Lionhearts

di Holly Rosebane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 1. The Wanderer ***
Capitolo 3: *** 2. The Curly Boy ***
Capitolo 4: *** 3. The One Direction ***
Capitolo 5: *** 4. The School ***
Capitolo 6: *** 5. The Artist ***
Capitolo 7: *** 6. The Blonde Problem ***
Capitolo 8: *** 7. The Meaning ***
Capitolo 9: *** 8. The Dirty Little Secret ***
Capitolo 10: *** 9. The Edge ***
Capitolo 11: *** 10. The Apple ***
Capitolo 12: *** 11. The Unrevealed Identity ***
Capitolo 13: *** 12. The Song ***
Capitolo 14: *** 13. Body and Soul ***
Capitolo 15: *** 14. Misunderstanding Disaster ***
Capitolo 16: *** 15. Falling Down ***
Capitolo 17: *** 16. (Trying to) Pick up the Pieces ***
Capitolo 18: *** 17. The New Song ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Prologue


 

 

Spesso la parola “cambiamento” è usata in senso positivo.
Raramente viene interpretata in peggio, e quando accade, la gente cerca di limitare quella condizione, accorciando il periodo interessato di quanto più può.
Per me, il cambiamento è stato rovinoso. E a differenza degli altri, il mio “periodo” non si è mai concluso. Anzi, sono calata in un peggioramento tale da richiedere interventi drastici.
Come quell’inutile trasferimento. Perché, vi starete chiedendo.
Avete presente quelle “anime perse, destinate alla dannazione eterna”?
Bene, se riuscite ad immaginarle, avrete un’idea di me. Ma qualcosa di molto generico e superficiale, in realtà ci sarebbe molto di più da scoprire.
Vogliamo partire dall’inizio, da come ho rovinato tutta la mia vita e quella di chi mi era accanto?
All’inizio non ero una cattiva ragazza. Onestamente, non credo di esserlo nemmeno adesso, fatta eccezione per alcune brutte abitudini.
In ogni caso, ero una comune adolescente americana, con dei bei voti a scuola, tanti amici, l’immagine pulita e una famiglia unita. Mi piaceva vestirmi con colori pastello, ascoltavo la musica classica e la domenica andavo sempre in chiesa. Cavolo, a ricordare tutte queste cose mi viene un po’ da ridere.
Come tutti sappiamo, dunque, la vie en rose non esiste veramente, e tutte le cose belle, prima o poi, finiscono. Anche quella che prima era Holly Sullivan.
È bastato un semplice divorzio a far cadere in pezzi la mia vita. Sì, mio padre si separò da mia madre ben quattro anni fa, quando io avevo tredici anni, perché la tradiva con un’altra da due.
Come avrebbe mai fatto una donna californiana a sospettare di un’amante, quando questa si trovava nientemeno che a Londra? 
E che i veri “viaggi di lavoro” di suo marito erano solo per metà a scopo costruttivo per la sua azienda? Semplicemente grazie ad una telefonata nel giorno dell’anniversario di matrimonio da parte di mia madre. Mio padre aveva lasciato il telefono a casa dell’amante, e non aveva fatto in tempo a recuperarlo prima di considerevoli danni.
Per una stronzata simile, la mia famiglia si era divisa in due, passando fin troppi momenti patetici in tribunale per l’affidamento, gli alimenti, i tentativi di riconciliazione. Odiai a morte mio padre, la sua amante, me stessa.
Mi chiusi in un mondo tutto mio, tagliando fuori piano a piano chiunque mi dimostrasse un minimo di simpatia o attenzione. Detestai perfino il sole che sorgeva tutte le mattine, perché mi dimostrava che, nonostante tutto, la vita andava avanti. E a causa di questo, cominciai a cambiare.
Iniziai a frequentare gente non proprio “a posto”, che bazzicavano locali non proprio “raccomandabili”, e che avevano una certa familiarità con cose per niente “pulite”.
Nel giro di tre anni, avevo passato buona parte delle mie notti a ballare in discoteca, passando di ragazzo in ragazzo, ammazzandomi di vodka e canne, partecipando ad ogni genere di festini e rave, facendomi un piercing sulla lingua e al sopracciglio, e un tatuaggio sulla nuca.
Quando la situazione si era fatta irrimediabile, la mia povera madre, dopo averle tentate tutte, mi aveva spedita in un Istituto di Riabilitazione.
Fresca fresca di terapia, ormai ben lontana da alcool e droghe, aveva deciso di recidere ogni legame col passato, facendomi trasferire a casa di mio padre, in Inghilterra. Dove avevano un’altra mentalità, un’altra visione del mondo.
E non in una città, dove le tentazioni sarebbero state troppe e affascinanti, ma in un paesino schifoso meglio noto come “Holmes Chapel”, dove cinquemila abitanti erano pure troppi, una pizzeria un miracolo e una discoteca un oltraggio.
Un posto dove “Sunshine”, come mi chiamavano nel giro, non avrebbe mai potuto brillare di nuovo. Ma non ero arrabbiata per questo.
In un certo senso, me lo meritavo. Nessun crimine resta impunito, prima o poi tutti scontano la pena. E la reclusione in un paesino allegro, spensierato e lontano anni luce dalla dorata e affascinante pericolosità della night life cittadina era il mio scotto da pagare.
Sicuramente, però, mi sarei data da fare per divertirmi anche lì.
A modo mio.
Se Sunshine aveva subito un’eclissi, avrei trovato il modo di illuminare comunque la notte.







Holls' Corner!:

Avevo detto di avere una sorpresa per le mie girls... beh, eccola!
Diciamo che questa storia si sta scrivendo da sola, e che è piuttosto particolare.
Voglio subito ribadire che la protagonista ed io non abbiamo nient'altro in comune all'infuori del nome e dei gusti musicali. Nada. Niente. Non pensate, quindi, che quella Holly sia io, negativo.
E' semplicemente un personaggio, che ho preferito chiamare in questo modo. La storia è ambientata ad Holmes Chapel, quella vera. Nel senso che ho usato locazioni reali ed esistenti, eccetto le abitazioni dei protagonisti.
Nel prologo, Holly introduce sé stessa. Non è certo un tipo facile, con quella situazione alle spalle. Devo dire, però, che la apprezzo parecchio. Ok, lo ammetto, l'adoro. Ed è raro che mi affezioni ai miei personaggi inventati.
Ah! Questa storia è un colossale ed elefantiaco cross-over, quindi non vi stupite più di tanto se leggerete di Eric Szmanda (Greg di CSI), Nick Jonas e alcuni altri.
Alla fine, la cosa principale è divertirsi e cercare di comunicare un messaggio, quando si scrive (oppure un assoluto nulla, ci sono diverse scuole di pensiero...).
L'ho capito un po' tardi, ma comunque ci sono arrivata. E questo ne è il risultato.
Per i primi capitoli avremo il punto di vista fisso di Holly, poi inizieranno ad esserci anche quelli degli altri. I cinque  idioti  fantastici ragazzi ai quali è dedicato il fandom compariranno presto, ma con estreeeema calma.
Che altro dire? Non mi resta che lasciarvi leggere.
Oh, sì, un'ultima cosa. Cercherò di aggiornare presto, ma non contateci più di tanto. Ok, sono tornata, ma la scuola martella comunque, hahahahah!!
Però m'impegnerò, parola di zietta e di Styles (che c'entra, ora, Harry? Non lo so, ma mi andava di tirarlo in ballo. Forza dell'abitudine!). Grazie in anticipo per il tempo che le dedicherete, e se trovate errori, o spropositi, fatemelo notare subito! E fatemi sapere cosa ne pensate, era da parecchio che non pubblicavo qualcosa di mio! Un bacione a tutti :)



 



 

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Capitolo 2
*** 1. The Wanderer ***


1.
The Wanderer

 
«I'm gonna break the cycle, 
I'm gonna shake up the system
»

Madonna Die Another Day
 
 
 

Fissavo il paesaggio scorrere dal finestrino del treno, con la musica sparata a volume assordante nelle orecchie.
Battevo il piede a terra seguendo il ritmo della batteria, ondeggiando lievemente la testa, e il vecchio settantenne che leggeva il giornale, seduto di fronte, mi lanciava un’occhiata contrariata, di tanto in tanto. Potevo quasi sentire chiaramente il suo pensiero.
Questi giovani di oggi, sempre con le cuffiette, maleducati” e chissà quanti altri begli aggettivi a seguire. Ma, onestamente, non me ne sarebbe potuto importare di meno.
Sapevo di essere marcia dentro, anche se fuori potevo sembrare solo “particolare” o alternativa, e dunque insalvabile, condannata all’eterna imperfezione. Per quanto può esserlo una diciassettenne californiana appena dimessa da un anno di riabilitazione da alcool e droghe, caricata su un treno diretto nel Cheshire.
La mia povera madre aveva avuto tutte le sue ragioni del mondo, e lasciarmi partire le era anche costato molto. Costituivo la sua sola famiglia, il suo appiglio, anche se avevo mandato tutto in malora.
Ma, sosteneva, quella sarebbe stata l’unica maniera possibile per cercare di redimermi. Per non appiccicarmi l’etichetta “rifiuto umano” sulla fronte, e mandarmi alla discarica, come un giocattolo rotto. In queste situazioni si cerca di contare sull’aiuto degli amici, oltre a quello dei famigliari.
Certo, ad averceli. Mi ero allontanata da tutte le mie amiche più care, scaricato il mio vecchio ragazzo quattro anni fa, e tutte le nuove conoscenze strette negli ultimi tempi erano assolutamente bandite. D’altronde, erano stati loro a portarmi sulla cattiva strada.
Sì, ma io avrei potuto benissimo tirarmene fuori, una testa ce l’avevo. La verità era che io ormai ci sguazzavo in quello schifo, era diventato un abitudine, la micidiale routine. E se non mi ci avrebbero tirato fuori per i capelli, probabilmente ci sarei annegata dentro con tutta me stessa. Perché in realtà della mia vita non importava nulla a nessuno, all’infuori di mia madre.
Quella di mio padre era una semplice posa, un moralismo inutile e nauseante, che mi disgustava. Il minimo che rasentava la cortesia, nonostante lui si affaticasse pateticamente a sostenere il contrario. E pensare che avrei dovuto trascorrere a casa sua tutto l’anno, con quelli, mi veniva voglia di sbattere violentemente la testa contro il vetro fino a sanguinare.
Ma era l’unico modo per riuscire a cercare una soluzione a tutto quell’enorme schifo di problema che era la mia vita, ed era mio dovere provarci almeno. Anche se mi sarebbe costato molto.
Appoggiai la fronte al finestrino, e chiusi gli occhi. Quando li riaprii, la voce registrata comunicava a tutti gli altoparlanti del treno che la fermata a cui dovevo scendere era arrivata. Raccattai le mie borse e la valigia, e pestando piedi e urtando ginocchia, uscii dallo scomparto, insieme a molte altre persone. Mi fermai un secondo sulla banchina.
Ogni volta che usavo qualche mezzo pubblico, mi affascinava la moltitudine di gente che ne usufruiva. Milioni di vite, di storie, che si incontravano per un breve attimo, che non avrebbe resistito nella memoria se non per qualche minuto.
Chiedermi quale fosse il sogno nascosto dello skater punk che grindava davanti a me con i Blink-182 nelle orecchie, o il primo pensiero mattutino della signora attempata con la permanente che parlava al telefono poco dopo le mie spalle, era routine.
In momenti come quelli, mi sentivo parte di qualcosa di enorme, infinito, ma allo stesso tempo di niente. Era una sensazione complicata, durava poco e si presentava raramente. E non ero proprio sicura che fosse sana. Ma mi faceva stare bene, dunque non aveva importanza.
Mi scossi, e tirai il cellulare fuori dalla tasca per chiamare mio padre. Ero alla stazione, ma non sapevo di certo come si arrivasse a casa. Sì, Holly, ben detto. Casa. Farai meglio ad abituartici.
In quel momento, sentii dei passi di corsa, e chissà come mi ritrovai a terra, aggrappata alla valigia con un braccio, e la spalla dolorante.
– Cosa diavolo…?! – Esclamai, massaggiandomi il collo. Alzai lo sguardo, e vidi un ragazzo nella mia stessa condizione, a terra, che si passava una mano fra i capelli biondo ossigenato, corti, con frangetta e crestina. Doveva aveva la mia età, forse uno o due anni in più. Si scosse, e strabuzzò gli occhi. Grandi, azzurri, dolci.
– Scusami! È stata tutta colpa mia, ero di corsa, e non ti ho proprio vista…! – Esclamò, scattando in piedi. I suoi lineamenti erano gentili, angelici. Fisico asciutto, abbastanza alto, e vestito sicuramente bene.
Polo blu carico e bermuda bianchi, Converse bianche. Sembrava uscito da una pubblicità di un qualche capo firmato. Non ai livelli di Hollister, ma l’impressione era quella. Inoltre, aveva uno spiccato accento irlandese. Mi tese la mano.
– Dai, ti aiuto ad alzarti. Mi chiamo Niall. – Disse, mentre mi tiravo su. Sorrise. Mi mise voglia di ridere insieme a lui, anche se in realtà avessi voluto fare tutt’altro. In situazioni normali, l’avrei mandato gentilmente a farsi benedire, con frasi molto poco educate.
E invece no. Non era rimasto impressionato dal mio aspetto, né dai miei modi iniziali. O era un ottimista fino al midollo, oppure non gliene fregava proprio niente.
– Io sono Holly. – Risposi, semplicemente. Gli sorrisi, non potevo fare altrimenti. Mi sarei sentita in colpa a trattarlo male. Sembrò vagamente colpito dal mio nome, poi il suo sguardo cadde sul lercio pavimento della stazione. E trasalì.
– Dio. – Disse, passandosi una mano sulla faccia. Guardai a terra anch’io, e per poco non urlai. C’erano due cellulari identici a terra, in pezzi, con cover, batteria e scheda sim al vento. Fantastico modo di iniziare l’anno.
Ci chinammo, cercando di ricomporli come meglio potevamo. Intanto, Niall non faceva altro che scusarsi, con le guance vermiglie dall’imbarazzo. Mi fece tenerezza, si stava seriamente preoccupando per un problema che era suo solo in parte. Molti si sarebbero limitati a sistemare il proprio telefono, e tanti saluti.
Mi trovai quasi a sperare che fossero tutti come lui, lì ad Holmes Chapel. Poi me ne pentii.
Non meritavo la gentilezza di nessuno, tantomeno di quella degli sconosciuti.
– Stai tranquillo, non è successo niente! Per così poco… – cercai di dirgli, ma lui sembrava seriamente dispiaciuto. Sistemati i cellulari, lui diede un’occhiata al suo orologio da polso.
– Già così tardi? Mi dispiace per quel che è successo prima… facciamo così: scambiamoci i numeri, così se dovessero esserci problemi, basterà una telefonata. Ok?
Lo fissai. Per quale motivo avrei dovuto lasciare il mio numero ad un perfetto sconosciuto che neanche due minuti prima aveva ridotto in pezzi il mio cellulare?
Perché quel paesino era pressoché morto, e gli unici giovani che potevano esserci, non dovevano abbondare. E magari sarebbe anche potuto tornarmi utile. Glielo dettai, e memorizzai il suo.
– Ora devo proprio scappare. Ci vediamo… Holly. – Disse, sorridendo, e corse via. Alzai una mano, sventolandola lentamente a destra e a sinistra, ma lui era già di spalle, e non avrebbe potuto vedermi. Lo fissai, mentre guadagnava velocità, e si confondeva con la massa di pendolari.
Quando non fu più visibile, abbassai il braccio. Scossi la testa, e digitai il numero di mio padre. Dopo due squilli, mi rispose.
– Pronto?
– Ehi. Sono alla stazione.
– Holly, tesoro! Vengo subito a prenderti. O vuoi che mandi…
– No, ti aspetto. Ciao. – E attaccai. Ci mancava solo che mi facesse venire a prendere da uno dei due figli della sua nuova mogliettina adorata, così avrei potuto concludere alla grande la mia entrata in scena ad Holmes Chapel.
Posai il cellulare nella tasca, e sospirai, trascinandomi fuori. Le voci dei pendolari mi assordavano, e la valigia pesava da morire. Trovai una scalinata, all’esterno della stazione e mi accampai lì a terra. Stranamente, quella era una delle rare giornate di sole inglesi.
Sapevo che lì pioveva sempre, così me l’ero figurato come un posto grigio ed oppressivo. Invece, almeno lì, pullulava di vita, e il cielo terso metteva buon umore. Si stava bene, benché fosse l’inizio di settembre, il clima aveva ancora accezioni estive.
Rovistai nella borsa, e presi il pacchetto di sigarette. Avevano potuto togliermi l’erba e la vodka, ma non il tabacco. Quella era l’unica dipendenza che veniva accettata. Che poi, danneggiava tanto quanto le altre. Ma ognuno decideva a modo suo come privarsi della vita.
L’accesi, e tirai una lunga boccata, appoggiandomi agli scalini con i gomiti, e stendendo i piedi.
 Forse, tutto sommato, sarebbe stato interessante vivere lì.
 
 

***

 
 
 
Vidi una colossale Range Rover Sport avvicinarsi, con mio padre alla guida, e spensi la cicca sotto la suola della scarpa. Non sapevo che si fosse comprato una macchina nuova così costosa, ultimamente. Mi alzai, spazzolandomi la polvere dai pantaloncini.
Papà parcheggiò, e scese ad aiutarmi. Sembrava quasi ringiovanito. Aveva una bella cera, e un fisico ottimale, i capelli castano scuro in una piega alla Hugh Grant, camicia a mezze maniche azzurra, jeans e scarpe da ginnastica. Gli occhi azzurri ridenti, con le solite rughe attorno, e vicino agli angoli della bocca carnosa, piegata in un sorriso genuino.
Mi corse incontro, abbracciandomi. Rimasi immobile per alcuni istanti, sorpresa da tanto affetto. Ricambiai la stretta, stanca di arrabbiarmi. Tanto ormai mi ero rassegnata. Per un anno, lui sarebbe stato la mia famiglia. Meglio collaborare fin da subito.
E poi, erano due anni che non lo vedevo dal vero. Ci sentivamo solo in chat su Skype, o al telefono. Sciolse l’abbraccio, lasciandomi le mani sulle spalle, e guardandomi bene.
– Come sei cresciuta, Holly. Tutta tua madre. Anche se lei ha un po’ meno tatuaggi…– disse, ridendo. Seguii il suo esempio, ma la mia risata era piuttosto amara.
Perché non aveva visto ancora il mio piercing sulla lingua. E quelli alle orecchie. I lunghi capelli nero corvino li nascondevano bene. Sospirò, e si volse verso i miei bagagli.
– Sali in macchina, mi occuperò io delle valigie. Anne e i suoi due figli non vedono l’ora di conoscerti, sai? Anche se, momentaneamente, a casa c’è solo il ragazzo.
– Ah, non immagini quanta voglia abbia io di vederli… – risposi, non riuscendo a reprimermi. Papà mi lanciò un’occhiata apprensiva. Mi strinsi nelle spalle.
– Cosa? Non ho mai detto che mi sarebbe piaciuto stare con loro. Dammi tempo, ok? – Dissi, alzando le mani e camminando verso l’auto.
Non potevo vederlo, ma ero sicura che aveva messo su la sua espressione contrita-e-mezzo-dispiaciuta, che tirava fuori ogniqualvolta mostravo indifferenza o disprezzo verso la sua nuova famiglia. Non li avevo mai visti prima, e neanche m’interessava.
A nessuno piace vedere faccia a faccia la causa del proprio dolore. Le persone intelligenti ci si tengono lontane miglia e miglia. Mica come me, che ci vanno ad abitare insieme.
Mi sedetti davanti, e incrociai i piedi sul cruscotto, cercando il pulsante per accendere la radio. Lo trovai, e la sintonizzai su una stazione dove davano sempre le grandi band del passato, come i Queen o i Beatles. In quel momento passavano gli Oasis, con la loro fantastica “Acquiesce”. Sparai il volume al massimo, stravaccandomi sul sedile.
Diamine, le macchine di lusso costavano da morire, ma valevano ognuno di quei centesimi. Erano maledettamente comode. Mi sgolai insieme ai Gallagher, mentre papà chiudeva il portabagagli, e saliva in auto. Diceva anche qualcosa, ma non riuscivo a sentirlo.
– …mia! – Esclamò. Lo fissai, stralunata.
– Coosaaa?! Non ti sentooo! – Urlai, sopra le chitarre e gli acuti del ritornello. Lo vidi sporgersi verso la manopola del volume, e abbassare quel tanto che bastasse per consentire una conversazione più o meno civile.
– Dicevo… – ripeté, allacciandosi la cintura, – che la macchina non è mia, quindi fa’ attenzione.
Non era sua? E di chi? Come cavolo aveva fatto a prendere in prestito un’auto da 15.000 sterline?!
– E di chi è, allora? Questo catorcio costa più di te e me messi insieme! – Risposi, alzando un pochino il volume. Rise di gusto.
– Che c’è di tanto divertente?
– Il fatto che è del figlio minore di Anne.
La saliva mi andò di traverso. Iniziai a tossire violentemente. Come cazzo faceva un diciottenne a permettersi una macchina del genere?! 
Era un discendente di Re Mida, ogni cosa che toccava diventava oro, e poi se la rivedeva al mercato nero? Oh, per favore.
Era ricco di famiglia? Non mi pareva che lo fosse.
Avevano vinto alla lotteria. Avevano partecipato a uno squallido reality con un ricco montepremi. Non c’erano altre spiegazioni.
– Non ti credo. – Dissi, riprendendomi, e abbassando completamente il finestrino, lasciando la mano penzolare di fuori, avvertendo il vento fra le dita e i capelli, mentre gli Oasis facevano spazio ad “I Want it All” dei Queen. Papà sorrise, lo vidi con la coda dell’occhio.
– E invece dovresti. Ma è una lunga storia, e te la dirà lui. A proposito, comincio col dirti che sono dei tipi un po’ particolari…
– Chi?
– Lui e i suoi amici. In ogni caso, ripeto, non spetta a me dirtelo. Caratterialmente, vi somigliate parecchio. Scommetto che vi troverete bene, insieme.
Lo guardai.
– Papà, sii realista. Quante sterline ti senti in vena di perdere, oggi? Cinquanta? Dai. Cinquanta sterline che lo picchio entro trenta minuti dal mio ingresso in casa.
Rise. Io ero stata molto seria! Con cinquanta sterline avrei potuto comprarmi un pacchetto di sigarette, fare colazione da Starbucks, prendermi Cosmopolitan UK e un nuovo lucidalabbra. Mica male!
– Attenta Holly, ‘sta volta potresti perdere. – Rispose, facendo manovra.
– Non penso proprio, invece. – Decretai, fissando fuori dal finestrino. Tutto quello che si vedeva erano casette carine stile cottage o condomini, costeggiammo una bellissima chiesa, di stampo antico – la chiesa di St. Luke, come aveva specificato mio padre –, e parecchi pub. Non pensavo che ce ne fossero, la mia idea del paesino che ci circondava era più pia, spartana e clarissa.
In quella stradina, dove gli edifici si addossavano gli uni gli altri, i passanti passeggiavano placidamente, entrando in quella biblioteca, o in quel supermercato, con calma disarmante, come se niente potesse turbarli. Così, per moto di ribellione, alzai di colpo il volume della radio, nel bel mezzo dell’assolo di chitarra. Molti si girarono, lanciandoci occhiatacce contrariate.
Papà si sperticò ad abbassare immediatamente, mentre scoppiavo a ridere.
– Holly! Ma che ti è saltato in mente? – Mi rimproverò, immettendosi in una viuzza secondaria, in zona residenziale.
– Li hai visti? Dio, era solo un po’ di musica! Siete tutti così dannatamente bigotti, da queste parti? – Chiesi, spegnendo la radio. Papà sospirò, parcheggiando presso un vialetto d’accesso. Quello che ci voleva era una bella scossa. E io avrei contribuito con piacere a tale causa.
– Siamo arrivati. Togli i piedi da lì, prima che ti vedano… – si raccomandò, togliendo le chiavi da quadro. Sbuffai.
– Ti chiedo solo un po’ di pazienza, Holly. So che per te non è facile, ma non credere che per loro sia una passeggiata. Sforzatevi di andare d’accordo, va bene?
– Veramente…
– Va bene? – Ripeté, col tono di chi non ammetteva repliche. Ritrassi i piedi e annuii con la testa.
– Perfetto. Dai, scendi, non vedono l’ora di vederti! – Esclamò, scompigliandomi i capelli con la mano. Quando scese, sospirai, sistemandomi le ciocche in disordine. Andiamo, Holly. La tua pena sta per essere scontata.






Holls' Corner:

Ooooh, adesso si comincia!! Abbiamo l'ingresso di Niall, che entra nella storia in maniera un po' brutale, hahahah! Ora comincerete a capire di che pasta è fatta Holly, e la sua situazione famigliare. Stavolta non parlerò molto, ma lascerò che la storia si spieghi da sola. Perché? Mah, semplicemente perché credo che questa volta sia meglio così!
Non mi resta che ringraziare chi ha recensito il prologo, e chi ha già messo la storia nei preferiti e nelle seguite, grazie davvero!! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e come al solito, fatemi sapere se dovessero esserci delle cose da correggere, oppure se avete un'impressione da comunicarmi, insomma!! Grazie in anticipo! Un bacione a tutti :D!!


 



 

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Capitolo 3
*** 2. The Curly Boy ***


 

 

2.
The Curly Boy



« Oh, the truth I must tell
Is I'm lonely as hell…
Still looking for myself
»
The Summer SetWhere Are You Now?
 
 


La casa era fantastica, almeno dall’esterno. Una bella villetta a due piani, con porticato e gran giardino. Dovevo ammettere che si erano sistemati molto bene. Volevoavanzare, ma i piedi restavano chissà come attaccati a terra. Vidi papà, carico di borse, trascinare la valigia fino all’ingresso. “Dai!”, m’intimava, in labiale.
Mi sforzai di ignorare la fastidiosa morsa allo stomaco, e mi feci avanti. Salii gli scalini del porticato, e protesi il dito verso il campanello. “Sullivan – Millward” era scritto con grafia elegante sopra l’interruttore. Premetti per un attimo. Sentii del tramestio, voci sia maschili che femminili, e il cuore iniziò ad accelerare coi battiti.
 Perché mi sentivo in quel modo, quando neanche due minuti fa avrei escogitato chissà quale tiro da giocare ai residenti di quella casa, per puro dispetto? Bah, la verità era che forse  avevo anch’io voglia di conoscerli. Il minimo sindacale, però, sia chiaro. Sentimmo altri passi, e finalmente la porta si aprii.
Non ero preparata a quello spettacolo, e non credo lo sarei stata mai nella vita. Era semplicemente troppo.
 Davanti a me c’era il più bel ragazzo che avessi mai visto.
 Se non l’avessi odiato più della mia stessa vita per antonomasia, me lo sarei sicuramente portato a letto. E anche di corsa.
Sorrise. Sembrò illuminarsi, era…
– Ah! Ciao Carl! Tu devi essere Holly. Io sono Harry Styles. Piacere di conoscerti. – Che voce profonda. E sexy. Mi tese la mano. La seconda volta che quel gesto mi si proponeva, in una giornata. Gliela strinsi, momentaneamente senza parole. Sentii come una scarica elettrica, al contatto con lui.
Quel tipo era una vera bomba. Alto, forse un metro e ottanta. Soffici riccioli color cioccolato, occhi verde acqua, naso perfetto, bocca rosea e carnosa, sorriso luminoso. Aveva anche le fossette. Aria vagamente strafottente su un faccino da angelo maledetto.
 Fisicamente non avevo nulla da eccepire in lui. Indossava una semplice maglietta dei Ramones – bei gusti musicali – nera a mezze maniche, poco sotto l’ascella sinistra spuntavano i contorni di una stella nera a cinque punte tatuata. Bermuda beige, Adidas nere ai piedi.
La mia radiografia fu interrotta dal miagolio di un bellissimo europeo dal pelo grigiastro. Mi fissò con le sue iridi verdi dalle pupille a spillo, comparendo vicino ai piedi di Harry. Mi chinai ad accarezzarlo. Si stiracchiò sotto la mia mano, facendo le fusa, e saltandomi in grembo.
– Le piaci! Strano, odia gli sconosciuti… – commentò, guardandomi con più attenzione. Accarezzai la micia, affilando lo sguardo.
– Evidentemente gradisce i casi senza speranza. – Risposi, sorridendo provocatoria. Fece per rispondere, ma venne interrotto da mio padre.
– Harry, avrete un intero anno per fare conoscenza. Che ne diresti di aiutarmi a portare questi nella sua camera?
Gli tese una delle mie borse, quella dove tenevo le scarpe col tacco, e che pesava più di tutte.
– Certo! Da’ qua. – Prese la sacca, e per poco non cadde in avanti, sorpreso da tanto peso. Nascosi un sorriso dietro la gatta, cercando di mostrarmi indifferente.
– Cosa ci tieni qui dentro? Un cadavere?! – Chiese, caricandosi la borsa in spalla. Lo guardai. Dio, non ce l’avrei proprio fatta.
– No. Stiletto da 12cm. E molte molte armi da fuoco.
Ridacchiò, e si volse a salire le scale, seguito a ruota da mio padre.  Mi guardai attorno. Era un ingresso molto ben arredato, largo e spazioso, un open space con il salotto. Vedevo le vetrate coperte da fini tendine bianche, il divano e il tavolino basso, la porta che immetteva in quella che immaginai fosse la cucina.
 Feci per avviarmi in salotto, quando proprio da quella porta sbucò una bella donna,  che somigliava parecchio ad Harry, con lunghi capelli scuri ondulati e occhi nocciola. Indossava un comodo completo da casa, la tipica tuta estiva. Mi sorrise gentilmente. Ricambiai l’occhiata cortese, indecisa se sorriderle o meno.
 Lei era Anne Cox, la donna che aveva portato mio padre via da mia madre. Ci fu un silenzio imbarazzante. Io non sapevo se urlarle contro o abbracciarla, e dedussi che lei si sentiva a disagio almeno quanto me, se riusciva ad avvertire quanto potesse risultarmi naturalmente avversa. Accarezzai la gatta, cercando di guadagnare tempo e riflettere.
Non potevo essere troppo dura con lei, alla fine una storia d’amore nasceva grazie alla collaborazione di due individui. Dunque la colpa non era proprio tutta sua. Eppure non riuscivo proprio a mettere via tutta la sofferenza che avevo passato a causa di ciò che aveva distrutto. Ma non me la sentivo di condannare un amore, per quanto sbagliato che fosse.
Se era andata così, voleva dire che era destino che quella coppia si rompesse.  Magari non mi sarei mostrata subito cordiale e amichevole, ma non l’avrei nemmeno trattata male.
Forse avrei usato una completa e totale indifferenza. Sarei rimasta sola in camera mia con le sigarette e i libri di Chuck Palahniuck. In completo isolamento.
La vidi fare un passo verso di me, torcendosi le mani, in evidente difficoltà.
– Ciao Holly. – Disse. Solo quelle due semplici parole. Non mi era ostile, cercava anzi di dimostrarmi che, nonostante tutto, mi volesse “bene”. Cercava di farmi sentire benvenuta. Le sorrisi, incerta.
– Ciao, Anne.
Si avvicinò ancora di più, accorciando le distanze. Accarezzò la gatta, con calma.
– Lei si chiama Dusty. Odia gli sconosciuti, ma pare proprio apprezzarti. Non trovi?
– A quanto sembra… – risposi, guardando prima la gatta, poi lei. Non sapevo cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Mi aspettavo un’accoglienza fredda, insensibile, velata di rancore. Non mi aspettavo comprensione.
– Quindi… volevo solo dirti che in questa casa non sarai mai un’estranea, né per me, né per i miei figli. Io ti considero come loro. – Concluse, incoraggiante. Non mi aspettavo amore.
La gatta scese dalle mie braccia con un balzo silenzioso e agile. Lasciandole vuote. Sentii il naso pizzicarmi. E non era certo un’allergia. Quella donna conosceva tutto l’inferno che avevo patito.
 Sapeva che avrei potuto avere un’influenza pessima sui suoi figli. Sapeva che spesso l’avrei volentieri ammazzata per tutto quello che ci aveva fatto, indirettamente.
Ma eccola lì, a dimostrarmi affetto, come se fossi un’altra dei suoi figli naturali, che tornava a casa dopo esser scappata per un litigio. Fumavo, bevevo, e lei mi voleva bene. Non mi biasimava. Non mi giudicava. Lei.
 Che avrebbe dovuto essere la prima. Che avrebbe dovuto odiarmi. Sentii una lacrima calda scivolare pesantemente lungo una guancia. Mi affrettai ad asciugarla col palmo della mano, ma ne rovinò giù un’altra, dalla guancia opposta. Che idiota che dovetti sembrarle.
– Vieni qui. – Disse, e mi abbracciò, stretta. Lasciai che le lacrime le bagnassero la maglietta e chiusi gli occhi, impotente. Perché negli ultimi quattro anni, nessuno a parte mia madre era mai stato così gentile con me.
Per paradosso, era proprio la causa di tutti i miei problemi a consolarmi in quel momento. La sentii accarezzarmi i capelli, materna. Dopo quelli che sembrarono anni, in cui riuscii a calmarmi un po’, sciolsi l’abbraccio.
 Passi scesero le scale. Rapidi, svelti, ma non affrettati. Mi girai, trovandomi faccia a faccia con Harry. La bomba sexy. Proprio l’ultima persona da cui avrei voluto farmi vedere in quello stato.
Mi prese la mano, senza neanche chiedermelo, e mi trascinò con sé.
– Andiamo, ti faccio vedere la tua stanza. – Disse. Quando mi volsi indietro, vidi Anne con gli occhi lucidi.
 
 

***

 
 
Salimmo una rampa di scale, arrivando in un corridoio che collegava tutte le camere. Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano libera, cercando di ricompormi, e fingendo che non fosse successo nulla. Ci fermammo di fronte ad una porta aperta. Harry entrò, e io lo seguii.
– Eccoci. Per tutto l’anno, questa sarà la tua camera. Lì c’è il bagno, poi la finestra da sul giardino… l’armadio è abbastanza grande, così potrai nasconderci dentro i fucili che hai nella borsa… – disse, e io risi.
– Ho anche qualche mitra, non sono tutti fucili. – Risposi. Si strinse nelle spalle.
– Quello che ci metti dentro non è affare mio, tutti hanno una privacy. – Commentò, poi si volse a guardarmi. Sperai che non avessi gli occhi da panda. O i capelli per aria. E, in ogni caso, cosa accidenti me ne fregava di quello che pensava lui?
 Mi sistemai una ciocca corvina dietro l’orecchio, per non stare con le mani in mano. Scoprii i quattro buchi che avevo sull’orecchio, compreso quello sulla cartilagine. Per un secondo, i suoi occhi vagarono sui miei piercing.
– Cosa? Non hai mai visto una ragazza, prima d’ora? – Gli chiesi, con strafottenza. Ridacchiò.
– Per tua informazione, ho visto molte ragazze. Anche più belle di te. – Rispose, avvicinandosi. Alzai un sopracciglio.
– Non ho mai detto di essere bella. – Precisai, fissandolo negli occhi. Dannato verde-acqua. Altri cinque minuti, e le mie capacità cognitive sarebbero andate a puttane.
– Però lo sei.
– Ci stai provando con me? – Domandai, mezzo divertita. Gli inglesi andavano subito al dunque. E pensare che solo due minuti prima piangevo sulla spalla di sua madre.
Era proprio vero che le mezze misure non esistevano più. Scosse i capelli, e i ricci molleggiarono. Provai il desiderio selvaggio di affondarci dentro le dita.
– Non ho mai detto che ci avrei provato. – Sorrise. Ecco le fossette.
– Però lo stai facendo. – Ridacchiai. Al tipo non piacevano i giochetti. Meglio per me. Mi sarei divertita di più. Lo spinsi leggermente, allontanandolo.
– Onestamente, non ho idea del tipo di ragazze con cui tu sia stato, però… non credere che io sia una facile. – Lo avvertii, voltandomi. Misi una mano sullo stipite, e feci per uscire, quando la sua voce mi bloccò.
– Ti do un mese.
– Per fare cosa?
– Per avere il tempo di riflettere, prima che m’implorerai di stare insieme a te.
Ridacchiai, scuotendo la testa. Era sexy e anche montato. Bene.
– Sogna, ricciolino, sogna. – Lo sentii ridere.
– Tu non sai con chi stai parlando. – Disse, con tono leggermente canzonatorio. Chiusi gli occhi. Il tipetto meritava una bella lezioncina. Mi volsi, sorridendogli angelicamente.
– Certo che lo so.
Mi avvicinai a lui, con calma, fissandolo. Quando gli fui a due centimetri, gli tirai leggermente la maglia, in modo da farlo chinare, e avere il suo volto quasi alla stessa altezza del mio.
– Sei certamente un bel ragazzo… – sussurrai al suo orecchio, mentre con la mano libera gli sfiorai il ventre, sollevando la maglietta.
– Con un certo carattere… –  continuai, e lo vidi sorridere. Arrivai al bordo dei suoi boxer. Trattenne il respiro.
– Ma… – presi tempo, infilando un dito nell’elastico, e stringendo la maglietta con l’altra mano, facendo aderire il suo corpo al mio. Era mio. Tirai la molla.
– Ti piace troppo scherzare con il fuoco. – Lasciai la presa. L’elastico tornò al suo posto con uno schiocco secco. Mi passai la lingua sul labbro superiore, e poi sorrisi. Mi fissò, sconcertato.
– Ci vediamo, Harry. Grazie per il giro turistico. – Dissi, e lo lasciai lì nel bel mezzo della stanza, solo come un’idiota. Avevo letto di quella mossa in un libro, ma non avevo mai avuto la fortuna di provarla. E poco fa mi si era presentata su un piatto d’argento. Non avevo potuto resistere.
Mi ci era voluto tutto l’autocontrollo di questo mondo, ma ne era senza dubbio valsa la pena. Scesi le scale, riflettendo su quanto mi aveva detto. “Un mese prima che m’implori di mettermi con te”. Senza dubbio aveva una buona considerazione del suo aspetto. E dell’effetto che faceva alle ragazze.
Ma la parte divertente era che molto probabilmente, nessuna aveva mai avuto le palle di dirgli di no. E se pensava che potessi essere un altro dei nomi da aggiungere alla sua lista da letto, aveva proprio frainteso. Arrivai al piano inferiore, e vidi Anne passarmi davanti.
Le sorrisi. Mi sentivo troppo realizzata per mostrarmi indifferente. C’era tempo per Chuck e le sigarette.
– Allora? Ti piace la tua camera? – Mi chiese, approfittando del mio buonumore. Annuii.
– Molto. Sembra comoda, spaziosa…
– Ti chiedo scusa fin da subito per il caos che sentirai a breve. È di fronte alla stanza di Harry, e quando invita tutti e quattro i suoi amici a casa, cantano o ascoltano la musica ad altissimo volume. Cercheranno di contenersi, ma sono ragazzi…
Quattro amici? Mi augurai che fossero tutti belli come lui.
– Oh, non è un problema. Piuttosto sarò io a scusarmi con te e lui. Ho il vizio di sentire i Beatles a volumi improponibili. – Dissi, passandomi una mano fra i capelli. E i Fab Four erano solo la punta dell’ice-berg. Avrebbe dovuto aspettare una mia giornata no, e tutte le canzoni dei Nickelback…
– Allora andrete d’accordo. – Rispose, ridacchiando. Le sorrisi. Su quello non avevo dubbi. “Songbird” degli Oasis interruppe il momento. Tirai fuori il cellulare e risposi.
– Pronto?
– Nialler?
– No, bello, hai sbagliato numero. Qui c’è solo Holly. – Dissi. Ma quella voce mi sembrava estremamente familiare. Come se l’avessi sentita molto di recente.
– Holly? – Quell’espressione mi accese la lampadina.
– Harry?! – Chiesi, di rimando.
– Come hai fatto ad avere il cellulare di Niall?
– Come hai fatto ad avere il mio numero? – Dicemmo, all’unisono. Sentii la porta al piano di sopra richiudersi, e io salii un paio di scalini. Lo vidi sbucare in cima alla rampa, e sembrava incredulo che stesse parlando al telefono con la persona che aveva di fronte.
– Allora? – Domandai, parlando a lui e al telefono.
– Cosa?
– Il numero. Chi te l’ha dato? – Lo fissai, mettendomi la mano su un fianco. Lui alzò un sopracciglio.
– No, come hai avuto tu il cellulare di Niall, piuttosto! – Rispose, guardandomi di rimando.
– Ma questo è il mio… cellulare… – dissi, e ricordai dell’incidente di quella mattina, dei telefonini in pezzi a terra. Delle sim. Di come Niall avesse preso quella a destra, porgendomi la sinistra. Certo! Aveva invertito le schede! Salii di corsa le scale, raggiungendo Harry.
– Stamattina… – iniziai, parlando ancora al telefono, poi realizzando che l’avevo davanti. Chiusi la chiamata con una smorfia, mentre lui sghignazzava.
– Smettila di ridere, può capitare! – Lo sgridai, e lui non la finiva. Sbuffai, e lo imitai.
– Comunque… stamattina io e Niall ci siamo scontrati alla stazione, i nostri cellulari sono caduti a terra, e si sono aperti… allora ci siamo scambiati le sim, per sbaglio. – Dissi, riprendendo il fiato. Lui si appoggiò al muro, sorridendo ancora.
– Proprio come nei film! E adesso che si fa? – Chiese, spostando lo sguardo sul cellulare che avevo in mano.
– Adesso si chiama Niall… anzi, il mio numero, e si risolve tutto.
– Elementare, Watson. Ops, Sullivan, volevo dire. – Rispose il ricciolo, scuotendo i capelli. Gli feci una smorfia, mentre digitavo i numeri sul tastierino.
– Comunque sei un bel tipetto, eh? Non me l’aspettavo la mossa di prima… – disse, mordendosi il labbro inferiore. Lo fissai, ridacchiando.
– Il segreto è essere assolutamente imprevedibile. – Risposi, attendendo che Niall prendesse la chiamata e accovacciandomi sulle ginocchia, con le spalle alla ringhiera.
– Pronto?
– Biondo, hai un problema. Io ho la tua sim, e tu hai la mia. – Dissi, fissandomi distrattamente le unghie laccate di rosso ruggine.
Harry si staccò dal muro, avvicinandosi a me, cercando di carpire brani di conversazione. Lo guardai e, sospirando, misi il vivavoce. Così avremmo sentito entrambi.
– Sì, me ne sono accorto. Sai, poco fa ha chiamato un tipo… Masterpiece. Sono convinto che sia un soprannome, ma ai giorni nostri non si sa mai. Cercava una certa Sunshine. La conosci? – Il mio cuore mancò un battito, il sangue si raggelò nelle vene.
Fissai il pavimento, incredula. Avevo cambiato numero. E solo mia madre lo sapeva. Come faceva Masterpiece ad averlo? Il mio cervello fece knock out.
– Sunshine è morta. – Dissi, fredda. Harry mi guardò stupito, ma mi ostinai a non alzare lo sguardo. C’era silenzio anche dall’altra parte dell’apparecchio.
– Ok. Ri… riferirò. – Disse Niall, impacciato. Il ricciolo si sedette vicino a me, a gambe incrociate.
– Nialler, che ne diresti di passare a casa mia? Così ti riapproprierai della tua sim, e Holly della sua. Chiama anche Louis, Zayn e Liam, voglio farvela conoscere.
– Harry?! Come fai ad essere con Holly?
– E’ una lunga storia, te la racconto dopo.
– Va bene, non farò altre domande. Ci vediamo da te, il tempo di fare un paio di telefonate. Ciao!
– Ciao. – Risposi, senza entusiasmo. Chiusi la chiamata. Fissai il cellulare, assente. Poi mi alzai di scatto, e corsi di sotto.
– Holly! – Sentii Harry alzarsi in piedi. Saltai gli ultimi due gradini con un balzo, presi le sigarette nella borsa, e uscii in giardino. Estrassi la sigaretta dal pacchetto, e cercai di accenderla. Mi tremavano le mani, non ci riuscii subito. Ne bruciai un’estremità, tirai una lunga boccata, e lanciai pacchetto e accendino a terra, crollando a sedere.
No. Non di nuovo.
Tutto quello che volevo era lasciarmi la mia precedente vita di merda alle spalle. Ricominciare da capo. Divertirmi in quest’inutile paesino ridente e allegro. Magari anche farmi quel ricciolino. Oppure prenderlo a schiaffi.
Ma non avrei in alcun modo voluto rivivere il casino degli ultimi due anni. Sunshine era morta. E così anche il giro.
Caput.
Fine.
Non si riesumano i morti.
 Sentii la porta d’ingresso sbattere, e immaginai che fosse Harry.
– Holly. – Infatti. Mi stesi sul prato, fissando il cielo, e tirando un’altra boccata. Sbuffai verso l’alto, e nella nuvola grigiastra apparve la faccia preoccupata di Harry.
– Lasciami sola, Harry. – Soffiai, chiudendo gli occhi.
– No, non lo farò. Mi spieghi che ti è preso, poco fa? – Disse, rimanendo esattamente dov’era.
– Lasciami. In. Pace. – Ripetei, portandomi la sigaretta alla bocca.
– No.
– Sì.
– No.
– ‘Fanculo. Fa’ come ti pare. – Risposi, sbuffandogli il fumo in faccia. E incrociando le braccia. Si stese accanto a me, a pancia in giù.
– Chi è Sunshine? – Chiese. Pessima domanda. A cui avrebbe seguito un’altrettanto pessima risposta.
– Come se non lo sapessi. – Sputai, con rabbia, cercando di eludere il suo sguardo azzurrino.
– Non lo so. – Rispose, caparbio.
– Ah, davvero?
– Sì.
Risi amaramente.
– Vuoi farmi credere che mio padre non vi ha mai parlato dei miei problemi? – Lo inchiodai con una delle mie occhiate peggiori. Sperai che il verde smeraldo delle mie iridi insieme al colore dell’erba lo mettesse più in soggezione che potesse.
 Invece resse il mio sguardo, ricambiandolo senza problemi. Mi sorprese.
– Lo ha fatto, ma in maniera molto sommaria. Sappiamo che sei uscita da un Centro di Riabilitazione da Alcool e Droghe.
– Bene. Tanto ti basti. – Conclusi, alzandomi a sedere, e schiacciando la cicca rovente e mezzo sana con la suola della mia Chuck Taylor rosa. Mi misi in piedi, rovesciando la testa, e passai le dita fra i capelli, togliendo eventuali fili d’erba.
Anche Harry si alzò, spazzolandosi i vestiti con le mani. Si avvicinò, vidi i suoi piedi avanzare. Mi sollevai più presto possibile, prima che potesse essere troppo tardi.
– Tu… – disse, protendendo una mano verso di me, per poi lasciarla cadere lungo un fianco, fissandomi serio. Era già troppo tardi.
– Dimentica ciò che hai visto. E quello che hai sentito poco fa. – Feci per rientrare in casa, ma mi afferrò un braccio, stringendo gentilmente, costringendomi a trovarmi faccia a faccia con lui per la seconda volta. Ma l’atmosfera era senza dubbio più pesante.
– Holly, ascolta. Nessuno ti giudicherà, qui. Men che meno io. Non tutti si fermano all’apparenza. – Sembrava molto serio, e le sue parole mi colpirono. Forse era vero, non tutti giudicavano in superficialità, e lui non l’avrebbe fatto. Ma il resto del paese sì, se avesse saputo. Se mi fossi mostrata debole. Vulnerabile.
– Bei discorsi da uno che gira con una Range Rover Sport. – Risposi, fredda. Il suo sguardo si affilò.
– Tu non sai niente di me. – Disse. Sembrava una contraddizione vivente. Quella frase suonava in parte come un avvertimento, in parte come una richiesta disperata a scoprire di più. Ma non mi era permesso andare a fondo con nessuno. Non lo meritavo.
– Hai ragione. Invece di Holly Sullivan sai fin troppe cose. – Commentai, fissandolo negli occhi.
– Lo credi tu.
– Basta coi giochetti, Styles. Sei abbastanza grande da sapere quando è ora di smetterla. – Mi divincolai, lanciandogli un’ultima occhiataccia. Avrei ucciso per un suo abbraccio, ma mi sarei suicidata piuttosto che ammetterlo.
 La verità era che avevo una paura del cavolo. Paura di innamorami di lui, paura del fatto che Masterpiece potesse cercarmi, paura di causare nuovo dispiacere ad altre persone, paura di legarmi a chiunque e a qualunque posto.
Tornai dentro, sentendo un bruciante formicolio sulla nuca. E la triste consapevolezza che Harry avesse visto il tatuaggio che avevo poco sotto l’attaccatura dei capelli. Quello con la scritta “Sunshine”.




 

Holls' Corner:

Eccoci al secondo capitolo della storia! Spero che non vi dispiaccia che siano così lunghi... e spero anche che vi sia piaciuto!
Che dire? Quante domande vi state facendo, in questo momento? Immagino parecchie, hahahah! Ma le vostre risposte dovranno attendere parecchio... che tipa, Holly, eh? Credo di non aver mai creato un personaggio così sfacciato. Però è senza dubbio divertente!
Spero di esser riuscita a rendere bene i caratteri dei boys, anche in questa storia, nonostante non li conosca di persona e non mi appartengano. Beh, che altro dire?? Ringrazio le mie fantastiche Girls, e tutti coloro che leggono/seguono/preferiscono la storia! Grazie davvero!
Fatemi sapere se ritrovate errori, oppure semplicemente cosa ne pensate! Alla prossima, allora :D!
Stasera vi lascio con una bella immaginetta di Styles, dato che il capitolo è, per la maggior parte, dedicato a lui!
Un bacione a tutti!


 



 

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Capitolo 4
*** 3. The One Direction ***








3.
The One Direction

 




« Give me a photograph to hang on my wall,
Superstar.
»

Taylor SwiftSuperstar
 
 


Dopo il piccolo “incidente” in giardino, non avevamo più avuto occasione di parlarci.
Io avevo trovato il tempo di farmi una doccia e lavarmi i capelli. Mi ero anche cambiata, indossando una delle mie canottiere larghe e sdrucite, che lasciavano poco all’immaginazione e molto alla vista, e un pantaloncino comodo.
Scesi al piano di sotto con i capelli umidi che battevano su spalle e schiena, e andai in cucina a prendermi una mela. Mi stravaccai sul divano in salotto, accendendo la tv. Feci zapping, fino ad arrivare ad Mtv.
Sentii Harry scendere le scale, canticchiando un motivetto molto orecchiabile. Caspita, aveva proprio una bella voce. Un tono particolare, che si avvertiva soprattutto quando pronunciava le “s”.
Diedi un morso alla mela, e guardai la veejay annunciare la hit al numero uno della settimana. Si trattava di una boyband emergente, uscita da X-Factor. I “One Direction”. Mai sentiti.
Attesi che mandassero il video, e morsi nuovamente la mela. Appena partì, Harry passò in salotto.
E anche nello schermo.
– Cristo. – Dissi, guardando prima il ricciolino in carne e ossa che si buttava sul divano, strappandomi il telecomando dalle mani e alzando al massimo il volume, cantando insieme a… sé stesso, in camicia a quadretti, sulla spiaggia di Malibu, insieme ad altri quattro fighi stratosferici. Erano bravi. Non il mio genere, ma avevano talento.
Mi sembrava di essere entrata in un qualche tunnel temporale, di quelli da “sdoppiamento della realtà”.
– Non dirmelo. Sei una fottuta star. – Commentai, con gli occhi incollati allo schermo. Annuì, continuando a cantare. Seguitai a fissare quel videoclip, come in trance.
– Cristo. – Ripetei, alzandomi. In quel momento, l’Harry del video aveva un assolo, insieme ad una ragazza impacciata.
L’Harry reale scattò in piedi, si avvicinò, e mi prese il volto fra le mani. Di nuovo troppo vicini. La prossima volta che ci saremmo trovati a quella distanza, l’avrei baciato. O gli avrei tirato un bello schiaffone.
Anche tutti e due.
Baby, you light up my world like nobody else… – disse, intonatissimo con la tv. Gli sorrisi, alzando un sopracciglio.
The way that you flip your hair gets me overwhelmed…– quella volta fu lui a sorridere. Mi morsi un labbro, trattenendo una risata. Anche se dovetti ammettere che… mi piaceva. Ci sapeva davvero fare.
But when you smile at the ground it ain’t hard to tellYou don’t know you’re… – suonarono al campanello, e l’Harry del video finì la strofa, mentre quello vero roteò gli occhi. La magia era rotta. Tipico.
– Suonano alla porta, superstar. Non farli aspettare. – Dissi, provocatoria. Mi sorrise.
– Non ti ha fatto nessun effetto? – Chiese, vagamente speranzoso. Risi.
– Sei proprio sicuro di volerlo sapere? – Domandai, di rimando. Si allontanò, andando ad aprire.
– Holly, Holly, Holly… – commentò, passandosi una mano fra i riccioli.
– Piuttosto che ammettere qualcosa con te, Styles, mi voto alla castità. – Dissi, mordendo la mela, e avviandomi su per le scale. Lo sentii ridere dal piano di sotto, mentre i suoi amici entravano.
Corsi in camera, accesi il portatile e aspettai che si caricasse. Era giunto il momento di fare un paio di ricerche.
 
 

***

 
 
Trascorsi i seguenti trenta minuti  in incredulo stupore, venendo a conoscenza di quanto fossero famosi i One Direction, di quanto fosse solido il loro fanbase, delle canzoni, degli show. Avevano anche fatto una puntata di iCarly, un sacco di apparizioni televisive. Roba forte.
Non erano i soliti cinque pivellini, insomma. Ecco perché papà mi aveva detto che “erano dei tipi un po’ particolari”, e Harry se l’era presa quando gli avevo fatto pesare la Range Rover Sport.
Con tutti i soldi che aveva, avrebbe potuto comprarsene cinque. Una per ogni stagione, più quella di ricambio. Ero esterrefatta.
Digitai “Harry Styles” su Google, e attesi che i risultati si caricassero. Mmm. Lui era il playboy del gruppo, bla bla bla… veniva da Holmes Chapel, bla bla bla… era stato con Caroline Flack… no, frena.
Caroline Flack?! La presentatrice?! Quella… quella…!
Fissai lo schermo, a bocca aperta. Lessi che avevano avuto un po’ di problemi e che la loro relazione era durata su per giù un mese. Dio santo.
Quel ragazzo aveva un paio di rotelle fuori posto. E gli serviva aiuto. Cercai la foto più brutta che potessi trovare di quella donna, e la stampai.
Quando il foglio fu pronto, aprii la porta della mia camera, e spalancai quella della stanza di Harry con un calcio. Tanto era socchiusa.
– Caroline Flack?! – Urlai, al colmo dell’indignazione, avanzando spedita, fino a spiaccicare il foglio con la foto a due millimetri dal suo naso.
– Hai problemi o cosa?! Potrebbe essere tua nonna! E poi… ma l’hai vista?! È brutta! – Esclamai, non riuscendo più a trattenermi. Harry era a bocca aperta.
Mi fissò, poi tornò a guardare l’immagine stampata. Prese il foglio, in silenzio. Dopo un paio di secondi, scoppiarono tutti a ridere.
Fu allora che mi accorsi che camera sua era piena di ragazzi. Due erano seduti sul letto, uno a gambe incrociate per terra, e un altro in piedi vicino alla finestra, con una sigaretta  fra indice e medio, che sporgeva di fuori per non intossicare gli altri.
– Ops… – commentai, passandomi una mano fra i capelli ancora umidi e sorridendo incerta. Non riuscivano a smettere di ridere, mentre Harry era diventato bordeaux.
– Harry, chi è questa ragazza? – Chiese quello con la sigaretta, vicino alla finestra. Era alto, con i capelli ben acconciati in un ciuffo alto, corvini e lucidi. Bel fisico muscoloso, fascino mediorientale, ciglia lunghe e seducenti occhi color cioccolato, labbra carnose.
Mi sorrise. Indossava un paio di pantaloni color crema, e una polo bianca a mezze maniche, Vans bianche. Mica male. Harry non riusciva ancora a spiccicare parola.
– Già, Harry, perché non ce la presenti? – Rincarò un altro, che sedeva sul letto. Aveva i capelli castano chiaro, sembravano scolpiti dal vento, la sua frangia aveva una piega perfetta. Grandi occhi azzurri, nasino all’insù e sorriso furbo. Era abbastanza abbronzato, indossava una semplice maglietta azzurra a mezze maniche, delle bretelle e pantaloni blu carico, con gli orli piegati.
Accanto a lui, l’altro mi sorrideva. A differenza del suo amico, i suoi capelli erano leggermente mossi, biondo cenere, quasi castani. I suoi occhi erano così dolci e gentili, da mettermi voglia di sospirare e abbracciarlo stretto.  Le sue labbra erano rosee e piene, mi ricordava… non lo so, ma mi faceva tanta tenerezza. Aveva una voglia sul collo, vicino al pomo d’Adamo, e indossava una camicia a quadri rossa e blu, e dei jeans.
A terra, Niall mi salutò, sventolando la mano. Gli sorrisi.
– Allora? Harry? – L’arabo fascinoso tirò una boccata dalla sigaretta, fissandolo con un sopracciglio alzato. Ancora silenzio.
Il tipo con la frangia perfetta sbuffò, e gli tirò il cuscino in faccia. Trasalì, prendendolo al volo.
– Soffri il solletico? – Mi chiese Harry, di punto in bianco. Lo guardai.
–S… – mi scappò, ma tacqui all’istante, coprendomi la bocca con la mano. Il ricciolo si gettò alle spalle la foto di Caroline, e si alzò.
Non avevo ancora ben capito quello che voleva fare, quando mi passò rapidamente un braccio intorno alle spalle, e uno dietro l’incavo delle ginocchia, sollevandomi in braccio.
– No, Harry, mettimi giù! – Urlai, aggrappandomi a lui. Ma inutilmente. Percorse in un attimo lo spazio fra camera sua e la mia, scaraventandomi sul letto.
Rimbalzai, mentre lui iniziava a farmi il solletico ai fianchi, e io ridevo come una sciocca.
– Adesso vediamo come la metti! Caroline è brutta?! – Disse, e io mi contorcevo senza fiato.
– Sì! E’ orribile! – Urlai, fra le risate. Riflettei che dovevo avere un aspetto pressoché osceno, con la canotta che andava dove gli pareva.
– Tanto non la smetto finché non ti scusi! – Mi avvertì, passando dai fianchi alla pancia. Risi, cercando di togliergli le mani da lì, ma era tutto inutile.
– Scusarmi! Non è colpa mia se hai gusti discutibili… in fatto di ragazze! – Si fermò, e io ripresi fiato, sfinita. Lo fissai, era esattamente sopra di me. Un ricciolo gli scivolò davanti agli occhi.
Alzai la mano, e lo rimisi a posto, in silenzio. Aveva i capelli morbidissimi. Feci scorrere la mano dalla fronte alla spalla, e gli sorrisi.
– Gusti discutibili? – Chiese, sussurrando. Annuii.
– E osceni. – Precisai.
– E osceni. – Ripeté.
– Sai di essere in una posizione equivoca, Styles? – Gli chiesi, guardandogli le labbra. Piene. Rosse. Ben disegnate.
Anche se non ne avevo una prova certa, ero sicura che baciasse da Dio. Rise.
– E tu? – Mi domandò di rimando, avvicinando il suo volto al mio.
– Io ho la coscienza pulita. – Risposi, alzandomi piano, conscia del fatto che entro tre secondi ci saremmo baciati. Sempre più vicini, potevo sentire il suo respiro sulla mia bocca. Sapeva di menta.
– Dobbiamo aspettare la pubblicità per un bacio? – Intervenne il ragazzo con i capelli perfetti, sporgendosi dallo stipite della porta. Scoppiai a ridere, stendendomi di nuovo, mentre Harry si ricompose in fretta.
– Sempre nei momenti meno opportuni, Tomlinson! – Commentò il biondo cenere dagli occhi dolci. Mi alzai.
– Invece ha fatto benissimo. Il signorino non è abituato a un po’ di resistenza… – risposi, seguendoli in camera di Styles. Il ricciolo si voltò, lanciandomi un’occhiataccia truce.
– Un mese. – Ripeté, serio. Gli mostrai un pollice alto e una faccia convinta.
– Allora? Presentami i tuoi amici! – Gl’intimai, guardando i ragazzi.
– Lei è Holly Sullivan, la figlia di Carl. Holly, Zayn – il mediorientale fascinoso, ­– Louis – frangetta perfetta, – Liam – occhioni dolci, – e Niall, ma già lo conoscevi, a quanto sembra. – Concluse, stravaccandosi sul letto in una posizione alla romana. Il biondo scattò in piedi.
– Ho la tua sim! – Esclamò, tirando fuori il cellulare.
– Giusto! Aspetta, prendo il telefonino! – Dissi, sparendo in camera, e tornando dopo poco. Sistemati i cellulari, mi sedetti sul letto a gambe incrociate accanto ad Harry, e gli altri si accomodarono dove potevano.
– Holly, parlaci un po’ di te! – Esclamò Louis, sorridendo. Oh, no. Harry cominciò a giocherellare coi miei capelli, mentre prendevo tempo per riflettere. E ora cosa gli dicevo?
– Devo proprio? Non sono così interessante… – tergiversai, fissandomi le unghie.
– Invece sì! Non avevo mai visto qualcuno spiattellare in faccia ad Harry una foto orribile di Caroline Flack. Hai carattere. – Intervenne Zayn, voltandosi sulla sedia girevole alla scrivania.
Sentii il ricciolino dietro irrigidirsi al nome della Flack. Avrei indagato più a fondo, quando mi si fosse presentata l’occasione. Sorrisi.
– Spesso avere carattere non basta. – Commentai, laconica. Mi guardarono con attenzione.
– Oh, andiamo, non prendetevi tutti così dannatamente sul serio! Avrete un anno per imparare ad odiarmi, non c’è fretta! – Esclamai, ridendo. Niall alzò un sopracciglio.
– Odiarti? Perché dovremmo? – Chiese. Mi accorsi che portava l’apparecchio per i denti, quello con le clip trasparenti. Scrollai le spalle, fissando il pavimento.
– E’ raro che la gente mi ami.
Harry smise di passarmi le dita fra i capelli. Scese un silenzio pericoloso nella stanza.
Non sapevo più come uscire da quell’empasse.
– Se hai bisogno di un abbraccio, basta chiedere. – Disse Niall, serissimo. Scoppiammo tutti a ridere, ma lui rimase impassibile. Capii che aveva detto la verità.
– Sì, se ti serve un po’ d’amore, devi solo fare un fischio. – Intervenne Zayn, ammiccando sexy. Mi coprii il volto con le mani, continuando a ridere, e vergognandomi allo stesso tempo.
– Va bene, va bene, ho capito! – Risposi.
– Se invece vuoi solo sesso, va’ da Harry. – Concluse Louis, ispezionandosi le unghie, innocentemente.
– Lou! – Esclamò il ricciolo, ridendo, dietro di me. sorrisi.
– Prendo nota, sta’ tranquillo… piuttosto, parlatemi un po’ di voi. Siete schifosamente famosi, che ci fate in questo buco di paese?
– Ehi, honey, occhio a come parli di Holmes Chapel. Oppure mi vendico col solletico. – Rispose Harry, riprendendo a passarmi le dita fra i capelli. Roteai gli occhi aspettando una risposta. Zayn si morse un labbro, e Louis sospirò.
– Il nostro manager  ha deciso che dobbiamo essere d’esempio per i fan, e finire gli studi. Così ci siamo presi una pausa dal palcoscenico, per concludere l’ultimo anno di superiori tutti insieme. – Disse Liam, sofferente.
Anche io avrei dovuto frequentare l’ultimo anno. E mi avevano iscritto alla Holmes Chapel Comprehensive School, l’unico istituto d’istruzione superiore del paese. Feci due più due.
– Quindi… andremo a scuola insieme? – Chiesi, illuminandomi.
– Esatto, baby. – Rispose il ricciolo alle mie spalle. Per la prima volta fui contenta di trascorrere del tempo insieme a delle persone.
Negli ultimi anni, dopo soli tre minuti, i presenti in una stanza iniziavano a nausearmi, come per Charles Bukowski. Calcolai che con loro avevo già trascorso abbastanza tempo, e non avevo nessuna voglia di andare via.
– Non sei felice? Milioni di ragazze pagherebbero per un’occasione come la tua! – Si vantò Zayn. Lo fissai.
– Ora esageri. Sono “contenta”. Non “felice”. C’è una bella differenza.
– Carina, la tipa. Dove l’hai tenuta nascosta per tutto questo tempo, Harold? – Gli chiese, voltandosi sulla sedia, iniziando a digitare parole sul motore di ricerca di Google.
– Non ci credo, Malik. Non ancora. – Esclamò Louis, sbirciando da sopra la spalla del moretto. Questi ridacchiò.
– Cosa? – Chiesi, non afferrando il punto. Harry sospirò.
– Zayn ha di nuovo cercato sé stesso su Internet. Va matto per l’idolatria delle sue Directioners.
– Dio. – Commentai, vedendo come si esaltava nel leggere le proposte oscene. Erano tutti della stessa pasta, in quella band? Mi alzai, avvicinandomi a Zayn.
Vidi che sull’homepage di un sito c’era la sua foto, e sotto una moltitudine di interventi allegrissimi di povere teenagers in piena tempesta ormonale. In basso, c’era scritto: “lascia un commento”, con uno spazio di massimo 200 caratteri. E in maniera anonima.
– Scusami, tesoro, fammi spazio. – Dissi, allontanando la sedia del moretto con un colpo di fianco, e prendendo il controllo della tastiera.
Louis si sporse oltre Zayn, Niall sbirciò dietro la mia spalla. Scrissi: “Zayn usa Photoshop. E dal vivo non è un gran che. Sono una fonte attendibile”. Schiacciai su “Invia”, e il commento fu visibile a tutto il popolo di Internet.
Louis scoppiò a ridere, intimandomi di battergli un cinque, seguito a ruota da Niall.
– Fate ridere anche me! Cosa hai scritto? – Chiese il moro, spostando Louis, appoggiandosi alla scrivania. Lesse il commento, si morse il labbro e scosse la testa.
– Potevi fare di meglio… – commentò, sfiorandosi il naso con il pollice, e guardandomi provocatorio.  Aveva proprio charme, niente in contrario.
– Non istigarla, Zayn. Non sai di cosa è capace. – Disse Harry, lanciandomi uno sguardo di complicità. Sorrisi.
– Giusto. Non svegliare il can che dorme…!
– Sapete? Penso proprio che ci divertiremo, quest’anno… – disse Zayn, sorridendomi. Oh, non immaginava quanto.






Holls' Corner:

Ora, i giochi sono stati fatti. Holly ha conosciuto i 1D e ha già fatto vedere di cosa può essere capace anche a Zayn... Harry solo non bastava, hahahah!
Sono molto felice che il personaggio vi piaccia. Dico sul serio! Non me l'aspettavo. Ero cosciente del fatto che fosse un tipo un po' forte e difficile da prendere, ma invece mi stupisco di quanto l'apprezziate. Buon per lei, hahahaha! Inoltre, ci terrei a precisare che io non ho nulla contro Caroline Flack! Harry non c'entra niente, è che poco la sopporto in quanto individuo, come persona. Tuttavia, ripeto, non ho assolutamente niente contro di lei!
Vorrei ringraziare le mie Girls e i lettori, tutti, sia che leggano e basta/ricordino/preferiscano/seguano la storia! Vi lascio con una bella foto dei Boys e... alla prossima! Un bacione!

 


 

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Capitolo 5
*** 4. The School ***







4.
The School


 

« Won’t you believe it?
No recess…
You’re in high school again.
»

Nirvana – School
 
 


– No! No, no, no e no, porca puttana!
Una settimana dopo, avevo più che fraternizzato con Harry e i suoi amichetti superstars, e avremmo dovuto cominciare la scuola. Ma non sapevo cosa mi aspettasse, quella mattina.
In genere, prima di un qualche evento importante, non riuscivo a dormire bene. Ragion per cui, alle cinque ero già in piedi.
Sfortunatamente, mio padre era una persona molto mattiniera, che si alzava presto per andare a fare jogging e i suoi esercizi ginnici mattutini in santa pace.
Quando mi ero svegliata, e avevo visto quell’obbrobrio sul mio letto, avevo cominciato ad urlare.
– Holly, per favore, abbassa la voce e non essere volgare! Ed è inutile che ti agiti tanto, è obbligatoria! – Rispose, battagliero. Ma io ero più agguerrita di lui.
– Forse non hai capito. Io quello schifo non mi azzardo neanche a toccarlo! – Strepitai, additando l’orrenda divisa scolastica.
Eh, già. Quanto di più disastroso e detestabile potesse capitarmi il primo giorno di scuola. Odiavo le divise scolastiche, omologavano tutti. E l’ultima cosa che volevo, era confondermi nella massa. In quanto esterna che si era ritirata prima della fine del penultimo anno in America, per la HCCS non avevo superato gli esami GCSE. E dovevo quindi indossare la divisa scolastica, almeno finché non avessi passato i test. Che si sarebbero tenuti ad Aprile. Ed eravamo a Settembre. Volevo morire.
Mio padre si passò una mano sulla faccia, sbuffando.
– Te lo dico per l’ultima volta, Holly. Devi indossarla. Basta.
– Ancora?! No! – Mi venne voglia di pestare i piedi, come quando ero piccola. Andiamo, quella divisa era orrenda. Camicia bianca, giacca grigio scuro e gonna a pieghe del medesimo colore. Lungafino alle ginocchia. E non ero ancora arrivata ai calzini coordinati, che mi veniva già da vomitare.
Sentimmo la porta della stanza di fronte aprirsi, e un Harry in boxer neri con i riccioli scompigliati più che mai, gli occhi semichiusi e le movenze da zombie si stiracchiò, appoggiandosi allo stipite della porta.
Ancora non mi ero abituata alle sue mise da notte. E lui alle mie. Avevamo la stessa abitudine di dormire in intimo. E il suo corpo, per me, non passava del tutto inosservato.
Sbadigliò della grossa, e mosse qualche passo fino ad appendersi allo stipite della porta della mia stanza. Allora si passò una mano fra i capelli, ravviandosi i ricci che già di per sé aveva per aria.
– Che cosa ti urli, alle cinque di mattina?! – Bofonchiò, con la voce impastata di sonno.
– Non sono affari tuoi, riccio. – Risposi, incrociando le braccia. Poi mi ricordai di essere in completo reggiseno e slip neri coordinati, col pizzo. E se ne accorse anche lui, la cui espressione divenne immediatamente sveglia, nonostante avesse appena messo piede fuori dal letto.
Decisi di evitare il peggio. Attraversai la stanza, lo presi per le spalle e lo feci voltare, spingendolo verso dove era venuto.
– Tornatene in camera tua, Styles. Per vedere questo corpo devi pagare, e in ogni caso è troppo presto per gli spogliarelli gratis. Buonanotte! – Dissi, accompagnandolo oltre l’uscio. Non fece in tempo a voltarsi e a rispondere: “ma io…”, che già gli avevo chiuso la porta in faccia.
Sospirai. E poi ripresi fiato.
– Non credere che abbia cambiato idea, papà, quella pezza da piedi non la indosso comunque! – Ripresi, con lo stesso tono di voce, e rientrando in camera mia. Al massimo della frustrazione, mio padre mi lanciò un ultimatum.
– Holly Rain Helena Sullivan. Ora esco da questa stanza, e se al mio ritorno non indosserai quella stramaledetta divisa scolastica, ti sequestrerò tutti i cd degli Oasis. Compresi dvd e unplugged. Sono stato abbastanza chiaro? – Decretò. Trasalii, coprendomi la bocca con la mano. Non poteva togliermi la band e i Gallagher. Semplicemente non poteva. Ma nemmeno costringermi a vestirmi da suora di clausura.
– Io…
– Sono stato chiaro? – Ripeté, e senza aspettare risposta, uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Rimasi per alcuni secondi a fissare il muro, paradossalmente pensando a niente.
Poi, mi avvicinai al letto, presi il cuscino, me lo premetti sulla faccia. E urlai.
 
 

***

 
 
Dopo aver strillato silenziosamente per tre minuti di fila, avevo deciso che sarebbe stato inutile sprecare tempo, e che avevo un paio d’ore per rendere quello schifo uno sballo.
Così avevo rovistato nei cassetti, trovato una forbice, ago e filo, e mi ero messa all’opera. Alle sette, la mia sofferta ed esasperata opera era completata.
Mi vestii, e andai davanti allo specchio a figura intera. Fischiai a me stessa, complimentandomi mentalmente con le mie manine. 
Avevo accorciato quella sottana da monachella, facendola arrivare sulla coscia, un po’ sopra al ginocchio. Ristretta la giacca e cuciti un paio di risvolti, avevo reso quello scempio all’umana decenza un capo d’abbigliamento più che decente.
Il nodo della cravatta era leggermente allentato, e la camicetta sbottonata quel tanto che bastasse per far capire a chi mi guardasse che non c’era niente da mostrare o ostentare. Era pura ribellione, e basta.
Quel completo urlava per essere notato. Avevo cestinato i calzettoni da nerd, sostituendoli con un paio di parigine dello stesso colore. Le scarpe, però, avevo dovuto mantenerle.
Legai i capelli in una coda alta, mantenendo due ciuffi in linea con la frangia piena, para. Passai il solito filo di eyeliner e rossetto, e alle sette e mezza qualcuno bussò alla mia porta. Sobbalzai, allontanandomi dallo specchio per non fare la figura della pervertita psicopatica, e balbettai “avanti”. Mio padre si sporse dallo stipite e per poco non ebbe un collasso.
– Holly, per l’amor di Dio… cosa… hai… combinato…? – Esclamò, fissandomi con l’aria del perfetto genitore che, in privato, sbatteva la testa al muro, salmodiando: “dove ho sbagliato con lei?”. Sogghignai.
– Te l’avevo detto che con quell’obbrobrio non ci sarei uscita, di casa. Ed ecco qui. Ora è una divisa. – Gli spiegai, lisciandomi la gonna, sorridendo sorniona.
Passi affrettati per le scale preannunciavano l’arrivo di Harry in 3, 2, 1…
– Holly, hai finito? È ta… – la frase gli morì in gola quando scostò mio padre per sporgersi a sua volta dallo stipite. I suoi occhi percorsero la mia figura dalla testa ai piedi, soffermandosi sullo scollo della camicetta e sull’orlo della gonna. Deglutì.
– Non me la ricordavo così… audace… quella divisa. – Commentò, rimanendo sull’uscio. Papà diede forfait, e scese al piano di sotto, probabilmente per annegare i suoi dispiaceri nell’adorato succo biologico di pera. Roteai gli occhi, e raccattai lo zaino da terra. Mi avvicinai a lui.
– Infatti non lo era. Sono io che l’ho migliorata. – Risposi, guardandolo negli occhi, e aspettando che si scostasse per lasciarmi passare.
– Ti sta bene. – Disse, mettendo su il suo sorriso-da-rimorchio, che sfoderava davanti a qualsiasi ragazza carina, e spesso e volentieri quando commentava il mio abbigliamento. Sorrisi.
– Che ore sono, Harry? Già cominci di prima mattina?
– Non mi stanco mai, sai? – Rispose, sistemandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli che molto probabilmente era sfuggita all’elastico.
Gli accarezzai gentilmente una guancia. Socchiuse gli occhi, piegando la testa al contatto con la mia mano. Quando faceva così, mi mandava all’altro mondo. E lo sapeva, il bastardo.
– Povero scemo. – Dissi, e lo scostai per poi superarlo. Sapevo che era ancora lì, appoggiato allo stipite. A fissarmi il didietro. E a friggersi nel suo stesso olio.
Era piuttosto divertente trattarlo così, finché il gioco poi non diventava serio. Mi voltai, poco prima di scendere le scale. Come volevasi dimostrare, era proprio come avevo immaginato.
– Piantala di guardarmi il culo, Styles. – Commentai, facendogli una linguaccia. Rise.
Perché non l’avevo ancora preso a schiaffi?
 
 

***

 
 
– Holly… leva i piedi di lì.
– Che palle, Harry! È solo una macchina, Cristo santo! – Commentai, sbuffando e togliendo i piedi accavallati da sopra al cruscotto. Il riccio mi sorrise, mandandomi un bacio. Alzai il medio, per tutta risposta, e guardai fuori dal finestrino.
Fra meno di dieci minuti avrei iniziato il mio primo giorno di scuola, dopo un anno e… molti casini. Non sapevo cosa pensare o come sentirmi. Da un lato ero euforica, l’ambiente di classe mi mancava, avevo bisogno di ritornare ai soliti sfottò fra compagni, alla strizza da interrogazioni, all’ansia da compito in classe.
 Da un altro… potevo benissimo vivere senza tutti gli obblighi dei compiti a casa, del frequentare le lezioni e del codice di comportamento a cui avrei dovuto attenermi.
Poi mi ricordai che, nella maggior parte del tempo, sarei stata insieme ad Harry e ai suoi amici, e che quindi non avrei dovuto affrontare tutto da sola. Non che avessi bisogno di compagnia. Mi piaceva l’idea del supporto morale, ecco.
– Sei agitata? – Chiese Harry, prendendo una curva piuttosto bene, considerando da quanto poco avesse la patente. Mi strinsi nelle spalle, e sospirai.
– No. Sì. Hai una domanda di riserva?
Scoppiò a ridere, e lo imitai.
– In realtà non ne ho idea. Da una parte sì, dall’altra no. – Dissi. Il riccio annuì e svoltò, arrivando davanti al cancelletto dell’istituto. Si fermò qualche istante.
– Manco da questo posto da quasi… due anni. Chissà se è ancora tutto così come l’ho lasciato. – Commentò, sorridendo.
– Oh, come siamo romantici, ‘sta mattina…
– Potrei sorprenderti. – Mi provocò. Gli passai una mano fra i ricci, spettinandoglieli ancora di più. Dopo aver parcheggiato, scendemmo dall’auto. Presi un gran respiro, e chiusi lo sportello.
Quella scuola era enorme. Un edificio antico, che ricordava uno di quei bastioni medievali in granito, con guglie e pinnacoli. Ok, quell’ultima parte magari non tanto, però l’idea era quella.
Il cortile era assurdamente grande, parcheggio escluso, dove stazionavano studenti in ogni punto. Alcuni avevano l’orrenda divisa, altri abiti normali. Individuai i classici tipi da scala sociale, come il nerd, la cheerleader, il playmaker.
Quando Harry richiuse la macchina, molti studenti si girarono a guardarlo, in particolare ragazze. Anche lui se ne accorse, percorrendo il cortile con lo sguardo, alla ricerca di carne fresca da adescare.
Visto dalla loro prospettiva, era un tipo più che appetibile. Con quei pantaloni color crema e la maglietta a mezze maniche bianca sembrava appena uscito da un set per un photoshoot. Con i riccioli al vento e le chiavi di quella gigantesca macchina in mano, aveva un’aria abbastanza matura. E poi era il favoloso e stra-ricco cantante della band, ohmmioddio, se te lo lasciavi scappare eri proprio senza speranza!... potevo capirle benissimo, ma se avessi potuto, le avrei tutte appese al muro.
Non seppi interpretare la sensazione che s’impossessò di me, in quel momento. Un misto di rabbia, divertimento… gelosia. Ma perché essere gelosa di Styles? Era l’equivalente maschile di una qualsiasi meretrice con un minimo di presenza fisica, ma come mai sentivo quella pesante oppressione al petto? Perché desideravo qualcosa di molto simile al voler essere l’unica per cui sprecasse tutti i suoi sguardi? Sentii una mano sulla spalla, e mi voltai.
Zayn sorrideva in tutto il suo fascino mediorientale, figo come non mai, in maglietta a mezze maniche nera dei Guns’n’Roses e jeans. Il sollievo che provai fu indescrivibile, tanto che gli saltai fra le braccia. Qualsiasi cosa pur di distrarre il mostro che mi divorava il fegato. E poi, ero davvero contenta di vederlo. Avevo legato con lui in maniera più profonda che con gli altri, Harry escluso.
– Buongiorno, principessa! Come mai tutto questo affetto di prima mattina? – Chiese, stringendomi a sua volta. Risi, alzandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
– Piantala di chiamarmi “principessa”, Malik, lo sai che lo odio! – Risposi, salutando anche Liam, Louis e Niall, che erano dietro di lui. Al solito, si erano vestiti coordinati. Ed erano tutti e cinque talmente belli, da farmi sentire mortalmente brutta, accanto a loro.
Ok, non ero una tipa modesta, sapevo di essere attraente, specie per i maschi. Ma davvero, vicino ai One Direction calavo miseramente nei panni della teenager impacciata e insipida. Nonostante Niall e Liam arrivassero perfino a scuotermi per le spalle, per convincermi che non era vero. Ora che erano al completo, nel cortile era sceso un silenzio di tomba, ci fissavano tutti. Anzi, fissavano i One Direction.
Poi, il loro sguardo si spostava su di me, e si chiedevano tutti chi fosse “quella tipa figa-ma-strana che è insieme alle superstars”.
Forse credevano che fossi una loro parente. O la ragazza di uno dei membri della band. Ero arrivata con Harry, quindi, magari… no, Holly, basta. Finiscila. Fai pena perfino a te stessa.
– Qualcuno si sente osservato? – Bisbigliò Niall, dietro di noi, restituendo lo sguardo al corpo studentesco che registrava tutte le loro mosse, peggio delle telecamere umane. Scoppiai a ridere, iniziando a sentirmi vagamente in soggezione. Era quello che si provava ad essere costantemente sotto osservazione? Menomale che non ero una VIP. Avrei mandato a puttane tutti i paparazzi, peggio di Naomi Campbell.
– Beh, direi che potremmo anche entrare. Oppure aspettiamo che qualcuno tiri fuori il cellulare per farci una foto? – Chiese Zayn, cingendomi i fianchi con il braccio. Per quella mossa arrossii. E notai che Harry aveva imbastito una strana faccia, alla vista della noncuranza con cui il moretto l’aveva fatto.
– Sì, entriamo. Avranno un anno intero per scattarci foto di nascosto. – Commentò Liam, e ci incamminammo verso l’entrata.
Dopo aver superato l’ingresso, magicamente suonò la campanella, come se non aspettassero altro che l’arrivo dei One Direction, per cominciare la giornata.
 
 

***

 
 
Prima dell’inizio delle lezioni, c’era il discorso del preside, che si teneva in aula magna.
Harry ci guidò lì, e mi resi conto di quanto fosse grande. E la scolaresca contava solo duecento studenti, o poco più. Ci sedemmo al centro, e io presi posto fra Zayn e Styles. O meglio, il riccio venne a sedersi di fianco a me, dopo che Malik ebbe occupato l’altra sedia. Ne fui felice, ma poi mi diedi mentalmente della scema per quella reazione da prima media, e mi misi a togliere dei pelucchi invisibili dalle parigine, dopo aver accavallato le gambe.
I ragazzi chiacchieravano fra di loro, ma io ero piuttosto silenziosa. Osservavo gli studenti che pian piano riempivano l’aula magna, e che comunque non potevano fare a meno di fissare i One Direction e me, perché mi ci trovavo in mezzo.
Quando tutte le sedie furono occupate, comprese quelle sul palco di fronte, il preside fece la sua entrata in scena. Era un tipo basso e tarchiato, calvo e dall’aria soddisfatta, come se nulla potesse sfuggire al suo controllo, o comunque andare storto. Camminava placidamente, senza fretta, a testa alta e ventre prominente in fuori. Notando come si atteggiasse, mi scappò da ridere, e mi morsi il labbro per mascherare i sorrisi. Zayn se ne accorse.
– Scommetto che uomini come il preside sono il tuo sogno erotico più frequente… – sussurrò il moretto, coprendosi la bocca con la mano.
Scoppiai in una risata silenziosa, e anche lui cercava di soffocare gli accessi, sentivo le sue spalle sussultare contro le mie. Harry mi diede un pizzicotto affettuoso sulla coscia, sorridendo di riflesso.
– Shhh, Holly! È il discorso del preside, dobbiamo fingere stare attenti!– Mi disse, sottovoce. Alzai le mani in segno di resa e mi sistemai bene sulla sedia. Osservai la schiera di docenti alle spalle del dirigente scolastico. Tre  uomini, cinque donne. Alcuni sulla settantina, altri decisamente giovani, come il bel tipetto seduto all’estrema sinistra, che in quel momento fissava annoiato il suo iPhone 4. Sembrava quasi uno studente e non un professore, con quella camicia a quadri e i jeans neri.
Un’altra pareva uscita dal seti di Mad Man, con un vestitino bohemien anni 50 e i capelli corti spettinati ad arte. La sua espressione era, inevitabilmente, annoiata fino alla morte. Eppure sedeva composta sulla sedia, ispirava rispetto.
L’uomo alla sua destra sembrava il sosia di Einstein, fatta eccezione per la polo panna e i pantaloni di velluto color cammello. Venti sterline che era il professore di chimica. Mi persi ad osservare il resto del corpo docenti per un po’, tirando ad indovinare a quale volto corrispondesse la materia. Il preside tossicchiò educatamente per invitare gli studenti al silenzio.
Proprio in quel momento, però, la porta dell’aula magna si spalancò, e una ragazza si precipitò dentro di fretta. Indossava una semplice magliettina aderente rosa a mezze maniche, e una gonna a portafoglio marrone chiaro, ballerine dello stesso colore della t-shirt. Quindi non doveva sostenere i GCSE.
La fissai, mentre si scusava, e si guardava attorno vagamente spaesata. Si accorse del posto libero in prima fila, e si precipitò ad occuparlo, al colmo della vergogna. Era l’opposto di me, pensai.
Lisci capelli castano chiaro, lunghi fino alla vita, occhi nocciola, visino da bambola, non molto alta e dal fisico asciutto, aria dolce e semplice. Liam la seguì con lo sguardo, e anche Louis. A ben pensarci, doveva essere il loro tipo.
Mi ricordò di come ero, prima del giro e tutto. Probabilmente cantava nel coro della chiesa la domenica, e faceva danza classica due volte alla settimana.
La sua vita doveva essere perfetta.
Un universo parallelo, rispetto a me.




Holls' Corner:

Beeene, eccomi ancora qui!! Ultimamente aggiorno spesso, hahahah! Ma non abituatevi così facilmente, eh >. Dunque... posso anche dirvi che i capitoli "introduttivi" sono finiti. Intendo che dai prossimi avremo i punti di vista di altri personaggi, oltre a quello di Holly. Vorrei precisare che il suo rimarrà comunque il principale, insieme a quello di altre due ragazze.
Tuttavia, in linea di massima, la storia si svilupperà maggiormente attraverso il suo. Cosa dire? Anzitutto grazie mille per le recensioni e i complimenti :D! Soprattutto i vostri, Girls <3! E ringrazio anche i lettori, che leggono e basta/seguono/ricordano/preferiscono la storia!
Ok, direi che con questo, posso anche concludere... la prossima volta vi dirò anche i volti dei personaggi inventati, dato che ne verranno introdotti anche di nuovi!
Non mi resta che ringraziarvi ancora, e... see you next time! Bacioni a tutti :D!



 

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Capitolo 6
*** 5. The Artist ***







5.
The Artist



 

«Try to figure me out, you never can…
There's so many things I am.
»

Hilary DuffI Am
 
 
 


Holmes Chapel Comprehensive School, ore 8.30 a.m.
Prima fila. In crescente imbarazzo.
Kate’s PoV

 



Che imbarazzo. Non mi ero mai vergognata tanto in vita mia.
Fare tardi il primo giorno dell’ultimo anno, ed entrare in aula magna proprio un paio di secondi prima che il preside cominciasse il suo discorso. Non riuscivo mai ad essere puntuale, ma che diamine, almeno per quel giorno avrei potuto fare un’eccezione.
Ma quando deve uscire male, allora andrà male, come diceva mia nonna. L’asciugacapelli aveva deciso di farla finita col mondo proprio quando ne avessi più bisogno.
La macchina aveva esaurito la benzina, e si era spenta a metà tragitto. Morale della favola: avevo dovuto correre per arrivare in tempo. E, ovviamente, comunque in ritardo.
Pensai che Maddie, la mia Ka rossa adorata, giaceva ancora in un angolo fra la Madison Street e St. Luke Church, senza linfa vitale, abbandonata sull’asfalto. Dopo la scuola avrei scroccato un passaggio a Taylor, la mia migliore amica che frequentava l’altra sezione.
Non sentivo una parola del discorso del preside. Non lo ascoltavo mai, tutti gli anni. Perché avevo sempre troppe cose a cui pensare, per dargli retta.
Poi mi ricordai che quell’anno avremmo avuto delle celebrità nella scuola. Nella mia classe, per essere precisi. Erano i One Direction. Quella band schifosamente pop, composta da cinque bei ragazzi… va bene, mi piaceva la musica che facevano. Propendevo più per l’indie/punk, ma non disdegnavo un po’ di sano e vuoto pop, quando mi si presentava davanti.
Sapevo che erano seduti da qualche parte dietro di me, ma non osavo girarmi. Non intendevo muovere un muscolo, per la precisione. Meno mi facevo notare, e meglio mi sentivo.
Ero una persona tremendamente timida, a cui piaceva molto leggere in un angolo, e venire dimenticata da tutti. Non ero né asociale, né avevo alcun tipo di problema a relazionarmi con gli altri. Semplicemente, i miei gusti in fatto di amicizie erano molto selettivi.
Se mi piacevi, arrivavi a conoscere la vera Kate, quella con la “v” maiuscola, e ti divertivi. Al contrario, dalle mie parte sbattevi contro un muro fatto di silenzio. Sì, non ero un tipetto semplice, e gli amici più stretti che avevo, potevo contarli sulla punta delle mie dita. Ma non mi lamentavo, anzi. Mi piaceva la mia condizione, e non l’avrei cambiata per nulla al mondo.
A prima vista, le persone mi categorizzavano in “antipatica-saputella-che-se-la-tira”. Sapevo di suscitare tali impressioni agli estranei, ma non potevo farci nulla, era una cosa insita in me, radicata nel profondo dell’essere, che non avrei potuto cambiare neanche se avessi voluto.
Un po’ dipendeva anche da come mi proponevo io stessa. Adoravo curare i miei capelli, fino a livelli maniacali, e non uscivo di casa se i miei vestiti non erano bene abbinati. Per forza la gente mi dava certe definizioni. Avevano perfettamente ragione… osservai la schiera di professori dietro il grossissimo e noiosissimo preside.
C’erano i soliti, la Benedick di educazione fisica, la Reynolds di chimica, All Saint di lettere, Count di matematica, Sheehan di musica, poi gli altri… quelli dell’anno scorso, per tutte le materie. Guardai meglio, all’estrema sinistra.
Ce n’era uno nuovo. Un bel ragazzo, al massimo trentenne. Aveva i capelli biondo rossicci, corti, con le punte scolpite dal gel, in camicia a quadretti scozzesi aperta su una T-shirt nera e jeans. M’incantai a guardarlo. I suoi lineamenti erano così dolci e gentili, come i suoi profondi occhi nocciola.
In quel momento, il suo sguardo incrociò il mio. Lo distolsi subito, fissando il pavimento. Ci mancava solo che il nuovo docente di chissà quale materia si accorgesse che lo trovassi bellissimo. E poi io ce l’avevo, un fidanzato. In pochi lo sapevano, ma ne avevo uno.
Ed era il miglior ragazzo del mondo. Come avevo anche solo potuto sprecare qualche secondo a fantasticare su quell’uomo?
– …Quindi, dopo avervi illustrato i nuovi studenti, è il momento che vi presenti il nuovo acquisto del corpo docenti. Il professor Szmanda, di arte.
Il bel ragazzo si alzò in piedi, e raggiunse il preside, sorridendo timidamente alla platea. Giuro che il mio cuore mancò un battito. E sentii caldo. Un caldo pazzesco. Soprattutto in volto.
Così era il nuovo professore d’arte? La materia che mi riusciva meglio, che amavo, dove mi buttavo con tutta me stessa? No.
– Salve, ragazzi…– esordì, passandosi una mano fra i capelli, per guadagnare tempo. Lasciò correre lo sguardo sulla platea, e continuò: – beh, non sto qui a rompervi le scatole con le presentazioni formali, tanto a lezione avrò modo di conoscervi tutti. Ehm… che dire? Ci vediamo dopo, allora. – Disse, fece un ultimo sorriso, e mi guardò. Mi concessi due secondi per ricambiare la sua occhiata. Poi ostentai un interesse smodato per le mie pellicine del pollice. Qualsiasi cosa per evitare un confronto visivo diretto con lui.
Mi disperai in silenzio, pensando a tutto il resto dell’anno con lui in classe, dalle tre alle sei ore a settimana. Dovevo darci un taglio con quel tipo di melodramma. Avrei dovuto pensare solo al mio ragazzo.
Persi del tempo a cincischiare con la cintura della mia gonna, e dopo quelli che mi parvero secoli, il preside sciolse l’assemblea. Consegnandoci nelle mani dei nostri rispettivi docenti.
E io temetti e insieme sperai che in prima ora avessimo lui.
 
 

***


 
Non potevo sapere quanto strano fosse avere delle celebrità nella propria classe, finché non avemmo la prima lezione della giornata.
Arrivai neanche troppo presto, e la classe era già semi piena. Morivano tutti dalla voglia di vedere i One Direction entrare in aula. Ovunque mi girassi, un ragazzo li criticava, e una ragazza li eleggeva a Dei del Sesso. Non che li trovassi poco attraenti, ma non avevo lo stesso entusiasmo delle altre, all’idea dell’anno che ci aspettava.
Dopo l’assemblea, mi ero confusa nella massa di studenti, perdendo di vista il professor Szmanda. Ancora non mi spiegavo come avessi fatto a reagire in quel modo. Non mi era mai passato per l’anticamera del cervello di provare sensazioni come quelle, per un altro ragazzo. Spesso non succedeva neanche con il mio fidanzato, perché con un perfetto sconosciuto, allora? Molto più grande di me, per di più?
Magari la mancanza di lui iniziava a farsi sentire. Non ci vedevamo da due mesi, per impegni di lavoro. Suoi, ovviamente. Nel pomeriggio, però, sarebbe tornato a casa. Da me. Forse mi ero fatta suggestionare.
Presi posto al penultimo banco a destra, e sospirai.
– Collins, sono occupati questi posti?
Alzai lo sguardo. Oh, fantastico. Non mi era bastato arrivare in ritardo, ci mancava pure che la Reginetta della HCCS venisse a sedersi proprio davanti a me.
Amanda Levinski, diciottenne, fisico spaziale, volto da copertina di Cosmopolitan. Bionda platino. Tinta, ovviamente. Terza abbondante, sempre evidenziata da scollature profonde e gambe da urlo, che non esitava mai a scoprire, enfatizzandole con i suoi BFF, i tacchi-killer da 12 cm, a stiletto.
Simpatia zero, eloquenza pure e per qualche strano parto felice della natura, la sua media somigliava quasi alla mia. Per forza, come capo cheerleader non poteva permettersi neanche un’insufficienza.
Piaceva e lo sapeva. Arrampicatrice sociale, non si faceva scrupoli a manipolare le persone per un minimo di notorietà.
Bullizzava le allieve del primo e secondo anno, ispirava quelle del terzo, era osannata da quelle del quarto, e odiata e temuta dalle sue compagne di classe. Me compresa.
Solo che io l’ignoravo di sana pianta, e lei mi ricambiava il favore. Ciononostante, non mi era mai piaciuta. Le feci un cenno con la testa, e lei mi sorrise con affettazione, scuotendo la sua chioma da playmate, e sedendosi al posto accanto al muro.
Nadia Ashanti, la sua nuova migliore amica, occupò la sedia accanto alla sua. Lei, invece, era la classica bellezza araba, sopracciglia folte e ben delineate, seducenti occhi color nocciola, e labbra piene, ben disegnate. Si era tagliata i capelli a caschetto, e ne aveva schiarito le punte. L’anno scorso erano lunghi e fluenti, ma soprattutto neri. Non castani digradanti biondo grano.
La ragazza era di poco più sveglia di Amanda, ma la sua adulazione era terrore puro. La seguiva ovunque e in ogni caso, dandole man forte o aiutandola a spaventare innocenti primine, o a rubare i ragazzi ad altre tipe della scuola. Oppure le copiava i vestiti, comprandoli in colori diversi.
Erano il tipico duo da film americano per teenagers, la leader e il cagnolino. Povera me.
– Hai saputo della novità, Collins? – La vidi sporgersi indietro, fissandomi con i suoi occhioni azzurri. Alzai un sopracciglio. Non mi chiamava mai per nome, se non quando le servissero i compiti di matematica o fisica.
– Parli dei One Direction? – Chiesi, immaginando già dove volesse andare a parare. Sorrise, beata.
– Oh, sì! Hai idea di quanto siano famosi?
– Amanda…
– Scommettiamo che entro fine giornata mi farò accompagnare a casa da uno di loro? – Propose, maliziosa. Sospirai, guardandola insofferente. Si voltò, senza neanche aspettare che le rispondessi.
Meglio così, altrimenti le avrei urlato dietro qualche sproposito. Già, avevo dimenticato un piccolo ma ovvio particolare su di lei. Cambiava ragazzo con la stessa facilità con cui buttava i lucidalabbra vecchi. E non si accontentava di certo dei tipi normali o comuni, no.
Lei voleva i playmaker, quelli che contavano. Gente che avrebbe potuto accrescere la sua già notevole popolarità. Mi dispiacque per quei poveri cantanti. Non avevano proprio idea di quello che li aspettasse.
In momenti come quelli, sentivo il bisogno di avere Taylor accanto a me. Lei sì che avrebbe saputo sdrammatizzare il tutto. Improvvisamente, nell’aula calò il silenzio. Erano arrivati i VIP.
Il primo ad entrare fu il ricciolino conturbante, Harry Styles, che trascinò Louis Tomlinson dentro, ridendo come matti. Tutta la classe li stava passando ai raggi X, e a loro non importava nulla. Ovvio, dovevano essere più che abituati ad avere cento paia di occhi addosso.
Presero posto al banco accanto al mio come fosse la cosa più naturale del mondo, e Louis si voltò, sorridendomi. Non seppi se rispondere o meno a quel sorriso, e tutto quello che sembrò uscirmi fu una smorfia a metà, che, ero sicura, non sarebbe stata molto carina a vedersi.
Poi fu la volta di Niall e Liam, che entrarono con un po’ meno pompa. Loro due e Louis erano i più belli, secondo me. Liam sembrava così dolce, e Niall aveva quel sorriso caldo e rassicurante. Si sedettero dietro Harry e Louis, sistemando gli zaini sul banco, lievemente agitati.
Notai Liam girarsi a guardarmi, dopo aver osservato rapidamente la classe e ricambiai l’occhiata. Almeno lui aveva solo un anno più di me. Ed era più che naturale che lo occhieggiassi, era comunque uno studente nuovo.
Per ultimi, entrarono Zayn Malik, il fascino dal sapore mediorientale, con un braccio sulle spalle di quella ragazza nuova e sconosciuta, che sembrava uscita dal set di Skins. Aveva la divisa decisamente più stretta di quanto fosse stato giusto per lei, e la gonna appena sotto il moralmente concesso. Quelle parigine, poi, erano un affronto alla morale scolastica.
Una qualsiasi ragazza come me, l’avrebbe detestata. Ma invece l’ammirai. Sembrava così sicura di sé, con il rossetto steso in maniera perfetta sulle labbra, l’eyeliner per niente sbavato, i capelli mossi e la frangia piena, para.
Era piena di tatuaggi, per la maggior parte scritte o simboli. Non coperta come alcuni cantanti grounge, che si dipingevano tutte le braccia o il corpo. I suoi erano molti, ma non troppi. Il piercing al sopracciglio sinistro e all’angolo destro del labbro inferiore spiccavano in maniera impressionante, fra il pallore del suo incarnato e l’ebano dei capelli.
Lei era l’opposto di me. Tutto quello che non avrei mai avuto il coraggio di essere.
Aveva sicurezza.
Aveva carattere.
Fascino.
Faccia tosta.
E venne a sedersi accanto  a me. Perché gli unici due posti liberi rimasti non erano nello stesso banco.






 

Holls' Corner:

Siamo arrivati al quinto capitolo!! Già! Che velocità... vorrei scusarmi per la cortezza, ma è stato meglio postarlo da solo, questo! Allora, che ve ne pare di Kate? Lasciatemi dire due parole su di lei...
Cominciamo con il fatto che sia l'opposto di Holly. In tutti i sensi. Se l'una è aggressiva e spigliata, l'altra timida e posata. Kate adora leggere, detesta essere al centro dell'attenzione, e ama l'arte. Ha anche un forte senso critico e un linguaggio sicuramente meno sboccato. 
Posso affermare di somigliarle molto di più, rispetto ad Holly. Ma in ogni caso, neanche lei è un personaggio autobiografico, no!! Il suo punto di vista, comunque, sarà uno dei fondamentali. Ma adesso basta parlare di lei, altrimenti poi vi dico tutto e che gusto c'è nel leggere? Scoprirete il suo carattere col procedere della storia!
Ora, l'altra volta vi avevo promesso di svelarvi i volti dei miei personaggi! E dunque vi accontento.
Potete in ogni caso continuare a vederli così come ve li eravate immaginati, sono io che ritengo assomiglino molto ad un dato attore o cantante! Quindi... cominciamo con Holly, allora! Lei è
Demi Lovato... Kate, invece è Leighton Meester, mentre Amanda Ashley Tisdale (attrice che io personalmente adoro, ma si prestava molto al personaggio!) e Nadia la cantante M.I.A.. Il professore nuovo di arte, invece, è Eric Szmanda (Greg di CSI, per capirci!)!
Bene, ve li ho descritti tutti... poi li aggiungerò mano a mano che compariranno! Avrete notato che anche il banner è cambiato! Infatti ne ho uno per ciascuna voce principale (quindi tre, Holly, Kate ed un'altra ragazza che ancora non è comparsa nella storia!) ! Spero vi sia piaciuto questo nuovo! Allora, vi lascio!
Ringrazio moltissimo tutte le mie girls e i lettori, che seguono/leggono e basta/ricordano/preferiscono la storia!! Davvero, grazie mille!!
Fatemi sapere cosa ne pensate del nuovo punto di vista e di Kate, ci tengo a sapere le vostre opinioni!!!
Un bacione a tutti, e alla prossima :)!



 

 

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Capitolo 7
*** 6. The Blonde Problem ***









6.
The Blonde Problem





« Stupid hoes is my enemy,
stupid hoes is so wack,
Stupid hoe shoulda befriended me…
Then she coulda prolly came back! »

Nicki MinajStupid Hoe

 



Holmes Chapel Comprehensive School, aula di arte.
Gloriosa entrata in scena.
Holly’s PoV.

 


 

Che strana e maledetta cosa, il karma. Guarda caso, l’unico posto libero era accanto a quella ragazza che era arrivata in ritardo.
Zayn dovette sedersi vicinoo ad un nerd assurdo. Si accomodò, e il tipo ebbe un sussulto. Allora Malik si girò a guardarlo, con una faccia della serie: “hai problemi, amico?”. Il nerd lo fissò, poi si seppellì fra le pagine di un manuale universitario di astronomia.
Mi venne voglia di ridere, e non repressi un sorriso. Buttai lo zaino a terra, accanto al posto libero, scostai la sedie e mi sedetti, incrociando i piedi sul banco, in equilibrio sulle sue gambe posteriori.
– Allora è un vizio! – Harry si sporse dal suo posto, ammiccandomi. Gli feci una smorfia.
– Non mi rompere, riccio. – Sentenziai, guardandomi le unghie. La tipa vicino a me non aveva fiatato. Come sospettavo, aveva un profumo buono, floreale, fine. Non sembrava turbata dai miei modi. Oppure la sua fredda indifferenza era causata da un principio di antipatia a pelle. 
La guardai. Aveva la testa china, con i capelli che le ricadevano sulle spalle, lisci e luminosi. Scriveva un messaggio al cellulare. Immaginai che cercasse un pretesto qualsiasi per non parlare con me.
Ma quella mattina mi sentivo troppo su di giri per fare la misteriosa. Le tesi la mano.
– Holly.
Alzò lo sguardo. Aveva dei begli occhi nocciola con riflessi dorati, accanto alla pupilla assumevano tonalità bronzee. Erano gentili, ma intimiditi. Tuttavia, mi strinse la mano.
– Kate.
Buona stretta. Aveva carattere. Ci fissammo per alcuni secondi, poi lei tornò al suo sms. Che strana.
Sedute davanti a noi c’erano altre due ragazze, che il mio cervello identificò immediatamente come “galline”.
Quella a destra, bionda platino, sopracciglia perfette, nasino alla francese e labbra carnose lucidate di rosa caramella. Vestiva in maniera sobria, ma saltava subito all’occhio.
La sua amica, mora, caschetto super-liscio, fisionomia indiana e penetranti occhi nocciola, sembrava un tantino meno idiota di lei. Ma pensai che quello fosse il classico duetto da film sulle High Schools americano, dove una comandava, e l’altra eseguiva a bacchetta.
Barbie si girò indietro, verso me e la mia compagna di banco, che aveva finito di scrivere. Potevo sentire la sua affettazione prima ancora che pronunciasse parola.
– Allora, tu devi essere… Holly. Io mi chiamo Amanda. – Mi tese la mano. Continuai a fissarla, e gonfiai un pallone rosa con la Big Babol che stavo masticando. Lo scoppiai, ma non mi mossi. Barbie capì che non avrei stretto la sua mano perfetta fresca di manicure, e l’abbassò, cercando di sdrammatizzare.
– Lei è la mia amica Nadia. – Riprese, indicando la compagna di banco. Alzai un sopracciglio. Occhieggiò la classe per alcuni secondi, poi il suo sguardo si fermò sul banco alla nostra sinistra.
– Così… conosci i One Direction, eh? – Chiese, maliziosamente, con uno sguardo complice. Ah, ecco dove voleva andare a parare. D’altronde, un po’ me l’aspettavo. Masticai la gomma in maniera vistosa, tolsi i piedi dal banco, e la sedia poté fare perno su tutte e quattro le sue gambe.
Mi avvicinai alla sua testa, allungandomi.
– Ti svelo un segreto. – Le dissi, sottovoce, sorridendo – di groupie ne hanno fin troppe. Se proprio ci tieni, però, puoi prendere un numero, e metterti in fila.
Barbie trasalì, spalancò i suoi occhioni azzurri da bambola e assunse un’espressione shockata. Si voltò, oltraggiata. Ben le stava. Almeno, ci avrebbe pensato due volte, prima di parlarmi di nuovo.
Kate rise, in silenzio. Le sorrisi.
– Hai fatto bene. Amanda è un’opportunista con la sindrome da Reginetta del Ballo. Mi divertirò a vederla cadere… – sussurrò, cercando di non farsi sentire da Barbie. Quella volta fui io a ridere.
– Puoi contarci. – Le risposi. Ok, non le stavo antipatica. Meglio così.
In quel momento entrò il professore nuovo, quello di arte. Gli studenti si alzarono tutti in piedi, così li imitai. Lui chiuse la porta, e il lieve chiacchiericcio che si era diffuso, si spense del tutto. Ci disse di sederci, e obbedimmo.
Notai Kate passare dal rosa carne al rosso pomodoro, sulle guance. E anche il docente, dopo una prima occhiata circolare, individuò il nostro banco. Fissò pure me, ma per pochi istanti. Il suo sguardo era tutto per Kate, che si ostinava a tenere gli occhi bassi. Aveva paura di guardarlo. Intuii che dovesse essere una ragazza estremamente timida.
Il professore sistemò la sua tracolla ai piedi della cattedra, poi si voltò verso la lavagna, prese un gesso, ed iniziò a scrivere. Ne approfittai per dare di gomito a Kate.
– Ehi! – Sussurrai. La ragazza sobbalzò, poi mi guardò, sconvolta.
– Che c’è?! – Chiese, a mezza voce. Mi venne da ridere, per la sua reazione, ma mi trattenni. Indicai il prof con la testa.
– Ti ha guardata, prima. – Dissi. Kate finse di sistemarsi l’astuccio.
– Ovvio, lui è un docente e io sono una sua allieva. Non… non ha guardato anche te? – Chiese, cercando di sviare.
– Sì. Ma non come “professore”… – sottolineai, sorridendole. I lati della sua bocca volevano piegarsi in un sorriso, ma lei lottò per mantenere un’espressione neutrale.
– Sciocchezze… – rispose, anche se sapeva quanto dovesse suonare falsa perfino a sé stessa, come risposta.
– Ok, ragazzi. Io mi chiamo Eric Szmanda. – Disse il prof, sottolineando il suo nome, scritto sulla lavagna. Posò il gesso, si pulì le mani e le infilò nelle tasche, appoggiandosi con la schiena alla parte inutilizzata di ardesia.
– Ho ventotto anni, vengo da Las Vegas, e per tutto l’anno sarò il vostro docente di arte. Ora farò l’appello, per vedere più o meno a quale nome corrisponde la vostra faccia, poi faremo una bella chiacchierata su quello che per voi è “arte”.
Si accomodò, e aprì il registro. Beh, era proprio carino.
Volto pulito, occhi nocciola, gentili. Capelli biondo rossicci con alcune punte tenute su dal gel, naso all’insù, bella bocca rosea carnosa. Era alto un po’ più di Harry, spalle larghe, bel fondoschiena. Quella camicia scozzese a mezze maniche aperta su una maglietta nera e i jeans lo facevano sembrare quasi uno di noi, e non un professore. Peccato per quei dieci anni di differenza.
Secondo me, fra lui e Kate sarebbe potuto nascere qualcosa. Iniziò a leggere i nomi, con la sua voce profonda. A mano a mano che nominava gli studenti, memorizzavo i volti.
– Ashanti, Nadia… – l’amica di Barbie trillò un “sono qui”, che mi scatenò dentro una violenza cieca. Detestavo le tipe come lei, si vedeva lontano un miglio che cercava di attirare tutta l’attenzione, in qualunque modo.  Il prof proseguì con l’appello.
– Collins, Kate… – la ragazza alzò la mano, e quella volta resse il suo sguardo. Si scambiarono un’occhiata, breve ma intensa, a quel che mi parve. Poi lei tornò a disegnare sul suo quaderno, e lui seguitò a leggere. Decisi che mi sarei impegnata ad aiutarli. Anche se conoscevo Kate da relativamente cinque minuti, e non sapessi nulla di lei. Mi sentivo buona, quella mattina.
– Horan, Niall… – il biondino sollevò la mano, accennando un sorriso. Anche lui e Liam guardavano spesso la mia compagna di banco. Più tardi avrei indagato.
– Levinski, Amanda…  – Barbie alzò la mano, radiosa e sorridente. Roteai gli occhi, e Kate mi sorrise.
– Malik, Zayn… – il moretto disse “presente”, giocherellando con una matita.
– Payne, Liam… – scandì un “qui”, sorridendo. Il prof elencò un altro paio di nomi, poi arrivò alla “S”.
– Styles, Harry… – mi voltai a guardarlo. Fu più forte di me. Tirò fuori il suo sorriso aperto, dicendo “presente”, poi il suo sguardo si diresse verso la nostra parte. E si appuntò su Amanda.
La Barbie.
Rimasi di stucco.
Perché lei ricambiò l’occhiata, e gli sorrise di rimando. Non potevo crederci.
Ero talmente esterrefatta, che quando chiamò “Sullivan, Holly”, non risposi. Fu Kate a darmi di gomito, e allora balbettai un “presente, scusi”, per poi guardare davanti a me, allibita.
–  E… Tomlinson, Louis. – Sorrise al docente, facendogli un cenno con la mano e sistemandosi sulla sedia. Ma io ancora non riuscivo a realizzare.
– Credo che ad Amanda piaccia Harry… – mi sussurrò la mia vicina, accorgendosi dell’empasse e del gioco di sguardi. Masticai nervosamente il chewing-gum, tamburellando con le unghie sul banco.
– Mi auguro di no per lui. – Dissi, mortifera. Dopo, a casa, avrei convinto Zayn a tirare fuori di bocca qualcosa al riccio. Se era come credevo, avrei dovuto presto iniziare a preoccuparmi di Barbie.
Un minuto… preoccuparmi di che cosa? Se avesse voluto portarsela a letto, io non gliel’avrei impedito. Poteva fare tutto quello che gli pareva.
L’unico problema, era che mi avrebbe dato mortalmente fastidio. E non era sempre conveniente starmi antipatico. Kate tirò di nuovo fuori il cellulare, digitò qualcosa sulla tastiera Qwerty, e poi mi diede di gomito, affinché guardassi lo schermo.
 

“Amanda è fatta così. Probabilmente, l’unica cosa che vorrà, è portarselo a letto. Per poi vantarsi di tutto quello che (non) hanno fatto sotto le lenzuola. È tremendamente meschina. Cercherò di aiutarti, se lo vorrai.”

 
 
Sulle prime, mi venne da sorridere. Poi le tolsi il cellulare dalle mani, e digitai la risposta, senza neanche chiederle il permesso di farlo.
 

“Grazie, oggi sono particolarmente bendisposta. Accetto l’offerta.”

 
 La mora si riappropriò del telefonino, e sorrise, dopo aver letto ciò che le avevo scritto. Quella Kate era spettacolare.
In situazioni normali, le avrei detto che non avevo bisogno dell’aiuto di nessuno, e che, se avessi voluto, avrei potuto prendere Barbie e  schiacciarla come un inutile ragno della polvere sotto i miei stiletto da 12cm.
Invece mi colpì l’empatia che si era creata. Io avevo deciso di aiutarla con il prof, e Kate mi aveva inconsciamente ricambiato il favore. Sebbene anche lei non mi conoscesse da non più di un quarto d’ora. Era strano, ma sentivo di potermi fidare di lei. Con tutto quello che avevo passato, avevo imparato a diffidare di chiunque, e a riconoscere i bugiardi anche solo dai loro sguardi.
Così come avevo fatto con Barbie. La bionda era fredda, calcolatrice, e molto sveglia. Era la classica tipa che si accorgeva da che parte tirasse il vento molto prima di tutti gli altri.
Gli occhi di Kate, invece, erano puri. Nonostante cercasse di nascondersi, mimetizzarsi, non farsi notare in qualunque modo, aveva una forte personalità. Offrire il proprio aiuto, anche se per niente richiesto, ad una come me. Che sembrava appena uscita da quei libri di storie maledette e infanzie distrutte, che avrebbe potuto trascinare sulla cattiva strada chiunque, che si proponeva al mondo con un aspetto assurdo e un carattere di merda come i miei.
Beh, o era una grande attrice, perfida a livelli paradossali, oppure… era semplicemente una persona buona. E io avevo bisogno di credere alla seconda possibilità.
Perché ero stanca di aver avuto attorno solo influenze cattive.



Holls' Corner:

Eccoci al sesto capitolo!!! Sono contenta che i volti dei personaggi vi siano piaciuti, ringrazio subito i lettori e le mie girls per i complimenti e per avermi dedicato parte del loro tempo leggendo le mie storie! Davvero, grazie!
Beh, in questo capitolo si inizieranno a vedere le prime scintille fra Holly e Amanda, scoprirete poi cosa accadrà in seguito!!
Che dire? Stasera il mio angolino è veramente corto, hahahahahah!! Ringrazio anticipatamente tutti quelli che leggeranno il capitolo, e i lettori che preferiscono/seguono/ricordano/leggono e basta!! Ah, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, ci tengo! Beh, adesso vi lascio!!
Un bacione a tutti, alla prossima!!


 

 

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Capitolo 8
*** 7. The Meaning ***





7.
The Meaning





« I know where beauty lives,
I've seen it once, I know the warm she gives…
The light that you could never see,
It shines inside, you can't take that from me.
»
Madonna – Live To Tell
 
 
 
Holmes Chapel Comprehensive School, aula di arte.
Drammi esistenziali al penultimo banco di sinistra.
Kate’s PoV.

 
 
 

Non riuscivo ancora a credere a tutto quello che mi stava succedendo.
Quel bellissimo professore si chiamava Eric, ed era proprio lì davanti a me, che chiedeva in giro cosa pensasse quello o quell’altro studente che fosse l’arte.
Avevo appena offerto il mio aiuto ad una sconosciuta, che sembrava la protagonista di una sitcom di Mtv sui drammi adolescenziali. Ma non un qualsiasi tipo d’aiuto. Mi ero proposta come sua complice per rovesciare la reginetta della HCCS, Amanda Levinski.
Non l’avevo mai potuta soffrire, ma lei non aveva mai trovato modo di darmi fastidio. Semplicemente m’ignorava, preferendo passare dal letto di un ragazzo all’altro, a seconda del suo livello di popolarità, e bullizzare delle povere studentesse più piccole di lei. Quelle ingiustizie gratuite e insensate non l’avevo mai tollerate.
Avevo più volte cercato l’appoggio di chiunque, per poterla rovesciare dal suo trono di cristallo, ma si erano tutti rifiutati. E ora che una sovversiva come Holly piombava in classe, accanto a me, e non si lasciava fuorviare dall’amabile finzione di Amanda… beh, non avevo potuto resistere. In ogni caso, però, il mio aiuto non era per niente così egoistico e fine a sé stesso.
Volevo davvero cercare di dare qualche conforto a quella ragazza. Stranamente, sentivo che saremmo diventate buone amiche. E che lei, sotto quella corazza da ribelle, fosse una persona bellissima. Bastava solo scoprirla. Avevo avuto qualche timore ad espormi così tanto con lei, su Amanda. Ma uno strano istinto mi aveva spinto a comunicarle le mie impressioni.
Poi mi ero accorta della faccia che aveva fatto, quando Harry Styles aveva sorriso con la sua aria da tipetto-sexy alla bionda. Credevo che stesse con Malik, ma era evidente che Holly non aveva occhi che per il ricciolo. Conoscevo fin troppo bene reazioni come quelle, perché ero stata la prima a provarle sulla mia pelle. Solo un’attrazione bruciante causava quegli effetti collaterali.
A proposito di attrazione bruciante. Perfino Holly si era accorta che c’era qualcosa di strano, con il prof. Non ero assolutamente una mitomane, un’esaltata, o una megalomane. Ma avevo avuto l’impressione che nei suoi sguardi ci fosse stata una scintilla particolare.
Magari ero solo io che, accecata da quell’improvviso accesso di ormoni in subbuglio, avevo male interpretato cose in realtà del tutto innocenti. E invece no…
– Tu… Kate.
– Eh? – Risposi, non capendo subito che a chiamarmi era stato Eric. No. Il Professor Szmanda.
Lui si era appoggiato alla cattedra, puntellandovisi con le braccia, e mi fissava, con un sorriso quasi timido, quasi incoraggiante, e io avvertivo le guance avvampare, e il mio cervello faceva knock out. Riempiendo di “e” tutti i miei pensieri.
Cielo, quanto potevo essere sciocca?
– Cos’è l’arte, per te?  – Chiese. La domanda del secolo, da un milione di dollari. Posta proprio da lui. Era come se mi avesse chiesto quale fosse il senso della mia vita.
Spostai i capelli tutti a destra, scoprendo il collo, per guadagnare tempo, e distogliere lo sguardo da quei dolcissimi occhi nocciola.
– Io… – cominciai. Ma poi capii che su quell’argomento, non avrei mai avuto esitazioni, né motivo di provare timore.
– L’arte per me è vita. È trasferire i propri sogni sulla carta. Un po’ come fanno i cantanti. Loro vivono di musica, aggiungono una melodia a tutto ciò che pensano, buttano fuori quello che non avrebbero mai il coraggio di dire altrimenti. E per me è lo stesso. Sono timida di natura, e molte cose che per chiunque altro sarebbero scontate, per me non lo sono. – Dissi, poi feci una pausa.
– Così esprimo tutto quello che ho dentro con i disegni. Credo che l’artista sia un fabbricante di sogni. Ha queste sue mani che producono oro, quella voce che spedisce in un universo parallelo, quei piedi che producono poesia, ovvero la “danza”. Oppure è solo un pazzo che non ha niente di meglio da fare nella propria vita. – Sospirai. – In ogni caso, senza tutto quello che chiamano “arte” o “inutile perdita di tempo”, non potrebbe vivere. Tutto qui.
Trovai la forza di alzare lo sguardo, e di incontrare il suo. Sembrava seriamente colpito da ciò che avevo appena detto. Gli accennai un sorrisetto imbarazzato, che lui ricambiò, scuotendo la testa. La realtà era che trovavo vera ciascuna delle sillabe che avevo pronunciato.
Mi ero messa a nudo con quel pensiero, perché arrivava dal profondo del mio essere. Senza le mie matite, potevo considerarmi morta. Vivevo di carta e scarabocchi colorati, attaccandomi a loro come fossero ossigeno. Campavo di arte. Ma non osavo chiamarmi “artista”. Non avevo mai prodotto sogni.
– Ecco. Diciamo che, fondamentalmente, questo è l’arte. Per chi ci crede davvero, ovvio. Per la prossima volta che ci vediamo, vorrei che ciascuno di voi mi portasse un proprio lavoro, oppure quello del vostro artista preferito, qualora non ne aveste di vostri.
Quasi avesse predetto il futuro, la campanella suonò, e tutti gli altri scattarono in piedi. Holly mi diede di gomito.
– Le pensi davvero, tutte quelle cose? O l’hai solo detto per fare bella figura con il professor strafigo? – Mi chiese, sorridendo. Risi, posando astuccio e diario.
– No. Sfortunatamente era tutto vero. Puoi chiamarmi pazza, ti do il permesso. – Risposi. Si issò lo zaino in spalla, poi mi guardò. E sorrise.
La classe scemava rapidamente di fuori, vedevo con la coda dell’occhio i One Direction affollarsi sull’uscio della porta, aspettando Holly.
– Invece no. Sei una tipa forte. Mi piaci.
– Collins? Potresti fermarti un minuto? – Mi voltai, e vidi il professore che prendeva la sua tracolla, guardandomi e aspettando una risposta. 
Zayn raggiunse la mia compagna di banco, mettendole una mano sul fianco, sorridendole. Holly mi sfiorò la spalla.
– Ti aspetto fuori. – Disse, e passato il braccio attorno alla vita di Malik, uscì. Oh, Dio.
“Ti prego, non andartene!”, pensai. Mi aveva davvero chiamato e chiesto di fermarmi, non me l’ero sognato.
Vidi la figura di Holly sparire fuori la porta, con la sua andatura sinuosa, e quasi volli correrle dietro, per non essere lasciata da sola. Ma poi mi feci coraggio, e presi lo zaino. Non era mica un’esecuzione.
Una semplice e terribile chiacchierata. Magari voleva solo chiedermi delle delucidazioni sulla classe, o il programma, o qualsiasi altra scemenza scolastica che non riguardasse me.
Il mondo non girava attorno a Katheleen Collins. Avrei dovuto saperlo da quasi diciotto anni, ormai.
– S-sì, professore? – Eccoci. Io e lui. Uno di fronte all’altra. Era tremendamente alto. Più del mio ragazzo. E avevano gli stessi magnetici occhi. Ma il docente non aveva la nota nostalgica dei suoi.
– Ehi… tu dipingi? O disegni, scrivi… produci arte, in ogni caso?
– Disegno.
– Si vede. Voglio dire, non so quanto tu sia brava, ma ci metti dentro l’anima. L’ho capito da quello che hai detto poco fa. A meno che non fosse una posa…
Avvampai.
– N-no, no! Le pensavo… le penso… davvero! Senza le mie matite, non andrei da nessuna parte! – Esclamai, e lui si mise a ridere. Solo allora capii quanto poteva sembrare stupida la mia risposta.
Che diamine, non diventavo mai così scema, in presenza di un bel ragazzo! Cosa mi stava prendendo?
– Sai… era da parecchio che non incontravo uno studente così attaccato all’arte. Che ci credesse sul serio, intendo.
Crederci? Era la mia vita, come potevo non crederci?
– Io ci credo pure troppo…
Ridemmo entrambi. Poi mi guardò.
Tutti i rumori che ci avevano circondato, il vociare nei corridoi, le macchine che passavano in strada, gli uccelli che cinguettavano occasionalmente nelle chiome degli alberi in cortile… sparirono.
Esistevano solo quel momento, e i suoi occhi. E il silenzio. Avvolgente silenzio, pieno di parole e speranze, che ci si avviluppavano addosso, trasparenti, per poi scivolare via in un soffio di vento. Mi sorrise. Dimenticai come mi chiamassi.
– Credo che sia meglio che tu vada, ora. Non vorrei che ti mettessero una nota perché ti sei presentata tardi in classe…
Sì, certo. Come se mi ricordassi che fossi in una scuola, che avessi delle lezioni da seguire, e orari da rispettare. Annuii, e lo guardai un’ultima volta, poi mi voltai. Ero a due passi dall’uscio, e mezzo allo svenimento.
– Collins?
– Sì?
Fece per dire qualcosa, poi scosse la testa.
– …Niente, niente. Ci vediamo.
Abbassai lo sguardo, e uscii. A cinque poco lontano dalla porta, Holly e i One Direction mi aspettavano.
 O meglio, era solo la ragazza ad attendermi sul serio, gli altri aspettavano che lei aspettasse… oh, al diavolo. Mi corse incontro, sorridendo.
Qualcosa, in quel sorriso, la faceva sembrare quasi una bambina. Pareva cancellare l’abbigliamento aggressivo, i piercing e i tatuaggi. Era quasi un’altra persona. La vera Holly.
– Allora? Che ti ha detto? – Chiese, tutta speranzosa, realmente interessata. Le sorrisi .
– Ha detto che era molto tempo che non incontrava uno studente realmente interessato all’arte, che le mie parole l’avevano colpito…
Ad un tratto, la ragazza mi passò un braccio attorno alle spalle, facendomi voltare, e allo stesso tempo trascinandomi lontano dall’uscio.
– Holl…
– Salve prof! – Salutò lei, e il docente ci superò, sorridendo. Raggiungemmo i One Direction.
– Ti ho salvato in corner… se ti avesse sentito, avresti potuto benissimo chiuderla lì. – Mi sussurrò. E io annuii, rendendomi conto dell’incidente di dimensioni immani che avevo per un pelo e trenta evitato di causare. Ci fermammo di fronte a quel concentrato di bellezza maschile, che ci restituiva l’occhiata interessato.
– Ok, credo che tu già li conosca, quindi è inutile che te li presenti, giusto? – Mi chiese la ragazza, indicando la boyband con un gesto circolare. Mi accolsero tutti molto caldamente, e io non potei fare a meno di rispondere con un sorriso. Vero, non la mezza smorfia che avevo tirato fuori con Louis prima, in classe.
– No, no… sono nel mio iPod da Agosto, direi che ci conosciamo bene… – risposi, e loro risero. C’incamminammo verso l’aula di chimica, che era al secondo piano.
– Sei una Directioner? – Domandò Harry, sfoderando il suo sorriso accalappia-femmine. Roteai gli occhi.
– Mi piacete, ma non a quei livelli, Harry…
– Cambierai idea… – rispose, scuotendo la testa per spostare i riccioli dagli occhi. Capii Holly. Quel ragazzo aveva un magnetismo particolare, tanto che anch’io, che avevo tutt’altri gusti, mi ritrovai a pensare che fosse piuttosto attraente.
 Forse era nei suoi modi di fare, parlare, porsi agli altri. Era nato per attirare gli sguardi, e lo sapeva bene. Inoltre, mi parve anche piuttosto sveglio. Troppa roba sprecata per Amanda.
– Riccio, piantala di provarci con chiunque. Lei un ragazzo ce l’ha già. – Commentò Holly, salendo le scale. Sussultai. Come faceva a saperlo? Nessuno avrebbe dovuto, e lei se ne usciva in quel modo, davanti agli altri?! Mi fece l’occhiolino, complice.
– Il professor strafigo, ovvio! – Bisbigliò, e io mi rilassai. Riuscii perfino a ridere. Aveva solo scherzato, per mia fortuna. Che guaio sarebbe stato, se qualcuno avesse scoperto chi fosse stato lui...



Holls' Corner!:


Here I am, again!! Scusatemi per il ritardo di dimensioni immani, purtroppo la scuola è un flagello che affligge tutti... la cosa positiva è che sta per finire, finalmente!!!
Alllooora! Vi ringrazio infinitamente per tutti i complimenti e per aver letto la mia storia in generale!
Che dirvi? Stasera abbiamo avuto un nuovo Kate's PoV, dove si è scoperto un po' più su di lei... nei prossimi capitoli assisterete alla lotta fra gatte, ovvero Holly e Amanda! Ho notato che l'argomento v'intriga parecchio, hahahah!
Bene, non ho altro da aggiungere, se non rinnovarvi i ringraziamenti! Sia a chi ha recensito, a chi legge/segue/preferisce/ricorda!!
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate del nuovo capitolo, ci tengo!!! Mi scuso anche con chi ha recensito quello precedente, perché non ho ancora risposto... appena avrò due minuti liberi, avrete mie nuove!!! Scusatemi ancora!
Vi lascio con una gif di Kate! Alla prossima!!!


 

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Capitolo 9
*** 8. The Dirty Little Secret ***





8.
The Dirty Little Secret

 



«You say you're going up, I beg to differ,
I think you're going straight on down, down, down…
In a hail of gunfire.
»

There for TomorrowHunt Hunt Hunt
 
 


Holmes Chapel Comprehensive School, ora di pranzo.
Problemi… di posto.
Holly’s PoV.
 



Finalmente avevamo il pranzo, già non ce la facevo più. Ok, la prima ora era stata bella. La seconda perfino emozionante, quando il nerd aveva quasi dato fuoco ai capelli di Malik. Ma due ore di trigonometria mi mandavano il cervello a farsi fottere.
Avevo approfondito la conoscenza di Kate, e scoperto che avevamo parecchie cose in comune. Se all’inizio potevo aver pensato che fosse una dannatissima saputella figlia di papà, mi dovetti ricredere in fretta, perché non era assolutamente così. Anche Liam e Louis avevano familiarizzato parecchio con lei. E io ne fui contenta.
Riflettei che era la prima “amica” che mi facevo dopo quattro anni. Diavolo, mi mancavano tutte quelle stronzate tipo i commentini sui bei ragazzi, le coalizioni contro le fighette, il pararsi il didietro a vicenda per evitare figuracce. A proposito di coalizioni… anche Harry aveva legato con Barbie, e questa gli girava pericolosamente attorno, sculettando e ridendo come un’oca giuliva.
Kate li teneva d’occhio, e se reputava ci fosse qualcosa di cui mettermi a conoscenza, mi dava di gomito. Quella situazione non mi piaceva per niente, ed ero certa che ci fosse qualcosa sotto. Anche la moretta lo sospettava.
Dopo una colossale fila per del cibo discutibile, trovammo un tavolo libero al centro della mensa. I ragazzi si sedettero facendo il solito casino, e chiesi a Kate di unirsi a noi. Lei a sua volta si trascinò dietro una ragazza dell’altra sezione. Fortunatamente c’erano altri quattro posti liberi, così non ci sarebbero stati problemi. Ci accomodammo, e Kate ci presentò la sua amica.
– Lei è Taylor Swift, è nell’altra sezione, ci conosciamo da quando eravamo piccole… Taylor, loro sono Holly e… i One Direction. – La sua amica, una ragazza dal volto simpatico e grandi occhi azzurri, piuttosto minuta ma alta, con i capelli biondo miele ondulati e lunghi fino alle spalle e l’abbigliamento un po’ country ci salutò cordialmente, integrandosi nel gruppetto.
Ad un tratto, vedemmo Barbie, piuttosto spaesata, passare col suo vassoio accanto al nostro tavolo. Kate mi diede un colpetto col piede, che io restituii per dimostrarle che avessi capito. Harry si sporse dalla sua sedia.
– Amanda! Qui c’è un posto libero! Ti va di sederti con noi? – Le chiese.
– Harry, no! – Protestai, non riuscendo a reprimere la rabbia. Il riccio parve non avermi sentito, e Barbie arrivò accanto a noi, sporgendo il sedere con la sua camminata da passerella porno. Il riccio le sorrise, raggiante.
Gettai la forchetta sul vassoio, prendendo un grosso e vistoso respiro. Zayn, che era seduto accanto a me, mi strinse il ginocchio, sotto il tavolo, esprimendo solidarietà. Cercai la sua mano, intrecciando le dita alle mie, mentre dentro avvampavo di rabbia.
Contro Barbie, contro Harry perché la guardava come fosse una dea scesa in terra, e contro me stessa, perché volevo darla a bere a tutti che di Styles non me ne fregasse nulla. Quando invece bruciavo per qualsiasi stronzata.
Amanda scostò la sedia libera accanto a Taylor, e ci si accomodò, nel suo modo affettato.
– Grazie, Harry. Sai, Nadia non mi ha tenuto il posto… se non me l’avessi chiesto, non avrei proprio saputo dove sedermi.
– Per terra c’è spazio a sufficienza… – sbottai, a mezza voce. Zayn trattenne una risata, e anche Kate.
– Come, scusa? – Chiese Amanda, guardandomi minacciosa.
– Niente, Amanda. Mangia pure la tua insalatina ipocalorica, non fare caso a me. – Risposi, allontanando il vassoio con il cheeseburger e la mela intatti.
– Non mangi? – Chiese Harry, staccando finalmente i suoi occhi azzurri dalla bambola di plastica. Scossi la testa, tenendo lo sguardo fisso sul tavolo.
– Certo, non tutte possiamo permetterci  quel cheeseburger… senza preoccuparci del nostro girovita… – disse Barbie, e infilzò una foglia d’insalata, masticando con calma. Se sperava che me la prendessi per la battuta allusiva alla mia taglia 44, aveva capito proprio male.
– E non tutte possiamo permetterci una quarta naturale, senza bisogno del chirurgo plastico… – risposi, accarezzandomi la scollatura, per sistemarmi il colletto della camicia.
Scoppiarono tutti a ridere, tranne Harry. Zayn mi strinse la mano, che avevo intrecciato alla sua sotto il tavolo. Amanda posò la forchetta sul vassoio.
– Holly, hai qualche problema con me, forse? – Chiese, fissandomi. Le sbattei in faccia il mio sorriso più amabile.
– Io, Amanda? Come potrei. Ti conosco solo da quattro ore e già vorrei essere proprio come te, di fredda e lucida plastica.
– Holly, ora basta. – Disse Harry. Aveva un’espressione piuttosto seria, che non accettava repliche. Non mi aveva mai guardata così. Non mi aveva mai risposto in quel modo.
Lo inchiodai con lo sguardo, ma lui non batté ciglio. Perché prendeva le sue difese? Non lo capiva che lei mirava ad una cosa sola? Non si accorgeva di come mi sentissi io, ogni volta che la guardava? Che fine aveva fatto l’Harry Styles dei primi giorni?
Quasi quasi rimpiangevo i momenti in cui cercava di baciarmi a tutti i costi. Era divertente, allora. In quel momento faceva male e basta.
– Amanda, Holly stava solo scherzando. Vero?
No, era troppo da sopportare.
Lasciai la mano di Zayn e scostai di scatto la sedia dal tavolo, alzandomi. Imboccai l’uscita della mensa, facendo lo slalom fra i tavolini, non curandomi delle voci dei ragazzi che mi chiamavano. Perché fra tutte, non c’era quella di Harry.
Una volta fuori, mi appoggiai alla parete di armadietti, e mi lasciai scivolare giù, fino a terra. Avevo la testa pesante, e la sensazione di vivere fuori dal mio corpo. Il pavimento era così freddo, e io incredibilmente calda.
Vidi Kate uscire di botto dalla porta, e corrermi incontro.
– Holly. – Disse, accovacciandosi accanto a me. Dovevo sembrarle un manichino afflosciato a terra, con l’espressione assente, le braccia e le gambe senza vita.
– Vieni, andiamo in bagno. Così potremo parlare.
Mi tirò un braccio, ma non mi mossi.
– Forza! Cos’è questo mortorio?! Stai facendo il suo gioco, Holly! Vuoi darla vinta a quella strega?! – Mi urlò in faccia. Mi risvegliai dal torpore nebuloso. Fu come una secchiata d’acqua gelata in pieno volto. Mi riscossi, alzandomi.
Kate mi prese per mano, e mi trascinò in bagno. Ma era ancora come se mi muovessi all’interno di un sogno, come se quel corpo non fosse stato il mio.
 
 

***

 
 
– Sei proprio certa di volerle dichiarare guerra, allora?
– Dichiararle guerra? Io la schiaccio!
Urlai, lavandomi le mani, per poi asciugarle con il fazzoletto che Kate mi porgeva.
– Così ti voglio! Deve capire chi è che comanda! Ripeti insieme a me: IO comando!
La fissai, con un’aria da “non-speri-davvero-che-ripeta-insieme-a-te”.
– Ok, sì, magari ho un po’ esagerato…
Annuii, e gettai il fazzoletto nel secchio, con rabbia. Quella Amanda mi aveva già fatto girare tre quarti delle palle che non avevo, e nessuno aveva mai osato tanto con me, dopo avermi conosciuto.
Kate ridacchiò, occhieggiandosi allo specchio, e sistemandosi i capelli. Poi mi guardò.
– Ho capito che tieni a Styles. Lo vedo da come lo guardi. Se davvero il problema fosse stato solo Amanda, l’avresti mandata a farsi benedire, ma saresti rimasta lì con loro.
Cazzo. Era così semplice leggermi dentro? Mi voltai a guardare Kate. Aveva indovinato così poco di me, e in maniera così giusta. Ormai era inutile fingere anche con lei. Sospirai, sistemandomi la coda.
– Già. Quello stronzetto mi fa impazzire. E lo sa bene. In ogni caso, però, non capisco davvero cosa ci trovi in… Barbie! È stupida, ha le tette rifatte, ride come una gallina! – Me ne uscii, sentendomi più una bambina di dieci anni che un’adolescente diciassettenne con la testa sulle spalle. Sì, non proprio sulle spalle. Diciamo con del sale in zucca. Che ragionava. Ok, ‘fanculo.
– Ma ha un corpo da urlo, e sa come far girare la testa ad un ragazzo… – rispose Kate, fissando un punto dello specchio, con sguardo assente. Evidentemente quel ragazzo, forse, era stato il suo. Mi augurai di no. Sentimmo brandelli di conversazione, di fuori, insieme a passi che si avvicinavano e ad una grossa risata stridula. Ci guardammo, in panico.
– E’ lei, Amanda! – Esclamò Kate, sottovoce, guardando la porta chiusa dell’ingresso ai bagni femminili. Se ci avesse trovate lì, avremmo dato inizio ad una litigata coi controfiocchi. Ma non mi andava né di vederla, né di sentirla e né di picchiarla.
– Nascondiamoci in bagno! Muoviti! – Dissi, trascinandola per il braccio nel primo cubicolo libero, e chiudendo la porta con uno scatto secco.
Saltai sulla tazza, appoggiandomi alle pareti con la mani e abbassando la testa in modo che non sporgesse di fuori. Kate si accovacciò sullo spazio restante del water, attenta a non sporcarsi le ballerine rosa e la gonna chiara.
– Se entra in questo cazzo di cesso e ci vede, siamo fottute. – Sussurrai, attenta a non perdere l’equilibrio.
– Shhh! – Mi ammonì la ragazza, e sentimmo la porta d’ingresso aprirsi. Eravamo tutte e due attente a non muovere neanche un muscolo. Kate iniziò a respirare lentamente, e in maniera più silenziosa. Manco fossimo state le eroine di un film horror, e ci stessimo nascondendo dal serial killer.
Mi scappò da ridere, per l’assurdità della situazione, e mi morsi forte il labbro inferiore, fino a sentire il sapore metallico del sangue in bocca.
– Grazie, Nadia. Sei stata geniale ad occupare i posti, prima. – Disse Amanda. Seguì risatina idiota della sua altrettanto idiota amica.
– Allora, com’è andata?
– Non puoi capire. Appena ha visto che vagavo casualmente senza posto, mi ha chiesto di sedermi insieme a loro. È così ingenuo, non si è accorto di nulla…
Touché! Lo sapevo, io, che Barbie nascondeva qualcosa!
– Tempo un paio di settimane, ed Harry Styles sarà mio. Ci pensi? Giri giusti in posti giusti con le persone giuste! Finire sulle riviste, come “la ragazza di Harry Styles”. Prémieres, serate, eventi… e poi, vuoi mettere una nottata nel suo letto? Infondo, io mi sacrifico per il mondo.
Nadia rise. Sentimmo dei rumori, e poi parlarono con quel tono tipico di chi si stava mettendo il lucidalabbra o il rossetto.
– Quindi ti piace sul serio?
– Ovviamente no. Cioè, è sexy, sì, ma lo faccio solo per la notorietà. Non mi sono mai piaciuti i tipi con i riccioli. L’unico problema è la sua amica, quella strana. Holly.
– Perché?
– Non mi piace neanche un po’, e con la sua aria da ribelle crede di poter fare tutto quello che le pare. Ma non ha capito che questa scuola gira secondo ciò che dico io.
Mi mossi, in un attacco di rabbia, ma Kate mi tirò la parigina, pregandomi di stare buona. Brutta stronza! Il tempo di uscire da quel cubicolo, e le avrei spaccato la faccia!
– Dovresti solo dirle chi è che detta le regole, Am.
– Lo farò molto presto sta’ tranquilla. E quando le toglierò Styles, sarà il colpo di grazia.
Attimi di silenzio, nei quali sentimmo dei passi avvicinarsi al nostro cubicolo. Potevo osservarne le ombre sul pavimento.
Sempre più vicino, vedevo le punte delle Converse di Nadia. Oh, cazzo.
Kate iniziò a ritrarsi, spaventata. Sperai con tutta me stessa che, chiunque fosse di loro due, non entrasse. Che se ne andasse a ‘fanculo fuori da quel bagno.
La mano della ragazza si posò sulla maniglia della porta.
Eravamo fottute.
Chiusi gli occhi.
– Cosa fai, Nadia?! Lo sai che i bagni della scuola sono terribilmente sporchi. E poi mancano cinque minuti alla fine dell’intervallo per il pranzo. Harry mi aspetta.
Le Chuck Taylor di quell’atteggiata si allontanarono dal mio campo visivo, e le due oche giulive uscirono dai bagni.
Restammo ancora dei secondi nelle posizioni che avevamo assunto, incapaci di muoverci o parlare. Kate scese dalla tazza, aprendo la porta del cubicolo. Con un balzo, atterrai sul lercio pavimento. La ragazza mi lanciò un’occhiata comprensiva.
Mi aggiustai la giacca, mentre per la seconda volta nell’arco di un’ora, bruciavo di rabbia.
– Che puttana. No, io adesso vado lì e le spacco il naso! – Esclamai, ma Kate mi afferrò un braccio, trattenendomi con un’inaspettata forza, facendomi anche male. La fissai, sconvolta. Aveva uno sguardo così fermo da mettermi quasi ansia.
– Noi non avremmo neanche dovuto essere lì, non puoi semplicemente uscire e dirle “oh, Amanda, ero nascosta in bagno e ho sentito tutto!”. Ragiona, Holly! Non c’è niente che possiamo fare, per ora.
– Per ora?! Quella troia vuole solo scoparsi Harry perché è famoso, non gliene frega niente di lui! E chi cazzo si crede di essere?!
– Lo so! Lasciami il tempo di elaborare. Di… di pensare! – Disse, lasciandomi il braccio, e iniziando a camminare avanti e indietro, massaggiandosi le tempie.
Ero costernata. Pensavo che Barbie fosse una puttanella da due soldi, ma si trattava solo di un’impressione. E invece lo era per davvero! E Harry non aveva capito nulla. Anzi, continuava a darle corda, perché era piacente e piaceva.
Io, invece, venivo sgridata subito, perché mi difendevo da una battuta cattiva che avevo ricevuto. Poi, siccome la sgualdrinella mi considerava una minaccia, pensava anche di farmi un dispetto, togliendomi il ragazzo che mi piaceva, secondo lei.
Oh, poteva essere perfida quanto voleva, ma io riuscivo diventare due volte peggio di lei. Non conosceva “Sunshine”. Non sapeva quello di cui ero capace.
Per un attimo mi crogiolai nell’idea di come avrei potuto sistemarla, quando ero ai tempi del giro. Ma il piccolo raggio di sole era morto, e non volli riesumarlo. Tutta colpa di Harry!
Quella situazione mi mandava in bestia, perché da un lato me ne sarei altamente fregata, la vita era la sua e poteva fare quello che gli pareva.
Dall’altro, non potevo semplicemente lasciare che accadesse quello che Amanda aveva predetto, e che cioè si sarebbero messi insieme. Non l’avrei mai sopportato. Piuttosto avrei fatto un lungo bagno in una vasca d’acido di batterie e lamette. Oppure l’avrei spedita a calci in culo ovunque, lontano da lui e da me.
La campanella ci riscosse. Kate sobbalzò, e mi guardò.
– Ok, ho riflettuto. Per impedire che tutto questo accada, devi battere Amanda sul tempo. Ovvero, arriva ad Harry prima che lo faccia lei. Altrimenti addio Styles. Comprendi?
La fissai come se avesse parlato vulcaniano.
– Kate, cosa cazzo stai dicendo?! – Sbottai. Io, andare dietro a Styles? Avevo una dignità, porca puttana! Non mi sarei messa a litigare con Amanda perché ci piaceva lo stesso ragazzo, come le bambine di seconda media.
– Ehi, ho avuto solo un paio di minuti per pensarci! È il massimo che posso tirarti fuori, così su due piedi! – Tentò di giustificarsi, e in parte aveva anche ragione. Non era colpa sua se Harry era evidentemente scemo e Amanda una vecchia volpe travestita da gatta morta.
– Vabbè, usciamo da questo bagno. Poi ci penseremo meglio.


Holls' Corner!:

E finalmente eccoci arrivati alla "lotta fra gatte", hahahaha! Ma questo è niente in confronto a ciò che accadrà in seguito... ma meglio tacere, non voglio rovinarvi le sorprese!
Allora! Piaciuto il piccolo segreto di Amanda? Ve l'aspettavate? Beh, devo confessarvi che per fare il suo personaggio, ho dato fondo a tutta la mia perfidia... quindi spero che sia riuscito bene, hahahah! Presto scoprirete anche l'identità del fantomatico ragazzo di Kate, che chissà chi sarà... si accettano scommesse!
Bene, la scuola sta quasi per finire, e alleluia! Ci resta solo l'ultima settimana, e poi... estate!!
Arrivo al momento dei ringraziamenti, per tutti coloro che hanno recensito la storia, e per chi l'ha inserita nelle seguite/ricordate/preferite, o chi la legge e basta!! Ok, stasera direi che vi ho annoiato anche troppo! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate di questo capitolo, ci terrei molto a conoscere le vostre opinioni! Vi lascio con una gif di Amanda/Holly/Harry, che ho creato io! Ultimamente mi ci sto divertendo parecchio, a farle, hahahah!
Bene, allora alla prossima! Un bacione!



 

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Capitolo 10
*** 9. The Edge ***



9.

The Edge





«Why is it everytime I think I've tried my hardest, 
It turns out it ain't enough…
You're still not mentioning love, 
What am I supposed to do to make you want me properly? »

Adele – Best For Last
 
 
 

Holmes Chapel Comprehensive School, parcheggio.
Al colmo.
Holly’s PoV.

 
 
 

Credevo che l’Amanda Horror Picture Show fosse finito col suonare dell’ultima campanella.
Che fossi riuscita a levarmela dalle palle per le restanti sedici ore o poco più. Che il suo sedere al vento e la voce stridula appartenessero ormai al “prima, a scuola”. Ma non avevo fatto i conti con l’apoteosi della giornata.
 Salutai Kate, che sparì dietro Taylor, dicendo di aver lasciato la macchina in panne vicino a St. Luke, e i One Direction si divisero per rispettivi automezzi. Sarei corsa anche io verso la Range Rover Sport, anelando ai consueti dieci minuti di vento fra i capelli e piedi sul cruscotto, in barba alle prediche di Styles.
Solo che avevo perso di vista Harry, e anche la macchina. Nemmeno Zayn riusciva più a scorgerlo, accanto a me.
– Lo vedi, Malik? – Gli chiesi, alzandomi sulle punte per cercare i ricci distintivi di Harry in mezzo alla marmaglia nel parcheggio, ma niente. Zayn scosse la testa.
– Negativo, principessa, non lo trovo. – Sospirai, avanzando di qualche passo. Possibile che fosse già andato, senza di me?
Mi voltai verso il cancello d’uscita, e in quel momento, la colossale Range Rover si fermò proprio di fronte a me. Con la musica della radio sparata a palla, Harry abbassò il finestrino, sorridendomi. Risposi al sorriso, scuotendo leggermente la testa.
Solo allora notai che Amanda era seduta al mio posto, accanto a lui. E il mondo mi crollò addosso.
– Scusami, Holls, ma dobbiamo accompagnare anche Amanda a casa. Nadia non l’ha aspettata. Sali? – Mi chiamava “Holls” solo quando c’era qualche problema. Lo guardai, e il sorriso che avevo mi morì in faccia.
Stavo per rispondergli che Amanda avrebbe fatto bene a levare le chiappe dal posto di “Holls”, e anche in fretta, quando Zayn mi precedette.
– No, Harold, per oggi la riporto io, a casa. Ci vediamo più tardi, ok? – Disse, sorridendogli incerto.
In quel momento, adorai Malik alla follia. Mi aveva salvato la vita. Piuttosto me la sarei fatta tutta a piedi, che stare sui sedili di dietro, quando Barbie occupava la mia postazione col cruscotto. Harry non rispose, e mi guardò, vagamente sorpreso.
– Perché non me l’hai detto? – Chiese. Perché non lo sapevo nemmeno io. Perché pensavo che tu mi avresti riaccompagnata a casa.
– L’abbiamo deciso poco fa, non poteva saperlo. – Zayn si prese la colpa, cercando di minimizzare. Il riccio fece per rispondere, ma Amanda fu più veloce di lui.
– Va bene, allora, andate. Harry, tesoro, sono un po’ di fretta… scusami.
Tesoro? Tesoro?! Erano arrivati a quel punto di confidenza?! Neanche io lo chiamavo così, e praticamente ci vivevo assieme!
Avrei ammazzato quella puttana. Poco ma sicuro.
– Ne riparliamo a casa. – Disse Styles, e, ingranata la marcia, partì in direzione “villetta di Barbie”. Quando la sua macchina scomparve dalla mia visuale, diedi un calcio alla ghiaia.
– Dai, vieni. – Zayn mi prese per mano, accompagnandomi alla sua auto. Aprii lo sportello, entrai e lo richiusi con violenza, incrociando le braccia. Partimmo in silenzio, e solo al primo semaforo Malik osò rivolgermi la parola.
– Vuoi che parli con Harry?
– Di cosa? Non so quale sia la puttana, fra i due… se lui o lei. – Sputai, con rabbia. Il moretto sorrise.
– E’ sempre stato il più “estroverso” del gruppo, dovrai farci l’abitudine.
– Ma credevo… – mi scappò, e troncai a metà la frase, coprendomi la bocca con la mano.
Zayn sapeva, o meglio intuiva bene, che mi piacesse Styles. Ma non me l’aveva mai detto apertamente, né io avevo mai avuto la stupidità di scoprirmi. Fino a quel momento.
– Credevi di piacergli? Beh, anch’io. Ma poi Harry fa puntualmente la cosa sbagliata, e manda tutto all’aria. Onestamente, quella Amanda non mi dice proprio niente. Sembra… finta.
– E non è tutto. Vuole solo scoparselo perché è famoso. – Risposi. Tanto era inutile tenermelo dentro. E se non l’avessi detto, sarei implosa. Zayn non replicò, riflettendo.
– Capisco che tu sia arrabbiata, ma…
– No, Zayn, è la verità. Kate ed io l’abbiamo sentita in bagno, nella pausa pranzo. Ne parlava con Nadia, vantandosi di come la sua vita sarebbe cambiata diventando la ragazza di Styles.
Silenzio.
Svoltò per St. Luke’s Church e vedemmo Kate e Taylor armeggiare con una vecchia Ka rossa. Loro però non se ne accorsero, e il tutto durò qualche secondo.
Ponderai che parlarne direttamente con Harry sarebbe stato molto stupido. Oltretutto, avrebbe anche potuto pensare che me lo fossi inventato, per screditare Amanda. E Amanda stessa non aveva idea che io conoscessi il suo piccolo e schifosissimo segreto.
– Harry non deve saperlo. – Dissi, mantenendo lo sguardo fisso davanti a me. Zayn sospirò.
– Perché? – Chiese, parcheggiando di fronte casa e voltandosi a guardarmi. I suoi occhi esprimevano rabbia, tristezza e sconforto insieme.
Mi dispiacqui per lui. Oltre ai suoi, doveva sobbarcarsi anche i miei, di problemi.
– Perché è giusto così. Devo risolverla da sola, e poi… non ho paura di Amanda! Se bastasse una falsa bionda a fermarmi…! – Risposi, mascherando la sofferenza dietro l’umorismo. Zayn sorrise.
– Ci vediamo più tardi. Grazie per il passaggio. – Dissi, dandogli un bacio sulla guancia. Scesi dall’auto.
– Di niente, principessa. Se hai problemi, chiamami. Capito? – Mi voltai e annuii con la testa. Lo sentii ripartire, mentre cercavo le chiavi nello zaino. Prima di infilarle nella toppa, guardai il garage, dove in genere Harry teneva la Range Rover. Vuoto. Ovvio. Era ancora con la detestabile bionda.
Aprii ed entrai. Dusty mi accolse con un miagolio, e mi chinai per accarezzarle la testa. Anne e papà erano ancora a lavoro, e casa era libera. Lanciai lo zaino in un angolo e corsi di sopra. Niente era meglio di una doccia e un disco degli Oasis, per sbollire la rabbia.

 
 

***

 
 

Dopo essermi anche asciugata i capelli, e aver tolto “The Masterplan”, sostituendolo con “Morning Glory”, sentii bussare alla porta.
Ero seduta a terra a gambe incrociate vicino allo stereo, e non mi andava per niente di alzarmi. Urlai un “avanti!” sopra i vocalizzi di Noel Gallagher, e la porta si aprì. Harry era tornato.
– Ehi. – Mi salutò, richiudendola, e sedendosi sul letto. Stoppai di colpo il cd, e la stanza piombò nel silenzio.  Mi voltai verso di lui.
– Bentornato. – Dissi. Semplicemente. Al massimo della freddezza. Non se l’aspettava, e infatti il suo sguardo si fece più attento.
– …C’è qualcosa che non va? – Chiese, prendendo il cuscino e stringendolo, indeciso se stendersi o meno.
– Non lo so, Harry, dimmelo tu. Oh, scusa. Magari preferisci che ti chiami “tesoro”.
Roteò gli occhi, sospirando.
– Ah, ho capito. Il problema è Amanda.
– No, Harry, non c’è nessun problema. Solo, ricordami da quand’è che ti sei votato al culto della bionda rifatta senza cervello. Ora come ora mi sfugge.
Si alzò di scatto, lasciando il cuscino sul letto. Ce l’avevo a morte con lui, ma restavo comunque basita davanti alla sua figura.
Quelle spalle larghe, le sue mani affusolate. Mi balenò in testa la visione di Amanda fra le sue braccia, e la repulsione mi prese lo stomaco.
– E’ questo che pensi di lei?
– Sì. E tu?
– Beh, sbagli. Amanda un cervello ce l’ha. Non sei stata molto gentile con lei, oggi a mensa. E poi… aspetta. Sei… gelosa?! – Esclamò, fissandomi con quei suoi occhi azzurri.
Mi alzai anch’io, guadagnando in un secondo lo spazio che c’era fra me e lui, piantandomi a venti centimetri dal suo naso.
– Mettiamo in chiaro una cosa, Styles. Quello che fai, e la gente che frequenti sono affari tuoi. Puoi fare quello che cazzo ti pare con la tua vita. E no, non sono gelosa di Amanda.
Iniziò a sorridere. Mentre io mi arrabbiavo.
– No, no! Tu sei gelosa! Te lo leggo in faccia!
– Vaneggi, Harry. – Ero indemoniata, furiosa, ma NON gelosa.
– E allora perché sei arrabbiata? – Mi chiese, al colmo della soddisfazione, incrociando le braccia.
– Perché io… tu… e lei… oh, vaffanculo. Va bene così? – Risposi, voltandomi per non guardarlo. Quando si metteva a fare l’idiota impazzivo. Come se quella giornata non fosse stata abbastanza.
Mi posò una mano sulla spalla, premendo gentilmente per farmi girare. Ero ostinata a fissare il pavimento, ma lui mi alzò il mento con l’indice, piano. In quel momento, la distanza fra noi era minima.
– Vorrei proprio darti uno schiaffone, Harry. – Gli dissi, e lui si chinò verso di me.
– Invece credo che non lo farai. – E mi baciò.
Ricevetti una batosta su tutti e cinque i sensi. Vista, udito, olfatto, tatto, gusto. Erano tutti saturi di lui. Quel bacio partì leggero, in sordina, per poi diventare affamato e passionale, come se non stessimo aspettando altro entrambi.
Per la foga, ci spostammo inavvertitamente, e io finii con le spalle contro il muro, mentre le sue mani scendevano dal mio volto ai fianchi, e io passavo le dita fra i suoi riccioli. Stavo perdendo me stessa, e non desideravo altro.
Poi però mi ricordai di come aveva sorriso ad Amanda, di come l’aveva guardata. Della rabbia che avevo provato nei suoi confronti. E allora mi parve tutto un gigantesco ed elefantiaco sbaglio. 
Lo scostai di colpo, riprendendo fiato. Aveva un’espressione impagabile, come se gli avessero tolto l’ossigeno. In effetti, non gli avevo detto che avrebbe potuto baciarmi in quel modo. E io ero ancora arrabbiata con lui. Anzi, no. Proprio incazzata.
Reagii quasi in maniera inconscia, non vidi neanche la mia mano. Sentii solo lo schiocco e lo spostamento d’aria. Harry si portò lentamente le dita sulla guancia, fissando il pavimento, con la testa volta da un lato. Ero sconvolta, ma lui più di me.
– Perché…?! – Esclamò, spostando lo sguardo dal parquet a me. Già, bella domanda!
– Avrei dovuto farlo parecchio tempo fa. – Risposi, invece, ancorandomi al muro freddo con le mani, la cui durezza mi aiutò a non perdere il senso della realtà.
– Esci da questa stanza. – Dissi, conscia dell’avere un black out al cervello. Avevo bisogno di stare da sola per almeno dieci minuti. Harry sembrò contrariato.
– Non mi pareva che ti fosse dispiaciuto.
– Fuori di qui, riccio. Holly ha bisogno di un po’ di privacy. – Mi spostai, e andai ad aprire la porta. Lui mi fissò come se faticasse a comprendere quello che gli accadesse intorno, con la mano ancora poggiata sulla guancia.
– E poi, non ti avevo certo dato il permesso di baciarmi! – Dissi, riflettendo brevemente su quanto era successo attimi prima. Harry sembrò shockato.
– Ora devo anche chiedertelo?!
– Perché no? Non puoi fare come ti pare! Inoltre… come ci siamo dimenticati in fretta di Amanda!
Si avvicinò lentamente all’uscio della porta, pensieroso.
– Avevi appena detto di non essere gelosa…! – Esclamò, poggiando una mano sulla maniglia della porta, fissandomi dall’alto del suo metro e ottanta. O lo sbattevo fuori, o lo sbattevo a letto.
– Non costringermi a schiaffeggiarti anche l’altra metà della faccia, Styles. – Uscì dalla stanza, ma sembrava ancora non aver detto tutto. Feci per chiudere la porta, ma la bloccò con un piede. Sbuffai.
– A proposito! Come mai tutta questa confidenza con Zayn? – Chiese, indispettito. Oh, adesso si erano ribaltati i ruoli!
– L’abbiamo sempre avuta, Harry, devi essere orbo per non accorgertene.
– Intendevo che adesso tornate anche a casa insieme.
– Per forza, dai passaggi alle bionde senza sale in zucca! Cos’è, ora il geloso sei tu? – Fece per rispondermi, ma si zittì.
– Togli il piede. – Lo fissai, alzando un sopracciglio. Perché si ostinava a non capire? Perché il genere maschile, a volte, era così ottuso? Spostò la scarpa, permettendomi finalmente di frapporre un muro fra me e lui.
– Non me la raccontate giusta.
– Facci causa, allora. – Commentai, sbattendogli la porta in faccia. Troppe emozioni in un colpo solo, non ero più abituata a tanto.
Tornai allo stereo, premetti “play”, e mi lasciai cadere sul letto a pancia in giù, sprofondando la faccia nelle coperte. Non sapevo se essere felice o triste.
Nell’indecisione, mi accontentai di ascoltare la musica e basta.




Holls' Corner!:

I'm back, man!!! Credevate che avessi lasciato questa storia al suo tragico destino per dedicarmi alle altre, eh?? E INVECE NO!
Non mi sono scordata di lei, né tantomeno di postare il seguito! Mi è solo mancato il tempo, che adesso, si spera, ci sarà in maggiori quantità!!
Allora! Innanzitutto, spero che il capitolo vi sia piaciuto, dopo secoli che non andavo avanti, spero almeno che per voi sia valsa la pena aspettare!! Cosa dirvi? Che persino io provo odio per Amanda, e che mi sono davvero superata nel rendere Harry stupido, qui dentro. Niente da fare, passo proprio da un eccesso all'altro, hahahahah!
Bene, vi do una notizia bomba: il prossimo capitolo avrà il POV di Zayn.
Booooooom. E spero che sia venuto bene, perché mettermi nei panni dell'affascinante arabo non è stato per nulla facile! E devo anche dirvi che non scoprirete l'identità del ragazzo di Kate, ma dovrete ancora aspettare un pochino! Intanto continuate a scommettere, mi diverte leggere dei vostri azzardi, hahahah!! Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono la storia, la recensiscono e l'hanno inserita fra i seguiti/ricordati/preferiti, grazie davvero!!
Ok, direi che sarebbe anche ora di lasciarvi in pace, e di eclissarmi con una bella gif di Holly. Poveraccia, quante gliene farò passare, in questa ff...!
Come sempre, mi farebbe davvero molto piacere conoscere le vostre opinioni e i vostri pensieri a riguardo del capitolo, ci tengo!!
Beh, un bacione, allora!! E in bocca al lupo a tutti coloro che avranno gli esami, in questi giorni!
Alla prossima!


 

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Capitolo 11
*** 10. The Apple ***




10.
The Apple



«His eyes go blind, blind.»
Trey Songz - Blind




Sullivan – Millward’s House, stanza di Harry.
Incomprensioni & zen.
Zayn’s PoV.

 
 

Adoravo Harry.
Sul serio, gli volevo un bene dell’anima. Era con lui che facevo le peggiori stupidaggini, di cui discutevo di ragazze, organizzavo gli scherzi migliori al resto della band e tante altre cose.
Ma certe volte, giuro, l’avrei preso a schiaffi. Perché non lo capivo. O meglio, rinunciavo a capirlo. Aveva tutto quello che voleva sotto il suo naso, come diceva una delle nostre famose canzoni. Ma non se ne accorgeva. E quel fatto mi mandava in bestia.
– Eravamo ad una distanza minima, lei era così arrabbiata, allora…
– Allora?! – Incalzò Louis, a gambe incrociate sul letto. Perché avevo il vago sospetto di sapere già la conclusione di quella frase? Incrociai le braccia, attendendo conferma.
– L’ho baciata. Semplice. – Decretò il riccio, con una punta d’orgoglio.
Alzai un sopracciglio. Lei l’aveva appena mandato a quel paese, e lui la baciava. Elementare, come fare “due più due”.
A quel punto, non capivo più neanche Holly. Mi ero accorto dalla prima settimana che fra lei ed Harry c’era… qualcosa. Impossibile spiegarlo, ma si avvertiva nell’aria. Ogni volta che si guardavano, o interagivano fra di loro, c’era… dell’elettricità, ecco.
Poi, lei aveva ammesso quel pomeriggio, in macchina, che le piacesse Styles. Parliamone.
Sicuramente ero un giudice troppo parziale e troppo di parte, perché Holly non mi era indifferente. Si spacciava per forte, grande, donna vissuta. Mascherava dietro quell’umorismo pungente molto più di quanto lasciasse intuire, eppure ero sicuro che fosse una persona fantastica.
Va bene, la conoscevo da poco, ma non mi ero mai sbagliato nell’indovinare i caratteri della gente. Lasciamo perdere che la trovassi bellissima.
Lasciamo andare il fatto che considerassi unico ogni suo pensiero e modo di fare, poiché ero sicuro che non esistesse nessun’altra come lei. Sì, ammettevo di avere un debole per lei. Ma purtroppo ero andato ad invischiarmi nella fitta rete dell’amicizia, e quella era una dannata sabbia mobile dalla quale nessuno mi avrebbe più tirato fuori.
Così, non mi restava che cercare di aiutarla ad essere felice con Harry. Il tipo sapeva di non essere indifferente ad Holly. Sapeva che avrebbero potuto costruire qualcosa di forte. E lui? Lui cazzeggiava come un’idiota!
Non aveva fatto altro che sbavare dietro quella gallina di Amanda Levinski per tutta la mattinata, non accorgendosi che ogni qualvolta si voltasse a guardare lei, Holly moriva dentro. Poi, però, pretendeva che la ragazza fosse a casa, carina, ad aspettare il suo ritorno allegra e tranquilla, tipo “Fido-con-il-padrone”. Assurdo.
Ed erano quei meccanismi mentali a mandarmi in tilt. Non riuscivo a trovarvi un senso logico, neanche a pagarlo.
– E lei? – Chiese Liam, che non riusciva a comprendere cosa funzionasse male in quella testa riccia, almeno quanto me. Harry fissò il pavimento, poi sorrise. Non seppi più cosa sperare.
– Ci è stata. Voglio dire, quel bacio era… wow. Non ci ho capito più niente, solo che ne volevo sempre di più, e anche lei. Poi, non so perché, si è staccata e mi ha tirato uno schiaffone, dicendo che non avevo il permesso di baciarla così, e allora mi ha sbattuto fuori. Pazzesco.
– L’ho sempre detto che quella ragazza ti avrebbe fregato, amico. È forte. – Sentenziò Louis, stendendosi con un sorriso. Liam scosse la testa, pensieroso, Niall trafficava con il cellulare.
 Io non ero mai stato più fiero di una ragazza. Nessuna, ripeto, nessuna, in tutta la storia dei One Direction, aveva avuto il coraggio di dare uno schiaffo ad Harry e di sbatterlo fuori da una stanza, per un semplice bacio. Anche lui lo sapeva, e non lo tollerava.
 Il signorino aveva un ego grosso quasi quanto il mio, soprattutto negli affari di cuore. E se una tipa gli diceva “picche”, allora era la fine. Perché doveva averla.
– Louis, non scherziamo! Fra un mese si ricrederà. – Disse, accendendo il pc. Ridacchiai.
– Oppure sarai tu a cedere, Harry? – Lo provocai. Attimi di silenzio, poi si voltò verso di me.
– Zayn, questa cosa non accadrà mai. A proposito... com’è che adesso l’accompagni anche a casa?
Inspirai profondamente. Era entrato in modalità orgoglioso-possessiva, poche storie. Mi preparai ad una discussione molto diplomatica e pacata, senza eccessi.
– Perché tu scarrozzi Amanda Levinski dove vuole! – Visto? Diplomatico e pacato.
– Che cosa?! Per averla portata a casa, dopo la scuola? Era sola, abita dall’altra parte di St. Luke! Avrebbe dovuto farsela a piedi? – Rispose, alzando la voce. Quando i decibel salivano, in una conversazione con Harry, voleva dire che avevi toccato un nervo scoperto.
Niall distolse l’attenzione dal cellulare, Liam seguiva in attento silenzio, Louis si era nuovamente messo a sedere.  Feci appello a tutto il mio autocontrollo. In fin dei conti, Harry non sapeva ciò di cui ero a conoscenza io. Agiva in buona fede. Forse.
– No. Però non ti sembra un po’… azzardata, come mossa?
– Ma quale mossa, Zayn? Le ho solo dato uno strappo, che c’è di male?
– Cosa provi per lei, Harry? Ora siamo solo noi, puoi dircelo. – Boom. Avevo lanciato la bomba. Mi preparai all’esplosione. Stette in silenzio per alcuni secondi, poi si passò la mano fra i riccioli.
– Lo chiedi per Holly, vero? – Affilò lo sguardo. Accidenti, ogni tanto si accorgeva di essere estremamente intelligente. Sempre nei momenti meno opportuni, però.
– Lo chiedo per te stesso. Non puoi alimentare due fiamme come quelle e sperare di non scottarti. – Mi fissarono tutti come se avessi detto chissà cosa.
Effettivamente, come avevo fatto a partorire una similitudine così… zen?
– Zayn si è trasformato nel Maestro Yoda! Illuminaci, grande saggio! – Esclamò Niall, ridendo. Sorrisi, e anche Harry, mentre Louis e Liam si spanciavano insieme al biondo.
– Posso essere sincero? Non lo so. Mettiamola  così: è come avere a confronto due mele. Una è in cima all’albero, ed è bellissima, grande, che ti mette voglia di addentarla anche solo guardandola. L’altra, invece, magari è un po’ meno “wow”, ma è più vicina, più alla tua portata in questo momento. Perché magari non ti va di arrampicarti, e stai morendo di fame… ecco. Holly è in cima, Amanda no. E io non sono sicuro di voler scalare l’albero. Almeno, non adesso.
Silenzio.
In parole povere, Harry aveva appena detto che andava dietro Holly, ma… per comodità, si lavorava Amanda. Mi diedi un sonoro ceffone sulla fronte, con la mia solita faccia da: “no, ditemi che non è vero”, di quando le parrucchiere in tour dicevano di aver finito il gel per capelli.
– Ok, ragazzi, ora iniziate a spaventarmi. Cominciate a parlare in maniera chiara, in un inglese accessibile anche a chi non ha voglia di faticare per interpretare i concetti? – Chiese Louis, guardando Harry come se fosse appena atterrato da un altro pianeta.
– Scusami, Lou, Zayn mi ha passato la sua filosofia mediorientale… – Disse, sorridendogli. Non potevo crederci.
– Ma a questo punto non sarebbe meglio scalare l’albero? Perché accontentarti di quella mediocre? – Chiesi, cercando disperatamente di smuovere la pigrizia di Harold. Preferire Amanda ad Holly… per un motivo così stupido, poi, no.
Proprio no.
Il riccio mi fissò, serio.
– E se poi cado? Se magari non ne sono all’altezza?
– Come fai ad esserne sicuro se ancora non sai di volerla, la mela?



Holls' Corner!:


Oddio, da quanto tempo non aggiornavo questa storia?? Fra l'altro, passerò presto a rispondervi, don't worry :D!!!
Bene! Eccoci al fantastico POV di Zayn, e beh... ve l'aspettavate una discussione simile? Lasciamo perdere lo zen, hahahahah! Non so perché, ma ho voluto renderlo filosofico, il nostro Malik! Botta d'ispirazione, hahahah!
Ok, stasera sarò breve... ci terrei innanzitutto a scusarmi per l'enooooooorme ritardo, ma non mi sono proprio accorta del fatto che non avessi aggiornato questa ff da così tanto! Poi, vorrei ringraziare come sempre quelle anime pie dei miei magnifici lettori, che ricordano/seguono/preferiscono la storia, o che la leggono e basta/recensiscono! Grazie davvero!
Vi lascio con un fotomontaggio di Harold e Zayn che ho trovato su We Heart It (e che quindi non ho fatto io), che mi è sembrato particolarmente... appropriato!!
Ricordo che ci tengo moltissimo a sapere le vostre opinioni e a conoscere i vostri pareri sulla storia!!
Basta, non vi tedio oltre...! Alla prossima, sperando con un po' più di velocità!!!
Baci!


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Capitolo 12
*** 11. The Unrevealed Identity ***








11.
The Unrevealed Identity




 

«Walked the streets all night
Until you came around…
Knew that you would come,
Before you ever even made a sound»


Carly Rae Jepsen - Curiosity





 

Collins’ House, cucina.
Preparando la cena.
Kate’s PoV

 

Fortuna che esistessero ancora persone come Taylor. E che i suoi fratelli le avessero inculcato più nozioni meccaniche di un libro.
Dopo scuola, avevamo raggiunto la mia povera piccola Maddie di fronte St. Luke’s Church, in sella al motorino di Taylor. A seguito di una rapida prova, per vedere se fosse ancora fra noi, la ragazza aveva decretato che Maddie non aveva più neanche una goccia di benzina nel serbatoio. E che avremmo dovuto spingerla fino al distributore. Che gran faticata. Avevamo dovuto proseguire a passo d’uomo per buoni dieci metri prima di trovare un benzinaio aperto, ma poi fortunatamente Maddie aveva ripreso vita.
E in quel momento, mi trovavo in cucina, ad affettare le cipolle per il soffritto. Erano quasi le otto di sera, e mi stupivo di come lui ancora non fosse arrivato. In genere era spesso puntuale, se non in anticipo.
I miei erano fuori casa per un viaggio di lavoro, sarebbero tornati solo fra una settimana. Erano a conoscenza del fatto che lui sarebbe tornato a casa, e che si sarebbe trattenuto un po’, quindi erano tranquilli. Già, dire che fossero a conoscenza della nostra relazione era un eufemismo.
Ormai eravamo fidanzati in casa da ben due anni, non c’era nulla di cui stupirsi a lasciarci da soli. Poi, non avevano neanche da temere che facessimo passi azzardati, avevamo entrambi preso l’impegno di arrivare puri all’altare, e lui portava una prova tangibile di tale “voto”. Un anello. Il famoso “Purity Ring”. Quindi, niente festini sotto le lenzuola, niente problemi e niente drammi.
– Ahi! – Esclamai, lasciando il coltello sul tagliere. Distratta a pensare, non mi ero accorta che la cipolla era ormai tutta affettata, e così avevo affondato il coltello nel mio dito. Fortunatamente, non era una ferita troppo profonda, ma avevo macchiato col sangue il piano da lavoro. Corsi a sciacquarmi il polpastrello tagliato, e presi un cerotto. Mai riflettere su altro, quando brandivi una mannaia. Avrei dovuto ricordarmelo.
Sciacquai il tagliere, che sembrava uscito dal set di “Venerdì 13”, e buttai le cipolle in pentola, a fuoco medio. Sospirai.
Mi sentivo tanto “massaia”, in quel momento, anche se adoravo cucinare e mi riusciva molto bene. Mentre aspettavo che il soffritto fosse pronto, riflettei su quanto era successo in giornata.
Avevo conosciuto una matta scatenata, Holly, innamorata persa di Harry Styles, uno dei cinque cantanti dei  One Direction, la famosa boyband. Ed ero arrivata perfino a cospirare con lei, contro Amanda Levinski, che voleva portarsi a letto Styles per fama.
Che situazione, sembrava la bozza di una qualche telenovela spagnola di ultima categoria. Poi, c’era lui, Eric Szmanda, il nuovo docente di arte, che mi aveva sconvolto l’esistenza. Al solo pensarlo, il mio cuore accelerò i battiti. M’imposi di calmarmi.
Rammentai che avevamo ben dieci anni di differenza. Che lui era un docente ed io una sua studentessa. Che fosse tutto estremamente sbagliato e contro natura. Un po’ era anche colpa di Holly, che mi ci faceva pensare… tuttavia, in cuor mio sapevo che non sarebbe mai potuto essere, e che l’ammirazione che nutrivo per lui era la stessa che provavo per Leonardo Di Caprio e Johnny Depp, i miei attori preferiti.
Che dire, poi, di Liam Payne? L’altro membro dei One Direction, quello con l’aria tenera, per il cui sorriso dolce ti scioglievi.
Lui aveva solo un anno più di me. E aveva voluto il mio numero di cellulare. Oltretutto, ci eravamo anche conosciuti un po’ meglio, durante la giornata. Non era per niente male, anche come persona. Gli piacevano da morire i classici Disney, e io non ero riuscita a trattenermi dall’esclamare un: “davvero?! Anch’io!” entusiastico stile bambina delle medie, e di cui mi ero all’istante vergognata, ma che lui pareva aver apprezzato. Ascoltavamo la stessa musica, leggevamo gli stessi libri.
In sostanza, avevamo parecchie cose in comune. Non seppi se esserne contenta o avermene a male. Troppi ragazzi, troppe situazioni. Mi sentivo terribilmente in colpa nei suoiconfronti. Era via da due mesi, e io non facevo altro che pensare a lui, in ogni momento delle mie giornate.
Ma erano bastate poche ore a farmelo dimenticare? Erano bastati gli occhi di Liam, e i suoi modi gentili? Non lo sapevo.
O forse non volevo saperlo.
Tolsi il polpettone dal forno, per evitare che si bruciasse, e misi su il sugo, controllando allo stesso tempo a che punto fosse l’acqua per la pasta. Fu allora che suonarono alla porta.
Trasalii, e mi levai in fretta e furia il grembiule, appallottolandolo e lanciandolo dietro la sedia. Corsi all’ingresso, dove c’era lo specchio, per vedere in quali condizioni fossi. Neanche troppo brutte.
Inspirai profondamente, e aprii la porta.
In un attimo, le mie preoccupazioni su Eric e Liam scomparvero. Non ero assolutamente nell’umore di disperarmi, perché mi sentivo felice come non accadeva da due mesi. Era proprio lui. In carne e ossa, davanti a me. Non era in un video musicale. Non era in una rivista. Non era ad un talk show.
Si era appoggiato allo stipite, e reggeva un enorme mazzo di rose rosse. I suoi bellissimi occhi nocciola, con quella nota malinconica, sorridevano insieme alle sue labbra, che raramente si aprivano in maniera sincera. Aveva i capelli un po’ cresciuti, qualche ricciolo ribelle iniziava a calargli sulla fronte.
Sembrava ancora più bello, nella sua giacca di pelle aperta, la camicia sbottonata fino alla terza asola, i jeans casual e le scarpe eleganti. La sua dog tag riluceva riflettendo la luce del sole ormai calante.
Non ero mai stata così felice di aver conosciuto i Jonas, quella sera di tre anni fa al ristorante di zio John. Non mi ero mai sentita così fortunata di poter essere la ragione del suo sorriso vero, quello aperto e sincero, che non concedeva mai ai paparazzi o agli show. E non ero mai arrivata a capire come uno come lui riuscisse a stare con una come me.
– Bentornato. – Riuscii solo a dire, prendendo il mazzo di rose, e lasciando che le sue mani mi circondassero gentilmente il volto, baciandomi con la sua solita tenerezza.
Il mio Nick era tornato a casa.

 

 
***

 
 

– Allora, che mi sono perso in questi due mesi? – Chiese, giocherellando coi miei capelli, mentre alla televisione una donna blaterava dei problemi di crisi dei supermercati londinesi. Eravamo abbracciati sul divano, dopo aver finito la cena. Sospirai, mentre sentivo il battito del suo cuore da sopra la camicia, avendo la testa posata sul suo petto.
– Vuoi la versione breve? – Domandai di rimando, tracciando dei cerchi invisibili accanto all’abbottonatura della blusa. Rise. Che bella risata, la sua. Ero in astinenza da essa, dopo sessanta e più giorni di silenzio.
– Come preferisci. Ho tutto il tempo del mondo, stasera. – Mi baciò la fronte. Sorrisi, anche se non poteva vedermi.
– Negli ultimi due mesi non è successo niente di importante… come sai, mamma e papà sono in Russia per la convention sulla kalatch moscovita, non torneranno prima di una settimana. Ho fatto due dipinti, di cui uno è l’ennesimo tuo ritratto…
– Davvero? Non vedo l’ora di vederlo. L’ultimo mi è piaciuto tanto…
– Smettila di prendere in giro! – Gli diedi un pizzicotto affettuoso, mentre rideva di gusto.
Grazie che non gli era piaciuto, il gatto dei vicini aveva rovesciato sulla tela un intero bicchiere di tempera blu, rovinandolo. Sembrava un incrocio fra un Rubens e un Pollock, fatto dal primo madonnaro delle strade romane.
Quando l’aveva visto, aveva passato un quarto d’ora buono a ridere, mentre io mi disperavo, in un angolino, inveendo contro quel malefico felino.
– Ma non è stata colpa tua, prenditela con… Principessa! – Esclamò, ricordandosi il nome della micia dei Robsten. Maledetta gatta nemica dell’arte.
– Principessa dei miei stivali… – commentai sistemandomi meglio accanto a lui.
– Non hai cominciato la scuola, oggi? – Chiese, rammentando l’evento. Mugugnai un “sì” piuttosto funereo. Raccontargli di Eric e Liam era l’ultima delle cose che avessi in mente di fare. Mi feci forza, cercando di concentrarmi meglio su Holly e Maddie… e meno sul resto.
– Sì. Ho conosciuto una ragazza nuova, Holly Sullivan. E… oggi a scuola sono arrivati i One Direction.
– La boyband?
– Sì.
– E perché?! – Quando gli spiegai il motivo, che Liam a sua volta aveva confidato a me, rimase incredulo.
– …Dare il corretto esempio ai fans?
– Già. Però è una buona idea, dai…
– Non mi piace. – Mi strinse a sé.
Sospirai. Non era troppo geloso. Il giusto. Solo che ci vedevamo poco, e quindi la paura che mi stringeva il petto la notte, dilaniava anche il suo.
Paura di perdere l’altro, dato che “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” non era solo una frase abusata dai sentimentalisti. Per noi era spaventosamente reale, dato che lui era sempre circondato da ragazze affascinanti e molto più grandi di me.
Avevo imparato a dominare i miei impulsi, cominciando a fidarmi di lui. D’altronde, Nick si preoccupava raramente, conoscendo che tipo di esponenti del sesso maschile ci fossero, ad Holmes Chapel. Ma non aveva messo in conto Liam Payne.
– Il fatto che siano dei bei ragazzi non mi tranquillizza per niente. Li hai già conosciuti?
Presi tempo, poi risposi. Avrei fatto meglio a tacere.
– Non proprio.
Questa sì che è una buona notizia! – Esclamò, ridacchiando. Gli feci il verso, e lui mi baciò la fronte, di nuovo.
Non proprio”.
Da quando raccontavo bugie a Nick? In tre anni di relazione non era mai accaduto.  E quando lui mi aveva chiesto se l’avessi già conosciuti, il sorriso dolce di Liam mi era apparso davanti, come se l’avessi avuto di fronte a me.
 Capii che non avrei mai potuto dirgli la verità, si sarebbe arrabbiato. Non mi andava di farlo innervosire proprio il primo giorno che ci vedevamo, dopo due mesi di sms e telefonate rubate a tarda notte.
Non mi sentivo pronta a metterlo in discussione. Soprattutto, non volevo.
Chiusi gli occhi, e lasciai che il suo respiro calmo e lento parlasse per noi.




Holls' Corner!:

Come promesso, sono tornata!!! E con il botto, hahahah! Ve l'aspettavate che il ragazzo di Kate fosse... Nick Jonas??
Alcune di voi ci avevano scommesso sopra, ma ho lavorato parecchio per riuscire a depistarvi...!! In ogni caso, la ragazza è leggermente confusa! Ora ci si mette anche Liam, eh già!! Chissà cosa accadrà, a questo punto!
Devo dirvi che la parte "piatta" è finita. Dal prossimo capitolo, ci saranno novità a non finire, specie sulla coppia HarryxHolly! Tenetevi forte, perché vi sconvolgerò!! Dunque, prima di tutto vorrei scusarmi infinitamente per i ritardi... questa long va a rilento e nemmeno io so perché! Immagino sia colpa del caldo estivo... comunque! Ho deciso che risponderò qui alle recensioni, perché faccio prima e posso assicurarvi che non v'ignoro!!
Innanzitutto vi ringrazio una per una, per tutto il sostegno che mi date!!! E state tranquille... non abbandonerò questa storia! Lo devo ad Holly (sì, sembra una mezza follia detta così, ma credetemi... glielo devo proprio!!).
Bene! Credo sia giunta l'ora di lasciarvi!! Ringrazio come sempre chi inserisce la storia fra le seguite/ricordate/preferite/legge e basta, e al solito vi ricordo che apprezzo molto le vostre opinioni, ci tengo a sapere i vostri pareri!!! Alla prossima, sperando con un po' meno attesa per tutti!!!
Un bacione!

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Capitolo 13
*** 12. The Song ***






12.
The Song



 
 
«You took what you wanted,
You got it,
You know when I'm haunted
By everything that you gave me...
You made me, you broke me, you saved me,
You're crazy, but I'm not done...»

 
All Time Low – Holly
 



Holmes Chapel Comprehensive School, corridoi
Fissando dei manifesti.
Holly’s PoV.




Settembre era volato come se niente fosse, e ormai eravamo arrivati ad Ottobre inoltrato.
Con Harry andavo a momenti. A volte sembrava tutto perfetto, come se anche lui si stesse accorgendo di quello che ci fosse fra noi.
Altre, invece, ai suoi occhi diventavo invisibile. E questo accadeva spesso quando Amanda era presente. Lei, da quella gran puttana che era, lo stava attirando sempre più nella sua rete, cominciando dal posto fisso in mensa ai frequenti passaggi a casa.
Taylor e Kate mi riferivano anche che partecipavano ad alcune feste insieme, e che spesso finivano a baciarsi su una poltroncina in disparte. Ma non erano mai arrivati a fondo. Ovviamente mi faceva molto male. Tuttavia, non potevo certo avanzare pretese su di lui. Non eravamo fidanzati, non mi apparteneva. Per quanto potessi desiderarlo, non era così.
 Zayn non sapeva più come prendere me e lui, anzi, con Harry parlava molto meno. Malik aveva ricoperto, nella mia vita, il ruolo più importante. Il mio migliore amico.
Era lui a farmi ridere quando volevo solo piangere, lui a portarmi in giro per il paese o fino a Londra per distrarmi, era sulle sue spalle che mi addormentavo, a casa, quando Anne e papà erano fuori, ed Harry a spassarsela con Amanda. Senza Zayn, la mia vita non sarebbe stata così sopportabile, per quanto dolorosa. Anche Kate era sempre presente, spesso si fermava a dormire da me, oppure andavamo a fare shopping insieme.
Insomma, avevo iniziato a frequentare degli amici. Veri amici, non dei parassiti sfruttatori. E ne ero molto riconoscente.
Quella mattina, in particolare, Harry era in uno dei suoi momenti buoni. Eravamo entrati a scuola mano nella mano, e Amanda per poco non si faceva venire una crisi. Ma sapeva mascherare il tutto molto bene. In quel momento ci trovavamo nei corridoi, alla prima ricreazione. Harry era ancora vicino a noi, e chiacchieravamo a proposito dei Kings Of Leon. Ci spostavamo a gruppo, ma ormai la scolaresca ci aveva fatto l’abitudine. Più o meno.
Liam era sempre con Kate, e ormai i progetti con il professor-strafigo erano stati accantonati. Osservai un ragazzo attaccare un manifesto alla bacheca, e diedi di gomito ad Harry. Raggiungemmo la vetrinetta, e staccai il foglio.
– Audizioni? – Chiese il ricciolo. In effetti, sul volantino c’era scritto che la band “The Twisted” cercava una voce femminile, e che le audizioni si tenevano in teatro, alle quattro di pomeriggio, il 16 ottobre. Ne avevamo già 10.
– Vuoi provarci? – Mi domandò Zayn, sporgendosi da sopra la mia spalla per sbirciare il foglio.
– Sai cantare? – Harry sorrideva. Compresi che non era una presa in giro, ma una domanda sincera. Annuii.
– Non solo. Riesco anche a suonare la chitarra.
Il riccio fischiò, mentre Zayn simulò un applauso. Risi di gusto. Ci raggiunsero anche Kate e Liam. Louis e Niall armeggiavano ancora con gli armadietti, e non avevano seguito la vicenda.
– Da’ qua! – Esclamò Kate, sfilandomi il foglio dalle mani. Lesse con attenzione, condividendo il volantino con Liam, e poi me lo rese.
– Ah, i Twisted. Sono la band della scuola, fanno roba indie. Hayley, la cantante, li ha piantati in asso la scorsa settimana. Stanno tutti in classe di Taylor, hanno la nostra stessa età. Volevi proporti, Holly?
Annuii.
Indie? Fantastico! A dirla tutta, sentivo molto la mancanza del canto e di Noel, la mia chitarra. Erano estremamente liberatori, le uniche cose che mi riuscivano davvero bene, a parte rovinare la mia vita. Avevo sempre sognato di essere in una band, e quella sembrava l’occasione giusta.
– Perché no? Al limite, se dovessi fare così schifo, mi diranno “la prossima!” e tanti saluti. Giusto?
– Conoscendoti, non ti arrenderesti mai così facilmente… – commentò Zayn. Gli diedi una gomitata, ridendo.
Guardai Harry. Non sembrava contrariato, e ne fui sollevata. Da quando in qua m’importava della sua opinione? Da un mese a quella parte, dovetti ammettere a me stessa. Era buffo di quante cose mi ero dovuta rendere conto negli ultimi tempi. Soprattutto di quello che io e il riccio condividevamo.
Prestavo molta più attenzione ai miei vestiti, al trucco e ai capelli, ormai mantenevo solo il percing alla lingua. Avevo cominciato a creare playlist per Harry da ascoltare in macchina, e anche lui per me. Ci scambiavamo i cd, a volte guardavamo gli stessi film.
Non ci eravamo più baciati da quel famoso pomeriggio, e, seppur a malincuore, quello mi mancava. Spesso finivamo in situazioni equivoche, ma quando uno provava ad andare più a fondo, l’altro lasciava perdere. Come se avessimo entrambi paura di affrontare le cose in maniera seria.
Ma lui, dopo ciò, sembrava star bene. Io, però, mi logoravo dentro. E il povero Zayn doveva sopportare i miei sfoghi, e anche se non potevo esserne certa, forse pure quelli di Harry. Parzialmente, però, perché il riccio aveva molta più confidenza con Louis.
Piegai il volantino in quattro e l’infilai nello zaino. Suonò la campanella, e c’incamminammo verso l’aula di matematica. Che pugno nello stomaco, una materia come quella subito dopo ricreazione.
– Non sapevo che cantassi… – mi disse, passandomi un braccio attorno alla vita. Mi strinsi a lui.
– Davvero? È uno dei miei pochissimi lati buoni.
Non parlò per qualche istante, ma sembrò riflettere. Poi si fermò, guardandomi negli occhi.
Non capii tale mossa, e gli lanciai un’occhiata interrogativa, mentre il resto degli studenti attorno a noi camminavano svogliatamente verso le aule, assordandosi a vicenda con le loro chiacchiere. Tutto scorreva, eppure noi eravamo immobili.
– Holly, forse non te ne accorgi, ma tu hai parecchi  lati buoni. – Quella frase, la serietà con cui l’ebbe pronunciata.
Sentii il cuore fare un triplo carpiato. Compresi che quando lo scrivevano nei libri, non era solo una licenza poetica.
Fissai il pavimento, non riuscendo a reggere il suo sguardo.
– Non è vero. Li spaccio per buoni, ma in realtà non c’è niente di salvabile, in... – le sue braccia mi circondarono, stringendomi gentilmente in un abbraccio. Non ero neanche riuscita a finire la frase.
 Rimasi immobile per un secondo, ancora sorpresa.
Mi aveva abbracciata.
Lì, in mezzo a tutti.
Era una cosa che non faceva quasi mai.
Ricevevo montagne di abbracci da Zayn, Niall, Louis, Liam, Kate, papà, persino da Anne. Ma lui praticamente zero. Forse la reputava un’azione importante, oppure non ero abbastanza degna delle sue braccia. In quel momento, invece, le sentivo cingermi e proteggermi. Meglio, mi sentivo a casa.
Chiusi gli occhi, affondando la testa nel suo maglioncino leggero e stringendolo a mia volta. Avvertivo il suo profumo, buono e virile allo stesso tempo.
 Il mondo intero sparì fra le sue braccia. Mi augurai che quello non fosse un sogno. Lo sentii abbassare leggermente la testa, i suoi riccioli mi solleticarono le guance.
– Holly Sullivan, non azzardarti mai più a dire che in te non c’è niente di buono, finché  anche una sola persona crederà il contrario. Me lo prometti? – Mi sussurrò all’orecchio. Scostai il volto dal suo petto per poterlo guardare negli occhi.
Era dannatamente bello e serio. Impossibile rispondergli con un diniego. Anche se non lo pensassi, se comunque credessi di essere un mostro in terra, avrei dovuto dare ascolto a lui.
– Te lo prometto, Harry.
Sorrise. Non avevo visto quasi mai quella dolcezza sul suo volto. In genere era sfacciato, strafottente, provocante. Raramente serio o dolce.
Mi diede un bacio sulla guancia e sciolse l’abbraccio. Lo sentii perfino più intimo di quello del primo giorno di scuola, perché era come se avessimo condiviso un importante segreto. Intrecciò le sue dita alle mie.
– Adesso torniamo in classe, altrimenti ci metteranno una nota. E non mi va per niente di stare in punizione… – disse, e io risi, guardandolo.
Sperai che momenti come quello si ripetessero più spesso.

 
 

***

 
 

Quella sera, dopo cena, mi sentii particolarmente ispirata.
Corsi di sopra, senza curarmi delle occhiate stranite di papà ed Harry. Ero particolarmente smaniosa.
Aprii l’armadio, e ammirai per un momento Noel, la mia compagna di strimpellate, la mia adorata chitarra, che si chiamava come uno dei fratelli Gallagher, in suo onore.
Ancora chiusa nella sua custodia, sembrava produrre un suono proprio, che solo io potevo udire, e che diceva “aprimi, usami”.
La presi, e, posatala con cautela sul letto, aprii la grande borsa nera, trattenendo il respiro. Era come se stessi per essere messa a parte di un grande segreto, di cui però fossi già a conoscenza.
Eccola, ancora lì, la mia vecchia Ibanez. Era sempre un po’ consumata sui bordi. Con un pennello, appena me l’ebbero regalata,  disegnai una peonia nera stilizzata, sul corpo. L’anno scorso, ci avevo aggiunto accanto la scritta “Let Me Go, Rock’n’Roll”. In ricordo di notti passate ad ascoltare Beatles e Dire Straits, di odore di birre appena stappate, di teli da mare stesi su prati erbosi, di stelle cadenti nel cielo più scuro dell’inchiostro.
Profumo di estati bruciate sulle terrazze, luminose e brevi come la fiammata di un accendino che brucia l’estremità di una sigaretta. Risate, respiri, parole forse troppo grandi per la nostra età. Rari momenti di normalità all’interno della follia.
Fissai quelle lettere scribacchiate con cura. Anch’esse ancora lì.
Afferrai un foglio e una penna, e mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento, per accordarla. Ci impiegai un bel po’, ma quando cominciai a suonarla, mi sentii rinascere.
Come una fenice dalle sue ceneri, tornavo alla vita dalle note di Noel, ogni pizzico sulle corde era una boccata di ossigeno puro. Leniva l’anima, lavava via accordo dopo accordo tre anni di buio, illuminandoli. Tre anni di silenzio, urlando piano. Non la usavo da prima dei tempi del giro. Mi mancava da morire.
Intonai un motivo orecchiabile. Riflettei per un poco, cambiando toni, modificandoli.
Poi, di colpo, le parole mi uscirono da sole.
 

I was looking through the chair,
You were looking through the mirror…
Never met eyes,
No, I’ve never seen clearer than now,
There’s no way out…

 

Cambiai accordi.
I ricordi delle ultime settimane m’invasero, assalendomi a pezzi. Harry che mi portava al parco giochi dietro casa, che mi spingeva sull’altalena, come se fossimo tornati bambini.
Le colazioni al bar prima di scuola.
Le serate sul divano a guardare le repliche di Love Actually.
Ma poi, lui che sorrideva ad Amanda. Che la seguiva ovunque. Che la portava ai party della gente “in” di scuola.
Le facce della stessa medaglia, i due volti di Harry Styles.
 
 

I’m tingling in places I didn’t know existed,
How are things right and also twisted?
How can we work this out?

 
 
Come ero cambiata da quando l’avevo conosciuto.
Come mi ero sentita bene quella mattina.
 
 

Somehow everything in me is changing,
In the most amazing kind of way…
 

 
Non potevo più nasconderlo, o far finta che non esistesse.
Mi era entrato dentro, come un tarlo nell’armadio. Ma anziché consumarmi, risanava.
Ero come posseduta dalla musica, ogni cosa che pensavo usciva fuori insieme alla melodia.
 Ed era per colpa sua.
Cantai. Cantai a squarcia gola.
 
 

Every single breath you take away,
Gives me more life than before…
We could be the perfect masterpiece…
Baby, bring me in,
And fall into me.
 

 
– Non fermarti.
Mi voltai.
Harry era proprio lì, sulla porta, a braccia incrociate, appoggiato allo stipite con la spalla. Mi fissava, sorridendo. Risi.
 
 

Whenever you are near,
I feel like we could do anything,
And I think we should now…
We’ll take the town.

 
 
Lasciai che la musica sfumasse, che le corde vibrassero fino a fermarsi.
Posai Noel a terra, e mi alzai, andando verso di lui. Non si mosse, seguiva ogni mio movimento con lo sguardo.
Mi fermai davanti a lui. Si morse il labbro inferiore.
Eccomi, Styles.
Mi sono messa a nudo davanti a te. Perché neanche se mi avessi spogliata, saresti riuscito a vedere tanto.
– Ecco cosa facevo, quattro anni fa.
Si avvicinò, scostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Silenzio.
Sentivo solo il suo respiro, che si mescolava al mio, andando in sincrono. Se avesse potuto, il mio cuore avrebbe fatto molto più rumore della chitarra di prima.
– È questo ciò che pensi di me?
– Se lo fosse? Cosa accadrebbe?
Ripeté la frase della mia canzone.
We’ll take the town.
E mi baciò. Ma quella volta non lo schiaffeggiai.





Holls' Corner!:


Aha! Ve l'avevo detto che avrei cercato di postare con più frequenza, e quindi eccomi qui!!!
Già vi anticipo che nel prossimo capitolo accadrà qualcosa di grosso. Eh, sì. Non che in questo non sia avvenuto nulla, anzi!!! Holly si sta pian piano mostrando per quella che è, i suoi muri stanno lentamente crollando a terra...! E vedremo come andrà a finire!!
Sarò breve, stasera... volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente, davvero, non so più come ringraziarvi! Affitterò un aeroplano e farò scrivere "GRAZIE" in cielo a caratteri cubitali, non lo so...! Poi volevo ringraziare infinitamente chiunque inserisca la storia fra le ricordate/seguite/preferite/legga e basta!!!
Bene!! Dunque, la canzone di Holly ovviamente non è farina del mio sacco (certo che no!), ma bensì di Cassadee Pope, cantante degli
Hey Monday! Ok, vi rivelerò che tutte le lyrics di Holly saranno i suoi testi, e anche la voce sarà quella (mi spiace, niente tono alla Demi Lovato...!)!
Vi lascio il link del video dove potete ascoltarla, sarebbe fantastico se lo facesse in contemporanea alla lettura... anche se la mia versione è completa e strumentale, mentre nella storia c'è solo la chitarra... ma vabbè!!
Vi lascio con una gif della mia adorata Holls, e vi ricordo che ci tengo sempre molto a conoscere le vostre opinioni sulla storia, specie adesso che le cose iniziano a farsi piuttosto serie!!! Un bacione a tutti, alla prossima!!!



Fall Into Me Completa 


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Capitolo 14
*** 13. Body and Soul ***







13.
Body and Soul



 

« See, I been through a place 
Called hell on earth... 
But that part is over.»


Claude Kelly - The Worst Part is Over




Sullivan – Millward’s House, stanza di Holly.
Corpo e anima.
Holly’s PoV

 
 
 
 
Incredibile come un letto, delle lenzuola e la luce della luna che filtrava dalle finestre cambiassero i rapporti delle persone.
Per una notte, Harry ed io eravamo stati una cosa sola. Ubriachi di noi stessi, dell’odore della pelle e del calore dei corpi.
Vibrare. Come corde di un violino.
Pulsare. Come un cuore umano.
Due lingue della stessa fiamma.
Mai come quella notte, avevo sentito il fuoco.
Era come bruciare in un rogo, e rendere grazie in ogni momento per le vampe che avviluppavano il corpo. Non era semplicemente “sesso”. Non seppi nemmeno se fosse “amore”. Semplicemente, era.
E come poche ore fossero bastate a conoscersi tanto a fondo. Esigue domande, laconiche risposte, così chiare da imprimersi subito nella mente. La migliore notte della mia vita. Come non ne passavo da anni. Come l’avevo sempre desiderata.
Aprii gli occhi, ed era quasi l’alba. Avevo la testa sul petto di Harry, che si alzava e abbassava ritmicamente. Sentivo i battiti del suo cuore, regolari, calmati dal sonno profondo. Quel corpo, che ormai non aveva più segreti per me, riposava, dopo una nottata molto attiva.
Era bello, non troppo scultoreo, con le sue imperfezioni. Tuttavia, non l’avrei cambiato con nessun’altro. Il suo braccio cingeva le mie spalle, ne sentivo il peso e il calore.
Alzai piano la testa per guardarlo in volto. I riccioli ribelli, l’espressione serena, le labbra leggermente socchiuse. Chissà cosa stava sognando. Mi sentii protetta lì, in quel momento. Come se niente avesse potuto turbare quella calma, come se il mio posto fosse sempre stato quello.
Scostai gentilmente il suo braccio, facendo attenzione a non svegliarlo. Gli lanciai un’ultima occhiata. Impossibile credere agli eventi delle ultime quarantotto ore, eppure eccolo lì, che ronfava placidamente sul mio letto, che occupava illegalmente il mio spazio. Gli diedi un bacio sulla guancia, piano. Le sue sopracciglia ebbero un guizzo, e spostò inconsciamente la testa, di poco. Sorrisi.
 Scesi dal letto con calma, e m’infilai silenziosamente i vestiti sparsi sul pavimento. Presi la chitarra, badando a non fare casino, agguantai il foglio e la matita e uscii dalla stanza, chiudendo piano la porta. Mi diressi al garage, illuminata dalla fioca luce rosata dell’alba, che dava alla casa un aspetto tipico delle villette da film americano, in una di quelle riprese che fanno ai protagonisti quando rientrano a casa sbronzi da una nottata folle.
Tirai su la saracinesca, possibilmente facendo il meno casino possibile, e poi la richiusi di tre quarti. Oltre alla colossale Range Rover Sport, nel garage c’erano tutti quegli oggetti immancabili da patiti-del-meccanico come mio padre, cassette per gli attrezzi, aggeggi di cui ignoravo l’uso e il nome. Ammassati in un angolo, c’erano dei pezzi da museo, probabilmente di Harry, Anne e sua sorella.
Già, aveva una sorella più grande di lui, Gemma,che era in America per fare un potenziamento di lavoro. Vecchie bici, pattini e scatoloni impolverati mi restituivano lo sguardo con il loro fatiscente appeal. Mi sedetti dove c’era un po’ di spazio, davanti all’auto, e ripresi gli accordi della canzone, che avevo deciso di chiamare “Fall Into Me”, e che non era completata.
Prima, mi mancavano le parole. In quel momento, invece, sapevo esattamente ciò che avevo bisogno di dire.
 

Your eyes tell me something 
Afraid to misread, 
But if I'm wrong… 
What if you mislead me? 
Still, it's worth the thrill.

 
 
Sentivo che, dopo quella notte, le cose non sarebbero state più le stesse.
 Che avrei apprezzato di più certe cose, ma assolutamente non ne avrei tollerate altre. Che avrei avuto bisogno di lui più dell’aria.
 
 

Somehow everything in me is aching, 
Just to hear your gentle voice again…

 
 
Ripetei il ritornello. Quella era l’ultima strofa, prima della conclusione. Forse la più importante.
 
 

Things aren't simple anymore, 
Can't jump in until you know, 
But I think that I just might… 
Close my eyes and hold on tight.

 
 
Aspettare. Per ogni singolo respiro.
 
 

To every single breath… 


 
 
Finché non ci saremmo visti di nuovo, come quella notte. Finché non ci saremmo detti tutto. Aspettare. Per ogni singolo respiro.

 
 
 

To every single breath…

 
 
Refrain. Ultimo accordo. Lasciai vibrare, guardando oltre lo spiraglio della saracinesca. Ormai era sorto il sole. La mia canzone era terminata. 
 
 
 
 
Holmes Chapel Comprehensive School, parcheggio.
Ennesima sigaretta, prima dell’audizione.
Holly’s PoV

 
 
Com’era tornare a cantare per la prima volta davanti a tutti, dopo tre anni di lungo silenzio? Terribilmente stressante.
Credevo che il giorno dell’audizione si sarebbe trascinato lentamente, avevo programmato un lungo periodo di training autogeno sulla mia capacità di esibirmi in pubblico. Invece, prendendosi letteralmente gioco dei miei pronostici, giusto ieri avevo guardato il calendario ed esclamato “che davvero?!”, rendendomi conto che ne avessimo già quindici. E in quel momento mi trovavo nel parcheggio, appoggiata alla macchina di Zayn, la chitarra ai piedi ben infilata nella custodia.
Più imbacuccata di com’ero, non potevo essere. La sciarpa era ben stretta, il bomber chiuso fino all’ultimo bottone, eppure mi sentivo gelare fin dentro le ossa. Non ero abituata agli inverni così freddi, essendo sempre vissuta nella soleggiata e ridente California, patria delle bionde e del surf. Tuttavia, quell’aria di ottobre mi aiutava a restare lucida.
Ero già alla seconda sigaretta nel giro di mezz’ora, i One Direction orbitavano tutti intorno a me, cercando di calmarmi come potevano, Kate leggeva il foglio con la canzone che avevo in mente di proporre. L’unica persona di cui avevo un serio bisogno, però, non c’era. Diedi un tiro nervoso alla sigaretta, e mi sporsi oltre Liam per vedere se stesse arrivando. Nessuno.
– Dove cazzo è finito Harry?! – Soffiai,al massimo dell’insofferenza. Zayn cercava di chiamarlo, ma per un qualche strano caso del destino, il suo cellulare non prendeva. Aveva sempre campo, in ogni luogo e momento. Fatalità che proprio quando servisse a me, dava forfait.
– Mi dispiace, principessa, oggi questo aggeggio non vuole collaborare. – Disse, rimettendoselo in tasca. Alzai gli occhi al gelo e gettai la sigaretta in terra, schiacciandola con la scarpa per spegnerla.
– Andrà tutto bene, Holly, calmati! – M’intimò Liam, notando il mio stato di crescente agitazione. Stavo per urlare e scappare a gambe levate, e lui mi diceva di calmarmi.
– E se faccio scena muta? Se mi si bloccano le dita? Se stono come un gatto in calore?! Come faccio a calmarmi, Liam! – Ormai stavo urlando, e il poveraccio non si meritava una scenata simile. Zayn mi abbracciò, e io lo lasciai fare, chiudendo gli occhi.
Non mi sentivo per niente bene, l’ansia mi stava divorando lo stomaco. Ma come m’era venuto in mente, la scorsa settimana, di staccare quel foglio e presentarmi alle audizioni? Chi aveva stretto le mie dita attorno alla penna e guidato la mia mano nel segnare il mio nome sull’elenco delle presenze? Quale spirito demoniaco me l’aveva sussurrato nell’orecchio?
– Holly, ascoltami. Ora rientriamo a scuola, andiamo in teatro e tu la smetterai di agitarti. Perché ti abbiamo sentita, sei forte, non hai nulla da temere. E poi, oltre a noi, chi vuoi che sappia cantare, qui dentro? – Disse il moretto, stringendomi gentilmente. Scoppiammo tutti a ridere.
– Sei il solito modesto, Zayn! Per tua informazione, la mia doccia va pazza per le canzoni che canto! – Protestò Kate, che però continuava a ridere insieme agli altri.
– Ma davvero? E com’è che non ne so niente? – Le chiese Liam. La vidi arrossire un pochino.
– Ognuno ha i suoi lati nascosti, Payne. E poi che ti frega, scusa?
– Non avresti dovuto dirmi così. – Kate sbarrò gli occhi, mormorando un “no, ti prego…” e lui sorrise, avvicinandosi a lei. Li vedemmo sparire nell’edificio correndo come dei matti, perché probabilmente Liam si sarebbe vendicato con il solletico. Niall e Louis sospirarono, sorridendo.
– Che teneri. Mi chiedo cosa stia aspettando Liam. – Commentò Louis, infilando le mani nelle tasche del giubbotto.
– Già. Starebbero così bene, insieme. Lui è proprio andato… – disse Niall. Scossi la testa.
– Kate è fidanzata.
Mi fissarono come se avessi detto che ero appena scesa da Marte. Mi strinsi nelle spalle, sentendo il peso addosso di quattro occhi azzurri e due color cioccolato.
– Che c’è? Non lo sapevate?
– No! – Risposero in coro tutti e tre. Sospirai. Iniziarono a commentare su chi fosse il ragazzo di Kate, su che aspetto avesse, su quanto seria fosse la loro relazione. Peggio di un gruppo di ragazze.
– Maschi…– dissi, e guardai l’ora sul cellulare. Il cuore accelerò i battiti, dimezzandomi i respiri. Lo stomaco mi si contorse in un lieve spasimo. Sciolsi l’abbraccio di Zayn, per poter prendere Noel e caricarmela sulle spalle. Era ora di andare in scena.

 
 

***

 
 
Recuperammo Kate  e Liam, in corridoio, a chiacchierare con le teste vicine.
Onestamente, anche io li vedevo bene.
Fra l’altro, la ragazza mi aveva raccontato che il suo fidanzato, ( trattavasi niente meno che di Nick Jonas) non era quasi mai con lei. Si vedevano una volta ogni mese, e magari nemmeno quella. Tuttavia, le aveva promesso di trascorrere Halloween insieme, e lei stava già lavorando da un po’ sui costumi, poiché era riuscita a convincerlo a venire alla festa della scuola.
Nonostante tutto, però, la vedevo spesso con Liam. Erano sulla stessa lunghezza d’onda, ormai dove c’era lui, trovavi anche lei, una bella amicizia. Sapevo che da parte di Payne c’era molto più del semplice sentimento fraterno, ma da parte di Kate non riuscivo a capirlo. Era parecchio brava a nascondere ciò che provasse. Al contrario di me. Arrivammo in teatro con tre minuti d’anticipo. Quattro banchi erano stati sistemati davanti al palco, e dei ragazzi chiacchieravano animatamente fra loro, gli echi delle loro voci rimbombavano nella grande sala. Kate mi diede di gomito.
– Eccoli, quelli sono i Twisted. Il biondo, Ross Lynch, è la chitarra elettrica e voce corale. Quello con i capelli castani stile Beatles e gli occhi azzurri è Brendan Meyer, il bassista. L’ultimo, il moretto con l’aria simpatica e le cuffie da deejay è Adam Irigoyen, batterista. – Sussurrò la ragazza, mentre prendevamo posto. Vedendoci arrivare in massa, con quattro quinti dei One Direction, si zittirono di colpo, osservandoci.
Riconobbero Kate, la migliore amica di Taylor, ma non me. Tuttavia, dedussero che quella che avrebbe dovuto sostenere il provino fosse la tipa con l’uniforme stretta e la frangetta. Cioè io.
Occupammo un’intera fila di sedie, aspettando che anche gli altri partecipanti all’audizione arrivassero. Louis si stravaccò sulla sua sedia, allungando i piedi su quella di fronte e allacciando le dita dietro la testa. Mi sedetti accanto a lui, e Zayn vicino a me.
Posai con cautela la chitarra a terra e iniziai a tormentarmi i bottoni della giacca. Dove. Era. Il. Mio. Ragazzo?!
Tenni lo sguardo fisso davanti a me, sul pavimento polveroso del palco, con il sipario aperto e le luci spente.
– Malik.
– Sullivan.
Presi un gran respiro, per cercare di calmarmi e modulare la voce.
– Sai che fine ha fatto Styles?
– Negativo.
– Dammi il tuo fottuto cellulare.
Mi tese l’iPhone, senza fare domande. Andai sui preferiti, e schiacciai lo schermo sulla dicitura “Harold”, con quanta più forza ce ne volesse realmente. Rimasi ancor più frustrata da quell’inutile segreteria telefonica, la quale mi avvertiva che “l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”. Ripassai il cellulare a Zayn senza proferire parola.
Perché non avevo provato col mio? Perché avevo finito il credito, e mio padre si era scordato di ricaricarmelo. E sì, perfino io mi ero dimenticata di ricordarglielo.
Harry sapeva quanto ci tenessi.
Sapeva quanta importanza avesse quel provino per me.
 Avevamo passato gli ultimi pomeriggi a cantare, suonare, fare esercizi per la voce.
Mi aveva promesso che ci sarebbe stato.
Era al corrente che avrei portato “Fall Into Me” come brano. Solo mezz’ora fa, era insieme a me, a baciarmi e a dirmi che sarebbe andato tutto bene. Perché non era anche in quel momento al mio fianco, a dirmi qualsiasi stronzata per calmarmi? Pur se fosse rimasto in silenzio sarebbe andata bene lo stesso, mi sarei accontentata della sua presenza.
E invece non c’era. E io mi stavo incazzando di brutto.
Battei nervosamente il piede a terra, cercando di distrarmi. Osservai i Twisted.
Il biondo sembrava simpatico, ed era anche parecchio carino. Indossava un giacchetto di pelle nero, benché fossimo ad ottobre, e dei semplici jeans con un paio di Chuck Taylor nere. T-shirt rossa con un disegno psichedelico e parecchi bracciali colorati al polso sinistro. Suonava la chitarra elettrica, ed era la voce corale.
Ebbi al primo colpo una buona impressione di lui, anche se intuivo che sotto, sotto, fosse un tipo tosto. Ross. Bel nome.
Spostai lo sguardo sul figlio dei Beatles, Brendan. Volto gentile, profondi occhi azzurri. Lui indossava un maglioncino azzurro e dei jeans, ma ai piedi aveva un paio di Adidas bianche. Era il bassista. Con quell’aria così tranquilla, faticavo ad immaginarmelo fare scintille sul palco.
L’ultimo, Adam. Aveva un cognome impronunciabile, di cui avevo capito solo le vocali, ma già mi stava simpatico. Non seppi spiegarmelo, ma sentivo che di lui ci si poteva fidare. Forse perché somigliava un po’ a mio cugino.
Con quei capelli neri corti, le enormi cuffie appese al collo, la felpa aperta stile college e i pantaloni col cavallo basso, mi dava tanto l’aria di uno di quei ragazzi un po’ nerd con cui ridevi dalla mattina alla sera. Ma era anche un tipo serio, a modo suo. Lui sì che ce lo vedevo, a pestare le bacchette sulla batteria.
Mi chiesi cosa avesse spinto quella Hayley, la cantante, ad andarsene.
In poco tempo, tutti i candidati arrivarono. Li contai. Eravamo sei, escluso il gruppo di supporto che mi ero portata dietro. Tre ragazzi e tre ragazze, me compresa. I Twisted si voltarono verso la platea, e Ross prese parola. Cominciai ad avvertire l’ossigeno scarseggiare al cervello.
 – Ehm… salve a tutti. Siamo molto felici che abbiate scelto di partecipare a questo provino. Altrimenti, sarebbe stato un grosso problema, per noi… – risatina generale. A cui non partecipai.
– Dunque... forse non tutti ci conoscete. Io sono Ross Lynch, coro e chitarra. Lui è Brendan Meyer, il bassista – indicò il figlio dei Beatles, – e quest’altro disperato è Adam Irigoyen, il nostro batterista – indicò il sosia di mio cugino.
– Insieme, siamo i Twisted. – Pausa imbarazzata. Sguardi d’intesa fra i membri della band, sospiro di Ross.
– Hayley, la nostra cantante, ci ha abbandonato qualche tempo fa, lamentandosi di non avere tempo per portare avanti la band e lo studio nello stesso momento. Così… eccoci qui. Bene, non mi va di annoiarvi con le mie chiacchiere, quindi lasciamo subito spazio alla musica. – E con ciò, si sedette, sistemando un gruppo di fogli.
Carino. Molto conciso.
Chiamò il nome del primo candidato, una ragazza smilza con gli occhialoni da nerd e la maglietta dei Cure. Aveva scelto di esibirsi con “Thank U”, di Alanis Morisette, e quando attaccò la prima strofa, Louis ebbe un sussulto.
– Oh, Dio. – Mormorò, passandosi una mano sulla faccia. Zayn fece una smorfia,e potevo sentire i commenti di Liam, Niall e Kate.
Era così stonata da mettermi voglia di piangere. Fortunatamente, Ross la stroncò prima del ritornello, liquidandola con un “grazie, ti faremo sapere”. Ero prossima alla crisi di nervi.
– Ma dove cavolo è finito Harry? È arrivato a Narnia passando dallo sgabuzzino dei bidelli?! – Mi chiese Louis, mentre il secondo candidato, un ragazzo la cui faccia e voce non mi dicevano niente e mi facevano sbadigliare, si cimentava in “Oxford Comma”, dei Vampire Weekend.
– Non lo so, Louis. Stiamo provando a chiamarlo da un’ora, ma il signorino ha il cellulare staccato. – Sibilai, consapevole del fatto che stessi perdendo la pazienza.
– Arriverà. O almeno spero. – Mi disse Zayn, stringendomi la mano. Non risposi, mordendomi il labbro inferiore.
Dopo quelli che mi parvero due secondi, quattro dei sei candidati erano stati esaminati, e il penultimo si stava esibendo in una cover niente male di “I Just Wanna Live”, dei Good Charlotte. Di Harry neanche l’ombra.
– Holly Sullivan.
Com’era possibile? Il tizio prima di me aveva già finito? Nessun commento? Nessuna pausa caffè? Mi chiamavano così, senza dirmi nulla prima? Senza incoraggiamento? Non mi sentivo più le gambe.
Aprii la custodia di Noel, mi alzai in piedi, imbracciai la chitarra, sentii le mani dei ragazzi che mi stringevano il braccio, la spalla, solidali. La voce di Kate che diceva “ce la puoi fare”. 
Mi arrivava tutto in maniera ovattata,  come se non fossi realmente presente nel mio corpo, e non fossero i miei i piedi che percorrevano la distanza sedia-palco. Mi si mozzò il respiro, mentre salivo le scalette.
Pregai che Harry arrivasse.
Pregai che in ogni caso potesse sentirmi.
Raggiunsi il microfono. Le luci dei riflettori mi ferivano gli occhi, mi sentivo piccola e inutile. Presi un gran respiro.
– Io… io oggi non farò nessuna cover. – Mi schiarii la voce. Andiamo, pappamolla. Cos’è questo schifo? Se non ti convinci per prima, non ci riuscirai mai neanche con loro, mi dissi. Sospirai, e decisi che l’ansia poteva andare a farsi fottere. Anzi… doveva.
– Ho portato un pezzo mio, che ho scritto da poco. Parla di una persona importantissima per me, ma che in questo momento… non c’è. – Le parole mi morirono in gola. Sì. Harry non c’era. E quella era la mia occasione. Presi un gran respiro. Di nuovo. – In ogni caso, si chiama “Fall Into Me”.
Partii con il primo accordo. Poi con il secondo. Seguì il terzo. Sentivo le dita sgranchirsi e uscire dal torpore a mano a mano che suonavo, la musica scioglieva la morsa di ghiaccio che mi attanagliava il cuore.
Seppi che potevo farcela, che ci sarei riuscita.
Che valeva la pena lottare, nella vita.
Che i tempi in cui ero stata debole e passiva erano finiti.
Sperai che ovunque fosse Harry, riuscisse a sentire la mia voce, che parlava di lui.
Che urlava di lui.
Cominciai a cantare.




Holly's Corner!!:

Oh, my my... beh, come prima cosa credo che vi meritiate tutti delle enormi scuse!!!!
Già, è da tipo quest'estate che non mi rifaccio viva, e molti di voi hanno anche sospettato che mi fosse accaduto qualcosa, preoccupandosi -giustamente!!-, dato che non mi vedevano aggiornare. Okay, non mi è successo nulla, state tranquilli!!!!!
Dopo di ciò, penso che adesso vi meritiate delle grandissime spiegazioni. Anzi no, delle semplici spiegazioni. Non sono più riuscita ad entrare sul mio account. Visto? Semplice. La password non mi veniva mai accettata, e dopo un po' ho smesso di provarci. Fino a stasera.
Miracolosamente sono riuscita ad entrare, e ho visto tutta l'enorme roba... intendo messaggi, recensioni, di tutto!!!! E sono rimasta sorpresa di come ancora "vi ricordiate" delle mie storie! Ne sono felicissima!!!!!
Non avete idea di come ci sia stata. Vi giuro, ho fissato lo schermo in maniera ebete per almeno cinque minuti. Poi sono rinsavita, e mi son data da fare.
Non vi garantisco di essere qui tutti i giorni (CI PROVERO'), ma cercherò di portare avanti le mie storie, e di concluderle (per la sfiga gioia di tutte le mie sostenitrici!!)! Quindi... niente.
E' tardissimo, e sto più o meno crollando, quindi scusatemi la celerità... avrò modo di rifarmi nei prossimi capitoli!!
Come sempre (DA QUANTO TEMPO!!!), ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di sopportarmi e sUpportarmi finora, a chi leggerà il capitolo e a chiunque sarà disposto a lasciarmi un suo parere (accetto anche gli insulti, me lo merito -.-), perché conoscere le vostre opinioni è e sempre sarà importante per me! Beh... allora alla prossima! Bacioni a tutti!
Holly is back again, bitches!!!! ;) 



Per chiunque volesse seguirmi su Twitter (dove sono un po' più "attiva", hahahahah!), mi troverete qui --> CurlyStarlight

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Capitolo 15
*** 14. Misunderstanding Disaster ***




14.
Misunderstanding Disaster








« Have you ever loved someone so much, you'd give an arm for?
Not the expression, no, literally give an arm for?
When they know they're your heart
And you know you were their armour,
And you will destroy anyone who would try to harm her…
But what happens when karma, turns right around and bites you?
And everything you stand for, turns on you to spite you?
What happens when you become the main source of her pain?»

 
Eminem – When I’m Gone
 


Holmes Chapel Comprehensive School, corridoi.
Ansia da pre-audizione.
Harry’s PoV

 
 

Il grande giorno era arrivato.
Quello per cui ci eravamo allenati tanto, per cui avevamo sprecato tanto fiato, tante urla, tanti assoli, tanti pomeriggi, tanti momenti. Fra meno di venti minuti ci sarebbe stato il provino di Holly, ed ero quasi più agitato di lei.
Sapevo quale importanza avesse, era il suo modo per riscattarsi con sé stessa. Per provare che non era finita, che poteva risalire in cima. E io l’avrei accompagnata nella scalata.
Ero molto cambiato dalla vecchia conversazione con Zayn, dove ammettevo di non essere pronto a stare con lei, perché la consideravo troppo impegnativa per me.
Era bastata una canzone a convincermi, ad annullare tutte le mie paure. Perché stare con lei era quello che volevo. Di Amanda non me n’era mai fregato niente per davvero, credevo che mi piacesse. Invece era solo uno specchio, una maschera dietro cui nascondevo la mia debolezza. Mi attaccavo a lei per non ammettere che mi piacesse Holly.
Perché dal primo momento in cui aveva messo piede in casa, sapevo che avrebbe stravolto ogni cosa. Sembrava così forte con quel suo aspetto aggressivo, ma sapevo ciò che aveva dovuto passare, nella sua vita.
In parte me ne sentii responsabile per mia madre. Infondo, era stato il divorzio a frantumarle la vita in mille pezzi, ma come condannare un amore? Anche lei l’aveva capito, accettando quella donna che prima aveva tanto odiato.
 All’inizio ero sicuro che avesse detestato anche me, ma poi aveva imparato a conoscermi, e a cambiare idea. Onestamente, pensavo solo di portarmela a letto, all’inizio. Tuttavia, avevo dovuto sbattere la testa contro i muri che mi frapponeva.
Non voleva una notte da sballo.
Desiderava soltanto essere capita e apprezzata per quello che era.
Essere amata.
Ed ero stato parecchio stupido a non capirlo subito. Avevo anche rischiato di perderla, ma fortunatamente non era accaduto. Perché quando l’avevo sentita cantare quelle parole, quando l’avevo vista accucciata a terra con la chitarra e lo sguardo perso in chissà quali ricordi che parlavano di noi, mi si era aperto un mondo.
Dopo quella notte, ormai facevamo coppia fissa. Anche a scuola. Non mi vergognavo più di farmi vedere da Amanda mano nella mano con lei, di abbracciarla quando mi pareva, di baciarla. Ormai non dovevo più rendere conto a nessuno di quello che facevo, e mi sentivo terribilmente libero.
 In quel momento, ero rientrato a scuola per prendere il libro di chimica che mi ero scordato in aula. Una volta recuperato, l’avevo infilato nello zaino, ed ero tornato in corridoio. Dovevo andare da Holly, aveva bisogno di me.
– Ehi, Harry… dove vai, così di fretta?
Una voce femminile mi appellò, dietro le spalle.
Mi voltai. Amanda. Sorrideva, con espressione innocente. I soliti boccoli biondi in piega perfetta, trucco deciso e provocante, profumo di cui si avvertiva la scia anche dopo che lei fosse passata. Sembrava una che sapeva quello che facesse. E, soprattutto, cosa volesse.
Sì, era carina. Ma non bella. Mi tornarono in mente le parole di Louis: “se ti piacciono così tanto le tipe come Amanda, domani ti porto una delle Barbie di mia sorella”. E l’aveva fatto davvero, mi aveva regalato la bambola di Lotte. Passammo un intero pomeriggio a ridere come due idioti.
– Che c’è, Amanda? – Infilai le mani in tasca. Non mi andava proprio di stare lì a perdere tempo, avevo bisogno di uscire.
– Ultimamente mi stai evitando. Lo so che adesso fai coppia fissa con Sullivan, e onestamente non capisco questa tua caduta di stile.
– Era di questo che volevi parlarmi? – Mi guardò, leggermente sorpresa dalla freddezza del mio tono di voce.
Non doveva averla presa parecchio bene, quando l’avevo scaricata. Anzi, non l’aveva accettato e basta. Scosse lentamente la testa, come solo lei sapeva fare.
– Ovvio che no. Ma qui non mi pare il posto adatto. Vieni.
Non avevo fatto in tempo a dirle di lasciar perdere, che già aveva afferrato la mia mano, trascinandomi con sé. Sperai che fosse qualcosa di inutile e che ci mettesse veramente poco.
Guardai l’orologio. Le audizioni cominciavano proprio in quel momento, e io non ero con Holly. Mi resi conto che mi stava portando nel bagno delle ragazze. E io decisamente non lo ero.
– Amanda, non posso entrare lì dentro. – Protestai. Rise.
– Nessuno ti vedrà, Styles. Rilassati. – Spinse la porta.
Era deserto, come ovvio che fosse. A scuola, in quel momento, non c’era nessun altro oltre a quelli che dovevano sostenere i provini per i Twisted.
Amanda mi lasciò la mano, e si sedette sul bancone, nello spazio fra i lavandini. A differenza del bagno dei maschi, quello era parecchio più pulito. Guardai i graffiti sui muri, le scritte a pennarello lasciate dalle ragazze nel corso degli anni. Oh, ce n’era anche una su di me. “Harry Styles
– Concentrati sulla mia faccia, ricciolino. – Mi spostò il volto verso di lei con la mano, gentilmente. Ritornai sulla terra, e mi scansai leggermente.
– Allora?
– Guarda. – Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans super aderenti, e cercò nelle foto, poi lo girò verso di me. Capii perché non aveva voluto parlarmene in corridoio. Quell’immagine rasentava l’osceno.
Eravamo lei ed io alla festa di Kenny, due settimane fa, verso la fine di settembre. In quel periodo non avevo molto chiaro il punto della situazione, e mi divertivo a fare la spola fra lei e Holly.
Ricordai che a quel party mi ero ubriacato come pochi, e Louis aveva dovuto riportarmi a casa in macchina, rimettendomi anche a letto perché non mi reggevo in piedi.
Ma prima, Amanda ed io ci avevamo dato dentro parecchio, sui divanetti. Come mostrava quella foto. Non c’era niente d’innocente nelle sue gambe attorno ai miei fianchi e alle mie mani sotto la sua maglietta. Avvampai. Credevo che nessuno ci avesse fatto foto.
– Come fai ad averla tu?! – Le chiesi, cercando di strapparle il telefonino dalle mani. Fu più veloce di me e lo allontanò dalla mia presa.
– Ah, ah! Giù le mani, Harry. E non farti troppe domande. – La guardai male. Dove voleva arrivare?
– A che gioco stai giocando, Amanda?
– Nessuno. Ma mi stavo semplicemente chiedendo cosa accadrebbe se Holly la vedesse… – imbastì un’espressione triste e addolorata, poi sorrise perfidamente. Avvertii la rabbia montarmi dentro.
 Tentai di riprendere il cellulare, ma mi sfuggì una seconda volta. Intanto ci eravamo avvicinati troppo, ero a pochissimi centimetri dal suo naso.
– Non lo farai…
– Chi può dirlo? Ricorda… nessuno scarica Amanda Levinski, pop star o comune mortale che sia. – Sogghignò. Poi accadde tutto come al rallentatore.
Vidi la bionda lanciare il telefonino a Nadia, che era sbucata dal cubicolo di fronte. La ragazza l’afferrò al volo, spostandosi per avere una visuale migliore. Amanda mi tirò a sé stringendomi la maglietta con la mano, mentre con l’altra avvicinava il mio viso al suo, stampandomi un bacio da far invidia a quello della festa di Kenny.
Il click della fotocamera dell’iPhone nelle mani di Nadia scattò, e io mi scansai di colpo da lei.
– E ora… inviamolo a tutta la scuola! Bella foto, ragazzi! – Premette un tasto, e sorrise soddisfatta, rimettendo il cellulare in tasca.
Realizzai quanto era appena accaduto, mentre Amanda rideva di gusto. Scese dal bancone con un salto, si ravviò i capelli e mi mandò un bacio sulla punta delle dita.
– Grazie per aver partecipato alla tua rovina, Harry. Ci vediamo al Ballo di Halloween! – E corse via, seguita da Nadia.
Rimasi a guardare la porta ritornare cigolando al suo posto, comprendendo in un secondo che la mia vita era stata rovinata, e io non c’entravo assolutamente niente. Oltre che Amanda fosse una stronza come poche.
– Porca puttana! – Esclamai, troppo tardi per poter fare qualsiasi cosa, dando una violenta manata al muro. M’involgarivo parecchio, quando andavo sui nervi. E in quel momento ero troppo incazzato per fare attenzione al vocabolario.
Mi spruzzai un po’ d’acqua sul volto per cancellare i segni del rossetto della bionda, ma rimasero delle tracce rosa. Quella maledetta doveva averne messo uno long lasting, come quelli di mia sorella Gemma. Guardai il mio riflesso allo specchio: ero stravolto.
I riccioli stavano al loro posto, ma avevo le guance bordeaux, con un’espressione shockata e degli sbavi rosa caramella attorno alle labbra. Sentii la porta aprirsi, e sperai che fosse Amanda. Ma invece si trattava solo di una ragazza parecchio nerd con gli occhialoni e la maglietta dei Cure. Mi lanciò un’occhiata assassina.
– Lo sai che questo è il bagno delle ragazze? Sai leggere? – La fissai come se avessi avuto un alieno davanti, e uscii senza proferire una parola.
Solo allora mi accorsi della musica che si sentiva lungo il corridoio. Riconobbi la strofa, la mia mente si svuotò.
Iniziai a correre.
 
 

***

 
 
Spalancai la porta del teatro, e lei eseguì l’ultimo assolo. Si girarono tutti a guardarmi, ma non me ne curai. Che impressione vederla su quel palco, sola, con la chitarra in braccio, presa dal momento.
Sembrava nata per cantare, non aveva insicurezze, incertezze. Sapeva di essere brava, e non aveva paura di mostrarlo agli altri.
La sua voce era molto buona, orecchiabile. Avevamo speso pomeriggi a migliorarla, benché fosse già abbastanza valida. Non potei fare a meno di sorriderle, anche se non poteva vedermi.
Raggiunsi gli altri, sedendomi sulla sedia vuota accanto a Louis.
– Ce l’hai fatta! – Mi disse, senza staccare gli occhi dal palco. Annuii. Holly finì la canzone. Ci alzammo tutti per applaudirla.
Anche se non l’avevo vista fin dall’inizio, sapevo che era stata brava. Louis e Niall fischiarono anche. La vidi sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come faceva sempre quando era tesa o nervosa.
– Sono… senza parole. – Commentò il ragazzo con i capelli castani stile indie, seduto in mezzo ad altri due ragazzi dietro dei banchi, ad una certa distanza dal palco.
– Sei una bomba, amica! – Gli fece eco il moretto con i capelli corti alla sua destra. Lei scoppiò a ridere.
– Basta, non c’è bisogno di prenderci in giro. Sei dentro, Holly. Abbiamo la nuova voce dei Twisted. – Affermò il biondo alla sua sinistra.
La ragazza li guardò sgranando gli occhi, poi si accovacciò di colpo, coprendosi la bocca con le mani. I ragazzi balzarono in piedi e la raggiunsero sul palco, abbracciandola tutti insieme. Sentivo le risate da lì, dov’ero rimasto.
Vidi Louis scompigliarle i capelli, Zayn stringerla, Niall abbracciare sia lui che lei, e Liam complimentarsi accanto ad Holly. Poi, la vidi rialzarsi, cercarmi con gli occhi fra il mare di sedie, con espressione apprensiva. Riuscì a trovarmi, e in un attimo la preoccupazione sul suo volto scomparve. Si passò la chitarra dietro le spalle, e corse giù.
Uscii dalla fila di sedie, lei era scesa dal palco. In meno di due secondi, era da me, abbracciandomi e ridendo. Affondai il volto fra i suoi capelli mossi, che sapevano di buono, e la strinsi senza dire nulla. Ero così orgoglioso di lei.
– Ce l’ho fatta, Harry, ce l’ho fatta!
– Lo so, lo so. – Sussurrai, e lei rise ancora di più. Scostò il viso, e mi baciò. Quello sì che era qualcosa di vero. Non come prima, nei bagni.
Prima… la foto… sentii il suo cellulare vibrarle nella tasca dei pantaloni, praticamente incollati ai miei. Si staccò.
– Non farlo. – Le dissi. Aggrottò le sopracciglia, cercando a tentoni il suo telefonino.
– Ti prego. – Provai, un ultima volta. L’aveva trovato, e lo stringeva fra le mani. I suoi occhi verdi mi trapassarono.
– Che hai? – Chiese. Chiusi gli occhi, passandomi una mano sulla faccia.
La sentii sbloccare la tastiera, poi silenzio. I suoni dei cellulari di tutti i presenti nella stanza rimbombarono nello stesso momento da parte a parte, annunciando che fra meno di un secondo, ben dieci persone avrebbero scoperto perché avevo fatto tardi.
– Harry. – Disse. Riaprii gli occhi.
Mi stava mostrando la foto che Nadia aveva scattato prima. Dio, sembrava molto peggio, vista da quella prospettiva.
– Non è come…
– E’ perquesto che non sei stato qui, prima?
– Holly, fammi…
– Rispondi! – Stava urlando. Ed era anche lecito.
Non avrei potuto mentirle. Anche se sarebbe sembrato come ammettere una colpa che non avevo.
– Sì.
Era come se l’avessi pugnalata.
La sua espressione divenne assente per un minuto. Rimise il cellulare in tasca, in silenzio. Mi guardò.
Se i suoi occhi avessero potuto parlare, mi avrebbero prima maledetto in cinque lingue diverse, e poi ammazzato in venti differenti motivi.
Uccidere con lo sguardo”, lo stai facendo bene.
– Mi fai schifo. – Disse, spingendomi.
Corse via, lontano da me.
Rimasi dov’ero, guardando il resto dei presenti. Avevano tutti espressioni shockate, con i cellulari in mano e gli occhi che saettavano dallo schermo a me. In condizioni normali, mi sarei fatto una grossa risata a guardarli, ma non quel giorno.
I ragazzi erano costernati. Louis non riusciva a crederci, Niall era dispiaciuto, e Liam amareggiato. Zayn mi raggiunse.
– Augurati di avere una buona spiegazione per questa porcata, Harry. Stavolta ti sei proprio superato. – Mi sussurrò, e poi uscì, alla ricerca di Holly, potevo scommetterci.
Mi era crollato il mondo addosso.
Uno dei miei migliori amici mi odiava, i restanti tre non sapevano se ammazzarmi di botte o consolarmi, la mia ragazza mi aveva appena detto che le facevo schifo.
Il tutto, senza che io avessi avuto un briciolo di colpa reale di tutto l’accaduto. Che fenomeno.
Avrebbero dovuto mettermi nel Guinnes dei Primati come “Il ragazzo più sfigato del mondo”.
Come si faceva a vincere una guerra, quando eri solo contro centomila? 


Holls' Corner!:

Eccomiiiii!! Visto? Non sono sparita per un altro mese, hahahahah! Lo so, è passato un pochino dall'ultima volta che avevo aggiornato, scusatemi!! Spero che sia valsa la pena di aspettare, di nuovo...!
Sul capitolo non mi esprimo, tanto mi conoscete e sapete quanto mi piaccia incasinare tutto! Ovviamente sappiamo che Harry non c'entra nulla, ma Holly no... preparatevi, nei prossimi capitoli la situazione si capovolgerà radicalmente!
Questa sera sarò celere, ringraziandovi come sempre per avermi fatta sentire "bentornata" nel fandom, e avermi fatto capire che ci sarete sempre. Grazie davvero!! Passo a ringraziare chiunque abbia inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite/legga e basta, e chiunque la recensisca!! Come al solito, sarei molto contenta di sapere le vostre opinioni in merito al capitolo, sapete che tengo ai vostri pensieri! Bene, la smetto di rompervi...!
Oggi vi lascio con una bella immagine dei Twisted!
Partendo da sinistra, abbiamo Brendan, Holly, Ross e Adam! I nomi dei componenti maschili sono quelli reali ed esistenti, li ho presi tutti da "Professor Young", "Shake it Up" ed "Austin & Allie" (la Disney mi pagherà per la pubblicità occulta, un giorno...!)! Alla prossima, un bacione a tutti!!




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Capitolo 16
*** 15. Falling Down ***




15.
Falling Down


«Why has the sky turned gray?
Hard to my face and cold on my shoulder,
And why has my life gone astray?
Scarred by disgrace, I know that it's over…»

(Duran DuranFalling Down)




 
 
 
Holmes Chapel Comprehensive School, prossima all’uscita.
Lasciando che piova.
Holly’s PoV
 

 
 
Correvo. Andavo a mille. Come se ne andasse della mia stessa vita. Come se da un momento all’altro avessi dovuto prendere il volo.
Poco m’importava della pioggia che cadeva, inzuppandomi i capelli, scendendomi giù per il collo, sotto i vestiti, dentro l’anima. Era come se qualcosa, dentro di me, si fosse rotto. Avevo il respiro mozzato, e non era solo il freddo. Sentivo la chitarra sbattermi dietro la schiena, sui capelli appiccicati alla divisa. Mi ero scordata il cappotto, e la sua custodia. Mi ero scordata anche il cuore, in quel teatro.
Una foto.
Una semplice e fottutissima foto. Tanti pixel uniti a formare un’immagine. Due persone bloccate nell’attimo all’infinito. Harry e Amanda.
Il mio mondo era crollato in pezzi.
Credevo di aver raggiunto la cima, di essere riuscita ad appropriarmi di un briciolo di vita, dopo anni di pseudo esistenza. Pensavo di essere riuscita a provare a me stessa che avrei potuto farcela, che era possibile risalire, riprendersi, rialzarsi. Ero convinta di aver trovato il ragazzo perfetto. Che mi capiva, mi accettava nonostante fossi un rifiuto della società, che mi stringeva sotto le lenzuola quando fuori tuonava, perché sapeva che rombi mi spaventavano. Che guardava Titanic insieme a me per la quarta volta, e finiva la scatola dei Kleenex per primo, per poi dirmi che al posto di Jack, avrebbe fatto lo stesso per salvarmi. Che ogni qualvolta il suo sguardo incrociasse il mio, si accendesse in un sorriso, che m’illuminava la giornata.
Stupida. Ero stata estremamente stupida. Pensare che fosse mio. Come un oggetto. Come la maglietta preferita, o il cd che si è sempre desiderato.
Mi era sfuggito il particolare che forse, per lui, non ero abbastanza. Problematica, con un carattere schifoso e reduce dalla rehab, che futuro poteva avere con me? Ero un azzardo vivente, impossibile avvicinarsi a me e non ferirsi. Buffo che a farsi male, però, era stata la sottoscritta.
Superai i cancelli della scuola, e continuai a correre, sul marciapiede. Per la prima volta, fui grata che la strada fosse tutta dritta, e che nessuno passasse. Il petto minacciava di scoppiarmi, ma non mi sarei fermata per nulla al mondo. Altrimenti, avrei dovuto crederci per forza. Finché correvo, potevo illudermi che fosse tutto un brutto sogno.
– Holly!
No, merda. Feci finta di non sentire, e proseguii. Piangevo come una disperata, ma la pioggia mi rigava il volto, riuscivo a sentire la differenza con le lacrime solo perché quest’ultime erano roventi. Passi affrettati alle mie spalle. Accelerai, in un ultimo atto disperato.
– Holly.
Presa. Sentivo il polso stretto in una mano calda, amica. Mi fermai, di spalle. Non riuscii a reprimere un singhiozzo, e me ne vergognai ancora di più. Odiavo piangere. Odiavo sentirmi debole. Odiavo farmi vedere dagli altri in quel modo. Odiavo Harry Styles. Ma, più di tutti, odiavo me stessa. Perché l’amavo ancora.
– Guardami, Holly.
Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare, avvertendo il sapore metallico in bocca. Girai piano, fino a trovarmi faccia a faccia con lui. Alzai lo sguardo, per metà appannato dalle lacrime e dalla pioggia. I miei occhi non dovevano esprimere nient’altro che dolore. Rabbia. Sofferenza. Ero stanca di tirare su muri, di fabbricare maschere. Volevo solo rannicchiarmi fra le sue braccia e piangere.
– Sistemeremo tutto. Ci riusciremo.
Zayn mi abbracciò, protettivo. Mi aggrappai alla sua maglietta, in silenzio. Sentivo le sue braccia attorno alle mie spalle, mi davano calore. Lo ascoltavo mormorarmi parole per calmarmi. Diceva che sicuramente c’era stato un malinteso. Che avrebbe scoperto tutto. Che non poteva essere come sembrava. Poi tacque, appoggiando la guancia sulla mia testa, cullandomi. I miei singhiozzi e la pioggia che cadeva assordavano i miei timpani, comprimevano il mio cervello, gelavano il cuore. Zayn si stava bagnando quasi quanto me, ma non sembrava importargli.
Avevo solo il volto di Harry davanti agli occhi. La sua muta preghiera quando il cellulare aveva vibrato nella mia tasca. Il suo sguardo, arreso, ma allo stesso tempo… onestamente, non ci avevo nemmeno fatto troppo caso. Mi si era semplicemente chiuso il cervello, la nausea aveva attanagliato lo stomaco, e avevo avvertito il bisogno di scappare. 
Rimanemmo per non seppi dire quanto tempo così, abbracciati sotto la pioggia, mentre mi consumavo di pianto. Poi, mi aveva detto di andare a casa sua, perché non avrebbe permesso che tornassi da Harry. Acconsentii, senza più neanche un briciolo di forza. Arrivammo nella dimora del moretto. Viveva lì con Niall, avevano preso un appartamento insieme. Liam abitava due isolati più in là, e Louis di fronte. Tutti, a dieci minuti da casa di Harry. Ahi. Al solo pensare il suo nome, avevo sentito una fitta al petto. Appena girò la chiave nella toppa, Niall si precipitò ad aprire.
– Holly! – Esclamò, e, lasciatami entrare, mi abbracciò anche lui. Chiusi gli occhi, abbandonandomi anche al suo affetto. Era caldo, sapeva di buono, dava i migliori abbracci del mondo. Sentii la testa girarmi un po’, a causa del tepore della casa, delle luci aranciate e della tv accesa su Mtv. Zayn posò la mia chitarra all’angolo, dopo averla capovolta per farne uscire l’acqua accumulata al suo interno.
– Ti bagnerai, così. – Dissi, con voce roca. Scosse la testa.
– Non m’importa. – E continuò a stringermi, cercando di scaldarmi con le braccia.
– Guardatevi, siete bagnati fradici! Fatevi una doccia, altrimenti vi ammalerete. Tanto abbiamo due bagni, Holly tu puoi andare nel mio. Sai già dov’è, no? – Annuii con la testa, e mi avviai su per le scale come un automa. Sentivo dei passi e dei bisbigli alle mie spalle, ma non me ne curai, più di tanto. Avevo solo voglia di piangere perfino i miei stessi occhi, sotto il getto bollente della doccia.
 
 
***
 
 
Dopo aver speso due considerevoli ore in bagno, aver asciugato la biancheria col phon e indossato una maglia di Zayn e dei pantaloni della tuta di Niall, ero scesa giù, in salotto. Mi sentivo uno straccio, come se un elefante si fosse divertito a ballarmi la polka addosso. Presi posto sul divano, stravaccandomi senza un minimo di ritegno.
– Come va? – Mi voltai, e vidi Niall comparire dalla cucina con un vassoio pieno di biscotti al burro e una cioccolata calda fumante. Tutte quelle gentilezze mi presero al cuore. Scoppiai a piangere come un’idiota. Il biondo sospirò, posò la cioccolata di consolazione sul tavolo e si sedette accanto a me, abbracciandomi.
– Va male, Niall. Malissimo! – Proruppi, coprendomi il volto con le mani. Che schifo. Non mi ricordavo che l’amore facesse così male.
– Lo so, per ora dici questo. Ma si sistemerà tutto…
– E invece no! La verità è che lui non ci ha mai creduto veramente! Ha sempre preferito Amanda!
– Questo non puoi saperlo.
Sollevai lo sguardo e vidi comparire Louis e Zayn, dalla cucina. Era stato Tomlinson a parlare. Pregai che con loro non ci fosse anche Harry. Non avrei risposto di me, altrimenti.
– Ti voleva bene davvero, Holly. Non ha mai preferito Amanda. – Disse Louis, prendendo un biscotto e sedendosi accanto a me, allungando i piedi sul tavolino. L’occhiata assassina che Niall gli riservò mi fece sorridere. Poi riflettei su quello che aveva appena detto, mentre osservavo Zayn buttarsi sulla poltroncina a destra.
– Louis, ti prego. Non ho bisogno di commiserazione. – Risposi, allungandomi per prendere la cioccolata. 
– Fon fi fto commiferando! – Disse, a bocca piena.
– Non ho capito una sillaba di quello che hai detto, Lou! – Intervenne Zayn, facendo zapping. Il castano deglutì.
– Ho detto che non ti stavo commiserando. Ero serio, per la prima volta nella mia vita! Credimi, conosco quell’idiota, e devi ascoltarmi se ti dico che ci teneva veramente.
– Lo dici sul serio? E allora che ci faceva con quella cazzo di bionda, in quello stramaledetto cesso?! – Scoppiai, per poi ingollare una sorsata generosa di cioccolata. Caspita, era veramente buona. Lo vidi tendersi per prendere un altro biscotto, e osservarlo attentamente. Iniziai a pensare che stesse aspettando che rispondesse per lui.
– Non lo so. – E alzò le spalle, mordendo il dolcetto. Sospirai, insofferente.
– O meglio… lo so. Ma non devo essere io a dirvelo.
– Che cosa?! Ora non metterti a fare l’amichetto del cuore, per favore! È una cosa seria! – Scattò Niall, che fino a quel momento era stato buono al mio fianco, ad accarezzarmi il braccio. Louis mangiò l’altra metà del biscotto.
– Appunto. A maggior ragione, sarà lui a parlarvene. In ogni caso, non è assolutamente come sembra. – Bevvi di nuovo. E cercai di calmarmi.
– Questo ha cercato di dirmelo anche lui, prima che lo spingessi via. Ma non lo giustifica assolutamente. Dire “non è come sembra” è la scusa più ovvia del mondo, Louis. E non mi aiuta di certo a credergli.
– Ma è così, devi fidarti.
– Ci ho provato, e guarda cosa ne è uscito.
Sospirò, vicino all’esasperazione.
– E invece, per questa volta, è così! Credi almeno a me! – Esclamò, fissandomi con quegli occhi azzurri che mai come in quel momento esprimevano così tanta serietà. Sostenni per un po’ il suo sguardo, poi tornai alla cioccolata. Non ero così sicura di poterlo reggere. Sapevo che era esattamente come sembrava - una sveltina al bagno delle ragazze -, ma qualcosa nelle parole di Louis mi ridiede un minimo di speranza. Un appiglio a cui augurarmi di potermi sostenere. Vuotai la cioccolata, e mi sentii leggermente meglio. Improvvisamente, avvertii il bisogno di scrivere. Ero sicura che versare la sofferenza nelle parole mi avrebbe aiutata. Posai la tazza ormai vuota sul tavolino e mi alzai.
– Adesso dove vai? – Chiesero in coro Zayn e Niall. Li guardai di sbieco. Come spiegarglielo? Nella maniera più ovvia. Erano del settore, se non riuscivano capirmi loro, chi avrebbe potuto?
– Ho bisogno della mia musica. Altrimenti penso che potrei scoppiare di nuovo. – Risposi, mi diressi all’angolo dell’ingresso dove Zayn aveva abbandonato Noel e la presi. Poi, salii in camera di Niall, chiudendo la porta. Rovistai nella sua scrivania, cercando un foglio e una penna, e provai ad accordare alla meno peggio la povera chitarra inzuppata. Quando raggiunsi l’accettabile, mi sedetti a terra a gambe incrociate, con la schiena contro la spalliera del letto del biondo. Sospirai, avvertendo la solitudine. Lasciai che il dolore fluisse nelle mie dita.
 
 
***
 
 
Quando uscii dalla stanza, Louis era andato via, e Niall preparava la cena. Zayn stava apparecchiando la tavola. Quell’atmosfera così familiare e dolce, benevola, mi attanagliò le viscere. Seppi all’istante che non avrei resistito ad un pasto insieme a loro, e mi attaccai al primo, stupido, folle pensiero che mi passò per la testa. I due dovevano essersi accorti della mia espressione sofferente nel vederli, e smisero di fare quello in cui erano impegnati.
– Tutto bene? – Chiese Zayn, facendo qualche passo avanti. Di riflesso, indietreggiai. Mi sentivo malsana, malferma e distrutta. Cantare mi era servito a lenire un po’ le sofferenze, ma poi, una volta buttato via il dolore sulla carta, ti sentivi vuota. Avevi una voragine dentro che urlava per essere colmata, e solo io sapevo come fare. Era una bestia affamata che si risvegliava con la luna piena, una sorta di licantropia mista al vampirismo. Iniziai a scuotere la testa, e barcollai, crollando in ginocchio a terra.
– Holly! – Il moretto mi corse incontro, scuotendomi le spalle gentilmente per cercare di farmi rinsavire.
– Sto… sto bene, devo uscire… ho… ho bisogno di… alcool. – Boccheggiai, cercando di rialzarmi, ma sentii le gambe ancora più gelatinose di prima.
– Cosa?! Spero scherzi! – Esclamò Niall, arrivando dalla cucina con un bicchiere di plastica. Me lo tese.
– Che roba è? – Mugugnai, squadrando la bevanda come un assetato in un deserto, in preda ad un miraggio.
– Acqua e zucchero. Forza, manda giù, non ti reggi in piedi! – Scossi la testa, impuntandomi.
– Non costringermi a costringerti! – Lo guardai male, e lui roteò gli occhi. Vedeva che mi ostinavo a tenere la bocca chiusa, così mi tappò il naso con due dita.
– Bevi. – Disse, con un tono così perentorio che allungai la mano e vuotai il bicchiere in un sorso, di mia volontà. Abbassai lo sguardo, e anche il braccio, lasciandolo cadere mollemente sulle mie gambe. Zayn era ancora accanto a me, stringendomi le spalle con il braccio.
– Va meglio? Ehi?
Annuii. Mi si appannò la vista. Menomale che avevo passato la rehab. Che ero fuori dall’alcool. Proprio come tre anni fa, appena il dolore si faceva sotto, scappavo. Cercavo rifugio nella vodka, nel rum, in qualunque alcolico che distruggesse fegato e dignità. Mi facevo schifo da sola. Debole. Ero ancora debole. Come avrei fatto a resistere per un anno intero, se poi avessi dovuto coabitare con la causa della mia gioia e del mio dolore, insieme? Ne sarei uscita devastata. Come se già il dolore che stessi provando in quel momento non fosse abbastanza.
Mi accasciai a terra, circondandomi le gambe con le braccia e nascondendovi il volto. Scoppiai di nuovo a piangere. Ma quella volta, mi abbracciarono entrambi, in silenzio. I singhiozzi mi sconquassavano la gabbia toracica. Per la prima volta in tre anni, mi chiesi cosa ne sarebbe stato di me. Mi preoccupai del mio possibile futuro.
 
 
***
 
 
A cena non toccai quasi cibo, Niall dovette praticamente obbligarmi a mandare giù un po’ di pane e della carne, facendo leva su quanto si fosse impegnato a cuocere la fettina in padella e sui miei sensi di colpa. Passai il resto della serata sul divano, distesa a guardare Cinderella Story su Sky. I ragazzi mi lasciarono sola, comprendendo che avessi bisogno dei miei spazi. Niall suonava la chitarra in camera sua, mentre sentivo Zayn digitare chissà cosa sulla tastiera del suo portatile, dal tavolo in cucina. Tornai a guardare la tv. Quella era la scena che adoravo più di tutte. Sam guardava indignata Austin, sotto la pioggia, dopo che quella troietta della ex di lui l’aveva pubblicamente umiliata. Alzai il volume.
– Perché sai, Austin… aspettare te, è come aspettare la pioggia durante la siccità…
– Inutile e deludente. – Dissi, insieme ad Hilary Duff. E piansi nuovamente, come una stupida, perché era dannatamente vero. Nella mia testa, ero io al posto di Sam ed Harry di Austin. Aspettare lui era inutile e deludente. Proprio come nel film. La stessa schifosa situazione. Solo che Cinderella Story finiva bene: loro due si mettevano insieme e tanti saluti alla matrigna e alle sorellastre. Perché quella cosa del tragico destino che poi si risolveva quasi per magia all’ultimo, con un atto disperato degno da premio Oscar, andava benissimo per il cinema e la letteratura. Spopolava anche in musica, non dimentichiamocelo. Eppure, nella vita reale, era piuttosto l’inverso.
Le situazioni disperate restavano tali e solo raramente si cambiavano in meglio. Avevo iniziato a pensare che forse, per me, ci sarebbe stata la luce alla fine del tunnel. Questo, prima di ore fa. Nel giro di un secondo, avevo perso il ragazzo migliore che avessi mai avuto. Già, proprio come Hilary Duff nel film. Ma come si sarebbe conclusa la mia vicenda?

 

Nota: mi sono accorta di avere un sacco di capitoli arretrati di questa storia. E lo so che il mio stile è cambiato, ed è vecchia di anni. Ma non importa. Ho deciso di riprendere la sua pubblicazione. Nonostante Zayn non sia più parte dei One Direction e siano successe tante cose. Questa storia merita di avere una fine, ci sono cresciuta insieme, come per The Paper Boy. Così, riprenderò con gli aggiornamenti, ogni tre giorni.
Spero che quelli di voi che la seguivano, abbiano ancora la curiosità di sapere come si sarebbero evolute le cose. E sappiate che ho letto ogni singolo messaggio e recensione, dove mi chiedevate se io avessi deciso di abbandonare la storia. Beh, non è così. Vi scrivo con la certezza di essere qui per completarla!
E vi lascio anche un paio di links utili, che vi rimanderanno alle mie nuove longs e al mio account Wattpad! Grazie mille a chi ha avuto la forza di attendere questo momento e, a chi leggerà questi capitoli per la prima volta... benvenuto!



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Capitolo 17
*** 16. (Trying to) Pick up the Pieces ***




16.
(Trying to) Pick up the Pieces





«Didn't they tell us don't rush into things,
Didn't you flash your green eyes at me,
Didn't you call my fears with the cheshire cat's smile?
Didn't it all seem new and exciting?
I felt your arms twisting around me,
It's all fun and games 'til somebody loses their mind…»

(Taylor SwiftWonderland)
 
 
 
 
Malik and Horan’s House, cucina.
Al culmine.
Zayn’s PoV

 
 
Se non avesse avuto una spiegazione almeno plausibile, avrei gonfiato Harry di botte. Eccome. L’aveva distrutta. Era già piuttosto fragile, nonostante si sforzasse di apparire sempre spavalda, sarcastica, ironica, forte.  Ma quel colpo di vento era stato troppo persino per un ramoscello mascherato da baobab come lei.
Dopo l’emozione per aver passato il provino per cui si era tanto impegnata per giorni, la foto devastante aveva spazzato via tutta l’allegria del momento. E io bruciavo di rabbia. Volevo spiegazioni, ne esigevo. L’avevo sentita nuovamente piangere, mentre il film finiva. Ogni singhiozzo era come una coltellata, perché ero cosciente del fatto che, per lei, potessi fare ben poco. Non avrei potuto soffocarla con la mia presenza, aveva bisogno dei suoi spazi. E così, si era ammazzata di lacrime. Poi, aveva spento la televisione, e immaginai che dovesse essersi addormentata. Non se lo meritava assolutamente. Dopo tutto quello che aveva passato… vidi Niall entrare in cucina, affranto quanto me. Si avvicinò al frigo e l’aprì, tirando fuori un involto della pasticceria. Ah, già.
– Ora che ne facciamo di questa? Mi sento male solo a pensare di fargliela vedere…
– Buttala.
Avevamo comprato una torta ad Holly, dando per scontato che superasse l’audizione. In caso contrario, gliel’avremmo presentata come “premio” di consolazione. Infatti, le nostre previsioni si erano rivelate giuste, ma poi tutto era andato allo scatafascio. E in quel momento, quel dolce con la glassa multicolor e la scritta: “Holly Rocks!” sembrava un’elefantiaca presa per il culo. Abbastanza crudele, per giunta.
– Ma è uno spreco.
– Non so che dirti. Io non la mangerò. – Uscii da Twitter e richiusi il portatile, stomacato. Niall sospirò e, sofferente, si diresse al cestino, l’aprì e vi gettò il dolce intero. Che bella fine che aveva fatto. E pensare che quando l’avevamo comprata, ci eravamo immaginati in maniera totalmente diversa come sarebbero dovute andare le cose. La musica avrebbe dovuto farsi sentire a palla fino in strada, Louis avrebbe dovuto ballare la lap dance sul tavolo, mentre tutti noi lo incitavamo, e Harry e Holly avrebbero dovuto trascorrere una bella serata. Sì, come no. Bell’epilogo, lei che piangeva guardando Hilary Duff, e lui che condivideva stati pietosi su Twitter.
– Non se lo meritava. Insomma, avrei voluto mangiare quella torta insieme a Holly. Non gettarla nel cestino dei rifiuti, e vedere lei accartocciata sul divano con gli occhi gonfi di pianto. – Commentò il biondo, pulendosi le mani sotto l’acqua corrente, l’espressione afflitta in volto.
– Credi che non lo sappia? Fatico perfino a pensare che sia tutto come sembra.
Suonò il campanello. Ci guardammo, e poi occhieggiammo l’orologio. Le undici di sera. Niall fece spallucce, così mi alzai ed andai ad aprire.
– Posso entrare?
Proprio la persona che avevo bisogno d’incontrare.
Harry stava in piedi davanti all’uscio, tormentandosi la sciarpa, stretto nel suo giacchetto. L’aria fredda delle serate d’ottobre inglesi si faceva sentire. Non parlai, ma gli permisi di varcare la soglia. Richiusi lentamente la porta, aspettando che prendesse parola. Invece, si avvicinò piano al divano dove era stesa Holly. Riposava con la bocca socchiusa, e un braccio sulla fronte. Aveva ancora gli occhi umidi. Dedussi che dovesse essersi addormentata piangendo, e mi dispiacque ancora di più per lei. Harry le sfiorò la guancia con le dita, come se avesse paura di farle del male. Mi spostai, per guardarlo in volto, almeno avrei capito se mentiva. Quello che vidi, mi lasciò interdetto.
Il riccio si morse il labbro inferiore, e chiuse gli occhi, coprendosi il volto con la mano. Avevo visto qualcosa scintillare, sui suoi zigomi. Si accovacciò accanto al divano, lasciandosi cadere a terra, rovesciando la testa all’indietro, abbandonando se stesso. Stava piangendo anche lui. Distolsi lo sguardo, era troppo. Anche Niall abbassò gli occhi, dalla sua posizione a braccia incrociate, appoggiato allo stipite della porta che dava sulla cucina. Harry soffriva. Provava un sordo e cieco dolore, riuscivo ad avvertirlo perfino io. E in quel momento, capii che Louis era stato sincero, quando ci aveva detto che “non era come sembrasse”. C’era di più, sotto. Era cosciente del guaio che aveva scatenato, e se la prendeva in primis con se stesso. Mi voltai, e vidi che aveva riaperto gli occhi, ma naso e bocca erano ancora coperti dalle mani. Aveva un’espressione stremata, distrutta. Mi dispiacque anche per lui. Forse era stato un bene portargli via Holly, per quella serata. Non avrebbe retto, altrimenti.
– Ok. Devo… devo parlarvi. – Disse, rialzandosi da terra con fatica, come se ogni movimento gli costasse uno sforzo supremo. Ci dirigemmo in cucina, e Niall richiuse la porta, per evitare che le nostre voci disturbassero il sonno di Holly. Harry si stravaccò sulla prima sedia libera, io mi appoggiai al bancone, il biondo si accucciò a terra, a gambe incrociate. Pendevamo dalle labbra del riccio. Si ravviò i capelli, sospirando.
– Immagino che Louis vi abbia già accennato qualcosa, giusto? Bene, sono venuto per dirvi la verità. Non è stata colpa mia, e ora vi spiegherò anche perché.
 
 
***
 
 
– Cioè, tu vuoi farci capire che è stata Amanda a fare tutto?! – Chiese Niall, costernato. Mi guardò, con la muta domanda riguardante la verità delle parole del riccio. Annuii. Non aveva mentito una sola volta, da quando era entrato. Quella grande stronza di Amanda aveva organizzato tutto nei minimi particolari, e poi aveva fatto in modo che la colpa cadesse su di lui, com’era ovvio che fosse.
– Certo. Che motivo avevo per tradire Holly, spiegamelo! – Rispose, alzando leggermente la voce. Gli intimai di abbassare il tono.
– Sai che non ti crederà mai, vero? – Gli domandai. Annuì, sofferente.
– Dovete aiutarmi a farla ragionare. Non ce la farò mai da solo.
– Intanto comincia col parlarle, poi rifletteremo sul da farsi. – Dissi, e lui mosse il capo affermativamente.
– Inutile tentare di far sparire quella foto dalla rete, eh?
– Negativo, Harold. Ormai sei stato immortalato e spedito a tutto l’istituto. Preparati alle occhiate assassine delle ragazze a scuola, domani.
Mugolò sofferente, passandosi la mano sulla faccia. Poveretto. Ora che sapevo come stavano le cose, mi sentivo un po’ un ipocrita a parlargli così, dopo che avevo desiderato seriamente di prenderlo a schiaffi. Mi sarei fatto perdonare.
– Quand’è che tornerà a casa? Carl vuole saperlo… e anch’io. – Doveva mancarle molto. Feci un breve calcolo.
– Un paio di giorni. È ancora troppo presto lasciarla una giornata intera sotto il tuo stesso tetto. Mi dispiace, Harry.
– Già, anche a me. – Rispose, abbassando lo sguardo, afflitto. Niall ruppe il silenzio con un colossale sbadiglio.
– Scusatemi, ho proprio sonno. È che tutta la giornata mi ha devastato. Vado a letto, ci vediamo domani a scuola. Ciao Harry.
– Ciao, Niall.
Rimanemmo da soli. Gli diedi una pacca amichevole sulla spalla, ma il riccio continuò a guardare nel vuoto, assente. Era quasi peggio di quando lui e Caroline avevano rotto. Almeno, se piangeva e si lamentava, era più facile da gestire. Col silenzio, invece, iniziava a sfuggirmi di mano.
– Quando tornerà a casa, le parlerò.
– Bravo. Ma non assillarla. – Ancora silenzio.
– Non ce la faccio a vederla così, capisci? Se poi penso che è tutta colpa di Amanda e della mia lentezza mentale…
– Smettila, Harry. Quel che è successo è successo, adesso possiamo solo tentare di rimediare. Ora va’ a casa e fatti una bella dormita. Sembri uno zombie coi ricci. – Rise, anche se con poca voglia. Almeno reagiva, era comunque un buon segno. Lo accompagnai alla porta.
– Harry… – ci voltammo entrambi. Holly sembrava dormire tranquilla, anche se con espressione abbastanza tesa. Aveva parlato nel sonno. Sicuramente sognava di lui. Lo vidi intristirsi ancora di più, e lo abbracciai, dicendogli che le cose si sarebbero sistemate. Avevo perso il conto di quante volte l’avessi detto, in tutta la giornata. Mi salutò senza vitalità, e quando richiusi la porta, avvertii come un senso di vuoto. Presi Holly in braccio e la portai al piano di sopra, sul mio letto. L’adagiai con calma, facendo attenzione a non svegliarla, poi richiusi la porta. Rimasi alcuni istanti a fissare il vuoto, rimuginando su tutti gli eventi delle ultime ventiquattrore. Che gran bel casino.





Nota: eccoci col nostro consueto aggiornamento! Ammetto che rileggere questi capitoli dopo così tanto tempo, mi fa sempre un certo effetto. Dunque, cosa abbiamo qui? Un Harry disperato (all'epoca in cui scrissi questa storia, lui aveva all'incirca 17 o 18 anni, i ricciolini corti e molti meno tatuaggi... mi sembra ieri), uno Zayn confuso e un Niall assonnato. Tris letale. Ma non adagiatevi sugli allori. Presto, molto presto, succederanno un sacco di intrighi, parola mia!
Questa sera il mio angolino autrice è molto small, ma ben concentrato! Come ho già scritto sul profilo wattpad, ho creato una pagina facebook per tenermi in contatto con voi tutti che leggete le mie storie! E' ancora work in progress, ci sono pochissimi "mi piace" e gli unici post sono link di canzoni e gli aggiornamenti delle storie, ma... se riuscisse a crescere, diverrebbe sicuramente più dinamica, hahahah!
Quindi, ho anche deciso di raggruppare tutti i link di rimbalzo (il nome che ho partorito la dice lunga) sotto il nome di "#Advertisings", dove vi lascerò tutti i vari bannerini! Passo ai miei consueti ringraziamenti (per tutti coloro che leggono, preferiscono, seguono, ricordano e recensiscono: lots of love) e... ai prossimi aggiornamenti!!


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Capitolo 18
*** 17. The New Song ***




17.
The New Song




«You make your way into my veins,
Course right through my limbs and dig your way into my brain,
So in the second that you walk, walk into a room,
I can't help myself from the things that you do.


Oh, you're killing me right now.
I think it's time you burn me down.
»
(PVRISSmoke)
 
 
Holmes Chapel Comprehensive School, parcheggio.
Rifiutandosi di uscire.
Holly’s PoV
 

 

– Devo proprio?
– Sì, Holly. Scendi.
Lo guardai male. Solo a trovarmi di nuovo in quel parcheggio, mi veniva la nausea. La sera precedente mi ero addormentata sul divano, e Zayn doveva avermi spostata nel suo letto. Faticavo ad accettare che appena ventiquattrore prima la mia vita poteva ancora sembrare normale. In cinque minuti, avevo guadagnato un ruolo da vocalist nella band della HCCS, e perso il ragazzo migliore che avessi mai avuto. E in quel momento mi rifiutavo di scendere dalla macchina di Malik, perché avrebbe significato affrontare un nuovo giorno di scuola, vedere Amanda, e… Harry.
– Zayn, non puoi obbligarmi! E io non intendo scendere.
– Invece posso. Forza, Holly, non puoi piantare la scuola per questo. E poi…
– Poi cosa? Ti sembra una situazione facile? Io ora metterò piede fuori da quest’auto, e tutti quanti cominceranno a guardarmi e a compatirmi, a parlarmi alle spalle dicendo: “povera Holly”! Capisci? Queste cose non le sopporto, manderò a ‘fanculo tutti quanti! Ti prego, lasciami qui! – Ormai lo stavo supplicando. Ma lui sembrava irremovibile. Scosse la testa, poi spostò il suo sguardo su di me. Sbuffai.
– Ascolta, Holly, forse dovresti cominciare a riflettere su quello che ti ha detto Louis, ieri sera. Magari le cose non sono davvero come sembrano…
– No, Malik, non mettertici anche tu, adesso! Capisco che Harry per voi sia come un fratello, ma ora basta! A tutto c’è un limite, e lui l’ha passato di brutto.
– Ma se non hai ancora ascoltato quello che ha da dirti…?!
– Ah, vuole parlarmi? Bene! Venisse a cercarmi, e allora forse lo ascolterò. Anzi, no. Non voglio vederlo, non oggi. Discorso chiuso.
Aprii lo sportello irata, lo sbattei e m’incamminai verso l’ingresso della scuola. Alla fine c’era riuscito, ero finita fuori dalla macchina. Entrai nell’edificio, e già qualcuna del primo anno, con la sua divisa da suorina, mi lanciò occhiate di compatimento. Roteai gli occhi, e l’ignorai.
Arrivai al mio armadietto, e suonò la campanella. Pian piano i corridoi si popolarono, ma stranamente c’era un chiacchierio sommesso che conoscevo fin troppo bene. Come se mi servisse un’indovina per sapere che ero sulla bocca di tutti. Cercai il libro d’inglese, imponendomi di non badare a nessuno. L’occhio mi cadde sulle foto appiccicate allo sportello dell’armadietto. I ragazzi. Me e Kate. Harry ed io. Sorridenti, vicini, quando ancora non c’erano tutti quei problemi. Mi venne l’impulso di prenderla e strapparla, ma mi trattenni dal farlo.
– Ehi, Holly.
Sentii il sangue ribollirmi. Mi voltai lentamente, e vidi niente meno che Amanda Levinski. Sorrideva compiaciuta. Era evidentemente felice di avermi rovinato l’esistenza, e conoscendola, si era anche vantata di tale prodezza con almeno trenta delle sue amiche-marionetta.
Strinsi i pugni, il corridoio piombò nel silenzio. Erano tutti attenti a guardare lo spettacolo. Le due gatte affilavano gli artigli prima della zuffa. Bene. Avrei dato loro qualcos’altro di cui parlare, quella mattina. Perché non avevo nessuna voglia di trattenermi.
– Spero che non te la sia presa troppo per la foto, ieri pomeriggio. Non so proprio…
– Foto? Scusami, Amanda. Con che faccia pretendi di arrivare qui a parlarmi di come ti scopi il mio ragazzo? – Sbarrò gli occhi, il sorriso le morì in faccia. Non si aspettava una risposta come quella. Onestamente nemmeno io, era uscita fuori da sola.
– Come ti permetti di parlarmi in questo modo?
– Io dico quello che mi pare e piace.
– Non in questa scuola.
Risi, sarcasticamente. Non in quella scuola? Chi si credeva di essere?
– Ah, sì? Chi me lo vieta?
– Stai attenta, Holly Sullivan. Qui dentro, non conti niente. – Sorrise, perfidamente. Credeva di avermi affondata con una battuta così ovvia. La guardai, esprimendo tutto l’odio di cui ero capace con una sola occhiata. Decisi che sarebbe stato meglio concluderla lì. Ma per uscire di scena, mi serviva il colpo da maestro.
– Allora, stabilisci la popolarità di questo. – Alzai il medio e le sorrisi. Tutti quelli che si erano affollati nel corridoio proruppero in esclamazioni d’approvazione, fischi e commenti poco carini su Amanda. La bionda divenne rossa come un pomodoro, ridotta al silenzio dalla rabbia. Chiusi l’armadietto con uno scatto secco e me ne andai.
– Non sai contro chi ti stai mettendo, Holly! Posso distruggerti, e lo farò! – Esclamò, sovrastando la sollevazione di popolo che avevo scatenato. Mi fermai. Quello era veramente troppo. Iniziai a vedere tutto rosso.
– Va bene, Amanda! Schiacciami, polverizzami! Mi hai già tolto l’unica persona che avessi mai amato davvero, peggio di così non potrà mai andare! Avanti, fammi vedere quello di cui sei capace! Non ho paura di te! – Urlai, sentendo il fuoco risalirmi dallo stomaco alla gola, alle mani, alle guance e agli occhi. Distruggermi? Mi aveva già distrutta, più in basso di dove mi trovavo, non avrei saputo discendere. E poi, non avevo realmente paura di una troietta come quella. Non aveva mai conosciuto Sunshine. Nemmeno lei sapeva di cosa ero capace io.
Gli studenti iniziarono di nuovo a rumoreggiare, spintonandosi e alzando la voce. Vedemmo la porta dell’aula professori aprirsi, e ne uscì la All Saints, di letteratura. Anche quella mattina indossava un vestito anni ’50 con delle calze nere e delle classiche ballerine. Vestiva sempre in maniera casual chic, mi piaceva. Un po’ mi dispiacque che avesse ascoltato quella lite. Si tolse gli occhiali da lettura, arrabbiata come non mai.
– Cos’è tutto questo caos?! Non avete una classe in cui andare? Forza, disperdetevi! Non siamo al Globe Theater, finitela di fare chiasso! – Abbaiò. Rapidamente, il corridoio si svuotò. Vidi Amanda lanciarmi un’ultima occhiata di fuoco, per poi confondersi con la massa di studenti che avevano musica in prima ora. Mi voltai, avevo gli occhi lucidi. Avanzai di qualche passo, neanche facendo troppo caso a quello che facessi, e andai a sbattere contro una polo blu scuro e una giacca grigio chiaro. Alzai lo sguardo, e vidi Harry. Mi osservava, preoccupato. L’ultima persona che avrei voluto vedere proprio in quel momento. Ovviamente aveva assistito alla scena. Ovviamente mi compativa. Ovviamente, non avrei avuto il coraggio di parlargli.
– Holly…
– No. Ti prego… – dissi, e scoppiai a piangere proprio davanti a lui. Cercai di asciugarmi gli occhi con le mani, e corsi in bagno. Non avrei mai potuto dimenticare il suo sguardo. Triste. Dispiaciuto.
Maledissi Amanda.
 
 
***
 
Non seppi in che modo riuscii a tirare fino alla fine della prima parte della giornata. Decisi di saltare il pranzo, uscendo fuori e continuando a lavorare alla canzone che avevo cominciato il giorno prima. Non avevo fame, e poi non mi andava di sedermi allo stesso tavolo di Harry, e vedere Amanda.  Gli altri avrebbero capito. Molto probabilmente Zayn sarebbe venuto a farmi compagnia da lì a poco.
Mi appoggiai con la schiena al tronco dell’albero, in giardino. Era una bella giornata, anche se faceva un po’ freddo. Tirai la zip del cappotto fino al massimo, e scrissi una strofa.
– Niente pranzo, oggi? – La luce che illuminava il foglio venne oscurata dalla sagoma di una testa. Alzai lo sguardo. Era… Ross. Il chitarrista dei Twisted, la band in cui ero riuscita ad entrare, prima del casino. Sapevo che avrei dovuto occuparmi anche di loro, ma li avevo relegati in un misero recesso della mia testa, come se appartenessero ad una realtà diversa. Sorrisi debolmente al biondo, e scossi la testa, per poi ributtarmi sul foglio. Lo vidi con la coda dell’occhio, si sedette accanto a me. Sapeva di buono.
– Mi dispiace per… sai…
– Non preoccuparti. – Scattai, impedendogli di finire la frase. La foto, ovviamente. Strappò un filo d’erba, e io mordicchiai il tappo della penna.
– Alla fine non abbiamo neanche avuto il tempo di parlarci, ieri. Sei scappata via subito dopo l’audizione. – Annuii. Aveva ragione, non mi ero comportata proprio bene. Ma non avrei potuto fare diversamente.
– Lo so, scusatemi. È che non ho capito più niente…
– Tranquilla, succede. Comunque oggi ci vediamo a casa di Adam, dopo la scuola. Per provare. Vieni, vero? – Chiese, sorridendo. Era gentile, non mi aveva nemmeno sgridata per averli piantati, ieri. Sospirai.
– Sì, ma non ho idea di dove abiti…
– Ti accompagno io. Ho due caschi per la moto, non ci sono problemi.
– Lo faresti?
– Certo. – Si rialzò, spolverandosi il retro dei jeans dalla polvere e terriccio. Gli sorrisi, ringraziandolo.
– Stai lavorando ad un nuovo testo? – Chiese, spiando la grafia al contrario sul foglio bianco. Sentii il cuore accelerare i battiti. Quella canzone era piena di Harry, dolore e sofferenza. Sperai che non mi sbattessero fuori dalla band, se gliel’avessi presentata.
– Già… però non è molto allegro.
– Non importa. Tanto dobbiamo rivoluzionare il nostro repertorio, proporre i pezzi che scriveva Hayley è impossibile. E poi, dopo Fall Into Me, stai sicura che non rifiuteremmo mai qualcosa scritta da te. A patto che non sia troppo commerciale…
– Commerciale io?! Ma per chi mi prendi? Le mie canzoni sono profonde e sentite! – Risposi, facendogli una linguaccia. Rise, e alzò le mani in segno di resa.
– Va bene, la smetto! Infondo, ormai sei la vocalist, non posso prenderti troppo in giro. – Disse, sorridendomi. Scossi la testa, alzando un sopracciglio.
– Appunto, ho un ruolo importante, rispettalo.
– Ok, ok! Ora torno dentro. Ci vediamo dopo… buona scrittura!
– Grazie… – e lo vidi incamminarsi verso l’entrata della scuola, con andatura lenta e sicura di sé. Era pure un bel biondo, oltre che estremamente gentile. Fui contenta di essere parte della sua band.
Pochi istanti dopo, dalla stessa porta dalla quale era sparito Ross, comparvero Zayn e Kate. Li osservai avvicinarsi, sospirando. Perché ero dovuta incappare in quella schifosissima situazione? Perché ero costretta ad evitare Harry, quando l’unica cosa che volevo era stare insieme a lui?
– Cos’è questa storia che salti il pranzo, eh? – Mi chiese Kate, sedendosi vicino a me, e tirando fuori dallo zaino una fetta di dolce. Me la porse, ma le riservai un’occhiataccia.
– Ah, no. Ieri sera mi ci sono impegnata, per fare questo ciambellone. Il minimo che puoi fare per ringraziarmi è assaggiarlo.
– Ma non ti ho chiesto io…
– Mangia e zitta. – Rispose, consegnandomi il dolce e sistemandosi bene sul prato. Zayn era in piedi davanti a noi, lanciava occhiate alle finestre della scuola che affacciavano sul giardino.
– Sai che odio quando le ragazze discutono pubblicamente, ma oggi hai fatto bene. – Mi disse. Addentai il dolce, e lo guardai interrogativa. Poi capii.
– Pafli di Amanfa?
– Mi sembri Louis! Deglutisci, prima di parlare! – Esclamò, ridacchiando. Sorrisi, e deglutii. Tomlinson mi aveva attaccato la sua mania di parlare nonostante stesse anche mangiando.
– Ho detto… parli di Amanda?
– Già. Non mi è piaciuto il modo in cui ti ha trattata, ma per fortuna l’hai messa bene a posto.
– E ti dirò di più… mi hanno detto che ha passato metà della prima ora in bagno con Nadia, piangendo e insultandoti. – Riferì Kate, guardandosi le unghie laccate di rosa antico. Sorrisi, beata.
– Bene. Anche se non so cosa aspettarmi di preciso da una come lei, ora…
– Per adesso, niente. Amanda elabora, non agisce subito. Ma non mi preoccuperei più di tanto. – Disse la ragazza, e guardò Zayn. Quello scambio di occhiate m’insospettì.
– Zayn…
– Sì?
– C’è qualcosa che devo sapere su… Harry? – Mi ci volle una grande forza di volontà per pronunciare quel nome ad alta voce, e lo notarono entrambi. Malik sospirò, infilando le mani nelle tasche del suo cappotto di panno, molto british.
– Vuole parlarti, Holly. Ma se tu continui ad evitarlo, non v’incontrerete mai. Ti suggerirei di ascoltarlo.
– Invece è proprio questo il mio scopo! Non voglio vederlo, oggi. Non ce la faccio, semplicemente. Lo scontro con Amanda mi ha esaurito le energie.
– Non sei curiosa almeno un pochino di sentire cosa ha da dirti lui, sulla foto? – Chiese Kate, speranzosa. Morivo dalla voglia di ascoltare Harry, ma m’imponevo il contrario, così come vietavo categoricamente alle lacrime che mi premevano sotto le palpebre di uscire. Speravo che Zayn e Louis avessero ragione, che le cose non potessero essere come sembravano, ma mi ostinavo a credere che lo fossero. Non potevo essere così fortunata da capitare in un malinteso, no. Quelle cose accadevano solo nei film e nei libri, la mia vita era l’apoteosi della sfiga, mica una telenovela.
– Se ti dicessi che mi manca da morire, ritornerebbe? No. Quindi che senso ha essere curiosi della sua versione dei fatti? Non cambia quello che è già successo.
– Sì, ma promettimi che ti sforzerai di ascoltarlo, Holly. Se non oggi, almeno domani o dopodomani. Ma fallo per lui. Avete bisogno di parlare. Non ce la faccio più a vederti così giù, e a sentire tutti i sospiri di Harold. È addirittura peggio di quando ha chiuso con la Flack! – Esclamò Zayn, esasperato. Sbarrai gli occhi, e ridacchiai.
– Ma davvero?! Perché? Racconta!
– Che c’è da raccontare? Quando Tic-Tac-Flack l’ha mollato, ha passato un giorno intero a piangere, e quello dopo ad ascoltare i Backstreet Boys. Ed è dura vedere uno come lui che vive di Queen e Beatles consacrarsi alle lagne post-rottura. O piangeva, o si lamentava. – Disse il moro, e io ero tutt’orecchi. Incredibile. Passare dai Fab Four ai BSB. E tutto per quell’idiota della Flack. Appena avessi avuto abbastanza coraggio da rivolgergli di nuovo la parola, l’avrei preso a parolacce, per quello.
– Almeno, se desideravi picchiarlo, non avevi nemmeno troppi rimorsi di coscienza. Adesso invece mi deprimo solo a guardarlo! Louis non ce la fa più, non l’ha mai visto così silenzioso. Non vuoi che i One Direction si sciolgano, vero?
– Addirittura? Per colpa dei sospiri di Styles?
– Vorrei vedere te, se il tuo migliore amico esuberante diventasse all’improvviso depresso, triste e senza vita!
– Scusa, scusa! – Commentai, pulendomi le mani dalle briciole del dolce di Kate, che nel frattempo avevo finito. Alzai lo sguardo verso le finestre della mensa, e vidi Harry fissare il suo piatto e Louis con il volto fra le mani. Dietro di loro, Liam e Niall cercavano di far conversare il ricciolino. Effettivamente, non mi sembrava proprio al massimo della felicità neanche lui.
Iniziai a sentire freddo, e calcolai che ormai doveva mancare poco al suono della campanella. Piegai il testo della canzone in quattro parti e mi rialzai. Diedi qualche colpetto alla gonna per pulirla, e Kate m’imitò. Zayn occhieggiò il rettangolino bianco che mi ficcavo nella tasca del giubbotto.
– Nuova canzone?
– Sì. Quella che ho cominciato ieri.
– Fammi indovinare… parla di lui. – Disse, passandomi il braccio attorno alla vita. Mi strinsi al suo cappotto e c’incamminammo verso l’entrata dell’edificio, Kate camminava pensierosa accanto a noi.
– Già. Potrebbe essere altrimenti?
– Se solo sapesse… – disse, lasciando la frase in sospeso. Sapesse…?
– Che cosa? Quanto sono sfigata?
– No. Tutto l’impegno che metti nello stare con lui, anche in momenti come questo.
Non risposi. Riflettei su quello che aveva detto. Mi chiesi se le altre ragazze con cui era stato gli avessero mai scritto dei testi.
 
 
 

Irigoyen’s House, garage.
La prima prova col gruppo.
Holly’s PoV
 

 
Dopo la scuola, ero salita sulla moto di Ross, ed eravamo sfrecciati verso casa di Adam, sotto lo sguardo apprensivo di Harry. Ammettevo di essermi voltata indietro verso di lui, mentre il biondo sgasava. Avevo colto anche un po’ di gelosia nel suo sguardo, e ne fui contenta. Si è gelosi di qualcosa solo quando ci si tiene veramente.
In poco tempo eravamo arrivati dal batterista, che abitava dietro St. Luke’s Church, poco lontano dalla panetteria. Il viaggio in moto mi aveva riportato per poco ai tempi del giro, quando mi scarrozzavano di pub in disco, allacciata dietro questa o quella schiena, assolvendo al programma serale quotidiano di auto-distruzione. Invece, in quel momento, stavamo semplicemente andando a provare con la band. Niente droga, né sesso, né alcool. Che cambiamento, eh?
Smontai dalla vettura, e mi tolsi il caso, scuotendo i capelli. Non volli sapere in che condizioni fossero. Adam uscì dal garage, accogliendoci.
– Ciao Holly! Benvenuta nel covo dei Twisted! Che poi sarebbe il mio squallido garage, ma ci si arrangia come si può… – disse, illustrandomi lo spazio dietro la saracinesca, affollato di cavi, strumenti e lattine di Pepsi. Somigliava molto al garage di casa mia, ma lì al posto della Range Rover Sport, troneggiava una bella batteria. Era anche più spazioso, e non c’erano né bici vecchie, né scatoloni ingombri di ricordi d’infanzia, o robaccia da meccanico. Sembrava una sala prove allestita alla bell’e meglio. Vidi Brendan, che stava accordando il basso seduto sull’amplificatore.  Si alzò e venne a salutarmi.
– Ehi ragazzi… Holly ha un pezzo nuovo! – Decretò Ross, entrando a sua volta nel garage, e lasciando cadere lo zaino a terra. L’altra metà dei Twisted mi guardò come se fossi una montagna d’oro. Ridacchiai.
– Non prendetelo troppo sul serio! Diciamo che manca ancora la fine, ed è triste da morire. Siete proprio sicuri di voler sentire com’è? – Chiesi, passandomi una mano fra i capelli, imbarazzata. Adam si accomodò per terra a gambe incrociate, e Brendan si sedette sul divanetto rosso attaccato al muro, dove erano abbandonati una chitarra classica e parecchi spartiti.
– Certo, sorella! Sappi che qui non si butta niente. – Commentò Adam, sorridendo. Risi. Niente, mi metteva di buon umore, e aveva proprio i modi che mi ero immaginata.
– Posso prendere quella? – Domandai, indicando lo strumento che languiva muto accanto a Brendan. Il ragazzo me la passò.
– Ovvio. È di Ross, ma se serve a te, usala. – La presi, e mi sistemai a terra, di fronte ad Adam. Persi qualche minuto per accordarla, durante il quale Ross sparì in casa, e tornò con quattro lattine di Pepsi nuove. Aprì la propria, e si appoggiò con la spalla allo stipite della porta, aspettando. Brendan mi osservava pizzicare le corde, e Adam si rigirava le enormi cuffie fra le mani. Quando ebbi finito, tirai fuori il foglio bianco, e lo stirai un po’ con le mani, per eliminare qualche piega. Sospirai.
– Va bene, andiamo. Si chiama “Hangover”. Se non vi piace, fermatemi subito, ok?
– Lascia parlare la chitarra, ragazza. – Commentò Adam, e risi. Presi fiato, e attaccai.
 
Hit me out of nowhere like a car crash on the street,
Suddenly colliding into me,


Perché quella foto mi aveva letteralmente colpita, come una macchina che sbucava dal nulla. Presa in pieno. Travolta.
 
Now I'm broken, bruised and beat up,
Tangled in my sheets,

 
Mi ero rotta in mille pezzi, come un vaso di cristallo che rovinava in terra. Come se la mia vita fosse stata una pila di fogli, e una raffica di vento freddo l’avesse sparsi per la stanza. Sconvolti in maniera caotica, rapida e disordinata. Senza via di scampo. Perché era successo tutto quel casino, proprio quando credevo di aver trovato la persona giusta?
 
How can this feel so bad when you seemed so good for me?
 
Cambiai accordo, partii col ritornello.
 
Oh my god, what's wrong with my head?
Sweating with the chills, still in my bed,
Tell me how I'll ever make it through...?


Impazzivo, quasi. E tutto per colpa della sua mancanza.
 
It's the short hellos and the long goodbyes,
The shake in my lip from the look in your eyes
Makes me wanna die,
I've got the worst hangover from you.

 
Sì, mi ero presa la peggior sbronza. Perché ero ubriaca di lui. Attaccai la seconda strofa. Credevo di poter nuotare in quella sensazione, pensavo di saper stare a galla. E invece dovevo fare attenzione, altrimenti sarei affogata.
 
Swimming in the deep and trying to keep from turning blue,
Danger, danger, hoping not to drown… 

 
Che qualcuno mi tiri fuori… passavo dall’acqua alle sabbie mobili. Ero a un passo da lui, e affondavo. Perché era così facile costruire qualcosa insieme, e così difficile buttarla giù.
 
Sinking in the quicksand just to walk right up to you,
You're so easy to pick up and so hard to put down…

 
Ripetei il ritornello. Ultima strofa. La verità era che avevo bisogno di un’abitudine di cui disfarmi ogni volta volessi. Qualcosa da cui dipendere e a cui causare dipendenza. E invece… avevo Harry Styles.
 
All that I really wanted was a habit I could drop anytime that I wanted to,
And what I really got was you…

 
Era come un germe, insito sottopelle. E nessuna medicina avrebbe potuto curarlo.
 
Oh my god, what's wrong with my head?
Sweating with the chills, still in my bed,
Tell me how I'll ever make it through…?
It's the short hellos and the long goodbyes,
The shake in my lip from the look in your eyes…
Makes me wanna die,
I've got the worst hangover…

 
Sì, avevo preso la sbronza peggiore della mia vita. Che avevo in testa? Come avrei fatto ad andare avanti? Quando gli addii erano più lunghi dei saluti, nascevano dalle mie labbra e morivano nei suoi occhi… mi avrebbero devastata, perché… avevo preso la sbronza peggiore…
 
Oh my god, what's wrong with my head?
Sweating with the chills, still in my bed,
Tell me how I'll ever make it through…?
It's the short hellos and the long goodbyes,
The shake in my lip from the look in your eyes…
Makes me wanna die,
I've got the worst hangover from you.


 
…Da lui. Fermai la chitarra, e mi sentii in parte vuota, in parte sollevata. Guardai i ragazzi. Tacevano. Mi spostai nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
– Tutto bene…? F-faceva così schifo…? – Chiesi, intimorita. Seguitarono ad osservarmi in silenzio.
– Ross, i fogli. Brendan, accorda il basso. Mettiamoci all’opera, entro stasera tireremo l’oro fuori da quel foglio. Su, su, gente! La musica non si produce da sola! – Scattò Adam, rialzandosi di colpo, e dirigendosi verso la batteria. Lo fissai, allibita. Era piaciuta…?
– Dai, Holly, dacci una mano! Non è che adesso potrai startene tranquilla con le mani in mano perché hai scritto il pezzo, eh?! – Mi disse il moretto, sorridendo.
– Allora vi è piaciuta!
– Scherzi? È fantastica! Persino meglio di quello che buttava giù Hayley. E brava Holly! – Intervenne Ross, scompigliandomi i capelli, divertito. Scoppiai a ridere, e mi alzai. Brendan mi mostrò un pollice alto, mentre accordava il basso. Cercai di sistemare il microfono, sincerandomi che fosse acceso. Ancora non potevo credere che la mia lacrimosissima canzone fosse piaciuta ai Twisted. Ancora non potevo credere che la mia vita potesse prestarsi così bene alle tragedie musicali. 



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Nota: mica mi ricordavo di essere così sarcastica, nella scrittura, due anni fa. Oh beh. Posso dire di essere un po' cambiata, nel frattempo, hahahah! Venendo a cose più serie. Con questo capitolo, è finita una macrosezione di questa storia. Con il prossimo, comincia ciò che io amavo definire "il melodramma da high school", nonché la parte più divertente di tutta la vicenda. Quella in cui Holly e Amanda si danno guerra. Fu così bello scriverlo, che rileggerlo oggi è quasi come rendere giustizia a questo alterego un po' selvaggio che mi sono creata all'interno della vicenda che state leggendo. Mi spiace dirvi che le divergenze fra Harry ed Holly non si placheranno subito. Lo sapete che amo le situazioni contorte. E basta, altrimenti corro il rischio di spifferare troppo!
Ringrazio come sempre tutti coloro che la leggono in silenzio/recensiscono/preferiscono/ricordano/seguono! Alla prossima! E, per chi di voi avesse interesse nel leggere anche le altre storie che sto pubblicando nel fandom dei 5sos... ci vediamo di là! 

P.S.: vi allego la canzone che ho usato per questo capitolo, precisamente quella che avrebbe scritto Holly! Anche la sua voce, immaginatela come quella di Cassadee Pope, la cantante di questa band! 


♫ Hey Monday - Hangover



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