Flashback di una vita

di clylar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aquiloni ***
Capitolo 2: *** Una birra fresca ***
Capitolo 3: *** Flashback 1 - Un gesto inconcludente ***
Capitolo 4: *** Flashback 2 - Ospiti indesiderati ***
Capitolo 5: *** Flashback 3 - Cose da perdere, cose da vincere ***
Capitolo 6: *** Flashback Peter - trasmissioni interessanti ***



Capitolo 1
*** Aquiloni ***


Titolo: FLASHBACK DI UNA VITA

Capitolo 1 – Aquiloni

Stava inginocchiato, sedere sui talloni, ginocchia che affondavano un po’ nell’erba, mani a lato del corpo e appoggiate a terra. Era lì da mezz’ora e continuava a fissare le due lastre di marmo che aveva davanti: identiche, legate da un filo di parentela e accomunate dallo stesso nome che le identificava. Ciò che le distingueva era la data sotto i nomi e il disegno di un aquilone che decorava la lapide più recente. 

Papà mi piacciono tanto gli aquiloni”

La data della lapide con il disegno era quella odierna, solo due anni più indietro.

“Già due anni”.

Continuava a chiedersi come avevano fatto a passare due anni . . .già due anni.

Naturalmente . . . se il primo lo passi da strafatto di ogni droga possibile ed immaginabile . . .

“Cazzo!”.

Quando era stato lì l’anno scorso per il primo anniversario. . .

“Cazzo, neanche me lo ricordo!”

Avevano dovuto portarcelo a forza perché lui non stava neanche in piedi, ma aveva perso il funerale l’anno prima e pur di andarci aveva fatto e detto tanto che, alla fine, avevano ceduto. Naturalmente per evitare che combinasse casini lo avevano drogato fin sopra i capelli, tanto era normale amministrazione per loro.

Continuava a fissare la lastra bianca: “Chi è quel deficiente che ha detto che il tempo guarisce ogni dolore? Di sicuro non ha perso un figlio!”

Poteva ancora vedere con gli occhi della mente il suo sorriso mentre giocava, cinque minuti prima che si scatenasse l’inferno.

 

“Papà, papà ho paura” le sue ultime parole.

Poi solo quel corpo a terra, inerme, ricoperto da pezzi di mobili frantumati, continuava a chiamarlo perché non poteva credere che non ci fosse più, era il suo bambino, ancora caldo, ancora roseo, aveva solo un rivolo di sangue che scendeva a lato della bocca. Ma quando l’aveva preso in braccio e aveva visto la manina cadere lungo il fianco si era reso conto: “Me l’hai ammazzato!”.

 

Oggi, come allora, sentì la rabbia fluire come fuoco liquido nelle vene, stava letteralmente ardendo; ma oggi non voleva cedere e combatteva con tutte le sue forze per imporre il controllo sul suo potere, però, con gli occhi chiusi e le mani affondate nel terreno, non si era accorto che nel crepuscolo di quella sera di fine estate ormai la sua pelle riluceva. Da lui si irradiavano ondate di calore sempre più forti, le immagini di un passato ancora troppo recente continuavano a scorrere nei suoi occhi.

 

Qualcosa in casa aveva cominciato a bruciare, qualcuno gli stava dicendo di fermarsi, di riprendere il controllo, ma come poteva, suo figlio era lì ai suoi piedi, morto. Vedeva di minuto in minuto precipitare la situazione: esplodevano i vetri, si incendiavano i frammenti di mobili attorno a lui, già avevano iniziato a bruciare anche i suoi vestiti. E poi quella voce:

“Fermati, fermati Gabriel”.

 La SUA voce.

“Tu non vuoi questo, altre persone soffriranno, vuoi uccidere altre persone innocenti?”

“No, no, non lo voglio, ma non si ferma, non riesco a fermarlo” avrebbe voluto dirle, ma il suo cervello era come bloccato. Poi sentì la puzza di bruciato, di carne bruciata e di capelli che andavano a fuoco e dopo ancora, due braccia lo circondarono:

“Sono qui, con te, non te lo lascerò fare, non ti permetterò di far del male perché so che neanche tu lo vuoi”.

Si sentì stringere ancora più forte e cercò di concentrare tutto su quella voce, su quelle braccia, su quella donna.

“Non lo farai Gabriel, lo sai controllare, ne sei capace, io lo so. Mi fido di te, io ho fiducia in te Gabe”.

 

Sylar respirò a fondo e aprì gli occhi, le lapidi erano ancora lì, la sua pelle era rosea e lui aveva mantenuto il controllo. Allentò la presa dei palmi e li liberò del terriccio che aveva involontariamente raccolto, ora piuttosto bruciacchiato. Si rimise in piede e con una mano sfiorò la lapide con l’aquilone: “Ciao, Noah”.

E se ne andò.

Camminava con gli occhi bassi, sommerso dai ricordi di due anni fa, per la verità da quel ricordo: il calore di quell’abbraccio, il suono della sua voce e la fiducia che lei aveva riposto in lui; quell’emozione riverberava ancora nel suo cervello e sapeva che era stata quella cosa a fermarlo, a salvarlo, in tutti i sensi.

All’improvviso, tra i ricordi passati avvertì un profumo, anch’esso che faceva parte del passato, ma presente lì, ora; alzò gli occhi e la vide, al fondo del vialetto che portava alle tombe: capelli raccolti, jeans e maglietta. Stava venendo verso di lui.

Che storie! Non si vedevano da due anni e ora . . .che tempismo!

“Ciao Claire, ti trovo bene”

Complimenti che originalità, ti sei proprio lambiccato il cervello per tirare fuori questa frase!

“Beh! Dalla tua performance di due minuti fa direi che invece tu stai da schifo, Sylar. Dovresti rimetterti in cura . . . se loro sapessero che perdi così facilmente il controllo . . .”

“Lo sanno, lo sanno, loro sanno sempre tutto”

Claire rispose con una smorfia: “Seh! Ciao”.

Ma lui allungò un braccio quando gli fu al fianco: “E’ bello che tu sia qui, l’anno scorso mi hanno detto che non c’eri”

Lei sottrasse il braccio al suo tocco in modo stizzoso: “Ah! Già, anche la tua performance dell’anno scorso era sensazionale, me l’ha detto Peter”.

“Claire, dobbiamo parlare” e tentò di nuovo di afferrarla per un braccio.

“Non mi toccare. Non ho niente da dirti e di sicuro non sono qui per te” e tentò di andare verso le tombe.

“Claire non ti ho più visto, sono due anni che cerco di parlarti”

Continuando a camminare lo interruppe: “ E hai solo perso tempo, te l’ho detto non ho niente da dirti”.

“Sono io quello che deve parlare” e l’afferrò per le spalle girandola verso di sé, stavolta, dalla ragazza, nessuna reazione.

“Mi dispiace Claire, per quello che è successo, per quello che ho fatto, perché lo so che è anche colpa mia, erano venuti per me, è stata colpa mia.

 Ma non l’avrei mai messo in pericolo.

 Gli volevo bene.

 Tu lo sai.

 Mi dispiace”.

“Hai finito? Ora stai meglio? Bene, buona giornata!” e riprese la sua direzione.

“Claire non fare così, Claire lo so cosa tenti di nascondere, sento cosa provi, sento la tristezza, la nostalgia, il vuoto che. . .”

“FINISCILA!”. Si voltò come una furia e lo spintonò indietro.

“FUORI DALLA MIA TESTA, fuori dalla mia vita! Io sto bene e di te e delle tue scuse non ne ho bisogno, non so che farmene”.

“Non puoi dire che stai bene Claire, non ti credo”

“La tristezza e la nostalgia cono cose di tutti i giorni Sylar, non mi fanno paura. E quella laggiù”, indicando la fila di tombe, “Non è la prima cosa a cui tengo che poi perdo nella mia vita”.

“La prima cosa?” Lui non poteva crederci.

“Claire , QUELLA non era una cosa, era Noah, era nostro figlio!”.

Claire strinse i denti, la mascella tesa disse: “Era un esperimento, solo un esperimento oltretutto riuscito anche male, se no laggiù ci sarebbe una tomba sola. E, Sylar, fammi un piacere, girami al largo! Ok?”. Si girò nuovamente e proseguì.

 

Quando lo aveva visto si era ripromessa che non gli avrebbe parlato, che lo avrebbe ignorato. In quegli ultimi due anni aveva fatto molta pratica: indifferenza e freddezza.

Erano il suo antidoto contro. . . alzò gli occhi e li puntò sulle lapidi: “Contro tutto quello che voi  avete portato nella mia vita”.

Suo padre, suo figlio, morti a distanza di pochi anni.

Quello che aveva detto a Sylar era vero, tristezza e nostalgia non le facevano più paura: si ha paura del sole? No, lo vedi sorgere tutti i giorni; hai paura del buio? No, se ogni notte ti fa compagnia.

E lei non aveva bisogno di visitare un cimitero e inginocchiarsi davanti ad una tomba  per sentirsi improvvisamente invadere da rabbia, odio, dolore, sofferenza, tristezza, nostalgia: tutti i giorni teneva dentro di se quei sentimenti, aveva imparato a conviverci, a sopportare.

Ce l’aveva fatta due anni fa, e ancora riusciva a farlo.

 

 

 

 

 

 

 Ciao a tutti ho in testa questa storia da un po’. Purtroppo non ho molta esperienza con le fanfiction per cui il mio modo di scrivere lascia molto a desiderare e inoltre la storia nella mia testa non è conclusa perciò potrà succedere che sul più bello perdo il filo e ciao ... Chiedo scusa fin da ora!

L’idea per questa storia mi è venuta riguardando il quarto episodio della terza stagione di heroes (se non si era capito!), però sono stata ispirata anche da alcune storie lette sul sito EPF, perciò se qualcuno si dovesse sentire offeso e defraudato dell’idea me lo dica subito che la finiamo qua!

I personaggi probabilmente sono molto più come io li vorrei che piuttosto come dovrebbero essere, ma siccome sono io a scrivere e voi a leggere in caso non piacessero, cambiate lettura! (Senza offesa). Il rating giallo è solo per qualche parola un po’ più carica.

Ciao al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Una birra fresca ***


 

Capitolo 2 – Una birra fresca

 

Sylar scese dalla moto lasciandola ordinatamente nel posteggio. Se si metteva a contare i chilometri fatti in giro, “a vanvera”, neanche ci riusciva. 
A volte un giorno è più complicato di un altro, ma quello passato era proprio stato uno schifo totale.

“Dio se ho sete, se ci fosse una birra, bella fresca.”

Arrivato davanti all’appartamento usò il suo mazzo di chiavi per entrare e si diresse in cucina. Dopo che il tormento dei ricordi passati si era a poco a poco smorzato aveva continuato a pensare a Claire, e ancora lo stava facendo: come l’aveva vista, come l’aveva “sentita”: “Sylar”, disse con una smorfia, “A quanto pare si è dimenticata il mio nome.”

E mentre chiudeva il frigo e apriva il tappo della tanto desiderata birra fresca, arrivò la botta, vicino all’osso occipitale e  lo spedì a sbattere contro l’anta di acciaio del frigo, spaccandogli il naso.

Poi più niente.

 

“Ma porca miseria, Gabriel”, Peter mollò di botto la mazza che aveva in  mano e cercò di mettere l’amico in posizione sdraiata.

“Peter, cosa succede?”

“Niente Emma, torna a dormire.”

Naturalmente Emma sentendo il trambusto era corsa in cucina:

“Ma è Gabriel, Peter ma cosa gli hai fatto? Mio Dio quanto sangue, è pallido, davvero tanto pallido, ma respira? 
Non sarà ...”

“Emma stai tranquilla, adesso si rimette.”

Sempre se non gli ho beccato il punto giusto

“Adesso lo tiro su, verso il divano.”

Cavolo se pesi amico!

“Ti aiuto” si offrì la ragazza.

“No, non fare sforzi, non va bene.”

“Dai Peter, lo so cosa posso fare”, e continuando a rimproverare il marito per quel che aveva fatto, lo aiutò a mettere il malcapitato sul divano.

E rimasero lì a guardarlo.

“Ghiaccio?” chiese Emma.

“Eh!, mi sa che ormai non gli servirà poi a molto. Ce la farà da solo... credo” e con due dita gli raddrizzò il naso rotto e storto.

 

Che cazzo! Ma quante birre mi sono fatto per avere un mal di testa del genere?

Aspetta un attimo, la birra non mi fa più effetto da un bel po’!

Aprì gli occhi e scoprì che anche la vista era andata, ci vedeva male, tipo come quando doveva usare gli occhiali: era tutto offuscato.
Tentò di alzarsi, ma una mano lo spinse giù.

“Sta fermo, tra un po’ ti passa, hai preso una bella botta!”

“Ho preso? Sono caduto?” Aveva riconosciuto la voce di Peter.

“Più o meno.”

“Cosa vuol dire più o meno?”

“E dai Gabriel. Sono le quattro del mattino, entri scassinando la porta d’ingresso! Cosa avrei dovuto fare? Potevi essere chiunque: un ladro, un maniaco. Ti ho atterrato con la mia mazza!” disse infine tutto gongolante.

Sylar riuscì a mettere a fuoco la mazza che gli veniva sventolata davanti: si andava un po’ meglio.

“Ho usato le chiavi, non ho scassinato.”

“Le chiavi? Quali chiavi?”

“Quelle dell’appartamento” e si tirò su a sedere.

“Giuda ... che male! Ce le ho le chiavi Peter, vivevo anch’io qui una volta, non ti ricordi? Hai preso una botta in testa anche tu?

“Ah Già, è vero, ma cosa saranno . . . quattro anni che non vieni più qui. E poi sono mesi che non ti fai più sentire!”

“Ma cosa centra? Avevi detto: Vieni quando vuoi, la porta è sempre aperta per te!” disse guardando il suo quasi fratello in faccia. E in quel momento si accorse di Emma, prima riusciva a vedere solo una figura indistinta, ora la vista gli era tornata quasi del tutto e vide che effettivamente i mesi trascorsi avevano, come dire, lasciato il segno.

“Ciao Emma, a quanto pare mi devo congratulare.”

Lei sorrise e lui si stupì, come sempre, delle emozioni positive che emanava tutte le volte che gli stava vicino: era il suo salvatore e lo sarebbe stato per sempre.

“Già”, si mise una mano sulla pancia “volevamo che lo sapessi ma non riuscivamo a rintracciarti.”

“Di quanti mesi sei?”

“Sei, e va tutto bene” e senza preavviso gli prese una mano e gliela appoggiò sulla pancia.

Sylar da prima si irrigidì, gli sembrava un gesto così poco adatto a uno come lui ma poi sentì il bambino scalciare, e gli mancò il fiato.

“E’ speciale, è come noi, ne sento già il potere” disse assorto.

“Visto Peter, ha riconosciuto subito il suo padrino!”

“Emma ...”

“E dai, con Claire non ha mai fatto così.”

Sylar guardò interrogativamente Peter.

“Io vorrei che fosse Claire la madrina, anche perché ci tiene TANTO anche lei” e caricò la frase guardando verso la moglie.

“E io, invece, voglio che sia tu il padrino” disse Emma di ricambio guardando con occhi pieni di speranza Gabriel “se non fosse per te, io non sarei neanche qui.”

“Senti non ti sentire costretto” iniziò Peter per alleggerire la richiesta “anch’io lo vorrei, ma so che non vuoi pressioni e”

“O.k.” fu la risposta e mise giù le gambe dal divano.

Padrino, io? Se sta bene a loro avere per padrino del proprio figlio un serial killer io non mi faccio problemi

Emma e Peter si scambiarono un’occhiata un po’ perplessa: era stato più facile del previsto.

Claire ci rimarrà male, ma le parlerà Emma, tra donne si intendo meglio.

E per Peter la questione era risolta.

Sylar tese la mano e si alzò aiutato dall’altro ragazzo, lo abbracciò e fece le congratulazioni a entrambi.

“O.k. avete già scelto il nome?

“Nathan se è maschio, Gabrielle se è femmina” disse Emma sempre con un dolce sorriso.

“Ottimo”, Sylar si guardò intorno “C’è niente da mangiare? Perché se no mi sa che mi tocca morire sul serio stavolta.”

 

Dopo mezz’ora stavano tutti e tre al tavolo in cucina: Peter e Gabriel con una buona tazza di caffè e Emma con una camomilla.

“Oggi sono andato al cimitero” disse di punto in bianco.

“Lo immaginavo, sono due anni giusto?”

“Si.”

“Mi dispiace Gabriel”, disse il ragazzo, Emma allungò semplicemente una mano e l’appoggiò sul suo braccio, ma tutto il calore che riuscì a trasmettergli valeva più di mille parole.

La guardò negli occhi: perché non si era innamorata di lui invece che di Peter? In fin dei conti era il suo salvatore, sarebbe potuto andare benissimo così e, magari, lui si sarebbe potuto innamorare di lei, era la “damigella”, quella in pericolo ed indifesa, quella da salvare.

Di colpo gli tornò in mente l’immagine di Claire come l’aveva vista in cimitero.

Strinse la mano di Emma, disse “Grazie, sto bene” a Peter, poi:

“Ho visto Claire, era lì.”

Peter si irrigidì subito: “Strano aveva detto che non ci sarebbe andata, mi ero offerto di accompagnarla” e prese la sua tazza e la portò al lavello.

“Ha bisogno di aiuto Peter” continuò.

“Non mi pare proprio, abbiamo cenato insieme la settimana scorsa, stava bene” e mentre continuava a lavare la tazza guardò la moglie come per cercare conferma. Emma abbassò gli occhi.

“Sta cedendo Peter, è tirata come una corda di violino, ha bisogno di aiuto.”

Sbattendo la tazza sul lavello il ragazzo si voltò:

“Non del tuo!” disse alzando la voce.

“Peter io sento cosa prova, so cosa prova” e prese in mano la tazza che aveva davanti solo per tenere fra le mani qualcosa. “Voglio aiutarla.”

“No”

“Posso farlo Peter”

“No”

“Lo sai che posso farlo”

“Ho detto di no!”

Sylar sorrise e strinse la tazza.

“Dillo, avanti Peter, dillo.” Emma si alzò e andò verso il marito “Ti sta solo provocando, non dargli retta”

“Dai Peter, lo sento cosa provi, sei deluso, sei arrabbiato, dai dimmelo, avanti, dimmi il perché non vuoi  che l’aiuti”

Peter trattenne il fiato, contò fino a cinque e poi urlò:

“Perché, cazzo, è colpa tua! Perché hai rovinato tutto” e si avvicinò a Sylar mentre Emma tentava di fermarlo.

“E’ colpa tua se tutto è andato a puttane, le hai tolto l’unica cosa che contava davvero per lei, l’hai spazzata via  e non le hai neanche lasciato dei resti su cui piangere. Quella tomba è vuota lo sai vero Sylar! E adesso che ti rode la coscienza vuoi fare il buon samaritano, adesso che lei si è trovata un suo modo di sopravvivere, vuoi di nuovo mandare tutto per aria per aiutarla?”

Peter era quasi senza fiato.

Me lo ha urlato in faccia, finalmente!

In fin dei conti se gli era rimasto lontano dopo quel che era successo c’era un motivo. Eppure, se già sapeva, perché sentirselo dire faceva così male?

“Smettetela di fare gli idioti. Stiamo parlando di cose serie” disse Emma “Peter urlare a squarcia gola non gli farà più male di quello che le tue parole gli hanno già fatto.”

Peter guardò la moglie: era arrabbiata. Quello stronzo di Sylar riusciva sempre a tirare fuori il peggio di lui.

Si sedette sulla sedia.

“Se vuoi dirmi che ti scusi, che non le pensavi davvero le cose che hai detto, lascia perdere. Mi faresti solo incazzare di più”, finalmente era riuscito a lasciare la presa sulla tazza.

“Claire non sta bene”, disse Emma tenendo le mani sulle spalle del marito.

“Perché tu?”, chiese lui stavolta con voce rassegnata. “E non dirmi perché sei empatico perché ti spacco la faccia con queste mani, Gabriel Gray.”

Gabriel guardò Peter negli occhi: quell’uomo che era stato un suo nemico, che aveva creduto un fratello e che ora era il suo unico amico; quell’uomo che lo odiava eppure lo amava come un fratello al tempo stesso. Poteva raccontargli tutto?.

“Perché è mancato tanto così" e strinse indice e pollice quasi  a toccarsi, “tanto così”, ripeté con rabbia stringendo i denti, “che io e Claire ci mettessimo insieme e se credi che fosse perché c’era Noah ti sbagli di grosso: c’era qualcosa tra di noi ed era serio.”

Come faccio a parlare del passato se fa male solo pensarci.

Lui, uno sfigato, uno psicopatico, un serial killer senza possibilità di redenzione, aveva creduto di trovare il suo piccolo pezzo di paradiso qui, sulla terra, con il suo bambino e la sua mamma: ci aveva sperato, ci aveva creduto.

E ho perso tutto.

Ecco il secondo capitolo, volevo solo precisare una cosa: Emma ci sente e parla senza problemi, consideratelo un regalino di nozze di Sylar!

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Capitolo 3
*** Flashback 1 - Un gesto inconcludente ***


Flashback 1 - Un gesto inconcludente


Chiuse gli occhi e pensò a quando tutto era cominciato: la colpa? Chiaro che la colpa era di una ragazzina che si credeva sola al mondo e che da quel mondo era spaventata a morte; così aveva fatto il gesto più idiota ed inconcludente che si potesse pensare: un salto mortale dalla sommità di una ruota panoramica.

Da quel gesto il mondo era cambiato: isteria di massa.

Persone con Poteri (venivano etichettati così ora, o meglio PCP) che si autodichiaravano come funghi solo per emulare la loro eroina che per prima lo aveva fatto, persone che erano terrorizzate dai PCP e persone che ne erano ammaliate.
Cominciarono a nascere i "gruppi di aiuto ai PCP" o, dall'altra parte, i gruppi di "PCP non ti vogliamo qui!".
Insomma, anche se loro rappresentavano solo una minima percentuale di tutto il genere umano erano riusciti, in qualche modo, a creare non solo divisioni attriti e conflitti a livello familiare o cittadino, ma anche a livello nazionale ed intercontinentale.

In tutto questo, coloro che erano stati i primi protagonisti se ne erano tenuti alla larga: non credevano a chi vedeva in loro "un passo avanti dell'umanità" e avevano timore di coloro che li tacciavano come Diversi.
Gabriel e Peter avevano continuato la loro vita nell'anonimato: il primo faceva l'orologiaio e il secondo il paramedico, condividevano l'appartamento e qualche volta anche i timori e le poche speranze da riporre nel futuro.

Nonostante la posizione di Peter, fratello di un ex candidato alla presidenza, lo portasse a rivalutare o a riconsiderare il suo ruolo in tutta questa storia, l'apprensione per le persone care che potevano finire schiacciate in questa confusione di idee era più grande. A quell'epoca, infatti, aveva cominciato a vedersi con Emma in modo più serio e non aveva nessuna intenzione di buttarla in pasto ai pescecani.

Gabriel dal canto suo aveva già scelto una vita anonima da quando aveva rinunciato ai suoi poteri: non che non li usasse più ... qualcuno era molto comodo in tempi di crisi, ma a lui piaceva una vita silenziosa, taciturna, senza scossoni che gli infondeva quel senso di serenità che cercava da tempo.
E poi cosa ci avrebbe guadagnato a manifestarsi?
Chi lo aveva fatto non aveva ottenuto proprio niente, anzi, il più delle volte aveva perso tutto: libertà, famiglia, salute e in alcuni casi anche se stesso.

Questo era toccato a quella insulsa ragazzina: prelevata dal circo quella notte stessa da un gruppo di "non meglio precisati" Agenti, che intendevano chiedere solo spiegazioni e chiarimenti circa l'accaduto e che in tempi brevi ma "non meglio precisati" l'avrebbero lasciata andare.
Di lei più nessuna traccia: non una chiamata, nessuna e-mail, nessuna lettera, niente di niente.
Era stato Peter a dirglielo perchè era rimasto in contatto con Noah Bennet.

A Gabriel non importava.
Lei aveva fatto la sua scelta: sbagliata. Ma ogni volta che Gabriel ne aveva fatta una di sbagliata aveva pagato con gli interessi rischiando quasi di perdersi.
Aveva pagato e ora era convinto di avere più chiaro in che direzione mandare la sua vita.

Probabilmente per Claire avrebbe funzionato allo stesso modo. E poi non erano fatti suoi di dove fosse finita, per quello c'erano Peter e Noah ad occuparsene.
Viveva la sua vita, piatta ma serena nonostante la bufera che si scatenava per il mondo, fino alla sera in cui, otto mesi dopo il famoso salto dalla ruota panoramica, Noah Bennet si presentò al loro appartamento.




O.k.: a volte ritornano! Mi dispiace! Problemi con il pc e con il mio tempo!
Chiedo scusa e se qualcuno ancora si ricorda la storia e non si è offeso per l'interruzione infinita può riconìminciare a leggere. Metterò in velocità tre capitoli e poi  . . . chissà. Speriamo bene!
Da qui in poi è  quasi tutto un grosso Flashback ecco svelato il perchè del titolo.

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Capitolo 4
*** Flashback 2 - Ospiti indesiderati ***


Flashback 2 - Ospiti indesiderati

Fu Gabriel ad aprire la porta e si stupì dell'uomo che si trovò davanti: sembrava invecchiato di quindici anni nel giro di pochi mesi.
Ma non voleva avere niente a che fare con quel figlio di puttana che gli aveva incasinato la vita per cui chiamò Peter e li lasciò da soli.

Dopo venti minuti Peter lo richiamò dalla cucina.
Quando entrò si stupì di trovare Noah ancora lì.
Guardò entrambi alzando un sopracciglio come a chiedere: cosa volete?

A parlare fu solo Noah:
"Ho bisogno di aiuto, devo tirarla fuori di lì".
Gabriel fu colpito anche dalla voce dell'uomo: fiacca, fragile come se gli costasse fatica parlare.
Poi Peter spiegò la situazione.

Claire, come tanti altri PCP, era tenuta in CENTRI DI CONTROLLO che venivano spacciati al resto del mondo per strutture confortevoli, dove i PCP venivano "monitorati" per un pò di tempo e poi lasciati andare.

In realtà erano LABORATORI-STUDIO dove venivano condotti esperimenti per analizzare, sfruttare e magari imbrigliare i poteri dei PCP.
Naturalmente da queste strutture, a scadenza stabilita, partiva l'avviso della "dimissione" degli ospiti; peccato che mai nessuno era stato visto uscire fisicamente dalla strutture, che erano isolate dal resto del mondo da barriere fisiche elettroniche e, da fonti sicure, anche magnetiche ed elettriche.

Per di più Claire era tenuta in un Laboratorio di massima sicurezza e per individuarlo e sfruttare un contatto all'interno Noah ci aveva impiegato un sacco di tempo.
Solo negli ultimi due mesi era riuscito ad ottenere qualche documentazione.
Ma da due settimane il suo contattto gli aveva riferito che avevano spostato Claire in una sezione più isolata e non c'era modo di avere notizie ulteriori.

"Prima di essere spostata la mia fonte ha detto che giravano voci sul fatto che Claire era crollata, depressa, che pareva avesse tentato più volte di ...suicidarsi" quasi sussurrò quella parola, "senza risultato, naturalmente, ma se è così allora noi...."

"Non mi imteressa", disse Gabriel che era rimasto in piedi ad ascoltare tutta la bella storiella ma non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere: ognuono aveva i suoi problemi, ognuno se li doveva risolvere.

"Siediti e guarda le foto".
Gabriel guardò Peter, sapeva cosa avrebbe dovuto dirgli come risposta: "Vaffanculo!" voltarsi e tornarsene in camera.
Ma aveva già commesso l'errore che lo avrebbe incastrato: anche se per poco aveva guardato entrambi e qualcosa nella loro espressione lo bloccò.
Tentò appena di sondarli e sentì rabbia e paura da Peter, da Noah solo disperazione.

E si sedette.

E guardò le foto.

Erano sicuramente fatte di nascosto, sgranate, fatte da angolature strane, ma erano ugualmente chiarissime. Ce ne erano un bel pò:
  • nella prima foto si vedeva Claire che camminava lungo un corridoio, usava un paio di stampelle perchè la gamba sinistra era stata mozzata da metà coscia;
  • nella seconda Claire aveva di nuovo tutte e due le gambe ma una benda sull'occhio destro e la parte destra del cranio completamente rasata e camminava di nuovo lungo un corridoio;
  • nella terza probabilmente era in una specie di mensa, mangiava con la mano sinistra perchè il braccio destro era stato mozzato dalla spalla; 
  • nella quarta era messa di spalle, indossava un paio di pantaloni corti e aveva tutta una serie di fasciature sulle gambe, tipo da ustionati.
Sylar smise di guardare le foto.

Quella sera iniziarono a mettere in moto un meccanismo che dopo tre anni e mezzo avrebbe portato alla liberazione di Claire Bennet.

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Capitolo 5
*** Flashback 3 - Cose da perdere, cose da vincere ***



Cominciarono con l'attirare l'attenzione della gente sulle fatidiche strutture e sul fatto che mai nessuno usciva, o mai nessun poteva avere contatti con le persone all'interno.
Fecero serpeggiare le voci di esperimenti, di torture, di sevizie.
Non presero mai di mira la struttura dove Claire era rinchiusa, solo per paura che la spostasssero e ne perdessero le tracce.

La risposta della gente fu dapprima incerta, a volte incredula e indifferente poi, man mano che le voci filtravano, l'animo indignato si riscaldò fino a avere e proprie mobilitazioni con manifestazioni, nelle quali si chiedeva che il governo prendesse posizione e chiarisse, definitivamente, cosa erano effetivamente queste strutture.

Ad un certo punto, l'ultima cosa che i tre fecero insieme, fu riportare l'attenzione su quella ragazzina che un anno e mezzo fa era stata presa in custodia mentre era in un circo e poi di lei non si era più saputo niente.

Organizzarono un evento: Noah Bennet partecipò di persona ad un talk show molto famoso, parlò di Claire, del magnifico dono che era stata per lui e per sua moglie, delle difficoltà di Claire quando aveva scoperto di essere diversa, dell'impossibilità di creare dei veri legami con le persone.
Raccontò, chiedendole scusa in diretta, di tutte le volte che l'aveva tradita, le aveva mentito o le aveva nascosto la verità, alla fine mentre implorava il suo perdono e confessava di nuovo tutto il suo amore di padre, fece il suo appello disperato affinchè lei e tutte le persone nella sua stessa situazione fossero rilasciate o ci fosse almeno la possibillità di mettersi in contatto con loro.

Fu una puntata con uno share incredibile, sembrava che tutti si fossero fermati davanti alla televisione a seguire il racconto di questo padre disperato. Naturalmente, anche la conduttrice aveva dato prova della sua bravura continuando a ricordare per tutta la puntata, in modo esplicito o cortesemente velato, che il Sig. Bennet era un uomo ormai con un piede nella fossa!

Ma lo scopo era stato ottenuto.

Improvvisamente Claire divenne la persona da liberare, la martire che tutti avevano dimenticato e che ora tutti volevano salvare.
La gente spingeva per la sua liberazione, ma il governo non prendeva posizione. Il tempo passava ma la situazione non mutava.

E Noah Bennet tornò all'appartamento dei due ragazzi.
Erano passati due anni e mezzo dalla prima visita e lui era peggiorato ancora.
Era malato, cancro, aveva già effettuato diversi cicli di chemio, senza risultati se non di indebolirlo ulteriormente.
Il padre di Claire era preoccupato: la faccenda era "bloccata", tutto era in stallo.
Anche se la gente chiedeva a gran voce, il governo non rispondeva, e lui non poteva permettersi di perdere tempo.

"Quelli del Governo non si muovono perchè non hanno niente da perdere.
 In fin dei conti, quelli che dirigono le strutture gli stanno facendo un favore: fanno il lavoro sporco e, a tempo debito, il Governo bloccherà tutto e terrà per se tutti i frutti senza sporcarsi le mani.
Non hanno niente da perdere e non si muoveranno mai". Questo fu ciò che disse ai due ragazzi.
 
Peter non aveva saputo ribattere: Noah aveva ragione, le cose potevano andare per le lunghe e loro non avevano voce in capitolo.
Stavolta doverlo salutare senza potergli dare un aiuto concreto per Peter fu una vera sofferenza. Forse per Claire non era stato il migliore dei padri, ma la stava pagando davvero cara.

A Gabriel non fregava tanto di Noah Bennet, prima o poi ti tocca fare i conti, che sia presto o tardi, tocca a tutti.
Quello che non riusciva a togliersi dalla testa erano le foto di Claire.
Erano finite sul suo comodino, chissà poi come, e tutte le sere o quasi, finiva per buttargli gli occhi addosso.
Ogni sera si ripetava: "Domani le butto via, un buon utilizzo della telecinesi e finiscono direttamente nel cestino."
E, invece anche quella sera si ritrovò a guardarle, a studiare Claire, le sue espressioni, le sue posture. E pensava alle parole di Noah.
"Non hanno niente da perdere .... niente da perdere ..."
Buttò le foto sul comodino e si sdraiò, le mani allacciate sopra la testa:
"Bisognerebbe dar loro qualcosa da vincere".
Poi si girò e si mise a dormire.

Sei mesi dopo il padre di Claire morì, senza rivedere la sua amata figlia libera.
Ma lui ormai non ci contava più, quella speranza era morta e sepolta da tempo ormai; tutta la sua serenità nell'affrontare gli ultimi istanti di vita stava in una e-mail che teneva tra le mani e che Peter gli aveva girato una settimana prima.
Era la dichiarzione del Presidente degli Stati Uniti  d'America, resa valida anche da  molti altri Stati del mondo, nella quale tutti i Centri di Controllo venivano dichiarati ILLEGALI, ANTICOSTITUZIONALI E CONTRO OGNI DIRITTO UMANO e perciò ne veniva imposto il possesso da parte delle autorità federali con conseguente chiusura di ogni attività e  rilascio di tutti gli ospiti al loro interno.

Altri sei mesi e, dopo una detenzione durata più di quattro anni, Claire fu liberata.

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Capitolo 6
*** Flashback Peter - trasmissioni interessanti ***


CAPITOLO 6

Flashback Peter - Trasmissioni interessanti

Peter gli diede una botta sul gomito con il suo.
"Oh! Dormi?".
Gabriel aprì gli occhi, era ancora seduto a tavola, Peter ed Emma di fronte che lo guardavano. La tazza con il caffè ancora tra le mani, ora tiepida.
Poi Peter si mosse sulla sedia.
"Senti, io c'ero quando è uscita da quell'incubo, c'ero quando vi siete accordati e me lo ricordo bene!
Tu stai esagerando sulla storia del "mettersi insieme"
Forse le cose tra voi due erano migliorate ma . . . "

E fu Peter stavolta a ricordare.


Lui e Gabriel erano seduti sul divano, davanti alla tv a guardare lo show mediatico del momento. Era stato lui ad autoinvitarsi: l'appartamento di Gabriel era piccolo ma funzionale e posto giusto sopra il negozio, viveva lì da quasi un anno.
Peter sapeva che se lo avesse invitato a casa sua a vedere quell'importante trasmissione, avrebbe tirato un bel bidone e il fatto che ora viveva con Emma non centrava niente; LUI ERA UN ORSO, era fatto così.
Ma doveva costringerlo a vederla, in fin dei conti era merito suo se finalmente . . .
"Che palle sono quaranta cinque minuti che continuano a filmare cancelli chiusi, porte sprangate e quel corridoio scuro."
Gabriel si alzò e andò in cucina.
"Vuoi una birra?"
"Si grazie"
"Emma sta bene?"
"Si, tutto ok, mi ha detto di salutarti, ti aspetta a cena, quando puoi."
"Si, si, una di queste sere" disse chiudendo il frigo "Ma tra voi va bene? La convivenza intendo".
"Beh sono ormai un bel po' di mesi che vive da me, te l'avrei anche detto se non funzionava giusto?!"
Prese la birra che Gabriel gli offriva mentre lo guardava sedersi sul divano con un bicchiere di succo.
Poi furono entrambi catturati dallo speaker: annunciava in esclusiva, il rilascio di tutti gli ospiti della struttura INIX129, ovvero il rilascio di Claire Bennet.
"Secondo te riusciranno a filmare davvero qualcosa?"
"Secondo me un dispiego così di mezzi vuol dire solo una cosa: hanno superato il problema della quarantena e sanno che faranno un servizio con i fiocchi."
Gli ospiti delle strutture,
infattti, erano  stati dichiarati potenzialmente pericolosi, perchè ancora sotto l'influsso delle organizzazioni che li avevano imprigionati. Per questo motivo, la liberazione non era altro che l'uscita dalla struttura  in un tunnel vetrato e protetto, per poi entrare in un'altra struttura mobile. Da lì avrebbero raggiunto il luogo dove trascorre la quarantena, e solo allora, finalmente, sarebbero stati liberi di vivere di nuovo una vita vera.
Tenendo il bicchiere di succo in mano Gabriel cambiò la sua versione: "Vedremo solo un corridoio pieno di gente, non vedremo niente di quello che ci aspettiamo" .
Senza saperlo stavolta ci avrebbe preso in pieno.
"Volevo essere lì, con lei" disse Peter, "ma non me l'hanno permesso".
Nello spostarsi da una struttura all'altra, infatti, gli ospiti avevano la possibilità di vedere un solo parente: tra vetri e filtri ma sempre meglio che l'isolamento a cui erano stati sottoposti fino ad allora.
"Sandra" disse Gabriel.
"Già"
Ma presto sarebbe stata fuori e a Peter batteva forte il cuore, non vedeva l'ora di rivederla, di abbracciarla, di dirle che adesso le cose sarebbero andate meglio, che lui le avrebbe sistemate per lei, che gli dispiaceva per suo padre.
"Chissà se sa di Noah" disse ad alta voce.
Ma Gabriel non rispose era intento a guardare: nel corridoio inquadrato si vedevano sfilare in modo ordinato uomini, donne, vecchi, giovani, persone che erano state rinchiuse, segregate e a volte maltrattate, separate dagli affetti  e dal mondo solo perchè diversi: tutto così assurdo!
E poi Peter la vide: "Eccola lì" richiamando l'attenzione anche di Gabriel.
La telecamera la inquadrò  in modo più preciso: capelli biondi, lunghi e diritti, occhi celesti, incarnato color del miele, camminava lungo il corridoio.
"E' sempre uguale" disse Peter con la gola stretta dall'emozione e il cuore fuori giri.
Poi Claire scomparve
, probabilmente si era chinata o fermata all'improvviso e tra la folla si era persa l'immagine di lei. Ora la telecamera continuava a muoversi per cercarla.
Qualche minuto dopo Claire era di nuovo sullo schermo, un po' più avanti sul corridoio, e stavolta con un bimbo in braccio.
Quando non l'aveva più vista a Peter per un attimo era mancato il fiato, aveva pensato chissà cosa!
"E' sempre uguale, sempre che vuole aiutare tutti" la voce, ora, aveva un tono orgoglioso "scommetto che quel bimbo nella confusione ha perso . . "
Poi il bimbo girò la testa e guardò, inconsapevole, diritto verso l'obiettivo, allo stesso tempo Gabriel schizzò in piedi,  Peter vide chiaramente il succo di frutta schizzare sul pavimento.
"Porca puttana", Gabriel aveva la voce così strozzata che quasi non si sentiva.
"Cosa c'è? Gabriel? Ehi!"
Gabriel si stava allontanando dal televisore, a cui prima si era avvicinato senza volerlo, poi le sue gambe trovarono il divano e si ritrovò di botto seduto senza neanche sapere come, con più succo sui pantaloni che nel bicchiere.
Peter non capiva cosa gli stava succedendo, non riusciva a . . .
"Sono io, quello lì sono io, si . . . a 3 anni, sono io"
"Gabriel non dire stronzate!"
"Sono io!, Cioè mi assomiglia, come tiene la testa, come stringe gli occhi, la bocca . . . Ho un vecchio video, io e mia mamma e sono così!" e indicò ancora
con la mano il bambino inquadrato, "Sono come quello lì".
"Ma sei fuori?! Non sei tu Gabriel! Ma guardalo e dai! I capelli? La bocca? Ma hai visto gli occhi? Sono azzurri! Tu ce li hai scuri, quelli sono azzurri, sembrano più quelli di Claire che i tuoi" concluse ridendo.
"Porca puttana", di nuovo quelle due parole.
Gabriel si è impiantato su quelle due parole, pensò e poi si rese conto:
"Volevo dire che assomigliano di più agli occhi di Claire".
"Tanto di più".
"Cioè".
"Sono quasi uguali" .
Ora le parole gli uscivano più lente e gli occhi non si staccavono da quelli del bambino.
"Anche tu la pensi così, ci assomigliano parecchio" e improvvisamente il bambino accostò la faccia al viso di Claire e la somiglianza fu chiara ad entrambi.
Gabriel saltò di nuovo su dal divano e stavolta il bicchiere che era qusi abbandonato nella sua mano rotolò per terra perdendo quel poco di succo che c'era rimasto dentro.
"E' mio", non riuscì a dire altro, le parole incastrate, proprio come il suo stesso respiro.
Peter continuava a far passare lo sguardo dallo schermo all'amico: schermo-amico, amico-schermo.
Il cervello girava, girava, girava e si bloccava sempre allo stesso punto: occhi uguali e viso diverso, occhi uguali e viso diverso.
"E' mio figlio!", finalmente Gabriel era riuscito a dirlo, gli tremavano le mani, la voce e anche le gambe.
"Mio figlio",
la voce aveva acquistato più sicurezza.
"Mio e di Claire, non so come, non ho idea, ma è così!"
Peter era completamente scioccato, c'era arrivato anche lui a quella conclusione ma, come poteva essere?
Come fisicamente poteva essere successo?
Gabriel e Claire non si era incrociati prima che fosse portata via, oppure. . .
Guardò l'amico che teneva le mani sulla testa e tenteva di respirare normalmente:
"Sei spaventato e sorpreso quanto me, quindi tu e Claire non . . "
Gabriel tenne le mani in testa ma lo guardò storto:
"Non vedo Claire da quella sera al circo"
"Ho un sacco di poteri ma mettere incinta con un bacio, quello ancora non ce l'ho!"
La televisone aveva cambiato soggetto e ora le persone continuavano a sfilare davanti ai loro occhi, altre persone, altre storie, altre vite.
Peter faceva andare il cervello a tutto gas: Claire, figlio, Gabriel, bacio, Bacio? Bacio!?
Sempre con le mani in testa lo guardò di nuovo storto: "Non farti strane idee, il bacio l'ho dato per tutto un altro motivo." E poi tirò un forte respiro, fece scendere le mani e se le mise ai fianchi.
"Non-so-come-sia-successo! Non ne ho la minima idea, ma quello" e puntò il dito sullo schermo con il fotogramma del bimbo e Claire, "è mio figlio!"
Peter lo vide girarsi e puntargli gli occhi addosso, lo sguardo a metà tra la supplica e la minaccia, con una punta di terrore sommerso:
"Tu mi devi aiutare!".






Beh! A volte ritornano. Non credo sia rimasto nessuno  a leggere questa storia ma . . .
Scusate è un ritardo imperdonabile, e vi dò anche un consiglio: è meglio che non leggiate perchè non so se andrò mai avanti.
Pazienza, sono così.

Siete avvisati. Fate la vostra scelta.

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