Don't change your mind.

di LostinStereo3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stay awake. ***
Capitolo 2: *** Chump. ***
Capitolo 3: *** Broadcast. ***
Capitolo 4: *** Walls. ***
Capitolo 5: *** Happy Together. ***
Capitolo 6: *** Give me this change ***
Capitolo 7: *** Waiting. ***



Capitolo 1
*** Stay awake. ***



Stay awake.





E se un giorno ti svegli e capisci che sei tu la delusione?

Ero immobile nel mio letto senza dormire da almeno 3 ore.
Erano le 4 del mattino.
Era il momento di fare quello che non avevo mai trovato il coraggio di fare.
Mi alzai dal letto, mi vestii veloce con il primo jeans e la prima felpa che capitarono, raccattai un vecchio zaino e ci infilai alla rinfusa un po’ di vestiti, i miei cds, il mio iPod, un quaderno bianco e una matita, il portafoglio e la collanina che le mie amiche mi avevano regalato al mio sedicesimo compleanno, ben 8 anni fa.
Avevo perso i rapporti con tutti ed era decisamente colpa mia.

Nel silenzio ovattato della notte uscii da quella casa senza guardarmi indietro, conscia che se lo avessi fatto, avrei visto la foto sul pianoforte di me e le mie sorelle, da bambine, che sorridevamo allegramente, prese dai nostri giochi.
Non guardai indietro, sapendo che se lo avessi fatto avrei visto la foto del matrimonio dei miei genitori, così sorridenti in quel giorno tanto pieno di felicità e serenità.
Eppure loro erano in parte la causa della mia fuga, nel cuore della notte.

Corsi via, nel freddo della città addormentata.
Arrivai all’aeroporto attraverso vari autobus di linea vuoti.

“Il primo volo oltreoceano?” domandai alla ragazza tutta bionda e sorridente dietro il banco informazioni.
Indugiò un attimo sul mio volto, corrucciando le sopracciglia, poi si girò verso il monitor del computer. “Esattamente tra 15 minuti, diretto in Canada, Montreal precisamente.”
“Mi faccia un biglietto, la prego”

Stavo fuggendo dalla mia vita, dal mio inferno, diretta in una città a me totalmente sconosciuta.
Lo odiavo pure il freddo io.

Scesi da quell’aereo carica di speranze per il futuro, prossimo e lontano.

In un attimo mi colpì il freddo pungente del clima canadese e mi strinsi nella felpa, che realizzai essere quella che mi regalarono le mie sorelle qualche anno prima, grigia, con un enorme teschio stampato sul davanti.

Avendo portato con me solo uno zaino, non avevo bagagli da ritirare e, assaporando il profumo di una nuova vita, camminai verso il centro della città alla ricerca di un qualcosa da poter chiamare casa.







Mi era venuta l'ispirazione, ho scritto e questo è quello che ne è uscito fuori.

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Capitolo 2
*** Chump. ***


Chump.

Era più o meno una settimana che mi ero sistemata.
Mi ero trovata dove vivere grazie ad un taxista particolarmente impietosito.
Ero salita sul primo taxi libero fuori dall’aeroporto e, una volta domandatomi quale sarebbe stata la mia direzione e non avendo saputo cosa rispondere, mi consigliò una zona di Montreal tra il centro e la periferia, con villette discrete e appartamenti non troppo costosi.
Per cui mi ero diretta verso la prima agenzia immobiliare in quella zona e subito mi avevano trovato un appartamento tranquillo.
Non ero in centro, ma non mi interessava.
Non conoscendo minimamente la città, me ne andai in giro alla scoperta.
Girando comprai parecchia roba, sia per la casa che per me:vestiti, libri, ancora vestiti e ancora libri. Trovai un negozio di musica veramente fantastico, non molto lontano da dove abitavo, un po’ scostato dalla via principale, quasi nascosto.
Era piccolino, ma molto assortito di musica di ogni genere.
Passavo la maggior parte del mio tempo lì.

“Questa è la mia poltrona.”

Alzai gli occhi dal mio libro, ero seduta su di una poltroncina al lato del piccolo negozio con le cuffie nelle orecchie. Mi levai una cuffietta, incerta.

“Come scusa?”

“Quella, su cui sei comodamente seduta, è la mia poltrona.”

Rimasi perplessa.

“Perché? C’è scritto il nome?” domandai sarcastica.

Il ragazzo di fronte a me alzò un sopracciglio.

“In effetti sì, ora che me lo hai ricordato, c’è scritto il mio nome.”

Lo guardai allibita, convinta che mi stesse prendendo in giro.
Mi alzai e chiesi “E dove starebbe scritto questo nome? Sentiamo.”
Lui sicuro si sporse verso la poltrona e mi indicò una parte imprecisa sul cuscino dove fino a pochi secondi prima era elegantemente posato il mio culo.
La scritta, incisa quasi sicuramente con un coltellino sulla pelle consumata della poltrona, recitava “Pierre.”

“Cosa mi dice che tu ti chiami Pierre?”

“Se non fossi stato io l’artefice di..questo, come avrei fatto a sapere che ci fosse?” domandò retorico.

“Ci potrebbero essere milioni di spiegazioni, non starò qui ad elencartele tutte” risposi ovvia.

Alzò gli occhi al cielo e con uno strano movimento si infilò una mano nella tasca posteriore dei jeans e ne estrasse il portafoglio.
Lo guardai strana.

“Mi vuoi pagare perché ti ceda la poltrona e ti creda sul fatto del nome?”
Rise, poi mi guardò serio.

“La poltrona è mia, perché dovrei pagarti perchè tu me la ceda?”
Scosse la testa sorridendo e tirò fuori dal portafoglio la sua patente e me la porse.
Scoppiai fragorosamente a ridere facendo girare l’unica persona, oltre noi due, che era nel negozio.

“Ma che faccia avevi a sedici anni?” continuai a ridere prendendolo palesemente in giro.
Lui irritato e divertito allo stesso tempo si riprese il suo documento con una faccia offesa.

“Sono sempre stato bello” affermò convitissimo delle sue parole.

“Sì certo, come no.”
Mi squadrò da capo a piedi e disse “Tu, che te la tiri tanto, non so neanche come ti chiami.”

“Liz, no in realtà Lisa, ma ho sempre odiato questo nome perciò tutti mi chiamano Liz” risposi con un sorriso.

“Bè io sono Pierre, ma penso che ormai tu l’abbia capito.”
 
 

 
 








Ormai la frase "finalmente ho postato" o "no, non sono morta" ricorre in ogni capitolo delle mie storie. E che ci posso fare? Non ci riesco ad essere regolare, sono discontinua, come a scuola.
Sooooooooooooo
Dedico il capitolo a quel sexyboi LOL di Pierre. RICORDATE: è la prima e penso l'ultima volta che dedicherò un capitolo a qualcuno. L'ho fatto solo perchè quella scimmia ieri ha fatto 33 anni ed è andato in giro urlando "sono risorto", lo so che lo ha fatto.
Anyway, spero che il capitolo vi piaccia, l'ho appena finito di scrivere e in realtà ho proprio tanto sonno. Volevo trovare qualcosa di più 'fico' da scrivere sulla poltrona, ma la mia testa a quest'ora non funziona più troppo bene quindi beccatevi sto 'Pierre'.
Mamma mia stasera quanto sono logorroica.
Vi abbandono, sempre che non lo facciate prima voi con me.
Nonsoquandoposteròdinuovoperciòperilmomentogodeteviquesto uù
Notte.


P.S. mi stupisco di me stessa, il capitolo è un sacco lungo per i miei canoni.
 

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Capitolo 3
*** Broadcast. ***


Broadcast.


Come sempre da due settimane, ero raggomitolata su quella poltrona nel negozio di musica con le cuffie e i miei amati libri.
Non sapevo se Pierre venisse spesso al negozio prima che io lo conoscessi, ma una cosa era certa: adesso veniva tutta i giorni.

Aveva preso l’abitudine di sedersi vicino a me e leggere, come facevo io.
Altre volte invece lo trovavo con le cuffiette che sonnecchiava.
Un giorno stavamo leggendo entrambi; non sentendo più il girare della pagina e il suono piacevolissimo della carta, mi girai a guardarlo.
Scoppiai istintivamente a ridere.
Si era addormentato con la testa buttata indietro, la bocca spalancata, la mano penzolante e il libro spiaccicato tra la sua mano e il petto.
Si svegliò poi improvvisamente di soprassalto colpito dalla mia librata in testa.

Anche oggi quindi la scenetta era quella.
Me ne stavo tranquillamente stravaccata sulla poltrona, quando sentii la sua voce.

“Che poi non capisco perché tu continui a sederti su quella dannata poltrona nonostante io ne abbia esplicitamente rivendicato il possesso.”

Lo guardai divertita.

“Ma è ovvio, questa non è più la tua poltrona, ma la mia. Pensavo l’avessi capito. O devo incidere anche io il mio nome sulla pelle?”

Chiara frecciatina alla sua stupidità adolescenziale, che infatti lui raccolse al volo.

“In effetti un bel LISA, scritto a caratteri cubitali e in un favoloso rosa barbie ci starebbe benissimo.”

Lo guardai stranita, non ci conoscevamo da tanto, ma le cose che aveva capito subito erano due: odiavo il rosa e il mio nome per intero.
Una volta mi era caduta una foto con le mie sorelle dalla borsa.
Avevo 9 anni, un orribile vestito rosa con un enorme fiocco in vita e un muso che mi arrivava ai piedi per quanto ero arrabbiata con mia madre e la sua scelta dell’abito.
Inutile dire che ogni volta che poteva me lo rinfacciava.

“E poi sotto la scritta un disegnino di una bella bimba con il vestito rosa darebbe un tocco di classe al tutto.”

Si stava divertendo il tipo.
Lo imbruttii e gli tirai un pugno all’altezza dello stomaco. Si piegò, poi si rialzò ridendo di gusto.

“Non riesco a capire se stavi provando davvero a farmi del male o no.”

Rise ancora, prendendomi palesemente per il culo.

“Sei un fottuto stronzetto Bouvier.”

Lo lasciai con quella sua aurea di stupidità e tornai a concentrarmi sul mio libro.
Dopo neanche due minuti parlò ancora. Feci finta di non sentirlo focalizzandomi di più sull’inchiostro nero.
Stava biascicando qualcosa di strano su un caffè, un bar, il sole e un’altalena.

Si accorse che lo stavo ignorando e mi scosse prendendomi per un braccio.

“Cosa vuoi?” chiesi esasperata.

“Hai capito quello che ti ho detto?”

“Ceeeerto.”

Inarcò le sopracciglia con sguardo scettico.

“Ripeti allora.”

“Sei diffidente eh.”

“Ho detto ripeti” disse deciso.

A quel punto mi arresi.

“Ok, non ti stavo ascoltando. Sei felice adesso?”

“Abbastanza compiaciuto direi, sì.
Comunque ti stavo proponendo di uscire da qui per una buona volta, considerando che oggi c’è il sole e che si sta bene all’aria aperta. Potremmo prenderci un caffè e farci un giro al parco.”


“E che c’entrano le altalene in tutto questo?”

“Altalene? Nessuno ha mai parlato di altalene.”












Mi stupisco di me stessa. Sono passati solo 18 giorni dall'ultima volta che ho postato. Oddio sembra ieri.
Non sono ancora riuscita a trovare il senso a questo capitolo. C'ho messo tanto a scriverlo e non è da me.
Non chiedetmi il perchè del titolo, non lo so nemmeno io.
Mancano solo due settimane alla fine della scuola *cazzo oddio mi piglia l'ansia* e io stasera devo convicere mia madre a non mandarmi a scuola domani, perciò vi mollo, che Dio me la mandi buona.

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Capitolo 4
*** Walls. ***


4. Walls


“Quindi mi stai dicendo che hai 32 anni?” chiesi sbalordita.

“A breve 33” annuì lui tutto sorridente. Che poi..che cazzo si rideva, sempre a ridere stava.

“Sei un fottuto vecchiaccio Bouvier.”

“Parla la poppante.”

Alzai gli occhi al cielo e lasciai cadere così la questione.


Scese su di noi un profondo silenzio. Mi misi ad osservare quel parco.
Eravamo seduti su due altalene mezze cigolanti(sì, alla fine eravamo finiti sulle altalene, non so bene come), tirava un leggero venticello che insieme a qualche margherita sparsa qua e là, preannunciava la primavera, c’era un timido sole che ci permetteva in quella giornata di marzo di stare all’aperto, nonostante il freddo costantemente presente a Montreal.

E poi inaspettatamente ruppe il piacevole silenzio che si era creato.

“Perché sei scappata dalla tua vita?” mi chiese, guardando un punto impreciso davanti a sé.

Non me l’aspettavo una domanda del genere e ci misi un attimo di più a rispondergli.
Lo sapevo davvero perché ero scappata dalla mia vita? Ecco, il guaio è che non lo sapevo nemmeno io.

“Non so precisamente il perché, so solo che mi sono sempre sentita fuori posto, diversa da tutto e tutti. Non mi sono mai sentita veramente accettata per quella che ero e sono.
Ho tenuto su per molti anni la maschera da menefreghista, nonostante non fosse assolutamente vero che non me ne fregasse niente di nessuno. E così pian piano mi sono isolata da tutti, dalla mia famiglia, dai miei genitori, dalle mie sorelle. Li sentivo così distanti. Fino a che non mi sono ritrovata ad essere distante anni luce anche dai miei amici di sempre.
E lì ho capito che era inutile restare in una città che non mi dava più vita ed eccomi qui.
Sono fuggita da casa mia nel cuore della notte prendendo il primo volo oltreoceano.”

Parlai a raffica, fissandomi le scarpe, poi alzai lo sguardo su di lui e vidi che mi fissava.
Io gli sorrisi, serena. Lui ricambiò il mio sorriso.

“Per quanto idiota e poco carino possa sembrare, sono contento che quel volo fosse per Montreal, pensa se ti avessero spedito in Cile.”

Scoppiammo a ridere entrambi. Un momento serio con lui non c’era mai, ma mi andava bene così. Sapevo che in realtà mi aveva capita perfettamente e gli ero grata di non aver detto le solite frasi di circostanza, ma di aver subito sdrammatizzato come solo lui poteva fare.

Si alzò, mi prese per mano e disse “Vieni, andiamo a mangiare, ho fame.”

“Sei sempre il solito Bouvier” risi di gusto e gli strinsi la mano in un tacito grazie.

Ci incamminammo mano nella mano su per il piccolo parco che avevamo trovato, alla ricerca di un qualche posto che facesse del cibo almeno decente per riempire lo stomaco sempre affamato di Pierre.

E sentii finalmente di aver trovato il mio posto nel mondo.











Dai su, lanciatemi i pomodori. Mi sento così in colpa, sono tipo troppi giorni che non posto, più di un mese. Il fatto è che non ci riuscivo, aprivo la pagina di word e cos, la fissavo e non scrivevo niente, stavo andando in crisi. E invece oggi pomeriggio, presa dalla depressione per non essere a Lucca a vedere i Blink, mi è venuta una sfrenata voglia di scrivere e ecco, questo è quello che è uscito fuori. Niente di che proprio, ma almeno ci sono riuscita :3
Una mia amica che era al concerto mi ha chiamata mentre cantavano I Miss You, diamine sembrava che stessi lì anche io, ho pianto troppo.
Vi mollo adesso, spero di riuscire a postare ragionevolmente presto, ma sono così imprevedibile che mi do' sui nervi da sola.
Ho tipo scritto più qui sotto che nel capitolo. Occhei, la smetto. Cià.

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Capitolo 5
*** Happy Together. ***


Happy Together.


“Allora che ti va di fare stasera?” mi urlò Pierre dal divano di casa mia, mentre sorseggiava una birra e faceva zapping come se non ci fosse un domani.

Quant’era che ci conoscevamo? Più o meno due settimane e già aveva preso il possesso di casa mia come se fosse la sua.

Mi affacciai dalla cucina “veramente io avrei un po’ fame, magari cucino qualcosa, ti va?”

“Liz, ma che domande mi fai? Certo che mi va, quando si tratta di cibo sono sempre in prima fila” esclamò tutto sorridente alzandosi dal divano e venendo verso di me.

“Che cucini quindi?” chiese.

“Non so..qualcosa di italiano?”

“Sii, amo la cucina italiana, dai ti aiuto, dimmi quello che devo fare.”

“Per prima cosa lavati le mani, bel bambino.”


Dopo aver mangiato come se il mondo stesse per finire, ci sdraiammo entrambi sul divano esausti e con la pancia piena tanto da non riuscire a muoverci.

“E io che sarei voluto uscire stasera” commentò malinconico Pierre.

“Io penso che passerò il resto della mia vita su questo divano.”

“Beh certo, vicino a me si sta da Dio, anche io passerei tutta la vita sdraiato su un divano vicino a me
stesso.”

“Ma quanto sei idiota? Non ti lancio un cuscino solo perché è troppo lontano e non ce la faccio a prenderlo.”

“Io invece riesco ancora a fare questo” e prese a farmi solletico ovunque.

“No cazzo, sei uno stronzo Pierre, lo sai che soffro troppo il solletico” biascicai tra una risata e l’altra.

“Sei bella quando ti incazzi e ridi contemporaneamente” rise lui, continuando a torturarmi godendosi il momento.

Continuai a ridere tanto che mi uscirono le lacrime, ma allungai una mano e afferrai un cuscino tirandoglielo dritto dritto in faccia.

“Ben ti sta” esclamai soddisfatta.

Lui smise immediatamente e si accasciò sdraiandosi all'indietro con un gemito.

“Oh cazzo, ti ho fatto male?” mi allungai su di lui preoccupata, scostandogli le mani che gli coprivano il volto.
In effetti gli si era un po’ gonfiato l’occhio nel punto in cui l’avevo preso con la zip del cuscino.
Lui mi rivolse uno sguardo strano, a metà tra il malizioso e il felice.
Lì per lì non lo capii, poi mi resi conto che ero praticamente sdraiata su di lui e le nostre facce quasi si sfioravano.
Avvampai immediatamente, ma non abbassai lo sguardo dai suoi occhi che mi fissavano come ipnotizzati.
Poi sorrise e mi ritrovai le sue labbra incollate alle mie. Si muovevano un po’ esitanti, poi dischiusi la bocca e la sua lingua andò subito a cercare la mia, unendosi in un movimento dolce e violento.
Gli morsicai il labbro e mi scostai, baciandogli il lobo e poi il collo, sistemandomi con la testa nel suo incavo.


“Sono guarito.”

“Cosa?” domandai, alzando leggermente la testa per guardarlo in faccia.

“Mi hai chiesto se mi avevi fatto male, ma adesso sono guarito” mi rispose sorridendo.

“Secondo me era tutta una scusa” dissi seria.

“Ma se tu hai manie omicida e mi picchi sempre non è mica colpa mia” si lamentò lui.

“Sta zitto e baciami Bouvier.”









Allora io lo so che voi c'avevate perso le speranze, ma invece eccomi qui a postare :3 
Il capitolo fa schifo e non so, avrei voluto descrivere meglio il tutto e invece è uscito così, pazienza.
L'estate sta finendooo, e io tra poco più di una settimana dovrò affrontare ben 4 esami perchè a 13 anni sono stata così stupida da scegliere il liceo classico e poi farmi bocciare in terzo, decidendo poi di cambiare scuola e andare all'artistico. Ma io dico..non la potevo capire prima sta cosa? No, quindi adesso mi trovo a dover fare 4 esami per essere ammessa ed il bello è che ho l'ansia non per gli esami di disegno, ma per un fottuto orale di biologia cristo santo. 
Lo so, vi sto rompendo e a voi non vi interessa la mia vita. Beh almeno recensite.
Ciao cawi.

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Capitolo 6
*** Give me this change ***


6. Give me this change.


Ci eravamo addormentati entrambi sul divano, così la mattina dopo quando mi svegliai, mi trovai abbracciata a lui, che ancora dormiva come un bambinetto di 3 anni, con le sue guance leggermente rosse.
Cercai di alzarmi senza disturbarlo e andai in cucina per preparare il caffè, ne avevo assolutamente bisogno.

Mentre aspettavo che il caffè fosse pronto, andai in bagno. Per poco non urlai davanti allo specchio.
I capelli erano una massa informe nera, il trucco colato sugli occhi dava l’idea di un panda, ma la cosa che mi stupì di più fu il mio sorriso nonostante quella visione terrificante.
Mi sciacquai in fretta la faccia e lavai i denti, per evitare di uccidere Pierre.

Il caffè era pronto e mi apprestavo a metterlo in due tazzine quando sussultai per lo spavento. Pierre mi era arrivato da dietro e mi aveva preso un braccio.

“Ma sei scemo? Mi vuoi far morire? O peggio, far rovesciare il caffè?”

“Buongiorno anche a te” prese una delle due tazzine e si accomodò sedendosi sul tavolo della cucina.

“Attento che scotta”

“Aaaahh cazzo quanto brucia, la lingua, oddio la lingua, che dolore”

“Ti ho detto che scottava” lo rimproverai, mentre sorseggiavo il mio di caffè.

“Non startene lì impalata a prenderti gioco di me, fai qualcosa, non mi sento più la lingua” borbottò.

“Forse ho una mezza idea di come farti passare la bua” risi, poggiando la tazzina ormai vuota.

Mi avvicinai lentamente e mi misi tra le sue gambe, mi alzai in punta di piedi e incontrai le sue labbra calde.
Lui non se lo fece ripetere due volte e in attimo approfondì quel bacio cercando la mia lingua. Scese dal tavolo e mi strinse di più a se fino a farmi sedere sul ripiano della cucina. Le sue mani corsero ad accarezzarmi la schiena sotto la maglia, fino a raggiungere il reggiseno, che sganciarono.
Gli mozzicai il labbro e scesi dal ripiano, mi avvinghiai alla sua schiena possente e giocai con la sua lingua un’ultima volta prima di scappare via ridendo. Lui rimase lì impalato.

“Sei guarito?” gli urlai dalla mia camera.

“Liz, sei diabolica” mi urlò di rimando.

Risi ancora per un bel po’.

“Allora usciamo?” urlai ancora “Dai vestiti”

Lo sentii borbottare ancora, risi tra me e me e mi vestii veloce con un paio di jeans, una felpona e una sciarpa che mi copriva quasi tutta la faccia e mi truccai leggermente gli occhi.
Pierre si stava ancora vestendo quando tornai di là.

“Sei sexy mentre ti vesti” gli dissi ridendo.
“E tu sei sexy mentre te ne vai nel bel mezzo del nostro ‘caffè’” mi rispose, a metà tra il divertito e l’offeso.

“Dai muoviti che ho fame e voglio andare a fare colazione.”

“Tanto sei tu che comandi.”

Mi avviai alla porta e l’aprii quando mi sentii tirare indietro.

“Dobbiamo finire quello che avevamo cominciato” mi soffiò nell’orecchio Pierre. E prese a baciare con foga ogni centimetro scoperto della mia faccia.
Risposi al bacio e andai a cercare la sua lingua che stava giocando con il mio orecchio e mi ritrovai con la schiena incollata al muro.

“Colazione” biascicai contro le sue labbra “andiamo a fare colazione,che ho fame” aprii la porta e me lo trascinai giù per le scale fino a raggiungere la strada dove un vento fresco mi svegliò completamente.

“Odio il tuo stomaco” dichiarò Pierre ridendo.

“Io no.”




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Pierre arrabbiato LOL






Dunqueeee è tipo un mese che non aggiorno (che novità). Vabbè è inutile che vi dico il perchè non ho aggiornato subito, tanto lo sapete che faccio sempre tardi.
Ho iniziato scuola, terzo anno liceo artistico. Ho mollato il liceo classico, mi faceva troppo schifo. Quindi mi faccio 6 anni totali di liceo, che schifezza. Almeno adesso faccio quello che mi piace.
Recensite bellissimi, altrimenti piango. LOL
Vi lascio, corro ad asciugarmi i capelli, ciaooo**

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Capitolo 7
*** Waiting. ***


7. Waiting


“Mangi quasi più di me” esclamò Pierre mentre addentavo il secondo muffin della mattinata.
“Imposshibile” biascicai, con la bocca piena.
Pierre rise “non si parla con la bocca piena Liz”
“No mi iteressha”
“Non farlo ancora” rise di nuovo.

Usciti di casa ci eravamo catapultati al primo bar che mi piacesse e ci stavamo ingozzando di cibo, anzi io.

Presi un’abbondante sorsata di caffè.
“In realtà non so perché sto mangiando così tanto, non so..ho fame.”
“Ho notato” sottolineò lui guardando il vassoio con i residui della nostra colazione.

Il telefono di Pierre, poggiato sul tavolo, prese a squillare e lui, alzando gli occhi al cielo dopo aver letto il nome sul display, rispose.

“Pronto? Sì, ciao” sembrava quasi scocciato.
“Proprio adesso? Va bene, dammi 10 minuti” e riattaccò.
“Chi era?” chiesi curiosa.
“I ragazzi..devo andare per risolvere una faccenda. Se ti va di accompagnarmi..” buttò lì la domanda.
Ci pensai un attimo su, sembrava annoiato, ma aspettava una mia risposta indubbiamente.
“Sì, ma solo se ti fa piacere. Non vorrei essere di intralcio.” Era la verità.
Lui strabuzzò gli occhi.
“Ma scherzi? Dai andiamo.”
Pagò velocemente la nostra colazione da cinghiali e insieme salimmo in macchina, verso una destinazione a me sconosciuta.

Arrivammo, nemmeno dopo 5 minuti, sotto una palazzina di uffici dall’aria importante.
Lui sicuro si diresse verso la porta principale ed entrò, con me al seguito, salutando con fare confidenziale l’anziana segretaria nell’androne.
Lo seguii ancora dentro l’ascensore, che salì fino al sesto piano. Arrivati, mi trovai davanti ad una porta enorme con incisa sopra la sigla SP. Lo guardai confusa, lui annuì e disse “vieni”.


“Amico era ora che arrivassi” un tipo più basso di Pierre e con una strana erre moscia ci accolse.
Mi guardai intorno, quello era sicuramente uno studio di registrazione. C’era un vetro che divideva a metà due stanze, una era ampia e con vari strumenti e microfoni, l’altra, dove stavamo noi, era leggermente più piccola e piana di roba come mixer e altre cose che non saprei descrivere. Inoltre c’erano quattro ragazzi, che sembravano far parte dell’arredamento. Uno, quello che aveva parlato, era seduto sulla poltrona davanti a tutti quei macchinari; altri due erano comodamente sdraiati sul divanetto e l’altro imbracciava una chitarra classica seduto su uno sgabello.

“Allora che fate lì impalati? Pierre non ci presenti questa ragazza che ci guarda come fossimo alieni?”
Cosa? Io non stavo fissando un bel niente.
“Dave. Sta zitto.” Finalmente Pierre disse qualcosa. Poi si rivolse agli altri.
“Ragazzi questa è Liz, la mia..una mia amica”
Lo guardai un attimo confusa, poi decisi di non prendermela, in realtà non stavo insieme, nessuno dei due aveva accennato a niente, quindi aveva ragione, eravamo “amici”.
“Oh, tu sei Liz, la famosa Liz. Piacere, David.”
Il tizio che prima era sdraiato sul divano con il suo compare pelato mi strinse la mano.
“Ciao Liz” salutò erre moscia “io sono Chuck.”
“Piacere Seb e il tipo pelato e maleducato è Jeff” si presentò l’altro tipo.
Rivolsi un sorriso a tutti e poi tornai a guardare Pierre che sembrava alquanto scosso.

“Allora amico abbiamo un problema” esordì Chuck “quel coglione di Dave ha perso l’unico demo delle due canzoni che avevamo inciso, no, non dire niente, lo abbiamo già picchiato. Insomma bisogna rimetterci un attimo a lavoro.”
Pierre fulminò David con uno sguardo, gli si avvicinò minaccioso e gli tirò un grosso pugno sulla spalla.
David emise un terrificante ululato di dolore e si accasciò teatralmente a terra.
“Smettila con questa scenata, te lo sei meritato” Pierre sembrava incavolato nero e allo stesso tempo divertito.
“Vi ho già detto che non è stata colpa mia, io..” tentò di giustificarsi
“Sta zitto, hai già fatto abbastanza danni."
“Non perdiamoci in chiacchiere, da domani torniamo in sala” ordinò Chuck.
“Bene, anzi no, non va bene, ma va bene lo stesso. Io vado ragazzi, ci sentiamo più tardi. David, sta lontano da me se ci tieni alla tua vita.”
Pierre si congedò e timidamente salutai anch’io seguendolo.

Avevo decisamente tante, troppe domande da fargli.







Heilàà bella gente. Vi sarete chiesti che fine ho fatta, o forse no. Fatto sta che non scrivevo da tipo due mesi e adesso sono tornata :3
Che ho fatto di così divertente in questi due mesi? Sono andata a scuola, non sono andata a scuola, ho occupato scuola, ho preso una sbandata, cazzo l'ultima cosa è un bel problema.
Il capitolo è di merda, però è un sacco lungo e la cosa mi stupisce proprio troppo.
Mia madre rompe i coglioni perchè voglio tingermi i capelli cazzo.
Non vi interessa lo so, però il verde è troppo un santo colore :3

Ciaooo

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