Noi - Due Rette Parallele

di Midori_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** War is not Over ***
Capitolo 3: *** Cold Blood ***
Capitolo 4: *** Duty ***
Capitolo 5: *** Alarm ***
Capitolo 6: *** Past ***
Capitolo 7: *** Winds of War ***
Capitolo 8: *** Ready for the Battle ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Noi – Due Rette Parallele






                                                                                                                                                      Prologo





La vita di Percy Weasley, dopo la guerra, era scandita dal lavoro, dalle cene silenziose in famiglia ed infine da altro lavoro che inevitabilmente doveva compiere la sera tardi, seduto su quella vecchia scrivania che un tempo era piena di libri di Hogwarts.

Non si concedeva pause, non si concedeva libertà.

Il suo mantra girava intorno all'idea che solo lavorando, solo esaurendo ogni neurone della propria naturale energia, solo faticando, poteva dormire sonni bui e innocui.
E in fondo i fatti gli dimostravano che aveva ragione, il suo metodo meritava un articolo in qualche seria rivista.
Ogni qual volta si addormentava sul suo vecchio letto, con le lenzuola linde e profumate di limone, il collo semi-rigido e le palpebre già serrate, scivolava in un sonno senza sogni o incubi.

Un breve ed agitato sonno.

Quanto bastava per dare respiro al suo corpo dalle fatiche umane e poi ripartire con più energia l'alba seguente.
A lavoro erano ormai in pochi che gli accennavano delle sue occhiaie spaventose o della sua tendenza ad ingurgitare caffè bollente e nero ad ogni ora del giorno e della notte.
E quando tornava a casa, ormai trascinandosi con le poche forze rimaste, si metteva a mangiare ignorando gli sguardi preoccupati dei suoi famigliari, gli occhi spenti del fratello e quella terribile sensazione di essere la causa.

Il problema.

Sibilava un grazie non appena appoggiava le posate e si fiondava nella sua vecchia stanza a leggere centinaia di fogli, centinaia di righe; cercando in tutti i modi di annegare in quel mare d'inchiostro e di morire definitivamente.
Meritava di morire, o meglio, di scomparire silenziosamente.
Senza i pianti di sua madre, senza il mutismo di suo padre, senza i sussurri e l'angoscia che vedeva nei fratelli.


Silenziosamente.

Ma oltre ad essere un completo idiota, un traditore, era anche un vigliacco.
Un codardo della peggior specie.
Non aveva trovato quella forza necessaria ad entrare a far parte della squadra Auror quando il neo-Primo Ministro in persone glielo chiese, ora poteva essere morto in chissà quale straordinaria azione.
Invece aveva ripiegato per un'occupazione al Ministero della Giustizia.
Precisione, volontà, giustizia e sapienza” era questo il lungo motto di quel dipartimento, parole che lo rappresentavano perfettamente, eppure …
Eppure c'era qualcosa di irrimediabilmente diverso in lui, qualcosa di rotto che gli rendeva difficile persino respirare profondamente.
Già, Percy il Preciso era solo un giocattolo rotto, uno di quelli pieni di polvere, dimenticato nell'angolino e che lentamente marciva.



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Capitolo 2
*** War is not Over ***



#War is not Over


Le riunioni straordinarie del Gabinetto del Primo Ministro voleva dire solo una cosa: nuovo attacco.
Nonostante la sconfitta del Signore Oscuro, l'incarcerazione della maggior parte dei Mangiamorte, i processi in corso e l'intero mondo magico ormai in piedi e pronto a difendersi; in tutta Europa erano nati gruppi analoghi che stavano devastando intere comunità magiche.
Percy si sedette pesantemente alla destra di Kingsley Shacklebolt e fissò le diverse cartellette colorate poste al centro del tavolo di legno scuro.
Kingsley sembrava a dir poco agitato mentre scribacchiava velocemente una breve lettera su un foglietto di pergamena. Appena ebbe finito la diede a uno dei giovani assistenti che subito si precipitò fuori dalla stanza.
-Mia moglie mi ucciderà appena tornerò a casa, le avevo promesso che sarei tornato presto.- sussurrò Kingsley a Percy, sorridendo amaramente.
Come ormai da tempo capitava, il giovane Weasley non rispose, si limitò a stiracchiare il viso in una smorfia che doveva essere un sorriso di comprensione e si voltò immediatamente, infilando naso e occhi nelle cartellette aprendole di scatto e ignorando completamente il Ministro.
Shacklebolt, dal canto suo, si passò la mano sul volto e cercò di passare oltre, ancora una volta.

Ormai si era arreso di fronte ai fatti.
Il suo amico non sarebbe mai più tornato quello di una volta.
Niente discorsi pomposi.
Nessuna lunga chiacchierata sui trattati firmati nel 1889 e via dicendo.

Non appena l'intero Gabinetto prese posto e cominciò ad analizzare le diverse cartellette, il Primo Ministro prese parola.
-Signori, vi ho riunito in tutta fretta perché c'è giunta voce di un violento attacco da parte di un gruppo di Mangiamorte tedeschi, nei confronti della comunità magica francese.-
L'annunciò mise sull'attenti la maggior parte delle persone.
-Qual'è il bilancio?- domandò uno dei Capi Auror.
-Una trentina di morti fra i maghi non- Auror, almeno una decina di Babbani trovati uccisi pochi minuti fa e non c'è ancora un bilancio sui feriti.- rispose Kingsley. -Quello che mi preme far sapere è che la Francia ha deciso di chiudere a tempo indeterminato le frontiere. Abbiamo solo ventiquattr'ore per far espatriare i maghi e le streghe inglesi residenti in Francia, compresa quello che è rimasto della squadra Auror internazionale.-
Percy ruotò la testa verso il Primo Ministro. -Ma...Ma non possiamo farlo senza il consenso degli altri stati membri? Verremmo … -
-Espulsi, sì Weasley me ne rendo conto, ma l'attacco in Francia non è l'unica brutta notizia. Il mondo Babbano sembra sul piede di guerra e il mio collega, il Primo Ministro Britannico Hogers sembra in una brutta situazione. Nel pomeriggio c'è stata una violenta manifestazione ed è probabile che nei prossimi giorni ci sia un attentato contro le istituzioni Babbane.-
-E quindi?- incalzò nervoso Percy.
-Quindi siamo costretti a ripensare a tutta la struttura delle nostre istituzioni. Non possiamo più occuparci dei processi, dobbiamo difendere i nostri confini e quello dei Babbani. La situazione sta peggiorando sempre di più e ora abbiamo perso persino la Francia.-
Qualcuno dal fondo della sala sbuffò, altri sussurravano.
-Ne è sicuro?- domandò il Ministro delle Finanze, Williams. -Perderemo credibilità all'estero. Potrebbe essere la mossa sbagliata.-
Kingsley annuì lentamente. -E' l'unica mossa che ho. L'unica. Non siamo ancora usciti da questa crisi. La guerra ha decimato la forza militare magica e i nostri Babbani si stanno armando per uccidersi fra loro, dobbiamo pensare prima al nostro paese e richiamare tutti gli Auror inglesi che servono all'estero.-
Percy si tolse gli occhiali e li pulì con un lembo del maglione scuro.
-Per il rimpatrio come ci muoveremo?- chiese ormai stanco e adirato per la faccenda degli Auror.
Il Primo Ministro spiegò velocemente come l'Ambasciata stesse lavorando alla creazione di Passaporte che già dall'alba avrebbero portato diversi cittadini inglesi a casa.
Raccontò inoltre che gli studenti di magia francesi sarebbe tutti espatriati nella lontana scuola australiana, paese non interessato dagli scontri, per evitare ciò che era successo ad Hogwarts.
Sciolse la riunione quando l'orologio nella segnò le due di notte, ma chiese a Percy di fermarsi un attimo.
-Di che si tratta?- chiese Percy appoggiandosi al muro, quasi incapace di reggere altre notizie.
Kingsley aspettò qualche secondo prima di parlare. -Vorrei che venissi con me in Francia. Ora, intendo.-
Percy aggrottò la fronte, stupito dalla richiesta. -Certo, va bene. Prendo la giacca e ritorno qui ...- borbottò il giovane sistemando nervosamente gli occhiali al naso.
-Percy, in realtà si tratta dei genitori di tua cognata, i signori Delacour sono nella lista dei dispersi.-
La gola del Weasley si seccò immediatamente e un leggero tremolio sconvolse le sue mani.
-Sei … Sei sicuro che fossero lì? In quella città?- domandò non accettando quella possibilità.
-Assolutamente. Il Signor Delacour era lì per affari con la moglie, mentre la figlia minore era già in viaggio per l'Australia, li hanno visti entrare in uno degli edifici crollati. Fin'ora non li abbiamo trovati.-
Percy chiuse gli occhi per qualche secondo e poi li riaprì bruscamente, spaventando per un attimo Kingsley.
-Devo avvertire mio fratello … - sussurrò. -Devo.-
-Di questo, purtroppo, non ti devi preoccupare. Il Ministero degli Esteri francese ha già avvertito tutti, ci vediamo fra dieci minuti all'entrata.-


In meno di quindici minuti si ritrovarono nel bel mezzo di quella che doveva essere una serena città di campagna, fatta di negozietti, strade, case colorate e gente perbene.
Ora i palazzi si erano accartocciati su sé stessi, bruciati all'interno e ancora fumanti.
Dei negozi non c'era più la minima traccia.
Percy si girò e notò un gruppo di Medimaghi che coprivano con dei teli bianchi e blu, corpi dilaniati dalla fuliggine e dalle maledizioni.
Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e intimargli di non guardare.
Kingsley lo fissò severo e Percy intuì cosa volesse dirgli in realtà, ma non riuscì comunque a reprimere quel senso di nausea che gli opprimeva lo stomaco e gli rendeva difficile persino respirare.
Il Capo degli Auror, Peter Sartos, indicò una figura scura che si stava avvicinando, incespicando fra le macerie della città.
Quando si avvicinò, Percy notò con stupore che si trattava di una ragazza, o meglio, uno dei migliori Auror ancora in vita era una ragazza.
Kingsley le venne incontro spiegando che erano venuti lì per vedere il Ministro francese, ma la ragazza lo interruppe e si sedette su un grosso masso che un tempo era un balcone.
Non era particolarmente alta o muscolosa, aveva una di quelle corporature insignificanti a primo sguardo, capelli biondi raccolti in una treccia ormai sfatta e piena di polvere e occhi chiari.
Parte del volto era ricoperto dal sangue a causa di una ferita che percorreva la fronte, gli abiti scuri erano sgualciti mentre le mani erano coperte dai guanti che tenevano nervosamente una di quegli affari di ferro che i Babbani usavano per difendersi.
La ragazza indicò l'orecchio. -Non sento. Esplosioni.- disse accennando a uno strano sorriso.
Effettivamente l'orecchio era pieno di sangue grumoso ed era arrossato fino all'inverosimile.
-Vi porto io dal Primo Ministro, seguitemi.- si rialzò immediatamente, scattando improvvisamente.
Camminarono lentamente finché la strada fu sgombra da ogni maceria.
La ragazza indicò un palazzo ancora in piedi e parzialmente bruciato.
-E' lì.- disse solamente, riprendendo a camminare.
Fu lei ad aprire la porta con un incantesimo non verbale e poi li fece passare.
Una volta entrati, Kingsley si rivolse a Percy. -Tu vai con lei, chiedile se riesce ad entrare nell'ospedale Babbano dove alcuni maghi potrebbero essere stati erroneamente portati. Forse i genitori di Fleur sono lì.-
Il Weasley aprì la bocca, non sapendo cosa dire o proporre e la richiuse.
Qualcosa gli diceva che intrufolarsi negli ospedali era considerato un reato da quelle parti.
-Senti, ci possiamo muovere ed andare in questo ospedale Babbano?- domandò irritato, scandendo bene le parole.
La ragazza alzò un sopracciglio leggermente infastidita, strinse le spalle e gli indicò una porta.
-Andiamo lì.- disse solamente. -Comunque, sono Audrey Rivers.- disse ricordandosi delle buone maniere e tendendo la mano.
-Percy Weasley.- rispose velocemente, stringendo brevemente la sua mano.
Non si guardarono negli occhi, né parlarono molto, eppure nessuno dei due riuscì a scrollarsi di dosso una strana sensazione.










[Ringrazio tutti coloro che hanno letto il Prologo e lo hanno anche commentato, non sapete quanto mi abbiate resa felice.
Cercherò di aggiornare almeno una volta a settimana, forse anche due salvo complicazioni.
Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo!]

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Capitolo 3
*** Cold Blood ***


* * * * *




#Cold Blood




Audrey Rivers teneva la testa bassa, gli occhi rivolti verso il terreno ricoperto dai calcinacci e pezzi di muro. Ogni tanto evitava con poca grazia e disinteresse pozze di sangue grumoso.
La strada da fare era ancora molta e come se non bastasse doveva scarrozzarsi in giro uno che fino a qualche secondo prima non aveva idea di cosa fosse vivere nel resto d’Europa.
Pur non sentendo molto a causa dei timpani ormai perforati, aveva come la terribile sensazione che il funzionario inglese si fosse fermato.
Si voltò bruscamente e lo vide chino a terra a spostare dei massi.
-Non abbiamo tempo per la caccia al tesoro!- sibilò lei raggiungendolo già arrabbiata.
Il ragazzo non tentò nemmeno di spiegarle cosa diamine gli era venuto in mente quando vide una chioma castana spuntare da un grosso masso.
Per un attimo rimase immobile, congelata dalla sorpresa e indispettita da quel rallentamento.
-Weasley, sarà morto.- dichiarò lei.
Lui si girò di scatto e gridacchiò. –Di solito i morti non si lamentano per il dolore- osservò indicando il tizio.
Audrey allargò le braccia e si avvicinò.
Con il suo aiuto fu semplice spostare le ultime cose e trascinare nell’angolo meno devastato della zona, il corpo malridotto di quello che doveva essere un trentenne.
Percy appoggiò le dita intorno al collo e un sorriso impercettibile solcò le sue labbra. –Il battito c’è.- le disse quasi orgoglioso.
Audrey si avvicinò al corpo e cominciò a tastarlo.
-Nessuna bacchetta e nessuna pistola, direi che è uno dei Babbani che viveva nella zona.- disse togliendo da una delle sue tasche un comunissimo portafoglio scuro. –Non si è nemmeno portato tutti i documenti Babbani.-
Percy aggrottò le sopracciglia confuso. –Non dovremmo portarlo all’Ospedale? Ha bisogno di cure.- disse scandendo nuovamente le parole.
-Smettila di parlarmi come se fosse scema, ci sento! C’è solo questo forte ronzio che mi sta rimbecillendo!- gracchiò lei. –E comunque non c’è nulla che possiamo fare. Ha una gamba maciullata, probabilmente da amputare. Fratture multiple in tutto il resto del corpo e una ferita alla testa preoccupante. Morirà entro stanotte.- sentenziò rialzandosi e tenendo in mano il portafoglio scuro. Esaminò le diverse carte sconto di negozi e classificò il tipo come un tizio ordinario con la smodata passione per i vestiti. Gettò tutto a terra, mentre tenne due documenti, una normalissima carta d’identità e una patente.
Si voltò e notò che il ragazzo si era tolto la giacca per porla al giovane moribondo e con la bacchetta cercava di ricucire più tagli possibili.
Qualcosa la colpì; forse la determinazione con cui l’aveva ignorata e stava aiutando quel tizio, forse per il semplice fatto che quel Weasley era assolutamente fuori posto.
Quei capelli rossicci e ben pettinati, quel maglione di ottima fattura, i pantaloni dalla piega perfetta, la cravatta cangiante che spuntava in mezzo al colletto, le dita lunghe e agili che agitavano la bacchetta.
Tutto era assolutamente fuori posto.
-Non c’è nulla che riuscirai a fare. E’ finita per lui.- gli gridò avanzando verso i due. Alzò la maglia sgualcita e polverosa del ferito: chiazze blu e gialle, striate di rosso, coprivano l’intero stomaco.
-I suoi organi vitali sono k.o. Ci vuole un medimago qui, non è sistemando i tagli superficiali che lo salverai.-
-E allora cosa proponi di fare?- rispose acidamente Percy. –Guardarlo morire?-
A quella battuta Audrey rispose con un silenzio teso.
Sfilò la bacchetta da una tasca dei pantaloni e eseguì diversi movimenti decisi, per qualche secondo non accade niente ma all’improvviso una luce accecante uscì fuori e una figura alta quasi un uomo comparve.
Percy strabuzzò gli occhi quando comprese che si trattava di un Patronus dall’aspetto di un orso feroce. L’animale si alzò su due zampe e ruggì prima di allontanarsi velocemente verso un muro e scomparire.
-Forse Florence riuscirà a venire.- disse Audrey fissando il punto in cui il suo Patronus era scomparso. –Non possiamo perdere altro tempo, fra quindici minuti questa zona verrà bombardata dai Babbani.-
-Bomba..cosa?- chiese confuso alzandosi da terra e lasciando il moribondo e rivolgendogli uno sguardo triste.
-Corri. Devi correre.- fu l’ultima cosa che gli disse Audrey prima di accelerare il passo.


Audrey si fermò solamente quando intravide sul fondo della strada le luci e la strada sbarrata da centinaia di Babbani in divisa.
Prese per un braccio il funzionario inglese e lo trascinò fuori dalla strada principale, andandosi a nascondere fra i pochi alberi disseminati lungo il ciglio dell’autostrada.
Imprecò appena e si lasciò scivolare a terra.
-Merda.- ripeté di nuovo.
Percy la fissò sconcertato, le sue dita stringevano convulsamente la bacchetta e il suo cervello cercava di reprimere ogni suo istinto vigliacco.
“Non oggi. Non questa volta”, si ripeteva cercando di darsi coraggio.
-Non possiamo entrare, giusto?- le domandò, ma lei non parve sentirlo.
Stava cercando di riprendere fiato e continuava a tastare le tasche contando a voce alta.
Sembrava troppo assorta anche solo per accorgersi del vento freddo che spazzava via ogni sensazione di calore.
Lei si alzò e gli rivolse uno sguardo serio.
-Ora tu mi ascolterai bene, perché non posso farti da balia, stasera.- gli disse sibilando. –Ora prenderemo una di quelle due auto là in fondo, tu fingerai di essere incosciente, di essere stato ferito  brutalmente. Quando avremo superato la barriera, saremo in territorio nemico. Dovremo trovare dei camici e fingerci medici. Se sarà necessario li ruberemo. Una volta con in camice addosso potremmo girare indisturbati per l’ala ovest e cercare di trovare questi Delacour che state cercando disperatamente.- si voltò verso l’ospedale, respirando profondamente. –Intesi?-
-Intesi.- soffiò appena Percy sistemando il colletto della camicia e la bacchetta nella tasca dei pantaloni.
Audrey lo fissò alzando un sopracciglio e con un accenno di risa negli occhi gli diede una leggera spinta. -Dai, muoviamoci.-


Una volta che Audrey riuscì a far partire l’auto, fu fin troppo semplice varcare la barriera dopo uno sbrigativo controllo, passare oltre le file e file di carrarmati in attesa di partire e gli sguardi impenetrabili dei giovani armati di fucili e pronti a scendere in campo per scrivere la storia, una storia.
Quando Audrey fermò l’auto e lo fece scendere velocemente, quasi nessuno prestò attenzione a quel duo bizzarro che entrava silenziosamente fingendo di zoppicare.
L’atrio dell’ospedale era pieno zeppo di persone ferite, di medici che urlavano, di militari che spintonavano, il caos più totale.
-Attaccati a me e seguimi.- gli sussurrò vicino all’orecchio. S’incamminò subito dietro di lei, mentre si faceva strada nella folla e raggiungeva a grandi passi un infermiere e un militare che trasportavano un carrello pieno di medicinali e soluzioni fisiologiche.
Audrey si avvicinò a loro, quasi come un’ombra e punto una piccola pistola contro la tempia del soldato.
-Girate a destra, ora.-
I due uomini sobbalzarono ma ubbidirono, uno intimorito e l’altro certo di poterla affrontare in quella stanzetta, ma non ebbero nemmeno il tempo di vedere in volto Audrey che lei puntò l’arma contro la tempia del militare e sparò.
Gli schizzi di sangue colpirono il muro e il pavimento, imbratto parte del braccio della donna e lasciò sconvolto l’infermiere che tentò di urlare.
Ma l’urlo gli morì in gola non appena l’arma esplose un altro colpo che lo centrò in pieno volto.
-Aiutami a togliere queste divise.-
Percy con mani tremanti tolse la giacchetta azzurra del medico e la indossò, prese anche il suo tesserino di riconoscimento e lo mise al contrario.
Audrey invece prese solamente le armi del militare, ripulendo il morto di ogni cosa.
Non si parlarono quando uscirono da quella stanzetta e nemmeno quando qualcuno nei corridoi gli rivolgeva strane occhiate.
Impassibile.
Un'assassina impassibile.
Ecco cos’era Audrey Rivers.
E Percy era convinto che non avrebbe esitato in situazioni estreme a farlo fuori.
Sfiorò con le dita la piccola sporgenza della sua bacchetta e una magra consolazione lo pervase; rimaneva comunque un mago.


Avevano percorso molti corridoio senza trovarli, nessuna traccia dei coniugi Delacour e la cosa stava facendo arrabbiare Audrey che ormai spalancava le porte e le tende, spaventando a morte medici e degenti gravemente feriti, sorpassava la gente spingendola contro l’altro lato del corridoio e lanciava sguardi carichi di tensione al suo orologio.
-L’alba sta sorgendo …- disse solamente.
Ancora poche ore e le autorità avrebbero innalzato la barriera magica.


Fu Percy ad accorgersi di un signore seduto su una panca, con gli abiti sgualciti e l’aria distrutta, e a riconoscerlo nell’istante in cui incrociò gli occhi azzurri, gli stessi occhi di Fleur.
-Signor Delacour …- mormorò solamente.
L’uomo alzò lo sguardo e confuso lo fissò a lungo prima di esclamare il suo cognome. –Weasley!-
-Dov’è sua moglie?- chiese impaziente Audrey intromettendosi bruscamente fra i due.
L’uomo sembrò irrigidirsi improvvisamente. –Lei … Suzanne, lei…-
-Bene, allora dovrà seguirci. Abbiamo una Passaporta che parte fra un’ora esatta, andiamo nei bagni e ci smaterializzeremo da lì.- li istruì la donna, marciando verso la fine del corridoio.
Percy accompagnò il signor Delacour. –Dobbiamo affrettarci, la Francia chiuderà i confini magici.-
-Lo so. Gabrielle è già in Australia, per fortuna.- sussurrò. –Vorrei solo vedere Suzanne …-
Percy aumentò la stretta alla spalla del padre di sua cognata. –Purtroppo non possiamo.- disse sommessamente.
Dello strano fumo invase il corridoio e Audrey cominciò a correre verso la direzione opposta, trascinandoli dietro di sé.
Tirò fuori la pistola che aveva usato per uccidere i due poco prima, la privò del silenziatore e la caricò velocemente.
-Siamo stati scoperti.- disse solamente quando intravide una dozzina di uomini.
-Getta l’arma ragazza!- gridò uno di loro.
Audrey si mise davanti ai due, Percy tirò fuori istintivamente la bacchetta.
-Weasley, smaterializziamoci non appena lasciò l’arma a terra, okay. Verso il quartier generale, il punto di partenza.- mormorò la giovane.
Quando Audrey sentì una mano stringerle la spalla, lasciò l’arma a terra e chiuse gli occhi.


Nel momento in cui Percy aprì gli occhi e si ritrovò nell’atrio buio del quartier generale, realizzò che qualcosa doveva essere andato storto.
Sentì qualcuno tossicchiare e si girò a vedere chi fosse.
Tirò un sospiro di sollievo quando riconobbe il signor Delacour seduto a terra e impolverato.
-Cosa è successo?- domandò con pesante accento francese.
Percy voltò la testa, certo che Audrey Rivers avesse la risposta giusta.
Ma nulla di cattivo o sbrigativo uscì da quelle labbra sottili.
Audrey, l’impassibile assassina, era riversa a terra, il volto coperto dai ciuffi biondi e dalla fuliggine.
Sotto il suo corpo pozze di sangue si espandevano.








[Ringrazio chi ha letto questa storia, chi l’ha indicata come sue preferita o fra le seguite!
Vi ringrazio dal profondo del cuore!
Buona giornata e Buon Primo Maggio a tutti!]

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Capitolo 4
*** Duty ***


#Duty
 
 
Freddo.
Il freddo era entrato dentro lei e aveva cominciato a ghiacciare ogni suo organo, ogni barlume di vita.
Tenebre.
Le tenebre, ombre scure e lampi di luce spettrale, erano tutto quello che vedeva, mentre la vista si annebbiava, scompariva e poi ritornava prepotente.
Acqua.
Aveva sete, una terribile sete. Era l’unica cosa che la sua mente persa nel dolore riusciva a pensare.
 
 
Conosceva fin troppo bene quei corridoi bianchi e verdi del San Mungo, li aveva percorsi per giorni interi dopo la Battaglia di Hogwarts, per stare vicino al corpo freddo di suo fratello, per stare vicino al futuro Ministro gravemente ferito, per fare qualcosa.
Le luci tremolavano al suo passaggio mentre superava la porta che divideva l’ospedale Magico da quello Babbano, le torce magiche che si confondevano, sempre più, con le lampadine al neon.
Quando aprì la porta, fu colpito dall’odore pesante del disinfettante, dal candore e dal silenzio che regnava sovrano in quella parte di ospedale.
SI fermò di fronte alla terza finestra di vetro e fissò la paziente numero centoventidue dormire apparentemente serena.
Audrey Rivers se ne stava lì, col volto parzialmente coperto da bende bianche, fili di ogni tipo e di ogni colore la ricoprivano e la collegavano a macchine Babbane.
Eccola lì, quella normale ragazza che sapeva trasformarsi in un feroce boia, quella ragazza che aveva spalancato le braccia e li aveva protetti fino alla fine.
Che lo aveva protetto fino alla fine.
Quel pensiero, prima timido e ora feroce, lo tormentava, confondendosi con gli antichi sensi di colpa.
Ed erano quei sentimenti intricati fra loro che lo portavano ogni sera a passeggiare per quei tetri corridoi, ad ignorare le mute domande dei suoi familiari che chiedevano il perché di tanto silenzio e segretezza, a fissare quel vetro nella speranza di vedere un movimento, un occhio aperto, una mano che si muova.
Come al solito, le sue preghiere silenziose ed intime non erano ascoltate.
Ancora una volta, Percy Weasley non poteva fare niente per riparare ai suoi errori.
Avrebbe dovuto ignorare quel ferito.
Avrebbe dovuto seguirla fin da subito, sbrigarsi e nessuno li avrebbe trovati in quell’angolo maledetto.
E la signora Delacour sarebbe ancora viva.
E quell’Auror, quella sua coetanea, avrebbe continuato la sua normale vita.

E…
 
Fu la guaritrice Lucy Derwent a svegliarlo da quel torpore mentale che gli aveva impedito di accorgersi della sua silenziosa presenza. Percy la fissò per un lungo momento, quasi volesse leggere quella mente, anticipare ogni parola, senza usare la bacchetta.
La guaritrice si sistemò un boccolo castano dietro l’orecchio e gli sorrise appena.
-L’operazione Babbana è andata bene, hanno estratto tutti i resti del proiettile scheggiato e per ora siamo certi che si sveglierà.-
-E quando?- domandò con urgenza Percy, tormentandosi il lembo finale della sua cravatta ormai sfatta.
-E’ quello l’unico problema, non siamo in grado di dirle se si sveglierà oggi o fra tre giorni. I parametri vitali sono buoni e ogni giorno che passa acquista forza. Quando il suo corpo sarà pronto a risvegliarsi, sono certa che la signorina Rivers riaprirà gli occhi.- disse ottimista la donna.
Entrambi rimasero a lungo in silenzio, contemplando il scenario deprimenti di quella stanza spoglia in cui Audrey riposava.
Nessun fiore, nessuna famiglia a circondarla e a piangerla un po’, a pregare per il suo risveglio.
Nessuno.
Ed era quello che lo tormentava, l’idea che Audrey, una ragazza normale e sua coetanea non avesse nessuno.
-E’ venuto qualcuno oggi?- si azzardò a domandare Percy.
La guaritrice scosse la testa lentamente. –No, nessuno è passato. Ho chiesto a mia sorella al Ministero se poteva contattare qualcuno dell’ufficio Auror.-
-E che hanno detto?-
-Nulla che non avessi capito prima.- sospirò Lucy Derwent prima di parlare nuovamente. –Pare che non abbia mai indicato nessun indirizzo di un familiare da avvertire. –
Percy s’infilò le mani nelle tasche e fissò con ancora più angoscia il vetro.
“Non ha nessuno”.
 
 
Quando Audrey Rivers aprì gli occhi era notte fonda.
Non riuscì subito a distinguere il mondo intorno a lei, così preferì stare a sentire il ritmico suono del suo battito amplificato dalla macchina vicino a lei.
Sapeva dove si trovava e la cosa la stava già irritando.
Di nuovo in ospedale, di nuovo ferita.
Ormai era diventata una regola da rispettare quella di farsi quasi ammazzare a fine missione, prima a Dumstrang, in Inghilterra poco prima della vittoria a Hogwarts e poi in Francia. Per un pelo in Asia non era morta cadendo da un palazzo.
Già, per un pelo.
Considerò l’idea di alzarsi e andare in bagno, rimediare qualche abito in giro e magari fuggire velocemente da quel posto, ma il dolore che sentiva, sordo e lontano, alla schiena era come un avviso di garanzia che le impediva di andarsene sul serio.
Così si addormentò lentamente, scivolando verso sogni pallidi e incubi feroci.
 
 
Molly Weasley era una donna che tendeva ad impicciarsi e a curiosare nella vita personale dei suoi adorati figli.
Lo aveva fatto con Bill e Fleur, tormentava da anni Charlie, fissava Ron e Ginny con sospetto ogni volta che uscivano fuori, ma solo due figli non si azzardava più a farlo: George e Percy.
Quasi due anni erano passati da quel giorno, eppure ogni volta che li vedeva il dolore ritornava forte e deciso a colpirla come quel maledetto giorno.
George non sorrideva più come prima, non infastidiva più nessuno, non si lanciava più in lunghe discussioni sulle sue geniali opere. Preferiva il silenzio, preferiva passeggiare con le mani in tasca per il giardino, preferiva volare con la sua scopa per la città, percorrendo miglia e miglia.
Invece, Percy, rimaneva granitico come sempre.
Silenzioso e poco disponibile a fare cose che non riguardassero dormire, mangiare appena e lavorare.
Spesso vedeva che si lasciava prendere dalla malinconia, dalla rabbia e da molti altri sentimenti, ma se gli rivolgevi una sola parole, lui negava tutto, fuggiva inventandosi impegni e doveri.

Adesso doveva affrontare la tristezza del signor Delacour, del vento di morte che soffiava dalla Francia, della spaventata Fleur e dell’impotenza di suo figlio Bill. E lo avrebbe affrontato con la solita forza che aveva, quella di sorella che ha seppellito i suoi fratelli maggiori, quella di madre che ha salutato per l’ultima volta un figlio.
Quel mattino era cominciato come tutti gli altri giorni della settimana, con una abbondante colazione, con le lettere che mandava regolarmente a Charlie e la lista della spesa.
Quando portò il cibo in tavola, aiutata da un Arthur ancora assonnato ma sempre disponibile, non si accorse del leggero sorriso che increspava le labbra di Percy.
Aveva posato il giornale che aveva appena letto, lasciandolo sulla sedia del padre e leggeva con grande attenzione una breve lettera giunta attraverso un gufo marroncino, tranquillamente appollaiato sullo schienale di una sedia.
Molly si accorse di quello sguardo solo quando si avvicinò e gli diede la solita tazza di caffè bollente.
-Tesoro, cosa è successo?- domandò incerta.
-Niente di che, mamma.- disse lui prima di alzarsi, bere velocemente la tazza e scomparire dalla sua vista.
-Tu credi che sia successo qualcosa di positivo?- chiese ad Arthur, l’altro silenzioso spettatore di quella strana scena.
-Credo di sì, cara.- disse lui sedendosi e aprendo il giornale. –Di solito non sorride.-
 
 
Lucy Derwent aveva almeno trent’anni di esperienza nel campo medico, aveva affinato sempre di più le sue tecniche magiche, integrandole con le piccole rivoluzioni della medicina Babbana, compiendo scelte alcune volte discutibili.
Ma quel giorno era irremovibile, la signorina Rivers non si sarebbe alzata da quel letto per almeno altri cinque giorni.
-Ma io sto bene!- gridava Audrey contro la guaritrice.
-Non mi pare che le analisi dicano questo, signorina.- rispose piccata la signora Derwent. –Quindi finiamo qua, questa sterile conversazione.-
C’erano diversi tipi di pazienti.
Quelli che la ringraziavano commossi ogni volta, quelli che invece sembravano indifferenti alle sue parole, quelli che gridavano ordini e chiedevano di essere lasciati andare.
E quella ragazza bionda faceva parte del terzo gruppo, il più difficile da tenera a bada e da curare.
Quando uscì dalla stanza, molto più stanca di quando era entrata, ritrovò fuori il signor Weasley.
-Oh, è arrivato subito, io l’aspettavo per sera.- disse sorpresa.
-Ho appena dieci minuti, volevo solo salutarla e ringraziarla per … Per quello che ha fatto.- balbettò Percy confuso. Era veramente quello il motivo per cui era venuto?
A quella domanda non sapeva nemmeno lui rispondere.
-Tecnicamente l’orario visite è fra due ore, ma se è solo per dieci minuti … Può entrare.- terminò infine, lasciandolo passare.
Percy camminò con sempre meno sicurezza finché non incontrò lo sguardo irritato di Audrey mentre tentava di sedersi ma qualcosa glielo impediva.
Nessuno dei due parlò a lungo.
Una sorpresa.
L’altro perplesso.
 
 
 -Weasley, che ci fai qui?- disse infine Audrey distogliendo gli occhi dai suoi e fissando le coperte linde.
-Io …Io volevo solo ringraziarti.- disse incerto. –Anche a nome del signor Delacour, ovviamente.- aggiunse precipitosamente Percy.  –Naturalmente il Ministero è felice di sapere che presto ritornerai a …-
-Risparmiami cosa dice o vuole il Ministero.- esordì Audrey interrompendolo.  –E’ per il Ministero che ora non posso nemmeno andare al bagno da sola.- disse seccata, mentre perdeva la battaglia che aveva ingaggiato con le sue gambe che non si muovevano come lei voleva.
-Comunque, ero venuto anche per sapere come stavi.- disse Percy. –Due operazioni chirurgiche difficili da sopportare, immagino.-
Audrey ripuntò gli occhi su di lui. –Sto bene. So che deve essere stato uno spettacolo orrendo, ma ci sono abituata ormai. E’ il mio lavoro. E’ il mio dovere.-
Percy aggrottò la fronte.
Non aveva mai pensato in quei termini.
Lui non voleva che altri si sacrificassero per lui, che altri spendessero buoni pensieri e parole sul suo conto.

Non dopo quello che aveva fatto.
-Direi che sei stato fin troppo gentile a trascinarti fino a qui, puoi andare, avrai sicuramente un mucchio di scartoffie da leggere.- ridacchiò Audrey allungando una mano per stringere la sua mano.
-Oh, certo, hai ragione devo andare.- strinse la sua mano, notando il leggero sudore e l’accenno di forza nella stretta. –Io sono sicuro che ci rivedremo in dipartimento, qualche volta.-
Si congedarono rivolgendosi appena un sorriso ma Percy non riuscì, una volta aperta la porta, a trattenersi.
Lui che si tratteneva sempre, lui che circoscriveva persino le emozioni, ora stava esplodendo, come era esploso due anni fa.
-Non lo hai fatto per dovere vero? Non ti sei presa quelle cose Babbane solo per dovere.-
Audrey rimase a lungo in silenzio, sperando che quel giovane funzionario se ne andasse, tuttavia lui se ne stava lì, in piedi e pronto a starsene lì altro cento anni.
-Quando fai questo tipo di lavoro, la tua vita non conta più nulla. Vivere o morire sono solo dettagli, l’importante è completare le missioni o almeno provarci. Non sarò la prima né l’ultima a morire per dovere.- parlò piano la ragazza, quasi come sussurrasse quelle parole più a sé stessa che a Percy.
E quando sentì la porta chiudersi, perse del tutto la battaglia con le sue gambe e si distese bruscamente.
Chiuse gli occhi e regolarizzò il suo respiro agitato e ripeté più volte il suo mantra.
Dovere.
Il dovere prima di ogni altra cosa.



* * * * *
 
 
 
 
[Ringrazio tutte le adorabili persone che leggo, recensiscono, passano, mettono fra le seguite/ricordate/preferite questa storia. Senza la vostra partecipazione non continuerei a scrivere con rinnovato entusiasmo ogni volta.
Spero che vi sia piaciuto il capitolo.
Un  bacio, Midori_]

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Capitolo 5
*** Alarm ***


#Allarm


Tre suoni lunghi.
Due corti.
Infine uno più lungo, quasi eterno.

Era questo l’allarme creato dal risorto Ministero  per avvertire l’inizio della chiusura delle frontiere per tempo indeterminato.
Semplici suoni che combinati insieme avvertivano giovani e vecchi che altri sacrifici venivano riscossi dallo stato.
Era stato Percy a inventarlo.
Nulla di così complicato, la sua celebre intelligenza gli aveva suggerito che far viaggiare decine di migliaia di gufi non sarebbe stato possibile, quindi decise di far viaggiare quel suono in ogni casa magica, far vibrare ogni bacchetta.
Pur avendo seguito passo per passo le fasi dell’invenzione, non sapeva quando Kingsley avrebbe innalzato la barriera.

Quando sarebbe cominciata quella nuova misura?

Quando le tenebre avrebbero cominciato a dominare, di nuovo, in Inghilterra?

A Percy quelle domande, questioni che intere famiglie si ponevano la sera mentre salutavano il sole e accoglievano tetri le ombre, non interessavano.
Lui non era mai uscito al sole.
Lui viveva bene nelle sue ombre, ci era abituato e ci stava bene.
Nessuno gli rivolgeva strani sguardi, parole sussurrate e poi ritirate, accuse flebili e dolore.
Nel buio lui non vedeva niente.
Percy nell’ombra ci stava benissimo.


A casa Weasley il pranzo domenicale era stato servito da molto tempo e il tavolo era ormai sgombro dalla montagna di cibo caldo e dolci di ogni tipo.

Ron e Harry, seguiti poi da George e Ginny, erano usciti per una veloce partitella a Quidditch.
Una tradizione che nonostante tutto era rimasta inossidabile.
Bill e la sua famiglia erano ritornati a casa subito, il signor Delacour non sembrava essersi ripresi ed era caduto in una sorta di profondo stato di dormiveglia, voleva solo dormire.
Dormire il più possibile.

Così, quel pomeriggio Percy rimase seduto al solito posto, tirando fuori centinaia di fogli e cartelle da esaminare, lunghe lettere da scrivere alle organizzazioni di maghi stranieri, si ributtò nell’unico luogo non fisico che riusciva a far calare le tenebre dentro di sé.
Non si accorse dello sguardo serio ed indagatore di sua madre Molly.
Teneva in mano un piatto pieno di biscotti con gocce di cioccolato, ancora caldi, ma il suo corpo si era arrestato di fronte al gelo che quell’angolo della stanza piena di cose, emanava.
Lo poteva sentire quel gelido soffio di sofferenza.
Era quello che lei sentiva costantemente soffiargli sulla nuca, ogni giorno da quella maledetta notte senza stelle.
Per un po’, dopo quella repentina fuga di primo mattino, Molly aveva pensato che il suo figlio più tormentato ritrovasse un’oasi di pace, un amico o conoscente con cui parlare.
Qualcuno che non sapesse nulla delle sue scelte passate e che non gli desse il tempo di allontanarsi.

Invece, dopo quel breve sprazzo di luce, le ombre erano ritornare sul suo volto sempre stanco, sempre immobile.
S’incamminò facendo attenzione alle tante sedie della stanza e lasciò il piatto proprio di fronte a Percy, nell’unico quadrato di spazio libero da carte e boccette di inchiostro.
-Caro, magari dopo ti viene fame.- gli disse mentre gli sorrideva incoraggiante.
Ma per incoraggiarlo a cosa?
Percy alzò appena gli occhi e la fissò per un breve secondo, quasi sforzandosi di essere partecipe, di essere presente in quella stanza.
-Grazie mamma.- rispose meccanicamente.
Normalmente Molly gli sorrideva e se ne andava via, confusa ma anche impotente di fronte a quel invalicabile mutismo, cercando dentro di sé una nuova idea per fargli tornare quel sorriso che tanto amava.
Ma quel giorno si sedette di fronte a lui e si diede coraggio.
Doveva parlare.
Doveva sapere.
Doveva chiedere.

-Perce caro, come … Come va al lavoro?- gli domandò, dandosi subito della sciocca. Era una domanda stupida dato che l’unico argomento di conversazione con suo figlio si concentrava sul lavoro.
Percy aggrottò le sopracciglia e si rimise a leggere con ostinazione. –Direi che va bene come sempre. Ne abbiamo parlato a pranzo.- la informò.
-Giusto, giusto.- concordò Molly. –Senti caro, che ne dici se invitiamo quell’Auror che ha salvato il signor Delacour. Fleur mi ha scritto che da un po’ il padre chiede di quest’Auror, sono sicura che gli farà piacere.-
-Non so dove sia finita Rivers, so solo che è uscita dall’ospedale.-
-Ma Kingsley saprà assolutamente come ritrovare l’indirizzo. Potrebbe cenare con noi, magari Ron e Harry potrebbero fare delle domande più precise sul test, sulle lezioni e cose di questo genere.-
Sentendo la proposta Percy rabbrividì.
Rivers.
No, non gli piaceva quell’idea.
Quella ragazza era … Era un continuo mistero.
Un groviglio di fili che non voleva slegare.

La settimana prima gli aveva mandato un gufo, giusto per augurarle buon Halloween.
Si sarebbe aspettato una risposta educata nel giro di qualche ora, invece nulla.
Per quanto ne sapeva poteva essere già in qualche altra battaglia dall’altra parte del globo.
C’era l’Est Europa pieno di Mangiamorte in fuga, l’Africa neutrale e terra piena di piccoli e grandi gruppi di Maghi Oscuri, le Americhe che non erano in grado per ora di capire chi li stesse attaccando; erano i maghi asiatici oppure organizzazioni criminali?
-Non ho la più pallida idea di dove sia Rivers, né mi interessa saperlo. La prossima volta che la vedo, cosa di cui dubito, gli dirò di passare dal signor Delacour. Mamma, vorrei ricordati che Rivers è un Auror dell’Ufficio Internazionale, potrebbe essere già partita.- disse quasi con stizza, cercando di non alterare la voce.
Ma nessuno di due poté dire altro.

Tre suoni lunghi.
Due corti.
Infine uno più lungo, quasi eterno.




Un brivido.
Solo un brivido si concesse quando l’aria di quel bar dimenticato e polveroso venisse squarciata da quei suoni.
Appoggiò con delicatezza la bottiglia di birra e si guardò intorno.

Sguardi vuoti ed occhi lucidi.
Indifferenti ed annoiati come lei.
Riprese a bere, finì la bottiglia e chiese del Whisky Incendiario.
Il barista, capelli grigi e aria minacciosa, le ricordò che erano soltanto le tre del pomeriggio di una normalissima domenica.
-Chiudi quella bocca e versami da bere.- sibilò improvvisamente piena di rabbia.
Il barista la fissò indispettito ma poi le portò un bicchierino di Whisky.
Audrey lo finì con un solo e pesante sorso che risuonò nelle sue orecchie.
Il liquido le stava bruciando ogni piccola vena, ogni grumo di sangue.
Sembrava quasi un alito di vita in corpo morto.
Poco dopo aver pagato, sgusciò via e si diresse in un vicolo per smaterializzarsi.
Aveva chiuso gli occhi, cercando di vincere la nausea che ogni volta che si smaterializzava saliva prepotente e tentava di straripare, e quando li riaprì si pentì di averlo fatto.
Di fronte a lei c’era il caos più totale, ad investirla per prima furono i colori delle veste da mago, dei mantelli, dei pantaloni dalla piega rigida, i cappelli e i guanti di chi se ne stava nell’atrio a gridare cose difficili da captare e ancora di più da comprendere.
Lo sapevano tutti che la barriera, alla fine, sarebbe stata attivata.
Troppi i Mangiamorte in libertà e alla ricerca di uno scontro, mortale o inutile, non aveva molta importanza per persone spogliate dei loro beni, dei loro titoli e del loro discutibile orgoglio.
S’incamminò con qualche difficoltà, la sua gamba destra era ancora rigida.
Le nuove ossa e i muscoli ricostruiti sembravano aver deciso di non ascoltare i suoi ordini, i suoi impulsi nervosi arrivava in differita di qualche secondo, impedendole di camminare con il giusto e naturale ritmo.

Così zoppicando e tirando qualche spallata riuscì a raggiungere l’ascensore.
Era troppo contenta di aver raggiunto l’angusto spazio che si accorse dell’altro passeggero solo quando le porte si chiusero con uno scatto.
Capelli rossi.
Occhiali da vista che quasi aumentavano i cerchi bluastri intorno agli occhi.
Mantello scuro e cravatta perfettamente al centro.
Insomma, Percy Weasley.



Entrambi si erano accorti l’uno dell’altro, ma entrambi erano convinti che il silenzio era l’unica arma da sfoderare.
-Allora, è confermato?- chiese improvvisamente Audrey, ricordandosi dei tre suoni.
-Sì, è stato appena confermato.- rispose meccanicamente Percy mentre la porta si riapriva rivelando un corridoio pieno di persone che conoscevano. Quando notò la difficoltà della ragazza nel camminare correttamente le spalancò la porta e la lasciò passare per prima, beccandosi una occhiata torva.
-Potrò dire a mia nonna che ho appena visto l’ultimo gesto galante di questo pianeta.- disse lei scuotendo la testa.
-Questa si chiama educazione, non galanteria.- la corresse lui.
Audrey scrollò le spalle ed alzò le mani verso l’alto. –Sì, scusi signor agente. Non lo farò mai più.- disse lei ridacchiando.
Ma la sua risata, la prima risata che Percy aveva mai udito uscire da quelle labbra sottili, morì improvvisamente.
Gli occhi della ragazza erano fermi a fissare un gruppo di persone.
Si trattavano di Harry Potter, il Ministro Kingsley e il Capo Auror della squadra Internazionale John Bolton.
-Che ci fa lui qui?- ringhiò quasi Audrey.
Percy attese qualche secondo prima di rispondere. –Le cose stanno peggiorando.-
-Talmente tanto da richiamare John Il Mannaro?-
-E’ il tuo capo.- ribatté infastidito Percy. –Ed è a lui che devi chiedere se le cose stanno peggiorando anche per te.-
Audrey lo fissò seria per qualche secondo.
Notò che lo sguardo corrucciato di Percy, gettava delle strane ombre sul suo volto, come se la invitasse a scavare più a fondo.
Ma cosa ne poteva sapere lei di un funzionario del Ministero?
Respinse quella sua indole investigativa e si diresse verso quel gruppetto che parolottava a bassa voce.

Quando Audrey entrò nel campo visivo del suo capo, un’immaginaria folata di vento aveva irrigidito i loro corpi e i loro sguardi.
-Ma guarda un po’ chi c’è qui. Strano Rivers, non eri rimasta sepolta da qualche parte?- domandò ridacchiando Bolton.
Audrey sorrise alla battuta e fece uno strano inchino. –Come vedi sono ancora in piedi. Mi piego, ma non mi spezzo e tu dovresti saperlo bene.-
Bolton, un uomo non particolarmente alto, con lunghi capelli castani tenuti raccolti in una sobria coda e il volto magro percorso da una leggera cicatrice, sorrise.
-Già.- sospirò teatralmente indicando la sua cicatrice. –La mia faccia ha conosciuto il tuo furore, ma tu non hai ancora assaggiato quello che so fare, mia cara.-
Audrey fece una smorfia schifata. –La prossima volta che tenti di minacciarmi ti prego scrivimi una lettera, altrimenti corro il rischio di addormentarmi.-
Bolton ridacchiò appena e le indicò una porta aperta, la ragazza sospirò infuriata e zoppicando s’infilò nella stanza.

Percy si sistemò gli occhiali con energia.
Non era la prima volta che vedeva Bolton, ormai nelle ultime settimane era diventato parte integrante del gabinetto del Ministero, ma mai lo aveva visto parlare in quel modo.
Da quel che aveva capito, Audrey Rivers oltre ad essere un Auror aggressivo e spietato, era pure l’insolenza fatta persona.
Il suo sguardo perplesso incrociò quello confuso di Harry.
-Ma che è successo?- chiese il giovane Grifondoro.
-Non ne ho idea.- rispose Percy.




[Ringrazio coloro che hanno letto fino a qua, questo ennesimo capitolo! Buona Navigazione e Lettura!^^]

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Capitolo 6
*** Past ***


#Past






C’era qualcosa di irritante nella strana uniforme dei maghi di Bolton, gli Auror della sezione Internazionale, quei colori scuri, quell’accenno di verde.
Lo riportava indietro a qualche anno prima, a quella sera in cui aveva conosciuto il perdono, la fratellanza ed infine la morte.
Audrey se ne stava in un angolo, isolata dagli altri, con una strana espressione fissava Bolton accerchiato da decine di altri Auror e sembrava quasi volesse ucciderlo con lo sguardo.
Percy si avvicinò porgendole un pesante fascicolo dalla copertina rossa.
-No.- disse solamente la ragazza fissandolo. –No, non può essere questo il mio nuovo compito.- sibilò lei guardando schifata le centinaia di pergamene.
-Sono gli ordini di Bolton.-
-Finirò per ammazzarlo.- ironizzò lei. –Ucciderò il Primo Ministro Babbano alla prima occasione.-
Il giovane funzionario alzò il sopracciglio. –Tu non sei normale.- commentò secco.
-Già, mia nonna mi diceva sempre che mio padre mi aveva fatto cadere dalla sedia a tre, questo piccolo evento mi ha spappolato il cervello.- disse sovrapensiero mentre scorreva velocemente le pagine del fascicolo.
Percy la fissò in silenzio.
Non capiva quelle strane sensazioni che negli ultimi giorni lo avevano fatto dormire dormire poco e mangiare ancora meno del solito.
Si sistemò nervosamente la cravatta e gli occhiali.
-E’ vero? E’ vero quello che si dice in giro su di te.-

Silenzio.
Audrey rabbrividì quando sentì quelle poche parole e per poco non fece rovesciare il fascicolo.
S’irrigidì e cominciò a sentirsi in trappola.
Ancora una volta, la sua fama, l’aveva preceduta.
Ammazza Compagni.
Era con quel soprannome che molti la chiamavano nell’ambiente.
Negli anni aveva avuto molti compagni, troppi erano caduti durante la guerra, durante le missioni.
Ma un solo evento l’aveva trasformata da bravo Auror a mostro.
La morte del nipote di Bolton.
Deglutì la saliva che le impediva quasi di respirare e sollevò lo sguardo.
Prima regola di un Auror, mai avere paura.
-Sì, è vero. John Bolton era ferito gravemente e per non portarmi pesi morti in giro per le Alpi, io …- Audrey si bloccò cercando di reprimere il velo di rabbia e terrore che spuntavano dai suoi occhi, trasformati in lacrime. –Io l’ho lasciato indietro.-
E poi solo il silenzio.

Nella sua vita breve aveva visto molto.
Aveva vissuto fin troppo.
Aveva conosciuto le sfumature dei difetti degli esseri umani, la codardia, la rabbia, la frustrazione, i sensi di colpa, il vittimismo.
Le aveva conosciute tutte e riusciva a viverle ormai con una certa serenità, convinto di non poter essere nient’altro che il “Weasley che tradì”.
Eppure per la prima volta si ritrovò a pensare che forse c’era chi soffriva di più, chi aveva pene più grandi da sopportare.

Quando Audrey aprì gli occhi, li richiuse immediatamente.
Odiava dormire.
Odiava rivivere il passato.
Li aveva rivisti, di nuovo.
John, Mace, Florence, Patrick.
Li aveva persi, di nuovo.
Solo che stavolta, in quell’incubo, anche lei era morta.
Una maledizione senza perdono l’aveva colpita alla schiena, scaraventandola a terra, risucchiandole la vita, impedendole di respirare, lasciandola morire.
Deglutì e si mise a sedere, scalciando le coperte e accendendo la luce.
No, non era morta, constatò quando si guardò attorno, e nulla poteva cambiare il passato.






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Capitolo 7
*** Winds of War ***


#Winds of War


Non dormiva da giorni.
Non dormiva da settimane.
Le sue occhiaie ormai facevano parte del suo viso, come se fossero un nuovo organo, un nuovo naso.
La sala riunione del Consiglio della Difesa era nuovamente vuota. L’ultima riunione era stata sciolta qualche ora prima, i generali e comandanti era ormai sulla via del ritorno alle loro basi, magari alcuni di loro avrebbero abbracciato per l’ultima volta figli e moglie.
L’indomani mattina, l’Inghilterra si sarebbe dichiarata favorevole o contraria alla guerra.
Audrey respirò rumorosamente mentre guardava la cartina dell’Europa lasciata al centro del lungo tavolo.
-Credi che sia una buona idea, Sergente Rivers?- chiese una voce che spuntò dietro le sue spalle.
Nella stanza era appena ricomparso il Primo Ministro, fra le mani teneva due bicchieri di Whisky.
Audrey prese un bicchiere, cercando di fermare il tremolio alla mano.
Il suo corpo non era del tutto guarito e lei lo stava spingendo al massimo.
Bevve tutto il solo sorso e si sedette di fronte al Ministro.
-Ho sentito che non sei favorevole alla guerra.- disse solamente.
-La Francia è ben armata, ha un numero maggiore di persone e quindi di futuri soldati e un paese troppo vasto da bombardare tutto in una notte.-
-Ma non conti in fattore americano.-
-Io non mi fiderei di quei gradassi, ma è lei per fortuna il Ministro, sta a lei e al Parlamento scegliere.-
Il Ministro si toccò più volte in naso. –Cosa pensi dei … Di quelli come te?-
Audrey s’irrigidì. Si era preparata a quella domanda, da molto tempo ormai il Ministro era accerchiato da richieste e sollevazioni popolari.
La gente chiedeva sangue, ma non aveva idea di quanto distruttiva poteva essere un’altra guerra.
-Purtroppo, anche in quel mondo, la mia parola non conta nulla.-
Il Ministro sorrise e annuì. –Capisco, ma dimmi, voi potete darci una mano … -
-Noi combatteremo quelli come noi che si arruoleranno negli eserciti nemici. Nulla di più, nulla di meno. Ma le consiglio di parlare con il nostro Ministro.- rispose Audrey indicando il camino.
Il Ministro Babbano seguì il suo sguardo incerto. –Ma come diamine ci riuscite? E’ chimicamente impossibile. Va contro tutte le nostre leggi.-
Audrey sorrise e si alzò, prese un po’ di Metropolvere che teneva in un sacchetto in tasca.
Si girò verso il suo superiore, gettò la polvere e le fiamme guizzarono verso l’alto, lingue di fuoco verdi e gialle. –Pura magia, Ministro.-



Percy alzò lo sguardo dalla pila di documenti che stava esaminando alla sua scrivania quando un messaggio planò verso di lui.
Lo prese al volo, nonostante i suoi muscoli si fossero atrofizzati dal troppo lavoro.
Kingsley lo stava convocando per una straordinaria riunione del gabinetto sull’emergenza Babbana.
Percy stracciò il foglietto e lo gettò nel piccolo cestino affianco alla grande scrivania.
Si passò le mani sul volto e cercò di trovare la forza di alzarsi ed essere impeccabile.
Un’altra serata in bianco.
Un’altra ancora e sarebbe morto.
Si alzò lentamente ed indossò il mantello, mentre camminava lentamente cercò di sistemarsi la cravatta con pochi risultati.
Entrò nella sala delle riunioni e salutò con un cenno Kingsley.
-Sembra che l’intero mondo si sia messo contro di me, non riesco più a dormire per più di tre ore.- sbuffò il Ministro magico mentre apriva una cartelletta ed esaminava diverse pergamene.
-Già. Il mondo è impazzito.- fu l’unico commento di Percy prima che due persone entrassero nella sala. Riconobbe subito il nuovo Premier Babbano, un certo Jhonson, e Audrey Rivers.
O almeno l’ombra di Audrey Rivers.
Doveva aver perso tutti i chili accumulati durante la degenza in ospedale, gli occhi erano cerchiati di blu, il volto scavato e stanco, la camminata ancora insicura e zoppicante.
-Il vostro palazzo e le vostre … Tecnologie , sono ammirevoli.- esordì Jhonson. –Sergente ora può aspettare fuori.- disse dando una leggera pacca sulla spalla, pacca che stava per farla praticamente inciampare.
-Percy, Rivers m sembra messa male, vedi cosa puoi fare.- ordinò Kingsley mentre si alzava per stringere la mano all’altro Ministro.
Percy se ne andò bruscamente , decisamente irritato dal non essere stato estromesso dal colloquio.
Aprì la porta deciso ad ignorare Audrey quando se la trovò a terra seduta mentre fissava il vuoto.
-Shacklebolt deve convincerlo a smetterla di fare lo stronzo o sarà la fine per i Babbani.- disse continuando a fissare il suo punto immaginare.
Chissà cosa vede, oltre il muro, oltre lo spazio intorno a sé? Si domandò Percy, lasciandosi scivolare accanto a lei, anche lui stanco, anche lui distrutto.
-Quando?-
-Domani mattina ci sarà la discussione con la Regina, l’unica contraria, e il Parlamento. La vedo dura per i pacifisti.-
-Il popolo che dice?-
Audrey scrollò le spalle e si girò a fissarlo. –Il popolo non è importante per quelle teste calde del Consiglio di Difesa.-
-Hai una brutta cera, comunque.- le disse cercando di non sembrare troppo maleducato. Una volta Fred gli aveva detto che alle ragazze andavano solo fatti complimenti e sorprese. E quella frase non era nemmeno lontanamente vicina a un complimento.
Audrey ridacchiò. –Oh, devo essere proprio evidente questa cosa.-
-Vuoi del caffè? Nel mio studio ne ho una caraffa piena.- propose lui alzandosi.
Percy tese una mano e Audrey l’afferrò.
La sua mano era calda, molto più calda della sua, e quando si ritrovò a qualche centimetro dal suo corpo sentì un leggero odore di muschio, stanchezza e di maschio.
Sorrise.
Mai avrebbe pensato a Weasley in quel senso.
Lo seguì in silenzio, cercando di reprimere quello strano sorriso di derisione e simpatia che le era spuntato e alla fine si sedette accanto a lui su un divano duro e una tazza di caffè nero fumante.
-Ormai il caffè non mi fa più effetto.- disse lui mentre lo sorseggiava cercando di non scottarsi.
Percy annuì e le sorrise appena. –Immagino che tu non dorma da settimane.-
-Settimane o mesi? No me lo ricordo.- ripose lei alzando le spalle. –Ma nemmeno tu sembri fresco come una rosa.-
-Diciamo che qui abbiamo avuto solo qualche intoppo.-
-Beati voi.-
Seguì un lungo silenzio, un silenzio rotto solo dai venti di guerra che ormai soffiavano in ogni ufficio, nei cuori di ogni mago.


-Se dovessi … Se dovessi andare direttamente al fronte, potresti occuparti di una cosa?- domandò improvvisamente Audrey stringendo entrambe le mani intorno alla tazza, il volto rivolto verso l’imponente scrivania.
-Di che genere?-
-Io ho solo due parenti in vita. Mio zio è un Babbano e vive in Sudafrica, mentre mia nonna vive ancora in Scozia. Se dovessi morire … -
-Non succederà.- interruppe bruscamente. –Non morirai Audrey.- si avvicinò appena, la mano che ghermiva la spalla.
-La possibilità, una grande percentuale, è a favore della mia morte. E’ un semplice dato di fatto.- rispose lei tirando fuori dalla tasca dei jeans una busta blu. –Qui dentro c’è il mio testamento. Non ho molto, ma quel poco voglio che venga venduto e i soldi equamente divisi fra mia nonna e mio zio.- lasciò la lettera sul tavolino.
-Perché a me?- chiese Percy.
-Perché sei uno dei pochi che non mi guarda come se fossi un mostro.-
-Ma tu non sei un mostro.-
Un gruppo alla gola impedì a Audrey di rispondere. Irritata cercò di asciugare e scacciare via le lacrime silenziose che scendevano lungo il suo volto.
E Percy seppe cosa fare.
Le pulì una guancia con le sue lunghe dita e l’abbracciò.
Un gesto spontaneo.
Un gesto gentile.
L’ultimo gesto umano prima della guerra.



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Capitolo 8
*** Ready for the Battle ***


#Ready for the Battle.




Si svegliò di soprassalto, con la nuca sudata e la bocca spalancata in un grido silenzioso.
Un mantello era stato posato sul suo petto e lo lasciò scivolare a terra, mentre passandosi le mani sul volto e riprendendosi.
Percy si alzò dalla poltrona in cui aveva cercato di dormire nell’ultima ora e si avvicinò.
-Ehi … - le disse avvicinandosi. –Ti sei addormentata e … -
Audrey si voltò bruscamente a guardarlo.
Forse solo in quel momento ricordò le sue lacrime, quell’abbraccio spontaneo, quelle parole di conforto appena sussurrate.
-Sto bene …- disse appena alzandosi. –Sono già le cinque, devo andare. Il Ministro?-
-Shacklebolt è ancora con il Ministro Babbano stanno mangiando in mensa, su al terzo piano.-
Audrey si lasciò andare a un sospiro di sollievo.
Non avrebbe dovuto dormire ed allontanarsi per così tanto tempo dal Ministro Jhonson.
Ancora poche ore e mezza Inghilterra avrebbe preso in mano un fucile o una bacchetta per difendere le loro case e la loro gente.
Pronti per la battaglia.
-Okay, allora vado a raggiungerlo. Se beve troppo, si addormenterà durante le sedute parlamentari e allora sì che scoppierà una guerra.- mormorò cercando di sdrammatizzare.
Non aspettò la sua risposta, prese la sua giacca e si allontanò con passo ancora incerto, ma più lucido verso la porta. –Alla prossima, Weasley.- disse soltanto facendo un breve cenno con la testa.
-Alla prossima, Rivers.- rispose Percy, fissandola confuso mentre lei chiudeva la porta con delicatezza.
E il suo sguardo, ancora stanco e coperto dalle occhiaie, si fermò sulla busta blu lasciata sul tavolino.
No, lui non era l’uomo giusto per queste cose.
Lui non poteva e non doveva ispirare fiducia, in nessuno.
Un tempo forse avrebbe gioito e si sarebbe sentito orgoglioso di essere un custode di un segreto così importante.
Ma ora, alla sola idea che qualcuno come Rivers, una ragazza in balia degli eventi come lui, potesse anche solo sperare di morire e cancellare parte del suo dolore e nonostante tutto avesse ancora fiducia nelle persone, lo ripugnava.
Lui non sapeva cosa significasse avere fiducia.


Audrey si guardò nello specchio posto sopra un lungo lavandino.
Passò una mano bagnata lungo il proprio viso e cercò di sorridere.
Un sorriso d’incoraggiamento.
Sì, ce la poteva fare in pochi minuti, gli sarebbe costato solo una lunga sforbiciata sicura e letale e sarebbe stata pronta per presentarsi.
Guardò la forbice che teneva nell’altra mano e fissò la sua lunga treccia.
-I capelli ricrescono.- mormorò incerta. –E poi tanto non uscirò viva da quel mattatoio …-
Due notti prima, il Ministro le aveva affidato una squadra specializzata in perlustrazioni che sarebbero entrati in azione dopo le pesanti incursioni aeree.
Ma prima di tutto ciò,  Audrey doveva tagliarsi i capelli.
E per la prima volta odiò profondamente il suo lavoro.


Arthur piegò il giornale e lo lanciò nel caminetto non appena sentì i passi strascicati di Percy, ancora addormentato ma già pronto per una lunga notte di lavoro.
-Figliolo, vuoi del caffè?- domandò il padre indicando la tazza e la caffettiera ancora fumante.
Percy annuì distratto e si lasciò cadere sulla prima sedia che trovò.
Aveva trovato la forza per vestirsi e scendere dopo appena tre ore di sonno e ora era di nuovo in piedi e seguire i bombardamenti inglesi in territorio francese.
-A che ora cominciano?- chiese Arthur.
-Non ci è stato detto niente, solo di presentarsi all’una.- rispose Percy bevendo la sua tazza.
-Credi che … Credi che possano contrattare?- Arthur fissò le fiamme, grigio in volto. –Non sono sicuro di quanto gli inglesi in generale possano resistere.-
Percy scrollò le spalle. –Io ho solo brutte sensazioni.- si alzò bruscamente. –Papà, mi raccomando se gli aerei francesi superano la linea britannica, potrebbero arrivare fin qui. Andate in cantina o a Hogwarts, che ancora meglio. Lì sarete al sicuro.-
Arthur annuì lentamente. –E tu?-
-Io andrò al Ministero e rimarrò con Kingsley fino alla fine. Quando sarà tutto finito vi verrò a cercare.- disse velocemente Percy mettendosi il mantello. Stava per smaterializzarsi quando sentì la voce stanca ma gentile di suo padre.
-Sono orgoglioso di avere un figlio come … -
Sorrise e si smaterializzò.


Si accese una sigaretta e la lasciò in bilico fra le labbra sottili.
Fumava raramente e quando sentiva il bisogno di avere quel veleno nei polmoni era perché era certa che l’ora dopo o il giorno dopo non avrebbe più potuto respirare di nuovo.
Fissò distrattamente i maghi e le streghe che si stavano riunendo in piccoli gruppi per parlare e discutere o semplicemente confortarsi.
Si sentiva molto lontana da loro, lontana da quelle vesti svolazzanti, dai copricapi pesanti, mantelli scuri o ricamati, scarpe dalla suola dura.
Lei stava bene con la sua divisa di soldato Babbano.
La sua pelle sembrava gioire a contatto con la stoffa dura, quasi ingessata, di quel verde scolorito.
Il suo capo desiderava solo indossare quel basco scuro con la stella e le sue spalle adoravano il leggero peso del metallo e delle medaglie.
Ne aveva qualcuno, ma la più importante la conservava dentro il taschino interno.
Schiacciò la sigaretta contro il tacco della scarpa e ne accese subito un’altra e lasciò che una boccata di fumo le coprisse la visuale.
Non voleva vederlo ora.
Lui sapeva troppe cose.
Non voleva vedere quegli occhi gentili ed educati che l’avevano fatta cedere qualche sera prima.
Non voleva vedere colui che aveva conosciuto la sua debolezza.


Percy la fissò mentre si toglieva alcuni bottoni della giacca e si sedeva di fronte a diversi schermi, le sue dita vagavano sicure fra centinaia di bottoni, fili, pulsanti, schermi più piccoli e scritte in altre lingue.
-Ho sentito che Rivers è stata assegnata alla squadra d’assalto che dovrebbe invadere Calais e impossessarsi del porto.- disse Kingsley sedendosi accanto al suo vice.
Percy aggrottò la fronte. –Davvero?-
Il Ministro strinse le labbra in una strana smorfia. –Già e la cosa non mi piace. E’ fra i migliori Auror che abbiamo ora. Certo non brilla per le indagini, ma dalle un obiettivo da colpire e lei lo farà … Ma stavolta non credo che riuscirà a tornare.- disse con un soffio di voce.
Percy sentì una strana sensazione. –Perché deve andare a lei? Potremmo chiedere a Bolton di darle qualcos’altro da fare.-
Kingsley scrollò le spalle. –E’ lei che la chiesto. Si è messa d’accordo con Jhonson e il Consiglio di Difesa Babbano. Con lei ci saranno due maghi spagnoli, una strega greca e un centinaio di soldati Babbani super addestrati.-
Improvvisamente un suono forte, quanto una sirena che passava proprio accanto a loro, li zittì.
Audrey e l’altro soldato si alzarono in piedi dalle loro postazioni, con ancora le cuffie alle orecchie.
-Siamo noi? Vero?- chiese la ragazza.
L’altro soldato si voltò a fissarla brevemente per poi spostare lo sguardo lungo i macchinari. –Non credo. Sono le 0.45. Noi avremmo attaccato all’una. Ci hanno anticipato.-
Audrey si precipitò ad accendere e a sedersi.
-Qui è Rivers. Qui è il Sergente Maggiore Rivers alla postazione Red5, chiedo conferma dell’attivazione della sirena anti-aerei. Passo.-
Una strano suono pervase l’aria e una voce distante e gracchiante parlò. –Qui è la postazione RedOne, confermo attivazione sirena. Inoltro messaggio generale, attacco aereo in Cornovaglia Settentrionale. Torquay distrutta. Passo.-
-RedOne, ci sono ordini di tipo sette. Passo.-
-Red5, la 42° divisione dell’esercito di terra e la Great della Marina sono lì. C’è un richiamo generale per tutti i Sergenti Maggiori, rientrare alla base di appartenenza subito e aspettare ordini superiori. Passo e chiudo.-
Audrey fissò lo schermo dove dei puntini bianchi comparire e scomparire sempre più.
Si alzò bruscamente e si voltò verso il piccolo gruppo di persone che in silenzio aspettavano una qualunque notizia.
-Siamo stati colpiti per primi. Torquay è sotto fuoco nemico. Tutti i soldati sono stati richiamati alle divisioni di appartenenza.- disse solamente. –Rimarrà con voi il soldato Garcia.- si tolse le cuffie e riprese il basco.
-Nessun ordine per noi?- domandò Kingsley.
-Per ora no.- scosse la testa. –Siamo stati presi un po’ di sorpresa ma ora dobbiamo contrattacare.-
-Buona fortuna, Rivers.- disse il Ministro stringendole la mano.
-La fortuna ci servirà a poco, ma grazie …- rispose lei ironica.
Rivolse un ultimo sguardo a Percy.
Un ultimo sorriso.





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