Hi, nice to meet you!

di Dony_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap 1 ***
Capitolo 2: *** Chap 2 ***
Capitolo 3: *** Chap 3 ***
Capitolo 4: *** Chap 4 ***
Capitolo 5: *** Chap 5 ***
Capitolo 6: *** Chap 6 ***
Capitolo 7: *** Chap 7 ***
Capitolo 8: *** Chap 8 ***
Capitolo 9: *** Chap 9 ***
Capitolo 10: *** Chap 10 ***



Capitolo 1
*** Chap 1 ***


Hi, nice to meet you!
1.


 
Il fragrante profumo di caffè inondò la piccola cucina di casa Mouri, mentre lo sbadiglio della giovane ragazza che vi abitava spezzò il fragoroso silenzio in cui era immersa.
Si strinse meglio nella camicia da uomo un po’ troppo larga che era diventata il suo pigiama preferito, e si passò una mano sui capelli scompigliati.
La sera prima aveva fatto molto tardi a causa della festa di compleanno della sua migliore amica, Sonoko, che si era protratta ben oltre le due di notte e quella mattina aveva litigato con la sveglia, che la richiamava da un sogno bellissimo per ricordarle prepotentemente che doveva correre a lezione.
Era sempre stata una ragazza mattiniera e alzarsi dal letto non era mai stato un particolare problema per lei, ma ultimamente aveva preso il brutto vizio di impiegarci ore.
Tutta colpa sua... pensò sbuffando.
Ran spense il fornello e si riempì la tazza di caffè, afferrando sotto il mento una confezione quasi finita di biscotti e nell’altra mano una mela da portare all’università come spuntino post lezione.
Appena si sedette a tavola, il suo sguardo si immerse nella bellissima giornata di sole che era iniziata parecchie ore addietro, e che si mostrava invitante dalla finestra che dava sulla strada trafficata di Beika.
Sarebbe stata la giornata ideale per uscire, per divertirsi... e invece quelle che la attendevano erano sei noiosissime ore di lezione, chiusa in un aula con i condizionatori ancora spenti nonostante giugno fosse iniziato da un bel po’.
Trattenne a stento uno sbadiglio, mentre inzuppò nel caffè bollente un biscotto. Sentì la porta di casa aprirsi lentamente, sicuramente suo padre, venuto a controllare che la bella addormentata si fosse destata per andare all’università.
Ran guardò la tazza bollente supplichevole. “Ti prego, svegliami come solo tu sai fare” le mormorò, avvicinandola per bere il primo sorso.
Una mano stranamente gelata le si posò sul collo, facendola sobbalzare e macchiando così la sua camicia preferita.
La giovane scattò in piedi all’istante, pronta a liberarsi con una mossa di karate.
Questo non è papà! ringhiò la sua mente pronta all’attacco.
“Non sapevo che parlassi da sola” sghignazzò una voce alle sue spalle.
Il cuore di Ran perse un battito.
 
 
Il ragazzo scoppiò in una risata divertita, mentre osservava l’espressione sbigottita e allarmata della sua fidanzata.
“Mi hai fatto venire un colpo!” lo rimproverò Ran, una mano sul cuore e l’altra ancora in posizione, pronta per colpire il presunto aggressore. Lo sapeva, che aveva fatto un errore nel lasciargli le chiavi di casa sua. Non era il primo scherzetto che le faceva, e stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di riprendersele.
Il giovane continuò a ridere, e alla fine si prese lo stesso un pungetto non troppo gentile sul petto.
I due ragazzi si sedettero l’una di fianco all’altro, mentre Ran allungava un paio di biscotti al ragazzo che, da un anno e mezzo a quella parte, amava.
Il giovane si rilassò sulla sedia, sorridendo alla ragazza.
“Che fai già in piedi? I tuoi piani non erano poltrire fino a tardi?” domandò Ran, per poi affondare nel caffè tiepido.
Il giovane rimase a fissarla con un sorriso, perso nella bellezza della ragazza. Nonostante si fosse appena alzata e sul suo viso non vi fosse una sola traccia di trucco, non poteva evitare di pensare che era comunque la ragazza più bella del mondo. Anche con i capelli arruffati e un principio di occhiaie.
Amava rimanere a guardarla, soprattutto quando era appena sveglia ed indossava la camicia che era stato costretto a regalarle perché troppo affezionata. Era la camicia che lui aveva deciso di indossare per la sua dichiarazione. Non ce l’aveva più fatta a trattenersi, ed era dovuto correre da lei per rivelarsi una volta per tutte, anche se aveva avuto una forte apprensione per un suo rifiuto. E, quando finalmente l’aveva incrociata sul suo pianerottolo, le si era quasi inginocchiato davanti, gridando a gran voce il suo amore.
Ran aveva sorriso. Lui portava ancora i pantaloni del pigiama. E, nonostante fosse stata presa in contropiede da quella improvvisa – e inaspettata – confessione, gli concesse di uscire assieme un paio di volte.
Ma, quel paio di volte, erano bastate per farle capire che lei si era innamorata di lui. E da lì era nata la loro insospettata storia.
Ran lo riscosse alzandosi da tavola e iniziando a sparecchiare, sottraendogli il pacchetto di biscotti che aveva iniziato a smangiucchiare avidamente. Prima che lei andasse in camera sua per cambiarsi, lui le afferrò un polso e fece per tirarla a sé, costringendola delicatamente a sedersi sulle sue gambe.
La giovane sbuffò, nonostante il contatto con il ragazzo le facesse piacere, e mantenne una perfetta faccia stizzita e seccata. “Sono in ritardo. Lasciami andare”.
Il ragazzo allungò una mano e le circondò il mento, avvicinando così il viso della sua innamorata al suo. Gli occhi chiari di lei che si chiudevano appena erano un toccasana per il cuore palpitante di lui, che ancora non ci credeva che finalmente quella ragazza, che tanto aveva amato di nascosto, gli appartenesse. Nessun altro poteva sottrargliela, ora. Lei era sua, come lui era completamente suo.
Ran appoggiò la mano sulla bocca del ragazzo, poco prima che le sue labbra toccassero quelle del fidanzato e sorrise trionfante quando lui riaprì gli occhi, visibilmente scocciato.
“Ho detto che sono in ritardo” ribadì divertita e, approfittando del momentaneo spaesamento di lui, scivolò via dalle sue braccia e corse nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Si svestì alla velocità della luce ed indossò un vestito stampato leggero, un cardigan giallo per coprire le spalle nude e improvvisò una treccia spettinata da far ricadere sulla sua spalla, dando un po’ più d’ordine a quei capelli scombinati.
Indossò un paio di ballerine comode e afferrò la borsa dell’università, dove dentro stavano tutti i suoi appunti e libri, e corse verso l’ingresso, dimentica della presenza del suo ragazzo nell’altra stanza.
“Ehi!” la chiamò lui andandole incontro.
La ragazza, che stava già armeggiando con le chiavi per la porta, tornò alla realtà al suono della sua voce e sussultò appena quando lui le sfiorò la spalla.
Il ragazzo spalancò delicatamente la porta, ricordandole che lui l’aveva aperta appena entrato e le fece segno di passare per prima, quasi per ribadirle il fatto che lui fosse anche un cavaliere, quando l’occasione si presentava.
Ran gli sorrise e gli concesse un rapido bacio sulle labbra. Lo prese per il polso e se lo trascinò di sotto, in strada, per poi abbracciarlo con forza e baciarlo di nuovo.
Le guancie di entrambi si imporporarono molto, e i passanti attorno li guardavano divertiti ed invidiosi allo stesso tempo.
Tutti l’avevano sempre detto: loro formavano una coppia perfetta e bellissima. Quando li vedevi assieme, e notavi l’amore che li legava, ti sentivi una pace interiore. Sapevano trasmettere sicurezza agli altri, e il legame che li teneva stretti da un anno e mezzo a quella parte sapevano che non si sarebbe mai dissolto.
Ran fu la prima ad interrompere il loro contatto, sbuffando leggermente. Controllò l’ora sul display del cellulare e gemette mentalmente. Erano le dieci passate, e la lezione sarebbe cominciata di lì ad un quarto d’ora. Con gli autobus non ce l’avrebbe mai fatta, con la metropolitana forse, ma solo se si fosse data una mossa.
“Scappo. Ci sentiamo più tardi!” gli disse, dandogli un ultimo bacio sulle labbra, ma lui la trattenne per il polso.
Stava sorridendo, cosa che sorprese Ran.
“Dove credi di andare?” le domandò con una risatina. “Sapevo che ti saresti alzata tardi, quindi ci ho pensato io” e, detto questo, si spostò di lato e le mostrò la sua moto parcheggiata a qualche passo dalla sua abitazione.
Gli occhi di Ran si spalancarono, e fece guizzare lo sguardo dalla moto al suo ragazzo parecchie volte. Con la moto, ci avrebbe messo decisamente meno tempo, e all’università sarebbe arrivata giusta giusta per l’inizio della lezione.
“Sei un genio” sussurrò la ragazza, avvicinandosi al mezzo con passo spedito, seguita dal ragazzo. Il giovane estrasse dalla sella i due caschi che si affrettarono ad indossare e poi fece l’occhiolino alla fidanzata.
“Lo so. E senza di me, non so che faresti” la prese in giro.
Salirono entrambi con agilità, e partirono sfrecciando in direzione del centro di Tokyo. Ran si accoccolò alla schiena del ragazzo che amava, sentendo le guancie calde.
Aveva ragione: senza di lui non sapeva cosa avrebbe potuto fare. Si sentiva persa senza saperlo al suo fianco. Era la sua metà. Glielo ripeteva quasi ogni giorno.
Nel mentre che decelerarono per via di un semaforo rosso ostile alla puntualità di Ran, la giovane estrasse il cellulare ed inviò un messaggio a Sonoko, per chiederle di aspettarla fuori dall’università. L’Ateneo distava ancora un paio di chilometri, e la lezione sarebbe cominciata di lì a cinque minuti. Anche quella volta, era salva.
Il ragazzo diede di gas appena scattò il verde, e Ran si dovette tenere forte alla sua schiena per non scivolare all’indietro. Svoltarono a destra e poi percorsero ad un andatura più normale l’ultimo tratto di strada, anche perché di fianco all’università si trovava la sede staccata della Centrale di Polizia.
Ran intravide appoggiata ai cancelli la sua migliore amica, con indosso un grosso paio di occhiali da sole quasi sicuramente per oscurarle lo sguardo stanco, e intenta a smanettare con il telefonino.
Ran scese con un balzo dalla moto, si slacciò il casco e si diresse verso Sonoko.
“Ehi, grazie per avermi aspettata” le disse con un sorriso di scuse, mentre questa alzava lo sguardo su di lei. Nonostante gli occhiali, Ran intravide gli occhi assonnati dell’amica, ma nonostante questo riuscì a sorriderle. “Fa niente. Andiamo?”.
Ran annuì e fece per voltarsi, per salutare il fidanzato e per riconsegnargli il casco, quando venne letteralmente travolta da qualcuno.
Cadde rovinosamente a terra e la borsa sparse tutt’attorno i libri e gli appunti. Il cellulare volò in strada, aprendosi in due.
“Ma guarda te!” esclamò adirata la sua migliore amica, ergendosi minacciosa sulla persona che aveva investito Ran, intenta a massaggiarsi il didietro.
“Oh, scusa, mi dispiace!” esclamò il ragazzo, iniziando alla velocità della luce a rimettere in ordine i libri e gli appunti della ragazza. “Non ti ho proprio vista! Sono in ritardissimo” spiegò affannosamente e porse a Ran i libri ammucchiati alla bell’e meglio.
Ran scosse la testa, cercando di non far trapelare la lieve irritazione. “Tranquillo” disse solo, e il ragazzo le sorrise di cuore.
“Grazie!” esclamò alzandosi in piedi di scatto. Raccolse la sua tracolla universitaria e corse verso l’ingresso dell’Ateneo, salutandola con la mano. “Scusa ancora!”.
Ran si rialzò spazzolandosi il vestito impolverato, mentre Sonoko, con ancora le mani sui fianchi, continuava a guardare torva nella direzione dove il ragazzo era sparito. “Non è l’unico in ritardo, ma almeno noi non buttiamo la gente gambe all’aria!” borbottò innervosita.
Ran stava per dirle che non c’era problema, e che non si era fatta male nella caduta, quando la voce del suo fidanzato la richiamò alla realtà per la seconda volta di quella mattina.
“Mi dispiace, Ran” lo sentì mormorare.
La ragazza si voltò, per poi spalancare gli occhi inorridita. Il suo cellulare, comperato appena due mesi prima, era graffiato e sformato, con lo schermo tagliato e spento.
Lo afferrò e rimase in silenzio a contemplarlo, mentre Sonoko si accorse della presenza del suo fidanzato. Si alzò gli occhiali sulla testa e alzò le sopracciglia. “Oh. Ci sei anche tu” disse con tono piatto, ma lui era intento a guardare la sua ragazza.
“Mi dispiace, ma appena è volato in strada è passata una macchina. Credo che sia... andato” le disse lentamente, ma Ran sbuffò lo stesso.
Se lo cacciò in tasca e scosse la testa, ponendo il problema della lezione già cominciata come prerogativa rispetto al cellulare nuovo miseramente andato distrutto.
“Ci penso dopo. Grazie per il passaggio” gli disse cercando di stare calma. Gli passò il casco e lo salutò con un bacio sulla guancia, per poi prendere la sua migliore amica per il polso e trascinarsela dietro.
“Ci vediamo, Sonoko” la salutò il ragazzo, gentile.
La giovane corrugò la fronte, cosa di cui Ran non se ne accorse. “Sì, ciao... Shun

 
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Okay,questa doveva essere una one-shot, con finale completamente diverso. Il ragazzo di Ran doveva essere un certo ‘Shin’ di nostra conoscenza, e non uno sconosciuto ‘Shun’.. ma, mentre scrivevo... è uscito questo e... le idee sono nate… XD Perdonate la mia ennesima pazzia :)
Bè, che mi dite? Sappiate che come andrà a finire questa mia idea non lo so nemmeno io... ho solo poche cose in mente, per il momento, ma so che scrivendo la storia si farà da sé...!
Aspetto i vostri commenti! ^^
Un abbraccio,
 
Dony_chan 

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Capitolo 2
*** Chap 2 ***


Hi, nice to meet you!
2.

 

 
Ran poggiò stancamente la testa sul banco dell’aula, chiudendo gli occhi e beandosi del fresco che refrigerava la stanza. Alla fine, si erano decisi ad accendere l’aria condizionata anche al campus.
La pausa tra una lezione e l’altra era iniziata da poco, ma Ran non aveva trovato la forza per alzarsi e fare due passi per sgranchire le gambe. Il sonno le era ripiombato addosso dieci minuti dopo aver cominciato ad ascoltare il professore di letteratura tedesca, che con la sua solita voce monotona, stava introducendo ai ragazzi i nuovi autori in vista dell’esame di fine sessione.
La ragazza sentì una mano accarezzarle dolcemente i capelli, per poi iniziare a disfarle la treccia spettinata, rifacendola da capo. Ran non alzò lo sguardo, sapendo già di chi si trattasse.
“Dovevate tornare prima. Come ho fatto io” si sentì sgridare delicatamente. “E non sareste arrivate in ritardo e non sareste addormentate!”.
Ran aprì un occhio e la fissò colpevole. “Hai ragione” disse con un filo di voce. Avrebbe voluto girare la testa e sprofondare in un lungo sonno, ma sapeva bene che, di lì a venti minuti, sarebbe iniziata la seconda parte della lezione di letteratura, e che sarebbe dovuta stare sveglia e attenta a prendere più appunti possibili.
L’esame si stava avvicinando, e Ran riconosceva il familiare crampo allo stomaco che le nasceva improvvisamente al solo pensiero di dover affrontare un’intera interrogazione completamente in lingua straniera.
Con l’inglese non se la cavava affatto male, era la lingua che preferiva, ed anche in francese si sapeva destreggiare, ma il tedesco era sempre stato il suo tallone d’Achille. Il suono duro della lingua era il punto debole comune di tutti gli studenti giapponesi, ma se si trattava di interpretarlo non aveva grossi problemi.
La facoltà di lingue straniere era stata la sfida più grande che lei stessa si fosse mai posta. Voleva sempre dare il meglio di sé, mettersi alla prova, e superare quegli ostacoli che tutti le dicevano essere insuperabili. Chiunque le ponesse la domanda sul perché quella scelta azzardata, lei rispondeva così. Ma questa non era l’unica motivazione.
Ran aveva sempre sognato di fare l’interprete. Non l’aveva mai svelato a nessuno, nascondendo dietro ad una mezza verità il vero motivo per cui aveva scelto un’università tanto difficile. Lo considerava il suo piccolo segreto. Temeva che gli altri non la potessero capire, convinti che, con il titolo pluripremiato di campionessa di karate qual era, il suo destino fosse già segnato. Tutti la vedevano come la grande promessa del karate giovanile giapponese, come l’atleta modello, come l’imbattibile. Ma lei non era solo questo. Il karate era una parte importante della sua vita, questo non lo metteva in dubbio, ma pensarsi solamente come atleta non la faceva sentire piena. Soddisfatta.
A riempire quel vuoto c’erano i suoi amici, la sua famiglia. Ma ciò che la completava definitivamente era il suo sogno.
E Shun.
La ragazza sorrise ad occhi chiusi, beandosi del ricordo della piacevole – e inaspettata – visita mattutina del suo fidanzato.
Se solo potesse tornare indietro, ai tempi del liceo, ed avvisarsi che di lì a qualche anno si sarebbe messa insieme a Shun Onijiri, ragazzo mediamente carino, ma schivo e impacciato, non ci avrebbe creduto. Nemmeno se avesse visto una foto di loro due insieme.
Shun era stato suo compagno di classe dal primo anno, e rimasto tale fino agli inizi del terzo, quando si era fatto coraggio ed aveva iniziato a parlare con lei. Insieme agli amici della classe risultava un ragazzo allegro e solare, ma quando chiacchierava con Ran diventava sempre rosso e goffo. Inciampava, balbettava, sudava freddo e non riusciva mai a guardarla negli occhi.
Erano stati messi in coppia per dirigere il club sportivo di quel primo e ultimo semestre, lei per quanto riguardava la squadra di Karate, lui per il gruppo di basket, di cui era il capitano.
Con sorpresa di Ran, Shun aveva preso regolarmente l’abitudine di aspettarla dopo l’orario di lezione per dirigersi in palestra insieme, ed avevano cominciato a conoscersi meglio parlando dello sport, unico legame concreto tra di loro.
Nel giro di un paio di mesi la loro amicizia si era un po’ rafforzata, ma a causa di un infortunio da parte del giovane, i loro pomeriggi assieme dissiparono ben presto. Ran riprese la sua vita scolastica di sempre, salutandolo ogni qual volta lo incrociava in classe o nei corridoi. Ma null’altro di più. E sembrava che anche lui si fosse arreso, capendo che ad una come Ran non ci sarebbe mai potuto arrivare.
Il cambiamento tra i due avvenne pochi mesi prima della fine della scuola. Sonoko aveva organizzato un party di Natale nella sua sontuosa casa, invitando tutti i compagni di classe per festeggiare per l’ultima volta la ricorrenza tutti insieme. Era stata una serata piacevole e divertente, che non ebbe eventi speciali fino alla sua conclusione. Un compagno di classe delle due ragazze, Jiro Musumechi, si era confessato apertamente a Ran, chiedendole di uscire con lui almeno per una volta.
Era un tipo piuttosto scorbutico e plateale, che amava circondarsi di più ragazze alla volta, e che guardava la gente dall’alto in basso prima di rivolgerli anche solo un saluto.
Ran non ci mise molto a rifiutare, senza rendersi conto che facendo ciò aveva alleggerito il cuore pesante di Shun, nascosto dall’altra parte della porta preso ad origliare dalla gelosia. Fu il mattino seguente che si decise a raggiungerla per confessarsi a sua volta, senza dare peso al fatto che indossasse ancora i pantaloni del pigiama.
L’aveva fermata sul pianerottolo di casa sua, appena in tempo prima che lei uscisse, e, in ginocchio e con le gote imporporate, le aveva rivelato tutto. E le aveva chiesto di uscire.
Ran gli aveva sorriso, colpita e divertita. “Bella camicia” aveva detto trattenendo una risatina. “Se me la presti, esco con te stasera”.
Ovviamente, Shun gliela aveva ceduta subito, e, nonostante ci fossero parecchi gradi sottozero, non aveva sentito nemmeno una punta di freddo, scaldato dal viso allegro e sorridente della ragazza che aveva sempre segretamente amato.
 
 
“Ecco fatto!” trillò la voce della sua amica con un forte accento del Kansai, facendo rinvenire Ran dalle sue memorie. La giovane si rimise dritta a sedere e si tastò la treccia ben fatta che le aveva appena acconciato l’amica, che sedeva impettita sulla sua parte del lungo tavolo che percorreva in largo l’intera aula dell’università. Aveva la pelle chiarissima e i capelli corvini, raccolti in uno chignon disordinato. Indossava un paio di jeans a vita bassa, scarpe sportive e una canottiera colorata. Fece guizzare i suoi occhioni verde smeraldo verso l’ingresso dell’aula, da dove stava rientrando una Sonoko piuttosto scocciata.
La giovane ereditiera si lasciò cadere pesantemente all’altro lato di Ran, gettando la chiavetta delle macchinette sul banco e scostandosi gli occhiali da sole dal viso per la prima volta, mostrando alle amiche due chiazze scure che le contornavano gli occhi. Questi erano rossi e lacrimanti, ed imploravano di essere chiusi per riposarsi, ma non sapevano che avrebbero dovuto resistere aperti per almeno altre tre ore di lezione.
Sonoko prese svelta lo specchietto dalla sua borsa e si diede un’occhiata disgustata, per poi chiudere e lanciare anche quello sul banco, facendolo cadere rovinosamente sul pavimento. Era di pessimo umore, quel giorno, nonostante la sera prima fosse sembrata la persona più felice sulla faccia della terra.
Si accorse degli sguardi cupi che le due amiche le avevano rivolto non appena lei aveva scoperto gli occhi, quindi non ci mise molto a far ricadere gli occhiali da sole sul suo viso e mettere su un’espressione annoiata. Non voleva l’attenzione sulle chiazze scure sotto i suoi occhi, non aveva avuto il tempo di coprirle per bene con il trucco, quella mattina.
“Alle macchinette non c’è un bel niente!” sbuffò, cercando di inviare una conversazione. Ran la stava ancora fissando in silenzio, mentre la sua amica stava per aprire bocca e parlare, quasi sicuramente per rimproverarla per aver fatto le ore piccole.
“Kazuha, chiudi quella boccaccia” le mormorò acida, pentendosi un secondo dopo. L’interpellata non fiatò, ma scosse la testa e si rimise seduta compostamente, aprendo il libro di letteratura tedesca e cominciando a riordinare gli appunti.
Ran fulminò con gli occhi Sonoko, le passò sgraziatamente la mela che si era portata come spuntino veloce e recuperò la chiavetta sul banco.
“E questa?” le domandò Sonoko interrogativa.
Ran si alzò e superò Kazuha, avviandosi verso la porta dell’aula. “Mangiala tu, io vado a prenderti un caffè!” le rispose senza voltarsi, ed uscì.
I corridoi erano ancora parecchio affollati di studenti che si beavano la pausa, mentre altri dei piani superiori erano scesi per sgranchirsi le gambe e per rovistare tra le loro macchinette, avendo le loro rotte.
Ran si avvicinò al distributore di bevande e inserì la chiavetta dell’amica. Vedendo il suo riflesso sul vetro della macchinetta, notò che stringeva ancora in una mano il suo cellulare completamente andato distrutto. Se l’era così tanto presa, che si era dimenticata di averlo tenuto morbosamente nella mano dall’inizio della pausa fino a quel momento.
Accidenti, che doveva fare? Suo padre sarebbe andato su tutte le furie vedendolo ridotto in quelle condizioni. Le aveva appena comperato quel nuovo modello solo perché quello precedente si rifiutava di inviare e ricevere messaggi, altrimenti, se fosse stato per lui, poteva anche tenersi quel vecchio modello obsoleto.
Ran strinse forte il pugno libero, dando una pacca non molto affettuosa al distributore ronzante. Se beccava quell’automobilista in giro, glielo avrebbe fatto ricomprare a lui.
Sapeva, nel profondo, che quell’uomo o quella donna non c’entrava un bel niente, ma la colpa doveva darla a qualcuno e per il momento quello era il capro espiatorio.
Senza indugiare oltre, seleziono la bevanda per la sua amica, scorgendo un secondo dopo un’ombra scura dietro di lei.
Si voltò, ed incrociò lo sguardo di un ragazzo mai visto. Quello abbassò lo sguardo un istante dopo sulla sua mano, precisamente su quella che teneva il cellulare malconcio, e assunse un’espressione colpevole.
“Oh” lo sentì mormorare.
Il ragazzo alzò di nuovo lo sguardo, prendendo a strofinarsi la nuca con una mano, sorridendo imbarazzato. “Non dirmi che sono stato io” aggiunse con una mezza risatina.
Il giovane riaprì gli occhi, mostrando a Ran due iridi azzurre come l’oceano, e che la fecero rimanere ferma incantata a fissarle fino a che il bip della macchinetta non l’avvertì che il caffè era pronto per essere prelevato.
Ran rinsavì e scosse la testa, sentendosi stupida. Chissà che stava pensando, quel tipo, vedendola lì imbambolata a fissarlo. Sperò che non pensasse che lei fosse scema.
“Mi dispiace. Non pensavo di aver fatto un danno del genere” continuò il ragazzo, diventando serio.
Ran sbarrò gli occhi, arretrando di un passo. Gli puntò l’indice contro, sentendo la sua espressione cambiare e diventare ostile. “Tu!” sputò fuori, sentendo la voce incrinata.
Il giovane inclinò la testa di lato, avvertendo un filo di panico. Quella ragazza emanava un’aura non molto amichevole nei suoi confronti.
“Tu sei il ragazzo di stamattina! Tu sei quello che mi ha schiantata a terra!” ricordò Ran, facendo tornare alla mente il viso accaldato e frettoloso del ragazzo che quella stessa mattina l’aveva fatta finire gambe all’aria.
“Bè, io non userei esattamente quel termine...” si intromise lui, ammutolendo un secondo dopo. Gli occhi chiari di Ran mandavano scintille, e nel contempo la presa su quello che era il suo cellulare si fece ancora più forte.
“Tu sei quello che mi ha fatto volare il telefono in strada!” completò la ragazza, fissandolo truce. Ecco, ora aveva un nuovo capro espiatorio. Quel ragazzo le avrebbe ricomperato un cellulare nuovo, con le buone o con le cattive.
“Non l’ho mica fatto apposta!” si difese il ragazzo, assumendo un’aria offesa, come se Ran lo avesse insultato.
La ragazza rimase muta a fissarlo in cagnesco, per poi chiudere gli occhi e lasciarsi andare ad un sospiro. Si strinse nelle spalle, rivolgendogli uno sguardo di scuse. Non era da lei andare così in escandescenza, ma non ci aveva più visto quando lo aveva riconosciuto.
Tutta colpa dello stress per gli esami.
“Hai ragione, scusa” ammise, cosa che colpì il ragazzo. Era pronto a difendersi fino alla morte non appena aveva incontrato lo sguardo irato della giovane, ma a quanto pareva lei aveva ceduto. E aveva capito.
“Non è da me” aggiunse Ran, abbassandosi e recuperando il caffè per Sonoko. Doveva chiedere scusa al ragazzo ancora una volta per l’ira che gli aveva rivolto, e poi sbrigarsi per tornare in aula prima che la pausa finisse.
Stava per voltarsi e ricominciare a parlare, quando vide il giovane infilare qualche monetina nel distributore, ricaricando così la chiavetta.
La tolse con calma e gliela porse, sorridendo bonariamente.
Ran la prese, stupita, e lo fissò interrogativa.
“Il caffè te l’ho offerto io, d’accordo? Per farmi perdonare” le disse, ammiccando. “Lo so che non vale esattamente come un cellulare, ma ti prego di accettare” concluse il ragazzo, buttando un’occhiata al suo orologio un secondo dopo. Strabuzzò gli occhi, notando che era estremamente in ritardo e si voltò per risalire il corridoio e sparire nella sua aula.
Alzò una mano in cenno di saluto verso Ran, che si affrettò a seguirlo, correndo meglio che poteva per non spargere il caffè a terra.
Si fermò prima delle scale, notando che il ragazzo apparteneva alla facoltà del terzo piano.
“Ehi!” lo richiamò prima che questo sparisse dietro l’angolo. “Come ti chiami?”.
Il ragazzo si voltò e ammiccò una seconda volta. “Mi chiamo Shinichi! Shinichi Kudo”.
 
 
Ran tornò in aula camminando come un automa. Quel ragazzo l’aveva davvero sorpresa, pagandole il caffè per rimediare al piccolo incidente di quella mattina. Si sentiva in colpa, forse l’aveva un po’ spaventato con la sua collera.
Scosse la testa, raggiungendo le sue amiche un attimo prima che il professore di tedesco rientrasse in aula addentando ancora il suo panino imbottito.
Porse a Sonoko il caffè e la chiavetta, accarezzandole un secondo dopo la testa, sorridendole. Sapeva che quello che aveva passato non era affatto un bel periodo, e che la rottura con il suo ex ragazzo non era stata una passeggiata, ma le era veramente sembrato che la sua amica si fosse ripresa. Si sbagliava, e lo poteva riscontrare nei drastici cambi di umore della ragazza.
Sospirò, sperando che arrivasse anche per lei il ragazzo giusto, e che finalmente il suo cuore si potesse riappacificare con se stesso.
Il professore si schiarì la voce, risistemandosi alla cattedra e riaccendendo il proiettore per far scorrere le slide della lezione, mentre con la sua voce soporifera e annoiata riprendeva a spiegare Goethe e le sue opere.
Ran riaprì il suo quaderno degli appunti, recuperando la penna e guardando con un filo di invidia la sua amica Kazuha che, senza distrazioni, stava copiando a macchinetta ciò che usciva dalla bocca del professore. Le si avvicinò all’orecchio, sussurrandole: “Mi fai copiare, poi?”.
Kazuha la guardò storta, per poi sciogliersi in un sorriso arrendevole. “E va bene. Ma cerca di stare attenta anche tu”.
Ran promise, incrociando le dita dietro alla schiena, ed un secondo dopo, quando la sua amica si rimise a scrivere, poggiò la testa sul tavolo e chiuse gli occhi.
Prima di sprofondare in un lieve sonno, le tornarono alla mente gli occhi azzurri del ragazzo delle macchinette, e si stupì lei stessa.
 
Shinichi... Shinichi Kudo
 
 
Il ragazzo starnutì silenziosamente, sfregandosi poi il naso. Strano, gli era parso di non essere raffreddato, in quei giorni. Forse era colpa dei condizionatori a palla che erano accesi per tutto il campus, che rendevano nettamente il contrasto con la temperatura elevate al di fuori dell’edificio.
Si sistemò la matita sul labbro superiore, racchiudendola sotto il suo naso, e si perse a guardare fuori dalla finestra.
Il pomeriggio era appena iniziato, e la giornata si prospettava calda e soleggiante, perfetta per una scorrazzata in città assieme agli amici. Aveva una voglia matta di mandare subito un messaggio al suo migliore amico, per tirarlo fuori da quel buco dove lavorava tutti i santi giorni, e invitarlo a fare un giro in moto. Ma sapeva che, appena finita la lezione, si sarebbe dovuto rintanare di nuovo al chiuso, stavolta a casa sua, per mettersi a studiare in vista dell’esame che, di lì a due settimane, avrebbe dovuto sostenere.
Il suo viso scivolò fino a far scontrare la fronte con il tavolo freddo dell’aula, e si sforzò di non chiudere gli occhi e addormentarsi. Non erano rare le volte che si abbandonava nelle braccia di Morfeo mentre era a lezione, ma quella volta doveva convincersi a rimanere con gli occhi ben aperti e le orecchie attente. O ne andava della sua media scolastica.
Sbuffò rumorosamente, beccandosi parecchie occhiatacce dai suoi vicini di seduta e si concentrò sulla professoressa che stava spiegando la lezione. Era una donna di circa trent’anni, con capelli biondi, fisico snello e labbra carnose. Era il sogno proibito di tutti i ragazzi che stavano rinchiusi in quell’aula. Compreso Shinichi.
Era bella da morire, e la sua voce melliflua usciva incantevole da quelle labbra magnetiche. Shinichi si sarebbe perso la lezione rimanendo incantato ad ammirarla, se solo non fosse stato per la camicia che indossava quel giorno. Era di un azzurro chiarissimo, che gli riportò alla mente gli occhi della ragazza delle macchinette.
Era capace di tenere una perfetta faccia da poker, nelle evenienze, e con lei lo aveva fatto. Ma, dentro di sé, quegli occhi l’avevano catturato come api sul miele e difficilmente era riuscivo a non rimanere a fissarla incantato.
Non voleva passare per maniaco. L’aveva già fatta infuriare abbastanza, e sembrava il tipo di ragazza che sapeva stenderti a suon di calci e pugni. Sicuramente praticava qualche sport, la sua corporatura era slanciata, ma allo stesso tempo muscolosa. I glutei, non aveva potuto evitare di sbirciare quando si era trovato alle sue spalle, erano sodi, perfetti, e aveva le spalle minute, ma forti.
E poi quegli occhi... Dio, li avrebbe guardati per giorni interi senza stancarsi! Erano così puri e profondi, così inaccessibili e sfuggevoli. Voleva scavare a fondo il suo sguardo, voleva arrivare a lei, e non si sapeva spiegare il perché.
Shinichi sentì le guancie accaldate e scosse violentemente la testa, scompigliandosi ancora di più i capelli disordinati.
Ma che pensieri stava facendo? Non erano da lui! Quella ragazza lo aveva scombussolato un po’, ma nulla di più. Doveva darci un taglio e smetterla di pensare a quegli occhi insofferenti. Lui non c’entrava nulla con lei, si erano solo scontrati... capita. Punto, fine. Non l’avrebbe neanche mai più incrociata, data l’immensità dell’Ateneo. Era stato un caso ritrovarla alle macchinette dopo il piccolo incidente della mattina.
Si passò una mano sul viso stanco, controllando poi l’orologio. Aveva ancora un’ora di lezione. Forse, avrebbe dovuto concentrarsi.
 
 
L’ora passò tranquilla e senza pensieri strani che affollassero la mente di Shinichi. Il ragazzo era riuscito a prendere gli appunti necessari per lo studio individuale che avrebbe cominciato una volta raggiunta casa sua, e, stiracchiandosi, si diresse fuori dall’aula assieme ai compagni di corso.
Scese le scale con le mani affondate nei jeans, e si impegnò con tutto se stesso per ignorare il distributore di bibite che si trovava al termine del secondo piano e che voleva riportargli alla mente la ragazza di quella mattina.
Lui sapeva come raggirare certi pensieri, e sorrise trionfante alla macchinetta ronzante quando gli passò accanto, ricevendo un paio di occhiate curiose da due ragazze che stavano chiacchierando lì accanto.
Shinichi, rosso come un peperone, abbassò la testa e si affrettò all’uscita senza concedere ai suoi occhi di staccarsi dai lacci delle sue scarpe sportive. Uscì nella calura pomeridiana senza un lamento, ed attraversò il piccolo cortile dell’Ateneo con passo rapido.
 
Solo quando sarò fuori di qui potrò alzare lo sguardo...
 
si ripeté nella mente con ostinazione e, quando con la coda dell’occhio individuò il cancello, con un enorme sorriso trionfante Shinichi rialzò il volto davanti a sé... per poi arrestare il passo, e sbiancare.
“Ehi, ciao, ragazzo della macchinetta” lo salutò una voce allegra.
Era lei. La ragazza della macchinetta.
Se ne stava appoggiata al cancello dell’università, le braccia incrociate, la borsa abbandonata per terra e un sorriso tutto per lui.
Shinichi spostò lo sguardo dai suoi occhi al suo viso, per contemplarla meglio. Voleva articolare una frase di senso compiuto, ma la sua lingua era immobile, restia a collaborare.
La ragazza sorrise e si avvicinò, recuperando la borsa da terra e sistemandosela su una spalla.
“O forse dovrei dire Shinichi. Il caffè che mi hai offerto oggi non era per me, in realtà” disse pacatamente. Possibile che fosse solo lui quello agitato?
“Ti spiace se me ne offri un altro?” aggiunse lei, alzando una mano all’altezza del viso, mostrandogli il cellulare rovinato.
Shinichi si lasciò scappare un sorriso, sentendosi in trappola. Si accostò a lei, uscendo assieme dal cancello dell’università. “Ma certo”.
 

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Ciaooo! I’m back ^^
Allora, allora.. in questo capitolo si capiscono un po’ più di cose, ma devo ammettere che altre sono ancora sconosciute a me stessa.. Santo cielo, speriamo che mi arrivi l’illuminazione dall’alto!
Che mi dite? :) Voglio sapere tutto quello che vi passa per la testa, mi raccomando! :)
Intanto ringrazio quelle buone anime che hanno commentato il primo capitolo : Sherry Myano, Yume98, Shine_, _Flami_, withoutrules, 88roxina94, myellin e izumi_!
E grazie anche a chi ha inserito la fan fiction tra le seguite: 88roxina94, arianna20331, izumi_, M e l y C h a n, myellin, VSRB, withoutrules, Yume98 e _Flami_!
Grazie anche a chi ha letto soltanto!!
Ci vediamo al treee!
 
Dony_chan 

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Capitolo 3
*** Chap 3 ***


** Piccola intro ** la voglia di scrivere questo capitolo mi è nata dopo aver letto gli aggiornamenti di due fan fiction a cui sono particolarmente legata: ‘Vivere d’emozioni’ e ‘Gocce di Sherry’... ragazze, continuate così, leggendovi mi rinasce la voglia di chiudermi nella mia stanza e scrivere!
Grazie!   <3
 
Buona lettura!
 
 
Hi, nice to meet you!
3.

 
 
Si chiama Ran. Ran. Si chiama... Ran

Shinichi se ne stava seduto ad al tavolino di un bar di una strada secondaria con la ragazza più affascinante che avesse mai conosciuto da vent’anni a quella parte. E si sentiva come un ragazzino alla sua prima cotta, nonostante sapesse bene che, quell’attrazione che sentiva nei confronti di lei, non era né amore né attrazione fisica.
Era affascinato dalla sua persona, lo intrigava. Era come se lo stesse invitando a scoprire una parte di lei poco alla volta, e lui si sentiva graziato di poter essere il prescelto. Almeno per quella giornata. Era una sensazione nuova, estranea, che inizialmente lo spaventò un po’. Lui era abituato ad avere un sé molto razionale, perfino nelle emozioni. Forse era proprio per questo motivo che le sue relazioni amorose erano tutte drasticamente finite prima che si potesse emotivamente coinvolgere. Non ci riusciva. L’amore era sconosciuto, per lui. Era una forza troppo cieca che, invece di attirarlo nell’abisso, lo respingeva. Lo rifiutava. Era troppo rigido e formale per una passione del genere.
Shinichi si mosse inquieto sulla sedia, iniziando a tormentare una bustina vuota e abbandonata di zucchero, quando Ran gli sorrise, a sua volta imbarazzata, e affondò il viso dietro alla tazza di tè che aveva preferito rispetto a quella di caffè.
Shinichi strinse forte la sua, serrando le labbra e pregando di non iniziare a sudare. Si ricordò che a lui il tè faceva schifo, ma sul momento non aveva saputo ordinare altro, seguendo ciò che aveva scelto Ran.
 
Ran...
 
“Allora!” lo risvegliò la ragazza, incrociando le mani sotto il mento, cominciando a studiarlo in silenzio. Vide gli occhi di lei guizzare divertiti nei suoi, passando poi ad esaminare ogni centimetro del suo viso accaldato.
Shinichi tentò di bere un sorso dalla sua tazza, per impegnare il tempo, ma il gusto dolciastro del tè gli fece fare una smorfia. Mille volte meglio il gusto amaro del caffè bollente!
Ran si accorse della sua espressione disgustata, ma trattenne una risatina. Sentiva che lui si trovava a disagio, e non voleva metterlo ulteriormente in soggezione.
Il giovane scosse vigorosamente il capo, e si lasciò andare contro il poggia schiena della sedia, mettendo le braccia  a gruccietta come era suo solito fare e si impose di parlare per primo.
Aveva la gola secca, ma le parole che uscirono dalle sue labbra suonavano sicure. Doveva riprendere il controllo di sé. “Allora? Perché mi hai invitato qui?”.
Ran inarcò le sopracciglia. “Mi pareva di avertelo detto poco fa. Mi dovevi un caffè...”, ma alle orecchie di entrambi suonava come una scusa. Le rivolse un sorriso sghembo ed inclinò la testa di lato. Si fece più vicino a lei, quasi azzerando del tutto la distanza che li separava. Si sentiva le gambe molli, ma per lo meno era seduto.
Sfoderò di nuovo la sua faccia da poker, ma vide che anche la ragazza ci sapeva fare. Rimase impassibile a guardarlo, schiudendo appena le labbra.
“Lo sai che non ci credo neanche un po’?” ammise lui, e alzò la tazza per bere un sorso della bevanda, per concludere ad effetto, ricordandosi solo un secondo dopo che stava bevendo tè.
Istintivamente, sputò di nuovo nella tazza la bevanda calda, tirando fuori la lingua e strizzando gli occhi, ed ottenne l’effetto opposto.
Voleva fare la figura di quello che con le donne ci sa fare, di quello spavaldo, ed invece era apparso come un pagliaccio.
Ran rimase impassibile solo per un altro secondo. Poi, scoppiò a ridere. Shinichi rimase fermo immobile a guardarla, non riuscendo a fare altro che ridere a sua volta. La sua risata era leggera e sonora, e le sue labbra si erano aperte in un sorriso bellissimo, da togliere il fiato. Gli occhi di lei luccicavano di una luce nuova, e si sentì sollevato. Era stanco di vederli velati.
Avrebbe riassaggiato volentieri il tè per sentirla ridere di nuovo.
Ran si asciugò una lacrima ribelle, e si impose di nuovo la compostezza, sparendo per l’ultima volta dietro alla sua tazza. Finì la sua bevanda, ripose tutto con cura sul tavolino e tornò a studiare Shinichi, che era rimasto ancora intento ad osservarla.
“In verità non lo so” rivelò rispondendo alla domanda che il ragazzo le aveva posto poco prima, poggiando il mento sul palmo della mano aperto. “Ma... mi andava. E poi... non volevo che rimanessi con l’idea che io sono una ragazza aggressiva. So essere anche dolce, sai?”.
Shinichi le sorrise, rilassandosi. Era contento che volesse ‘farsi perdonare’. Stava passando del tempo piacevole in sua compagnia, nonostante l’intera situazione gli sembrasse assurda. Non l’aveva programmata, non avrebbe mai immaginato, quella mattina, che di lì a poco più di sei ore si sarebbe ritrovato ad un tavolino di un bar a chiacchierare con una sconosciuta, ma che allo stesso tempo gli sembrava di conoscere da una vita.
“Mi piacerebbe scoprirlo” si lasciò sfuggire, e si pentì un secondo dopo della frase pronunciata. Ran rimase sorridente, ma si spostò aumentando la distanza tra i due. Fece calare una barriera tra loro, spegnendo la luce fugace che Shinichi le aveva scorto negli occhi quando si era abbandonata a quella risata liberatoria.
“Non... insomma...” iniziò a balbettare di nuovo, ma Ran scosse la testa, e lui ammutolì. La ragazza si tolse dalle spalle il cardigan giallo e lo ripose sgraziatamente all’interno della borsa, e si abbracciò, accavallando le gambe.
“Sei a Scienze Biologiche?” gli chiese curiosa, riferendosi alla facoltà che seguiva il giovane, sapendo già la risposta visto e considerato il piano dove aveva visto sparire Shinichi all’università poco dopo la pausa di metà mattina.
Shinichi si rilassò di nuovo. Stava tornando amichevole come prima, anche se si stava imponendo una certa distanza.
Il ragazzo annuì, allontanando da sé la tazza di tè, per evitare di bere altri sorsi sovrappensiero. “Sono una matricola” aggiunse poi, e la vide illuminarsi.
“Anche io! Cioè, sono una matricola anche io... ma studio...” iniziò Ran, ma venne interrotta dalla voce del ragazzo, che inaspettatamente concluse per lei la frase, senza sbagliare. “Lingue Straniere”.
Ran lo fissò strabiliata. Nel loro Ateneo c’erano esattamente cinque facoltà nello stesso campus, come aveva fatto ad indovinare la sua?
Stava per chiederglielo, ma Shinichi la anticipò di nuovo, percependo la sua domanda. “Come l’ho capito? Facile: gli unici corsi che hanno la pausa in quel preciso momento della mattinata sono la mia, quella di Lingue Straniere e quella di Economia. La facoltà di Economia è confinante con la tua, alla fine del corridoio, quindi potevi essere di quell’indirizzo, ma sul lato della tua mano destra ho notato dell’inchiostro blu, segno che la penna aveva sbavato sul foglio, e quindi che tu avevi sicuramente preso appunti a mano per parecchio tempo” spiegò il ragazzo, sorridendo ogni tanto. “E quelli della facoltà di Economia lavorano sempre a computer, senza mai prendere appunti a mano, quindi non potevi essere di quell’indirizzo”.
Ran corrugò la fronte, strabiliata. “E perché non la tua?”.
Shinichi sorrise di nuovo. “Semplice: se fossi stata nella facoltà di Scienze, sicuramente ti avrei notata prima”.
Avrebbe rimangiato le sue parole un secondo dopo averle pronunciate. Diavolo, perché era sempre così diretto e schietto nei momenti sbagliati? Perché non si mordeva la lingua, qualche volta? Perché non aveva potuto rispondere un semplice ‘ho tirato ad indovinare’?
Ma Ran non si scompose e non aggiunse nulla su quella sua ultima frase. Si sporse inconsciamente di nuovo verso di lui e ripose nuovamente il mento sul palmo della mano. “Incredibile” sussurrò, persa nello sguardo sfuggevole di lui. “Ma come diavolo hai fatto... a notare l’inchiostro sulla mia mano?”.
Shinichi arrossì compiaciuto. Si vantava spesso delle sue prodezze intuitive, ma quella volta avrebbe anche evitato di farlo. Ma glielo aveva chiesto lei, dopotutto...
“Ho un buon occhio” si sforzò di dire soltanto, sperando che il tono non fosse uscito troppo altezzoso. Doveva in parte il suo spirito critico e la sua acutezza al grande maestro Sir Arthur Conan Doyle, che lo aveva allevato e cresciuto indirettamente all’analisi deduttiva e all’osservazione meticolosa, e agli amici poliziotti di suo padre che, di tanto in tanto, erano arrivati a chiedergli consigli su casi irrisolti e complicati, aiutandolo senza che se ne rendessero conto a destreggiarsi con maggior scioltezza in codici da svelare e misteri da risolvere.
Ran, alla risposta concisa del ragazzo, rise di nuovo, facendolo sentire più leggero.
Erano lì da un quarto d’ora, ma già gli sembravano ore. Sapeva solo che, una volta rientrato a casa, studiare sarebbe diventato impossibile al solo ricordo di lei.
“Pratichi sport?” chiese lui con finta noncuranza, cosa che fece arricciare il naso a Ran, che iniziò a studiarlo sospettosa. “Mi spii, per caso? Come fai a saperlo?”.
Shinichi non era incline ad elencarle tutti i motivi che lo avevano portato a supporlo, quindi si strinse nelle spalle e scosse svogliatamente il capo, senza dare una risposta certa.
Ran si sciolse in un sorriso ed annuì. Si sporse ancora verso il tavolino, raccogliendo il viso attorno ai palmi delle mani. “Faccio karate” disse semplicemente, e lo vide sorridere a sua volta, colpito.
Shinichi corrugò la fronte un secondo dopo, facendo vagare lo sguardo sull’espressione della ragazza che aveva di fronte. “Ma non ti basta, vero?” aggiunse poi, con un tono semiconfidenziale.
Ran si irrigidì, tornando a creare la barriera che aveva percepito in precedenza. Non rispose e non aggiunse nulla. Lo guardò stranita un attimo, per poi scrollare le spalle e abbozzare un sorriso, che gli riuscì piuttosto tirato.
La ragazza cominciò a frugare nella borsa e lasciò cadere qualche spicciolo accanto ad uno Shinichi preso in contropiede. “È stato un vero piacere, Shinichi Kudo. Il tuo nome non me lo dimenticherò facilmente”.
Il ragazzo si alzò a sua volta, cercando di rimetterle in mano i soldi che aveva lasciato per pagare la sua tazza di tè, e per non farla andare via. Aveva sicuramente detto qualcosa che l’aveva turbata, e si maledì mentalmente. Perché gli sembrava di aver detto un sacco di cose stupide fino a quel momento? Voleva saperne di più su di lei, ma sembrava che Ran ne avesse abbastanza. Aveva lo sguardo fintamente tranquillo, ma non poteva sfuggirgli la sua mano destra, stretta e tremante sulla borsa.
“Devi già andare?” gli chiese, in modo che il suo tono non risultasse lamentoso.
Ran annuì, sgusciando lontano dalla mano aperta di lui con i suoi soldi. “Sì, è tardissimo, devo andare a studiare” gli rispose trafelata, uscendo di fretta dal bar.
Shinichi rimase impalato a fissare fuori dalla vetrata del locale, dove la ragazza si era fermata un attimo per salutarlo con la mano.
Forse Ran si accorse di come Shinichi ci era rimasto, a causa del suo saluto freddo, e gli concesse di rivedere ancora una volta quel sorriso sincero, che le arrivava fino agli occhi.
E Shinichi si sentì in paradiso.
 
 
Le strade di Beika erano affollatissime, e l’autobus urbano ci mise più del solito per riportare Ran a casa sua. La ragazza stava in piedi, accanto alle porte, e circondata per lo più da vecchietti loquaci che non la smettevano di tartassarla di domande circa il suo lavoro, la sua vita, i suoi genitori. Ran riuscì a mantenere una faccia tranquilla, ma dentro di sé non vedeva l’ora che la sua fermata comparisse all’angolo.
Scese nella calura quasi mezzora dopo essere salita sull’autobus, e rimase un attimo ferma sul marciapiede, con il viso rivolto verso il sole scottante, gli occhi chiusi.
 
“Ma non ti basta, vero?”
 
Ran spalancò gli occhi, sentendo un forte fastidio allo sguardo diretto con il sole, e si rimise in marcia. Quella voce che le aveva appena trapanato la mente era quella di quel ragazzo. Di Shinichi.
Poteva essere anche il ragazzo più sveglio di tutta Tokyo, ma come diavolo aveva fatto ad avere un intuizione così vera senza conoscerla? Come faceva a sapere ciò che le tormentava l’anima?
Scosse la testa, imponendosi la lucidità. Quel ragazzo aveva saputo leggerle dentro solo guardandola in faccia. Era stato il primo. E questo la turbò.
Istintivamente, cercò nella borsa il cellulare, per chiamare Shun. Lui sapeva riportarla con i piedi per terra, sapeva dissiparle ogni dubbio. Sospendeva ogni tormento che la possedeva.
Quando le sue dita si scontrarono con un oggetto freddo, le tornò alla mente l’incidente di quella mattina, e si ricordò che per il momento il suo cellulare era fuori uso.
Si guardò attorno per individuare una cabina telefonica. Aveva un disperato bisogno di sentire la voce del suo fidanzato.
 
E di farmi perdonare...
 
pensò una vocina nella sua testa, che suonava tanto come quella della sua amica Kazuha. Ran scacciò in fretta il pensiero. Non doveva farsi perdonare un bel niente. Non aveva fatto nulla di male, prendendo un tè con quel ragazzo. Avevano fatto due chiacchiere, e questo era tutto.
Non gli interessava, era stata una semplice curiosità.
Non l’avrebbe mai più rivisto al di fuori dell’università, se lo promise. Sapeva leggerle dentro, e ciò la spaventava più del fatto che Shun potesse scoprire quello che aveva fatto quel pomeriggio, sfociando nell’ennesima sfuriata di gelosia.
Arrivò correndo fin sotto casa sua, superò di fretta il pianerottolo dove stava l’agenzia investigativa di suo padre, e caracollò dentro al suo appartamento, chiudendosi la porta alle spalle e rimanendo in ascolto del suo cuore martellante a causa della corsa.
Solo quando il suo respiro era tornato regolare, Ran aveva afferrato con forza il telefono di casa e composto il numero di cellulare di Shun, che ormai sapeva a memoria.
“Pronto?” disse la voce metallica dall’altra parte, scaldando il cuore di Ran.
La ragazza chiuse gli occhi e si concentrò sul viso del fidanzato. Niente occhi color oceano, niente capelli ribelli, niente sorriso saccente.
Era Shun, quello che prendeva forma nella sua mente.
Si lasciò andare ad un sorriso, abbandonandosi sul divano.
“Ehi, ciao, sono io. Avevo voglia di sentirti”.
 
 
Il pisolino pomeridiano di Heiji Hattori era sfumato a causa del gran trambusto che era sfociato nel pianerottolo dell’agenzia di investigazioni dove lavorava part-time.
Si era destato subito, gli occhi accesi, un sorriso trionfante sulle labbra.
 
Finalmente! Era ora...
 
aveva pensato gasato come non mai, alzandosi in fretta dalla sedia dietro alla scrivania e correndo verso la porta della piccola saletta. L’aveva spalancata con un gran sorriso di benvenuto, pronto ad accogliere un ipotetico cliente venuto espressamente per chiedere il suo aiuto.
Era rimasto fermo impalato per alcuni secondi, con ancora il sorriso smagliante stampato sulle labbra, fino a quando aveva realizzato che fuori dalla porta non c’era nessuno.
Sbuffò, sentendo montare dentro una gran rabbia repressa. Nelle ultime due settimane non c’era stato un solo cliente che presentasse un vero e interessante caso da risolvere. Per lo più, nel piccolo studio di investigazioni, si recavano mariti o mogli dubbiosi della fedeltà del coniuge, che chiedevano chi timorosi chi infervorati che si facesse luce sulle uscite ‘sospette’ dei propri compagni.
E il suo superiore, quell’ex poliziotto e mezzo detective da quattro soldi e nullafacente Mouri Kogoro, lasciava al giovane quei noiosi e per nulla soddisfacenti ingaggi, mentre lui poteva starsene comodo comodo in agenzia a seguire l’ennesima corsa di cavalli. E perché no, ad accaparrarsi i clienti migliori approfittando del fatto che lui non ci fosse. Ma con la scarsa acutezza che si ritrovava, secondo Heiji non ci sarebbe voluto molto prima che i clienti se ne rendessero conto e facessero i bagagli, lasciandoli, per l’ennesima volta, a bocca asciutta. E con il conto in rosso.
Heiji si sporse oltre la porta e guardò in su, verso l’entrata dell’appartamento dove viveva il detective Mouri e sua figlia Ran.
Il ragazzo intravide di sfuggita la figura della ragazza, che entrava nel suo appartamento con il volto sconvolto e con una velocità impressionante. Gli sarebbe piaciuto fare due chiacchiere con lei, la trovava simpatica e in quei mesi in cui aveva cominciato il suo lavoro all’agenzia erano anche diventati amici. Avrebbe staccato volentieri dalla noia pomeridiana, ma qualcosa l’aveva bloccato.
Sembrava che Ran non avesse la minima voglia di fermarsi a parlare, lo aveva capito notando il suo sguardo scosso.
Non voleva impicciarsi dei suoi affari, magari aveva avuto una litigata con il fidanzato, e da quelle storie lui voleva starne alla larga, per non doversi sorbire eventuali pianti ininterrotti da parte della ragazza lesa, anche se sapeva bene che Ran non avrebbe mai reagito così.
Ma mai dire mai, questo gli aveva insegnato il lavoro di detective.
Heiji tornò dentro all’agenzia, chiudendosi la porta alle spalle ed accendendo l’aria condizionata che aveva accuratamente tenuta spenta per evitare l’aumento della bolletta di quel mese. Non ce la faceva più, in quel piccolo buco si moriva di caldo, ed era costretto da contratto ad indossare sempre pantaloni lunghi, camicia e giacca. In realtà non era certo di aver letto nel suo contratto una clausola del genere, molto probabilmente era stata una trovata del detective Mouri.
Si lasciò cadere di nuovo sulla sedia girevole e diede le spalle all’ingresso, perdendo lo sguardo nel cielo brillante che stava al di fuori della vetrata dell’agenzia. Sarebbe stata una giornata perfetta da passare fuori, e non lì dentro.
In quel momento desiderò perfino che arrivasse un cliente che lo implorasse di pedinare la moglie. Almeno avrebbe avuto la scusa di poter uscire.
Chiuse gli occhi per non essere tentato dal sole invitante, e cominciò a dondolarsi con la sedia, mentre mentalmente si ridomandava cosa ci facesse uno del suo calibro in un posto come quello.
Ad Osaka, nella sua città Natale, suo padre era il capo della polizia, e non ci avrebbe messo molto a trovare un posto decente dove far lavorare il figlio, nonostante preferisse che se la cavasse da solo. Anche Heiji preferiva arrangiarsi, trovare piano piano la sua strada senza aver bisogno di favoreggiamenti, ma nelle giornate come quella non poteva evitare di pensare a come sarebbe stato se fosse rimasto ad Osaka. A come si sarebbe sentito stimato dai suoi superiori. A come avrebbe tratto piacere nell’incastrare assassini e ladri. A come avrebbe reso fiero suo padre.
“Ah-ah” sentì annuire qualcuno da fuori. Heiji si alzò di scatto dalla sedia, il cuore a mille. Dei passi lenti salivano delicatamente le scale, attutendo quasi del tutto il rumore che le suole producevano con le piastrelle.
“Sì, finisco qua e poi sarò di ritorno... sì, a dopo” sentì proseguire la voce con un forte accento a lui familiare. Heiji mandò giù rumorosamente, cominciando ad avanzare verso la porta.
L’aprì delicatamente e fece fare capolino al di fuori solamente alla testa. Il suo respiro divenne irregolare e la sua gola diventò arida.
Non era la stessa sensazione che provava quando un cliente si recava all’agenzia. No. Era qualcosa di totalmente diverso.
Aveva riconosciuto la voce. L’avrebbe riconosciuta tra mille.
Seguì silenzioso la figura alta e snella della ragazza che stava per raggiungere il pianerottolo della residenza Mouri, un telefono cellulare abbandonato in una mano, una borsa capiente nell’altra. Quel giorno aveva i capelli legati in uno chignon, anche se lui la preferiva con la classica coda di cavallo. Le dava un’aria più sbarazzina e fresca, secondo lui.
Heiji si schiacciò più che poté contro il vetro della porta, pronto a scappare di nuovo dentro come se nulla fosse non appena lei si fosse voltata per suonare il campanello dell’appartamento della sua amica.
Non appena quella mise il piede sull’ultimo gradino, Heiji si impose di distogliere lo sguardo e tornò a rifugiarsi di nuovo nell’agenzia.
 
Ecco, pensò, lei è il motivo per cui sono qui...
 

 
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In questi giorni ho visto il quindicesimo film del nostro tonno preferito, ‘Il quarto d’ora di silenzio’, e lo special ‘Conan vs Lupin III’.. e.. O.O wooow..! :)
Allora! Che mi dite di questo chap? Sono curiosa! :)   Avete notato la comparsata finale, eh eh? Heiji e .. chi sarà MAI questa MISTERIOSA ragazza???? ^^
Mah! :)
Volevo dirvi che la storia proseguirà più o meno giorno per giorno.. quindi vedremo l’evolversi di tutte le storie (mi ripeto -.-) giorno per giorno..
Intanto ringrazio chi ha recensito il capitolo scorso: Ali4869, 88roxina94, withoutrules, izumi_, Shine_, Yume98 e _Flami_!! Grazie mille ragazze  <3
E grazie anche a quelli che hanno messo la fic tra le seguite: Ali4869, ChibiRoby  e shaula..! E chi l’ha messa nelle preferite: Ali4869 e mangaka17!
Grazie mille a tutti voi, anche a chi ha letto solamente! ^^
Vi aspetto al quarto capitolo!


Dony_chan 

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Capitolo 4
*** Chap 4 ***


Hi, nice to meet you!
4.

 
 
Il giorno successivo fu ancora più caldo e soleggiante di quello precedente. Nessuno aveva voglia di starsene rintanato in casa, e quasi tutta Beika si era riversata fuori, all’aperto, chi per andare  a fare shopping, e chi per fare una passeggiata piacevole.
Di compere, Kazuha non ne voleva sentir parlare. Mancavano esattamente tredici giorni all’esame di letteratura tedesca dell’università, e si sentiva ancora in alto mare con lo studio. Le sue amiche potevano dire tutto quello che volevano, ma lei non si sentiva affatto come quella che sapeva sempre tutto. Era il suo primo esame universitario di tedesco, e pregava per un risultato che la soddisfacesse.
Teneva molto alla sua facoltà e al suo proseguimento di studi. Da piccola, ma anche fino a qualche anno prima, nelle trasferte sportive oltreoceano per le sue gare agonistiche di aikido era venuta in contatto con culture diverse, e naturalmente con  lingue ben differenti dalla sua. Ne era rimasta affascinata, ma si sentiva sempre a disagio, perché non riusciva a comunicare con gli altri. Parlava a malapena un inglese dubbioso, e si sentiva in imbarazzo costatando che altre coetanee riuscissero a destreggiarsi con facilità in conversazioni di lingue differenti.
Era sempre stato il suo punto debole. E si era imposta l’obiettivo di superarlo.
Per questo, circa un anno prima, si era trasferita da Osaka, sua città Natale, a Tokyo, per intraprendere gli studi di Lingue Straniere. L’università della capitale era una delle più rinomate di tutto il Giappone, e suo padre aveva voluto solo il meglio per lei.  Le aveva trovato anche un appartamento in centro città, poco distante dall’Ateneo, ma Kazuha aveva voluto fare tutto da sola. Voleva essere indipendente e staccarsi dalle premure un po’ troppo soffocanti, alle volte, del padre, e finito il liceo si era data subito da fare.
Era arrivata a Tokyo senza conoscere nessuno, trovando una stanza in affitto in un piccolo e frugale appartamento nella cittadina di Beika, e quel posto lo adorava.
Era mille volte meglio che abitare in pieno centro, e poi viveva da sola, e ne approfittava per stare sveglia fino a tardi e con le luci accese senza dar fastidio a nessuno.
Aveva conosciuto Ran e Sonoko uno dei primi giorni di lezione. Si erano sedute vicino a lei, dopo essere arrivate in fretta nell’aula prima dell’inizio della lezione, e le avevano chiesto se quei posti erano occupati.
E da allora, non si erano più separate. Le due ragazze erano sempre state gentili con lei e l’avevano aiutata ad orientarsi nella nuova città, portandola fuori con loro per fare qualche compera, per pranzare e per studiare assieme. Anche se si conoscevano da poco più di un anno, le sembrava di essere loro amica fin da quando era piccola.
“Ecco fatto!” esclamò una Sonoko soddisfatta, allontanandosi con il pennellino dello smalto dalle unghie dell’amica del Kansai.
Kazuha avvicinò le dita al viso e studiò con un sorriso l’opera appena terminata dalla sua amica. Le unghie brillavano di un intenso verde smeraldo, dello stesso colore dei suoi occhi, e questo la fece sorridere.
“Grazie” rispose, cominciando a soffiare sulle unghie per far in modo che lo smalto si asciugasse prima che lei potesse pasticciarlo in qualche modo.
Sonoko si strinse nelle spalle e richiuse la boccetta di smalto, riponendola nella sua borsa e alzando un secondo dopo lo sguardo verso il sole, che le stava scaldando e abbronzando la pelle sfuggita dagli shorts e dalla sua maglietta chiara.
Quel giorno avevano optato per studiare all’aperto e si erano organizzate per sistemarsi al parco, portando con loro anche qualcosa da mangiare come pranzo. Non facevano un pic-nic come si deve da un sacco di tempo, e avevano colto l’occasione dello studio per far coincidere il tutto.
Kazuha si sistemò meglio sotto l’ombra magra di un piccolo albero lì vicino, uscendo di un poco dalla coperta che avevano disteso per terra e si abbracciò le ginocchia, poggiando il mento su queste e lasciando che il codino le ricadesse sbarazzino sulla guancia destra.
I suoi occhi guizzarono verso Ran, che sedeva poco più in là, sotto il sole, e le si strinse il cuore per un istante. Quella mattina era parecchio distratta, aveva la mente altrove, nonostante si stesse impegnando per risultare quella preoccupata per l’esame. Aveva avuto uno sguardo sfuggevole quando le aveva chiesto se fosse successo qualcosa, e subito Kazuha aveva pensato che poteva aver avuto un diverbio con il suo ragazzo, Shun.
Ci credeva poco, perché ogni volta che li vedeva assieme erano sempre sorridenti ed innamorati. Sembrava che tra loro andasse sempre tutto bene, e sapevano strapparti un sorriso anche solo vedendoli vicini. Trasmettevano il loro equilibrio agli altri. E Kazuha ne era sempre rimasta colpita.
Ran sbuffò leggermente, prendendo a sfogliare febbrilmente il vocabolario di tedesco, mentre con un dito teneva sottocontrollo la parola che doveva cercare.
L’aveva vista strana anche la sera prima, quando era andata da lei per riportarle le fotocopie degli appunti che le aveva chiesto. L’aveva salutata con il suo solito sorriso e si era mostrata amichevole come sempre, ma c’era qualcosa che non quadrava. Per un attimo, Kazuha aveva pensato che quella che si ritrovava davanti non fosse la Ran di sempre, quella che conosceva. Ma era durato tutto un solo istante, e poi era svanito.
Ma quella mattina c’era di nuovo qualcosa che turbava la sua amica. E voleva sapere se poteva rendersi utile per aiutarla.
Zampettò fino a sedersi al suo fianco, lasciando Sonoko a crogiolarsi al sole, e guardò oltre alla sua spalla, cercando assieme a lei la parola sul vocabolario. La individuò per prima e posò l’indice sopra di essa, facendo sobbalzare la ragazza, che non l’aveva nemmeno sentita arrivare.
Ran si voltò e le sorrise un secondo dopo. “Grazie” disse e appuntò accanto alla parola ‘Leidenschaft’ del libro la sua traduzione: ‘passione’.
Kazuha lesse dietro la spalla di Ran la frase, nel suo perfetto quanto inaspettato accento tedesco, per poi zittirsi e guardare di sottecchi l’amica.
Le cose migliori si ottengono solo con il massimo della passione” tradusse Ran, chiudendo poi il vocabolario e voltando pagina del volume di letteratura.
Kazuha rimase in silenzio a guardarla, cercando di non assumere un’espressione troppo curiosa. Ran se ne accorse e le sorrise, scrollando le spalle e sminuendo la situazione. “Ho trovato questa citazione alla fine del paragrafo sulla vita di Goethe. Mi andava di saperne il significato, ma proprio non mi ricordavo cosa volesse dire ‘leidenschaft’” rise alla fine, e tornò a darle le spalle, fingendo di cercare una pagina sul volume di letteratura.
Kazuha sospirò mentalmente, e si poggiò alla schiena dell’amica, circondandole le spalle minute con le sue braccia, adagiò il capo contro il suo, chiudendo gli occhi e respirando il profumo fruttato dell’amica.
Ran non si mosse per un bel po’, risultando rigida sotto l’abbraccio di Kazuha, ma alla fine si lasciò andare e le cinse le braccia, stringendole nelle sue mani. Cominciò a dondolare sul posto, canticchiando un motivetto in inglese.
Kazuha percepiva l’aria fintamente rilassata della ragazza, ma non vi accennò nulla, staccandosi un secondo dopo e mettendosi seduta di fronte a lei.
“Dai, studiamo assieme” propose, allungandosi e recuperando anche il suo volume. Quando ritrovò la stessa pagina che aveva aperto Ran, si vide chiudere il libro da un paio di mani che provenivano dalle sue spalle e un secondo dopo si sedette al suo fianco una Sonoko sorridente. “Adesso stacchiamo un po’ dallo studio, va bene?”.
Ran e Kazuha la stavano per rimproverare, ricordandole che non avevano ancora iniziato a studiare come si deve nonostante fossero lì al parco da quasi un’ora.
Sonoko, prevedendo in anticipo le due amiche, sventolò sotto i loro nasi il cestino che aveva portato con sé quella mattina, dal quale proveniva un buonissimo profumino di riso al curry.
Kazuha si lasciò convincere solo dopo aver appurato che era mezzogiorno passato, e allontanò in fretta i volumi di studio, strappando anche quello che stava nelle mani di Ran. Se Kazuha diceva di no allo studio, significava che aveva fame davvero, e infatti la sua pancia non tardò a brontolare affamata, provocando le risa delle due amiche.
Distribuirono sulla coperte le pietanze che avevano portato con loro, avvertendo l’acquolina in bocca al solo sguardo. Ran tirò fuori dal piccolo frighetto portatile qualche birra fresca e dell’acqua, poi si distese contro il tronco dell’albero ed afferrò le bacchette.
Kazuha notò che il suo viso sembrava un po’ più rilassato rispetto a prima, e si decise di imitarla a sua volta; pescò dal suo cestino l’insalata che aveva preparato e cominciò a versarsi nella ciotola il riso che aveva portato Sonoko.
La loro prima pausa era iniziata.
 
 
Nella piccola palestra del liceo Teitan non era rimasto più nessuno, escluso il giovane allenatore che, nonostante la lezione fosse finita da un bel po’, non aveva saputo resistere al solito paio di canestri di fine giornata.
Se ne stava dritto in piedi di fronte al canestro, le gambe leggermente divaricate e la palla da basket stretta nelle mani. Attorno al collo scendeva svogliatamente un asciugamano zuppo di sudore, mentre la maglia della divisa era diventata come una seconda pelle, che gli delineava i pettorali allenati e muscolosi.
I capelli corvini erano insolitamente spettinati, e gli occhi scuri erano fissi sul canestro. Iniziò a palleggiare, provocando un forte rimbombo nell’intera palestra.
Quel giorno, la sua squadra lo aveva fatto decisamente penare: sembravano tutti stanchi e affaticati, e aveva concluso quell’allenamento nella più totale disperazione. Capiva che il caldo non era certamente a loro favore, ma non si sapeva spiegare come mai quel giorno fossero stati tutti così fiacchi, privi di energia. L’avevano fatto sudare e fatto incavolare il doppio. Di lì ad una settimana avevano il torneo più importante del semestre, al quale partecipavano tutte le classi di tutti i licei di Tokyo, e non voleva fare brutte figure con nessuno.
Era il primo anno che si presentava come coach della squadra del liceo Teitan, e non voleva sfigurare davanti agli altri colleghi. Quei ragazzi che seguiva erano davvero bravi, ed avevano grinta da vendere, ma quel giorno l’avevano spaventato. Erano diversi dal solito, e si domandò se non fosse a causa dell’ansia per l’inizio del torneo.
Shun molleggiò sulle ginocchia e portò in alto la palla, mirando al canestro e facendo uno spettacolare punto che nessuno poté ammirare. Soddisfatto e sorridente, si decise che per quel pomeriggio aveva fatto abbastanza e sistemò in tutta fretta gli ultimi palloni abbandonati in giro per la palestra.
Si diresse agli spogliatoi e si infilò sotto il getto d’acqua ghiacciato delle docce, lavandosi con cura per la serata che lo aspettava di lì a qualche ora.
Aveva deciso di introdursi furtivo nell’appartamento della sua fidanzata, per prepararle una cenetta con i fiocchi e sorprenderla. Sapeva che lei probabilmente sarebbe rimasta fuori a studiare con le sue amiche, e prima di una certa ora era sicuro non sarebbe rientrata.
Era certo che Kogoro non potesse disturbarli, perché come tutti i martedì da un anno a quella parte era solito uscire per andare a giocare a mahjong con i suoi amici ubriaconi.
Era da un po’ che lui e Ran non trovavano del tempo tutto per loro, e gli mancavano le serate passate insieme a mangiare, e poi abbracciati sul divano, a guardare un film d’azione o, purtroppo quando decideva lei, un film horror. Ran amava gli horror quasi più di lui, i suoi occhi brillavano di paura ed eccitazione ogni volta che in videoteca ne adocchiava uno, e finiva sempre che lo pregava di guardarlo assieme a lei. Aveva una gran fifa dall’inizio della proiezione alla fine, ma allo stesso tempo se ne sentiva attratta. Non sapeva capirne il perché, trovava strano che la sua fidanzata fosse l’unica ragazza che avesse mai conosciuto a non sopportare troppo i film romantici. Non li poteva soffrire, ogni volta che era costretta a guardarne uno con le sue amiche, si alzava almeno una decina di volte per andare al bagno e perdersi qualche minuto. Non resisteva, li trovava ridicoli, a suo dire.
Lui trovava gli horror noiosi e tutti uguali, ma non poteva non apprezzarli per un motivo: Ran se ne stava sempre avvinghiata a lui, senza separarsi per un solo secondo, e questo lo riempiva di piacere. Adorava vedere i suoi occhioni spalancati e rapiti dalla scena, e ancora di più quando cacciava i suoi urletti spaventati e rifugiava il volto sul suo petto. Era piuttosto divertente, guardarli con lei, si ritrovò a pensare. Forse li avrebbe apprezzati un po’ di più, da quel giorno in avanti.
Shun si infilò alla svelta un paio di bermuda color cachi ed una camicia leggera, recuperò il borsone, se lo mise in spalla e si avventurò fuori dalla palestra con i capelli ancora umidi, che gli carezzavano la fronte e le tempie.
La moto l’aveva parcheggiata lì vicino, e in meno di un minuto era già in sella, che sfrecciava tra le strade affollate di fine pomeriggio di Tokyo. Unico obiettivo: trovare una rosticceria aperta.
 
 
Ran fece ondeggiare l’alta coda di cavallo a ritmo del motivetto che stava canticchiando Sonoko, tenendo sottobraccio le due amiche, mentre si dirigevano verso casa sua. Si erano date talmente tanto da fare nello studio, quel pomeriggio, che avevano deciso di premiarsi con una bella pizza da mangiare a casa sua.
Il sole stava quasi tramontando, alcune stelle avevano cominciato a fare capolino sopra di loro, ma il cielo era ancora ben illuminato ed aranciato alle loro spalle.
Sore wo mamorinuku tame nara, tatakau no ga honnou”* proseguiva melodiosa la voce della sua migliore amica, mentre Kazuha seguiva le parole cantando a bocca chiusa, per paura di suonare stonata.
Ran lanciò un’occhiatina di sbieco a quest’ultima, per non farsi notare. Quella mattina, non aveva potuto fare a meno di non osservare le occhiate curiose e preoccupate che l’amica le riservava quando credeva che fosse distratta. Sembrava che volesse sapere cosa la turbasse, ma per sua fortuna non le aveva domandato niente. Kazuha era una ragazza estremamente discreta, e preferiva sempre che fossero gli altri ad aprirsi, per evitare di risultare troppo impicciona. Quella mattina, Ran aveva accolto questa sua caratteristica con sollievo, evitando di esporsi.
La karateka chiuse gli occhi, facendosi guidare dai passi sicuri delle due sue amiche, e cercò di mettere ordine al caos che regnava dentro di lei dal pomeriggio precedente.
Ogni volta che cercava di capire come fosse possibile che l’equilibrio che si era faticosamente creata in quegli anni fosse sfumato d’improvviso, le appariva magicamente il volto di quel ragazzo, di Shinichi. Se lo immaginava ancora seduto al tavolino di quel bar, con l’espressione assorta, che la fissava in silenzio. E poi, pronunciava ancora quella frase.
 
“Ma non ti basta, vero?”
 
Per Ran era assurdo pensare che cinque banalissime parole, messe in fila l’una dietro l’altra, fossero in grado di scombussolarla così.
La sua corazza di ragazza pienamente soddisfatta della sua vita si era incrinata quando la voce risoluta e chiara di quello sconosciuto le aveva scavato dentro con uno sguardo.
Era sempre stata di ghiaccio per quanto riguardava quello che aveva veramente dentro. Quello che teneva sopito nel suo profondo. Quello che nemmeno lei osava risvegliare...
Non avrebbe mai osato rivelare a nessuno che sentiva nella sua anima un enorme piccolo buco nero. Si ostinava a sua volta a rinnegare la sua esistenza, affermando a se stessa che ciò che la completava erano lo studio e le persone che le volevano bene. Ma, a volte, nelle sue notti, in sogno veniva a tormentarla la vera Ran.
La Ran che voleva uscire e presentarsi a tutti. La Ran che era stanca della sua vita ripetitiva e semplice. La Ran impulsiva.
Che era stufa di starsene chiusa, incatenata in un angolo. La Ran che voleva respirare davvero e che voleva guardare il sole dritto negli occhi.
Quella Ran la spaventava. Non la conosceva. Non la voleva stare ad ascoltare.
La sua vita era perfetta. Lo era, doveva esserlo. Perché andarla a sconvolgere ancora di più? Perché rompere la quotidianità? Perché volere così tanto di più?
Gli altri vedevano l’involucro della vera Ran, e gli altri la pensavano in quel modo. E a lei andava bene così. Si doveva sentire soddisfatta. E perché no? Chissà quante persone avrebbero fatto volentieri cambio con lei, ritenendola fortunata.
E la vera Ran era il suo segreto più grande, che mai sarebbe uscita dalla sua prigione. Non avrebbe mai visto la luce. Sarebbe stata per sempre dentro di lei, e le andava bene.
Fino al giorno prima.
Quando gli occhi di Shinichi si erano fissati nei suoi, la vera Ran aveva cominciato a slegare le catene che la tenevano imprigionata, ed aveva cominciato ad urlare dentro al suo piccolo bozzolo. Voleva farsi sentire da quel ragazzo, ma non ci era riuscita.
La corazza era difficile da abbattere per una che non aveva mai visto la luce del sole. E il suo fiato era debole, troppo debole per far risuonare la sua voce fino alle orecchie del giovane.
Ran non era riuscita ad ignorarla.
Ma ci stava riuscendo piano piano.
La stava domando di nuovo.
Per liberarla, ci serviva qualcuno che forzasse la barriera dall’esterno. Ma lei non l’avrebbe permesso. Non avrebbe tollerato un’altra incrinatura.
Ran riaprì gli occhi di scatto, scacciando dalla sua mente tutti quei pensieri caotici e pericolosi. Li richiuse con cura in un angolo buio, e si sforzò di dimenticare il volto di quello studente. Sentiva che non voleva vederlo mai più, ma che allo stesso tempo l’attirava. Sembrava che lui fosse pronto a scoprirla, e questo la mandò ancora più in crisi.
Sembrava pronto ad aiutarla a far emergere la sua anima sopita. Ed era semplicemente assurdo.
Si accorse che erano quasi arrivate sotto casa sua, e che Sonoko e Kazuha avevano finito di cantare.
Aveva la fronte imperlata di sudore e sentiva le gambe leggermente tremolanti, ma si impose di essere tranquilla, per non attirare di nuovo l’attenzione di Kazuha.
“Ehi, Ran” la chiamò Sonoko, arrestandosi d’improvviso. Tutte e tre si fermarono a pochi passi dall’agenzia, puntando lo sguardo dove la giovane ereditiera stava indicando.
“Quello non è... Hattori? Il ragazzo che lavora con tuo padre?”.
Kazuha allungò lo sguardo e si illuminò. “Oh, è Heiji! Lavora fino a quest’ora?”.
Ran guardò la sua giovane amica del Kansai in silenzio. La vista di Heiji l’aveva chiaramente distratta dai cupi pensieri precedenti, e adesso si stava preparando per il simpatico siparietto che sarebbe iniziato di lì a qualche secondo, non appena avrebbe attirato l’attenzione del giovane detective.
Heiji lavorava per suo padre da parecchi mesi, ed erano diventati buoni amici. E Ran sapeva anche il vero motivo che aveva spinto il ragazzo ad abbandonare la sua vecchia città per trasferirsi a Tokyo. Aveva promesso al giovane di non rivelare a nessuno la sua motivazione, e Ran era la persona adatta per mantenere dei segreti.
“Oh, sì, è proprio Heiji” annuì Ran, gongolante, e ricominciò la marcia verso il suo appartamento, seguita a ruota dalle sue amiche.
Heiji stava appoggiato al muretto vicino alle scale che portavano ai piani superiori, con le mani che sprofondavano nelle tasche dei jeans e la camicia ampiamente sbottonata per via del caldo. Aveva abbandonato la giacca ai suoi piedi, dove lì accanto stavano un paio di caschi scuri.
“Hattori” lo chiamò Sonoko, con le braccia incrociate e lo sguardo vispo che correva dal ragazzo alla sua amica Kazuha. La giovane ereditiera aveva fiuto, per quel genere di cose, e di certo non si era fatta sfuggire il fatto che il ragazzo di Osaka sbavasse letteralmente dietro ad una delle sue migliori amiche.
Heiji si voltò annoiato, non riconoscendo subito la voce che lo aveva chiamato.
Fece guizzare lo sguardo su Sonoko e Ran, ampliando il sorriso quando si accorse che dietro di loro si trovava Kazuha.
Il ragazzo scattò dritto in piedi, le gote arrossate, e pronunciò un “Ciao!” parecchio balbettante.
Kazuha si fece avanti sorridendo, ingenuamente ignara della situazione. “Ciao, Heiji” lo salutò lei con calore. “Come va?”.
Il ragazzo prese a massaggiarsi nervosamente la nuca, iniziando a ridacchiare nervosamente. Ran sorrise e fece un passo avanti, pronta per venire in aiuto del giovane, quando una voce proveniente dalle scale la fece bloccare.
“Sei ancora lì, Hattori?”.
No, non era la voce di suo padre. Decisamente. Non era una voce gracchiante a causa delle sigarette di troppo che si ritrovava a fumare. Non era la voce di un uomo adulto.
Era la voce di un ragazzo.
Ran chiuse la mano a pugno, facendola poi scendere delicatamente lungo il suo fianco.
“Hattori?” chiamò di nuovo la voce.
Ran indietreggiò, sistemandosi di nuovo in mezzo a Sonoko e Kazuha. Quella voce...
L’aveva riconosciuta.
Dalle scale sbucò un ragazzo dai capelli corvini, spettinati. Indossava un paio di scarpe da tennis, dei jeans scuri ed una maglietta leggera.
Si fermò appena si accorse della presenza delle tre ragazze vicine ad Heiji, e fece guizzare lo sguardo sui loro visi. Appena i suoi occhi color oceano si incontrarono con quelli di Ran, sulle sue labbra perfette nacque l’ombra di un sorriso sincero.
“Ah, lei è la figlia del detective Kogoro! Lei è...” si affrettò a presentare il ragazzo di Osaka, ma Shinichi alzò una mano per interromperlo.
“Ehi, Ran” disse delicatamente, rimpossessandosi delle sue gambe e muovendo qualche passo verso la ragazza, piacevolmente sbigottito di rivederla lì.
I presenti rimasero muti e fermi, mangiandosi con gli occhi la situazione: Kazuha voltava la testa prima sulla sua amica, e poi sul giovane sconosciuto, per poi tornare su Ran; Sonoko sembrava del tutto indifferente all’episodio, ma in realtà stava studiando come un robot la reazione del ragazzo appena accortosi della sua migliore amica, riconoscendolo come il ragazzo con cui si erano scontrate il mattino precedente; mentre Heiji, timidamente, aveva lo sguardo fisso sulla sua bella Kazuha, intenta ad ignorarlo completamente.
“Ciao” disse Ran, sentendo il pugno rilassarsi, le sue spalle sciogliersi e i muscoli ammorbidirsi. Nonostante il nervosismo iniziale, Ran, posando lo sguardo su quegli occhi ora così pacifici, non poté evitare di calmarsi a sua volta, nonostante una parte di lei rimanesse allerta.
“Vi... conoscete?” riuscì a domandare un secondo dopo Heiji, rinvenuto non appena Kazuha si era voltata a guardarlo, certa che lui la stesse fissando da un po’.
Shinichi fece per aprire bocca e parlare, con ancora un sorriso caloroso sul viso, quando dalle scale provennero dei nuovi passi, stavolta affrettati.
Dall’ingresso fece capolino un altro ragazzo dai capelli scuri, ma questa volta completamente ordinati.
Gli occhi neri del giovane si schiarirono appena incrociarono quelli di Ran, lontani dai suoi.
“Ran!” esclamò questo, raggiungendola con poche falcate decise.
La prese per la vita e le stampò un bacio leggero sulle labbra, lasciandola interdetta per alcuni istanti.
Nel piccolo gruppo cadde un silenzio teso, mentre attorno a loro la vita della cittadina di Beika continuava il suo corso come se nulla fosse successo.
Ran scrutò il volto di Shun come se fosse la prima volta che lo vedesse, e solo qualche istante dopo il suo cervello riprese il comando e le ordinò di sorridergli.
“Ti ho vista dalla finestra” continuò Shun, ignaro della situazione che aveva appena interrotto. “E sono sceso per... ah!” si fermò, notando che tutti i presenti lo stavano guardando silenziosamente.
Ran tolse lo sguardo dal fidanzato e lo fissò su Shinichi.
I suoi occhi si erano spenti leggermente, ma sul suo viso pallido c’era ancora il sorriso di poco prima. Sembrava come se il suo cervello fosse andato in cortocircuito.
Shun si guardò attorno percependo una strana atmosfera, e si voltò verso Shinichi, non riconoscendolo.
Gli allungò una mano, con uno sguardo di scuse. “Perdonami, sono un  maleducato” iniziò bonariamente. “Sono Shun, il fidanzato di...”
“Lui è Shinichi!” lo interruppe Ran, facendo qualche passo verso i due che si stavano per stringere la mano. Ad uno sguardo interrogativo di Shun, Ran spostò gli occhi dai suoi e li fissò sull’asfalto. “Frequenta il nostro Ateneo...”.
Shinichi riacquistò un po’ di colore e strinse forte la mano di Shun, portandolo così a distogliere quello sguardo eccessivamente insistente da Ran.
“Piacere” disse con un tono malizioso nella voce. “Sono Shinichi Kudo”.
I due sciolsero la presa che avevano l’uno sulla mano dell’altro e rimasero un attimo in silenzio, fermi a fissarsi curiosi.
Shinichi si cacciò le mani in tasca ed indicò Heiji con un cenno del capo. “Sono un amico di Hattori”.
 
 
Shun si rilassò un poco e portò istintivamente una mano sulla spalla della sua ragazza, che si convinse a tornare a sorridergli, stavolta meno nervosamente.
Si stava dando della stupida. Perché aveva reagito così? Perché si era sentita in errore non appena Shun l’aveva guardata poco dopo che aveva rivelato il nome di Shinichi?
Non aveva fatto nulla di male, aveva solo preso un tè con lui, dannazione! Se lo ripeté nella testa, ma non ottenne il risultato che voleva.
Non averlo detto al suo fidanzato la fece sentire colpevole. Sapeva che lui era parecchio geloso e, se avesse scoperto della sua chiacchierata con Shinichi dal ragazzo stesso, si sarebbe sentito offeso. Doveva mettere le cose in chiaro con Shinichi.
Ran si illuminò, sentendo il macigno che le pesava in petto farsi più leggero.
 
Ma certo!
 
esclamò nella sua mente. Se avesse spiegato a Shinichi la situazione, e l’avesse pregato di tenere la bocca chiusa con Shun, sarebbe andato tutto bene, e lei si sarebbe sentita più tranquilla.
Doveva solo avvicinare il ragazzo per spiegarglielo, o temporeggiare fino a che lui ed Heiji non si fossero allontanati.
“Allora, Shun” prese in mano la situazione il ragazzo di Osaka. Posò una mano sulla spalla del suo amico, e a Ran diede l’impressione che la volesse stritolare. Shinichi si voltò a guardarlo male, ma ciò che ricevette da Heiji fu solo un sorriso tirato ed uno sguardo ammonitore.
“Che ci facevi là su senza la tua fidanzata?” domandò sottolineando in modo eccessivo l’ultima parola.
Shun scosse la testa, ridacchiando. “Volevo fare una sorpresa a Ran. Ho preparato la cena!” disse tornando a sorridere alla ragazza amata.
Nel piccolo gruppo partì una risata di scherno, proveniente dalla giovane ereditiera.
Ran si voltò a guardarla male, ma Sonoko non vi badò. Li sorpassò girando in torno a Shun, guardandolo senza una vena dell’ironia che era trapelata dalla sua risata.
Sonoko si portò al fianco di Kazuha, incrociando svogliatamente le braccia al petto e guardandolo apertamente dall’alto in basso. “Hai cucinato tu? Davvero?” chiese con finta sorpresa. Spostò lo sguardo dall’altra parte, annoiata, fissando il traffico in strada. “O forse hai comperato qualcosa da qualche parte?” aggiunse sottovoce, in modo che la sua voce raggiungesse solo Kazuha, che le diede di nascosto un pizzicotto fastidioso sul braccio, mentre con un sorriso tirato la invitava a stare calma.
“Bè... in realtà mi sono fermato in rosticceria” ammise Shun, fissando colpevole la sua ragazza.
Ran si lasciò andare ad un sorriso, conscia che l’abilità del fidanzato ai fornelli fosse pari a zero.
“Bè, noi andrem...” stava per intromettersi Heiji, afferrando per la camicia Shinichi, che sembrava parecchio scocciato dal comportamento dell’amico.
“Noi avevamo deciso di mangiare una pizza assieme” si lasciò sfuggire Sonoko, sciogliendo le braccia dal petto e afferrando un gomito di Kazuha. “Ma a quanto pare, sarà per la prossima volta. Non vogliamo disturbarvi”. Dicendo questo, la giovane lanciò un’occhiata in tralice a Shinichi, che se ne stupì. Non sembrava un’occhiata arrabbiata. Sembrava che lo stesse invitando ad aiutarla. Ma il giovane non capì cosa intendesse la ragazza.
Shun fu colpito in pieno dall’affermazione di Sonoko, e rivolse uno sguardo di scuse alla sua fidanzata. “Cavolo... vi ho rovinato la serata” disse ad alta voce. Poi si avvicinò discretamente all’orecchio di Ran e le sussurrò: “Mi mancavi e volevo stare un po’ con te”.
Ran annuì, ma si sentì in colpa verso le sue migliori amiche.
“Lo so... ma...” iniziò titubante, ma Sonoko colse l’occasione al volo.
Batté le mani allegramente e sfoderò un sorriso a trentadue denti. “Già, Ran, ottima idea: ceniamo tutti assieme! Sono certa che Shun ha comperato qualcosa in più per l’evenienza!”.
Ran si morse il labbro. In realtà, Sonoko aveva colto nel segno ciò che aveva pensato, ma non se l’era sentita di continuare la frase. Non voleva far rimanere male il suo ragazzo.
Shun, infatti, rimase spiazzato dall’autoinvito della ragazza e cercò lo sguardo di Ran, per cercare aiuto, ma questa non lo stava guardando.
Sonoko piroettò tra Shinichi ed Heiji, e posò le braccia sulle spalle di entrambi, con fare amichevole. “Ovviamente restate anche voi! Hattori, devi essere stanco morto dal lavoro per andare a casa e metterti a cucinare...”. Heiji la guardò storto, non facendo crollare il sorriso. La ragazza sapeva che in realtà l’agenzia era priva di clienti e che le sue giornate passavano nella noia più assoluta.
“Strega” le sussurrò a denti stretti, e Sonoko ammiccò nella sua direzione. La ragazza spostò lo sguardo su Shinichi e si mise a ridacchiare. “E potremmo anche conoscerci meglio, no?”.
Il ragazzo la studiò per alcuni istanti. “Ma se ieri mattina mi stavi per strappare la testa dal collo..!”, ma venne zittito in tempo dalla giovane ereditiera, che sciolse l’abbraccio dai due e si diresse verso Kazuha, sempre continuando ad ammiccare ad Heiji.
Il ragazzo arrossì, spostando lo sguardo infuriato su Ran. Possibile che avesse rivelato a quella sciocca montata che..?
“Va bene, qualcosa in più c’è” concesse alla fine Shun, lasciandosi andare ad un sospiro. “Basta aggiungere qualche posto a tavola...”.
Il piccolo gruppo si mosse incerto su per le scale, guidato da Sonoko, per raggiungere l’appartamento dell’ultimo piano.
Ran strinse un braccio a Shun e lo guardò colpevole. “Mi... mi dispiace per la serata”.
Il ragazzo le passò un braccio attorno alle spalle e si lasciò andare ad un secondo sospiro. “Fa niente. Tranquilla. Ci divertiremo lo stesso... e poi, abbiamo un nuovo ospite da conoscere” e le sorrise.
Ran arrossì leggermente, avvertendo che il ragazzo si stava riferendo a Shinichi.
“Sì... io non lo conosco affatto!” iniziò a dire nervosa. “Non l’ho mai visto... cioè, solo una volta... non so nemmeno che facoltà frequenti... io... non lo conosco”.
Sonoko si fermò sul pianerottolo di casa Mouri e posò la mano sulla maniglia. Si voltò verso l’amica, con un  sorriso indifferente, e spalancò la porta.
Riprese a canticchiare la canzone in cui si era cimentata poco prima, accennando solo alle ultime parole.
Don’t wanna lie, don’t wanna lie.”**

 
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* ‘Nel desiderio di proteggerli fino alla fine, combattere per loro è nostra natura’ – tratto dall’Opening della sedicesima serie, ‘Don’t wanna lie’ . Se la traduzione è sbagliata, scusate in anticipo :)
** Tratto dall’Opening della sedicesima serie, ‘Don’t wanna lie’ .
 
 
 
Sono in ritardo, chiedo perdono!
Ecco qui questo quarto capitolo che, devo ammetterlo, mi ha fatta penare non poco..! La prima parte è molto introspettiva, diciamo.. mentre nella seconda si entra nel vivo XD Shin e Shun che si conoscono per la prima volta... sembra tutto tranquillo tra i due... o forse no? ^^
Aspetto i vostri commenti sulla faccenda!

Scopriremo nel prossimo chap quale sarà la vera motivazione che ha portato il nostro bello di Osaka a Tokyo, ma ormai l’avete capito :) Piccole Holmes che non siete altro! :)
Il prossimo capitolo lo aggiornerò molto più in fretta, ne sono certissima.. è ancora da scrivere, ma entro domenica penso di postarlo :)
Intanto passo a ringraziare le mie splendide commentatrici (?) : withoutrules, 88roxina94, _Flami_, Yume98, myellin, Shine_ e izumi_!
E grazie a ciccio fino per aver inserito la ff tra le seguite..!
Grazie mille anche a chi legge soltanto..!
E...
Alla prossima ^^

Dony 

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Capitolo 5
*** Chap 5 ***


Hi, nice to meet you!
5.

 
 
“Questa cena...”
“… è a dir poco ridicola...”
“Esatto, amico” annuì Shinichi, abbandonandosi ad un sospiro leggero, prendendo a far ondeggiare la lattina di birra mezza vuota che teneva in mano.
Non aveva ancora capito bene come ci era finito, lì. Un secondo prima si trovava ancora in strada, di sotto, e un istante dopo era a casa di Ran.
Di Ran!
Non ci riusciva a credere. Ma com’era successo? Non si aspettava nemmeno di ricontrarla così presto, e soprattutto fuori dall’università.
Anche lei abitava a Beika, non molto distante rispetto alla sua abitazione. Chissà quante volte si erano incrociati per caso per la strada, al supermercato, sulla metropolitana...
Ma no, si ritrovò a pensare Shinichi.
I suoi occhi guizzarono su Ran, che non l’aveva degnato nemmeno di uno sguardo da quando avevano messo piede nel suo appartamento. Aveva le guancie accaldate e la coda di cavallo leggermente allentata, lasciando il piacere a dei ciuffi ribelli di carezzarle il volto. Sgusciava in mezzo ai presenti e all’arredamento per sbrigarsi ad apparecchiare per tutti loro, permettendo a quel ragazzo di nome Shun di darle una mano.
 
Se l’avessi incrociata per caso... non me la sarei fatta scappare...
 
si disse tra sé il giovane, buttando giù un altro goccio di birra.
La gomitata di Heiji non tardò ad arrivare, dritta in mezzo alle sue costole. Shinichi gli lanciò un’occhiata furiosa, prendendo a massaggiarsi la parte colpita. Era da quando lui e Ran si erano incontrati di sotto che il suo migliore amico aveva cominciato a comportarsi in maniera insolita. Sembrava lo stesse tenendo sottocontrollo.
Ma non ne capiva il motivo.
“Hai finito di usarmi come punching ball?!” sbottò sottovoce Shinichi, premendo l’indice che era libero dalla stretta della lattina sul suo braccio.
Lo sguardo di Heiji fu indecifrabile, ma diede l’impressione al ragazzo che il suo cervello stesse lavorando a doppia velocità, proprio come quando rifletteva e ipotizzava su un caso. Aveva gli occhi come schermati, ma ben fissi nei suoi, e l’espressione marmorea.
 “Non dirmi... ti prego, non dirmi che la ragazza di cui mi hai parlato... quella che ti ha fatto girare la testa è...” borbottò piano, cominciando a scuotere freneticamente il capo nella direzione della padrona di casa.
Shinichi non distolse lo sguardo dagli occhi dell’amico, e bevve l’ultimo sorso della sua birra. Appoggiò la lattina vuota sul mobile chiaro accanto a sé ed incrociò le braccia al petto, mettendo su un’aria interrogativa.
“Chi?” finse di non capire.
Si divertiva un mondo a far diventare matto il suo amico. Ad Heiji non piacevano quei giochetti, lo conosceva bene. Quando voleva sapere qualcosa da qualcuno non si faceva scrupoli ad essere diretto nella domanda, ma pretendeva una risposta immediata, fulminea, pronta.
Heiji alzò gli occhi al cielo e indicò di nuovo la ragazza con il capo.
“È... Ran?” aggiunse per evitare idiozie da parte dell’amico.
Shinichi lasciò correre lo sguardo sulla ragazza, che stava sistemando dei cuscini in più attorno al tavolo da pranzo. “Oh” disse come sovrappensiero, tornando a fissare gli occhi chiari del suo amico del Kansai. “Sì”.
La reazione di Heiji non tardò ad arrivare. Sbarrò gli occhi talmente tanto, che a Shinichi sfiorò il pensiero che sarebbero caduti da un momento all’altro, e batté un pugno sul muro, ignorando completamente gli sguardi dei presenti che si erano voltati verso di lui appena udito il tonfo sordo.
Shinichi non batté ciglio, rimanendo in apparenza tranquillo, facendo affondare le mani nelle tasche dei jeans. Sapeva reggere bene allo sguardo omicida del suo amico, ormai ci era abituato.
Da quando questo si era trasferito a Tokyo, aveva scoperto molte più cose di lui, e piano piano avevano imparato anche a diventare amici, oltre che semplici rivali di deduzioni.
“E comunque... non ho perso la testa per lei” si premurò di precisare il ragazzo di Tokyo, facendosi quasi subito sommergere dalla voce sibilante di Heiji. “Non ho detto che hai perso la testa, ma che te l’ha fatta girare!”.
“È uguale...”
“No, che non lo è!”
Shinichi fece spallucce. “Qual è il problema?”.
Heiji prese un grosso respiro, e l’amico temette che stesse per sfociare in una sonora strigliata, come era tipico di lui quando perdeva la pazienza. Ma invece Heiji si lasciò andare ad un sospiro sconsolato, e si appoggiò mollemente al muro, incrociando le braccia e spostando il volto su Ran.
“È fidanzata” disse solamente, pensando che questo bastasse.
Shinichi corrugò la fronte, infastidito. “Me ne sono accorto” disse a denti stretti, prendendo posizione accanto all’amico, ma spostando lo sguardo fuori dalla finestra, nel cielo aranciato ed afoso.
“Ma non capisco quale sia il problema” continuò Shinichi, scuotendo leggermente il capo. Si grattò una guancia, senza motivo, e si bloccò con il dito a metà, sentendo la nuca pizzicargli. Diede un’occhiata con nonchalance alle sue spalle e, oltre il testone di Hattori, Shinichi vide su di sé lo sguardo della stramba ragazza di prima, Sonoko, che lo stava osservando da chissà quanto tempo, mentre se ne stava in un angolino con le braccia conserte, fintamente attenta alle chiacchiere della sua amica di Osaka.
“Come non capisci il problema? Ti devo fare un disegnino?!” borbottò cupamente Heiji, riportando lo sguardo di Shinichi sul suo.
Il ragazzo sbuffò, convincendosi ad ascoltare ciò che aveva da dire l’amico. “Dai, sentiamo. Perché non posso essere semplicemente suo amico?” lo incoraggiò con finta disinvoltura.
Heiji lo guardò sospettoso, ma si convinse lo stesso a parlare. “Perché ti devo ricordare come sei tu, quando stai con una persona? Ti devo ricordare come sono finite tutte le tue storie? Ti devo elencare i particolari di ognuna di quelle?”.
Shinichi lo fermò subito, posando una mano sulla spalla dell’amico, avvicinandosi con occhi pericolosi e vuoti. “Ehi! E questo adesso cosa c’entra? Non ho mai detto di voler mettermi con Ran...”.
“Sarà meglio per te! Ma ti conosco fin troppo bene: quando hai quello sguardo da pesce lesso, sei ormai irrecuperabile. E stavolta c’è anche qualcosa di nuovo, che non riesco ancora a decifrare. Stammi bene a sentire” disse, spingendolo all’indietro, fino a fargli poggiare la schiena contro la finestra aperta del soggiorno. “Ran è una mia amica, ormai ci conosciamo e ci tengo a lei. Non voglio vederla soffrire, non per uno come te”.
“Grazie” disse sarcasticamente Shinichi, scrollando le spalle.
Heiji abbozzò un sorriso gentile, rilassando i muscoli che fino a quel momento erano rimasti tesi e contratti.
“Amico, lo sai che per me tu sei il migliore... ma con le donne non ci sai proprio fare” gli disse, dando a Shinichi un paio di pacche fraterne sulla spalla. Il ragazzo del Kansai si beccò una gomitata nel fianco, da uno Shinichi con un sorriso furbetto sul volto.
“E tu sei il migliore nei complimenti, non c’è che dire” lo punzecchiò, per poi diventare serio e spostare lo sguardo su Ran, diventando all’improvviso malinconico.
Rimase a guardarla per parecchi secondi, ignorando il fatto che qualcuno – o lei stessa – potesse accorgersene. Adorava le sue guancie arrossate, la delicatezza con cui aveva appena posato una ciotola di salsa di soia sul tavolo, le sue mani affusolate, i suoi zigomi perfetti, la maglietta chiara che indossava quella sera... e i suoi occhi...
Non credeva di essersi innamorato di lei. Lui, non si era mai innamorato, nella sua vita. Sapeva che lo attirava, ma niente altro di più. Anche se provava per lei delle strane sensazioni, che non riusciva a catalogare.
Shinichi si voltò a guardare il suo amico, distogliendo lo sguardo da quella visione troppo dolorosa, con l’espressione più triste che l’amico gli avesse mai visto sul volto.
“Hai notato?” domandò.
“Cosa?”
Shinichi tornò a guardare Ran, presa in un abbraccio inaspettato di Shun. Sentì il suo stomaco sobbalzare quando si accorse delle mani del ragazzo che si intrecciavano sul basso ventre della giovane, con fare protettivo e possessivo.
Scosse la testa, sminuendo la faccenda, e distolse lo sguardo definitivamente da Ran, per voltarsi e ritrovarsi davanti la ragazza dagli occhi color smeraldo. Era davvero carina, e sprigionava con un solo sorriso una solarità che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Shinichi capì subito chi fosse: Kazuha. La ragazza di cui si era innamorato il suo migliore amico.
Kazuha sorrise a Shinichi, porgendo ai due ragazzi un vassoio con degli stuzzichini salati dalle forme insolite. “Li ha fatti Sonoko” si premurò di avvisare. “Li abbiamo avanzati dal pranzo di questa mattina. Quindi... non so...” aggiunse timidamente, a mezza voce.
Shinichi intuì che questa Sonoko non dovesse essere questa grande esperta di cucina, ma per educazione ne prese uno, seguito da Heiji.
Appena infilò lo stuzzichino in bocca, le sue papille gustative implorarono acqua. Era la cosa decisamente più saporita che Shinichi avesse mai mangiato in vita sua, e sentì subito la bocca arida.
“Ma quanto diavolo di sale ci ha messo, quella stupida?!” sbottò Heiji, trattenendosi dallo sputacchiare lo stuzzichino che aveva in bocca.
La creatrice di quella bomba di sale fece la sua apparizione dalla cucina, con le braccia sui fianchi e le sopracciglia inarcate. Li studiò sospettosa, si avvicinò e fissò il piatto ancora pieno che stava nelle mani di Kazuha.
Si voltò irritata verso Heiji, apostrofandolo subito. “Ehi! Hai detto qualcosa?”.
Heiji e Shinichi deglutirono all’unisono, cominciando a scuotere la testa per negare. Il primo sembrava propenso per rispondere a tono con la giovane ereditiera, ma si trattenne per evitare una sfuriata di fronte a Kazuha.
“Oh, Sonoko!” esclamò la voce di Ran, terribilmente vicina all’orecchio di Shinichi, che sobbalzò preso in contropiede. Non si aspettava che la ragazza fosse così vicina a lui. Ran guardò la sua amica con un sorriso tirato, ma perfettamente convincente allo stesso tempo. “Li hai fatti tu?”.
Sonoko annuì fieramente, e sorrise all’amica. “Già! Prova ad assaggiarne uno” disse prendendo uno stuzzichino a sua volta. Lo ammirò con tenerezza e poi, le gote arrossate, lo mandò tutto in bocca, e Shinichi temette che sarebbe morta di lì a qualche secondo.
Sonoko masticò senza fare una piega, mandò giù e il suo sorriso divenne una smorfia orribile. Si mise una mano davanti alla bocca, con le lacrime agli occhi per colpa del saporaccio e fissò colpevole i due nuovi ragazzi. “Oddio” mormorò con voce smorzata. “Ho bisogno di bere!”.
La ragazza si tuffò in cucina, seguita da Kazuha, che aveva accolto la silenziosa richiesta di tutti i presenti, ovvero di far sparire il più in fretta possibile quegli stuzzichini letali.
“Credo di dover andare a fare scorta di bibite” asserì Shun, recuperando un mazzo di chiavi dalla tasca delle bermuda, per poi avviarsi verso l’ingresso.
Ran annuì guardando il fidanzato dirigersi verso la porta di casa, poi scoppiò a ridere, voltandosi verso Shinichi ed Heiji. “Io mi sono salvata dai manicaretti di Sonoko. Mi spiace per il vostro palato”.
Heiji la guardò storto, dandole un’amichevole pacca sulla spalla. “Se volevate farci fuori, sappiate che un semplice stuzzichino non ci abbatterà mai!”.
Ran rise ancora di più, spintonando Heiji per qualche passo. Shinichi si stupì della confidenza che il suo amico aveva con Ran, cercando di ripescare dalla mente se lui avesse mai accennato della ragazza in sua presenza, ma la sua mente era nel pallone: Shinichi si meravigliò della bellezza della ragazza, che aumentava ancora di più quando si lasciava andare ad una risata. Gli suonava melodiosa, e  sincera, e questo lo fece iniziare a ridere a sua volta.
Heiji rimase a fissarli in cagnesco, non capendo il motivo di tanta ilarità, e sbuffò solamente quando capì che i due amici non avrebbero smesso tanto presto.
“Io me ne vado di là... avvisatemi quando avete finito!” borbottò cupamente, lanciando un’occhiata di fuoco a Shinichi non appena fu uscito dal campo visivo di Ran.
Era un segnale ammonitore, e Shinichi capì quel che intendeva: non doveva assolutamente provarci con la ragazza.
Come se fosse stato nelle sue intenzioni! Come se il solo avere Ran accanto gli facesse andare in subbuglio l’anima! Come se... come se... come se quel viso armonioso non l’attirasse...
Shinichi smise all’istante di ridere, deglutendo a fatica e cominciando a sentire più caldo del dovuto.
Ran era troppo vicina a lui. Pericolosamente vicina.
La fissò in silenzio smettere di ridere, asciugarsi una lacrima ribelle e dirigersi verso la finestra aperta, inspirando l’aria della sera.
I suoi capelli furono catturati da un lieve venticello caldo che si introdusse furtivamente nella stanza, giocando con le sue ciocche scompigliate, accarezzandole il viso. Ran sorrise, beandosi il breve momento di pace. Poi, riaprì gli occhi, e il suo sorriso svanì.
“Grazie” sussurrò Shinichi, avvicinandosi a lei, porgendo a sua volta lo sguardo verso la sera che incalzava nel cielo.
Ran spostò lo sguardo interrogativo sul giovane, spostandosi una ciocca dal viso. “Per cosa mi ringrazi?” gli domandò curiosa.
Shinichi si sforzò di non guardarla negli occhi. Se l’avesse fatto, non era certo di saper resistere e di non baciarla. Le labbra di lei erano così vicine alle sue, a pochi centimetri dal suo viso, e sapeva che, se si fosse azzardato a lasciarsi andare all’irrazionalità, avrebbe rovinato tutto.
Lei stava assieme a Shun. Se l’avesse baciata... l’avrebbe allontanata da lui. Perché complicare le cose? Doveva lasciarla perdere, come aveva detto Hattori.
Shinichi sospirò, chiudendo gli occhi per non farsi tentare dal suo volto. Sentiva il fianco di lei sfregare occasionalmente contro il suo, e fu felice che Ran non si ritirasse al contatto. La sentiva leggermente più rilassata, mentre lui era rigido come non era mai stato in vita sua. La voleva ancora più vicina, ma allo stesso tempo lontana da lui.
Era una strana sensazione, e se ne sentì un po’ turbato. Non gli era mai capitato, prima di allora, di provare una sensazione tanto antitetica per una ragazza. Non sapeva bene come muoversi, ma alla fine sapeva che avrebbe scelto la via meno rischiosa e più difficile. Si sarebbe trattenuto, e l’avrebbe lasciata indietro. Anzi, lui sarebbe rimasto indietro, mentre lei... lei sarebbe andata avanti.
Con Shun.
“Grazie... per l’invito a cena” mentì su due piedi il ragazzo, abbozzando un sorriso timido, ma che risultò più come una smorfia. I suoi muscoli facciali non volevano proprio contrarsi in un’espressione felice. Non ci riuscivano, si erano distorti un secondo dopo il tentativo.
Ran rise delicatamente, facendo riaprire gli occhi a Shinichi, e richiamandoli involontariamente sui suoi.
 “Che c’è?” chiese Shinichi, facendo un passo indietro. Mise tra lui e Ran una certa distanza fisica, anche se per quella mentale ci sarebbe voluto molto più tempo.
 “Nulla. Mi è solo tornata in mente... la tua faccia di ieri” spiegò la ragazza, cominciando a venire contro l’idea di Shinichi di scostarsi da lei. Fece un passo avanti, riposizionandosi al suo fianco e tornando a guardare fuori dalla finestra.
“Quale?”
“Quando hai sputato il tè nella tazza” ammise Ran, posando una mano davanti alla bocca per non ridere troppo esplicitamente.
Shinichi scrollò il capo, dando le spalle alla cittadina di fuori e appoggiandosi al  bordo della finestra. Guardò il volto della ragazza, e si sentì l’uomo più felice sulla faccia della terra. Lei stava sorridendo, ed era bellissima. Era stato lui, in qualche modo, l’artefice di quel sorriso, e non poté fare a meno di sentirsi soddisfatto.
A Shinichi cadde l’occhio verso l’uscio della cucina, da dove si era appena ritirata quella che gli sembrava la sagoma di una testa scura. Il volto di Heiji ricomparve qualche secondo dopo, facendo incrociare il suo sguardo con quello dell’amico.
Shinichi lo scacciò articolando alcune parole con le labbra, mentre Heiji lo fissava in cagnesco, ma allo stesso tempo divertito.
Ran si voltò a sua volta, mancando per un soffio lo sguardo di Heiji, per poi tornare a guardare Shinichi un attimo spaesata.
Dalla porta d’ingresso si sentì la chiave girare nella serratura, e a quel rumore Ran si ridestò. Drizzò la schiena e fece qualche passo verso l’ingresso, come in trans, dimenticandosi della presenza di Shinichi.
Fu come una pugnalata in pieno petto, per Shinichi. Vedere il suo volto oscurarsi un pochino dal sorriso che ne aveva preso possesso fino ad un attimo prima, vedere la sua chioma voltarsi e mostrarsi a lui, nascondendole lo sguardo, vedere le sue gambe che automaticamente si stavano dirigendo verso l’entrata dell’appartamento.
Shun apparve da dietro l’angolo, tenendo una confezione di bibite per mano, il volto leggermente accaldato.
“Ti do una mano” gli disse Ran, premurosa, alleviandolo dal peso di una confezione. Shun si cacciò in tasca il mazzo di chiavi e appoggiò il braccio sulle spalle della ragazza, avviandosi con lei verso la cucina.
Prima di scomparire nella stanza, Shun lanciò un’occhiata a Shinichi, appoggiato scompostamente alla finestra, lo sguardo fermo e impassibile su di loro.
Shun sorrise appena, facendo un cenno del capo verso Shinichi.
Il ragazzo lo accolse come una sfida.
 
“Io ho Ran, e tu?”
 
 
Kazuha abbassò il fuoco del fornello e recuperò un cucchiaio di legno. “Quando l’acqua è in ebollizione, immergi le uova nel pentolino. Ma solo quando l’acqua sta bollendo, mi raccomando!” si premurò di precisare, facendo sventolare pericolosamente il cucchiaio in aria.
Heiji lo schivò per puro miracolo, facendosi di lato per paura che la ragazza lo centrasse in pieno all’improvviso.
Kazuha adagiò sul cucchiaio un uovo alla volta e li immerse delicatamente nel pentolino che borbottava sul fornello, facendo attenzione a non far crepare il guscio prima del tempo.
“Davvero non hai mai mangiato le uova sode?” domandò Kazuha voltandosi verso di lui.
Heiji scosse la testa, leggermente nervoso. “No, mai!” rispose cominciando a sentire caldo. Kazuha lo fissò interrogativa, facendo nascere una lieve ruga in mezzo alle sue sopracciglia, per poi distenderla quasi subito.
Batté le mani allegramente, facendo spargere tutt’attorno le goccioline d’acqua bollente che erano rimaste sul cucchiaio che teneva ancora tra le mani, riversandole in gran parte addosso ad Heiji.
“Adesso che hai capito come funziona il procedimento, potrai farle ogni volta che vorrai. Non è difficile!” esclamò lei allegramente, ricevendo un sorrisetto tirato da parte di Heiji.
A lui, di come si preparassero le uova sode, non importava un bel niente. E poi non era nemmeno vero che non le avesse mai assaggiate.
Era stata tutta una scusa per stare un po’ vicino a Kazuha, mentre si dilettava in cucina per preparare qualcosa da aggiungere al menù della cena. Vederla gironzolare per la cucina era qualcosa a cui non era abituato, ma che allo stesso tempo gli faceva piacere. Era un nuovo modo di vedere Kazuha, e questo lo incuriosiva molto. Non si era allontanato dalla sala da pranzo solo perché si era infastidito delle rise di Ran e Shinichi, e nemmeno per lasciare quei due da soli. Permettere a Shinichi di rimanere assieme a Ran era una mossa azzardata – e lo sguardo che gli aveva rivolto qualche minuto addietro mentre si nascondeva dietro alla porta sperò che fosse risultato minaccioso –, ma le sue gambe si erano mosse ancora prima di elaborare la cosa.
Il suo cervello aveva comandato loro di seguire Kazuha, e queste avevano obbedito.
Ora, ritrovarsi nella stessa piccola stanza insieme a lei gli sembrava come un miracolo. Erano state rarissime le volte in cui le si era avvicinato, in quell’ultimo anno, ed in quel momento non si capacitava di come ci fosse finalmente riuscito.
Kazuha era proprio a pochi passi da lui, intenta a parlare ancora di uova, ma la sua voce non riusciva ad entrargli nelle orecchie. Non riusciva a seguire quello che diceva, preso com’era dal contemplarla in silenzio: una sua mano stava giocherellando con una ciocca di capelli, mentre l’altra era abbracciata alla sua vita; i suoi occhi erano fissi sul soffitto, corrugati mentre cercavano di ricordare qualcosa; le gote arrossate che contrastavano con la sua pelle chiarissima avevano lo stesso colore delle mele mature, e sembravano dolci come il loro sapore; la maglietta, leggermente rialzata, lasciava intravedere un lembo di pelle del suo fianco...
Heiji sarebbe rimasto per ore a fissarla, senza doversi curare di ciò che lo circondava. Era una visione che sapeva riempirti l’anima, e sentiva che non ne aveva mai abbastanza.
Gli tornò alla mente la prima volta che l’aveva vista, e sorrise inconsciamente. L’aveva incontrata per caso nella palestra della scuola; si era soffermato qualche minuto in più, dopo i suoi allenamenti giornalieri di kendo, quando l’aveva vista entrare nel piccolo dojo alla velocità della luce. Si era dimenticata nello spogliatoio la sciarpa, presa com’era dalla foga per tornare a casa dopo il suo lungo allenamento, ed aveva incrociato a metà strada lo sguardo stupito di Heiji.
Erano rimasti entrambi immobili a fissarsi, quando la ragazza gli aveva sorriso e gli aveva spiegato di essersi scordata un indumento nello spogliatoio.
Erano bastate delle poche e semplicissime parole, per far cadere Heiji nella sua invisibile tela. Non era stato in grado di staccare il suo sguardo dagli occhi maledettamente verdi di quella ragazza, dal suo sorriso genuino e dal suo viso fresco e solare.
Da quel giorno imparò ad osservarla solo da lontano, scambiando con lei pochissime chiacchiere in quegli ultimi mesi di liceo. Andava a vederla in tutte le gare scolastiche cui partecipava, tifando segretamente per lei, esultando dentro di sé ogniqualvolta portasse a casa una vittoria. Quando venne a sapere da alcuni amici in comune che si sarebbe trasferita dopo il diploma a Tokyo per continuare gli studi, il suo istinto aveva avuto la meglio. Non voleva lasciarsela sfuggire, non voleva perderla di vista. Vedere Kazuha ogni giorno, a scuola, era stato per lui un motivo di equilibrio. Sapeva che era lì, che era presente, e lui si sentiva bene anche se non riusciva ad avvicinarla in nessuna maniera. Si era deciso a partire anche lui per la capitale, mandando a monte i progetti e le ambizioni che aveva sempre sognato di concretizzare una volta uscito dal mondo del liceo.  Era convinto di riuscire ad avvicinarla di nuovo, di riuscire ad avere un contatto con lei. Poteva benissimo continuare la sua strada per diventare un famoso e rinomato detective anche a Tokyo, sapeva che ne avrebbe avuto la possibilità. E, nello stesso tempo, avrebbe avuto Kazuha accanto, ma non vicino, a sé. Ma, da un anno a quella parte, non si era mai fatto avanti.
Aveva continuato a rimanere nell’ombra, nonostante la fortuna avesse girato dalla sua parte più di una volta: Kazuha era diventata l’amica della figlia del suo datore di lavoro. La vedeva molto più spesso di quanto avesse mai immaginato, ma era rimasto schiavo della paura di essere rifiutato.
Ora, di quella paura, era stanco.
Fece un passo avanti, in un gesto brusco, che fece interrompere il dialogo unilaterale a cui si stava dedicando Kazuha.
La ragazza spostò lo sguardo su di lui, sorpresa.
“Heiji..?” iniziò, vedendo sul volto del ragazzo una strana espressione decisa, e, stranamente, troppo seria.
“Kazuha... io...” iniziò con la voce priva di qualsiasi tentennamento. Era quello il momento, era quello giusto! Non ce ne sarebbero stati altri, doveva approfittarne!
Fece un altro passo in avanti, notando che gli occhi della ragazza si spalancarono ancora di più, e che le sue guancie erano ancora più rosse di prima.
“Ma sentiteli!” muggì una voce alle loro spalle. Heiji e Kazuha sussultarono entrambi, voltandosi verso la persona che aveva parlato.
Sonoko se ne stava a braccia incrociate, appoggiata al piccolo tavolino della cucina, completamente ignorata fino a quel momento dagli altri due ragazzi. Aveva un’espressione scocciata, ma mai quanto quella di Heiji. Si era scordato della presenza della giovane ereditiera, ma al pensiero che l’avesse interrotto sul più bello gli fece salire il sangue al cervello, azzerando l’imbarazzo di essersi quasi dichiarato in presenza di un pubblico.
“Stavate davvero parlando delle uova sode?” chiese indagatrice, con un sorriso subdolo sul volto.
Kazuha sussultò per la seconda volta, imprecando gentilmente. “Le uova!” esclamò, spegnendo in fretta il fuoco e preparandosi per estrarre dall’acquea bollente le uova.
Heiji si fece da parte per non essere d’intralcio, sentendo la rabbia montare dentro come un cavallo imbizzarrito.
 
C'ero quasi... mancava così poco!
 
borbottò nella sua mente, mordendosi la lingua per non imprecare ad alta voce.
Sonoko si avvicinò all’amica e studiò sospettosa le uova che erano pronte per essere aperte. “Secondo me sono uova alla coque, ci sono state troppo poco, nell’acqua” sentenziò, provocando un secondo dopo un lamento da parte dell’amica, che le aveva aperte malamente.
“Mmm, cos’è questo profumino?” esordì una nuova voce.
Shun e Ran entrarono nella cucina, quasi abbracciati, portando con loro le bibite che il ragazzo era andato a comperare nel supermercato infondo alla via.
Heiji cercò con lo sguardo il suo amico, ma non lo trovò al seguito della coppia. Uscì dalla cucina, troppo nervoso per rimanerci un solo istante in più, e scorse Shinichi seduto sul suo cuscino, a tavola.
Si lasciò cadere al suo fianco, battendogli una mano sulla schiena. Gli occhi di Shinichi si spostarono rabbuiati sui suoi, altrettanto cupi.
“Amico” iniziò Heiji. “Ma perché dobbiamo essere così... sfortunati?
 
 
Ran si lasciò cadere sul cuscino accanto a quello di Shun, obbligando Sonoko a sedersi sull’altro suo fianco. Non voleva che l’amica ricominciasse a battibeccare con il suo fidanzato, e per questo motivo la voleva a portata di mano, in caso ci fosse stato bisogno di un pizzicotto per farla smettere di straparlare.
Le era passato l’appetito che le era nato non appena Shun le aveva mostrato in cucina le prelibatezze che aveva comperato per loro due, ma prese ugualmente le bacchette e cominciò a giocarci con le mani, mentre il resto dei presenti iniziava a servirsi educatamente. La padrona di casa riusciva a percepire l’aria tesa che regnava fra l’insolito gruppo, ma non riusciva proprio a pensare ad una conversazione che riuscisse a distendere i nervi e a far cominciare la serata con una nota positiva.
Sonoko le servì nel piatto un paio di polpette di carne, senza togliere lo sguardo dai due nuovi ragazzi che le sedevano di fronte. Sembrava studiarli attentamente, e Ran si stupì di quello sguardo un po’ troppo serioso per la sua amica.
Fece finta di voler recuperare la salsa di soia e si allungò verso di lei, avvicinandole noncurante le labbra al suo viso. “Che hai in mente?” le sussurrò concitatamente.
Sonoko inarcò le sopracciglia, negando malamente di avere una sorta di piano in testa. Si rese conto dello sguardo insistente di Ran, e si lasciò andare ad un sospiro silenzioso.
“Un-bel-niente” scandì allegra, facendo però capire tutto il contrario.
Ran la guardò male, avvicinandosi ancora di più. “Ti conosco, Sonoko. Perché li hai invitati?” le domandò piano, e vide il volto dell’amica illuminarsi.
Sonoko si mise a sghignazzare sottovoce, mettendosi una mano davanti alla bocca e fissando gli occhi della sua amica con un’aria divertita.
“Che c’è, Ran? Non avrei dovuto? E perché?” fece sorniona. “Per... quel Kudo?”.
Le guancie di Ran avvamparono per la rabbia, e batté inconsciamente la mano sul tavolo, facendo tintinnare i bicchieri.
“Ma che vai dicendo!” le sbottò contro, ricevendo in risposta uno sguardo più che soddisfatto. Sembrava che Sonoko si aspettasse proprio quella reazione da parte sua.
“Sembrate conoscervi...” buttò lì la giovane ereditiera.
“Affatto!”
“Io dico di sì...”
Ran gonfiò le guancie, indispettita. “Ti dico di no”.
Sonoko sventolò una mano, con fare noncurante. Prese il suo bicchiere e si mise a sorseggiare la sua bibita gassata, con le sopracciglia sempre ben inarcate e lo sguardo sulla sua amica.
Poggiò il bicchiere accanto alla mano di Ran e le sorrise. “L’ho fatto per quell’Hattori... sbava dietro a Kazuha” disse schietta, facendo avvampare per la seconda volta Ran.
Come aveva fatto a capirlo? Sperava di non essersi fatta sfuggire nessuna frase di troppo, aveva promesso ad Heiji che non avrebbe rivelato a nessuno la vera motivazione per cui era giunto fino a Tokyo!
Ma forse non ci voleva una cima, per capire che il ragazzo di Osaka fosse cotto della sua amica. Gli brillavano sempre gli occhi quando la vedeva, ed incominciava ad impappinarsi nel parlare, arte che sapeva ben gestire nella solita vita quotidiana. Forse Sonoko aveva fatto due più due, e l’aveva capito.
Non si spiegava ancora, tuttavia, perché Kazuha non se ne fosse minimamente accorta.
Ran stava per negare l’affermazione di Sonoko, giusto per far valere la parola data ad Heiji, quando una voce al suo fianco la fece rinvenire all’improvviso.
“Ran, la prendi quella salsa di soia o no?”
La ragazza scattò a sedere dritta, rischiando di rovesciare il bicchiere di Sonoko. La voce di Shun l’aveva spaventata, presa com’era dalla conversazione sussurrata con l’amica.
“Oh, emh, no... la vuoi?” balbettò la ragazza, porgendogli la ciotola, per poi tornare ad impugnare le bacchette abbandonate.
Prese a tormentare una polpetta nel suo piatto, sentendo alla sua sinistra Kazuha iniziare una conversazione con Shinichi.
La ragazza sedeva a capotavola, proprio in mezzo tra il ragazzo con gli occhi color oceano e Shun, ignara del fatto che tra i due scorresse una sorta di strana atmosfera.
Ran sbirciò Shinichi, notando che stava cominciando a rispondere ed intrattenersi con la sua amica, con un fare amichevole davvero invitante. Le parole uscivano dalle sue labbra con una melodia piacevole all’udito, sembrava che parlare con una sconosciuta non lo disturbasse affatto, anzi. Sembrava interessato alla chiacchierata, nella quale ben presto si inserì anche Shun.
“Io e Ran ci siamo stati il Natale scorso. È una cittadina bellissima. Non è vero, Ran?” chiese conferma Shun, con un sorriso acceso solo per la ragazza.
Ran sobbalzò, cercando freneticamente nella memoria il posto a cui si stava riferendo il ragazzo. Durante il periodo natalizio avevano girato parecchie città, prendendosi qualche giorno di riposo e di relax solo per loro due. Ora, a quale dei tanti posti si stava riferendo?
“Oh!” disse annuendo con finta disinvoltura. “Già... molto carino” aggiunse tiratamente, sperando di non insospettire i presenti.
“Ma come? Non avevi detto che ad Okkaido avevate dormito in una pensione orrenda?” si intromise Sonoko, innocente.
Ran si voltò, capendo finalmente a quale cittadina faceva riferimento il discorso dei tre ragazzi. Fulminò Sonoko con lo sguardo, ricordando che Shun aveva trovato particolarmente accogliente la baracca in cui l’aveva costretta a dormire per due notti di fila.
“Che dici?!” saltò su, irata.
Sonoko si strinse nelle spalle, scuotendo la testa in segno di negazione. “Mi sono sbagliata, scusa” disse non troppo pentita, e riprese a mangiare in silenzio.
Shun abbassò il capo sul suo piatto, leggermente più rabbuiato di prima, e Ran sentì una morsa al cuore. Gli dispiaceva averlo in qualche modo ferito. A lei non importava certo dove avevano dormito quelle due notti!
Erano stati bene, insieme, aveva solamente riferito alle amiche la scomodità delle camere e la poca cortesia del personale, ma non ne aveva mai fatto un dramma. E non aveva mai detto che quella locanda fosse orrenda! Quello l’aveva aggiunto Sonoko.
Shinichi, per interrompere il silenzio che era nuovamente calato in sala, tirò una gomitata ad Heiji e lo spronò a parlare. “Ehi, noi ci siamo stati, vero? Tre mesi fa, a risolvere un caso...”.
Heiji annuì, con fare annoiato. “Sì, il delitto Hikomochi... avevi bisogno del mio aiuto, da solo non avresti mai capito chi fosse il colpevole...”
Shinichi serrò le labbra, riducendo gli occhi a fessura. Ran nascose goffamente una risatina. Le era sembrato molto buffo, con quell’espressione sul volto.
“Sei anche tu un detective?” si intromise curiosamente Kazuha.
Shinichi si voltò verso di lei, permettendosi di ammiccare nella sua direzione. Se Heiji fosse stato seduto dove si trovava Ran, l’occhiolino del suo amico non gli sarebbe sfuggito...
“Sì, esatto. Do una mano alla polizia quando serve” cominciò pomposamente. “E anche a questo qui, che crede di venire dall’Ovest senza chiedere il permesso..!”.
“Cosa hai detto?!” domandò Heiji, scuro in volto, prendendo la testa di Shinichi, iniziando a scompigliargli i capelli con una risata non molto tranquilla.
Shinichi allontanò la mano dell’amico, fintamente infastidito, contagiando nella sua successiva risata tutti i presenti. Riprese le bacchette in mano, servendosi di altro riso, e ricominciò ad ascoltare Kazuha parlare.
Ran cercò di distrarre il suo sguardo dal volto del ragazzo, dedicandosi al cibo che aveva nel piatto. Aveva ignorato deliberatamente Shinichi da quando erano saliti nel suo appartamento, per evitare di far cadere Shun in considerazioni sbagliate.
E poi... non si sentiva ancora pronta a reggere il suo sguardo penetrante per più di un minuto senza far crollare le sue difese. Sperava solo che non se la fosse presa. Non voleva dargli – per la seconda volta – un’idea sbagliata di come lei fosse.
Anche se, le ricordava una vocina da dentro, di come fosse, non lo sapeva nemmeno lei stessa.
“E tu, Shun?” domandò all’improvviso la voce di Shinichi, facendo scattare il volto di Ran. “Che lavoro fai?”.
Sembrava una semplicissima domanda di cortesia, ma a Ran non sfuggì l’occhiata attenta e enigmatica di Shinichi.
Shun finì di masticare la sua polpetta e mando giù con tutta calma, stringendosi nelle spalle. “Sono il coach della squadra di pallacanestro del mio vecchio liceo” rispose tranquillamente, servendosi dell’acqua nel bicchiere. Si voltò verso Ran e le domandò senza aprire bocca se volesse a sua volta bere, pensando che la conversazione con Shinichi fosse terminata.
Ma il ragazzo non la pensava così.
“Davvero? Sei molto giovane...” cominciò Shinichi, interrotto dalla voce di Shun, leggermente meno calorosa del solito. “Ed anche molto bravo”.
La sua frase stupì i presenti che lo conoscevano, consci del fatto che il ragazzo non amasse lodarsi molto spesso. Sonoko, al fianco di Ran, lasciò trapelare un verso di scherno, ma l’amica non se ne curò.
Ran aveva gli occhi fissi sui due ragazzi, che sedevano l’uno di fronte all’altro, senza osar pronunciare parola. Era attentissima, non voleva lasciarsi sfuggire una sola loro parola. Shun aveva chiaramente accolto l’interessamento di Shinichi come una sfida, e sembrava aver fiutato che tra lui e la sua ragazza ci fosse qualcosa di cui non era a conoscenza.
Ran capì immediatamente che Shun era diventato geloso. Lo conosceva fin troppo bene e, quando assumeva quell’espressione tesa e serrava la mascella a quel modo, non c’erano parole che lo persuadessero dalla sua idea.
“Non ho detto il contrario” specificò Shinichi qualche istante dopo, con un sorriso sincero. Voltò i suoi occhi su Ran, che permise ai suoi di incontrarsi con quell'oceano per la prima volta da quando si erano seduti a tavola.
La ragazza sorrise senza accorgersene, notando che il volto di Shinichi non tardò ad illuminarsi a sua volta. Si erano conosciuti solamente il giorno prima, ma a Ran sembravano passati secoli. Le sembrava che quello seduto dall’altra parte del tavolo fosse un suo vecchio amico, rincontrato dopo parecchio tempo. Si sentiva stranamente a suo agio, guardando il suo volto. Non aveva più il timore che lui riuscisse a guardarla dentro. Si sentiva più leggera.
L’agitazione per averlo nella stessa stanza, assieme a Shun, svanì immediatamente. Quel ragazzo aveva un potere su di lei che neanche si immaginava.
Shun si accorse di quegli sguardi di troppo, e prese la mano della ragazza nella sua, avvicinandola con poca delicatezza a lui. Le circondò la vita con il braccio, voltando il viso verso Shinichi.
“Com’è che vi conoscete? Ran non mi ha mai parlato di te...” chiese, la voce disinvolta e limpida. Sapeva nascondere bene l’eccessiva curiosità che covava dentro, e solo Ran riusciva a percepirla.
La ragazza sbarrò gli occhi a Shinichi, cercando di fargli capire di non provar ad accennare del loro incontro al bar del giorno prima, mentre allo stesso tempo cercava di scostarsi dal tocco del suo fidanzato. Odiava quel suo comportamento sempre troppo eccessivo. Lei lo amava, e questo doveva bastargli.
Shinichi non la stava nemmeno guardando, ma sembrò capirlo lo stesso. Scosse la testa con fare indifferente, e fece per aprire bocca e parlare, quando la voce di Sonoko lo anticipò.
“Kudo mi ha aiutato una volta con la fotocopiatrice inceppata dell’università. Abbiamo scambiato solo quattro chiacchiere, poi è arrivata Ran e ce ne siamo andate via” spiegò banalmente.
Ran e Shinichi si voltarono verso la ragazza, leggermente colpiti dalla sua prontezza.
Ran si limitò ad annuire, mentre Shinichi trattenne una risatina. “Sì, la stavi per rompere” disse con voce leggermente più acuta, senza però destare l’attenzione di Shun.
“Ah” borbottò il ragazzo, allentando la presa sui fianchi di Ran.
Sonoko si alzò in piedi, sgranchendo le gambe. Cominciò a radunare alcuni piatti vuoti sul vassoio abbandonato sul tavolo, e sparì in cucina senza aggiungere altro.
Kazuha la imitò a sua volta, senza nascondere un certo nervosismo. Aveva sicuramente percepito la bugia di Sonoko, ed adesso stava guardando Ran con un sorriso tirato. La padrona di casa capì che Kazuha stava cercando di darsi da fare a sua volta per non essere coinvolta nella discussione da Shun, essendo lei una pessima bugiarda.
“Sonoko, ti aiuto io!” disse svelta, acchiappando un paio di piatti e sparendo alla velocità della luce verso la piccola cucina. Heiji la seguì con lo sguardo senza farsi notare, mentre Kazuha procedeva spedita senza dar segno di averlo notato.
Quella serata stava esasperando l’atmosfera tra i presenti. Ran pregò che finisse presto. Voleva andare a dormire, voleva che arrivasse già domani.
Voleva tutti fuori da casa sua.
 
 
“Ran, ti abbiamo disturbata anche troppo” si scusò Kazuha, scendendo per prima l’ultimo scalino dell’ingresso.
La ragazza scosse la testa, abbozzando un sorriso stanco. Era quasi mezzanotte, ed i suoi occhi premevano per riposarsi, mentre il suo cervello era di tutt’altra opinione. Continuava a rimuginare ed elaborare ciò che era successo in quella cena, riportandole alla mente sensazioni, pensieri e frasi che avevano attirato la sua attenzione durante la serata. Non sapeva staccare la spina, non ci riusciva.
Il piccolo gruppo si riunì a cerchio sotto l’agenzia Mouri per gli ultimi saluti. Tutti sembravano leggermente in imbarazzo, tranne Sonoko, che sorrideva bonariamente alle due amiche, come se si sentisse soddisfatta per qualcosa.
“Bè, io e Kazuha andiamo. Domani abbiamo lezione, vero?” disse Sonoko sistemandosi la borsa in spalla, spostando lo sguardo su Shinichi, intento però ad ignorarla.
Kazuha annuì, trattenendo uno sbadiglio. “Basta che non arriviate tardi come è vostro solito” scherzò la ragazza di Osaka, ricevendo una gomitata leggera dalla giovane ereditiera.
Ran si appoggiò stancamente al petto di Shun, chiudendo un istante gli occhi, e ridendo alla battuta successiva che fece in risposta Sonoko.
“Ran? Tutto bene?” domandò Shun all’orecchio della ragazza, facendole riaprire gli occhi.
Ran scrollò le spalle ed annuì prontamente. “Sì, ho solo sonno” ammise sottovoce, per farsi udire solo da lui.
Shun sorrise e la strinse a sé per qualche istante. Le baciò amorevolmente una tempia, scompigliandole i capelli un attimo dopo. “Allora salgo a prendere il casco di sopra e vado anche io” le sussurrò, ricevendo un lamento dalla ragazza come risposta.
Ran intrecciò le sue mani con quelle di Shun, facendo una smorfia contrariata. Si accorse che Shinichi era l’unico del gruppo non concentrato sul monologo che stava declamando Sonoko. Non ne era certissima, ma le era sembrato che i suoi occhi si fossero posati su di lei proprio nel momento in cui aveva preso le mani di Shun nelle sue.
Ora sembrava preso nell’ascolto della sua amica, ma aveva lo sguardo perso nel nulla e rideva alle battute con qualche secondo di ritardo, come se non la stesse davvero seguendo.
“Non ti vuoi fermare un po’?” domandò Ran al suo ragazzo, dando le spalle al piccolo gruppo e abbracciandosi a Shun.
Il ragazzo prese a dondolare sul posto assieme a lei, sorridendo. “Volentieri, ma domani chi ti butta giù dal letto? Non ho intenzione di correre disperatamente per la città con te in moto perché sei in ritardo per la lezione...”.
Ran gli mostrò la linguaccia, separandosi dal fidanzato. “E allora va a prendere quel maledetto casco!” gli disse con un tono fintamente arrabbiato.
Shun le stampò un bacio veloce sulle labbra, poi si voltò e sparì di nuovo su per le scale.
Ran si immise nuovamente nel gruppo, abbracciandosi per il lieve freddo che le era venuto appena si era scostata dal fidanzato.
“È stata una serata inaspettata” buttò lì Shinichi, spostandosi al suo fianco. Ran ispirò rumorosamente, fissando lo sguardo su un punto preciso, ma senza in realtà vederlo. Annuì lentamente, abbozzando un sorriso.
“Diversa dal solito” specificò la ragazza.
“In positivo o in negativo?”
“Tu che dici?”
“In positivo” disse Shinichi dopo un po’, sorridendole.
Ran si convinse a guardarlo negli occhi, e non poté evitare che le sue guancie si imporporassero a causa della visione del suo volto enigmatico.
“Sì, è stata una serata piacevole” mentì Ran. Se solo il ragazzo avesse capito che in realtà Ran non vedeva l’ora che tutto quello finisse, ci sarebbe sicuramente rimasto male. Gli aveva fatto piacere, in fondo in fondo, rivederlo. Ma il contesto era sbagliato.
Dalle scale provennero i passi strascicati di Shun, che stava tornando di sotto. Ran si ridestò, scostandosi nuovamente da Shinichi.
Il ragazzo le afferrò un polso, prima di lasciarla andare per la seconda volta ad accogliere il suo ragazzo.
“Domani hai lezione, giusto?” le chiese di getto.
Ran inarcò le sopracciglia, fissandolo sbigottita e presa in contropiede.
“Hai lezione?” ripeté concitatamente Shinichi.
I passi di Shun erano ancora più vicini. Dopo qualche istante sarebbe stato di nuovo lì con lei.
“Sì, domani mattina” rispose alla fine Ran.
Shinichi le sorrise, lasciando andare la presa dal suo polso. “Ti va se dopo le lezioni mi accompagni in un posto?”.
Si era buttato. E sembrava anche pentito, quando Shun apparve dalle scale e, con il casco sottobraccio, la cercò con lo sguardo. Shinichi abbassò il capo, affondando le mani nelle tasche dei jeans.
“Ti accompagno volentieri”.
Quella semplice frase, sussurrata piano, ebbe il potere di far alzare di scatto il volto di Shinichi.
Ran gli sorrise di nascosto, per poi voltargli le spalle e dirigersi nuovamente verso Shun.
Si era buttata.

 
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Ciao a tutti! ^^
Il quinto capitolo è postato, in tempo, devo dire... ero in alto mare fino a ieri, ma sono riuscita a concluderlo. Avevo tantissime cosa da mettere, ma alla fine ho fatto una selezione, perché non mi ci capivo più io! @.@

In questa settimana non avrò nemmeno un secondo per mettermi giù a scrivere il sesto capitolo, sono piena di interrogazioni e compiti in classe T.T quindi ci rivedremo a marzo iniziato! Ma non vi abbandono, prometto di mettermi giù seriamente appena finita questa settimana! Intanto aspetto le vostre recensioni a questo capitolo..!
 
Passo ai ringraziamenti ^^ :
grazie di cuore alle persone che hanno recensito il quarto capitolo, ovvero:   88roxina94, _Flami_  , Yume98, myellin, withoutrules, Shine_, izumi_ e M e l y C h a n! :)
Grazie anche a _Flami_ e a Yume98 per aver spostato la storia dalle seguite alle preferite! <3
Grazie anche a coloro che leggono solamente..!
Ci vediamo al sesto capitolo!
 
Dony 

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Capitolo 6
*** Chap 6 ***


Hi, nice to meet you!
6.

 
 
“Shinichi?”
La voce le uscì debole, roca, e leggermente imbarazzata. Il ragazzo che aveva di fronte avanzò ancora di un poco, arrivando a sfiorarle la frangetta con il suo caldo respiro. Gli occhi di lui erano limpidi ed eccitati allo stesso tempo, mentre le labbra di lui si trovavano decisamente troppo vicine alle sue.
Ran non spostò lo sguardo dal volto del giovane, deglutendo a fatica. Era sbagliato, era sbagliato. Era terribilmente sbagliato!
“Shinichi... per favore...” bisbigliò, bloccando la frase a metà. Voleva implorarlo di fermarsi, ma così uscita, la frase sembrava più una richiesta di continuazione. Il ragazzo le sfiorò la guancia e lambì le sue labbra con un sospiro intenso, lasciando a Ran un solo istante per realizzare la cosa.
Quando si staccò, gli occhi di Shinichi diventarono neri e il ciuffo ribelle si ordinò sulla fronte. Ran cacciò un urlo, cadendo a terra. Il ragazzo che stava torreggiando su di lei non era Shinichi.
Era il suo fidanzato.
“Lo sapevo” disse soltanto, la voce atona. “Lo sapevo, che lo desideravi”.
 
Ran si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore. Strinse convulsamente le lenzuola nel pugno della mano e fece scorrere freneticamente gli occhi attorno a sé, riconoscendo la sua camera da letto.
Si passò una mano tremante tra i capelli, sentendo il cuore tornare al suo battito regolare con non poca difficoltà. Realizzò con calma che quello che aveva appena vissuto era stato soltanto un sogno, e che non era mai accaduto nella realtà. Stranamente, non si sentì molto rincuorata.
Quello, era stato decisamente il peggior incubo che avesse mai avuto da vent’anni a quella parte. E, da un anno e mezzo a quella parte, non aveva mai sognato di tradire Shun.
Ran si alzò di scatto dal letto e si tolse svelta il pigiama, recuperando della biancheria pulita per un bagno refrigerante. Prima di uscire dalla stanza gettò lo sguardo sulla sveglia sul suo comodino, e constatò che aveva poco più di un’ora di tempo prima di correre all’università.
Anche quel giorno aveva poltrito fino a tardi, e la cosa la irritò parecchio. Corse velocemente nel piccolo bagno del suo appartamento e chiuse a chiave la porta per evitare che suo padre potesse entrarvi senza bussare, anche se probabilmente si trovava di sotto, al lavoro.
Aprì l’acqua della vasca da bagno e la fece scorrere fredda, mentre rapida afferrava il cellulare e lo accendeva impaziente.
Quando notò che sullo schermo stava lampeggiando una bustina bianca, si affrettò per andare a vedere di chi si trattasse. Sapeva perfettamente che non poteva trattarsi di Shinichi, non gli aveva dato il suo numero. Lei voleva che quel messaggio fosse di Shun. Voleva che con quel messaggio la confusione nella sua testa cessasse, tornando al suo ordine naturale.
Ma allo stesso tempo, una parte di lei premeva per desideri ben diversi.
Quando lesse il destinatario, non avvertì alcun tipo di sollievo nel constatare che si trattasse di Shun. Quasi se lo immaginava, sdraiato sul letto del suo appartamento, ancora mezzo addormentato. Il suo primo pensiero andava sempre a lei, e puntualmente le inviava il buongiorno. E lei? Lei che faceva? Lei, come primo pensiero, aveva l’immagine delle labbra di Shinichi sulle sue.
 
Buongiorno amore.
Ti ho sognata, stanotte. Peccato che non sei qui con me, stamattina.
Ti auguro buona giornata, ci sentiamo dopo!
Ti amo.

 
Ran scoppiò in una risatina isterica, mollando il cellulare malandato nel lavandino. Cos’era, questa ironia? Tutti facevano sogni su tutti?
Con la coda dell’occhio, Ran rilesse l’ultima frase.
Ti amo.
Da quanto tempo non glielo diceva? Lo pensava, era convinta di amarlo, ma... non glielo ripeteva più con la stessa intensità di quando si erano appena messi insieme. Glielo scriveva per messaggio, perché era molto più facile da esternare.
Ma se glielo avesse detto a voce?
Ran si schiarì la gola, immaginando davanti a sé il volto del fidanzato. Aprì le labbra, poi le serrò. Le aprì di nuovo, iniziando a mormorare. “Io... io... ti... a...”.
Ran scosse la testa e si accucciò, sentendosi ridicola e svuotata. L’acqua della vasca scorreva indisturbata, arrivando quasi a sfiorare il bordo. Quanto ci avrebbe messo per fuoriuscire? Quanto ci sarebbe voluto per riuscire ad arginarla?
E se fosse straripata? Sarebbe riuscita a rimettere tutto apposto? Avrebbe asciugato via tutto, come se nulla fosse successo?
Sulle palpebre calate di Ran apparve il sorriso di Shinichi, e la ragazza perse un battito.
Non c’era più il ricordo del sogno, nella sua testa, ma solo la risata allegra del ragazzo e la sua proposta di uscire fatta la sera prima.
Ran si alzò in piedi e spense il rubinetto dell’acqua. Era arrivata al limite, ma non ne era uscita nemmeno una goccia. Era solo della semplice acqua, quante possibilità aveva di fare quel che voleva e sfuggire dal controllo di Ran?
Nessuna.
La ragazza si immerse nell’acqua gelida, sentendo subito la temperatura del suo corpo calare. Si lasciò scivolare, fino ad immergere il volto sotto il pelo dell’acqua.
Una giornata impegnativa le si stava per aprire davanti.
 
 
Ascoltare il professore spiegare era troppo difficile per Sonoko. Non riusciva a seguirlo. Non lo capiva.
Non lo voleva capire.
Il suo pensiero era distratto, i suoi occhi disattenti. Continuava a far guizzare la sua mente su Shinichi, il ragazzo della serata precedente, incuriosita. Ran le aveva rivelato quella stessa mattina, mentre salivano le scale dell’Ateneo, che l’aveva invitata ad uscire con lui.
Non era propriamente esatto dire che era un appuntamento, Ran ci aveva tenuto a sottolinearlo. Era una specie di incontro con un amico, aveva detto. Ma a Sonoko, al solo pensiero, quella spiegazione le faceva sorgere una smorfia sul volto.
Amico... l’aveva conosciuto a malapena due giorni prima, considerarlo già tale a Sonoko suonava strano. La giovane ereditiera era una ragazza socievole con chi gli andava a genio, ma allo stesso tempo di veri amici ne aveva pochi, e prima di considerarli tali passava del tempo. Esclusa Kazuha, ovviamente. Con lei, era stato amore  a prima vista, proprio come con Ran.
 
Perché ha accettato?
 
non poté fare a meno di pensare Sonoko per l’ennesima volta. Perché sentiva che era stata la cosa più giusta da fare, ma anche la più sbagliata? Non si trattava solo per Shun, no... a lei, di quel bell’imbusto non poteva fregare di meno. Ormai sapeva benissimo che Ran era a conoscenza della sua poca simpatia nei confronti del suo fidanzato, nonostante quest’ultimo sembrasse non badarvi. La sera prima aveva visto Ran sorridere a Shinichi. E lei stessa si era sentita serena non appena aveva visto le labbra dell’amica incurvarsi.
Non le succedeva, quando vedeva Ran assieme a Shun. Non si sentiva tranquilla quando li vedeva abbracciati, quando li vedeva baciarsi. Lei non gli sorrideva veramente.
Sonoko si grattò la testa, frastornata dai pensieri. Prese a muovere nervosamente il piede destro, mangiucchiando la punta della sua penna. Il suo sguardo si spostò sulla classe, silenziosamente attenta attorno a lei. Il professore spiegava con la sua solita voce soporifera, ma nessuno si perdeva una sola parola. L’esame era vicino, bisognava stare attenti.
Quello non era il momento per distrarsi. La ragazza si lasciò andare ad un sospiro, spostando lo sguardo su Ran, al suo fianco. Aveva il volto rilassato, insolitamente disteso, le guancie rosee, e sembrava che nessuna preoccupazione in quel momento la stesse tormentando. Sonoko sapeva che tante volte la sua amica non si lasciava andare e non confidava ciò che aveva veramente nella testa, ma se a lei andava bene così non l’avrebbe costretta ad aprirsi. Ma in quel preciso momento sembrava rilassata sul serio, diversamente da come l’aveva vista la mattina stessa. E la invidiò.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per sconnettere il cervello una volta per tutte e lasciarsi andare, vivere ed accettare quello che veniva, senza porsi mille domande, dubbi e preoccupazioni inutili.
Ran accavallò le gambe e fece scrocchiare leggermente le ossa del collo intorpidite, poi afferrò un evidenziatore dall’astuccio ed iniziò a sottolineare sul volume di tedesco ciò che il professore spiegava, come una brava studentessa modello. La invidiò anche per quello. Lei non era il genio che era Ran, lei non era intelligente quanto Kazuha. Ma poco le importava. La sua strada sarebbe arrivata lo stesso prima o poi. Se lo sentiva. Non voleva mettersi alcuna fretta, e poi... era sempre in tempo per cambiare facoltà una volta arrivata l’illuminazione. Sapeva fin dal principio che le Lingue Straniere non l’avrebbero mai portata da nessuna parte. Non aveva un obiettivo da portare a termine, in quell’università.
Ma, per il momento, era assieme alle sue amiche. E questo la confortava e la faceva sentire meno inutile, e meno sola.
“Secondo te mette anche questo argomento, nelle domande d’esame?” sentì domandare una voce alla sua sinistra. Sonoko spostò lo sguardo su Kazuha che, nonostante la stesse guardando negli occhi, continuava a scrivere con la mano destra, senza uscire dalle righe del suo quaderno degli appunti.
Kazuha era un mostro di intelligenza, un pozzo senza fondo di conoscenza, ma... Sonoko si teneva stretta la sua beata ignoranza, sentendosi più umana rispetto all’amica in situazioni scolastiche. Le faceva un po’ paura, alle volte.
Le sorrise, senza riuscire a togliere gli occhi dalla sua mano rapida. “Spero di no” si limitò a rispondere, sentendo poi la sua amica sospirare dubbiosamente.
“Lo spero anche io. Insomma, non abbiamo mai affrontato questo periodo letterario prima di oggi. Sarebbe proprio sfortuna!” si lamentò Kazuha, scrollando il capo e tornando con gli occhi sulla pagina.
Sonoko le si appoggiò alla spalla, godendosi la sensazione di calore che emanava il corpo della sua amica. Ogni tanto era vittima di quelle debolezze anche lei. Ogni tanto le faceva bene sentire che le persone che aveva vicino ci fossero. “Poi andiamo a prenderci un gelato finita la lezione? Ran non viene”.
Kazuha annuì distrattamente, distogliendo l’attenzione dal professore solo dopo che le parole pronunciate da Sonoko furono elaborate con la dovuta calma. Si voltò e scrutò silenziosamente Ran, che non le aveva nemmeno ascoltate nel loro breve scambio di battute. “Perché, dove va?”.
Sonoko si mosse sulla sedia, trattenendo una risata liberatoria. “In giro. Con Shinichi”.
Bastarono quelle parole  ed uno scambio di sguardi tra le due amiche per capire al volo la situazione.
 
 
Shinichi era fermo immobile davanti all’ingresso dell’università da almeno venti minuti. La sera prima, era riuscito a domandare di sfuggita a Ran l’orario di fine lezione prima di rientrare a casa, per evitare di arrivare in ritardo o troppo in anticipo, ma quel giorno non era riuscito a starsene buono buono a casa, ed era corso all’Ateneo decisamente in anticipo.
Ran sarebbe uscita di lì a un quarto d’ora, e per il momento non trovava niente di meglio da fare che sostare al cancello, dove lei lo aveva aspettato due giorni prima, sotto il sole cocente di inizio pomeriggio.
Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, nervoso. Stava cominciando a sentire davvero caldo, ma le sue gambe non riuscivano a spostarsi verso un riparo ombroso. Si erano radicate lì, non volevano muoversi di un centimetro. Non volevano perdersi l’uscita di Ran.
 
Accidenti a me..!
 
pensò il ragazzo per la centesima volta di quella giornata. Si era ficcato in un bel casino, invitando Ran ad uscire con lui. La sera precedente, era stato un impulsivo. Avrebbe dovuto mordersi la lingua, stare zitto e limitarsi a guardarla. Ma, non appena pensava ciò, sentiva che comunque, alla fine di tutto, la scelta di buttarsi gli aveva fatto bene.
Al diavolo tutto il resto, la sua voglia di stare con Ran era troppo forte. E ne era in parte un po’ spaventato. La conosceva da appena due giorni, ed avevano condiviso insieme pochissimo tempo. Cosa avevano in comune? Cosa potevano condividere? Non lo sapeva, e ciò andava a fortificare quella parte di sé che credeva che avvicinarsi a quella ragazza fosse stata una cosa sbagliata. Ma, dall’altra parte, la voleva scoprire.
Solo che, forse, prima di chiedere ad una persona di accompagnarlo in un posto, doveva almeno sapere dove andare! Glielo aveva chiesto perché lei stava per tornare da Shun, e ne era stato dannatamente geloso. Gli aveva quasi voltando le spalle per la seconda volta di quella sera, e Shinichi aveva voluto fare qualcosa per riprendere la sua attenzione, per riprenderla a sé. E la domanda, era nata di conseguenza.
Quando le aveva afferrato il polso, stringendolo nella sua mano, aveva sentito la pelle di lei gelata contro la sua, bollente. Era stata una sensazione piacevole, a cui aveva ripensato durante tutto il tragitto del suo solitario ritorno. Ed ora, voleva assolutamente riprovare tutto ciò. Voleva risentire la sua pelle, toccarla, accarezzarla. Anche se tutto questo poteva suonare sbagliato.
Shinichi si lasciò andare ad un sospiro, sciogliendo le rigide braccia incrociate ed affondando le mani nelle tasche dei jeans. Sentiva la saliva nella bocca farsi sempre meno presente, e la cosa gli provocava anche una certa nausea. Non era mai stato così agitato in tutta la sua vita, e non riusciva proprio a capire come potesse avvenire in quel momento, con una ragazza che nemmeno conosceva. I suoi occhi scorsero svogliatamente l’ingresso dell’università, dove alcuni studenti avevano cominciato a riversarsi fuori. Erano tutti stanchi ed accaldati, che tenevano stretti i loro volumi universitari. Alcuni chiacchieravano con gli amici, altri si accendevano una sigaretta in solitaria, ed altri si affrettavano a recuperare i loro mezzi di trasporto parcheggiati nel cortile.
Non si era accorto che una ragazza stava procedendo verso di lui, gli occhi fissi nei suoi. Indossava un paio di pantaloncini rossi e una camicetta aderente, ai piedi un paio di scarpe da tennis. Aveva i capelli lunghi sciolti sulle spalle, nonostante il caldo torrido di quella giornata.
Il particolare più importante era un altro, però. Stava sorridendo. Stava sorridendo a lui.
Era Ran.
La ragazza si fermò a pochi passi da lui, sembrava nervosa a sua volta. Le sue amiche non c’erano, e Shinichi ne fu in parte sollevato. Non voleva di certo incappare negli sguardi demoniaci di quella Sonoko.
“Era da tanto che aspettavi?” domandò delicatamente, la voce leggermente più alta del normale. “Scusa, il professore si è dilungato un po’ troppo...”
Shinichi scosse con vigore la testa, sentendo il caldo aumentare. Con un gesto noncurante si allentò un bottone della camicia chiara, sentendosi soffocare. “No, no. Sono appena arrivato” mentì con un sorriso tirato.
“Oh. Bene” si limitò a dire Ran, abbracciandosi e spostando lo sguardo un po’ troppo a destra rispetto al volto di Shinichi.
Diavolo!, pensò il ragazzo, si sta pentendo di avermi detto di sì!
Shinichi avvertì l’aria tra i due farsi ancora più gelida nonostante l’afa circostante, e annaspò alla ricerca di qualcosa da dire per interrompere quel momento decisamente imbarazzante. Era stato lui ad invitarla, avrebbe dovuto farsi avanti e parlare! Ma la sua mente non era mai stata così vuota.
Dov’era finita la sua classica faccia da poker?
“Allora?” chiese Ran, mordendosi un labbro. Anche lei cominciò a spostare il peso del corpo da un piede all’altro, proprio come aveva fatto Shinichi prima che lei arrivasse. Era in attesa di una risposta, di uno stimolo, ma da Shinichi ricevette solo uno sguardo vuoto. “Dove ti dovrei accompagnare?”.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, sentendosi improvvisamente stanco e vittima della voglia di girare i tacchi e tornarsene a casa. “Io... in realtà, non lo so” ammise alla fine, alzando gli occhi sulla ragazza. Ran lo stava fissando, curiosa. Gli occhi chiari di lei erano fissi nei suoi, fino a quando si chiusero e dalla ragazza non provenne una lieve risatina frizzante.
“Bene. Adesso che siamo qui, però, qualcosa dobbiamo pur inventarci” buttò lì la ragazza, avvicinandosi e dimezzando la distanza che la separava da lui. Gli sorrise senza la minima traccia di imbarazzo, e Shinichi sentì il suo cuore, e la sua ansia, alleggerirsi notevolmente.
Ran era lì con lui. Che altro voleva?
Le sorrise e le fece cenno di avviarsi per strada. “Ok... allora forse ho in mente un posto dove portarti”.
 
 
Sonoko e Kazuha furono bloccate in mezzo alla folla di passanti del centro città, strizzate come due anguille tra la massa di persone che stava per accingersi ad attraversare la strada.
“Se mi fanno cadere il gelato... giuro che li ammazzo” disse Sonoko a denti stretti, proteggendo il cono che teneva in una mano con il palmo dell’altra, come se fosse stato la fiammella di una candela.
Kazuha ridacchiò sommessamente, ingoiando la sua ultima pallina di gelato nel tempo necessario per attraversare la strada. “Sei troppo lenta a mangiare, Sonoko. Finirà che ti si squaglierà ancora prima che tu possa addentarlo” le disse, gettando la coppetta vuota nell’apposito contenitore per la raccolta urbana.
Sonoko fece per aprire la bocca e ribattere, quando l’uomo molto più alto e largo di lei che le stava davanti si fermò nel bel mezzo del percorso pedonale, all’improvviso, e lei finì per sbattere contro la sua schiena sudata. Il cono si rovesciò per terra, dividendosi a metà, e sporcandole la maglietta nuova di gelato alla nocciola.
Sonoko rimase con gli occhi sbarrati a fissare il suo desiderato gelato andato sprecato per terra, e poi si prese la maglietta per controllare il danno.
“Ma porca..!” imprecò trattenendosi in tempo, mentre Kazuha si avvicinava a lei temendo nella sfuriata della sua amica.
L’uomo a cui era andata a sbattere contro Sonoko si grattò la testa pelata con fastidio, per poi voltarsi e fulminare con gli occhi la povera malcapitata. Era un uomo dall’aspetto rozzo e minaccioso, con la barba trasandata e la maglia pezzata.
Sonoko non si fece intimorire e fece un passo avanti, le mani strette a pugno. “Ma che combini?! Hai visto cosa hai fatto?!”.
L’uomo inclinò la testa di lato, sorridendo malignamente. Si avvicinò al volto di Sonoko e le sfiorò il braccio con una mano, con l’intento di tenerglielo ben stresso. “Io? Colpa mia?” stava chiedendo, quando la ragazza, tremendamente inorridita e spaventata, cacciò un urlo e scivolò lontano dalla sua mano con timore. Si abbracciò convulsamente, iniziando a boccheggiare.
“Hey...” dissero all’unisono Kazuha e l’uomo, sorpresi dalla reazione della ragazza. La prima era preoccupata per l’amica, mentre il secondo aveva capito di averla intimidita un po’ troppo.
“Non mi toccare!” gridò Sonoko, fissando lo sguardo nel nulla e rafforzando la presa sulle sue braccia.
L’uomo, irato per l’attenzione negativa che si era appena guadagnato, fece nuovamente un passo verso la ragazza, la mano levata. La folla attorno a loro si era fermata, cominciando a bisbigliare per cercare di capire cosa fosse successo e se ci fosse bisogno di intervenire.
Un braccio bloccò il gesto dell’uomo, ed un secondo dopo un ragazzo dall’espressione fin troppo seria fece qualche passo avanti per controllare la situazione.
“Amico, ci sono problemi, forse?!” domandò la voce sicura di Heiji Hattori.
L’uomo scansò malamente il braccio del ragazzo di Osaka e grugnì un ‘no’ in risposta. Lanciò un’occhiata sprezzante a Sonoko e a Kazuha, per poi voltare loro le spalle, dileguandosi nella folla prima che la situazione precipitasse. La gente li attorno si soffermò solamente un attimo in più, per poi riprendere la propria strada senza curarsi di ciò che era appena avvenuto.
Kazuha rivolse un veloce sorriso sincero di ringraziamento verso il suo concittadino, per poi avvicinarsi all’amica e posarle una mano sulle spalle, per tranquillizzarla. Sonoko aveva ripreso a respirare normalmente, e la sua presa sulle sue braccia era cessata, ma Kazuha non poté fare a meno di notare quanto stesse ancora tremando sotto la sua mano.
“So-Sonoko..?” mormorò la ragazza.
La giovane ereditiera strizzò gli occhi, imponendosi un sorriso tirato. Alzò lo sguardo sulla sua amica e le batté una mano sulla spalla. “Va tutto bene, tutto bene. Ho solo preso spavento: pensavo di averlo fatto infuriare”.
Kazuha storse le labbra, ma la voce di Heiji interruppe le sue elucubrazioni. Il ragazzo si fece vicino al duo con le mani affondate nelle tasche dei jeans e studiò con finta indifferenza la reazione di Sonoko.
“Non ti ha fatto del male, vero?” chiese con un tono più dolce rispetto a quello che usava di solito in presenza di Sonoko.
La ragazza sorrise nuovamente, stavolta più convincente di poco prima. “Sto benone! A parte la mia maglietta...” piagnucolò scrollando il capo.
Heiji non sembrava del tutto convinto, proprio come Kazuha, ma decise di lasciar correre per il momento, visto che sembrava che la ragazza cercasse un diversivo.
“Che coincidenza, cosa ci fate da queste parti?” domandò invece, spostando lo sguardo su Kazuha.
La ragazza scrollò le spalle, allontanando a sua volta gli occhi da Sonoko. “Abbiamo finito la lezione, eravamo venute per un gelato”.
Heiji sorrise apertamente, battendo le mani un paio di volte. “Siccome il gelato è andato perduto, andiamo a comperarne un alto. Offro io!” esclamò di slancio.
Kazuha gli sorrise di cuore, apprezzando il gesto del ragazzo, mentre Sonoko, fece correre lo sguardo sui due ingenui piccioncini. Aveva ancora la mente irrequieta, e la voglia di tornare a casa la inghiottì. Si scostò il ciuffo dagli occhi e sfoderò un sorriso tirato.
“Passo. Sono stanchissima, me ne vado dritta filata a casa” disse stiracchiandosi e fingendo uno sbadiglio. “Ma voi due andate pure, non vi voglio rovinare il pomeriggio!”.
Kazuha fece per aprire bocca, forse per convincerla a rimanere ancora un po’, ma Sonoko le diede le spalle in fretta, salutandola con la mano e iniziando a correre via da loro. Il sorriso che aveva abbozzato sparì non appena voltò l’angolo e, lasciandosi cadere contro il vetro di una libreria, si posò le mani sul volto, nascondendo le sue lacrime.
 
 
Ran percorse l’intero bancone del negozio di telefonia mobile con sguardo estasiato, scrutando i nuovi modelli di cellulari che sembrava chiamassero la sua attenzione. Riconobbe il suo vecchio cellulare, quello che era andato perduto a seguito dello scontro con Shinichi. Lo considerava già ‘vecchio’, nonostante il fatto fosse accaduto solo due giorni prima.
Ran si lasciò andare ad un sospiro, estraendo dalla tasca il telefono piuttosto malridotto che aveva sostituito l’altro a causa della negazione da parte di suo padre di comperarne nuovamente uno.
“Signorina, desidera vederne qualcuno?” domandò la voce di un commesso apparso magicamente alle spalle di Ran, con un enorme sorriso accogliente sul volto.
Ran fu presa in contro piede, ma si limitò a scuotere leggermente il capo. “No, grazie. Do solo un’occhiata”.
Il sorriso sul volto del ragazzo non accennò a spegnersi, fece un breve inchino e si dileguò tra le corsi del negozio con passo fluttuante. Ran lo seguì con lo sguardo, tentata di richiamarlo indietro e chiedergli di mostrargliene qualcuno, quando nuovamente alle sue spalle provenne un lieve sbuffo scocciato.
La ragazza si voltò, incrociando gli occhi blu di Shinichi, a pochi centimetri dalla sua faccia. Spalancò i suoi, arretrando di un paio di passi, ma senza dar segno del lieve imbarazzo che l’aveva colpita.
“Non posso lasciarti da sola cinque minuti, che subito qualcuno ci prova con te?” domandò, ammiccando.
Ran scosse la testa divertita e gli assestò un leggero pugno sul braccio. “Ma che dici? Voleva solo essere gentile... mi ha chiesto se voglio comperare un nuovo cellulare”. Detto questo, Ran incrociò le braccia al petto ed inarcò un sopracciglio, guardando Shinichi in modo eloquente.
Il ragazzo finse innocenza e si strinse nelle spalle. “Non crederai che ti ho portata qui per regalartene uno!”.
“Tu che dici?”
“Assolutamente no”.
Ran ghignò. “Peccato. Speravo nella tua anima altruista” e fece per girare i tacchi ed andarsene per finta, quando avvertì la mano del ragazzo stringersi sulla sua spalla.
La ragazza sussultò, avvampando. La mano di Shinichi ardeva contro la sua pelle, fredda, e il contatto le procurò una lieve scossa di piacere, che le attraversò l’intera spina dorsale. Un fruscio alle sue spalle le fece intuire che Shinichi si era avvicinato, e un secondo dopo sentì il suo respiro contro il suo collo.
“Ma ti ho comunque preso un regalo” le mormorò suadente, e Ran chiuse gli occhi per cercare di estraniarsi il più possibile da quel momento piacevole.
Che stava facendo? Ci stava provando? E lei? Lei stava... lì, ferma? Nella mente di Ran apparve il volto sorridente di Shun, e questo le fece sbarrare gli occhi. Che stava combinando?!
Il sogno di quella notte fece di nuovo capolino nella sua memoria, e lei lo scacciò in fretta, maledendosi mentalmente. Si posò una mano sul petto, stringendo forte il tessuto della camicetta.
 
Non sto facendo nulla di male! Non lo sto tradendo...
 
Ran scacciò velocemente l’immagine del suo fidanzato, allentando la presa sul suo petto. Shun doveva stare tranquillo, non lo avrebbe mai lasciato. Shinichi era solo una persona che l’attirava e con la quale si sentiva bene, tutto qui. Era come con Heiji, no?
Sarebbe diventato suo amico, e questo non aveva niente a che fare con la sua relazione con Shun. Ma perché tutti questi pensieri le suonavano come una rassicurazione per se stessa e non per il suo fidanzato?
Si voltò, con un sorriso improvvisato e si stupì quando si accorse del ciondolo che stava oscillando davanti al viso di Shinichi, ghignante.
Il ragazzo lanciò il ciondolo in aria, e Ran lo afferrò, cominciando a studiarlo. Lo spago era azzurro come gli occhi di lei, e il ciondolo finale era a forma di tazzina da caffè. Ran sentì le guancie scaldarsi dal piacere e alzò lo sguardo sul ragazzo, sorridendogli.
Shinichi arrossì quando vide l’espressione della ragazza e cercò di ricomporsi, grattandosi il naso. “Ecco... un cellulare nuovo non te lo posso ricomperare. Non te lo meriti!” borbottò cercando di riassumere la sua aria spavalda.
Ran lo spintonò all’indietro, ridendo. “Ah, è così? Va bene... vorrà dire che mi accontenterò!” disse prendendo il cellulare dalla tasca. Con maestria fece passare il cordoncino azzurro attraverso la piccola fessura del suo cellulare e fece oscillare il ciondolo sotto gli occhi di Shinichi.
“Grazie” gli disse, per poi voltarsi e correre fuori dal negozio, sentendo poi i passi del ragazzo seguire i suoi.
Ran si accostò a Shinichi, iniziando a camminare al suo fianco. Chiuse gli occhi, rallentando il passo, e tentò di guardare quella giornata senza la presenza di lui. Come se non lo avesse mai conosciuto.
Probabilmente, a quell’ora lei sarebbe già rientrata a casa dall’università. Probabilmente non avrebbe mai indossato quella camicetta per andare a lezione. Probabilmente sarebbe stata al telefono assieme a Shun per pianificare cosa fare quella sera.
Pianificare... no, in quel momento sentiva di rifiutare profondamente quel verbo. Cosa voleva dire? Voleva dire programmare, organizzare anticipatamente le ore della sua vita. Predisporla ad un modello standar.
Era stufa, ma sapeva che, una volta salutato Shinichi, avrebbe ricominciato a farlo. Spostò lo sguardo sul giovane, sentendo dentro di sé la vera Ran cominciare ad agitarsi per catturare l’attenzione del ragazzo. Lui la fissò interrogativamente, mentre lei sorrideva.
“Hai mai fatto una cosa tanto stupida, ma tanto divertente?” gli domandò di getto.
Shinichi inclinò la testa di lato, facendosi pensoso. Ran lo ringraziò mentalmente per non averla fissata con compassione e di non averle dato della sciocca per la domanda senza capo né coda che gli aveva posto.
L’aveva presa sul serio, e di questo ne era felice.
“Non saprei... bere un superalcolico da minorenne?” tentò lui, l’indice posato sul mento.
Ran storse le labbra. “Ma non è divertente! È solo... stupido”.
Shinichi scoppiò a ridere genuinamente, grattandosi il capo e voltandosi verso la ragazza. “Non ti ho detto però che ero in casa di poliziotti amici di mio padre, e che per poco non mi ubriacavo. Mi sono addirittura messo a ballare una sorta di walzer sconnesso assieme a mia madre...” spiegò il ragazzo, diventando di nuovo pensoso appena conclusa la frase. “No, forse comunque non è stato divertente”.
Ran inspirò pesantemente, incrociando le mani dietro la schiena. “Io credo di non aver fatto nulla di stupido e divertente nello stesso momento” ammise lei, sentendosi gli occhi di lui fermi e fissi su di sé.
“Impossibile” constatò il ragazzo, spostando lo sguardo davanti a sé, continuando a camminare con le mani poggiate dietro alla nuca.
“Ti dico che è così” rimbeccò Ran.
“Impossibile” ripeté Shinichi.
Ran gonfiò le guancie, indispettita. Si fermò in mezzo alla folla, incrociando le braccia al petto. “Ma che ne sai” gli sputò contro con astio.
Non sapeva da dove provenisse tutta quella rabbia. O forse sì: era irritata dal fatto che Shinichi fingesse di conoscerla, quando l’aveva incontrata appena due giorni prima.
Il ragazzo la fissò seria, fermandosi a sua volta e non azzardando alcun passo avanti verso la ragazza. Stava fermo a fissarla, o meglio, a studiarla e questo mandò ancora di più su tutte le furie Ran.
Perché le sembrava che volesse fare il sapientino? Perché non si toglieva dalla faccia quello sguardo fin troppo saccente per i suoi gusti? Gli avrebbe mollato un pugno sul naso, senza rimorsi. Voleva fargli male, perché lui la stava facendo sentire così frastornata.
Ma in realtà, Ran era gelosa.
Era gelosa del fatto che lui, un perfetto sconosciuto, intuisse più cose di lei rispetto a chi la conosceva da anni. Era gelosa del fatto che lui riuscisse a leggere dentro a quel finto ordine che si era creata nell’anima. Era gelosa del fatto che avesse occhi solo per la vera Ran, e non per lei.
La ragazza abbassò il capo, distogliendo lo sguardo da quegli occhi troppo penetranti. Fece scivolare le braccia lungo i fianchi e strinse le mani a pugno.
“Hai ragione” mormorò a sguardo basso. “Qualcosa di tanto stupido, ma tanto divertente l’ho fatto”.
Shinichi non fiatò, e la ragazza fu costretta ad alzare nuovamente il volto sul ragazzo per accertarsi della sua presenza. “Ho deciso di uscire con te” concluse semplicemente, stringendosi nelle spalle.
Gli angoli della bocca di Shinichi si sollevarono verso l’alto, aprendosi poi in un sorriso, che diventò ben presto una risata. Ran ne rimase stupita, sentendosi sciocca all’improvviso. Divenne rossa in viso e sciolse i pugni, rilassando la muscolatura.
“Oh, bè, lo prendo come un bellissimo complimento!” sentenziò il ragazzo, smettendo di ridere. “E... se posso... perché sarebbe stupido?”.
Ran si fissò intensamente le scarpe prima di rispondere. Cominciò a disegnare dei cerchietti invisibili sul terreno con il piede destro, mentre dentro di sé stava ponderando se ammettere o meno a Shinichi i suoi veri pensieri.
“Non è stupido. È... diverso. Non sarei mai uscita con uno come te, se non fossi entrato prepotentemente nella mia vita”.
Shinichi sobbalzò alle parole della giovane, e il sorriso che aveva negli occhi si affievolì un pochino. Ran si rese conto che, come aveva espresso i suoi pensieri, era il modo peggiore. Fece un passo verso il ragazzo, le mani che freneticamente si agitavano. “Aspetta, aspetta! Non intendevo dirlo in questa maniera! Volevo dire... io... tu sei fuori dai miei schemi” cominciò a spiegare Ran, parlando a macchinetta. “Sei un ragazzo che sembra capirmi veramente, non mi era mai successo. Non mi circondo di persone che amano la vera me, ma che amano ciò che vedono. La Ran forte, la Ran sportiva, la Ran che non ha paura di nulla... l’altra Ran”.
La ragazza ammutolì, sentendosi spintonare leggermente dalla folla che fluiva attorno a lei. Che buffo, le era parso, mentre stava parlando, di essere in un altro mondo. In un mondo dove c’era solo lei, e Shinichi. E si sentì stranamente leggera. Aveva appena rivelato il suo segreto: l’esistenza della vera Ran.
Il ragazzo non intervenne, e Ran si sentì libera di proseguire ancora un po’. “È diverso uscire con te proprio per questo. Cavolo!” ridacchiò la ragazza. La risata che uscì dalle sue labbra era priva di ironia. Era una risata fredda, pietosa. “Non avrei mai pensato di ammettere tutto... che stupida! Perdonami”.
Cosa importava, a chi le stava attorno, cosa volesse davvero dalla vita? Shinichi non doveva essere diverso dagli altri, forse si era sbagliata. Forse aveva visto in quel ragazzo qualcosa che non esisteva. Aveva intravisto quello che avrebbe liberato la vera Ran, ma in realtà era stata un’illusione.
Gli occhi di Shinichi la catturarono, mentre piano piano riacquistavano il loro solito brillio. Il giovane fece un passo avanti e le sorrise, allungando una mano. “Sono contento di essere entrato prepotentemente nella tua vita, allora” disse sereno e con una voce talmente calma che tutti i nervi di Ran si rilassarono all’istante.
Il piccolo buco nero che la ragazza aveva nel petto si era rimpicciolito di un poco, poteva sentirlo. Sapeva che Shinichi era dalla sua parte, e si sentì meglio non appena questa consapevolezza le attraversò la mente.
L’avrebbe aiutata a rinascere, forse con lui ce l’avrebbe fatta.
“Sembro un po’ dottor Jekyll e mister Hyde” mormorò la ragazza in un sussurro quasi inudibile. Shinichi la sentì comunque e si inclinò un poco scrutandole lo sguardo con un sorriso sincero. “Oh, bè... lo siamo un po’ tutti. Me compreso”.
Ran allungò a sua volta la mano ed afferrò quella di lui, ancora tesa. Le dita di Shinichi erano calde, in contrasto con le sue. Ran cercò di trattenere un po’ di quel calore, mentre una goccia salata le bagnò il polso.
Si sfiorò le guancie con la mano libera e le ritrovò inondate di lacrime. Stava... piangendo. E non se n’era nemmeno resa conto.
La mano di Shinichi si strinse ancora più saldamente sulla sua, ed il volto sorridente del ragazzo fece capolino tra le sue ciglia bagnate.
“Piacere. Io sono Shinichi” disse dolcemente.
Ran contraccambiò la stretta, sentendo sul suo viso l’insorgere di un sorriso. Le lacrime ora scorrevano copiosamente, ma non erano lacrime di tristezza.
Non si ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva pianto.
“Piacere” sussurrò. “Sono... Ran”.
 
 
Il cielo cupo oscurò lo sguardo distratto di una ragazza, china sulla ringhiera di un appartamento di periferia. La sigaretta che teneva in mano si stava consumando lentamente senza il bisogno di essere aspirata, e la cenere ricadeva in basso, verso la tenda ancora tirata del negozio di verdura del piano terra.
Odiava viaggiare con il brutto tempo, ma non poteva rimandare la partenza. L’aveva fatto troppe volte, e ora doveva tornare.
“Hey” chiamò una voce straniera e leggermente rabbuiata dalle sue spalle. “Your taxi has arrived” *.
La ragazza spense la sigaretta sotto i suoi piedi senza raccoglierla. La lasciò su quel balcone, come segno che sarebbe tornata indietro per buttarla via. Molto presto.
“Have a nice trip” ** le disse la ragazza che stava appoggiata alla portafinestra, le mani strette sul suo borsone.
“I hope so” ***.

 
********************************************************************************
 
 
 
*   Your taxi has arrived : il tuo taxi è arrivato
**  Have a nice trip : fai buon viaggio
*** I hope so : lo spero
 
 
 
 
 
.. sono in ginocchio che chiedo perdono per il mio ritardo.. sappiatelo prima di uccidermi o attentare alla mia vita :)
Odio essere una ritardataria, ma la scuola mi ha distrutta sia fisicamente che mentalmente nelle due settimane passate.. chi è in quinta superiore mi capirà  T.T  e poi questa settimana sono stata in gitaaaaaa…! E sono tornata solo ieri sera, e il mio primo pensiero siete stati voi e stamattina ho concluso e corretto quello che avevo abbozzato prima della mia partenza.
Sono un po’ di corsa, ma non posso non fare i soliti ringraziamenti :)
A chi ha recensito lo scorso capitolo: Yume98, 88roxina94, Shine_, _Flami_, M e l y C h a n  ed izumi_, grazie di cuore! <3
Grazie anche a M e l y C h a n  e a ranshin22 per aver messo la fic tra le preferite e a witch4ever per averla inserita nelle ricordate..!
Grazie anche a chi legge soltanto..!
Vi aspetto nel settimo, che spero di pubblicare molto presto! ^^
Vi saluto con l’unica parola che mi ricordo in praghese :)
Ahoj!
 
Dony 

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Capitolo 7
*** Chap 7 ***


Hi, nice to meet you!
7.

 
 
Heiji ripose con poca cura il fascicolo dell’ultimo caso che aveva risolto nel cassetto della scrivania, chiudendolo poi con un sonoro colpo.
Era di pessimo umore, quella sera.
Il detective Kogoro Mouri abbassò il giornale che stava leggendo e rimase immobile a fissarlo, alzando un sopracciglio.
“Che c’è?!” sbottò Heiji, lasciandosi cadere sulla sedia della scrivania. Prima che le parole di Kogoro arrivassero alle sue orecchie, lanciò un’occhiata all’orologio da polso e constatò che di lì a mezzora sarebbe finito il suo turno. E sarebbe tornato di nuovo a casa. Da solo.
Che strazio.
“Mi sembri nervosetto, oggi. Non hai fatto che sbuffare e lamentarti” constatò il detective, tranquillo. Prese la lattina di birra che stava sul tavolino davanti a sé e ne bevve un lungo sorso stando attento a non spandere tutto sulla camicia pulita. “Dovresti essere contento: hai risolto un caso complicato!” disse a denti stretti Kogoro, quando ebbe riappoggiato la lattina al suo posto.
Heiji alzò le spalle, facendo voltare la sedia in modo da non doverlo guardare in faccia.
Kogoro aveva ragione: doveva essere felice. L’ispettore della polizia Juzo Megure, vecchio amico del detective Mouri, gli aveva affidato un caso parecchio complicato, chiedendo espressamente il suo aiuto non riuscendo ad individuare il colpevole di un duplice omicidio a porte chiuse. Il difficile stava proprio nel capire come potesse cadere la tesi dell’omicidio-suicidio proposta dagli agenti, e rintracciare il colpevole nella cerchia dei parenti dei due fratelli assassinati.
Heiji ci era riuscito. Aveva smascherato la moglie del fratello più giovane in meno di ventiquattro ore, ed aveva ricevuto elogi dagli agenti e dall’ispettore in persona.
Ma c’era qualcosa che turbava l’animo di Heiji, e nessun complimento o soddisfazione in campo professionale l’avrebbe messo tranquillo. Le questioni di cuore erano molto più complesse.
Il giorno precedente aveva rivisto Kazuha, ed era riuscito a prendere qualcosa assieme a lei. Sonoko li aveva lasciati deliberatamente soli, lo aveva intuito, ma non era andata esattamente come avrebbe voluto. Aveva passato le più belle ore della sua vita assieme alla ragazza di cui era follemente innamorato, ma senza concludere nulla.
Heiji sbuffò sonoramente, mollando un pugno non molto delicato al bracciolo della sedia, infuriato con se stesso. Perché accidenti non si svegliava? Perché accidenti non le aveva chiesto di uscire ancora una volta?
Si vedeva debole, e la cosa lo irritava. Non riusciva a soffrirlo. Era stanco. Le cose dovevano cambiare, una volta per tutte.
Heiji si alzò di scatto, facendo quasi rovesciare all’indietro la sedia. Si voltò verso Kogoro, che lo stava ignorando, e guardò l’orologio.
“Oggi finisco dieci minuti prima. Recupererò domani” disse telegrafico, mettendosi a correre fuori dall’agenzia prima ancora che il suo capo lo potesse fermare.
Scese le scale di corsa sentendo alle sue spalle i rimproveri del detective, ma puntò ugualmente verso il centro di Beika, per arrivare alla stazione il prima possibile. Se lo sentiva, mentre l’aria della sera sferzava il suo viso. Quella, era la volta buona.
 
 
Sonoko spinse giù dalla scrivania la pila di libri che si era ripromessa di iniziare a studiare in vista dell’esame. Aveva la testa piena di nozioni inutili, e sentiva che i suoi occhi, da un momento all’altro, sarebbero potuti sanguinare.
Studiare non faceva per lei, e quel pomeriggio passato nella sua camera a tu per tu con i volumi dell’università glielo aveva ribadito.
Si massaggiò stancamente le tempie, allungando il piede verso la ventola che fingeva di refrigerare la sua camera, per cercare di sistemarla più vicino a sé. Amava l’estate, ma la odiava allo stesso tempo. Perché si doveva sudare? Era una cosa inutile a parer suo, ed anche uno spreco di energie.
Qualcuno bussò delicatamente alla porta della sua camera e, prima che lei potesse invitare ad entrare colui che aspettava fuori, l’uscio si aprì cigolando.
“Sonoko, allora io vado”.
La giovane ereditiera si voltò verso la voce melodiosa della sorella maggiore, che stava immobile nel corridoi, evitando di entrare per paura di disturbare lo studio di Sonoko.
“Di già?” domandò lamentosamente la più giovane delle Suzuki, girando la sedia nella direzione della sorella.
“Il treno per Yokohama parte tra un’ora, meglio arrivare per tempo” le disse con un sorriso, che a Sonoko risultò un po’ troppo compassionevole. Sua sorella la stava sicuramente studiando, aveva avuto la stessa impressione quella mattina, quando si era presentata a casa dei loro genitori. La osservava, e la cosa puzzava a Sonoko.
La giovane ereditiera assottigliò lo sguardo, alzando un sopracciglio indagatore. “Quindi tu sei venuta solo per un saluto”.
La maggiore delle Suzuki annuì abbozzando un sorriso, per nulla convincente. Si mosse nervosamente sul posto, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, deglutendo a fatica.
“Che c’è? Non posso venire a salutarvi, una volta tanto?” domandò la ragazza, la voce stranamente acuta.
Sonoko storse le labbra. “Ayako. Per favore” disse con un sospiro, per poi lasciarsi andare ad un mezzo grido strozzato. “È stata la mamma a chiamarti?!”.
La ragazza sobbalzò, presa in contropiede. La sua reazione chiarì i sospetti di Sonoko, che si alzò stancamente dalla sedia e si infilò le infradito che aveva abbandonato sulla moquette della sua camera.
“Dice che sei deperita. Mangi?” cominciò a chiedere la sorella, quasi in una supplica. “Mi ha detto che da qualche giorno non torni più al tuo appartamento di Tokyo. Che sei tornata qui a casa. È successo qualcosa?”.
Sonoko, irritata, acchiappò dall’armadio la prima borsa che le capitò sottomano e ci infilò a forza un pigiama e qualche indumento intimo. Chiuse con tonfo sonoro l’anta dell’armadio e fissò con astio la sorella.
“Non c’è niente che non vada. Siete voi che mi stressate. Io, fra meno di due settimane, ho un esame da dare! Se mi state addosso, come posso prepararmi?!” sbottò irata, sorpassando di corsa la sorella, convinta che il suo tono l’avesse pietrificata sul posto.
Ma Ayako la sorprese, seguendola giù per le scale, riuscendo ad afferrare il polso della ragazza, trattenendola contro la sua volontà.
“Sonoko... cosa è successo?” chiese con un filo di voce, gli occhi ancora troppo sospettosi.
La minore scosse il braccio, liberandosi dalla presa della sorella. Arretrò di qualche passo, sentendosi schifata dallo sguardo pietoso che Ayako le stava rivolgendo. Perché ci si metteva anche lei? Perché tutti volevano, improvvisamente, interessarsi della sua vita?
“Nulla. Non è successo nulla” disse tagliente. Camminò a grandi passi fino all’ingresso. Spalancò la porta, ma prima di uscire nella calura serale si voltò verso l’atrio e prese un grosso respiro. “Se non mi volevate tra i piedi, bastava dirlo!” urlò, sperando di farsi sentire dai genitori.
Ayako la raggiunse nell’ingresso, ma stavolta non tentò di fermarla. “Dove vai?”.
Sonoko gonfiò le guancie. “Ovunque tranne che qui! Ci vediamo, fai buon viaggio” sbottò a mezza voce, facendo dietrofront e chiudendosi con un sonoro tonfo la sontuosa porta di casa Suzuki alle spalle.
 
 
Il giovedì sera Shun era solito avere il doppio allenamento con la squadra di pallacanestro maschile del liceo Teitan. La partita del torneo di scuole superiori si stava avvicinando, e il ragazzo era sempre più teso e ansioso di far portare a casa la vittoria ai suoi ragazzi.
Per questo motivo Ran aveva deciso di raggiungere il suo appartamento prima del suo rientro, per preparargli una buona cenetta e un bagno caldo, evitandogli così inutili fatiche in più. E anche per fargli una sorpresa. Era da un po’ che non passavano del tempo solo loro due, e l’occasione le si era presentata a fagiolo. I dubbi che le erano sorti la mattina precedente erano come svaniti, ed ora si sentiva pronta a guardarlo negli occhi veramente.
Lo amava. Lo sentiva. Era la sua metà.
Aveva acquistato tutti gli ingredienti per cucinargli del buon sushi, e si era concessa anche il lusso di comperare una bottiglia di vino da stappare alla fine della cena.
In realtà, non era andata all’appartamento del fidanzato solo per cenare assieme. Ci era andata anche per presentarsi a lui nella sua nuova timida veste.
L’appuntamento con Shinichi del giorno prima l’aveva smossa, aveva liberato quella parte di lei che si era premurata di nascondere, e che ora stava riuscendo a vedere la luce del sole poco alla volta. Ma era comunque un inizio, e lo voleva condividere assieme al ragazzo che aveva scelto.
Ran canticchiò felice, cominciando ad apparecchiare la tavola come se si trattasse di un occasione speciale: distese accuratamente una tovaglia nuova coloro panna, pose al centro del tavolo rotondo un piccolo cestino di vimini decorato con foglie e fiori secchi dall’odore delicato, e accese un paio di candele profumate.
La ragazza si guardò attorno soddisfatta, sciogliendo il nodo al grembiule sbrindellato del fidanzato e sistemando la gonna elegante che aveva deciso di indossare. Forse aveva preso un po’ troppo sul serio la serata, ma lei si sentiva finalmente rilassata e felice, e non riusciva a smettere di sorridere un solo istante.
Shun si sarebbe accorto subito del suo cambiamento? Come l’avrebbe presa? Ran scosse la testa, ridacchiando. Era ovvio che sarebbe stato felice per lei. Il vederla serena l’avrebbe contagiato a sua volta.
Lui la amava. Era ciò che le bastava.
“Mi completa” sussurrò ad alta voce Ran, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena. Non lo seppe identificare, ma non ebbe il tempo di curarsene.
La serratura della porta d’ingresso scattò, ed i passi strascicati del fidanzato ruppero il silenzio in cui si era momentaneamente calata la ragazza.
Ran controllò l’orologio, constatando che il fidanzato era rientrato con una mezzora di anticipo. Non gli aveva nemmeno preparato un bel bagno, ma poco importava.
Con un enorme sorriso stampato in faccia gli andò incontro nell’ingresso e rimase ferma a contemplarlo solamente un istante, mentre stancamente si toglieva le scarpe nell’ingresso, seduto a terra, di spalle. Aveva il volto contratto, stanco, gli occhi mezzi socchiusi, le labbra tormentate, i capelli sbarazzini. Non le sembrò Shun, in quel momento.
Ran gli si avvicinò di soppiatto e gli gettò le braccia al collo, scoppiando a ridere. Shun sobbalzò spaventato, e, quando riconobbe la ragazza alle spalle le rivolse uno sguardo stanco e leggermente irritato.
“Ran, mi hai fatto morire. Pensavo fosse un ladro!” sbuffò, sciogliendo l’abbraccio della fidanzata. Si alzò in piedi calzando meglio le ciabatte e riprese il borsone che aveva mollato a terra precedentemente. “Non farlo mai più!”.
Ran strinse le labbra, ma non ribatté nulla.
 
Senti chi parla..!
 
pensò accigliata, reprimendo l’impulso di rispondergli a tono. Non era lui quello che era solito spaventarla, piombandole a casa all’improvviso, senza avvisare e senza far capire di essere entrato?
Ran scosse la testa, reimpostando il sorriso. “Ti ho fatto una sorpresa! Vieni!” lo esortò, cominciando a tirarlo per la mano. Si sentiva molto come una bambina, elettrizzata nel mostrare ciò che aveva preparato ai suoi genitori. Shun opponeva una certa resistenza, ma la seguì lo stesso in cucina.
Quando Ran si fece da parte per mostrargli la tavola imbandita, si sentì crollare il mondo addosso quando sul volto del ragazzo apparve una smorfia.
“Che c’è?” gli domandò, sentendo il sorriso sul suo volto vacillare.
Shun si sedette stancamente su una sedia, versandosi da bere in un bicchiere. Non aveva nemmeno notato le candele accese, ed il profumo che rilasciavano attorno.
Vaniglia. Il profumo di Ran.
“Tornando a casa ho ordinato una pizza, dovrebbe arrivare tra poco. Hai cucinato per niente” disse atono.
“La pizza si può sempre riscaldare domani” ribatté la ragazza, sedendosi di fronte a Shun. La sua faccia rabbuiata le fece sorgere l’impulso di prenderlo a calci, ma seppe badare anche a quell’istinto. Sentiva che la sua contentezza stava per essere minata, e non ne aveva minimamente voglia.
“Non mi piace riscaldata” si lagnò Shun, come un bambino piagnucolone.
Ran serrò le labbra, mordendosi la lingua per non mandarlo a quel paese. Si alzò in piedi, recuperando i due piatti pieni di sushi fresco che aveva messo in tavola poco prima. “Bene” disse soltanto, sperando di non risultare particolarmente fredda. “Come è andata la giornata?” si ridusse a chiedere.
Shun sbuffò e si sfregò con vigore gli occhi stanchi. “Uno schifo totale. La squadra ha fatto l’allentamento peggiore che io abbia mai visto. Di questo passo, non vinceremo mai!”.
Ran sigillò alla meglio il pesce nella pellicola trasparente, e lo dispose con cura nel frigo del fidanzato, sbattendo un po’ troppo la porta per richiuderlo.
Si voltò verso Shun, cercando di mantenere la calma. Sapeva che, quando le cose gli andavano male al lavoro, il suo umore precipitava e risultava come un’altra persona. Non ce l’aveva con lei, era solo perché era stanco.
Ma non per questo motivo Ran poteva evitare di rimanerci male.
“Hai ancora tre giorni. Sono sicura che...” stava provando a sostenerlo, quando lui batté un pugno in tavola, facendo tintinnare i bicchieri e le posate. “Tre giorni! Tsè!” la schernì lui, affondando un secondo dopo le labbra nel bicchiere.
Shun si alzò in piedi lentamente, facendo scrocchiare le ossa del collo. Si voltò senza degnare di uno sguardo la ragazza, dirigendosi verso il bagno dell’appartamento.
“Quando esci, chiudi la porta chiave” biascicò, levandosi la maglia sudata, facendola ricadere sul pavimento, rimanendo a petto nudo.
Ran rimase immobile, con i pugni stretti. Si sentì profondamente ferita, ed ignorata. Avrebbe tanto voluto urlargli contro qualcosa, qualsiasi cosa, ma si trattenne.
Rimase con gli occhi fissi sulla schiena muscolosa del fidanzato, mentre questo si dirigeva verso la porta del bagno. Le aveva detto di chiudere la porta appena se ne sarebbe andata. Non la voleva accanto a lui, quella sera.
Ran lo seguì fino al bagno, appoggiandosi allo stipite, osservandolo con sguardo spento aprire il rubinetto della vasca. L’acqua si mise a scorrere, diffondendo nell’aria un senso di refrigerio, che tuttavia non riuscì a toccare Ran.
Shun si tolse lentamente anche i pantaloni, rimanendo in boxer sotto gli occhi della fidanzata. Ran fece scorrere lo sguardo sul corpo perfetto del ragazzo, reprimendo una lacrima.
Quel corpo le apparteneva, era suo, e non lo avrebbe scambiato con nessun altro. Ma, in quel momento, lo sentì estraneo, distante.
Shun avrebbe potuto invitarla a fare il bagno con lui. Gliel’avrebbe chiesto, ma non quella sera.
Quella sera, entrambi erano due persone diverse.
“Vado, allora” mormorò Ran, alzando lo sguardo sul ragazzo. Shun teneva accuratamente gli occhi bassi, evitando di incrociarli con quelli della fidanzata, quasi avesse paura di essere accecato.
“Okay” rispose soltanto, dandole le spalle.
Ran si avvicinò a lui, disobbedendo al volere di entrambi, e poggiò le mani fredde sulla sua schiena sudata. Appoggiò la fronte sulla sua nuca, chiudendo gli occhi e svuotando la mente. I nervi del ragazzo sobbalzarono al contatto.
“Vuoi che me ne vada?” chiese Ran, in un sussurro. Shun rimase in silenzio, continuando ad ignorarla.
Ran aprì gli occhi, mordendosi le labbra. Fece scorrere le dita affusolate lungo le sue braccia,  sfiorando avidamente la pelle del ragazzo, sentendola fremere al contatto. Avrebbe voluto farlo girare, guardarlo negli occhi e farsi conoscere.
Ma le aveva detto di andare.
La vera Ran avrebbe pestato i piedi e si sarebbe fatta guardare negli occhi, cominciando a sputargli contro la sua frustrazione.
Ma non lo fece. Interruppe il contatto con il fidanzato, arretrò e, reprimendo la rabbia, uscì dal piccolo bagno. La vera Ran non aveva avuto la meglio. Con Shun, forse, non l’avrebbe mai avuta.
La ragazza si trascinò fino alla cucina, afferrò la borsa che aveva abbandonato sul divanetto e sbatté la porta d’ingresso con una tale forza che per poco non le rimase in mano la maniglia stessa.
Scese le scale fino ad arrivare al piano terra, bruciante di rabbia. Era livida di rabbia per come l’aveva trattata. Non si era minimamente reso conto dell’impegno che ci aveva messo per preparare quella cena per loro due. Aveva liquidato tutto con un paio di smorfie. Aveva rifiutato di guardarla negli occhi.
Ran camminò a piedi fino alla stazione degli autobus per sbollire la rabbia, e quando vi arrivò, fece marcia indietro e si diresse nuovamente verso il centro di Beika, stavolta per raggiungere il suo appartamento a piedi. Spense il cellulare, in modo da essere irraggiungibile per chiunque. Voleva stare da sola, con se stessa.
Ma, quando una voce la chiamò, irrompendo con violenza nella confusione della sua mente, tutte le sue certezze caddero.
La ragazza si fermò al centro dell’attraversamento pedonale, con gli occhi bassi. Si voltò lentamente, scorgendo sul marciapiede un paio di scarpe sportive che aveva imparato a conoscere negli ultimi giorni.
I suoi occhi si alzarono contro la sua volontà, ed incrociò per l’ennesima volta lo sguardo magnetico di quel ragazzo che tanto l’aveva aiutata a cambiare, senza forse esserne consapevole.
Shinichi.
 
 
Kazuha allungò del tè freddo sul tavolo della cucina, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio all’interno della tazza, alzandosi un secondo dopo dalla sua postazione e per dirigersi verso il frigorifero. Lo esaminò da cima a fondo, storcendo le labbra quando si accorse che era quasi vuoto.
“Non ho molto, devo ancora fare la spesa. Ti va una bella insalatina?” domandò dondolandosi con la porta del frigo.
Dalle sue spalle provenne un sospiro stanco ed irritato allo stesso tempo. “Per me è indifferente” borbottò la voce di Sonoko, mentre afferrava la tazza di tè e se la portava alle labbra.
Kazuha sospirò mentalmente, estraendo dal frigorifero gli ingredienti necessari per la cena. Dispose le verdure e il tagliere sulla tavola, afferrò il coltello e cominciò a sminuzzare silenziosamente, sotto lo sguardo attento della sua amica.
Sonoko allungò una mano, tentando di afferrare una strisciolina di carota tagliata alla julienne scappata dal tagliere, ma Kazuha la intercettò e le schiaffò dolcemente la mano.
Sonoko la guardò rabbuiata, ma l’amica non vi badò. “Il divano è piccolo, spero che non ti lamenterai troppo”.
La giovane ereditiera sbuffò sonoramente, sbattendo una mano sulla tavola. “Se vuoi che me ne vada, puoi anche dirmelo direttamente”.
La padrona di casa si lasciò andare ad un sospiro impercettibile, mettendo da una parte le carote e recuperando un pomodoro maturo. “Non l’ho detto...” tentò di correggerla Kazuha.
“Ma l’hai pensato!”
“Non è vero”
“Io dico di sì...” la rimbeccò Sonoko, incrociando le braccia al petto.
Kazuha sbatté il coltello contro il tagliere, facendo sobbalzare l’amica. “Senti, Sonoko!” esclamò, leggermente innervosita. “Sai come la penso: secondo me hai fatto male ad andartene di casa. Tua sorella si è solo preoccupata, non vedo il motivo di farla tanto lunga. E poi le do ragione, in questo ultimo periodo sei un tantino cambiata. Da quando ti sei lasciata con...”
“Non è assolutamente vero!” sbraitò Sonoko, interrompendo l’amica prima che potesse pronunciare il nome del suo ex ragazzo. Odiava sentir pronunciare quel nome. Le faceva schifo.
Kazuha la fissò tagliente, ma non ribatté. Recuperò il coltello e riprese a tagliuzzare le verdure, sciogliendo via la rabbia che l’aveva pervasa a tradimento.
“Ascoltami, per favore” le disse quando recuperò la sua solita calma. “I tuoi sono solo preoccupati. Non devi farne un dramma...”
“Vuoi che me ne vada?!” la interruppe Sonoko, mettendo su il broncio.
Kazuha alzò gli occhi al cielo, trattenendo una risatina. “Ma no, sciocca! Solo che devi fare pace con loro, e parlarci. Capiranno... e poi” la minacciò, puntandole il coltello contro. “Non ti attaccare ad ogni singola frase che dico, cercandone i significati nascosti!”.
Sonoko scrollò le spalle, non molto convinta, e si lasciò scivolare sulla sedia, accavallando le gambe in maniera poco femminile. Si grattò la testa spettinata e poi incrociò le braccia al petto, fissando lo sguardo sul soffitto bianco.
“Comunque, perché non sei andata al tuo vecchio appartamento?” domandò curiosamente Kazuha, posando il coltello e cominciando a sistemare le verdure tagliate in due piccole ciotole.
Sonoko si mosse inquieta, prendendo tempo. “Ecco...” iniziò, ma venne interrotta dal citofono, che prese a squillare per tutto l’appartamento con insistenza.
“Ma chi diavolo è?” domandò Kazuha, pulendosi le mani alla belle meglio su di un vecchio strofinaccio. Si avvicinò al citofono ed alzò la cornetta. “Chi è?” domandò.
“Ciao, emh, Kazuha... sono… Heiji!” disse nervosamente la voce metallica del ragazzo.
Kazuha aggrottò le sopracciglia curiosamente, cominciando inconsciamente a sistemarsi meglio la maglietta e gli shorts che indossava, cercando di tirarli più giù possibile, per allungarli.
“Ah, ciao!” disse dubbiosamente, non sapendo cosa fare. Per fortuna, ci pensò Heiji a chiarire la situazione, chiedendole gentilmente se potesse raggiungerla di sotto.
Kazuha chiuse il citofono, voltandosi verso lo sguardo di Sonoko, rimasta in silenzio fino a quel momento, avida di sapere.
“Scendo un secondo. C’è Heiji” le disse distrattamente, infilandosi un paio di sandali. Non aspettò nemmeno una risposta da parte dell’amica, prese le chiavi di casa e uscì svelta dalla porta, scendendo i due piani di scale che la separavano dall’entrata mentre si sistemava la coda di cavallo.
Individuò il ragazzo accanto al portone d’ingresso, con le mani affondate in un paio di pantaloni eleganti. Indossava ancora la sua ‘uniforme’ di lavoro, e Kazuha si sentì immediatamente trasandata rispetto al ragazzo. Cercò di sistemarsi i capelli fino a quando lui non la salutò con un sorriso timido, per poi far ricadere le mani lungo i fianchi, sorridendogli a sua volta.
“Scusami per il disturbo. Avrei dovuto avvisare” cominciò Heiji, la voce leggermente più acuta del solito.
Kazuha scosse la testa, cercando di metterlo a suo agio. “Non ti preoccupare, non stavo facendo nulla di importante” disse, appoggiandosi al portone d’ingresso. “Dimmi pure”.
Heiji si morse un labbro, deglutendo a fatica. Sembrava sul punto di fare una rivelazione importante, e Kazuha si sporse senza accorgersene, spalancando gli occhi e facendosi attenta.
Si sentì stranamente impaziente, come se avvertisse che ciò che voleva dirle Heiji la riguardasse in qualche modo.
“Ecco... devo dirti una cosa” disse Heiji, prendendo la faccenda alla larga.
Kazuha annuì in silenzio, trattenendosi dal sollecitarlo. Sembrava che il ragazzo volesse parlare, ma che allo stesso tempo ne fosse un po’ intimidito, e non voleva mettergli alcuna fretta, nonostante fosse lei stessa molto impaziente.
“Vedi... è da un po’ di tempo che volevo... dirti una cosa” si ripeté Heiji, iniziando a grattarsi nervosamente una guancia.
Kazuha annuì ancora, facendo un passo verso di lui. Il traffico intenso di fine giornata che li avvolgeva la disturbava, e non riusciva a sentire i farfugliamenti del ragazzo.
“Oh!” lo interruppe la ragazza, battendo le mani. “Hai ragione: ti devo i soldi del gelato di ieri!”.
Heiji perse quasi l’equilibrio, fissando la ragazza con occhi spaesati per alcuni istanti. Si ricompose schiarendosi la voce e sistemandosi il colletto della camicia chiara. “No, emh... io...”.
“Vado di sopra a prenderli, ci metto un secondo” disse svelta la ragazza, cominciando a voltargli le spalle.
Kazuha si sentì afferrare per il polso, e si bloccò all’istante. Voltò lentamente lo sguardo verso Heiji, che stava con il capo chino, gli occhi fissi sul cemento.
“Non mi devi niente” le sussurrò, e Kazuha riuscì a sentire le sue parole nonostante i clacson e il rumore proveniente dalla strada.
Heiji mollò la presa e si portò la mano in tasca, mentre Kazuha, deglutendo a fatica, si voltava di nuovo verso il ragazzo, sentendo stranamente la testa vorticare, e le orecchie fischiare. Perché, perché si sentiva così? Perché il momento le sembrava stranamente teso?
“Ascoltami, per favore...” mormorò Heiji, alzando il capo. Inclinò la testa di lato, sempre senza fissarla negli occhi. “Non ce la faccio più...” le sembrò di aver sentito.
Fece un passo verso di lui, le mani strette a pugno all’altezza del cuore. “Cosa?” chiese, certa di aver frainteso.
Cosa voleva? Cosa voleva dirle?
“Attenzioneee!” urlò qualcuno alle spalle della ragazza, che, istintivamente, si accucciò, con le mani sulla testa.
Una borsa a tracolla fucsia colpì Heiji sulla faccia, facendogli perdere l’equilibrio, mandandolo lungo disteso sul pavimento. Kazuha rimase sbigottita davanti alla scena, le palpebre che si aprivano e si chiudevano spaesate, le mani ancora strette sulla testa.
Riconobbe la tracolla: era la sua!
“Avevo avvertito, io” borbottò una voce alle spalle di Kazuha. La ragazza realizzò la situazione e si alzò subito di scatto, spostando la borsa dal viso di Heiji, accucciandosi al suo fianco preoccupata.
“Va... va tutto bene?” gli domandò. “Ti sei fatto... male?”.
Heiji, gli occhi strabuzzati, scrollò il capo in segno di negazione, cominciando a diventare sempre più rosso. Digrignò i denti, scattando a sedere un istante dopo, le mani strette a pugno e lo sguardo omicida.
“Hey, tu!” gridò verso il portone d’ingresso. “Ma che diavolo ti è preso?!”.
Kazuha raccolse il borsone, implorando i Kami di non scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione, e si voltò a sua volta verso l’ingresso del suo condominio, ritrovando sulla soglia Sonoko, le braccia incrociate stancamente e un sopracciglio inarcato.
“Tskè!” sbuffò la giovane ereditiera, sistemandosi meglio sulla spalla la sua borsa. “Sei sempre in mezzo” disse rivolta ad Heiji, e ricevendo in risposta un altro sguardo di fuoco.
“Sonoko... ma ti sembra il modo?” la rimproverò Kazuha, alzando la tracolla all’altezza del viso, indicandola con un cenno del capo. “E questa?”.
Sonoko sventolò una mano, noncurante. “Si parte. Si cambia aria. Si parte!” disse leggera, sorridendo malignamente un secondo dopo.
“Eh?” fecero all’unisono i due ragazzi di Osaka.
Kazuha si sentì stranita. Non riusciva a capire le intenzioni dell’amica, e tantomeno comprendeva come riuscisse a cambiare stato d’animo nel giro di pochi minuti. Ma quella, ora che ci rifletteva meglio, era una peculiarità di Sonoko.
La giovane ereditiera puntò l’indice contro Kazuha, cominciando a ridacchiare. “Hai capito benissimo: partiamo!”. Poi spostò il dito verso Heiji e il suo sorriso aumentò ancora di più. “E tu, Hattori, verrai con noi!”.
“Ma che stai farneticando?!” le sbottò contro Heiji, ancora innervosito.
Sonoko scoppiò in una risata acuta e si portò la mano davanti alla bocca come una diva. Fece scorrere una mano tra i suoi capelli ingarbugliati e fece una giravolta su se stessa, alzando un braccio verso l’alto, in direzione del sole che stava quasi scomparendo dietro una fila di enormi grattacieli. “Sono serissima! Forza, Hattori, scattare!” gridò continuando a fissare il cielo. “Abbiamo tutti bisogno di una vacanza!”.
Kazuha, sempre più convinta della pazzia di Sonoko, aprì la tracolla e notò che all’interno l’amica aveva sistemato alla rinfusa dei vestiti di ricambio, assieme ad un piccolo beauty ed a un paio di costumi da bagno.
“Bikini?” constatò ad alta voce, estraendone uno blu notte.
Sonoko le lanciò un’occhiata in tralice, ammiccando. “Esattamente! Adesso andiamo da Hattori a prendere la macchina, e ce ne andiamo al mare per tutto il week-end!” esclamò la ragazza, prendendo a camminare verso la direzione sbagliata dell’appartamento del ragazzo di Osaka.
Kazuha ed Heiji si scambiarono un’occhiata perplessa, e poi entrambi scoppiarono a ridere, lasciandosi andare.
 
 
Shinichi smosse un paio di sassolini con il piede, mentre allungava furtivamente lo sguardo alla sua sinistra, dove sulle scale per raggiungere l’agenzia di investigazioni di Kogoro Mouri, stava seduta Ran, lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi spenti.
Il giorno prima, li aveva visti brillare, animati da una nuova e agognata luce. Ed ora... erano tornati esattamente come li aveva visti quella volta al bar, quando si erano appena conosciuti.
L’animo di Shinichi bruciò di rabbia, riconoscendo come colpevole di tutto ciò il ragazzo che affermava di amare Ran, Shun. Lo sguardo della ragazza era vitreo, fisso sul nulla, la sua vera indole rimasta sopita fino ad allora sembrava voler tornare a dormire per sempre.
 “Mi ha fatto male. Ma non sono riuscita a dirglielo” mormorò Ran, appoggiando la fronte contro le braccia strette sulle ginocchia. Sfregò il viso pallido, arrossandolo, e spostò lo sguardo in quello di Shinichi.
Il ragazzo notò un guizzo in quegli occhi chiari, e si sentì leggermente più tranquillo quando intravide di nuovo la luce che la rendeva viva e ancora più bella. La vera Ran non era stata messa di nuovo nella parte più recondita della ragazza, era ancora lì dentro, che aspettava solo di tornare, e si sentì decisamente più sollevato quando lo ebbe appurato.
“Non ci riuscirò mai. Metto prima di tutto il suo volere” continuò la ragazza, la voce flebile. “E sono sempre più convinta che non sia sbagliato, o almeno non del tutto. L’amore è fatto anche di compromessi”.
Shinichi, a quelle parole, storse le labbra. Lui, non si era mai innamorato veramente. Ma di una cosa era convinto: l’amore è il sentimento della pienezza. E se Ran si sentiva menomata di una parte di sé, se sentiva di dover scendere a compromessi, annullando una parte integrante del suo io, allora quello, per Shinichi, non doveva essere vero amore.
Era convinto che Ran non avrebbe mai dovuto amputare una parte di sé, rinnegarla e rinchiudere la sua genuinità in favore di un rapporto come quello che si era costruita con Shun. Un rapporto a metà. Malsano.
“Lo sai, che è sbagliato. Altrimenti, non staresti così, ora” disse Shinichi, lo sguardo fermo sulla ragazza e la voce sicura. “Dimmi la verità. Rispondi sinceramente: stai più male per come ti ha trattata o per il fatto che non sei riuscita ad importi? Per il fatto che non hai ribattuto alla sua volontà?”.
Ran sobbalzò alla domanda, e alzò il capo verso il ragazzo. Lo guardò spaventata e stupita allo stesso tempo. Sembrava divisa a metà, mentre il suo cervello elaborava la richiesta e annaspava in cerca della risposta da dare.
“Non ci devi pensare tanto” le disse dolcemente il ragazzo, abbozzando un sorriso.
Ran si sciolse a sua volta, mentre i suoi occhi diventavano umidi. “Io... credo per la seconda ipotesi” disse, quasi vergognandosene.
Shinichi annuì, aumentando il sorriso. Le spinse leggermente la testa con l’indice e la guardò ammiccando, sentendo il suo cuore ruggire di felicità nell’ammirare quello sguardo innocente e scombussolato rivolto solo per lui.
Ran era bella anche quando non sorrideva. Era bella anche quando sembrava spaesata, anche quando aveva gli occhi arrossati. Era bella sempre.
“Va un po’ meglio?” le domandò in un sussurro, avvicinando il suo viso a quello della ragazza.
Ran annuì lentamente spostando lo sguardo sulle labbra del ragazzo, sempre più vicine alle sue. Shinichi avvertì il respiro lento e caldo della ragazza sulle proprie guancie, e sorrise interiormente.
Era bello stare così vicini a Ran. Indipendentemente dalla voglia di baciarla, indipendentemente dalla voglia di far sue quelle labbra. Starle vicino era la cosa che più desiderava, e quel lontano quanto vicino contatto valeva più di mille baci.
Un lieve venticello caldo mosse i capelli sciolti di Ran, che giocarono sul collo di Shinichi, permettendogli di percepire il suo profumo.
Il ragazzo chiuse gli occhi, beandosi il momento. “Vaniglia” mormorò, sorridendo alla ragazza.
Ran sobbalzò, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Sentì il corpo di Shinichi tremendamente vicino al suo, ma non si spostò.
Il ragazzo inspirò, prendendo tempo. Non aveva alcuna fretta, tutto attorno a lui si era come ibernato. Esistevano solo loro due, seduti su quelle scale, a fissarsi negli occhi. Confusi. Incerti. Desiderosi.
Un clacson risuonò insistentemente sulla strada, facendo sobbalzare i due ragazzi. Spostarono lo sguardo verso la fonte del rumore, leggermente irritati per la brusca interruzione.
Shinichi sgranò gli occhi, quando notò che dalla macchina accostata di fronte a loro sbucavano le teste di Heiji, Kazuha e Sonoko.
L’ultima si stava sporgendo dal finestrino, sorridente. “Hey!” li chiamò allegramente, premendo nuovamente un secondo dopo il clacson della macchina di Heiji. “Forza, correte a prepararvi!”.
Ran inclinò la testa di lato, perplessa. Shinichi la osservò alzarsi lentamente e dirigersi verso gli amici, come se nulla fosse successo fino a qualche istante prima. Si alzò a sua volta, raggiungendola, mentre Sonoko scendeva con foga dal sedile del passeggero, allegra e sorridente.
“Che sta succedendo?” domandò il ragazzo, sporgendosi all’interno della macchina, rivolgendo uno sguardo seccato all’amico.
Heiji tamburellò le dita sul volante, lo sguardo irritato incollato al parabrezza. “Chiedilo a quella matta” borbottò cupamente.
La testa di Kazuha sbucò accanto al poggiatesta di Heiji, a sua volta sorridente. “Si va al mare” rispose, facendo strabuzzare gli occhi di Shinichi.
Heiji sbuffò piano, come se la cosa non gli andasse molto a genio. Alle loro spalle si sentì chiaramente la voce di Ran, che stava tentando in tutti i modi di far ragionare la sua migliore amica.
“Non mi interessa” rispondeva la giovane ereditiera, scrollando il capo come una bambina divertita. “Fila di sopra e prepara una borsa in meno di cinque minuti. Si parte tra poco!”.
“Ma... lunedì c’è la partita di Shun” si intestardì Ran, senza però evitare di far uscire la sua voce leggermente rabbuiata nel nominare il nome del fidanzato.
“Che palle!” esclamò di cuore Sonoko, sospirando. Rimase con le mani sui fianchi a scrutare la sua amica, venendo accostata da Shinichi, che spostava lo sguardo dall’una all’altra. “Saremo di ritorno per lunedì, va bene? Ora fila!”.
“Ma...”
“Che c’è ancora? Guarda che te la faccio io la valigia, Ran!” sbottò Sonoko.
La ragazza gonfiò le guancie, risentita, e le voltò le spalle, dirigendosi a grandi passi su per le scale. Si voltò solamente a metà strada, incenerendo Sonoko con lo sguardo.
“Sono quasi le otto di sera. Dove credi di andare?” le chiese.
Sonoko si lasciò andare ad una risatina leggera. “Mi pareva di avertelo già detto. Partiamo per il mare. Tutti e cinque!”.

 
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Salve salve salveee! ^-^
Eccoci qua, con il settimo capitolo postato...! Ok, credo che qualcuno possa odiare Sonoko per tutte le interruzioni che ha fatto in questo capitolo, ma alla fine qualcosa di buono ha fatto anche lei, con la sua proposta, no? Tre giorni da passare al mare insieme ... non vedo l’ora di scrivere quei capitoli! :)
La settimana che verrà – fortunatamente – sarà priva di rotture scolastiche, quindi prevedo di riuscire a dedicarmi alla scrittura dell’ottavo capitolo con un po’ più di calma e pace :)
Comunque, aspetto le vostre recensioni in merito a questo chap :)
 
Passo ai ringraziamenti!
Grazie mille di cuore a chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero: 88roxina94, Shine_, Yume98 e _Flami_! <3
Grazie anche a Shike che ha messo la fan fiction tra le seguite, e a Martins che l’ha inserita nelle preferite! :D
Grazie anche a chi legge soltanto!!
Ci vediamo prestoooo!          - ma perché oggi sono molto Shinigami di Soul Eater??? XD -
 
Dony 

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Capitolo 8
*** Chap 8 ***


Hi, nice to meet you!
8.

 
 
La luce crepitante di un lampione regalava la minima ed indispensabile luce al piccolo gruppo leggermente infreddolito, disposto a cerchio attorno al cofano della macchina del giovane Hattori, in attesa del ritorno di Shinichi, offertosi di andare a comperare dei caffè da asporto.
Sonoko, seduta a penzoloni sul cofano della macchina, si stiracchiò le gambe e si distese comodamente, chiudendo gli occhi e lasciandosi vincere da un sorriso sereno sulle labbra.
Ran si sedette sul guardrail, accavallando le gambe ed osservando l’orologio per la centesima volta. Erano quasi le sei del mattino, ed il venticello che li solleticava divertito portava con sé l’odore salmastro del mare alle loro spalle, che silenzioso e quieto, ondeggiava spingendosi fino alla riva, per poi fare ritorno nell’abisso buio.
“Spiagge più vicine a Tokyo non andavano bene, vero?” domandò la giovane karateka alla sua amica, che per tutto il viaggio notturno non aveva fatto che imporsi e sbraitare per ‘fare ancora un paio di chilometri verso Ovest’.
Quel paio di chilometri, erano diventati in realtà più di seicentocinquanta, ed erano arrivati fino a Shirahama, nella prefettura di Wakayama, in circa dieci ore di macchina, contando le soste per fare riposare e alternare il povero Heiji e Shinichi. Ran non capiva ancora come quattro persone fossero state soggiogate da Sonoko, e si fossero lasciate convincere a proseguire in quel folle viaggio, ma chiederselo ormai era inutile, dopo tutti quei chilometri macinati verso l’Ovest.
“Smettila di stressarmi, Ran, ormai siamo arrivati. Adesso ci si deve solo divertire” rimbrottò Sonoko, scrollando le spalle e rimettendosi a sedere, sorridendo beatamente a tutti i presenti. Ran notò che Heiji si trattenne dal risponderle a tono, mordendosi il labbro inferiore e dandole le spalle per non essere tentato di strangolarla. Si mosse lentamente verso la seduta improvvisata della giovane karateka e le si mise accanto, per poi scambiare con lei un sorriso di circostanza, stanco. Tremendamente stanco.
Kazuha, che si era beatamente addormentata dall’ultimo autogrill che avevano incrociato circa due ore prima, uscì dall’auto che era stato il suo letto fino a quel momento con gli occhi ancora assonnati e arrossati, i capelli scompigliati e la voglia dipinta in volto di accasciarsi di nuovo a terra e dormire, anche lì sull’asfalto.
“Per caso hai sonno?” la prese dolcemente in giro Ran, facendole segno di sedersi in braccio a lei. Kazuha le fece la linguaccia, ma obbedì e si mise mogia mogia sulle ginocchia dell’amica, facendosi abbracciare per la vita, appoggiando il capo sulla spalla di Ran.
“Siamo arrivati” constatò con la voce ancora impastata, aprendo solo un occhio verso la scogliera imponente che si stagliava di fronte a loro. Kazuha sbatté le palpebre un paio di volte, prima di scattare in piedi e puntare un dito contro la scogliera. Girò su se stessa con la bocca ridicolmente spalancata e gli occhi privi di qualsiasi traccia di sonno.
“Ma... ma... siamo a Shirahama!” esclamò estasiata, portandosi le mani alla bocca.
Sonoko scese dal cofano e vi si appoggiò, incrociando le braccia al petto, studiando la reazione dell’amica. “Sì, e allora? Ci sei già stata?”.
Kazuha annuì lentamente, partendo in quarta con i ricordi. “Da piccola ci venivo ogni estate assieme ai miei genitori! È una spiaggia talmente tranquilla che in qualsiasi ora del giorno puoi startene sotto il sole in santa pace. Non ci venivo da almeno... nove anni! Mia madre ha sempre voluto tornarci, ma mio padre è sempre stato occupato al lavoro e le sue ferie si riducevano notevolmente, che...”
“Va bene, abbiamo capito!” la interruppero dolcemente Ran e Sonoko, certe che Kazuha non si sarebbe spenta con tanta facilità. Non da sola, almeno.
Heiji era l’unico che sembrava realmente interessato al racconto di Kazuha, e quando la ragazza si interruppe, le rivolse un sorriso e ammiccò. “Questo è il Kansai, qui tutto è perfetto e bellissimo”.
Kazuha annuì, vittima a sua volta dell’orgoglio della sua regione natale, mentre Sonoko per poco non sbuffò in faccia ad Heiji, ma, fortunatamente e stranamente, si trattenne.
“Guardate. Sta sorgendo il sole” sussurrò Kazuha, tornando a guardare il panorama di fronte a lei, gli occhi spalancati e nostalgici.
Il piccolo gruppo di amici si voltò subito, rimanendo con il fiato sospeso alla vista del bellissimo gioco di luci che il sole riproduceva sull’acqua piatta ed ora rischiarata dell’oceano davanti a loro. Ran si sporse più che poté verso il piccolo promontorio, inspirando l’aria fresca e permettendo ai deboli raggi mattutini del sole di carezzarle il volto.
Si sentì immediatamente più rilassata, sentì i suoi muscoli distendersi e le preoccupazioni scemare, per essere rinchiuse – stavolta toccava a loro – in un angolo della sua mente, che si ripromise di tenere ben chiuso fino al suo ritorno.
Qualcosa di caldo le sfiorò la guancia, e la fece sussultare. La ragazza si voltò e ritrovò alla sua sinistra il volto di Shinichi, sorridente, che le stava porgendo il suo caffè.
La ragazza lo prese tra le mani, iniziando a sorseggiarlo, e si fece un po’ più in là, per fare posto al ragazzo in mezzo a lei e ad Heiji.
In quel momento il ricordo di Shun era lontano. Il loro diverbio della sera precedente non aveva alcuna importanza, si era allontanato a sua volta assieme alle sue preoccupazioni. Ora, davanti a lei, si aprivano tre giorni da passare assieme ai suoi amici.
Si sarebbe divertita, per la prima volta, dopo tanto.
 
 
Il pelo dell’acqua fu infranto dalla capigliatura biondo cenere di Sonoko, che sputacchiante, riaffiorava dopo essere stata brutalmente buttata sottoacqua da quelle che riputava essere le sue migliori amiche.
Le risate di Ran e Kazuha raggiunsero le sue orecchie mezze tappate, facendola voltare lentamente nella loro direzione, con gli occhi stretti a fessura e lo sguardo – fintamente – irato.
“Io non dormirei sonni tranquilli, se fossi in voi” le minacciò, la voce resa cupa.
Kazuha ridacchiò ancora più forte e si avvicinò con circospezione all’amica, nuotando in uno stile piuttosto discutibile. “Oh, ma sentitela... ora fa anche le minacce!” la prese in giro, tentando per la seconda volta di buttarle la testa di nuovo nell’acqua, ma stavolta la giovane ereditiera fu più svelta, e quella che affondò qualche istante dopo fu la testa della ragazza di Osaka.
Sonoko non si lasciò andare ad una risata soddisfatta, ma afferrò svelta l’amica da sotto le ascelle e la fece risalire, tenendola a sé come se stesse affogando. La giovane ereditiera cominciò a guardarsi attorno, fingendo angoscia, sbatacchiando l’amica da una parte all’altra.
“Aiuto, aiuto! Chiamate qualcuno, la mia amica sta affogando!” urlò Sonoko, attirando gli sguardi divertiti di un paio di ragazzi poco distanti da loro.
“Sonoko...” la chiamò Ran, avvicinandosi imbarazzata.
“Sm... ti... l!” cercò di riprenderla Kazuha, alternando frasi a inghiottimenti di acqua salata, decisamente disgustosa.
Sonoko non mollò la presa, e strinse a sé ancora più convulsamente la giovane amica, impedendole così il libero movimento delle braccia,tenendogliele prepotentemente spalancate. “Qualcuno chiami qualcuno! Ci serve la respirazione bocca a bocca! Chiamate un bel tenebroso!” continuò Sonoko, iniziando a sghignazzare. “Hattori, aiuto, aiuto! Kazuha sta affogando!”, ma finì la frase sentendo scivolare dalla sua presa il corpo della sua amica, paonazzo dalla vergogna.
“Sonoko!” la rimbrottò la giovane del Kansai. “Ma che figure mi fai fare!” disse, affondando la testa un secondo dopo fino sopra le labbra, iniziando a fare delle bollicine con la bocca.
La giovane ereditiera si sbracciò verso la riva, cercando di saltare fuori dall’acqua. “Hattori! Hattori! Corri!” continuò, prima di essere investita da una non poco delicata onda d’acqua causata dalle mani di Kazuha.
“Ma cosa urli?!” le disse, sempre più rossa.
Ran capì le intenzioni della sua migliore amica, e le si avvicinò, posandole un braccio attorno al collo. “Sonoko scherza sempre...” ridacchiò non molto convinta in direzione di Kazuha, cercando in qualche modo di riparare al danno che la giovane ereditiera aveva fatto. Heiji voleva che Kazuha non sapesse del suo interessamento, o perlomeno, non voleva che lo venisse a sapere da altri. Lei gli aveva promesso di tenere la bocca chiusa, e lo avrebbe fatto. Era anche vero che Sonoko non gli aveva giurato niente, e nemmeno aveva la conferma che la sua amica avesse intuito l’interesse del giovane per Kazuha. Solo che, conoscendola...
Sonoko scacciò dolcemente il braccio di Ran, incrociò le braccia al petto e cominciò ad ondeggiare su e giù, facendosi cullare dalla corrente, lo sguardo fisso su Kazuha. “Sotto agli scherzi c’è sempre un fondo di verità” disse soltanto, con fare solenne, e tra le tre amiche calò il silenzio.
Kazuha rimase ferma impalata a far scorrere lo sguardo da Sonoko a Ran, perplessa. Poi, come se le si fosse accesa una lampadina, i suoi occhi si spalancarono e le sue gote diventarono del colore dei pomodori maturi.
“Che... aspetta... cosa intendi?” biascicò, la voce leggermente acuta.
Sonoko scrollò il capo, optando per lo stesso silenzio in cui era piombata Ran, che teneva lo sguardo distante dalle due, puntato verso gli ombrelloni della spiaggia semideserta. Lei non avrebbe parlato. Lo aveva promesso ad Heiji.
“Sonoko?” la spronò a parlare la ragazza di Osaka, ora leggermente irritata dal comportamento della giovane ereditiera, che fino a poco prima sembrava intenta a non smettere di schiamazzare a casaccio. Che faceva, buttava il sasso e poi nascondeva la mano?
“Che volevi dire con quella frase?” stava per domandare Kazuha, prima di essere interrotta dallo sbuffo sonoro di Sonoko. Evidentemente, la lingua lunga della ragazza non era in grado di rimanere in silenzio per più di qualche minuto. “Oh, ma davvero non ci sei mai arrivata?! Ma non ci credo!” disse, facendo intuire un abbozzo di risatina.
Kazuha la fissò perplessa, mentre il rossore sulle sue guancie diminuiva. Si mosse inquieta e si avvicinò ancora di più alle due amiche, per evitare di parlare troppo forte. “Di che parli?”.
Sonoko si grattò il capo, sorridendo, le gote arrossate. “Di Hattori, di Hattori” disse sventolando una mano con fare noncurante. “Non ti sei accorta di che faccia fa quando ti guarda? Non ti sei accorta che diventa impacciatissimo se gli sei attorno? Non ti sei accorta che ti guarda anche quando tu non lo stai guardando? Non ti sei accorta...”, ma la voce della giovane ereditiera venne interrotta dall’urletto isterico di Kazuha. “Ma non è assolutamente vero!” si affrettò a gridare la ragazza, diventando ancora più rossa, sentendo attorno a sé gli sguardi di tutti e di nessuno. “Non inventarti storie fantasiose!”.
Sonoko scoppiò a ridere ed afferrò Ran per il collo, avvicinandola a sé contro la sua voglia. “Non mi invento un bel niente... dai, Kazuha, smettila di fare l’innocentina!”.
La ragazza gonfiò le guancie, indispettita, ed incrociò le braccia al petto, furiosa. “Non sto facendo l’innocente! Queste sono solo... tue supposizioni! Io ed Heiji non ci conosciamo nemmeno così bene, e non ho mai notato atteggiamenti...”. La ragazza si fermò, pensosa, e non completò mai la frase che aveva cominciato. Stava riflettendo su chissà cosa, ma Sonoko non vi badò. Le iniziò a tormentare un braccio, riportandola piano piano alla realtà.
“Suvvia, non c’è da prendersela troppo, allora! Mi sarò sbagliata...” disse, per nulla convincente. Kazuha si limitò ad annuire, spostando un secondo dopo lo sguardo su Ran, che teneva accuratamente ancora lo sguardo in tutt’altra direzione.
“Tu!” esclamò la giovane di Osaka. “Tu... sai qualcosa, di questa faccenda, Ran?!”.
La karateka prese a scuotere il capo energicamente, in segno di negazione, iniziando a sudare freddo. Ma perché ultimamente si ritrovava coinvolta in situazioni un po’ scomode? Che aveva fatto di male?
“Io non so un bel niente! E sicuramente Sonoko... ha detto una sua opinione...” disse tentando di far risultare la sua voce atona. Ma non era convinta di esserci riuscita.
Kazuha si morse un labbro, di nuovo pensosa, ed ignorò il fatto che Sonoko si stesse avvicinando di nuovo a lei.
“Se hai dei dubbi... verificali. E poi Ran non è affidabile. Ultimamente... ha la testa da tutt’altra parte!” esclamò la giovane ereditiera, facendo sprofondare per la seconda volta la testa di Kazuha sottoacqua.
 
 
Heiji si morse la lingua, per impedire alla sua sfrontatezza di far capolino dalle sue labbra e giocarsi il posto di lavoro. Chiuse gli occhi e raccolse a sé tutta la calma che si era assopita in lui, proprio come faceva prima di un incontro di Kendo al campionato studentesco, e lasciò sbollire il suo nervosismo – troppe volte ne era rimasto vittima in quei giorni! – in un sospiro appena accennato.
“Non è così, detective Mouri. Non sono andato in vacanza senza chiederle i giorni di ferie!” disse a denti stretti, spostando il cellulare dal suo orecchio giusto in tempo per non assordarsi dal grido scocciato del suo capo.
“E allora che ci fai laggiù?! Con mia figlia?!” sbottò la voce di Kogoro. “Guarda che me l’ha detto, sai, che andavate al mare! E non sono riuscito a fermarvi in tempo!”.
Heiji ricordò mentalmente l’immagine del detective Mouri che correva giù in strada, cercando di raggiungere la sua macchina, in camicia e mutandoni, una birra stretta nella mano. Non sapeva bene cosa gli avesse urlato contro, ma sperò con tutte le sue forze che il vecchio non avesse mai pronunciato la parola ‘licenziamento’. Invece che fermarlo, quella vista gli aveva fatto premere più a fondo il pedale dell’acceleratore, e in men che non si dica aveva perso di vista la figura minacciosa del detective.
“Ma gliel’ho detto: sono qui per conto di un cliente privato. Il mio amico – Shinichi Kudo, se lo ricorda? Glielo avevo già nominato prima – ha tra le mani un grosso caso, privato. Molto privato. E mi ha chiesto giustamente aiuto, essendo di gran lunga inferiore al mio ingegno-” una bottiglietta vuota di acqua lo colpì in testa, bloccando i suoi farfugliamenti. Heiji si voltò verso Shinichi, che lo stava fissando torvo dalla sua sdraio, e gli rivolse un sorriso di scuse.
“Sei ancora lì?!” lo richiamò alla realtà la voce metallica di Kogoro.
Heiji sbuffò mentalmente e si avvicinò nuovamente il cellulare all’orecchio. “Sì... comunque, non si preoccupi, sarò di ritorno per lunedì, la pista che sto seguendo mi porterà presto dal colpevole. Ora mi scusi, ma devo andare” disse alla svelta il giovane detective, chiudendo la comunicazione nonostante la voce di Kogoro lo stesse ancora rimproverando. Lasciò cadere il suo cellulare all’interno della borsa di Ran, premurandosi però di spegnerlo per evitare altre scocciature da parte del detective Mouri.
“Wow” disse la voce di Shinichi, a metà tra l’indifferenza e la sonnolenza. “Sei stato docile come un agnellino. Sicuro di stare bene?”.
Heiji gli rispedì indietro la bottiglietta vuota, colpendogli un ginocchio. Si sdraiò a sua volta, chiudendo gli occhi per non accecarsi con la prepotente luce del sole e si lasciò andare ad un sospiro in risposta alla constatazione del suo migliore amico.
“Dovresti licenziarti” continuò Shinichi. “Da quando lavori lì, sei sempre più stressato. E insopportabile” disse con un ghigno che Heiji non poté vedere.
La sua era una battuta, ma l’amico di Osaka non la prese come tale. “E con cosa mi pago l’affitto? Sfortunatamente, non ho una villa lasciata in custodia dai miei genitori”.
Shinichi non rispose subito, assottigliando gli occhi. Heiji inspirò profondamente ed avvertì le sue gote scaldarsi un pochino. Non gli piaceva la cosa che stava per fare.
“Scusami”.
Shinichi ridacchiò, mollando un pugno sull’addome dell’amico, facendolo scattare in posizione seduta per la troppa durezza del colpo.
“Ma sei scemo?!” gli urlò contro il ragazzo dalla pelle olivastra, mentre prendeva a massaggiarsi la pancia, fissando torvo il volto ghignante di quello che reputava il suo migliore amico. Forse, doveva rivedere l’intera faccenda.
Shinichi smise di ridacchiare, puntellandosi sui gomiti, affondando lo sguardo verso qualcosa che stava dritto davanti a sé. Heiji lo imitò, e capì cosa avesse attratto l’attenzione del suo amico.
“Era ora. Volevate diventare delle spugne?” domandò Heiji in direzione di Ran e di Sonoko, che proprio in quel momento erano uscite dall’acqua e si stavano dirigendo verso la prima fila di ombrelloni, dove ne avevano noleggiati un paio.
Sonoko scosse la testa per liberarsi delle goccioline di acqua proprio come fanno i cani finito il loro bagnetto, spruzzando il tutto volontariamente addosso ad Heiji, che si scansò troppo lentamente.
“Sì, hai problemi, detective?” le rispose la ragazza, sedendosi sulla sua sdraio, riparandosi dal sole.
Heiji si trattenne dal risponderle e si voltò verso Ran. Alle sue spalle non  c’era Kazuha, evidentemente non aveva seguito le due amiche verso la spiaggia. Forse era rimasta a nuotare, come da piccola era solita fare in quel mare, oppure era andata a farsi una passeggiata pomeridiana. Oppure era stanca ed era tornata all’ostello dove avrebbero alloggiato in quei giorni.
Heiji capì che avrebbe voluto tremendamente saperlo, e si voltò verso Ran per sussurrargli quella domanda tanto agognata, quando si accorse dello sguardo vispo che Sonoko aveva puntato su di lui. Le parole di Heiji gli morirono in gola, sentendosi stranamente in trappola, mentre le labbra di lei si incurvavano in un sorriso pacato, e non più canzonatorio.
“È rimasta ancora in acqua. Vicino agli scogli” lo informò a mezza voce, inforcando un istante dopo gli occhiali da sole, per poi girarsi a pancia in giù e voltare la testa dall’altra parte, ignorandolo.
Heiji la ringraziò mentalmente, stupendosi nel pensare che forse, in fondo in fondo, quella ragazza non fosse così antipatica come sembrava.
Il ragazzo si alzò, fingendo di stiracchiarsi, e diede una pacca sulla spalla di Shinichi, distraendolo dalla sua contemplazione di Ran. Il giovane voltò lentamente il capo, seccato, sull’amico e annuì quando questo lo informò che sarebbe andato a farsi una nuotata ristoratrice.
Prima di voltarsi del tutto, Heiji notò che Ran prese il suo sdraio e che lo sistemò accanto a quello del suo rivale dell’Est, il quale, mettendosi seduto a gambe incrociate, incominciò ad ascoltare ciò che la ragazza stava dicendogli.
Heiji riprese la sua strada verso gli scogli, sorridendo dentro di sé, nonostante pensasse che l’amico, così facendo, si stesse facendo del male da solo. Ma, dopotutto, lui era il suo migliore amico. E, in quei giorni, aveva elaborato il fatto che tentare di dissuaderlo dallo stare vicino a Ran fosse pressoché inutile.
Gli sembrava di vederlo ringiovanito, regredito all’età adolescenziale, e i suoi occhi brillavano inconsapevolmente appena lui pronunciava il nome della ragazza. Gli faceva bene.
Non l’aveva mai visto così, prima di allora, e forse Ran, per Shinichi, era davvero diversa dalle altre volte. Forse aveva quel qualcosa in più che aveva stregato l’amico, ma per davvero, stavolta.
Ed ora, quel qualcosa che invece aveva stregato lui, gli si presentava davanti, in tutta la sua naturale bellezza.
Kazuha se ne stava seduta sul bagnasciuga, vicino agli scogli, come gli aveva suggerito Sonoko. Aveva gli occhi chiusi, la fronte leggermente aggrottata, come se fosse pensosa, e il volto rivolto verso il cielo caldo di quel pomeriggio.
Sentì il suo cuore aumentare il trotto, mentre la sua parte razionale gli suggeriva di fare dietrofront e tornare al suo ombrellone. Lo voleva bloccare di nuovo.
Ma, per fortuna, la sua irrazionalità ebbe il sopravvento.
 
 
Kazuha sentì una mano fresca posarsi sulla sua fronte, facendola sobbalzare e voltare verso il suo disturbatore. Quando i suoi occhi smeraldo si incrociarono con quelli chiari del conterraneo, sentì il cuore mancare un battito.
Stava proprio pensando a lui. O meglio, alla supposizione di Sonoko.
Non si era mai accorta del comportamento di Heiji in sua presenza, non vi aveva mai realmente badato. Non aveva mai osservato se lui la fissava più del dovuto, e faceva ricondurre i suoi balbettii alla timidezza del giovane. Ma, ci aveva appena riflettuto, con gli altri lui non balbettava mai. La sua voce scorreva sempre fluida e sicura, mai con un segno di esitazione.
Solo una volta – e questo lo aveva ricordato mentre stava discutendo con le sue amiche poco prima  - gli era sembrato sul punto di stare per rivelarle qualcosa. Anzi, sul punto di fare qualcosa.
A casa di Ran, durante la cena improvvisata qualche giorno addietro. Mentre erano in cucina, lui si era avvicinato di colpo a lei, e l’aveva guardata... con occhi diversi.
Come mai non era scattato qualcosa in lei? Perché non le era sorto il dubbio? Ora che ripensava a quello sguardo... le venivano i brividi, nonostante la temperatura attorno a lei fosse fin troppo alta.
“Che ci fai qui da sola?” le chiese il giovane, lasciandosi cadere di fianco a lei, sedendosi così vicino che le spalle di entrambi erano poggiate l’una contro l’altra, rilasciando una specie di scarica elettrica, che forse percepiva solo Kazuha.
La ragazza chiuse la bocca, rendendosi conto di averla tenuta aperta dal momento che l’aveva notato fino ad allora, e rimase in silenzio a fissare il suo profilo, mentre questo allungava le gambe nella sabbia, puntellandosi con le mani per tenere il busto dritto.
Lo sguardo di Kazuha scivolò sui pettorali scolpiti del ragazzo e sui suoi addominali muscolosi, scendendo ancora un po’ più giù fino a... imbarazzata, distolse lo sguardo, strizzando forte gli occhi e sentendo la saliva azzerarsi.
Il cuore di lei martellava talmente forte che ebbe paura che Heiji lo potesse sentire. Ma che cosa le stava succedendo?! Perché, tutto d’un tratto, vedendolo aveva provato quella strana sensazione di piacere? Aveva per caso gli ormoni a mille? Non sapeva sostenere il suo corpo in costume da bagno?
Ma certo che no! Lo aveva visto anche quella mattina, in costume, eppure... eppure non era successo nulla di quello che aveva provato in quel momento, osservandolo.
Era tutta colpa di Sonoko! Era tutta suggestione! Era ovvio, che fosse così... che altro poteva essere, sennò?
“Qualcosa non va?” domandò Heiji, allungando il collo per cercare di guardarla in faccia.
Kazuha si allontanò dalla sua seduta e si alzò in piedi di scatto, tremante. Sentiva il suo volto bollente e non aveva il coraggio di abbassare gli occhi su di lui. Non per cadere di nuovo... in tentazione.
 
“Se hai dei dubbi... verificali”
 
La frase di Sonoko le riempiva la testa. Lei non aveva dubbi! Era tutta suggestione, tutta suggestione... tutta... suggestione...
 
“Vedi... è da un po’ di tempo che volevo... dirti una cosa”
 
Aveva balbettato Heiji, quando, la sera prima, era venuto sotto casa sua. Aveva balbettato pronunciando quella frase. Si era grattato una guancia, con nervosismo.
Ma perché quegli sprazzi di conversazione le tornavano alla mente?
 
“Ascoltami, per favore... Non ce la faccio più...”
 
Gli occhi di Kazuha si spalancarono, mentre il suggerimento di Sonoko tornava a ripetersi nella sua testa.
Dubbi... verificarli...
La ragazza abbassò il capo, guardando di traverso il giovane che, ancora perplesso, stava aspettando una sua risposta.
Forse, ora, qualche dubbio ce l’aveva.
“Ecco...” mormorò appena. Strinse i pugni, facendo affondare le unghie nella carne. Alzò di scatto il capo e si voltò per guardare negli occhi il ragazzo, con sguardo determinato, nonostante l’imbarazzo crescente che sentiva dentro di sé.
Se era tutta un’illusione, avrebbe fatto la figura della scema. E, forse, ci sarebbe rimasta male.
“Heiji, mi dovevi dire qualcosa, ieri sera” gli ricordò, facendo sussultare il ragazzo. Non era una domanda, ma un’affermazione.
Heiji si alzò lentamente da terra, affondando le mani nelle tasche dei suoi bermuda scuri. La guardò timidamente negli occhi, schiarendosi la gola.
“Sì... io...” iniziò timidamente.
Ma non completò mai la frase.
Kazuha, lo anticipò.
“Ti piaccio?”.
 
 
Sonoko si era alzata dalla sua sdraio pochi minuti dopo aver visto Heiji andarsene alla ricerca di Kazuha, con la scusa di andare a comperare qualcosa da bere. Non aveva la minima voglia di stare in mezzo a Ran e Shinichi, mentre inconsapevolmente – o meglio, secondo lei – tubavano.
Per il momento le sembrava che entrambi ostentassero solamente un rapporto ed un coinvolgimento di tipo platonico, ma ai suoi occhi vispi non erano sfuggiti i mille sguardi incantati di Shinichi. E le sembrava perfino che Ran stesse cadendo nella tela che lo sguardo magnetico del ragazzo dagli occhi color oceano stava filando senza rendersene conto. Sembrava dimentica dell’esistenza di Shun. Non lo aveva ancora chiamato, e non l’aveva ancora vista smanettare con il cellulare. Che avessero litigato?
Bè, forse era meglio così. Almeno, quel tipo non avrebbe interferito con la sua vacanza, e avrebbe lasciato un po’ in pace l’animo di Ran.
Sonoko zigzagò tra i pochi ombrelloni posti sulla spiaggia, notando che quello che aveva detto loro Kazuha quella mattina era vero: quella spiaggia era molto tranquilla. Nulla in confronto a quelle nei pressi di Tokyo, piene zeppe di famiglie con bambinetti urlanti e vogliosi di sotterrarti nella sabbia.
Almeno lì, a Shirahama, poteva starsene un po’ più tranquilla. Anche se solo per quel week-end. Ma cosa le era passato nella testa? Aveva mollato tutto. Probabilmente i suoi si stavano preoccupando, non trovandola neppure nell’appartamento di Tokyo e a casa delle sue amiche. E aveva anche mollato lo studio. Sapeva solo che le era venuta una gran voglia di cambiare aria, e una gran voglia di mare. Anche se con sé aveva troppe coppie. E le aveva addirittura portate di sua spontanea volontà.
Forse si credeva un po’ il cupido della situazione, e la cosa non le dispiaceva poi così tanto. Magari tutta quell’atmosfera romantica avrebbe potuto sfiorarla un pochino!
Si portò inconsapevolmente le braccia sui fianchi, e sentì sotto la presa dei suoi polpastrelli sinistri una lieve sensazione di fastidio. Si abbassò di un poco la culotte blu notte e guardò con una smorfia l’ematoma giallastro che si era presa qualche giorno prima, e che le abbruttiva la pelle. Vi passò leggera la mano, sopra, carezzandolo, e poi lo ricoprì di nuovo, sentendo un secondo dopo una nuova fitta nello stesso punto.
“Scusami!” le disse svelta una ragazza bizzarra, apparsa di corsa davanti a lei. Indossava un cappellino a forma di cocomero e portava con se un cestino ripieno di pezzi di anguria. Anche il bikini che indossava riportava le stampe con quel frutto tipicamente estivo, e Sonoko si domandò se quella fosse la nuova moda per quella stagione.
“Ah, mi dispiace, sono davvero sbadata!” le disse la ragazza, che non doveva essere più vecchia di lei. Quella mise per terra il cestino e porse a Sonoko una fetta piuttosto generosa di anguria, mollandogli tra le mani anche un volantino pubblicitario.
“Scusami, ma sono di fretta!” le disse, ed un secondo dopo quella stramba ragazza stava già correndo tra gli ombrelloni, iniziando a porgere fette di anguria e volantini a chiunque le desse ascolto.
Sonoko rimase un istante immobile, sentendosi un pochino stupida. Poi scosse il capo, lesse il volantino che aveva tra le mani, e sentì un sorriso nascerle sul volto.
 

Vieni anche tu, questa sera,
alla festa sulla spiaggia!
Barbecue, musica, divertimento
e l’annuale tanto attesa
‘Corsa di cocomeri’, con premiazione
per il vincitore di una cassa di angurie!
 

“Questa sera, eh?” disse ad alta voce. Sghignazzò, addentando il cocomero che gocciolava fresco dalla sua mano. “Ci sarà da divertirsi!”. 

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Tadadadaaaan!
Scusate, ma l’IDONEA ALLA GUIDA qui presente ha passato il week-end interamente sul libro della patente e non ha avuto un secondo per postare questo capitolo.
Se ve lo state chiedendo, sì, me la sto tirando un po’!  XD
Ahhaha, è solo che sono troppo soddisfatta XD
Vabbè, chissene, direte voi, e vi comprendo a pieno! :)

Che mi dite or ora? Sappiate che adesso sono appena arrivati al mare, mica potevo subito piazzare lì delle bombe esplosive, anche se la nostra Kazuha non è rimasta mogia mogia, o no?? ^^
E questa festa sulla spiaggia??
Aspetto i vostri commenti! :)
Ringrazio quegli angeli delle mie recensitrici: Shine_, withoutrules, Yume98, 88roxina94, izumi_ e  _Flami_!
Grazie anche ad Anna738 per aver messo la storia tra le seguite, e a tutti coloro che hanno solamente letto! ^^
Ci vediamo al nono capitolo! *-*
Un abbraccio,


Dony 

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Capitolo 9
*** Chap 9 ***


Hi, nice to meet you!
9.

 
 
Una lieve brezza scompigliò i capelli umidi di Kazuha, facendole venire la pelle d’oca lungo il collo e la schiena. In un’altra situazione, la ragazza si sarebbe lasciata sfuggire un sorriso e avrebbe preso a scaldarsi la parte infreddolita, ma non in quel momento.
Tutti i suoi sensi era puntati sul ragazzo che le stava di fronte, pronti a captare qualsiasi reazione, anche il minimo battito di ciglia. Ma sembrava che Heiji non fosse in grado nemmeno di sbattere le palpebre.
Non respirava. Non deglutiva. Non si muoveva.
Stava semplicemente fermo lì, a fissarla. E questo, fece infuriare irrimediabilmente Kazuha.
Perché la stava studiando? Era lei, quella, che aveva bisogno di spiegazioni. Ed era sempre lei, quella che doveva registrare ogni singolo movimento da parte dell’altro.
Non toccava a lui, no.
Non sapeva perché, ma l’imbarazzo di poco prima era scemato ben presto, sostituito dalla rabbia.
Rabbia... Kazuha non conosceva veramente il significato di questo sentimento. O almeno, non fino ad allora. Lei si era sempre considerata una persona mite e pacata, sempre pronta ad aiutare il prossimo, vittima rarissime volte dell’ira. Ma, mai come in quel momento, aveva sentito il sangue ribollirle nelle vene.
“Come, prego?” si decise a mormorare Heiji, facendo un passo in avanti. La sua voce era uscita con un tremolio, e questo fece capire a Kazuha che il ragazzo dovesse aver capito bene la domanda che lei gli aveva rivolto.
 
“Ti piaccio?”
 
Accidenti, ma dove lo aveva preso il coraggio? Cosa l’aveva spinta a parlare prima di sentire il suo discorso? E perché ora lui tentennava ancora di più?
“Hai capito bene” gli rispose la giovane, stringendo i pugni, fino a che le nocche divennero bianche. “Mi pare che sia una domanda molto semplice”.
Ed ecco, di nuovo, la rabbia prendere il sopravvento sulle sue buone maniere.
Heiji aprì e chiuse la bocca un paio di volte, stupito dal tono della ragazza, e forse un po’ intimorito dallo sguardo di fuoco che lei gli stava rivolgendo con durezza. Heiji si lasciò ad un sospiro impercettibile e si convinse a fissare gli occhi verde smeraldo della ragazza, sostenendoli con altrettanta sicurezza.
“Sì” disse soltanto, in un soffio carico di emozione. Le sue gote si colorarono di un poco, ma la voce non vacillò come era solito fare quando parlava con lei, ed i suoi occhi chiari rimasero fissi in quelli di Kazuha, che sentì una gamba cederle nel momento in cui Heiji aveva confermato alla sua domanda.
Kazuha mandò giù, sentendo però la saliva farsi sempre più rara. Non sapeva con esattezza cosa dire, e come comportarsi. Il cuore le batteva nel petto, come una tarantella sconnessa, e sentiva nello stomaco uno strano subbuglio. Forse aveva mangiato troppo?
Aveva detto ‘sì’. Quindi lei gli piaceva. Sonoko aveva ragione. Come mai non se n’era mai accorta prima? Improvvisamente, Kazuha sentì la rabbia sparire e le gambe voler cedere sotto il suo peso, per accasciarsi al suolo. Abbassò il capo, allentando i pugni, e sentì il suo viso arrossarsi per l’imbarazzante situazione.
“Da... da quanto?” riuscì a mormorare. Non voleva saperlo, in realtà. Ma non aveva trovato niente di meglio da dirgli. Il suo cervello ronzava a vuoto. Non le era di nessun aiuto.
Heiji spostò un po’ di sabbia con il piede, come per prendere tempo. A sua volta abbassò lo sguardo, insieme alla voce. “Dai tempi dell’ultimo anno di liceo” le rivelò, e Kazuha perse un battito.
Alzò di scatto il viso, non riuscendo però a catturare gli occhi del giovane detective, sfuggenti e intimiditi. Inconsciamente, incrociò le braccia al petto, rimanendo fissa a guardarlo, sentendo nascere sulla sua fronte una ruga di stizza.
“Mi sei piaciuta subito, da quella volta in cui ci siamo incrociati nello spogliatoio. Ricordi?” iniziò Heiji, sorridendo dolcemente alla sabbia. “Avevi dimenticato la sciarpa nel dojo, e da lì ho capito che tu eri la ragazza giusta per me”.
Kazuha spalancò gli occhi, optando per il silenzio. Sì, se la ricordava quella volta, ma dovette ammettere a se stessa che in quell’occasione nulla l’aveva portata a pensare che Heiji fosse il ragazzo che stava cercando o che mai avrebbe cercato. Sì, l’aveva trovato carino, ma non era scattato in lei nulla di particolare. Ed ora, sentendo i ricordi di Heiji, non le sembrava nemmeno di essere lei quella ragazza che era entrata in palestra, più di un anno addietro, e lo aveva incrociato a fine di un allenamento.
“Quando ho saputo del tuo trasferimento a Tokyo, per l’università...” ricominciò il detective, interrotto un secondo dopo dalla ragazza, che distese un braccio davanti a sé per bloccare il suo discorso. “Fermo, fermo, fermo!” disse acida, sentendo di nuovo la collera prendere possesso delle sue vene, e del suo cuore.
‘Quando aveva saputo del suo trasferimento’? ‘Quando aveva saputo del suo trasferimento?!’. Kazuha boccheggiò, cercando le parole meno sgarbate che riuscisse a reperire nel suo vocabolario, ora sottosopra. “Aspetta un attimo... tu... mi hai seguito a Tokyo?!” domandò fremente.
Heiji alzò finalmente lo sguardo su di lei, ancora sorridente. Non appena incrociò gli occhi fiammanti della ragazza, il suo sorriso scomparve all’istante, lasciando le sue labbra incerte e dubbiose.
Kazuha chiuse un istante gli occhi. Si sentiva spiata, si sentiva usata. Sentiva che il loro primo incontro a Tokyo era stato tutto una messinscena, un piano organizzato con cura e metodicità dal ragazzo che stava di fronte a lei.
E, nello stesso tempo, in quel momento, lei non si sentiva Kazuha.
“Non ci posso credere” sibilò, aprendo gli occhi e fissando lo sguardo di Heiji con disgusto. Non sapeva bene perché la stava prendendo così male, ma in quel momento non riusciva a ragionare con lucidità. In quell’intero anno, Heiji l’aveva ingannata. L’aveva presa in giro. Aveva finto amicizia, nonostante il suo scopo fosse tutt’altro. Queste, erano le considerazioni che frullavano rumorosamente nella testa della ragazza.
“Mi hai seguita fino a Tokyo!” ripeté, ma stavolta in un’affermazione. “Ti sei finto mio amico... mi hai solo presa in giro!”.
Heiji accusò il colpo, sbiancando, capendo un secondo dopo quello che aveva dedotto – erroneamente – la ragazza. “No, no... aspetta, Kazuha, non...”.
“Ti sei fatto assumere dal detective Mouri perché sapevi che ero amica di Ran?!” esclamò a voce fin troppo alta. Kazuha scosse il capo, infastidita e profondamente delusa. “Ma per quanto tempo hai spiato i miei movimenti?!”.
Heiji fece un passo avanti e tentò di allungare una mano verso la sua spalla, ma la ragazza fece due passi indietro, sfuggendo dalla sua presa. Non voleva che lui la toccasse. Non voleva averlo vicino un istante di più.
“Non ti ho affatto spiata! È stata una coincidenza, il fatto che tu e Ran aveste fatto amicizia e che io...” stava tentando di spiegarle, ma Kazuha proruppe in una lieve risata fredda. “Sì, come no. Heiji... stammi lontano” sputò fuori.
Guardò per l’ultima volta i suoi occhi, ritrovandosi a pensare che fino a poco prima si erano addolciti al ricordo del loro primo incontro. Ma questa constatazione le faceva ancora più male del pensare a come lui l’avesse raggirata.
Gli voltò le spalle e si mise a correre lontana da lui, accecata dalla rabbia e dalla paura di questo nuovo sentimento.
Kazuha non conosceva veramente il significato della rabbia, ma ora, grazie ad Heiji, la stava facendo sua.
 
 
Ran sentì un peso enorme gravarle nel cuore, che fino a qualche minuto prima era stato libero e spensierato. Prese un grosso respiro e formulò ad alta voce la risposta da dare alla domanda che le era appena stata posta.
“Sono al mare con Sonoko e Kazuha”.
Dall’altra parte del telefono, si sentì il suo interlocutore cadere nel silenzio più assoluto. Ran prese ad infossare i piedi nudi dentro alla sabbia bollente, mordicchiandosi il labbro inferiore, con il cuore a mille. Una nuvoletta passeggera le fece temporaneamente ombra, impedendo ai raggi del sole di scottare la pelle della ragazza, che, al contrario, alzò il capo alla ricerca della luce, proprio come se fosse stata privata dell’aria che respirava.
“Al mare, eh...” sospirò la voce metallica del suo fidanzato.
Shun, alla fine, aveva chiamato. Sembrava preoccupato e infastidito di non essere riuscito a trovarla a casa sua, quella mattina, quando vi si era recato per chiarire sulla loro discussione della serata precedente. Suo padre non era nemmeno in agenzia, e quindi Shun non era stato informato della scappatella della giovane assieme al suo gruppo di amici, vecchi e nuovi.
“Sei qui a Tokyo?” le domandò atono.
Ran spostò il cellulare sull’altro orecchio, per prendere tempo. La voce del suo fidanzato non la convinceva per niente. Sentiva che era irritato dal non aver saputo prima della sua vacanza, ma allo stesso tempo avvertiva stanchezza nella sua voce. Come se di quella situazione ne avesse fin sopra i capelli.
“No... sono fuori Tokyo” disse, e senza curarsi di specificare altro, gli pose una domanda, cercando di non far trapelare il fastidio che l’avvolgeva quando ancora rifletteva sulla cena mandata a monte del giorno prima. “Ti sei calmato, da ieri?”.
Shun sbuffò, e fece cadere il silenzio per la seconda volta. Ran se lo immaginò sdraiato sul divano del suo appartamento, gli occhi chiusi e i polpastrelli che massaggiavano le sue tempie, il volto stanco e tirato. Se fosse stata accanto a lui, probabilmente avrebbe preso ad intrecciare le dite nei capelli di lui, in un gesto automatico e privo di spontaneità, come per rassicurarlo  e per dirgli che tra loro tutto andava bene. Che il loro litigio non aveva cambiato niente.
Ma non era vero. Qualcosa, quella discussione, aveva cambiato.
E Ran non voleva far finta che nulla fosse successo.
“Lunedì ho la partita. Ci sarai?” le chiese lui dopo un po’. Ran annuì, rendendosi conto qualche istante dopo che Shun non poteva vederla. “Certo” rispose allora, passandosi una mano fra i capelli.
“Bene” soffiò il ragazzo. “Allora ci vediamo lunedì...” concluse, sentendo a sua volta la ridicolezza di quella conversazione. Si stavano dicendo tutto e niente allo stesso tempo.
“Okay. A lunedì” lo salutò Ran, sentendosi in parte colpevole di quella situazione.
 
No, non ho fatto nulla di male!
 
sbuffò irata una vocina nella sua testa. Ecco, ricominciava di nuovo a sentirsi sempre la responsabile delle sofferenze di Shun. Tornava a sentirsi come quella che deve abbassare la testa e tenersi tutto dentro. Tornava a sentire la sua voglia di vivere premere per sparire.
Ma questa volta la vera Ran non avrebbe mollato.
“Senti, Ran” disse di slancio Shun, appena in tempo, prima che la giovane chiudesse la conversazione. Il silenzio che lei gli diede in risposta fece capire al ragazzo di poter continuare. “Questa situazione non mi piace per niente. Voglio chiarire, ma non ora. Ne riparliamo lunedì, va bene?”.
Ran annuì a nessuno per la seconda volta, confermando ad alta voce la sua opinione solo qualche attimo dopo. “Va bene. Non... non stancarti troppo. Con gli allenamenti”.
Shun rise, atono. “Ci proverò. Ciao”.
Ran chiuse la comunicazione prima del suo fidanzato, trovandosi a fissare incantata lo schermo buio del suo cellulare, reprimendo la voglia di richiamarlo e di costringerlo a venire lì a Shirahama. Voleva parlargli, subito. Ma voleva vederlo negli occhi.
Voleva chiedergli cosa stesse succedendo. Come mai la loro situazione fosse caduta nella repulsione vicendevole, dalla sera precedente.
Lo sentiva distante, lo sentiva diverso. Che gli era successo?
La nuvola ribelle sparì, portando via con sé la zona d’ombra che era stata temporaneamente la compagna di Ran, in quella breve e infruttuosa telefonata.
“Purtroppo il frullato alle fragole l’avevano finito, e allora ti ho preso quello al cioccolato. Spero ti vada bene lo stes...” la voce di Shinichi scemò lentamente, quando si ritrovò davanti agli occhi Ran, rannicchiata sulla sua sdraio in maniera totalmente differente da come l’aveva lasciata dieci minuti prima.
La ragazza alzò il viso su quello dell’amico, ed abbozzò un sorriso per cercare di rassicurarlo. Aveva capito dallo sguardo di lui che si stava già preoccupando, e lei non voleva riempirlo con i suoi lamenti e con i suoi tormenti nei confronti di Shun. L’aveva già tediato abbastanza.
“Va benissimo al cioccolato, grazie Shinichi” mormorò la ragazza, allungando una mano e afferrando il bicchiere di plastica. Shinichi non lo lasciò andare, aumentando la presa, fissando i suoi profondi occhi blu in quelli di lei, che però ostentavano a lasciarsi leggere.
“Che cosa è successo?” le domandò.
“Nulla”.
“Raaan” la richiamò lui, arricciando il naso, come se la questione gli puzzasse. La ragazza si lasciò andare ad un sospiro, ed agguantò il suo frullato prima che il giovane glielo potesse impedire. Iniziò a mordere nervosamente la cannuccia, permettendo di tanto in tanto al frullato di salire fino alle sue labbra, senza però inghiottirlo.
“Non è successo assolutamente niente” ripeté la ragazza, seguendo con lo sguardo Shinichi, fino a che non si sedette accanto a lei sulla sdraio. “Mi ha solo chiamata Shun...”.
Shinichi, a quel nome, si incupì improvvisamente. Bevve un sorso del suo frullato alla menta con estrema avidità, inspirano pesantemente. Nel giro di un paio di minuti finì la sua bevanda e lasciò cadere ai suoi piedi il bicchiere vuoto, ripromettendosi di raccoglierlo il prima possibile.
Studiò in tralice la ragazza, che lo stava ancora guardando silenziosa. Al suo sguardo, si irritò, mettendosi dritta a sedere in un battibaleno.
“Che c’è?!”.
Shinichi sbuffò, e la guardò con le sopracciglia incurvate verso l’alto. “Dovresti dirmelo tu. Sei tutta cupa e minacciosa... che ti ha detto?”.
Ran non voleva parlare di Shun. Non con Shinichi, che chiaramente lo detestava, e che quindi era di parte. La ragazza si domandò come il suo fidanzato potesse stare antipatico a così tanta gente, escludendo a lei e a Kazuha. Ma a quella domanda interiore, non riuscì a trovare risposta.
“Gli ho detto che sono al mare con Sonoko e con Kazuha. Ci è rimasto male, ed era ancora distante. Ha detto che vuole chiarire, ma l’ho sentito freddo. Non era il solito Shun, è cambiato qualcosa in lui” riassunse Ran, cominciando a gustarsi davvero il suo frullato.
“Bè, si è proprio sforzato” si lasciò scappare Shinichi, trattenendo a stento la stizza. Ran lo guardò male, sentendo che comunque lui aveva ragione. Se fosse successo il contrario, ora come ora, Ran sarebbe corsa da lui il più in fretta possibile per chiarire ciò che andava chiarito. Invece Shun aveva rimandato tutto a dopo la partita. Forse, era convinto che dopo quella, lui si sarebbe rilassato e tutto sarebbe tornato pacifico come prima.
“La nostra relazione non può essersi bloccata per uno stupido litigio” disse Ran, più a se stessa che al ragazzo che le stava accanto. “Non può”.
Shinichi incrociò le gambe sulla sdraio e fissò lo sguardo verso il cielo. Poi, i suoi occhi si spostarono sul mare davanti a loro e sorrise. “Non siete in sintonia” disse semplicemente, facendo arrossare le guancie di Ran.
La ragazza gettò a terra il bicchiere del frullato, che macchiò lentamente la sabbia di cioccolato, guardando la nuca del ragazzo con occhi che mandavano lampi. Come... come si permetteva?!
Shinichi avvertì lo sguardo della ragazza, la guardò irata com’era, ma non fece crollare il suo sorriso. “Facciamo un esempio banale, vediamo se riesco a farti capire che intendo: l’acqua”.
Ran scosse il capo. “Non ti seguo”.
Shinichi allungò la mano verso la borsa della ragazza, chiedendole il permesso che fu concesso con un cenno del capo, ed estrasse la bottiglietta vuota che prima aveva spedito lui stesso dritto in testa ad Hattori.
Tolse il tappo e cominciò a correre verso la riva, abbassandosi e catturando un po’ di acqua nella bottiglia, per poi fare ritorno da Ran che, sempre più sbigottita e confusa, aveva deciso di stare ad ascoltare ciò che il detective aveva in mente di farle capire.
“Cosa c’entra l’acqua con me e Shun?” si concesse solo di domandare, ricevendo una lieve risatina come risposta da parte del ragazzo, che guardava la bottiglietta con un sorriso.
“Una cosa per volta” le disse, passandole la bottiglia. Gliela indicò con il capo, e Ran rimase con gli occhi fissi sull’oggetto, perplessa. “Mi sai dire cos’è l’acqua? Scientificamente parlando”.
La ragazza agitò la bottiglia sotto il naso del detective, ghignando. Aveva già scordato il motivo per cui erano arrivati a parlare di quello. “Questo me lo dovresti dire tu, visto la facoltà che fai”.
“Dai, Ran, sii seria” la rimproverò lui, con un sorriso.
Ran aggrottò le sopracciglia, passando la bottiglietta nelle mani del ragazzo. “Una molecola? Una relazione? Idrogeno ed ossigeno?” tentò, sentendo che le sue reminescenze di chimica cercavano di tornarle alla mente.
Shinichi si illuminò. “Esatto, brava: una relazione” disse spostando gli occhi su quelli chiari di Ran. “L’idrogeno si incontra con l’ossigeno, e insieme creano una relazione: H2O. In questa relazione, ciascuno da all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno” spiegò il ragazzo, con voce lenta e rassicurante. “È la storia d’amore perfetta. È la storia d’amore che funziona”.
Shinichi finì di spiegare abbassando di nuovo gli occhi sulla bottiglietta, guardandola con aria malinconica. “Nessuno dei due rinuncia ad una parte di sé. Condividono, si legano, si relazionano. Ma sono completi, pieni.”
Ran non osò dire una parola, sentendo gli occhi pizzicare. Era incredibile, e basta. Quello che aveva detto, valeva più di mille discorsi a vuoto.
“Ho capito” ammise, cercando lo sguardo sfuggente del ragazzo. “Ma a volte dei compromessi vanno fatti, non credi?”.
Shinichi abbozzò un sorriso stanco, stropicciandosi poi il viso. “No, non sono d’accordo. Per me l’amore deve essere vissuto a pieno, con l’altro, e con se stesso. Non trovo che i compromessi siano accettabili. Bada: solo i compromessi che comportano una perdita di te” precisò puntando l’indice sotto il suo mento, facendosi pensoso. “Forse è per questo, che non mi sono mai veramente innamorato” rise di sé.
Ran gli sorrise, allungando una mano su quella del ragazzo, stringendogliela nella sua. Shinichi alzò lo sguardo su di lei, e si ritrovò anche lui a sorridere, perdendosi in quell’azzurro in tempesta.
“Non è cambiato qualcosa in Shun, Ran...” mormorò Shinichi. “Qualcosa è cambiato in te”.
 
 
Il detective Kogoro Mouri spense la televisione con uno sbuffo annoiato, iniziando a strappare i biglietti della corsa di cavalli su cui aveva puntato, e su cui aveva perso buona parte del suo ultimo stipendio. Lasciò ricadere a terra i pezzettini di carta, ripromettendosi di spazzarli via poco prima di chiudere l’agenzia e di andare in cerca di un buon ristorante a basso prezzo per mettere qualcosa sotto i denti, visto e considerato che Ran non c’era per preparargli una quantomeno decente cena.
Nella vuota agenzia l’unico rumore che riempiva la stanza era il ronzare del climatizzatore, oramai quasi andato del tutto. L’uomo abbozzò un sorriso ironico, sentendosi un fallito per come la sua vita stava andando negli ultimi tempi: il suo lavoro non stava di certo andando a gonfie vele, nemmeno con l’aiuto di quel ragazzino intelligente che aveva assunto come assistente; era separato, e la moglie non poteva quasi vederlo; e Ran era fidanzata con quel bell’imbusto di un baskettaro.
Dieci anni prima, non avrebbe mai immaginato di finire in quelle condizioni. Doveva fare qualcosa, doveva risollevare quantomeno la sua posizione professionale. Non voleva più costringere Ran a fare la spesa nei supermercati a basso costo, non voleva più affrontare l’inverno con il riscaldamento mal funzionante, non voleva più andare ai bagni pubblici per colpa della caldaia rotta.
Aveva bisogno di un miracolo, o più semplicemente di un cliente abbiente.
Senza nemmeno avere il tempo di completare il pensiero, dalla porta dell’agenzia provenne un lieve bussare insistente. Kogoro saltò su, sistemandosi nervosamente i capelli. Percorse a grandi falcate lo spazio che lo separava dalla porta d’ingresso, sistemandosi la cravatta bucherellata e abbozzando un sorriso invitante.
“Grazie ai Kami!” sussurrò quasi con le lacrime agli occhi, prima di spalancare la porta e accogliere dentro alla sua agenzia nientepopodimenoche... la sua quasi ex moglie.
“Oh” disse asciutto, sentendo il sorriso smontarsi e fare le valigie per non fare ritorno tanto presto. “Sei tu. Ciao”.
Kogoro si fece da parte, invitandola ad entrare con un cenno della mano, e ricevendo in risposta uno sguardo di disappunto dalla donna che avanzava lentamente nella stanza, i capelli comunemente legati in un alto chignon che tentavano in tutti i modi di sfuggire dalla crocchia che li teneva uniti.
“Sempre il solito perfetto ospite, non ti smentisci mai” lo rimbrottò la donna, appoggiandosi al divano, incrociando le braccia al petto. “Ci credo che non hai più un cliente, dati i tuoi modi burberi”.
Kogoro chiuse la porta con un colpo secco, facendo poi affondare le mani nelle tasche dei pantaloni, studiando la quasi ex moglie con irritazione e noia. Quel giorno, lei indossava un completo bordeaux, con le scarpe alte e una collana di perle che seguiva il decolté che mostrava la camicia rosa. Portava anche gli orecchini che lui e Ran le avevano regalato quello stesso Natale, e nel complesso non poteva certo dire che fosse brutta. Anzi, quel giorno era particolarmente bella. Sexy.
Perché, poi, dato che veniva dal lavoro? Aveva avuto un pranzo con un cliente? E ci era andata vestita... così?!
“Che sei venuta a fare, Eri? Hai finito presto dal lavoro e sei venuta qui a disturbarmi?”.
La donna scosse il capo, sorridendo in segno di resa. Lo fissò in silenzio per un lungo ed interminabile secondo, prima di inclinare la testa di lato e decidere di accomodarsi sul divano, lasciando andare la valigetta di pelle che aveva sempre con sé ai suoi piedi. Aspettò che l’uomo si sedesse di fronte a lei, poi accavallò le gambe e riprese a sorridere. “Ti porto un caso da risolvere” disse pacatamente, riaccendendo negli occhi del detective la luce che aveva avuto non appena aveva avvertito il bussare alla sua agenzia.
 
Lavoro!
 
 
 
Sonoko si aggiustò il vestito sbarazzino che si era comperata qualche ora addietro in un negozietto piccolo, ma veramente carino che stava poco distante dall’ostello in cui alloggiavano. Lo aveva comperato apposta per la serata, avendo portato con sé il minimo indispensabile – il costume glielo aveva gentilmente prestato Ran – che aveva pensato di usare stando da Kazuha per qualche giorno.
Quella sera si sentiva terribilmente femmina, ed era in cerca della sua preda. Era stufa di vedere Shinichi e Ran assieme, ridere e chiacchierare come una coppia ormai consolidata. Certo, lo stesso non si poteva dire per i due ragazzi di Osaka.
Qualcosa doveva essere successo, perché nessuno dei due osava guardarsi negli occhi. Ora stavano anche parecchio distanti, come se l’altro non esistesse. Avrebbe indagato. E avrebbe anche mollato un pugno a quel testone di Hattori, se solo si fosse permesso di far star male Kazuha.
Ma non in quel momento. Non quella sera.
“Sarebbe questa... la festa?” domandò Shinichi, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Sonoko lo intercettò, nella sua smorfia pre-risata, e gli tirò una gomitata sul fianco per impedire che potesse deriderla.
“E io che ne so! Ti ho fatto leggere il volantino, no? Ne so quanto te” borbottò la giovane ereditiera, sondando con lo sguardo la spiaggia alla ricerca di ragazzi carini.
In realtà... non ce n’era nemmeno uno. Nel raggio di almeno venti chilometri. E anche all’ostello, loro erano gli unici giovani under quaranta. Sembrava che lì a Shirahama ci fossero soltanto famiglie in villeggiatura. Bambini e genitori, bambini e genitori, bambini e genitori...
Sonoko si grattò furiosamente il capo, imprecando. La ragazza che le aveva distribuito il volantino, quel pomeriggio, sembrava giovane. O si era rifatta di botox?! Sonoko non ci capiva più niente, ma sapeva bene che non sarebbe rimasta su quella spiaggia a mangiare attorno ad un fuoco e a cantare canzoni da boy-scout, insieme ai nonnetti e ai nipotini un solo minuto di più.
“Io me ne vado” sbottò cupa, facendo già dietrofront.
Sentì qualcuno trattenerla dal polso, che si riscoprì essere Ran. La ragazza la fissava severa, e non sembrava avere l’intenzione di lasciarla tornare indietro.
“Ora tu vieni con noi, e mangiamo insieme. Non fare i capricci” le disse come se stesse parlando con una bambina.
In quel momento, doveva ammetterlo, si sentiva proprio come una bambina capricciosa.
Sonoko gonfiò le guancie, e si arrese a seguire Ran, insieme al gruppetto di amici. Attraversarono parecchie coperte distese sulla sabbia, i cui proprietari erano famigliole allegre, che addentavano la carne cotta ai ferri e le patatine grondanti salse occidentali.
Si portarono fino alla fine della spiaggia, dove, accanto agli scogli, si ergeva un modesto falò che scoppiettava indisturbato, alimentato dalla legna che un paio di ragazze stavano faticosamente trasportando fino a lì. Heiji e Shinichi non rimasero con le mani in mano, e si affrettarono a dare aiuto alle due giovani, alleviandole dal peso della legna. Entrambe portavano sul capo lo stesso cappellino che Sonoko aveva visto indossare alla ragazza che si era scontrata con lei quel pomeriggio, e pensò che presumibilmente dovessero fare parte del gruppo organizzativo.
“Ehilà!” trillò allegramente una voce alle spalle di Sonoko. Una mano le batté la schiena, un po’ troppo violentemente, e la ragazza si voltò leggermente piccata.
Una giovane con i capelli neri legati in due ordinate treccine la stava guardando, sorridendo apertamente. Il suo viso non risultò nuovo a Sonoko, che capì si trattasse della ragazza di quel pomeriggio. “Sei venuta! Che bello!” disse, leggermente spaesata.
Posò a sua volta lo sguardo allegro su Ran e Kazuha, impedendo con una forza enorme di non trasformarlo in una smorfia.
“Piacere, io sono Kita, una delle animatrici” si presentò la giovane, con un breve e formale inchino. Le tre giovani amiche la imitarono, sentendosi stranamente a disagio. Lo sguardo che aveva rivolto loro quella Kita sembrava carico di giudizio, e non sapevano spiegarsi il perché.
“Emh, ciao... senti... dove sono tutti?” domandò Sonoko, sporgendosi verso l’orecchio della ragazza, iniziando a sussurrarle concitatamente. “La festa deve essere da un’altra parte vero? Dove sono?”.
Kita si posò una mano davanti alla bocca, ridendo. “Ma sono tutti qui! Non vedete?” disse spostandosi e facendo tornare visibili agli occhi di Sonoko le famiglie sedute sulla spiaggia.
La ragazza storse il naso, infastidita.
“La mia amica voleva sicuramente chiedere se...” iniziò Ran, con i suoi modi gentili, venendo interrotta dal borbottio di Sonoko. “Ma dove sono i ragazzi carini?! Qui ci sono solo padri di famiglia sposati!”.
Gli occhi di Kita divennero freddi all’istante, mentre quella cominciò a scrutare dall’alto in basso Sonoko, quasi con disgusto. “Ma cosa mi tocca sentire! Una madre che va alla ricerca di uomini invece che stare con i suoi figli! Ma cosa credi, che noi siamo delle maestre d’asilo che dovranno badare ai tuoi bambini? E dire certe cose, poi, davanti al marito!”. Kita si portò le mani alle orecchie, scrollando il capo come se fosse costretta ad ascoltare una musica straziante.
Le tre amiche rimasero basite, sbattendo più volte le palpebre, confuse. La ragazza che stava di fronte a loro non doveva avere tutte le rotelle al posto giusto. Oppure si trattava di una burla. Ma che scherzo era mai quello?
Ran e Kazuha si voltarono verso Sonoko, gli occhi ridotti a due minuscoli puntini.
“Fi-figli?”
“Marito?!”.
Alle spalle di Sonoko stava Shinichi, ignaro della situazione venutasi a creare. Il ragazzo spostò lo sguardo sulle tre compagne di viaggio, e poi si concentrò sul dimenarsi quasi grottesco dell’animatrice.
“Ma lui non è mio marito!” esclamò Sonoko a pieni polmoni, puntando un indice minaccioso verso il naso di Shinichi.
Kita sobbalzò, portando al petto entrambe le mani, l’espressione confusa. “Ah, no?” chiese timidamente, iniziando ad arrossire.
“No!” esclamarono sia Sonoko che Shinichi. “Non mi sposerei mai con una matta del genere” aggiunse seriamente Shinichi, lasciando intravedere un sorriso canzonatorio sul suo volto perfettamente composto.
“E non ho figli! Ho vent’anni appena compiuti!” continuò Sonoko, fermandosi solo dopo un po’, per voltarsi verso il ragazzo ed inarcare un sopracciglio. “Che... che cosa hai detto?!” abbaiò, facendo partire una risata isterica nel giovane detective.
Shinichi scrollò le spalle, cercando di sminuire la situazione, mentre il suo viso incominciava a farsi sempre più pallido a causa dell’aura minacciosa della giovane ereditiera.
Gomenasaaaiii”* disse la giovane animatrice, inchinandosi profondamente verso tutte e tre le ragazze, in segno di scuse. “Ho confuso tutto, credevo che foste qui per la festa in spiaggia dei bambini che organizziamo ogni anno!”.
Sonoko per poco non cadde gambe per aria, mentre Kazuha, corrugando un po’ la fronte, fece un passo avanti verso Kita. “Festa per bambini?” chiese delucidazioni, come se non avesse sentito bene.
Kita annuì con vigore. “Esattamente! Ogni anno ne organizziamo una per le famiglie in villeggiatura, per far divertire i bambini. Ci ha affidato questo compito il nostro comune, e noi siamo ben lieti di eseguirlo!”.
“Per la verità, sei contenta solo tu. Noi lo facciamo per pagarci l’università” borbottò una voce cupa alle spalle del gruppetto. Una ragazza dai corti capelli ricci si fece avanti, le mani sui fianchi, e sospirò sconsolata quando posò lo sguardo sulle famiglie allegramente intente a cenare.
Kita posò le mani sulle spalle della ragazza e la fece voltare di forza verso il gruppo di Tokyo, con un  gran sorriso sulle labbra. “Lei è Akane! Un’altra delle animatrici...”
“... e, purtroppo, sua migliore amica” completò la giovane, indicando con il pollice la faccia di Kita alle sue spalle. Poi fece un sorriso e ammiccò alle ragazze. “Piacere!”.
Ran e Kazuha fecero per presentarsi, quando Sonoko, ormai rinvenuta di colpo dalla notizia che l’aveva colpita in pieno qualche minuto addietro, cominciò ad agitare le braccia in aria. “Aspettate, aspettate!”. Sapeva che se le presentazioni le avessero fatte le sue amiche, ci sarebbe voluta una vita, e lei aveva piuttosto fretta di capire.
“Io mi chiamo Sonoko, e queste qui sono Ran e Kazuha” disse indicandole velocemente. “Mentre questi due sono Kudo e Hattori. Bene, tanto piacere! Ora...” disse, abbassando la voce e avvicinandosi per non dover farsi sentire dal suo gruppo. Kita ed Akane sbatterono le palpebre più volte, ma allungarono lo stesso l’orecchio verso la giovane ereditiera, curiose.
“Ecco, volevo sapere... dove sono i ragazzi?!” domandò arrossendo lievemente, ma per fortuna l’oscurità che li stava avvolgendo ogni minuto sempre di più celò il suo imbarazzo.
Sonoko, non ricevendo risposta, si decise ad alzare gli occhi sulle due ragazze. Kita ed Akane avevano lo sguardo perso nel vuoto, davanti a loro. Non la stavano nemmeno calcolando. Sembrava che non avessero ascoltato una singola parola di quello che aveva bisbigliato loro Sonoko. Erano in una specie di trans, e questo irritò la giovane ereditiera, che posò svelta le mani sui fianchi ed estrasse l’espressione più scocciata che era in grado di fare.
“Ma che vi prende? Ehi! Avete sentito quello che ho detto, oppure...” ma Sonoko non riuscì mai a finire la frase che aveva cominciato. Si era voltata nella stessa direzione dove le due ragazze stavano guardando, e il suo cuore perse un battito.
Accanto al falò stava un ragazzo, con ai suoi piedi una nuova cassetta piena zeppa di legna. Aveva lo sguardo perso nel fuoco, leggermente corrugato, ed indossava a sua volta un cappellino a forma di cocomero, che gli stava sulle ventitré. Gli stava dannatamente bene, sulle ventitré.
Si accucciò e recuperò la cassetta, sollevandola come se questo non gli causasse il minimo sforzo. Gli occhiali da vista che indossava gli scivolarono di un poco lungo il naso, e lui se li aggiustò subito, lasciando il peso della legna su un solo braccio, in un tocco che Sonoko giudicò tremendamente sexy. Ma che ci poteva essere di sexy, in quel gesto? Forse era perché... era lui, quello sexy.
Sonoko parlò, senza staccare gli occhi dalla figura del ragazzo che piano piano le stava dando le spalle e si stava dirigendo da un’altra parte.
“Chi... chi è, quello?” domandò, sentendo improvvisamente caldo.
Akane, accanto a lei, si mosse inquieta, e si posò le mani sul viso accaldato un istante dopo. “Lui è...” stava per spiegare, la voce tremante.
“Makoto-saaaaaan!” chiamò la voce squillante di Kita.
Il ragazzo si fermò e si voltò molto lentamente verso la fonte che lo aveva chiamato, riconoscendo la voce. Il suo sguardo si posò per primo su Sonoko, che sentì le gambe cedere leggermente.
 
Makoto...
 
 
 
Ran osservò divertita la reazione della sua migliore amica. Sembrava sul punto di lasciar cadere a terra tutta la saliva che aveva in bocca, se non si fosse sbrigata a chiudere la mandibola. Forse sarebbe dovuta intervenire, ma per fortuna Kazuha capì al volo la situazione e le diede una leggera gomitata sul fianco, che fece sussultare Sonoko e le fece chiudere di scatto la bocca. Senza però distogliere lo sguardo dal giovane, che ormai si era più che avvicinato a loro.
“Che c’è, Saitou?” domandò, facendo rabbrividire persino Ran per il tono di voce basso e profondo che uscì dalle sue labbra.
Kita lo guardò come implorante, per poi scuotere il capo e cercare di ricomporsi. Akane, al suo fianco, sembrava ancora nel mondo dei sogni.
“Ma-Makoto-san, volevo presentarti alcuni nuovi amici” disse timidamente, facendo un cenno della mano nella direzione del gruppetto di Tokyo.
Il ragazzo si voltò e passò lo sguardo su tutti i presenti, senza l’accenno di un sorriso. Non sembrava scocciato, o irritato. Sembrava semplicemente che sorridere fosse l’ultima delle sue priorità.
Quando i suoi occhi si posarono su Ran, quelli della ragazza ebbero un guizzo. Con il cervello, e la memoria, in azione, fece un passo avanti, portandosi l’indice sotto il mento. “Mi ricordi qualcuno...” disse pensosa, per poi battere le mani, illuminata da un ricordo. “Tu sei il grande campione di karate Makoto Kyogoku, non è vero?” domandò la giovane, con un gran sorriso.
Makoto annuì lentamente, corrugando a sua volta la fronte. “E tu... anche tu mi ricordi qualcuno” le fece sapere.
Sonoko si riprese, scrollando il capo ed avvicinandosi a Ran. Le mise un braccio attorno alle spalle ed ammiccò arrossendo in direzione del karateka. “Lei è Mouri Ran, la campionessa di karate femminile”.
Makoto non si illuminò come aveva fatto precedentemente Ran. Si limitò ad annuire e a dire un semplice “Ora ricordo”, per poi tornare a guardare le due ragazze di Shirahama. “Vado a sistemare da un’altra parte la legna di troppo” disse, e poi si voltò, allontanandosi silenziosamente proprio come era venuto.
Kita ed Akane si lasciarono andare ad un sospiro innamorato, mentre contemplavano la schiena muscolosa del ragazzo, guardandolo con occhi illuminati di una nuova luce.
“Bè, ora abbiamo capito che non c’è nessuna festa, qui. Credo che potremmo...” iniziò Shinichi, trattenendo una risatina guardando Sonoko, che però Ran intercettò. Gli diede un pizzicotto non troppo gentile sul braccio, che gli impedì di completare la frase.
“Oh, no, un bel niente!” rispose Sonoko, agguantando alla velocità della luce il cappellino a forma di cocomero che stava sulla testa di Kita. Lo indossò al rovescio, e poi cominciò a correre nella direzione dove era sparito Makoto, inseguita da Kita ed Akane, che, gelose, sembravano aver avvertito le intenzioni della giovane ereditiera.
Ran sorrise guardando l’amica allontanarsi, sentendosi più leggera al solo ricordo della sua faccia di poco prima. Sembrava che la sola vista di quel misterioso ragazzo, l’avesse alleviata dal solito stress che sembrava seguirla come un ombra in quell’ultimo periodo.
“Ed ora che facciamo?” domandò Heiji, posandosi le mani dietro la nuca, avvicinandosi al trio rimasto fermo impalato a guardare Sonoko allontanarsi.
Ran notò con la coda dell’occhio che Kazuha, al solo sentire la voce del ragazzo, fece una specie di smorfia, e gli diede le spalle, fissando cocciutamente il mare davanti a lei, che leggermente burrascoso, sembrava rispecchiare perfettamente il suo umore.
La giovane karateka si scambiò uno sguardo con Shinichi, che ammiccò e le fece cenno di precederlo. “Mi sembra ovvio. Li seguiamo”.
A Ran, il verbo ‘seguire’ usato dal giovane, suonava un po’ troppo come ‘spiare’.

 
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* Gomenasai = mi dispiace
 
 
 
 
Devo dirlo a mia volta: gomenasaaaiiii..! :(
Ma ve lo dico già: entro domenica, pubblico il decimo capitolo, perché la prossima settimana scolastica, sarà l’inferno per me... e allora mi metto a scrivere prima così non vi farò attendere più di tanto :)
Allora, questo capitolo conta undici pagine del mio amico word, ma se fosse stato per me sarebbe venuto fuori di trenta XD Avevo mille cosa da voler dire, ma mi sono imposta un freno, sennò finivo la storia con questo chap   O.o   e non mi sembrava il caso..… :)
Oddio, è la mia prima long che supera gli otto capitoli *-*  mi sento un pochino soddisfatta XD
Vabbè... cosa mi dite del capitolo?? ^^ Recensite, recensite ^^


Ah, una precisazione: il paragone che Shin fa con l’acqua, non è interamente frutto della mia mente malata, ma ho preso il la, ed anche un sol, da un discorso che ha fatto a degli studenti uno scrittore che adoro all’ennesima potenza, e che vorrei tanto come professore di lettere: Alessandro D’Avenia <3
Vi metto il link del video, in caso vogliate dare un’occhiata  -->  http://www.youtube.com/watch?v=sjpKS4SrGDA
 
Intanto ringrazio quelle sei fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, e che adoro ogni minuto che passa sempre di più: Yume98,  _Flami_,  88roxina94,  withoutrules,  Shine_ e izumi_! ^^
E mille grazie anche a SimpSiro e a ciachan che hanno messo la storia tra le seguite :D

Grazie anche a chi legge soltanto!
Ci vediamo al decimo capitolo!!
Un abbraccione one one,
 
Dony 

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Capitolo 10
*** Chap 10 ***


Hi, nice to meet you!
10.

 

 
Sonoko si legò in vita una fascia color oro, stringendola bene ed annodandola con un perfetto fiocchetto. Si mise le mani sui fianchi e aspettò che Kita ed Akane facessero lo stesso, molto meno aggraziatamente rispetto a lei.
“Quindi... Makoto vi da una mano di tanto in tanto nei lavoretti pubblici?” chiese la giovane ereditiera. Era avida di sapere, in lei si era accesa nuovamente la spia che attivava la sua voglia di gossip, e, per ora, erano tutti concentrati su quel bel nuovo ragazzo.
Kita annuì, cominciando a giocare con le treccine, spettinandole inconsciamente. “Oh, bè, Makoto-san è sempre molto impegnato con gli allenamenti. Ma quando può ci aiuta sempre! È così laborioso!”.
Sonoko sorrise in risposta alla ragazza per pura cortesia, reprimendo una smorfia che impellente chiedeva di nascere a conseguenza dello sguardo dolcemente perso che Kita le stava mostrando.
Akane diede uno scossone all’amica, riportandola al presente. Poi, si voltò verso Sonoko, studiandola in silenzio per alcuni istanti. “Tutte sono pazze di Makoto. Ed il mio sesto senso mi fa supporre che non sia passato inosservato nemmeno a te”.
Sonoko, in tutta risposta, arrossì.
Akane abbozzò un sorrisetto di sfida. “Tipico... tutte le nuove cascano ai suoi piedi! Ma Makoto non vuole una storia estiva, lui è un ragazzo serio. E, prima di qualsiasi sciocca novellina, veniamo noi ragazze di Shirahama!” completò la ragazza, puntando l’indice verso il suo petto.
La giovane ereditiera ebbe il sospetto che Akane si stesse riferendo proprio a lei con la parola ‘novellina’. “Ra-ragazze? Perché, ce n’è più di una? E da quanto tempo va avanti?”.
“Oh, bè...” ci pensò su Kita, alzando gli occhi al cielo. “Sarà dalle elementari, che Makoto-san fa conquiste”.
La giovane ereditiera strabuzzò gli occhi, sentendo l’equilibrio venirle meno. Per Sonoko risultava difficile credere che, dopo anni e anni di probabili tentativi, una ragazza potesse essere ancora morbosamente legata ad un ipotetico lui, ma senza essere ricambiata.
A lei, non era mai capitato. Forse perché, quando desiderava qualcosa – o qualcuno –, era sempre riuscita ad ottenerlo.
“Saitou, Tanaka!” chiamò una voce maschile. Sonoko si voltò e sentì il suo viso arrossire fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli. Era Makoto.
“La corsa sta per iniziare” le informò il ragazzo, ignorando i balbettanti ‘sì’ che le due vecchie amiche d’infanzia gli stavano mormorando. Si era voltato verso la giovane ereditiera, incurvando leggermente le sopracciglia, come se fosse pensoso e alla ricerca di un qualcosa che gli sfuggiva. “E tu... come ti chiami?” le domandò alla fine.
Sonoko deglutì, cominciando a tormentarsi le mani. Accidenti, ma che le stava succedendo?! Perché le sue mani sembravano essere colpite da un attacco epilettico?
“So-So-Sonoko... Sonoko Suzuki” riuscì a dire alla fine.
Makoto immagazzinò il nome e tornò a fissare il suo sguardo nel nulla, proprio come aveva fatto mezz’ora prima accanto al falò. Si allontanò senza aggiungere altro e, quando fu abbastanza lontano, Kita ed Akane si lasciarono andare all’ennesimo sospiro adorante.
Akane si riprese più facilmente e scrollò le spalle, per convincersi a tornare sulla Terra. Si voltò e sorrise a Sonoko. “Coraggio, la corsa, purtroppo, deve cominciare”.
Sonoko seguì le ragazze fino all’inizio della partenza, contrassegnata da un cartello a forma di anguria e con la scritta in giapponese ed in inglese. Si sistemò in mezzo ad una mandria di bambinetti urlanti, sentendosi un pesce fuor d’acqua, e si voltò a chiedere aiuto a Kita, che rise alla sua espressione turbata.
“Mi ripeti che dobbiamo fare?” chiese supplicante.
La ragazza si mise in posizione di partenza, pronta a scattare al ‘via’ dell’arbitro in bermuda e camicia hawaiana. “Devi correre ed arrivare ad ogni punto di ristoro, e portare quante più angurie riesci. La squadra che ne porta di più, vince!”.
Sonoko controllò chi fosse in squadra con lei cercando il colore oro nelle fasce legate in vita dei bambini: una coppia di gemelli ostili allo sport ma non alle merendine salate, ed una bambinetta mingherlina che avrà avuto più o meno cinque anni, e che sembrava pronta per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Sonoko imprecò mentalmente, sentendosi stupida per aver accettato. Alzò gli occhi al cielo e si voltò di nuovo verso Kita.
“Ma è davvero necessario correre?!”
L’arbitro fischiò un corno montano e rise sguaiatamente. “Via!”.
La corsa era cominciata.
 
 
Ran appoggiò il viso al palmo della mano, sospirando con un sorriso. Il mare alle sue spalle le infondeva una nuova quiete con il suo lento ondeggiare, e dalla sua postazione in cima ad un piccolo masso sporgente riusciva a godersi appieno lo spettacolo di Sonoko, che tentava inutilmente da più di tre ore di accalappiare Makoto Kyogoku. Lo stava aiutando nel risistemare i cocomeri avanzati dalla gara che si era svolta poco dopo il loro arrivo alla spiaggia - che purtroppo aveva perso miseramente -, con il vestito macchiato di succo di anguria, senza più addosso i suoi sandali firmati e con il cappellino a forma di cocomero che le spettinava ancora di più i capelli sudati. Se si fosse vista, probabilmente sarebbe svenuta per la vergogna.
“Accipicchia, è proprio presa” mormorò la voce di Kazuha, sedendosi di fianco a Ran, che non l’aveva nemmeno sentita arrivare. Spostò gli occhi in quelli verdi dell’amica, notando che contenevano in sé ancora delle tracce di tormento.
“Sì... a quanto pare” rispose lentamente Ran, la fronte corrugata. Che cosa c’era che disturbava l’animo di Kazuha? Come mai era piuttosto scura in volto da quel pomeriggio? Che le fosse successo qualcosa nel mentre che era stata lontana dal gruppo? Ma in quel lasso di tempo, credeva che Heiji fosse con lei... a meno che...
Ran spalancò gli occhi, facendoli guizzare in cerca del suo amico di Osaka, come se il solo vederlo le potesse dare conferma dei suoi sospetti. Si era dichiarato a Kazuha?
Ran non trovò nei dintorni il giovane detective. Forse si era allontanato assieme a Shinichi per recuperare qualcosa di fresco da bere, o forse era tornato all’ostello. La ragazza sentì una lieve fitta al cuore di dispiacere per Heiji. Se le sue supposizioni erano corrette, allora la sua dichiarazione non aveva ricevuto la risposta che da tanto bramava.
“Umh, Kazuha...” tentò di approcciarsi Ran. La ragazza di Osaka spostò lo sguardo da Sonoko e lo puntò su Ran, facendole un cenno per farla proseguire. La karateka si morse un labbro, incerta. Non voleva di certo peggiorare l’umore dell’amica, ma allo stesso tempo voleva sapere cosa le era capitato.
“Oggi... è successo qualcosa?” buttò lì, cercando di sembrare il più possibile tranquilla e pacata. Ma ottenne esattamente l’effetto opposto: la sua voce uscì più acuta del solito e nervosa, e Kazuha lo percepì; i suoi occhi verdi mandarono un lampo, ma dalla sua bocca uscì solo un lieve sospiro stanco.
“Cosa sai?” domandò.
Ran inarcò le sopracciglia, spaesata. Ed ora? Se le chiedeva di Heiji, e lui non era il problema, avrebbe ottenuto l’effetto di aumentare ancora di più la pulce nell’orecchio che le aveva messo Sonoko la mattina precedente, quando stavano nuotando assieme.
“Ecco, vedi... io…” la prese alla larga la giovane Mouri, quando una voce maschile, dal tono triste, chiamò la sua amica.
Entrambe si voltarono e gli occhi di Ran si spalancarono ancora di più: era Heiji. Se ne stava con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo puntato su Kazuha, la camicia leggera leggermente sbottonata. Alle sue spalle stava Shinichi, che teneva in mano un paio di succhi di frutta ancora sigilliati, e passando a fianco del suo amico per raggiungere la giovane Mouri gli lanciò uno sguardo impenetrabile. Forse, quello era il suo modo per incitare l’ amico a proseguire.
“Che c’è?” domandò Kazuha, leggermente acida. Mal da suo tono, Ran poté evincere che la sua non era vera e propria cattiveria, ma incertezza camuffava goffamente per chi la conosceva bene.
Heiji non si curò del tono della ragazza e le fece un cenno del capo. “Possiamo parlare un secondo?” le domandò con la voce più sicura che Ran non gli aveva mai sentito uscire dalle labbra quando si intratteneva con la ragazza di cui era innamorato.
Kazuha tentennò, ostentando diffidenza dallo sguardo. Alla fine, sbuffò piano e si alzò, lanciando un’occhiata a Ran della serie ‘se-non-mi-vieni-a-prendere-tra-cinque-minuti-ti-odierò-per-sempre’. La ragazza le sorrise, cercando di incoraggiarla, e la osservo allontanarsi con Heiji, fino a quando entrambi divennero due sagome scure inghiottite nella notte.
“Hanno litigato?” domandò Ran a Shinichi, sentendosi libera di chiedere.
“Più o meno. Hattori non è sceso nei particolari, ma sembra che lei lo abbia scoperto...”
“Scoperto?”.
Shinichi abbozzò un sorriso, passando una bottiglietta di succo a Ran, ricordandosi solo in quel momento di non aver pensato a cercare un cavatappi per riuscire ad aprirle. “Kazuha lo ha anticipato, chiedendo ad Hattori se fosse interessato a lei”.
Ran rimase sbigottita per il coraggio cacciato fuori dall’amica e non rispose a Shinichi, fissando lo sguardo sulla bottiglietta senza in realtà riuscire a vederla. Kazuha aveva avuto un gran fegato nel voler chiarire quella situazione, nonostante la sua timidezza, proprio come un anno e mezzo prima Shun si era dichiarato a lei. Quel giorno, le sembrava così lontano... al solo pensiero che lo Shun che si era inginocchiato sul pianerottolo di casa sua e quello di due sere prima fossero la stessa persona si sentiva male. Ma come era possibile? Shinichi le aveva detto che in realtà quella che era cambiata era lei stessa, e non Shun. Lei era venuta alla luce, e il suo fidanzato non se n’era nemmeno reso conto.
 
Ho sempre pensato che lui fosse la mia metà... che mi completasse...
 
Ma Shinichi, quel pomeriggio, le aveva detto che per riuscire ad amare qualcuno, bisognava prima sentirsi pieni con se stessi. Che bisognava condividere, ma non rinunciare. E, invece, lei cosa aveva fatto? Esattamente il contrario: aveva perso se stessa. Quante volte si era ripetuta che senza Shun non avrebbe saputo cosa fare? Quante volte lui le ribadiva che erano completi insieme? Lei lo vedeva come la sua metà semplicemente per il fatto di sentirsi incompleta già da sé.
Ran si sistemò meglio sulla sua seduta improvvisata, sentendo il corpo irrigidirsi. Che quindi il suo non fosse... amore?
Il cuore della ragazza perse un battito, mentre nella sua mente si formava l’immagine di lei e Shun, abbracciati, che si guardavano negli occhi e si dicevano il primo ‘ti amo’. Non poteva essere... non poteva smettere di amarlo da un giorno all’altro.
 
Ma se tu non l’hai mai amato... puoi
 
disse una vocina dentro di sé, con tono saggio, proprio come quello che di solito usava Kazuha.
Ran scosse il capo, cercando di reprimere quei torbidi pensieri, desiderando che il rumore delle onde alle sue spalle tornasse a cullarla pacificamente.
 La giovane karateka alzò lo sguardo di nuovo su Sonoko, che ora si stava sventolando per il caldo mentre borbottava assieme a Kita ed Akane. Makoto era sparito, e le tre ragazze sembravano sul punto di organizzargli una specie di agguato.
Ran, nonostante tutto, rise.
Shinichi la fissò sorridendo a sua volta, avendo notato cosa la ragazza stesse guardando qualche istante prima. “Sono buffe” disse gentilmente.
Ran annuì, deglutendo a fatica, imponendosi di nuovo il controllo sulle sue emozioni. “Sono così contenta per Sonoko...”.
Shinichi inarcò le sopracciglia, non capendo ciò a cui Ran si stava riferendo, ma non si azzardò nel chiederle spiegazioni, pensando che fossero questioni troppo personali. Si alzò lentamente ed afferrò il polso della ragazza, invitandola ad alzarsi a sua volta.
“Sono sicuro che Sonoko qui starà bene un altro po’. Vieni con me?” le domandò, lasciando sfuggire sulle sue labbra un sorrisetto accattivante e sbarazzino allo stesso tempo, che già aveva catturato Ran in quei giorni.
La ragazza scrollò le spalle e si mise a seguirlo, incrociando le mani dietro alla sua schiena e fissando il giovane detective con la coda dell’occhio. “Questa volta sai in anticipo dove portarmi?”*.
Shinichi sghignazzò. “Ti piacerà”.
 
 
Kazuha permise alla riva del mare di bagnarle i piedi nudi, mentre teneva le infradito tra le mani, dando così le spalle ad Heiji. Avevano camminato in silenzio per tutto il tempo, e la ragazza aveva sentito dentro di sé la rabbia scemare, lasciando il posto all’imbarazzo. Si vergognava per la reazione che aveva avuto quel pomeriggio, si vergognava di avergli detto quelle cose. Si vergognava del tono che aveva usato.
Non sapeva ancora come mai l’avesse presa così a male. Non era da lei attaccare la gente a quel modo, soprattutto nel mentre di una dichiarazione. Aveva fatto così le altre volte in cui un ragazzo le aveva aperto il cuore? Assolutamente no!
Le cose che le aveva rivelato Heiji avrebbero fatto piacere a chiunque, ma lei aveva subito pensato male, e lo aveva attaccato. Lo aveva accusato di averla spiata ed usata, ma in realtà, non era così. Si sentì stupida e svuotata. Probabilmente ora, il ragazzo, le avrebbe rinfacciato il suo comportamento, le avrebbe dato della bambina, e si sarebbe dimenticato di lei.
A quel solo ultimo pensiero, la pelle di Kazuha rabbrividì.
Dei passi attutiti dalla sabbia si avvicinarono alla sinistra della ragazza, e qualche istante dopo Kazuha poté scorgere la figura di Heiji accanto a sé, che fissava l’orizzonte scuro senza battere ciglio. Sembrava che si fosse scordato della presenza della ragazza.
Deglutì, pregando i Kami che la voce le uscisse ferma. “Volevi... parlare?” sussurrò mantenendo lo sguardo all’altezza del collo del ragazzo per non dover specchiarsi negli occhi di lui.
Heiji inspirò profondamente, e si voltò completamente verso di lei, inarcando un sopracciglio. Kazuha teneva ancora lo sguardo basso, in silenzio, attendendo ciò che il giovane aveva da dirle. Ma le parole di Heiji non arrivarono mai. Il giovane le afferrò un polso, stringendolo forte, facendo così in modo che gli occhi di Kazuha si sollevassero sul suo sguardo, interrogativi e presi in contropiede.
“Mi vuoi dire che accidenti ti è preso oggi?!” le domandò piccato. Kazuha non capì il perché del suo tono, diventato così burbero d’improvviso, e non fece in tempo a rispondere alla domanda che lui le aveva posto. “Lo sai come mi hai fatto sentire? Come uno sporco maniaco!”.
Kazuha gonfiò le guancie, risentita per l’accusa. Sì, lo sapeva, Heiji aveva ragione, ma la sua testardaggine stava per avere la meglio sulla sua razionalità. “Che cosa?! È quello che sei, infatti!” sbottò ad alta voce, gridando forse un po’ troppo.
Heiji non si fece intimidire e scoppiò in una risatina sarcastica. “Smettila di accampare scuse, la verità è che ti piaccio anche io, e tu, presa alla sprovvista, non hai voluto ammettere ciò che provi per me nemmeno con te stessa!”.
Kazuha arrossì dalla rabbia. “Ma che stai dicendo?!” gridò, riuscendo a liberarsi il polso dalla stretta ferrea del ragazzo di Osaka. “Io non provo per te che semplice simpatia!”.
Con l’affermazione che aveva appena fatto, era certa di smontare l’ottusità di Heiji, riportandolo alla realtà. Figurarsi se lei era cotta di lui! Lo aveva sempre considerato solo come un amico, e il fatto che lo considerasse un bel ragazzo non significava niente! Nemmeno il fatto che, alle volte, le era capitato di avvertire strani brividi sentendolo vicino a sé od osservandolo...
Heiji fece per controbattere alla ragazza, ma si bloccò quando una coppia di circa la loro età passò poco distante dai due. Stavano mano nella mano, si sorridevano innamorati e si sussurravano dolci parole, che furono strappate dalla loro intimità solo grazie al vento che si era appena levato sulla spiaggia.
Kazuha ne percepì alcuni brandelli, e sentì una strana morsa chiudergli lo stomaco e mandarle il cervello in tilt. Si spostò una ciocca dal viso, gli occhi ridotti a fessura che fissavano la sabbia ai suoi piedi. Era gelosa. Di quei due.
Appena la coppia li sorpassò senza curarsi della presenza dei due giovani di Osaka, Heiji fece un passo avanti verso Kazuha, lasciando cadere l’espressione piccata che aveva avuto fino a qualche attimo prima.
“Non sei ancora consapevole che, io e te, possiamo stare insieme.”
Quella frase, pronunciata, anzi, quasi sussurrata, con quella dolcezza e con quel tono mite, fece smuovere qualcosa all’interno dello stomaco della giovane, mentre il suo cuore prendeva a battere ancora più forte.
Erano quelle le famose... farfalle nello stomaco?
“Ti sbagli” tentò di ribellarsi la ragazza, mormorando appena la sua negazione, che vacillava persino nella sua mente. “Non hai capito niente, io... non sono... attratta... da te” disse lentamente, deglutendo a fatica.
“Kazuha?” la chiamò Heiji, troppo vicino.
“Sì?”
“Taci, per una buona volta” soffiò il ragazzo, con un sorriso accennato sulle sue labbra, prima di riuscire a lambire, per la prima volta, quelle di lei.
 
 
“Mi hai portata qui per farmi fuori?” domandò Ran con tono ironico, scalando con poca fatica anche l’ultima sporgenza rocciosa dello scoglio dove Shinichi aveva deciso di portarla. Si issò con l’aiuto delle gambe agili, e quando si mise dritta in piedi, per poco non cadde all’indietro per la meraviglia che le si apriva davanti: l’immensità dell’oceano.
L’acqua tranquilla era appena rischiarata dalla luna piena che brillava di luce riflessa in cielo, posando l’argenteo bianco su tutto ciò che le stava al di sotto, come una lieve carezza. Ran girò su se stessa per contemplare quello spettacolo a trecentosessanta gradi, dedicandosi infine al sorriso che era appena nato sulle labbra di Shinichi, divertito e contento di essere riuscito a stupirla – forse – per l’ennesima volta.
“Mi hai sul serio fatta fuori” gli disse Ran, in un sussurro ancora emozionato, tornando a guardare il mare sotto di sé. “È... bellissimo”.
Shinichi ridacchiò, si sedette incrociando le gambe ed aspettò che Ran facesse lo stesso, per poi sistemarsi quanto più possibile accanto a lei. La ragazza avvertì la pelle calda del giovane contro la sua lasciata scoperta, e avvertì una sorta di scossa passare dal corpo di Shinichi al suo. Non era fastidiosa, ma piacevole. Non era calda, o fredda, era bollente. Ardeva di vita propria. Era un qualcosa di sconosciuto e di sublime al tempo stesso.
“Lo sai che potrei stare qui per tutta la notte, fino all’alba?” gli fece sapere Ran, facendo guizzare lo sguardo negli occhi blu del ragazzo.
Shinichi annuì. “Lo vuoi? Possiamo farlo. Nessuno ce lo impedisce” rispose tranquillamente.
Ran arricciò il naso. “Ma poi gli altri si preoccuperebbero. E si farebbe troppo tardi...” Shinichi le tappò la bocca con la mano, cominciando a ridere. “Ma ti senti?” le disse dopo un po’. “Sei sempre in pena per gli altri, mai una volta che ti rilassi. Siamo qui per questo, no? Ascolta te stessa, per una volta...”.
Ran ammutolì, scostandosi dalla mano del ragazzo, sentendo le guancie scaldarsi per la premura che costantemente le riservava. Shinichi era un angelo, caduto prepotentemente – e violentemente – nella sua vita, e ringraziò tutte le divinità della Terra per averglielo inviato. Le stava facendo bene, non sapeva ancora come rivelarglielo, ma in un modo o nell’altro, avrebbe trovato il modo di farglielo sapere e di ricambiare.
La Ran dentro di lei scalpitò dall’emozione, e le gridò contro di non azzardarsi ad andarsene di lì. Per una volta, la ragazza l’ascoltò. Per la prima volta, l’ascoltò. Aveva una voce melodiosa, nonostante fosse arrabbiata ancora con lei per essere stata completamente ignorata da qualche anno a quella parte, e la stava invitando a rimanere. Voleva vedere l’alba, ma si sarebbe accontentata di rimanere in quello sprazzo di pace anche solo per un altro po’. Voleva perdere lo sguardo nella profondità dell’oceano, voleva sentire ancora la brezza scontrarsi con la sua pelle, voleva ascoltare il frangersi delle onde contro il loro scoglio.
Voleva stare ancora un po’ accanto a Shinichi.
Voleva sentire ancora la scossa passare dal corpo di lui nel suo.
“Raccontami un po’ di te. So davvero poche cose, a parte il fatto che odi il tè e frequenti la mia stessa università...” gli domandò Ran, poggiando il capo sulla spalla del giovane, abbracciandosi un secondo dopo le ginocchia.
Shinichi le permise di appoggiarsi bene a lui, nonostante il gesto della ragazza all’inizio gli avesse provocato una certa rigidità. Scosse lievemente il capo. “Che cosa vuoi sapere?”.
“Non lo so! Tutto” disse Ran con una risatina, sentendo il giovane imitarla.
Shinichi allungò le gambe e fissò gli occhi sul cielo stellato che li sovrastava, sentendosi immensamente piccolo sotto lo sguardo delle stelle, ma anche sotto lo sguardo di Ran. Con la coda dell’occhio, notò la ragazza sbadigliare silenziosamente e accoccolarsi meglio sulla sua spalla.
“Avanti? Perché non cominci a raccontare?” domandò Ran, chiudendo gli occhi.
Shinichi li chiuse a sua volta, iniziando a parlare. “I miei genitori si sono trasferiti in America quando avevo all’incirca sedici anni. Mia madre, da giovane, era un’attrice, mentre mio padre...”
“No, no, no!” lo interruppe Ran con un sorriso. Shinichi riaprì gli occhi e fissò interrogativamente il volto della ragazza ancora chiuso. “Cosa?” le domandò.
“Non voglio sapere la storia della tua vita in questo senso”.
“Avevi detto che volevi sapere tutto...” le fece notare il ragazzo.
Ran sorrise ancora di più, affondando il capo nell’incavo della spalla di Shinichi. “Qual è il tuo piatto preferito? E il tuo colore preferito? Leggi il giornale mentre fai colazione o durante una noiosa lezione universitaria? Leggi? E cosa? Ti piacciono gli horror? Io li adoro! Qual è il tuo profumo preferito?” domandò alla velocità della luce Ran, per poi aprire gli occhi e fissarlo furbetta.
Shinichi si sciolse a quello sguardo, scompigliandole i capelli meglio che poté e ghignando beffardo. “Adoro gli Yakitori**; il mio colore preferito è il giallo, come i romanzi che leggo più spesso; il giornale lo leggo andando all’università; gli horror non mi dispiacciono e il mio profumo preferito è la vanig...” e si interruppe bruscamente, arrossendo fino alla punta dei capelli.
Ran lo fissò confusa, non avendo capito l’ultima risposta. Shinichi scosse la testa, cominciando a ridacchiare nervosamente, sminuendo la situazione con una scrollata di spalle. “Ha altre domande, detective?” le chiese allora lui, ammiccando.
Ran sorrise e scosse il capo, tornando ad appoggiarsi alla spalla del ragazzo, chiudendo nuovamente gli occhi. Il torpore che emanava il corpo di Shinichi avvolse Ran come una coperta, per nulla soffocante nonostante il caldo della serata. Le sue palpebre pesavano, e sentiva le braccia di Morfeo cominciare a cullarla dolcemente.
Voleva sapere ancora qualcosa su Shinichi, ma il sonno la rapì troppo velocemente.
 
 
Sonoko si strofinò stancamente le guance, cercando di levare quanta più possibile fuliggine dal suo volto. Perché aveva acconsentito a spegnere da sola il falò della spiaggia, permettendo a Kita ed Akane di andare a casa prima? Ma certo, era ovvio: per far colpo su Makoto!
Si riconosceva a stento. Da quando era così servizievole e gentile con i ragazzi che le piacevano? Le sembrava di essersi piegata al fascino del giovane con troppa facilità, e la cosa la mise in guardia. Non voleva cascarci un’altra volta, non voleva farsi male un’altra volta.
Ma Makoto... Kami, se era diverso! Non l’aveva mai guardata con sguardo languido, non ci aveva provato né con lei né con Kita o Akane, non aveva mai detto più del necessario. Effettivamente, non era molto loquace, ma quello non era il punto! Le sembrava maledettamente puro, e senza secondi fini. E questo, le fece battere il cuore ancora più velocemente.
“Qui abbiamo finito. Puoi pure andare a casa” disse una voce bassa alle spalle di Sonoko. La ragazza sobbalzò impaurita, per poi voltarsi con le pupille dilatate al massimo e una mano poggiata sul petto.
Ma era solo Makoto. L’aveva spaventata, si era avvicinato nel silenzio più totale, e lei era sovrappensiero. La stava guardando in silenzio, immobile, e, se lei non fosse stata certa che in lui scorresse vita, l’avrebbe potuto scambiare per una statua di cera venuta fuori molto bene.
“Oh!” si riprese, cominciando a tormentarsi il vestito, cercando di nascondere alla bell’e meglio le macchie di cocomero e la sabbia incrostata. Si passò una mano sul capo, liberandolo da quel ridicolo cappellino, sentendo le lacrime premere per uscire.
Ma quanto diavolo era impresentabile?! Avrebbe dato tutti i suoi averi per risultargli vestita di tutto punto e con la messinpiega. Forse lui era abituato a ragazze di una certa classe, o quanto meno presentabili. Dannazione, doveva fargli proprio schifo...
“I tuoi amici dove sono?” le domandò, guardandosi attorno, sfilandosi gli occhiali da vista ed iniziando a strofinarli in un fazzolettino pulito.
Sonoko arrossì senza sapere il perché, e si mise a guardarsi attorno a sua volta. Aveva perso di vista Kazuha ed Heiji da nemmeno si ricordava quando, mentre aveva visto Ran allontanarsi assieme a Shinichi. Probabilmente, a quell’ora erano rientrati tutti all’ostello. Erano le una e mezza passate della notte, ed era certa che fossero tutti sfiniti per il lungo viaggio che avevano percorso per raggiungere Shirahama.
“Sono andati via. Adesso me ne vado anch’io...” gli disse abbozzando un sorriso tirato, per poi voltarsi in fretta e cominciare la risalita verso la fine della spiaggia, desiderosa di togliersi dalla vista di lui e di farsi un bel bagno caldo.
“Aspetta!” la chiamò lui, raggiungendo Sonoko con un paio di lunghe falcate. La ragazza si fermò e si voltò lentamente verso il giovane karateka, con il cuore in gola e la deglutizione faticosa. Che altro voleva? Forse sapere dove aveva sistemato le ultime cassette di angurie rimaste intatte dopo la corsa di cocomeri? Ma certo, Kita le aveva chiesto se poteva informare su dove le avrebbe sistemate all’ultimo animatore che avrebbe incontrato. E, l’ultimo, era proprio Makoto.
Sonoko fece per aprire bocca e parlare, ma il ragazzo l’anticipò. “Suzuki, giusto? Dove alloggi?”.
La giovane ereditiera sbatté le palpebre più volte, non capendo cosa c’entrasse quella domanda coi cocomeri. “All’ostello Unmei, accanto al parco Kanrenshita”***.
Makoto annuì serio. “So dove si trova. Ti accompagno” disse semplicemente, cominciando a farle strada.
Sonoko rimase ferma dov’era per un intero minuto, prima di riuscire a comandare alle sue gambe di muoversi e di seguire il ragazzo. Stava anche per dirgli che non c’erano problemi, e che la strada la sapeva ritrovare, ma pensare di passeggiare con lui la rincuorava e la faceva sorridere interiormente.
Si mise al passo con il giovane, lanciandogli rare occhiatine di sbieco, giusto per accertarsi che lui non fosse un miraggio. La verità, era che Makoto era un ragazzo di poche parole, e per tutto il viaggio non pronunciò una sola frase, facendo calare tra i due un silenzio non meno carico.
Sonoko si fermò e si convinse a guardarlo dritto negli occhi solo una volta arrivati davanti alla porta dell’ostello, per poi rivolgergli il sorriso più presentabile che riuscisse a fare alle due del mattino.
“Sei stato molto gentile. Grazie per... avermi accompagnata” mormorò la giovane ereditiera, prostrandosi in un lieve inchino, per poi correre velocemente dentro all’ostello senza curarsi di augurargli la buonanotte. Una volta arrivata accanto alla reception si permise di fermarsi, ma senza trovare il coraggio di voltarsi per controllare se lui se ne fosse già andato.
“Makoto Kyogoku, uh?” domandò curiosa la voce della portinaia, abbassando una rivista di gossip e fissando Sonoko con un sopracciglio alzato. Era una donna di circa sessant’anni, che indossava un vestito leggero di color giallo canarino, e teneva tra i capelli gli stessi bigodini che Sonoko e gli altri le avevano visto quella mattina. Puzzava tremendamente di tabacco misto a un profumo francese, ed aveva il contorno labbra disegnato con una matita rossa. Le rughe del volto anziano si distesero non appena i suoi occhi scorsero il rossore sulle guancie della giovane forestiera. “Non devi essere di certo una ragazzina qualunque, per essere riuscita ad avvicinarlo, uh? È un tipo che se ne sta parecchio sulle sue, e fa stragi di cuore fra tutte quelle della tua età. Uh, è davvero un bravo ragazzo, non credere che sia un casanova! Uh, sei la sua nuova fidanzata?”.
“Alloggio 1-53!” sbottò Sonoko sempre più rossa, afferrando – anzi, strappando – dalle mani della vecchia portinaia il mazzo di chiavi della sua stanza, cercando di non dare peso né alle sue parole, né al sorrisetto perfido che le aveva rivolto.
Corse su per le scale fino a quando non arrivò davanti alla sua camerata. Fece girare le chiavi ed entrò nel buio, sentendo il lieve russare di qualcuno. Si trattava della signora che era arrivata quella mattina poco dopo del gruppetto di Tokyo, e che era stata sistemata assieme a Sonoko, Ran e Kazuha in quell’alloggio. La giovane ereditiera arrivò fino al suo letto facendo meno rumore possibile, e si lasciò cadere stancamente sulla brandina, posticipando al mattino seguente il bagno caldo di cui aveva bisogno.
Si tolse lentamente i sandali e strinse a sé il cuscino, senza riuscire a togliere dallo schermo delle sue palpebre calate l’immagine di Makoto, mentre la ascoltava ringraziarlo di averla accompagnata fino all’ostello. Se non fosse stato lui, probabilmente avrebbe provato a baciarlo. Se non fosse stato lui, probabilmente si sarebbe comportata in maniera diversa. Avrebbe fatto la civetta come era suo solito fare, e si sarebbe lodata per tutto il tempo, invece che darsi da fare per una festa di cui non era nemmeno la sponsor! Ma cosa aveva di così speciale da riuscire ad intimidire proprio lei?!
Sonoko sospirò, sentendo il sonno scomparire nel momento stesso in cui la porta della stanza si aprì per la seconda volta. Una figura si stagliò contro la luce proveniente dal corridoio, inghiottita dal buio non appena la porta fu richiusa alle sue spalle.
Il peso di un corpo si scontrò con la brandina che stava accanto a quella di Sonoko, e la giovane ereditiera capì di chi si trattasse: Kazuha.
“Dove diavolo sei andata a finire?” le domandò a mezza voce per non svegliare la sconosciuta coinquilina russante.
Kazuha sospirò, mettendoci un po’ troppo per rispondere. “Possiamo parlare domani? Sono a pezzi” disse con voce tremante.
Sonoko si puntellò con i gomiti, inarcando le sopracciglia. “Prima sparisci tu, poi Ran. Santo cielo, mi avete fatta stare in pena!” mentì la ragazza, per carpire ancora un po’ di informazione. Un sospiro ancora più pesante di quelli precedenti provenne dalla donna accanto a loro.
“Scusa” mormorò Kazuha. “Ma Ran sarà con Shinichi, no? Sta sicuramente bene”.
Sonoko ghignò. “E come mai sai che con loro non c’è anche Hattori?”.
Kazuha alzò il capo in uno scatto, mandando fumi dalle narici. “Possiamo parlarne domani, ho detto?!”.
“Allora con il bel tenebroso c’eri tu...” accusò Sonoko, scoppiando a ridacchiare.
Kazuha le rimbrottò di parlare piano, fin quando il russare della donna non si interruppe bruscamente. “La volete piantare, voi due?! Qui c’è chi vuole dormire!” sbottò, rigirandosi nel letto.
Kazuha voltò il capo, nascondendolo dagli occhi indagatori di Sonoko, e le mormorò la buonanotte.
“Sì... buonanotte”.
 
 
Shinichi non aveva potuto augurare la buonanotte a nessuno, ma, quando un raggio di sole si infiltrò prepotentemente tra le sue palpebre, si destò di soprassalto e poté dare il buongiorno allo splendido panorama che si stagliava ancora davanti a lui.
Si passò una mano tra i capelli arruffati e ci mise qualche secondo a realizzare e a ricordare ciò che era successo la sera prima: era andato alla festa sulla spiaggia assieme al gruppetto di Tokyo, era stato scambiato per il marito di Sonoko, e poi aveva portato Ran su quello scoglio per guardare il panorama.
 
Ran!
 
Il ragazzo si guardò freneticamente intorno, sentendosi sollevato quando scorse il corpo di lei raggomitolato su se stesso di fianco a lui, le spalle che gli impedivano di guardare il suo volto dolcemente ancora addormentato.
Erano veramente rimasti lì tutta la notte. Shinichi strabuzzò gli occhi, continuando a massaggiarsi la testa, facendo nascere un sorriso soddisfatto e imbarazzato sul suo volto. Aveva passato la notte sotto le stelle assieme a Ran, e questo gli fece toccare il cielo con un dito.
Era rimasto solo con lei, e poco importava se non avevano fatto altro che parlare. Lei era lì con lui, lei era lì per lui. E anche per...
Shinichi si avvicinò al volto della ragazza, scostandole delicatamente una ciocca di capelli dalla guancia. Fece scorrere la punta del suo naso sulla sua tempia ed inspirò la fragranza di lei, che ora era diventato il suo profumo preferito: vaniglia.
“Ran...” la chiamò piano, battendole una spalla. La ragazza strizzò gli occhi, senza aprirli, come infastidita. Il giovane non demorse e le cominciò a pizzicare un fianco, facendole sbarrare lo sguardo e scattare a sedere spaventata.
Ran, i capelli simili ad una palla di fieno, si voltò verso Shinichi, realizzando che lui era il colpevole di quel brusco risveglio.
Gli diede un pugno poco gentile alla spalla, assottigliando gli occhi. “Ma che ti è preso?!” sbottò con voce ancora impastata di sonno.
Shinichi sorrise. “Guarda” disse con un cenno del capo.
Ran seguì lo sguardo di lui, fino a che i suoi occhi non si rilassarono e si spalancarono per la meraviglia di ciò che le si apriva davanti: l’alba.

 
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* Ovviamente è riferito al fatto che Shin, nel capitolo 6, non sapesse dove portare Ran, dopo averle chiesto di uscire
 
** Gli Yakitori sono tipici della cucina di Tokyo, e sono degli spiedini di pollo cotti alla brace, conditi in salsa dolce e accompagnato da verdure, porro o uovo. Solo a vederli, mi viene l’acquolina -> http://www.zenmarket.biz/eshop/yakitori-non-tare-sauce-salsa-per-marinare-481.html  :9
 
*** Ho voluto giocare con queste due parole: unmei significa ‘destino’, mentre kanrenshita vuol dire legati. Ho pensato che i destini di Sonoko e Makoto si siano  legati con Shirahama ed è venuto fuori questo XD
 
 
 
 
Lo so, lo so... dovevo aggiornare domenica...
Ma lunedì avevo simulazione di terza prova ed in più ho passato il week-end con la febbre e il raffredore (che mi porto ancora dietro -.-“ Ma si può, al 17 aprile?!?!? D: )
Comunque... eccolo qua, il decimo chap!!
Che mi dite, sono curiosa?? Avete notato Kazuha? u.u sono orgogliosa di lei!!

Ahhaha!
Non posso dimenticare di ringraziare le mie recensitrici del nono capitolo!! Grazie mille a: mangakagirl, withoutrules, Yume98, Shine_, 88roxina94, izumi_  e  _Flami :D
E grazie anche a Morgan92 e lore92 per aver messo la storia nelle seguite! <3

Grazie anche a chi legge solamente!
Ci vediamo all’undiciiiiii!

Un abbraccio,
 
Dony 

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