Girando L'angolo di Lollo (/viewuser.php?uid=3968)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 1 *** Capitolo Primo ***
Girando l‘angolo
«Tieni..!
ti regalo questa, per ricordo... e questa, e questa...» blaterava Susie,
riempiendole le braccia delle sue Magliette Logosvanenti – l’ultima trovata che
aveva inventato per fare qualche soldo con il quale pagarsi gli anni di studio
che le rimanevano per diventare Medimago. Hermione cercò di afferrare l’ultima
maglietta – “Accetta il tuo corpo...” diceva la scritta colorata,
per poi svanire e lasciare il posto ad un “...usa una scure!”
altrettanto vistoso.
«Oh,
grazie, tesoro,» disse, sarcastica, sventolandola davanti agli occhi della sua
coinquilina. Anzi, da quel giorno ex coinquilina.
«Figurati»
rispose
la ragazza, senza neanche guardarla, frugando tra le Magliette buttate alla
rinfusa per la stanza. Hermione sospirò, gettando gli occhi al cielo in un gesto
esasperato.
«Susie,
ti prego» disse, avvicinandosi e posandole una mano sulla spalla. «Non sto mica
partendo per la guerra... cambio solo casa. Tra l’altro, ci vediamo tutti i
santi giorni in classe.» ribadì per la centesima volta.
«Ma mi
mancherai comunque.» spiegò tristemente l’altra, guardandola con un labbro
sporto fuori in un’espressione giocosamente infantile.
«Oh,
anche tu!» rispose Hermione, abbracciandola. «Ma non posso stare qui ad
occuparti la casa fino a quando saremo delle vecchie
zitelle...».
«Ma mi
mancherà tanto il modo in cui ti alzavi con quei tuoi capelli ancora più
spampanati del solito...».
«...quell’appartamento
era un’occasione da non perdere – ma grazie, ti adoro anche
io».
«... e
quando ciabatti fino in cucina, inciampando come una scema nel cane ogni santa
volta...».
«E’ il
tuo cane che sta sempre nei punti sbagliati, mica è colpa
mia!».
«...
e il fatto che sbatti la testa ogni volta contro l’armadietto del bagno perché
ti dimentichi di chiuderlo...».
«Okay,
okay, ora basta!» disse Hermione, ridendo e acchiappando lo zaino che
conteneva le sue ultime cose; il resto era già nel nuovo appartamento, ad
aspettarla. «Me ne vado! Grattastinchi, salta dentro» disse poi, riferita al
grande e peloso gatto arancione che aveva poltrito fino ad allora su una
poltrona fucsia, e dora saltava giù agilmente per entrare in un
gabbietta.
Hermione
attraversò la stanza da letto disordinatissima e coloratissima dell’amica,
dirigendosi velocemente verso la porta dell’ingresso, Susie che le correva
appresso ricordandole le sue altre imbarazzanti abitudini.
Una
volta sulla porta si girò verso di lei, per abbracciarla
ancora.
«Addio,
Hermione... non te l’ho mai confessato, ma... io... io...ti
amo!».
«Sssì.
Ci vediamo dopodomani al Corso, okay?».
E
uscì, mentre l’altra dietro continuava ad urlarle «Non sopravviverò senza di
te! Come farò!», e le giurava amore perpetuo.
*
Hermione saltò giù dalla metropolitana londinese, assieme alla folla
vociante che scalpitava per raggiungere un altro treno il più velocemente
possibile. Salì velocemente la scalinata ed eccola, fuori nella strada
affollata, una strada che avrebbe percorso tutte le mattine da quel giorno in
poi; aveva deciso di abitare a Londra babbana, anche perché era una zona,
quella, piuttosto vicina al Ministero e a dove si teneva il Corso. Sospirò
lievemente, fermandosi un momento, chiuse gli occhi.
«Va
bene,» mormorò tra sé e sé. Aprì di nuovo gli occhi, e si incamminò verso quella
che sarebbe stata la sua nuova casa, la prima casa – diciamo minicasa,
date le dimensioni - totalmente sua.
Uscita da Hogwarts con il massimo dei voti, aveva capito che la sua vera
aspirazione era diventare un Medimago – tutte le persone che erano rimaste
ferite, e quelle che più crudelmente avevano lasciato questo mondo durante la
guerra l’avevano in un qualche modo segnata. Così, si era data da fare. Non
aveva incontrato difficoltà nell’entrare al Corso Preparatorio per Medimaghi, e
per qualche tempo aveva continuato a vivere con i suoi. Poi aveva conosciuto
Susie durante una lezione, così completamente fuori di testa, con i suoi capelli
rosa sparati e quel modo di fare così frizzante; aveva accettato di vivere con
lei. La convivenza sembrava impossibile – lei tutta perfettina e Susie
disordinatissima, così... Susie, ma alla fine erano davvero una coppia
perfetta. Si compensavano a meraviglia.
Hermione svoltò ed entrò in una piccola strada, decisamente più
tranquilla di quella appena percorsa; le case erano più basse e a schiera, tutte
attaccate e diverse tra loro.
Si
guardò intorno, cercando di assorbire più particolari possibili; era felice di
aver deciso di non Smateriaizzarsi. In fondo alla strada c’era un piccolo parco
verso il quale si incamminò, decisa ad attraversarlo per arrivare a
casa.
Si
avvicinò a passi svelti al cancello, e stava per varcarlo, quando sentì un:
«Papààà!» provenire da lì vicino. Incuriosita si girò di qua e di là, finché non
notò un piccolo bambino dai capelli ricciuti e scuri, appollaiato su una
bicicletta con le rotelle, un casco rosso sulla testa. Sembrava incastrato con
la bici, e leggermente preso dal panico.
Hermione si guardò intorno, interdetta, indecisa sul da farsi; avrebbe
voluto avvicinarsi al bambino, ma non voleva neanche fare una gaffe, se i
genitori fossero stati intorno. Rimase ferma per qualche istante, indecisa, e
poi vide un signore di mezz’età avvicinarsi con un altro bambino in bici
appresso. Rassicurata, si avviò di nuovo verso i cancelli, ma non poté fare a
meno di lanciare un’ultima occhiata, e si fermò di nuovo: il signore aveva
proseguito per la sua strada, e il bambino restava lì, immobile, due piccoli
ditini in bocca e gli occhi azzurri spalancati.
Oddio, pensò, è palese che è completamente da solo!
Ritornò sui suoi passi e lo raggiunse, decisa. Il bambino sembrò notarla
soltanto quando Hermione gli si accovacciò di fronte, alla sua stessa altezza, e
posò la gabbietta di Grattastinchi ai suoi piedi.
«Ciao,» cominciò, sorridendo rassicurante. «come ti chiami?».
Il
bimbo la fissò per qualche istante. «Jamie» rispose a bassa voce, senza togliere
la mano dalla bocca.
«Dove
sono la tua mamma e il tuo papà, Jamie?» chiese Hermione, continuando a
sorridere. Jamie si guardò un po’ intorno, perplesso, poi rispose: «Mamma fa la
spesa. Papà non lo so dov’è». E dopo averlo detto, sembrò un attimo più
spaventato.
«Non
ti preoccupare, vedrai che lo troviamo il tuo papà.» concluse Hermione,
alzandosi in piedi di nuovo. E proprio mentre si stava chiedendo che razza di
padre era quello che si perde il figlio appena fuori dal parco, sentì un urlo
provenire da in fondo alla strada.
«Jamie!».
Hermione si girò in contemporanea al bambino all’udire quella voce. Un
uomo aveva appena svoltato l’angolo e correva verso di loro, fino a
raggiungerli. Mise le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, appena arrivò
di fronte a loro; Jamie si alzò dalla bicicletta e gli abbracciò le gambe in una
morsa d’acciaio, e l’uomo lo prese in braccio, rialzandosi.
Hermione lo guardò bene in faccia.
E
rimase pietrificata.
«Non
devi mai, mai, mai fermarti senza dirmelo, capito?!» cominciò a dire lui,
proprio nell’esatto momento in cui Hermione, con un filo di voce, chiedeva:
«Harry?».
«Sì?»
chiese lui, inizialmente senza togliere gli occhi dal figlio. Poi li rialzò
verso di lei, e improvvisamente tutti i piccoli particolari che gli erano
sembrati familiari mentre la guardava durante la corsa, presero un
senso.
«Hermione?» chiese, gli occhi spalancati pieni di sorpresa.
Continua...
E’ arrivata, è arrivata un’altra long fiction, di non ho idea
quanti capitoli, ma ormai la solfa l’avrete capita: non aspettatevene tantissimi
XD
Questo capitolo è più una specie di prologo... il bello (credo e
spero) verrà nei capitoli seguenti.
Un bacione!
Lollo
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Capitolo 2 *** Capitolo Secondo ***
Girando
l’angolo
Hermione era sotto shock.
Seduta al tavolo della cucina, guardava Harry armeggiare con un bollitore
per il tè, Jamie ai suoi piedi che giocava con Grattastinchi. Non avevano
spiccicato ancora una parola, neanche una; Harry le aveva solo chiesto cosa ci
faceva lì, guardandola stranito, e dato che non aveva ottenuto una risposta –
era troppo sconvolta per dargliene una – l’aveva invitata a salire in casa sua,
un appartamento proprio di fronte al parco in cui si erano incontrati. Il
palazzo era babbano, ma al piano terra c’era quello che sembrava un piccolo
sgabuzzino per i non-maghi, ma che era in realtà un altro
appartamento.
L’appartamento di Harry. E di suo figlio. E, presumibilmente, di
una moglie o qualcosa di simile.
Harry, sposato e con un figlio? Le sembrava come di aver preso una botta
in testa, come se improvvisamente si fosse formato un grosso buco della sua
memoria.
Il
suo migliore amico – ma poteva ancora essere considerato così? Non lo sapeva –
si era sposato, aveva avuto un bambino e lei non ne sapeva nulla. E questo, si
rese conto, non le piaceva per niente.
«Allora...» cominciò, schiarendosi la voce. Harry si girò immediatamente
verso di lei, fissandola, e si sentì come se quell’occhiata le trapassasse il
cervello. Non riuscì a continuare; lui si girò come se non avesse detto nulla,
prese il bollitore e verso il tè pronto in una tazza, porgendogliela. Poi si
sedette, in silenzio.
Hermione cominciò a soffiare gentilmente sulla bevanda, raffreddandola un
po’. Non aveva nessuna intenzione di parlare, aveva già fatto la sua mossa – bè,
più o meno. Alla fine fu Harry a parlare.
«Bè»
iniziò, grattandosi il naso, «Non posso dire di non essere
sorpreso...».
«Idem» mormorò Hermione, sempre senza staccare gli occhi dalla sua tazza.
«E...
come mai sei qui?».
«Mi sono appena trasferita nei dintorni» sussurrò. Sentì Harry
sbuffare.
«Hermione, hai intenzione di parlare in modo che io ti senta, o
cosa?».
Lei
lo fulminò con gli occhi, infastidita. «Ho detto che mi sono appena
trasferita nei dintorni», ripetè a voce più alta.
A
quella notizia, Harry spalancò gli occhi.
«Oh!»
disse, con aria stranita.
Ci fu
un altro attimo di silenzio, poi Hermione non riuscì più a trattenersi: «Ma ti
sei sposato?» chiese tutto di un fiato, guardando il bambino perplessa. Harry
seguì il suo sguardo, e sorrise.
«No... convivo» rispose placidamente.
«Ah»
disse. La domanda che Harry sapeva che Hermione voleva porre restò sospesa
nell’aria, così rispose senza che lei la ponesse.
«Ginny» disse, sempre in tono calmo. Lei si riscosse: «Come?».
«Convivo con Ginny, il bambino è mio e suo».
«Ah!»
non potè dire di essere stupita, e per un attimo sentì un sorriso che le si
apriva in volto. «Comunque, non l’avevo chiesto.» precisò subito per evitarlo,
acida. Una parte di sé si maledisse per quel tono e quelle parole, ma un’altra
si stava crogiolando nella speranza di litigare. Poi diede una veloce occhiata
all’orologio, e si alzò da tavola.
«Ed è
meglio che vada.» continuò con aria altezzosa.
«Sì,
effettivamente è diventata una tua abitudine...» disse, guardandola con la
fronte corrugata e senza muoversi dalla sedia.
Hermione, che si stava già avviando verso la porta della cucina, si fermò
impietrita e si girò verso di lui. Aprì la bocca un paio di volte e la richiuse,
alla fine si risedette sulla sedia. Lo guardò storto per qualche attimo, e lui
ricambiò lo sguardo, deciso a non aprire bocca per spiegarsi.
«Che
intendi?» chiese alla fine, esasperata.
«Quello che ho detto».
«Sarebbe?» aveva capito dove voleva andare a parare, oh, se
l’aveva capito...
«Che
evidentemente è una tua abitudine andartene via senza porre domande prima di
farlo».
«E
che dovrei dire, sentiamo?!».
«Prima di andarsene, ad esempio, sarebbe carino rendere presente
dove si intende andare, o chiedere agli altri cosa pensano di una
determinata situazione prima di non farsi sentire più neanche per
sbaglio!».
«Ora
non vedo nessuna determinata situazione» replicò, imitando il suo tono.
Lui la guardò male, un misto tra delusione, incredulità e rabbia.
«Hai
capito cosa intendo».
«No»
sì, ma non aveva intenzione di ammetterlo o di imbarcare una conversazione del
tipo a cui lui mirava.
«Non
era una domanda, ma un’affermazione».
«Anche la mia» le sembrava di star combattendo una partita a ping-pong.
Harry aprì la bocca per ribattere, ma a quel punto i suoi nervi
crollarono.
«Tu sei qui a farmi la predica sul perché e il percome io non mi
sia fatta sentire, ma tu, tu hai mai mosso un dito per cercare
me?».
«Sei
tu che ti sei allontanata, anzi, sei proprio scappata via! Cosa dovevo fare io?
Non mi hai neanche dato l’opportunità di dirti come la pensavo!».
«Mi
sembrava logico, no? Tu sei sempre dalla sua parte!» strillò, con la voce
più acuta di quanto desiderasse aver usato.
«Hermione, non era una stupida lite tra ragazzini, in cui dovevo cercare
di farvi tornare amici! Sapevo che avevi bisogno di startene un po’ per conto
tuo, fin quando non sarebbe passato, ma poi saresti dovuta tornare, o almeno
mantenere un minimo di contatto! Non potevo – non posso - farlo per
due!».
«Non potevo neanche io!» urlò, e sentì una lacrima fare
capolino sulla sua guancia. Harry stava per ribattere, quando si sentì tirare
per la maglia; abbassò lo sguardo, e incontrò quello di Jamie che lo guardava
con un’espressione perplessa e preoccupata negli occhioni spalancati, come a
chiedere spiegazioni.
«Perchè piange?» chiese alla fine, indicando Hermione, che
affondò il viso tra le mani a sentire quelle parole. Harry cercò di sorridere e
prese in braccio il bambino.
«Torno subito,» l’avvertì con voce inespressiva, avviandosi
fuori dalla cucina.
Hermione si spazzò via le lacrime dal viso con rabbia.
Perché aveva dovuto incontrarlo, e con lui tutti i ricordi che aveva cercato di
cancellare in quei cinque lunghi anni? Perché la decisione che aveva preso
allora, quella di andarsene, le era sembrata così giusta e ora lui le stava
facendo cambiare idea in così poco tempo? Come aveva potuto passare dalla felice
spensieratezza alla disperazione più totale in pochi minuti?
Improvvisamente tutta la situazione creatosi le sembrò
gravarle addosso come un macigno, e si alzò dalla sedia come un’automa. Uscì
automaticamente dalla cucina e si diresse rapidamente alla porta dell’ingresso,
decisa ad uscire di lì.
Ma non fece neanche in tempo a posare la mano sulla
maniglia, che sentì la serratura della porta aprirsi, e un’inconfondibile Ginny
carica di borse della spesa le si parò davanti.
Ed era definitivamente in trappola.
Continua...
Ecco qui il secondo capitolo, la cui trama è cambiata
radicalmente nel corso della sua scrittura...
Ringrazio tantissimo tutti quelli che mi hanno
commentata – 20 recensioni *_* VENTI, mica pizza e fichi! XD Grazie
millissime!
Spero davvero di essere all’altezza delle
aspettative...
Un bacione!
Lollo
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Capitolo 3 *** Capitolo Terzo ***
Girando l’angolo
Ginny
alzò la testa e la fissò. Hermione spalancò la bocca e la fissò. Harry scese
dalle scale e le fissò.
Per un
secondo la scena si fece immobile e muta come se qualcuno avesse premuto lo
stop, poi successe tutto molto rapidamente: Harry disse qualcosa, in
quell’attimo Ginny fece cadere le borse, le si fiondò addosso ed Hermione fece
un passo indietro, sovrastata dal peso della ragazza.
Sinceramente
non aveva capito se Ginny volesse ammazzarla soffocandola perché non si era
fatta vedere per tutto quel tempo oppure abbracciarla – sempre perché non si era
fatta vedere per tutto quel tempo. Probabilmente una via di mezzo; la sua presa
era ferrea in maniera allarmante, ma non fino a mozzarle il respiro. Alla fine
si staccò da lei, la guardò ancora con occhi increduli, le mani ancora sulle
spalle di Hermione. Aprì la bocca un paio di volte ma la richiuse subito, scosse
la testa, riaprì la bocca e poi tornò a guardarla con un’espressione sconvolta
sulla faccia.
«Sei
Hermione» disse ovviamente alla fine, a corto di parole.
«Direi
di sì» rispose lei a voce bassa ed esitante.
Ginny
fece passare il suo sguardo da Harry a lei, poi di nuovo verso di lui. Infine si
abbassò meccanicamente, raccattò tutte le borse della spesa che le erano cadute
di mano, li guardò entrambi.
«In
cucina» disse in tono autoritario, indicando la porta, e si avviò di gran
carriera, con Harry al seguito ed un Hermione che camminava nella loro scia come
in trance, il cui cervello era ormai messo al tappeto dai ripetuti
shock.
*
Immagina di avere una vita apparentemente perfetta. Il mondo è appena
uscito dalla guerra; tu e i tuoi migliori amici – uno dei quali è, guarda caso
la fortuna, quello che i nemici vanno cercando - siete riusciti ad uscirne indenni, non
sapete neanche come, ma ce l’avete fatta.
Il tuo
migliore amico – sì, quello perseguitato con sfregio sulla faccia – riesce
finalmente ad avere una vita più ordinata di quanto non abbia mai avuto, ora che
fondamentalmente nessuno psicopatico vuole fare fuori lui e i suoi amici. Di
conseguenza, lui e la sorella del tuo migliore amico – l’altro, quello coi
capelli rossi, che ti fa incazzare ogni tanto– riescono a mettersi
assieme.
Si dà
il caso, ancora guarda un po’ la fortuna, che l’altro tuo migliore amico, quello
coi capelli rossi che ti fa incazzare ogni tanto, abbia anche una specie di
calamita incorporata la quale fa sì che tu ti senta irreversibilmente attratta
verso di lui. E si dà il caso, che scopri improvvisamente, dopo peripezie
assurde che preferiresti a questo punto scordare, che anche lui prova lo stesso.
Il mondo sembra, improvvisamente, immerso nella gelatina rosa. Sembra tutto più
semplice, sembra tutto più dolce, sembra tutto decisamente più bello.
Insomma,
ci mancano i coniglietti rosa e siete in una pubblicità di Barbie e Ken Casa
Dolce Casa. Ma, insomma: nessun problema, per un po’ – un bel po’ – di
tempo.
Inviterei
quindi a salire qualche riga in su e puntare gli occhi su
quell’apparentemente. Perché è dopo quel bel po’ di tempo che questo
entra in gioco.
Non
sai neanche perché sta succedendo, ma improvvisamente piccoli difetti adorabili
del tuo ragazzo con i capelli rossi (che ti fa comunque incazzare ogni tanto)
diventano grandi difetti intrascurabili del tuo ragazzo con i capelli rossi (che
ti fa comunque incazzare sempre). E la cosa che ti infastidisce ancora di
più, è il fatto che non sembri solo tu a provare questo: anche lui è diventato
così nei tuoi confronti. Ci si comincia a chiedere a vicenda inutilmente chi
abbia cominciato ad essere così insopportabile, e perché, pur sentendo di amarlo
ancora, ti comport così, spesso non sopportandoti da sola.
Tornare
nella casa Dolce Casa che adesso sembra diventato il Rifugio dei Dannati diventa
sempre più pesante, perché c’è lui, e se c’è lui e ci sei tu sembra che la
parola ‘litigata’ lo attiri come le api col miele.
Ma non
è evidentemente l’unica cosa che lo attrae.
«Ron?»
chiami entrando nel Rifugio. La calma piatta del piano terra ti risponde. Da una
parte tiri un sospiro di sollievo, codardamente: non c’è. Poi ti riprendi, ti
senti praticamente disgustata da questo tuo modo di pensare. Devi assolutamente
risolvere la questione, tornare come prima.
Ti
togli le scarpe. Ti togli la giacca e posi la borsa. Poi sali al piano di sopra
per andare in bagno, e passi davanti alla camera da letto. La porta è chiusa,
un’altra cosa che non sopporti: perché cavolo vuole che le porte rimangano
chiuse?
Sospirando,
la apri velocemente.
Se
avessi saputo cosa – chi? – c’era dietro probabilmente non l’avresti
fatto. O sì. Non lo sai. Fattosta che l’hai fatto, hai visto il
tuo ragazzo coi capelli rossi avvinghiato a non sai e non vuoi sapere chi, un
qualcuno il cui uno particolare che riesci a notare sono dei capelli lisci,
lunghi e scompigliati. Quello che segue dopo è abbastanza
confuso.
Quello
che ti ricordi sei tu che prendi la tua roba; scendi le scale, apri la porta ed
esci dalla casa.
Cominci
a non vedere più i tuoi due amici. Senti che hai proprio bisogno di cambiare
aria per un po’ di tempo, non vuoi avere davanti ricordi che vuoi al contrario
lasciare al passato. Per un po’ di tempo, penso, giusto per adattarmi; quel po’
di tempo sono diventati cinque anni senza che neanche te ne
accorgessi.
E ora
sei nella cucina del tuo migliore amico, o ex migliore amico, ancora non lo sai,
della sua convivente e del loro bambino di tre anni. E non riesci neanche a
scappare, ci hai provato ma niente. Sarà il destino, ma hai la sensazione che
una folata di vento abbia aperto uno spiraglio di quella porta e ha sparso in
giro un po’ della tua vita passata, e ti è bastato girare un angolo per
sbatterci addosso, confondendo tutti gli elementi in un puzzle
incasinatissimo.
Occhei, lo so che mi era stato chiesto di allungare i capitoli; mi
dispiace, davvero, mi dispiace, ma faccio del mio meglio, ero partita con
l’intento di esaudire la richiesta, ma... .__. Chiedo umilmente perdono, mi
impegnerò di più nei prossimi!
Questa
cosa di come ho descritto lo ‘sfaldamento’ del trio+Ginny è un po’, strana, lo
so, ma è stata dettata dall’ispirazione... spero che non sia totalmente
incomprensibile.
Un
grazie enorme a tutti quelli che hanno commentato e commenteranno
^_^!
Lollo
|
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Capitolo 4 *** Capitolo Quarto ***
Girando
l’angolo
«Oddio, è
assurdissimo!».
«Eh...».
«No ma
seriamente!».
«Lo so...».
«Cioè, aspetta -- spiega da
capo!».
«Ancora?» Hermione roteò gli occhi esasperata. Susie spalancò gli occhi
azzurri guardandola con un’espressione imbronciata, il labbro inferiore sporto
ostentatamente all’infuori.
«Oh, ti prego,» bisbigliò
Hermione, sistemandosi meglio sulla sedia della pizzeria, «Te l’ho ripetuto un
miliardo di volte!».
Era da circa un’ora che stavano
sedute nel locale; era stata una giornata tranquilla e normale, fino a quando
dalla bocca di Hermione non era scivolata fuori quella maledetta frase,
contenente le parole “ieri”, “miglior amico” e
qualcosa come “completamente sconvolta”.
Effettivamente, sarebbe stata una
giornata tranquilla e normale fino a quel momento, se non fosse per quello che
era accaduto il giorno prima; il ricordo si conservava nella sua mente come
sfocato, così lontano da quella sua nuova vita. I nomi “Harry” e “Ginny”, in
quel contesto – lei, in pizzeria appena uscita dalle lezioni, con Susie –
sembravano così assurdi e fuori luogo che non riusciva proprio a concepire di
averli incontrati solo il giorno prima.
Ad ogni modo, Susie non aveva
nessuna intenzione di demordere.
«Ma scusa,».
«Sì».
«Non ho capito una
cosa...».
«Strano!» replicò Hermione,
pulendosi le labbra con il tovagliolo.
«Oh, sta’ zitta – dicevo, non ho
capito una cosa... uno: questo tuo amico di cui mi hai detto, si chiama Harry
Potter».
«Oh, oddio, ma davvero? Sono
assolutamente sconvolta! Tu – mi hai fatto vedere la
luce!».
Ci fu un attimo di silenzio, in
cui Susie sbattè le palpebre con aria vacua.
«Aspetta un attimo, aspetta – mi
stai prendendo in giro?» disse alla fine, minacciandola con la forchetta. Non le
lasciò tempo di replicare, perché ricominciò subito: «Intendo: questo tuo amico
è Harry Potter, quell’Harry Potter? Tu-sai-chi, morti ammazzati,
cicatrici eccetera?».
Hermione annuì
meccanicamente.
«Oh!» fece Susie, colpita.
Hermione diede un morso ad una fetta di pizza.
«Non mi avevi detto di essere
amica di Harry Potter! Cioè, essere stata. Credo. Nel senso, credo che tu lo sia
stata ma in effetti non ne ho idea, tu... pensi ancora di poter essere
considerata la sua migliore amica o cosa..?».
«Non lo so! Non ci capisco una
beata mazza, e parlarne con te non mi aiuta perché mi fai ancora più casino in
testa con queste domande!». Sospirò un attimo, massaggiandosi le tempie. «Okay,
scusa, scusa. Sono un po’ confusa, ed essere confusa mi fa sentire come se non
avessi nulla sotto controllo, e non aver nulla sotto controllo mi rende
irritabile» disse immediatamente, passandosi una mano sul
viso.
«Non te l’ho detto perché...
innanzitutto, come ben sai, quando me ne sono andata per la mia strada e ci
siamo incontrate... volevo dimenticare tutto quello che c’era stato prima. E
poi, Harry non l’ho mai considerato come Harry Potter, comunque – è solo
Harry».
Susie annuì, bevendo la sua bibita
dalla cannuccia senza staccarle gli occhi di dosso.
«E qual era l’altra cosa che non
avevi capito?» domandò Hermione con un sospiro.
Susie la squadrò un attimo; mise le mani sotto il mento, e le
lanciò un’occhiata penetrante.
«Mi chiedevo,» disse lentamente,
soppesando le parole. «Il tipo con cui stavi insieme
prima...».
Hermione si mosse a disagio sulla
sedia, ma annuì incitandola a continuare.
«E’ ancora loro amico,
no?».
«Sì... cioè... non ne abbiamo
parlato... direttamente.» chiarì, «Ma Ginny è sua sorella, e dal poco che
abbiamo detto, mi sembrava che fossero in contatto».
«Mh, ho capito,» sussurrò
abbassando lo sguardo.
Hermione ricominciò a mangiare la
sua pizza, con gli occhi piantati nel piatto, ma riusciva a vederla con la coda
dell’occhio mentre Susie la fissava
di soppiatto ogni tanto.
«Che hai?» chiese alla fine,
perplessa.
«Eh?».
«Mi fissi!».
«No, niente... pensavo a
te».
«Interessante».
«E alla tua situazione
sentimentale...».
«Susie...».
«E questo ragazzo
qua...».
«Smettila» la avvertì Hermione,
scoccandole un’occhiata di fuoco. L’altra si strinse nella spalle,
rassegnandosi.
*
Hermione si gettò sul divano,
esausta. Intorno a lei erano sparsi scatoloni su scatoloni, la maggior parte dei
quali completamente vuoti; si era data da fare per sistemare tutto con la magia,
mentre puliva la casa, ed ora era decisamente esausta.
Chiuse gli occhi, sospirando e
mettendosi le braccia dietro la nuca a mo’ di cuscino.
In quel momento di relax, non potè
fare a meno di ripensare a quello che le aveva detto Susie. Riguardo a lei. E
quel ragazzo qua. Era vero... anche se aveva cercato di nasconderlo a se
stessa, aveva subito pensato a loro due appena era arrivata a casa, la sera
precedente.
Scosse la testa, infastidita. Non
aveva imparato proprio niente? Doveva stare rimbecillendosi. Odiava quella sensazione... come se le cose le
stessero capitando tra capo e collo senza che lei se ne accorgesse, e non
riuscisse a tenerle sotto controllo. Cosa che non era vera, alla fine. Andava
tutto perfettamente: l’unico particolare che le risultava assurdo era che Harry
e Ginny erano spuntati dal nulla. Assieme e quello che voleva
dimenticare.
Sbuffò e si rialzò, ma non fece
neanche in tempo a muovere un passo che il campanello suonò; incuriosita si
avviò nell’ingresso ed aprì, ritrovandosi Harry davanti.
«Ehilà» la salutò con un mezzo
sorriso.
«Oh!» fece Hermione, decisamente
sorpresa «Ciao!».
«Hai dimenticato questo, ieri»
Harry tirò fuori dalla tasca un orecchino pendente, porgendoglielo; Hermione
istintivamente si portò una mano all’orecchio, e constatò che effettivamente
all’orecchio destro non aveva nulla.
Aveva sempre avuto la strana mania
di togliersi gli orecchini pendenti mentre era nervosa, per giocarci e
passarseli tra le dita: decisamente la sera prima lo era
stata.
Hermione ripescò l’orecchino e se
lo riallacciò al lobo.
«Hai bisogno di una mano?» chiese
Harry, accennando con un gesto alle scatole dietro di lei.
«Ah... ho quasi finito» ribatté.
Lui annuì abbassando lo sguardo e fece per voltarsi verso l’androne delle scale
del pianerottolo, quando Hermione lo richiamò.
«Ma un po’ di aiuto non fa mai
male!».
Harry si voltò
sorridendo.
*
«Hai troppi
libri».
«No, non è
vero».
«Sì, è così. Sempre stato
così».
«Bè, sappi che questa non è che
una minima parte dei libri che ho. Ci sono ancora degli scatoloni in
cucina».
«Hai decisamente troppi
libri».
Harry crollò sul letto della sua
stanza, completamente a soqquadro. Hermione sorrise con aria
divertita.
«Ti stai pentendo di avermi
chiesto di aiutarmi, eh?».
«Chi? Io?» disse, con un sorriso
fintamente angelico.
«So che è
così».
«Sei una so-tutto-io, è
normale».
«Dimmi qualcosa che no so,»
rispose, sedendosi accanto a lui.
Era felice in quel momento; si era
dimenticata quanto le mancasse Harry, i suoi modi di fare. In quel momento si
chiese come aveva fatto a fare a meno di un amico come lui in tutti quegli anni;
dopo questo pensiero nella sua mente se ne infilò subito un altro, quasi
prepotentemente. Hermione scosse la testa, per scacciarlo. Harry la fissò
incuriosito: «Che c’è?». Lei rispose con un gesto vago della mano, non volendo
parlare, perché aveva paura di quello che ne sarebbe potuto uscire. Ma mentre si
alzava dal letto per rimettersi al lavoro, la domanda le scivolò via tra le
labbra senza che lei neanche se ne accorgesse.
«Dov’è Ron
adesso?».
L’aveva appena pronunciato, e già
voleva mordersi la lingua e morire. La risposta di Harry non arrivò, quindi si
girò incuriosita; ma quando lui vide che lo stava guardando, si affrettò a
cancellare l’espressione stupida del suo volto e a
ribattere.
«Bè... in realtà, mi chiedevo
quando l’avresti chiesto, e se l’avresti fatto...» si grattò la punta del naso.
«Abita anche lui qui vicino, comunque. Ci vediamo, spesso – molto
spesso».
«Ho capito,» rispose con un filo
di voce, voltandosi di nuovo. Questo fatto la colpì più forte del lecito – il
fatto che abitasse lì vicino e si vedessero spesso – senza un motivo serio. Nel
frattempo altre mille domande si stavano facendo strada nella sua mente – ma
questa volta si guardò bene dal pronunciarle.
Ma Harry la conosceva anche troppo
bene, e continuava a lanciarle occhiate furtive, così si sentì in un qualche
modo costretta ad andare avanti, almeno in parte.
«E’... diventato un
Auror?».
Harry annuì «Lavoriamo insieme»
disse, e sorrise come al ricordo di qualcosa.
La guardò ancora per un attimo;
poi controllò l’ora.
«Meglio che vada, è tardi...
domani torno a darti una mano, okay?».
«Non ti preoccupare, in un’oretta
avrò già finito» rispose sorridendogli grata.
Lui ricambiò, prima di salutarla.
Ha
qualcuno?
Era
l’ultima occasione per chiederglielo. O lo faceva adesso, o non ce l’avrebbe
fatta più, lo sapeva.
Ron... ha
qualcuno?
Qualcuno che lo ama... che sta con lui anche con tutti i suoi
difetti idioti, che gli scaldi il cuore, che lo aspetti la sera a casa...
qualcuno!
Stava
diventando troppo sentimentale.
Salutò Harry con una mano dal balcone mentre lui percorreva il cortile
interno del condominio fino al portone.
Ritardo schifosamente imperdonabile, lo so! La scuola mi riempe di
cose da fare, e quando ho un momento di pausa sono sempre troppo stremata per
mettermi sotto a scrivere... perdonatemi! Ci metto tanto, ma scriverò,
giuro!
A chi se lo sta chiedendo dopo quattro capitoli, Ron arriverà tra
poco ^_-!
Un grazie enorme a tutti quelli che hanno
commentato!
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