Something Old, by Maple Fay

di MrsHousekeeper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Come già ho scritto nell'introduzione, questa storia è una traduzione che la cara Maple Fay mi ha gentilissimamente autorizzato a pubblicare qui... L'originale della storia, naturalmente, è reperibile su ff.net. 

Doverosa premessa: oltre ad essere una "Downtonian di ferro", sono una decisisisma shipper dell'unica, più che evidente coppia che Mr.Fellowes ancora ci fa agognare - Carson e Mrs. Hughes! Ora, questa storia è un po' sui generis, e la prima volta che l'ho letta sono rimasta sconvolta - ma è una gran bella storia, e sono sicura che piacerà molto anche a voi. Fatemi(ci!) sapere cosa ne pensate ;)

DISCLAIMER: Vorrei tanto che questi personaggi appartenessero a me, ma Julian Fellowes è arrivato prima.

Era di fretta – avrebbe dovuto essere di ritorno ore prima, probabilmente a casa ormai avevano già finito con il tè. Mostrare un tale ritardo proprio il giorno in cui ci sarebbe stato così tanto da fare...

Strinse i denti, irritato, e svoltò improvvisamente a destra, finendo per scontrarsi con una passante con tale forza che quasi non caddero a terra entrambi. Allarmato, tese una mano per afferrare la donna per il gomito e sostenerla, mentre il cuore gli batteva troppo in fretta per i suoi gusti.

« Perdonatemi, signora, non intendevo... » cominciò a scusarsi, ma si fermò subito, avendo notato più da vicino, per la prima volta, il viso della donna. « Mrs. Hughes! »

Gli parve di avere visto le sue labbra tremare alla sua esclamazione, ma lei si riprese velocemente e gli rivolse un sorriso amichevole e pieno di calore. « Buon pomeriggio, milord. »

_ . _ . _ . _. _ . _ . _

Dal momento che già era in ritardo, non ci sarebbe stato nulla di male nel chiederle di prendere un tè insieme al negozio più vicino. Sentendosi oltremodo in imbarazzo, prese una sedia per lei e aspettò finché non si fu accomodata prima di sedersi a propria volta; lei non si tolse il cappotto e neppure i guanti, ma dal pallore della sua pelle poté intuire quanto più debole fosse rispetto all'ultima volta in cui l'aveva vista.

Rimasero entrambi in silenzio, gli occhi che vagavano per la sala da tè, mentre aspettavano che le rispettive ordinazioni arrivassero; soltanto dopo che lei ebbe versato per entrambi una tazza di tè (aggiungendo limone, non latte, per lui: esattamente come gli piaceva) l'atmosfera cambiò, quasi che la bevanda fosse un riparo dietro cui potessero entrambi nascondersi.

« Abbiamo sentito la vostra mancanza a Downton, » le disse, senza spostare gli occhi dal suo volto. Lei incontrò il suo sguardo con coraggio, apertamente, così come aveva sempre fatto.

« Ho sentito la vostra mancanza anch'io, » ammise, con il più piccolo dei sorrisi. « Tuttavia, oserei dire che voi siate stati molto più occupati di me, negli ultimi tempi. Ho sentito che le congratulazioni sono d'obbligo – sia per lady Mary che per lady Edith, non è vero? »

« Sì, infatti. Mi assicurerò di portare loro le vostre parole, saranno entrambe molto liete di avere vostre notizie. »

« Come sta la nuova lady Strallan, allora? E il più giovane signor Crawley? Dovrete essere terribilmente fiero di lui, milord. »

« Stanno entrambi bene... Stiamo tutti bene, » replicò, profondamente toccato da quel suo riguardo, visto tutto ciò che era successo quando lei aveva lasciato Downton. « Sembra che il destino si sia finalmente stancato di gettare tristezza sulle nostre teste. »

« Tocchiamo legno, » gli sorrise, e picchiettò sulla parte inferiore del loro tavolo. « Ho letto del rilascio di Mr. Bates, naturalmente... Sono ancora con voi? »

« Sì. Nonostante Mrs. Bates abbia speso la maggior parte del proprio tempo a Crawley House, recentemente. Vivono in un cottage più o meno a metà strada fra il villaggio e Downton – la soluzione si sta dimostrando più che soddisfacente per tutti quanti. »

Lei spostò lo sguardo altrove, mordendosi il labbro: un gesto che lui non vedeva da molto tempo, un gesto che avrebbe sempre associato a lei. « Vi prego, portate i miei saluti ad entrambi – specialmente a Mrs. Bates. »

« Naturalmente. » Seppe già prima che lei alzasse di nuovo gli occhi nei suoi quale sarebbe stata la successiva domanda, e la pregò in silenzio di non chiederglielo.

Devo farlo, gli disse con gli occhi, Ho bisogno di dirlo ad alta voce.

Lui annuì in maniera a stento percepibile, e si preparò ad assorbire il colpo di quel martello che si abbatteva.

E si abbatté – in otto semplici parole, pronunciate con enorme difficoltà.

« E per quanto riguarda Mr. e Mrs. Carson? »


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Eccoci qui, secondo capitolo. Grazie a voi che state leggendo...

Noterete, probabilmente, un discreto altalenare dal "voi" al "tu" e viceversa nel dialogo finale: è stata, da parte mia, una scelta voluta. Un modo per esprimere l'impetuosità dei sentimenti di Elsie, combattuta tra l'impeto - che la fa optare per un concitato "tu" - e il dignitoso distacco che desidera mettere tra lei e Carson... Non so, a me sembra una scelta sensata. L'ultima parola, però, sta a voi. Buona lettura :)

« Sono letteralmente andato a sbattere contro Mrs. Hughes, oggi, mentre rientravo dal club. »

I bruschi respiri e le esclamazioni sconvolte non bastarono a svegliare il bambino. « Tu cosa? » boccheggiò Cora, battendo rapidamente le palpebre. « È a Londra ora? Come sta? »

« È ancora a servizio? » Edith si accigliò un poco, accarezzandosi con gentilezza il ventre.

« E perché mai non dovrebbe? » Mary roteò gli occhi e mise il piccolo Reggie nella culla per poi sedersi sul letto della sorella. « Lei non ha assolutamente alcuna ragione di vergognarsi, in tutto questo. »

Edith sollevò un sopracciglio con una punta di derisione, senza che tuttavia ci fosse malizia sul suo viso. « Pensavo che tu avessi sempre preferito Carson a Mrs. Hughes, Mary, no? »

« Quello, » disse la moglie di Matthew Crawley a denti stretti, sollevando il mento provocatoriamente, « era prima. »

« Posso solo ricordarti che se non fosse stato per tua suocera noi non ci saremmo mai trovati in questa situazione, tanto per cominciare? »

« Edith, » Cora rimproverò la sua figlia più giovane e si accigliò. « Dovremmo essere grati che la cugina Isobel abbia fatto ciò che ha fatto. Solo pensare che la cosa potesse andare avanti senza che nessuno sapesse... Se lei non ci avesse detto cosa aveva visto... »

« Esatto! Avresti voluto che Mrs. Hughes affrontasse quell'umiliazione da sola, senza poterlo dire a nessuno? »

« Mi dispiace, » sospirò Edith, e si appoggiò all'indietro, premendosi le dita contro le tempie. « Questo bambino mi fa dire un sacco di cose prive di senso. Se è una femmina la chiamerò Violet... Vedi? Eccoci di nuovo! Ma lasciamo perdere questo – papà, hai l'indirizzo di Mrs. Hughes? Mi piacerebbe molto contattarla. »

Mary socchiuse gli occhi. « Che cosa hai in mente? »

« Be', Anthony insiste che assumiamo una nuova governante, così pensavo che... »

« E tu la faresti vivere e lavorare così vicino a Downton? Pensi che sarebbe saggio? »

« Perché non chiediamo a lei se sarebbe interessata o no? » intervenne Cora, coprendo la mano di Edith con la propria. « Non può essere felice a Londra, è un posto che non le è mai piaciuto. » Si voltò di nuovo verso il marito con un sorriso incoraggiante. « Allora, Robert? Cosa ci dici di quell'indirizzo? »

Lui annuì ed estrasse un pezzo di carta dal portafogli, rigirandoselo tra le mani con un sorriso poco convinto. « Ce l'ho... Però, Edith, è fuori discussione che tu faccia tutta quella strada fino a Lambeth, non nelle tue condizioni! »

« Allora dovremo solo far sì che Mrs. Hughes venga a trovarci a Grantham House, papà, non è vero? »

Mary sospirò e si alzò per controllare suo figlio, scoccando al padre un'occhiata d'intesa nel passargli davanti. « Assicurati di dare a Carson il pomeriggio libero, o sarà un bagno di sangue. »

. _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ .

Forse avrebbe dovuto chiedersi la ragione dell'impazienza di sua signoria di averlo fuori di casa per l'intero pomeriggio – soprattutto dopo aver sentito per caso le cameriere parlare di un ospite invitato per il tè – ma alla fine aveva deciso di rassegnarsi e dedicarsi così ad alcune commissioni per le quali non aveva avuto tempo fino ad allora.

Aveva però portato tutto a termine piuttosto velocemente, e un quarto d'ora dopo le cinque già era di ritorno. Non appena si voltò per raggiungere l'ingresso della servitù, la porta principale si aprì e una figura femminile ne uscì, accomiatandosi da chiunque stesse tenendo la porta aperta, quasi certamente Thomas.

La donna non se ne andò subito, ma si fermò a dire qualcosa a Thomas, accarezzandogli una manica con gentilezza. Charles corrugò le sopracciglia e si fermò sul gradino più in alto, profondamente incuriosito dall'identità della strana ospite – finché non dedicò un'occhiata più attenta al suo cappotto verde scuro, e si rese conto che non era un'estranea, dopo tutto.

Per il tempo che le servì per scendere le scale, lui già l'aspettava in fondo, guardando in alto, assaporando la vista di lei. Aveva perso peso, e c'erano nuove linee sul suo viso: tutt'altro che sorprendente, considerando tutto ciò che stava passando – tutto ciò che lui le stava costringendo a passare.

Era persa nei suoi pensieri, la mente che vagava tanto lontano che lui dovette afferrarla per il polso perché lei lo guardasse.

« Elsie. »

Lei tremò e sottrasse il braccio alla sua presa con forza, le labbra strette in una linea sottile, ogni colorito scomparso dal suo volto.

« Non ho niente da dirvi, Mr. Carson, » tagliò corto, e si mosse per allontanarsi. Velocemente lui si spostò fino a trovarsi di fronte a lei, bloccandole il passaggio, i due gradini che ancora lei non aveva sceso a mettere i loro visi quasi allo stesso livello.

« Ti prego, Elsie. Devi capire, devi lasciarmi spiegare - »

« Stammi a sentire, » lo interruppe, i suoi occhi che scagliavano saette direttamente contro il cuore dell'uomo. « Io non devo fare niente, non più. So cosa stai per dire, e so che probabilmente credi che sia vero – ma come potrei farlo io? » Emise un lungo, greve respiro e scosse la testa, senza guardarlo negli occhi. « Dovrei probabilmente augurarti una piacevole serata, e chiederti di porgere i miei omaggi alla tua adorabile moglie, ma non lo farò. » Un'unica lacrima scivolò lungo la sua guancia e lei sollevò la mano guantata per asciugarla. « A quanto pare non sono una bugiarda brava quanto voi. Addio, Mr. Carson. »

Lui fissò la sua sagoma che si allontanava finché non fu scomparsa dietro l'angolo, quindi, lentamente, tornò a voltarsi, diretto a testa bassa all'ingresso della servitù.

Come può questo essere successo a noi, Elsie?

A/N Se troverete il tempo di lasciare un commento, be': farete di me una fantranslater felice :P

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornare, ma tra feste e ponti è stata una settimana dura :) 

Grazie a voi che resistete nella lettura... Potete recensire, non mi lamenterò!

Vederlo così, sulle scale di Grantham House, le aveva fatto male più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Sapeva, naturalmente, che lui sarebbe rimasto a Downton – e che sua signoria non l'avrebbe lasciato andare, in parte per il senso di colpa che Charles provava, in parte per la responsabilità che doveva affrontare – ma trovarsi davvero ad incontrarlo, faccia a faccia, le aveva spezzato il cuore un'altra volta.

Certo, sempre che prima avesse iniziato a guarire.

Se il tempo fosse passato, se le stagioni fossero cambiate da allora a quel momento, lei non lo sapeva.


Quindici mesi prima

Era stanca, così stanca. Tre giorni di tè, feste serali e cocktail, di ospiti che vagavano per la casa e lasciavano una gran confusione al loro risveglio. Tre giorni di rapido andare su e giù per le scale, zittendo strane cameriere e lacchè che ridevano troppo forte nei corridoi, assicurandosi che la porta fra il corridoio degli uomini e quello delle donne fosse correttamente chiusa ogni notte...

Soltanto un paio d'ore ancora e il peggio sarebbe finito, si disse, serrando la mascella nello spostarsi in fretta per il pianterreno cercando Charles – nessuno l'aveva visto nell'ultima ora o quasi, e dal momento che la festa era al culmine il maggiordomo doveva semplicemente essere presente. Dopotutto, non poteva credere che lui tenesse lady Edith in minor ossequio di Lady Mary – e aveva fatto tutto ciò che aveva potuto per rendere anche la sua festa di fidanzamento emozionante e meravigliosa..

« Mrs. Hughes? Siete impegnata? »

C'era così bisogno di trovarlo subito. « No, Mrs. Crawley. Come posso esservi utile? »

Isobel Crawley le mostrò la mano, fasciata alla bell'e meglio in quello che sembrava un fazzoletto un po' usato. « Sembra che mio figlio sia un po' troppo entusiasta, stasera. È riuscito a rompere un bicchiere di champagne e mi sono tagliata, piuttosto malamente, temo. C'è una cameriera che sta già pulendo, ma mi chiedevo se voi poteste aiutarmi... »

« Certo, » annuì Elsie, la mente concentrata su ciò che doveva fare. « Se volete seguirmi... »


Perché non era andata a prendere il necessario da sola? Sarebbe stato molto più appropriato lasciare Mrs. Crawley ad aspettare nella biblioteca piccola finché lei non fosse tornata a medicarle la ferita.

Il crepacuore sarebbe stato altrettanto tremendo, ma forse qualcosa avrebbe potuto salvarsi, fra le macerie della sua vita. Ma era troppo tardi per pensarci, ora, quando ormai non c'erano che rovine.


Bizzarri suoni attutiti provenivano dal suo salottino. Questo avrebbe dovuto fermarla, farla voltare verso Mrs. Crawley per chiederle di aspettare nella deserta sala della servitù – ma era esausta, e di fretta, e voleva solo trovare Charles e che lui l'abbracciasse fino ad addormentarsi e...


...e lui era lì, proprio nel suo salottino, con una cameriera, il cui nome Elsie nemmeno riusciva a ricordare, decisamente svestita e scompostamente sopra di lui...

...e Mrs. Crawley reagì prima che Elsie avesse tempo di farlo, e iniziò a gridare contro di loro, e allora O'Brien apparve dal nulla e diede un'occhiata all'interno, e impallidì di colpo non appena vide Charles e quella piccola...cosa...

...e di colpo si ritrovò di sopra, seduta su una sedia in una stanza che non riusciva a riconoscere attraverso la nube scura che sembrava circondarle la testa, e Lady Grantham era lì a tenerle la mano mentre Mrs. Crawley parlava e parlava e parlava, e il volto di Lord Grantham era pallido com'era stato quello di Miss O'Brien, i suoi occhi bruciavano e lui stringeva i denti e usciva a passo pesante dalla stanza, probabilmente per trovare Charles...

...e poi era arrivata Lady Mary, e si era inginocchiata sul pavimento accanto a lei senza fare la minima attenzione al suo nuovo vestito, e si era voltata verso sua madre e aveva detto fermamente, « Dovrebbe andarsene. Se papà non lo manderà via, lo farò io. »

...e allora Elsie aveva sentito la propria stessa voce, quieta e monocorde e flebile come un'eco: « No, milady. Non dovete farlo. Sono io che dovrei andarmene. »



Come avrebbe potuto tornare là dopo aver visto tutte quelle cose? Come avrebbe potuto sedere su quello stesso divanetto e lavorare alla lista delle lenzuola, ricordando con tanta nitidezza ogni forma, ogni colore, ogni suono?

L'avrebbe fatta impazzire in una settimana.


« Elsie, ti prego... »

Lei lo oltrepassò, mordendosi il labbro forte abbastanza da farlo sanguinare. Lui fece per trattenerla, toccandole il gomito; lei si liberò della sua stretta e dallo sguardo negli occhi di lui avrebbe giurato che si aspettasse che lei stesse per schiaffeggiarlo.

Voleva farlo. Con tutta se stessa. Lo voleva quasi quanto avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che tutto sarebbe andato bene, anche se lei per prima non ci credeva.

« Non ho niente da dirti, Charles Carson. E neppure ho voglia di ascoltare nulla che tu possa voler dire a me. »

« Ma devi! Non puoi credere una sola parola di tutto questo! Io non riesco nemmeno a ricordare la maggior parte di... Lei... Lei deve aver messo qualcosa nel mio vino, oppure... »

« E da quando il maggiordomo beve vino prima che la più importante festa dell'anno sia terminata? »

Lui chinò il capo, il petto che si sollevava con sforzo. In qualsiasi altro momento sarebbe stata preoccupata che il suo cuore potesse fare di nuovo i capricci, ma adesso non poteva interessarle di meno.

« Sono stato avventato, Elsie, avventato e stanco e stupido e... Cos'altro vorresti che dicessi? »

« Niente. Non c'è niente che tu possa dire in grado di farmelo dimenticare. » Deglutì a fatica e si portò una mano sul volto tentando di nasconderlo da lui, di negare il dolore e la rabbia. « Quella ragazza ha detto a sua signoria che tu le sei stato appresso fin dal momento in cui ha messo piede in questa casa. Che l'avevi seguita ovunque per tre giorni, facendo ogni genere di allusioni, e quando l'hai incrociata ai piani inferiori tu avresti dato a lei il vino... »

« Elsie, tu devi sapere che è tutta una bugia! » La sua testa si rialzò di colpo mentre l'afferrava per le spalle, lo sguardo febbrile ed implorante che premeva su quello di lei. « E sua signoria le ha creduto? »

« Devi ammetterlo – di solito è l'uomo a drogare la bevanda di una donna, non il contrario, » sussurrò, chiudendo gli occhi e pregando di trovare abbastanza forza e compostezza. « E la ragazza non ha una sola macchia sulla sua reputazione, mentre... » Si fermò, mordendosi il labbro.

« Mentre io sono stato sul palcoscenico, il che potrebbe avermi portato a qualunque cosa, è questo che vorresti dire? Mio Dio, Elsie, è stato secoli fa! E sua signoria lo sa da anni ormai! »

« C'è una certa differenza tra sapere che qualcosa è successo molto tempo fa ed è stato ormai messo a riposo, e vederlo tornare dalla tomba a perseguitarti. »

Charles la lasciò andare e fece qualche passo indietro, il volto tirato e cinereo le lasciar pendere le braccia prive di controllo lungo i fianchi.

« Che cosa devo fare perché tutto questo si allontani, Elsie? Dimmelo e lo farò. »


Avrebbe potuto chiedergli di lasciare il suo posto e andarsene con lei. Non avrebbe più avuto una reputazione, ma a lei non sarebbe importato di lavorare per entrambi, finché ne avesse avuto la forza, finché ci fosse stato un posto che l'avrebbe assunta.

Avrebbe potuto chiedergli di dimenticarsi della ragazza, di voltare le spalle alla sua vergogna e alla propria responsabilità e vivere la vita che avevano immaginato tanto tempo prima, insieme, sempre insieme, con niente al mondo in grado di separarli.

Ma sapeva nel profondo di sé che il suo senso del dovere e dell'onore non gli avrebbe mai permesso di fare nulla del genere.

E per quanto desiderasse credere ad ogni parola che lui aveva detto, il suo cuore era una grande ferita aperta, e non avrebbe smesso di sanguinare.


« Penso che entrambi sappiamo cosa tu devi fare. »

« Dimmi che mi credi. »

« Non posso. »

Gli voltò le spalle e se ne andò, oltrepassando la porta sempre chiusa del proprio salottino senza degnarla neppure di un'occhiata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mi scuso INFINITAMENTE per l'imperdonabile ritardo. Ho, ahimè, dimenticato di aggiornare, e me ne sono accorta soltanto adesso. Vi chiedo scusa. Mille volte, ed una ancora.


« Questo è tutto, milord? »

« Sì, Carson, grazie. » Scosse la testa, le dita che picchiettavano sul bracciolo. « E... Carson? »

« Milord? »

« A che ora sei tornato? »

Una pausa, lunga abbastanza perché Robert immaginasse la risposta. « Le cinque e un quarto, milord. »

« Quindi lo sai. »

« Sì, milord. Lo so. » La ferita e il dolore iniziavano a filtrare attraverso il muro tanto attentamente costruito di professionalità ed integrità.

« E le hai parlato? »

« Credo che parlare verso di lei sarebbe un modo migliore di descrivere il nostro scontro, milord. »

Un sorriso acre, asimmetrico. « So bene cosa intendi. »

_ . _ . _ . _ . _ . _

« Carson è ancora con noi, Mrs. Hughes, » le aveva risposto prudentemente, sostenendo il suo sguardo, questa volta pregando in silenzio che lei non lo interrompesse. « E per quanto riguarda Mrs. Carson- »

« Milord. Vi prego, non fatemi rimpiangere le mie buone maniere. »

_ . _ . _ . _ . _ ._

« Milord, mi stavo chiedendo se potessi... »

« Sì, Carson, certo che puoi. » Si alzò a fronteggiare il suo maggiordomo con un sopracciglio corrugato, due paia di occhi che si scontravano in quel duello muto. « Ma sarà la tua ultima occasione. »

« Ne sono consapevole, milord. »

« Dovresti proprio. »

_ . _ . _ . _ . _ . _

La casa era vecchia, diroccata e grigia, e il pensiero di essere stato lui a portare lei a quel punto gli strinse dolorosamente il cuore.

Dovette aspettare molto a lungo prima che la porta si aprisse sotto il suo insistente bussare, e quando lo fece, e lui vide l'ostilità scritta sul suo viso, quasi si tirò indietro. Quasi.

« Perché sei venuto? » La sua voce sembrava stanca, spossata, flebile e rotta – come un pezzo di carta accartocciato e gettato nel caminetto per essere divorato dalle fiamme. « Non è rimasto nient'altro da dire. »

« Forse per te. Ma non mi hai mai concesso la cortesia di darti la mia versione dei fatti. »

Lei scosse la testa e distolse lo sguardo, come se stesse cercando di dimenticare che lui era lì, reale e concreto, carne e sangue, a chiedere una risposta da lei, a chiedere il permesso di parlare.

« Non avrebbe cambiato niente. »

« Non sono d'accordo. »

Lei sospirò e roteò gli occhi, massaggiandosi la tempia sinistra con la punta delle dita. « E se io chiudessi questa porta proprio adesso? »

« Rimarrei qui finché tu non decidessi di aprirla di nuovo e di accettare di ascoltarmi. »

Lei scosse la testa, ma si spostò di lato e lo lasciò entrare. « Cosa mai potresti volermi dire, dopo tutto quello che è successo? »

_ . _ . _ . _ . _ . _

« Ne siete sicuro? » ansimò Lord Grantham, e si alzò, gettando via il giornale, mentre Cora rimaneva seduta rigidamente e rabbrividiva. Richard Clarkson annuì seccamente e prese il bicchiere di Scotch che gli era stato offerto, agitando il suo contenuto gentilmente prima di mandarlo giù un un solo sorso.

« Assolutamente, milord. »

_ . _ . _ . _ . _ . _

Lei guardava oltre la finestra, le braccia strette attorno al corpo, abbracciandosi strettamente mentre aspettava le sue parole tranquille e guardava gli alberi bagnati dalla pioggia. Non disse una parola durante tutto quel tempo.

« Mi credi? » le chiese a voce bassa alla fine, chinandosi in avanti per seppellire il viso fra le mani.

« Ti credo. »

Sollevò di scatto la testa, un guizzo di speranza che tornava alla vita nelle profondità dei suoi occhi. « Allora...? »

« Non chiedermi quel che non posso fare, Charles Carson. »

Le sue spalle si accasciarono un poco, ma la sua espressione era di tranquilla rassegnazione, di comprensione. « Sono comunque felice che tu mi abbia lasciato spiegare. »

Lei si voltò a guardarlo e per la prima volta da quando lui aveva iniziato a parlare la traccia di una sola lacrima segnava la pelle chiara della sua guancia. « Sono felice che tu mi abbia convinta ad ascoltarti. »

Lui si alzò e fece per tentare un passo verso di lei – ma si fermò a metà del movimento, gli occhi di lei che lampeggiavano di paura e rabbia.

« Riusciremo mai a parlare di nuovo come facevamo prima? »

« Niente sarà mai più come prima. »

Lui raccolse il cappello e lo rigirò fra le mani, incapace di guardarla a lungo. « Accetterai la proposta di Lady Strallan? »

« Non lo so. Può darsi. Ho davvero bisogno di pensarci. »

« Certo, » annuì in tono grave, voltandosi verso la porta. « Vorrei soltanto poterti vedere, di tanto in tanto, anche per poco. Addio, Elsie. »

« Charles. » Si fermò, senza voltarsi, teso per la trepidazione. « Ti ho sempre amato. »

Il nodo che aveva in gola diventò troppo difficile e pesante da ingoiare, così parlò con difficoltà, la voce roca, a stento udibile. « E io, te. »


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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Si vedono molto più spesso da quando lei ha iniziato a lavorare per gli Strallan. Mai a Downton, non per il primo anno, almeno: lui arriva con un messaggio da parte di Lord o Lady Grantham, che avrebbe potuto benissimo essere consegnato con la posta o persino discusso al telefono, e si ferma per il tè. Lo bevono nella sala della servitù, però, mai nel suo salottino. Siedono uno di fronte all'altra e bevono in silenzio, gli sguardi incatenati, tutti gli altri domestici a mantenere un'educata distanza tra loro e quella coppia silenziosa.

C'è una storia dietro tutto questo, si alza un giorno una voce, quando c'è il pomeriggio di libertà e le cameriere diventano un po' più audaci nelle loro conversazioni sussurrate. Una storia d'amore.

L'idea è accolta con qualche brivido e sopracciglia sollevate. Ma lui non è sposato? Non ha una figlia?

Ah, sì – ma DOV'È sua moglie?

E perché la bambina non gli somiglia?

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

Arriva in visita a Downton per la prima volta più di un anno e mezzo dopo Londra, molti mesi dopo il suo “ritorno”. (Non è mai tornata, non davvero, non nel modo in cui era prima.)

Gira il pomo della porta sul retro senza pensare, entra, respira l'odore di questo posto. Lo ha sognato quasi ogni notte da allora; forse per questo ora cerca di tenere i propri sentimenti sotto controllo.

La sala della servitù e quasi vuota, fatta eccezione per Anna, che ora indossa un abito scuro e un anello di chiavi legate in vita e sta dando da mangiare ad una bimbetta con un cucchiaio. La piccola alza verso Elsie occhi che non somigliano a nessuno che conosca, e la guarda male.

Ci sono lacrime e sorrisi incerti quando Anna corre verso di lei – un comportamento più che indecoroso per una governante, ma Elsie non ha proprio il coraggio di criticarla per questo – e le prende la mano, invitandola a sedersi nella sua vecchia sedia. Lei rifiuta con gentilezza, gli occhi fissi sulla bambina. « E così questa è... »

Anna annuisce e pulisce il viso della bambina con uno strofinaccio pulito. « Elizabeth Carson. Sì. »

Elizabeth Carson.

Ricorda fin troppo bene quando ha sentito per la prima volta quel nome.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

« Ha il mio cognome. Era il minimo che potessi fare. »

« Anche se sai...sapevi...? »

« Avresti voluto che l'abbandonassi? Che le voltassi le spalle, soprattutto dopo che sua madre se ne era andata? »

Conosceva la risposta, così lei non sprecò tempo a dirla a voce alta. « E come l'hai chiamata? »

« Elizabeth. »

Era stato come uno schiaffo in pieno volto, caldo e bruciante e che le aveva fatto desiderare di piangere, di poter gridare la propria rabbia fino al cielo per tutta l'ingiustizia del mondo.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

Quando finalmente lui scende al piano inferiore ed entra nella stanza della servitù, la bambina è seduta accanto a lei e la guarda incantata scrivere alcune note nel libro di Anna, spiegare a bassa voce le cose che nessuno ha avuto il tempo (o le conoscenze necessarie) di dire alla ragazza. Lui si ferma sulla porta e osserva la scena mentre il suo cuore si spezza per quanto è sbagliata, per la facilità con cui potrebbe essere convertita nell'immagine di felicità che aveva immaginato per sé molti anni prima.

Lei percepisce la sua presenza e lo guarda, esteriormente serena mentre torrenti di emozioni restano imprigionati nelle profondità dei suoi occhi. « Mr. Carson. »

La bambina si illumina e stende le braccia verso di lui sorridendo. « Papà! »

Ed eccolo di nuovo: il bisogno quasi incontrollabile di gridare.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

« Sei buono con lei, » gli dice mentre camminano lentamente lungo il sentiero che conduce al villaggio dopo che lui si è offerto di riaccompagnarla alla stazione.

« Ci provo. Non le farei alcun bene se la lasciassi abbandonata a se stessa. »

Lei deglutisce, stringe con forza le mani. « C'è qualche novità da...? » Lascia la domanda sospesa; entrambi sanno che sarebbe troppo, per lei, finirla.

« Non negli ultimi quattro mesi. L'avevano vista a Brighton prima di allora, con lo stesso uomo; dove siano andati da lì in poi, non ho modo di dirlo. »

« Pensi che tornerà mai? Per Lizbeth? Per... » (Non dice “per te”; nessuno di loro crede che potrebbe accadere, comunque.)

« Non penso, no. »

Camminano insieme, perfettamente sincronizzati proprio come sono sempre stati. Il sole è limpido e freddo sopra di loro, o forse soltanto limpido, e il freddo che sentono proviene da loro.

Ma questo è vero soltanto all'esterno. Perché lui sa quanto rovente può essere il cuore di lei, e lei sa che lui non smetterebbe mai di amarla, anche se non fossero mai più liberi di parlarne.

Le cose potrebbero ancora funzionare per loro, forse: ma dovrebbe essere a costo della sofferenza di altre persone, e loro non lo vogliono, non l'hanno mai voluto, non tra l'onore di lei e il senso di responsabilità che ha lui. Potrebbero probabilmente serbare rancore: contro il mondo, o l'uno contro l'altro; lei più di lui (perché lui non glielo aveva chiesto quando ne aveva avuto il tempo, perché avevano deciso di aspettare, di tenere tutto in silenzio, inesistente, di non darsi un terreno su cui trovarsi, e protestare quando ne avessero avuto bisogno): ma questo non sarebbe saggio, e li renderebbe ancora più pieni di amarezza di quanto già non siano.

Così, non si soffermano sul passato.

Non discuteranno neppure il futuro. Segretamente, entrambi sperano che potranno “ritirarsi insieme”, dopo tutto: non accadrà presto, se mai dovesse accadere, ma la strada non è ancora del tutto chiusa. Ci sono ancora così tante cose da considerare, però: la bambina che aveva il suo nome, ma non il suo sangue; la donna, da qualche parte nel mondo, che con ogni probabilità aveva gettato via ormai da tempo l'anello che avrebbe dovuto essere dato ad Elsie molti anni fa; gli sguardi che la gente avrebbe rivolto loro se avessero oltrepassato la linea tra le congetture e la certezza.

C'è una grande differenza tra essere una donna innamorata ed essere un'amante, pensa, mentre conta i passi e respira profondamente nella speranza di catturare un'ombra della sua acqua di colonia nel vento.

Essere una donna innamorata è questione di ciò che provi, non di quello che fai.

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« Quando ti vedrò di nuovo? » le chiede mentre sono fermi al binario, una distanza corretta, propria, tra i loro corpi. L'attenzione di lei si concentra su una piccola piega nell'angolo del suo colletto e prova il desiderio di sistemarla con le proprie dita, di appoggiarsi contro di lui e lasciarsi andare.

Dimenticare per un attimo il mondo. Dimenticare tutto ciò che è accaduto. Tornare a come erano – vecchi e vecchio stile, comodamente bloccati in un solo istante, un giorno, una settimana, un mese, un anno, una vita insieme, quando ciò che provavano era la cosa più importante al mondo.

« Non sarà mai abbastanza presto, » gli risponde, e abbassa per un attimo le palpebre, guardando verso il treno che avanza lungo i binari, soffiando fumo ed avvolgendoli in una nuvola di vapore per un secondo o due. E ricorda qualcosa, parole pronunciate molto tempo prima – sembra un'altra vita, un altro tempo, un altro luogo – e gli sorride, tendendogli la mano. « Non ditemi che sentirete la mia mancanza. »

« Sì invece, Mrs. Hughes. Moltissimo. »

Lascia che lui le tenga la mano un po' più di quanto sarebbe strettamente necessario, e gli stringe le dita prima di lasciarlo andare.

Potrebbe essere tutto ciò che potranno mai condividere. Sarebbe stato abbastanza, una volta.

Ma non sarà mai più abbastanza.

Non permette a se stessa di sperare.

Ma sa che lo aspetterà per sempre, e che allo stesso modo lui aspetterà lei.

Tutte le ferite diventano cicatrici, alla fine.

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