Di inchiostro e sangue

di Lizanna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Bianco e Nero ***
Capitolo 3: *** Danzare con la sorte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti. La vergogna che sto provando a pubblicare questo scritto è inferiore solo a quella di scoprire se sono realmente così pessima o se la mia maestra Nuirene ha ragione nel dire che sono brava. Si non vi biasimo se vi allontanere subito da questo scritto, anzi non pretendo nulla. Beh non insultatemi neanche però, sono appena arrivata e scapperei subito via xD
Non ho altro da dire se non che questo scritto è leggermente tinto di nero, un po' crudo avvolte, ma in questo prologo non ci sarà nulla di troppo violento se non sul finale.. beh Buona lettura ^^

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Guardandosi attraverso quel vecchio specchio rotto, si spaventò per quanto fosse irriconoscibile in quell'istante.

Con le mani immerse di sangue si toccò il volto con un dito, partendo dalla fronte sino ad arrivare al mento, creando una scia scarlatta su quella pelle che trovava stranamente scura, non era sporca o misteriosamente tinta dalla luce notturna, ma di un colore che andava tra la vita e la morte senza superare il limite di ognuno di essi. Non sapeva spiegarsi nulla, ma quel sangue che la ricopriva bruciava la pelle dandole la sensazione che non fosse suo ma le appartenesse ugualmente.

Un possesso guadagnato in una maniera che trovò lugubre ma soddisfacente. Nonostante ciò non riusciva a voltarsi conscia del fatto che probabilmente accanto a lei ci sarebbe stata la matrice del sangue, o forse era più di una?

 

-come ho potuto versare sangue con queste esili mani?-

 

-Gli umani hanno il vizio di farsi ingannare dalle sembianze...-

 

Da quando si era svegliata ogni qual volta si ponesse una domanda, che fosse mentale o pronunciata vocalmente, qualcosa dentro la sua testa le rispondeva con una voce parecchio divertita.

Forse il gene della follia si era improvvisamente impossessato di lei? Solo concepire cosa avrebbe potuto farle compiere la fece rabbrividire, ma poi ci pensò quella voce a toglierle il dubbio.

 

-Non è follia, ma divertimento!-

 

Si domandò che diletto potesse mai dare versare sangue, per quanto probabilmente quello che aveva tra le mani era di una persona che detestava. Era fermamente convinta che non si potesse realmente odiare qualcuno, una parte di se stessi divisa dal Signore, eppure in quei giorni stava lentamente dubitandone.

Era stata fatta schiava da quando aveva otto anni, venduta dai genitori che a detta dei suoi padroni, erano dei poveracci interessati solo alla loro sopravvivenza. Non aveva mai vissuto con un briciolo di dignità, costretta a non uscire mai e non muoversi se non per fare qualche lavoro faticoso e logorante come da suo mestiere. Fortunatamente non era mai stata realmente trattata come un animale, dai libri della mansarda a cui era costretta a vivere si era potuta documentare su quali atrocità degli schiavi prima di lei avevano dovuto subire. Nonostante sapesse della sua fortuna un mese prima di tutto ciò decise di provare a tenere alto il suo orgoglio in nome di quelli che prima di lei avevano tentato di sacrificarsi. Era inutile vivere senza portar a termine il proprio ideale, ed era stato anche il suo unico amico a dirglielo tra le righe dell'ultima corrispondenza ricevuta. Già, nonostante fosse rilegata in quell'umido e stretto nido dalle tante scomodità, qualche mese prima di tutto ciò aveva iniziato a ricevere risposte che non fossero obblighi o insulti.

Ebbene sì,  una schiava era riuscita con quei libri a farsi un minimo di istruzione che teneva ovviamente segreta ai suoi padroni. Sapeva leggere, scrivere e non disdegnava la scienza, nonostante ciò sentiva ancora più repressa la sua libertà di persona non potendo comunicare ciò che pensava.

Così un giorno prese un vecchio foglio bianco, probabilmente in quella desolata mansarda erano stati conservati vecchi fogli per lettere... forse in quel periodo non erano più di tendenza attraverso le nobili casate che, persino quando si trattava di carta dovevano ostentare il loro prestigio.

Impugnò una delle tante vecchie penne di legno con il pennino d'acciaio, da quando si era passati alla possibilità di rendere quegli attrezzi d'oro, la sua stanza si era riempita di quell'utile attrezzo per marchiare la carta. Era assai complesso e spesso le prime volte, finiva per macchiarsi le mani di nero: nonostante ciò non si arrese dopo un breve periodo la sua capacità di scrivere fu sufficienza per piegare la carta utilizzata e buttarla attraverso la finestra sotto forma di aeroplano di carta.

Indubbia era certezza di non ricevere risposta, anzi probabilmente quel foglio non sarebbe mai finito nelle mani di nessuno, ma invece la sera seguente ricevette una risposta, che anche se corta e traspirante di poca passione nello scrivere la stupì positivamente.

Sopra il suo letto sempre piegato ad aeroplano aveva ricevuto un foglio di carta, di una qualità che pareva migliore della sua. Non si domandò come fosse potuta finire là, probabilmente il pensiero le avrebbe rovinato tutto l'entusiasmo, così decise di non farsi mai domande.

 

-Sarai anche non padrona della tua vita, ma questo non ti da il diritto di spedire questi affari pericolosi. Mi hai quasi cavato un occhio!-

 

 

Ci mise un po' a comprendere il tutto, chi le aveva dato la risposta non brillava di certo per la sua calligrafia elegante, anzi pensò più che fosse opera di un qualche bambino, ma come poteva un infante rispondere ad una lettera e persino posizionarla là dentro?

Sì è vero, si era imposta di non pensare al come fosse arrivata, ma delle volte era più forte di lei l'istinto di trovare un perché che naturalmente, era impossibile ideare.

Presa dalla grande gioia rispose con fretta, tant'è che la sua scrittura non risultò più pulita come la prima volta. Era evidente che fosse agitata ma anche emozionata.

 

-Mi scusi... io non volevo farle del male, anzi pensavo che questo straccio di carta sarebbe passato inosservato a chiunque finendo a marcire per sempre su qualche terreno desolato.-

 

Il suo essere sottomessa da sempre pensava l'avrebbe fregata. Che interesse poteva esserci nel dialogare anche se per iscritto, con qualcuno che non poteva avere proprie opinioni e temeva una qualsiasi lamentela? Eppure quando ricevette l'ennesima risposta insperata dal contenuto ancora più inaspettato del precedente, dovette iniziare a prendere il coraggio che mai aveva posseduto realmente, o forse si era auto imposta di non manifestare mai.

 

-Io ho risposto perché mi annoio, non per ricevere scuse. E finiscila di essere così triste, non avevi scritto di voler anche se in un pezzo di carta, essere te stessa? Anche se non capisco il divertimento che puoi trovare in un pezzo di carta ed una fottuta penna ingestibile. Comunque ti prometto che un giorno sarai tu a provare piacere nel vedere messi male i tuoi padroni-

 

Fu un riflesso incondizionato quello di sbarrare gli occhi e mettersi una mano sulla bocca spalancata. Sia per la maleducazione del suo interlocutore che aveva spento una sigaretta sul foglio, e sia per la minaccia finale che augurava ai suoi padroni. In teoria doveva essere lei ad augurare cose brutte verso quelle persone, eppure non ne trovava il coraggio, era davvero schiava anche moralmente.

Perciò forse doveva trovare positiva quella frase? Finalmente qualcuno aveva scritto quello che lei non aveva neanche coraggio di immaginarsi o solo pensare? E poi sarebbe stata realmente capace di provare piacere per la sofferenza altrui, lei che non sopportava neanche la vista di un uccello che cadeva mentre volava?

 

 

-Ho mantenuto la promessa anche se per metà, dato che sono arrivato quasi al termine della festa. Ma finalmente ti ho fatto provare quel piacere nel vedere soffrire chi ti ha oppresso per anni-.

 

Non riconosceva quella voce ma, il discorso se pur breve, era collegabile a tutto ciò che aveva ricevuto per iscritto negli ultimi mesi. Era impossibile crederci, quel sangue era loro? Ed era stata lei stessa a versarlo senza ricordarsene? E quelle lettere erano vere?

Era un assassina.

 

-Assassina, che termine volgarotto-

 

Tentò di colpirsi usando lo specchio come arma contundente, ne prese una scaglia rotta tra le mani e lo punto tra gli occhi.

Non aveva la forza di vivere con le mani immerse nel sangue, quella libertà che le era stata promessa era solo un illusione, ora era schiava della violenza e colpevole dei peggiori peccati.

Si colpì, nonostante ciò non provo nessun dolore, se non un rivolo di sangue nero che scendeva sporcandole i vestiti che erano più paragonabili a straccetti.

Era un misto di rosso e nero, entrambi inspiegabili come l'espressione sul suo volto. I lunghi capelli castani che trovò solo in quel momento neri come la pece, si stavano bagnando di quel liquido oscuro e di lacrime, le quali uniche salve nel loro colore originale.

 

-Sono un mostro-

 

Questa volta parlo a voce alta, non aveva coraggio di girarsi e cercare il suo interlocutore né quello di ascoltare quello interiore che sicuramente l'aveva risposta con la solita gelante ironia. Non voleva vedere più sangue, non voleva più vedere nulla.

 

-Mi dispiace averti macchiata così. Il lavoro sporco sarebbe stato compito mio se non ci fosse stato questo piccolo imprevisto. Odio pensare che tu ti sia dovuta contaminare, era piacevole parlare con un qualcosa di puro come te. Ma è ancora più piacevole constatare che dopo tutto ciò tu non abbia preso le sembianze e gli atteggiamenti di un mostro.-

 

Non si poteva ancora definire un mostro? E allora che cos'era realmente un essere privo di cuore se non lei, che aveva fatto tutto ciò? Il suo interlocutore parve leggerle nel pensiero, avvicinandosi a lei. Poteva sentire i passi sicuri ma lenti, forse anche a causa dei tanti sentimenti che provava e la facevano andare a rallentatore.

 

-E allora, che cos'è un mostro?-

Aveva paura a chiederlo, ma allo stesso tempo sperava che la vista di un vero demone potesse farla alleggerire nei sensi di colpa. Che comportamento da codardi pensò, ma era debole e lo sapeva.

Una mano le girò il volto, era fredda ma sicura nella presa audace che posizionò lo sguardo di lei verso due cadaveri. Uno, quello di una donna era irriconoscibile, per poco non rimise giù la sua misera cena alla visione di tutto ciò.

Un altro, quello che riconobbe come il suo “compratore” strisciava, pareva volesse fuggire ma quella persona che ancora non aveva visto in faccia, lo fermò mettendo un piede sulla caviglia di lui.

Sottofondo di quello che fece, le urla e gli scongiuri dell'uomo che maledì persino la sua schiava mandandola all'inferno.

Poi vide quello che era realmente un mostro. Quell'uomo, non si spiegò come ma infilò una mano dentro il petto dell'uomo passando per la schiena, con eleganza tirò via l'arto facendo accasciare l'uomo a terra. Non aveva buchi, era come prima se non per un dettaglio: Il suo cuore era nelle mani di quel tipo di cui ora vedeva il volto, dipinto in un grosso sorriso divertito.

 

-Detesto sporcarmi le mani, ma questo penso ti farà capire cosa non sei- e dopo averlo detto un fascio di luce viola che compieva movimenti strani fece sparire il muscolo tra le mani di lui. Sembrava qualcosa che volava e mangiava con cattiveria assurda quello che aveva strappato dall'uomo. Però non sentì la sensazione di schifo, probabilmente era quell'assurda voce che trovava la scena soddisfacente.

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Capitolo 2
*** Bianco e Nero ***


..ho deciso di provarci ancora per un capitolo, se capisco che il gradimento non c'è e sto scrivendo solo per me lascio perdere e non vi scoccio più xD buona lettura =)




Non sapeva se fosse più grossa l'irritazione e la rabbia che provava in quel momento, o l'eccitazione che non accennava a svanire dopo la sua ennesima vittima le cui carni lentamente svanivano mangiate da Teese.

Solitamente dopo aver compiuto il suo lavoro, lasciava il corpo del malcapitato in qualche posto vistoso dove era certo sarebbe stato rinvenuto con facilità: la carneficina che compieva con tanto piacere doveva essere sotto gli occhi di numerosi individui i quali si sarebbero sentiti il corpo invadere di terrore... quel sentimento che come nessuno riusciva ad eccitarlo e far sentire soddisfatto.

Eppure non ne ebbe il tempo né la voglia quel giorno, perché qualcuno vicino a lui tentava di rubargli il palcoscenico, senza il ben che minimo senso d'eleganza: infatti le urla strazianti di una donna le poteva udire dalla sua posizione che non era così distante ma allo stesso tempo vicina.

Giudicava i killer umani come dei barboni dell'omicidio. Non che lui nella sua vita umana fosse la più raffinata delle persone, ma trovava necessaria una certa finezza quando si poneva fine ad una vita.

Era uno spettacolo che si compieva per puro piacere personale e perciò andava fatto con riguardo, il terrore della vittima doveva essere la portata principale, divisa con nessuno se non lo sfondo che contornava la scena. Invece quell'assassinio che si compieva vicino a lui era rumoroso quanto un concerto della peggior specie, inscenato in maniera stonata così tanto da dargli ai nervi e rovinargli la serata.

Ogni passante che si accorgeva della scena veniva in poco tempo ucciso in silenzio, sopraffatto dai suoi golem che parevano nervosi come il suo padrone che detestava l'idea che qualcuno potesse levargli il divertimento.

Più andava avanti, e più i fasci di luce viola prodotti dai Teese gli facevano da accompagnatori nell'oscurità di quella notte parecchio nuvolosa, se non fosse abituato alle tenebre probabilmente, avrebbe perso la strada o si sarebbe fatto del male sbattendo su muri o cartelli.

 

-Non è ancora arrivato il momento di estinguere l'intero pianeta ma in questi momenti lo farei tutto da solo.-

 

Provava una rabbia che si intensificava con il passare del tempo, violenta e selvaggia dentro quel corpo già di per sé contaminato dai più loschi sentimenti i quali, ricevettero l'apice quando gli occhi di lui poterono osservare la scena del crimine, che non gli era affatto sconosciuta, anzi vi entrava ogni giorno o quasi, anche se per qualche fugace istante.

Ne conosceva ogni piccolo angolo desolato, spoglio e povero ma allo stesso tempo particolareggiato da chi lo abitava, soprattutto per l'enorme pila di fogli sopra quel misero tavolino in legno usurato dalle termiti. Non credeva che si sarebbe mai trovato lì per uccidere o vedere qualcuno morto, per lui quello era il luogo dal candore più nauseante non tanto per il mobilio che era misero, ma per chi ci risiedeva. Era così abituato ad entrarvi che non si insospettì della direzione che aveva imboccato preso dall'istinto, finché non vide quei corpi. Iniziò a credere che fosse colpa sua, dovunque metteva le mani corrompeva, oscurava e mortificava, niente si salvava per quanto potesse essere immacolato.


Come ora, quella notte di alcuni mesi antecedenti, stava ritornando a fare rapporto dopo la sua ultima vittima, un esorcista che non gli aveva dato il ben che minimo divertimento, tanto avido che pensava di poterlo corrompere... forse, non si era reso conto di chi si trovasse dinnanzi.

Era una delle sue solite giornate, dopo aver svolto la mansione e prima di fare rapporto al Conte che aspettava con impazienza lui ovviamente con la solita noncuranza si sedeva a far nulla, se non osservare quel che casualmente gli passava tra gli occhi con una sigaretta ad invadergli il corpo nel tentativo di rilassarlo, quando invece a nulla serviva se non a devastare i polmoni. Era un vizio frivolo, ma come tutti non sapeva negarselo anche se voleva dire mettersi alla pari di un comune umano dipendente dalla nicotina, ma lui era fatto così: non gli interessavano i confronti né i giudizi che essi fossero positivi o negativi.

Osservava con poca attenzione le ville difronte al tetto su cui si era seduto. Risiedevano nella stessa città in cui lui ogni giorno lavorava ma sembrava tutto un altro posto, la differenza di prestigio era così dannatamente assurda: il fatto che ci fossero persone così ricche ed altre come lui così povere gli metteva su una dannata rabbia, non tanto per l'ingordigia che non era sicuramente il suo difetto, ma per i diritti che i soldi toglievano ai poveri, come Izu che non riceveva sostentamenti medici perché orfano e con conoscenze poco influenzabili, e mentre continuava con i suoi pensieri tutt'altro che utili per la sua esistenza, qualcosa gli piombò tra gli occhi senza causargli però grandi sofferenze se non un piccolo spavento. Benché solo l'innocence fosse in grado di ucciderlo, quella misteriosa apparizione che lo sfiorò tra gli occhi lo fece sobbalzare, notò poi con stupore che era solo della carta, piegata in maniera bizzarra.

Sembrava un aeroplano, o almeno quello che aveva potuto vedere solo nei disegni di un bambino glielo ricordava. Rimase incerto per qualche istante: se l'avesse steso forse si sarebbe spiegato come fosse stato congegnato, ma ciò non era sicuro e rischiava così di rovinarlo. Chissà se conosceva qualcuno in grado di illustrare i vari procedimenti per crearlo... beh alla fine che gli interessava se non per perderci un po' di tempo? Non era neanche più un bambino che poteva permettersi di farsi prendere dalla curiosità per un oggetto così inutile ed infantile, perciò senza più indugi lo prese tra le dita, appianandolo con delicatezza... all'interno ci trovò un testo che lo stupì. Da quando in qua si creavano giochi di carta per mandare messaggi?

Guardò difronte a lui, notando che dall'altra parte della strada c'era una casa, in alto una piccola finestrella semi aperta da cui poteva scorgere anche se debolmente una sagoma perfettamente in linea con lui, ecco ora sapeva chi era il folle.

Ma nonostante fosse convinto che si trattasse di un folle, decise di dedicarci qualche attimo, anche perché ne aveva sprecati così tanti che sarebbe stato immotivato non dare un occasione anche a quel perditempo.

 

 

-Cosa c'è di più inutile se non scrivere, per chi non è neppure padrona della propria esistenza?

Probabilmente, anzi certamente sto sprecando quel poco lasso di tempo che gentilmente mi viene dato per riposare, tentando inutilmente di sfogarmi su un foglio di carta che mai nessuno leggerà, nella speranza remota che qualcosa mi spinga a ribellarmi. Ma come puoi andar contro a quello che hai sempre fatto senza neanche avere la certezza che là fuori sia meglio di quanto non lo sia in quest'umida soffitta? La mia ignoranza è tale da non sapere neanche che odore emana l'oceano o di che colore sia un prato fiorito. Tutto ciò vale la pena di andar contro ai miei stessi padroni? Sono scriverlo in questo misero foglio mi mette dentro un ansia schiacciante quanto la paura di essere una bambola che respira, o forse che viene fatta credere da qualcuno di essere in grado di ciò.-

 

 

Sbuffò copiosamente, gettando via aria carica del fumo, di quella sigaretta che non toccava ormai da diversi minuti, ma rimaneva sempre ad invadergli la respirazione.

Gli umani erano seriamente stupidi, si facevano comandare da loro stessi simili, quando in realtà tra di loro non vi è alcuna differenza anzi, tutti accomunati da delle insulse convinzioni del cazzo, ciò gli fece accendere l'ennesima sigaretta per la rabbia, senza rendersi conto di averne una poggiata su qualche tegola. Ovviamente quel tabacco non sarebbe servito a nulla.

Per sua fortuna nonostante la povertà, non fu mai costretto a compiere nulla di così umiliante come schiavizzarsi, e se mai qualcuno ci avesse mai tentato lo avrebbe probabilmente fatto fuori senza troppi ripensamenti. Da quella lettera però, poteva intuire che era stata una donna a scriverlo, anche la calligrafia così curata e lineare dava l'impressione di un elegante mano che con classe macchiava il foglio di quelle parole che però trovò molto colte per una semplice schiava. Forse in qualche modo, tentava la fuga dai suoi obblighi con l'istruzione? Che cosa ridicola! Lui era libero ed ignorante, senza problemi ad ammetterlo tranne quando si trovava di fronte ai gemelli Noah che nonostante la non superiore cultura, non facevano altro che deriderlo, ma essi erano un caso più malato di quella schiava.

Ridicolo, anche se forse lo era di più la situazione a cui era costretta e di cui non poteva di certo liberarsi da sola se non privandosi della sua vita.

 

-Tyki lo sai che il Conte odia aspettare!- dietro di lui, una voce dolce lo destò dall'ennesimo stupido pensiero che non aveva la ben che minima utilità. Era Road che probabilmente si stava stufando anch'essa di attendere il suo arrivo, forse non aveva nessun altro da torturare tra i noah che in quel periodo erano sempre indaffarati tra vari affari di natura offensiva contro l'Ordine Oscuro o difensiva nella creazione di Akuma... non erano tutti come lui, usati come fucile per abbattere esorcisti in ogni dove.

Girò gli occhi nella direzione della bambina, senza muovere il volto di un millimetro per guardarla bene. Era così scocciato dalla situazione che neanche i suoi muscoli volevano saperne di spostarsi. Nonostante ciò sapeva che sarebbe finito trascinato per qualche porta che lo avrebbe catapultato verso la stanza del Conte che con una risatina sommessa lo avrebbe accolto felice della missione compiuta.

 

-E voi sapete che non ho fretta- replicò spegnendo l'ennesima sigaretta su una delle tegole di quel tetto altissimo e ripido, in cui una persona normale senz'altro sarebbe caduta... infatti, quando si girò notò che Road lievitava sopra un Lero non tanto felice di trovarsi là, sicuramente era stato rubato nel mentre che il Conte schiacciava il suo pisolino serale.

Lei lo guardò contrariata come era solita fare quando dava spazio alla sua parte bianca: svogliata, sporca e maleducata. Era l'unico a non riuscire a tenerla a freno, quella facciata disordinata di lui. Nonostante i bei abiti che portava non era per nulla galante, e si domandava se fosse reale il sangue Noah che circolava dentro di lui o se fosse solo un illusione che giustificasse la sua eccessiva sete di sangue.

 

-Non sei carino Tyki!- come immaginato, Road iniziò a tirarlo per il braccio con una potenza eccessiva per il corpo che mostrava, se anche lui non fosse detentore della stessa forza, sarebbe barcollato. Poi ella si accorse della lettera che lui teneva per le mani, chinandosi con il mento poggiato sulla spalla del compagno per osservare, ma prontamente si vide il foglio piegato in due per non darle maniera di trovare altro di ridicolo da appuntargli.

 

-Perché la nascondi?-

 

-Perché devi mettere il muso ovunque?-

Era piuttosto seccato dalla privacy che gli era sempre negata da quella curiosa bambina, così per tagliarla corta decise di alzarsi e seguirla sperando che la smettesse di fare domande su quel pezzo di carta.

 

-Sapendo che non sei bravo con i miei compiti, ho immaginato che non fossi in grado di rispondere a quella lettera, o forse... neanche a comprenderla...-

Pungente, odiosa e dispettosa. I tre aggettivi che Road riusciva sempre a portarsi affianco, saldamente incollati in ogni discorso, dal più breve al complesso.

Non le rispose, sarebbe stata una grossa seccatura farlo, e ancora più grande sarebbe stata la replica cattiva che avrebbe dovuto ascoltare. Figurarsi, anche se avrebbe assicurato una risposta a quella lettera, lei non ci avrebbe mai creduto se non gliela avesse fatta leggere, e di certo non lo avrebbe fatto, ficcava già sufficientemente il naso in ogni dove.

 

**

 

Dire che lo aveva fatto solo per noia sarebbe stata una grossa bugia, e con quelle non era affatto bravo, già tentennava a raccontarle agli amici che non si spiegavano cosa facesse nel suo lavoro secondario. Perciò decise di lasciare quel dannato pezzo di carta e finirla di crogiolarsi sul da farsi, avrebbe così tolto a sé stesso le insinuazioni di Road e la curiosità di una qualsiasi reazione di quella donna che un po' l'aveva incuriosito, sarà che non aveva altro da fare quel giorno, passato a lavorare e divertirsi con una giocata a poker che poi sfumò per una febbriciattola di Izu che in serata si attenuò. Il piccolo insistette per farlo uscire nonostante la sua precaria salute: sicuramente aveva l'espressione stressata più che mai, non era abituato senza far nulla ma non poteva andare a 'divertirsi' lasciando il piccolo malato. Ma dopo vari tentativi di dissuaderlo dal rimanere affianco a lui a consumare sigarette su sigarette, decise di uscire un po' a distrarsi per non farsi prendere dalla rabbia che lo inondava quando pensava che era inerme contro quella malattia che indeboliva tanto Izu.

Quando si affacciò la prima volta nella stanza di quella donna che gli aveva spedito quella carta, la trovò proprio al suo interno intenta a fasciarsi una mano ferita.

Nonostante fosse un taglio di considerevole grandezza e profondità, gli attrezzi che usava per disinfettare e chiudere la ferita erano davvero improponibili, poté scorgere persino del filo e dell'ago in quella cassetta, forse quando si era trovata ferita gravemente si era trovata costretta a cucirsi da sola le carni, quasi gli vennero i brividi... ed era davvero un tutto dire se la pelle d'oca era sulla pelle di un assassino che godeva sulla sofferenza altrui.

Era magra, ma fortunatamente non superava il filo del de nutrimento. Aveva una pelle candida ed imperfetta per via dei vistosi lividi che la invadevano. I lunghi capelli castani che coprivano l'intero schienale della sedia, erano mossi e prendevano delle curve che ricordavano onde, che richiamavano i suoi occhi azzurri rovinati dai segni della stanchezza. In quella piccola sedia con quel vestito tutto rovinato e lo sguardo tranquillo nonostante la ferita, la trovò più simile che mai ad una bambola dalla pelle di porcellana e le sembianze di qualunque donna ideale anche se fragile, a cui potevi anche rompere un braccio, strappare i capelli e tagliare il busto che mai avrebbe tramutato il suo sguardo rimanendo sempre freddo, artificiale. Lei era fatta di carne, ossa e sangue, nonostante ciò sembrava più porcellana o ceramica che si muoveva su dei fili invisibili di un marionettista sapiente, che non si faceva notare. Forse era vero quello che aveva messo per iscritto? Le era stato proibita anche la sua esistenza? Non poteva esserci altra spiegazione al suo carattere così remissivo anche in solitudine, dove nessuno poteva scoprire le sue imperfezioni.

Quel modo di fare però lo rapiva ed incuriosiva, non aveva mai visto un qualunque essere umano prendere con tanta forza il dolore fisico, senza dar la vittoria alla sofferenza. Chissà come avrebbe reagito dinnanzi alla sua parte nera. Forse avrebbe ritrovato quel briciolo di esistenza propria che le avrebbe permesso di temerlo? Oppure, sarebbe stata così forte da sfidarlo con lo sguardo finché non avrebbe esalato l'ultimo respiro?

Gli sarebbe piaciuto scoprirlo, ma l'idea di infierire nel caso ci fosse un briciolo d'umanità in lei, lo faceva sentire un po' come i suoi padroni che la ridicolizzavano e sfruttavano chissà in quale atroce maniera, forse tanto da farle sperare di morire... in quel caso le avrebbe fatto sì un favore... ma che piacere c'era nell'uccidere qualcosa di vuoto? Faceva prima ad acquistare una bambola e distruggerla, che prendere quella donna e privarle della vita lunga che ancora l'attendeva.

Aspettò per un tempo indefinito che lasciasse la stanza per poi posizionare quel dannato pezzo di carta che tra le sue mani sudate stava prendendo un assurda piega, non più di quella aeroplano che tanto si era vantato con sé stesso per essere riuscito a creare, ma di una lattina schiacciata.

Finalmente con il calar del sole uscì da quella stanzetta, probabilmente doveva preparare la cena o qualcosa di simile. Ne approfittò per entrare e dare un occhiata a quel poco che c'era.

Era davvero piccolo, una coperta grossa faceva da letto con degli stracci cuciti tra di loro a mo di cuscino. Di fronte alla finestrella c'era un tavolo con una sedia... non sapeva dire quale fosse la più precaria delle due, entrambe logorate di buchi di termiti che consumavano il legno assai grezzo, con qualche scheggia sui lati. Nel muro alla sinistra, dove il sole picchiava di meno, c'era una grossa libreria stranamente, non piena di polvere come sarebbe stata una sua ipotetica. Probabilmente erano libri vecchi che non si usava più leggere e lei se li era studiata tutti quanti. Sopra quel tavolo poté osservare anche della carta a fogli liberi ed una penna piuttosto vecchia di legno, di cui alcune gocce di inchiostro avevano macchiato il legno e le tegole consumate del pavimento. Decise di non stare troppo oltre, dopo aver osservato il vetro rotto che probabilmente usava per specchiarsi, accanto a quel “letto” poggiò il suo pezzo di carta che lo fece sorridere. Aveva scritto due righe striminzite contro quel garbato messaggio lungo ed elegante. Inoltre, la sua scrittura era pessima e sicuramente piena di errori che avrebbero fatto rabbrividire quella donna, forse era la volta buona che tirasse fuori quel carattere, ma per insultarlo o deriderlo.

 

 

-Mi scusi... io non volevo farle del male, anzi pensavo che questo straccio di carta sarebbe passato inosservato a chiunque finendo a marcire per sempre su qualche terreno desolato.-

Se ci fosse stata Road sicuramente avrebbe risposto con un -Su qualcosa di desolato c'è pur sempre finita questa lettera, anche se è un cervello e non un terreno-.

Non aveva tutti i torti, dato che non sapeva più che cosa rispondere. Passava i momenti liberi ad osservare un pezzo di carta preso furtivamente dalla sua stanza nella villa del Conte, non pensava lo avrebbe mai utilizzato, e si augurava che nessuno ci facesse mai caso.

Il resto del tempo libero lo impiegava a spiare di sfuggita oltre quella finestra. La trovava sempre intenta a curarsi l'ennesima ferita procurata chissà come, oppure a leggere guardando ogni tanto quella penna come se cercasse il modo di usarla. Probabilmente l'aveva illusa un po' troppo dandole quella risposta, infondo nessun essere umano è realmente privo d'anima per quanto possa essere schiavizzato il proprio corpo, a certe cose non si può comandare, e la prova fu lui stesso che accendeva l'ennesima sigaretta nervoso. L'aveva presa nell'orgoglio, doveva rispondere anche se male, ma doveva farlo. Non era ignorante solo che... scrivere la trovava una scocciatura.


 

-Io ho risposto perché mi annoio, non per ricevere scuse... E finiscila di essere così triste, non avevi scritto di voler anche se in un pezzo di carta, essere te stessa? Anche se non capisco il divertimento che puoi trovare in un pezzo di carta ed una fottuta penna ingestibile. Comunque ti prometto che un giorno sarai tu a provare piacere nel vedere messi male i tuoi padroni-

 

Nel nervosismo non si rese manco conto di aver scambiato il posacenere con il foglio che finì per marchiare. Nonostante ciò se ne fregò lasciando l'ennesima risposta, sempre sgarbata e sgrammaticata. Questa era l'ultima, se lo era auto imposto. Non doveva perdere tempo con una donna così sottomessa da scusarsi anche in una lettera diretta ad un perfetto sconosciuto che aveva persino fatto irruzione nella sua piccola abitazione.


 

-Non sono triste, anzi l'opportunità che mi sta dando permettendomi di colloquiale con lei in maniera libera mi ha dato un briciolo di fiducia anche se illusorio. Non c'è niente che mi possa far più piacere, neanche il veder soffrire i miei padroni. Non ho il permesso né la forza di ribellarmi anche se nel mio piccolo, scrivendo queste parole sto compiendo un passo in avanti verso una silenziosa ribellione per l'acquisizione di diritti. Sto bene, ho la salute anche se precaria ma è questo che conta, non pensa anche lei?-


 

Era troppo buona per essere vera. Il suo ipotetico candore era paragonabile solo alla pelle di essa, così chiara ed impenetrabile che al cospetto con il suo nero fitto e la pelle abbronzata creava davvero un contrasto considerevole, che si ripeteva anche nei caratteri, nelle vite... in tutto.

Trarre forza da due righe scritte da uno sconosciuto potevano apparire come pazzia, o forse disperazioni dilaganti, eppure quell'effimera speranza che traspariva lo colpiva. Avrebbe voluto sì urlargli che la maniera ideale per ribellarsi non era scrivergli ma prendere quella gente a sonori ceffoni, ma di certo una donna così esile non sarebbe riuscita a fare tanto neanche a volerlo realmente. Pensava nel suo piccolo mondo, di liberarsi delle catene con la gentilezza? Era fottutamente impossibile.


 

-Sinceramente penso che ribellarsi sia ben altro, ma da quel che ho compreso sei una donna e non puoi di certo rivoltarti fisicamente... perciò non tenterò di spezzare il tuo sogno impossibile di liberarti della prigionia con questi buoni gesti di ribellione educati. Cerca però di rendere vano questo tuo tentativo di vivere tra le righe di questi pezzi di carta. Iniziando ad esempio, a togliere quel fottuto modo di parlare educato. Dammi del tu, o la mia salute diventerà realmente precaria a causa del nervoso che mi procuri. Sono al mio secondo pacchetto di sigarette, e ti scrivo in tarda mattinata.

Sai che vivo con un bambino orfano e malato? Non si lamenta del fumo ma so che dovrei smettere lo stesso... un po' vi assomigliate. State entrambi in silenzio nella vostra sofferenza... ma tu sei adulta e dovresti averne già le palle piene-

Si divertiva a scrivere tutte quelle parolacce, immaginandosi il volto della sua interlocutrice sbiancarsi più di quanto non potesse già esserlo.

Probabilmente tali vocaboli non le erano mai usciti di testa né dalle labbra, proprio il suo opposto, dato che non riusciva a farne a meno. Non si rese manco conto di aver parlato della sua vita, cosa che inizialmente si era auto imposto di non fare, per non infiammare quella piccola speranza che la ragazza probabilmente riponeva in lui. Era troppo scocciante salvare una persona che tanto poi sarebbe dovuta morire ugualmente.


 

Due giorni dopo aver mandato quella lettera, ricevette una risposta con qualcosa di inaspettato. Sopra al “letto” c'era uno straccio candido, dentro di esso delle arance. Aveva visto un enorme albero intriso di arancio nel cortile di quell'enorme villa, ma per non causare problemi a quella donna non si mise a rubacchiare come suo solito, ma poté constatare che ci aveva pensato lei al posto suo. Si stupì. Non era poi così vuota, dato che aveva preso di nascosto quei frutti per -a sua detta- farli mangiare al piccolo bambino che era costretto ad aspirare quel fumo nocivo. Le vitamine sarebbero stati non un antidoto, ma un buono scudo.

Si mise a ridere: gli umani erano davvero pazzi. Meno possedevano e più davano. E nonostante si vedesse che lei non navigava nel cibo datogli, aveva offerto quel poco che aveva o forse rubato, a lui che magari, aveva anche scritto una bugia per ingannarla. Era talmente buona d'animo che aveva messo da parte un ipotetica menzogna?


 

Ma adesso non trovava più quell'innocenza, fatta violentemente da parte a causa di un oscurità su cui mai avrebbe pensato che quella ragazza avrebbe fatto i conti. Quella pelle che pareva porcellana ora era scura di peccato e macchiata di sangue che sebbene non fosse indelebile, non avrebbe mai potuto pulire dalla pelle che si era marchiata di male.

Il suo nero avrebbe tanto voluto un giorno sporcarla del suo sangue, distruggere quello sguardo apatico e passare tra quelle pelli immacolate che si sarebbero intrise di brividi. Era il suo folle desiderio, quello di impossessarsi dell'unica persona che non provava nulla, neanche quel sentimento che tanto lo faceva impazzire. Avrebbe voluto insegnarglielo per poi poterne usufruire a suo piacimento, ma qualcuno era arrivato prima di lui, e non avrebbe neanche potuto sperare in una vendetta. Era stata lei stessa ad anticiparlo, causando in lei i primi cenni di paura, che poi si trasformarono in vero e proprio panico quando tentò di colpirsi con un vetro rotto. Nonostante fosse di spalle poteva vedere ogni suo gesto da quel vetro della sua stanza ancora più rotto di quanto già non lo fosse in precedenza. Quelle crepe che si riflettevano nella sua figura la rappresentavano come non mai nella sua più grande paura e follia.

Con i rivoli di sangue neri a macchiarla fino al petto fondendosi con quelli rossi delle sue vittime ed i capelli più ribelli che mai a mascherare gran parte del suo piccolo corpo, per la prima volta da quando la conosceva non sapeva che fare, che dirle o consigliarle. Non provava più quel piacere bizzarro nello stare con persona che probabilmente utilizzava anche come valvola di sfogo e appoggio disperato alla sua parte bianca sempre più debole. Ora il suo sentimento era più simile alla delusione, la quale però non lo stava totalmente corrompendo. Era ancora così dannatamente innocente nel suo bagno di malvagità, sentiva di essere in grado di spezzarla con un solo dito in mille cocci splendenti, eppure era sicuro che quel suo provare paura l'avesse cambiata, e non in un mostro come diceva lei, ma in persona libera, tanto da venire a conoscenza in una sola notte di tante delle cose che le erano state proibite. Era diventata come lui, quando aveva scoperto di non essere quello che realmente pensava... ed in un certo modo doveva difenderla dal cadere in quell'oscurità di cui neanche lui era stato in grado di non essere sopraffatto.

Perciò fece qualcosa che per lui era assurdo, a tratti persino contro sé stesso. Odiava sporcarsi le mani, letteralmente. I suoi guanti dovevano restare puliti per testimoniare la sua superiorità nell'uccidere con maestria, un'eleganza che gli umani non avrebbero mai potuto comprendere o imitare. Ma appunto perché tale segno di grazia non sarebbe apparsa come carneficina di un mostro il quale lui era anche se l'apparenza ingannava.

Scrutò l'uomo ancora vivo che terrorizzato se ne stava immobile, sdraiato a pancia in giù nel vano tentativo di non farsi notare, ma quando i passi di Tyki iniziarono a risuonare per la stanza lo vide fuggire lentamente strisciando come un verme... animale, che lo rappresentava più di quanto lui non potesse immaginare. Un individuo capace di sfruttare le persone, picchiarle ed umiliarle senza ritegno alcuno. Gli pestò la caviglia con un piede, schiacciò la punta della suola sul muscolo premendo con cattiveria ma trattenendosi, con quella forza avrebbe potuto sfasciarla come del burro, ma non volle sporcarsi anche le scarpe, e poi chi lo sentiva il Conte infuriato per aver sporcato delle pregiatissime scarpe?

Lo sguardo giallo immerso nella macabra soddisfazione di avere vicina l'ennesima vittima, incontrò per un istante un altro sguardo del medesimo colore ma dai differenti sentimenti, quelli di paura e depressione che trattenevano a stento l'eccitazione nel essere spettatrice di un massacro che quella parte di lei oscura trovava stimolante.

Lui si chinò con il braccio destro teso che con uno scatto si infilò dentro il petto di quell'uomo passando attraverso la cassa toracica e persino l'asfalto sotto il suo corpo. Non ci mise tanto tempo ad estrarre l'arto e mostrare alla ragazza quello che era stato il motivo di tale gesto. Nella sua mano, stretto senza troppa forza c'era il cuore di quell'uomo che giaceva a terra senza vita. Naturalmente non pulsava più ma nonostante ciò grondava gocce di sangue che s'infrangevano sul suolo, ormai inondato di quel liquido dall'odore sempre più pungente ed insopportabile.

Glielo mostrò con un ghigno divertito, voleva fargli comprendere solo a gesti quanto potesse realmente fare un mostro che provava piacere. Lasciò che al muscolo ci pensassero i suoi golem e si spostò verso la ragazza, inginocchiandosi come lei. Era molto più alto della donna, la sua sagoma da dietro nascondeva quella di lei ancora tremante e sotto shock, però poté scorgere dai suoi occhi un divertimento che tratteneva con forza stimabile, non era poi così vuota come appariva.

Allungò un dito avvolto dal guanto di pelle verso il volto di lei, tracciando la linea della sua ferita sul volto ormai rimarginata. Iniziò a muoverlo verso tutto il volto in direzione di ogni goccia che la contornava per pulirla. La visione che aveva avuto di lei non si sarebbe di certo lavata con un pezzo di pelle a strofinarle il volto, ma trovava irritante che una figura così innocente fosse allo stesso tempo demoniaca. Finita quella pulizia approssimativa si leccò il guanto come a voler evidenziare che lei non era nulla a suo confronto, in quando ad essere un mostro.

-Ti stai divertendo?-

Che domanda idiota le aveva posto. Sapeva già che avrebbe risposto negativamente. 

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Capitolo 3
*** Danzare con la sorte ***


Insinuava seriamente che lei potesse divertirsi in quel momento? Se era il suo modo di farle comprendere che non era poi così mostruosa, c'era sicuramente riuscito... anche se, credeva fosse solo un illusione dettata dalla differenza di crudeltà fra di due. Ma infondo, lei che sapeva realmente di ciò che aveva compiuto? Non si rammentava nulla perciò potrebbe aver compiuto atti peggiori di quelli a cui aveva appena assistito. In più era incredula dalla reale indole di quell'uomo a cui scriveva da mesi e mesi. Indubbiamente non era convinta che stesse corrispondendo con un gentiluomo, ma neanche con un killer dagli strani poteri trascendentali. Quei vestiti distinti erano sin troppo costosi per il piccolo lavoratore senza smanie che affermava di essere, così come l'aspetto curato ed elegante accompagnato da quei lunghi capelli raccolti da un nastro di seta. L'unica cosa che non era mutata dalle sue supposizioni a proposito di esso, era l'accanimento verso il fumo, anche in quel macabro momento non si era proibito di accenderne una intanto che aspettava la sua risposta, come se avesse intuito che avrebbe dovuto pazientare un po' prima di riceverla.
 
Cosa dirgli? Era così ovvio che in quella circostanza non trovava nulla di cui allietarsi, così logico che replicare con un semplice “no” lo trovava superfluo.
 
-Per quanto ancora ancora cercherai di trattenermi?-
 
Quella voce che sembrava essere riuscita a mettere da parte, invece riemerse per obiettare all'ennesimo tentativo di auto convincimento. Sì, tentava a stento di frenare una risata di cui lei stessa non comprendeva la natura, ma era anche vero che quel disgusto misto a inquietudine di sé stessa la inondava senza sosta.
 
-Mi dica perché dovrei essere divertita da tutto ciò- rispose con un tono che non ammetteva più scherzi, duro e rauco a causa dell'agitazione che non accennava a darle tregua.
 
Lo fissò intensamente, mettendo le mani che prima portava al ventre sul freddo pavimento di legno, i cocci del vetro frantumato sul suolo si infilarono tra le sue carni ma non ci fece quasi caso, si lasciò sfuggire sono un leggero ansimo di dolore che svanì in brevissimo tempo. Lui la imitò, lasciò la posizione genuflessa di fronte a lei per sedersi comodamente, tenendo la schiena un po' curvata lontano dalla sua interlocutrice, ma con lo sguardo così fisso ed intenso da non farle percepire la differenza di divario fra di loro, poi iniziò a ridere, ma quel tono non era per nulla confortante... anzi sembrava una sghignazzata di pura malvagità, indice di un forte godimento su di un qualcosa di oscuro che gli fece persino cadere la sigaretta dalla bocca, la quale finì nell'unico posto in cui non doveva precipitare: la vecchia lampada a petrolio che usava la sera per stare a scrivere era sempre saldamente collocata nel suo tavolino. Era probabilmente caduta durante quella carneficina ma fortunatamente la fiamma era spenta, tuttavia l'età di quell'oggetto non aveva retto l'impatto al suolo versando del liquido infiammabile sulla superficie. Quando la cicca della sigaretta si posò proprio su quel liquido non ebbe neanche il tempo di urlare o semplicemente chiudere gli occhi per lo spavento. Il fascio di luce rosso che la inondò fu talmente violento da rapirla con un abbraccio infuocato, si sentiva morire non tanto dal bruciore ma dal respiro che mancava per tanta violenza che quell'elemento della natura era riuscito a scatenare, forse anzi, sicuramente era la punizione che ella si meritava, eppure non si scottò. Poteva ancora osservare quel colore fulvo infuriato le cui onde parvero aggredirla perfino sotto il punto in cui era seduta, ma nulla arrivava contro la sua pelle se non una leggera percezione di calore.
 
-Qualche tempo fa mi è stato detto che avevo paura degli umani, da quel giorno ho capito quanto in realtà fosse ridicolo, e come loro servissero solo per puro diletto. Ucciderli è gratificante, l'unico sentimento in loro che vale la pena osservare è l'angoscia, perciò mi sono sentito attratto da te poiché non sono mai riuscito a vederti in preda al terrore. Adesso, vedendo cosa sei in realtà comprendo anche il perché di tanta forza ma allo stesso momento mi domando perché tu gli resista, a quella parte di te che sono sicuro, tu abbia compreso quanto sia forte. E' inutile che tu gli tenga testa, quando egli prenderà possesso di te sarà ancora più doloroso. Però se vuoi proprio tentare quest'impossibile impresa, finché lo vorrai mi sporcherò io le mani per te... poiché è un buon passatempo osservare le tue reazioni inaspettate, da quando ho perso tutti i miei amici e non posso giocare a poker, non ho altro di meglio da fare se non fare scommesse sugli umani... sì facciamo che ti considero ancora di quella specie, sennò sarebbe meno incoraggiante per te-.
 
Non solo era presa in giro da sé stessa ma ora anche da un perfetto sconosciuto, perché sì quello non poteva essere la stessa persona che le scriveva. Voleva alzarsi, prenderlo a schiaffi e andarsene via da quel posto che ormai era divenuta una sorta di sfera rossastra senza sfondo alcuno se non le fiamme, ma era conscia del fatto che non ne aveva la forza psicologica né fisica. Si sentiva in colpa tanto che i suoi muscoli parevano giudicare le sue azioni ed impedirle ogni movimento se non quello degli occhi e delle labbra, perfino lingua e gola non volevano muoversi se non sotto forte sforzo. Nonostante la parte di lei in preda alla rabbia di volerlo malamente mandare a quel paese, quella sottomessa al solo pensiero di toccarlo con violenza rabbrividiva, contratta dai ricordi passati su quei fogli di carta che per lei erano più veritieri di ciò che viveva fuori da quei brevi seccati racconti. Anche se le avrebbe causato dolore, voleva sapere se era la stessa persona che la spronava a reagire o se era un personaggio ben costruito per ingannare e ferire un anima che già di per sé era fragile.
 
-E' realmente la stessa persona che scambiava parole con me, oppure era solo una menzogna costruita ottimamente? - decise di provarci, quel dì aveva perso tutto ciò che possedeva, che esso fosse negativo o positivo. Persone, abitazione, convinzioni, ideali, tutto sfumato tra il sangue e le fiamme, perciò se insieme ad esso fosse svanita anche l'unica cosa a cui teneva concretamente, probabilmente ne sarebbe rimasta meno delusa. Sapeva che non doveva lasciarsi ingannare troppo eppure, ci era cascata... forse erano quelli i sentimenti che pensava di non avere? Quella misteriosa forza irrazionale che non ti concede di farsi dominare?
 
 
Maledetta. Era stata senz'altro maledetta da qualche spirito ultraterreno che l'aveva spinta a compiere peccato, ma forse era lei così codarda da non volersi vedere come una colpevole. Non si era mai permessa di compiere un qualsiasi tipo di reato, e non comprendeva come si fosse spinta tanto oltre in così poco tempo. Da donna che mai si era permessa anche solo di lambire con lo sguardo qualcosa che non le appartenesse, era finita con le mani nel proibito, anche se non pregiato, cortile dell'enorme villa in cui era serva. Dalla piccola finestrella della sua mansarda era semplice aggrapparsi all'imponente albero di quercia accanto. Quei rami enormi e sicuri non le diedero poi tanto timore, cosa strana per chi non usciva quasi mai da quelle mura se non per compiere qualche lavoretto nel giardino. Si aggrappò con le esili mani ai tronchi più alti, tentando di prendere l'equilibrio per poggiare anche i piedi, decise di farlo scalza, quei vecchi scarpini di raso non l'avrebbero di certo agevolata in quell'impresa tutt'altro che semplice. Quando riuscì ad immergersi nel basso cuore della quercia le fu semplice allungarsi verso la pianta che le era accanto, ovvero quella d'arancio. Non ricordava in quale libro ma era certa che fosse uno degli alimenti più salutari che esistessero, pieno di vitamine di cui i nomi non le erano entrati in testa. Mentre leggeva la replica del misterioso uomo che la rispondeva ormai da una settimana, si era un po' immedesimata in quel bambino la cui precaria salute andava di pari passo con una poco sana crescita, non che volesse dare la colpa a quello sconosciuto, dato che il fumo poteva solo immaginare quanto fosse un vizio intenso, ma si sentiva in dovere di aiutare anche se con poco quel suo simile. Strappò i frutti che le erano più vicini, purtroppo non poteva salire sulla pianta che non dava l'aria di essere salda come quella in cui si lei poggiava. Mise tutto su un fazzoletto che si era congiunto ai fianchi come un grembiule e tornò nella sua stanza facendo cautela a non precipitare o ancora peggio attirare l'attenzione del cane che sotto fortunatamente pareva assonnato. Un grosso sollievo la pervase quando mise i piedi sul suolo 'amico', per una volta quel brutto odore di vecchio ed umido la fece star bene.
 
 
-Quel volgare che lei... cioè tu utilizzi dovrebbe essere modificato, non il mio cortese, dato che sto parlando ad un perfetto sconosciuto che non ha avuto neanche il garbo di presentarsi. Sa che è l'uomo il primo a doverlo fare? Ma è anche vero che io diritti non ne ho, anzi dovrei cancellare queste righe e andare accapo, ma le lascerò così che possano in qualche modo rappresentare un mio vano tentativo di esprimermi da persona non dico piena... ma almeno dagli accennati sentimenti... ma probabilmente sono abile nell'arte di illudermi. Perciò v.. ti lascio un dono, lo faccio solo perché... mi avanzavano. E non voglio avere sulla coscienza un bambino che come me non può avere la felicità più innocente. Sarà un'inezia, certamente con queste non salterà dalla gioa e benessere acquisiti, ma sono certa, o almeno penso che stare con delle brave persone lo aiuterà. Non che ti trovi così buono, insomma ti immagino più come qualcuno che ci mette l'impegno ma spesso sbaglia, un po' come fai con queste lettere piene di errore e odore di fumo che impregna persino i miei, di polmoni.-
 
L'aveva riletta così tante volte che i suoi occhi si erano gonfiati di un viola poco confortante. Non era per nulla certa di quello che aveva scritto, sembrava un altra persona, oppure era lei? Forse in quelle poche righe aveva avuto il coraggio di tirare fuori quella che era la sua personalità? Doveva ammettere che quell'acidità non le piacque tanto, ma era pur sempre una partenza, seppur difettosa. Lasciò tutto sul solito posto, prima di sistemarsi un po' davanti allo specchio per non risultare trasandata senza alcun motivo. Era sorta da poco l'alba perciò non era normale vederla malconcia senza aver lavorato. Si sistemò i lunghi capelli con la vecchia spazzola in legno che era riuscita a trovare in uno dei tanti scatoloni dimenticati da tutti. Se non fosse per quell'oggetto ora i suoi capelli sarebbero certamente un covo di nodi, specialmente perché teneva una chioma di natura indomabile e fragile, difatti poteva iniziare a scorgere i primi cenni di doppie punte, non si tagliava i capelli da molto, troppo tempo ma era pur vero che non aveva alcuna utilità se non sentirsi ordinata, cosa che sarebbe durata il tempo di tornare a lavoro e rovinarsi ancora. Sembrava quasi che glielo facessero apposta, ogni volta che tentava di curarsi in qualche modo veniva riportata alla normalità del suo stato, sporcata pulendo il camino, sradicando le erbacce a mani nude, o semplicemente picchiata in malo modo perché non si aveva altra mansione indegne da assegnarle. Era così abituata che non sentiva più dolore, i lividi e le cicatrici sul suo corpo erano normali come gli occhi, il naso, la bocca o qualsiasi parte del suo corpo il quale così candido faceva notare ancora di più i segni del maltrattamento. Ma sapeva di non potersi lamentare, oltre agli abusi violenti di quella famiglia non le era stato negato un posto dove riposare, del cibo anche se scarso e la possibilità di vivere anche se forse, era per lei più un obbligo inculcatogli da quella gente sin da piccola. Ella non era nessuno, non aveva il diritto di pensare quando non le era richiesto, anche solo sperare in una morte rapida era un peccato che le sarebbe costato caro. La paura che le venne messa sin da piccola era così grande che fino a quel giorno all'età di ventidue primavere, non osò mai contraddirli anche solo immaginandoselo. Da quel timore era passata persino a studiare, dialogare con qualcuno di esterno utilizzando un tono non sottomesso ed infine a rubare.
 
-Possibile che quell'ebete debba sempre alzarsi così tardi?-. Odiava quella voce, era come puntarle al collo un affilato coltello con sguardo minaccioso. Benché ormai non ne avesse più inquietudine poteva carpire tutto l'astio attraverso le sue parole di ghiaccio.
 
-Se si venisse a sapere che abbiamo una servitù così sprovveduta ne andrebbe della nostra nomea, il giorno del ballo non è tollerabile!- Ed eccola, la seconda voce capace di metterle soggezione, forse più della prima. Erano Sibylle e Ditrich Herrmann, i coniugi che sin da piccola l'avevano comprata senza troppi sforzi. Lei era figlia di un noto medico delle alte caste tedesche, mentre lui un promettente imprenditore d'auto che dopo aver dominato in Germania con moglie a presso, decise di trasferirsi in Inghilterra, prendendo subito dopo lei, ancora bambina.
 
Volevano conquistare il territorio straniero per potersi beare sempre di più del potere che Dio gli aveva concesso. Non aveva mai sopportato il loro modo di pensare, né la loro ossessione per il vile denaro e potere. Erano aridi, tanto che mai si era stupida se quella donna fosse sterile, non che glielo volesse mai auspicare, ma da soggetti così attaccati all'esteriorità non poteva crescere nulla di buono.
 
Aprì la scricchiolante porticella della sua mansarda e scese giù con il solito umore indescrivibile, senza alcun espressione a poterlo rappresentare. Si sarebbe presa il castigo della mattina, cosa che sarebbe accaduta in ogni caso. Quando si alzava prima di loro la scusa abituale era quella di fare troppo rumore, perciò optò per alzarsi dopo, almeno si sarebbe potuta beare di qualche ora in più di riposo.
 
-Possiate scusarmi, ero convinta che oggi vi sareste alzati in tarda mattinata per essere più riposati durante l'importante ricevimento di questa notte-. Bugia.
 
Era conscia del fatto che tutto fosse assurdo. Quella donna non compieva azione alcuna se non strillare e sperperare i soldi del marito, che riposo esigeva tutto ciò? Inoltre quell'uomo sì lavorava, ma solo nello sfruttare i suoi operai prendendosi ogni merito del saper manovrare abilmente quel 'giocattolo' come lo chiamava lui. Era assurda la vita dell'alta borghesia, l'unica cosa che trovavano stancante era l'ascesa persistente ai piani alti, un ossessione che sarebbe durata per tutto l'arco della loro vita.
 
Entrambi la guardarono con il solito disgusto. Era una schiava che portava ovviamente stracci, era di classe inferiore se non inesistente e non era nemmeno tedesca. Era uno degli sporchi inglesi che tanto volevano mettere in secondo piano su di loro, e come tale meritava solo espressioni negative.
 
-Che cosa vuoi saperne tu, sudicia? E' proprio per questi eventi che bisogna iniziare i preparativi il prima possibile!-.
 
Ovviamente erano le sarte a doversi alzare prima e non lei, era così ovvio che per poco non trattenne una risata, sintomo di una troppa acidità tirata fuori poco prima nella lettera.
 
-E poi cos'è questo odore che porti? Agrume? Quando mai ti è stato permesso di mangiare qualcos'altro oltre al pane?-
 
Era disdegnata, furiosa tanto da spingere contro la parete della stanza la schiava la quale sapeva di non poter opporre resistenza, si lasciò crollare sbattendo le spalle contro il rigido muro. Era così stupida da non averci pensato, ma anche se ne fosse stata conscia non aveva nulla con cui cambiarsi, l'unica riserva era a lavare... o almeno ciò che assomigliava di più ad un lavaggio.
 
La donna puntò il tacco della sua luccicante scarpa nera contro di lei, finendo per schiacciarlo sulle carni del ventre. Non sentiva più dolore perciò si sforzò di farle credere che stesse soffrendo per non far durare a lungo quella sua noiosa sete di vendetta incomprensibile. L'unica cosa che le dava fastidio erano i tanti lividi che la segnavano, nessuno se non quelle persone li avrebbero mai osservati, ma non poteva far a meno di auspicare che un giorno la sua pelle non ne ricevesse altri. Erano la firma di quelle persone che le ricordavano anche in assenza, la sua schiavitù serrata.
 
Fortunatamente però, il marito andava di fretta così non rimase neanche ad assistere alla scena, si era risparmiata qualche contusione in più.
 
-Non rispondi? Bene vorrà dire che troverò i resti e te li farò mangiare a forza, anche se putridi. Così capirai che le tue rivoltanti mani non devono contaminare il nostro cibo-.
 
A quelle parole sentì qualcosa di sconosciuto. Era forse dalle prime botte subite da bambina che il cuore, non le batteva forte, ma quelle pulsazione erano superiori. Era assurdo quanto quel muscolo potesse reprimerle la respirazione e agitare ogni angolo del suo corpo, non aveva la forza di alzarsi e incontrare il volto di quella donna che scopriva il suo segreto. Al solo pensiero si sentiva in apnea, le pareti e gli ornamenti della sfarzosa cucina parevano sparire annebbiandosi sempre di più davanti a lei che rimaneva immobile senza vita. In quel momento capì che non era vuota ma solamente riponeva quei sentimenti di cui aveva così timore su carta, era così ingenua da farsi rapire subito da due discorsi sgrammaticati e abbozzati con poca voglia? Non sapeva dirsi di no, anche se ciò la faceva sentire così dannatamente stupida.
 
-Dovevo immaginare che una poveraccia come te, non avesse lasciato nemmeno la scorza! Comunque sia farò chiudere la finestra così che possa entrarti solo un filo di luce e nient'altro-.
 
Lo disse con un tono così infuriato che se non fosse per l'agitazione che la infestava, si sarebbe messa a ridere di goduria, perché non aveva trovato le prove che tanto sperava, ciò nonostante avrebbe incassato una punizione che forse sarebbe stata la sua rovina. Come poteva ricevere le lettere o darle se non si poteva più entrare dalla finestra... e soprattutto, come aveva fatto ad entrare in così poco tempo, prendere tutto ed uscire? Era stata sfacciata fortuna, non c'era altra risposta che potesse trovare sensata se non vi inseriva anche i fenomeni sovrannaturali che tanto si era imposta di non tirar mai fuori.
 
-Ora vai a dare una mano alle sarte e alle truccatrici, per le diciotto in punto voglio che tutto il necessario per me sia pronto-
 
Sì, era fortuna quella che oggi la guidava in una danza silenziosa.
 
**
Soffocava, e questa volta non era a causa di una comune emozione ma del busto che le sarte l'avevano convinta ad indossare. Non ne era per nulla certa, ma quando le graziose cameriere decisero di servirsi anche di lei per dare una mano, anche se in un angolino oscuro della sala, la obbligarono insieme alle sarte a darsi anche un aggiustata, per quanto fosse sobria e con pochi ornamenti, naturalmente. Non aveva afferrato molto di ciò che le era stato fatto se non una rammendata ai capelli che ora aveva raccolti ed una strana polvere che le aveva coperto i segni sulla pelle ed il volto, che non appariva più stanco ma lucido, come se avesse dormito più delle sue classiche cinque ore. Le era stato fatto indossare lo stesso abito delle cameriere, una semplice tenuta di pizzo color crema ornato da qualche nastro di seta che ne facilitavano la comodità di quella gonna così gonfia che la fece sentire quasi nuda, abituata com'era alle gonne vuote, che accarezzano le gambe in ogni movimento. Infine per renderla più attraente a detta loro, era stata fornita anche di un busto, che lei trovò più doloroso di ogni tortura. Sicuramente il suo girovita ora si era ridotto di almeno dieci centimetri ed il suo seno era così in alto da renderle faticoso qualsiasi movimento col timore che nulla fuoriuscisse. Si sentiva ancora più goffa di quanto non potesse già esserlo, e quando ruppe un bicchiere si sarebbe tanto voluta infilare nei suoi vecchi stracci e ritirarsi a fare i suoi lavoracci. Oltre uno sguardo scandalizzato di qualche madame che prontamente aveva nascosto ogni labiale con mani guantate o ventagli di pizzo eccentrici, tutti tornarono ai loro monotoni balli e risate senza senso, condite di falsità di volersi bene o solo apprezzarsi, o forse era l'unica a capire che era un mare di finzione?
 
Uno schiaffo secco e silenzioso la tramortì prima ancora che potesse creare un qualsiasi ragionamento sul come la menzogna fosse tanto di moda. Sicuramente in quella villa la violenza era ancora più abituale della prima citata, e la sua guancia scottante ne era le prova. Le ciocche imprigionate dai tanti ornamenti per capelli si erano spostati da quanto era stato forte l'impatto, ora aveva la vista color castana e sicuramente stava tornando al suo abituale stato di poca eleganza.
-Tu! Mi chiedo chi diavolo ti abbia messo a lavorare qui, dovresti marcire nel tuo stanzino senza cena!- la voce irritata a denti stretti dell'uomo di casa la fece trasalire dei suoi pensieri futili, per farla tornare al solito vuoto che sentiva ogni qual volta veniva maltrattata. Non si era neanche resa conto di essere caduta sui cocci di vetro del bicchiere rotto, e benché si stavano facendo strada tra le vesti della gonna, non muovette di un millimetro le gambe neanche quando arrivarono alle carni, pungendole. La fortuna con cui aveva danzato era svanita concedendo probabilmente un ballo ad un altra donzella più elegante di lei. Si interrogò sul perché durante quell'effimero tempo, avesse deciso di accompagnarla, forse voleva sbeffeggiarla?
Guardò l'uomo con sguardo spento, non lo voleva pregare ma si augurava che mettesse presto fine a tutto questo deludente ballo con la sorte. Non faceva per lei provare ad essere anche se solo di un grado, superiore a ciò che le era stato costretto a diventare, essere e restare in eterno, così quando vide quel pugno arrivarle ne fu sollevata, sapeva che era il colpo di grazia per quella serata, e poi sarebbe finalmente ritornata ai suoi lavori abituali, perciò serrò chi occhi ma con leggerezza, aspettando quel destino che seppur doloroso per il suo fisico, mai lo sarebbe stato così tanto per la sua anima che sanguinava. Lo attese, per un tempo indefinito ma mai sentì nessuna parte del suo corpo impattare con le nocche ed i sfarzosi anelli dell'uomo, in compenso poté comprendere dal silenzio improvviso nella sala, che qualcosa era accaduto, e li aveva lasciati privi di qualsiasi vocabolo.
Così decise anche se incerta, di riaprire gli occhi. Il pugno era a pochi centimetri dal suo volto, tanto che dovette spostare lo sguardo altrove per poter avere una visuale concreta della situazione. Il polso del suo padrone era stretto da una mano molto più scura della sua candida nordica. Era quella che poteva definire latina, probabilmente non era neanche inglese e si era permesso di fermare quell'uomo che odiava tutto ciò che non era tedesco. Ciò era un po' divertente, si era fatto beffare da chissà chi, ma per poterlo fare in quel modo doveva di certo ricoprire una carica considerevole... e per uno così, che senso aveva salvarla?
-Qualsiasi festa non dovrebbe coprirsi di sangue e violenza, sinceramente trovo noioso che tutta l'attenzione vada su questi gesti poco eleganti-.
Fissò per un breve istante la persona che parlava, era pura curiosità ma non voleva osservare troppo quella figura che aveva così tanta differenza di rango, solo con un occhiata poteva offenderlo. Era giovane, sicuramente non superava di molto la sua età, eppure dai vestiti così costosi da sembrare di avere il prezzo ricamato su di essi per ribadirlo ai più ignoranti... aveva i capelli corti, cosa che in quel periodo era assolutamente fuori luogo. Era bizzarro, soprattutto quel riccio capello color ebano che nonostante fosse tirato indietro, gridava per essere liberato e coprirgli la fronte, assolutamente se lo avrebbe visto in abiti normali, non lo avrebbe etichettato come nobile che presumibilmente era.
-Tenga usi questo per alzarsi, così che i cocci del bicchiere non la feriscano.-
Aveva lasciato sia la presa dal suo padrone che un guanto di pelle che probabilmente, anzi certamente valeva più della sua stessa misera esistenza. Non sapeva che fare, ma decise di accettare il gesto per non offendere la gratitudine di quell'uomo, infilò il guanto molto più grande della sua taglia e con la mano si tirò su, fuggendo subito nella sua stanza. Probabilmente era così ferita da aver sporcato quell'abito e sarebbe stata una vergogna farsi ancora vedere dopo quella imbarazzante scena. Però si sentiva in colpa, non aveva avuto il tempo né la forza di rispondere a quella persona, la differenza di casato era stato come un mattone buttato da alti piani, pesante, intollerabile per le sue corde vocali. Ammetteva che quel breve ricordo del suo volto, lo avrebbe per sempre attribuito alla fortuna con cui il giorno aveva danzato, e che pareva ugualmente volerla lasciare in fine serata, con un dubbio non del tutto positivo. Appena riuscì ad entrare nella sua stanza, sopra al suo tavolino trovò la lampada a petrolio accesa, cosa che non aveva fatto dato che non era riuscita a metterci piede in tutta la giornata. Nel pavimento, sul tavolo... ovunque era cosparso di cicche di sigaretta, tanto da farle poggiare una mano sul volto, quella ancora coperta dal guanto, il quale puzzava tremendamente di fumo, o forse si era semplicemente fatta contagiare da quell'enorme cumulo di sporcizia puzzolente?
 
-Pensavo di aver fatto un passo falso molto grosso il giorno che ci siamo incontrati, in quella noiosissima festa da ballo in casa tua... anzi, dovrei dire la tua passata dimora-.
Dopo quell'affermazione si accese l'ennesima sigaretta, mentre sembrava che quella palla di fuoco si stesse spegnendo accompagnata da un leggero abbassamento di essa, come se stesse precipitando nel vuoto più assoluto.
Era davvero lui il volto della fortuna con cui aveva ballato? Doveva ammetterlo... la sbirciata che gli aveva dato era stato così fugace da lasciare poco alla memoria, ma una cosa ricordava, ed era l'odore di fumo. Non sapeva che ogni marca producesse un odore diverso, ma se fosse stato così non avrebbe più avuto modo di negarsi che quella persona era la stessa con cui scriveva, con cui viveva quello straccio di vita sincera, e che persino l'aveva salvata ma, aveva in poco tempo scombussolato la sua intera esistenza. Una parte di lei trovava tutto chiaro, il come potesse entrare nella sua stanza anche se sigillata, la pregiata carta che usava per scriverle e le parole così volgari che utilizzava insieme a quel modo di pensare forte di una carica alta, intoccabile. Ma proprio per quest'ultima parte non si spiegava perché parlasse di povertà e diritti strappati, di giocate a poker e piccoli furti, di lavori faticosi e dolori in ogni dove, di come odiava dover fare i compiti a qualcun altro o sentirsi prendere in giro perché poco acculturato. Era assolutamente un controsenso, un impossibile descrizione di un nobile che non poteva permettersi di essere volgare, ladro ed incolto. Era anche vero che lei era l'opposto, nonostante non avesse diritto aveva una cultura se pur non paragonabile a quella dei nobili o borghesi figli che frequentavano istituti prestigiosi. Ma lei lo faceva di nascosto, mentre lui non poteva coprire il non studiare... anche se, l'uomo che l'aveva salvata era così elegante e gentile, con uno splendore così candido da opporsi contro quel nero acceso che pareva emanare l'uomo dinnanzi a lei.
-Non può essere la stessa persona!- ribatté con tutta la forza che le era rimasta. Quella figura denominata da lei fortuna non poteva essere la stessa carestia che si era abbattuta ora con quell'impeto violento.
-Perché no?- nonostante la sua interlocutrice fosse pervasa dai sentimenti, lui rimaneva freddo, forse un po' stralunato e sorpreso dalle domande che gli venivano poste. Era stata in mezzo ad un omicidio, aveva visto la sua mano trapassare un uomo, mangiargli il cuore. Il suo sangue colava di nero, le fiamme improvvise non l'avevano colpita ed ora navigava nel nulla, in una sfera d'aria... eppure, si opponeva a quell'unica risposta che sapeva darsi, forse tormentata dal fatto di essersi avvicinata troppo alla soffocante morte che lui era. Quel briciolo di bianco che gli restava, sembrava volerlo convincere di lasciarle quella menzogna intatta per affidarle un po' di forza. Ma dopo quella trasformazione, anche se temporanea sarebbe servito a qualcosa? Assolutamente no, il Conte sarebbe arrivato ad istanti ed infine tutto sarebbe tornato a riva più doloroso che mai. Se proprio doveva saperlo, era meglio dalla sua voce, così avrebbe per lo meno potuto osservare una probabile ed ennesima reazione contro ogni scommessa.
-Perché lei è un rozzo ed ignorante, che nulla può aver a che fare con l'eleganza e la gentilezza dell'uomo che cita!- lo sfidava con lo sguardo, pronta a trovare nei suoi occhi quel segnale di cedimento che lo avrebbe tradito. Non si intendeva molto di persone, ne aveva conosciute poche nella sua breve esistenza, però... la bugia la intuiva da pochi gesti, parole e sguardi, quelli che erano ancora assenti nei modi di fare di lui, che era così dannatamente naturale.
Aveva i capelli lunghi, raccolti in una classica coda che tanto va di moda tra i nobili, proprio quel dettaglio che mancava all'uomo che l'aveva salvata. Era passato piuttosto tempo, forse se li era lasciati crescere... ma ormai non aveva altro a cui aggrapparsi per auto convincersi di non avere dinnanzi lo stesso.
Si abbassò un po', porgendo la mano alla donna la quale rimase confusa. Che voleva dire quel gesto?

-Mi conceda questo ballo, così che io possa rettificare l'impressione che le ho dato di me-.
 
Era serio? Trovava che questo fosse il momento giusto per darsi ad una danza, nel bel mezzo di un discorso in un luogo indefinito? Eppure volle fidarsi, forse era un modo per lasciarsi andare e parlarle della realtà. Alzò la mano, osservandola leggermente per poi togliere le schegge di specchio che aveva, rimase stupita quando notò che non ne trovava più così come il dolore e le ferite. Lasciò perdere qualsiasi ragionamento perché sapeva che la fila era ben più lunga, ed ora doveva trovare per lo meno una risposta. Afferrò la sua mano tesa con una stretta incerta, in queste situazioni non sapeva bene cosa fare, forse doveva solo poggiarla? Aveva utilizzato la presa giusta? O forse non doveva proprio toccarlo? Lui non sembrò ridere del suo atto, perciò intuì che non fosse così errato.
Si lasciò accompagnare dalla leggera spinta verso l'alto che la fece tornare in piedi, subito la mano libera di lui si posò sulla sua schiena, delicatamente... quasi a volerla accarezzare con timore.
Divenne quasi un tronco, la sua schiena era così contorta nell'agitazione che si era raddrizzata come non mai. Non era abituata ai tocchi gentili, soprattutto di un uomo ed in certe zone, su cui aveva dovuto sempre percepire torture di ogni sorta. Doveva ammettere che nonostante l'imbarazzo trovava piacevole quel piccolo contatto per quanto fosse freddo, come il suo modo di fare ed il suo sguardo divertito, come se stesse scavando dentro di lei e sapendo tutto ciò che ella provava in quell'istante si sentisse già vincente, o forse felice di averla fatta emozionare, dopo i suoi tanti insistenti messaggi in cui descriveva la sua anima illusoria o il suo carattere in fin di vita. Era riuscito a smentirla in ogni riga da lei scritta ed ora con eleganza, voleva concludere il tutto con una danza della verità, che prendesse il posto di quella fortunata di tanti mesi fa. La fece volteggiare intorno a sé stessa per qualche istante, non provò a fare nulla di complesso se non muoverla come una bambolina ed osservarla con ardore di chi era consapevole di aver tra le mani un giocattolo acquisito con tanta fatica. E lei si sentiva idiota, a lasciarsi muovere così, senza opporre resistenza o per lo meno tentare di fare qualche passo con il suo cervello. Non sapeva neanche immaginarsi un ballo, figurarsi compierlo soprattutto quando il suo cavaliere pareva saperlo fare in maniera così naturale, mandando a bruciare tutti gli insulti vani sul suo conto. Per saper ballare non bisognava essere di certo nobili, ma quel suo modo di fare così dannatamente disinvolto non lasciava spazio ad alcun dubbio, cullandola con dolcezza forse all'inferno, perché era troppo surreale per potersi concludere bene.

-Ora...-
 
Si fermò di scatto, senza preavviso alcuno portando il volto a pochi centimetri da quello di lei, ancora frastornata dai tanti giri. Era ancora più divertito di prima, i suoi occhi fulvi parevano risplendere ancora più di prima, diventando due pietre di quarzo citrino incastonate, che mai aveva trovato così luminose dalle descrizioni dei libri. Era ovvio che si sollazzava, era come se quel colore glielo volesse comunicare senza vergogna alcuna, anzi orgoglioso di essersi svagato con lei per quei pochi istanti macabri. Forse la stava sfidando a comunicare anch'ella con il suo sguardo, ma non vi riuscì perché per la prima volta in quella giornata si sentì cadere. Non aveva più quella mano sulla schiena, e sentiva quella parte poco prima coperta gelarle la pelle. Era incapace di muoversi, e subito capì che stava precipitando, sotto la risata di lui che forse si stava godendo il massimo del piacere. Forse ora doveva provare paura?

***


Ho deciso di aprire un piccolo angolo dello scrittore per chiarire due cose che anche se non mi vengono domandate, sono certa che nella mente di chi legge, frullano :P

Beh la prima è senz'altro... ma la OC di questa fanfiction ha un nome? Ebbene sì lo ha, solo che lo saprete nel prossimo capitolo.

E perché nel prossimo? Questa fanfiction è impostata in maniera differente da una tipica. Come avrete notato sto descrivendo il presente inserendovi dei ricordi, i quali piano piano faranno capire il rapporto tra i due protagonisti di ora. Non volevo iniziare la storia con soli ricordi, trovavo che così avrebbe preso un andamento troppo lento e poco curioso, svelando subito ogni carta in gioco si perde anche il gusto di leggere, secondo me.

Se pensate di avere tutto chiaro riguardo alla storia... Beh per non deludervi vi dico che amo far credere qualcosa al lettore, non un inganno eh... mi piace solo sorprendere. Vi sembrerà forse banale, una delle tante OC con quel potere oscuro (non lo dico ma penso sia ovvio xD) ma... forse non lo è? O forse sì?

Narro sempre da punti di vista differenti? Sì ma per ora mi focalizzo su loro due, dando un capitolo a testa. Non amo avere un solo protagonista ma tanti, senza dargli però troppa soggettività. Mi piace esprimere cosa pensano/provano senza lasciare una linea confusa macchiata dai loro sentimenti, ovvero usando la prima persona penso di non rendere oggettivo il tutto. Perciò nonostante manterrò sempre la terza persona il punto di vista sarà sempre girato.


 

Boh per ora non ho altro da chiarire, ringrazio Momoko Nuirene che mi leggono e apprezzano pubblicamente, vi sono debitrice, state insabbiando la mia insicurezza xD alla prossima ^^

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