non so perché non le dissi che Edward aveva scoperto tutto e neanche tutto quello che era successo tra noi, forse una specie di ripicca per avermi messo in quel casino. Per farla stare una merda avrei potuto dirle ‘Oh sai, sorella cara, il tuo ragazzo mi ha infilato la lingua in bocca sapendo chi ero in realtà’, ma poi sarei stata davvero meschina e nonostante mi avesse fatto quello scherzo stronzo era sempre mia sorella.
<< Oh Bella è… stupendo. >> mi disse sorprendendomi con il suo entusiasmo.
<< Davvero? >> le chiesi per avere conferma.
<< Senti, Bella, hai ragione… puoi dire tutto ad Edward, poi quando e se ritornerò metterò le cose a posto. >>
<< Se, ritornerai? Ma che cazzo stai combinando? >> chiesi adesso incazzata davvero.
<< Si, magari trovo qualcosa che mi piace e rimarrò qui... lo sai, mi sono sempre piaciuti i bambini, magari trovo un asilo e ci vado a lavorare. >>
Ma quella che stava parlando al telefono con me era mia sorella o una specie di parassita che si era impossessata del suo corpo?
Restai in silenzio per un po’ poi sospirai ponendole la domanda che avrei voluto porle da quando avevo risposto al telefono.
<< Tu ed Edward vi siete mai baciati in ascensore? >> glielo chiesi senza prendere fiato perché sapeva che la mia voce si sarebbe rotta dall’emozione.
<< Si. >> e quella risposta mi bastò per riattaccarle il telefono in faccia.
 
Mi ero messa l’anima in pace da quella risposta, il mio cuore si era rassegnato e anche la mia mente aveva ritrovato un suo equilibrio.
Edward quella sera non stava parlando di me, ma di Rosalie e forse è stato meglio così, magari tornerà e si sposeranno come avevano programmato.
Certo, il matrimonio era fissato per una settimana a quella parte, quindi doveva sbrigarsi se voleva davvero sposarlo.
Però non era più un mio problema, io avevo chiuso con loro e i loro casini.
Con Eric non avevo chiuso, anzi, mi ero aggrappata a lui per superare il tutto anche se non era giusto nei suoi confronti. Mi piaceva, ma sapevo che quello che provavo io non era allo stesso livello di quello che provava lui per me.
Lui era pazzo di me, me lo aveva ripetuto parecchie volte ed io puntualmente gli sorridevo e cambiavo discorso delicatamente senza farlo sentire inopportuno.
Quella sera ci saremmo visti perché c’era un concerto a Trafalgar Squere e io lo accompagnavo. Era una di quelle serate con tanto di vip e tappeto rosso, quindi io avrei dovuto camminare su questo sommersa da flash e chiacchiere.
Non era certo quello che mi ci voleva in quei giorni che era più stizzita del solito, ma mi toccava se volevo stare con Eric.
Il problema era che non volevo state con lui, ci dovevo stare per scrollarmi da dosso tutti il macello di Edward.
 
Avevo appuntamento con Emmett alle dieci e mezzo sotto al mio palazzo, così dopo aver preso la borsa e un cestino con il cibo che avevo preparato scesi giù e lo trovai già ad aspettarmi, con un bermuda a fiori, una maglietta bianca disegnata sui suoi muscoli e un paio di occhiali da sole. Era davvero uno schianto il mio migliore amico…
<< Sei proprio in tenuta da mare, eh? >> gli dissi avvicinandomi a lui.
Lui annuì sorridendo. << Anche tu, tesoro, quindi stai zitta. >> e afferrò il cestino mettendolo sui sedili posteriori.
La macchina era decappottabile quindi senza neanche aprire la porta entrai con un salto, facendolo imprecare. << Un giorno me la sfascerai. >> si lamentò.
Gli feci una linguaccia e inforcai gli occhiali. << Vai, ragazzo. >>
Lui alzò gli occhi al cielo, non lo vidi perché aveva gli occhiali, ma lo immaginai e mise in moto partendo.
Adoravo la sua macchina in estate, mi piaceva l’aria che scompigliava i miei capelli, mi dava un senso di libertà.
Urlai un po’ per la contentezza e un po’ per scrollarmi tutta la tensione accumulata in quella settimana. Emmett mi lasciò stare perché sapeva cosa mi stava succedendo, anzi mi imitò e urlò anche lui per poi scoppiare a ridere entrambi.
Qualcuno in strada ci richiamò ed altri risero, ma a noi non importava, potevamo fare quello che volevamo mi sembrava di essere la regina del mondo in quella macchina.
Quando arrivammo nei pressi di Central Park parcheggiammo la macchina  perché era impossibile farlo lì vicino e ci incamminammo scorgendoli immediatamente mentre chiacchieravano e ridevano.
C’erano proprio tutti: Tanya che chiacchierava con Grace e Anne e sembravano davvero divertirsi, Alice che chiacchierava con Diana mentre quest’ultima teneva tra le braccia Mel la mia figlioccia, Jasper che stava parlando con Jacob mentre quest’ultimo aveva stretta a se Leah che sorrideva e annuiva ogni tanto, infine, Joe e Jack che sembravano vivere in modo tutto loro fatto di sguardi e di silenzi.
Quando mi avvicinai a loro ruppi le righe e andai a salutare tutti con un entusiasmo che spiazzò tutti.
Quella giornata, quel sole e quel giro in macchina mi avevano riportato un po’ dell’allegria e della spensieratezza che avevo perso per colpa dell’amore.
Mi avvicinai a Joe e Jack e li abbracciai tutti e due riempiendoli di baci. << Come sono contenta per voi. >> quasi urlai.
Loro risero e mi strinsero per poi rimettermi con i piedi a terra. << Andiamo, truppa! >> dissi loro avviandomi per prima con vicino a me Mel che rideva contenta imitando la zia Bella.
Gli altri non poterono far altro che seguirmi ormai rassegnati.
 
 
Quando arrivammo nello spiazzo più grande c’erano già un centinaio di persone impegnati nelle più disparate attività. Chi prendeva il sole, chi suonava e cantava, chi ballava o chi giocava con la palla o chi stava semplicemente seduto ad osservare tutti.
Quando trovammo un posto ottimo, posammo tutto a terra e stendemmo le coperte lasciando i cestini sopra per evitare che volassero con il vento che in quel momento era inesistente.
Emmett aveva portato un pallone mentre Tanya aveva portato il suo I-pod e le casse che andavano a batteria e Jasper aveva portato le carte da gioco, quindi avevamo da scegliere abbastanza per quel giorno.
<< Che facciamo? >> chiesi scalpitando.
Tanya alzò gli occhi al cielo. << Di questa giornata sei davvero esasperante. >> si lamentò trovando d’accordo tutti.
Sbuffai. << Siete delle palle al piede. >> così dicendo me ne andai girando per il parco in cerca di qualche gruppo che mi ospitasse. << Io vado in giro, chi è single mi segua. >> e quindi Tanya, Grace, Anne e Diana mi seguirono.
Trovai dei ragazzi che stavano giocando a palla, ma la cosa era leggermente monotona quindi guardando le ragazze li indicai.
<< Ci buttiamo? >> chiesi loro.
Loro annuirono e mi si affiancarono
<< Ehi ragazzi, vi serve qualche giocatore? >> chiesi loro urlando mentre mi avvicinavo.
Si girarono verso di me e proprio tra loro vidi il ragazzo con cui feci sesso nel privè un paio di settimane prima. Mi sorrise storto. << Ehi ciao. >>
Gli sorrisi. << Ciao a te. >>
Lui sorrise ancora, poi si girò verso i suoi compagni. << Ragazzi lei è Bella, Bella loro sono… i ragazzi. >> e ridacchiò facendomi ridere.
<< Loro sono le ragazze, ragazzi! >> urlai.
Loro risero e cinque minuti dopo ridevamo e giocavamo, certo non sapevo il nome di nessuno, ma non mi interessava volevo solo divertirmi e poi in un certo senso ero impegnata non potevo neanche conoscerli gli altri ragazzi.
A metà partita mi tolsi la maglia ormai fradicia e le ragazze mi seguirono rimanendo in pantaloncini e costume. I ragazzi si guardarono un po’ sorpresi, ma poi ci imitarono restando solo in bermuda.
Vincemmo noi che avevamo nella squadra Alex, ma il giocatore della partita fu Grace che diventava davvero agguerrita quando le davi in mano un pallone.
Restammo con loro perchè vollero la rivincita e noi gliela demmo vincendo ancora, stracciandoli completamente.
Ci lasciammo andare ad una specie di ballo della vittoria e Alex sollevò sulle spalle Grace che urlava e insultava i perdenti.
Era terrificante a volte.
Quando li salutammo ci rimasero male, perché a detta loro eravamo uno sballo, ma comunque avevamo il nostro gruppo e non potevamo abbandonarli.
Quando ritornammo a posto di ritrovo, li trovammo mentre chiacchieravano con dei ragazzi. Da dodici ne diventammo venti, erano otto ragazzi in vacanza studio a New York, tre di loro erano italiani ed io mi attaccai a loro come una cozza.
Amavo l’Italia e avevo sempre voluto imparare la sua lingua.
<< Ripeti con me, dai… Che bella giornata… >> mi disse la ragazza italiana che si chiamava Ilaria.
Mi schiarii la voce. << Che… bela… gio…rnata… >> tentai di dire in italiano.
Lei mi sorrise divertita. << Ancora… che bella giornata… >>
Annuii e più sicura parlai. << Che bella giornata. >>
Ilaria applaudì ed io mi inchinai ringraziandola e ringraziando tutti quelli che avevano assistito alla scena e che mi stavano applaudendo.
Presi lezioni fino a che non arrivò la fame ed io mi resi conto di averne tanta e cominciammo a mangiare. Alice aveva preparato della pasta fredda ed un insalata mista che io divorai quasi; Tanya aveva preparato degli involtini di prosciutto e mozzarella e una torta a gelato che mangiammo verso il pomeriggio; io avevo preparato delle tartine al tonno e al salmone, e una salsa fredda da mettere sul pane che avevo abbrustolito.
Mangiammo davvero bene e mi sentivo una botte dopo, ma non mi tirai indietro quando decidemmo di fare una gara di ballo.
Vincemmo io ed Emmett che ci cimentammo in un cha cha cha tutto nostro, ma che fece sbellicare tutti dal ridere compreso noi.
Tornammo a casa verso le cinque del pomeriggio stanchi, ma contenti ed io un po’ più rilassata o almeno lo fui fino a che non arrivai a casa e davanti la porta non trovai un enorme scatolone viola dal fiocco fucsia. Non c’era nessun bigliettino quindi doveva stare per forza all’interno.
Aprii la porta ed entrai dentro, gettando tutto a terra e dirigendomi nella mia stanza posando lo scatolone sul letto.
Tolsi il coperchio e rimasi senza parole. All’interno c’era un vestito da sera beige con dei dettagli argentati, della scarpe alte e bellissime dello stesso colore del vestito con il tacco cosparso di diamanti.
Con mano tremante afferrai il bigliettino e lo aprii:

Spero il vestito e le scarpe ti piacciano,
credo di aver fatto centro con
la taglia.
Passo a prenderti alle nove.
Baci, Eric.
 
 
Alle nove meno dieci ero pronta, avevo indossato il vestito che mi stava perfettamente e le scarpe mi slanciavano e poi erano spettacolari.
Avevo legati i capelli in uno chignon largo e sul lato e mi ero truccata con colori caldi, ma non troppo pesanti.
Avevo messo un paio di pendenti di svarowsky al orecchio ed un bracciale coordinato, mi era stato regalato tutto alla mia laurea dai miei genitori.
Alle nove il citofono suonò ed io dopo essermi data un’ultima occhiata e aver fatto un enorme sospiro scesi giù.
Eric mi stava aspettando vicino ad una limousine in smoking blu e con un mazzo di fiori tra le mani, erano della calle ed erano splendide.
<< Ciao. >> lo salutai avvicinandomi.
Sorrise e mi offrì il mazzo di fiori. << Sei bellissima. >> e mi diede un bacio sulla guancia.
Lasciai i fiori al portiere che possedeva una copia della chiave del mio appartamento così da portale dentro e metterle in un vaso pieno d’acqua.
Entrai nella limousine stando attenta a non far aprire ancora di più l’enorme spacco che aveva il vestito, Eric mi diede una mano mettendosi davanti se fosse successa una cosa del genere.
Quando l’autista mise in moto e partì feci un grosso respiro ed Eric sorrise divertito. << Nervosa? >>
Cercai di sorridere. << Un po’… non mi sono mai trovata in una avvenimento mondano, quindi… >>
Lu mi liquidò con un gesto della mano. << Non dovrai fare altro che sorridere e non lasciarmi mai. >>
Annuii e girai il viso verso il finestrino contando i lampioni illuminati cercando di calmarmi.
 
In effetti Eric aveva ragione non dovevo fare altro che sorridere e non lasciarlo mai, e così feci. Ci furono molti flash quando scendemmo dalla macchina e molti giornalisti si avvicinarono per intervistarci, ma Eric li liquidava tutti dicendo che non doveva essere lui l’attrazione della serata, ma i cantanti che si sarebbero esibiti da lì a qualche minuto.
Quella sera di esibirono cantanti che non avrei mai immaginato di incontrare e qualcuno di loro mi strinse anche la mano. Era qualcosa che mai avrei sognato di fare e quasi a metà serata mi ero già sciolta e avevo già conosciuto metà degli uomini più influenti del mondo dello spettacolo.
Tornammo a casa verso le tre, ma non a casa mia, nell’attico di Eric. Non volevo andarci, ma sapevo che dopo due settimane che ci frequentavamo lui si aspettava qualcosa e infetti era anche giusto che se lo aspettasse, ma io non me la sentivo.
Lo feci lo stesso però, finii a letto con lui e finsi l’orgasmo come non avevo mai fatto. Per un attimo avevo provato piacere, piacere davvero, ma solo perché avevo immagino Edward tra le mie gambe, solo dopo mi ero resa conto di cosa stavo facendo e avevo lasciato ad Eric le redini del gioco.
Dopo aver fatto sesso lui si addormentò praticamente subito, così io mi rivestii e presi un foglio ed una penna dallo scrittoio che aveva in camera. In poche righe gli scrissi che tra non era finita e che doveva farsene una ragione come me l’ero fatta io e che era meglio non si fosse fatto sentire.
Avevo preso in giro me stessa dicendomi che avrei potuto dimenticarlo stando con Eric, ma era impossibile.
Edward mi era entrato dentro con arroganza e presunzione e non se ne sarebbe andato facilmente, era talmente borioso che anche il suo pensiero era come lui.
Stava spuntando l’alba quando uscii dall’ascensore sul mio piano, quando arrivai alla mia porta mi bloccai facendo cadere le scarpe a terra che sbatterono vicino al muro facendolo sobbalzare.
Edward era seduto davanti alla mia porta e stava aprendo gli occhi arrossati e stanchi. Aveva dormito lì? Perché?
Si alzò barcollando e afferrò la maniglia della porta per non cadere, ma io mi ero già avvicinata a lui sorreggendolo.
Puzzava d’alcool e di altro, come se non si lavasse da giorni e non si era neanche fatto la barba perché era lunga ed ispida.
<< Ma che ti è successo? >> gli chiesi.
Lui cercò di sorridere. << Tu, mi sei successa tu. >>  






 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Salve, salve, salve.
Eccomi ritornata in diretta dal pc della mia migliore amica che mi sta rompendo le palle... uff
Io che devo scrivere e aggiornare e lei che si ostina a farmi vedere cosa si è comprata.... aaaah ma nonostante tutto l'adoro.
Cmq ecco a voi il nuovo capitoloe penso proprio sia il penultimo, quindi ce ne sarà un altro e poi l'epilogo.
Adesso vado
xoxo Alex



Capitolo 14
 

 

Lo sostenni con qualche sforzo fino al divano poi si lasciò andare con un sospiro stanco, si appoggiò con la testa sul bracciolo e sospirò ancora.

Lo guardai intenerita, ma ancora sorpresa e confusa. Che ci faceva lì e perché mi aveva detto quella frase? Che significa che gli ero successa io?

<< B-bella… >> sussurrò richiamandomi.

Mi riscossi dai miei pensieri e mi avvicinai a lui accovacciandomi accanto alla sua testa. << Cosa c’è? >> sussurrai.

Il dopo sbronza è tremendo e sapevo che qualunque rumore anche il più lieve si sarebbe trasformato in un boato assordante.

<< Ho sete. >> mi disse schioccando la lingua impastata.

Mi alzai di nuovo e andai in cucina dove afferrai un bicchiere riempiendolo di acqua e presi dal cassetto anche una scatola di aspirine prendendone una. Ritornai in salotto e lo trovai nella stessa posizione di prima, mi avvicinai a gli toccai leggermente la spalla.

Socchiuse gli occhi e cercò di alzarsi, lo aiutai e gli porsi il bicchiere con la pillola. << Prendila, ti aiuterà con il mal di testa. >>

Lui annuì e in silenzio obbedì bevendo l’acqua ed ingoiando la pillola, poi mi porse il bicchiere e ritornò a sdraiarsi.

Tornai in cucina posando il bicchiere e prendendo due bottigline d’acqua una per me ed una per lui, aveva bisogno di bere per eliminare tutto l’alcool che aveva ingerito.

Ritornai accanto a lui e la posai sul tavolino, lo scossi dolcemente e lui mugugnò qualcosa senza aprire gli occhi. << Che ti è passato per la testa? >> gli sussurrai rimproverandolo.

Cercò di sorridere, ma mi parve più una smorfia. << Ho affogato i miei dispiaceri nell’alcool, come nei film. >>

Scossi la testa non sapendo se ridere o riempirlo di schiaffi. << Nei film quello che bevono è thè, zuccone. >>

Cercò di ridacchiare, ma poi si bloccò con una smorfia di dolore. Gli doleva la testa e lo stomaco non doveva stare proprio in forma, così mi alzai. << Dormi un po’, okey? Ci vediamo dopo. >>

Lui annuì senza dire nulla, io mi allontanai di qualche passò, ma la sua mano mi bloccò il polso. << Cosa? >> gli chiesi.

<< Non te ne vai, vero? Resti qui con me. >>

Lo disse con tono di voce sofferenze, come se la mia lontananza gli procurasse un dolore insopportabile. Che provasse lo stesso dolore che avevo provato io in quella settimana lontana da lui?

Mi abbassi accanto a lui e gli accarezzai i capelli come ai bambini. << Resterò con te, tranquillo. >>

Lui annuì e poco dopo si addormentò allentando la presa sul mio polso, così da darmi la possibilità di andarmene. Andai direttamente in bagno, mi spogliai ed entrai in doccia senza neanche regolare l’acqua calda.

Restai sotto la doccia per molto tempo, pensando e pensando facendomi venire il mal di testa, ma non ottenendo nessuna risposta.

Uscii dal bagno avvolta in un asciugamano e mi avvicinai all’armadio, prendendo un intimo sobrio e un pantaloncino con una maglia.

Ero stanca e volevo dormire ed il letto mi stava chiamando, però non volevo rischiare che Edward si svegliasse non trovandomi così afferrai un cuscino e ritornai in salotto.

Mi avvicinai alla poltrona e mi accomodai schiacciando il pulsante che la trasformò in una specie di letto. Mi accoccolai per bene con il cuscino stretto tra le braccia e subito mi addormentai seguendo il respiro regolare del mio dolce tormento.

 

Quando mi svegliai era pomeriggio inoltrato e dalle persiane chiuse entrava la luce cocente del sole pomeridiano. Aprii lentamente gli occhi e dopo aver messo a fuoco la stanza vidi Edward che dormiva ancora sul divano. Era girato su un fianco con un braccio sotto la testa ed uno penzoloni sul divano, il viso era rilassato e aveva la bocca leggermente aperta.

Sorrisi divertita da quella posa e non riuscii a trattenermi, mi avvicinai al mobile dell’entrata e aprii il primo cassetto da dove tirai fuori la mia macchina fotografica. Mi avvicinai a lui, l’accessi e scattai però non avevo calcolato che il flash potesse dargli fastidio.

Immediatamente mi avvicinai al mobile e posai la macchina, poi ritornai seduta sulla poltrona aspettando che si svegliasse.

Mugugnò qualcosa ed imprecò anche mentre si aggiustava meglio sul divano, aprii gli occhi e sbadigliò.

Si guardò intorno confuso, poi si girò verso di me e sgranò gli occhi. << Cazzo, Bella, mi hai spaventato. >> si lamentò mettendosi a sedere.

Alzai gli occhi al cielo. << Disse colui che ha dormito fuori la mia porta ubriaco fradicio. >>

Lui mi guardò e sorrise divertito. << Giusto, hai ragione. >> poi sospirò.

Mentre lo guardavo aspettando che dicesse qualcosa il mio stomaco brontolò per la fame e sorrisi imbarazzata al suo sorriso divertito. << Ehm… ti va di mangiare qualcosa? >> gli chiesi alzandomi e aggiustando la poltrona.

Lui annuì e mi seguì in cucina dove mi adoperai a preparare qualcosa di semplice e di freddo. Optai per un insalata mista, con dentro del formaggio, del prosciutto qualche oliva e dei finocchi.

Lui in silenzio apparecchiò la tavola affidandosi a me perché non ci era mai entrato e un po’ la cosa mi faceva strano. Da una parte era bello vederlo girare ancora tutto assonnato per la mia cucina e da un lato era strano perché ci avevo sempre vissuto solo io e vedere qualcun altro per di più un uomo era…diverso, si.

Quando fu pronto portai tutto in tavola e feci le porzioni. << Spero ti piaccia… sai, fa caldo e quindi io evito sempre pietanze calde… >> cercai di giustificarmi.

Lui scosse la testa sorridendo. << Va bene così, grazie. >> e mangiò la prima forchettata.

Cominciammo a mangiare, senza dire una parola e quel silenzio era pesante era un silenzio pieno di parole non dette. Lui era venuto per un motivo specifico e questo suo rimandare mi stava facendo impazzire, ma dopotutto non potevo dirgli niente, doveva essere lui ad aprire il discorso.

Edward fece il bis perché era affamato e poi senza vantarmi, ero brava in cucina, certo non avevo fatto chissà quale pietanza complicata, ma cercavo di aggiungere sempre qualcosa che rendesse diverso e speciale il tutto.

Sparecchiammo insieme e infilai tutto nella lavastoviglie. << Ehm… ti va del gelato? >> gli chiesi.

Lui annuì. << Certo… dove… >>

Ma lo fermai scuotendo la testa. << Faccio io, tranquillo, tu ritorna in salotto. >>

Lui rimase un attimo fermo come se volesse ribattere, ma poi annuì ed uscì dalla stanza lasciandomi sola. Mi appoggiai al lavandino e chiusi gli occhi prendendo un grosso respiro, cercando di far decelerare la corsa frenetica del mio cuore. Era come impazzito, non si era fermato un attimo da quando avevo trovato Edward quella mattina fuori la porta. Correva e correva rendendomi difficile respirare regolarmente, mi rendeva difficile ragionare.

<< Cazzo, fermati! >> gli ordinai toccandomi sul petto convinta che potesse fermarsi.

Feci qualche lungo e profondo respiro e parve calmarsi, aprii il congelatore e afferrai la vaschetta di gelato alla vaniglia e cioccolato, afferrai un paio di coppette e due cucchiai e tornai in salotto.

Edward non era seduto sul divano, ma era in piedi vicino alla parete attrezzata che avevo sulla parete di fronte al divano e aveva tra le mani una cornice. Sapevo quale fotografia ci fosse, eravamo io e Rosalie alla nostra laurea e ridevamo contente con due bicchieri di champagne tra le mani. Avevamo frequentato due facoltà diverse, ma alla stessa Università ed eravamo riuscite a laurearci nello stesso giorno.

<< Sai cosa mi ha attratto di Rose la prima volta che l’ho vista? >> mi chiese, ma sapevo che non si aspettava una risposta ed infatti continuò. << Il suo essere così fredda, rigida e calcolatrice. Quel suo tener sempre tutto sotto controllo senza mai dare segno di alcun cedimento, era forte. Era me al femminile. >> e sorrise amaramente. << Pensavo fosse tutto quello che cercavo e quindi decisi di buttarmi e corteggiarla. >>

Posò la foto e si girò verso di me che intanto mi ero seduta sul divano e avevo posato tutto sul tavolino. Mi era passata la voglia del gelato, adesso non volevo altro che sentire quello che aveva da dirmi anche se ne ero terrorizzata.

<< Cominciammo ad uscire, per lo più andavamo a cena fuori e finivamo sempre per parlare di lavoro e questa cosa mi stava bene. Avevo scelto lei proprio perché sapevo non si sarebbe persa in altre chiacchiere diventando pesante e futile. Una sera mentre passeggiavamo mi raccontò di quello che le era successo e lì capii perché era diventata così, mi disse che non voleva avere bambini in futuro e che se avesse potuto avrebbe sposato il suo lavoro. >> si fermò e cominciò a camminare per la stanza. << Quella sera stessa le chiesi di sposarmi perché aveva praticamente le mie stesse ambizioni, il lavoro. Solo lavoro, lavoro e lavoro, in pratica era la donna della mia vita… >> e mi lanciò un’occhiata.

Abbassai lo sguardo. << Eh tu… qual è la tua giustificazione, Edward? >>

Sospirò. << Io non sono il figlio di Esme, o almeno non sono il suo figlio biologico. >> si fermò pensando che quella cosa mi avesse sorpreso, ma non fu così. Avevo già qualche sospetto che fosse così perché lui era troppo diverso sia da Esme che da Emmett e anche se avesse potuto somigliare al padre qualcosa doveva esserci che lo rendesse figlio della madre, no?

<< Quando i miei genitori si sposarono, decisero che per un po’ avrebbero vissuto da soli senza figli, ma una sera successe e nove mesi dopo nacqui io. Mia madre visse la gravidanza con dolore perché non voleva, non era pronta per un figlio, mentre mio padre appena seppe della mia esistenza scoppiò di gioia. Mia madre ci lasciò due anni dopo, non mi aveva mai accettato, penso che non si fosse mai neanche sforzata di amarmi. >> e fece un sorriso amaro. << Carlisle, mio padre, mi crebbe da solo fino a che non incontrò Esme che aveva da un anno perso il marito in un incidente lasciandola sola con un bambino, Emmett. Avevo quattro anni e subito mi innamorai di quel bambino pestifero e paffutello e di Esme, lei che era una vera mamma. Si sposarono dopo qualche mese e Carlisle adottò Emmett dandogli il suo cognome, diventammo una famiglia. >> e sorrise intenerito.

Sorrisi anche io, ma poi subito ridiventai seria. << Ehm… dov’è adesso Carlisle? >>

<< Probabilmente è morto o marcisce ai piedi di un marciapiede ubriaco fradicio. >> disse con voce dura.

Sussultai a quel tono di voce. << Che è successo? >>

<< Mio padre ha sempre amato il gioco d’azzardo, ma è sempre rientrato nei limiti, ha sempre cercato di non strafare e di non sommergersi di debiti. Sai benissimo che Esme è ricca di famiglia e poi il lavoro che fa le rende parecchio, così mio padre prese la palla al balzo e cominciò a giocare pesante. Si riempì in poco tempo di debiti e tornava a casa ogni sera sempre più ubriaco, finendo per picchiare Esme perché tentava di aiutarlo. Esme lo amava con tutta se stessa e cercava sempre di giustificarlo, ma poi una sera tornò più ubriaco del solito non riusciva neanche a reggersi in piedi e successo l’inevitabile. Come il solito entrò in camera da letto e cominciò a picchiarla per chissà quale finto motivo, Emmett fu svegliato dalle urla e cominciò a piangere, mi svegliai anche io e cercai di calmarlo. Lo feci nascondere nell’armadio mentre io uscii dalla mia stanza, corsi verso le urla di mia madre, avevo sei anni credevo di poter sconfiggere il mondo.

<< Gli saltai addosso e gli morsi una spalla distraendolo, permettendo a mia madre di allontanarsi e prendere il telefono per chiamare la polizia. Ero troppo piccolo e mio padre non ci mise nulla ad afferrarmi e a sbattermi contro il muro, persi i sensi e quando mi svegliai mi trovavo in ospedale. >>

Avevo le lacrime agli occhi e le mani mi tremavano, avrei voluto alzarmi e abbracciarlo, ma qualcosa mi impediva di muovermi. Il suo sguardo era triste e addolorato e si stava torturando le mani, mentre passeggiava in modo nervoso per la stanza.

<< Seppi che mio padre era stato arrestato per violenza domestica e che mia madre era in gravi condizioni. Dopo che mi aveva sbattuto contro il muro aveva continuato con mia madre fino a farle perdere i sensi e…il bambino che aveva in grembo, era incinta di quattro mesi. >>

Si fermò e mi guardò negli occhi. << E’ da quel giorno che mi chiedo: E se fossi come lui? Se perdessi anche io la testa picchiando i miei figli e mia moglie? >> scosse la testa abbassando lo sguardo. << Io non voglio diventare come lui, non voglio. >>

Fu allora che mi mossi, mi alzai e mi avvicinai a lui quasi correndo, gli presi il viso tra le mie mani e gli sorrisi dolcemente. << Tu non sei e non sarai mai come lui, Edward, mai. Dietro questa corazza da duro, c’è un uomo meraviglioso ed io lo so, io l’ho visto. >>

Lui mi guardò negli occhi. << Come fai a dirlo se ti ho sempre trattato come l’ultimo degli uomini su questa terra? >>

Restituii lo sguardo. << Perché mi hai trattato come l’ultimo uomo sulla terra? >>

Si staccò da me, ma non si allontanò. << La prima volta che ti ho vista a quella di cena ho pensato che fossi….bellissima. Tu e tua sorella siete gemelle, siete belle entrambe, ma tu… Dio, tu ti avvicini quasi alla perfezione. >> mi guardò. << All’inizio non capii perché, ma poi osservandoti attentamente me ne resi conto. I tuoi occhi, i tuoi occhi sono i più limpidi ed espressivi che abbia mai incrociato. I tuoi occhi parlano e vanno dritto al punto più delle parole, quella sera mi sono sentito scrutato e studiato e per un momento ti ho odiato. >>

Si allontanò da me ricominciando a camminare e passandosi la mano tra i capelli in un gesto nervoso. << Mi sentivo vulnerabile sotto il tuo sguardo come non mi sentivo da una vita e ho avuto paura, ho avuto paura che tu capissi di me molto più di quello che avrei voluto che facessi. Così mi sono costruito questa maschera e ho cercato in tutti i modi di non incontrarti e ci sono anche riuscito fino a che a tua sorella non è venuta la brillante idea di scappare facendosi rimpiazzare da te.

Capii immediatamente che eri tu, sin dal primo momento e li sono incominciati i guai. Più ti vedevo e più ti pensavo, più ti pensavo e più impazzivo, più impazzivo e più… mi innamoravo di te. >>

Sgranai gli occhi. << C-cosa? >>

Aveva appena detto che si era innamorato di me o era la mia fervida immaginazione che si stava creando enormi castelli in aria con tanto di stalla e giardino privato?

Lui annuì avvicinandosi di qualche passo. << Si, dannazione, mi sono innamorato di te. Io, che avevo promesso a me stesso di non innamorarmi mai, ci sono caduto con tutte le scarpe, ma sai una cosa? Sono contento, sono felice di essermi innamorato, perché un’altra come te forse non la incontrerò da nessuna parte. >>

Mi si avvicinò e afferrò il mio viso tra le mani. << Io lo so che è sbagliato, che io dovrei sposare tua sorella, ma non ce la faccio più. Ti voglio, Bella, ti voglio talmente tanto che a volte mi manca il respiro. Ti guardo e mi sembra di affogare perché so che non potrò mai averti, so che non potrai mai amarmi come ti amo io. >>

Prese la mia mano e se la portò sul petto dove sentii chiaramente il suo cuore battere all’impazzata specchio del mio che aveva messo direttamente il turbo.

<< Lo senti? Senti che effetto mi fai? Tu…tu… mi destabilizzi, Bella, mi mandi fuori strada. >> cacciò un sospiro tremate. << Vorrei baciarci in questo momento, vorrei perdermi nei tuoi sospiri, vorrei perdermi in te. >>

Non riuscivo a dire una parola, avevo il cuore in gola e gli occhi lucidi. Mi aveva detto tutto quello che avevo sognato mi dicesse ed io nel mio sogno rispondendo sempre con un ‘ti amo anche io’ e lo baciavo, ma adesso non riuscivo a fare nulla.

Edward lo interpretò male e si allontanò da me sospirando, abbassò lo sguardo e lentamente si diresse alla porta. Solo quando sentii lo scatto dell’ascensore che si apriva corsi fuori e lo afferrai per la manica della camicia, lo feci girare verso di me e incollai alle sue labbra.

Quando mi staccai da lui avevo il fiato corto e non avevamo neanche approfondito. Lui era rimasto sorpreso. << Che significa? >>

Allora presi la sua mano e la posai sul mio petto all’altezza del cuore che batteva all’impazzata. << Anche tu hai sconvolto la mia vita, anche io ti amo. >>

Lui felice come una pasqua mi strinse a se e mi baciò con forza e passione, un passione che mi destabilizzò ancora di più. Mi aprii la bocca e subito sentii la sua lingua in cerca della mia che gli concessi e subito cominciarono a danzare tra loro con voracità, ma anche con dolcezza.

Con uno slanciò gli saltai addosso avvolgendo le gambe intorno ai suoi fianchi e le braccia intorno al suo collo immergendo le mani nei suoi capelli, lui mi mantenne per i glutei e cominciò a camminare verso il mio appartamento chiudendosi la porta dietro le spalle.

Quando si staccò da me sospirò. << Se non ti avrò probabilmente impazzirò. >> e appoggiò le sue labbra umide sul mio collo accaldato facendomi rabbrividire.

<< Allora prendimi. >> sussurrai tirandolo per i capelli e baciandolo ancora.

Con passò incerto si diresse nella mia camera da letto sotto mia indicazione, visto che in quella stanza non ci era mai entrato. Appena varcammo la soglia mi riposò a terra e continuammo a baciarci mentre ci spogliavamo degli abiti in più.

Strappai letteralmente i bottoni della sua camicia facendolo ridacchiare, mentre lui mi sbottonava i jeans e cercava di togliersi le scarpe rischiando di inciampare.

Cademmo sul letto ridendo e con ancora qualche indumento addosso, quelli che non eravamo riusciti a togliere nel groviglio.

Fece per sfilarmi il pantaloncino mentre io mi toglievo la maglia, ma rotolammo nel letto finendo a terra sul tappeto e scoppiando di nuovo a ridere

<< Senti, con calma, dai. >> mi disse lui scostandosi da me.

Continuammo a spogliarci adesso lentamente e finalmente lo vidi nudo come lui vide me, e non ho mai visto corpo più bello e perfetto del suo.

Si abbassò verso il mio viso e si fece spazio tra le mie gambe facendomi sentire il suo membro duro e lungo. Ansimai quando venne a contatto con la mia intimità calda e bagnata e lo strinsi forte e ma dandogli un piccolo bacio sulla spalla.

<< Bella… ho bisogno di te adesso, scusa. >> mi sussurrò prima di entrare in un solo colpo dentro me.

Quando lo sentii dentro di me mi parve di impazzire, era così bella e giusta ed eccitante quella intrusione che quasi venni.

Si appoggiò sui gomiti e cominciò a muoversi dentro di me mentre la sua lingua continuava a giocare con la mia in un bacio di solo lingua e saliva, un bacio che mi fece venire il latte alle ginocchia.

Si muoveva lentamente, ma andava fino in fondo facendo gemere e contorcermi sotto di lui. Quella lentezza mi stava portando la limite ed infatti venni urlando dopo qualche affondo e continuai a venire quando cominciò a pompare più velocemente e forte fino a svuotarsi dentro di me facendomi urlare ancora.

Non avevo mai provato un piacere del genere, era stato devastante e doloroso, ma avrei voluto provarlo ancora e ancora fino a morirne.

Finalmente avevo trovato il mio orgasmo multiplo. 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Oh well...
Ragazze mie eccomi ritornata e purtroppo questo che posterò adesso è l'ultima capitolo di questa storia a mio parere, stupenda.
Ci sarà un epilogo, ovviamente, quindi i ringraziamente li scriverò lì.
Vi auguro buona lettura e Buona Pasqua, colombelle mie.
xoxo Alex


Capitolo 15


 

Sentivo un tocco leggerissimo sulla schiena, leggero come una piuma. Non stavo dormendo da un po’, da molto prima che si svegliasse lui, ma non mi ero mossa godendomi il calore del suo corpo stretto al mio. Avevo aspettato che si svegliasse, ma adesso a quelle dolci carezze non ero più sicura di farglielo sapere.
<< Lo so che sei sveglia. >> mi sussurrò vicino all’orecchio facendomi rabbrividire.
Sorrisi. << Beccata. >> e lentamente mi girai verso di lui.
Era bellissimo, con i capelli scompigliati dal sonno e gli occhi verdi luminosi e felici. Mi sorrideva dolcemente mentre continuava ad accarezzarmi la schiena ed il fianco, sfiorando il ventre.
Restammo così per qualche secondo, godendoci quel momento di tenerezza e quel silenzio carico di tutto e di niente.
All’improvviso si avvicinò a me guardando in modo esplicito le mie labbra, voleva baciarmi, ma io glielo impedì. << Che cosa c’è? >> mi chiese confuso e anche un po’ terrorizzato.
Gli feci una carezza sulla guancia. << Ieri sera ci siamo addormentato senza lavare i denti quindi i nostri aliti non sono dei migliori. >>
Lui sgranò leggermente gli occhi poi ridacchiò. << Hai ragione. >>
Mi alzai a sedere. << Io vado nel mio bagno e tu in quell’altro dove nel mobiletto c’è uno spazzolino nuovo. >> dissi come se fossi il capitano di una squadra e stessi comunicando loro il piano d’azione.
Lui annuì. << Si, signora. >> e si alzò uscendo dalla stanza.
Dopo un attimo di stupore per averlo visto nudo e decisamente sexy, mi alzai anche io e mi chiusi in bagno gettandomi sotto la doccia per una sciacquata veloce, poi mi lavai denti ed ancora un po’ umida uscii fuori.
Lui era sdraiato comodamente sul letto, coperto dal lenzuolo dalla vita in giù lasciando alla mia vista i suoi bellissimi e scolpiti addominali. Ma che era? Una statua greca?
Salii sul letto e poi gattonando lentamente mi avvicinai a lui appoggiando subito le mie labbra sulle sue che sapevano di mentolo e di pulito. Mi prese il viso tra le mani e approfondì il bacio accarezzandomi la bocca e la lingua con la sua, dolcemente facendomi uscire fuori di testa e facendomi eccitare.
La sera prima dopo aver fatto l’amore ci eravamo subito addormentati perché eravamo stanchi, quindi solo una volta avevamo potuto sfogare il desiderio ardente che provavamo l’uno per l’altro e quindi quella mattina avevamo degli arretrati.
Capovolse le posizioni e mi ritrovai con la schiena sul materasso mentre lui pesava dolcemente su di me senza mai smettere di baciarmi.
C’era un ostacolo tra di noi, il lenzuolo che lo copriva, quindi con qualche mossa riuscii a toglierlo e ansimai quando il suo membro duro e caldo venne a contatto con la mia intimità bagnata.
Si staccò da me con il fiato accellerato. << Bella… voglio prendermi cura di te… >> mi sussurrò sulle labbra facendomi capire che quella mattina non si sarebbe fatto prendere dal desiderio, ma sarebbe andato con calma.
Aprii le braccia facendole ricadere sul letto. << Fammi quello che vuoi… sono tua. >> e sussurrai l’ultima parte sulle sue labbra prima di annullare la distanza e baciarlo ancora.
Sentii le sue mani accarezzarmi le spalle e la clavicola sporgente, poi scendere sul petto dove il mio cuore batteva frenetico. Scese sul seno e lo strizzò dolcemente tra le sue mani facendomi ansimare e inarcare la schiena chiedendo di più.
Staccò le labbra dalle mie e le portò al posto delle sue mani, afferrò il capezzolo destro e lo strizzò leggermente facendomi gemere. Si occupò del mio seno fino a che non diventò sensibile al massimo, cioè fino a che anche al minimo sfioramento gemevo.
Scese con le sue calde labbra sul mio ventre, sui miei fianchi dove mi diede un morso e mi fece un po’ di solletico facendomi ridacchiare. << Eh dai. >> dissi tra le risate.
Lui sorrise divertito e con la faccia da bambino dispettoso, ma comunque non mi tese nessun agguato più ritornando a dedicarsi al mio corpo.
Scese ancora di più fino a portare la sua testa tra le mie gambe e quando sentii la sua lingua, mi complimentai con me stessa per aver perso qualche minuto in più prima per lavarmi e rendermi presentabile.
Si dedicò a quella parte di me fino a che non venni con una serie di gemiti incontrollati che aumentarono quando mi penetrò cominciando a muoversi dentro di me.
<< Oh… sei… bravo. >> ansimai tra una spinta e l’altra.
Lui divertito scosse la testa, poi chiuse gli occhi attraversato da una scossa di piacere. << E… tu…sei…calda, cazzo. >> imprecò muovendosi velocemente e pompando senza fermarsi.
Dopo qualche spinta venni urlando quasi e artigliando il lenzuolo con le unghia per il dolore che mi provocò il morso che mi diede sulla spalla per strozzare il suo gemito roco.
Si accasciò addosso a me ansante. << Scusami. >>
Scossi la testa. << ‘Fa niente. >> sussurrai accarezzandogli i capelli in un gesto pigro.
Restammo in silenzio, godendosi quel momento di calma piatta che si avvertiva solo dopo il sesso, quando tutti i tuoi sensi si tranquillizzavano e la tua mente andava in standby. Dove tutto era in silenzio.
<< Per quanto ho sognato questo momento. >> proruppe Edward a bassa voce per non rovinare quel momento. << Mi sono sempre immaginato come fosse riposare sul tuo seno morbido dopo aver fatto l’amore; come sarebbe stato entrare dentro di te e sentirmi circondato da te; come sarebbero stati dolci i tuoi gemiti e i tuoi ansimi e come sarebbe stato bello sentirti dire che mi amavi come ti amo io. >>
Sorrisi dolcemente. << E’ com’è stato? >>
Lo sentii sorridere sul mio seno, prima di sentire le sue labbra in un dolce bacio. <<  Devastante. >>
Aggrottai la fronte e forse lui lo percepì perché alzò la testa e mi guardò. << Sono state devastanti la gioia e l’eccitazione che ho provato, Bella. >> e mi baciò dolcemente.
Si, devastante davvero.
 
Mi ero di nuovo fatta la doccia, ma non avevo indossato altro che uno sleep e la sua camicia che odorava di buono e di uomo, il mio uomo.
Quando entrai in cucina lo vidi che era intento a far saltare le uova in padella ed era a dorso nudo con solo il jeans addosso, visto che la camicia gliel’avevo sequestrata.
<< Che si mangia, Gordon? >> dissi chiamandolo come il famoso cuoco e critico della tv.
Lui si girò verso di me e mi fece vedere la padella dove oltre all’uovo friggeva anche del bacon. Spense il fornello e si avvicinò alla tavola mettendo tutto nei piatti, poi afferrò il pane tostato che era pronto, si avvicinò al frigo e prese  del succo d’arancia e della frutta.
<< Ecco a te. >> e mi sfiorò le labbra con le sue.
Sorrisi e cominciai a mangiare scoprendo di aver davvero un fame da lupi e mangiai con gusto tutto quello che aveva preparato aggiungendo anche del gelato alla frutta.
<< Sei un pozzo, ragazza. >> mi disse ridendo divertito.
Lui si era limitato, nel senso che aveva evitato il gelato, ma anche lui non scherzava. Mangiando si era sbrodolato tutto addosso facendomi ridere, era stato divertente e per un attimo mi ero immaginata noi tra qualche anno in quella stessa casa con magari una fede al dito ed un piccolo Edward ancora addormentato in una culla di legno nella sua stanza, ma poi la realtà mi era piombata addosso.
<< Edward… >> lo riportai alla realtà in tono serio.
Lui alzò lo sguardo su di me e lesse qualcosa nei miei occhi perché sospirò. << Lo so, Bella, lo so. >> posò la forchetta sul piatto e si pulì le labbra. << Adesso la cosa è diventata davvero complicata, però insieme ce la faremo. >> si avvicinò a me e afferrò una mano tra le sue. << Io ti amo, Bella, e farò di tutto per restare accanto a te, scapperemo se è necessario, ma non ti lascerò. >>
Annuii convinta delle sue parole, mi fidavo di lui e ne ero innamorata, gli avrei affidato la mia stessa vita se fosse stato necessario.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai dolcemente, beandomi del suo odore e della morbidezza delle sue belle labbra.
<< Oh… ma quanto siete carini! >> cinguettò in modo sarcastico una voce dietro di me, una voce che conoscevo molto bene perché era identica alla mia, solo più dura.
Ci girammo contemporaneamente ed io sgranai gli occhi quasi a farmeli uscire fuori dalle orbite e probabilmente Edward doveva avere la mia stessa espressione.
<< R-rose… >> cercai di dire, ma la voce non mi usciva.
Mi indirizzò un’occhiata piena di odio. << Ti avevo chiesto di fingerti me, è vero, ma non pensavo fino a questo punto. >>
<< Rose, fammi spiegare… >> tentai ancora, ma lei mi bloccò ancora.
<< No, non c’è niente da spiegare. >> disse sprezzante e dopo averci guardato ancora una volta ci diede le spalle ed uscì dall’appartamento.
Edward scattò per seguirla, ma io lo avevo già preceduto correndo e trovandola vicino alle scale, era così arrabbiata che non avrebbe potuto sopportare di restare chiusa dentro a quelle quattro pareti in silenzio.
<< Rose, ti prego, fermati… lasciami spiegare… >>
Si girò di scatto. << Cosa vuoi spiegare, Isabella? Che mi hai rubato l’uomo che avrei dovuto sposare tra una settimana? Non ti bastavano tutto gli uomini che ti cadono ai piedi? Anche Edward dovevi  prendere… >>
<< Se tu non te ne fossi andata non sarebbe mai successo e lo sai… >> le dissi avvicinandomi di più a lei.
<< Cosa significa? Tu non dovevi farlo e basta, Bella, cazzo! >> sospirò. << Io ero lontana perché mi sentivo oppressa da tutto non perché avevo dei dubbi su Edward ecco perché sono ritornata… io sono ritornata per sposarlo… >> urlò indignata.
Sgranai gli occhi a quella confessione. Ma stava scherzando o era così scema da dire la verità? Era scappata a poche settimane dal matrimonio e adesso pretendeva di ritornare e di sposarselo come se niente fosse, come se non se ne fosse mai andata? Ed io che mi sentivo in colpa.
<< Non puoi ritornare qui dopo tre settimane e dire che lo ami e che vuoi sposarlo, Rosalie, è inconcepibile. Anche se io ed Edward non ci fossimo piaciuti e poi innamorati, non avresti mai recuperato quello che hai perso andandotene. >>
<< E’ così, quindi? Me lo merito? E’ questo che stai dicendo? >> mi chiese sconvolta.
Scossi la testa. << Non sto dicendo che lo meriti, Rosalie, ma non avresti dovuto andartene, saresti dovuta rimanere qui e affrontare la situazione ed Edward… >>
Non ero più calma e dispiaciuta come lo ero quando era piombata in casa mia, ero amareggiata e incazzata con lei e con la sua stupidaggine. Cosa pretendeva? Che il mondo si fermasse aspettando lei?
<< Tu mi hai rubato l’uomo. >> ribadì ormai arrampicandosi sugli specchi.
Sapevo cosa stava pensando, mi stava dando ragione, lei lo sapeva di aver sbagliato e di in un certo senso meritarsi tutto quello, ma non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura.
<< Te ne sei andata, Rosalie, lo hai lasciato qui senza sapere se si fosse sposato o meno, cosa pretendevi che facesse? Che ti aspettasse e poi ti accogliesse a braccia aperte al tuo ritorno? C’ero io quando ha scoperto che cosa avevi architettato e c’ero io a parargli il culo con la madre e gli altri, okey? Ci siamo conosciuti meglio, ci siamo piaciuti e ci siamo innamorati e solo Dio sa quanto abbiamo provato a lottare contro tutto questo per il tuo bene, ma non ce l’abbiamo fatta. >> sospirai. << Adesso mi odi, lo so, e posso anche capirti, ma… io ti conosco, Rose, è so che appena comincerai a ragionare a mente fredda capirai che ho ragione. >> la guardai per l’ultima volta prima di darle le spalle e sperare in cuor mio che mi avrebbe perdonata.
 
Ero sdraiata sul divano con gli occhi chiusi cercando di farmi passare quel martellante mal di testa che non mi dava un po’ di pace da una settimana esatta.
Avevo tutte le persiane abbassate, ero al buio e la fresco, volevo tranquillità, ma tutti quei pensieri che mi vorticavano per la testa non me la davano.
Mia sorella non si era fatta sentire ed io non mi ero fatta sentire da Edward che avevo mandato a casa subito essere ritornata nel mio appartamento dopo la discussione con mia sorella. Lo avevo cacciato di casa non perché non volevo più saperne di lui, ma perché avevo bisogno di stare sola e di piangere.
Avevo pianto tanto quel giorno e quella notte lo stesso stretta tra le braccia delle mie migliori amiche, la mattina dopo si era presentato Emmett ed era rimasto con me tutto il giorno cercando di farmi ridere e di farmi capire che anche se tutto il mondo mi girasse la faccia lui continuerebbe a guardarmi negli occhi e a sorridermi. La sera erano passati Joe e Jack e mi ero divertita molto con quest’ultimo che non perdeva occasione per mettere in imbarazzo il suo ragazzo, che sbuffava peggio di una locomotiva.
Avevo sentito i miei genitori, mia madre aveva cominciato a sbraitare e non aveva più voluto parlare con me mentre mio padre mi aveva consolato dicendo che tutto sarebbe andato bene e che mi voleva bene.
Edward non mi aveva fatto alcuna pressione in quella settimana né aveva fatto scenate ridicole, si era limitato ad un brevissimo messaggio in segreteria ogni mattina alle sette ‘Buongiorno, Bella, ti penso’.
Li ascoltavo continuamente, ma non ebbi mai il coraggio di alzare la cornetta e dirgli ‘Ti penso anche io, ti amo’.
Avevo bisogno di stare da sola per riflettere su cosa avessi fatto della mia vita se Rosalie non mi avesse più perdonato. Avevo sperato che dopo averci riflettuto a mente calma, si sarebbe resa conto che aveva sbagliato anche lei e che potevamo perdonarci a vicenda, ma non avevo avuto più notizie di lei.
Mi mancava, mi mancava davvero tanto, sentivo un enorme  buco nero nello stomaco, un buco che solo lei avrebbe potuto riempire.
Molte volte ero stata tentata di alzare la cornetta e comporre il suo numero o di scendere e andare al suo appartamento, ma non l’avevo fatto. Perché? Perchè ero terrorizzata da lei, e da un rifiuto.
 
Era ormai pomeriggio inoltrato quando bussarono al citofono, con un lentezza che avrebbe fatto rabbrividire un bradipo mi avvicinai e schiacciai il pulsante. << Sono Esme. >>
Sgranai gli occhi e mi bloccai tanto che lei mi richiamò. << Bella? >> mi chiamò.
<< Oh…ehm… si. >> dissi balbettando, aprii il portone e poi la porta.
L’aspettai appoggiata allo stipite con aria preoccupata e confusa, che ci faceva da me la madre dell’uomo che amavo e a cui avevo mentito spudoratamente la sera della cena?
Quando uscì dall’ascensore mi sorrise e con la sua solita eleganza entrò in casa guardandosi intorno. << Che bell’appartamento. >> commentò sincera. << Solo… un po’ buio. >> commentò.
Chiusi la porta e imbarazzata mi accinsi ad aprire tutte le persiane ed immediatamente il sole entrò dentro illuminando tutto. << Oh molto meglio. >> commentò sorridendo.
Annuii. << Ehm… posso offrirti qualcosa? >> le chiesi con rispetto.
Lei annuì accomodandosi sul divano senza aspettare nessun invito da parte mia. << Certo, della limonata, grazie. >>
Andai in cucina e con gesti meccanici presi la caraffa con la limonata e due bicchieri, poi ritornai in salotto dove Esme si trovava nella stessa posizione.
Mi accomodai accanto a lei e dopo averle riempito il bicchiere glielo porsi. << Ecco. >> e le sorrisi.
Ricambiò. << Grazie, cara. >>
Presi anche io un bicchieri di limonata ed imbarazzata aspettai che cominciasse a parlare lei cosa che fece appena posò il bicchiere mezzo pieno sul tavolino. << Sai perché sono qui? >>
Scossi la testa. << No… cioè immagino, ma… non so. >>
<< Sono qui per dirti grazie. >> mi disse sorridendo dolcemente.
Aggrottai la fronte. << Grazie? Per cosa? >>
<< Non so se Edward ti ha raccontato la nostra storia. >> disse, invece, di rispondere alla mia domanda.
Annuii. << Si, lo ha fatto. >>
Esme fece un cenno con la testa. << Vedi, Bella, quando suo padre se ne è andato Edward si è assunto la responsabilità di proteggerci, è diventato lui l’uomo di casa. E’ cresciuto troppo presto e si è perso gran parte della sua adolescenza, perché non voleva lasciarci da soli, anzi non voleva lasciarmi da sola. >> sospirò. << Ha escluso tutto e tutti ed è andato avanti non curandosi minimamente di quello che stava perdendo per la strada. >> si fermò e mi guardò.
<< Cosa stai cercando di dirmi, Esme? >>
Lei sorrise. << Tu hai fermato quel cammino che aveva intrapreso mio figlio, hai fatto in modo che si fermasse e si guardasse intorno riscoprendo i piaceri della vita. E’ ritornato indietro e ha ripreso tutto quello che aveva perso e ha conosciuto tutto quello di cui si era privato a partire dall’amore per se stesso. >>
Rimasi colpita da quelle parole perché non sapevo fino a che punto la vicenda del padre avesse cambiato Edward, non pensavo avesse sofferto così tanto.
<< Qualche giorno fa Edward è venuto a casa mia e mi ha abbracciato, come non faceva da molto, e mi ha detto ‘Mamma, sono felice’. Non puoi capire quanta è stata l’emozione quando gliel’ho sentito dire. Ci siamo seduti in giardino e mi ha raccontato tutto con costantemente un’espressione ebete, da innamorato, sul viso. Era così bello, Bella, bello come non lo vedevo da molto e alla fine sono scoppiata in lacrime non riuscendo più a frenarmi. >>
Ormai avevo gli occhi pieni di lacrime e le mie mani tremavano per l’emozione mentre Esme le prese tra le sue. << Lui ti ama, Bella, ti ama come nessuno ha mai avuto il coraggio di amare nessuno altro… non deluderlo. >> mi pregò con voce rotta.
Scossi la testa. << N-non lo farò. >> le promisi.
 
Parcheggiai la mia silenziosa macchina presa a noleggio sul vialetto di entrata e sospirai cercando di farmi passare l’ansia.
<< Vai, Bella, ce la puoi fare. >> mi disse e scesi dalla vettura.
Avevo fatto qualche passo sul vialetto quando la porta di entrata si aprì e lui uscì sul portico sorpreso e anche emozionato.
Tutta l’ansia che avevo provato fino a quel momento sparii e mi ritrovai a sorridere e a correre verso il mio destino.
 
  

 

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Ragazze questo è l'epilogo...
Come sempre non ho tempo e mi dispiace davvero tanto non dirvi tutte le cose che avrei voluto e dovuto dirvi.
Vi dico solo GRAZIE, siete state tutte MAGNIFICHE!!!!!
xoxo Alex
ps. vi aspetto nelle altre mie storie.



Epilogo


 

6 mesi dopo.
 
Ero in piedi di fronte al mio armadio e mi stavo guardando allo specchio. Mi ero osservata da ogni angolazione e da ogni lato e più guardavo a più mi trovavo… enorme, sembravo una balena.
Quello era l’ennesimo vestito che provavo e puntualmente dovevo toglierlo perché non mi andava, o troppo stretto sul petto e troppo stretto sulla pancia.
Sbuffai. << Basta, ci rinuncio! >> esclamai togliendomi il vestito e sedendomi sul letto.
Sentii una presenza vicino alla porta e alzai lo sguardo incontrando il suo divertito. << Cosa guardi? >> gli ringhiai contro.
Lui alzò gli occhi al cielo. << Cosa c’è, stavolta? >>
Digrignai i denti. << Cosa potrebbe succedere, secondo te? Sono enorme e non mi entra nulla… >> e lanciai a terra un vestito che afferrai dal letto. << Stasera non vado da nessuna parte. >> conclusi.
Lui non disse nulla e uscii dalla stanza facendomi ringhiare ancora di più. Io avevo bisogno del suo sostegno e lui se ne andava ignorandomi completamente, ma che ragazzo mi ero trovata?
Dopo qualche secondo ritornò con una busta viola in mano. << Tieni. >> e me la porse.
Curiosa afferrai la borsa e l’appoggiai su letto aprendola e tirando fuori un morbidissimo vestito di lana blu. Lo osservai appoggiandolo al mio corpo e guardandomi allo specchio, era davvero molto bello e poi quei fiorellini azzurri sparsi qua e là gli conferivano un’aria meno seriosa.
Lo posai sul letto e mi infilai un pantacollant blu scuro, poi infilai il vestito e al piede misi un paio di stivali blu bassi.
Mi guardai allo specchio e finalmente dopo tanto mi sentii bella e guardai Edward con un sorriso luminoso sul viso. << E’ bellissimo, grazie. >>
Mi avvicinai a lui e mi alzai sulle punte immergendo le mie mani tra i suoi morbidi e lucenti capelli. << Sei meraviglioso. >> sussurrai prima di appoggiare le mie labbra sulle sue.
Mi baciò dolcemente accarezzandomi la schiena e poi spostando le mani sul mio ventre leggermente gonfio o almeno così mi faceva comodo pensare, perché non era proprio leggermente gonfio. Il tuo ventre può essere leggermente gonfio quando mangi tanto e di conseguenza ti si gonfia, ma la mia pancia era grande.
Erano gemelli, si.
E non era per colpa della mia famiglia perché il gene salta una generazione e quindi non avrei dovuto aspettare due bambini, ma non avevo preso in considerazione la famiglia di Edward. Sua madre, la sua vera madre, era una gemella e quindi saltando la generazione di Edward e facendo due conti, io mi ritrovavo ad aspettare due bambini. Quando si dice i casi della vita.
Quando si staccò da me mi guardò dolcemente. << Adesso che abbiamo superato l’ostacolo vestito, mi dici cosa davvero ti turba? >> mi chiese.
Dimenticavo sempre che Edward aveva imparato a conoscermi in quei sei mesi e che adesso niente gli sfuggiva. Sospirai e abbassai lo sguardo. << Ho paura di vederla, sono totalmente terrorizzata. >>
Mi riferivo a mia sorella Rosalie, che non vedevo da quella mattina della discussione. Non l’avevo vista e sentita per mesi fino a che non avevo ricevuto una sua telefonata in cui mi diceva che aveva capito, ma che per il momento non se la sentiva di vederci insieme.
E quella sera, in occasione del compleanno di mio padre, ci saremmo riviste e non ero pronta. Non sapevo come avrebbe preso la notizia della mia gravidanza né della convivenza tra me ed Edward, e non sapere le cose mi terrorizza.
<< Bella, tesoro, guardami. >> mi incitò lui.
Alzai lo sguardo verso il suo viso incontrato i suoi bellissimi occhi verdi che mi stavano guardando con dolcezza e amore, quello sguardo che ogni volta mi faceva venire il latte alle ginocchia.
<< Tesoro, sono passati sei mesi, non potete continuare a scappare. >> mi disse, poi afferrò il mio viso tra le mani. << E poi non dovresti avere paura perché io sarò costantemente al tuo fianco, non ti lascerò mai, tranquilla. >> e mi diede un bacio sul naso.
Sorrisi imbarazzata e mi sporsi a dargli un bacio sulla guancia. << Andiamo? >>
Edward annuì. << Andiamo. >>
 
Quando arrivammo a casa di mia madre Rosalie non era ancora arrivata quindi ebbi qualche minuto per prepararmi psicologicamente.
Aiutai mia madre a sistemare gli ultimi stuzzichini sulla tavola prima dell’arrivo degli invitati, che non erano altri che la madre di Edward con Emmett e alcuni colleghi di Charlie.
Mia madre aveva ripreso a parlare con me dopo un paio di settimane e subito si era messa in testa di organizzarmi il matrimonio, ma quando avevamo detto che non avevamo intenzione di sposarsi nel immediato futuro le era quasi venuto un infarto, ma poi si era rassegnata e aveva accettato la nostra decisione.
<< Tesoro ti sta benissimo quel vestito. >> mi disse mentre mi offriva un bicchiere di thè caldo.
Sorrisi toccando il bordo di lana dell’abito. << Me lo ha regalato Edward. >>
Mia madre sorrise divertita. << Conoscendo il soggetto credo che abbia fatto davvero un’ottima cosa. >> disse prendendomi in giro.
Mi imbronciai e la lasciai da sola in cucina a ridacchiare. Quando arrivai in salotto vidi mio padre ed Edward che discutevano di basket, erano appassionati della stessa squadra e quando si trovavano nella stessa stanza era un morire. Non si poteva fare un discorso serio quando si sedevano vicino.
<< Ehi ragazzi. >> li richiamai avvicinandomi a loro.
Si girarono verso di me e mi sorrisero dolcemente. << Ciao tesoro. >> mi salutò mio padre e si sporse verso di me per darmi un bacio sulla guancia.
<< Ciao papà. >> non gli diedi gli auguri perché quella mattina mi ero presentata con la colazione e con il suo regalo.
Un set nuovo per la pesca, che subito aveva adorato e aveva deciso che la settimana dopo sarebbe andato e aveva trascinato con se anche Edward che aveva dovuto accettare.
Edward mi sorrise semplicemente mentre mi stringeva al suo fianco, mio padre era troppo intento ad accarezzare la mia pancia per accorgersi di noi due.
<< Come stanno i miei ometti? >> disse mio padre accarezzando la pancia.
Alzai gli occhi al cielo. << Non sono maschi, papà. >> dissi per l’ennesima volta.
Mi lanciò un’occhiataccia. << Chi te lo dice? >>
Quando ero andata a fare l’ecografia che mi avrebbe svelato se fossero stati maschi o femmine o entrambi noi non avevamo voluto saperlo, volevamo una sorpresa allo scadere dei nove mesi. Tutti quelli che ci conoscevano erano rimasti con il fiato sospeso per tutte l’ecografia e quando avevano saputo della nostra decisione erano andati su tutte le furie.
Da quel giorno non facevano altro che aprire dibattiti sul sesso dei piccoli, litigando anche, ma in fondo in fondo erano innocui.
Alzai gli occhi al cielo e stavo per rispondere quando dalla porta sentii un voce chiamarci. Ci girammo tutti verso di lei ed il mio cuore si fermò vedendo mia sorella che timida entrava nella stanza, stringendo tra le mani un pacco.
<< Ciao piccola. >> la salutò mio padre andandogli incontro.
Rosalie lo abbracciò augurandogli buon compleanno e porgendogli il pacco che mio padre posò vicino agli altri.
Rosalie rimase al centro della stanza con lo sguardo basso, io guardai Edward che mi sorrise e mi fece cenno di avvicinarla. Lo feci e quando arrivai a qualche centimetro di distanza lei alzò lo sguardo e mi sorrise timidamente.
<< Ciao Bella. >> mi salutò.
Le sorrisi. << Ciao, come stai? >> le chiesi preoccupata.
Lei annuì sicura. << Sto bene. >>
Annuii senza dire nulla perché non sapevo che dirle, avevo dimenticato tutto il discorso che mi ero preparata mentalmente nel tragitto da casa mia a casa dei miei genitori.
<< Bella… >>
<< Rose… >>
Parlammo contemporaneamente e poi ridemmo imbarazzate. << Scusami, comincia tu… >> le dissi facendole un cenno con una mano.
Lei annuì e sospirò. << Volevo chiederti scusa per come mi sono comportata quella mattina e in questi sei mesi. Avevi ragione, non potevo ritornare e pensare di ritrovare tutto come l’avevo lasciato, ma in quel momento ero arrabbiata e… mi dispiace davvero, Bella. >> disse pronunciando l’ultima parte della frase con voce rotta. << In questi sei mesi non mi sono fatta vedere perché mi vergognavo per il mio comportamento e avevo bisogno di tempo per perdonarmi. >>
Ormai avevo le lacrime agli occhi. << Rose, brutta stronza, vieni qua. >> le disse attirandola a me e stringendola forte al mio petto mentre veniva scossa da singhiozzi eco dei miei.
<< Mi sei mancata tanto. >> disse tra le lacrime dandomi dei baci sulla guancia.
<< Anche tu, tantissimo. >> e le accarezzai i capelli così identici ai miei.
Restammo così abbracciate per un po’ di tempo e quando ci staccammo ci rendemmo conto di essere rimaste da sole nella stanza, ci avevano lasciato un po’ di privacy per chiarire e lo apprezzai.
Quando Rose si staccò abbassò lo sguardo verso la mia pancia e l’accarezzò con mani tremanti. << La mia Bella che aspetta un bambino. >> sussurrò incredula e intenerita.
<< In realtà ne sono due. >> le dissi sorridendo divertita.
Alzò lo sguardò confusa. << Come è possibile? >>
<< La madre di Edward era una gemella e quindi… >>
Lei ridacchiò per poi scoppiare in una fragorosa risata che contagiò anche me, mettendo fine finalmente a quei mesi di assenza e di sofferenza.
 
Eravamo tutti seduti a tavola, mancava solo Emmett che era rimasto bloccato a lavoro per una pratica, ma sarebbe arrivato entro dieci minuti.
Quando Esme era arrivata c’era stato un po’ di imbarazzo con Rosalie, ma poi quest’ultima le era andata accanto abbracciandola come aveva fatto in precedenza quando aveva visto Edward. Il mio ragazzo era rimasto un po’ sorpreso, perché non se l’aspettava e perché non aveva ancora superato del tutto la sua paura di fidarsi degli altri, ma poi l’aveva stretta delicatamente a se lasciandola andare subito e facendo ridacchiare mia sorella.
<< Sentite, io ho fame, e mangio. >> esordii stanca di aspettare Emmett.
<< Ma, tesoro… >> mi rimproverò mia madre.
Sbuffai. << Ho due bocche da sfamare oltre la mia, okey? >> e addentai una tartina al salmone.
Edward alzò gli occhi al cielo e ridacchiò. << Sempre la solita. >>
Fortunatamente dopo quella tartina il campanello suonò e mia madre andò ad aprire ritornando dopo qualche secondo con un Emmett in giacca e cravatta, con gli occhi stanchi e i capelli spettinati.
<< Scusate il ritardo. >> si giustifico.
Poi si avvicinò a mio padre e gli augurò buon compleanno dandogli una busta bianca, mio padre l’aprì e gli si illuminò il viso.
<< Non ci credo, credevo fossero esauriti. >> disse facendoci vedere i biglietti della prossima partita di basket dei Lakers.
<< Sono tre biglietti, quindi io mi considero invitato e ovviamente anche Edward. >> disse Emmett mentre salutava tutti.
Quando arrivò vicino a me mi diede un bacio sulla fronte e poi si abbassò dando due baci sulla mia pancia. << Ciao, principesse. >> sussurrò.
Alzai gli occhi al cielo. << Non sono due femmine. >> dissi esasperata.
<< E tu che ne sai? >> disse comportandosi come mio padre.
<< Ha ragione Emmett, come lo sai? >> si intromise nel discorso mio padre.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando e ritornai alle mie tartine ignorandoli bellamente ed Edward con me. Il mio ragazzo all’inizio aveva fatto un po’ di storia quando gli avevo detto che non volevo sapere il sesso del bambino, ma poi mi aveva accontentato come aveva sempre fatto in quei sei mesi. Dovevo davvero fargli una statua d’oro, perché ce ne voleva di coraggio per sopportarmi.
Emmett si accomodò accanto a Rosalie e per tutta la serata non fecero altro che parlare e lanciarsi occhiate ambigue. Non volevo crearmi castelli in aria e me lo disse anche Edward quando gli raccontai dei miei sospetti mentre eravamo seduti sull’altalena in veranda.
<< In questi giorni vedi amore da ogni dove, Bella. >> mi disse mentre mi accarezzava i capelli.
<< E’ così sbagliato voler vedere la propria sorella felice dopo quello che le ho fatto passare? >> e immediatamente  i miei occhi si riempirono di lacrime. << Fottuti ormoni. >> dissi asciugandomi gli occhi.
Edward ridacchiò e mi strinse ancora di più a se poggiandomi le labbra tra i capelli. << Capisco la tua situazione, ma non forzarla, okey? >>
Annuii. << Okey. >>
Restammo abbracciati così in silenzio godendoci il calore emanato dal corpo dell’altro, era ormai quello che facevamo tutte le sere dopo cena.
Fummo interrotti da Emmett che come un militare sottocopertura si avvicinò a noi, ci mancava solo che si cantasse la canzoncina da solo.
<< Ehi voi due… >> ci chiamò a bassa voce avvicinandosi e guardandosi intorno come se si sentisse braccato da un branco di mercenari.
Lo guardammo un po’ spaesati. << Emmett, ma che stai facendo? >> gli chiese Edward continuando però ad accarezzarmi i capelli.
<< Mica è un problema se chiedo a Rose di uscire? >> chiese, ma guardò me.
Alzai un sopracciglio scettica. << Dipende da cosa intendi per ‘uscire’? Se vuoi portarti a letto mia sorella e poi abbandonarla sul ciglio di una strada come una puttana, non ci pensare neanche. >> gli dissi puntandogli un dito contro.
Lui scosse la testa. << No, io… senti, tua sorella mi piace da quando Edward me l’ha fatta conoscere, okey? Ma non ci ho mai provato per rispetto di questo zuccone qua, però adesso è libera e a me piace ancora. >>
Lo guardai attentamente negli occhi cercando di capire se facesse sul serio o se mi stava prendendo in giro per poi portarsela a letto e farla soffrire ancora.
Assottigliai gli occhi. << Vai, ma prova a fare il marpione bastardo e ti taglio le palle. >>
Emmett contento mi sorrise e poi ritornò dentro saltellando quasi, quando la porta si chiuse alle sue spalle mi girai verso Edward e feci la mia famosa faccia che lui poco tollerava, gli avrei detto che mi doveva delle scuse, ma la porta si aprì di nuovo, e stavolta era Rosalie che si comportò nello stesso identico modo di Emmett.
<< Ehi voi due… >> disse a bassa voce e mi sembrò di essere capitata in un deja’vù.
<< Che c’è? >> chiese Edward sorridendo divertito intuendo già cosa volesse chiedere Rose.
<< Ma è un problema se esco con Emmett? >> chiese guardandoci e poi lanciando ogni tanto un’occhiata alla porta.
<< Te lo ha già chiesto? >> chiesi.
Lei scosse la testa. << No, in realtà vorrei chiederglielo io. Allora? >>
<< Vai, tranquilla, sorella. >> dissi dandogli il via libera, Edward annuì con me. << Vai, Rosalie, magari lo rimetti in riga. >> disse.
Rosalie tutta contenta se ne andò e noi scoppiamo a ridere per quel teatrino e poi ero davvero contenta che mia sorella si stesse riprendendo e chi meglio di Emmett poteva aiutarla in questo?
<< Saremo anche cognati, ti rendi conto? >> mi disse Edward facendomi appoggiare di nuovo a lui.
Annuii. << Già… beh vedi il lato positivo, saremo ancora più legati di quanto non siamo già. >>
Lui annuì e appoggiò la sua guancia sui miei capelli mentre portava le mani sulla mia pancia e l’accarezzava. << Io dico che sono femmine. >>
 
 
 
 
  

 

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