talking to the moon.

di ccharlotts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** one. ***
Capitolo 2: *** two. ***
Capitolo 3: *** three. ***
Capitolo 4: *** four. ***
Capitolo 5: *** five. ***
Capitolo 6: *** six. ***
Capitolo 7: *** seven. ***
Capitolo 8: *** eight. ***
Capitolo 9: *** nine. ***



Capitolo 1
*** one. ***


Ti ricordi quel problema di cui ti ho parlato? Quello che non mi faceva dormire la notte e che mi ha assillato per tutta l’estate? Ecco, proprio quello. Ebbene oggi, otto settembre duemilaundici, sono riuscita finalmente ad abbatterlo. Sì, hai capito bene, mi hanno presa qui a Torino. Ci credi? Per alcune settimane ho quasi avuto il terrore che avrei passato i prossimi anni ancora a Parigi, lontana dalla mia famiglia. Fortunatamente tutto si è risolto.
Ti racconto la scena perché è stata epica. Sono arrivata all’università con l’intenzione di parlare nuovamente con il rettore e dirgli che non ne potevo più. Papà mi aveva detto che era una pessima idea, che così facendo non avrei fatto altro che peggiorare la situazione, che non avrebbero mai più accettato la mia richiesta di trasferimento. Ma sempre mio papà mi aveva guardato sorridendo dicendomi che la mia tenacia gli ricordava quella che aveva lui alla mia età e che probabilmente anche lui avrebbe agito così. A proposito, papà crede di avere perso la grinta che aveva fino a poco tempo fa. Non credo sia vero, dovresti vedere cosa fa per noi tre. Se non è grinta quella…
Torniamo a noi però. Dicevo, sono arrivata all’università e mi stavo dirigendo proprio verso l’ufficio del rettore. Pensa che non avevo nemmeno avvisato della mia visita, chissà come l’avrebbe presa se una segretaria, Camilla per la precisione, non mi avesse fermato a pochi centimetri dalla porta dicendomi “Signorina! Signorina! Sì, proprio lei, ho una comunicazione da darle.” Ha detto di avermi riconosciuta perché ormai i fogli con la mia foto e i miei documenti giravano da settimane nei loro uffici. Mi ha fatta quasi sentire una ricercata. Comunque, stavo dicendo che mi ha fermata. Io mi sono girata piuttosto scocciata! Insomma, stava pur sempre interrompendo la mia camminata trionfale verso il rettore.
Poi però ho visto il sorriso sul suo volto e ho intuito tutto. Non le ho lasciato il tempo di aprire bocca, ho stretto forte le sue mani nonostante fosse quasi una sconosciuta e ho urlato, in mezzo al corridoio pieno di studenti: “CE L’AVETE FATTA?” Già, perché a farcela ormai dovevano essere solo loro, non io che mi ero spaccata la schiena tutta estate viaggiando ininterrottamente tra Parigi e Torino. E sai che cosa ha fatto lei? Ha annuito. Ha annuito. HA ANNUITO. Capisci? Lei ha annuito e io ora potrò abitare a Torino con la mia famiglia. Dio, che gioia.
Avrei tanto voluto averti al mio fianco in quel momento, saresti scoppiata a ridere. Dovevi vedermi, sembravo una bambina. Ho abbracciato la segretaria scoppiando a piangere per la felicità e a lei sono caduti gli occhiali da vista che aveva sulla testa. Senza pensarci due volte mi sono abbassata e tra i singhiozzi e gli sguardi curiosi dei presenti glieli ho raccolti. Lei in cambio mi ha regalato un fazzoletto di carta per asciugare le lacrime. (Secondo te si dice regalare un fazzoletto o offrire un fazzoletto? O magari prestare? Ma se fosse prestare e io non la rivedrò più come farò a ridarglielo indietro?)
Poi sono tornata a casa, ma non prima di avere stretto la mano al rettore ringraziandolo tra le lacrime. Sì, perché sentendo tutti quei singhiozzi lui si era affacciato e non sembrava neanche troppo stupito a trovarsi davanti me. Insomma, hanno già intuito che avranno a che fare con un DNA mattoo al 99%. Chissà da chi mai avrò preso, tu cosa dici?
Comunque, come già ti ho detto, poi sono tornata a casa. Ad aspettarmi c’erano papà, la piccola Charlotte e la donna della pulizie. Indovina? Papà sapeva già tutto! Sì, va beh, anche io so perfettamente che conosce alcuni miei futuri professori e che senza queste conoscenze probabilmente il mio passaggio non sarebbe avvenuto, ma ti ricordo che il test di medicina a Parigi l’avevo fatto e superato da sola, con l’aiuto della mia sola testolina. Quindi, insomma, non mi si può definire raccomandata. O se proprio vogliamo farlo, almeno precisiamo che i miei 30 e lode sono sempre stati sudati.
Perché parlo di raccomandati? Quasi non ricordo …ah sì, perché dicevo che papà lo sapeva già. Probabilmente sarà stato uno dei suoi amici/professori. Non credi anche tu? Fatto sta che il babbo mi aveva già preso un regalino che penso proprio sfoggerò questa stessa sera. Sei curiosa di sapere cosa, vero? Era una scatolina azzurra, con un fiocchetto azzurro. Lo so che hai già capito. Ammettilo.
Proprio quello, un braccialettino di Tiffany, molto semplice, come il tuo, quello che hai sempre al polso. Sì, so cosa stai pensando ora. “Sofia, ma ne avevi già uno perfettamente identico!” Ecco, vedi, l’ho perso, ma questa è un’altra storia…
Purtroppo non possiamo festeggiare stasera, così papà mi ha promesso che domani a pranzo ci porta a mangiare tutti assieme in un ristorantino carino che dice di avere sperimentato insieme a dei colleghi qualche giorno fa. Non vedo l’ora.
Stasera, invece, qui in città inaugurano uno stadio. Uno stadio nuovo. (Effettivamente si inaugura qualcosa di nuovo, non di vecchio, ma magari poteva essere qualcosa di ristrutturato e ti avrei fatto venire dei dubbi che è meglio chiarire subito.) Ecco il motivo per cui non possiamo festeggiarmi. Ovviamente papà e Alessandro vogliono andarci e da quel che ho capito al babbo hanno dato dei biglietti importanti perché la sua società ha fatto qualcosa per questa inaugurazione. Non chiedermi cosa, sai che quando si tratta del lavoro di papà io non capisco nulla. Io sono nata per fare la dottoressa, non per capire la sua società e i suoi affari. O no?
In compenso, papà, sapendo che io e Charlotte non eravamo d’accordo, per convincerci ci ha promesso che per l’occasione ci avrebbe fatto avere dei bellissimi vestiti nuovi. (A quanto pare dobbiamo vestirci eleganti e quando ho chiesto ad Ale perché mai dovessimo vestirci eleganti per andare allo stadio lui mi ha guardato storto e con quel tono che usa quando parla del suo amato calcio mi ha risposto: “Non capisci proprio niente, questo non è un semplice stadio, questo è lo stadio degli stadi. Dobbiamo andare li con lo spirito che avremmo se andassimo ad un matrimonio!”) So che stai pensando che papà ci vizia troppo, ma sai com’è fatto e sai anche che per le sue due bimbe farebbe di tutto. Con questo non voglio dire che non abbia in considerazione Alessandro, anzi. E’ solo che in materia di vestiti Ale chiede consiglio a me. Andiamo sempre a fare shopping insieme e ogni volta mi ricorda che lui ci andrebbe anche con papà, se non fosse che papà è un elegante-chic mentre lui si definisce elegante-sportivo. Ecco, questo è mio fratello.
Forse ti stai chiedendo dove fosse Ale quando sono tornata a casa stamattina. Tranquilla, ovviamente era a calcio. Dove volevi che fosse? Ha già trovato una squadra anche qua. Che poi, non per vantarmi di mio fratello eh, ma chi non lo vorrebbe in squadra? Io non me ne intendo di calcio, ma a sentire papà è un fenomeno. Mi ricordo che il suo allenatore di Parigi a maggio, dopo la sua ultima partita con la squadra in cui giocava, l’ha fermato e tenuto in campo quasi mezz’ora. Io e papà guardavamo tutto dagli spalti. Ale piangeva perché sapeva che presto avrebbe dovuto lasciare quell’uomo e i suoi compagni di squadra e lui, l’allenatore, lo abbracciava con le lacrime agli occhi e gli faceva un discorso che subito dopo mio fratello ci ha ripetuto ancora singhiozzando. Gli ha detto che farà strada, che non deve lasciarsi abbattere da niente e nessuno e, soprattutto, di inseguire il suo sogno, sempre. Te lo ricordi l’allenatore di Ale, no? Ti ricordi tutti quei pomeriggi in cui Ale è tornato a casa dicendo che quell’uomo lo massacrava? Quello stesso uomo gli ha detto che aveva visto in lui qualcosa che non aveva visto in nessun’altro suo allievo. Mi ricordo che mentre mio fratello mi raccontava tutto l’ho stretto forte, commossa. Non ne capisco di calcio, ma so quanto vale per lui, sapevo cosa voleva dire per lui sentirsi dire quelle parole da quell’uomo che lo seguiva da quando aveva tirato i primi calci ad un pallone. Ormai era come un secondo padre il suo allenatore. Certe parole avrebbero fatto emozionare anche me probabilmente.
Fatto sta che ora Ale gioca nella primavera della squadra della città e se ne vanta dalla mattina alla sera. A volte non lo sopporto. In senso buono, ci mancherebbe.
Ieri l’ho accompagnato a comprare qualcosa per stasera e alla fine mi ha prosciugato la carta di credito. Sì, ho pagato io. Sai, avevo qualche regalo arretrato con lui e quindi l’ho accompagnato a rifarsi il guardaroba. Ho un fratello proprio fighetto, ma in fin dei conti in tutta la famiglia c’è sempre stato una certa classe nel vestire, dico bene?
Purtroppo ora ti devo lasciare. Sai che ti scriverei all’infinito se potessi, ma la mano comincia ad essere stanca e in più non ho ancora fatto nulla per stasera, devo iniziare a prepararmi e a preparare Charlotte.
Ci sentiamo presto, lo sai, non riuscirei a non scriverti per più di tre giorni.
Ti voglio bene, ricordalo sempre.
Tua, Sofi.

 
Sofia piegò il foglio prima per un terzo, poi ripiegò la parte restante su quella già piegata. Aprì il secondo cassetto del comodino accanto al letto e ne estrasse una busta bianca, sopra ci scrisse l’indirizzo della sua casa a Parigi e nome e cognome del destinatario. Poi si alzò e scese avvicinandosi alla cabina armadio. Entrò e, poggiandosi sulle punte dei piedi, arrivò allo scatolone posato sul ripiano più alto. Sull’etichetta c’era scritto –vecchi CD-, ma nessuno a parte lei sapeva che in verità i suoi vecchi cd erano rimasti a Parigi nella mansarda.
Aprì lo scatolone e decine e decine di buste bianche si presentarono ai suoi occhi. Tutte avevano lo stesso indirizzo e lo stesso destinatario scritti con la sua calligrafia. Accanto alle altre posò anche l’ultima lettera scritta. Sospirò. Magari un giorno, in futuro, le avrebbe rilette tutte, ma per ora non aveva ancora avuto il coraggio di farlo. Non le rileggeva nemmeno dopo averle scritte, non le importava di eventuali errori, ciò che contava era il concetto.
Bussarono.
Per poco lo scatolone non le cadde dalle mani per la sorpresa. Velocemente lo rimise al suo posto e si chiuse l’anta della cabina alle spalle. Appoggiò gli occhiali da vista che usava mentre studiava o leggeva sul letto e si avviò verso la porta.
“Babbo!” esclamò la ragazza sorridendo al padre dopo avergli aperto.
Notò subito che le nascondeva qualcosa dietro la schiena, qualcosa di lungo e coperto da una pellicola di tessuto. L’unica cosa che spuntava sotto questa era della stoffa bianca.
“Come promesso, piccola.”
Gli occhi di Sofia si riempirono di gioia come quelli di una bambina di fronte a qualcosa di impacchettato. Riccardo, il padre, le portò l’involucro davanti agli occhi e aspettò che fossero le mani della ragazza a scoprire cosa ci fosse sotto. Sofia non si fece attendere e iniziò ad alzare la pellicola finché non arrivò alla gruccia. Era uno splendido abito da sera, bianco, semplice, lungo, le sarebbe arrivato sicuramente fino ai piedi nonostante lei fosse piuttosto alta.
“E’ stupendo papà!” esclamò portando le braccia intorno al collo del padre e abbracciandolo.
“Sono contento che ti piaccia, non ho potuto fare a meno di pensare a te quando l’ho visto nella vetrina l’altro giorno. Quella dello stadio era solo una scusa per comprartelo.”
Sofia gli sorrise e prese il vestito tra le mani.
“La baby-sitter sta preparando Charlotte e Ale sta facendo la doccia. Inizi a prepararti anche tu? Alle 19 inizia la cerimonia.” Sofia annuì.
 
“Ma quanto sei bello?” esclamò la donna appena lo vide comparire sul pianerottolo del piano superiore.
“Mamma smettila con questi complimenti per bambini!” rispose il ragazzo, ma non c’era tono di rimprovero nella sua voce nei confronti della madre.
“Ma è come se lo fossi ancora, o meglio, come se lo fossi sempre restato…”
Leonardo conosceva bene quell’espressione e sapeva che arrivati ad un certo punto era meglio cambiare discorso.
Il ricordo del primo giorno a Milano senza i suoi genitori era ancora piuttosto vivo nella sua memoria nonostante ormai fossero passati una decina d’anni. Gli erano mancati tutti, la madre e il padre, tantissimo, certo, ma forse più di tutti era stata la mancanza del fratello a farlo soffrire. Si rivedevano spesso, quasi tutti i week-end la sua famiglia era salita in Lombardia per potergli stare accanto, ma quando ti ritrovi ad abitare lontano dagli affetti più cari a soli 15 anni non sono due giorni insieme che fanno cambiare lo stato d’animo. Si era chiesto spesso cosa stesse facendo suo fratello mentre lui si allenava, mangiava, dormiva. Chissà se anche lui era al campetto del loro paesino a tirare due calci al pallone, chissà se era con la loro compagnia, chissà se lo pensava, chissà se anche lui sentiva la sua mancanza.
Ma lui aveva inseguito il suo sogno, quel sogno che l’aveva portato la, a Torino, quel sogno che quella sera l’avrebbe portato ad essere presente all’inaugurazione dello stadio della sua squadra, un evento più unico che raro di cui lui si sentiva parte. Lui c’era, era nella rosa della squadra e probabilmente il suo nome sarebbe rimasto nella storia.
Con ancora nella testa tutti quei pensieri, Leonardo si avvicinò alla madre e l’abbracciò.
“Sono sempre il tuo bambino, solo un po’ più grande. Okay?” ancora una volta Leonardo notò che sua madre era decisamente piccolina rispetto a lui. Lui era alto, con le spalle grosse e le braccia muscolose, lei così dolce, piccola, fragile. Sapeva quanto sua madre avesse sofferto, l’aveva sentito nel tono della sua voce ogni giorno al telefono, l’aveva visto nei suoi occhi quando ogni domenica sera la sua famiglia ripartiva per tornare a casa mentre lui rimaneva a Milano.
A volte Leonardo si era sentito in colpa. Ma che colpa aveva? Sarebbe potuto tornare a casa, iniziare l’università, laurearsi, cercare un lavoro, sposarsi. Eppure in cuor suo sapeva che quella non sarebbe stata la sua vita. La sua vita era la, su un campo da calcio, con la palla tra i piedi e tanta voglia di fare bene, giocare, vincere.
Proprio nel momento in cui sua madre scioglieva l’abbraccio suo padre e suo fratello entrarono nel salotto. “Abbiamo interrotto qualcosa?” domandò Claudio sorridendo a entrambi. Leonardo scosse la testa e si avvicinò al ragazzo per battergli un cinque, pugno contro pugno, e infine abbracciò anche lui.
“Ti accompagniamo noi al centro, così non devi lasciare la macchina li, va bene?” parlò poi il padre.
Suo padre era l’unico in famiglia che non era mai riuscito a esprimere le proprie emozioni. Lui taceva e guardava, quello era il suo modo per fare capire che era fiero. Era fiero di Leonardo che era diventato un calciatore professionista, era fiero di Claudio che stava per terminare gli studi universitari, era fiero di sua moglie ed era fiero anche di se stesso per ciò che era riuscito a costruire negli anni, per la famiglia che era riuscito a creare. Era fiero di tutto, non aveva motivi di dispiaceri nella vita.
Leonardo annuì e fece segno di aspettarlo li un attimo. Salì le scale correndo e le riscese pochi istanti dopo con una scatolina in mano.
“A te l’onore mamma, un uccellino mi ha detto che ci tenevi tanto. Probabilmente non mi vedrai mai laurearmi o superare un colloquio di lavoro, ma sappi che quella di stasera per me vale come una laurea con 110 e lode, quindi, ecco.”
La madre aprì il pacchetto che Leonardo le pose tra le mani. Era una cravatta, nera, come il completo elegante che il figlio stava indossando. La donna sapeva che come gesto in sé era insignificante, ma le parole del ragazzo l’avevano fatta commuovere.
Era vero, probabilmente non l’avrebbe mai visto laurearsi e non l’avrebbe mai visto entrare in chissà quale famosa ditta, banca, ufficio amministrativo, eppure era così fiera di lui. Non avrebbe potuto chiedere altro per il suo bambino. E non doveva assolutamente sentirsi in colpa lui, perché era esattamente il figlio che ogni madre avrebbe desiderato.
Gli si avvicinò e con le sue mani piccole e perfette legò la cravatta al colletto della camicia, poi si spostò per vedere il risultato e in quel sorriso sulla bocca del figlio rivide il piccolo Leonardo che esultava dopo una vittoria della squadra, il piccolo Leonardo che tornava a casa contento dopo un allenamento, il piccolo Leonardo che si addormentava tra le sue braccia esausto davanti alla televisione dopo una giornata passata sul campo.
Gli occhi della donna diventarono lucidi. “Ora andiamo, o faremo tardi!” disse per mascherare la sua emotività, un’emotività troppo grande e che Leonardo conosceva bene. 

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buongiorno, buon pomeriggio e buonasera. sono qui con una storia nuova e che spero di riuscire, per una buona volta, a completare. 
chi ha già letto qualcosa di mio sa bene che io scrivo principalmente su calciatori famosi. ebbene, eccovi qualcosa di nuovo e rivoluzionario...
mmm, non proprio, alla fine si tratta sempre di calcio. la differenza è che i calciatori non sono famosi (anche se, chi mi conosce, potrà riconoscere nel personaggio maschile principale un calciatore a me molto caro). 
cos'altro dire? buona lettura. spero vi piaccia, questa volta voglio sul serio impegnarmi. 
un bacio, Eli.

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Capitolo 2
*** two. ***


“Ale…”
“Ale…”
“Ale…”
Leonardo si voltò sentendo quella sottile e dolce vocina alle sue spalle. Una bambina decisamente troppo piccola per essere da sola stava andando in contro al ragazzo. Non si reggeva perfettamente in piedi e dondolava un po’, proprio come tutti i bambini piccoli. Il ragazzo intuì che doveva essersi persa.
Aveva i capelli biondo cenere, piuttosto lunghi nonostante fosse davvero piccola, ricci, boccolosi.  Il viso era candido come la neve, quasi angelico. Due grandi occhi azzurri e lucidi guardavano Leonardo dal basso. La piccola teneva stretto il ciuccio tra le dita.
“Piccola! Devi esserti persa. Chi cerchi?” Leonardo si chiese se la bambina capisse cosa gli stava dicendo. Poteva essere straniera, poteva essere italiana, o poteva essere troppo piccola per capire. Si ritrovò a domandarsi a quanti anni i bambini iniziassero a camminare, così avrebbe potuto circa darle un’età.
“Ale…”
“Mi dispiace piccola, non conosco nessun Ale qua.”
Il ragazzo si guardò intorno, nessuno nella sala sembrava stare cercando una bambina. Così appoggio il bicchiere con lo champagne che stava bevendo sul vassoio di un cameriere che stava passando proprio in quel momento, poi si abbasso raggiungendo così la piccola.
“Come ti chiami?”
“Charlotte…” rispose la bambina con un leggero sussurro. Probabilmente doveva avere riconosciuto nel ragazzo qualcuno di cui fidarsi, perché i suoi occhi non erano più lucidi e un sorriso si stava aprendo sulla sua piccola bocca.
“Charlotte? Che bel nome!” Leonardo prese la bambina in braccio pensando che magari così chi l’avesse persa potesse vederla meglio.
La sala in cui si trovavano era piena, stessa cosa per quelle adiacenti.
“Dov’è la tua mamma?” domandò poi tenendo delicatamente la bambina tra le braccia.
Notò che aveva un vestitino davvero carino e delle scarpe abbinate, chiunque fosse la madre doveva avere davvero gusto nel vestire. In fin dei conti era risaputo che anche lui era un po’ vanitoso e quando si parlava di abbigliamento non si tirava certo indietro, doveva sempre dire la sua.
Ma il pensiero di Leonardo non si era focalizzato sui vestiti. Piuttosto si era scoperto a pensare che non teneva una bambina in braccio da tantissimo, forse dalla nascita di qualche cuginetto anni prima. Perché ne era così stupito?
Ogni tanto quella sua natura che non mostrava mai usciva fuori, questa era la verità. Lui era quello forte, determinato, grintoso. Lui non era quello romantico, quello che un po’ nell’amore ci sperava, quello che in realtà nascosti nell’armadio aveva libri che parlavano di fidanzamenti, litigi amorosi, matrimoni. Non lo era affatto, o meglio, non lo era in pubblico.
Immerso nei suoi pensieri notò la madre della bambina solo quando gli fu davanti agli occhi.
“Charlotte! Che spavento!”
Era alta, snella. Leonardo non riusciva a capire se i suoi capelli fossero castano molto, ma molto chiaro o biondo scuro. Fatto sta che gli ricadevano sulle spalle sinuosi e morbidi. Si concentrò poi sul viso che sembrava essere fatto di porcellana. Un leggero trucco incorniciava due splendidi occhi castani. Appena sotto un nasino senza imperfezioni e due labbra sottili ricoperte da uno strato di lucido.
Portava un vestito bianco, lungo fino alle scarpe che il ragazzo riuscì a intravedere perché lei teneva il velluto sollevato con una mano, forse per non sporcarlo. Ai piedi un paio di stivali bassi, senza tacco, era già alta di suo. Le braccia erano scoperte, anche queste magre, e terminavano in due perfette mani. In una l’iPhone, l’altra, con una semplice fedina all’anulare, teneva il vestito.
Era la madre più giovane e probabilmente più carina che Leonardo avesse mai visto. Anche se qualcosa non lo convinceva, probabilmente quel suo corpo troppo perfetto per avere ospitato un’intera gravidanza.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo, ma poi i suoi occhi cambiarono completamente espressione alla vista del ragazzo. Per un attimo sembrò quasi schifata alla sua vista.
In verità lei stava semplicemente sperando che lui non la riconoscesse, per questo allungò le braccia verso Charlotte sperando che lui gliela desse senza proferire parole. Ma probabilmente era troppo tardi, non sembrava intenzionato a volergli restituire la sorella. Anzi, pareva proprio stare pensando tutto ciò che la ragazza sperava non pensasse.
Leonardo l’aveva già vista, ma doveva essere cresciuta. Rimase immobile, con la bambina tra le braccia che sembrava quasi avere intuito e sorrideva di quei due che si guardavano senza dirsi nulla, ma quella era solo un’impressione che Charlotte dava senza nemmeno rendersene conto.
Il ragazzo era quasi giunto ad una soluzione. Eppure se la ricordava così diversa.
Lei ricordava perfettamente, non aveva mai dimenticato. Lo disprezzava tanto quanto era successo in tutti quegli anni in cui si erano ritrovati lì, insieme, senza neanche volerlo. Quando aveva saputo che ci sarebbe stato anche lui quella sera, che sarebbe stato lì da protagonista, non aveva nascosto un certo sgomento.
In verità non lo odiava come non odiava nessuno di loro. Se li ricordava però, ricordava i loro commenti e le loro battute. Comunque erano passati alcuni anni e lei non ci pensava più, si era sempre ritenuta superiore.
“E’ possibile che io ti abbia già vista?”
Leonardo fu il primo a prendere il coraggio di parlare e rendendosi conto della posizione delle braccia della ragazza le restituì la figlia ancora incredulo del fatto che lei potesse essere una mamma.
“Io… Io non credo.” rispose la ragazza portando tra le sue braccia Charlotte.
Solo a quel punto si rese conto che lui era cresciuto. Era diventato più alto. Portava quei suoi capelli neri leggermente più lunghi, non di molto, ma almeno non era tosato. In genere non le piacevano i ragazzi tosati.
Era più muscoloso, ma quel suo viso da bambino dolce non era sparito. Questo suo tratto le aveva sempre dato fastidio, se lo ricordava bene. Si chiedeva come potesse celarsi un carattere del genere dietro a quelle sembianze così angeliche.
Magari esagerava a pensare ciò di lui qualche anno prima, in fin dei conti erano ragazzi, anzi, ragazzetti, e si sa che il quoziente intellettivo a quell’età è piuttosto sotto la media.
Fatto sta che la ragazza decise di porre fine a quella conversazione che non sarebbe potuta andare avanti, non per sua volontà. Così si voltò e camminò a passi svelti verso la sala in cui si trovava prima di perdere la sorella.
 
Ricordava ancora perfettamente tutte le battute che facevano sul suo conto al mare. Per quali motivi poi? Davvero futili. Ognuno aveva il diritto di inseguire il proprio sogno e lei, studiando, lo inseguiva. Il fatto che lo inseguisse anche d’estate però le aveva causato non poche prese in giro da parte dei ragazzi del villaggio.
Sofia si chiese perché ci stava pensando mentre tornava nella sala dove ad attenderla c’erano Alessandro e suo padre. Era una storia vecchia, chiusa, passata.
Lasciò la sorella al padre e andò a sedersi su uno dei divanetti che si trovavano in fondo alla sala. Un cameriere la fissò mentre si sedeva, Sofia se ne accorse e come risposta decise che poteva temporeggiare prima di allontanarsi con la mente da quel luogo. Così si rialzò e andò verso quest’ultimo per prendere una coppetta di tiramisù.
“Sofia…”
Non era la voce di Alessandro, e nemmeno di suo padre. Non le venne il minimo dubbio che potesse essere Charlotte, era un uomo e sapeva anche chi fosse.
Non girarsi avrebbe voluto dire sembrare scortese e maleducata e lei non voleva. E poi perché farlo?
Ancora una volta si convinse del fatto che erano passati anni e che le persone cambiano, e a volte lo fanno in meglio.
“Leonardo!”
Lo stupì. Lo aveva davvero stupito. Sofia si era voltata e aveva esclamato il suo nome come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi sorrise abbassando per un attimo lo sguardo.
“Ma allora…”
“Sì, sono io. Stavo solo fingendo di non conoscerti.” ammise la ragazza in tutta sincerità.
Era sempre stata una di quelle persone che amano dire le cose in faccia, sia belle che brutte. Questo tratto del suo carattere l’aveva portata ad essere apprezzata dalla maggior parte delle persone che avevano attraversato la sua vita. Sofia era così, se doveva fare un commento lo faceva, se voleva sorridere di una battuta lo faceva, se voleva tacere e non rispondere ad una domanda lo faceva. Lei faceva tutto quello che sentiva di dovere fare e aveva ben pochi rimorsi.
“Posso chiederti perché?” Leonardo, invece, c’era piuttosto rimasto male, ma in fin dei conti se l’aspettava.
Non era però colpa sua se aveva passato la sua infanzia e giovinezza al mare divertendosi a prendere in giro Sofia. Lei se l’era cercata. Stava tutto il giorno su quei libri che lui, da bravo calciatore quale era, non aveva mai apprezzato. Non usciva quasi mai. Loro la invitavano sempre, probabilmente perché nonostante tutto lei era la più bella nel villaggio, ma niente.
Ricordava come fosse ieri tutti quei giorni in cui si ritrovavano sotto il terrazzo della ragazza. Suo fratello, Alessandro se ricordava bene il nome, scendeva subito. Lei no. Lei alzava la testa da quei suoi maledetti libri e con aria severa, forse a causa degli occhiali da vista che la rendevano simile alla professoressa più sexy che lui avesse mai visto, rifiutava l’invito senza neanche aspettare che loro potessero ribadire.
E così, per anni, poterono ammirare le sue splendide forme solamente al mattino, al mare, durante le poche ore in cui Sofia scendeva sulla spiaggia per un bagno e un po’ di sole. Per Leonardo e compagnia era una visione angelica vederla comparire sulla passerella che dalle docce portava agli ombrelloni. Poi però finiva là, lei non si avvicinava. Se ne stava sotto al suo ombrellone a leggere o sulla riva a prendere il sole.
Fortunato suo fratello, l’unico a cui lei rivolgesse la parola. Leonardo, ai tempi, si era convinto del fatto che Sofia se la tirasse.
“Vecchi ricordi. Può bastarti come risposta?”
“Oh, avanti. Non dirmi che sei ancora arrabbiata!”
“Come potrei mai? Tu e i tuoi amichetti vi siete solamente divertiti a rovinarmi ogni singola estate passata in quel villaggio!”
“Noi? Casomai i libri che ti portavi dietro ogni anno, non noi!”
Sofia non riuscì a trattenere un sorrisino a quelle parole. Per un attimo le sembrò di avere accanto suo fratello quando le parlava dell’importanza del calcio.
“Da quando è un crimine studiare?”
“Da quando noi ci rimanevamo male ogni volta che rifiutavi i nostri inviti. E’ normale che dopo un po’ abbiamo iniziato a prenderti in giro, l’avresti fatto anche tu nella nostra situazione!”
Non era cambiato di una virgola quel ragazzo. Sofia, in un certo senso, l’aveva sempre salvato. Della compagnia del villaggio lui e Mattia erano gli unici che gli erano indifferenti.
Mattia era l’unico amico maschio che aveva al mare. Faceva il duro, il ganzo come si diceva a quei tempi, ma ogni sera passava a salutarla, ogni sera aspettava che lei gli raccontasse della sua vita, dei suoi problemi.
Per Leonardo, invece, non c’era molto da dire. Semplicemente aveva un aspetto tenero e nonostante le battutine provenissero anche dalla sua bocca lei aveva sempre avuto un debole per le persone tenere, ma era sempre riuscito a mascherarlo.
“Ci tenevate così tanto alla mia compagnia?”
“Scherzi? Era uno dei nostri scopi riuscire a convincerti di uscire, di venire a prendere una boccata d’aria con noi!”
Leonardo era sincero, ci aveva sempre sperato. E in fin dei conti non credeva alle parole che uscivano dalla sua bocca quando la prendevano in giro, perché Mattia le aveva parlato di lei. Le aveva raccontato del suo carattere e di quanto lui le volesse bene.
Sofia era stata innamorata di Mattia, si vedeva, ma non era mai riuscita a dirglielo. Lui era impegnato e non perdeva occasione per ricordare a tutti quanto amasse la sua ragazza.
No, non era mai riuscito a capire Mattia e mai ci sarebbe riuscito. Come aveva potuto non mollare subito, immediatamente, la sua ragazza per potere avere Sofia? Come? Come? E poi era da sempre stato convinto che quei due sarebbero stati la famosa –coppia perfetta-. Il destino a volte gioca brutti scherzi, e ora eccola li, Sofia, con una figlia e probabilmente sposata.
“Quasi dimenticavo, complimenti, hai una bellissima bambina.”
Leonardo non si spiegò perché mai Sofia ridesse delle sue parole. Si chiedeva che cosa avesse potuto dire di sbagliato? Forse qualche verbo al tempo sbagliato? Eppure gli era sembrata una frase così semplice da dire.
“Charlotte non è mia figlia, è mia sorella!”
Sofia si disse che in fin dei conti lui non poteva saperlo, non tornava in quel villaggio da un bel po’ d’anni. Charlotte non ci era mai stata e probabilmente non avrebbe mai passeggiato tra le viuzze di quel paradiso.
Era un paradiso, sì. Il suo paradiso. Sofia amava quel luogo, poco le importava che fosse ritenuta la secchiona del villaggio, quella antipatica che passava le giornate sui libri. Quando era là stava bene, l’aria di mare le aveva messo allegria sin da bambina.
“Sì, beh, insomma. Avevo intuito che non potesse essere tua figlia, voglio dire, tu, beh, non sembri una mamma. Però, insomma, vi assomigliate quindi comunque si può intuire che fate parte della stessa famiglia …ho fatto una figuraccia, vero?”
“No, no. Figurati. Era più che lecito che tu lo pensassi, non sei certo il primo. Però dico? Mi ci vedi come mamma? Di già?”
Leonardo rimase per un attimo come paralizzato dal sorriso di Sofia. Solo in quel momento notò che portava un paio di orecchini pendenti che avevano la forma di uno scaccia sogni indiano. Gli piaceva lo stile di quella ragazza, a dir la verità quel suo lato aveva fatto colpo su di lui sin dai tempi in cui la prendevano in giro al mare.
“Dovrei conoscerti meglio per potere giudicare.”
Solo a quel punto si illuminò. Si chiese per quale assurdo motivo stesse ancora aspettando a chiederglielo. Non si vedevano da una vita, lui non la prendeva più in giro e lei non aveva addosso quegli occhiali che la rendevano una perfetta professoressa sexy.
E proprio mentre stava per chiederglielo l’occhio gli cadde su quella fedina che Sofia portava al dito. Il ragazzo, forse un po’ deluso, decise per sua intuizione che pur non essendo madre poteva benissimo essere sposata o fidanzata.
Eppure si ricordava perfettamente di avere sentito pochi giorni prima Mattia e lui non gli aveva detto nulla a riguardo. Pensò che non voleva fare un’altra delle sue figure, ma la semplice faccia da pesce lesso con cui l’ammirava era una epica figura di merda.
“Senti…” esclamarono Leonardo e Sofia insieme.
Sofia voleva dirgli che forse era meglio se fosse tornata da suo padre, perché a parer suo iniziava a farsi tardi e il giorno dopo doveva svegliarsi presto per studiare. Sì, per studiare. Glielo avrebbe detto anche un po’ a posta, per vedere quale sarebbe stata la reazione di Leonardo dopo tutti quegli anni.
Leonardo voleva invitarla ad uscire. Voleva sapere cosa ci facesse a Torino, cosa le fosse successo in quegli anni in cui non si erano visti, voleva sapere se suo fratello giocava ancora a calcio (anche se quello, sinceramente, era quello meno gli interessava, ma così magari non gli avrebbe dato subito l’impressione di volerci provare con lei). Si era riscoperto a pensarla al suo fianco in pochi secondi. L’aveva sempre vista come la promessa sposa di Mattia o al massimo come la secchiona bella del villaggio. E ora, dopo un bel po’ di anni, rivendendola lì di fronte a lui, in quel bellissimo vestito bianco, se ne pentiva.
“E’ meglio se parlo prima io o con la memoria che mi ritrovo rischio di dimenticarmene tra due secondi!”
Sofia annuì e attese le sue parole chiedendosi cosa dovesse dirgli di così importante.
“Senti, sei comparsa qui dal nulla e non ci vediamo da una vita praticamente. Mi chiedevo se ti andasse di prendere un caffè insieme un giorno di questi, così, per fare due chiacchiere e aggiornarci un po’.”
“Quando mai ci siamo aggiornati io e te?”
“Non è mai tardi per iniziare.”
“Il mio era un modo carino per dirti no.”
“Ah…”
Il ragazzo non riuscì a dire altro. Si disse che doveva aspettarselo, lui e gli altri sotto il terrazzo di quella ragazza avevano urlato i peggiori insulti che una ragazza potesse mai ricevere. E lei non se li era mai meritati.
“Ti arrendi così facilmente anche mentre giochi a calcio?”
Sofia sorrise dell’espressione di Leonardo. Era sempre stata brava a catalogare i caratteri delle persone che incontrava nella sua vita e lui era esattamente come se lo aspettava. Tenero.
“No, di solito no.”
“Non te la prendere, ma …devo studiare!”
Leonardo la riconobbe, era la frase che ripeteva ogni volta che lui e i suoi amici andavano a chiamarla. Si domandò a che gioco stesse giocando Sofia? Sperò che non fosse solo una sua impressione che lei lo stesse in un certo senso provocando.
Immerso nei suoi pensieri il ragazzo non si accorse che Sofia aveva girato i tacchi e se ne stava andando. Si convinse che quella frase non potesse essere stata un caso e impulsivamente si incamminò verso una delle ragazze che camminavano per la stanza con tacchi e tailleur per prendere appunti sui commenti degli ospiti.
“Te la rubo solo un attimo, è per una giusta causa.” disse mentre rubava la biro dalla mano di quella ragazza che in quel momento avrebbe voluto essere da qualsiasi parte meno che la. Glielo si leggeva in faccia, non si stava divertendo ad ascoltare i pareri della gente.
Ma questo non interessava a Leonardo. Sofia non era ancora troppo lontana. La individuò e si avvicinò alla ragazza a passi svolti.
“Nel caso volessi dirmi cosa ci trovi di tanto bello in tutti quei libri…”
Sofia aveva sentito il suo polso sollevarsi. Doveva aspettarselo, dopo tutto era stata lei a lasciarlo in mezzo alla sala con una frase ad effetto. E ora Leonardo le stava scrivendo il suo numero sul polso.
Lo guardò dapprima disapprovante, ma stava fingendo. Sofia sorrise nel giro di pochi istanti.
Questa volta fu il ragazzo a stupirla, doppiamente. Prima con il gesto del numero, poi perché fu lui a girarsi e ad andarsene senza dire altro, senza darle il tempo di rispondere.

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buonasera dolcezze :3 e dunque avete appena letto il secondo capitolo. commenti? impressioni? critiche?
se trovate qualche errore di grammatica è perchè lo aveva riletto e sistemato, ma poi non ho salvato e mi scocciava rifare tutto, ahahahahah. 
mi raccomando, ditemi tutta la verità, solo la verità, nient'altro che la verità!
un abbraccio, Elisa.

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Capitolo 3
*** three. ***


Una coccinella si era posata sul libo che Sofia teneva stretto tra le mani. Sulla copertina, in caratteri colore oro, c’era scritto Orgoglio & Pregiudizio. Nemmeno lei riusciva a ricordarsi quante volte l’avesse letto.
La ragazza sorrise e senza pensarci due volte infilò la sua delicata mano nella borsa appoggiata contro la sua gamba. La reflex l’aspettava proprio lì dove l’aveva lasciata. Sofia la portò vicino all’occhio, mise a fuoco e scattò immortalando per sempre quella coccinella che camminava tra le pagine della storia d’amore tra Elizabeth e Mr. Darcy.
 
Sono riuscita a trovare il mio angolo di paradiso anche qui, in questa città che all’inizio mi sembrava troppo diversa rispetto alla nostra Parigi.
Posso raccontarti come l’ho scovato? Ma che te lo chiedo a fare, tanto so che lo vuoi sapere.
L’ammissione all’università è stato un segno, dopo tanta ansia e attesa sono stata ripagata. L’ho visto come l’inizio di qualcosa di nuovo, l’inizio della mia vita qui, a Torino. Solo a quel punto mi sono resa conto che ancora non avevo conosciuto niente di questa nuova città, non ero mai andata in nessun parco, nessun luogo tipico. No, le mie gite si erano fermate all’università e raramente in centro.
Non ho dovuto nemmeno andare lontano, sai?
La mattina dopo essere stata ammessa per la prima volta, appena svegliata, invece di scattare giù dal letto, mi sono detta che potevo aspettare, potevo rilassarmi un po’, potevo prendermi del tempo, il mio tempo. E allora ho ascoltato.
Un lago. Abbiamo un piccolo laghetto dietro casa che si trova all’interno di un parco pubblico e io non me ne ero ancora accorta. C’è un immenso spazio verde. Alberi, panchine, ombra, sole, ma soprattutto il laghetto. Un angolo di paradiso, il mio.
Non ti saprei dire se è stato lui a trovare me, o io a trovare lui. So cosa stai pensando, dovrei smetterla con queste frasi da romanzo. Eppure mi conosci, sai che io fantastico sempre. La mia testa è un romanzo e io sono la protagonista, me l’hai insegnato tu. E’ inutile che sorridi di me, mi hai sempre raccontato che da questo punto di vista ho preso da te. E se ricordo bene non ti sei mai lamentata di ciò dato che l’uomo che hai sposato si era innamorato di te proprio per questo tuo carattere così libero, fresco, solare. Chissà, magari succederà anche a me. Non lo speri anche tu?
Ti sto scrivendo dal mio angolo di paradiso. Sono seduta con le spalle appoggiate al mio albero. Sì, è mio, mi stava aspettando anche lui, come il lago. E’ una quercia a pochi metri dalla riva del lago e i suoi rami mi stanno riparando da un sole che oggi proprio non ne vuole sapere di smettere di brillare. Ma poi, diciamocela tutta, perché dovrebbe farlo? Perché dovrebbe andarsene? E’ così bello il sole.
Ma non ti ho scritto solo per raccontarti del mio angolo di paradiso.
Sto aspettando Leonardo.
Panico!
Chi è Leonardo?
Cosa è successo?
Perché non ti ho raccontato nulla?
So che le ultime quattro righe sono esattamente ciò che hai pensato, ti conosco fin troppo bene.
Leonardo lo conosci, era uno dei ragazzi della compagnia del mare, uno di quelli che ogni giorno venivano a chiamare me e Alessandro. L’ho rivisto dopo tantissimo tempo l’altra sera all’inaugurazione di quello stadio di cui ti ho parlato nella scorsa lettera, lui gioca lì. Si è avvicinato lui, non è cambiato di una virgola. Mi ha ricordato Mattia…
Mattia non lo sento da una vita. Tutte quelle promesse, tutti quei discorsi, dove sono finiti? Non pensare che io sia ancora cotta. Mi è passata, da un pezzo. Eppure ogni tanto mi manca il mio migliore amico, o almeno se non il migliore, quello a cui raccontavo tutto senza problemi, quello che mi ha aiutata quell’estate in cui ho avuto paura di crollare, quello che ha asciugato le poche lacrime che ho versato in tutta la mia vita (guarda caso ho pianto quasi sempre e solo al mare).
Magari dopo gli mando un sms, giusto per sapere come sta…
Leonardo mi ha chiesto di uscire, così, per sapere cosa ci faccio a Torino. Ho rifiutato, per scherzo, ma questo lui non lo sapeva. Mi ha seguita e mi ha lasciato il suo numero di telefono scritto sul polso.
Sai che io amo questi gesti, sai che mi fanno impazzire. Amo le persone che fanno ciò che vogliono, che non si trattengono. Leonardo mi è sembrata una di quelle.
Ci si può ricredere su di una persona dopo averla pensata in un certo modo per tantissimi anni? Me lo sto chiedendo da quando gli ho scritto che potevo dimostrargli che nella mia vita c’era altro oltre ai libri. Sì, l’ho fatto. Voglio dargli l’opportunità di conoscermi, voglio farmi conoscere, voglio aprirmi con la gente come a Parigi, voglio vivere anche qui, a Torino.
Non mi ha risposto, ma credo che stia arrivando. Sesto senso femminile.
Sai che prima una coccinella si è posata sul libro che sto leggendo? Ti ho subito pensata e le ho scattato una foto. Magari la sviluppo e te la mando nella prossima lettera così puoi confrontarle con le tue, ma ormai non c’è più paragone. Lo studente ha superato il maestro e come avrai capito ad averti superata sono proprio io.
Fai ancora fotografie? Divori ancora romanzi? Ti piace ancora fare lunghe passeggiate sotto la pioggia senza ombrello? Quando ti degnerai di rispondermi? Guarda che non si fa così.
Ovviamente sto scherzando. So che sei impegnata, so che mi pensi sempre nonostante tu non mi scriva mai a differenza di me che forse lo faccio anche troppo.
Dici che se rimango seduta qui e Leonardo arriva e mi vede così pensa che io sia una figlia dei fiori o qualcosa del genere? Ho anche una margherita tra i capelli, è splendida, semplice ma delicata.
Magari quando Leonardo se ne andrà potrei raccoglierne un po’ e portarle a Charlotte. Buona idea, no?
Ora è meglio se ci salutiamo. Riprendo a leggere Jane Austen mentre aspetto.
Arriverà, vero?
Un abbraccio.
Tua, Sofia.
 
La trovò seduta con la schiena appoggiata ad una quercia. Rimase alcuni istanti fermo a guardarla. Leggeva un libro che teneva tra le mani. Le sue gambe erano scoperte poiché portava un paio di shorts di jeans. Aveva poi una maglietta bianca, di quelle che davanti hanno stampe simpatiche, ma Leonardo ancora non poteva vederla. I capelli erano sciolti ricadevano ondulati sulle spalle della ragazza che ai piedi portava un semplice paio di converse bianche alte. Il ragazzo provò un senso di naturalezza a quella vista. Sofia gli ispirava semplicità e solarità.
Aveva portato con sé il borsone da calcio, non si fidava a lasciarlo in macchina. L’allenamento era finito esattamente mezz’ora prima e lui aveva fatto tutto in fretta perché lei gli aveva scritto che sarebbe andata via poco prima di cena. Erano solo le 17:00 di pomeriggio, ma lui voleva conoscerla e per conoscere qualcuno ci vuole del tempo.
Riprese a camminare in direzione della ragazza che era immersa nella lettura e non si accorse di nulla. A pochi centimetri da lei Leonardo si accorse che dalla borsa di Sofia spuntava fuori una macchina fotografica e si chiese cosa ci fosse da immortalare di così importante in un parco.
“Strano che tu sia con un libro in mano.”
La ragazza si girò di scatto e Leonardo poté rivedere il suo viso candido. Senza proferire parole lei mise un segnalibro tra le due pagine in cui si trovava, poi chiuse il libro e lo ripose nella borsa. I suoi movimenti erano leggeri e calmi. Solo dopo avere finito alzò lo sguardo verso di lui e sorrise.
“Come mi hai trovata?”
“Non ci sono molti parchi con all’interno dei laghi a Torino. E poi non sei la prima a scoprire luoghi calmi in cui trascorrere i momenti liberi della giornata.”
“Mi stai dicendo che anche tu vieni spesso qui?”
Non poté non notare una certo stupore negli occhi di Sofia.
“No, non io. A me basta il mio divano per rilassarmi. E’ stato un mio compagno di squadra che è appassionato di libri quasi quanto te, e se devo dirla tutta è stato lui a dirmi dove trovare questo posto.”
“Quindi, in verità, non c’eri mai stato qui. Giusto?”
“Giusto!”
Entrambi ridacchiarono e Leonardo sentì di avere oltrepassato il primo scoglio. Se lei sorrideva e rideva voleva dire che probabilmente apprezzava la sua compagnia.
“Ti interessi anche di fotografia?”
“Da cosa lo hai intuito?”
“Dalla reflex nella tua borsa?”
“Sei un buon osservatore!”
“Devo dedurre che hai altri hobby oltre ai libri?”
“Devi dedurre che dovresti smetterla di farti un’idea sbagliata di me. I libri sono solo una parte della mia vita. Ammetto che è una parte consistente, ma c’è dell’altro.”
Gli piaceva il suo modo di parlare. Non smetteva mai di sorridere e usava sempre un tono dolce e accogliente. Si chiese se fosse sempre così. Quasi non riusciva ad immaginarsela arrabbiata o triste.
“Ti va una passeggiata intorno al lago? Sono gelosa del mio albero, non vorrei che si inquinasse troppo se rimani anche tu qui…”
Leonardo ridacchiò, anche se dovette ammettere che ci aveva messo un po’ a capire che Sofia era ironica e non stesse pensando sul serio ciò che aveva detto. Tese poi la mano verso la ragazza per aiutarla ad alzarsi, lei la strinse, la sua pelle era liscissima.
“Che leggevi?”
“Ti interessa seriamente?”
“Perché no?”
“Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen!”
“Non è mica quello con Elizabeth, Mr. Darcy, lei ha una marea di sorelle, lui si innamora di lei e lei all’inizio non lo sopporta?”
Leonardo fu divertito della faccia di Sofia, l’aveva nuovamente stupita e ne era alquanto entusiasta.
“Ebbene sì, anche io leggo. Sorpresa eh?”
“Decisamente sì! Non me l’hai mai detto?”
“Quando avrei dovuto dirtelo?”
“Magari avresti potuto farlo invece di prendermi in giro per una decina di anni?”
Il ragazzo annuì, ma notò che la ragazza non aveva usato un tono infastidito, probabilmente era ancora piuttosto sorpresa del fatto che lui leggesse e lo facesse con libri anche di un certo calibro.
“Due volte che ci incontriamo e parliamo, due volte che si finisce sempre per discutere di te che mi prendevi in giro al mare. Monotoni!”
“Guarda che sei tu che torni sempre sul discorso.”
“Tu mi ci porti parlando di libri!”
Leonardo zero, Sofia uno.
“Cosa ci fai a Torino? Magari potremmo iniziare parlando di questo…”
Sofia per un attimo abbandonò il suo sorriso, ma probabilmente Leonardo non fece in tempo ad accorgersene perché cambiò espressione nel giro di un nanosecondo.
“Studio. Mio padre si è dovuto trasferire qui per motivi di lavoro e quindi eccoci qua, la famiglia al completo. Tu invece? Da quanto sei qua?”
“E’ il mio secondo anno, sono arrivato lo scorso settembre. Ti piacerà Torino, è una delle poche città grandi in Italia in cui puoi mantenere una vita piuttosto calma e senza caos. Non è certamente Roma o Milano, io mi ci trovo davvero bene.”
“Sì, mi ha dato questa impressione anche se ancora non ho avuto modo di esplorarla molto.”
“Te ne innamorerai.”
Non c’era nemmeno un abbozzo di vento nell’aria, lo specchio d’acqua era fermo, immobile, e la stessa cosa avveniva per gli steli d’erba che Leonardo e Sofia calpestavano sulla riva del lago.
“Ho scoperto che tuo fratello gioca nella nostra primavera.”
“Già, non ha avuto problemi a trovare una squadra qua. Aveva parecchie richieste da quello che so!”
“Lo dicevo io al mare che avrebbe fatto strada, ho occhio per queste cose, in fin dei conti siamo praticamente colleghi, stesso settore.”
“Alessandro sa il fatto suo, credo sarà il suo mestiere anche se sto cercando di convincerlo a fare una qualche università l’anno prossimo. Qualcosa di semplice, non per forza medicina come sua sorella, ma un titolo di studio in più farebbe sempre comodo.”
“Sembri mia nonna, parla allo stesso modo!”
Sofia si fermò un attimo mentre Leonardo, senza essersene accorto, continuava a camminare. Poi si voltò, non sentendo più la ragazza al suo fianco.
“Era ovvio che scherzassi, no?”
“Oh certo, però sai, non è stato proprio un gran complimento.”
“Non voleva esserlo, era una constatazione. E comunque non sapevo facessi medicina.”
“Cosa pensavi che facessi?”
“Se te lo dicessi probabilmente torneremmo sul discorso dei libri.”
La ragazza ridacchiò e passò una mano tra i capelli per lasciarli poi ricadere morbidamente sulla schiena. Leonardo rimase a guardare quei suoi movimenti.
“Perché mi fissi? Qualcosa non va?”
“Non sei cambiata affatto. Intendo fisicamente. Hai gli stelli lineamenti.”
“E’ un complimento?”
“Sì, sì, penso proprio di sì.”
“Beh, allora grazie!”
“Posso chiederti cosa fotografi di preciso in un parco?”
La ragazza rimase per un attimo in silenzio, come se la risposta non fosse poi così scontata come Leonardo potesse pensare. A dire la verità lui non ci trovava niente di così interessante in un parco da potere essere fotografato, ma questo forse perché lui non si poteva definire realmente appassionato. Aveva comprato una macchina fotografica professionale qualche mese prima, ma non aveva ancora avuto modo di applicarsi realmente.
“Non è il parco il soggetto. Soggetto diventa qualsiasi cosa tu pensi che possa esserlo. Ad esempio poco prima che tu arrivassi ho fotografato una coccinella che si era posato sul mio libro.”
“Sembra una cosa poetica…”
“Non mi prendere in giro. Mi piace fotografare l’istante, il paesaggio è importante, certo, ma a me piace ricordare il momento quindi scatto.”
Parlando di fotografia la ragazza spontaneamente aveva portato fuori dalla borsa la reflex e la teneva stretta tra le mani.
“Quindi, in teoria, anche questo potrebbe essere un momento da immortalare, giusto?”
“A cosa ti riferisci?”
“A noi, se ti potrebbe fare piacere ricordare questo momento in futuro allora perché non scattare una foto?”
Sofia guardò Leonardo come se stesse riflettendo sulle parole di quest’ultimo.
“In questo istante non saprei dirti quanto mi potrà far piacere, ma partendo dal presupposto che sono quasi 5 minuti che non parliamo del nostro passato e che in fin dei conti mi trovo bene a parlare con te, direi che nel dubbio scatto!”
Leonardo le sorrise. Era soddisfatto della risposta della ragazza e di sua iniziativa prese la macchina fotografica dalle mani della ragazza e la portò di fronte a lui con l’obbiettivo rivolto verso di loro. Aspettò poi che Sofia si avvicinasse al suo viso, finché non sentì la sua pelle sulla sua guancia.
Click. 

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eccomi qui con il nuovo capitolo. come al solito voglio sapere cosa ne pensate, sia in bene che in male :)
per chi ha letto / sta leggendo I'll be waiting for you probabilmente il personaggio di Sofia potrà sembrare l'opposto di Carlotta, e a proposito di ciò volevo spendere due chiacchiere. Dicevo sempre che Carlotta era ispirata a me e bla bla bla, beh, Sofia anche. no, non mi sono bevuta il cervello. il personaggio di Sofia è ciò che sto diventando man mano che passano i giorni, tutte le incertezze e le paure di Carlotta stanno lentamente affievolendo. perchè vi dico questo? non voglio fare la mammina dolce e premurosa, ma volevo solo fare sapere ad ognuna di voi che a volte bisogna un po' lasciarsi andare, sentirsi "libere di essere libere" (mi piace tantissimo dire questa frase, ahah), non pensare alle conseguenze, essere se stesse. se avete un sogno, seguitelo. se avete una passione, non vergognatevene. bisogna essere così, si vive meglio, ve lo assicuro. siamo tutte bene o male nella fase "critica" dell'adolescenza, ma fidatevi, sorridete alla vita e fate in modo che tutto accada in modo leggero (spero di essermi spiegata bene). affrontate i vostri problemi, le vostre insicurezze, le vostre paure e, una volta fatto, vi renderete conto che i ricordi di queste saranno solo motivo di risata. e ve lo dice una che si è fatta tante, ma tante, ma tante pare, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista caratteriale. c'è della bellezza interna o esterna che sia in ognuna di voi, non nascondetela per paura di mostrarla al mondo. e se, come me, siete un po' folli e, perchè no, matte, beh ..non abbiate paura del giudizio degli altri. non chiudetevi, mostratela questa follia!
dopo questo discorso da figlia dei fiori (?) vi saluto e vado a Bologna per il concerto di una delle tante donne che mi ha insegnato ad essere come ho scritto sopra (sto parlando di Nina Zilli).
buon week end, un abbraccio.
Elisa.

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Capitolo 4
*** four. ***


“Mà, te la ricordi Sofia? Quella del mare?”
Leonardo immerse il cucchiaio nella tazza e quando lo alzò questo era pieno di latte e cereali. Sua madre, ai fornelli, lo ascoltava curiosa. Era arrivata quella mattina stessa da Viterbo per passare il week end con il figlio.
“La figlia di Riccardo e Monique?”
“Sì, lei. E’ a Torino, sai?”
“No, non sapevo fossero qui. L’hai vista?”
“Perché credi che te ne abbia parlato altrimenti?”
Leonardo sorrise pensando che fosse ovvio che se aveva accennato a lei era perché l’aveva rivista, altrimenti probabilmente Sofia sarebbe rimasta nel suo dimenticatoio personale.
“Quindi?” sua madre si voltò appoggiando il busto ai fornelli e guardando il figlio con un sorrisetto complice. Il ragazzo non le parlava quasi mai di ragazze e a volte lei aveva pensato che l’unico grande amore del figlio fosse il pallone.
“Niente, ho fatto una passeggiata con lei ieri pomeriggio. E’ completamente diversa da come la immaginavamo…”
“Correggiti, da come tu la immaginavi.”
“Non cominciare anche tu con la storia che la prendessi in giro, ci ha già pensato lei a riempirmi di sensi di colpa.”
“Ah, donne! Sappiamo sempre come farvi girare la testa.”
Leonardo guardò la madre confuso. In verità non sapeva di preciso cosa risponderle e si sentì quasi in imbarazzo, così decise saggiamente di riprendere a mangiare i cereali.
“Non fare finta di niente. Se accenni a parlarmi di una ragazza poi non puoi lasciarmi nel dubbio!”
“Non c’è molto da raccontare, mamma. Abbiamo passeggiato in un parco, abbiamo chiacchierato e ho scoperto che è una persona piacevole.”
“E basta?”
“Basta!”
Il ragazzo quasi si pentì di averne parlato con la madre. In fin dei conti, però, gli era uscito spontaneo chiederle se si ricordasse. La verità era che voleva sapere cosa lei ne pensasse di Sofia da quel che si ricordava, perché lui era una di quelle persone che decideva in base a cosa andasse bene per la madre. Non era un pregio, ma non era nemmeno un difetto. Semplicemente prendeva molto sul serio i consigli di una persona che lui reputava una guida.
“Perché non me la fai vedere? Scommetto che l’avrai già cercata su Facebook? Dico bene?”
Sotto quel punto di vista la madre di Leonardo era davvero avanti, ma d’altronde si era dovuta adattare a social network come Facebook, Messenger e Skype per potere avere sempre accanto il figlio lontano.
Solo in quel momento Leonardo realizzò che in realtà non l’aveva fatto, non l’aveva cercato, non ci aveva pensato. Gli era bastato avere il suo numero.
Due minuti dopo stava già scendendo le scale con il portatile acceso tra le mani, sua madre lo aspettava seduta in uno dei due divani nel salotto. Una volta seduto accanto a lei digitò nome e cognome della ragazza. Come foto profilo aveva uno scatto della sera dell’inaugurazione, Leonardo poté riconoscere il vestito bianco lungo che Sofia indossava quella sera e alle sue spalle il campo. Si ritrovò a sorridere al ricordo di quella serata in cui l’aveva rivista dopo tanto tempo.
“Se cominci anche solamente a sorridere guardando la sua foto direi che sei cotto a puntino!”
“Ma che dici? Sorridevo ripensando alla sera dell’inaugurazione.”
“Farò finta di crederti. Piuttosto, perché non la aggiungi? Non perdere tempo, non farti scappare certe occasioni. E’ una bellissima ragazza, dico sul serio.”
Leonardo non fece in tempo a risponderle perché il suo cellulare, che si trovava in cucina, iniziò a squillare. Mentre il ragazzo correva a rispondere fu la stessa madre ad aggiungere Sofia agli amici del figlio, sicura di avere fatto la cosa migliore.
Aveva conosciuto Sofia sin dai primi mesi di nascita della ragazza. L’aveva stretta tra le braccia da piccola e a volte aveva chiacchierato con lei sulla spiaggia, sotto agli ombrelloni. Le era sempre sembrata una ragazza educata e piena di energia, sensibile e premurosa, sempre allegra e generosa. A differenza di ciò che le avevano riportato i figli durante gli anni, a lei piaceva il comportamento di Sofia, le piaceva la sua diligenza scolastica e la sua serietà nei proprio impegni. Sentire da Leonardo che aveva rivisto la ragazza e avere intuito dagli occhi del figlio che da parte sua c’era dell’interesse l’aveva resa felice, non si sarebbe lamentata se tra i due fosse mai nato qualcosa.
Non le era mai piaciuto entrare nella vita privata di Leonardo, le era sempre piaciuto pensare che se i suoi figli stessero coltivando qualcosa di importante prima o poi glielo avrebbero detto, ecco perché aveva capito che Sofia poteva significare qualcosa per lui.
“Com’è che già tutti sanno che sono uscito con una ragazza?”
Leonardo tornò e quasi stizzito lanciò il cellulare sul divano, poi riprese la postazione accanto alla madre e si riappropriò del computer. Osservò subito che sua madre aveva aggiunto Sofia, ma non disse nulla, probabilmente l’avrebbe fatto anche lui a breve.
“Chi era?”
“Marco, chi volevi che fosse?”
“E’ uno dei tuoi più cari amici, dovevi aspettartelo.”
Il ragazzo sbuffò e ripensò alla conversazione con l’amico. Non si spiegava come lui avesse già fatto a capirlo, fatto sta che gli aveva chiesto nome, cognome, età, segni particolari, insomma una specie di carta d’identità di Sofia. Leonardo aveva nascosto la maggior parte dei dettagli rispondendo genericamente per concludere subito la conversazione, anzi, aveva anche assunto un tono scocciato e ora gli dispiaceva averlo fatto perché  nonostante tutto Marco era l’amico più stretto lì a Torino.
“A volte siete più pettegoli di noi donne voi uomini…”
 
Sofia distribuì nei piatti degli altri per cena del pesce impanato appena cucinato. In quell’anno, tra le tante cose nuove che aveva dovuto imparare alla svelta, c’erano state anche le doti culinarie. Fortunatamente Alessandro era piuttosto autonomo sotto quel punto di vista e suo padre spesso era fuori per lavoro, quindi non era poi del tutto faticoso.
“Hai parlato con Leo?” domandò tutto d’un tratto Alessandro con la bocca ancora piena di pesce.
“E tu come fai a saperlo?”
“Ho visto che siete diventati amici su facebook.”
“Che fai? Mi controlli?”
“Generalmente no, non mi occupo dei tuoi affari, ma ero connesso e mi è apparso nelle attività degli altri utenti.”
Sofia ci crebbe ben poco, poi notò lo sguardo perplesso del padre che aveva decisamente intuito chi fosse il Leo di cui si parlava, ma non capiva cosa potesse centrare con sua figlia.
“E’ un interrogatorio?”
“Parla solo se vuoi.”
“A volte preferisco Charlotte a voi due, almeno lei non è curiosa. Comunque, dato che ci tenete tanto, ho conosciuto Leonardo, Leo come lo chiamate voi, all’inaugurazione dello stadio. Mi ha chiesto se potevamo vederci un giorno per parlare civilmente, cosa che non abbiamo mai fatto in tutti gli anni al mare, e io ho accettato. L’altro pomeriggio ci siamo incontrati nel mio parco e abbiamo chiacchierato un po’, tutto qui.”
“Ora hai un parco tutto tuo?” Alessandro parlò nuovamente a bocca piena e Sofia scoppiò a ridere.
“E poi?”
“E poi niente papà, non c’è altro da dire o raccontare. Ci siamo resi conto che in fin dei conti io non odio lui e lui non odia me, e se devo essere sincera cominciare a conoscere qualcuno in questa città può solo farmi del bene.”
Le piacevano particolarmente quei momenti a tavola quando erano tutti insieme e discorrevano del più e del meno. In realtà non le dispiaceva affatto parlare dei suoi affari privati con il resto della famiglia, anzi, era sempre stata una di quelle ragazze che raccontavano quasi tutto e si lasciavano consigliare dai genitori.
Dopo cena Alessandro la aiutò a sparecchiare. Sofia si fermò a giocare con Charlotte mentre insieme guardavano un cartone animato e dopo essere riuscita a farla dormire si concesse al suo relax serale.
“Ciao!”
“Ciao. Ci conosciamo?”
“No, ma grazie ad un amico so alcune cose su di te.”
“Che amico? E che genere di cose?”
“Mi chiedi troppo.”
“Cosa vuoi di preciso da me?”
“Niente. Sapere che cosa si sta perdendo Leonardo dato che oggi sembrava piuttosto scocciato mentre parlava di te.”
“Scocciato?”
“Sì, scocciato.”
“Mi sembra più che lecito chiederti come tu conosca Leonardo.”
“Compagno di squadra.”
“E parlate di me tra di voi?”
“Ho solamente chiesto chi fosse la ragazza per cui era scappato così frettolosamente alla fine dell’allenamento l’altro pomeriggio.”

“E cosa ti avrebbe risposto?”
“-La secchioncella del villaggio dove andavo d’estate.- Allora incuriosito ti ho aggiunta e devo proprio dire che devo fare cambiare idea a Leo. Quel tono scocciato deve scomparire, chissà che si perde.”
“Senti, non so a cosa tu stia alludendo, ma sinceramente non mi hai reso la ragazza più felice della terra in questo momento. Non fraintendermi, non ci sono rimasta male, Leonardo lo conosco a malapena, ma per questioni personali credo proprio che la nostra conversazione si può dire chiusa qui, chiunque tu sia.”
Sofia abbandonò facebook e spostò il portatile dalle gambe. Chiunque fosse quel Marco che le aveva scritto in chat l’aveva mandata su tutte le furie. C’era rimasta male, anche se forse non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa. Per un attimo aveva quasi pensato che Leonardo non la prendesse più in giro, che potessero diventare amici e che finalmente la sua vita sociale a Torino potesse prendere il via. E invece non solo non avrebbe preso il via, ma stavano iniziando a conoscerla come la secchioncella.
L’idea che nessuno ancora avesse provato a conoscerla per come fosse dentro la buttava giù. Era vero che c’era stato poco tempo, ma ancora si ritrovava a passare le sue giornate tra libri e famiglia e quello non era da lei. A Parigi studiava e anche tanto, ma c’erano tante serate in cui riusciva a uscire con gli amici, divertirsi, svagarsi.
Si ritrovò nel giro di pochi secondi a sorridere dei suoi problemi. Era fatta così, un attimo prima di crucciava, un attimo dopo ne rideva. Era chi non l’avrebbe conosciuta in fondo che ci avrebbe perso, non lei. E per questo forse sentì l’impulso di reagire a ciò che aveva appena saputo.
“Devo dire che sapere ciò che tu dici in giro di me mi ha definitivamente aperto gli occhi. Cancella la giornata al parco, non credo di volere trascorrere altro tempo con una persona così infantile. Ah, per tua informazione, aggiungo che non mi sembravi così scocciato mentre eri con me e non ti ho dato alcun motivo per esserlo. Se poi però con i tuoi amici devi dimostrarti grande e superiore allora fai pure.”
 
“Posso spiegarti tutto.”
Leonardo continuò ad aspettare una risposta per tutta la serata, poi il giorno dopo e quello dopo ancora. Ma niente, di Sofia nessuna traccia. Non aveva fatto in tempo a richiederle il tag sulla loro foto che la ragazza aveva messo in un album su facebook, che lei l’aveva cancellata senza dirgli nulla.
Si sentiva tremendamente in colpa e in un certo senso anche tradito dall’amico che aveva creato tutto quel gran casino senza avvisarlo.
E’ vero, aveva detto quelle parole e l’aveva fatto con tono scocciato, ma che colpa ne aveva lui se l’aveva fatto per fare in modo che Marco non gli facesse altre domande. Non pensava realmente quello che era uscito dalla sua bocca, o meglio, non lo pensava più. Eppure quando si cerca di fare del bene in un modo o nell’altro la si prende sempre in quel posto.
Si ritrovò più volte a chiedersi perché si stesse tormentando così tanto e la risposta era sempre la stessa, voleva conoscere Sofia perché gli interessava, era inutile negarlo. E Marco aveva rovinato tutto.
“Te l’ho mai detto che sei un coglione?”
“Circa 10 volte al giorno, ma se posso essere sincero lo sei anche tu.”
“E perché? Sentiamo.”
“Se questa Sofia ti interessa seriamente allora vai là e le chiedi scusa. Tiri fuori le palle e vai da lei, non ti nascondi dietro un sms a cui lei non ha nemmeno risposto.”
“La fai facile tu. Quando mai tu sei andato a parlare faccia a faccia con una ragazza per tua volontà?”
“Senti bello, non è colpa mia se da me arrivano a fiotti le ragazze. E se proprio lo vuoi sapere potrei avere trovato quella giusta, ma non te ne ho parlato perché sei a pezzi per questa Sofia. Lascia che te lo dica, amico, se ti lasci scappare lei sei uno sfigato. Solamente un coglione non inseguirebbe una donna del genere, ma quasi dimenticavo che tu un coglione lo sei!”
“Sei la simpatia fatta a persona. Se tu ti fossi fatto gli affari tuoi probabilmente ora la sentirei ancora, ogni tanto.”
“Ma sei cieco? Ripeto, ma sei cieco? Il fatto che lei non ti risponda è un chiaro segnale del fatto che lei ci sia rimasta male, anche se dice di no. Ora tu vai là, le chiedi scusa e torni vincitore.”
“E io ti ripeto che tu la fai facile.”
“E tu sei un coglione!”
Leonardo lasciò perdere, a volte parlare con lui era come parlare al vento. Doveva sempre avere ragione, anche quando era in torto o aveva combinato un pasticcio, come, appunto, in quel caso.
Il ragazzo chiuse il borsone e uscì dal centro sportivo dopo essersi fermato per qualche foto con i tifosi. Solamente una volta entrato in macchina notò sul sedile i libri della biblioteca che doveva assolutamente restituire poiché era piuttosto in ritardo.
Di solito non andava nella biblioteca centrale, era la più rifornita, certo, ma anche quella con più gente e a Torino, come nel resto d’Italia, gente era sinonimo di tifosi. Così tempo fa ne aveva trovata un’altra piuttosto buona. Passò accanto al parco in cui pochi giorni prima aveva trascorso del tempo con Sofia e scoprì che pur passando da lì spesso non si era mai reso conto dell’esistenza di quel luogo. Il ricordo di quel pomeriggio lo fece sorridere.
La biblioteca era semi-deserta. Consegnò i libri e si avvicinò ad uno dei computer per controllare la disponibilità di alcuni romanzi che cercava da tempo.
Una ragazza gli passò accanto e si fermò al bancone con alcuni libri scolastici in mano. Erano alcuni di quei tomi che le biblioteche mettevano a disposizione degli studenti universitari per consulta. La ragazza chiese alcune informazioni e poi tornò sui suoi passi per andare a sedersi ad un tavolo in fondo alla sala, appoggiati sopra questo c’erano altri volumi, qualche quaderno e qualche foglio sparso qua e là.
Sofia.
Non l’aveva visto perché si era letteralmente nascosto dietro al computer. Per un attimo Leonardo si chiese cosa avrebbe dovuto fare, poi ripensò alle parole di Marco e constatò che nonostante l’amico fosse un coglione dopo tutto non aveva tutti i torti. Si alzò e andò verso il tavolo.
Sofia era immersa nei suoi appunti e nei suoi libri e non accennava ad alzare la testa.
“Sofia?”
Solo a questo punto la ragazza alzò lo sguardo e la sua espressione mutò dallo stupore per il fatto che qualcuno l’avesse chiamata per nome ad una smorfia di disapprovazione.
“Mi pedini?”
“No, sono venuto a restituire alcuni libri.”
“Mi fa quasi piacere che tu tenti di ampliare la tua cultura, ma ora, se non ti dispiace, la secchioncella del villaggio dovrebbe preparare un esame e la tua presenza non è contemplata.”
“Sofia, senti, ho sbagliato, ma posso spiegarti tutto, davvero.”
“Interessante. Posso tornare ai miei libri ora?”
“Dammi almeno una seconda possibilità.”
“Mi sembra di avertela già data. E se dobbiamo dirla tutta te ne ho già date molte nel corso degli anni. La tua opinione su di me non è cambiata e sai cosa ti dico? Neanche la mia, anche se devo ammettere che eri quasi riuscito a farla vacillare l’altro giorno. Ora, se non ti dispiace…”
“Tranquilla, ho capito, tolgo il disturbo.”

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buonasera gente :)
perchè non recensite mai (a parte la Simo)? non ve gusta? fatemelo sapere almeno. 
io mi ci impegno e sapere cosa ne pensate mi fa sempre piacere.
ci conto nelle vostre recensioni eh!
un abbraccio, Elisa.

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Capitolo 5
*** five. ***


Sofia scese dalla bicicletta e subito cercò le chiavi del lucchetto all’interno della borsa. Una volta trovate si chinò per potere legare la catena alla ruota e al portabici, poi si incamminò per quella via del centro che ormai stava imparando a conoscere.
Il giorno prima aveva visto un bar che faceva angolo in una traversa che le aveva ricordato il suo.
Il suo bar si trovava a Parigi, in una via non troppo lontana dalla Tour Eiffel. Non era famoso, non era grande, non era chic e dentro non c’era nessuno di speciale. Ma era il suo bar. All’esterno del suo bar l’edera copriva tutte le pareti e all’interno c’era sempre odore di the. Al piano terra c’erano dei tavolini e il bancone dove spesso Julie l’aveva intrattenuta parlandole di tutti i libri sconosciuti che il padre le portava dai suoi viaggi in Africa e in India. Al piano superiore c’erano una marea di divanetti e poltroncine, tra queste quella di Sofia. Si trovava in un angolino, da sola, quasi isolata dalle altre. Davanti a questa un tavolino e accanto una grande vetrata da cui la prima cosa che si notava era sicuramente la Tour Eiffel. Quante volte Julie aveva tenuto il bar aperto fino a tardi perché sapeva che a Sofia piaceva rimanere là, quante volte l’aveva quasi spiata con un sorriso mentre la ragazza era immersa nei suoi pensieri o scriveva, o semplicemente guardava la sua Parigi illuminata durante la sera.
Sofia aveva capito che quello sarebbe stato il suo nuovo bar quando, guardando dentro, aveva visto che era interamente costruito in legno e anche qui erano presenti diversi divanetti sparsi qua e là. Questo non aveva due piani, non era ricoperto da edera all’esterno, ma Sofia aveva sentito di avere ritrovato un luogo familiare.
Entrò spingendo la pesante porta di legno lentamente e una volta dentro la prima cosa che fece fu annusare. Come aveva immaginato e sperato, anche qui l’odore di the era presente e inoltre sentì qualcosa di dolce provenire dal bancone. Si stupì vedendo decine di piattini ripieni di biscottini dall’aria deliziosa e si chiese immediatamente come mai potesse essere vuoto un posto così carino e accogliente.
Si diede uno sguardo tutt’intorno e nel giro di pochi secondi aveva già individuato la sua nuova poltroncina. Anche questa si trovava in un angolo, ma questa volta di fronte, oltre al solito tavolino, c’era un’altra poltroncina, uguale. Si avvicinò a queste e appoggiò la borsa.
Al bancone c’era un ragazzo che doveva avere circa la sua età. Alto, capelli neri e occhi scuri. Sembrava saperci fare, non era uno di quei baristi che solamente dopo uno sguardo capisci che lo stanno facendo solo per lo stipendio. Aveva qualcosa negli occhi di diverso, qualcosa che Sofia volle intendere come passione per quello che stava facendo.
“Cosa posso servirle?”
“Un thè verde, grazie.”
“Te lo porto subito.”
“Grazie!”
La ragazza si riavvicinò alla sua nuova poltroncina e si sedette. Anche qui c’era una vetrata, ma essendo al piano terra questa non dava una vista sulla città come accadeva a Parigi. Poco importava, si sarebbe accontentata. Le piaceva osservare e anche solamente guardare la gente indaffarata di Torino mentre attraversava la strada sarebbe stato interessante. Appoggiò il cellulare sul tavolino dopo averlo messo in silenzioso, voleva dedicare un po’ di tempo a sé stessa quel pomeriggio.
“Ecco il tuo thè.”
Il ragazzo del bancone appoggiò una tazza fumante sul tavolino e sorrise a Sofia che ricambiò. Poi si allontanò e tornò alle stoviglie. La ragazza estrasse dalla borsa un quadernino e lo aprì quasi a metà, la pagina era scritta per metà. Poi prese una matita e dopo avere bevuto un sorso dalla tazza iniziò a scrivere. Quel semplice gesto, quella matita su quel quadernino, non era ancora riuscito a ripeterlo da quando aveva lasciato il suo precedente bar e ora si sentiva come se un guizzo si felicità si stesse addentrando per tutto il suo corpo.
L’idea di scrivere un libro le era balzata in testa circa un anno prima, non lo faceva con l’intento di pubblicarlo, non si sentiva neanche minimamente all’altezza. Le piaceva mettere per iscritto una vita che assomigliava alla sua e allo stesso tempo era tutto il contrario. Le piaceva scrivere di una ragazza con i suoi sogni, le sue gioie, le sue sofferenze e le sue ferite. Le piaceva immedesimarsi nella vita di questa ragazza, farla parlare, farla agire, farla innamorare.
“Posso sapere cosa scrivi?”
Sofia alzò di scatto la testa e notò che il ragazzo del bancone si era appoggiato con entrambe le mani allo schienale della poltroncina davanti a lei. La ragazza si sentì per un attimo in imbarazzo e chiuse il quadernino tenendolo stretto tra le mani.
“Scusa, non volevo infastidirti. E’ che non mi capita spesso di avere clienti giovani e soprattutto mai mi è successo che qualcuno si sedesse e iniziasse a scrivere, e la verità è che questo sarebbe lo scopo di questo bar.”
L’imbarazzo svanì nel giro di pochi istanti e Sofia si rese conto di non avere affatto sbagliato idea sul ragazzo del bancone, era proprio come lo aveva pensato.
“Non mi hai assolutamente dato fastidio, solo non mi ero accorta che ti eri avvicinato.”
“Questi li offre la casa, alla mia prima cliente seria. E per seria intendo che tu hai perfettamente capito quale vuole essere lo scopo di questo posto!”
Appoggiò un piattino con dei biscottini sul tavolino e sorrise alla ragazza.
“Grazie, che gentile. Però come minimo ora mi dai una mano a finirli perché saranno sicuramente squisiti, ma non posso mangiarli tutti.”
Il ragazzo del bancone non se lo fece ripetere due volte e si sedette di fronte a Sofia.
“Sofia, piacere.”
“Darren, piacere mio.”
Doveva avere notato l’espressione stranita della ragazza, gli capitava spesso ormai da quando si era trasferito in Italia.
“Mia madre è inglese e fino a due anni fa abitavo a Londra con i miei genitori, poi ci siamo trasferiti qui per questione di lavoro di mio padre e io ho ereditato il vecchio bar di mio nonno. L’ho ristrutturato a modo mio, come piaceva a me, ed eccomi qui.”
“Abbiamo qualcosa in comune allora.”
“Anche tu sei londinese?”
“Parigina, mia madre è francese, mio padre italiano e ora siamo qui per il suo lavoro. Io però non ho un bar, anche se ammetto che per lavorare in un posto del genere farei di tutto. Complimenti, è davvero carino e accogliente.”
“Non tutti la pensano come te a quanto pare. L’ho ideato come uno dei tanti bar che puoi trovare se sai dove cercare a Londra. Volevo creare un posto comodo dove chiunque potesse venire a rilassarsi, ma in questi mesi non ho visto altro che adulti in carriera che entrano, prendono un caffè e se ne vanno.”
“Ed è un peccato, sul serio. Sono entrata qui perché mi ricordava molto il bar dove trascorrevo parecchio tempo libero a Parigi e l’ideale là era esattamente uguale al tuo, anche se eravamo in pochi a seguirlo. A Parigi ero diventata una cliente fissa e la proprietaria a volte era addirittura costretta a tenere il bar aperto fino a tardi di sera perché io non mi scollavo dalla mia poltroncina.”
“Sarà un piacere potere fare lo stesso, soprattutto se i tuoi passaggi da qui saranno pieni di queste piacevoli chiacchiere.”
“Volentieri. E, dato che mi sembra da maleducata non risponderti, sto scrivendo un libro.”
“Un libro?”
“Sì, un libro. Tranquillo, non sono una scrittrice, molto semplicemente mi piace usare la matita su queste pagine banche davanti ad una fumante tazza di thè caldo e, perché no, anche un piattino pieno di deliziosi biscottini come questi.”
 
“ALESSANDRO!”
Il ragazzo si voltò e Leonardo gli andò in contro. Era da qualche giorno che sperava di riuscire ad incontrarlo a fine allenamento e quando accadde si sentì quasi sollevato.
“Senti, ma tua sorella? Che fine ha fatto?”
“Perché non lo chiedi a lei? Siete amici ora, giusto?”
“Ehm, non proprio.”
Leonardo era convinto del fatto che Alessandro in realtà sapesse tutto, ma non proferì parola.
“Ma se hai qualche problema con lei, perché non lo risolvi con lei? A cosa ti servo io?”
“E’ così che si trattano dei vecchi compagni di calcetto? Non mi sembra di starti chiedendo qualcosa di assurdo?”
“Scusa Leo, hai perfettamente ragione. E’ che so che hai discusso con mia sorella e a me queste cose non piacciono, non la voglio vedere giù di morale o qualcosa del genere.”
“E’ giù di morale per colpa mia?”
“Assolutamente no, ma non vorrei mai che accadesse né per colpa tua, né per colpa di altri. Quindi, se devi chiedermi qualcosa riguardo a lei, è meglio che tu vada direttamente da Sofia. Non ti sbatterà nessuna porta in faccia, la conosco e so che se fa la dura la maggior parte delle volte lo fa solo per apparenza.”
“Il fatto è che non so se avrà voglia di parlarmi, in fin dei conti io volevo solo chiarire con lei e spiegarle il perché delle mie parole.”
“Vuoi un consiglio? Quando parli con lei, che tu lo faccia da conoscente, da amico, o da qualsiasi altra cosa, beh, impara a dosare le parole. Sofia è la persona più sensibile sulla faccia della terra e anche il minimo scherzo, detto nel momento sbagliato, rischia di provocarle nervosismo al punto da chiudere i rapporti con una persona per molto tempo.”
“Grazie.”
Leonardo gli era davvero grato, nonostante il suo problema non fosse il come rivolgersi a lei, ma come approcciare nuovamente un discorso con Sofia.
In quei giorni aveva cercato più volte di convincersi che se quell’amicizia era durata poco avrebbe anche potuto fare finta che non fosse mai accaduta, ma c’era qualcosa in Sofia che aveva catturato la sua attenzione e questo non poteva negarlo a sé stesso.
“Ma ti interessa mia sorella?”
Il ragazzo si sorprese di quella domanda così inaspettata. Pensava che Alessandro una volta voltate le spalle se ne stesse andando sul serio, e invece si era girato e nuovamente aveva ripreso a parlare con lui.
“No, perché?”
“Sicuro?”
“Certo. Ci ho parlato a malapena per un paio di ore, intendo parlarci senza insultarla come al mare o senza litigarci come è accaduto l’altro giorno, quindi come potrebbe interessarmi?”
“Ma niente. Era una domanda così. Giusto perché nel caso volevo informarti del fatto che saresti il primo calciatore che lei non ha criticato. Anzi, non ti ha criticato all’inizio. Ora sono un paio di giorni che non fa altro che insultarti. L’altro giorno l’ho trovata a parlare con Charlotte, le diceva di non fidarsi mai dei ragazzi e roba del genere. Sofia è matta a volte, ma forse questo non avrei dovuto dirtelo.”
Alessandro questa volta se ne andò sul serio e Leonardo rimase per un attimo a sorridere tra sé e sé pensando a Sofia che parlava con la sorellina cercando di darle consigli che la piccola Charlotte non avrebbe ancora potuto capire.
 
“Ale quando torna il babbo?”
“Se non lo sai tu vuoi che lo sappia io?”
“Poteva averti inviato un sms, che ne posso sapere? Potresti essere più gentile però, quando torni da allenamento sei sempre insopportabile ultimamente.”
Alessandro era sulla porta del bagno con addosso l’asciugamano legato al ventre e i capelli ancora bagnati per la doccia appena fatta. Chissà per quale assurdo motivo si lavava sia negli spogliatoi che a casa, Sofia non l’aveva mai capito.
“Scusa Sofi, è che sono stanco. Non voglio risultare scorbutico, sul serio.”
“Ti capisco Ale, ma i problemi che non riguardano la nostra famiglia lasciali fuori, okay? Con me puoi sfogarti, lo sai, ma non voglio che papà ti veda nervoso.”
Sofia si avvicinò e lasciò un breve braccio sulla guancia del fratello.
“Film e pop corn stasera? E’ un po’ che non passi una serata con le tue sorelline, me la devi!”
“Come potrei dire di no?”
La ragazza scese le scale giusto in tempo per sentire il campanello suonare. Convinta che fosse suo padre arrivò alla porta con calma. Aprì.
“Tu? Tu cosa ci fai qua?”
“Non mi avresti dato un’occasione per chiederti scusa se te l’avessi chiesta.”
“E presentarti a casa mia così, dal nulla, credi che sia un’occasione?”
“Ci sto provando…”
“Interessante.”
Alle spalle della ragazza Alessandro strava scendendo le scale. Vide Leonardo e gli sorrise. Sofia non avrebbe mai saputo che dopo avere salutato il –collega- quest’ultimo l’aveva quasi rincorso per chiedergli l’indirizzo di casa chiedendogli poi se la sorella sarebbe stata a casa quella sera stessa.
“Senti, quello che ho detto non lo volevo dire sul serio.”
“Dunque, voglio essere buona, ti do esattamente due minuti per dirmi tutto ciò che vuoi dirmi, dopo di che se non sentirai uscire nulla dalla mia bocca vuol dire che dovrai andartene, in caso contrario dipende da cosa dirò.”
“Grazie. Meglio che niente. Allora, è vero, ho nuovamente usato parole non troppo carine per riferirmi a te, ma c’è un motivo. Mi fa innervosire in una maniera pazzesca la curiosità dei miei amici. Sono una persona piuttosto riservata e già convivere con i paparazzi che mi inseguono dappertutto non è facile. Ti starai chiedendo cosa possa fregartene, ma se oltre ai paparazzi ci metti anche gli amici che ti riempiono di domande scomode, beh, fidati, probabilmente ti innervosiresti anche tu. Non ho un briciolo di privacy e l’altro giorno quando, dopo avere passato un piacevole pomeriggio con te, mi ha chiamato un mio caro amico che non si sa come sapeva già tutto e mi ha chiesto di raccontargli, beh, sono andato su tutte le furie e non ho capito più nulla. Non mi sto giustificando anche perché non ho valide motivazioni, ma ti chiedo di scusarmi, se riesci.”
“Wow, meno di due minuti. Assurdo. Mi sorprende quasi il fatto che tu sia riuscito a mettere così tante parole una dopo l’altra senza fare nemmeno un errore.”
“Quindi? Scusato?”
“Non mi sembra di averti perdonato. Perché ci tieni così tanto alle mie scuse?”
“Perché non ho mai avuto modo di conoscerti, e ora che posso farlo non vorrei mandare tutto a puttane per colpa di un mio momento di assoluto nervosismo.”
“Ti avevo già dato un’altra possibilità.”
“E io l’ho sprecata, lo so, ma ti sto chiedendo scusa.”
Sofia rimase in silenzio per alcuni istanti senza sapere cosa fare o dire. Non voleva dargliela vinta così facilmente e in suo soccorso arrivò proprio in quel momento una telefonata a Leonardo che le consentì di pensare per ancora qualche istante.
“…dammi solo un attimo mamma, il tempo di avvisare il mister e chi di dovere e parto.”
La ragazza alzò di scatto la testa e notò che l’espressione del ragazzo era opposta a quella di pochi secondi prima. Il sorriso si era trasformato in ansia e sembrava decisamente allarmato.
“Che succede?”
“Hanno ricoverato d’urgenza mio nonno, ma mia mamma aveva la voce rotta dal pianto e non è riuscita a dirmi altro. E’ ancora vivo, questo l’ho capito, ma non so per quanto ancora lo sarà. Devo correre.”
Ma non si spostò di un centimetro, la notizia doveva starsi facendo spazio nella sua mente.
“No, il nonno no. Non può andarsene.”
A quelle parole di Leonardo Sofia per un attimo ebbe come la certezza che il panico si stesse impossessando di lei, certi ricordi erano ancora troppo vivi in lei e sentiva l’ansia pulsarle nelle vene. L’espressione affranta del ragazzo non l’aiutava affatto.
“Vengo con te.”
Esclamò poi prendendo delicatamente il polso del ragazzo e stringendolo nella sua mano.
“Cosa?”
“Dammi solamente un minuto, il tempo di avvisare mio padre e di dire ad Alessandro di mettere a dormire Charlotte.”
“Non ce n’è bisogno…”
“Ne avrai bisogno, fidati!” 

--

bene ragazze mie, eccovi il quinto capitolo (con un po' di ritardo, scusatemi). che ne pensate? come al solito voglio che siate sincere, mi raccomando.
ah, per chi volesse saperlo, Darren è ispirato fisicamente al vero Darren Criss (Blaine Anderson in Glee) e spero possa diventare un personaggio importante nella FF. dico "spero" perchè non avevo pensato a lui nella mia trama, ma oggi mentre scrivevo del bar ho voluto infilarlo con l'intento di renderlo partecipe all'interno della trama della storia. spero sarà di vostro gradimento.
un abbraccio, Eli.

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Capitolo 6
*** six. ***


Nessuno dei due aveva proferito parola durante le prime due ore in macchina.
Leonardo era attento alla guida e ogni tanto chiamava la madre per avere notizie. Il nonno era in sala operatoria, aveva avuto un infarto e l’ambulanza era arrivata giusto in tempo per poterlo portare in ospedale e affidarlo alle mani dei medici. Stabile? Instabile? Leonardo, come il resto della sua famiglia, questo non poteva saperlo. Sarebbe sopravvissuto? Se ne sarebbe andato per sempre? Anche queste domande nella mente del ragazzo non trovavano una risposta.
Sofia guardava fuori dal finestrino, le stelle in alto attiravano la sua attenzione e i suoi pensieri. Ogni tanto, anzi, spesso, si voltava a guardare Leo. Studiava le sue espressioni, percepiva la sua tensione, i nervi a fior di pelle. Vedeva nei suoi occhi la voglia di scoppiare a piangere, sapeva perfettamente che in quel momento stava cercando conforto, un abbraccio, o semplicemente parole sicure.
“Non puoi continuare a chiamare ogni 5 minuti. La situazione non penso cambi così velocemente e rischi di perdere il controllo e sbandare.”
“Non c’è bisogno che tu faccia la saputella ora!”
L’aveva ferita. Certamente Sofia non avrebbe dovuto ammonirlo sulle telefonate perché era normale che lui volesse avere informazioni sul nonno, ma c’erano altri modi per risponderle.
Leonardo continuò a guidare fino all’area di sosta seguente. Sofia lo guardò con sguardo interrogativo mentre il ragazzo toglieva le chiavi dal quadro della macchina.
“Scusa, non volevo risponderti così. E’ che sto guidando per inerzia, non ce la faccio più. Vorrei che mia madre mi chiamasse dicendomi che il nonno è uscito dalla sala operatoria e che sta bene, che si riprenderà. Ma ad ogni telefonata mia madre ha la voce più rotta dal pianto e non riesco a sentirla così. Mi sta distruggendo.”
Sofia ascoltò attentamente ogni sua parola e rivide se stessa in quella situazione. La corsa in stazione, il treno, ancora la corsa in ospedale, le miriadi di telefonate, i sospiri e i singhiozzi dall’altra parte della cornetta. Era riuscita a tenere tutto chiuso per più di un anno, ma ora la vista di Leonardo in quello stato e quelle parole le riportavano tutto alla mente.
Prese la mano di Leo e la strinse tra le sue, sperando di dargli un minimo di conforto con quel gesto.
“Posso continuare a guidare io. Tu potrai chiamare senza preoccuparti di fare incidenti, ma ti prego solamente di non telefonare troppo spesso. Lo dico per te, tanto se succede qualcosa, sia in positivo che, spero di no, in negativo, tua mamma ti chiama. Cerca di stare tranquillo, qualunque cosa succederà dovrai vivere emozioni troppo forti e se riempi la mente già da ora rischi di scoppiare. Magari non hai capito il mio discorso, ma ti prego di fidarti. Prima o poi ti spigherò perché parlo così. Ti fidi?”
Il ragazzo non rispose, guardò Sofia e le sue mani che stringevano la sua. Sembrava titubante, timoroso, spaventato e agitato. Poi allungò le chiavi a Sofia con la mano che gli rimaneva libera. La ragazza mollò la presa. Pochi istanti dopo lei era alla guida, lui seduto sul sedile accanto. Le telefonate del ragazzo diminuirono.
 
Arrivarono a Viterbo all’alba. Il sole aveva appena iniziato la sua risalita e il cielo era colorato con tonalità tendenti al rosso chiaro.
Leonardo, al fianco di Sofia, si era appena addormentato e lei aveva fortunatamente trovato tutte le indicazioni per arrivare all’ospedale una volta uscita dall’autostrada. Una volta giunti davanti a questo il ragazzo era scattato come una molla. Si era fatto dire in precedenza, prima di appisolarsi, dove si trovasse sua madre con il resto dei parenti.
Leonardo appoggiò la testa contro il vetro della stanzetta dentro la quale stavano operando suo nonno. Non riusciva a vedere nulla poiché i medici coprivano il corpo.
“Dai nonno. Dai!”
Sofia lo sentì. Era seduta lontano dalla famiglia del ragazzo, non voleva essere di disturbo in quel momento di dolore. Mandò un messaggio al fratello e al padre per ricordare loro cosa avrebbero dovuto fare durante il giorno, li conosceva e sapeva che avrebbero faticato durante la sua assenza. Senza di lei l’organizzazione della casa crollava.
Quando alzò la testa notò che la situazione era completamente cambiata e si rese conto di avere tenuto gli occhi fermi sul cellulare più del dovuto. Era rimasta a fissare lo sfondo senza seriamente volerlo. Si era incantata mentre la sua mente viaggiava ancora una volta a quei terribili momenti accaduti poco più di un anno prima. Le sembrava tutto così vicino, erano rinati in lei ricordi che pensava di avere accantonato da tempo.
Tutti si stavano abbracciando, piangevano.
Sofia si sentì assalire dal panico.
Leonardo era seduto per terra, la schiena contro il muro, il viso tra le mani.
Un sorriso.
 
“Stai pur qua con i tuoi genitori, vado a prenderti io qualcosa per colazione. Cappuccino e cornetto può andarti bene?”
“Sarebbe perfetto!”
Avevano saputo della riuscita dell’intervento da ormai circa una mezzora e la serenità si stava impossessando dei famigliari, tra cui Leo che dopo un primo momento di incredulità era corso ad avvertire Sofia stringendola forte tra le sue braccia.
La ragazza arrivò al piano terra e una volta dentro il bar dell’ospedale ordinò per sé, poi per Leo dicendo però che quelli li avrebbe presi dopo altrimenti si sarebbero raffreddati. Si sedette in uno dei tanti tavolini liberi e aspettò il suo cornetto e il suo cappuccino.
“Sei la ragazza di Leo?”
Alzò la testa dal cappuccino e vide che una signora anziana, ma non troppo, si era avvicinato al suo tavolino e ora si stava sedendo posando su di questo la sua colazione.
Era la nonna di Leonardo. Sofia la riconobbe in primo luogo perchè l’aveva vista tra i tanti parenti nel corridoio e poi perché vagamente si ricordava di lei avendola vista qualche volta al mare.
“No, sono solo un’amica, circa.”
“Un’amica che l’ha accompagnata qua da Torino improvvisamente?”
“Non è facile affrontare dei viaggi da soli in certi momenti. Ho pensato che un po’ di compagnia non gli avrebbe fatto male.”
“Hai pensato bene. Ti ringrazio di averlo accompagnato, conoscendolo avrebbe sbandato alla prima curva sulla strada preso dall’agitazione.”
La donna sorrise e addentò il suo cornetto.
“Come fa ad essere così calma? Voglio dire, hanno appena salvato suo marito da un infarto.”
“Ero sicura che ce l’avrebbe fatta.”
“Come?”
“Lo sapevo, me lo sentivo. Quando vivi con una persona da così tanti anni il legame diventa così stretto che sai già quello che succederà.”
“Non ha avuto neanche un po’ di paura quindi?”
“Ammetto di essermi presa un bello spavento quando ho visto che stava male, ma poi mi sono detta che ce l’avrebbe fatta e nel caso remoto in cui fosse andata male ci saremmo rivisti prima o poi.”
Sofia rimase colpita dalla forza di quella donna. La sua determinazione l’affascinava. Avrebbe voluto essere come lei e pensarla così.
“Posso considerarti un’amica speciale di mio nipote?”
“Perché vuole farlo?”
“Perché hai fatto un bellissimo gesto stanotte accompagnandolo, come ti ho già detto, un gesto che in pochi avrebbero fatto.”
“Non sono un’eroina, ma mi fa piacere che lei la pensa in questo modo.”
“Sofia, giusto?”
“Si ricorda il mio nome?”
“Oh, io ricordo tutto cara. E proprio per questo mi scuso io da parte di Leo per quanto potesse essere infantile nell’età dell’adolescenza. Spero tu non ti sia fatto un’idea sbagliata su di lui o che almeno tu possa cambiarla. E’ un ragazzo tanto, troppo sensibile.”
“Penso di averlo capito in queste ultime 12 ore. Qualunque idea io potessi essermi fatta su di lui è sicuramente da rivedere.”
“Mi fa piacere, e credo proprio che farà piacere anche a lui. Un’amica speciale è pur sempre un’amica speciale. Ah, quasi dimenticavo, mi avrebbe fatto piacere se mi avessi risposto in modo positivo alla prima domanda che ti ho rivolto…”
 
Leonardo fu contento del fatto che Sofia non si sentiva troppo in imbarazzo con la sua famiglia. Aveva aiutato sua madre a cucinare per tutti a pranzo e alla fine aveva insistito per aiutarla a sparecchiare e a lavare i piatti e tutto il resto.
Sarebbero ripartiti per tornare a casa la mattina dopo.
Suo nonno era stabile ora e aveva anche avuto la possibilità di vederlo e parlargli nel pomeriggio. A breve sarebbe tornato a casa, doveva rimanere per alcuni accertamenti.
La situazione era tornata ad essere tranquilla.
Marco, così come tanti altri compagni di squadra, l’aveva telefonato poco prima di cena per chiedere sperando di ricevere notizie positive. Notizie che erano arrivare, fortunatamente.
Dopo cena si rese conto che Sofia era sparita e solamente dopo averla cercata in ogni angolo della casa notò  che la vetrata della cucina che dava sul giardino era aperta. Era uscita, magari a prendere una boccata d’aria. Decise di andare da lei.
“Freschino eh?”
La ragazza si girò, era seduta sul dondolo. I suoi piedi, poggiati a terra, facevano leggermente oscillare la struttura. Leonardo le si sedette accanto e allungò i piedi per permettersi una posizione rilassante.
“Ho avuto la premura di portare con me un maglioncino stanotte.”
Sorrise e Leonardo fece lo stesso.
“Perché sei venuta? Perché mi hai accompagnato fino a qua?”
“Te l’ho detto, sapevo che ne avresti avuto bisogno. Ma non chiedermi come lo sapessi, non mi va di parlarne ora. Questo deve essere un momento di gioia, tuo nonno sta meglio!”
“Non te lo chiederò se tu non vuoi dirmelo.”
“Okay.”
“Ne ho avuto bisogno!”
“Di cosa?”
“Di te, stanotte. Non parlo del fatto che ad un certo punto hai guidato al posto mio, ti ringrazio anche per quello, certo, ma mi serviva qualcuno che mi sostenesse, che mi aiutasse. E l’hai fatto, sia in silenzio che parlando.”
“Mi fa piacere di esserti stata d’aiuto.”
“Come posso ringraziarti?”
“Non ce n’è bisogno, davvero. Mi è sembrata l’unica cosa giusta da fare seguirti, è stata una mia idea, non me l’hai chiesto tu, non c’è alcun motivo per cui tu ti debba sdebitare ora.”
“Quindi questa è una tregua? Ricomincerai ad odiarmi una volta che rimetteremo piede a Torino?”
“Io non ti odio, Leo, e questa non è una tregua. Credo di avere aperto gli occhi stanotte. Sei stupido, tanto stupido. E lo dico riferendomi a ciò che hai fatto e detto. Però sei una bella persona, non sei un menefreghista come ho potuto pensare prima di venire qui con te. Ho visto quanto tieni a tuo nonno e alla tua famiglia in generale e questa è una delle cose che mi attrae di più quando stringo amicizia con qualcuno.”
“Quindi?”
Sofia aveva alzato per un attimo gli occhi al cielo per poi riportarli su di Leonardo.
“Quindi sta a te non deludermi un’altra volta.”
Si alzò e camminò per qualche metro sul prato, poi si sedette. Leonardo fu al suo fianco dopo pochi istanti.
“Quante volte guardi le stelle durante la sera?”
“Sempre, anche quando ci sono le nuvole. Te ne sei accorto?”
“E’ impossibile non farlo. Per tutta la notte hai guardato fuori dal finestrino, in alto.”
“C’è qualcosa di affascinante nel cielo di notte. Da piccola ho sempre pensato che io fossi una stella, i miei genitori mi convincevano di questo credendo in me. Sapevo che prima o poi avrei iniziato a brillare.”
“E poi?”
“Devo ancora iniziare a farlo. Spero di riuscirci laureandomii. Spero di brillare salvando la vita a qualcuno, aiutando la gente a guarire.”
“Sei una persona profonda.”
“Sono una sognatrice e questo non sempre è un pregio.”
Sofia sospirò e tornò a guardare le stelle. Leonardo sentì di doverle passare il braccio intorno alle spalle e lo fece. La ragazza si voltò per guardarlo negli occhi, sorrideva.
“Grazie.”
“No, grazie a te per avere brillato al mio fianco stanotte.”

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eccomi ragazze. nuovo capitolo dopo un po' di tempo :)
ho notato però che ci sono davvero poche recensioni (Simo tu sei sempre presente, ahahah) quindi, boh, non me lo spiego. perchè comunque i commenti sono tutti positivi! allora, che ne direste di suggerirla a qualcuno? non so, magari a qualche amica su twitter a cui immaginate possa interessare! mi farebbe davvero piacere, e grazie intanto a chi scriverà qualcosa <3
baci, Eli!

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Capitolo 7
*** seven. ***


“Senti, io e mio fratello abbiamo organizzato una specie di festicciola per domenica sera dato che il resto della famiglia non è in casa. Se a Palermo ci giocate di sabato, potresti venire a fare un salto, no?”
Leonardo si voltò a guardarla dopo quella proposta e fu contento di notare che il viso della ragazza era sincero, sembrava davvero richiedere la sua presenza.
“Perché no. Mi farebbe davvero piacere! Ma spiegami un po’, che genere di festa è?”
“Niente di speciale eh! Non ti aspettare chissà cosa. Semplicemente organizzavamo spesso feste con i nostri amici a Parigi e ci piacerebbe continuare la tradizione qua. Un po’ di musica, chiacchiere, alcool, cibo e perché no, si potrebbe anche ballare un po’!”
“Tu hai una volontà d’organizzazione spaventosa, posso dirtelo?”
“Lo devo prendere come un complimento o come una critica?”
“Assolutamente come un complimento! Vorrei avere io questa grinta e questa voglia di organizzare. Ti invidio!”
Sofia ridacchiò e continuò a camminare sulla ghiaia del viale alberato del solito parco, dove ormai lei e Leonardo si incontravano spesso dopo gli allenamenti di quest’ultimo.
“Chi ci sarà? Oltre a te, tuo fratello e me?”
“Beh, a dire la verità io ho invitato solamente te e stasera sentirò un altro mio amico. E’ mio fratello quello che porterà tutta la gente. A questo proposito volevo proporti di invitare qualche tuo compagno di squadra, se ti va, non vorrei che ti annoiassi.”
“Chi è quest’altro tuo amico?”
“Non lo conosci, ma te lo presenterò domenica sera. Merita davvero come persona!”
Leonardo non si stupì troppo quando senti una punta di gelosia farsi spazio tra i suoi sentimenti. Sofia in quei giorni non aveva mai accennato ad un’altra conoscenza a Torino se non alcuni compagni d’università. Perché non aveva invitato anche questi alla festa? Perché solo questo ragazzo di cui lui non conosceva neanche il nome?
“Non vedo l’ora di conoscerlo allora!”
“Posso contare sul fatto che porterai qualcuno e che non dovremo stare in mezzo ad una massa di diciannovenni?”
“Puoi contarci!”
“Grazie!”
“E di che?”
Una prima goccia cadde sul naso di Leonardo che si portò il dito nel punto in cui sentiva bagnato, come a volere accertarsi che avesse sul serio iniziato a piovere. L’inizio di novembre era ormai alle porte, il caldo estivo aveva lasciato spazio prima ai venticelli freschi, ora quasi già al gelo della fredda Torino.
“Piove!”
“Stai scherzando, vero?”
“No, ti giuro che ho sentito una goccia!”
“Merda, ora anche io.”
“L’uscita del parco è dalla parte opposta, ci vorrà almeno un quarto d’ora per arrivarci e a giudicare dai nuvoloni neri non ce l’abbiamo un quarto d’ora di tempo!”
“Cosa aspetti Leo? Corri!”
Sofia aveva già stretto la mano intorno al polso del ragazzo e correva in direzione di alcune querce secolari ai lati del viale. Nel giro di pochi secondi le due gocce si trasformarono in un acquazzone e i rami degli alberi non bastavano a ripararli dall’acqua.
I due cominciarono a ridere, come in una scena da film perfettamente programmata, come se qualcuno avesse urlato –Ciak, si gira!- e qualcun altro avesse inserito l’effetto pioggia. E il loro copione era fatto di quelle semplici risate complici che stavano allietando quel momento nonostante i loro indumenti fossero ormai già completamente imbevuti di pioggia.
“Altro che festa, se non trovo subito qualcosa da mettermi addosso di caldo sarò costretta a letto per tutta la prossima settimana!”
“Non sia mai! Prendi la mia giacca intanto, è impermeabile e ti terrà un po’ più di caldo magari!”
Leonardo fece scivolare velocemente le mani sulla cerniera, si sfilò l’indumento e allargò le maniche aspettando che Sofia si facesse aiutare per indossarlo. Richiuse lui stesso la cerniera e per concludere l’opera le calò sulla testa anche il cappuccio per poi tirare forte i cordini, quasi a volerle fare un dispetto simpatico. Nuovamente scoppiarono a ridere entrambi.
“Giuro su me stessa che non uscirò mai più di casa senza un ombrello nella borsa!”
“E un po’ tardi ora per dirlo!”
“E’ una prevenzione per il futuro la mia.”
“Senti, almeno nella borsa hai la macchina fotografica?”
“No, oggi no!”
“Fa niente, uso l’iPhone.”
Si avvicinò a Sofia e senza spiegarle nulla alzò il cellulare all’altezza dei loro visi, entrambi guardarono lo schermo facendo due facce buffe. Leonardo aveva i capelli completamente bagnati, Sofia il cappuccio stretto sulla testa e qualche ciocca di cappelli che morbidamente le ricadevano sul volto.
Click!
 
“Oggi se possibile sei ancora più sorridente rispetto al solito, possibile?”
“E’ stata una bella giornata, e non potevo pensare ad una conclusione migliore. Sono contenta che ora tu tenga il bar aperto anche di sera, è suggestivo, sai?”
“Questo lo pensiamo solo io e te a giudicare dal fatto che ci siamo solo noi due, e io sono il barista, quindi in teoria non dovrei nemmeno contarmi.”
“Non essere così pessimista, ho in mente un’idea rivoluzionaria.”
“Proponi, accetto tutto!”
“Allora, che ne dici di assumermi?”
Darren abbassò per un attimo la testa, sapeva perfettamente che una Sofia dietro al bancone sarebbe stato perfetto, con la sua solarità avrebbe portato clienti e allegria nel locale.
“Cos’è quella faccia?”
“Ecco, vedi, mi trovo un po’ in difficoltà, non è facile da dire…”
“NO! Non ci pensare minimamente. Non voglio un centesimo per questo, voglio solo che tu sia d’accordo e che tu abbia fiducia in me. Il mio progetto potrebbe andare in fumo, ma bisogna crederci, okay?”
“Non posso assumerti gratis, non sarebbe giusto.”
“Non puoi assumermi con uno stipendio, primo perché sappiamo entrambi che ora non ci sarebbero le risorse per poterlo fare, e secondo perché te lo impedisco io. E ora fammi finire! Naturalmente io non riuscirei a lavorare ogni giorno, verrei qua però in ogni momento libero della giornata. E la mia idea era quella di riempire la città di pubblicità e di fare passaparola tra gli amici. All’università sto iniziando a conoscere un bel gruppetto di gente che non solo non riesce a studiare in casa, ma ultimamente neanche in biblioteca, quindi adopereremo il piano di sopra del bar per tutti quegli studenti che ricercano un po’ di calma e tranquillità. Ormai è inverno, c’è freddo, e figurati se durante il pomeriggio a qualcuno di loro non verrà voglia di una bella cioccolata calda insieme a dei fantastici biscottini? Può sembrare un’idea forse banale e infantile, ma ci ho pensato per una notte intera e mi sembra un buon punto d’inizio.”
“Tu per una notte intera hai pensato a come aiutarmi col bar?”
“Certo! E non solo. Domenica sera do una festa, a cui avevo intenzione di invitarti a prescindere da questa idea. E volevo farti una proposta. Perché non mi aiuti a preparare biscotti, dolci, pizzette e cibo vario per la festa come solo tu sai fare? Così possiamo iniziare a farti pubblicità. Ci saranno tantissimi amici di mio fratello, futuri universitari che sicuramente torneranno ad assaggiare le tue specialità qua. Ne sono certa! E poi sarebbe un modo anche per passare un pomeriggio insieme ai fornelli, ho tanto da imparare da te! Mio padre ama i pezzi di torta che gli porto da qui e morirebbe dalla voglia di avere in casa una figlia che glieli sappia preparare!”
Solo dopo avere terminato tutto il discorso Sofia si rese conto che gli occhi di Darren erano lucidi.
“Ho detto qualcosa che non va? Se l’idea non ti piace possiamo cambiare qualcosa o abolirla del tutto…”
“Assolutamente no. Il contrario. Mi fai commuovere, mi fa emozionare la tua grinta e la tua voglia di aiutarmi. Sei un’amica speciale Sofi, un grazie non basterà a farmi screditare nei tuoi confronti.”
“Ti ringrazio io Darren, questo posto è una seconda casa, e per prima casa io intendo la mia casa a Parigi, non quella a Torino. Quindi sono io che devo ringraziare te. Questo bar, tu, mi avete fatto ritrovare qui quell’angolo parigino che mi manca da morire. Ecco perché voglio aiutarti, voglio che questo luogo possa diventare per molti quello che ora è solo per pochi. Non mi ringraziare, okay?”
“Okay, come vuoi tu. E va benissimo per la festa, non vedo l’ora!”
“A proposito, sai che sei il secondo oggi che mi dice che sono una persona con tanta voglia di fare?”
“E’ la verità. Posso sapere chi è stato il primo?”
“Un amico!”
“Un amico?”
“Sì, un amico. Non pensare male, solo un amico!”
“Un amico che oggi ti ha resa particolarmente sorridente, a quanto ho il piacere di notare.”
“Può essere, ma pur sempre un amico.”
“Potrò avere il piacere di conoscere questa persona capace di renderti ancora più attiva del solito?”
“Certamente sì. E anche lui oggi ha detto che non vede l’ora di conoscerti.”
“Ottimo!”
“Quando posso iniziare a lavorare?”
“Quando vuoi!”
“Perfetto!”
Sofia sorrise e allungò la mano verso Darren, seduto di fronte a lei, come a volere stringere un accordo.
“Dobbiamo trovare una tenuta ufficiale per me e per la mia nuova assistente.”
“A questo ci penso io, ho già in mente qualche schizzo. Tu devi solo continuare a sfornare cibo e bevande come solo tu sai fare!”
 
“Leo! Mi ha detto Ale che avete vinto, dobbiamo festeggiare!”
Leonardo entrò seguito da una decina di suoi compagni di squadra. Sofia aveva aperto la porta e con la sua solita solarità aveva già convinto tutti che quella sarebbe stata una gran serata.
La ragazza li condusse giù, nella taverna, dove tutti i compagni di squadra di Alessandro erano già presenti, stessa cosa per i compagni e le compagne di classe.
“Dove la nascondevi una taverna del genere?”
“Scusa se non ti ho mai fatto fare il giro turistico della casa eh!”
“Posso trasferirmi qua?”
“Sì, ma solo tu. I tuoi compagni di squadra non mi sembrano tanto affidabili.”
“Tranquilla, sono dei cuccioli in realtà. Dov’è il tuo amico?”
“Darren? Vieni, te lo presento subito!”
Come solo pochi giorni prima Sofia strinse nuovamente la mano intorno al polso di Leonardo per condurlo tra la gente.
“Darren!”
“Dimmi Sofi!”
“Lui è Leonardo, il ragazzo di cui ti parlavo l’altro giorno. Leo, lui è Darren, il ragazzo di cui ti parlavo l’altro giorno!”
Scoppiò a ridere delle sue stesse parole e Leonardo si rese conto che doveva avere bevuto un po’, non troppo, giusto quel che bastava per essere un po’ allegra. Non l’aveva mai vista così, ma non gli dispiaceva troppo questa sua ilarità.
“Piacere.”
“Piacere mio!”
“Leo devi assolutamente provare tutto quello che Darren ha preparato per noi stasera, ti piacerà sicuramente. A dire la verità io l’ho aiutato, ma alla fine ha fatto quasi tutto lui! Tieni, prova questo!”
Sofia prese un trancio di pizza tra le mani insieme ad un tovagliolino di carta e lo porse al ragazzo continuando a sorridere.
“Sofi non ti ho presentata ai miei compagni di squadra!”
“Tranquillo, c’è tempo, la notte è giovane.”
Non fece in tempo ad aggiungere altro Leonardo, perché la ragazza si era già spostata dirigendosi verso il fratello. Notò che parlava con tutti senza farsi troppi problemi, non c’era il minimo imbarazzo sul suo volto.
“La conosci da molto?”
“Teoricamente sì, da quando siamo nati praticamente, in realtà stiamo imparando a conoscerci in queste ultime settimane. Tu? Da quanto la conosci?”
“Da settembre, è capitata per caso nel mio bar in centro e ci siamo da subito trovati in sintonia. Abbiamo molti interessi in comune. Sofia è una persona davvero speciale, trasmette allegria e gioia a chiunque.”
“Già. Ma… Voi due… Beh… Insomma…”
“Chi? Io e Sofia? Assolutamente no, e a dire la verità stavo per farti la stessa domanda!”
“Io e Sofia? No, no, no, assolutamente no. Stiamo solo diventando amici, tutto qua.”
“Se posso darti un consiglio, da amico, non lasciartela scappare!”
Darren gli diede una pacca sulla spalla e si voltò. Leonardo rimase stupito dalle sue parole e dal suo tono di voce, tutto si sarebbe aspettato, meno che quel consiglio. Era ovvio che il ragazzo stesse mentendo, ma doveva ammettere che aveva l’arte del sapere raccontare bugie nel sangue. Era stato davvero convincente.
La ritrovò circa un quarto d’ora dopo, stava parlando con due suoi compagni di squadra e ne fu sorpreso. Non glieli aveva presentati, eppure stava parlando con loro senza farsi alcun problema. Sicuramente l’alcool doveva avere contribuito, Sofia aveva un bicchiere in mano. Anche lui però non era rimasto a secco e la sua testa iniziava a girare.
“Sofi!”
“Leo!”
“Siamo molto allegri, o sbaglio?”
“No, non sbagli affatto.”
La ragazza gli appoggiò una mano sulla spalla e Leonardo senza esitazioni posò il braccio attorno alla sua vita con la scusa di aiutarla a reggersi in piedi.
“Canti con me?”
“Stai scherzando?”
“E dai! C’è il karaoke già montato, troviamo una bella canzone e la si fa!”
“No, non se ne parla. Non posso sputtanarmi davanti a tutti in questo modo!”
“Oh, come sei palloso Leo! Troverò qualcun altro!”
E detto ciò si staccò e andò verso una parte rialzata della mansarda dove c’erano alcuni microfoni già montati sulle aste. Sofia aveva organizzato tutto alla perfezione.
“Darren! Vieni subito qui! Leo non vuole cantare con me, quindi voglio un duetto con il mio londinese preferito! Facci sentire un po’ del tuo accento molto british!”
Leonardo si posizionò comodo in mezzo a due suoi compagni di squadra su di un divanetto, pronto a gustarsi la scena.
Sofia fu accontentata, Darren fu accanto a lei nel giro di pochi secondi e aveva già il microfono in mano.
“Con cosa possiamo allietarvi la serata? Darren scegli tu?”
“Mmm, beh, un classico del passato? Don’t you want me?”
“Oddio, perfetta. Ale, fai partire la base. Qualcuno spenga le luci!”
Gli occhi di Leonardo erano fissi su Sofia, nonostante fosse decisamente più ubriaca che sobria riusciva quasi a fingere di essere normale, o forse semplicemente non era molto diversa da quando era a secco. La voglia di fare e di essere attiva era sempre la stessa.
La base partì e il ragazzo scoprì che tra le tanti doti di Sofia c’era anche il canto. Anche Darren non se la cavava male e i due sembravano così affiatati mentre cantavano e saltavano. Nuovamente Leonardo provò una scossa di gelosia nel vedere certi sguardi tra i due. Lei soprattutto sembrava troppo presa, non aveva degnato del suo sguardo nessuno se non il suo compagno di canto.
La gelosia prese però il massimo sopravvento quando a fine canzone Sofia, forse per il troppo alcool nell’aria, forse presa dall’euforia, scocco un bacio sonoro sulle labbra di Darren seguito da una risata sempre della ragazza.
“Ahia Leo! Pensa se ci fossi andato tu a cantare con lei! Che occasione che hai appena perso.”
“Sta zitto Marco!”
Stava andando su tutte le furie e non era un bene rimanere in mezzo alla gente, soprattutto perché la testa ora girava decisamente forte e voleva evitare scene sconcertarti davanti a tutti. Così si alzò e salì le scale che riportavano al piano terra. Trovò la porta che dava nel giardino sul retro dritto davanti a se, la aprì e uscì all’aria aperta. Pochi secondi dopo era già seduto sull’erbetta tagliata del prato.
Come previsto quel ragazzo aveva saputo mentire decisamente bene, ma anche Sofia non era stata da meno. Che l’avesse illuso? Preso in giro? Ma poi si rese conto che lei non gli aveva mai dato alcun segnale, perché si aspettava qualcosa?
“Leo! Che ci fai qui tutto solo soletto?”
Il ragazzo si voltò di scatto, Sofia veniva verso di lui barcollando leggermente e tenendo i tacchi sospesi in aria con una mano.
“Niente, faceva troppo caldo lì dentro!”
“Ti ho portato una giacca, non so se è la tua, ho preso le prime due che mi sono capitate sotto mano. Non ci sto capendo molto in questo momento, mi gira fortissimo la testa!”
“Ho notato!”
“Che c’è? Che succede?”
Intanto si era seduta accanto a Leonardo e lo stava fissando quasi come se davanti a lei ci fosse un alieno.
“No, niente. Tranquilla!”
“Ti ho fatto qualcosa? La festa non ti piace?”
“No, è splendida, davvero.”
“E allora che bisogno c’è di venire qui da solo?”
“Non ho trovato nessuno che mi facesse compagnia?”
“E perché non mi hai chiamata?”
“Mi sembravi impegnata con il tuo amichetto londinese…”
“AH!”
Leonardo alzò la testa di scatto, giusto un secondo prima che Sofia iniziasse a ridere. Una di quelle risate isteriche che le donne fanno da ubriache.
“Cos’hai da ridere?”
“Gelosone!”
“Eh?”
“Sì, sei geloso perché ho baciato Darren. Ecco perché sei venuto qui, non sopportavi l’idea di vederci insieme.”
“State insieme?”
“Ma che? Sei matto?”
“Ah, non lo so. Sei tu quella che l’ha baciato dopo avere cantato guardandolo dritto negli occhi!”
“Sì sì, sei proprio geloso!”
“Se se, vabbè, come vuoi tu.”
“Lo vedi? L’hai anche ammesso. E se sei geloso vuol dire che provi qualcosa?”
“Ora stai farneticando Sofia. La tua testolina sta viaggiando davvero troppo!”
“Io sarò anche ubriaca, ma tu sei decisamente geloso. Tranquillo, magari ne parliamo un’altra volta, quando mi passa questo mal di testa. Ora taci, non ti preoccupare, non sto con Darren anche se devo ammettere che ha un certo fascino quel ragazzo. Ma no. Non mi interessa. Piuttosto, guardiamo le stelle?”
Leonardo sapeva perfettamente che non avrebbero mai ripreso quel discorso, Sofia non si sarebbe ricordata nulla ed era decisamente meglio così.
“Sì, però prima mettiti entrambe le giacche o ti ammalerai.”
“Scherzi? Una tu e una io! Ci sono altri modi per scaldarsi!”
“Addirittura?”
“Ma che hai capito? Sempre a pensare male voi ragazzi! Basta avvicinarsi un po’, un po’ tanto, tipo così!”
Si ritrovò la testa di Sofia appoggiata al petto e sentì il suo profumo espandersi nei suoi polmoni lentamente. La strinse forte a sé come a non volerla più lasciare andare e affondò le mani nei suoi capelli. Poi si addormentò. 

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scusate l'assena ma questa maturità mi distrugge D: e voi come state? iniziate le vacanze (maturande come me a parte)? tutto bene? spero di sì :) intanto spero vi sia piaciuto questo capitolo almeno un quarto di quanto io mi sono divertita a scriverlo :3 ah, per chi guarda Glee ovviamente la scena della canzone sul palco sarà ben nota e familiare (datemi pure della copiona, ma quella esibizione a me piace troppo, non potevo non metterla). per chi invece non ha la più pallida idea di ciò di cui sto parlando, beh, non potete non guardare questo video. okay? mmm, che altro dire? ah sì, ci sono ancora troppe poche recensioni, sigh! so che non è colpa vostra eh, tranquille, ma mi piacerebbe avere più pareri. boh, voi consigliatela, ahah fate pubbbbbblicità che male non fa se si va! :) vi saluto mie care lettrici, "la notte è giovane" e ora voglio cimentarmi nella lettura di un nuovo libro!
un bacione!

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Capitolo 8
*** eight. ***


Non era il suo letto quello in cui si era risvegliata, e a dirla tutta, una volta aperti gli occhi, si rese conto che non era neanche la sua casa quella. Si trovava in una camera piuttosto grande, c’era un armadio con tanto di cabina come la sua, ma non era la sua. La tonalità della stanza era quasi tutta sul blu scuro, come anche le coperte del letto sul quale era adagiata. Addosso aveva una felpa, ma come tutto il resto, non era sua nemmeno quella. Era gialla evidenziatore, la riconobbe subito perché suo fratello l’aveva uguale, era una delle tante maglie da allenamento della Juventus. La testa le pulsava decisamente troppo forte. Si rese conto di avere ancora i tacchi ai piedi e sotto la felpa il vestito indossato la sera prima. In un attimo tutto le fu chiaro, e quella stanza cominciò ad essere delineata come la stanza di Leonardo, non poteva essere diversamente. Si alzò lentamente, ma dovette subito portare le mani alle tempie, come se quello fosse bastato a lenire il dolore, illusa. Appoggiò i piedi per terra e la prima cosa che fece fu togliersi i tacchi, che lasciò lì, anche se lei iniziò a camminare verso la porta, chiusa. Passando accanto ad una scrivania una foto la incuriosì, prese in mano la cornice e si ritrovò davanti agli occhi un piccolo Leonardo e un piccolo Claudio, se ricordava bene il nome del fratello del ragazzo, con secchiello e paletta in mano, intenti a costruire un castello di sabbia sulla spiaggia di quel villaggio che tante volte aveva visto anche lei cimentarsi in composizioni con la sabbia. Sorrise e riappoggiò la cornice delicatamente dove l’aveva trovata.
Subito non riuscì ad orientarsi, a fatica trovò le scale che l’avrebbero riportata al piano inferiore. Si ritrovò in un salotto e proprio lì, sul divano di fronte a lei, era sdraiato Leonardo in una posa decisamente scomoda. Cominciò a sentirsi in colpa perché probabilmente lui si era addormentato là per potere lasciare lei da sola, ma allo stesso tempo quel gesto le faceva tenerezza, o forse quella era per il modo in cui dormiva il ragazzo.
- Ale, mi sono risvegliata a casa di Leo. Sta tranquillo, sto bene. Se babbo torna digli che sono a casa di un amico, ma non dire niente di tutto quello che abbiamo fatto stanotte, okay? Scusa se ti ho lasciato da solo a sistemare casa. Stasera ti faccio la cotoletta alla milanese per rimediare. Bacio –
L’aveva mandato dal cellulare di Leonardo che aveva trovato appoggiato sul divano di fronte a quello sui cui il ragazzo dormiva. Quello di Sofia era sicuramente rimasto a casa sua. Si chiese cosa avrebbe fatto ora, di svegliarlo non se ne parlava minimamente, men che meno di tornare a casa a piedi da là. Guardò l’orologio e scoprì che non era poi così presto, quasi mezzogiorno. Sperò con tutto il cuore che Leonardo avesse allenamento nel pomeriggio, perché in caso contrario non si era presentato e lei non voleva avere questo peso sulla coscienza. Prese alla lettera il “fai come se fossi a casa tua” anche se nessuno glielo aveva detto e cercò la cucina. A Leonardo avrebbe di sicuro fatto piacere mettere qualcosa sotto i denti appena sveglio e anche lei cominciava a sentire un certo languorino. Per andare sul sicuro scelse di fare una ricca insalata, con i più svariati ingredienti trovati all’interno del frigo. Si stava divertendo, le piaceva cucinare e si stupì nel trovare una cucina così grossa e accogliente nella casa di un ragazzo che per di più abitava da solo.
Stava canticchiando quando Leonardo si appoggiò allo stipite della porta e iniziò a ridacchiare di gusto.
“Che c’è? Sono stonata?” domandò subito Sofia rendendosi conto che il suo salvatore notturno si era svegliato. Aveva finito di preparare e ora stava apparecchiando il tavolo aprendo ogni stipetto per cercare tovaglia, tovaglioli e posate.
“Assolutamente no, mi fa ridere il modo in cui sei vestita.”
“Sei tu che mi hai infilato questa felpa!”
“Tremavi come una foglia quando siamo arrivati qua. E poi stavi dormendo, non potevo svegliarti e chiederti quale felpa ti sarebbe piaciuta di più.”
“Perché mi hai portata qui?”
“Alessandro dormiva alla buona all’alba, al campanello non rispondeva nessuno e non ti avrei lasciata al freddo e al gelo un secondo di più.”
“Grazie!” aggiunse sinceramente alla fine del discorso piuttosto stupita del suo discorso. Si chiese dove fosse finito il ragazzo che passava sotto casa sua al mare solo per insultarla.
“Che stavi facendo?”
“Ho pensato che ti saresti svegliato con un certo languorino e l’ora della colazione è passata da un pezzo. E ho fame anche io, quindi ho preparato anche per me!”
Leonardo la guardò, studiò il suo viso, la fierezza con cui parlava, il modo naturale con cui si esprimeva qualsiasi cosa stesse dicendo. Ciò che aveva davanti gli piaceva, anzi, lo faceva impazzire senza alcun dubbio. Sorrise dei suoi pensieri.
“Che c’è? Ho fatto male a preparare da mangiare?”
“No, anzi, al contrario, hai fatto benissimo. Mi stupisce sempre di più la tua voglia di fare, me ne regali un po’?”
“Valuterò la proposta. Sediamoci e mangiamo ora, o la fame mi logorerà lo stomaco!”
“Ai suoi ordini!”
 
Alessandro aprì la porta tenendo in braccio la piccola Charlotte. Lei e suo padre erano tornati in tarda mattinata, ma Riccardo non era più in casa, già richiamato al lavoro in ufficio nonostante fosse appena rientrato. Si ritrovò di fronte Leonardo e Sofia, la sorella con tanto di tacchi in mano e felpa della Juventus addosso. Non salutò il fratello, come di solito faceva, con un bacio sonoro sulla guancia, ma, con la vocina da bimba che usava con Charlotte, urlò e allungò le mani verso la sorellina per prenderla tra le braccia. Entrò in casa dimenticandosi di Alessandro e Leonardo e si fiondò sul divano coccolando la piccola.
“Ovviamente io non esisto più!” sbuffò Alessandro ironico rivolgendosi a Leonardo, che sembrava fin troppo concentrato a studiare i movimenti di Sofia con la sorellina.
“Sono molto legate?”
“Esageratamente legate. Io sono la pecora nera! Ah, a proposito, grazie per esserti preso cura di Sofia. Mi ero completamente dimenticato di lei, brutta cosa l’alcool!”
“Tranquillo, l’ho fatto con piacere. Non potevo di certo lasciarla dormire in giardino a Novembre inoltrato.”
“Senti, se ti fermi mezzora ti scrocco un passaggio ad allenamento. Oggi sono con voi!”
“Volentieri!”
I due entrarono e si sedettero sul divano di fronte a Charlotte e Sofia, la seconda stava ancora parlando in modo infantile con la prima e non li degnò nemmeno di uno sguardo. Quando lo fece, scoppiò a ridere rendendosi conto che avevano assistito alle sue scenette con la sorella.
“Ti ricordi di lui?” indicò alla piccola Leonardo che, come risposta, sorrise teneramente alla bambina. Charlotte sorrise e allungò le manine verso di lui.
“Questo mi sembra un chiaro segno del fatto che ti stia snobbando per andare da Leo, Sof!” Alessandro fu immediatamente trasformato nell’oggetto di uno sguardo assassino da parte della sorella.
“Lei vuole solo me, vero cucciolina?” appoggiò le labbra sulla fronte di Charlotte lasciandole un bacino, per poi sistemarle i capelli. La bambina però sembrava decisamente propensa a volere andare tra le braccia di Leonardo. Sofia alzò le spalle e si alzò per posare la piccola tra le braccia del ragazzo, che dopo un primo momento di esitazione la accolse tenendola in modo saldo. Ancora una volta, esattamente come era successo durante l’inaugurazione dello stadio, provò una strana sensazione, un misto di tenerezza e dolcezza che non riusciva a spiegarsi.
Charlotte dapprima lo guardo negli occhi, poi puntò ai suoi capelli corti con entrambe le manine, ma subito dopo il suo viso diventò la preda per eccellenza. Punto le dita sulle sue guance e tirò lievemente. Sofia, davanti a lui, scoppiò a ridere, lo stesso fece Alessandro.
“Tranquillo, vuol dire che gli piaci. Ti sta studiando!”
“Eccola che comincia a parlare dei suoi comportamenti con le persone come se avessimo un cane come sorella.”
“Ma te devi criticare ogni cosa che faccio con Charlotte?”
“No, dico solo che sembri più stupida del solito quando parli di lei. Tutto qua.”
“Leo, non lo ascoltare. Comunque una cosa è certa, non si ricorda di te, altrimenti non avrebbe bisogno di studiarti. Le mie teorie sono giuste, sempre.”
Per una volta Leonardo non la stava minimamente ascoltando sul serio, Charlotte aveva un potere ipnotico su di lui quasi peggio che quello di Sofia. I due si stavano riempiendo di sguardi e attenzioni. Gli erano sempre piaciuti i bambini piccoli e aveva sempre fantasticato su come, un giorno, sarebbero stati quelli che avrebbe avuto insieme a quella che sarebbe diventata sua moglie. Prediligeva i maschietti perché, ovviamente, con loro avrebbe potuto insegnargli l’arte del suo mestiere. E poi si sa, le femmine sono più schizzinose e vogliono sempre essere riempite d’attenzioni. No, un maschietto sarebbe stato decisamente meglio. Anche se una bimba così tenera e dolce come Charlotte non gli sarebbe dispiaciuta ora che ci pensava.
“L’abbiamo perso.”
“Decisamente.”
“Leo, torna sulla terra!” urlò Sofia dopo alcuni istanti. Il ragazzo alzò la testa di scatto e le sorrise.
“Una cosa è certa, non ha preso da te tua sorella.”
“Cosa intendi dire?”
“E’ calma, rilassata, dolce, tenera…”
“Stai dicendo forse che questi aggettivi non potrebbero essere attribuiti alla sottoscritta?”
“Nel novanta per cento dei casi assolutamente no!” ammise Leonardo scherzando.
“Posso ritenermi profondamente offesa?”
Nel frattempo Alessandro era sgattaiolato al piano di sopra per preparare il borsone da calcio lasciando i due a fare finta di litigare e Charlotte che assisteva al tutto guardando prima Sofia e poi Leonardo ripetutamente.
“Sai, non pensavo fossi capace di ubriacarti!”
“Pensavi male allora.”
“Quasi quasi ti preferivo in quel modo.”
“Anche mentre baciavo Darren?” era rimasta zitta fino a quel momento, quasi come a volere fare finta di non ricordarsi, eppure quella scena la ricordava, il resto era qualcosa di confuso, ma quello no. Aveva come l’impressione di avere sferrato un colpo basso con quelle parole, infatti Leonardo rimase zitto per alcuni istanti, ma non abbassò lo sguardo, cosa che invece di solito viene fatta quando si è in imbarazzo.
“A dire la verità sì, per un momento mi sei sembrata meno santarellina del solito!” colpita e affondata avrebbero detto se quella fosse stata una partita di battaglia navale.
“Quindi io sarei una santarellina?”
“Ti vedo così!”
“Anche tu, però, non mi sembri un don Giovanni, sai?”
“E perché mai?”
“Beh, non mi ricordo di preciso come ci sono finita stanotte in giardino, ma non ricordo che tu ci abbia minimamente provato con me.”
“Non ci provo con le prede facili!”
“Sono una preda facile?”
“Da ubriaca sembra proprio di sì!” nuovamente colpita e affondata.
“E da sobria?”
“Non ti so dire, non ho mai provato, ma non mi pare.”
Sofia fu sorpresa della sua risposta e in un certo senso apprezzò ciò che gli venne detto. Nonostante il discorso avesse avuto quasi un’impronta di sfida, sapeva che si stavano dicendo la verità. Un atteggiamento particolare della ragazza era quello di negare a sé stessa le proprie emozioni, come se in realtà ne avesse paura. Mentre Leonardo non nascondeva al proprio io che comunque era interessato a Sofia, lei non lasciava che l’idea penetrasse minimamente nel suo cervello, non perché non potesse accadere, ma perché non voleva che accadesse e quindi rifiutava tutto a priori. Come verrebbero definiti due ragazzi di sesso opposto che nel giro di tre mesi passano dall’odio, anche se non reciproco, al sentire quasi il bisogno di vedersi più volte alla settimana anche solo per chiacchierare, sorridere e scherzare? E se da una parte Leonardo sapeva di starlo facendo per interesse, come già sottolineato, Sofia non si rendeva conto di ciò in cui stava coinvolgendo sé stessa. Probabilmente se le avessero fatto notare che con il suo comportamento mostrava di essere particolarmente legata a Leonardo, lei avrebbe negato, ma non fingendo, anzi, al contrario avrebbe negato convinta di farlo. 

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buonasera, anzi, buonanotte :) scusate il ritardo, la maturità continuo ad uccidermi e il 9 ho l'orale :/ non voglio però tediarvi con le mie ansie e voglio, invece, ringrazirvi, mie dolci lettrici, poche ma buone, per i vostri commenti sempre così carini e tenere (non che io me li meriti eh!) <3 detto ciò, sappiate che il 10 parto e tornerò a casa (Reggio Emilia) a fine agosto. Questo non vuol dire che non posterò, ma se sparisco dalla circolazione ogni tanto sappiate che in verita sono ancora viva, spero! 
spero vi sia piaciuto questo capitolo, anche se a dire la verità è un capitolo di transizione, quindi non accade nulla di che. arriveranno i colpi di scena e che colpi di scena (?) ahahahah. 
colgo l'occasione per augurare buone vacanze estive a tutte voi, a chi le ha già iniziate e a chi, magari, come me è ancora alle prese con la maturità!
un bacione <3

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Capitolo 9
*** nine. ***


“Non ti viene mai voglia di tornare a casa? Non ti manca Londra?”
Darren a quelle parole lasciò scivolare il piattino che stava sciacquando per poi riprenderlo e adagiarlo con cura sul fondo del lavello. Girò la manopola dell’acqua e si voltò verso Sofia, che era seduta sulla solita poltroncina con in mano il suo inseparabile quadernino e una matita che ora teneva attaccata al labbro superiore. Non aveva alzato lo sguardo, non lo stava guardando, ma la domanda era stata ben indirizzata dato che nel locale erano rimasti solamente loro due.
“Da morire..” sussurrò poi camminando verso la ragazza che ripose il tutto sul tavolino davanti a lei e accavallò le gambe intuendo che era arrivato il momento della solita chiacchierata serale con Darren.
“Mi manca Parigi, tremendamente. Mi sveglio al mattino e scosto la tendina della mia camera sperando di vedere la punta della Tour, esco di casa e pagherei per ritrovarmi in qualche viottolo soleggiato della mia città o per avere un museo a portata di mano. Ti ho mai detto che c’è stato un periodo in cui trascorrevo intere giornate al Louvre solamente fissando “Amore e Psiche”? Mi manca la mia casa, quella di Parigi, gli amici, le abitudini, anche la monotonia delle giornate che riuscivo sempre a deviare inventandomi sempre qualcosa di nuovo. Non fraintendere, Torino mi piace, ultimamente mi ci trovo sempre meglio, ma non è la stessa cosa e non lo sarà mai. E forse solo tu puoi capirmi!”
“E ti capisco perfettamente, Sof. Mi trovo bene qui, il bar ultimamente va meglio e ho trovato un’amica speciale, quella che a Londra forse non avevo mai avuto modo di conoscere, ma mi manca la mia città.”
“E allora cosa aspettiamo a tornarci?” disse scattante Sofia, prendendo tra le sue mani quelle di Darren e sorridendogli.
“Non si può, o almeno io non posso. Non posso lasciare questo posto, non ancora, e nonostante tutto devo ammettere che mi ci sono affezionato. Ma tu puoi tornarci se ti manca così tanto…”
“Non posso tornarci…” gli occhi della ragazza diventarono cupi tutto ad un tratto. “E un giorno ti spiegherò tutto Darren, giuro, ma quel giorno non è ancora vicino. Per quanto mi possa mancare Parigi, ora che mi sono allontanata e mi sono abituata a questa lontananza, sarebbe traumatico rivedere determinati luoghi, riprendere a vivere una certa vita che quasi non sento più mia. Ma non voglio tormentarti con le mie lamentele ora, chiudiamo questo momento nostalgico e pensiamo a goderci al massimo questa vita torinese. Dico bene?”
“Dici benissimo!” ovviamente Darren si era accorto del repentino cambio d’umore di Sofia, ma non volle approfondire. Si conoscevano da poco in termini di tempo, ma già abbastanza per sapere che quando lei voleva dirgli una cosa lo faceva senza alcuna esitazione. E poi Darren aveva intuito, forse…
“Novità mio caro londinese preferito?”
“Gli affari vanno un po’ meglio da quando una certa parigina ha messo il naso in questo posticino e tutto ciò mi rende davvero felice, anche se possiamo migliorare, vero? Perché quando si pensa di avere fatto abbastanza, in realtà non si è dato nemmeno un briciolo ancora, e questo me l’hai insegnato tu!”
“Siamo ancora all’inizio, davvero, dammi solo un altro po’ di tempo per elaborare idee e questo posto diventerà uno dei più esclusivi in tutta la città.”
“Sofi tu trovi il tempo per studiare, trovi il tempo per la tua famiglia in cui fai praticamente tutto, trovi il tempo per darmi una mano qua e hai anche il tempo per cercare nuove idee, ma un po’ di tempo per te? Forse mi sbaglio, ma a volte ho come l’impressione che tu pensi poco a te stessa. Non vuole essere una critica questa, anzi, è un merito, ma non ti sembra di stare facendo troppo? Non ci sarebbe qualcosa che ti piacerebbe fare oltre a tutti questi doveri?”
“Venire qua non è assolutamente un dovere per me, e nemmeno cercare nuove idee, lo faccio con piacere!”
“E questo lo so, me ne sono accorto, altrimenti ti avrei vietato da tempo di mettere piede qua dentro se non come semplice cliente. Non lo so Sofi, a volte ho come l’impressione che tu non voglia pensare a te stessa…” la guardò negli occhi e sperò che non stesse fraintendendo il suo discorso.
“Capisco perfettamente cosa stai cercando di dirmi Darren, anche perché è tutto così vero. Si nota così tanto? Voglio dire, è una cosa fastidiosa?”
“Fastidiosa? Ma sei matta? E’ una delle tante cose che ti rende così speciale, però devi trovarlo un po’ di tempo per te o prima o poi scoppierai e io non voglio assolutamente perdere la mia collega non che cliente preferita!”
“Non mi perderesti mai, ma comunque sappi che ne trovo di tempo per me. Leggo, vado a correre, ogni tanto canto sotto la doccia, non mi faccio mancare niente!”
“Pensavo avessi capito a cosa mi riferissi principalmente…”
Sofia lo guardò stranita. Non aveva intuito proprio nulla e pur facendo mente locale non riusciva ad arrivarci e Darren non si fece attendere troppo per svelare il tutto.
“Come posso spiegartelo? Non voglio…” ma non fece in tempo a continuare che qualcuno bussò col pugno sul vetro proprio accanto a loro per poi avvicinare il volto e svelare la sua identità. “Wow, la spiegazione è arrivata da sola!” esclamò stupito Darren senza rendersene conto.
“Come scusa?”
“Niente, stavo pensando ad alta voce. Ora però dovresti andare, io non lo farei aspettare al freddo e al gelo.”
Sofia si alzò e sorrise al ragazzo. Non aveva ancora fatto alcun cenno all’altra presenza al di fuori del locale, sapeva che la stava aspettando e questo bastava ad essere sicura che non se ne sarebbe andato.
“Sarò qui domani subito dopo le lezioni, promesso!”
“Il tempo Sofi, il tempo per te, ricordati!”
 
Ogni tanto controllava che Sofia fosse ancora dietro di lui e che lo seguisse nel traffico torinese. Non c’era stato verso di convincerla a non usare la sua macchina, si era intestardita dicendo che non aveva senso che lui l’accompagnasse dato che era già a casa sua e avrebbe viaggiato inutilmente.
Non avevano in programma niente di speciale per quella sera. Aveva sentito la ragazza in mattinata chiedendogli se avesse qualche impegno nel pomeriggio e dato che sarebbe stata occupata con Darren le aveva proposto un pizza e film a casa sua che Sofia aveva accettato senza esitare.
Si era chiesto più volte in quei giorni cosa stesse succedendo tra loro, cosa potesse pensare o provare Sofia, ma non riusciva a trovare alcuna risposta a queste domande. Lei sembrava così naturale e spontanea in tutto ciò che faceva con lui che era difficile intuire se da parte sua ci fosse amicizia o qualcosa in più.
A discapito di tutto ciò, Leonardo aveva ben presente quali fossero i suoi sentimenti.
Doveva essersi fermato in mezzo alla strada a pensare, ma a ricordarglielo fu Sofia, da dietro, strombazzando con il clacson. Alzò lo sguardo e notò il semaforo verde, chissà da quanto doveva essere così.
Nel giro di pochi secondi iniziò a squillargli il cellulare e per un attimo pensò che era destinato a non arrivare a casa quella sera.
“Sofia?”
“Sì, sono proprio io. Senti, ma se cambiassimo programma?”
“Non ti va pizza e film?”
“No, non è questo, è che pizza e film si può sempre recuperare, la mia voglia di aperitivo e poi andare a ballare invece è più unica che rara e mi chiedevo se ti andasse di accompagnarmi. Non sentirti obbligato, posso andarci anche da sola…”
“Ma che? Sei matta? Vengo, vengo, tranquilla. Piuttosto, non sono vestito per andare a ballare…”
“Cambierai idea dopo avere visto me. Ora fammi spegnere questo cellulare o rischio di tamponarti e io stasera voglio divertirmi, non voglio vederti col muso perché magari ti ho graffiato la macchina.”
Non ebbe il tempo per replicare perché Sofia dall’altra parte del telefono aveva già chiuso.
Sorrise tra sé e sé, no, non era destino che lui tornasse a casa quella sera.
 
Rispettivamente si guardarono prima di entrare nel locale. Una maglietta bianca a maniche corte con sopra un leggero cardigan, un paio di skinny jeans con i risvolti al di sopra delle caviglie e delle comode blazer ai piedi lei, una camicia che arrivava all’altezza dei gomiti, un paio di jeans e le Philippe Model lui. Scoppiarono a ridere.
“Non poteva coglierti già stamattina questa voglia di andare a ballare? Così magari, non so, mi vestivo un po’ meglio…”
“Ma taci. Sei messo molto meglio tu che io con questa tenuta da casalinga. Ma sai che ti dico? Chi se ne frega. Mal che vada se non vogliono farci entrare tu sveli la tua identità ed è fatta!”
“Ehi signorina, non puoi approfittare della mia notorietà. Ora capisco perché mi hai chiesto di accompagnarti…” rispose ironico Leonardo iniziando ad incamminarsi verso la porta.
“Non posso avere semplicemente chiesto ad un amico di accompagnarmi?”
“E’ possibile che all’amico venga qualche dubbio quando l’amica è una persona che in mesi di conoscenza non ha mai accennato a questo tipo di divertimento.”
“E la festa a casa mia?”
“Un’eccezione!”
“Stronzo!”
“Secchiona!”
Sofia si fermò, posò le mani sui fianchi e si volto quanto bastava per guardarlo negli occhi infuriata. Fintamente infuriata. Poi scoppiò a ridere e avvolse il suo braccio attorno a quello del ragazzo. “Entriamo dai!”
Per un momento, un piccolo, minuscolo istante, Sofia si chiese cosa avrebbe potuto pensare la gente di loro due. Non era solito pensare ai giudizi esterni, ma la situazione la induceva a farlo. Ma fu un secondo, un minuscolo istante appunto, poi si sedette al fianco di Leonardo su di un divanetto e quel pensiero non la preoccupò più.
Dall’altra parte, invece, il ragazzo non aveva ancora smesso di lasciare vagare la sua mente su quel pensiero che lo aveva portato a non accorgersi del cambio di colore del semaforo solamente un paio di ore prima.
Eccola Sofia, proprio là, davanti a lui, con un cocktail in mano, splendida nella sua semplicità. Bella anche con i capelli raccolti, un filo di trucco e vestita come se stesse andando in palestra e non di certo in uno dei locali più esclusivi di Torino.
“Perché mi fissi? Ho qualcosa che non va?”
“Assolutamente no, se ritieni normale vestirti così per andare a ballare.”
“Quindi secondo te ci stanno fissando per il nostro abbigliamento e non perché su questo divanetto ci sei seduto tu?”
“Beh, di certo non perché ci sei seduta tu!” esclamò sorridendole e bloccandole le braccia per evitare di incassare il colpo che sicuramente non avrebbe tardato ad arrivare.
“Ti odio, giuro che ti odio.”
“Chi disprezza ama…”
“E’ arrivato il filoso!”
“Sempre meglio che la dottoressa!”
“Senti, filosofo, io vado a ballare un po’. Ovviamente la tua compagnia non è gradita dopo la tua ultima battuta che ho trovato di pessimo gusto. Puoi aspettarmi qua o… Oppure non lo so, fatto sta che ora io vado a ballare!”
E si alzò, lasciando il bicchiere vuoto tra le mani del ragazzo che continuò a fissarla finché non la perse in mezzo alla folla. Gli piaceva, Dio quanto gli piaceva. Quei suoi modi di fare, la sua ironia, la sua sicurezza, la sua determinazione e la sua forza di volontà, tutto, gli piaceva tutto.
La ritrovò in piedi al bancone dall’altra parte della sala. Non stava ordinando nulla, era semplicemente appoggiata con la schiena e guardava la gente che le passava davanti.
“Scusa, sei da sola? Posso offrirti qualcosa da bere?”
“Le agganci tutte così?”
“Solo quelle che vanno a ballare con le blazer ai piedi!”
La ragazza abbassò lo sguardo quasi come se non ricordasse quali scarpe avesse indossato quel pomeriggio prima di uscire di casa. Poi lo guardò con uno sguardo esasperato, ovviamente stava nuovamente fingendo visibilmente. E poi scoppiò a ridere, senza un reale motivo, solo per la voglia di farlo. E quella risata travolse anche Leonardo che si ritrovò a compiere il suo stesso gesto con lo stesso gusto, con la stessa intensità.
La musica era alta all’interno del locale, eppure quel “Mi piaci” Sofia lo sentì bene. Uscì sincero, pulito, dopo una semplice risata di gusto, da labbra che sembravano aspettare quel momento da tanto, come se quelle due paroline fossero bloccate da qualche parte in fondo alla gola, o forse un po’ più in basso a sinistra, e non aspettavano altro che un po’ di coraggio per essere pronunciate.
“Come scusa?” e invece aveva sentito, si ripeté ancora una volta che aveva udito perfettamente, ma voleva sbagliarsi, o forse voleva risentirlo, o forse non sapeva di preciso cosa volesse.
“Ti ho detto che mi piaci…”
Guardò le mani del ragazzo, non stava bevendo e che lei si ricordasse non aveva toccato un goccio d’alcool lui. Eppure non si era avvicinato, non aveva fatto mezzo passo verso di lei che tutto ad un tratto si sentì piccola, minuscola, incompresa e …sola.
“Devo andare.”
“Come?”
“Devo andare, cosa non capisci?”
“Ma io ti ho appena detto che mi p…”
“Lo so cosa mi hai detto, l’ho sentito perfettamente la prima volta, ma devo andare.”
“Lascia almeno che ti accompagni!”
“No, Charlotte non dorme se io non torno a casa!”
“Ma cosa c’entra? E poi Charlotte starà dormendo da un pezzo!”
“Devo andare Leo, devo andare!”
E se ne andò scomparendo tra la folla.

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Lo so, mi odiate, sono passati millemila anni da quando ho postato l'ultimo capitolo. Non sto a spiegarvi i vari motivi per cui sono stata assente tutto questo tempo, niente di speciale, i soliti impegni da teenager, ahah :) Spero di tornare a postare con costanza, per il resto voi continuare a leggermi e a commentarmi, mi fa sempre tanto piacere!
Un bacione!

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