Red Flames In Darkness

di FullmetalBlue13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angels or Demons? ***
Capitolo 2: *** Who am I? ***
Capitolo 3: *** Escape! ***
Capitolo 4: *** Family... ***
Capitolo 5: *** A surprising dinner. ***
Capitolo 6: *** Slice of life. ***
Capitolo 7: *** Why always me? ***
Capitolo 8: *** Wonderful life. ***
Capitolo 9: *** Having fun...? ***
Capitolo 10: *** Hurted feelings. ***
Capitolo 11: *** Messing up. ***
Capitolo 12: *** Guilty of Being Innocent. ***



Capitolo 1
*** Angels or Demons? ***


ROMA, ORE 23:47
Camminavo velocemente tra i vicoli della città più bella che io conosca.
 Una coppia di barboni ubriachi si spintonava barcollando per le vie deserte. 
Un gattino randagio spelacchiato immergeva la testolina in un bidone della spazzatura reggendosi sulle zampe tremanti per la fame. Non mi ricordo bene, ma credo di avergli offerto qualcosa da mangiare. 
O forse no, ero di fretta, percorrevo le vie periferiche cercando invano di prendere l’ultimo autobus della giornata. Lo vidi partire giusto qualche secondo prima di raggiungere la fermata. Mi sedetti sconsolata sulla panchina della fermata, sbuffando. 
“Akuma, Akuma… sempre in ritardo!”. Mi vennero in mente le parole che sempre mi ripeteva il professore quando ancora andavo a scuola. Adesso avrei dovuto farmela tutta a piedi. Perché avevo accettato quello stupido invito? Rispondendo al telefono avevo sentito una voce maschile, calda e suadente…
-Mio caro finto Angelo, so tutto di te, della malattia di tua madre e del padre che non hai mai avuto. Se vuoi sapere la verità ti sto aspettando, vai velocemente in via Brescia, nella cassetta della posta dei soldi e i biglietti dell’autobus necessari. Ci conto, tesoro mio-. Dopo questo una risatina gelida e poi più nulla. Cosa avreste fatto voi al mio posto? (Dopo un iniziale svenimento, s’intende). Beh, io ci ho creduto. Troppe coincidenze.
Mi chiamo Angel Akuma, ho 17 anni, sono italo-nipponica. Sono una ragazza abbastanza alta, dai capelli di un arancione abbagliante, occhi neri profondi, una bocchina rossa-rossa e… un pessimo carattere. Vivevo con mia madre, in carrozzina e muta per colpa di un incendio divampato il giorno della mia nascita. Mio padre non l’avevo mai conosciuto. Come faceva quella misteriosa voce a sapere ciò? (prima coincidenza).
Solo mia mamma, a volte, mi chiamava “finto Angelo” e lei una volta mi aveva detto che era stato mio padre a darmi quell’appellativo. Come lo conosceva colui che aveva telefonato? (seconda coincidenza). Terza coincidenza, i soldi e i biglietti erano veramente nella cassetta della posta.  Era già tardi, ma decisi di andare. Partii subito.
Giunta lì, ho visto un uomo incappucciato con in mano un ombrello nero che mi ha fatto un cenno con la mano. L’ho seguito. Era forse lui il mio papà, che da sempre avevo cercato? 
Lui ha cominciato a accelerare il passo, finché non ci siamo messi entrambi a correre. Improvvisamente ha svoltato in un vicoletto. Quando anch’io ho girato nel vicolo, l’uomo era sparito. E attaccato al muro non c’era altro che un foglietto con scritto “=P Ti ho fregato, mio finto Angelo”.
E così all’ una di notte ero a zonzo per Roma, costretta a farmi più di 5km a piedi.
[…]
Mi sentivo inquieta. Quando cominciai ad avvicinarmi a casa mia (erano le tre e mezza!), un camioncino dei pompieri mi sorpassò a sirene spiegate. C’era un incendio?!?!? Mi misi a correre per seguire l’autopompa. Quando svoltammo nella mia via, mi prese un tuffo al cuore e iniziai a temere il peggio. E facevo bene.
La mia casa ardeva tra le fiamme. E mia madre era lì dentro! -NOOOO!!!!!-  il mio urlo straziante lacerò i silenzio della notte. Mi gettai a capofitto verso l’edificio in fiamme. -Mamma, mamma!- mi misi a gridare fra le lacrime, ma due pompieri mi fermarono, trattenendomi per le braccia. - Fermati! Ci penseranno i nostri uomini a tirarla fuori da lì!- 
-Lasciatemi…-  sussurrai, mentre le lacrime bagnavano le ciocche arancioni che mi cadevano sul viso. Non so cosa si risvegliò in me, ma improvvisamente urlai: -LASCIATEMI ANDAREEE!!!!-  come impazzita. Vidi alle mie spalle un lampo rosso e poi i due pompieri a terra, e nulla più. Mi gettai nel fuoco. Le fiamme stavano distruggendo l’appartamento che era stato la mia casa da quando mi ricordo. Le fiamme non scottavano, anzi, erano quasi piacevoli. Forse era per lo shock, o forse no.
La stanza da letto di mia madre era inaccessibile: una trave era caduta dal soffitto e bloccava l’ingresso. Tra le fiamme roventi, lacrime altrettanto calde di rabbia e di dolore scendevano copiose sul mio viso. Cosa avrei potuto fare ora? 
-Perché…- sussurrai, inginocchiata in mezzo al fuoco. Una mano mi toccò la spalla. -Era giusto così, cara Angel-. Sobbalzai e mi girai di scatto. Un alto, magro, dal volto ossuto e la carnagione cadaverica mi sorrideva e mi porgeva una mano scheletrica dalle dita lunghe e affusolate, che terminavano con delle unghie affilate.
-Ch-chi sei?- domandai spaventata. L’uomo ridacchiò, mostrando un sorriso abbagliante e i denti appuntiti, incredibilmente bianchi. -Tu staresti chiedendo a me chi sono? Sei scontrosa, figlia mia.-
Figlia mia… aveva detto… - Sì, hai capito bene, Angel. Su, vieni con me, ora asciuga quelle lacrime. Non è proprio il caso che muoia anche tu. Sei preziosa per mio padre.-
Ah, fantastico. Ora un perfetto sconosciuto era apparso dal nulla in una casa in fiamme dichiarando di essere mio padre e io avrei dovuto seguirlo? Questo è il ragionamento che avrei fatto adesso, ma allora ero devastata dal dolore e dall’ira. L’uomo passeggiava tranquillamente tra le fiamme, io invece ne avevo paura. Il caldo era soffocante e la sua mano, stretta nella mia, era bollente. Mi portò fuori, lontana dalla gente e da casa mia, mentre vedevo bruciare tutta la mia famiglia e i ricordi. Correva velocissimo. Quando fummo abbastanza lontani, mi trascinò in un vicolo cieco. 
-Ora dobbiamo fare due chiacchere, io e te.- mi disse, guardandomi negli occhi. -Qui non ci sentirà nessuno. Sei pronta a sapere la tua vera natura?- Non sapevo cosa pensare. In un quarto d’ora avevo perso mia madre, la mia casa, tutto e guadagnato il padre che da sempre avevo cercato. Annuii decisa.
-Come ti ho già detto, sono il tuo caro paparino. Ma sono anche uno degli 8 principi dei demoni di Gehenna. Hai l’onore di trovarti al cospetto del grande Iblis, il signore del fuoco!-  -È uno scherzo, vero?-    La mia reazione fu più che comprensibile.- Quindi, secondo te, io sarei figlia di un demone, che, fra parentesi, non esistono? E poi cos’è Gehenna? -  -Come non esistono!?! Ti sembro irreale? E quel cucciolo di Cat Sith?- Attraversava la strada in quel momento un micino nero. Era un demone?!? -E tutti questi Coal Tar? Li vedi anche tu, no?- Effettivamente l’aria era piena di “cosini” che volavano.
-Gehenna è la dimensione dei demoni, che si oppone ad Assiah, il vostro mondo. In teoria i 2 mondi non dovrebbero comunicare, in nessun modo. Ma noi demoni riusciamo a venire possedendo cose o esseri viventi. E ora tu, la mia creazione, verrai con me a Gehenna. Il grande Satana vuole vederti.-
Mi afferrò il braccio e iniziò a trascinarmi verso una porticina che non avevo notato. Una grossa chiave fu inserita nella toppa. Iblis la aprì. Quello che vidi fu terribile. Vidi un inferno di fiamme blu quella notte.
-Benvenuta a casa, mio finto angelo- mi disse Iblis sorridendo. -No, lasciami!- Continuai a divincolarmi, ma era troppo forte.
-Eins, Zwei…Drei!-  Si vide un lampo bianco e, come per magia, un uomo apparve dal nulla alle spalle di mio padre. Vestito di bianco, con uno strano cappello a cilindro e degli stivali bordeaux a punta ricurva, teneva nella mano un ombrello rosa rattoppato e il mantello candido sventolava nella brezza notturna.
-Mephisto… Ma quale onore!- disse Iblis. Sembrava profondamente amareggiato. - Sono solo venuto a riprendermi ciò che è di proprietà dell’ Ordine, my darling-
Proprietà dell’Ordine? Ci capivo sempre di meno e la rabbia cresceva in me. Finché non sbottai.
-Adesso, però… BASTAAA!!!- gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. Fu allora che successe per la prima volta. Fiamme rosso-arancioni si sprigionarono dal mio corpo, con così tanta veemenza che Iblis cadde all’indietro. Mephisto approfittò della situazione e , grazie a un agile salto, chiuse la porta di Gehenna imprigionando il signore del fuoco.
Ansimavo per la paura e per lo sforzo. Il “clown” mi stava parlando, ma io sentivo tutto ovattato… cominciai a vedere nero… ogni cosa girava… chi ero io… cosa ero io? E così, con questi pensieri tormentati e con una lacrima scintillante che mi rigava il viso, persi conoscenza, consapevole che la mia vita sarebbe cambiata per sempre. 

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Capitolo 2
*** Who am I? ***



Rieccomi qui! Pronta e scattante dopo così tanta attesa! (scusatemi, ma la scuola...*chiede perdono*).
Effettivamente in questo capitolo non succedono molte cose, ma se vi dico tutto ora, che gusto c'è? XD
Grazie a coloro che hanno lasciato recensioni positive (anche se non sono molti...GRAZIEEEEE!!!) e a quelli che leggono solamente.
Spero che vi piaccia, mi è costato abbastanza fatica. Ciao a tutti
FullmetalBlue13

OSPEDALE DELL’ORDINE DELLA VERA CROCE, ORE 10:19

Quando rinvenni, mi trovavo in una stanzetta d’ospedale. Avevo una ‘farfalla’ per i prelievi del sangue sul braccio sinistro e indossavo un pigiama che puzzava di petrolio. I miei vestiti erano appoggiati ordinatamente su una sedia lì vicino. “La bella addormentate è sveglia, finalmente!” L’uomo chiamato Mephisto era seduto in un angolo della stanza. Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare per la stanza.

“Angel, Angel, Angel… Che paradosso assurdo chiamare così una che è un demone di nome e di fatto! Ah ah ah ah…” (NdA: Akuma, come voi forse già sapete, significa demone in giapponese. L’ho scelto apposta per creare questo contrasto di significato).

Che risatina irritante.

“Ahi, la mia testa… Buongiorno. Potrebbe gentilmente dirmi chi è lei? E gradirei anche sapere dove sono, grazie.” dissi con tono seccato e sarcastico a quell’uomo misterioso. La testa mi scoppiava.
“Oh, ma quale scortesia… Non mi sono nemmeno presentato: Mephisto Pheles, al vostro servizio, Madame.” mi rispose prontamente lui, facendo teatralmente e con grazia un ampio inchino. Lo sopportavo sempre meno.

“Comunque, in questo momento sei ricoverata nell’Ospedale Interno dell’Ordine dei Cavalieri della Vera Croce. Ovviamente in segreto, visto che sei un demone. Non sarebbe il massimo per gli esorcisti sapere che sei viva…”

“Aspetta un momento! Cosa vuoi dire? Mi parli di demoni ed esorcisti come se fosse pane e Nutella!”

“Ma è questo il mondo a cui appartieni, ormai. Dopo il caos che hai combinato ieri notte, non credo che tu abbia altra scelta. Uh, sta arrivando un’infermiera. Nascondi la coda, presto!”

Coda? Mi girai di scatto e immediatamente notai che una coda nera, lunga e sottile, che terminava con un ciuffetto di pelo fulvo, sbucava da sotto il lenzuolo. Credo che fu allora che realizzai per la prima volta ciò che ero diventata: un mostro. La cacciai malamente sotto le coperte proprio quel secondo prima che un’ anziana infermiera dal volto rugoso entrasse in camera.
Quando se ne fu andata, ripresi a parlare con Mephisto. Ero confusa: “Cos’è successo ieri? Non riesco a ricordare…” Nella mia testa vedevo solo immagini di morte e distruzione azzurra… e niente di più.

“Bah, sarà stato lo shock. L’incendio, Iblis, Gehenna, le tue fiamme… forse ora ricordi, vero?”

Sì, mi ricordavo, ora. Cinque anni fa mio nonno, l’uomo che mi aveva cresciuto, e adesso mia madre.
Perché a me? Mia mamma non c’era più, per davvero. E non era solo un brutto sogno. Il dolore e la rabbia cominciarono a riaffiorare nel mio cuore, era come se tanti spilli mi stessero bucando uno dopo l’altro, svuotandomi lentamente.

Qualcosa si attivò nel mio cervello, e fiumi di immagini mi scorrevano davanti agli occhi. Mio nonno mi aveva lasciato per colpa di un maledetto infarto, così, senza dire nulla. Era proprio da lui morire senza disturbare nessuno. Era una persona onesta, tranquilla e pacata e con i suoi modi dolci era riuscito a farsi amare perfino da me, che ero sempre stata scontrosa e solitaria, forse a causa della mia natura. Me lo ricordo come un omino piccolo dalle simpatiche orecchie un po’ a sventola, con gli occhiali grandi che nascondevano in parte gli occhi scuri e profondi che avevo ereditato anch’io. I capelli, simili a una nuvoletta di zucchero filato, gli coronavano la testa. Sapeva sempre di buono, quando lo abbracciavo riconoscevo il suo odore agrodolce, inconfondibile. Lui mi aveva insegnato a parlare, lui mi leggeva le favole prima di andare a dormire, lui mi aveva accompagnato a scuola il mio primo giorno, lui mi confortava quando ero triste, lui portava a casa quei pochi soldi con cui vivevamo. Dietro quel corpicino e quell’aspetto buffo si celava una grande anima e un uomo forte e determinato.

E che dire di mia madre? Nel suo silenzio riusciva a comunicarmi molte cose. Bastava il suo sorriso smagliante o un’occhiata color ambra per farmi capire se era serena o triste, arrabbiata o scontenta. Era un donna bellissima, i suoi capelli erano soffici e dello stesso strano arancio dei miei. La giovanile bellezza del suo viso era rimasta immutata nonostante l’incendio causato da mio padre il giorno della mia nascita, l’incendio che le aveva tolto per sempre la sua voce soave e l’aveva legata per sempre a una carrozzina. La dolcezza della sue maniere faceva di lei una madre amorevole e sempre pronta ad ascoltare i problemi di una ragazzina insolente e dal pessimo carattere come me.
Ecco cos’ero stata per lei: solo una terribile figlia che l’aveva abbandonata tra le fiamme. E ora era troppo tardi per essere perdonati… 

Mi limitai a trattenere le lacrime e a dire con sguardo assente: “Vorrei stare un po’ da sola, ora.”

Mephisto si alzò e uscì dalla stanza con stampato in faccia quel sorrisetto odioso di uno che sa tutto. Non volevo certo che un uomo così viscido mi vedesse piangere.

Nella solitudine di quel lettino d’ospedale piansi con tutto il fiato che avevo. Avevo ucciso mia madre non tornando quella sera. Il rimorso mi divorava dall’interno. Ero consapevole che non sarei potuta tornare indietro. Intorno a me solo fiamme e desolazione. Ecco quel che ero e sono.

Solo un demone che si è illuso, anche se per poco, di poter essere umano.

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Capitolo 3
*** Escape! ***


Ciao a tutti! Ho finalmente concluso il terzo capitolo e, devo proprio dirlo, ne sono molto soddisfatta.
Spero che piaccia anche a voi. Per favore fatemi sapere cosa ne pensate, non leggete passivamente... le vostre opinioni per me sono importanti! Soprattutto se devo fare correzioni o cambiare qualche dettaglio nella storia... Grazie mille a tutti, in particolare a cristy_black (la mia pazza amica), a MadLucy e a Ciel_Chan (anche se deve ancora recensire il secondo capitolo... =P).
Spero che vi piaccia e buona lettura!
 
Capitolo 3: Fuga!

OSPEDALE DELL’ORDINE DELLA VERA CROCE, ORE 11:00

La osservavo da lontano, mentre si contorceva di dolore in quel letto d’ospedale. Era una seccatura aspettare, sarei potuto intervenire subito: la barriera anti-demone non era così potente.
Ma  dovevo attendere e seguire gli ordini di mio padre. Al grande Satana non si disubbidisce. Forse, in fondo non mi dispiaceva così tanto aspettare.
Probabilmente nel profondo della mia anima di fuoco nero le volevo bene. Dopotutto, era mia figlia.


No, non potevo lasciarmi andare così. Ok, ero un mostro, ma piangermi addosso non mi avrebbe aiutato a cambiare la mia natura.
Non dovevo arrendermi. Lo dovevo fare per mia madre. D’altronde, non avevo scelta: reagire o soccombere al destino.
Non potevo rimanere in ospedale a lungo, né mi andava di rimanere così vicino a un uomo che mi dava il voltastomaco come Mephisto.
Mi strappai dal braccio la ‘farfalla’ per i prelievi, causandomi un taglio abbastanza profondo. Vidi la ferita richiudersi in un lampo davanti ai miei occhi.
“Wow!” sussurrai. Decisi che mi sarei vestita e poi sarei fuggita. Ma, ahimè, la sorte mi era avversa.
NON POTEVO CERTO ANDARE IN GIRO CON LA CODA DI FUORI! Infilai i pantaloni, ma erano troppo stretti e la coda non ci stava. Mi divincolai per un po’ cercando di infilarla dentro.
‘Che scomodità, uffa’ pensai. ‘Se sotto non ci sta, la farò stare sopra. O almeno credo…’
Alla fine di questa scena patetica, riuscii a infilarmi la maglietta, arrotolando la coda attorno al busto. Ormai ora ci sono abituata, anche se devo ammettere che allora fu veramente difficile escogitare questo banale espediente.
Mi sciacquai la faccia, con la convinzione sempre più forte che presto sarei uscita da lì. Proprio mentre pensavo a come fuggire, sentii delle voci provenire da fuori della porta.
Una era di Mephisto (tono beffardo e un po’ arrogante), l’altra era una voce femminile chiaramente arrabbiata. I due discutevano animatamente.
“Mephisto! Come ti sei permesso! Hai già gli occhi dell’Ordine puntati contro, i Grigori non si fidano di te! Non dovevi, non dovevi!”
“Suvvia, mia cara. Urlare così tanto non fa bene alla pelle. Ti verranno tante rughe su questo bel faccino. E comunque, se ci tieni tanto a saperlo, ogni singola azione che compio ha un suo scopo.”
“Scopo un corno! Ma ti rendi conto dei guai in cui ti sei cacciato? Non credo che il Vaticano sarà clemente con te questa volta e…”
Non riuscì a finire la frase. Io ero uscita dalla camera e ora avevo i suoi occhi puntati contro.
“Prego, non vorrei interrompere questa discussione così animata” intervenni io con il mio solito tono sarcastico.
Nessuno pronunciò parola per qualche secondo. Decisamente imbarazzante.
“Ehm… È lei il soggetto in questione?” disse la ragazza a Mephisto ignorandomi completamente.
“Precisamente. Ma veniamo alle presentazioni: Shura, Angel. Angel, Shura.” rispose Mephisto.
Lei mi fissò con uno sguardo violaceo penetrante e io feci altrettanto.
Era ‘vestita’ in modo veramente assurdo. Portava un paio di jeans cortissimi strappati e un paio di stivali allacciati stretti fino al ginocchio. Erano neri e con un po’ di tacco. Ma la cosa più sconvolgente era com’era conciata dalla vita in su: indossava un reggiseno rosa; sulla pancia aveva tatuato uno strano disegno, che proseguiva fino al petto, dove erano rappresentati due ideogrammi giapponesi. Sopra, per coprirsi minimamente, portava una giacchetta di pelle con le maniche che arrivavano al gomito. I suoi capelli, lunghissimi, erano raccolti in una coda di cavallo ed erano di uno straordinario rosso fiammante (molto più sgargiante del mio arancio-carota) con le punte bionde.
Bastò un secondo. Io squadrai lei, lei squadrò me. Poi mi offrì la mano.
“Shura Kirigakure. Esorcista di prima categoria superiore, piacere.” disse lei.
Ma se con la bocca diceva “piacere”, i suoi occhi parlavano chiaro: brutto demone, se crepi è meglio, mi dicevano.
Ricambiai la stretta con freddezza “Angel Akuma, piacere”. Mi ricordo la sua stretta come particolarmente vigorosa, segno di una personalità forte.
Rientrammo in camera. “Dunque Shura… Dove eravamo rimasti?”
Mentre Mephisto pronunciava queste parole con tono canzonatorio, una sirena cominciò a suonare.
“Allarme intrusione demoni! Tutti gli esorcisti sono pregati di intervenire! Allarme intrusione demoni!...”
Dopo che questo messaggio registrato fu ripetuto 2 volte, mentre la sirena d’allarme continuava a strillare, cominciai a sentire un suono acutissimo che mi perforava i timpani.
“AAAAAAAAH!!!” urlai mettendomi le mani sulle orecchie e cadendo in ginocchio. La testa mi scoppiava, quel suono era come un chiodo piantato nel cervello. Ancora un po’ e sarei esplosa. Ma cosa diamine era?
“Oh, no. Sono partiti gli ultrasuoni anti-demone. Se continuano così la uccideranno. Portiamola via!”
Shura era diventata stranamente protettiva. Mentre ero a terra e mi contorcevo come se avessi una crisi epilettica, Mephisto mi sollevò e delicatamente mi prese in braccio.
“Grazie…” sussurrai con voce flebile, esausta. Lui mi rispose: “Non ti sforzare. Ora ti portiamo via”.
Shura bisbigliò a Mephisto: “Piuttosto, tu stai bene?” con voce talmente bassa che riuscii appena a sentire.
“Non preoccuparti, non sono così scarso. Sto bene, mi stanno solo causando un lieve mal di testa” rispose lui, poi, accorgendosi che stavo ascoltando, abbassò ancora il tono della voce, cosicché io capii solo qualche spezzone di frase, anche perché .
“Dobbiamo portarla… Shiro … Giappone … ….”
In preda alle convulsioni mi portarono via da lì: non vedevo niente, ma sentivo ogni singolo passo di Mephisto, che mi reggeva in braccio, scendemmo e salimmo scale, attraversammo corridoi, forse anche un cortile.
Ma ad un certo punto Mephisto si fermò. Con gli occhi socchiusi notai che aveva il fiatone e che con una mano si teneva la tempia.
“Shura… non… ce… la faccio…” disse lui: “Hanno aumentato la frequenza degli ultrasuoni… Il demone che è penetrato non dev’essere un pesce piccolo. Portala tu. Lo so, è tremendamente scortese, ma…”
“Zitto e corri” quasi urlò risoluta lei prendendomi in braccio.
Ora sentivo tutto, capivo tutto, ma ero come paralizzata. Comunque, come mai Mephisto risentiva dell’effetto degli ultrasuoni?
Se era vero che erano anti-demone, allora lui… No, non era possibile. O almeno lo credevo.
Arrivammo, dopo che Shura mi aveva portato in braccio per un po’, davanti a una porta, dove una targhetta dorata recava la scritta ‘Ufficio medico primario Dottor Rigamonti’.
“Perfetto, qui andrà bene”  sussurrò Shura.
COOOOOOOSA?!? Non potevamo certo entrare dal primario così come se niente fosse! Ero confusa e non capivo bene quello che stava succedendo, ma riuscii a vedere Mephisto arrivare arrancando e tirar fuori da chissà dove una grande chiave che aveva inciso sull’impugnatura un grande 8 rovesciato, il simbolo dell’infinito.
Per fortuna il corridoio bianco che puzzava di disinfettante dove ci trovavamo era vuoto: non avremmo fatto una gran figura, noi 3. Eravamo un tizio vestito da pagliaccio e due ragazze dai capelli appariscenti, di cui una svenuta e una più nuda che vestita. Mi stavo preparando emotivamente al disastro.
Stavamo per entrare nell’ufficio del primario senza bussare, privi di appuntamento e senza conoscerlo! E per di più conciati in quel modo… No, no, no, non volevo guardare! Mephisto inserì la chiave misteriosa nella toppa, sussurrò qualcosa di incomprensibile, si sentì un sonoro ‘clock’ e, inspiegabilmente, la porta si aprì. Una grande luce ci investì, e io, ancora in stato di semi-incoscienza, fui portata oltre quella porta, che subito venne richiusa da Mephisto, nello stesso modo in cui l’aveva aperta.
Quel fastidioso fischio che tanto mi aveva torturato cessò improvvisamente e io cominciai subito a sentirmi meglio.
Shura mi appoggiò a un muro e mi porse una bottiglietta che conteneva un liquido azzurrognolo. Sembrava pipì di alieno. Me la cacciò in bocca e fui costretta a mandar giù. Non credo di aver mai mangiato qualcosa di più disgustoso. Era acido e pizzicava in gola, ma dopo pochi sorsi iniziai a riacquistare le forze.
Mephisto si rivolse a me con il suo solito tono beffardo: “Va meglio, vero? Direttamente dal fiume Lete, dalle profondità di Gehenna, il tonico per demoni che ti fornisce un’energia… infernale!”
(vedi NdA sotto).
Aprii gli occhi decisamente amareggiata per il ‘fantastico spot pubblicitario’ di Mephisto. Quell’uomo mi sembrava sempre di più un pagliaccio.
Mi alzai in piedi: mi sentivo rinata, anche se con un saporaccio in bocca. Guardai davanti a me e vidi così ciò che presto sarebbe diventata la mia casa.
Una grande struttura (immensa, direi) era arroccata su un’ampia collina. Edifici, scale, torri, porticati, perfino una chiesa, si alternavano a davano vita a un centro pulsante e attivo, che pareva dotato di una propria energia. Le case davano l’impressione di essere nel bel mezzo di un litigio, mentre si arrampicavano per arrivare in cima; gli archi rampanti facevano sembrare la struttura ancora più alta e le davano un aspetto un po’ gotico. I colori dominanti erano il bianco-crema e il rosso dei tetti, ma anche il verde dei giardini e del bosco molto fitto che circondava l’intero agglomerato.
Mi alzai in piedi e mi avvicinai alla balaustra di fronte a me. Ci trovavamo sotto una specie di portico che dava su un giardinetto grazioso. Gli uccellini cinguettavano, il sole tramontava (ma erano le 11:30!) e lasciava nel cielo i suoi riflessi ambrati e arancioni, una leggera brezza spirava scompigliandomi i capelli.
Ma come poteva tutto ciò trovarsi DENTRO l’ufficio di un medico?
Un piccolo demone nero (come si chiamava…Cal Toar, forse?) mi svolazzò davanti e mi risvegliò dai miei pensieri. Dovevo avere un’espressione abbastanza tra lo stupito e l’ebete, perché Mephisto cominciò a ridacchiare e da dietro di me mi pose una mano sulla spalla. Si mise al mio fianco e disse:
“Mia cara Angel, ti do ufficialmente il benvenuto all’Accademia della Vera Croce. Ah, già, che sbadato. Benvenuta anche in Giappone”






NdA: per chi non conosce l'epica latina: il fiume Lete era, secondo i Romani, un fiume che si trovava nei Campi Elisi, dove le anime dai morti si immergevano e dimenticavano tutto della loro vita passata. Così erano pronte per reincarnarsi e tornare in vita. 'Lete' deriva dal greco e significa 'dimenticare'.

Wow, non avevo notato quanto questo capitolo fosse lungo!

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Capitolo 4
*** Family... ***


Ciaaaaooooo! Eccomi ritornata dopo una lunga, lunga, lunga, luuuunga pausa estiva. Ho visto che altri lettori si sono aggiunti alla lista dei recensori, inoltre vi avviso che il primo capitolo ha raggiunto lo strepitoso numero di 234 visite! YEEEEAH! Non mi sembra vero! Sinceramente pensavo che mi avrebbero tirato i pomodori in faccia, altro che recensioni positive! Ok, chiusa la parentesi, vi ringrazio molto per il vostro sostegno, mi limito a ripetere le solite cose: continuate a recensire! 
Ora godetevi questo nuovo capitolo.
FullmetalBlue13

Capitolo 4: Family...

ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, ORE 18:31 (fuso orario Giapponese)

CEEERTO, come no. Oh, aspetta, c’è il Bianconiglio che sta cercando i 7 nani. E il coccodrillo di Capitan Uncino che vola. (NdA: W i cartoni Disney!) Sbottai.
“Spero che tu mi dia qualche spiegazione.
1: è scientificamente impossibile che siamo in Giappone, 2 secondi fa eravamo a Roma!;
2: cos’era quella schifezza che mi hai fatto bere;
3: tu sei un demone, vero?”

Credo che l’ultima frase da me pronunciata avesse fatto il suo effetto, perché Mephisto si irrigidì e il sorrisetto arrogante che aveva stampato sul viso scomparve.
“Ho azzeccato, eh?” continuai soddisfatta il risultato ottenuto.
“Oh, temo di sì, signorina Akuma. Comunque, ciò che ti ho dato da bere non è altro che l’acqua del leggendario fiume Lete. Sugli umani ha effetti devastanti, in quanto è un potentissimo veleno che cancella completamente tutta la memoria; per noi demoni si rivela una bevanda energizzante che, come hai visto, fa recuperare le forze e aumenta i poteri demoniaci.”
Il suo tono era gelido e inespressivo, evidentemente non gli andava giù che l’avessi colto ‘con le mani nel sacco’.

Intervenne Shura: “Perspicace la ragazza. Prometti bene, anche se ti dovrei uccidere. Mephisto, io ho fatto anche troppo, qui. Forse è meglio se ritorno in Vaticano.”
Lui rispose prontamente: “Ma certo, ma chérie. Ti apro la porta.”
Vidi di nuovo quella grossa chiave con il simbolo dell’infinito: questa volta, però, capii come eravamo arrivati lì. Che collegasse in qualche modo le due porte attraverso le quali eravamo passati? Mi sembrava assurdo, ma dopo tutto quello che mi era successo, era possibile.

“Angel, sta’ a vedere.” mi disse Shura. Mephisto aprì la porta con la chiave pesante che reggeva in mano. Di nuovo mi trovai davanti il corridoio d’ospedale deserto. Gli ultrasuoni avevano smesso di squillare e ora regnava il silenzio e la calma. Shura ci salutò e poco dopo la porta venne richiusa, la chiave tolta e la serratura fatta scattare.
“Prova ad aprire” Mephisto si rivolse a me con 3 parole pronunciate come tre frecciate, manifestando il suo stato d’animo.
Ma… oltre quella porta c’era solo un sgabuzzino che emanava un forte odore di muffa!
“Ma che diamine…” sussurrai. Le mie ipotesi erano confermate.
“Questa” disse Mephisto sbattendomi sotto il naso la chiave: “è la chiave dell’Infinito. Basta un bisbiglio sul luogo in cui vuoi andare e una qualunque porta. Dici il luogo, giri la chiave nella toppa et… voilà!”

Stranamente, non ero così sorpresa. Ormai tutto mi sembrava possibile. Mephisto riprese a parlare.
“Bene, ora ti porterò da un amico. Credo che ti troverai bene lì.” Poi aggiunse, sussurrando: “Fin quando la situazione reggerà…”
A quel buffone assurdo era tornato il sorriso. Forse si divertiva a buttarmi di qua e di là senza che io sapessi cosa fare. Un pensiero mi fulminò: “Mephisto, aspetta! Ammesso che siamo veramente in Giappone, come la mettiamo con la lingua? Per adesso abbiamo parlato in italiano, ma poi…”

Lui mi rispose come se non avesse aspettato altro che la mia domanda: “Fai un patto con me: io ti darò una casa, una famiglia e l’incredibile capacità di parlare giapponese. Ma tu, in cambio, dovrai imparare a domare le tue fiamme scarlatte e usarle per gli esorcisti dell’Ordine dei Cavalieri della Vera Croce. Che ne dici, Angel? Oh, no, forse preferisci che il tuo paparino ti trovi e ti usi per conquistare l’Assiah…”
Ero confusa e spaesata. Aveva un tono così suadente, così persuasivo, che mi faceva venir voglia di accettare, ma qualcosa dentro di me mi rendeva incerta e titubante. Allo stesso tempo era così
irritante… avrei fatto bene a ‘vendermi’ così?

“Su, demone angelico, sai anche tu che quello che desideri più ardentemente è una famiglia che ti voglia bene e un posto in cui stare… E io te li posso concedere, in cambio di qualche piccolo ‘favore’…”
Ci fu un momento di silenzio. I miei occhi neri, ardenti di desiderio ma che celavano dubbi e perplessità, e i suoi scuri, seduttori, con sfumature azzurro violacee, che non nascondevano il divertimento, si incontrarono.

Essere parte di una famiglia… avere qualcuno con cui confidarsi, parlare… nella terra natale di tutta la mia famiglia, poi!
Alla fine, cedetti. “Avrei altre opzioni se non quella di accettare?”
Mephisto sorrise ampiamente e con un semplice schiocco di dita fece apparire dal nulla un contratto, che firmò con un piuma viola svolazzante. Me la porse e io, finalmente decisa, lo imitai.
“Bene, ora che le scartoffie burocratiche sono compilate, andiamo da Shiro.”

[...] 
Così cominciava uno dei periodi più felici della mia vita. Durante il viaggio (Mephisto mi portò verso la mia nuova casa a bordo di una lussuosa e sgargiante limousine rosa) appresi molto sulla mia futura famiglia. Avrei vissuto in un piccolo monastero con padre Shiro Fujimoto, un prete esorcista molto potente, tutore di due gemelli di circa un anno più piccoli di me, Rin e Yukio Okumura. “Ricordati che sarai sorvegliata 24 ore su 24 da esorcisti, quindi se proverai a trasgredire il contratto lo verrò subito a sapere, cara” mi disse Mephisto, serio. Se credeva che non avrei mantenuto fede alla parola data, non aveva capito nulla della mia personalità.

Quando arrivammo, mi accolsero dei monaci che mi portarono a visitare il monastero: era tutto abbastanza vecchio, l’arredamento semplice e l’unico ambiente un po’ diverso dal resto era la sala da pranzo. Era accogliente e più spaziosa di tante altre stanze. Al centro c’era un tavolone rettangolare che era abbastanza grande da poter far mangiare almeno una dozzina di persone, se non di più. Tutta sui toni del marrone, era dotata di un angolo cottura molto ben attrezzato: chiunque cucinasse, doveva intendersene parecchio. Non mancava nulla e tutto era riposto in un ordine perfetto.
In qualsiasi caso, il monastero era tranquillo, esprimeva un senso di tranquillità. Pensai subito che quell’aria calma mi avrebbe fatto bene dopo tutto quello che avevo passato.

La camera che mi era destinata era veramente piccolissima: giusto lo spazio per un letto un po’ malconcio, una scrivania che aveva vissuto giorni migliori e un armadietto, che conteneva un po’ di vestiti smessi. Le pareti erano bianche ingrigite dalla polvere. Mi piaceva l’impressione di vissuto e trasandato della cameretta, anche se mi metteva un po’ di malinconia. Quello che preferivo era, però, la finestra: dava su un parco giochi dotato di due altalene e uno scivolo, separato dalla strada pressoché deserta da una staccionata. Ho capito fin da subito che sarebbe diventato il mio posto per riflettere. Mi sembrava così solitario, così misterioso come posto…

Il monaco che mi accompagnava si congedò e mi lasciò da sola in camera. Mi buttai supina sul letto, che cigolò sonoramente, come se si stesse lamentando del mio peso. Chissà se avrei potuto veramente potuto chiamare ‘casa’ quel posto. Ero combattuta tra sentimenti di speranza, angoscia e nostalgia.
Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta, facendomi sobbalzare e risvegliandomi dai miei pensieri. “Avanti” risposi con un tono anche troppo allegro, a dispetto del mio stato d’animo.
Entrò un uomo di mezz’età alto e di corporatura media, vestito con una lunga tonaca nera da prete. Portava moltissime collane e rosari, perfino il cordino legato agli occhiali tondi era colmo di perle e croci. I capelli, di color stoppa tendenti al grigio, erano corti e con un taglio giovanile, mentre gli occhi profondi e anch’essi di una strana tonalità tra il marrone e il grigio con una punta d’oro, non
nascondevano il divertimento e un po’ di preoccupazione.

“Ciao Angel. Probabilmente Mephisto ti ho parlato di me. Sono padre Shiro Fujimoto, e da adesso in poi sarò il tuo tutore, come potrei dire… ‘acquisito’”. Io gli posi timidamente e freddamente la mano, ma lui, sorprendendomi, non solo me la strinse, ma mi portò a sé e mi abbracciò energicamente come una vecchia amica che non vedeva da tempo. Mi mollò quasi subito, lasciandomi stordita e imbarazzata. Che nonnetto eccentrico! Continuò a parlare come se non fosse successo nulla. “Immagino che ti abbiano già mostrato un po’ il posto. Spero che ti ambienterai presto. Ora ti porto da Yukio, non l’hai ancora visto, vero?”

Era un panzer. Mi era passato sopra ignorandomi completamente. Un pochettino irritante- anzi, parecchio. Comunque annuii, ero veramente curiosa di conoscere il mio nuovo ‘fratellino’. Ritornammo nuovamente in cucina, dove trovammo un ragazzo dai capelli castani che leggeva attentamente un libro (Farmacologia Anti-demone Avanzata) seduto davanti alla finestra. Era talmente concentrato che nemmeno si accorse del nostro arrivo: Shiro dovette schiarirsi la gola e chiamarlo un paio di volte prima che lui si rendesse conto di noi. Si dimostrò ospitale, mi porse la mano, mi disse le solite cose: spero che tu ti ambienti presto, noi faremo del tuo meglio per farti sentire a tuo agio… bla bla bla. Non lo stavo ascoltando. Ero troppo impegnata a studiarlo: volevo farmi una chiara idea su che tipo fosse questo Yukio.

Era un ragazzo dai lineamenti aggraziati, i capelli castani erano pettinati e perfettamente in ordine. Gli occhiali, dotati di una semplice ed essenziale montatura in acciaio, incorniciavano gli occhi. Bellissimi occhi blu, degli oceani che rispecchiavano l’anima di Yukio, un’anima pacata, calma, tranquilla, ma tormentata nel suo profondo da un terribile segreto e da un po’ di rimorso. La carnagione chiarissima era picchiettata da due piccoli nei sulla guancia sinistra e uno sul mento.
Chissà che impressione gli avevo fatto io, con i miei capelli arancioni corti sbarazzini (e quasi certamente spettinati) e i miei occhi scuri impenetrabile e forse  l’aria sconvolta.

“Ora parliamo di cose serie. Yukio è al corrente della tua situazione. D’altronde è esorcista da quasi 2 anni.”   Shiro pronunciò queste parole con crescente orgoglio paterno, ponendo una mano sulla spalla del ragazzo. Sembrava un’altra persona rispetto a prima. Yukio arrossì leggermente, manifestando la sua timidezza. “E inoltre tra meno di 3 mesi sarà addirittura un professore… il più giovane nella storia dell’Accademia della Vera Croce!” continuò Shiro sorridendo; poi improvvisamente cambiò espressione, diventando molto serio. “Però, Yukio dovrà tenerti d’occhio, sarà come un fratello per te, ma se ti rivelerai pericolosa, in quanto figlia di uno dei demoni più potenti, è anche autorizzato a ferirti o, nel peggiore dei casi, a eliminarti. In caso di emergenza, interverrò io, il Paladin, l’esorcista più potente del mondo.”

L’atmosfera si era fatta parecchio pesante e anche io non mi sentivo particolarmente a mio agio. Sapere che avresti avuto un ‘secondino’ pronto a ucciderti in qualsiasi momento non era proprio il massimo.

Ma padre Fujimoto sdrammatizzò mettendosi… a ridere. “Angel, mi sembri preoccupata! Su, sorridi un po’… facciamo così, vi porto a cena fuori stasera… sempre che Rin ritorni in tempo. Oh, quel ragazzo mi fa disperare ogni santo giorno. Beh, giovani, ora questo vecchietto leva le tende, ho molti impegni oggi, CIAAAOOOO!”. E con queste parole uscì dalla stanza come un tornado, lasciando me e Yukio da soli.

All’inizio fu decisamente imbarazzante. Lui era timido e io non ero certo dell’umore adatto per conversare amabilmente. Fu lui a cominciare a parlare, rompendo il silenzio. “Devi perdonare mio padre. Talvolta è un pochino… esagerato. Credo che a cena controllerà di più le sue azioni” disse, e sorrise; poi si rabbuiò: “Comunque, non parlare a Rin di te o del fatto che io sono un esorcista. Lui è ancora all’oscuro di tutto, non sa nulla del nostro mondo.” Distolse lo sguardo e aggiunse, a voce appena udibile: “…almeno per ora.”

Almeno per ora? Cosa voleva dire? Questa sua ultima affermazione mi fece riflettere, ma risposi comunque prontamente: “Lo terrò a mente. Sarò anche un demone, ma non sono certo una stupida.”
Sorrisi. Un sorriso falso, una palese provocazione nei confronti del mio carceriere. Per tutta risposta sorrise anche lui. Ma il suo era vero, sincero, di pura tranquillità. Eravamo l’esorcista e il demone, la preda e il cacciatore, il cane e il gatto, ci fronteggiavamo con aria di sfida.

“Uhm… Capisco. Premetto che non ti voglio come nemica, né tantomeno che tu mi ritenga un nemico. Non voglio essere il tuo Sappi che non ti ritengo un mostro o qualcosa del genere, io ti posso capire. Veramente.” disse Yukio seriamente, gli occhi azzurri che cercavano i miei. Poi distogliendo lo sguardo: “e non sai quanto”. Ora stava fissando il vuoto, gli occhi persi, assenti, la mente assorta nei suoi pensieri.

Mi stavo leggermente pentendo del mio comportamento. Mi sembrava così sincero, così convinto di ciò che diceva… O era un ottimo attore, o aveva seriamente voglia di fare amicizia, di trattarmi come una sorella. Se le cose stavano così, che colpa ne aveva lui per meritarsi il peggio del mio caratteraccio?

“Oh, scusa… Non volevo essere così scortese. Senti, invece di parlare di cose deprimenti, perché non ci conosciamo meglio?” intervenni allora io. Ora mi sentivo meglio.
Parlammo a lungo: interessi, passioni, vita quotidiana, evitando l’argomento genitori/origini. Yukio si rivelò un ragazzo simpatico, disponibile, studioso e estremamente intelligente, amante dei libri e dei fumetti. Ah, già, Yukio nutriva anche (e nutre ancora) un’avversione profonda per i nei, che lui chiamava, scientificamente, ‘nevi melanocitici’. Insomma, finimmo per chiacchierare come due vecchi amici fino all’ora di cena, quando mi ritirai per prepararmi ad uscire.

Stavo salendo le scale, quando la porta d’ingresso si aprì e vidi entrare padre Fujimoto. Era girato e mi dava la schiena. Era troppo impegnato a parlare (anzi, a urlare) a una persona, un ragazzo che trascinava con mano salda per un orecchio.
“… e quante volte ti devo ripetere che non devi fare a botte con i primi che ti capitano sotto tiro? Hai lasciato la scuola, ti mando a cercare un lavoro e ti ritrovo per strada nel bel mezzo di una rissa?!? Devi darti una bella regolata, amico mio, o altrimenti…”
Shiro si interruppe, guardò verso di me e sorrise. Il ragazzo dai capelli neri si divincolò con un po’ più di forza e rivolse a me lo sguardo. Capii subito che doveva essere Rin Okumura, il gemello di Yukio.

Gli occhi. Occhi così simili eppure così diversi da quelli del fratello. Erano di un blu oltremare intenso, leggermente più scuri di quelli di Yukio, e sprizzavano vita ed energia. Se gli occhi del gemello erano paragonabili a un mare di calma e tranquillità, questi erano un cielo, libero, sconfinato, in un certo senso scatenato nella sua voglia di andare oltre. Percepivo un grande potere in lui, qualche istinto nascosto in un angolo remoto del mio cervello mi diceva di fuggire il più lontano possibile, ma qualcos’altro mi attirava come un magnete. Tutto ciò successe in una frazione di secondo, mentre il mio sguardo penetrante scavava nelle profondità del suo animo.

Mi fissò anche lui, dal basso verso l’alto con la testa un po’ inclinata (Shiro ancora lo teneva per l’orecchio) e un’espressione stranita, con la bocca semichiusa. Poi sorrise, un sorriso smagliante, sincero… semplicemente meraviglioso. Alzò la mano sinistra e con un timido cenno di saluto disse: “Ciao”. Punto e basta. Un semplice ‘ciao’. Bofonchiando ricambiai il saluto e scappai su per le scale, sentendomi avvampare. Perfetto, ora avrebbero pensato di avere una squilibrata in casa. Cosa mi era successo? Non arrossivo da anni. Una persona comune non avrebbe potuto suscitare in me sentimenti così contrastanti. Avevo provato paura, imbarazzo, attrazione e repulsione contemporaneamente. No, in fondo non mi interessava cos’era successo a me, non più di tanto. La vera domanda che mi frullava per la testa era: chi era veramente Rin Okumura?

Angolo dell'autrice (la vendetta): Capitolo un po' più lungo del solito...Oh, ma guardate chi è entrato finalmente nella storia? Un certo protagonista... XD 
Ciao e al prossimo capitolo! FB13

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Capitolo 5
*** A surprising dinner. ***


Questo capitolo è stato un parto. Perdonatemi per l'immenso ritardo. Proposito per l'anno nuovo: pubblicare un capitolo ogni due mesi (circa). Ringrazio tantissimo cristy_blackCiel_Chancami97ace,  bobby92bobby92Pumpkin_Panties per aver messo la mia storia nelle preferite e Silent_Warrior per averla messa nelle seguite. cami97ace grazie anche per l'immane lavoro di copiatura (andato perso con il tuo computer, mi dispiace T.T). Grazie anche alla mia "editor", e a tutti coloro che recensiscono o semplicemente leggono la mia storia. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento ^.^
Buona lettura! 

Capitolo 5: Serata con sorpresa

CITTA' DELL’ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, ORE 19:40


Appena giunta in camera mi accasciai sul letto e sfilai la coda da sotto la maglietta. Mi dava veramente fastidio. Effettivamente ci ho messo un po’ad abituarmi alla … nuova condizione.

Dopo aver ripreso fiato mi tirai su, le gambe ancora tremanti, e mi guardai allo specchio. Avevo i capelli decisamente spettinati, le guance ancora lievemente rosse e lo sguardo perso. Sembravo una sfollata dopo un terremoto. Ero talmente sconvolta che non avevo notato che, appoggiata sulla scrivania, c’era una scatola. La vidi riflessa nello specchio.
Cos’era? Mi girai e mi avvicinai. Sopra c’era una busta che recava la scritta, in caratteri viola svolazzanti,

“Per Angel”.

“Mephisto …” pensai immediatamente. Si permetteva pure di farmi dei regali, ora. Dentro la busta c’era un foglio bianco, dov’era scritto a caratteri cubitali:

“Ti ricorda nulla? Sorridi e fatti bella per la cena. M.”

Buffone. Dentro la busta c’era ancora qualcosa. Qualcosa che mi fece versare ancora qualche lacrima amara. Se fossi stata un essere umano, certamente un demone avrebbe approfittato delle ferite del mio animo, ora riaperte, per possedermi. Fortunatamente per me e per chi mi stava vicino, ciò non era possibile.

Era la collanina di mia madre. Ora era nera a causa della fuliggine, ma una volta era argento. Quel bastardo doveva averla raccolta vicino al corpo carbonizzato di mia madre, perché lei non se la toglieva mai. Era una piccola fiammella argentata con una ‘A’ di Angel incisa. Lai diceva (anzi, scriveva in quanto muta) che la teneva addosso perché io ero il fuoco che accendeva le sue giornate, la sua luce. Ancora adesso, a  pensarci, faccio fatica a trattenere le lacrime. Si teneva allacciata al collo con un nastrino morbido di velluto, esattamente identico a quello originale, ormai ridotto a un mucchietto di cenere. La ripulii con quanta più cura possibile. Poi mi infilai sotto la doccia. Almeno lì le lacrime venivano portate via dall’acqua scrosciante. Non so perché, ma mi dava sicurezza.

Quando ebbi finito di lavarmi, uscii dalla doccia e mi accorsi che presa dall’emozione non avevo aperto la scatola. Cosa mi aveva lasciato quel brutto … ? Conteneva un pacchetto e un paio di scarpe.
Non bellissime e comode scarpe da ginnastica, ma … col tacco? Scarpe con un elegante tacco a spillo, modestamente alto, nere, eleganti eppure semplici, sembravano fabbricate su misura, perché mi fasciavano il piede perfettamente. Oh, no. Se Mephisto sperava che io sarei uscita con quegli arnesi ai piedi, si sbagliava di grosso.

Ma non era finita. Perché non avevo ancora visto il vestito. Infatti il pacchetto conteneva proprio un vestito da sera. Era anch’esso nero, lungo e con uno spacco sulla destra che lasciava vedere tutta la gamba. Il corsetto era elastico, stava su senza spalline. Per completare il tutto, era possibile allacciare una catenina argentata che partiva dal centro del petto e cingeva il collo. Ovviamente, taglia
perfetta. Riusciva a valorizzare le mie forme, nonostante non fossero proprio accentuate. La cosa divertente era che la coda restava incredibilmente nascosta.

Mephisto era veramente un idiota. Non avevo mai messo un vestito del genere, e non avevo la benché minima intenzione di cominciare in quel momento.

[…]

Qualche minuto dopo scendevo le scale così conciata, imprecando contro Mephisto in tutte le lingue del mondo. Non avevo avuto più tempo di mettermi altro e non avevo voglia di indossare i soliti vestiti. Rassegnata, avevo dovuto affidarmi al mio buon senso dell’equilibrio, che fortunatamente mi aveva evitato imbarazzanti scivolate.

Al piano terra Shiro, Rin e Yukio mi stavano aspettando.
“Ehilà! Ma che schianto!” disse Shiro. Bofonchiai un timido grazie, incrementando le maledizioni contro Mephisto. Lui indossava la stessa tonaca di prima, Yukio invece portava un semplice ma elegante completo blu. La giacca era leggermente abbondante, ma comunque gli stava bene. Rin invece era vestito in modo molto sportivo e ‘casual’: un paio di jeans, una felpa un po’ scolorita e scarpe di tela semi-distrutte. Forse io e Yukio eravamo troppo eleganti, ma in fondo non mi importava.

Ci avviammo a piedi per la città che, in periferia dove ci trovavamo, era veramente buia e piuttosto squallida. Quando ci avvicinammo al centro, però, cominciarono a circondarci luci di ogni genere, le insegne luminose lampeggiavano qua e là, parecchia gente passeggiava spensieratamente creando un viavai continuo di persone. La cosa più incredibile era però la quantità di demoni che c’era.

Centinaia, ma che dico, migliaia di piccoli Coal Tar svolazzavano intorno a uomini, donne, bambini, vecchi, adolescenti, addensandosi attorno ad alcuni soggetti. Ma il bello è che nessuno se ne accorgeva e quegli ‘affarini’ continuavano a girare come piccoli satelliti. Ero abbastanza scossa. Come mai nessuno pareva farci caso?

“Fai finta di niente … I demoni possono essere visti solo da coloro che hanno ricevuto il masho, il ‘tocco del demone’.” Mi disse Shiro bisbigliando per non farsi sentire da Rin. Feci un’espressione ancora più stranita.
“Il masho si verifica quando un demone di media categoria o più forte ti causa una ferita o una malattia. Dopo questo avvenimento diventi capace di vedere ogni tipo di demone. Ovviamente per te è diverso, in quanto essendo tu stessa un demone …”. Non finì la frase, perché si era accorto che Rin ci stava ascoltando.
“… E quindi laggiù c’è il negozio di alimentari. E in fondo alla via il negozio di fumetti e il combini …”. Pffft … che scusa improbabile. Comunque Rin sembrò abboccare, così Shiro fermò l’inutile messinscena.

Nel frattempo eravamo arrivati al ristorante. Si trovava in un vicoletto del centro un po’ lontano dalla ressa che avevamo appena attraversato. Era un posto modesto ma così … carino!
I colori che dominavano erano il marrone beige e il bianco. Era poco frequentato, solo un lieve e sommesso brusio lasciava trapelare la presenza di clientela. I tavoli di legno chiaro erano semplici e circolari, ricoperti da tovaglie bianche a quadri giallini un po’ consunte.
Le finestre erano contornate da tendine che (ai loro tempi) dovevano essere parecchio graziose. Ora erano piuttosto logore, ma non celavano il loro ‘antico splendore’.
Mi ricordava il piccolo bugigattolo dove andavano sempre a mangiare con la mia famiglia a Roma: quasi una topaia malmessa che cadeva a pezzi, dove il cibo però sia il cibo che il servizio erano ottimi.

Era tutto fantastico, ma c’era qualcosa che mi turbava. Mi sentivo osservata, ogni tanto un brivido freddo mi scuoteva, e anche se questa sensazione non mi piaceva, cercai di ignorarla. Mi si prospettava una serata veramente interessante.

Shiro faceva il buffone in una maniera spropositata e contemporaneamente si ingozzava come un morto di fame. Yukio era molto più serio, ma  suoi discorsi erano affascinanti. Il suo sguardo magnetico, la mimica facciale e i gesti che accompagnavano le sue parole rendevano tutto ancora più interessante. Rin era un po’ l’incognita della serata. All’inizio era decisamente chiuso in sé stesso, tenebroso, visibilmente arrabbiato con il resto del mondo. Quando tentavo di attaccare bottone, lui mi rispondeva a monosillabi, con un fare piuttosto infastidito. Questo non aveva fatto altro che aumentare i dubbi che prima mi avevano assillato … Perché questo comportamento ora? Che avesse litigato con Shiro o con Yukio? I due non davano il minimo segno che fosse accaduto qualcosa.

Dopo l’arrivo del cibo, però, aveva cambiato completamente atteggiamento.  
Si era messo a commentare ogni piatto del menù con la precisione e l’accuratezza di un critico culinario. E ovviamente nel frattempo si ingozzava.
“Cioè … OM NOM NOM … tecnicamente questo manzo andrebbe cotto ancora un pochino, e manca leggermente di sale … resta comunque una goduria per il palato” “Oh mio Dio, questo piatto è semplicemente sublime! Gli aromi si mescolano alla perfezione, la cottura è ottimale … Solo la presentazione lascia un po’ a desiderare, ma non si può aver tutto dalla vita”. Eccetera eccetera eccetera. E io ridevo come un’imbecille per la maniera in cui si ingozzava mentre pronunciava queste ‘forbite parole’.

Era diventato allegro, solare, faceva battute e sembrava che facesse di tutto per far dimenticare il muso che aveva piantato prima. Era passato dalla modalità ‘odio il mondo ’ a quella ‘ma sì, tanto … divertiamoci e basta’. Riuscivo chiaramente a capire cosa provava: quei suoi occhi blu erano lo specchio della sua anima, e un po’ anche della mia. Io mi ci riconoscevo. Riconoscevo nel suo modo di comportarsi la vecchia me stessa, quella che ora, dopo la morte di tutto ciò che restava della mia famiglia, non esisteva più. Mentre chiacchieravo, capivo il vero essere dei due gemelli, soprattutto del maggiore. E più scavavo nelle profondità dei suoi occhi, della sua psiche, più i ricordi di un passato che mi sembrava infinitamente distante riaffioravano.
Nonostante fossi destinata ad un’esistenza di peccato in quanto metà demone, i miei sentimenti erano completamente umani e questo, almeno un po’, mi rincuorava. Ma non abbastanza.

Ad un certo punto fui costretta a uscire (per evitare di piangere in pubblico, cosa che odiavo allora e che odio tuttora).
Con la banalissima scusa del bagno, mi recai al cortiletto sul retro del ristorante: un posto squallido, quattro sassi, un po’ di cemento, una scassatissima panchina più scrostata che verniciata e nulla più. Avevo trattenuto le lacrime per troppo, troppo tempo.

Quando giunsi fuori, la brezza notturna mi accarezzo la pelle, facendomi lievemente rabbrividire. Resistetti qualche secondo, giusto il tempo di raggiungere la panchina, mi sedetti dolcemente, feci sbucare la coda fuori dal vestito (con un’enorme sensazione di sollievo) e piansi. Un pianto silenzioso, malinconico, un grande sfogo per me. Gocce scintillanti alla scarsa luce elettrica di un lampione singhiozzante scendevano sul mio viso in fiamme. E ogni lacrima era un ricordo, scavava la sua strada tra le mie guance, lasciando dietro di sé un solco di fuoco, come la mia anima dannata di demone.

Improvvisamente, sentii qualcosa bisbigliarmi nell’orecchio: “è questo che sei … e non puoi fare niente per cambiare …”. Mi girai di scatto, alzandomi, tutti i miei sensi di demone all’erta. Nessuno. Feci un respiro profondo, mi asciugai le ultime lacrime con il dorso della mano e mi preparai ad entrare. Basta frignare. Non ero più una bambina. Non feci in tempo a muovermi di un passo, che una mano familiarmente bollente mi toccò la spalla.

“Non fare un singolo passo, carina. E ora, verrai con me senza fiatare” disse una voce che riconobbi subito. Mi mossi di qualche passo indietro, faticando a causa dei tacchi, un po’ di mia volontà, un po’ trascinata dall’orrido essere che mi stava alle spalle, la causa di tutto il mio dolore.

“Iblis … ma quale piacere. A cosa si deve questa inaspettata visita?” bisbigliai io digrignando i denti con il mio solito tono sarcastico. Iblis ridacchiò, una risata rauca, tenebrosa, che mi terrorizzò.

“Oh, una cosuccia da nulla … Sono solo venuto per portarti con me a Gehenna, niente di più … Bel vestito comunque”

“Grazie, ma se speri che io venga con te senza lottare, beh, ti …”

Non riuscii a finire la frase, perché Iblis, con uno scatto fulmineo si era girato e mi aveva preso per il collo, sollevandomi da terra. Gemetti.

“Ascoltami bene, signorinella. Forse non hai ancora capito bene come gira il mondo. Io, se volessi, potrei radere al suolo tutta questo schifo di città, COMPLETAMENTE, con un solo fottutissimo schiocco di dita. E tu, tesoruccio, non potresti fare niente. Niente di niente.”

Avevo paura. Tremendamente paura. Ma non dovevo dargliela vinta. La testa mi pulsava come se stesse per esplodere, la gola mi bruciava, le unghie affilate della sua mano tagliavano la fragile pelle del mio collo candido. E mentre una lacrima salata, che racchiudeva in sé tutto il mio dolore, la mia paura, la mia sfacciataggine e la mia audacia, mi rigava il viso, lo feci.

Raccolsi tutto il mio coraggio e gli sputai in faccia, esprimendo tutto il mio disprezzo e la rabbia che nutrivo nei suoi confronti.

Il tempo per me si fermò. Con una lentezza innaturale, il signore del fuoco sollevò la mano sinistra e si pulì la guancia. Poi gli occhi arsero più delle fiamme dell’ Inferno, accesi da pura collera.
La sua morsa intorno al mio collo aumentò. Con voce gelida disse, scandendo ogni singola parola:

”Tu. Piccola. Puttanella. Insolente. Credi di poter scherzare con me, eh? Beh, ti sbagli di grosso”

E poi, alzando di più la voce con un tono spaventosamente arrabbiati, quasi urlando:

”IO. TI. AMMAZZOOOOO!!!!!!”

Mentre diceva ciò mi scagliò con una forza sovrumana contro il muro che recintava il cortile. Durante l’impatto sentii qualcuna delle mie costole spaccarsi. Poi caddi a terra come un burattino a cui hanno tagliato i fili. Tentai di rialzarmi, ma le gambe erano deboli, tremanti e non rispondevano a ciò che ordinavo loro.

Nel frattempo Iblis, più minaccioso e furioso che mai, mi era di nuovo addosso, armato di una spada circondata dalle fiamme (sì, avete capito bene) tirata fuori da chissà dove. Alzò la spada, pronto a colpire. Aveva la faccia del demonio, ma io cercai di sfoderare l’espressione più decisa e controllata possibile, nonostante le circostanze. Mi aveva in pugno. Ed io ero pronta a morire.

I nostri occhi si incrociarono per un attimo, un solo attimo, che a me sembrò un’eternità. Poi, accadde l’impensabile. Semplicemente, abbassò la spada. Così, senza dire nulla. E com’era arrivato, nell’oscurità della notte, saltò via. Vidi per un secondo la sua espressione per un secondo. Lo vidi sgomento, angosciato, in preda al panico e allo stupore.

Mi alzai a fatica, ansimando, ancora dolorante per il colpo subito, nonostante buona parte delle ferite si fosse curata grazie ai poteri rigenerativi demoniaci. Non so cosa avesse visto lui nei miei occhi, ma io nei suoi ci avevo visto rimorso e consapevolezza di non poter (o non riuscire) a fare qualcosa. Qualcosa che era troppo anche per un signore dei demoni: uccidere sua figlia, sangue del suo sangue.

Alzai gli occhi verso il cielo. “Padre …” sussurrai. Ero ancora immersa in mille pensieri e riflessioni quando sentii qualcuno chiamarmi.

“Ehi Angel! … Angel? … Yu-uh!?! … Pronto? Ci sei?”
Era Rin.
“Ti stavamo aspettando. Non tornavi più! Ehi ma … va tutto bene?”.
Sembrava seriamente preoccupato. In effetti non dovevo avere un bell’aspetto. Ci misi un secondo di troppo a rispondere:
“Sì. Tutto OK. Torniamo dentro?” e sfoderai il miglior sorriso che potessi fare al momento.
“Sicura? Ma … quello è sangue!” aggiunse toccandomi delicatamente il collo. Un piacevole brivido mi scosse. “No, ti sbagli” e lo precedetti.

Mi passai una mano tra i capelli ed entrai.
“Ma che caspita …! Cosa ho fatto, io?” si chiese Rin.

E bofonchiando rientrò, ignaro del fatto che qualcuno lo stava osservando.



Piccolo angolino dell'autrice: et voilà. Questo è tutto. Ci i vede tra due mesi! ^w^

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Capitolo 6
*** Slice of life. ***


Hi guys! I'm back. And almost punctual.
Ok, basta inglese. Sono quasi puntuale, come ho già detto sopra... però ho una sorpresina. Questo è un capitolo particolare, perchè mi serve da collegamento per darvi un'idea di come vive Angel a "Casa Fujimoto" (XD) 
Coooomunque, il prossimo capitolo non tarderà ad arrivare!
Detto ciò, passo ai ringraziamenti:  in primis cristy_black e cami97ace (le mie editor e compagne di classe che sopportano i miei sfolli quotidiani), poi bobby92, Domino_Tabby_ (grazie ragazze)e ancora Ciel_Chan e Miss Fortune per aver messo la mia storia nelle preferite;  Silvery perchè la ricorda (e la segue);Blackblow98Lyly_21, Silent_Warrior  che la seguono. Grazie a chi recensisce e pure a chi dedica un po' del suo tempo per leggere. 
Dopo questa sbrodolata, vi lascio alla storia
Byeeee <3  \(^.^)/

Capitolo 6: Slice of life

Mi trovavo di nuovo a casa mia.
Tutto perfetto, inalterato.
Era sera tardi e non riuscivo a dormire.
Mi recai a piccoli passi incerti verso la camera di mia madre, immersa nella densa oscurità che mi avvolgeva con il suo abbraccio freddo.
Entrai.

“Mamma …? Non riesco a prendere sonno. Mi fai le carezzine?”
Mia madre si alzò, si mise a sedere e mi fece cenno di venire a sedermi lì sul letto.
Il mio viso si illuminò, corsi subito da lei, mi acciambellai come un gatto con la testa sulle sue gambe insensibili e stetti lì, a godere delle carezze materne.
Chiusi gli occhi.
“Mammina … Perché hai smesso?”.
Li riaprii, improvvisamente presa dal panico.
Non mi trovavo più nel morbido abbraccio di mia madre.
Ero in corridoio, circondata dalle fiamme.
Fuoco, fuoco, fuoco e ancora fuoco.
Ovunque.
Una trave che impediva l’accesso alla camera di mia madre.
Poi, una voce: “Credi di poter scherzare con me, eh? Beh, ti sbagli di grosso.”
E infine una risata, rauca e malvagia.
Giravo su me stessa, urlando:
“Chi sei? Dove sei? Mamma! MAMMAAAAAAAAA!!!”.
 La stanza mi ruotava attorno, senza tregua, finché …
 
“Mamma!”
 
CITTÀ DELL’ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, ORE 2:48

… mi svegliai di soprassalto, tutta sudata ed ansimando.
Incubo. Di nuovo.
Erano troppe notti di fila che avevo lo stesso, identico, brutto sogno.
Le prime settimane al monastero erano trascorse scorrevolmente: avevo fatto diversi giri in città, sia con Shiro, che con Yukio, che con Rin. Potevo già affermare di conoscere abbastanza bene i dintorni, molto all’incirca meno quasi. (NdA: sì, è una specie di neologismo che mette insieme ‘ all’incirca’; ‘più o meno ‘; ‘quasi’. Vi piace? ;D)

Ma le notti, quelle no. Non ne avevo ancora passata una a dormire seriamente.
Il rimorso per aver abbandonato mia madre mi torturava. Contando poi che abituarsi al fuso orario non era stato facile.

Mi alzai, stropicciandomi gli occhi stanchi. Avevo bisogno di un po’ d’aria. Aprii la finestra e mi appoggiai al davanzale.
Una piacevole folata di vento, un respiro della notte oscura mi investì. Il parchetto appena davanti a me era, ovviamente, deserto. Guardai la strada. Nessuno. Saltai giù dalla finestra.
Con un’eleganza felina atterrai sul prato. Forse mi ero fatta male, ma tanto i poteri demoniaci avrebbero curato tutte le ferite nel giro di un'oretta.

Andai a sedermi sull’altalena, come ormai era diventata mia abitudine. L’ansia di prima mi era già un po’ passata. Avevo intenzione di stare lì un po', così, senza pensieri, e poi di ribalzare, attaccandomi alla grondaia, in camera. L’avevo già fatto, non sarebbe stato un problema. Alcune volte, essere dei mezzi demoni non era così male.

Quella sera, però, accadde un fatto inaspettato.

Di solito a quell’ora non c’era anima viva in giro, ma quella sera vidi una sagoma umana entrare nel parco dal retro.
Fortunatamente per lui, era Rin.

“Angel? Che cosa ci fai qui?” mi domandò con una faccia da ‘WTF?’

“Potrei chiederti la stessa cosa.” gli feci notare un po’ scocciata.

“Scusa. Non riuscivo a dormire. Cioè, fa TROPPO caldo” mi rispose lui,dispiaciuto.
Mi pentii subito di averlo aggredito così.

“No, sono io che ti devo chiedere scusa. Comunque,meno male che non sei nato in Italia. Questa temperatura per noi è la norma. Prova a fare un salto a Roma ad Agosto e poi fammi sapere.”

Venne a sedersi accanto a me, sull’altalena adiacente, rispettando il silenzio della notte. Sarei potuta stare lì per sempre. Poi, lui mi disse:

“Senti Angel, non ho mai avuto occasione né il coraggio di chiedertelo, ma … Perché sei qui?”

Perché ero lì, eh? Mi sa che avrei dovuto fare dei tagli. La versione che gli raccontai fu:

“C’è stato un incendio. Un grande incendio nella palazzina dove vivevo. Io sono l’unica superstite. Per puro caso, ero fuori.
Ho perso tutto: famiglia, casa, ricordi. Ed è saltato fuori che Shiro è … beh … un parente dei cugini degli zii dei miei nonni materni.
Sì, ho origini giapponesi. E sì, era il parente più vicino a cui affidarmi.”

Lo battei sul tempo, anticipando le sue possibili domande, così lo zittii. O almeno credevo di averlo fatto.

“Io non ho mai conosciuto i miei. Mia mamma è morta di parto e papà … boh! Quel lurido verme non si è mai fatto vivo.
Mi piacerebbe conoscerlo, in fondo. Ma il vecchio non mi dispiace.”

“Oh” fu tutto ciò che riuscii a dire. Non lo sapevo. O meglio, sì, lo sapevo, ma era la prima volta che Rin mi esponeva i suoi modo così aperto.
E pensare che provavo le stesse emozioni prima di incontrare Iblis. Come aveva fatto mia mamma a farsi ‘intortare’ da un simile … non mi veniva neanche in mente un insulto adatto a descriverlo.

Un’altra folata di vento passò, facendomi rabbrividire. Nonostante fosse estate, era pur sempre notte, e io indossavo solo un leggero pigiama.
“Freddo?” mi chiese Rin. “Sì …” “Tieni” disse, e senza neanche pensarci si sfilò la giacchetta che indossava, posandomela sulle spalle. Arrossii. “Gr-Grazie…” balbettai, cercando di mascherare il rossore. Il moro, di tutta risposta, sorrise.

“Rin, posso chiederti una cosa?” domandai e lui rispose: “Certo”
Ebbi un attimo di esitazione.
“No, non fa niente”
“No, aspetta, adesso lo voglio sapere”
“ Ma no, tanto era una stupidata”
“Non m’importa”
“A ME Sì. Sì che importa”
“NO, NON IMPORTA”.

Sembravamo due bimbi delle elementari che litigavano. Lui mi fissava con uno sguardo divertito, ed io continuavo ad insistere.
Sapevo che, con la nostra testardaggine, saremmo potuti andare avanti fino all’alba, così cedetti: “Va bene, va bene”

Persi un bel respiro:”Posso chiamarti fratellino?” dissi tutto d’un fiato.

Lui scoppiò a ridere: “ Ahahahahahahahahahaha! Ma certo! Scusa, ma … ti pare? Così adesso sarete in due a chiamarmi nii-san. Ahahahahah!”
Era veramente divertito. E io mi sentivo una stupida. Saranno state le 3 e avevo già fatto la figuraccia del giorno. Yu-uh.

“Che ne dici, rientriamo?” mi propose con gentilezza Rin. Accettai.
“Ma aspetta … tu da dove sei uscito?” gli chiesi, realizzando solo allora che non poteva essere venuto giù dalla finestra come la sottoscritta.
“Che domande … dalla finestra, no? Sono al piano terra, tanto.”
Sì, ora mi sentivo ancora più scema. “Dai, andiamo. Ti riaccompagno in camera”

Aggirammo l’edificio, quatti quatti, cercando di fare meno rumore possibile. Quando arrivammo davanti alla sua stanza, Rin aprì la finestra, fece un profondo inchino e disse:
“Milord, dopo di lei. Dovetti fare uno sforzo enorme per non scoppiare a ridere come una deficiente.
“Milady, Rin, milady. Ti sembro forse un maschio?” bisbigliai, divertita.
“Acc … Non ne azzecco mai una, eh?” e anche lui, accortosi dell’errore, dovette contenersi parecchio.

Mi fece entrare in camera sua. Il piano era di farmi uscire, attraversare mezzo monastero dormiente al buoi con l’enorme rischio di svegliare qualcuno, accompagnarmi in camera a poi tornare indietro. Era folle, ma troppo divertente per rinunciarci.

“Ok: Mission Impossible-GO!” disse lui.
E uscimmo silenziosamente.

[…]

Quella notte (o meglio, quello che ne restava) dormii come un sasso. Parlare con Rin mi aveva rilassato e rincuorato. Mi sa che avevo chiuso con l’insonnia.
Così, quella mattina, mi sentivo abbastanza riposata. Quando fui pronta, scesi in cucina. A metà delle scale un fantastico profumino mi fece letteralmente ‘volare’ fino alla mia meta. Lì trovai Rin ai fornelli. Ecco spiegato tutto.

“ ’Giorno” disse lui: ”Dormito bene?” Annuii, incapace di parlare perché inebriata dal profumo del cibo.
“Sto preparando la colazione” continuò. Qui, però, il mio pessimo carattere ebbe la meglio sul rincretinimento post-letto e sulla fame: “Ma dai? Pensavo avessi fatto tutto per darlo al cane …”
Rin mi guardò stranito: “Ma noi non abbiamo un cane”
A questo punto scoppiai a ridere: “Rin, sei uno stupido. Era solo una battuta, fratellino.”
“Ah” disse lui imbarazzato.

In quel momento entrarono Shiro, Yukio e qualche altro monaco.
“Allora, Rin … è pronto?” “Un attimo solo … et voilà! Omelette alla Okumura per tutti!”
Fu proprio piacevole. Ci sedemmo e mangiammo di gusto. A casa la colazione non era mai stata così. Forse avrei veramente potuto chiamare ‘casa’ quel posto e ‘famiglia’ quella gente con cui stavo condividendo il cibo.

Finito di mangiare stavo per andarmene, ma Shiro mi trattenne.
“Nah-ah-ah. Dove stai andando? Volevo ricordarti una cosa. Lo sai che sei qui per un motivo ben preciso, vero?”
Annuii. Ne ero anche fin troppo consapevole.
“Perfetto. Oggi inizierai gli allenamenti. Su, su, ora vai a prepararti. Fila!” mi disse cacciandomi fuori a malo modo.
‘Ok Angel. Mostriamogli di che pasta siamo fatte.’ pensai.
Qualche minuto dopo Yukio bussò alla porta della mia camera per chiamarmi. Mi portò in una specie di scantinato.

“Wow, voi esorcisti non vi fate mancare niente, eh?” furono le prime parole che vennero fuori dalla mia bocca.
Ed erano pura verità.
Era tutto attrezzato con decine di armi da fuoco, spade, fantocci (ricoperti da tagli e buchi), spara palline simili a quelli dei campi da tennis … insomma di tutto.
“Beh, se non vuoi morire, allora conviene essere pronti” rispose lui.

“Bene, possiamo cominciare. Oggi ti farò lezione io, Shiro ha avuto un contrattempo improvviso.”
Mi ero ridotta a farmi insegnare da uno più piccolo di me. Pfui.
“Dunque, partiamo dalle basi. Quale tipo di arma preferisci?”
“Arma?” chiesi io: “Ma non dovrei imparare a gestire … insomma … le mie fiamme?”
Lui rispose prontamente: “Sì, ma non puoi esserne succube. Devi essere capace di difenderti anche senza usarne. Quindi … da taglio o da fuoco?”
Non ne avevo la benché minima idea. “Proviamo … uhm … da … fuoco?”
“Tentar non nuoce” disse lui. E mi mise in mano una pistola, nera, lucida e pesante.

“Esercizio 1: da 3 metri, colpisci quel bersaglio. È molto vicino, è difficile che tu sbagli.”
Mi illustrò brevemente come si caricava, dove bisognava puntare e come togliere la sicura. Insomma, le cose base.

Mi posizionai nel punto che Yukio mi aveva indicato.
Puntare. Mirare. Presi un profondo respiro. Fuoco! Il forte rumore mi fece sobbalzare, così sbagliai completamente colpo.
L’odore penetrante di polvere da sparo bruciata mi perforò le narici. Caspita, non me l’aspettavo!
Ricaricai la pistola, che con un sonoro ‘clock’ si dichiarò pronta.

“Fai più attenzione” disse semplicemente Yukio, a cui evidentemente non era sfuggito nulla.
Che nervoso. Era sempre così impassibile che mi metteva addosso un’ansia … ero talmente infastidita che non presi neanche la mira con cura.
Sparai senza rendermene conto.

“Centro! Ottimo lavoro!” Oh. Non ci avevo nemmeno fatto caso.
“Incrementiamo la distanza: 5 metri”
Centro perfetto.
“7 metri.”
Ancora.
“10 metri”
Idem.
Sì, le armi da fuoco facevano per me.
Andai avanti per circa un’ora a colpire bersagli fissi, in movimento, piccoli, grandi e più andavo avanti più mi divertivo.

“Ok, per oggi può bastare. Ora viene il difficile, però. Passiamo al fuoco” disse Yukio, serio ma visibilmente soddisfatto dei progressi che avevo fatto.

“Dunque, da quanto mi risulta, hai usato il tuo potere solo un paio di volte. Per, come potrei dire … rievocarlo (?) devi risalire alle emozioni che hai provato quelle volte. Quindi …”

“Rabbia” risposi, interrompendolo.

“Rabbia” confermò lui, come se ce ne fosse il bisogno.

“Come primo esercizio, vorrei che tu riuscissi a incendiare la parte blu, e solo quella blu, di questo saccone da boxe”
Girai intorno al sacco penzolante appeso al soffitto. Aveva visto giorni migliori. Era molto vecchio e la fascia centrale era tinta di un blu scolorito che si distingueva appena.
“Tutto chiaro?” mi chiese lui e io subito risposi in modo arrogante: “Certo, cosa c’è da capire?”
“Perfetto, se è così allora … fammi vedere di che cosa sei capace.”
Mi sembrava di essere in uno di quei videogiochi arcade di lotta. Sapete, quelli in cui una voce figa inglese diceva: “Ready … Three, two, one … FIGHT!” e poi cominciava il casino.
Ecco, credo di aver reso l’idea. Comincia a concentrarmi.

“Fiamma!” urlai ad un certo punto. (NdA: Perdonate la citazione dai Fantastici 4 … ma a volte i pensieri del mio subconscio escono da soli e mi fanno scrivere quello che vogliono loro XD)

Yukio mi guardò parecchio male e si mise a ridacchiare. Che stupida. Va beh. Qualche secondo di follia ogni tanto aiuta a rinfrancare lo spirito. Comunque non successe niente.
Recuperai la concentrazione e cominciai a rievocare i ricordi dell’ultimo periodo.

Mi concentrai il più possibile, rievocai i ricordi degli ultimi giorni: pensai a mia madre, alla mia casa in cenere, alla mia vita ridotta in frantumi … ma non servì. Tutto ciò mi riempì solo di una gran tristezza e desolazione, senza aiutarmi a risvegliare le fiamme.

Provai, allora, a pensare a Iblis, quel bastardo figlio di ******* testa di *****. E lì sì che la rabbia si fece sentire. Oh, sì. Chiusi gli occhi e le emozioni presero il sopravvento.

Il mio cuore arse.
Per un attimo persi me stessa in un oceano di fuoco.

Aprii gli occhi e mi accorsi di cosa avevo combinato.

Ops.

Tutta la sala era in fiamme. Però non scottavano. Anzi, era quasi piacevole stare lì, nel tepore.
No, no, no. Dovevo fare qualcosa. Mi ridestai velocemente. Dovevo spegnerle. Attraversai di corsa la stanza, incurante del fuoco. Avevo visto un estintore. Lo afferrai e cominciai a spruzzare a destra e a manca, ma … niente. Le fiammelle parevano folletti che schivavano le fiamme giusto per il gusto di farmi arrabbiare. Dall’altro lato della sala, Yukio si stava dando da fare: infatti, lì le fiamme si stavano estinguendo. Decisi di aiutarlo, ma mi fece cenno di rimanere dov’ero. “È acqua santa! Non vuoi ustionarti gravemente, no?” urlò.

Comunque mi avvicinai e mi soffermai a guardare il saccone da boxe mezzo bruciato. E dico mezzo perché, con una precisione maniacale, la parte centrale non era stata minimamente sfiorata dalle fiamme. Fantastico. Scoppiai in una risatina isterica. Nel frattempo l’incendio era stato domato.
“C’è un po’ di lavoro da fare, eh?” mi disse Yukio avvicinandosi e dandomi un’amichevole pacca sulla spalla. “Scusa, è colpa della mia inesperienza. Almeno abbiamo scoperto che il tuo fuoco è parecchio resistente. Dai, riproviamo con qualcosa di più facile.”

[…]

Le molteplici settimane di appostamento avevano dato i loro frutti.
Finalmente ero riuscito a vedere il potere delle sue fiamme.
Niente male.
Sorrisi tra me e me.
Era esattamente ciò di cui avevo bisogno.
“Grazie, Iblis, mi hai fatto proprio un bel regalino”, pensai.

Mi alzai e stiracchiai le membra intorpidite dopo ore di immobilità.
Inspirai a fondo.
Ora non mi restava che avvisare Mephisto.
Quella vecchia volpe aveva in mente qualcosa che non mi piaceva … ma d’altronde gli affari sono affari, no?





 

Anglolino dell'autrice: ... and that's it. Spero di avervi minimamente incuriosito. Chi è il misterioso "socio" di Mephisto che parla alla fine? uh uh uh... 
E con questo vi saluto! A tra un pochetto (cit. Lillo & Greg, I love 610)
Ciao
FB13
P.S.: Recensite! 

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Capitolo 7
*** Why always me? ***


CAPITOLO 7: Why always me?!?

ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, ORE 00:18
 
Entrai sgattaiolando nello studio di Mephisto, accomodandomi delicatamente su una delle sue orrende poltrone rosa. E aspettai. Sapevo sarebbe arrivato. Ma che ovviamente sarebbe stato in ritardo.
 
Tirai fuori dalla tasca dei jeans il cellulare per controllare l’ora. 00:19. Quasi 20 minuti di ritardo. Sbuffai. Stavo per alzarmi ed andare via, quando la sua voce mi chiamò.
 
“Dove credi di andare?” disse Mephisto con quel suo solito tono arrogante.
 
“Beh, visto che non ci degni della tua …”. Mi interruppi. Ci …? Quando cominciavo a parlare al plurale non era un buon segno. Mi ripresi: “Volevo dire: visto che non mi degni della tua presenza …”
 
Lui sorrise, in quel modo viscido in cui solo lui riusciva. “Oh, va tutto bene, Tenebrosetto? Qualcosa ti cruccia? Oh, dimenticavo quel giorno è vicino…” disse lui in tono ironico.
Come se fosse cosa da nulla. Gli avrei tirato un cazzotto in faccia.

 
“Quante volte ti avrò detto di non chiamarmi così?”
 
Mi limitai a pronunciare queste parole. Sapevo bene che si divertiva a vedermi reagire, dopo anni di ‘collaborazione’.
Comunque non riuscii a nascondere del tutto il tono irato della mia voce, cosa che non sfuggì a Mephisto.

 
“Ma su, dai … era un scherzetto innocente!”. Poi improvvisamente la sua espressione divenne seria: “Comunque, il rapporto?”
 
“Ha talento. È un po’ troppo emozionale, ma col tempo potrebbe rivelarsi molto utile.”
 
“E l’altro?”
 
“Negativo. Niente di niente. Ma sei proprio sicuro che lui …”
 
“Sì”. La prontezza con cui mi rispose mi spiazzò. Mi limitai a stare zitto.
 
“Non manca molto. Ormai dovrebbe essere pronto. Gli serve solo … la giusta spinta.”
 
Esitai per un attimo, poi gli chiesi: “E per me?”
 
Sembrava che aspettasse solo questa domanda, dal ghigno che gli si aprì sul volto. “Tutto calcolato. Per la prossima luna nuova non correrai rischi.”
 
Ero sollevato, ma alquanto affranto. Mi congedai rabbuiato in volto.
 
“Buona notte” disse Mephisto.
“Insonne” aggiunsi io, bofonchiando. Sapevo bene che avrei dovuto combattere con i miei fantasmi, nel 'sonno'.
Come ogni singola notte, d’altronde.

 
 

Finirono le vacanze estive e sia Rin che Yukio tornarono a scuola. Io non ci andai. Shiro aveva piena fiducia in me e quando mi aveva chiesto cosa preferivo tra gli allenamenti e il farsi una vita sociale e nuovi amici, beh … non avevo avuto dubbi.

D’altronde avevo già perso un trimestre, con esami e tutto. Sarei andata direttamente alle scuole superiori senza interrompere l’addestramento. Più precisamente all’Accademia della Vera Croce, fra le grinfie di Mephisto. Sinceramente, voglia di tornare tra i banchi non ne avevo.

Avevo sempre odiato la scuola. O meglio, odiavo il sistema scolastico, LE PERSONE.
Insomma: professori che non ti valorizzavano e per cui eri un numero; compagni infantili, fighetti, scansafatiche e (diciamolo) stupidi; compiti a casa esagerati e assolutamente inutili.
Non mi era assolutamente dispiaciuto lasciare gli studi a 16 anni, quando mio nonno, fonte di sostentamento della mia famiglia, ci aveva abbandonate.
Era stata una scelta obbligata, quella di trovare un lavoro. L’indennità offerta dall’assicurazione di mia madre non era abbastanza. Il ricordo che avevo della scuola non era proprio felice.

Non fraintendete. Io amavo (e amo tuttora) lo apprendimento, la conoscenza. Studiare da sola, nel silenzio e nella quiete era una delle cose che più mi rilassava, ma dover sopportare quei tormenti di lezioni …

Così, andai avanti ad allenarmi per mesi. Passò settembre, ottobre e il tiepido autunno, passò l’algido inverno e con il timido sole di marzo fece capolino la primavera.
E mentre il mio rapporto con la mia nuova famiglia si faceva sempre più forte, io diventavo più forte e abile nel gestire e il mio potere, apprendendo anche le basi del combattimento corpo a corpo.
E con le pistole.
Oh, quanto amavo sparare! Ero nata per essere un cecchino. (NdA: Viva la modestia, né Angel?)

Mi sentivo appagata. Avevo ritrovato almeno un po’ di serenità. Una sorta di equilibrio, insomma.
Anche se alcune notti mi svegliavo ancora tra le lacrime e il dolore per tutto ciò che era accaduto non si era per nulla acquietato, Shiro era la figura paterna di cui avevo sempre sentito il bisogno, mentre Yukio e Rin si erano dimostrati due amici e fratelli meravigliosi.

Soprattutto con il maggiore si era instaurato un rapporto speciale, un’ alchimia sconosciuta per cui riuscivamo a confidarci tutto. Mi correggo, quasi tutto. Mi dispiaceva mentire a Rin sul mio passato, ma dovevo farlo per difendere il mio fratellino.

Finì l’anno scolastico. Rin fu ‘sbattuto fuori’ a calci dalle medie, non si iscrisse neanche a un liceo. Dopotutto, non era portato per lo studio. Si mise subito, però, a cercare un lavoro. Ovviamente tornava a casa malconcio ogni 3 per 2. Ma perché doveva sempre andarsele a cercare?

Yukio, oltre a medicare le sbucciature e gli occhi pesti di Rin, aveva vinto una borsa di studio per l’Accademia della Vera Croce (era un vero genio … lo stimavo un sacco!).

Sinceramente, non riuscivo a capire come avrebbe fatto Yukio a gestire il lavoro da esorcista e la scuola in contemporanea … e con ottimi esiti, per di più!

Shiro, beh … ormai lo consideravo un padre a tutti gli effetti. Era matto da legare (e insopportabile), per certi aspetti del suo carattere, ma comprensivo e altruista in altri. Una persona meravigliosa.

Insomma, tutto era filato a gonfie vele con la tacita e serena monotonia di cui avevo bisogno.


Fino a quel giorno.


Era cominciato come una qualsiasi giornata d’aprile. Cielo terso, venticello, uccellini che cantavano … e Rin che tornava a casa all’ora di pranzo dopo essere uscito il pomeriggio prima. E ovviamente aveva innescato una rissa con qualcuno.

“Ciao. Ancora la banda dei piccioni, eh?” bisbigliai io non appena Rin si fu seduto accanto a me. “Già. Non ho resistito. Come cacchio si può trovare divertente tagliare zampe ai piccioni?”

Yukio notò che stavamo confabulando. Dopo averci osservato per un po’, si accorse che Rin aveva le nocche sbucciate e sanguinanti. “Sei ferito … Hai fatto di nuovo a botte, vero?” disse con aria innocente. Ahia. Shiro si infuriò.

“Come pensi di riuscire a trovare la tua strada nel mondo se ti comporti così? Come vostro tutore io ho il dovere di rendervi persone responsabili! Te ne rendi conto?”
Rin serrò i pugni talmente forte che le nocche, ancora arrossate e sanguinanti, divennero bianche: “Io … Certo che lo so!!!” esclamò.

In quell’esatto momento la stufa esplose in uno strano bagliore azzurrino. Nella breve confusione generata da questo fatto, il volto di Shiro si rabbuiò in un’espressione indecifrabile. Un monaco entrò nella sala da pranzo, si avvicinò a padre Fujimoto e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio che io non capii.

“Angie, dà una mano a sistemare. Yukio, occupati di tuo fratello. E Rin …” disse Shiro: “… prendi questo. C’è un ristorante che avrebbe bisogno di un assistente. Tu te la cavi ai fornelli, no?” e se ne andò.
Adoravo quando Shiro mi chiamava Angie. Certo, era un soprannome un po’ infantile, ma affettuoso. Mi piaceva.

Tutta presa dal compito che mi era stato assegnato, non mi accorsi neanche che Yukio aveva finito con Rin. Un monaco ad un certo punto lanciò al maggiore un pacco contenente un abito elegante. Dapprincipio Rin non voleva indossarlo né tantomeno presentarsi al colloquio, ma bastò la promessa di ‘carne per cena’ per convincerlo.
Che stupido che era a comportarsi così. Shiro si faceva in quattro per lui e ciononostante la sua autostima rimaneva a livelli infimi. Certo, essere chiamato ‘mostro’ o ‘demonio’ sin dall’infanzia non doveva essere stato d’aiuto.

Andai un po’ in camera mia. Quando ridiscesi, trovai Rin che letteralmente litigava con la cravatta.
“Wah! Ma che diamine … Fa niente. Il mio sarà stile cool business.” affermò parlando tra sé e sé, poi mi notò. “Tu e la cravatta non andate troppo d’accordo, mi pare” dissi io. Arrossì lievemente: “Vero … Ma questa volta non me la sento di deludere il vecchio. Troverò un lavoro”. Una strana luce riluceva nei suoi occhi.
Non so perché ma mi incuteva timore. E ciò non mi piaceva.

“Senti …” continuò lui: “Ti andrebbe di accompagnarmi? Non voglio combinare casini, non so se m’intendo”
“T’intendi, t’intendi … Angel Akuma, servizio di baby-sitting completo. Only for you, nii-san”. Sorrise ampiamente.

Andammo da Shiro, il quale stava parlando con una famiglia. Probabilmente aveva dovuto esorcizzare un altro demone. Ultimamente aveva sempre più lavoro da fare.

“Tsk. Li hai imbottiti con qualche consiglio psicologico, no? I demoni mica esistono.” disse Rin con fare sprezzante una volta andati via gli ospiti.
Una piccola fitta al cuore. I demoni esistevano eccome e l’avevo imparato a mie spese.
“Non esattamente, Rin. Dimorano nel nostro cuore.” rispose il prete, poi continuò: “Piuttosto, come mai sei vestito così? E dov’è la cravatta”
“Beh, pensavo di andare al colloquio, dovevo almeno sembrare rispettabile. Comunque questo è stile cool business e …” “Ma che bugiardo. Vieni qui che te l’annodo io”

Shiro tirò a sé Rin e cominciò a mostrargli come sistemare il tutto. Io osservavo questa scena come un’estranea, da fuori. Era uno spettacolo bellissimo. L’amore paterno di Shiro era così autentico che provai un po’ di nostalgia. Rin poi era tenerissimo: cercava di fare il duro, ma le sue guance arrossarono ugualmente, rivelando il suo imbarazzo.

Sorrisi. La mia famiglia era straordinaria.

“E tu?”
Sobbalzai. “Io …? Beh, io lo accompagno. Così evitiamo che combini qualche disastro”
Shiro rise: “E pensare che da piccolo era così carino …” “Ma va là” rispose subito Rin: “Roba di cent’anni fa! Ora che sono un adulto …” ma non fece in tempo a finire la frase che Shiro lo interruppe con una fragorosa risata: “ Ahahahahahahahahahaha!!! Adulto? Io non vedo alcun adulto qui … Tu Angie?” mi chiese.
Anch’io risi: “No, non mi pare.”

“Pure tu, Angel …” ribatté Rin, poi, accorgendosi che non accennavamo a smettere, aggiunse: “Oh, al diavolo, state zitti!”. Allora Shiro intervenne: “Beh, se mi ritieni in torto, dimostrami che sei cresciuto!”

“Allora sturati gli occhi e stai a vedere, vecchio stordito! Angel, andiamo.” “Rin, non si dice ‘sturarsi gli occhi’ ma ok. Angie, mi raccomando. Tienilo d’occhio.” Io prontamente risposi: “Roger!” mettendomi sull’attenti.

Rin stava ancora pensando al fatto che non si dice ‘sturarsi gli occhi’, quando un piccolo e insignificante Coal Tar gli svolazzò accanto.

E lui si girò.

L’aveva notato? Com’era possibile? Mi girai verso Shiro con uno sguardo interrogativo. Lui ricambiò con un’espressione che valeva più di mille parole.
Qualcosa non andava.

Man mano che ci avvicinavamo alla Strada della Croce Meridionale, dove si trovava il ristorante, Rin sembrava sempre più perplesso: aveva cominciato a reagire alla presenza dei tantissimi demonietti nell’aria.
Li scacciava con le mani, si stropicciava gli occhi.
Per saperne di più gli chiesi: “Cosa stai facendo? Perché continui a fare strani gesti con le mani?”. Lui, visibilmente imbarazzato, rispose:”Niente. Ci sono tanti insetti oggi. Strano, no?”

Stavo per dirgli che di insetti non ce n’erano, che erano demoni, che ciò che stava accadendo mi spaventava e preoccupava, dai, Rin, torniamo a casa, quando qualcuno urlò: “Okumura!”

Ci girammo entrambi. E quello che vidi non mi piacque per niente. Capii immediatamente che si trattava di una possessione umana.
Il ragazzo che mi trovavo davanti si presentava come il classico figlio di papà.
Abiti firmati, piercing, sguardo strafottente, tre ragazzoni che gli andavano dietro.
Ma ciò che più mi preoccupava era la coda, lunga e flessuosa e nera. E poi le corna, simili a quelle di un ariete, che gli spuntavano dalla testa.

Un brivido mi scosse quando mi accorsi che Rin poteva vederlo. Aveva un’espressione talmente stupita che non poteva esserci altra spiegazione.
“Rin, andiamo via … dai. Non mi piacciono questi tipi.”
“Shhhh … Angel, non succederà niente. Sono quelli dei piccioni di ieri. Dopo la lezione che gli ho dato non cercheranno altre rogne.” Poi aggiunse, vedendomi per niente convinta: “Fidati di me.

Fidarsi. Più facile a dirsi che a farsi.

“Che c’è Okumura? La tua ragazza ti tiene al guinzaglio?” disse con tono provocatorio il demone.
Gli idioti al suo seguito sghignazzarono sguaiatamente da bravi sgherri.
Le guance di Rin si tinsero lievemente di rosso. Si girò con innaturale lentezza, nei suoi occhi comparve qualche riflesso bruno. Rabbia o … qualcosa di peggio?

“È mia sorella, sfigato. Che fai, cerchi guai?”
Ora mi faceva paura. Non l’avevo mai visto così, aggressivo e sulla difensiva. “No, no di certo. Hai un minuto?”

Il giovane schiuse le labbra, passandosi la lingua appuntita sui canini, straordinariamente lunghi e affilati. Rin annuì: “Se non ci mettete troppo …”
Io rimasi immobile. Guai, guai e ancora guai. Ero preoccupata, spaventata quasi, anche perché, se quel ragazzo era veramente posseduto dal demone, avrebbe potuto segnalare la mia posizione a Iblis, che per tanti mesi mi aveva ignorato.

Entrammo in un vicolo.
“Bene, per farla breve … Quanto vuoi?”
“Come?” rispose Rin.
“Hai capito bene. Sai com’è, sto per entrare all’Accademia della Vera Croce e …”
Lo interruppi: “Il silenzio, eh? È questo che vuoi?”

Odiavo quel genere di persone, che credono di poter comprare qualunque cosa. Intervenne Rin, ponendosi tra me e gli altri, proteggendomi. Solo più tardi capii che con quel gesto mi aveva salvato la vita.

“Non mi serve il tuo denaro, terrò la bocca chiusa.”
“Ma su, dai. Non tentare di fare il figo. So bene che siete dei morti di fame, tuo fratello si è fatto un mazzo così per entrare all’Accademia. Prendili e basta, almeno non sarete in debito con la socie…”

Non finì la frase.  Rin lo aveva steso, improvvisamente infuriato, con un gancio destro rapido e potente.

“Non ti permetter di insultare la mia famiglia!”
Subito un tirapiedi gli fu addosso, lo colpì da dietro, sbattendolo violentemente a terra.

“Angel, scappa!” mi urlò Rin. No, non volevo. Non potevo. Ma non avevo scelta. Scattai proprio nell’istante in cui il demone urlò: “Prendila!”
E subito un altro di quei brutti ceffi mi fu dietro.

Corsi, corsi e corsi. Quello scimmione era veloce, cavolo! Ma mai quanto me. Svicolai tra la folla e feci perdere le mie tracce. Dopo averlo seminato, raggiunsi il monastero il più velocemente possibile.
 
“Shirooooo!!!” urlai, trafelata, l’adrenalina e il terrore che scorrevano nelle vene.
“Angel, cosa c’è? Hai una pessima cera …” disse lui, ma dal suo sguardo sembrava che sapesse già cos’era successo.
Ansimai, con le lacrime agli occhi: “Li vede … riesce a vederli, Shiro! E uno di loro l’ha catturato … Shiro, cosa sta succedendo a Rin?”

Ora le lacrime scendevano copiose, gelide sul mio viso bollente. Qualche fiammella scarlatta cominciava a uscire dal mio corpo.

“Angel, calmati.
Controllati.
Respira.
Ok, ora andiamo. Seguimi.”

Mi prese per il braccio e mi trascinò via. Correva molto veloce. Mi portò per stradine a me sconosciute. Ebbi una sensazione di dejà-vu. Cos’era, circa il capitolo 1? (NdA:  -.-" Angel, sei pessima.)

Giungemmo nel vicolo e nell’osservare ciò che era successo il mio cuore smise di battere. Rimasi senza fiato.
Delle fiamme blu, le SUE fiamme blu andavano qua e là, segno che qualcosa era andato veramente storto.
Ma Satana non poteva essere stato qui. Non avrebbe avuto senso … In quel momento realizzai.

“No. Rin. Nii-chan. No no no no. Non Rin. Non anche lui.”

Perché le fiamme partivano da lui? Non ci volevo credere. Era impossibile.
Incontrai il suo sguardo. Era stupito, impaurito, sconvolto.

Perché lui? Perché sempre a ME?!?

“Nel cuore di questo giovane risiede un demone … Oh, mio Signore, a coloro che commettono atti indegni della tua gloria dispensa la giusta punizione, ripaga l’iniquità con l’equità … Riversa su di essi la tua divina collera …”

“Tu … Bastardo! Maledetto ESORCISTA!”

“Sia lodato il Signore” disse Shiro con il sorriso sulle labbra.

Il volto del demone si contrasse in una smorfia di puro odio, la lingua passò saettante tra i canini taglienti. Si gettò contro Shiro con rabbiosa foga, scattando velocemente.

“Ti tapperò quella lurida bocca, prete da quattro soldi!”  Con un rapido movimento, Shiro scansò il colpo.

 “Il Signore è il mio alleato.”

Altro attacco schivato.

“Il Signore è il mio scudo.”

Shiro torse il polso del ragazzo, sbattendolo a terra. Tracciò un grande 4 nell’aria.

“Demone … per te è giunta la fine!”

Non appena Shiro ebbe pronunciato queste parole, dalla bocca del bullo fuoriuscì una nube di fumo nero, con un urlo agghiacciante il giovane si accasciò a terra, privo di sensi. La coda sparì, i canini tornarono a dimensioni normali, le corna scomparvero.

Shiro cominciò a parlare a Rin, ma io non sentii neanche una parola. Ero scioccata. Mi sentivo MORIRE dentro. Ma non dovevo farlo vedere. Mi morsi l’interno della guancia fino a farla sanguinare. Un sapore ferroso mi invase la bocca.

Perché… ?

Cercai di farmi forza, quel po’ di adrenalina che mi era rimasta nel corpo si fece sentire.

“Cosa sono, io?”

Una domanda semplice, una risposta terribile.

“Rin, tu sei nato dall’unione di una donna umana e di un demone. Ma non di un demone qualsiasi.”

Silenzio. Il tempo si fermò.

“Tu se figlio di Satana.”

Shiro pronunciò queste parole con una freddezza consapevole che mi fece ardere dentro. Dovetti concentrarmi tantissimo per non scoppiare e lasciare che le mie fiamme si manifestassero. Non ci volevo neanche pensare, mi limitai a seguire apatica Shiro, le gambe che a stento mi reggevano.

Arrivammo velocemente al monastero, Shiro ci portò in una stanza spoglia. “Devi andartene da qui, Rin. Angel verrà con te.”
“Ma io … No! …” cercai di intervenire, ma il prete mi zittì: “Sei in pericolo quanto lui, se non di più”

Con ansiosa foga, Shiro aprì in cassetto con una chiave, che spiegò essere la Chiave della Scomparsa, e ne tirò fuori una spada.
“Questa è Kurikara, la soggioga - demoni. Sigilla i tuoi poteri demoniaci, quindi se la aprirai il tuo corpo ritornerà a essere quello di un demone e non potrai più vivere da umano. Tienila sempre con te. SEMPRE. E quando non puoi, nascondila con la Chiave della Scomparsa.”

Poi mi lanciò un cellulare. “Angel, da adesso Rin è affidato a te. Chiama il numero in rubrica. Lui saprà aiutarvi.”

“SCORDATELO!” sbottò improvvisamente Rin. “Tu … mi parli di demoni, così, come niente! Ma esistono davvero? E poi cos’è questa storia che devo andarmene? E il colloquio di lavoro? Io volevo … diventare una brava persona, fare del mio meglio …”

Rin era sconcertato. “E Yukio?”

“Siete gemelli eterozigoti, dopotutto. Il tuo feto era più forte e tutto il potere è andato a te.”

“Ma allora … perché non mi hai mai detto niente? No, tu non lo fai per la mia incolumità … Mi stai abbandonando! Stai solo cercando di addolcire la pillola! Dillo chiaramente! NON FARE MAI PIÙ FINTA Di ESSERE MIO PADRE!”

Schiaff! Shiro aveva colpito Rin con un sonoro schiaffo. Shiro si accasciò a terra, bofonchiando qualcosa.

“Ora vai, stupido! Angel, portalo via! Via da ME!”
Afferrai Rin per un braccio, ma lui si divincolò e raggiunse Shiro.

Il prete parlò. O meglio, la voce veniva da lui, ma non era la sua. Era rauca, metallica, inumana.

“Figlio mio … Ho atteso con ansia questo momento!”

Poi la risata. Malvagia, perforante, così crudelmente divertita.

“Ahahahahahahahahahaha!!! Wahahahahahah!!! BWAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!!!”

E l’esplosione di fuoco blu.

“Tu … sei un demone …?” Rin era terrorizzato. E io pure, anche perché ero ben più consapevole di chi avevo davanti.

“Io sono Satana, Supremo signore dei demoni, nonché il tuo creatore … Puoi chiamarmi ‘papà’!”

Altra risata. Satana si avvicinò a Rin, che rimase inerme a terra, paralizzato. Scattai nella sua direzione, mettendomi esattamente tra lui e il re dei demoni.

“Oh, ma chi abbiamo qui? Ma quale onore incontrarti proprio qui, cara la mia nipotina … Credo che oggi farò jackpot! Due nuove armi al prezzo di una! Ahahahahah!”

Ahia. Non avrebbe dovuto dirlo. Rin mi guardò con uno strana espressione sul viso: “Nipote …?” lessi nei suoi occhi.
Intanto Satana si era allontanato e si era staccato due dita. Sì, proprio strappate, incurante del dolore.

Il corpo di Shiro si stava lentamente consumando, vene che scoppiavano e davano inizio a emorragie ovunque, sangue dal naso e, cosa che più mi impressionava, dagli occhi, che si erano notevolmente dilatati e che rilucevano di luce blu e rossa.
Sangue, sangue ovunque.
Il demone cominciò a emettere strani versi, mentre in terra si formava sempre più nitida una sagoma rettangolare.

“Solo io tra i demoni sono capace di farla apparire … La porta di Gehenna!”

Un enorme demone comparve sul pavimento. Sembrava una grande bocca, più che una porta. Teschi di demoni ne contornavano il perimetro, due grandi occhi viola sbucavano di lato minacciosi. Quello che c’era nella bocca era un’indeterminata poltiglia nerastra, che bolliva e sembrava non avere fondo.

“Bene, muoviamoci. Andiamo a Gehenna. Prima però” disse Satana, avvicinandosi alla Kurikara: “Occorre liberarti da questo irritante sortilegio.”

“NOOOOOOOO!!!” urlai, scagliandomi contro di lui. Non potevo permetterlo. Nii-chan aveva l’opportunità di rimanere umano, e non potevo stare lì senza far nulla vedendo il futuro del mio fratellino andare in frantumi.

Mi concentrai, e in una frazione di secondo evocai il fuoco di Iblis. Non avrei voluto mostrare la mia natura a Rin, ma la situazione era critica.
Focalizzai la mia energia sul mio pugno, che venne interamente ricoperto di fiamme. Mi lanciai con tutta la forza che avevo verso di lui.

Mentre pilotavo le mie fiamme verso Satana e mi avvicinavo sempre di più, pensai a Shiro.

Grave errore.

Perché sì, quello era ancora Shiro, il mio papà, non potevo ferirlo, no, non volevo …

In quella minima frazione di secondo, Satana riuscì a schivare il mio montante, afferrò il mio braccio, me lo torse, facendomi cadere a terra e gemere per il dolore. Sentii che mi piantava un’unghia nella carne della schiena, tra le scapole. Poi pronunciò qualche parola incomprensibile, e io cominciai a sentire un forte dolore provenire esattamente da lì, caldo, sgretolante.

“Ti piace, piccola impertinente? Sono le MIE fiamme che, proprio in questo esatto momento, stanno corrodendo il tuo bellissimo corpo dall’interno. Oh, già, ti impediscono anche di muoverti. Ma non di vedere. Goditi la scena mentre il tuo fratellino viene riportato alla sua forma originale.”

Il signore dei demoni emise queste parole con un alito di voce, appena percettibile, che arrivò a me misto con un odore di sangue che mi fece quasi vomitare.
E intanto impazzivo dal dolore.

“Non … l’avrai … vinta …” sussurrai. “Oh, sì.” rispose lui. E mi lanciò nella porta.

Mi sentivo sprofondare, lentamente, inesorabilmente. No, non poteva finire così.
Rin.

Rin.

E intanto tutto si faceva ovattato, i suoni non giungevano più alle mie orecchie. Vedevo solo, e soffrivo.

Rin che manifestava il suo potere per difendersi.
Rin che si dimenava, afferrato dalla morsa di Satana.
Rin che veniva gettato nella porta con me.
Rin che provavo in tutti i modi di uscire, di salvarci entrambi.
Satana che rideva.

Poi.

Satana che non rideva più, improvvisamente con una croce piantata nel cuore.

Shiro.

Il corpo esanime di Shiro che cadeva, inesorabilmente, in avanti, nella voragine aperta per Gehenna.
E a quel punto non volevo più guardare. Ma non potevo, ormai le fiamme di Satana mi avevano completamente paralizzato, non potevo muovere un muscolo. Il respiro mi si faceva sempre più pesante e difficoltoso.

Rin continuò ad agitarsi, finché lo sguardo non gli cadde su Kurikara.

‘No.’ pensai.

Capii dal suo sguardo che aveva preso una decisione. Afferrò la spada e la sguainò.

Tutto divenne blu. Vidi il corpo del mio fratellino trasformarsi in quello di un demone.
Canini, orecchie, coda. Tutto. Dopo, con un solo fendente, Rin squarciò la porta di Gehenna, che scomparve nel nulla.

Il dolore cominciò a languire. Rin mise nel fodero la spada, le lacrime agli angoli degli occhi impossibili da trattenere.
Io mi trascinai con il solo uso delle braccia accanto a Shiro.
Perché non era, non poteva essere morto.
Strisciai fino a lui e raggiunsi la sua mano. Insanguinata, senza due dita, ma la sua mano.

“Padre …” pianse Rin, accanto a me.

Chiusi gli occhi, sperando di potermi svegliare nel letto, come se fosse stato solo un incubo. Oppure di scomparire per sempre.

Perché sempre a me …? 




Angolino dell'autrice:

Eccomi... ? Sono veramente qui...? Dopo tutto questo tempo? Ebbene sì, ora che la scuola mi dà un po' di tregua, posso anche permettermi di ricopiare ciò che scrivo al computer! YEEEEEEEEEE!!! *tutti la guardano male*.
Ok, ok. Dunque, cosa ne pensate del capitolo? Vi incuriosisce il nuovo personaggio? E cosa ne pensate di Angel?
Fatemi sapere tramite recensione e/o messaggio personale. Critiche ben accette.
Grazie a tutti (evito le sbrodolate dello scorso capitolo XD) e alla prossima! \(^-^)/

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Capitolo 8
*** Wonderful life. ***


CAPITOLO 8: Wonderful life. 


MONASTERO MERIDIONALE, ORE 16:35



Pioveva.

Il giorno del funerale di Shiro pioveva. E così un’altra vecchia conoscenza era andata.
Ah, beh. Se l’era cercata. Io gliel’avevo sempre detto di tenersi fuori dai guai, ma lui no: mai una volta che mi desse retta.
D’altronde, chi ero io per dar consigli al Paladin? Eh, se solo mi avesse ascoltato …

“Ahahahahah … ancora questi pensieri? Come sei monotono …”
Una risata rauca risuonò nella mia testa
“Zitto, tu!” pensai stizzito. “Non è il momento!”
Infatti non avevo tempo per questo.
Avevo un compito da portare a termine.


Pioveva.

La pioggia scendeva pesante, gocce come macigni, che dissolvevano ogni riparo, lavavano via ogni protezione. Nuvoloni scuri rendevano l’aria, già satura di umidità, ancora più irrespirabile, quasi soffocante. La tristezza nell’atmosfera era estrema, tutti bisbigliavano senza dire niente di importante, cercando di evitare di menzionare i fatti. I vari monaci si facevano forza tra loro. Così, come se nulla fosse accaduto. 
Io ero zitta. Non avevo aperto bocca da quando Shiro non c’era più. Non volevo ancora rassegnarmi all’idea che se n’era andato per sempre, così come mia madre e mio nonno. Puff, nell’immensità del nulla.

Avrei voluto parlare con Rin, confortarlo, proteggerlo, e altrettanto con Yukio, chiedere consiglio, dargli il mio appoggio, e invece … niente. Le parole restavano bloccate a mezz’aria, neanche un fiato usciva dalla mia bocca. 

D’altro canto neanche Rin aveva voglia di parlare. Probabilmente non sapeva bene cosa pensare, io invece avevo ben chiare le domande che lui si stava ponendo, dopotutto ci ero passata anche io: perché tutto ciò è dovuto accadere? Avrei potuto evitarlo? Perché nessuno mi ha mai detto nulla? Sono veramente un mostro? 

Ma quella che più mi spaventava era: e Angel?

Già, e io? Io che erano mesi che mi addestravo, ero pronta, le fiamme le governavo decentemente (più o meno), io che avrei potuto far fuggire Rin in tempo, io che non avevo potuto fare niente, niente di niente. 
Io che mi sentivo in colpa. Non solo avevo combinato un disastro con Rin mostrandogli la mia vera natura, ma l’avevo fatto inutilmente. 

Dopo la cerimonia, tutti cominciarono ad andarsene. Io rimasi lì, appoggiata al cancello del cimitero, a guardare il vuoto, nella direzione di Rin, che invece era davanti alla lapide di Shiro. Io non lo raggiunsi. Shiro non meritava di vedermi. Era colpa mia, avrei potuto difenderlo, forse salvarlo. 
E intanto la pioggia continuava a scendere, goccia dopo goccia colpiva il mio viso, mescolandosi a quelle poche lacrime che scappavano al mio controllo. 

Yukio mi si avvicinò.
“E così è successo. Me l’aspettavo. Era prevedibile. Ma prevedere non è abbastanza.”
Strinse i pugni. Io cercai il conforto delle sue mani, calde nonostante le condizioni atmosferiche. 
“Yukio, ora … che ne sarà di Rin?” chiesi con tono esitante e voce roca. Erano le prime parole dopo giorni.
“Avrà 3 opzioni: soccombere e essere eliminato dell’Ordine; uccidere tutti e scappare; suicidarsi. Non avrà possibilità di scelta.”
“Ma come … Mephisto non …” 
Già. Mephisto. Ero davvero così sicura che ci avrebbe protetti tutti e tre? 
“Quell’uomo è fuori da ogni schema. Impensabile prevedere ogni sua mossa.”
L’aria era grave, tra noi due cadde un silenzio teso. Yukio indossava una maschera di marmo: nessuna emozione traspariva dal suo volto, completamente inespressivo. Anche il suo modo di parlare era freddo, come quello di un automa che aveva rinnegato i suoi sentimenti.

 
Mi acquattai dietro una tomba, la più grande che c’era. Posizione perfetta.
Tirai su il cappuccio e chiusi l’ombrello.
Alzai la sciarpa fino a coprirmi quasi interamente il viso. In mano un ritaglio di cotone nero. 
Ora dovevo solo aspettare.

 
Sospirai e mi diressi con passo pesante verso Rin.
Volevo portargli un ombrello: non poteva stare lì sotto l’acqua per sempre. Avrebbe potuto, ne sarebbe stato capace, visto il suo stato d’animo.
 
Ancora qualche attimo …

Ma mentre mi avvicinavo, qualcuno mi prese per il braccio e mi tappò la bocca, trascinandomi dietro una tomba monumentale.

Ci siamo!

Rapidamente, la persona che mi aveva afferrato mi bendò con un pezzo di stoffa nero. Mi ritrovai avvolta dall’oscurità.
Avrei voluto vedere in faccia il rapitore, ma ora mi era impossibile. 

“Chi sei, codardo? Fatti vedere!” tentai di urlare, ma quello che ne uscì fu un: “MffffMMMhhng, fammngheee!”
 
“Shhhh, non vorrai che ci sentano, forse?”

Al suono di una voce suadente mi zittii, e una volta calma lo sconosciuto tolse la sua mano dalla mia bocca.
 
Era stato più facile del previsto, si era arresa subito.
“Molto bene. Sono qui per portarti un messaggio.
Non potrò rispondere a nessuna delle tue domande, ambasciator non porta pena. Anche perché non so quali siano gli ordini.
Ho messo nella tasca sinistra dei tuoi jeans una busta. Segui le istruzioni alla lettera, in cambio avrai un piccolo compenso che, fidati, ti farà piacere.
Ah, dimenticavo. Non ti conviene rifiutare. A farne le spese sarebbe la tua famiglia.
O ciò che ne è rimasto.”

Annuii. Ero basita e spaventata. Chi poteva essere il misterioso mandante? Cosa voleva da me? E poi, perché proprio me?
 
Non avrei voluto parlarle in modo così meschino e malvagio. Lui aveva perso il sopravvento, di nuovo.
Angel Akuma era immobile davanti a me, non so se per lo shock, per la paura o se stesse semplicemente riflettendo.
Manteneva comunque un’ ottimo autocontrollo e non sembrava cedere alle mie frecciate.
Le ciocche arancioni le cadevano disordinatamente sul volto, bagnate fradice, una in particolare le accompagnava il contorno del viso, sfiorandole dolcemente zigomo, guancia, labbra e terminando in bocca. Probabilmente succhiare continuamente i capelli le serviva a sfogare il nervosismo.
Ogni tanto le labbra, sottili ma ben colorite, venivano scosse da un fremito, allora con delicatezza se le mordicchiava. 
Che fiorellino incantevole.
Tanto innocente d’aspetto quanto letale.
Mi sarebbe venuta voglia di accarezzare quel suo viso vellutato, di passarle una mano tra i capelli, di guardarla negli occhi, di comprenderla.
Ma non potevo. E poi chissà come avrebbe reagito lei …
“Sei un coniglio, J. Suvvia, lasciami prendere il controllo … poi ci divertiamo …” intervenne l’altro.
“NO! Smettila!” sbraitai nella mia testa. Ripresi il controllo, scuotendo il capo.

 
Mi morsi il labbro. Non sapevo cosa pensare.
Cercai di rimanere lucida e di mascherare il mio turbamento, quindi tirai fuori un briciolo di coraggio e di determinazione e dissi: “E chi sei tu per permetterti di darmi ordini così? Cosa sai di me?” cercando di essere più dura, decisa e sicura di quanto non fossi.
 
“Di te so tante, troppe cose, cara la mia ‘signorina - dalle - fiamme - rosse’.
Ah ah ah ... Non sarei venuto proprio da te, altrimenti.
Chi sono io …? Io, beh … Puoi considerarmi un …
… AMICO.”
Respirai a fondo, impregnando nella mia memoria il suo profumo.

Detto ciò, mi sentii libera dalla morsa ferrea dello sconosciuto.
La benda che avevo sugli occhi si allentò, cadendomi in faccia e ostacolando ancora la visuale. Tentai di girarmi il più velocemente possibile.

Sparito. Svanito nel nulla. Non poteva essere umano, la velocità con cui si era dileguato non era raggiungibile neppure da un Bolt in versione ninja.

Mi scostai i capelli fradici dagli occhi. Poi, presa da un improvviso impeto, frugai nella tasca sinistra sul retro dei jeans.
Trovai una busta giallastra, che velocemente strappai. Al suo interno c’era un foglietto rigido del medesimo colore.
In caratteri europei (e stranamente non in ideogrammi) era riportata una frase in inglese, scritta in una anonimo stampato a lettere rosse:

‘ATTEND THE SPECIAL CLASS AT TRUE CROSS ACADEMY’

“Che?” bisbigliai. Avevo tradotto in fretta, l’inglese non è una lingua difficile.
Corso speciale? Forse Mephisto avrebbe potuto spiegarmi qualcosa in merito … 
Proprio in quel momento lo vidi: il preside dell’Accademia, accompagnato da qualche esorcista dal volto coperto,  si stava avvicinando alla tomba di Shiro, davanti a cui stava Rin.
Passo pomposo, atteggiamento arrogante, cellulare in mano (rosa, dotato di millantordici ciondoli) che squillava e ombrello rattoppato e sgargiante.

Rin alzò lo sguardo, stupito che il numero datogli dal padre appartenesse a quel bislacco individuo.
“Buongiorno, Rin Okumura! Mi chiamo Mephisto Pheles, ero un caro amico di padre Fujimoto. Ti porgo le mie condoglianze”
“Voi siete … esorcisti?”
“Siamo l’Ordine dei Cavalieri della Vera Croce. E siamo venuti a prendervi.”
“Il vecchio mi ha detto che vi sareste presi cura di me. Di noi.”
“Beh, vedi, come cavaliere onorario ho responsabilità e obblighi da seguire. E mettere a rischio la sicurezza dell’Ordine perché ho mescolato lavoro e affari privati sarebbe … terribilmente sconveniente.”
Mephisto fece una pausa ad effetto.
“Ti restano dunque due opzioni: o ti consegni a noi senza troppe storie, o ci uccidi tutti e scappi. Pardon, esiste anche l’ipotesi del suicidio. Allora? Cosa scegli?”

Ero incazzata nera. Quel bastardo non poteva trasgredire i patti così. Decisi di fare il mio ingresso in scena. Mentre mi avvicinavo, applaudii più volte, distanziando ogni battito per dargli maggior enfasi.

“Ma. Che. Bravo. E quindi è così che stanno le cose? Non credo proprio.”
Mephisto perse l’odioso sorrisetto e la sua faccia divenne gelida, quasi infastidita.

“Oh, Angel cara. Ma quale piacevole sorpresa.” disse lui, freddo.
Io continuai, ignorandolo: “Non facciamo parte del tuo lavoro? A me proprio non risulta. Tu hai firmato un contratto! Non puoi farci questo!”
“Certo, lo so, e su questo hai ragione. Ma perché continui a usare questo fastidioso plurale? Io non ti ho mai parlato di un ‘voi’ … solo ‘tu’.”

Rimasi basita e per un attimo tutte le parole mi si bloccarono in gola, soffocandomi, strozzandomi.
Rin mi si avvicinò e mi bisbigliò in un orecchio: “Come fai a conoscere quest’uomo? Chi sei tu?”
Sentii la sua voce incrinarsi, ma non potevo voltarmi per via di Mephisto.
Cominciavo a capire cosa aveva in mente quel lurido verme, non potevo permettermi di lasciargliela vinta. Anche perché la rabbia cresceva.
Mi limitai a sussurrare: “Praticamente … Tua nipote. Vorrei essere più esauriente, ma-”

Mephisto mi interruppe. Si era ristampato in faccia l’irritante sorriso.
“Bene, bene, bene. Dicevamo: io sono venuto a prendervi. Ma le vostre destinazioni non coincidono.”

“No!” esplosi io con veemenza, il sangue che ribolliva d’ira. “Non puoi dividerci! Non te lo permetto! Io … io … io mi rifiuto!”
“Non ti conviene, dolcezza. È un ordine” Pronunciò queste parole con particolare determinazione, come se fossero qualcosa di più di una semplice intimidazione.
“Me ne infischio dei tuoi ordini!”

“Risposta sbagliata.”

Mephisto schioccò le dita, guardandomi con un ghigno malefico, quello di un avvoltoio famelico che ha appena trovato una succulente preda morente.
Improvvisamente, cominciai a sentire un fastidio alla spalla sinistra e d’istinto mi toccai la pelle irritata con la mano.
Il clown continuava a fissarmi, gli occhi impenetrabili che sembravano cercare qualcosa.
Il fastidio si mutò in dolore, pungente e penetrante. Sembrava che mi stessero marchiando a fuoco, come un qualunque capo di bestiame. Caddi in ginocchio, non resistevo più. Digrignai i denti nel tentativo di trattenere un gemito. Rin mi fu subito accanto.

“Angel! Che ti succede? Rispondimi! Angel!”
La spalla mi stava andando a fuoco. Non riuscivo a proferir parola.
Alzai faticosamente la testa e rivolsi uno sguardo carico d’odio a Mephisto, che se la stava ridendo di brutto.

“Ahahahahah!!! Vedi, caro angioletto? Come hai detto prima, abbiamo firmato un contratto, secondo cui non dovevi trasgredire ai miei ordini. E mentre io lo sto pienamente rispettando, tu sei appena venuta meno alla parola data. Per cui … entra in gioco una piccola clausola secondaria. Ne discuteremo dopo, con calma, in quanto tu verrai con me.”

“Invece tu, Okumura Rin, hai avuto abbastanza tempo per pensare, dopo l’affascinante teatrino che la qui presente giovincella ci ha generosamente donato.” disse allora Mephisto rivolgendosi a Rin:
“Allora, figlio di Satana?”

Rin, ancora inginocchiato accanto a me, mi rivolse uno sguardo preoccupato, intenso. Ma straordinariamente deciso.

“FATEMI DIVENTARE UNO DEI VOSTRI!”  urlò alzandosi di scatto. Mephisto sgranò gli occhi, completamente sorpreso dall’affermazione di Rin.
Come chiunque avesse sentito ciò che aveva detto, me compresa.

Per un attimo dimenticai il dolore alla spalla, che tra l’altro andava scemando, e mi alzai faticosamente.
Mephisto ridacchiò divertito, come se gli si stesse raccontando una barzelletta.

“Ah, sì? E cosa credi di fare una volta che sarai ‘dei nostri’?” disse marcando le ultime parole e canzonando un po’ Rin.

La risposta mi fece sobbalzare. “Massacrare Satana!”

L’aria, già pesante, si fece irrespirabile. Tutti gli occhi erano puntati su Rin, che al momento sosteneva lo sguardo di Mephisto con aria di sfida.
Le iridi blu ardevano di decisione, le braccia erano rigidamente dritte per la tensione. La mano destra stringeva convulsamente qualcosa.
Era … la Chiave della Scomparsa. L’ultimo dono di Shiro, quell’oggetto che gli sarebbe dovuto servire per nascondere Kurikara. E che non sarebbe stato mai più usato per questo compito.

Mephisto scoppiò a ridere come un imbecille ubriaco. Cosa ci trovava di così divertente? Rin aveva fottutissimamente ragione...
Perché non ci avevo pensato anche io? In fondo, chi era l'origine di tutti i miei mali? Mio padre, solo mio padre!
Giurai solennemente a me stessa che l'avrei aiutato con tutti i miei mezzi.

“Lord Pheles …” disse un esorcista, nel tentativo di contenerlo. Tsk. Impossibile.
“Oh, erano anni che non ridevo così … e sia! Mi hai convinto!”
“Ma … Lord Pheles!” tentò di nuovo lo stesso di prima. Povero illuso. Mephisto lo zittì con un gesto. 

Aveva ceduto troppo facilmente. Non riuscivo a levarmi di dosso l’impressione che fosse tutto una montatura, che tutto facesse parte di un piano preesistente, ben studiato. Come se fossimo solo pedine di un gioco molto, troppo grande per noi.

"Sei sicuro della tua scelta, figlio di Satana?" domandò allora Mephisto, ancora con le lacrime agli occhi per le troppe risate.
"Io... Non sono né umano né demone, quindi..."
Alzò lo sguardo, prese un respiro profondo e dichiarò (forse più a sé stesso che ai presenti)
"DIVENTERÒ UN ESORCISTA!"
 
Oh. Questa non me l’aspettavo. Il figlio di Satana un esorcista? Era talmente … assurdo. Comico, quasi.
Un’altra interessante variabile. 
Da una parte il signore supremo dei demoni e colui che domina il fuoco.
Dall’altra i rispettivi figli. 
… e poi ci siamo io e Mephisto.
Prima o poi tutte queste forze non avrebbero saputo convivere insieme.
Mi spostai velocemente da una tomba all’altra, sempre rimanendo in ombra. Dovevo assistere a quella scena. 
“Angel Akuma … Come reagirai?” borbottai compiaciuto tra me e me. 
‘Tsk. Ma sentiti. Sembri Mephisto. Patetico.’
Deglutii pesantemente dopo questo pensiero e mi nascosi nuovamente.

"Cosa mi hai fatto, lurido bastardo?!?!?" sbraitai contro Mephisto non appena rimanemmo soli. Feci sbucare fuori la coda, la cui punta si stava infiammando.
Ero troppo arrabbiata.
"Suvvia, figliuola... Non é niente di così grave. Solo una piccola, innocente clausola..." mi rispose il demone, passandosi lievemente la lingua tra i canini. Poi continuò: "… che tu non avevi notato."

Si fermò, e con un solo balzo mi fu alle spalle. "Ti avevo avvertito. Avresti fatto meglio a non trasgredire agli ordini." 
Avevo paura. Di quell'essere non avrei mai dovuto fidarmi.
Ciononostante nascosi le mie emozioni come avevo appreso, reprimendo rabbia, odio e anche timore. Respirai a fondo. Una, due, tre volte.
La fiammella scarlatta che si era accesa sulla coda di spense.

"Ebbene, Vostra Magnificenza vorrebbe cortesemente degnarsi di illustrarmi cotale postilla?" dissi sfoderando il tono più ironico e pomposo che potessi, insieme al sorriso più falso. Uguale a Mephisto.

La sua bocca si schiuse in un ghigno ancor più divertito, come se non stesse aspettando altro. 
"Ma certo, oh giovine madamigella. La clausola ti legava a me in modo, uhm, come dire..." disse imitando qualcuno che cercava disperatamente di ricordare qualcosa: "... Totalmente vincolante. In parole povere, tu sei obbligata a seguire ogni mio ordine"

Non riuscii ad aprir bocca. Come potevo essermi fatta sfuggire un dettaglio così importante?
Scioccata, con un fili di voce dissi: "... Come un cagnolino. Sono diventata il tuo cuccioletto scodinzolante." 
Mephisto ridacchiò: "Eh già. Hai afferrato subito." Poi vedendo la mia espressione, aggiunse: "Ma su, non c'è nulla di male... In fondo io ti ho dato una famiglia e-"

Lo interruppi di botto. "Una famiglia?!? Ma perché questa famiglia, allora! Era questo che volevi? La mia presenza ha fatto esporre Shiro più di quanto potesse. Troppi poteri demoniaci in una sola casa. Iblis non poteva non accorgersene, né tantomeno Satana! Se Shiro è … se Shiro non c’è più è colpa tua!” dissi tutto d’un fiato. Alla fine di questo patetico sfogo (sì, me lo dico da sola), ansimavo.

“Ottima soluzione, quella di accusare gli altri …” sibilò lui. A sentire queste parole mi ricomposi. Sì, aveva ragione … non era colpa sua. Mia. Mia e solo mia.
Con una mano mi toccai la spalla, che ancora bruciava.
La mia voce, rotta e incerta, spezzò il silenzio: “Cosa mi hai fatto?” fu tutto quello che riuscii a dire.

“Oh, aspetta. Ti faccio vedere.” Mephisto schioccò le dita e dal nulla apparve un piccolo specchio. Ovviamente incorniciato in rosa. E ti pareva.
Lo specchio fluttuò verso di me e si posizionò alla mia sinistra, galleggiando sopra la mia spalla.
L’angolazione mi permetteva di vedere perfettamente il tatuaggio.

… Aspetta, cosa?

Sì, era proprio un tatuaggio. O meglio, l’apparenza era quella.
Era una specie di croce nera, traforata da tante altre piccole ‘x’ a intervalli regolari, inoltre all’incontro degli assi c’era una stellina a 5 punte bianca.
Tutto era contornato da parole microscopiche scritte in non so quale lingua e da un cerchio di fiamme rosse.
Devo dire che, se mai ne avessi voluto uno, mi sarebbe anche piaciuto, ma il solo pensiero che provenisse da Mephisto mi dava il voltastomaco.

“Quello è ciò che io chiamo ‘garanzia’. Ogni volta che disubbidirai brucerà ancora e ancora. E si espanderà poco alla volta finché … Tu sai dove risiede il cuore di ogni demone, la fonte dei poteri demoniaci, vero?”

Deglutii, e istintivamente strinsi con una mano la punta della coda, che era appena stata scossa da un fremito.
“Uhm, direi di sì. Aaaaaanyway, quando il simbolo raggiungerà la coda, allora …” 
Si interruppe.

“Allora cosa?” chiesi io piuttosto infastidita. Ma quanto stupida ero stata ad accettare un patto con un demone come lui?

“Sei sicura di volerlo sapere?”

“Smettila di temporeggiare! Muovi il culo e parla!”

“Ai tuoi ordini.” disse lui.
E si mise a sculettare.

Ringhiai di rabbia. Dopo tutto quello che mi era successo, doveva pure continuare a prendersi gioco di me.
Quella era l’ultima goccia. Così, presa dall’ira e satura di dolore, lo attaccai. Il mio corpo venne pervaso da una nuova forza, in un attimo feci fluire i miei poteri demoniaci verso le mani. Due fiammelle rosse si accesero sul mio capo e quella sulla coda riapparve. Brucia, brucia!

Le intere braccia presero fuoco. Puntai due dita contro Mephisto, come per formare una pistola immaginaria.
Mi concentrai ancora di più e una sfera di fuoco prese rapidamente forma finché … BANG!
La palla di fuoco cominciò a viaggiare velocemente verso lui.

Il tempo si fermò. Letteralmente.

Non potevo muovermi. Completamente intrappolata. 
Tutto scorreva al rallentatore.

La sfera infuocata era immobile a qualche centimetro dalla faccia di Mephisto.
Io paralizzata con il braccio teso. La pioggia sospesa a mezz’aria come se il cielo stesse trattenendo il fiato.

Poi mi sentii sollevare. Fluttuai per qualche metro finché non attraversai le mie stesse fiamme, che si dissolsero nel nulla con un leggero scoppiettio.
Ora mi trovavo a pochi centimetri dal volto di Mephisto, la cui espressione non mi piaceva per niente.
Era un misto tra rabbia, rancore, divertimento e … autocontrollo.
Sì, perché io leggevo in lui emozioni contrastanti e a me avverse, ma qualcun altro probabilmente non avrebbe visto nulla.  

“Non metterti contro di me. Sono mooooooolto al di sopra delle tue possibilità. Ora, se vuoi calmarti, parleremo con calma.
Non è colpa mia se è successo ciò che è successo. E tu lo sai. Quindi, trovo perfettamente inutile tutto questo fastidioso rumore.
Trattiamo un po’ insieme, no? Non conviene anche a te?”
Il suo tono era apatico, quasi come se avesse imparato a memoria le frasi che mi stava dicendo.

Ero confusa, arrabbiata e mi sentivo in colpa. Il perfetto stato d'animo per cedere a qualunque suo inganno. Ottimo. 
"Non mi guardare così, dolcezza. Te la sei cercata."
Ogni singola parola uscita dalla sua bocca mi sembrava veleno e mi faceva soffrire sempre più.
Anche perché sapevo che aveva ragione.  

'Ma quanto ti odio...' pensai, anche se avrei voluto urlarglielo contro, no, di più, sbranarlo, farlo cuocere a fuoco lento, partendo dalle infami iridi giallo-verdi, di quel colore impossibile da definire.

Proprio in quel momento mi lasciò. Rovinai a terra con l’eleganza di un sacco di patate, con poco tempo per organizzare una tattica difensiva contro il demone. 

"Non puoi semplicemente pensare di essere libera, non dopo aver stretto un patto con me. Sei in mio potere. Un tanto splendido quanto letale giocattolo, nelle mani di Samael, re del tempo e dello spazio! Eh eh eh …"

Queste parole mi scioccarono e avvilirono. Mi alzai a fatica. Ero morta dentro. Di nuovo. Ma dovevo essere forte, lo dovevo a mia madre, a Shiro, a Yukio. A Rin. 
Schiusi appena le labbra in un sorriso sbilenco un po' malsano. Strategia offensiva aggiudicata.
"Wof wof. Contento adesso? Comunque, chi è Samael?"

Mephisto scoppiò a ridere. "Ahahahahahahahah!!! Ma come?!? Io sono Samael. Pochi conoscono la mia vera identità, ritieniti fortunata a sapere contro chi hai a che fare..."

"Bene. Questo spiega molte cose. Tipo come hai fatto a farmi levitare a caso fermando il tempo intorno a me. O come fai a possedere la chiave dell'infinito." dissi, poi sussurrai fra me e me : "O perché mi fai rabbrividire ogni volta che ti vedo"
In seguito aggiunsi, così, a bruciapelo, nella speranza di prenderlo di sorpresa: "Cos'è il Corso Speciale, Mephisto?"

"Chi te l'ha detto?" sbottò lui. Sobbalzai, non aspettandomi una reazione così immediata.
"Oh, così esiste davvero... Grazie. Se devo essere il tuo cuccioletto devi almeno essere leale con me... Cos'è il Corso Speciale?"
Mephisto sorrise, un'espressione strana, un misto di comprensione e fastidio sul volto.
Esitò un momento, come se non sapesse se informarmi o meno. 

"Il Corso Speciale per Esorcisti... L'unico e il celebre. La classe da cui esce ogni rispettabile scaccia-demoni. Indispensabile per conoscere i demoni e i loro punti deboli. Per sopravvivere, insomma."
"È lì che voglio studiare."
"Come?"
"Studierò al Corso speciale per Esorcisti. 
Ti potrò essere molto più utile se saprò contro chi ho a che fare. Inoltre così non dovrei recuperare troppo programma scolastico inutile e-” 

Così avrei potuto restare con Rin! Bingo!

“Sì, ok, basta così. Hai reso l’idea.”
Ci fu un momento di silenzio teso. Ce l’avevo in pugno.

“E va bene. La scuola comincerà prima che per gli studenti normali, quindi tieniti pronta. Tanto dovrete comunque partire per l’Accademia. Non posso farvi da tutore se restate qui.”
“Ehi, ehi, ehi. Aspetta. Com’è che ora parli al plurale?”
“Oh, beh … non eri tu quella che voleva restare con i gemelli Okumura? Eccoti accontentata, mademoiselle.”

[…]

E così, qualche giorno dopo, ero nuovamente in una tanto orrenda quanto appariscente limousine rosa, insieme ad un imbronciato Rin e ad un sereno Yukio.
Destinazione: Accademia della Vera Croce.

Non ero ancora riuscita a parlare seriamente con Rin. Speravo che avrebbe compreso, nonostante fosse ancora scosso.
Come me. Mi sentivo malissimo al solo pensiero di una conversazione con lui, anche se in fondo era ciò che desideravo di più.
Il viaggio sembrava non finire mai, l’atmosfera in auto era pesante, anche se Mephisto sorrideva sotto i baffi e canticchiava un motivetto irritante.

Finalmente arrivammo. Rividi di nuovo l’Accademia, anche se non credevo che avrei potuto chiamarla ‘casa’.
Non dopo Shiro.
Più ci avvicinavamo, più mi deprimevo e agitavo, qualcosa di gelido e spinoso come delle schegge di ghiaccio mi si impiantò nello stomaco, ingrossandosi sempre di più, ferendomi lentamente.

Scendemmo, e mentre Rin veniva trattenuto in macchina da Mephisto, io mi diressi insieme a Yukio verso l’auditorium.
La grande sala a gradinate conteneva già una dozzina di studenti, ma andava riempiendosi. 

Nonostante l’ansia e la malinconia, non potevo fare a meno di essere emozionata. Cominciavo il liceo! Beh, forse non era proprio una scuola normale, e non avrei certo studiato materie tradizionali, ma … era comunque il liceo! Chissà chi sarebbero stati i miei insegnanti (oltre a Yukio, s’intende), i miei compagni (sempre se ne avessi avuti)… In quel momento realizzai che sarei stata quasi certamente in classe con Rin. E neanche a farlo apposta, lui arrivò un secondo dopo. È proprio vero che quando parli del diavolo spunta suo figlio … (NdA: Non era proprio così, Angel … -.-)

Yukio era già sceso sul palco, infatti, essendo Rappresentante dei Nuovi Studenti, avrebbe dovuto tenere un discorso d’accoglienza (povero lui!).
Rimanemmo seduti vicini, io e Rin. Un silenzio imbarazzato e freddo regnava tra noi, non riuscivo ad alzare lo sguardo. Le mie ginocchia erano diventate stranamente interessanti …

“Mephisto mi ha detto di incontrarci con lui vicino ai ciliegi …” disse lui, rompendo la tensione.
“Sì, l’ho saputo.” Il silenzio, quasi come un gelido serpente, stava avviluppando le sue pire tra noi, mi soffocava, così, cercai di tenere viva la conversazione.

“Allora.. Tutto a posto con la nuova condizione?”
Rin mi fissò stralunato, gli occhi blu perplessi.
“Cioè, sì, Insomma … La coda?”

‘Brava scema. Non gli parli da un secolo, sono successe duecentomila cose, siete quasi morti entrambi, e tu gli chiedi questo?!? Complimenti. Ma che, mi sono fuso?’  mi diceva il mio cervello.

Lui mi guardò in modo strano. Grandioso. Ora mi reputava una squilibrata oltre che un demone traditore.
“Beh, non è così difficile … la arrotoli un po’ attorno al busto e ci sta. Non è il massimo della comodità, ma ci si abitua. Ma, Angel, non so se avremo altre occasioni per parlare senza essere ascoltati, d’altronde con questo casino nessuno ci sente … quindi …

Perché non mi hai detto nulla?”

Cazzo.

“Non potevo. Non potevo rischiare di metterti in pericolo prima del tempo. Rin, io… Non sapevo di te. Sapevo solo che eri un ragazzo come tanti altri, no , anzi, un amico e un fratello e che volevo proteggerti. Non potevo dirti nulla. Volevo, ma non potevo. E non è stato bello, proprio per niente.”

“Capisco. Io devo ancora capire cosa sono. Non posso avere la presunzione di sapere chi sei tu. Però..”
Alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi. Rimasi paralizzata e il mio cuore perse qualche battito.

“So che potrò sempre contare su di te. E su Yukio.” Sorrise.

“E per adesso mi basta.”

Il silenzio calò in sala. Il discorso del preside di inizio anno stava per cominciare.

[…]

La cerimonia terminò abbastanza presto. Mi complimentai con Yukio, che mi disse che la mia prima ora di lezione sarebbe stata anche la sua.
Mi fece molto piacere sapere che avrei già conosciuto il primo professore, sarebbe stato un vantaggio. 

Mephisto ci stava aspettando seduto su un lampione ornamentale. Sempre a mettersi in mostra, quel buffone. 
“Allora! Come faccio a diventare un esorcista?”  attaccò Rin non appena lo vide.
“Oh, abbiamo un entusiasta. Ogni cosa a suo tempo, però. Prima dovrai frequentare un corso speciale-”
“Corso speciale? Nessuno mi ha mai parlato di andare a scuola!” sbraitò Rin indignato.
“Vuoi diventare esorcista? La prima cosa da fare è studiare! Non è vero, Angel?” 
“E io cosa c’entro, ora?”

Due paia di occhi mi fissavano nel silenzio delle lieve brezza primaverile.  Mephisto sospirò: “Come se non sapessi nulla. Ah, i giovani …”
“Comunque sia, il fatto che siete figli di demoni deve rimanere segreto. Nessuno deve venire a saperlo, altrimenti sono guai. Vedo che con coda orecchie e denti siete a posto … ma vedete di controllare le fiamme.  In qualsiasi caso, visto che non mi fido, seguirò la lezione in prima persona. Ah, già, prima che me ne dimentichi: signorina Akuma, la sua divisa.”
Mephisto mi lanciò porse con grazia una tracolla che conteneva, per l’appunto, l’uniforme femminile.

“No, sul serio. Una gonna? Rosa?” sbuffai contrariata. 
“Mettitela senza troppe storie. C’è uno sgabuzzino lì dietro. Ti aspetteremo.”
Entrai in quello schifo di buco per indossare quella schifo di uniforme.
Yeee.

Mentre estraevo a malavoglia la camicia dalla borsa, sentii qualcosa scivolare via. Mi misi a frugare nella sacca e trovai una busta gialla.
Identica a quella di qualche giorno fa. 
‘Ma che diamine …?’ sussurrai. La aprii con mani tremanti trovando al suo interno proprio ciò che temevo.

Ordini. Più un altro foglietto, in ideogrammi, che diceva: “La ricompensa è vicina. Non fare stupidaggini.”

Come se non avessi abbastanza problemi, adesso ci voleva pure questo. Di nuovo. Non era nel mio stile non rispettare i patti. Decisi che ci avrei pensato al momento.

Mi rifiutai categoricamente di annodare il fiocco, come avevo visto nelle altre ragazze, optai per una più semplice cravatta. Uscii impettita dallo sgabuzzino ridando la sacca a Mephisto.

“Wow … stai benissimo, Angel!” esclamò Rin sorridendo. Non potei fare a meno di arrossire.
“Odio le gonne.” mi limitai a bofonchiare, distogliendo lo sguardo. 

“Ecco le vostre chiavi. Vi porteranno direttamente alle aule del corso speciale, qualunque porta voi apriate.” intervenne Mephisto.
“Bene, possiamo andare. Eins, zwei, drei!”

In un puf, Mephisto era diventato un grazioso cagnolino. Per un demone del suo calibro era una quisquilia.
Finsi di essere stupita solo per non insospettire Rin. 

“Woah, gli esorcisti possono trasformarsi?!?”
“No, io sono speciale. Ora andiamo o faremo tardi il primo giorno.”

Inserii la chiave nella porta dello stesso sgabuzzino dove mi ero cambiata. Un enorme e buio corridoio dal soffitto altissimo ci apparve davanti. L’aula era la 1106, da quanto aveva detto Mephisto.
Sentii un respiro profondo. Anche Rin si sentiva emozionato, dunque. Mi voltai e gli sorrisi, trovandolo con l’espressione più decisa che gli avessi mai visto addosso.

Entrammo. Mephisto sgusciò via tra le nostre gambe, mentre noi eravamo sorpresi dall’aspetto dell’aula: fatiscente, in rovina,emanava un odore di chiuso, 15 banconi con panche dalla parvenza scomoda e un po’ studenti.
Due ragazze sulla sinistra, dal primo sguardo capii che non sarebbero mai diventate mie amiche.
Tre ragazzi che chiacchieravano a bassa voce sulla destra: un metallaro/ribelle con cresta gialla, un piccoletto occhialuto e rasato, un ragazzo dai capelli inspiegabilmente rosa.
Un tipo strano con una bambola in primo banco.
Infine un tizio incappucciato in fondo che sobbalzò quando mi vide. Mi sembrava di averlo già visto … per un secondo mi parve di scorgere un lampo rosso sotto quella felpa … possibile che … ?
Piccola classe composta da gente parecchio strana, eh? 

“Okumura Rin, piacere di conoscervi”
“Akuma Angel, piacere di conoscervi”

Rin si sedette in primo banco. Io mi avvicinai a lui e gli dissi: “Devo controllare una cosa, mi siedo più dietro.”

Mi misi al centro in penultima fila. Mentre aspettavamo il professore, facendo finta di stirarmi, mi sporsi con nonchalance all’indietro. “Che ci fai tu qui?”

Il ragazzo si tese in avanti. Una piccola ciocca scarlatta e dorata in punta scivolò fuori, ma venne velocemente ricacciata nel cappuccio in modo che nessuno potesse notarla. Tranne me. Avevo fatto centro.

“Tu, piuttosto, cosa ci fai qui!” sibilò Shura Kirigakure.

“Non si risponde ad una domanda con una domanda”

La porta cigolò. La venuta del professore interruppe la nostra conversazione.

“Silenzio, per favore. Mettetevi ai vostri posti. La lezione sta per cominciare.” Yukio entrò in completa uniforme da esorcista.
E Rin per poco con sputò sangue.
“Mi chiamo Yukio Okumura e sarò il vostro insegnante di Farmacologia Antidemone. Piacere di conoscervi.”

“Yukio?!? Sei proprio tu?!?”
“Sì, sono Yukio. C’è qualcosa che non va?”
“Garantito!!! Ma … com’è successo?!?”
“Non è successo niente. Siamo a lezione, potresti stare zitto?”

Yukio sembrava avere la situazione perfettamente sotto controllo. Sembrava un adulto, alla faccia dei suoi  15 anni. Continuò nelle presentazioni.
“Come avrete notato, sono un nuovo studente ed ho la vostra stessa età.” 

“Più o meno” sibilai io riferendomi a Shura (NdA: Angel, ti faccio notare che tu hai 17 anni, non 15! -.-)
“Ma ho ottenuto il titolo di esorcista da due anni, quindi in quest’aula vi toccherà chiamarmi ‘professore’
Cominciamo la lezione. Quanto di voi non hanno ancora ricevuto il tocco del demone?”

Tre persone alzarono la mano, tra cui il galletto alla mia sinistra. Quasi mi veniva da ridere. Mentre Yukio spiegava come si sarebbe svolta la cerimonia, mi riavvicinai a Shura.
“Quindi?” sussurrai con fare provocatorio.
“Rispondi prima tu, cara la mia ragazza demone …”

In quell’esatto momento Rin si alzò dal banco, ponendosi davanti a Yukio con fare arrabbiato.
I due cominciarono a discutere. O meglio, Rin si arrabbiava mentre suo fratello rimaneva impassibile e continuava a sorridere.
Rin urtò Yukio, che fece cadere la provetta di sangue che il gemello teneva in mano.

Subito una trave del soffitto venne sfondata, dei demoni tondi piombarono giù agitati, cercando di raggiungere la macchia sul pavimento.
Yukio sparò 3 colpi, eliminando con dei centri perfetti i demoni, proprio prima che colpissero le ragazze in primo banco.

Un altro demone, molto più grosso, comparve alle mie spalle. Schivai un suo attacco, ma finii contro il muro.
Gli altri erano ancora in classe, non avrei potuto usare le mie fiamme!
Prima di avere il tempo di pensare ‘sono nella merda’, il demone sparì in un’aura nera e si dissolse nel nulla. 

Ora una persona era davanti a me, un ragazzo, il braccio piegato e il pugno chiuso fumante rivolto verso l’alto.
Ma quando era entrato? Giuro che prima non l’avevo visto.

Era un giovane dai lineamenti decisi, pungenti, ma in un certo modo aggraziati; il volto, dalla carnagione lattea, era incorniciato da una nuvola di capelli corvini, ricci ricci, moderatamente lunghi, che gli coprivano la fronte e nascondevano gli occhi, cerchiati da occhiaie ma comunque verdi brillanti nell’ombrosità del suo viso.
Aveva un che di felino, di schivo anche nel suo solo starmi davanti; la sua espressione, poi, era talmente matura da sembrare quella di un vecchio stanco delle sofferenze di questo mondo. 

“Gr-grazie …” balbettai stupita. Lui non si degnò neanche di rispondere, mi fissò un secondo con quegli occhi color foglia, poi distolse lo sguardo e uscì dall’aula.

Ora in classe rimanevamo io, Yukio e Rin. Vedevo che la situazione era tesa tra i due, la cosa migliore da fare era uscire e lasciarli discutere.
L’unico modo per chiarire le cose sarebbe stato dirsi le cose in faccia così come stavano.

Svicolai fuori dall’aula, gli altri studenti che erano già lì da un po’ mi guardarono nella speranza che fossi il professore, erano impazienti di ominciare le lezioni ovviamente.
Situazione fredda e tesa, ognuno era nel suo piccolo gruppo appoggiato a una colonna piuttosto che ad un’altra.
Passò qualche minuto che sembrò un eternità, finché il ragazzo dai capelli rosa si staccò dal suo gruppo e cercò di scaldare l’atmosfera.

“Ehm … Ragazzi? Cosa sono quei musi lunghi? Io direi che potremmo almeno presentarci l’un l’altro, no? Non abbiamo nemmeno fatto l’appello, con il casino che è successo!”

Silenzio. Ma cosa credeva di fare, l’animatore del villaggio vacanze “Vera Croce”?

“Va bene, ho capito, comincio io. Sono Renzo Shima, vengo da Kyoto e vorrei prendere il Meister di Aria. Ora tocca a voi!”

Ma cosa aveva da essere così allegro?

Comunque, si fece avanti con un breve inchino il piccoletto con gli occhiali: “Konekomaru Miwa. Come Shima, anche io vengo da Kyoto e mi piacerebbe diventare Aria. Piacere di conoscervi!”

Il ragazzo dall’aria strafottente si staccò dalla colonna con atteggiamento sprezzante: “Ryuji Suguro, Kyoto. Futuro esorcista, Meister Aria e Dragoon. Sarò colui che eliminerà Satana.”

Questa l’avevo già sentita, ma non potei fare a meno di stupirmi.
Una delle due ragazze che era seduta in primo banco scoppiò a ridere fragorosamente: “No, ma davvero? Ne hai di fantasia! Ahahahahahahah!!!”
Suguro si arrabbiò come una bestia: “E tu chi saresti per permetterti di ridere di me?”
Lei distolse lo sguardo con aria di sufficienza: “Kamiki Izumo”

Intervenne allora l’altra ragazza, cercando di placare gli animi; “Izumo, non serve litigare, dai… Mi presento, sono Noriko Paku, conosco Izumo da molto tempo e non ho la più pallida idea di che Meister prenderò.” disse, arrossendo lievemente.
Toccò a Shura, che si presentò come Yamada, e al tipo strano, Nemu Takada.

Mancavamo in due, io e il ragazzo che mi aveva salvato prima. Ci guardammo un attimo.

Prima lui, prima lui, ti prego prima lui.

“Joshua Ewan Shade” 

Quella voce… l’avevo già sentita… mi pareva di conoscerla.
Ma non avevo tempo di pensare, ora stava a me. Non sapevo quali conseguenze avrebbero portato le mie azioni, ma le idee erano chiare.

“Piacere di conoscervi, Angel Akuma, sono italiana.”

Ok, Angel, ora o mai più.

“Figlia di Iblis, principe del fuoco.”












 

Angolo dell'autrice


Lo so, è talmente tanto che non pubblico che pensavate che fossi morta, eh?
No, è che in realtà mi hanno rapito gli alieni, poi Big Foot si è mangiato la mia chiavetta USB e Frankenstein ha deciso di diventare una ballerina e dovevo aiutarlo negli allenamenti.

....

Ok, no. Sono semplicemente un disastro tra impegni che ho (in ordine a caso: scout, gare di matematica, Percy Jackson, gare di fisica, Aikido, scuola, Gone series, amici, yotobi, tumblr, Shingeki no Kyojin (*-* :Q________), Free!(*-* :Q________), fanfiction, respirare...) e spesso non trovo il tempo materiale per mettermi a scrivere.
Quindi, anche se a malincuore, annuncio ufficialmente che questa fic non avrà più uscite regolari, anche perchè ho cominciato il triennio e non è facile. (Angel: Non sei MAI stata regolare, scema!)(FB13: ... :'( ... triste ma vero... *si rintana in un angolinbo depressa* )

Ringrazio comunque coloro che seguono, preferiscono, o ricordano la mia storia. Ma anche chi legge in silenzio, le vedo le vostre visite, grazie davvero! 
Siete tutti, oh popolo di EFP, FANTASTICI!
Questa ragazza ora smette di sproloquiare e leva le tende

Ciao Miao

FullmetalBlue13
 


(wow, che capitolo lungo! Almeno dopo la mia assenza leggerete un po' di più del solito... ^-^""")

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Capitolo 9
*** Having fun...? ***


CAPITOLO 9: Having fun …?


ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, CORSO SPECIALE PER ESORCISTI, ORE 10:00

Occhi. Occhi che mi fissavano. Dopo aver rivelato la mia natura, oltre a sentire il bruciore lancinante sulla spalla, non riuscivo a non sentirmi osservata con odio. Oh, beh. Poco importava, ero abituata ad essere esclusa, un po’ per il mio carattere,un po’ perché non cercavo l’amicizia altrui.

Quello che mi turbava era la reazione dei miei fratelli. Il minore mi ignorava, cercando di mantenere l’ordine in classe e distogliendo lo sguardo ogni volta che poteva. Rin era … strano. Sembrava stanco e determinato contemporaneamente. Chissà com’era andata le discussione con Yukio. E chissà come sarebbe andata quella con me. Al solo pensiero le budella mi si torcevano, manco fossi sulle montagne russe (*). E intanto la lezione andava avanti, il rituale del masho fu completato senza ulteriori sorprese e così eravamo ufficialmente pronti per combattere demoni. Alla fine delle lezioni, tutti se ne uscirono velocemente lanciandomi occhiate di odio, repulsione o di fredda indifferenza. Mi avvicinai a Rin e Yukio, il cuore come un macigno (di nuovo -.-), ma prima di poter fare qualsiasi mossa il minore ci portò al dormitorio.

Era un edificio fatiscente, quasi in rovina, ma comunque molto grande, a 4 piani. La maggior parte delle camere era doppia o quadrupla, ma alcune di quelle dell’ultimo piano erano singole, dotate addirittura di un piccolo balcone, un lusso che pochissimi studenti del primo anno potevano permettersi.

La mia stanza era esattamente sopra a quella che Yukio e Rin avrebbero condiviso. Sarei stata da sola ma a portata in caso di emergenze. L’arredamento era semplice e funzionale.  Quasi tutta la parete destra era occupata dal letto, incastonato dentro un mobile a muro, provvisto di armadio, mensola e cassetti. Sulla sinistra, una semplice scrivania in legno chiaro (di scarsa qualità, per giunta). Avrei dovuto comprami una lampada da tavolo. Dietro la porta uno sgabuzzino/appendiabiti. Nel complesso, era proprio ciò di cui avevo bisogno: accogliente, luminosa e semplice. Davvero Mephisto aveva permesso che venisse progettata una cosa del genere?

Uscii sul balcone dalla portafinestra. Il sole tiepido di aprile mi scaldò l’anima, rincuorandomi un po’. Inspirai a fondo per calmarmi, ma proprio quando mi ero un po’ rilassata, bussarono Rin e Yukio, accompagnati da Mephisto.

“Cosa le è saltato in mente, signorina Akuma?” attaccò Faust.

E via con la ramanzina, condita da un tono talmente calmo da innervosire: perché hai disobbedito, avevamo un patto, la mia scrivania è già sommersa dalle lettere di protesta … bla bla bla.

Rin mi guardava con un’aria talmente tenebrosa da far paura, Yukio invece sembrava solo compatirmi.

Il clown se ne andò dopo quella che mi sembrò un’eternità, sorridendo e dicendo che tanto la mia punizione l’avevo già avuta. Un silenzio imbarazzato avvolse l’atmosfera, avrei voluto esplodere e sparire nel vuoto cosmico piuttosto che affrontare una discussione con le due persone cui volevo più bene.

“Angel, perché? Non mi serve altro, solo … non capisco.”

“Io-”
La voce mi si strozzò in gola.

In quel momento avrei voluto dire tutto e Rin no non mi guardare così Yukio perché sei sempre così freddo mi sembra che tu non mi conosca neanche io non ce la faccio più tutte a me vita di merda e non posso fare proprio nulla per evitare queste situazioni e il cuore uno due tre battiti che rimbombano nelle orecchie ma no Angel devi affrontare i tuoi problemi anche se quattro a volte ti manca la forza per farlo cinque sei continuo a non capire cosa abbia fatto di male per meritarmi questo. Cazzo.

“… Mi dispiace. Non posso. Io vorrei, ma-”

“Angel, io mi fidavo di te”

Il mondo cessò di esistere e mi crollò addosso. Vuoto, non sentivo più niente. C’erano solo quegli occhi blu che invece di risplendere come sempre avevano fatto erano nuvolosi e sfuggenti, oscuri.

“Rin, sei ingiusto.”

Lui non rispose, girò i tacchi e uscì dalla stanza, sbattendo la porta.

Yukio non fece neanche in tempo a dire ‘Aspetta!’.

“Perdonalo, è stata una giornata impegnativa e ricca di sorprese per tutti.”

Non risposi.

“Beh, ti lascio da sola.” Fece per uscire. “ Ah, Angel … ricordati che se hai bisogno ci siamo. Dopotutto, siamo fratelli.” E se ne andò.

Rimasi lì, sola come non ero mai stata. Con un ringhio che di umano aveva ben poco, un concentrato di rabbia e nervoso, mollai un calcio alla sacca sportiva che conteneva ancora i miei vestiti, che si schiantò contro l’armadio ammaccandolo e facendo un gran fracasso. Poi mi accasciai pesantemente sul letto.

Rimasi lì per non so quanto tempo, finché non realizzai la stranezza del rumore fatto dalla borsa. Mi trascinai fino ad afferrarla, e sollevandola notai che pesava molto più di quanto avrebbe dovuto. Presa da improvvisa foga, cominciai a frugare, e presto le mie mani incontrarono un cartoccio a forma di ‘L’.

Strappai l’involucro come un bambino che scarta il suo regalo di Natale. E all’interno … Una pistola! Sembrava una FN Five-seveN modificata. Era nera, lucida con qualche tocco di colore arancione, lo stesso arancione dei miei capelli, sull’impugnatura ruvida, sul grilletto e lungo la canna. Osservai meglio il calcio, che da un lato era normalmente anti scivolo, dall’altro era liscio e rivestito da una sottile lastra di vetro. Ero sconvolta. Cosa ci faceva una così bella arma nella mia borsa? In quel momento mi scivolò di mano qualcosa. Era una busta gialla. Di nuovo. Subito il mio battito cardiaco accelerò, una nuova ansia si appropriò del mio cuore. Con mani sudate e tremanti la aprii, sapendo già quello che mi aspettava.

Solito cartoncino rigido con solita scritta anonima rossa, questa volta in ideogrammi e non in inglese.

“Ecco la tua ricompensa. Fanne buon uso e si spera nella tua futura collaborazione.”

Non avevano ancora finito di torturarmi, allora. Amareggiata, girai il foglietto e sul retro trovai le ‘Istruzioni per l’uso’. Come se non sparassi da mesi e non fossi capace, tsk.

E invece le sorprese non erano ancora finite. Premendo un minuscolo bottone (ecco, adesso l’avevo notato) usciva un sottile ago di siringa. Con essa potevo prelevare del mio sangue, che si depositava nel vetrino sul lato sinistro dell’impugnatura. In questo modo potevo far fluire i miei poteri demoniaci nei proiettili.

In poche parole, proiettili infuocati di cui potevo governare la direzione a piacimento. Wow. Controllando meglio nella borsa mi accorsi che c’erano anche quattro caricatori da 22 colpi e una fondina di pelle nera.

Anche se sapevo che questo dono mi vincolava ancora di più a chiunque mi mandasse gli ordini, non potevo fare a meno di sentirmi almeno un po’ felice.
Ma mi sbagliavo.

[…]


DORMITORIO VECCHIO, QUALCHE GIORNO DOPO, ORE 15:56

I giorni passarono velocemente, la scuola normale cominciò e così il ritmo della vita si fece sempre più intenso. La mattina lezione in classe, il pomeriggio il corso per esorcisti. Ma la mia determinazione e l’appoggio dei miei fratelli mi aiutarono a reggere.

L’atmosfera al corso era un po’ migliorata: la maggior parte dei miei compagni (dopo che avevano appurato che non ero una macchina assassina pronta a farli fuori) avevano cambiato gli sguardi d’odio in indifferenza o almeno in fastidio. Il ragazzo di nome Shima aveva anche provato ad avvicinarsi a me, nonostante penso che fosse solo perché ero una femmina.

Quel pomeriggio non c’erano lezioni in programma, visto che era vacanza, così decisi di dedicarmi allo studio. Con il ritmo che avevo, se non ne approfittavo adesso erano cavoli amari.

Avevo appena cominciato quando …

Toc  toc.

Mi voltai verso la porta. Sempre a rompere mentre studiavo … Mi alzai seccata e andai a controllare. Nessuno. Bofonchiai qualche insulto a caso e tornai a Cerchi-Sigilli. Dunque, le basi di un cerchio di protezione …

Toc toc.

Che palle!

Toc toc.

Il ticchettio veniva dalla portafinestra. Una mano pallida stava tamburellando sulla parte alta del vetro con pacata ritmicità. Mi avvicinai e la spalancai. La mano rimase sospesa un secondo per aria sentendosi mancare l’appoggio. Poi si ritirò verso l’alto facendomi cenno di venire, così uscii sul balcone. C’era qualcuno appollaiato sopra la grondaia, ma non riuscivo a vederlo perché era controluce, il sole primaverile di aprile mi accecava. La mano era ancora lì, tesa verso di me.

Comunque non mi fidavo, optai per una … ‘soluzione alternativa’.

Un passo avanti sul balcone. Presa sul polso. Uscita *. Tenkan**. Torsione e chiusura.

Il misterioso disturbatore rovinò a terra con un gemito. Si alzò a fatica e mi rivolse uno sguardo divertito con un mezzo sorriso.

“Shade? Che cazzo ci facevi sul mio tetto?”

“Non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa.”

“Dovevo offrirti un tè caldo? Mi hai fatto prendere un colpo!”

“In tal caso ti chiedo scusa.”

Mi guardò e schiuse le labbra in un sorriso malinconico e stanco. Lo guardai con aria sprezzante.

“Ti dispiacerebbe farmi entrare?”

Sbuffai e lo accompagnai dentro. “Beh, cosa vuoi?”

“Sono solo venuto a trovarti, tutto qui. Non mi sembra il modo di accogliere un compagno di classe che cerca di essere gentile.”

Lo guardai storto per un secondo. “Sì, certo, entrando dalla finestra. Stai mentendo. Cosa sei venuto a fare?”

Sorrise: “Ma quanto siamo aggressivi … Ah ah … Non ti si può nascondere niente, vero? Vengo in pace, comunque. Vorrei … informazioni.”

“Informazioni? Non credo di potertene fornire.”

“Oh sì, invece. Parlami un po’… di tuo padre.”

Silenzio. Un lungo silenzio che io non volevo assolutamente interrompere.

“Niente?”

“…”

“Yu-uh?”

“…”

Joshua sospirò. “Se la mettiamo così allora … mi sa che me ne dovrò andare a mani vuote. Grazie per l’ospitalità.”

Fece per andarsene, quando una specie di brivido lo scosse, quasi uno spasmo muscolare. Si girò e aggiunse, con un fare totalmente diverso e un po’ timido: “Però … uhm … ecco … ci terrei a farmi perdonare per la brutta sorpresa. Che ne dici di … di … fare una passeggiata?”

No. No mi diceva il mio cervello. La mia voce non era d’accordo. C’era qualcosa che mi attirava in Shade, nell’ombrosità taciturna del suo comportamento in classe, nel mezzo sorriso che solo raramente increspava la sua espressione imperturbabile, nell’apparente fragilità della sua pelle diafana.

“Se proprio insisti … Sempre meglio di studiare.”

Prima di uscire afferrai la fondina della pistola. Non si sa mai.

Faceva caldo per essere solo aprile, ma ciononostante tra noi due avrebbe potuto zampettare allegramente un pinguino. Io lo seguivo con un’indifferenza forse esagerata, ma doveva capire che non uscivo perché ero in qualche modo interessata a lui. Presto giungemmo nell’ultimo posto in cui mi sarei aspettata di arrivare.

“No, sul serio … il luna park? Mepphy Land?”

“Perché no? È divertente e potremmo parlare senza che nessuno ci senta in tutta questa confusione.”

“Ma se non c’è un cane!” (NdA: i riferimenti a cami97ace sono puramente casuali. / Cristy_Black: Ahahahahahahahaha!)

“Oh, già. Beh, salteremo le code. Andiamo, dai!”

Sembrava un'altra persona rispetto al tipo silenzioso che si sedeva in un angolo della classe. I suoi occhi, nascosti dai capelli corvini e ribelli, ogni tanto emanavano lampi verdi é guizzavano via, attratti da una nuova distrazione. Più il tempo passava più la situazione si scioglieva e così cominciammo a chiacchierare tranquillamente, come due persone qualunque che facevano conoscenza, anche se io mantenevo le distanze.

Passavamo da un'attrazione all'altra, dalle montagne russe alla casa dei fantasmi (che più che paura faceva ridere, visto che noi i veri demoni li avevamo conosciuti sul serio), dal labirinto degli specchi alla ruota panoramica. Stavamo passeggiando, quando ad un certo punto Shade mi prese un braccio e mi fece voltare.
"Ehi! Che mani fredde! Ma che diamine... Oh." 

La bancarella del tiro a segno. Per la prima volta in tutto il pomeriggio un sorriso sincero fece capolino sul mio volto. 

"Chi fa più centri offre lo zucchero filato all'altro. Ci stai?" chiese lui.
Un lampo malefico balenò nei miei occhi. 
"Shade, non sai in che razza di guaio ti sei cacciato. Affare fatto!"
Una stretta di mano e via. 

Cominciò lui. Il gioco consisteva nell'abbattere più bersagli possibili, ossia dei ridicoli mostriciattoli di compensato dalle movenze assurde. Alcuni erano fissi (e decisamente banali da prendere), ma molti si muovevano. Joshua cominciò subito. I lunghi riccioli gli cadevano sul viso, oscurando la vista, lui allora li scansava con un rapido gesto della mano libera, mentre con la sinistra continuava a sparare, e non era neanche così male. Non sapevo che fosse mancino …

I 20 colpi a disposizione finirono e Joshua aveva realizzato 18 centri, vincendo un ridicolo portachiavi e una partita gratis. Con un gesto della mano mi mostrò che me la offriva. Credeva di aver già vinto, eh?

Mi posizionai, caricando con velocità e precisione il farlocchissimo fucile a pallini e destando un’occhiataccia da parte del sonnacchioso proprietario.

Non era certo una delle armi con cui ero abituata a sparare, ma ci si poteva fare qualcosa. Feci qualche prova per vedere com’era bilanciata e mi posizionai.

Il tipo della bancarella mise tutto in moto con fare annoiato. Mi concessi un paio di secondi per visualizzare la posizione dei mostri, cosa assai facile visto che avevo avuto tutto il tempo per studiarla mentre Shade tirava.
Poi … GO! Niente esisteva, solo io e la canna leggera del fucile. Ogni colpo era un centro. Sparavo impegnandomi e concentrandomi tantissimo, come sempre facevo quando avevo un’arma in mano. In meno di un minuto non era rimasto neanche un bersaglio da colpire. 20 munizioni, 20 centri.

Joshua mi guardò sbalordito, con la bocca spalancata e sguardo ebete, così come il signore del baracchino. Insomma, la stessa espressione che si rivolgerebbe ad un alieno in infradito che vende gelati in inverno.

“Te l’avevo detto che eri spacciato.”

Con mano tremante mi fu posto il premio: un enorme (e polveroso) unicorno di peluche, che regalai ad una bambina che si era fermata a guardarci incantata. Si allontanò saltellando verso i genitori, tutta contenta del suo nuovo regalo.

Joshua mi stava ancora fissando.

“Su, non mi devi un po’ di zucchero filato?”

Shade sborsò in fretta, così cominciammo a tornare indietro, anche perché era già tardi e il cielo cominciava a tingersi di arancio. Uscimmo dal parco e attraversammo in silenzio i molti cortili e viuzze dell’Accademia della Vera Croce, finché non dovemmo dividerci.

“Bene, spero che ti sia divertita. Ci vediamo do-”

Un rombo scosse la terra, vibrandomi nel petto. Poi un altro. Un cestino venne lanciato con violenza da un angolo e atterrò vicino a noi, completamente deformato.

Joshua ed io ci guardammo, occhi spaventati e oscuramente consapevoli.

“Corri.”

In quel momento, dalla stessa direzione da cui proveniva il cestino, apparve un’orda di demoni. Erano almeno una ventina, se non di più.
Non ne avevo mai visti di simili. Sembravano dei bambolotti in fiamme, il corpo sfigurato e deformato dal fuoco, ma la loro altezza si aggirava attorno al metro. Avanzavano emettendo lamenti e sembravano arrancare, ciononostante erano veloci.

Io e Shade correvamo a perdifiato, l’adrenalina a mille e le ali ai piedi. Quando cominciammo ad avere un po’ di distacco, i demoni presero ad attaccarci generando palle di fuoco.

“Meeeeerdaaaa! Ma che sono questi?” dissi schivando una sferetta che mi era passata sotto il braccio.

“Sono Hidolls(**), bambole di fuoco! Di solito non attaccano e soprattutto non in gruppo! Sono troppe, dobbiamo resistere e continuare a correre!”

“WHAAAAAA!!” esclamai io quando rischiai per l’ennesima volta di essere colpita.

Di tutta risposta Joshua rise. Rise! C’era un esercito di mostri sputa fuoco che ci inseguiva, stavamo correndo come matti con il cuore in gola, e lui rideva! E non so per quale meccanismo perverso, ma la ridarella prese anche me. Perfetto, questo coronava la situazione come una delle più idiote della mia vita.

Però in effetti era divertente.

E mentre sfrecciavamo, finimmo per le strade della cittadella della Vera Croce, inspiegabilmente deserte e certamente troppo buie per l’ora che era. Nessuno a cui chiedere aiuto, ma almeno nessun rischio per i comuni mortali. Ci trovammo a zigzagare tra un reticolo intricato di case, guadagnando un po’ di terreno, finché finimmo in un vicolo.

Non so cosa mi prese, ma improvvisamente inchiodai, mollando uno strattone a Joshua che rischiò di fare un bel capitombolo.

Una frazione di secondo e un muro di fuoco si erse davanti a noi.

Ci girammo entrambi, le urla dei demoni che si facevano più nitide. Joshua mi prese per le spalle e mi puntò contro gli occhi verdi penetranti, in cui si rifletteva la luce rossastra delle fiamme.

“Ascoltami. Io posso tenerli a bada per un po’, ma tu scappa. Vai dovunque purché sia lontano da qui e cerca aiuto. Ti aiuto ad arrampicarti su quella grondaia. FORZA!”

Mi strattonò, spingendomi contro il muro.
Ma era già troppo tardi.

Le Hidolls cominciarono ad arrivare, lentamente, inesorabilmente.

“Posso combattere. Sono forte.” dissi.

“Sei disarmata!”

“No.” ed estrassi la pistola, la caricai in fretta e mi misi in posizione. Shade sospirò.

“And here … we … go.” (NdA:  ^.^ chi ha orecchio per le citazioni, intenda)

Avevo solo una ricarica con me, oltre a quella già inserita nella pistola. 44 colpi. Sarebbero bastati, forse, se non sbagliavo. Dovevano bastarmi.

Joshua ringhiò e una nebbiolina nera cominciò ad accumularsi attorno a lui. Poi si lanciò contro il piccolo esercito con una foga che di umano aveva ben poco. L’aura cupa aumentava man mano che lui menava colpi e faceva dissolvere nel nulla demoni, e si solidificava, anche. Dopo poco tempo un’armatura oscura lo ricopriva, e solo nei punti scoperti le Hidolls riuscivano a colpirlo, anche se lui non sembrava curarsene. Inoltre delle lame avevano preso forma lungo gli avambracci e degli acuminati tirapugni rendevano i suoi colpi ancora più temibili. Ma chi diamine era quel ragazzo?

Non era sufficiente. I mostri sembravano essersi moltiplicati, e continuavano ad assalirlo da ogni direzione. Dovevo muovermi. Inspirai e mi isolai dal mondo. Mi ero messa dietro ad una sporgenza di un muro, che mi desse contemporaneamente una buona visuale e un po’ di protezione.

Comincia a sparare. Punta, mira, arma, fuoco.
Fuori uno.
E due, e tre.
Per i più resistenti mi occorrevano fino a 4 colpi.
Decisamente troppi.
La testa di uno, il braccio di un altro. Uno lo mancai, ma riuscii a centrarne un secondo che era nascosto dietro facendogli saltare una gamba. Il demone avanzò strisciando verso Joshua. Un altro colpo e si dissolse in scintille scoppiettanti e fumo.

Fuori un caricatore. I demoni  non sembravano finire mai e Shade sembrava sempre più stanco. Anzi, consumato.

Mi restavano sì e no una mezza dozzina di colpi, quando improvvisamente tutti le Hidolls smisero di attaccare e si allontanarono, formando un semicerchio qualche metro distanti da Joshua, che cadde in ginocchio, mentre l’armatura si dissolveva in foschia scura.

Corsi da lui, e lo feci alzare appoggiando il suo braccio sulle mie spalle. Gemette. Aveva una brutta ustione sul collo, ma la peggiore era su una gamba: dal retro del ginocchio a buona parte del polpaccio. Tutto il suo corpo sembrava fortemente provato e fumava.

“Cosa diamine hai fatto, Shade?” bisbigliai.

Mentre stavo ancora esaminando le ferite del mio compagno di classe, la schiera di demoni si aprì, formando una specie di corridoio di fiamme. Una figura alta e dal fisico longilineo avanzò nella rossa oscurità.

“No …”

Un gemito strozzato scappò dal mio controllo.

“Era un po’ che non ci si vedeva, finto angelo. Come va?”

Joshua fu scosso da un brivido ed emise un flebile lamento.

“Vedo che ti sei fatta un nuovo amico. È anche un-”

Si interruppe. Joshua lo stava fissando con sguardo di ghiaccio.

Si era ripreso,così, dal nulla. Con un colpo di spalla mi scansò via.

“Oh. Ma tu guarda. Proprio colui che speravo di incontrare. Spero di essere al cospetto del tuo caro papà, Akuma …”

Sembrava un’altra persona. Sfacciata, sprezzante, cattiva.

Non di certo il ragazzo silenzioso e tenebroso che era in classe, o il timido e simpatico (sì, lo dovevo ammettere) che avevo conosciuto quel pomeriggio. Piuttosto era l’arrogante tipo che si era appollaiato sul tetto e bussava alla mia finestra per informazioni. Tutto ciò non mi piaceva per niente. Era una situazione senza uscita.

“Cosa vuoi da me, Iblis?” sbraitai.

“Uh, sempre fine e delicata, vero?” disse con tono apatico lui. L’odio mi stava facendo ribollire il sangue nelle vene, così come la rabbia. Shade mi spinse via ponendosi tra me e il signore del fuoco.

“Vediamo di parlarci da persone civili. Angel, su. Dunque, signore delle fiamme, a cosa dobbiamo questa vostra visita?”

Gli avrei sputato in un occhio. “Per te sono Akuma, Shade.”

Il muro di fuoco alle nostre spalle si alzò e si avvicinò di un poco. Iblis sembrava fortemente contrariato:
“Non gradisco essere preso in giro. Non da qualcuno come te. Comunque, visto che ci troviamo nei confini della città, non ho intenzione di sudare e combattere, neanche un po’. Anche perché sarebbe terribilmente noioso. Sono qui solo …”
Mi indicò: “Per te. Volevo solo vedere come te la cavavi in combattimento, tutto qui. Ma qualcuno si è intromesso … e questo non mi è piaciuto.”

Joshua sorrise: “Oh, non era assolutamente mia intenzione. Potremmo trovare un accordo, comunque.”

Iblis sembrava infastidito, e l’aria era satura di guai.

“Dunque, facciamo così. Io me ne vado, non chiedo aiuto a nessuno, non tento attacchi azzardati (sono già stanco e non avrei speranze) e tu fai quello che vuoi. Siamo d’accordo?”

“L’ho già detto che non sei tu quello che mi interessa.”

Non potevo credere a quello che avevo appena sentito.

“No, aspetta … cosa?!?”

lo afferrai per la giacca e lo feci voltare. “Cioè, tu mi lasceresti qui in balia di uno degli 8 re di Gehenna e te ne andresti via come niente fosse?!?” sibilai.

Joshua fece spallucce, poi tornò a voltarsi verso Iblis. “Bene, io allora tolgo il disturbo. Con permesso …”

Il ragazzo non poté muoversi di un passo, che un recinto di fuoco lo circondò, lasciando pochissimo spazio tra lui e le fiamme.

“Ora, come ho detto, sono venuto per la mia adorata figlioletta. E avevo intenzione di vederla combattere. Quindi, se vuoi andartene indenne …”

Ghignò rivolto a me.

“… dovrai accontentarmi. E forse libererò anche quell’insolente del tuo amico.”

“Lui non è mio amico. E tu te ne tornerai a Gehenna con il culo viola, papà.” risposi io, con una smorfia sarcastica.

Strinse la mascella, cosa che mi fece più che piacere. Fece una specie di inchino e qualche passo indietro, e subito le Hidolls si chiusero e ripresero i loro lamenti.

Caricai la pistola. 6 colpi. Troppo pochi. La rimisi nella fondina ed evocai il fuoco di Iblis.

Veloci e letali, le fiamme si impadronirono di me. Le Hidolls sembravano spaesate, forse era strano per loro combattere contro la figlia del loro re?
Un gesto di mio padre e alcune partirono all’attacco.

Prima una, che eliminai in fretta facendole saltare la testa con un montante ingigantito dal fuoco demoniaco. Poi due, tre. Sempre più bambole mi venivano addosso, e con frequenza crescente. Mi serviva più forza. Richiamai più potere.

Ad un certo punto una Hidoll che pensavo di aver fatto fuori mi si attaccò ad una gamba, cacciandomi unghie e zanne nel polpaccio. Urlai di dolore, ma strinsi i denti. Le altre scottature non mi facevano male, anzi, non mi sfioravano neanche, ma quella l’avevo sentita, oh sì, e al 100% non sarebbe guarita facilmente. La calciai via, ringhiando e abbattendomi con più foga contro gli altri mostri.

Schiva un colpo, infliggine un altro. La mente mi si annebbiava sempre di più, sentivo solo rabbia e potenza, inarrestabile potenza.

Uccidi.

Uccidi.

Finché la gamba non mi cedette. E allora rovinai a terra, in un lampo riuscii a vedere che la bruciatura si stava espandendo e che presto sarebbe arrivata alla coscia. Cacciai un urlo disumano ed un’esplosione di fuoco scaraventò i demoni che mi circondavano abbastanza lontani.

‘Ok, Angel, respira.’

Mi ero resa conto di come le fiamme mi avessero fatto perdere il controllo, avevo poco tempo per cercare una via d’uscita. Così afferrai la pistola.
Premetti senza esitazione il pulsante, prelevando più sangue possibile.

Nel frattempo le bambole cominciarono a rialzarsi e a riprendere la loro corsa verso me. Non erano tante (l’onda di fuoco ne aveva uccise parecchie)ed erano molto più lente e stordite, ma ero ferita, il piccolo prelievo mi aveva indebolito parecchio e non potevo rischiare di esagerare ancora con le fiamme. Cercai di guadagnare tempo. Trascinandomi in qualche modo, mi allontanai, finendo molto vicino all’anello di fuoco in cui Shade (quel bastardo) era rinchiuso.

‘Mira e concentrati, ora’

Dovevo trovare il modo di eliminare tutti i nemici rimasti. 3 sulla destra, 2 sulla sinistra. E purtroppo 4 da davanti. Troppi.

“Angel! Stai bene?” disse preoccupato Shade.

“Per te sono Akuma!” risposi, metre sparavo il primo colpo. Si conficcò nell’occhio di una delle bambole laterali, e grazie ai miei poteri la feci prendere fuoco e dissolvere nel nulla.

“Ho un piano per tirarci fuori da questo bordello!”

“E chi ti crede? Volevi lasciarmi qui!”

Avevo bisogno di più energia, ma ormai ero allo stremo. E non sentivo più la gamba.

Colpii uno dei demoni centrali di striscio, ma feci esplodere il proiettile prima, eliminandone due.

“Non è come credi.”

“Ah, sì!?! E com’è, allora?”

BANG! E un’altra cadde.

 “Angel, non ce la puoi fare!”

BANG! BANG! Fuori le ultime due laterali!

“ANGEL, DAMMI LA MANO!”

Ne rimanevano ancora 3, e a me un solo colpo. Erano terribilmente vicine.
Tentai la fortuna sparando a quella in mezzo, poi mi concentrai al massimo per incenerirle tutte e tre.

“Fidati. Ti prego.”

Le bambole si sciolsero come plastica e cominciai a non vedere più.
Tesi tremante una mano verso la luce accecante dell’anello di fuoco.

Qualcosa mi afferrò, e io precipitai in una fredda oscurità.

 

















 
(*) Gardalaaaaaaaand!!! (L’autrice è stata obbligata da Cristy_Black. Cristy: Scusa, sono in crisi d’astinenza da montagne russe (cit: FB13). E un po’ di divertimento posso concedermelo, sono la sua editor. ^-^)

* un passo laterale, in questo caso verso sinistra.

** una rotazione di 180° con un passo indietro, in pratica. Per immaginarvelo immaginate il piede perno di basket, è più o meno così. (se ve lo state chiedendo, ho cominciato Aikido, arte marziale giapponese, e questi termini vengono da lì.)

(**) Una robina da me inventata, probabilmente la cosa più banale del mondo. Da ‘dolls’= bambole e ‘hi’, la pronuncia del kanji giapponese che significa fuoco. Tutto qui. Categoria media, ma per i singoli. In gruppo sono peggio.


Angolo dell'autrice

Hola! I'm back! Ouiiiiiiiiiii!!!!! (- ^-^)- -(^-^ -) \(^-^)/ (danza della gioia)

Dunque, a parte il fatto che non pubblico da secoli, niente da dire su questo capitolo. Personaggio nuovo (e vi spoilero che sarà fondamentale muhahaha zono un gcenio del malen!!!), casini vari, Iblis. Spero che il prossimo capitolo non tardi come questo ad uscire... (ringraziate il triennio dello scientifico e il mio dannato senso del dovere... ^-^")

Ringrazio lettori, recensori, preferitori, seguitori e ricordatori (sono in vena di neologismi ù.ù), siete magnifici e date sempre una bella botta alla mia autostima. 
Un ringraziamento speciale va a cristy_black e a cami97ace, senza le quali non sopravviverei (<3 vi voglio bene ragazze) e soprattutto rischierei di scrivere minchiate cose intelligenti ma senza alcun filo logico. (^-^")

E niente, biela gientes, ci vediamo alla prossima ;)
Recensioni, come al solito, ben accette e gradite! :D

Ciao Miao
FullmetalBlue13


 

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Capitolo 10
*** Hurted feelings. ***


CAPITOLO 10: Hurted feelings.

ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, DORMITORIO VECCHIO, ORE 21:14

 “Yukio! Si è svegliata! Buongiorno, anzi, buonasera, nee-san!”

Era Rin e con lui, ovviamente, Yukio. Ma cos’era successo? Mi trovavo in camera mia, accanto a me c’era una ciotola di udon (NdA: spaghetti in brodo giapponesi) che evidentemente aspettavano di essere mangiati da un po’. Mi sentivo ancora debole e con un martellante mal di testa. La gamba, poi, sembrava che fosse una bistecca sulla brace.

“Ehi.” risposi io.

“Eravamo preoccupati … cioè, non ti facevi viva da tutto il pomeriggio, a cena non sei venuta, e poi quel tipo strano che c’è in classe ti ha portato qui svenuta con un’orrenda ferita. Meno male che Yukio non aveva impegni di lavoro …”

Shade. Adesso cominciavo a mettere a fuoco.
“Tra l’altro non è stato per nulla facile curarti.” intervenne il minore: “Non potevo usare molti metodi convenzionali perché ti avrebbero ferito. Ma in qualche modo guarirai, forse non velocemente come al solito, e ti brucerà un bel po’. Intanto domani ti prendi un altro giorno di vacanza.”

“Grazie, nii-chan, non ti preoccupare. Dov’è finito Shade?”

Yukio rispose: “È andato via subito, non appena aveva finito di spiegare la situazione. Sembrava molto stanco. Ah, ti ha lasciato un messaggio.”
Mi porse un foglietto strappato da un qualsiasi blocco per appunti. Sopra c’era scritto: ‘Mi dispiace’

Se pensava che l’avrei perdonato così in fretta si sbagliava. Però se non altro mi aveva portato via da Iblis, e per questo gli ero grata. A proposito, come aveva fatto?
“Bene, mi sembra che qui sia tutto a posto. Devo andare a preparare le lezioni per domani, quindi vi saluto. Mi raccomando dormi e stai a riposo, ricorda che fino a domani pomeriggio non potrai muovere la gamba. Buonanotte.”

Rimanemmo io e Rin da soli.

“Allora … cosa ci facevi da sola con quel tipo?”

Mi accorsi con fastidio di essere lievemente arrossita: “Niente. Abbiamo fatto un giro, poi quei demoni ci hanno attaccato e io sono rimasta ferita. Lui come stava? Non riesco a ricordare bene cosa sia successo …” mentii, non sapendo cosa avesse detto il ragazzo di preciso. Ancora non mi capacitavo di come mi avesse portato via da lì, concio com’era.

“Stava bene, ha anche rifiutato le cure di Yukio.”

“Quindi non era ferito?”

“No, te l’ho detto. Ehi, sembri molto interessata a lui … Comunque, quel tipo non mi convince. Ha qualcosa di … sbagliato.” continuò lui, simulando indifferenza con scarso successo.

“Scusa, Mamma Rin, non uscirò mai più senza il tuo permesso!”

Piantai il broncio come una bambina piccola.
Poi scoppiammo entrambi a ridere.

“Ok, ok. Questa volta hai ragione tu.” ammise. “Ma cosa è successo in particolare?”
“Niente, a parte il fatto che mio padre mi abbia attaccato di nuovo.”
Rin mi guardò malissimo. “Cosa?”
“È stato mio padre ad attaccarmi. In persona. Ogni tanto mi fa questi regalini. Ci tiene così tanto a portarmi a Gehenna … se non altro gli ho fatto vedere di che pasta sono fatta, visto che con 6 colpi ho ucciso 9 mostri.”
 “Woah! Davvero? Sei un prodigio!!!”
“Niente di speciale, una sana dose di fortuna unita all’arma giusta. Dura la vita da demoni, eh?”

 Rin sospirò: “Come ti capisco … fai conto che il primo giorno del corso Yukio mi ha puntato contro la pistola. Hai presente quando siete usciti tutti per il casino con i demoni che avevo combinato?”
Sul serio? Yukio? Annuii flebilmente.

“Ecco, in quel momento. Per fortuna abbiamo chiarito. O almeno credo. Veramente non lo so. Non sono bravo in queste cose, anzi, sono un vero disastro.”
“Non è vero, sta tranquillo, Yukio capirà.”
“Lo spero.”

“Nii-chan, volevo chiederti … tu ce l’hai ancora con me, vero?”

“E per cosa? Perché non mi hai detto qualcosa? Perché hai rivelato subito la tua natura a tutti, mettendo in pericolo anche me? No, possono essere le cose più gravi del mondo ma non riesco ad arrabbiarmi con te. Non seriamente. Hai i tuoi motivi, quando vorrai dirmi tutto ne parleremo.”

Sembrava sincero. Mi sentii subito sollevata, ma visto che lui non lo era per nulla, volevo tirarlo su di morale o almeno fargli cambiare argomento.
“Basta deprimerci, siamo vivi e stiamo bene, più o meno. Tu che hai fatto questo pomeriggio?”

Rin sorrise radioso, sembrava impaziente di raccontare.
“Sono andato con Yukio al negozio per esorcisti. Non sono potuto entrare, purtroppo, ma ho aiutato Yukio ad esorcizzare un demone che possedeva la figlia della proprietaria, Shiemi. È stato fantastico. Eravamo anche venuti a cercarti perché tu venissi con noi, ma eri già uscita.”
“Ti sei divertito, insomma.”
“Già. Tra l’altro Shiemi è molto carina e simpatica, anche se timidissima. Uno di questi giorni te la devo far conoscere.” Gli occhi gli brillavano di entusiasmo.

Qualcosa si smosse in me a sentire queste parole. Avrei dovuto essere felice per Rin, visto che finalmente sembrava farsi dei nuovi amici, però …

“Ehi, sembri molto interessato a lei …” ribattei, canzonandolo e usando le sue stesse parole, e lui rispose, ridacchiando: “Sì, abbastanza.”
Sentii un sapore amaro un bocca e la mia mascella si contrasse leggermente.

“Dai, mangia qualcosa. Sarai affamata.”
Scaldai la ciotola usando un minimo di potere demoniaco sulle mani.
‘E sono questi i rari casi in cui ringrazio mio padre.’ pensai.

Stemmo zitti per un po’, mentre io finivo di mangiare. Rin mi scrutava con occhio vigile, non perdendosi neanche un mio battito di ciglia. Era bello avere qualcuno che si prendeva cura di te.

“Angel, devi parlarne con Mephisto. Per quella cosa di tuo padre.”
Inghiottii l’ultimo boccone con fatica e risposi: “Oh, no. Visto che è lui a gestire le barriere dell’Accademia, vuol dire che Iblis è entrato con il suo consenso. E in più-”

Mi bloccai. Gli stavo per dire del patto con Mephisto, ma non mi ricordavo se nelle clausole c’era il segreto.

“In più cosa?” Rin mi guardava con gli occhi sgranati, in attesa. Come potevo mentirgli di nuovo? Fanculo Mephisto e il suo contratto, era Rin, gli avevo già fatto troppo male nascondendogli troppe cose.

“Diciamo che ho firmato un contratto abbastanza vincolante con lui. In poche parole, lui mi dà ordini, io obbedisco. Se sgarro, succede, beh, questo.”e così dicendo mi girai e tirai su la maglia, in modo che vedesse il tatuaggio, che oltre al disegno di partenza era composto da una catena di fiamme che arrivava all’altra spalla. “A parte il fatto che brucia da morire quando trasgredisco gli ordini, come al funerale di Shiro, quando arriva alla coda sono fottuta. Quel buffone non mi ha ancora detto cosa mi succede, ma di sicuro niente di buono.”

Silenzio.

“Allora cosa puoi fare?”

“Nulla, assolutamente nulla. Rin, io non ho mai avuto nessuno, e quando ce l’ho avuto, l’ho perso in un soffio, così. Sono un mostro e dovunque vada porto solo male. Ecco come stanno le cose, nii-chan.” dissi con amarezza.

Mi tirai su il lenzuolo per nascondermi, sapevo che se avessi sostenuto ancora lo sguardo di Rin mi sarei messa a piangere. Lui mi capiva, anche se non gli avevo ancora detto tutto. Scostò dal mio viso il ruvido velo, che mi pareva fatto di cartavetro per la sua dolorosa freddezza.

 “Ehi, non sei sola. Ci siamo sempre noi.” sussurrò.

Una lacrima mi scivolò sulla guancia.

“La gamba. Fa un male boia.”

Rin la raccolse. “Sì, la gamba.”
 
ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, DA QUALCHE PARTE, QUALCHE ORA PRIMA
 
Arrivai al mio scantinato prima di rendermene conto, spossato e sfinito. Feci per buttarmi sul letto, ma realizzai che prima avevo una cosa ben più importante da fare. Con scatti felini mi arrampicai sui tetti dell’Accademia, correndo più velocemente che potevo, la rabbia  che saliva ad ogni falcata.

“Oh oh, ma come siamo infervorati ... a volte voi umani siete così patetici!”

Il pensiero mi fece imbestialire ancora di più, anche perché sapevo che in quel momento lui era più forte di me. Accelerai l’andatura.
In qualche minuto ero sul balcone del Preside. Entrai con furia, quasi sfondando la leggera portafinestra.

“Che cosa significa questo, Mephisto?”

Il demone era assorto nel suo lavoro e sembrò non calcolarmi, rivolgendomi sono un distratto: “Cosa?”

“Non fare il finto tonto con me! Lo sai benissimo!”

Il preside mi ignorò ancora, continuando a scrivere. Sbattei con foga un pugno sulla scrivania, facendo tintinnare una tazza e macchiando un documento.

Ora avevo la sua attenzione.


“Non vedo il motivo di questa intrusione. E di tutta questa aggressività.”

“Non lo vedi?!? NON. LO. VEDI?!?!”

Stavo praticamente urlando.
“Stronzate! Iblis nei confini dell’Accademia!!! Che attacca!!”

“Oh. Come ne sei venuto a conoscenza?”

Ma che …?
Aveva un che di assente, non mi piaceva, voleva dire che 1) non mi avrebbe preso sul serio e 2) qualcosa di più grosso lo preoccupava di più.


“Ero là. Ha attaccato anche me. E ne sono scappato per poco. Non hai niente da dire?”
“Non era calcolato.”

Rimasi senza parole. Cosa? Non sapeva …

“Se io non ero calcolato, vorresti dire che hai  lasciato VOLONTARIAMENTE  una dei tuoi più preziosi alunni in balia di uno degli 8 re di Gehenna?!?”

“Sono per l’apprendimento attivo. Ascoltami,  Tenebrosetto, lo sai bene che 
non avrei mai permesso che Iblis la uccidesse, o la portasse a Gehenna.
Per lei ho programmi importanti, e che non posso permettermi di perderla. Ma ho dei fratellini esigenti e devo accontentare molte persone. Così..."

“Così un corno! Torcile un solo capello e puoi dire addio alla nostra alleanza!”

“Ne riparleremo alla prossima luna nuova. Che è, se non sbaglio, tra 3 giorni?”

Mi morsi il labbro. Non potevo fare niente contro di lui.
“Vedo che hai capito. Sono stato fortunato ad averti presente. Come se l’è cavata?”

Mio malgrado, sorrisi: “Egregiamente. Ha un controllo quasi perfetto del suo potere, ha lavorato molto. Ed è un talento naturale con le armi da fuoco.”
 A Mephisto si stampò in viso quel viscido ghigno che lo caratterizzava e che odiavo con tutto il cuore.

“Molto bene, sono sicuro che la terrai d’occhio … con particolare riguardo.  Ora, se non ti dispiace, sono molto occupato. Non ci sono nuovi ordini.” mi congedò e io me ne tornai fuori.

Inspirai l’aria della notte, distrutto nel corpo e ferito nell’animo come non ero da anni. Debole, ero solo un debole.  Accanto al comodino trovai una busta. Il lavoro mi chiamava, quindi. Mi sentivo malissimo, la fronte in fiamme  e le orecchie che fischiavano.
Il  solito, insomma.


Filai a letto prima di perdere il controllo, e per la prima volta da mesi, dormii veramente.
 

Mi svegliai molto presto dopo una notte agitata e popolata di incubi dove il dolore immaginario si fondeva a quello costante della gamba.
Rin era ancora lì, profondamente addormentato sulla sedia accanto al mio letto. Sorrisi dolcemente al pensiero che avesse vegliato su di me tutta la notte. Quale persona avrebbe mai potuto giudicarlo un demonio? E adesso era lì, la testa a penzoloni, il viso disteso e rilassato, la bocca semichiusa, l’arma risolutiva contro Satana.

Comunque, anche se le lezioni cominciavano tra un bel po’, decisi di svegliarlo, conoscendo i suoi tempi per emergere da mondo dei sogni. Ma non senza divertirmi un po’.

“Ehi, Rin. Dove hai messo le chiavi del carro armato?”
“Mngnnghgn …”
 “Dove sono le chiavi del carro armato?”
“Sukiyaki. In frigo, guarda nel frigo.”
“Nii-chan, svegliati e va’ a prendere le chiavi del carro armato.”
Rin socchiuse un occhio e mi guardò storto mentre io stavo per esplodere dalle risate.

“La prossima volta le chiavi del carro armato te le trovi da sola …” mugugnò lui, ormai sveglio ma ancora intontito.
“Ti ho fatto un favore. Non ti saresti mai svegliato in tempo. E adesso sei anche un pelo in anticipo. Dai, aiutami ad alzarmi.”
“Dovresti riposare.”
“Nah, sto bene. Yukio ha sottovalutato le mie capacità rigenerative.”
Il moro mi offrì la spalla, e io mi tirai su a fatica, notando però con piacere che riuscivo ad appoggiare un po’ il piede, anche se il ginocchio si lamentava ad ogni movimento.

“Visto? Niente di cui preoccuparsi. Basta non fare educazione fisica.”

Andammo a fare colazione, ci preparammo e con un bell’anticipo eravamo i primi in aula. Fu un sollievo sedersi al mio solito banco, accanto a Rin, ma lontano dal resto della classe. Non ce la facevo più a stare in piedi.

Quel giorno avevamo una sorpresa. Infatti, quando Yukio entrò per fare lezione, con sé portò una biondina con gli occhi verdi e il kimono, che divenne paonazza anche semplicemente presentandosi alla classe. Da come la guardava Rin, individuai subito che si trattava della ragazza che aveva conosciuto il giorno prima. Shade non era ancora arrivato e sarebbe stato assente per tutta la giornata.
Shiemi Moriyama andò a sedersi accanto a Rin, dall’altro lato rispetto a dov’ero io.
Sì, in effetti era carina.

La giornata passò velocemente, le lezioni venivano interrotte soltanto quando Rin si addormentava (oh, era inutile tentare di tenerlo sveglio, credetemi, ci avevo provato tante di quelle volte …) e veniva richiamato, suscitando commenti infastiditi dal galletto che sedeva poco più dietro. Ma non poteva farsi gli affari suoi, quello?

A pranzo, poi, eravamo io, Rin, Yukio e Shiemi, che sembrava incollata a mio fratello con lo scotch, ma va beh, non era una compagnia così sgradevole, solo un po’ troppo infantile per i miei gusti. Comunque, quando Yukio si allontanò per parlare con il professore di educazione fisica della mia gamba, la ragazza cominciò a dire cose strane a Rin finendo in una situazione equivoca e imbarazzante.

E ovviamente in quell’esatto momento arrivò il trio di Kyoto.
Mio fratello negò persino l’amicizia con Shiemi (che ci rimase malissimo, ma Rin sembrava avere gli occhi foderati di prosciutto), e non sarei intervenuta se non mi fossi sentita chiamata in causa.

“Ah, non è tua amica … Akuma sì, però, che lo è. Perché non ti fai insegnare un po’ di demonologia da chi di per certo ne sa più di te, eh?”
Scattai estraendo la pistola e in un attimo ero davanti all’energumeno.

Dio, che male la gamba.

“Cosa hai detto scusa?” dissi puntando l’arma a qualche centimetro dalla faccia da schiaffi di Suguro.
Lui era stupito, ma non sembrava spaventato. Si era accorto che era scarica? “Niente, visto che sei un demone potresti insegnargli qualcosa,tanto siete sempre insieme … ”

“Forse tu non hai capito bene. 
UNO: chi ti credi di essere;
DUE: Rin può benissimo cavarsela da solo;
TRE: se ti dà fastidio il fatto che un mezzo –demone abbia degli amici e delle aspirazioni come chiunque, beh, allora non ti resta che rintanarti in un angolino con i tuoi bei voti e startene zitto. Perché io non ho intenzione che uno come te mi metta i bastoni tra le ruote.
Non so se l’hai capito, ma sono una ragazza come voi, e diventerò un’esorcista esattamente come voi.”

Me ne allontanai impettita, soddisfatta della faccia che aveva Suguro.

“Ti ha spento, Bon.” disse Shima.
“Sta’ zitto, tu.”

E venne l’ultima ora: educazione fisica. Mi tolsi la benda che fasciava la gamba destra, che ancora non aveva un bell’aspetto, proprio per niente, e muovermi non mi aveva fatto bene. La pelle era scorticata e rossa, alcune vesciche purulente erano scoppiate per il movimento e ora sanguinavano. In più bruciava come l’inferno.
Bene.
Mi misi un po’ in disparte, concentrando i miei poteri demoniaci sulla ferita, al punto che la vidi rimarginarsi del tutto sotto i miei occhi.
Perfetto, ora ero a posto.
Mi sentivo molto stanca però, e ancora il dolore non era passato, ma avrei potuto fare qualcosa, forse.
A me una barretta di cioccolato!

La lezione sarebbe servita per “farci prendere confidenza con i movimenti dei demoni”, ossia “andate giù nella pista e fatevi rincorrere da un Leaper, e se vi prende son cazzi”. Mentre finivo di tirarmi su la calza, mi si avvicinò Yamada.

“Qual buon vento ti porta da queste parti, Shura Kirigakure, esorcista di prima categoria superiore?”
“Cerco di capire cosa ci fai qui e come ti comporti, Angel Akuma, per conto del Vaticano.”
“Oh, affascinante. Tranquilla, non dirò niente a Mephisto. Sempre che non lo sappia già. Io cerco di diventare esorcista per fare il culo a mio padre.”
“Ma non mi dire.”
“Non mi sembra, comunque, che il Vaticano mi stia venendo a prendere. Non avrai mica ‘sbagliato’ a fare rapporto?”
“No, certo che no. Ho solo altre priorità.”

L’esorcista stava fissando attentamente la pista, dove Rin si stava correndo con Suguro, scappando dal Leaper. Anzi, dove i due si stavano scannando. Meglio andare a fermarlo.
Presi Rin per le spalle contemporaneamente al professore, ma lui si divincolava in maniera impressionante.
I due amici dell’altro facevano altrettanto fatica.
Suguro fu chiamato dall’insegnante, e Shima e Miwa si scusarono con Rin. Beh, se non altro loro erano trattabili. I due spiegarono anche il motivo delle ambizioni di Ryuji. Di fatto, lui aveva anche ragione a volersi vendicare. D’altronde Satana aveva distrutto la reputazione della sua famiglia e spento molte vite.

Non potevo biasimarlo per odiarmi. Di Iblis o di Satana, sempre dannate fiamme erano.

Erano così diversi eppure così simili, quei due. Avrebbero potuto andare molto d’accordo, se non avessero cominciato con il piede sbagliato.
Suguro tornò accompagnato dal professore, che neanche tre secondi se ne andò di gran carriera dalla sua ‘gattina’, lasciandoci come avvertimento di non entrare in palestra.

Yay.

Il figlio del venerabile non aspettò un attimo per riattaccare briga con Rin. Lo sfidò ad andare a toccare il Leaper. Cercai gli occhi di Rin, e, se devo essere sincera, credo di non aver mai guardato così male una persona in tutta la mia vita. Per fortuna ciò servì a non fargli fare stupidaggini.

Evidentemente, però, il ‘genio’ dalla cresta gialla non era altrettanto propenso a starsene buono per i fatti suoi.
Suguro scivolò giù per la discesa che conduceva in palestra, sotto gli sguardi stupiti dei suoi compagni.
Si vedeva lontano un miglio che qualcosa sarebbe andato storto. Era nervoso, arrabbiato, e il Leaper se ne sarebbe accorto al 100%.

E infatti … il Leaper attaccò. Sia io che Rin scattammo verso il demone, ma lui fu più veloce di me. Il demone d’acqua lo azzannò, e mentre con il solo sguardo mio fratello lo faceva calmare, io portai via Suguro.

“Colpi di testa come questi non sono concessi in battaglia. Se vuoi davvero sconfiggere Satana, devi imparare a collaborare di più con gli altri.” gli dissi.
“Come se tu potessi farmi la predica …”
“Senti, so che abbiamo cominciato con il piede sbagliato. E probabilmente non sono la persona più adatta a dirtelo, ma il lavoro di squadra è fondamentale.”
Nel frattempo Rin ci aveva raggiunto, sbandierando la sua ambizione. Così uguali, quei due …

[…]

Finirono le lezioni, e stranamente Rin si mise a studiare.
“Sta per accadere qualcosa di brutto …” disse Yukio.

Rin fece l’offeso.

Poi Suguro fu gentile con lui, regalandogli una molletta per capelli.

Rin cambiò idea.

Insomma, era stata una giornata bella piena. Tornammo dalla biblioteca verso l’ora di cena.
“Bastaaaaaaaahhh! Ho il cervello in fumo!”

Rin era distrutto. Io e Yukio ce la ridevamo: finalmente il nostro fratellino aveva idea di cosa volesse dire il ‘peso della conoscenza’! (NdA: Angel, ti faccio notare che tu hai lasciato la scuola e che non eri così contenta di ritornare tra i banchi! Angel: ma sta’ zitta! -.-“)

Comunque ero un po’ a disagio, non sapevo perché, ma non riuscivo a scollarmi di dosso la fastidiosa sensazione di essere osservata. Con la coda dell’occhio vidi un’ ombra muoversi alle mie spalle e inoltre sentii un lieve fruscio.
Dovevo controllare.

“Oh. Ho dimenticato un libro in biblioteca!” dissi con tono distratto.
“Se vuoi ti accompagno …” si propose Yukio.
“No, grazie, vado e torno, sarò con voi prima che arriviate al dormitorio.” E partii, senza che nessuno dei due potesse ribattere.

Girai l’angolo e vidi una sagoma nascondersi dietro un albero. Estrassi la pistola.
“Chi sei? Perché mi stai seguendo?” dissi con voce ferma.

Nessuna risposta. Mi avvicinai.

“Rispondi. Non costringermi a fare fuoco.”
Un braccio sbucò da dietro l’albero, con qualcosa in mano. Ruotando il polso in modo teatrale lo fece cadere a terra.

Che?

Ora, lentamente, piegò le dita fino a formare una pistola, e fece finta di sparare. Per un secondo la mia vista si oscurò. Feci giusto in tempo a vedere lo sconosciuto dileguarsi nel buio, impossibile da raggiungere.

Mi avvicinai all’albero per raccogliere quello che aveva lasciato lì. Le gambe mi cedettero e mi accasciai a terra.

Tenevo in mano l’ennesima busta gialla.










Angolo dell'Autrice:

Ed eccomi qui! Un capitolo un po' statico dove però succedono un po' di robine interessanti...
Beh, cosa ne pensate di Joshua? Ed Angel? Sono stata troppo OOC?
Va beh, volo via perché sto postando questo capitolo in un'ora buca e tipo in tre secondi devo essere in classe.
Adiòs!
Ciao Miao
FB13
P.S.: Recensite, recensite, recensite! ^-^

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Capitolo 11
*** Messing up. ***


CAPITOLO 11:  Messing up.


ACCADEMIA DELLA VERA CROCE, ORE 19:44

Non so quanto tempo rimasi lì, potevano essere minuti o ore. Mi tirai su con le gambe indolenzite e mi affrettai verso il dormitorio. Probabilmente Rin e Yukio sarebbero stati in pensiero.
Invece li trovai a tavola intenti a mangiare. Fiuu, meno male.

"Ciao! Ti sei persa per strada?" mi salutò Rin.
"No, ecco... Ho incontrato Shade, che oggi era malato, e gli ho detto quello che abbiamo fatto. Che si mangia?" Tentai di cambiare argomento inventando la prima balla che mi passava per la testa.
"Stai bene? Hai un pessimo colorito..." disse Yukio.
"Tutto a posto. È stata una giornata un po' impegnativa, solo questo."
Mi sedetti e cominciai a mangiare, come se niente fosse successo.
 
Ecco. Di nuovo, avevo svolto il mio lavoro come si deve, da bravo burattino.
Ero un vile, solo un vigliacco egoista.
Non dovevo pensarci.

E invece no, un chiodo fisso nella mente:
"Sai che questa volta non seguirà mai gli ordini"

Non volevo che si ferisse. Non lo meritava.

Io lo meritavo. Un vile, un cagnolino spaventato che scappava con la coda tra le gambe.

Gambe che intanto mi stavano conducendo dal mio 'capo', l'unico che veramente avrebbe potuto darmi la libertà, ciò che più desideravo.
E fanculo il resto.

"Sei in ritardo."


"Sì, lo so, scusi. Non è così facile, a due giorni dalla luna nuova.
E sa bene che ha bisogno di me, lui non è così ... servizievole. Lo ha visto."


"Sì, sì, certo. Capisco. Nessun problema? Fatto tutto ciò che ti ho chiesto?"

"Sì, per filo e per segno, signore."
Stavo male, male dentro. Incapace di reagire, impotente. Ma lo dovevo fare.
Mephisto non mi avrebbe mai aiutato, mi ci erano voluti tanti, troppi anni per capirlo.

Così... Che altro fare se non trovare qualcun altro?  
Doppio gioco?
Oh, sì.

Anche se dovevo comportarmi come un verme per un verme, volevo a tutti i costi raggiungere i miei obiettivi.

"Signore...?"

"Sì?"

"Cosa le succederà se... ecco... trasgredisce?"

"Tu osi pensare che lei disubbidirà?!?"

Ecco, l'avevo fatto arrabbiare. Verme irascibile, mi correggo.
"No di certo, signore, ma bisogna considerare questa eventualità"

["Bleah, ma sentiti. Mi sono rotto di stare qua buono buono."]
 
"Diciamo che qualsiasi cosa farà le si ritorcerà contro. Contro lei e contro quell’invertebrato traditore di Samael." e un ghigno malefico gli si stampò sul volto.

Fitta al cuore.

["Mamma mia lo schifo. Coniglio! Fragile, debole!"]

Mi congedai e me ne andai il più velocemente possibile.
Lo sentivo, non avrei resistito a lungo. Ormai lui stava per prendere il sopravvento.

[“Ecco che arrivo!”]

Arrivai al retro della villa di Mephisto distrutto. Cercai, con la vista distorta e la testa che mi girava, il pad che apriva la porta sul retro.
Ci sbattei la mano sopra con incontrollata violenza.

Calmo, respira, manca poco.

Lo schermo si incrinò, ma per fortuna registrò comunque le mie impronte. Uno spasmo percosse il mio corpo e mi trovai a tossire sangue.
La solita vocina metallica chiese la password.

"Akuryokage."

Mi mancava il respiro, soffocavo. Un ultimo sforzo...

Sbandai dentro, arrancando e sbattendo fortemente una spalla.
Solo quando sentii la porta richiudersi dietro di me e sigillarsi, mi permisi di perdere conoscenza.


AULA 1120, CORSO SPECIALE PER ESORCISTI, QUALCHE GIORNO DOPO

La busta che mi era stata recapitata era un po' diversa dal solito.
Innanzitutto non conteneva solo il cartoncino con la scritta rossa in inglese, ma anche una provetta con tappo e una piantina del dormitorio.

Gli ordini erano di riempire la provetta di sangue, andare nella stanza del dormitorio segnata sulla mappa in un giorno ben preciso ad una determinata ora e versare il sangue sul pavimento. In cambio mi si offrivano informazioni.
A parte gli ordini insulsi e apparentemente privi di senso, ma la ricompensa di 'informazioni' non mi convinceva per niente.
E poi avevo già deciso che non mi sarei fatta mettere i piedi in testa. Non di nuovo.
Ero determinata a farmi valere.

Quel giorno non c'erano le lezioni normali, ma una giornata piena di Corso per Esorcisti.
Così, mentre seguivo sì e no le spiegazioni, continuavo a riflettere.
Dunque, chi mai potrebbe mandarmi ordini così assurdi? Mephisto sicuramente no.
Grazie alle buste gialle gli avevo già disubbidito due volte. Il punto è che non mi veniva in mente nessun altro.

“Akuma! Rispondi tu!”
“Uhm… cosa?”
“Eri distratta, eh? Pagina 39, esercizio 4!”
“Oh, mi scusi. È la risposta b.”
“Molto bene. Sii più attenta però, queste cose potrebbero esserci nel test.”

‘Seh, contaci. Come se lei fosse mai coerente con quello che dice. Ho altro per la testa.’ risposi mentalmente alla professoressa Ari (*), l’insegnante di Storia dell’Esorcismo.

Viaggiai ancora un po’ con la fantasia, il tempo che passava lento, lento, leeeeeeentoooo. Finché, alla fine della seconda ora, Yukio ci spiegò che entro luglio avremmo avuto l'esame per passare da Page a Esquire, grado che ci avrebbe aperto le porte alle missioni. Finalmente qualcosa di interessante!

"Quindi la settimana prossima comincerete un ritiro in previsione dell'esame. Compilate il modulo e specificate il Meister a cui volete accedere."
Il foglio si appoggiò volteggiando sul mio banco. Avevo subito notato che la data della busta gialla era quella del secondo giorno. Coincidenze? Io non credo. (NdA: perdonatemi per l'orrenda citazione. ^.^")

Rin, ovviamente, non aveva idea di cosa fosse un Meister. Così lo chiese a Suguro, che, con i suoi modi bruschi, glielo spiegò.

In poche parole, i Meister sono le 5 specializzazioni di esorcista, che determinano il metodo di combattimento. Gli Aria combattono recitando i 'versetti fatali' dei demoni, contenuti nei libri sacri di varie religioni; i Tamer, gli Evocatori, usano cerchi di evocazione per asservire i demoni al loro controllo e farli combattere; poi ci sono i Dragoon e gli Knight, che usano rispettivamente armi da fuoco e da taglio; infine i Doctor sono i medici.
Non avevo neanche bisogno di pensare che Meister sarebbe stato mio. Ero certamente una Dragoon.

Cominciai a compilare il modulo, concentrata, cercando di non sbagliare.

Mi girai a guardare Rin e per poco non mi prese un infarto. La faccia di Shade era a qualche centimetro dalla mia, che fissava il mio foglio sul mio banco. Riuscii a trattenere qualsiasi urletto imbarazzante, ma sobbalzai.

“Ehi, ciao Angel.”

“Non scassare, Shade, mi hai fatto prendere un colpo! E sono Akuma, per te.”

“Cshhhhhh… qualcuno è un po’ acido, eh?” rispose lui, imitando il suono di qualcosa che si scioglieva.

“Mi hai lasciato in balia di un esercito di demoni! Come ti aspetti che mi comporti?!?”

“Ma ti ho chiesto scusa … mi dispiace …”

Sembrava veramente dispiaciuto.
“Probabilmente non mi crederai, ma ti posso assicurare che non è stata colpa mia.”
Mi girai e lo guardai con sguardo penetrante. Ma che diamine stava dicendo ‘sto qua?!?

“Stai scherzando, vero? E di chi sarebbe la colpa?”
Shade non rispose, gli occhi verdi oscuri, spenti, distanti.

“Cos’era quell’armatura nera con cui hai combattuto?”

Ancora silenzio.

“Yukio mi ha detto che non avevi ferite dopo la battaglia. Come hai fatto a guarire così in fretta?”

“…”

“Come siamo fuggiti?”

Niente.

“Sei un demone anche tu, vero?” chiesi, temendo quello che avrebbe detto.

“No.”

La veemenza con cui la risposta arrivò mi fece sobbalzare.

“Senti, mi dispiace, non posso risponderti. Non posso proprio. E so che perdonare è una parola grossa. Solo … pensavo avremmo potuto …”
“Non dire altro. Tornatene al tuo posto e non mi seccare più.”

Joshua si alzò lentamente, con una faccia talmente scura da sfidare quella di un morto. Poi, sempre in silenzio, sinuoso come un gatto, si abbandonò sulla sedia, in fondo all’aula, in silenzio.

… E no, però. Nessuno avrebbe mai provato a non vedermi come un mostro, se ero così acida.
Perché il mio carattere era così fottutamente schifoso?

Quando alla fine dell’ora cambiammo aula, cercai di avvicinarmi a lui.

“Non eri tu quella che non voleva avere più a che fare con me?” attaccò lui, freddo.
“Sono qui per chiederti scusa. Avrai i tuoi motivi per stare zitto. Ho deciso di lasciar correre, per questa volta …”

Shade sollevò lo sguardo, raggiante, ma senza sorridere apertamente. Aveva quel modo di illuminare gli occhi senza cambiare espressione facciale, qualcosa di unico. Al massimo tirava su un angolo della bocca, ma senza scomporsi troppo, quasi come se avesse paura di essere felice.

“ … però ho una condizione. Mi prometti che la prossima volta che te lo chiederò risponderai. A OGNI mia domanda.

Mi guardò con aria di sufficienza. “Sì, sì, lo prometto.”

“No, non mi basta. Giuralo.”

Shade sembrò titubare. “Lo giuro.”

“Hai appena stretto un patto con un demone, Shade. Non puoi trasgredire.” sorrisi, con fare scherzoso. “Andiamo, o faremo tardi.”

 […]

“Non pestate il cerchio. Se si rompe, finisce l’effetto. Per evocare un demone, serve del sangue, un cerchio magico, le formule giuste, ma soprattutto un talento innato e una gran forza di volontà. Per questo i Tamer sono sempre troppo pochi.”

Il professor Noihaus (**) si tolse una delle numerose bende che gli coprivano le braccia (doveva avere ferite che non si rimarginavano da tempo, lì sotto) ed evocò un mastino cadaverico, un Naberius. Sinceramente, era una figata!

Ad ognuno venne dato un foglietto con un semplice cerchio magico e uno spillo. Izumo in men che non si dica aveva accanto a sé due volpi bianche.
Anche Moriyama a sorpresa era riuscita ad evocare un piccolo Green Man. Subito si avvicinò a Kamiki per mostrarle quello che aveva fatto, lei le mollò una risposta acida che ovviamente la biondina fraintese. Quanto era ingenua …

Ora toccava a me. Sinceramente, essendo figlia di un demone, non sapevo cosa aspettarmi, a Rin non era successo niente … forse avrei potuto evocare qualcosa di forte!

Piena di aspettative, versai una goccia di sangue sul cartoncino. Una frase mi si stampò in mente, come se fosse sempre stata lì.

“Redimi il Peccato, giustiziere dell’Abisso, espia la tua colpa nelle fiamme maledette!”

… o almeno è quello che avrei voluto dire. Come la gocciolina di sangue toccò il foglio, esso prese fuoco, incenerendosi immediatamente in un leggero scoppiettio.

Esattamente come fecero quelli di tutti gli altri.
Le volpi di Kamiki e il famiglio di Shiemi scomparvero in una nuvoletta bianca.

 Avevo gli occhi di tutta la classe puntati addosso.

“Ehm … scusate. Non l’ho fatto apposta. Anzi, credo proprio di non aver fatto niente.”

*silenzio*

* cri cri … cri cri …*

*wooooooshhhhh*

* fuori dalla finestra passa un pollo viola che ci saluta con le ali ma tutti continuano a fissarmi *

*coccodè!*

“Uhm, credo che la signorina Akuma non sia la responsabile di tutto ciò. Può darsi che il suo sangue sia semplicemente inadatto a questo genere di cerchi magici.
La lezione è finita, potete andare. Mi raccomando il modulo per il ritiro, ricordatevi di consegnarlo a me il prima possibile.
Ah, signorina Akuma? Potrebbe fermarsi un attimo?” disse, e lanciò un’occhiata sfuggente a Rin, per poi far cadere lo sguardo su di me.

Gli altri se ne uscirono guardandomi in cagnesco, a parte Shiemi e Paku che sembravano solo preoccupate.
Rin fece per fermarsi, ma gli dissi che ci saremmo visti più tardi.

“Signorina Akuma, deve avere maggior contegno durante le ore di lezione.”

“Ma professore! Non ho fatto nulla, davvero!”

“Conosci qualcun altro che potrebbe bruciare oggetti con una goccia di sangue?”

Non seppi rispondere.
“Prof, le giuro che non sono stata io. Avevo anche in mente una formula da recitare, ma non ho fatto in tempo a dire niente …”

Noihaus mi fissò per qualche secondo, pensieroso, con uno sguardo scettico.
“E sentiamo, quale sarebbe questa ‘formula’?”

Gliela riferii, prontamente, piantando i miei occhi nei suoi. Un lampo balenò nell’unico occhio del professore, che si fece ancora più scuro in volto.
“Impossibile … tu …” farfugliò, poi disse: “Senta, signorina Akuma, il preside potrà fidarsi di lei, ma io tendo a combattere i demoni, non ad istruirli.
La prego di stare attenta. La tengo d’occhio. Ora può andare.”

“Grazie, professore. Buona giornata.” salutai.
Come mi girai feci scivolare fuori la coda, sorridendo con aria di sfida. Chissà che faccia aveva Noihaus in quel momento …

Rin mi aspettava fuori. “Angel, che ci fai con la coda fuori?” mi chiese lui curioso.

“Diciamo che aveva voglia di respirare …”

“Ehi, non è giusto! Anche io sono scomodo …”

“No, tu sei idiota, è diverso.”

“EHI!”
 
UNA SETTIMANA DOPO, DORMITORIO VECCHIO. RITIRO DEI PAGE.

(sì, il ritiro sarebbe stato nel nostro dormitorio. Ma che fantasia, Mephisto…)

Test su test, lezioni su lezioni. Il ritiro non dava un attimo di tregua, era qualcosa di massacrante, insomma, per starci dietro bisognava metterci l’anima.

Finita l’ennesima sessione di verifiche, le altre ragazze decisero di farsi un bagno, così approfittai anche io per rilassarmi un po’.
Tanto loro non sapevano dei bagni al secondo piano … più grandi, con vista sul bosco e dove l’acqua calda arrivava prima. Piccoli vantaggi di vivere in un dormitorio deserto.

Dopo essermi messa il costume (NdA: sì, lo so, il bagno alla giapponese andrebbe fatto nudi anche nei bagni pubblici, ma Angel non è giapponese: quindi non è abituata e si vergogna.), ripassai per caso davanti all’altro bagno. Vi trovai davanti una Shiemi abbastanza triste, ferma in piedi e imbambolata.

Pensai che forse quella sarebbe stata l’occasione per sembrare un minimo amichevole, un po’ più avvicinabile.
Forse.

“Ehi, Moriyama-san! Cosa stai facendo?” le chiesi.

“Uhm, io … niente. Vado a comprare un latte alla frutta.”

“Non dovevi fare il bagno con le altre?”

Lei mi guardò sconsolata con gli occhi lucidi che sembravano essere sul punto di riempirsi di lacrime.
“Su, dai, vieni con me. Lo sai che c’è un’altra vasca più grande al piano di sopra?”

“C-c’è un altro bagno?” domandò timidamente lei.

Annuii vigorosamente, e il suo viso si accese con un sorriso sincero.

Guidavo Shiemi per i corridoi, mentre lei mi seguiva in silenzio, rossa in viso ed evidentemente emozionata.

“Io … non ho mai fatto il bagno con un’amica …” farfugliò lei arrivate nello spogliatoio, mentre ci preparavamo. Sorrisi.

Un sorriso che si spense in fretta non appena vidi l’espressione di Shiemi quando la mia coda sbucò fuori dalla maglia, srotolandosi dal busto e cominciando a ondeggiare sinuosa. La biondina fece cadere il kimono che teneva in mano, che cadde a terra con dolcezza.

“Tu … hai paura di me, vero?” chiesi con aria afflitta. Come potevo biasimarla?

“N-n-no … veramente non me l’aspettavo … è-è carina la tua coda.” Rispose, diventando per l’ennesima volta color pomodoro.
Mi chiesi se le sue vene facciali sarebbero mai potute esplodere, visto il continuo sforzo a cui le sottoponeva.
Calore percorse il mio corpo, un sorriso apparve spontaneamente sulle mie labbra.

“Sei gentile, Shiemi-san.”

Improvvisamente, un urlo squarciò l’atmosfera. Veniva da sotto, e certamente non era un maschio. Un solo pensiero: Kamiki e Paku non stavano allegramente bevendo un latte alla frutta. Scattai senza esitazione fiondandomi fuori. Shiemi mi seguì a ruota, incespicando nel kimono che si stava rinfilando.

Quando giunsi al bagno, trovai Rin schiacciato dal peso di un grosso Ghoul, Paku ferita e Kamiki in lacrime, impotente accanto all’amica che respirava sempre più affannosamente.

Guai, insomma.

Shiemi scattò verso le compagne, cercando di prestare un primo soccorso a Paku.

“Akuma-san! Distrai il demone!”

Non c’era bisogno di dirmelo, sapevo cosa dovevo fare. In un attimo feci prendere fuoco al Naberius, che, cacciando un urlo terribile, cominciò a guardarsi intorno stranito, cercando chi l’avesse attaccato.

Rin si spostò di scatto, tenendosi la gola e respirando affannosamente. Ero arrivata giusto in tempo.

“Ehi, tu! Sono qui, idiota! Vieni a prendermi!”

“Pr … principessa … Non … dimen … ticare … chi è … il tuo unico signore … Per … do … no …” gracchiò il demone con voce metallica.
Mi bloccai un attimo. Cosa intendeva?

Non ebbi il tempo di pensarci, una delle due teste del Ghoul cominciava a gonfiarsi.
E, se avevo vagamente ascoltato in classe, sarebbe esplosa presto, liberando un miasma letale! E non avevo tempo di fermare il demone!

Scattai senza esitazione verso le tre ragazze, evocando le fiamme di Iblis.

“Attente!”

Mi posi tra loro e il demone proprio quando il veleno veniva liberato. Una cupola di fuoco avvolse le ragazze, proteggendole.
In quel momento entrò Yukio, sentii una scarica di colpi e poi il demone darsi alla fuga.

“State tutti bene?” disse il fratello minore, la voce ovattata dalla mascherina che gli copriva il viso, mentre il maggiore cominciava ad aprire le finestre. Mantenni la barriera in piedi finchè il miasma non si disperse del tutto. Poi mi sedetti, con il fiatone, accanto alle ragazze.

“Meglio tardi che mai, Yukio! Se era per te eravamo tutti belli e fritti! Per fortuna che è arrivata Angel…”

Tutti mi stavano fissando. “Ho fatto solo quello che era necessario fare.”

Udii un gemito provenire da Paku. “Akuma-san…  Moriyama-san… grazie.”

Ero stanca e mi girava un po’ la testa, sostenere la barriera mi era costato parecchio, anche perché lo sforzo era stato prolungato. Ma ero felice. Felice.
Dio, quanto era semplice. Sentirsi felici era semplice. Bastava una persona, UNA, che ti accettasse.
Che riconoscesse la tua esistenza.
Che non ti guardasse con disprezzo, compassione o completa indifferenza, considerandoti tuo pari.
Forse questo sarebbe potuto essere un buon inizio, un primo punto di contatto.

Serenità.

[…]

“Ehi, nii-chan. Cosa credi che intendesse il Naberius?”

“Uh?”

Eravamo sdraiati al sole sul tetto del dormitorio. Beato far niente. Qualche mese prima saremmo stati sulle altalene del parco dietro il monastero.
Che nostalgia. Mi mancavano quei momenti.

“Terra chiama Rin. Il Ghoul. Hai sentito cosa mi ha detto, no? Secondo te, cosa significa?”

“Non ne ho idea. Ha detto cose strane anche a me. Mi ha chiamato qualcosa come ‘padrone’ e ha detto che gli ordini arrivavano dall’alto. Anche se non credo che parlasse di Satana, come avevo pensato all’inizio. Non lo so. Sai che non sono bravo con i ragionamenti contorti.” disse lui, distogliendo lo sguardo e giocherellando con la coda.

“Oh, beh. L’importante è che nessuno si sia fatto male. Non seriamente, almeno. Come sta Paku?”

“Meglio. Yukio dice che domani avrà ancora febbre, ma che in 2-3 giorni sarà di nuovo in piedi.

Mi sentii sollevata. Meno male.
Rimanemmo lì, in silenzio, a goderci la brezza primaverile, le code libere che ogni tanto si intrecciavano e si stuzzicavano a vicenda.
Che bello. Durò poco, però, perché cominciai a sentire dei passi.

“Sta arrivando qualcuno. Nascondi la coda.” dissi, ma Rin si stava già sistemando. Dopotutto, anche i suoi sensi erano sviluppati almeno quanto i miei, se non di più.

Era Shiemi, che portava il bucato. La vedevo meglio, un po’ più sicura di sé.

Buon per lei, però …

Però vedevo come Rin la guardava. Le guance lievemente imporporate, continuava a distogliere lo sguardo. Rapito, ipnotizzato da quel sorriso innocente e ingenuo, da quegli occhi verdi trasparenti. Da lei. Perché mi dava così fastidio? Anzi … perché faceva così male?

Moriyama se ne andò dopo poco e io rimasi con una brutta sensazione di amaro in bocca.

“Andiamo?”

“No, dai. Tanto, cosa dobbiamo fare?”

Il moro fece spallucce e si risedette accanto a me, appoggiando Kurikara appena dietro di lui. “Ok.”

Tanto qualche minuto prima ero rilassata e serena, tanto ora mi sentivo a disagio e scomoda.

“Nee-san, stai bene? Sembri agitata …”

“Io? Agitata? Nah, ti sbagli. Cosa te lo fa pensare?” dissi nervosamente.

“Ehm… coda che non sta ferma un attimo, sguardo che schizza di qua e di là, ti stai mordendo il labbro … se non sei nervosa io sono intelligente.”

Mi piantò gli occhi blu addosso. Non… non resistevo al suo sguardo.

“Ok, sì, lo ammetto. Hai ragione.”

“Bene, si può sapere cos-”
“Rin, a te piace Shiemi?”

La mia domanda lo spiazzò.

“Uhm, perché ti interessa?” rispose lui, guardando dritto davanti a sé verso un punto imprecisato dell’orizzonte.
Oh, se credeva che mi fosse sfuggito il suo rossore, si sbagliava di grosso.

“Beh, ecco… veramente…”

Non sapeva dove andare a parare e io non spostavo i miei occhi neri da lui.

“Piantala di fissarmi!”

“Tu rispondo e io la smetto.”

“… può darsi.”

Lo fissai ancora.

“…”
“…”
“...”
“… ok, sì. Decisamente sì.”

Fu come ricevere un pugno in pancia.
Ma non esiste. A me non piaceva Rin. Lui era il mio fratellino, niente di più.
Non poteva essere.
Ma allora perché…?

Sorrisi, cacciando tutto dentro, nascondendomi dietro un'espressione felice.

“Si vede, nii-chan. Proprio si vede.”

“Ehi, non è vero!” Il ragazzo era decisamente in imbarazzo. Con un’espressione tra l’arrabbiato e il confuso in faccia.

Scoppiai a ridere: “Ma ti vedi? Sembri un peperone!”

“Ma guarda questa… oh, ma smettila! Andiamo, vah, forse la pianti di ridere di me.”  Disse, e si alzò con fare impettito.

In realtà ridevo per non piangere.

[…]

“Kamiki, non è da te. Chiamiamo qualcun altro… Suguro?”

Fiu, non avevo minimamente studiato il salmo per oggi. Avevo un sonno pazzesco e lottavo per stare sveglia.
Bon ripeté parola per parola, con assoluta precisione, beccandosi pure i complimenti dell’insegnante. La sua brillante performance però non mi aveva salvato, anche perché avendo finito così in fretta l’insegnante avrebbe chiamato qualcun altro. Decisi di uscire a prendere un po’ d’aria prima di fare una figuraccia.

Non avevo praticamente più parlato con Rin dalla mattina prima, l’avevo evitato il più possibile, e quando proprio non potevo fare altro riducevo le conversazioni a monosillabi o le troncavo con qualche scusa. Avevo bisogno di tempo per capire cos’era stata quella reazione improvvisa quando Rin mi aveva rivelato i suoi sentimenti per Shiemi.
Ero molto confusa, perché la mia testa mi diceva una cosa e il mio comportamento un’altra.
Ero a disagio, non avevo dormito la notte. Non mi piaceva per niente.

Oh, beh. Se non altro avevo chiacchierato di più con gli altri, mi sentivo un po’ più vicina al resto del mondo.
Mi sciacquai la faccia in bagno e presi una boccata d’aria, poi tornai in classe.

Quando rientrai l’atmosfera era così pesante che la costante di gravità doveva essersi raddoppiata. Rin era in piedi tra Suguro e Kamiki con una guancia rossa.

Ma che ca…?

Finimmo tutti in punizione, con dei pesanti Bayron sulle ginocchia.
E io non sapevo neanche perché!

Yukio ci mollò lì senza grandi complimenti, dicendo che dovevamo ‘raffreddare i bollenti spiriti’.

Bah.

La situazione era già pesante e cominciavo a innervosirmi.
Dio, che male le ginocchia.

E come se non bastasse, Bon riprese a battibeccare con Izumo. Con Rin in mezzo. Ora ne avevo piene le scatole.

“Ma la volete smettere!?!” sbottai.

Cadde il silenzio.

“State lì a punzecchiarvi come zanzare che vanno all’asilo! E piantatela!”

Senza neanche rendermene conto un paio di fiammelle si erano accese su una spalla e sulla testa.

E brava furba. Inimicateli ancora di più, adesso che hai un minimo di fiducia.

Mi fissavano tutti, e continuarono a fissarmi anche quando saltò la corrente.
Anche perché le mie fiamme facevano luce, tingendo di un inquietante rosso i volti spaventati di tutta la classe.

“Alla faccia del ‘raffreddare i bollenti spiriti’, eh?”

Silenzio. Mi salvò Shima.

“Vado a riaccendere le luci, sarà un black-out.”

“No, fuori si vedono quelle degli altri edifici …” notò Bon.

“In tal caso, bisogna controllare. Vado io.” Si propose il ragazzo dai capelli rosa.

Aprì la porta, illuminando il corridoio con il cellulare. E si trovò davanti un Ghoul.

Richiuse la porta.

“L’avete visto anche voi?”

“Sì…” rispondemmo tutti, bianchi in volto.

Ora, osservandola da fuori, questa scena è certamente esilarante. Ma, fidatevi, al momento non lo era. Per niente.

Shima scansò il colpo inferto dalla grossa zampa del Naberius, che aveva sfondato la porta.

Ora sì che eravamo fottuti.

“Nii-chan, puoi darmi Una-Una?” disse con un filo di voce Shiemi, rivolgendosi al suo famiglio.
Subito dal corpo del piccolo Green Man fuoriuscì una fitta rete di rami, che creò una barriera abbastanza robusta da lasciare i Ghoul dall’altra parte.

“Ok, gente, niente panico.” Cercai di mantenere la calma, ma neanche il tempo di pensare a come uscire da quella situazione che uno dei due demoni liberò il suo miasma. Gli altri cominciarono a tossire.

“Ragazzi! State bene?”
Rin sembrava spaesato.
Io no.

Avevo capito la gravità della situazione. Mi rivolsi a Rin: “Il miasma … li ha colpiti! Io sono immune, essendo mezzo demone… dobbiamo fare qualcosa!”

“Ok, facciamo da esca e portiamo via questi cosi!”

“Ohi, fermi voi due! Cosa pensate di fare?!?” gridò indignato Suguro.

“Se Shiemi sviene, la barriera scompare e … bye bye. Quindi, non possiamo stare qui con le mani in mano!” mi rabbuiai in volto: “Sono forte, lo sapete. E lo è anche Rin. Fidatevi di noi.”
Mio fratello annuì.

I nostri compagni rimasero ammutoliti, consapevoli e spaventati. Con un cenno del capo risolutivo, io e Rin cominciammo a scavalcare i tralci robusti, attirando fin da subito l’attenzione dei Naberius. Uno solo ci seguì, purtroppo.

“Ragazzi … ce la potete fare!”

Avevo paura. Non per me, sapevo che avrei potuto facilmente eliminare il demone (ero anche in coppia con Rin…), anzi, trovavo correre in questo modo molto divertente, l’adrenalina nelle vene, lo spingersi al massimo.
No, temevo per i ragazzi. Non erano degli sprovveduti, certo, ma comunque avremmo dovuto muoverci.

Ci dirigemmo verso il seminterrato, l’unico luogo dove Rin non avrebbe avuto problemi a usare i suoi poteri e dove avremmo trovato gli interruttori della luce. Come avevamo previsto, erano tutti abbassati.

Il demone attaccò proprio quando ci apprestavamo ad accendere le luci.
Rin sfoderò la spada, il suo corpo fu pervaso dalle fiamme blu di Satana, canini e orecchie si allungarono, gli occhi si tinsero di rosso.
Con ferocia il ragazzo si avventò contro il demone, squarciandolo a metà e incenerendo i resti.

Woah. Porco Satana se era forte.
Le mie fiamme non erano neanche lontanamente paragonabili alle sue. Ero un fiammifero (un fiammifero forte e resistente, per carità) accanto ad un incendio. 
Quasi non lo riconoscevo.

“Sapevo che saresti venuto allo scoperto, figlio di Satana.”

Qualcuno sbucò da dietro un angolo.

“Ma lei è…”

“Professore!” esclamai io. Eravamo nei casini, già un demone che vuole diventare esorcista è tanto, ma due… e adesso avevano scoperto anche Rin!

Noihaus nel frattempo aveva evocato un altro Naberius (allora era stato lui anche l’altro giorno!) che fece l’allegra fine del suo amico.
La sala fu invasa da fiamme celesti, e il professore aveva fatto in tempo a fuggire.

Rin rimise la spade nel fodero e si guardò intorno.

“Ops…  Ho ancora molto da imparare, eh?”

Sorrisi e ridacchiai, ma venni interrotta da un tonfo metallico che mi gelò il sangue nelle vene.

Poi un altro.

E un altro ancora.

Erano... passi?

Il professore riapparve nel salone, trafelato: “TU! COSA HAI FATTO!?!” urlò indicandomi.

“Io?”
Ma che diamine…?

Il frastuono metallico si intensificò, di più, di più.

Stava arrivando qualcosa.
E di sicuro non era un gattino puccioso in cerca di coccole.


















(*) Ari = Formica in giapponese. Cami97ace e Cristy_Black, vi ricorda qualcuno? Vi giuro che mi sono divertita troppo a scrivere questo capitolo …

(**) Anche se so che, visto che molti nomi di AnE sono presi dal tedesco, la scrittura giusta dovrebbe essere “Neuhaus”, ma ho deciso di mantenermi coerente alla versione italiana del manga. ;)





ANGOLO DELL'AUTRICE:

Ciao Miao bella gente! È finita la scuolaaaaaAAAAAAAAAAAHHHHHHHH!!!! SeeeeeeeeeeeHHHHHH!!!
*festeggia*

E quindi, eccomi qua.

I'm back! *posa da supereroe* *musica epica* *vento che scuote il mantello* *passa il pollo viola* *coccodè!*

... Uhm, ok. Ragazzi, è colpa del caldo. Cioè, è diventato agosto tutto d'un colpo?! Ma spiegatemelo!

Anyway, sono contenta di avere un'estate davanti per riposare (e chi non lo è? :D), e spero di non dimenticarmi di scrivere (o che la pigrizia non abbia il sopravvento su di me... ^-^")...
No, dai, scherzo. Dai, Blue, ce la puoi fare! 
Veniamo ai ringraziamenti anche perché se scrivo altro il mio cervello mi fa ciao ciao con la manina... 
Thanks to everyone who:
- Prefers my story (12)
- Follows it (15)
- Remembers it (2)
- Reviews it (33)
- and, last but not the least, who reads it! ;) :D

(perché ho scritto in inglese? O.o)

Ok, sto sclerando. La pianto qui che è meglio.
Grazie a tutti, see ya in chapter 12!
FB13

(Ho riletto quello che ho scritto e... Dovrei veramente farmi vedere da uno psichiatra. Uno bravo. Molto bravo.)

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Capitolo 12
*** Guilty of Being Innocent. ***


CAPITOLO 12: Guilty of being innocent.

Caricai la pistola. Rin risfoderò la spada.

Clank. Clank. Clank.

Silenzio. Respiri pesanti, affannosi e cuore martellante nelle orecchie, aria irrespirabile.
Mi avvicinai con cautela al corridoio. Un piede dopo l’altro, nulla al di fuori di me e l’arma che tenevo in mano.

Clank.

Swiiing!

Una lancia mi sfiorò una guancia, ferendomi. Schivai il colpo, ma dal taglio cominciò a colare un fiotto costante di sangue.
L’arma si conficcò nel muro, dall’altra parte del salone.

“Angel!” chiamò Rin, precipitandosi da me.
“Sto bene, sto bene! Ma cos’era quello?”

Domanda a cui ebbi presto la risposta. Il lanciatore mostrò le sue sembianze.

Era enorme. Alto almeno due metri, largo il triplo di me, il demone era bardato come un cavaliere medievale, con una pesante armatura ed uno spadone immenso che avrebbe potuto rivaleggiare con quello di Cloud di Final Fantasy VII. (NdA: Sì, la mia nerdaggine is over nine thousand!)
Come feci a capire al volo che non era cosa umana? Beh…
Non aveva corpo. L’intera armatura rimbombava ad ogni passo ed era sostenuta da fiamme.
Fiamme infernali che fuoriuscivano dalle giunture metalliche, che illuminavano le cavità vuote degli occhi.

Merda.

Il cavaliere estrasse la spada e con impeto si lanciò contro di noi, con una velocità inaudita per un colosso del genere.
Fortunatamente, Rin era pronto: le spade cozzarono violentemente, sprigionando scintille.
Mio fratello cacciò un urlo sovrumano mentre tentava con tutta la sua forza di parare l'attacco.

"Rin! È troppo forte! Gioca d'astuzia!"

"Non è proprio il mio stile!"

I due continuarono a combattere, le spade che volavano con rapidità impressionante. Il giovane sapeva difendersi, ma non reggeva il confronto con quel mostro velocissimo e instancabile.
Dopo poco Rin cominciò a perdere colpi. Non c'è la faceva più!

Il demone approfittò dell'ennesima situazione di stallo per sferrare un poderoso calcio in pieno petto a Rin, che sfondò il muro dalla parte opposta della sala come fosse carta velina, dopo un volo di almeno 5 metri.

"RIN!" 

Un urlo disperato sfuggì al mio controllo. Il cavaliere stava per avventarsi di nuovo su mio fratello, ma non gliel'avrei permesso.
Mai!

Estrassi la pistola e sparai una raffica di colpi, cercando di centrare le aperture dell'armatura, senza alcun effetto.
Il mostro si girò di scatto, come se un fastidioso insetto gli fosse ronzato in un orecchio, invece di una scarica di proiettili.
Approfittai della nuova posizione per centrare 3 volte i fori degli occhi, ma ancora inutilmente.
Neanche il tempo di reagire e caricò.

Quasi non me ne resi conto quando... la sua spada mi squarciò il petto.

Per fortuna o per voler divino, i miei riflessi di demone mi fecero spiccare un balzo che in qualche modo limitò i danni. La ferita, per il momento, non mi sarebbe stata fatale, però sanguinava, tanto. E non accennava a rimarginarsi.

Mi aveva preso la parte alta dell’addome, all’altezza dello stomaco. Sul fianco sinistro il taglio era talmente profondo che si intravedeva una costola. Ecco, stavo per rimettere.

"Merda." digrignai poco prima che una violenta convulsione mi prendesse, più e più volte, facendomi tossire sangue. Riuscii comunque a contenermi, più o meno.
Quando ebbi finito e alzai lo sguardo, il demone sembrava sparito.

Dovevo cercare aiuto. Per me e per Rin. Ma dov'era il professore?

Cercai di andare via, le mani premute sullo stomaco, sangue, sangue ovunque, l'odore acre e ferroso impregnava l'aria che a fatica respiravo. La vista cominciava a non essere più così nitida, le ginocchia tremavano. 

"Ma dov'è finit-"

Non feci in tempo a finire la frase.

Mi voltai di scatto, un centesimo prima che il demone mi attaccasse ancora. Aveva recuperato la lancia!
Mi resi conto in una frazione di secondo di essere spacciata.

Zack!

La lancia mi trapassò la spalla sinistra, da parte a parte. Sentii la mia scapola frantumarsi, con uno sonoro schiocco e sinistri scricchiolii. Ora ero inchiodata al muro con una lancia piantata in una spalla che bruciava come l'inferno. Mi morsi il labbro con violenza, nell'inutile tentativo di trattenere un grido.

Finito, presto tutto sarebbe finito.

Al nemico restava una spada, enorme e letale. A me una pistola che valeva quanto un palloncino a forma di barboncino.

"Non può finire così. Non posso. Non voglio." Il volto mi si rigò di lacrime. Mi preparai al peggio. Ma cosa stava aspettando?

"NON VOGLIO!"

Sentii una specie di rombo e poi un forte calore.
Spalancai di colpo gli occhi, urlando. Un urlo di dolore che si trasformò presto in ringhio rabbioso.
Davanti a me avevo un oceano di fiamme blu.

Rin!
Il nostro avversario era a terra poco più in là, ma si stava rialzando velocemente e avrebbe attaccato Rin! Dovevo aiutarlo!

Presa da nuovo impeto (non potevo arrendermi, proprio no!) afferrai con il braccio buono la lancia. Tirai, tirai, ma non riuscii a smuoverla. Ansimavo, avevo talmente male che avrei potuto perdere i sensi da un momento all’altro. Allora sparai un colpo ravvicinato sull'asta, poi la spezzai di violenza. Infine, gemendo per il dolore acuto, mi sganciai dal muro, facendo trapassare quello che restava del manico nella carne.

Quasi svenni per il male. Non so come, ma mi rimisi in piedi ed evocai il fuoco di Iblis in tutta la sua potenza. Quel rompiballe aveva veramente esagerato.
Mi buttai nel bel mezzo della battaglia, senza rendermi conto che stavo perdendo veramente troppo sangue.

Testa in fiamme, gola in fiamme, polmoni, spalla, torace in fiamme.

Tutto blu, rosso.

Rabbia.

Non ricordo molto di quello che successe, solo un miscuglio di immagini frammentate, fiamme demoniache e spade e colpi. Poi il buio.

[...]

"... ngel!"

‘Chi rompe? Sto così bene qui... Lasciatemi dormire...’

"Angel! Ritorna in te!"

‘Naaaah, dai...’

"ANGEL!"

Fu come essere svegliati da una secchiata d'acqua gelata.
Aprii gli occhi, di scatto mi tirai su, rendendomi conto che ero sdraiata.
Subito sentii una fitta alla spalla e al petto. Davanti a me, gli occhi verdi di...

"Shade? Che diamine ci fai qui?"

"Hai perso il controllo. Quindi ringraziami se ti ho portato qui e rianimato."

Mi accorsi solo allora che torace e spalle erano fasciati di fresco, anche se già si intravedevano macchie rosse. Il braccio sinistro, inerme, giaceva su un soffice foulard che lo sosteneva. La camicia che indossavo era a brandelli, legata sul davanti con un nodo, visto che i bottoni erano stati resi inservibili.
Shade era terribilmente serio, sembrava preoccupato. Un attimo e scattai.

"Rin! Dov'è Rin? E gli altri?"

"Il figlio di Satana è fuori che combatte, ma non è messo troppo bene. Yaritsumi è un osso duro, e diciamo che fuoco non batte fuoco."

Stretta al cuore. Aveva detto … figlio di Satana? Non ci voleva, non ci voleva proprio.

“Tu … sai di Rin.”

“È stata una bella sorpresa, devo ammetterlo. Non dirò nulla a nessuno, non ti preoccupare. Anche se sarebbe divertente, lo ammetto.” sorrise lui con aria di sfida.
Lo fissai gravemente. “Senti, Shade, non ho tempo per i tuoi giochetti. Devo andare ad aiutarlo!"

Feci per alzarmi, ma uno spasmo percosse il mio corpo, facendomi tossire. Il sapore agrodolce del sangue tornò a riempirmi la bocca, non resistetti. Vomitai un misto di succhi gastrici e sangue.
Shade mi fu subito vicino.

"Calmati, Akuma. Il tuo corpo non ce la fa. Inoltre, mentre il petto vada già meglio, non so come sono messi i tuoi organi interni, e la spalla ancora non sembra rimarginarsi. A occhio, direi che hai un po’ di ossa frantumate e un bel buco di qualche centimetro di diametro.
Io sono un profano in questo campo, ma direi che la lancia era quantomeno avvelenata, se non maledetta, e ciò rallenta la tua guarigione."

In quel momento, realizzai: "Aspetta un momento. Mi hai curato tu? Tutto da solo?"

"Sì, certo, ovvio. Non sono bravissimo, ma almeno il primo soccorso..."

Feci due più due. Camicia a brandelli + bende su tutto il torace + Shade sapeva com’erano messe le mie ferite = …

Avvampai.
"Quindi... HAI VISTO TUTTO, LÌ SOTTO!"

Joshua divenne di un colore indescrivibile e distolse subito lo sguardo.

"Beh, ecco... Insomma... Tu... Cioè, io..."

"BRUTTO PORCO!" sbraitai infuriata. Di tutte le persone, proprio lui!

Afferrai la pistola. 'Ma io questo lo ammazzo!'

"Angel, cosa vuoi fare? No, aspetta..."

Sparai un colpo, che non so come fu schivato con uno scatto dall'eleganza felina. Poi un altro, ma Joshua era veramente veloce, e sembrava prevedere dove andavo a sparare. Nonostante ciò, il ragazzo non stava zitto un secondo e perseverava in ridicoli tentativi di giustificarsi. (“Non è come pensi! È tutto un errore! Aspetta! No, dai, sii ragionevole! Insomma, Akuma-san!”)

Nel momento in cui stavo per sparare un altro colpo, Shade mi afferrò il polso con una presa perfetta, talmente ben fatta che la pistola mi cadde di mano. Il viso ancora rosso di Joshua era a pochi centimetri dal mio, gli occhi verdi semitrasparenti piantati nei miei.

"Stavi morendo dissanguata. Non mi sembra il modo di reagire, visto che ti ho salvato la vita. Mi dispiace, ma non c'era altro modo, ti chiedo scusa. Ma ti saresti arrabbiata così se ti avesse curato il professor Okumura?"

La voce calda e dolce del ragazzo non nascondeva un certo tono d'accusa, nonostante l’intonazione pacata. In effetti... Non aveva tutti i torti. Mi calmai quasi subito, sentendomi anche un po' in colpa.

"Scusa, ho esagerato. Insomma, forse non avrei dovuto spararti contro..."
La morsa sul mio polso piano piano si allentò.
"Scuse accettate. Sei carina quando ti imbarazzi. Un po' meno quando tenti di uccidermi."

Distolsi lo sguardo, sorridendo, lasciando che il silenzio cadesse tra noi, finché i nostri respiri si sincronizzarono. 

"Ti senti meglio?"
"Sì."

Mi alzai a fatica. Ripresi la pistola, pronta per tornare a combattere, il cervello impegnato al massimo per trovare un piano d'azione.

“Come hai detto che si chiama, quel cavaliere?”
“Yaritsumi, la Lama del Rancore. Il Giustiziere Maledetto. L’Emissario del Fuoco. Ha molti nomi, diciamo. È un demone antico, come antico è il suo peccato.”
“Oh, questo spiega molte cose. Tipo, perché sembra imbattibile. Non lo si riesce a colpire, è abile, forte e veloce. E se si riesce, non gli si fa nulla perché non ha un corpo. Non si stanca. Non si ferisce. Non ha punti deboli! Siamo nella merda, punto.”
Dovevo sembrare sconvolta, perché Shade mi mise una mano sulla spalla sana con fare consolatorio.
"Ehi, possiamo farcela. I rinforzi arriveranno presto."
“Sì, ma non possiamo lasciare Rin da solo! Aaarghh, come cazzo ci è arrivato qui quel-”

Illuminazione.
Improvvisamente tutto mi fu chiaro.

"So cosa dobbiamo fare. Seguimi!" e corsi fuori, seguita a ruota dal mio compagno di classe.

Ma certo! Baka baka baka! Come avevo fatto a non pensarci?

Il cavaliere sarebbe potuto entrare nel dormitorio solo in 2 modi. Passando le barriere anti-demone con l'aiuto di Mephisto (opzione scartata perché nemmeno un bastardo come lui avrebbe potuto, non almeno davanti a tutta la classe del Corso Speciale!). Oppure... Nel caso fosse stato evocato già dentro. E cosa mi chiedeva la busta gialla? Di versare sangue su un pavimento di una stanza del dormitorio. E se ci fosse stato il cerchio magico adatto... Bingo.

Ovviamente, queste erano tutte congetture basate su ragionamenti. Non potevo sapere se effettivamente nella stanza avrei trovato un cerchio da cancellare. Ma la speranza mi fece correre ancora più forte, Rin era ancora lì a combattere mentre io ero stata fuori uso per troppo tempo. Poteva essere già tardi. 

"La camera è questa... La 73."

Porta chiusa. Shade cominciò a prenderla a spallate.

Bum.

Ti prego, fa che Rin e gli altri stiano bene.

Bum.

Ti prego, fa che il cerchio sia oltre quella porta.

Bum.

Bum. 

Crash!

La porta si sfondò.

"Evvai!"

Un cerchio magico molto complesso era disegnato a terra con un gessetto, al centro una larga macchia di sangue scuro. Mi fiondai a cancellarlo. Poi, giusto per essere sicura, bagnai completamente tutto il pavimento con la doccia, operazione che mi costò più tempo e fatica di quanto pensassi.

Tornammo da basso. Ero esausta, la spalla faceva un male cane, e vedevo allegri puntini un po’ ovunque, e non erano Coal Tar. Shade mi offrì la spalla per appoggiarmi.
Rin era impegnato a spegnere in qualche modo i piccoli roghi che ardevano qua e là, i residui di una lotta struggente, quando arrivammo lanciò un’occhiata storta a Joshua, cercando di coprire le sue fiamme azzurre. Come vidi che stava bene, mi sganciai dal ragazzo e corsi da mio fratello.

Gli gettai le braccia (o meglio, il braccio) al collo, lasciandolo spiazzato per un momento.

“Stai bene! Stai bene!”

La spalla urlava di dolore, ma non m’importava. Eravamo vivi, e sembrava che nessuno si fosse fatto male. I miei dubbi erano scomparsi.
Rin per me era … Rin. E il resto non importava.

“Uhm, sì, grazie…” bofonchiò lui. “Ero preoccupato per te. Cos’hai fatto al braccio? E cosa ci fa qua quello?”

“Oh, ma quante domande! Non ti preoccupare per Shade, prima di tutto. Per le spalla… niente di che, ho solo un po’ di ossa rotte, ma mi rimetterò presto. Gli altri?”
“Un po’ scioccati da come abbiamo fatto a sconfiggere da soli due demoni di quel calibro, ma nessuno è ferito gravemente. Oh, ma sai cosa? L’attacco era programmato! Dai professori, per di più! Ci hanno sottoposto all’esame da Esquire a sorpresa… spero di essere promosso, almeno.”
“Ma sì, non ti preoccupare, di sicuro è andato bene. ” dissi, incerta. Anche il cavaliere evocato da un professore? La faccenda mi  puzzava parecchio.

*ah-ehm!*

Shade tossì per attirare la nostra attenzione. “Vogliamo andare dagli altri o ne avete ancora per molto?”

“Ma sta’ zitto, Shade!” dissi.

Ero felice e traballante, nel tornare indietro scompigliai i capelli di Joshua con fare affettuoso. Lui si girò e mi guardò male.

“Chi sei tu? Cosa ne hai fatto della Akuma?”

“Ah ah ah, molto divertente, Joshua. E io che volevo ringraziarti …”

“E mi chiama anche per nome! Ci vuole un medico, subito!”

Gli diedi un lieve pugno sulla spalla. “Baka.”

DUE GIORNI DOPO, DORMITORIO VECCHIO, ORE 11:00

Alla fine, tutto era andato per il meglio. Avevamo passato l’esame, tutti. Il preside, poi, ci aveva concesso due giorni di assenze giustificate (solo dalla scuola normale, il corso continuava normalmente) per riprenderci dall’attacco di Yaritsumi. Non vidi Rin praticamente mai di mattina, e quando emergeva dalla sua stanza, sembrava uno zombie … credo che abbia speso tutto il suo tempo a dormire.

Le mie ferite erano guarite con una velocità che mi aveva spaventato non poco. L’unica che mi dava problemi era quella sulla spalla, dove avevo una brutta cicatrice nel posto in cui la lancia mi aveva trafitto. La cosa divertente era che, dove avevo il tatuaggio, lo squarcio si era sistemato quasi subito, e lo sfregio quindi ce l’avevo solo sul davanti, e non sulla schiena. Mephisto evidentemente non poteva permettere che il simbolo del nostro patto venisse infranto. Faceva ancora abbastanza male, soprattutto di notte, non mi faceva dormire. Ma di spirito stavo bene.

In quei due giorni vuoti, qualcuno mi aveva addirittura fatto i complimenti e ringraziato per aver sconfitto il demone. Grazie mille a chiunque mi mandasse le buste gialle, insomma.

Ancora non mi capacitavo dell’enorme botta di culo che avevo avuto. Cioè, quante probabilità c’erano che il luogo della busta gialla fosse proprio quello del cerchio magico … non poteva essere stata una coincidenza. Continuavo a pensarci su, era troppo strano. Mi ponevo un sacco di domande, e sapevo che erano destinate a restare senza risposta. Così, cercai di trovare un modo per pensare con più leggerezza e lucidità, senza farmi colare il cervello giù dal naso.

Indossai un paio di calzoncini e le scarpe da ginnastica, mi legai i capelli in una coda di cavallo e mi sparai un po’ di sano rock nelle orecchie. Cominciai con “American Idiot” dei Green Day, sapendo che avrebbe dato ritmo al mio passo, e uscii a correre. Cominciai costeggiando il dormitorio.

Il sole picchiava forte e tutto era splendente, ma l’aria fresca non ti faceva sentire caldo. Era una di quelle giornate in cui ti abbronzi senza rendertene conto, una giornata di primavera spumeggiante, di quelle che solo maggio può darti.

La mia mente vagava, nel frattempo. Dunque, ormai era palese che chi mi aveva mandato la busta gialla voleva che io evocassi Yaritsumi. Il problema era: se io non avevo seguito gli ordini, chi l’aveva fatto? E poi, quando?

Ero arrivata al parco. Non c’era nessuno, così ne approfittai per una breve pausa. Ripartii quasi subito, dopo aver bevuto alla fontanella.

Se era un estraneo  (ma chi, diamine, CHI), non avrebbe potuto agire al momento della punizione, visto che i professori si stavano appostando per la valutazione dell’esame. Senza contare che Noihaus era ben vicino al corridoio della 73, e di sicuro si sarebbe accorto dei movimenti sospetti.

Ormai era più di mezz’ora che ero fuori, e mi stavo dirigendo verso il bosco.

Esclusi che l’intruso avesse evocato il demone mentre eravamo a lezione, nel primo pomeriggio, credo che evocare un demone a distanza di tempo sia impossibile.

Passai davanti a Paku e Izumo, salutandole con un sorriso ed un cenno della mano. La prima ricambiò il saluto con la solita timida gentilezza, la seconda voltò lo sguardo da un’altra parte. La solita, troppo orgogliosa per salutare. Che nervi.

E se …

E se fosse stato qualcuno di noi? Scacciai via il pensiero scuotendo la testa. Naaah, era troppo assurdo.

Ecco, ancora una svolta e sarei stata al limitare del bosco. Girai l’angolo e mi schiantai contro qualcuno.

“Oh, scusa, tutto bene- Yukio? Ciao! Che ci fai qui?” dissi con fare allegro. Mi tolsi le cuffiette. Dalla sua espressione, dovevo aver usato un volume di voce inaccettabile per un tipo silenzioso come lui.

“Buongiorno Angel. Sono contento di averti trovato così in fretta. Ti dispiacerebbe seguirmi?”
Lo guardai un po’ stranita. “C’è qualche problema?”
“Ancora non lo so.”

Ora ero preoccupata.

“Sei stata convocata dal preside. Vuole vederti, adesso.”
“E che cosa vuole quell’essere viscido da me?” dissi con amarezza.
“Te l’ho già detto, ancora non lo so. Ma da come mi ha ordinato di cercarti, è qualcosa che lo diverte e non poco. Tu cerca solo di comportarti in modo cortese, non farti mettere i piedi in testa, ma non esagerare. Misura le parole.”

E ci incamminammo verso l’ ‘umile dimora’ (seh, crediamoci) di Mephisto. Così, ancora in tenuta sportiva, io, con una fretta nervosa celata nel silenzio, lui. Avevo imparato a conoscerlo, era molto bravo a nascondere i sentimenti, si teneva tutto dentro, quel ragazzo, dietro la maschera dal sorriso mite e occhi celesti.

“Yukio … Andrà tutto bene, vedrai.”
Lo vidi contrarre la mascella. “Lo spero.”
Questo mi fece preoccupare. Cercai la sua mano e la strinsi, trovando conforto.

[…]

La residenza di Johann Faust V era esattamente ciò che ti saresti aspettato da un eccentrico come lui.
Era un fottutissimo castello. No, non un castello medievale, più un incrocio tra una magione settecentesca e una chiesa neoclassicista. Più o meno. Indefinibile.
Comunque, era enorme, e torreggiava su tutta l’Accademia.

Camminai con soggezione per la grande piazza circolare, al cui centro stava una fontana di marmo bianco.
Ci accolse uno stuolo di cameriere, vestite tutte con un’uniforme bianca e nera tutta pizzi, degna di un film porno squallido.
Bleah.
Quell’uomo aveva uno spiccato gusto per l’esagerazione, una pomposità degna della principessa Sissi.

Come entrammo in casa, ebbi quasi un infarto agli occhi.
Era tutto … ROSA! Rosa rosa rosa rosaaaaaaaaAAAHHHH!!
E anche tremendamente otaku! O_o
Oh mamma, il lato oscuro di Mephisto veniva a galla! D:

Yukio sembrò sorridere della mia reazione. Bastardo.
“Sta’ tranquilla, è traumatico all’inizio, ma poi ci fai l’abitudine.” disse mio fratello, quasi leggendomi nel pensiero.

Mephisto ci stava aspettando in una stanza un po’ meno -come dire- ‘assurda’ di quel poco che avevo visto della sua casa.
Era uno studio luminoso, con una grande vetrata che dava sul mare. Le pareti erano tappezzate da librerie, fino al soffitto. Al centro dominava una grande scrivania di legno scuro, piena di scartoffie ma ordinata. Dietro di essa, Mephisto, intento a sorseggiare del tè, seduto su una poltrona girevole che assomigliava di più ad un trono.
Accanto a lui c’era Noihaus, in piedi, immobile come una statua, che mi fissava con sguardo truce.

Dio, ora ero veramente nervosa.

“Ah, eccovi qua. Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo cominciare.” esordì il preside. Poi appoggiò la tazza con tutta calma, giunse le mani incrociando le dita e vi appoggiò il mento sopra. Aveva uno sguardo troppo soddisfatto, e la cosa non mi piaceva.

“Signorina Akuma Angel. Mi è stato riferito degli ottimi risultati ottenuti da lei nell’esame di 2 giorni fa. Mi devo proprio complimentare.”

Bofonchiai un ringraziamento guardando per terra. Yukio mi lanciò una breve quanto pungente occhiata.

Tu cerca solo di comportarti in modo cortese.

“Grazie mille, sono lusingata.” dissi allora sorridendo.
“Abbiamo anche saputo che è stata lei a fermare l’attacco di Yaritsumi. Congratulazioni.”

Distolsi nuovamente lo sguardo, a disagio. “La buona sorte è stata a nostro favore.” farfugliai. (NdA: sì, Hunger Games’ quote perché ci ho la vollllia.)

Lui ghignò.
“Oh, non credo proprio. Mi dica, Angel, come ha fatto a sconfiggerlo?”
Esitai.
“Uhm, ecco … per un colpo di fortuna, siamo riusciti a … ehm … togliergli l’elmo, sì. Questo l’ha rallentato. Poi, abbiamo scoperto che al suo interno c’era una specie di sigillo. L’abbiamo infranto e il demone è sparito.”
“Ma che storiella affascinante. Ora ci dica la verità.” disse Noihaus.

Stetti zitta per un attimo. Non potevo dirgli che sapevo dove si trovava il cerchio di evocazione!

“Le ho mai detto che ho una buona mira?”
Il professore fece una lieve smorfia irata: “Bel tentativo, signorina Akuma. Sappiamo benissimo entrambi che le pallottole non fanno un baffo a quel tipo di demone.”
Fece un paio di passi verso di me, aggirando la scrivania.
“Mentire è proprio tipico dei demoni …” ringhiò, così vicino a me che potei sentire il suo lieve odore di tabacco.
“Su, professore, non faccia così … Angel-chan, ti dice qualcosa il numero 73?”

Gulp.

"Non una parola, eh? Abbiamo trovato, nella camera 73, i resti di un cerchio di evocazione... Molto elaborato, interessante, diciamo … unico nel suo genere."
"S-sorprendente" ribattei allora io con voce esitante.
Noihaus sembrava fortemente contrariato. "Con quale sfacciataggine …?!"
"Professore, si calmi." disse Mephisto gelido.
L'insegnante con la benda sull'occhio continuò, ignorando il richiamo del preside.

"Cerchio magico ben al di sopra delle possibilità di un qualsiasi studente in una stanza del dormitorio. Usato per evocare un demone di fuoco conosciuto per essere l'emissario di Iblis, la cui evocazione avrebbe richiesto il sangue di diversi esorcisti esperti. E guarda guarda una ragazza – oh, ma non una a caso, la figlia del Principe del Fuoco in persona - che casualmente conosce la formula di evocazione. Ora, mi dica cosa dovrei pensare.”

Ero senza parole. Osservai che Yukio stava stringendo i pugni, senza però farsi notare troppo.

“Perché ha evocato quel demone? E come?”

“Formula di evocazione? Non capisco … Yaritsumi non faceva parte dell’esame?”
“Capisce benissimo invece! La smetta di arrampicarsi sugli specchi!”
“Non sono stata io …” bisbigliai appena.
“NON MENTA!”
Il professore sembrava fuori di sé. “Suvvia, Igor, si controlli.” intervenne Mephisto.
“Io … non l’ho fatto!”
“SI OSTINA A MENTIRE, ALLORA?!”
“Igor …”  
“NON SONO STATA IO!” urlai a quel punto.

Cadde il silenzio. Sentivo il mio cuore rimbombare nelle orecchie. Una mini fiammella si era accesa su una spalla. Respirai profondamente, mantenendo il contatto visivo con Noihaus. Con un gesto, spensi la linguetta di fuoco.

“Ha visto, signor Faust? Non si controlla.” disse il professore con una punta di soddisfazione nella voce.
“Mephisto … preside Faust … io … veramente … sono innocente! Che motivo avrei avuto di fare …?”

Non volevo sembrare debole, ma mi sentivo veramente confusa e in trappola.
“Angel-chan, come avrai capito non possiamo passare sopra a questo fatto. Sei sospesa dal Corso Speciale a tempo indeterminato.”
“Come? N-no!”

Non potevano sospendermi! Io … Non avevo fatto niente!

Yukio venne in mio soccorso.
“Signor preside, la prego di riconsiderare-”

“Professor Okumura, osservi la situazione con obiettività. Era l’unica che avrebbe potuto farlo. Il suo sangue sarebbe bastato. Il demone è uno dei preferiti del padre. Il pavimento della stanza è stato accuratamente lavato, senza che rimanesse traccia del sangue, con la conseguente possibilità di identificare il colpevole, e l’unica che avrebbe potuto rimuovere ogni prova è lei. Inoltre, come può testimoniare il professor Noihaus qui presente, Akuma-san conosceva la formula di evocazione addirittura una settimana prima del fatto, segno di premeditazione. In quanto preside di questa scuola, è mio compito assicurarmi della sicurezza dei miei studenti. E Angel-chan si è dimostrata una minaccia per i suddetti.”

“In tal caso, parlerò obiettivamente. Anche se non posso essere certo dell’innocenza della signorina Akuma, le credo. Angel si è sempre dimostrata una studentessa dal comportamento esemplare, con voti nella media se non al di sopra, un comportamento corretto nei confronti di insegnati e compagni, nonostante gli iniziali disagi. E sto parlando come suo professore. Durante le lezioni è sempre stata costantemente tenuta d’occhio da esorcisti esperti. Questa punizione è superflua e controproducente dal punto di vista didattico.”

Noihaus s’intromise: “Non sono d’accordo. È chiaro che sia colpevole, signor Faust. Non possiamo mettere gli altri studenti a contatto con elementi potenzialmente pericolosi. Senza considerare la situazione Okumura …”
“Cosa c’entra mio fratello, adesso?!” rispose Yukio, sulla difensiva.
“UN demone in classe è già fuori da ciò che è accettabile per un comune alunno. DUE, è impossibile.”
“Non mi sembra che la classe si sia mai lamentata di Okumura.”
“Oh, ma ancora non sanno cosa è.”

Faust rimase in silenzio, pensieroso. L’atmosfera era carica di elettricità.

“E sia. Ridurrò la sospensione a una settimana. Ma, per assicurare la protezione degli altri alunni e il controllo dell’elemento in questione, Akuma Angel risiederà qui, in questa casa, in modo che io in persona possa tenerla d’occhio. E questo finché io non ti riterrò innocua come un Chocobo di peluche.”

Fece una pausa ad effetto. Tsk, era otaku pure nel modo di parlare, non solo nell’arredare la casa.

“Io stesso la scorterò all’edificio scolastico la mattina e la verrò a prendere al termine delle lezioni, in modo che possa seguire il programma normale. Per quanto riguarda il pomeriggio, avrà sorveglianza totale, sia durante la sospensione, sia quando riprenderà a frequentare il Corso.”

Ora mi stava fissando, divertito. Sì, tutto stava andando secondo i suoi piani.
Bastardo.

“E questa è la mia ultima parola. In quanto suo tutore legale, approvo pienamente.”
Yukio non poté dire nulla. Noihaus sembrava tanto contrariato quanto soddisfatto. E io mi sentivo considerata al pari di un costosissimo e pericolosissimo giocattolo. Che bellezze. (NdA: Yup, Yotobi is the way.)

Mephisto congedò me e Yukio. Uscire da quell’ufficio fu un enorme sollievo.
Abbracciai Yukio. Lui rimase un po’ spiazzato, ma ricambiò.

“Grazie, veramente grazie, nii-chan.”

Mi spinse dolcemente via e mi prese la mano. “Non c’è bisogno di dirti che quella in pericolo sei tu, vero? Fai attenzione. Quel-”
Esitò appena: “Quell’uomo è imprevedibilmente pericoloso. E sta tramando qualcosa. Quindi ti prego, fa’ attenzione, nee-san.”
Annuii con vigore, mostrandomi decisa, ma sapevo che non appena sarei stata da sola sarei scoppiata a piangere. Guardai la sua schiena allontanarsi e girare in un altro corridoio.

Io veramente non avevo fatto nulla. Perché nessuno mi credeva? Mi sentivo in un vicolo cieco, un’aquila con un’ala spezzata, una volpe rimasta imprigionata in una tagliola. In trappola. E sola.

AULA 1206, CORSO SPECIALE PER ESORCISTI, ORE 14:58
“Ehi, Bon, hai per caso visto Akuma-san?”
“No, e non sono affari miei, Shima.”
“In effetti è da un po’ che non la vedo …”
“La voce che ho sentito deve essere vera, allora … Pare che l’abbiano sospesa dal Corso Speciale!”
“Cosa!? Non ci credo! Perché?”
“Non ne ho idea …”
“Okumura-kun, tu ne sai qualcosa?”
“Uhn-Eh?”
“Quello lì dormiva ancora … Non regge mai le ore di Storia. -.-”
“Sai qualcosa di Akuma-san?”
“No ... A pranzo non si è fatta vedere  …”
“Strano … Forse dovremmo chiedere ai professori …”

Ascoltavo pazientemente la discussione che era nata in classe. Il professore Okumura, di solito più puntuale di un orologio svizzero,era inspiegabilmente in ritardo.

Sospirai. E così, ecco cosa intendeva il mio mandante con ‘qualsiasi cosa farà le si ritorcerà contro’.

 [“Cos’è quello, senso di colpa? Tu, che provi ancora senso di colpa? Dopo tutti questi anni? Non finisci mai di sorprendermi, Josh.”]
 

‘Tsk, tu che ne sai?’

[“Oh, tutto, J. Io sono te.”]

Sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Il chiacchiericcio terminò quando entrò il professore di Farmacologia Antidemone.
La lezione proseguì senza intoppi, finché, verso la fine dell’ora, il piccoletto con gli occhiali alzò la mano.

“Sì, Miwa-kun?”
“Prof, sa qualcosa di Akuma-san?”
Okumura si rabbuiò in volto, solo un nanosecondo. Poi riprese la solita espressione serena.
“Perdonatemi, non posso dirvi nulla.” e sorrise.

“Ma prof! È una nostra compagna! Non può dirci proprio niente?”
Questa volta era il tipo con i capelli rosa a parlare.

Okumura sospirò. Fece qualche passo avanti, si sedette sulla cattedra e si sistemò gli occhiali sul naso.
“Eh va bene. Come voi tutti sapete, Angel Akuma è figlia di Iblis, il Re dei demoni che domina il fuoco. Ora, su specifica richiesta del preside Faust e secondo il suo volere, Akuma-san era stata ammessa al Corso Speciale, per essere addestrata e diventare un’arma per l’Ordine dei Cavalieri della Vera Croce. Lei, però, si è dimostrata un pericolo per voi studenti e per l’Ordine stesso.”

“Tsk, non l’ho mai sopportata, ma sono tutte ciance. Professore, quella ragazza non ci ha mai fatto niente. È schietta e ha un caratteraccio, ma un pericolo per l’Ordine?!”
Però. Pure Suguro. Questa non me l’aspettavo.

“Yuki-chan, Akuma-san è g-gentile …” disse la biondina a bassa voce e arrossendo.
Mi sembrava strano che il figlio di Satana ancora non avesse parlato. Sembrava pensieroso. Molto strano, per uno senza neuroni.


Il giovane insegnante sembrò calcolare la situazione per qualche momento.
“Immagino che allora vi spetti una spiegazione più approfondita.
Akuma-san è stata accusata di crimini contro l’Ordine perché ritenuta responsabile dell’attacco di Yaritsumi, il demone – cavaliere.”

Il figlio di Satana scattò in piedi.
“Yukio, STAI SCHERZANDO?!”
“No, nii-san. Siediti e mettiti composto.”
“Ma … non è possibile!!! Ero con lei. Non può essere.”

Yukio sospirò. “Sicuro di essere stato SEMPRE con lei?”

“… Sì.
... Credo.”


“I ‘credo’ non bastano. Ci sono diverse prove a suo discapito, purtroppo. Non fraintendete, io non la credo colpevole. E spero di non essere l’unico. Angel-san sarà tenuta sotto custodia e, oltre la settimana di sospensione, non ci dovrebbero essere altri provvedimenti. Per un reato del genere, il preside è stato molto clemente.”

Mephisto. C’era dell’altro allora.

“Dove?” dissi.

Tutta la classe si girò verso di me.

“Prego, Shade-kun?”
Mi alzai, lanciando un’occhiata ai visi attoniti dei miei compagni.

[“Sì, il tipo tenebroso in fondo all’aula sa parlare. Uuuuuuhhh…”]

Credo di aver fatto una faccia terribile perché molti distolsero lo sguardo. Non potevano sapere che era rivolta a me stesso.

“Ha detto che sarà tenuta in custodia. Dove? Con un’accusa del genere , in quale carcere segreto la terranno?”

Avevo raggelato l’atmosfera con poche, semplici e taglienti parole, buttate lì quasi con disprezzo come se non mi interessasse. Rin Okumura mi guardò con odio.

“Se ne occuperà personalmente il preside Faust. Ora possiamo riprendere la lezione? Devo dirvi ancora due cose prima di lasciarvi andare.”

Mi risedetti e pensai che più tardi avrei fatto una visitina al mio caro vecchio amico Mephisto Pheles.

RESIDENZA DI MEPHISTO PHELES, NEL FRATTEMPO.

Il maggiordomo di Mephisto, Belial, mi aveva condotto alla mia ‘cella’ subito dopo il mio ‘arresto’, avvenuto non appena Yukio se n’era andato. La stanza era nella zona ovest della magione di Mephisto, al secondo piano.

Era un ambiente molto più grande e riccamente ammobiliato rispetto al mio solito.
Innanzitutto, le pareti erano di un rosa pallido per me insopportabile. Il letto ad una piazza e mezza era a baldacchino, con tendaggi color panna; lenzuola e cuscini erano di diverse tonalità di rosa e bianco. E le lampade a muro sembravano direttamente venute fuori dal peggior bordello di Caracas.
Osceno.
Le finestre erano piccole, poche e non si aprivano neanche del tutto. Inoltre erano, purtroppo, colorate, come se fossero le vetrate di una chiesa. Il lucernario sul soffitto tracciava strani giochi di luce, rendendo il tutto vagamente inquietante.
Poi, c’erano i peluche. Una parete intera (esclusione fatta la piccola porzione occupata dall’armadio) era tappezzata di pupazzi, di ogni forma, colore e dimensione. Che ero, una bambina di 5 anni?
Se non altro alla mia destra notai una grande libreria alta fino al soffitto. Grazie al cielo.

L’incognita era la parete alla mia sinistra. Era inspiegabilmente bianca e spoglia. Le uniche cose che la occupavano erano due sobrie porte candide. La loro utilità mi sfuggiva.

“Si accomodi, signorina Akuma. Benvenuta.”

“Grazie mille. Posso chiederle dove conducono quelle due porte?” chiesi al maggiordomo, curiosa.

“Ma certo. Quella più a destra è il suo bagno personale, spero che sia di suo gradimento. L’altra è una particolare sorpresa preparata dal signor Pheles appositamente per lei. Purtroppo, nemmeno io so di cosa si tratta. La lascio da sola, devo tornare ai miei doveri. Con permesso.”

Entrai nella prima porta per sciacquarmi la faccia, sperando che mi si schiarissero un po’ le idee. Il bagno era semplice e funzionale, per fortuna.

Mi guardai allo specchio. Ero cambiata parecchio da quando avevo lasciato l’Italia. I capelli erano ancora ribelli e del loro vivace arancione, ma decisamente più lunghi di quanto li avessi mai portati. Mi arrivavano quasi a mezza schiena, ormai. Avrei dovuto assolutamente tagliarli.
Gli occhi, neri e profondi, avevano assunto un taglio più maturo e sembravano impenetrabili, dopo tutto quello che avevo passato. Gli zigomi erano più marcati, le labbra un poco più pronunciate. Ma quanto tempo era che non mi guardavo allo specchio?
Mi schiaffeggiai lievemente le guance.

“Su, Angel. Non mollare.” mi dissi decisa.

Andai a vedere cosa si nascondeva dietro l’altra porta. Ripassando per la camera da letto, notai che vicino alla porta c’era un carrello. Belial mi aveva portato il pranzo, insieme ad una lettera di Mephisto.

“Cara Angel-chan;
Benvenuta. Spero che tu possa gradire la permanenza nella mia umile dimora. Tieniti disponibile per eventuali mansioni, pronta a soddisfare le mie richieste. Sono certo che saprai accontentarmi. M.
P.S.: spero che la stanza speciale sia di tuo gradimento. <3”


Dio i nervi. Lo odiavo. Con tutto il mio cuore. Per il nervoso, bruciai la busta. La vidi contorcersi finché non si ridusse ad una manciata di cenere.
Con stizza aprii con un calcio l’altra porta.

E, oh mio Dio.

Era una palestra da addestramento. C’erano sacconi da boxe di diverse taglie, manichini per la lotta corpo a corpo, un piccolo poligono di tiro (!!!), delle spalliere, pesi per il potenziamento, una cyclette, un tapis-roulant, e armi, armi e ancora armi.

Wow. Se Mephisto voleva sorprendermi, ci era riuscito. Non capivo il motivo di questo suo gesto, ma non mi dispiaceva.

Senza pensarci due volte, cominciai a sfogare la mia rabbia.
Colpii ripetutamente uno dei sacconi, con pugni dapprima incontrollati, poi man mano più razionali, passando dalla collera alla concentrazione. Focalizzai la mia attenzione sulla postura, sulla fluidità dei movimenti, sulla respirazione. E continuai a picchiare duro, finché le nocche non mi sanguinarono. Allora mi fermai, giusto il tempo per vedere le sbucciature rimarginarsi. E ripresi. E mi fermai. E ripresi di nuovo. Alla fine, ansimavo. La spalla aveva ripreso a farmi male.

Mi sentivo svuotata. Sola. Mi veniva da piangere.

Uscii dalla palestra e mi spalmai sul letto, lasciandomi cadere come una foglia secca. Soffocai la faccia tra i cuscini. E le lacrime tanto trattenute arrivarono.
Volevo la mia mamma. O anche Shiro. Un abbraccio. Qualcuno che mi scuotesse con dolcezza e mi dicesse: ‘Su, è mattina. Era tutto un brutto sogno, va tutto bene, non esistono i demoni e neanche l’Uomo Nero.’

Il letto era troppo grande e troppo soffice, ci profondavo e mi asfissiava. Afferrai un cuscino e un peluche a caso (una variante pelosissima di Kirby) e mi rintanai in un angolo della stanza, quello che dall’ingresso non si poteva vedere. E rimasi lì.

Piansi a lungo. Per tutto quello che non era andato e che non andava.

Perché nessuno mi credeva? Perché ero sfruttata da tutti? Mephisto e il mandante delle buste gialle. Non capivo gli altri, non capivo me stessa. Ed ero confusa.
Furono lacrime liberatorie, sgorgavano senza che potessi trattenerle, bruciavano come le mie fiamme, quelle dannate fiamme che mi etichettavano come demone. Arrivai al punto di non sapere più perché piangere, ma continuare a singhiozzare, con gli occhi gonfi e la pelle del viso che tirava a causa del sale. Tutto era grigio e la malinconia mi aveva completamente abbattuto.

Tenetti gli occhi chiusi, la fronte appoggiata alle ginocchia. Cosa avrei potuto fare …?

Sentii la porta della camera aprirsi lentamente. Poi qualcuno entrare con un passo leggerissimo.

“Lasciatemi sola.”
“Non ho corrotto il maggiordomo per farmi cacciare via da te, Akuma-san.”

Alzai la testa appena appena, facendo sbucare solo gli occhi sopra il Kirby che stringevo in braccio.

Era Shade.

“Ah. Sei tu. Che ci fai qui?”
“Mi assicuro che tu stia bene. Non hai mangiato.”
“Non ho fame.”
“Non fa bene saltare i pasti.”
“Non sono affari tuoi.”

Silenzio. Non lo guadavo negli occhi per non sentirmi debole. Ma lo ero.
Joshua si accucciò accanto a me.

“Allora … so che hai avuto una giornataccia, eh?”

Mi scappò un grugnito che era un misto tra un singhiozzo, una risata e uno sbuffo.

“Per  quanto tempo sei stata sospesa?”
“Tsk. Le notizie girano veloci anche in una scuola così grande. La gente non ha proprio niente di meglio da fare. Una settimana. Immagino si sappia già il perché.”
“E io immagino che tu non ne voglia parlare. Quindi, se non te la senti, non farlo.”

E io non lo feci. Restammo un po’ lì, in silenzio, vicini, e io cominciai a sentirmi meglio.
“Come hai fatto ad entrare?” chiesi dopo un po’, lasciando il viso nascosto da Kirby.
“Uhm … diciamo che ho i miei metodi.”
“Ti devo ricordare che mi hai detto di aver corrotto il maggiordomo?”
“Ugh … sono patetico.” disse allora lui grattandosi la nuca con fare vagamente imbarazzato. Riuscì quasi a strapparmi un sorriso.

“Bazzico spesso da queste parti, visto che il mio appartamento è qui vicino. Così, un giorno, mi è capitato di passeggiare nei pressi del giardino del preside. E, ora, immagina la mia faccia quando ho visto il maggiordomo, comodamente svaccato sulla sdraio speciale del signor Faust, fumare come un turco senza un domani. Non solo tabacco, aggiungerei. Tutto ciò, in mutande.”

Mi stavo veramente trattenendo per non scoppiare a ridere. Avevo la faccia ancora schiacciata sul peluche, ma non stavo più piangendo. Le mie labbra erano schiuse in un sorriso.

Come si accorse di me, Belial mi corse incontro supplicandomi di non dire nulla a ‘Monsieur Pheles’. ‘È la prima volta in anni di servizio! E comunque è solo una volta al mese!’ e cose del genere. Era fatto come non so chi, e mi faceva un po’ pena, così accettai. All’inizio, era semplicemente servizievole nei miei confronti, poi con il passare del tempo siamo diventati amici. Io ho guadagnato del buon fumo, ogni tanto, lui il segreto di ciò che lo farebbe licenziare in tronco. Così, eccomi qua. Ma ora-” disse improvvisamente Shade cominciando a frugare nella borsa a tracolla che portava: “Ti ho portato una cosa.”

Tirò fuori una barretta di cioccolato.

“Fondente nero. Ti piace?”

Alzai lo sguardo e mi trovai davanti i suoi occhi verdi. Con foga afferrai la tavoletta, la scartai in velocità e la feci sparire in pochi morsi.

“ ‘Non ho fame’ “ mi canzonò il ragazzo facendomi il verso.
“Oh, ma fshta’ zitto.” Risposi ancora a bocca piena, e gli tirai uno scappellotto.

La mano lo colpì lievemente; scivolò lungo il collo, la spalla e il braccio. Poi le nostre mani si incontrarono. E si allacciarono, come se fosse la cosa più naturale, quasi come se fosse scontato. Il contatto mi fece sentire una scossa elettrica che risalì per tutto il braccio, fino alla testa, che di scatto voltai verso di lui. Ci guardammo negli occhi. I miei erano rossi e gonfi, disperatamente in cerca di appoggio. I suoi imperscrutabili e cerchiati da occhiaie. Ma andava bene così. Non mi sentivo più sola. Non ERO più sola, e mi resi conto che in fondo non lo ero mai stata.
“Grazie, Joshua. Per tutto.”

La voce era rotta, mi stava venendo di nuovo da piangere. Stavo per nascondermi di nuovo, ma Shade mi prese con delicatezza il viso con la mano libera, mentre con l’altra strinse la presa. Mi girai verso di lui, con gli occhi colmi di lacrime, sul punto di scoppiare.

“Ehi, non devi vergognartene. Per piangere bisogna essere più forti che deboli. Bisogna essere sinceri con sé stessi, accettare che qualcosa non va per buttarlo fuori. E una volta eliminato ciò che è male, resta solo ciò che è bene. Piangere purifica l’animo.”

Non riuscivo a guardarlo negli occhi. Fissavo un punto imprecisato tra i miei piedi, lasciando che le parole di Joshua penetrassero nel mio cuore, assorbivo ogni dettaglio del momento, ogni respiro.

“Tu sei forte, Akuma. Lo so io, lo sanno tutti, lo sai tu.” mi scostò una ciocca di capelli dal viso e me la sistemò dietro l’orecchio. Era serissimo.

“Piangi. E non averne paura.”

Plic.

Lacrima.





















Eccomi qua! Con un capitolo ricco di azione (nella prima parte) e di 'drama' (poi)
Che ne pensate di Joshua? Ed Angel? Le scene d'azione sono abbastaza... beh, attive? ^-^"
Ora, ho diverse cose in mente, ma per fortuna ahimè, non potrò scriverle. Finalmente, PARTOOOOO!!! Mare, aspettami!!
Ragazzi, sto sottraendo tempo alle mie valigie per voi (anche perché se non non aggiorno più... ^-^")
E niente, adesso sparisco per almeno un mese, poi ad agosto si vedrà. Un nuovo capitolo prima dell'inizio della scuola ve lo pubblico, però, di sicuro! :D
Buone vacanze ed un'estate rilassante a tutti
Ciao Miao
FB13
P.S.: eeeeeeeee è ricominciato Free!!! Non avete idea della mia profonda gioia!! T.T *piange di contentezza* *RinHaruRinHaruRinHaruSosukescompariRinappartieneadHaruèinutilechefaiilgeloso* *arcobaleni* *unicorni* *pandacorni che cavalcano arcobaleni* ok, sto fangirleggiando troppo. Vado a fare i bagagli che è meglio.

 

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