Ancora di salvezza di Scaramouch_e (/viewuser.php?uid=2646)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capito IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Ancora di Salvezza; Prologo
Disclaimer: io non
scrivo a scopo di
lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta
Charme
per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!
Ancora di salvezza
“Allora John. Come si sente oggi?”
La voce proveniva da una signora
vestita in modo piuttosto consono alla sua professione: era una
psichiatra. Aveva in mano un taccuino e nell’altra una penna.
Fissava il suo paziente con occhi neri e profondi.
John Watson era steso sul lettino, indossava abiti comodi e fissava la parete di fronte come se fosse interessantissima.
“Come vuole che mi
senta?” domandò ironicamente, “Ah, lasci perdere. Mi
sento… ecco... vuoto: insomma, sono un uomo di quasi
quarant’anni, senza una posizione, con un passato da buttar
via… mi dica lei.”
La donna sorrise accondiscendente,
rispondendo: “Però deve fare un sacco di cose questa
settimana, signor Watson: ha trovato un lavoro, è riuscito a
trovare una casa e un coinquilino.”
“È questo quello che
mi spaventa, miss Smith. Il coinquilino. So che è un
tipo giovane, ma se mi trovo con un ventenne in piena crisi ormonale? E
poi il lavoro. Insomma, anche quello non mi entusiasma. Insegnare.
È vero, non sono stato mai un tipo di troppe pretese,
però proprio l’insegnamento… No, non ci voglio
pensare. Io non voglio insegnare a un branco di stupidi ventenni che
non mi staranno mai ad ascoltare.” sbottò l’uomo,
fissando la Smith, che sospirò.
“Signor Watson, so che ha perso la famiglia, però non si lasci scoraggiare.”
“Non faccia psicologia da quattro soldi, signorina Smith, e mi dia quelle pillole per favore.”
La donna lo guardò con
dolore. “Si sta consumando Mr.Watson, voglio che lo
sappia.” scrisse il nome dei farmaci sul taccuino, e
strappò la pagina consegnandola a John Watson che la prese e
sorrise, finalmente contento.
“Grazie miss Smith, lei è la mia ancora di salvezza.” mormorò l’uomo.
Quando John Watson entrò
nella sua aula all’università di criminologia capì
di essere all’inferno.
Capì che nessuno l’avrebbe ascoltato.
Capì che tutti stavano lì solo per far trascorrere il tempo in un giorno di pioggia con i propri coetanei.
Questo gettò John Watson ancor di più in depressione.
Il nuovo professore sospirò, raggiungendo la cattedra e salì sulla sedia.
Alzò gli occhi e di nuovo furono investiti dallo ciarpame post-adolescenziale.
C’era chi si era svegliato
con un sbronza e quindi dormiva, chi stava chiacchierando animatamente
con le compagne, chi si truccava, chi giocava con il cellulare.
Solo un ragazzo, registrò la
mente di Watson, non faceva niente di tutto quello, ma nel banco
davanti a sé tutto era in perfetto ordine: il libro,
l’astuccio, e il cellulare posti davanti a sé in modo
ordinato quasi maniacale.
Il ragazzo aveva folti capelli
neri, pelle pallidissima e sedeva al primo banco. Ecco perché
non fu difficile per Watson notarlo.
Aveva però gli occhi chiusi
e questo mise John a perfetto disagio, forse molto più dei
ragazzi che dormivano sui banchi.
Si schiarì la gola, osservando ancora i ragazzi, doveva agire, fare qualcosa.
“Solo una cosa potrà
salvarla, professore Watson.” a parlare era stato il ragazzo con
gli occhi chiusi, che adesso però aveva aperto e che
risplendevano. Erano verdi, ma di un verde strano. Sembravano dei pozzi
d’acqua gelida.
“Cosa… Come?”
domandò il professore, non riuscendo a capire come l’altro
potesse aver compreso quello che pensava e soprattutto come conoscesse
il suo nome.
“Come ho capito quello che
pensava? Semplice, si guardava intorno con aria da cucciolo smarrito,
anche il più stupido avrebbe compreso che cercava un modo per
essere salvato. Come ho fatto a sapere il suo nome? Anche questo
è stato semplicissimo. Mi è basto vedere
all’interno del suo taschino, e ho visto che aveva impresso il
suo cognome. E visto che è seduto alla cattedra ho fatto due
più due e ho subito compreso che lei era il nuovo professore di
medicina legale. Semplice, no?” il ragazzo non aveva emesso una
pausa da quando aveva iniziato a parlare e il nuovo, recalcitrante
professore per poco non si era perso.
“Capisco.”
“Sono contento di
incontrarla, sa professore? Potrei benissimo essere quella ancora di
salvezza che cercava. Anche perché li ho fatti smettere.”
disse.
E il professore, dopo un attimo di
paura per come il suo alunno sapesse le parole che aveva pronunciato
solo alla dottoressa Smith, si guardò intorno, e notò che
effettivamente il ragazzo aveva ragione.
Evidentemente doveva avere grande
peso nella società studentesca. Perché chi stava dormendo
aveva smesso e i propri occhi si erano fatti attenti, chi cinguettava
aveva interrotto e stava guardando l’alunno, chi si stava
truccando aveva concluso, e persino chi stava giocando con il cellulare
l’aveva deposto e stavano tutti guardando l’alunno seduto
al primo banco.
“La ringrazio.,
signor…” il professor Watson parlò con cortesia,
anche se avrebbe voluto essere stato lui a farli smettere.
“Holmes. Mi chiamo Sherlock.” si presentò il ragazzo.
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Come avevo detto nella precendente shot, non avrei abbandonato tanto
facilmente i nostri due uomini. E così eccomi qua, spero di aver
fatto incuriosire almeno qualcuno. ah la mia paura è quello di
aver fatto risultare John e Sherlock un pò OOC. Mi raccomando di
avvertirmi se questo dovesse mai accadere.
Un bacio, al prossimo capitolo.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
cap I
Disclaimer: io non
scrivo a scopo di
lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta
Charme
per i preziosi consigli!
Buona lettura ;)!
A Baker Street l’aria era calma. Era una tipica domenica di fine
autunno in cui Londra era coperta da un cielo grigio e fumoso.
Le persone, quindi, preferivano stare a casa davanti al caminetto o a mangiare o a dormire.
Non c’era quasi nessuno in mezzo alla strada, a parte un signore.
Il signore in questione si chiamava
John Watson e camminava normalmente in mezzo alle poche macchine per
dirigersi al 221b, la sua nuova casa, e conoscere così il suo
nuovo coinquilino.
Dopo il primo giorno di lavoro aveva ricevuto un messaggio che recitava:
-signor Watson, mi dispiace, ma ho un impegno. Possiamo rimandare la nostra conoscenza a domenica a pranzo?
S.H.-
Eh sì, perché John
Watson non conosceva ancora il nuovo coinquilino, eppure si fidava
ciecamente di chi l’aveva proposto, quindi quella domenica era
andato tranquillamente a presentarsi al suo nuovo coinquilino.
Arrivò, dopo aver fatto pochi passi dalla metropolitana, davanti al cancello del 221b.
Bussò. Nessuno rispose.
Controllò l’ora, ma notò che era in perfetto
orario. Ribussò e, finalmente, in quel momento qualcuno
aprì la porta di casa.
Watson si trovò davanti il volto di una vecchia signora, truccata e un po’ affannata.
“Oh, eccola qua. Lei deve essere il nuovo coinquilino. Sherlock mi ha parlato di lei. Entri prego.”
Ma John Watson era rimasto sulla
soglia, gli occhi castani spalancati e il volto aperto in
un’espressione di pura sorpresa.
Sherlock.
Aveva già sentito quel nome.
Ma, non poteva essere lo stesso ragazzo che si era trovato davanti a lezione. Eppure quanti ragazzi si chiamavano Sherlock?
In quel momento al piano di sopra si udì un colpo di pistola.
John raggelò lì sul
posto, e gli sembrò di tornare al servizio militare, quando, di
colpi di pistola, ne aveva sentiti abbastanza.
L’attimo di terrore
passò; consegnò alla vecchina, giustamente stupita, i
dolciumi che aveva portato in dono e corse di sopra.
I colpi continuarono assordanti,
erano proprio spari di pistola. L’uomo aprì la porta di
una stanza a caso e fortunatamente era la camera giusta.
Dentro, voltato di spalle rispetto
alla porta c’era il giovane cecchino: Watson notò un
completo piuttosto formale, i capelli ordinati e in mano una pistola
vecchio calibro… eppure notò che non c’era nessun
corpo ai piedi dell’uomo, e che quest’ultimo sparava contro
un muro.
“Oh no!, Mr.Holmes, l’ha fatto di nuovo?”
John Watson si voltò verso
la signora che gli aveva aperto la porta, che corse dentro la stanza e
afferrò a volo la pistola posando il dolciumi sul piccolo
tavolino basso.
“Mi annoiavo.” fu la semplice risposta del uomo, che ancora dava le spalle a John.
“Mi scusi… lei deve essere il proprietario… io sono…” balbettò John.
“John Watson. So chi è
lei.” disse l’uomo, in tono perfettamente calmo, voltandosi
verso il professore, che finalmente lo vide in faccia.
Era proprio il suo alunno; quello
che aveva tenuto ferma la classe quando lui voleva scappare, e quello
che non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutta la lezione.
“È un vero piacere
rivederla qui, professore.” parlò Holmes, gli occhi verdi,
di quel verde particolare, che sembravano un lago ghiacciato nel quale
annegarci dentro, di nuovo su di lui.
Il professore deglutì, cercando di reggere lo sguardo del suo alunno.
“È con lei che dovrò condividere l’appartamento.” disse guardandosi intorno.
In quella stanza regnava un caos
non comune, e in più i fori di proiettile che erano impressi sui
muri facevano venire i brividi al professore. Non sapeva se ci sarebbe
riuscito o meno a condividere una casa con un tipo simile.
“Esattamente, signor Watson.“ fu la risposta del ragazzo che lo stava ancora guardando.
“E
ora, se non le dispiace, preferirei che io e lei ci dessimo del tu, o
questo ti dà imbarazzo?” domandò Sherlock Holmes,
con un sorriso felino sul volto.
John Watson ci pensò su. No,
non gli dava fastidio che lui e l’altro ragazzo si dessero del
‘tu’, gli dava fastidio che lui fosse un suo studente, che
lo analizzasse così bene, e che fosse una persona un
tantino… psicolabile. E soprattutto gli davano fastidio i fori
delle pallottole alle pareti, ma che si dessero del ‘tu’,
era l‘ultimo dei suoi problemi.
“Non mi dà fastidio.” dovette ammettere alla fine.
“Signora Hudson, allora, che ne dice di preparare un buon
pranzetto a me e al signor Watson?” chiese alla fine Sherlock,
fissando la signora e non più il suo professore.
“Non.Sono.La.Sua.Governante, Sherlock” sibilò la signora, puntandogli il dito contro.
“Sì, ma sa cucinare talmente bene… che dovrebbe diventare uno chef.”
La signora Hundson arrossì
al complimento del ragazzo, e balbettò: “Oh…
beh… non so che dire.”
“Non dica niente, signora. E, per favore, vada a preparare i suoi manicaretti a noi, poveri scapoli.”
La donna borbottò qualcosa ma poi si eclissò lasciando soli i due uomini.
“Perché ha detto che sono uno scapolo?” domandò John.
Sherlock fissò, di nuovo, i suoi strani occhi sul uomo e sorrise.
“È quello che
è. Dopotutto nessuno andrebbe a vivere a quarant’anni con
un ventenne in piena crisi ormonale o peggio: a casa di ventenne con
disturbi comportamentali. È questo quello che pensavi. Non
negarlo, John: ti leggo negli occhi.” disse Sherlock, visto che
John aveva aperto la bocca per ribattere. La richiuse a quella
costatazione. Sherlock aveva dannatamente ragione, ma non
l’avrebbe mai detto.
Il suo studente si limitò a
fargli un sorrisino, prima che una voce allegra venisse loro incontro:
“Signori, il piatto è in tavola.”
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Eccomi tornata con il primo, vero capitolo della mia fanfic.
Si entra subito nel vivo, come vedete.
Spero vi piaccia.
Ringrazio le 3 persone che
hanno commentato, le 10 che l'hanno messa nelle segiute e le 2 che
l'hanno già messa nei preferiti. Mi commuovete così.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
cap II
Disclaimer: io non
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lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta
Charme
per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!
Ancora di salvezza
Era passato un mese, e John Watson si era quasi abituato alla
stravaganza del coinquilino: aveva capito che Sherlock Holmes era un
essere irritante, insopportabile e odioso; ma anche leale, onesto e un
fedele amico.
Sherlock Holmes aveva una mente
ingegnosa e deduttiva, ma inapplicabile a quello che ordinava
l’università: Sherlock, infatti, aveva conoscenze
sconfinate in alcuni campi assurdi, ma ignorava alcune delle concezioni
più elementari -del tipo non sapeva che la terra girasse attorno
al sole!-, eppure era brillante e le sue deduzioni aiutavano la
polizia.
Sherlock Holmes, infatti,
nonostante andasse ancora all’università, veniva spesso
chiamato a seguire dei casi in cui poliziotti non riuscivano a vedere
oltre il proprio naso. Sherlock sguazzava letteralmente in questi casi.
Watson aveva sperimentato Sherlock
Holmes per un mese, eppure aveva resistito stoicamente a tutte le
avventure che il suo amico continuava a propinargli: sì,
perché il caro Holmes si portava dietro anche John, volente o meno che fosse.
Quella particolare mattinata di inizio aprile incominciò come di consueto al numero 221b di Baker Street.
John si svegliò nel suo
letto, si fece una doccia gelida e scese giù per fare
colazione, trovando il proprio coinquilino immerso nella lettura
del giornale mattutino.
“Buongiorno Sherlock. Novità importanti?”
domandò John H. Watson sedendosi al tavolo dove Mrs. Hudson
aveva preparato una colazione da re.
Sherlock abbassò il giornale
e rispose in modo monocorde: “No, niente di che, mio caro John:
le solite cose… l’economia estera è in calo e la
nostra è in rialzo. Casi irrisolti, omicidi… oh, e domani
non dovrebbe piovere, bensì ci sarà uno splendido
sole”.
John l’aveva guardato come si
guarda un cane idrofobo, aveva scosso la testa e si era appropriato
della marmellata di mele.
“Aah! Ecco qui
l’efferato crimine!” disse Sherlock, facendo sussultare
John. “Una coppia di giovani amanti è stata uccisa nel suo
appartamento, sgozzata. Sono stati ritrovati tutte e due nudi. Era la
prima volta che si vedevano.” Sherlock posò il giornale e
negli occhi azzuroverdi John lesse un po’ di sana follia.
“Tu, invece, quando vuoi
incominciare a vedere qualcuno, John? Sono almeno due anni, da quando
tua moglie è morta, che non esci più con nessuna.”
John per poco non si strozzò, non chiese come faceva a sapere
che sua moglie era morta da due anni, ma sospirò.
“Non sono domande da fare a
quest’ora del mattino, Sherlock. Comunque non è vero che
non esco con nessuno… proprio cinque giorni fa…
ho… ecco conosciuto una ragazza… grazie a te, se devo
essere sincero.”
Gli occhi di Sherlock si fecero piccoli, e John capì che il suo amico stava riflettendo.
“Ah, sì! Come no!
Molly Hooper. Una brava ragazza, John… Peccato che mi abbia
detto di essere innamorata del sottoscritto” John si
strozzò, questa volta per davvero, con una briciola di torta,
quindi fissò storto il suo coinquilino. No, Sherlock Holmes non
aveva tatto. Per niente.
“Ah. A me non aveva dato
quest’impressione. E comunque non ho detto che siamo
fidanzati, ho solo detto che usciamo. Punto. Comunque, che discorsi che
sto facendo?… Ah, mi hai fatto passare anche la fame,
Sherlock.” disse John, che aveva ricominciato a mangiare, ma si
era fermato guardando in modo ostile il proprio studente; si
pulì la bocca e si alzò dalla tavola, ma venne fermato
dalla voce di Sherlock: “Perché te la prendi tanto, se
è solo un’amica? Potreste parlare di me a tavola, se
mancano argomenti.”
Gli occhi di John ruotarono a
quell’ennesima provocazione: si impose di calmarsi, non voleva
dare un pugno a Sherlock, anche se la tentazione era tanta, ma Sherlock
quella mattina aveva lezione con lui e poi non voleva rovinare il viso
del suo alunno.
John si voltò verso
Sherlock, per dirgli di andare a quel paese, ma lo trovò che
già si era alzato, e già stava con il violino dal quale
emersero note tristi.
“Non osare conquistarmi
così, Sherlock. Tu ti stai solo annoiando! Per questo te la
prendi con me.” sibilò frustato l’uomo, facendo
immediatamente smettere la musica.
“Se è questo che vuoi,
John, la smetto.” si era arreso troppo facilmente, e John si
ritrovò a fissare l’alunno con il battito cardiaco a
mille, non capendo cosa avesse in mente.
“Bene. Molto bene. Ti ringrazio, Sherlock… io vado veramente. Cerca di venire puntale almeno oggi.”
Sherlock annuì e salutò con la mano John, ma quando questi uscì ricominciò a suonare.
John Watson sbatté la porta,
arrabbiato e confuso, con Sherlock ma anche e soprattutto con se stesso
per essere così dannatamente umano e per aver deciso di
condividere l’appartamento con un pazzo furioso.
Non era la prima volta che Sherlock
Holmes lo faceva arrabbiare così, ma era la prima volta che lo
faceva arrabbiare su un fatto personale.
Forse era superficiale, ma Sherlock aveva troppa faccia da schiaffi per essere perdonato, anche quando in realtà non insultava nessuno. Anzi, soprattutto in quei casi.
John aprì la porta del taxi che si era fermato davanti casa e gli diede l’indirizzo.
Voleva andare direttamente
all’università, dimenticarsi di Sherlock Holmes per un
momento e pensare solo a seguire le lezioni, a chiacchierare con i
colleghi a condurre una vita… normale.
Ma John sapeva pure che non era
possibile, che Sherlock sarebbe stato con lui ogni momento della vita;
ormai era così, non c’era niente da fare, anche quando
sarebbe uscito con Molly, l’altro sarebbe stato fra di loro, gli
avrebbe mandato sms odiosi, gli avrebbe fatto rimpiangere la sua
precedente solitudine. Era così che succedeva, non c’era
niente da fare.
Spense il cellulare, almeno
così non avrebbe ricevuto sms da Sherlock, e arrivò
finalmente all’università.
Salutò i diversi colleghi e
salì direttamente nel suo officio, dove aprì la cartella
con tutte le cose dentro e buttò il computer sul tavolo, ancora
arrabbiato.
S’impose di calmarsi e ci riuscì poco prima che qualcuno bussasse alla sua porta.
“Avanti.” mormorò John con voce rauca, e per un
attimo ebbe lo strano pensiero che magari fosse Sherlock che si voleva
scusare con lui, invece dietro la porta c’era James Moriarty, suo
collega che insegnava psicologia criminale e che conosceva piuttosto
bene Sherlock. A quel pensiero, John sentì di nuovo
l’irritazione montare dentro di lui. Possibile che ogni discorso gli facesse tornare in mente Sherlock? Era troppo, chiedere che uscisse per un attimo dalla sua mente?
“Ciao Johnny-Boy.” lo salutava sempre così James, una cosa che John non riusciva a sopportare.
“Che ci fai qui, James?”
Il sorriso sul volto del suo
collega si spense, e John si trovò ad rabbrividire e
pensò che il posto per quello strano individuo doveva essere un
altro, non doveva certo insegnare ai ragazzi.
“Ma come, Johnny-Boy, ti sto per invitare a pranzo con me e tu mi tratti così?”
John sospirò. Secondo lui
James ci provava con lui, ma lui non era omosessuale, anche se molti
dei conoscenti di Sherlock pensavano il contrario e che lui stesse con
Sherlock; era molto fastidioso, anche perché non gli lasciavano
vivere la vita sentimentale.
“Non è giornata, James. Oggi proprio non è giornata.” rispose il professore.
James, dopo un’occhiata profonda a John, fece un altro, inquietante sorriso enorme.
“D’accordooo. –disse con quella specie di cantilena, che fece irritare ulteriormente John.-
“Sarà per un’altra volta? D’accordo,
Johnny-Boy.” e James Moriarty scomparve così come era
venuto.
Il resto della giornata passò velocemente, fra lezioni e
chiacchierate, per John fu quasi come dimenticarsi di James, Sherlock e
di ricominciare a vivere appunto una vita normale concentrata solo sul
suo lavoro.
La giornata finì, e John,
per mettersi in contatto con Molly, con la quale aveva un appuntamento,
dovette chiedere in prestito il cellulare con la scusa che se
l’era dimenticato, perché appunto quella giornata doveva
essere la sua giornata, e non
la giornata sua e di Sherlock. Si scambiarono diversi messaggi lui e
Molly prima di venire alla conclusione che si sarebbero visti quella
sera in ristorante italiano, da ‘Angelo’.
***
La giornata si concluse molto
bene per John, con lui e Molly che se andarono ognuno a casa propria
dopo essersi scambiati un bacio romantico davanti alla casa della
ragazza. John era al settimo cielo: Molly era una ragazza normale, a
parte per il fatto che conosceva Sherlock Holmes, e quella serata era
stata abbastanza carina, oltre che molto simpatica.
John sorrise, ricordandosi finalmente di accendere il cellulare. Immediatamente trenta sms
furono sotto i suoi occhi; tutti da parte di quello sociopatico del suo
coinquilino che non lesse e che cestinò.
Tranne uno.
Proveniva da un numero sconosciuto. John l’aprì e lesse:
-Il tuo migliore amico è stato rapito. Se lo ri-vuoi fatti vivo a questo numero.-
Il cuore di John si bloccò e
gli sembrò che la terra avesse smesso di girare, che tutto si
fosse fermato, che niente fosse più al suo posto. John corse
verso il numero 221b di Baker Street e impiegò meno di un minuto
a salire le scale.
Quello che trovò dentro casa
fu disordine addirittura peggio del solito, proprio come fosse avvenuta
una rapina, e la signora Hudson svenuta.
Il cuore di John rimase bloccato e
il corpo immobile mentre ammetteva che l’ultima cosa che aveva
pensato di Sherlock Holmes era che aveva una faccia da schiaffi.
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Allora, in questo capitolo non c'è molto da dire.
Apparte una cosa: il rapimento.
Nelle intenzioni originali, ma sapete come va quando uno scrive...
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e di ricevere i
commenti... Ovviamente se ci dovrebbe essere qualcosa che non va con i
caratteri di John e Sherlock, ditemelo.
Ringrazio: chi ha commentato, ma anche chi ha solo letto, e i nuovi
lettori che hanno messo, questa cosa, nelle seguite. A voi dico: se
potete, commentate, sarei contenta di un vostro parere.
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Capitolo 4 *** Capito IV ***
cap IV
Disclaimer: io non
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lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta
Charme
per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!
Ancora di salvezza
John
Watson, dopo il primo shock iniziale, aveva per prima cosa rianimato
velocemente la signora Hudson, la quale, secondo la sua opinione di
medico, era stata drogata. Poi era andato a cercare in giro per casa
indizi che Sherlock fosse stato rapito, ma –niente!- non aveva
trovato nulla da parte del suo coinquilino, anche se forse
l‘avevano rapito troppo in fretta perché Sherlock avesse
potuto lasciare delle tracce. Solo allora aveva chiamato la polizia,
che era venuta quasi subito.
Nel salotto del 221b di Baker
Street la situazione era dunque la seguente: John sedeva sulla sua
poltrona preferita; la signora Hudson sedeva su una poltroncina vicino
al tavolo, la testa fra le mani e una tazza di thè fumante
davanti; e infine c’erano Lestrade, Donovan e Anderson e il resto
dei poliziotti che giravano per il salotto pensosi.
“Secondo me è stato il
dottore.” Anderson aprì la bocca fissando negli occhi John
dopo il racconto che quest‘ultimo aveva fatto nei minimi
particolari. “Possibile che non ci arriviate? Hanno litigato,
Watson ha fatto finta di andare a lavoro, in realtà è
ritornato indietro e ha rapito il suo migliore amico. Poi chissà
per quale perversione ha chiamato noi.”
Lestrade, si prese la testa fra le
mani e squadrò il collega come se volesse ucciderlo.
“Anderson, possibile che Sherlock Holmes abbia ragione e tu sia
un completo idiota?” sibilò.
Sally Donovan intervenne anche lei in difesa di John e di Holmes: “Anderson, il geniaccio
non si fida di nessuno se non di se stesso, quindi deve aver indagato
su John Watson prima di sceglierlo come coinquilino. Il dottore
è pulito.”
“Vi sbagliate.”
intervenne John con un sorrisino triste sul volto. “Non ho rapito
Sherlock Holmes, era mio amico, nonostante tutto. E non ha indagato su
di me. Lui sa, ma sa per istinto, per deduzione.”
Lestrade annuì e poi con
decisione guardò i suoi uomini. “Molto bene. Anderson,
controlla il numero di cellulare da cui John ha ricevuto il messaggio;
io e Sally interrogheremo chi è stato vicino a Sherlock Holmes,
e voi altri prendete le impronte. Fate in fretta!” ordinò
ai suoi uomini.
Poi si avvicinò di
più a John e lo guardò. Nonostante Sherlock Holmes
l’avesse classificato spesso come cretino, idiota e altri epiteti
poco gentili, lui era un bravo poliziotto e un ottimo osservatore:
capiva che John e la signora Hudson erano molto più turbati di
quanto non dessero a vedere.
“Allora, parliamoci chiaro:
John, signora Hudson, Sherlock Holmes aveva altri nemici rispetto a
quelli che noi conosciamo?”
John alzò le spalle e fissò l’ispettore negli occhi.
“Non saprei che dirvi,
ispettore. Io conosco solo gli ultimi casi; può essere che chi
ha rapito Sherlock avesse a che fare con casi precedenti alla mia
‘entrata’. comunque no, a parte quelli che sa anche lei,
non so nulla di più di lui. Certo non era molto popolare
all’università, ma da qui a rapirlo… No, sono
sicuro che non troverete nessuno in quell’ambiente che possa
avercela tanto con lui.” disse John Watson, palesemente agitato
per la sorte del coinquilino.
Lestrade annuì convinto
dalle parole del dottore, poi il suo sguardo si posò sulla
signora Hudson, la quale sospirò, dopodiché parlò:
“Io so meno di niente, ispettore. Non ho riconosciuto nessuno,
non ho avuto il tempo di vedere… certo so che c’era
più di una persona.” la signora Hudson tremò
impercettibilmente e John le fu subito vicino. “Ma a parte
questo… nulla più. E poi io ero solo la
governante.” si mordicchiò le labbra e abbassò gli
occhi a terra.
Lestrade sospirò: era
evidente che né John né la povera vecchia
c’entrassero qualcosa con il rapimento.
“Bene… allora, John, se mi può dire dove Sherlock teneva i suoi appunti, numeri o altro…”
“Sherlock Holmes non prendeva
appunti, teneva tutto nella testa. E voi lo dovreste sapere bene,
ispettore.” fece John con il viso adombrato.
La signora Hudson annuì alle parole del dottore. “È vero, ispettore.”
Lestrade sospirò prendendo appunti e guardò nella direzione di Sally.
“Signora Hudson, lei sa se
aveva qualche parente?” domandò la poliziotta alla
vecchia. La quale ci pensò su, sotto gli sguardi di John e
dell’ispettore, dopo un po’ annuì. “Dovete
avvertire suo fratello... Si chiama Mycroft… non
l’ho mai visto, ma so che c’è, perché me ne
ha parlato.”
John Watson rimase stupito: non
aveva mai sentito nominare dal suo coinquilino suo fratello, in quel
mese in cui avevano abitato insieme. Va bene che non parlavano quasi
mai di vita famigliare - a parte quando Sherlock deduceva qualcosa
della sua squallida vita - ma John non l’aveva mai interrogato
sulla sua famiglia. A pensare a Sherlock e a un suo possibile fratello,
John sorrise tristemente. Chissà come doveva essere la vita, per
il fratello di Sherlock. Lui aveva seri problemi nel gestirlo, e
abitavano insieme da appena un mese. Crescere con lui doveva essere
stato impossibile. O forse anche suo fratello era un essere impossibile
e psicopatico, suo pari.
“Non abbiamo più niente da dire.” disse John, quando la signora Hudson ebbe finito di parlare.
Lestrade lo guardò, poi sorrise. “Bene. John, lo troveremo”
“Se avete bisogno di una mano… Io ci sono.” precisò John con un sorriso triste sul volto.
“Sì, lo so bene.
Sally, andiamo.” Lestrade richiamò i suoi agenti lasciando
soli John e la signora Hudson.
“John, che facciamo?” domandò la vecchia signora.
“Non ci arrenderemo, Sherlock non vorrebbe.” mormorò John stringendo le mani a pugno.
***
Sherlock Holmes si svegliò
intorpidito e si accorse immediatamente di non essere a casa; se ne
accorse perché non sentiva il comodo materasso sotto di
sé, e perché non sentiva il buon profumo di Thè
che faceva la signora Hudson e lo scrivere di John al computer
dall’altra stanza.
Era legato, si accorse in un
secondo momento, a un tavolo, un vecchio tavolo di legno, dove era
stato posato malamente. Si trovava in una camera, una stanza non
più lunga della propria camera da letto bianca.
A un certo punto, si accese la TV,
posta dalla parte opposta rispetto alla testa di Sherlock, che infatti
poteva vedere il monitor solo torcendo il collo. Il ragazzo strinse gli
occhi quando dentro lo schermo comparve un volto di un uomo dai radi
capelli neri, il naso aquilino e occhi neri come pozzi senza fondo,
aveva un colorito olivastro e una cicatrice su una guancia sinistra.
“Buonasera, Sherlock
Holmes.” Pronunciò l’uomo, Sherlock lo fissava senza
poter muovere un muscolo, visto che era stato legato.
“È un piacere vederti
finalmente in viso, Sherlock Holmes.” L’uomo si mise a
ridere, una risata profonda così com’era la voce.
“Non sai chi sono io, non
è vero Sherlock Holmes?” Sherlock scosse la testa, visto
che non poteva nemmeno rispondere dal momento che era imbavagliato.
“Il mio nome è Lord
Harry Blackwood, Sherlock Holmes. E ti ho rapito perché voglio
una cosa da te. Io voglio il tuo cervello.”
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Buondì!
Sono di nuovo qui, per voi. ;)
Capitolo piccolo, lo so, ma è un capitolo di passaggio, che spero comunque vi piaccia.
Lord Blackwood, è sì quello del film del primo Sherlock.
Non voluto, come cattivo, nè James Moriarty, nè Sebastian
Moran, solo perchè mi servono per altro.
Comunque spero tanto che vi sia piaciuto, questo piccolo capitolo. Se volete scoprire come va avanti, commentate.
Nel frattempo, ringrazio l'unica persona che ha commentato e le altre
che hanno comunque letto o inserito la mia fanfic fra le
preferite-seguite.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
cap 5
Disclaimer: io non
scrivo a scopo di
lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta
Charme
per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!
Ancora di salvezza
Sherlock Holmes ebbe, per la prima volta nella sua vita, paura: non fu
una bella sensazione; la paura lui l’aveva sempre vista negli
altri e sentirla radicarsi in sé, come una radice difficile
– se non impossibile – da estirparsi fu orribile.
La paura – il terrore! – entrò in circolo: gli si
mozzò il respiro, gli tremarono le vene dei polsi e gli occhi si
dilatarono.
“Ah, bene, ho avuto la tua attenzione.” la subdola voce del
rapitore si era rifatta risentire dopo un attimo di pausa.
“Sì, vedi: sono uno studioso di cervelli, o meglio della
mente, ma si sa… cervelli e mente sono la stessa cosa ,
siamo noi umani a dargli nome differente. Comunque dicevo che sono uno
studioso… o per meglio dire… un collezionista. Il tuo
cervello avrà un posto in primo piano nella mia collezione,
perché - credimi - non è da tutti i giorni avere il
cervello, o la mente di Sherlock Holmes a portata di mano.”
Per una volta, un avversario aveva lasciato senza parole Sherlock Holmes.
“E mi dica… Lord Blackwood, come pensate di togliermi il
cervello?” sfidò Sherlock fissando lo schermo dal quale il
volto di Blackwood rispose con una risata da mettere i brividi.
“Ah, è qua che ti volevo, Sherlock Holmes. La tecnologia
negli ultimi anni si è, per fortuna, evoluta. Ho creato questi
oggettini tanto carini, che si chiamano Mozog [*].”
L’uomo nello schermo prese in mano dei caschi uguali a quelli per fare gli elettroencefalogrammi.
Sherlock Holmes rimase immobile a osservare quelle
mostruosità… aveva già capito cosa voleva farne il
professore Blackwood, voleva inserire nel suo cervello quelle ventose e
appropriarsi della sua genialità, delle sue conoscenze, della
sua memoria e di tutto ciò che lui riduttivamente chiamava
‘cervello’.
“Ora lei penserà che dopo la tortura lei non
riuscirà più a vivere. Si sbaglia, i suoi organi
vivranno, ma sarà come essere un vegetale. E di lei, lo stimatissimo, geniale
Sherlock Holmes non rimarrà nient’altro che un guscio
vuoto. Diventerà un povero demente incapace perfino di alzare un
dito. E io avrò la mente di Sherlock Holmes!” a fine del
suo monologo, il volto di Blackwood si deformò in un
raccapricciante sorriso storto che mise i brividi a Sherlock. Fu forse
proprio il ghigno a fare più paura al giovane studente,
piuttosto che quello che aveva detto.
“Non glielo permetterò. Lei non si prenderà la mia
mente.” sibilò Sherlock osservando furioso lo schermo e
cercando di liberarsi dai legacci che lo tenevano prigioniero al
tavolo.
“Ah. E come pensi di fare? Come puoi liberarti di me, Sherlock
Holmes?” domandò l’uomo nello schermo, per poi
scoppiare in una risata stridula. “Ah. Non ci riuscirai,non ti
preoccupare. Sei costantemente controllato, e nessuno sa che sei
qui.” riprese a parlare Blackwood con voce sonora.
“E ora, ti lascerò per un po’ a te stesso, caro il
mio Sherlock. Purtroppo questi cosini deliziosi non sono ancora
terminati. Li devo ancora sperimentare. Arrivederci, Sherlock
Holmes.” così dicendo Harry Blackwood scomparve dallo
schermo, lasciandolo nero e silenzioso.
Sherlock poté così tornare per un attimo al suo personale palazzo mentale.
Aveva un posto nella sua testa in cui archiviare tutte le informazioni ricevute che chiamava appunto palazzo mentale.
Chiudendo gli occhi riusciva a concentrarsi più in fretta,
arrivando pertanto ‘al palazzo’ più facilmente e
dunque, così fece.
Dopo un attimo di Sherlock Holmes non rimase niente se non il corpo: a
un occhio esterno sarebbe potuto sembrare addirittura morto, visto che
aveva incanalato la quasi totalità delle proprie energie per
‘arredare’ il suo edificio personale con i mille dettagli
di quella complicata situazione Era quasi paradossale che il suo
eccezionale intelletto e le sue facoltà fuori dal comune
fossero, allo stesso tempo, la ragione e la soluzione dei suoi guai, ma
Sherlock respinse ogni accenno di autocommiserazione e si
concentrò totalmente sulla propria drammatica situazione,
cercando di razionalizzare il più possibile, considerandola come
niente più che l’ennesima sfida, l’ennesimo caso da
risolvere.
***
Sherlock Holmes è stato rapito.
L’Unico giovane Consulente Investigativo del mondo è stato rapito ieri sera da casa sua, il 221b di Baker Street.
Non si sa ancora niente, ma fonti anonime, ci fanno capire che Scotland Yard brancola nel buio.
John Watson sbuffò, chiudendo il giornale e perdendosi nel
grigio e cupo tempo di Londra che si vedeva dalla finestra. Da quando
il suo migliore amico era scomparso, doveva ammetterlo, si annoiava.
Certo la sua vita era diventata un po’ più normale, ma non
il non aver nessun caso fra le mani e il non vedere le stramberie di
Sherlock Holmes lo facevano star male.
Che poi non era vero che non aveva nessun caso -Lestrade lo teneva
informato sugli ultimi sviluppi sul caso Sherlock-, ma era il fatto che
non ci fosse Sherlock a infastidirlo.
Il suo migliore amico era scomparso da tre lunghi giorni, e John vagava per la città con un groppo in fondo alla gola.
John Watson sbuffò nuovamente e per la prima volta
controllò il telefonino nella speranza di trovarci un indizio, o
meglio ancora una chiamata di Lestrade che l’informava che il suo
migliore amico era stato ritrovato, ma niente. Il telefono non emise un
suono.
Sbuffò, decidendo in quel momento che avrebbe visto Molly.
Molly era l’unica a farlo distrarre un po’ e in quella
giornata aveva bisogno di distrarsi. Stava per prendere il cellulare e
inviarle un messaggio, quando sentì il telefono di casa
squillare.
John Watson si precipitò a rispondere.
Dall’altra parte si sentì la voce di Lestrade.
“Lestrade?” domandò John.
“John. Siamo, finalmente, riusciti a trovare Mycroft Holmes. Se
vuole venire a sentirlo, ci farebbe assai piacere. Lei era
l’unico di noi a essere veramente amico di quello
so… ehm di Sherlock. Fra l’altro il signor Holmes ha
chiesto espressamente di vederla”
Il cuore di John mancò un battito. Avevano trovato il fratello
del suo coinquilino, avrebbe potuto vederlo finalmente in faccia.
“Arrivo subito.” urlò, e prima del tempo di dire
‘ah’ fu subito fuori alla porta alla ricerca di un taxi
libero.
Entrò di corsa nella New Scotland Yard, sbrigò le
formalità e si precipitò nell’ufficio di Lestrade.
All’interno trovò l’ispettore, Anderson e Donovan e
un uomo che sedeva compostamente dietro la scrivania di Lestrade.
Inizialmente gli dava le spalle, ma quando si voltò vide
che era molto diverso da Sherlock Holmes: era innanzitutto più
robusto, poi il viso non era non era come quello del fratello, sottile
e affilato, ma dai tratti più pieni, e, in qualche modo,
più rassicuranti, aveva i capelli castani e gli occhi dello
stesso colore.
Eppure era suo fratello, c’era qualcosa nello sguardo che lo faceva assomigliare al Holmes che aveva conosciuto.
“Emh… salve, io sono…”
Venne subito interrotto dall’uomo corpulento che sorrise e disse.
“So chi è, ovviamente. Lei è il dottor John Watson,
il coinquilino di mio fratello, colui che probabilmente ha visto nelle
ultime ore prima di venir rapito. Io mi chiamo Mycroft Holmes, ma
questo immagino che lei lo sappia già.” Disse con calma
flemmatica il fratello.
“Emh… È molto più simile al fratello di
quanto non lo dia a vedere il suo aspetto fisico.” Si riprese
John Watson. davvero, solo un uomo con una corazza poteva avere a che
fare con due Holmes. Lui non era sicuro di avercela, quella corazza.
–Fortunatamente sei sparito, Sherlock.- si trovò a
pensare, sorridendo in modo triste subito dopo aver pensato a quella
cattiveria.
Forse se non fosse scomparso, John non avrebbe mai conosciuto il fratello.
Che sembrò riprendersi anche lui in fretta, e sorridendo, anzi
ghignando ammiccò verso John: “Se intende dire che
‘lui è quello bello’ e ‘io sono quello
intelligente’, penso che abbia ragione.”
“Che… oh, no!... non intendevo assolutamente metterla su
questo piano.” John arrossì pensando a che Sherlock si
sarebbe divertito del suo imbarazzo.
Nel frattempo gli occhi del fratello erano su di lui, anche quando era arrossito.
“Bene ora che abbiamo finito di fare le presentazioni, il signor
Holmes mi stava dicendo i suoi ultimi movimenti di martedì
sera.”
L’imbarazzo scemò dal volto di John quando Lestrade li
richiamò all’ordine e gli occhi del fratello si posarono
sul poliziotto.
“Sa, credo proprio che il poliziotto creda che sia io il
rapitore.” Disse con calma Mycroft Holmes, quasi come se avesse
appena detto un’ovvietà come ‘il cielo è
azzurro.’, anziché aver appena suggerito l’ipotesi
di un coinvolgimento nel rapimento del fratello.
John alzò gli occhi al cielo, esasperato dalla sciocca intuizione di Gregory Lestrade.
Non poteva essere così stupido. Da quello che aveva capito,
Mycroft Holmes era un uomo di Sua Maestà, un pezzo grosso per il
governo inglese. Non avrebbe mai rapito suo fratello.
“Ma non sono stato io, signor Lestrade. Io sono stato a casa.
C’era anche Anthea. Anthea è la mia assistente, se volete
la potete chiamare. È pulita lei.” Mycroft prese il
cellulare dalla tasca e lo porse a Lestrade.
Il poliziotto lo guardò, poi ringraziò con gli occhi il Holmes senior e chiamò la donna.
John si trovò di nuovo con gli occhi di Mycroft Holmes addosso,
quasi fossero intenti a scandagliare a fondo e interamente la sua
persona, sulla sua persona.
Ecco
aveva lo stesso sguardo indagatore di Sherlock. Di quel sociopatico del suo coinquilino.
La domanda che fece Mycroft, lo fece deglutire pesantemente.
“Noi siamo puliti, ma lei quanto è pulito?” domandò Mycroft guardandolo attentamente.
“Sono pulito, signor Holmes. Pulito.” Rispose fissando il volto del primogenito degli Holmes.
L’Holmes grande non rispose, probabilmente era difficile fidarsi
per lui, proprio come lo era per Sherlock fidarsi di qualcuno.
Chissà, magari il fatto di appartenere al governo inglese lo
rendeva ancora più chiuso.
“Okay. Siete puliti tutte e due. Ha confermato
l’alibi.” Lestrade consegnò il cellulare nelle mani
di Mycroft.
“D’accordo, allora direi di andare via. Professore? Dopo di
lei.” Disse il fratello alzandosi dalla poltrona e facendo un
segno al professore di seguirlo.
La mattina dopo, John doveva andare a lavoro, ma non se la sentiva.
Voleva stare a casa a fissare il muro dove Sherlock di solito sparava,
il muro dove c’erano ancora i fori di proiettile.
Il cellulare vibrò. John lo prese e lesse un messaggio.
-Ti va di uscire stasera? C’è uno spettacolo al Majestic. Un musical. Ti può risollevare il morale.
J.M.-
Da quando Sherlock era stato rapito, il professore di psicologia
criminale, ci provava sempre di più con lui. Era diventato
assillante.
Sbuffò indeciso sul da farsi, ma poi rispose:
-se ti dico di sì, tu mi lasci in pace? Però il musical no grazie, preferisco se mi offri una cena.
J.W.-
Sapeva di essersi fregato con le sue mani, ma l’altro non poteva
fargli del male, più di quanto non l’avesse fatto Sherlock
sparendo dalla sua vita.
- Forse ti lascerò in pace, o forse no. Comunque sei invitato al The Wolseley. Vedi di vestirti bene.
J.M-
John Watson sbiancò: il the Wolseley era il ristorante
più caro di Londra, dove erano andati diversi VIP. Si chiese
quanti soldi avesse e chi fosse il suo collega per poterlo invitare a
quel ristorante di lusso.
Rispose affermativamente, dopo aver esitato circa la
‘minaccia’ di Jim di non lasciarlo comunque in pace, ma una
cena in quel posto non si rifiutava mai.
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Buon Salve.
Sono di nuovo io che vi rompo le scatole XD!
Sono contenta di 'presentarvi' questo quinto capitolo.
Che dire? La prima parte è stata molto difficile, immaginare
Shelrock spaventato... beh... Mi sembrava un pò difficile, ma
spero che vi sia piaciuto. Se sono andata OOC ditemelo, ma tenete conto
che si tatta comunque di un'AU, al tempo dell'adolescenza di Sherlock.
Poi la seconda parte, quella di John, invece è stata più
semplice da scrivere (quanto amo il dottore <3), spero anche che la
parte finale vi abbia stupito in senso buono.
Detto questo ringrazio le due persone che hanno commentato e chi ha messo la fanfic fra le seguite/preferite.
Spiegazioni:
[*] Mozog, in slovacco, secondo il traduttore di google vuol dire cervello ^_^!
<3
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