Laugh with the sinners and cry with the saints

di orphan_account
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Disposible Teens ***
Capitolo 2: *** Plain and basic talk of sex ***
Capitolo 3: *** Juliet, Romeo and Paris ***
Capitolo 4: *** History of the damned ***
Capitolo 5: *** Is he trying to get killed? ***
Capitolo 6: *** I told you not to drop the soap! (part I) ***



Capitolo 1
*** Disposible Teens ***


Ero seduta su quelle scomodissime sedie di legno che c'erano nei tribunali. Spostai un ciuffo di capelli color ebano che era caduto da quella sottospecie di coda che mi ero fatta. I miei occhi, che erano quasi scuri quanto i miei capelli, avevano assunto un tono smorzato dalla noia.

Cominciai a giocare con il piercing sulla lingua.

Stavo aspettando che il giudice rientrasse in aula, così da dirmi se ero o meno colpevole.

Da un lato, speravo di no, perché la vita in prigione era di una noia mortale da cui ero appena sfuggita, ma dall'altra speravo mi dicesse di sì, così avrei potuto divertirmi a troneggiare su tutti i piccoli delinquenti che conoscevo.

Il giudice, con i suoi radi capelli grigi, tornò in aula e si sedette dietro al suo banchetto, o come diavolo si chiamavano quei cosi. Con tutta la calma del mondo, inforcò gli occhiali e cominciò a leggere.

Seccata dalla sua lentezza, lo distolsi da quello che stava facendo: “Datevi una mossa, maledizione! Non ho mica tutto il giorno, io. E ho anche fame, quindi se non vi dispiace...”

Con un'occhiataccia, il tipo cominciò a schiarirsi la voce.

Il martelletto del giudice sbatté due volte contro il tavolo: “Per aver distrutto un edificio pubblico con atti vandalici, aver ferito Francisco De La Cruz con un coltello durante una rissa e aver fatto uso di sostanze stupefacenti, io condanno Lisa Jane Parker ad un anno nel carcere minorile. La sentenza è decisa.” il giudice si fece affaticato per un momento, “Di nuovo.” aggiunse con un sospiro.

Lanciai un'imprecazione urlata: “Porco Dio, sono uscita una settimana fa! Non mi potete sbattere dentro di nuovo.” Sentii la familiare sensazione delle manette che si chiudevano attorno ai miei polsi, e Tim, la guardia, che mi riportava al fresco. Tanto c'ero così abituata che perfino le guardie mi chiamavano per nome, sarebbe stato un po' come tornare a casa dopo una breve vacanza. Mi lasciai scappare un ghigno ferale a quel pensiero.

Mi chiesi brevemente se avrei trovato qualche cambiamento al mio rientro. Ma una settimana era breve, probabilmente non avrei nemmeno trovato matricole appena entrate.

Tim mi trascinò fuori dall'aula, e appena la porta si fu chiusa, lo sentii ridacchiare, completamente a suo agio.

Ci conoscevamo da anni, io e lui. Tim era stato il tipo che mi aveva accompagnata al carcere minorile per la prima volta, quando avevo dodici anni. Ora ne avevo diciassette, ma non era ancora cambiato niente.

Ma che mi combini, Lisa?” chiese, il suo tono molto divertito, mentre camminavamo tranquillamente attraverso il corridoio del tribunale verso la mia meta: una cella con le sbarre alle finestre.

Mi lasciai andare ad una risata roca: “Ormai lo dovresti sapere che non riesco a tenermi fuori dai guai.”

Ti rendi conto che ho perso il conto di quante volte ti hanno sbattuto dentro, vero? Credo che siano una dozzina, ma forse anche di più.”

Attento, Tim, forse ti sta venendo l'Alzheimer.” dissi, tirandogli una gomitata, per quanto mi era possibile con le manette.

Il corridoio di legno chiaro finì di botto, lasciando il posto alla conosciutissima sfilza di porte metalliche che portava alle varie sezioni del carcere: a destra il riformatorio, a sinistra la prigione e la porta proprio di fronte a me, come diceva la targhetta a lato, dava sul carcere minorile. Anche se tanto minorile non era, visto che accoglieva ragazzi dai dodici ai venti.

Ci sono sorprese?” domandai a Tim, sapendo che mi avrebbe detto tutto quello che volevo sapere.

Perché io era Lisa Jane Parker. Ero io che comandavo tutta la sezione giovanile del carcere. Le leggi le dettavo io in quel posto. Nonostante fossi una persona che a prima vista era assolutamente normale, in realtà non lo ero.

Tim guardò il cielo, pensieroso: “No, non mi sembra, è tutto come l'hai lasciato. Un paio di ragazze sono uscite ieri per buona condotta, ma per il resto è sempre uguale. Ci sono due udienze questo pomeriggio, con ogni probabilità qualcuno verrà a farvi compagnia.”

Perfetto! Già che la popolazione femminile scarseggiava, ma se ora cominciavano anche ad uscire per buona condotta, presto sarei rimasta l'unica ragazza.

Tim aprì la porta metallica e mostrò la sua tessera alla guardia che era di turno, Matthew.

Ehi, Matt, guarda un po' chi ti porto!” disse, ridendosela sotto i baffi.

La faccia giovane, troppo giovane, di Matt si soffermò a guardarmi, con uno scintillio confuso negli occhi: “Perché somiglia a Lisa?” chiese, con un tono così rimbambito da farmi credere che si fosse sniffato qualcosa prima di venire al lavoro.

Oh, non so, forse perché io sono Lisa?” dissi retoricamente, sbattendomi una mano in fronte per la sua stupidità.

Ma non ti avevano appena fatto uscire?” domandò lui.

Già,” mugugnai, mentre il mio stomaco brontolava, “ma ormai sono così affezionata a questo posto che mi faccio sbattere dentro apposta.”

Matt rise, scompigliandomi i capelli, che erano già in condizioni disastrate così com'erano: “Grazie Tim, la prendo io da qui.” mi staccò le manette e mi mise un braccio sulla spalla, sicuro che non avrei cercato di fuggire.

Lanciai un bacio volante a Tim, che con un breve saluto si allontanò per tornare in aula, pronto ad assistere al prossimo caso.

Bene, andiamo che ho fame.” dissi, mettendomi una mano sullo stomaco.

Matt annuii e silenziosamente mi fece incamminare lungo il corridoio tra le celle. Tutte erano vuote, anche se dal disordine era chiaro che ci fosse qualche occupante. Ma a quest'ora sarebbero stati tutti a pranzo.

Lui si fermò davanti ad una piccola cella sporca, che non era di certo la mia.

Io avevo sempre avuto, nei cinque anni che stavo qua, la cella più grande, quella da tre persone. Sempre.

E non c'era ragione per cambiare ora: “Non esiste, io sto nella mia cella, e non è questa.”

Matt mi guardò con disperazione. Io l'avevo sempre detto che era troppo giovane per fare questo lavoro.

Senti, Lisa. Non ti voglio far arrabbiare, ma ci hanno messo due matricole nella tua camera.”

Sentii la rabbia farsi strada nel mio corpo, ma la mantenni sotto controllo: “Bene, se ci sono due matricole io prendo il terzo letto.”

Appena acchiappavo Tim lo facevo secco. Nessuna nuova matricola, eh?

Matt si grattò la fronte: “Ma sono due maschi!”

Fregandomene della sua reazione, lo afferrai per il bavero della divisa, strattonandolo: “Senti, mi hai capita sì o no? Io sto nella mia cella, e non ce ne sono di santi.” lo lasciai andare con uno scatto e mi incamminai nella direzione della cella 133, la mia.

Matt mi corse dietro, ma non fece niente per fermarmi: “Ok, ok, Lisa non ti scaldare. Puoi andare nella tua camera.”

Ecco, ce ne hai messo di tempo!” borbottai, fermandomi davanti alle inferriate chiuse.

Lui prese le chiavi e aprì la porta, facendomi entrare nella mia stanza. Tutto era al suo posto.

Matt mi diede una di quelle tute arancioni che ci dovevamo mettere, ma io la lanciai di lato con un verso disgustato. Avrei indossato quella cosa solo in punto di morte.

Mettendo lo zainetto con la mia roba sul letto superiore, mi accorsi che era già stato occupato.

Tirando giù un paio di santi, buttai per terra tutta la roba del tipo e mi appropriai del letto.

Ho fame.” dichiarai a Matt, che mi fece il terzo dito.

Vai a mangiare, allora, al strada la sai.” mi disse, noncurante.

Colsi l'opportunità al volo, fiondandomi verso la mensa.

Davanti all'ingresso della sala affollata di tipi in arancione c'era una delle guardie più anziane, con cui avevo un grande rapporto.

Ehilà, vecchietto” dissi, facendogli l'occhiolino.

Lui si girò verso di me: “Parliamo dopo, vero? Tanto lo so già che stai morendo di fame, vai.” disse, restituendo l'occhiolino.

Io risi, facendogli una domanda: “Mi dici almeno chi sono i due tipi che hanno occupato la mia stanza?”

Lui annuii: “Certo, vieni dentro che te li faccio vedere.”

Pregustando la mia entrata trionfale, feci un passo avanti nella mensa.
Tutti i veterani scattarono in piedi, pronti a qualsiasi reazione perché non sapevano ancora chi era.

Le matricole invece si limitarono a girarsi verso di me.

Scese un silenzio di tomba sui ragazzi, che mi guardavano come se avessero visto un fantasma.

Alzai un braccio, facendo un verso non identificabile: “Lisa è tornata!” urlai alla mensa.

Subito scoppiarono tutti in una serie di urla e grida, tanto che la mensa sembrava essersi trasformata in uno zoo.

Ma ovviamente le matricole non sapevano chi fossi: “Allora, vecchietto? Chi sono?”

Lui mi puntò due ragazzi seduti ad un tavolo da cinque, di cui nessuno mi stava acclamando: “Il riccio e il pakistano.”

Li guardai per un po', non sembravano i tipici delinquenti da quattro soldi che mi ritrovavo tra i piedi.

Come si chiamano?” chiesi, curiosa di saperne di più.

Il mio vecchietto ci pensò un attimo: “Il riccio è Harry Styles, il moro Zayn Malik. Ma non ne sono sicuro.”

Sbuffai: “Perché hanno nomi da checche?” domandai, seccata.

Lui rise la sua risata profonda: “Insieme agli altri tre fanno parte di quel gruppo. I One Direction.”

Ecco, l'avevo detto io che erano tutti froci.” mormorai, non facendomi sentire.

Li avevo già presi in antipatia, tutti e due. Poi però un mio vecchio compagno, un altro veterano come me, si fece avanti, tirandomi un pugno sulla spalla, e mentre riacquistavo il mio status quo, mi dimenticai di quei due tipi per tutta la durata del pranzo.

 

Hello :)

È corto, lo so, ma solo perché è un prologo.

Comunque, sono una stupida. Invece di finire le ff che ho cominciato, ne inizio un'altra... Boh...

Ma se l'idea non interessa a nessuno è inutile anche che la continuo, mi concentro sulle altre!

Quindi fatemi sapere se vi piace, se vi fa schifo, se la devo continuare o se dovrei dargli fuoco.

Per farla corta: mi lasciate una recensione?

Ecco, ora la smetto però.

Ele :)

P.S. Il titolo del capitolo è preso dall'omonima canzone di Marilyn Manson.

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Capitolo 2
*** Plain and basic talk of sex ***


La campanella che indicava la fine della mezz'ora a disposizione per il pranzo mi trillò fastidiosamente nelle orecchie, seguita dallo stridio di sedie che venivano spostate all'indietro.
Feci una smorfia infastidita alla cacofonia di suoni che mi avvolgeva. Senza curarmi di andare a buttare il vassoio su cui avevo messo il pranzo, mi feci spazio tra le masse di adolescenti con quell'orrida tuta arancione, spingendone via alcuni che mi ostruivano il passaggio.
Mi alzai in punta di piedi, guardando attorno alla ricerca della testa pelata di Ethan.
Ethan era forse l'unico ragazzo in tutto il carcere con cui avessi stabilito un rapporto di amicizia. O quasi, comunque.
Diciamo che potevamo definirci comodamente scopa-amici. Il che era molto di più della solita scopata con gli altri carcerati o con le guardie per racimolare qualche sigaretta o l'occasionale canna.
Sì, qua si faceva di tutto pur di campare decentemente.
A me piaceva chiamarlo un rapporto di prendere e dare, ma in sostanza era prostituzione.
Di solito tutti quelli che dovevano sfogare i loro impulsi sessuali venivano da me, perché era considerata la ragazza più brava a letto di tutto il carcere, e in cambio mi davano un pacco di sigarette. Ma che fosse ben chiaro, io non la davo mica a cani e porci! Spesso succedeva che io mi rifiutassi di farlo, o perché il tipo non era abbastanza carino, o perché non era abbastanza dotato.
Con Ethan era iniziato tutto in un altro modo. Era il mio primo giorno dentro, quando avevo dodici anni. Ethan, invece, ne aveva quattordici ed era stato sbattuto al fresco l'anno prima, e a quei tempi era considerato il 'boss' del carcere, per vari motivi.
Era finito dentro a tredici anni per aver ucciso tutta la sua famiglia: padre, madre, zio, la sorella di tre anni, il gatto e il canarino. E, oltre ad incutere terrore a tutti i piccoli delinquenti che erano dentro per aver cercato di rubare qualche orologio alla Rolex, era anche stupendamente bello. Certo, non bello nel modo tradizionale, ma a modo suo lo era. Completamente pelato, i suoi occhi neri che sembravano le penne di un corvo, la faccia ricoperta di piercing e le braccia di tatuaggi satanici. E si rifiutava categoricamente di indossare la tuta arancione, l'unico che avesse mai avuto il permesso di non metterla oltre a me.
In solo un anno era riuscito a scalare le vette della gerarchia sociale della prigione.
E quando io ero entrata, tutti i ragazzi mi avevano vista come una piccola verginella che non si sarebbe fatta problemi a dargliela.
Anche perché la popolazione femminile del carcere non bastava minimamente a soddisfare tutti i maschi.
Beh, sul fatto che fossi vergine avevano ragione, ma se non fosse stato per Ethan non l'avrei mai data a nessuno.
Però Ethan aveva messo gli occhi su di me, e a quel punto tutti gli altri ragazzi avevano dovuto abbandonare i loro intenti di possedermi.

Ciao bellezza.” disse il ragazzo con un occhiolino, sedendosi tranquillamente sulla sedia di fronte alla mia, dall'altro lato del tavolo rotondo su cui stavo facendo un solitario.
Alzai lo sguardo dalle carte, guardando il ragazzo: “E tu saresti?” chiesi, socchiudendo gli occhi con diffidenza. Nonostante avessi solo dodici anni, ne avevo passate abbastanza da sapere di non fidarmi mai degli sconosciuti. Ma anche degli amici, tanto prima o poi mi avrebbero voltato le spalle. Come dimostrava il fatto che io adesso ero qua, e i miei compagni erano ancora fuori che si godevano l'aria pulita e il sole.

Ethan, e tu?” chiese, con un sorrisino arrogante.
Lisa.” dissi con cautela, non facendo trasparire niente più del necessario.
Il suo sorriso crebbe: “Lisa... Un bel nome.” disse, come sovrappensiero, “E dimmi, Lisa, quanti anni hai?”
I miei occhi si ridussero ancora di più, diventando simili a spilli, mentre mi domandavo il perché di tutte quelle domande: “Dodici.”

Oh, molto loquace, vedo.” disse sarcasticamente, alzando un sopracciglio, “Perché sei dentro?” era una domanda, ma formulata in modo tale che sembrava un ordine.
Io incrociai le braccia al petto: “Affari miei.”

Senti un po', o me lo dici ora, o me lo dirai dopo che avrò finito di insegnarti una lezioncina.” minacciò violentemente, avvicinando il suo volto al mio con una smorfia di disgusto e i suoi occhi che lampeggiavano.
Istintivamente mi tirai indietro, un po' spaventata, anche se non l'avrei mai ammesso: “Spaccio di eroina.” mormorai, abbassando lo sguardo.
Ethan si appoggiò allo schienale della schiena, contento della risposta: “Non mi sembri una drogata però. Denti bianchi, pelle perfetta, sguardo lucido-”

Non lo sono.” tagliai corto.
E allora perché spacci?” mi domandò, ma come se sapesse già la risposta. Perché in fondo la risposta era una sola: i racket.
Lo ignorai, tornando a dedicarmi al mio solitario. Ma la sua presenza dall'altra parte del tavolo mi stava uccidendo.
Aspettai un paio di minuti, ma non accennava a muoversi.

Ma si può sapere cosa vuoi da me?” sbottai, sbattendo il mazzo sul tavolo e dandogli tutta la mia attenzione.
Ethan ridacchiò, facendomi innervosire ancora di più: “Lo sai cos'è il sesso?”

Mi prendi per scema?” domandai, con la voce che grondava veleno da tutti i pori.
Lui sollevò le braccia arrendevolmente: “Calmina bimba, era solo una domanda.” Se avesse continuato ancora a lungo a prendermi per i fondelli l'avrei preso a calci.
La mia voce uscì più tagliente di quanto avessi previsto: “Bimba? Non mi sembri molto più grande di me.”
Lui fece un verso noncurante ed alzò le spalle: “Dettagli. Comunque, li vedi tutti quei ragazzi che ti stanno guardando come avvoltoi?” puntò alla massa di ragazzi con la mia stessa tuta arancione addosso.
Mi venne la pelle d'oca guardando i maschi guardarmi con quelle facce. Era inquietante.

Cosa vogliono da me?” domandai a mia volta, maledicendo l'evidente tremore nella mia voce.
Ethan sospirò melodrammaticamente: “La stessa cosa che voglio io.”

Cioè...?” cercai di spingerlo a spiegarsi meglio, perché non avevo capito cosa intendesse con quella frase.
Ethan mi lanciò un'occhiata divertita: “Non è ovvio? Vogliamo te.”
Sentii freddo a quelle due parole. Mi alzai di scatto dalla sedia e corsi fuori dalla sala ricreazione, terrorizzata.
Attraversai il labirinto di corridoi che conduceva alla mia cella, una piccola stanzetta sporca.
Mi nascosi dentro la mia camera, con il cuore che batteva a mille.
Non era certo la prima volta che qualcuno ci provava con me, in fondo avevo davvero un bel corpo, ma era la prima volta che a farlo era un ragazzo e non un quarantenne drogato.
Per non dire che quell'Ethan mi incuteva terrore, con i suoi modi di fare a dir poco spaventosi.
Mi sedetti sul letto duro, passandomi una mano tremante tra i capelli.
Due respiri profondi non bastarono per calmare il mio cuore impazzito.

Cucù!”disse una voce, e la faccia di Ethan sbucò dalle sbarre della cella. Saltai in piedi con un urletto, battendo al testa contro il bordo del letto sopra il mio.
Mi portai una mano alla testa, gemendo. Mi piegai in due, rintronata dalla botta che avevo preso.

Porco cane, che male.” sussurrai, mentre un'Ethan ridacchiante si avvicinava a me.
Appena mi fui ripresa abbastanza, mi rialzai e lo trucidai con lo sguardo: “Ma non si usa qua bussare?”
Questo provocò la reazione ilare del ragazzo: “No... non si chiedono nemmeno per favore e grazie se è solo per questo.”

Oh, beh, la cosa mi rincuora!” borbottai, acida, mentre ancora mi massaggiavo la testa dolorante.
Lascia, faccio io.” disse più seriamente Ethan, spostando la mia mano dalla testa per sostituirla con la sua.
Cominciò a massaggiarmi delicatamente il bernoccolo, facendomi rabbrividire.

Sai, oltre ad avere un bel corpo sei pure simpatica.” mi mormorò nell'orecchio.
Pur volendo allontanarmi dal suo tocco, mi imposi di restare ferma: “Guarda che non riuscirai a convincermi a venire a letto con te.”
Sentii il suo fiato sul mio collo: “Potremmo metterci d'accordo.”

Cosa vuoi dire?” chiesi, infastidita dalla sua vicinanza e a disagio per le sue parole.
Sentii le sue labbra appoggiarsi delicatamente sul mio collo, lasciando una scia umida. Rabbrividii, facendolo sorridere contro la mia pelle sensibile.

Dico che facciamo un patto. Tu mi lasci fare, e io in cambio ti terrò sotto la mia ala protettrice. Il che significa che nessuno ti toccherà senza il tuo permesso.” sussurrò furbescamente, passando al mordermi delicatamente l'orecchio.
No, non esiste. Fermati.” ma non ero convinta io in primis, e lui se ne accorse.
Sai quante comodità ti porterà questo accordo? La mia cella è molto più grande e comoda, per non dire che ti porterò direttamente in cima alla scala sociale. In pratica diventerai la mia allieva. E chi lo sa, forse un giorno l'allieva supererà il maestro.”
Scossi la testa, cercando di restare coerente alle mie scelte. Io non ero pronta per fare sesso a soli dodici anni, per non dire con un completo sconosciuto!
Lui mi abbracciò da dietro, premendo piano il suo corpo contro il mio: “Lisa, io non ho mai stuprato una ragazza, né mai lo farò.” mi disse, più serio di quanto lo avessi visto fino ad ora.
Forse il suo tono, o forse proprio le sue parole, mi portarono a cedere, borbottando un assenso poco convinto.

Tanto ti convincerò presto.” lo sentii dire mentre mi sorrideva, o forse me l'ero solo immaginato.

Cerchi qualcuno?” mormorò una voce vellutata dietro di me, e una mano si attorcigliò attorno ai miei fianchi.
Mi girai di scatto verso la persona, facendo un sorriso enorme nel vedere gli occhi neri di Ethan.

Ethan!” urlai, abbracciandolo e dandogli un bacio a fior di labbra. Per noi era tipico salutarci con un bacio, perché in prigione quando si faceva sesso non era perché si amava la persona con con cui lo stavi facendo, ma per sfogare la tensione sessuale, e i baci erano considerati simbolo di amore. Di conseguenza, il bacio per noi era considerato il più grande pegno che due si potessero fare.
Ethan era l'unica persona che avessi mai baciato mentre facevo sesso, tutte le altre volte erano un paio di spinte e via, giusto quanto bastava perché venissero.

Lisa...” mormorò contro le mie labbra, “cosa ci fai dentro dopo così poco?” mi domandò, sollevando un sopracciglio e staccandosi da me.
Io sospirai. Era la centesima volta che qualcuno mi faceva quella domanda oggi, e mi stava innervosendo non poco.
Presi per mano Ethan, cominciando a camminare nella direzione della sala ricreazione, dove dovevamo passare il nostro tempo da fine pranzo alle quattro, poi cominciavano i corsi riformatori, che erano
essenzialmente una seduta di terapia di gruppo e qualche corso assurdo di falegnameria, arte o teatro.
La sala era, come tutto il carcere, fredda, con le mura bianche scrostate e i tavolini di plastica trasparente.
All'inizio mi metteva in soggezione, ma ormai mi ci ero abituata. Anzi, avevo imparato che se minacciavo i ragazzi qua dentro faceva anche più effetto del normale.

Ti ricordi Francisco De La Cruz?” domandai, andando ad occupare con lui uno dei tavolini appartati in un angolo.
Con un solo sguardo, tutti i ficcanaso smammarono, lasciandoci soli nel raggio di cinque metri.

Certo che me lo ricordo, quel figlio di buona donna.” sbuffò lui, incrociando le braccia e appoggiandosi arrogantemente allo schienale della sedia, come era sua abitudine.
Ecco.” feci una smorfia, sciogliendo la coda, che era fatta veramente alla cavolo.
Lui aggrottò le sopracciglia, passandosi una mano dietro il collo: “Hai cominciato a frequentare quel tipo?”

No! Mi ha incastrata.” dissi velocemente, togliendo ogni dubbio.
Ethan sbatté il pugno contro il tavolo, alzandosi in piedi. Ogni carcerato nella stanza si girò a guardarci.
Sapevo istintivamente che presto, se le guardie non fossero intervenute a sedare l'attimo di confusione, la sala si sarebbe divisa in tre gruppi.
Il primo composto da tutti i ragazzi che aspiravano a diventare un qualcuno nel carcere, che speravano in un'impossibile incrinatura nei nostri rapporti.
Il secondo da tutti quelli che avevano solo voglia di rompere la vita monotona della prigionia con una bella botta di adrenalina.
E il terzo da tutti quelli a cui non gliene sarebbe potuto fregare di meno neanche se il mondo stesse andando a fuoco.
Scattai in piedi anch'io e gli lanciai un'occhiata che stava a significare di stare tranquillo, che lui ignorò.

Giuro che se ha fatta del male, se ti ha anche solo toccata, io lo castro. Ti giuro che lo faccio.” ringhiò.
Alzai gli occhi al cielo, anche se all'interno stavo gongolando del fatto che stesse prendendo le mie difese: “Madonna santa, stai buono che non è successo niente di grave. Ero fuori dalla discoteca e mi stavo facendo una canna. È arrivato lui e ci ha provato, l'ho respinto e lui è passato alle mani.” mi fermai un secondo quando vidi le sue mani contrarsi in un pugno alle mie parole, “Ma ora è in ospedale perché l'ho ferito alla spalla quando l'ho attaccato con il coltellino svizzero.” terminai, fissando tutta la sala con sfida, quasi ad avvertire i nuovi arrivati che con me non c'era da scherzare.
Ethan si accasciò contro la sedia, sbuffando rumorosamente: “Cristo, Lisa, mi hai fatto prendere un infarto.”
Stavo per tornare a sedermi anch'io, quando mi ricordai di una piccola incombenza che ancora avevo.

Ethan, volevo andare a fare conoscenza con i miei nuovi compagni di cella, vieni?” gli domandai con il mio miglior sorriso lezioso. Sbattei le ciglia con un'espressione innocente, ma allo stesso tempo piegandomi in avanti per far risaltare le tette, cercando di attizzarlo. Tanto il minimo gesto poteva provocare una reazione in quei ragazzi così spesso in astinenza.
La sua faccia si trasformò in una di sconforto, e si portò una mano sul pacco: “Ringrazia il cielo che abbia addosso dei jeans stretti.” mormorò, alzandosi a seguirmi attraverso lo sciame di ragazzi in arancione, alla ricerca dei cinque ragazzi che avevo visto prima di sfuggita.
Ridacchiai, mettendogli una mano nella tasca posteriore e palpandolo. Lui fece un mugugno insoddisfatto, facendomi sorridere ancora di più. Era stupendo sapere di avere quel genere di potere su di lui.

Dopo mi fai un pompino?” mi pregò, con la voce tirata.
Gli feci l'occhiolino e strinsi leggermente il suo labbro inferiore tra i miei due: “Anche un bocchino se vuoi.”

Porca... lo sai che mi stai eccitando, vero?” domandò retoricamente, ricevendo uno sguardo molto divertito in risposta.
Questo perché noi donne non pensiamo con i nostri genitali.” mormorai, facendo attenzione a non farmi sentire da Ethan.
Adocchiai quella matassa di capelli ricci che apparteneva a quel tipo lì, come diavolo si chiamava. E con lui il ragazzo con la pelle ambrata, il biondo e gli altri due.
Mi avvicinai al loro tavolo a braccetto con Ethan, notando che stavano parlando con Jennifer, un'innocua sedicenne che era stata sbattuta dentro per prostituzione.

Ciao Jenn.” la salutai con un sorriso affettato. Quella ragazza proprio non mi faceva ne caldo ne freddo, ma visto che eravamo due delle poche ragazze lì dentro ci conoscevamo un po'.
Ehi, Lisa, Ethan. Ma non ti avevano appena fatta uscire?” domandò, distogliendo l'attenzione dei ragazzi per guardare noi.
Sì, ma mi hanno ricacciata dentro per una colluttazione finita male. Senti, ti dispiace se ti rubo questi ragazzi per un attimo?” in realtà l'avevo detto solo per sembrare civilizzata davanti a quei cinque estranei, ma non era come se si sarebbe mai rifiutata di obbedire ad un mio ordine se ci teneva alla vita.
Jennifer si allontanò come un fulmine, lasciandomi lì a guardare quei cinque ragazzi uno ad uno.
Erano carini, dai, non i soliti tipi di ragazzi che c'erano qua, più educati e perfettini. L'avrei data tranquillamente a tutti e cinque, specialmente il pakistano, lui aveva la faccia di uno che a letto ci sapeva fare.

Lisa. Lui invece è Ethan.” ci presentai, aspettando che mi dicessero i loro nomi. Si scambiarono un'occhiata veloce, facendomi innervosire.
Allora, come vi chiamate?” domandai, cominciando a rotolare il piercong sulla lingua contro il palato.
Il riccio mi lanciò un sorriso nervoso: “Io sono Harry. Loro sono Louis, Niall, Zayn e Liam.” disse puntando i tipi intorno a lui, che si girarono a sorridermi.

Tu e tu.” dissi, puntando prima il tipo Zayn o come diavolo si chiamava e poi il ricciolino.
Loro si girarono a guardarmi, tra il perplesso e l'incuriosito.

Siete i miei compagni di cella.” li avvertii, guardandoli attentamente, “Ci sono tre regole da rispettare se volete uscire vivi da qua.”
Sarebbero?” domandò Zayn con una punta malcelata d'ironia.
Io ringhiai a bassa voce, con Ethan che dava manforte di fianco a me: “Prima regola: non mi dovete interrompere se sto facendo sesso con qualcuno. Seconda, non mi dovete disturbare, toccare o infastidire in alcun
modo. E terzo, se provate anche solo a guardare la mia roba, vi ammazzo.”
Il pomo d'Adamo di Harry fece su e giù, facendomi ghignare per il suo evidente disagio: “È tutto chiaro?”
Senza dare il tempo di nessuno di pormi qualche obbiezione, e già io continuai il mio discorsetto: “Ah, sì, e a chiunque di voi due ci fosse nella cuccetta superiore, ora è mia.” dissi.
Gli occhi di Harry slittavano da me ai suoi compagni, incerti su dove posarsi: “Oh, va bene.” mormorò flebilmente.

Ottimo, è stato un piacere conoscervi.” dissi con falsa allegria, “Ora, se non vi dispiace, dovrei andare a prendermi cura di un certo problemino.” sghignazzai, passando una mano sul pacco di Ethan, che sussultò per
l'evidente sorpresa.
Mano in mano con Ethan, mi incamminai verso la mia cella, nel silenzio generale della stanza, che aveva appena assistito all'ennesima prova del mio potere.
Amavo quell'attenzione.

 

'Sera :)
È tardi e sono stanca, quindi la tirerò corta.
Vi ringrazio immensamente per le 8 bellissime recensioni per quel prologo scrauso, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Credo che questo sia il capitolo più spinto che io abbia mai scritto in vita mia... Mi sento tanto una pervertita °-°
Ditemi cosa ne pensate di Ethan. A me personalmente piace come personaggio, ma non so voi XD
So che l'unica parte in cui spuntano fuori le vostre amate 'carote' sono le battute finali, ma mi serviva un capitolo per spiegare meglio la storia di Lisa ed Ethan.
Che dire... Ah, sì! Per quelle che chiedevano, c'è un motivo per cui i 1D sono finiti in prigione, e si scoprirà tra poco, nel prossimo capitolo se tutto va secondo i piani :)
Grazie ancora, mi farebbe davvero piacere se mi lasciaste una piccola recensione, anche se è corta corta, giusto per farmi sapere se vi piace o meno!
Baci,
Ele :)
P.s. Ho tolto le righe e rimpicciolito il carattere ;)

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Capitolo 3
*** Juliet, Romeo and Paris ***


Guardai Ethan uscire dalla mia cella con un misto di soddisfazione e frustrazione mentre lui mi mandava un ultimo bacio volante prima di svoltare l'angolo verso la propria.

Soddisfatta, perché Ethan era stato molto contento della mia prestazione, ma frustrata perché sapevo che di lì a pochissimo tempo avrei dovuto dividere la mia cella con due checche. E la cosa non mi andava giù. Non che fossi omofoba o altre scemenze simili, dato che qua in carcere anche le relazioni tra maschi erano viste con indifferenza. Alle guardie non gliene sarebbe potuto fregare meno se l'intera prigione stesse andando a fuoco, mentre gli altri carcerati cercavano solo un modo per sfogarsi, non c'era nessun sentimento legato.

Semplicemente non volevo dividere nulla con altri. Sapevo perfettamente che molti mi ritenevano egoista, ma quando si doveva combattere anche solo per avere abbastanza cibo per sopravvivere allora la mia filosofia di vita tornava utile.

Mi sdraiai lentamente sul mio letto, massaggiandomi le tempie per far passare il mal di testa lancinante. Riuscivo ancora a sentire il sapore di Ethan in bocca, che mi lasciava quel vago senso di protezione che sentivo quando stavo con lui.

Ma abbandonai il mio inutile tentativo di farmi passare le fitte di dolore quando, in quel preciso istante, partì di nuovo la campanella, avvertendo tutta la prigione che il tempo libero era finito e che dovevamo tutti tornare nelle nostre celle. Avevamo mezz'ora da passare chiusi in cella, e dopo ci avrebbero smistati in una di quelle assurde attività di riabilitazione che, tecnicamente, dovevano servire a farci trovare un lavoro stabile per quando saremmo usciti, ma che poi in pratica non serviva a niente, perché nessuno voleva assumere un delinquente.

Cristo, che noia.

Ancora distesa, sentii il chiacchiericcio e il rumore di passi di tutti gli altri carcerati, che stavano tornando nelle proprie celle.

Mentre la confusione cominciava a scemare, vidi la porta della mia cella aprirsi con un fastidioso suono stridulo, che stava a significare che era un bel pezzo che non oliavano quelle maledette porte.

Si richiuse con un tonfo, effettivamente chiudendomi dentro con quei due froci, che stavano parlottando tra di loro, senza nemmeno accorgersi della mia presenza.

Non mi mossi dal letto, accontentandomi solo di rotolare in silenzio su un lato in modo da potere vedere meglio i miei nuovi compagni di cella e anche sentirli.

L'avevo già detto che erano davvero attraenti? Perché lo erano, anche se il pakistano, Zayn, era molto più sexy rispetto alla bellezza più delicata ed effeminata del riccio. Ma c'era da dire che il riccio sembrava anche più simpatico. Non che la simpatia contasse qualcosa qua, e comunque era solo una mia impressione.

Forse pochi dei ragazzi che riuscivano a risultare passabili anche con quelle orride tute arancioni addosso.

Il riccio, di cui non mi ricordavo davvero il nome, stava sventolando un cellulare davanti alla faccia dell'altro: “Ho chiamato Paul. Ha detto che non ci tira fuori.” mormorò, scuotendo i capelli.

Dopo il leggero stupore per il fatto che non si fossero proprio accorti della mia presenza, provai anche la confusione. Non per la discussione, quella non avrei potuto capirla in ogni caso, visto che non sapevo chi fosse Paul, ma per il fatto che aveva in mano un cellulare.

Erano anni che non ne vedevo uno dentro la prigione, visto che erano proibiti. Nemmeno io, con tutti i miei privilegi, avevo il permesso di portarne uno qua dentro, venivano tutti presi in custodia all'ingresso principale, nel momento stesso in cui arrivavamo. Il che era una grande seccatura, visto che io un paio di chiamate le avrei fatte volentieri.

E cosa mi dici dei concerti organizzati? Ne avevamo uno anche ieri, ricordi? Solo che eravamo qua dentro a fare la muffa.” sbottò Zayn, apparentemente molto irritato.

La voce del riccio, quando riuscii a parlare, aveva una vaga sfumatura di tradimento dentro, e quella era una cosa che potevo capire bene: “Ha detto che li cancellerà tutti.”

Chiunque fosse questo Paul, mi veniva da sorridere sapendo che anche se avevano qualcuno che li potesse tirare fuori sotto pagamento, questo qualcuno non era disposto a farlo. E da quello che avevo racimolato su di loro nelle ultime ore, erano una specie di boy-band che aveva ottenuto un certo successo perché erano arrivati terzi ad X-Factor. O forse era qualche altro programma stupido che faceva cantare i concorrenti. Ma comunque rimaneva il fatto che erano così scarsi che non erano nemmeno riusciti a vincerlo.

Harry, non possiamo rimanere qua dentro! Un passo falso e vedi che quei due di prima ci fanno secchi. E non ho nessuna intenzione di far pagare Niall e Liam per un casino che abbiamo combinato noi tre.”

Harry si avvicinò sospirando alla piccola finestrella con le sbarre, per tornare indietro subito: “Più che altro dovremo trovare il modo di restare vivi in mezzo a tutti questi assassini e stupratori.”

Ne vogliamo parlare? Hai visto che genere di accoglienza ci ha dato la ragazza? È psicotica quella.”

Quell'ultimo commento spazzò il debole sorriso dal mio volto. Serrai la mascella, combattendo contro tutti gli istinti che mi dicevano che dovevo scendere e ucciderlo con il coltellino svizzero che avevo in tasca.

Perlomeno ha un bel corpo. Personalmente, non mi dispiacerebbe affatto farmela.” disse Harry con una risatina che suonava vagamente nervosa.

Zayn sorrise: “Sempre il solito pervertito. Per quanto possa essere bella, è comunque pazza.”

Digrignai i denti, stavano mettendo davvero a dura prova il mio autocontrollo. Non che ce ne fosse stato molto a priori. Mi stavo domandando come avessero fatto a notare che ero nella cella, visto che non era come se stessi facendo alcunché per nascondermi. Erano troppo abituati ad essere serviti per avere il cervello necessario a guardarsi attorno prima di aprire la bocca. O forse erano semplicemente troppo stupidi.

Mi alzai silenziosamente dal letto duro, facendo uno di quei ghigni ferali che tanto mi contraddicevano: “La psicotica è qua.” dissi a voce alta.

La faccia improvvisamente pallida di Harry scattò verso di me, facendo volare i suoi ricci dappertutto. La sua bocca si aprì, ma non emise nessun suono. Zayn, invece, si voltò con più tranquillità, ma comunque colto alla sprovvista.

Scesi dal letto con un balzo felino, atterrando agilmente. Mi avvicinai al volto di Harry fino ad essere pericolosamente vicina alle sue labbra. Riuscivo a sentire il suo respiro vagamente affannato contro di me. Mi lasciai sfuggire un breve sorriso arrogante, uno di quelli che avevo imparato a fare da Ethan.

Non so come tu sia stato abituato, ma qua se si vuole qualcosa basta chiedere.” dissi, lasciva, con un breve occhiolino. Si capiva benissimo a cosa mi stessi riferendo, e, quando i suoi occhi diventarono più grandi di due piattini da tè, fui sicura che le mie parole gli fossero entrate in testa.

Prima di allontanarmi da lui gli sfilai il cellulare di mano, lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia, molto vicino alle sue labbra. Di solito funzionava bene con gli altri carcerati.

Questo lo prendo in prestito io, pasticcino.” lo avvertii, scuotendo l'i-Phone.

Quando cercai di risolvere il piccolo dilemma di come sbloccarlo, mi accoriso che era così stupido che non aveva nemmeno inserito il codice.
“Pasticcino?” domandò Harry sarcasticamente, sollevando un sopracciglio. Mi limitai a sogghignare nella sua direzione.

Zayn fece due piccoli passi verso di me: “Ehi! Tu non puoi-” lo interruppi con uno schiocco di dita.

Io posso.” sibilai, trucidandolo con lo sguardo. Mi sedetti di nuovo sulla mia cuccetta a gambe incrociate, premendo velocemente i tasti e schiacciando il verde sotto gli sguardi allibiti dei due ragazzi.

Squillò solo tre volte prima che un Francisco molto confuso rispondesse: “Pronto?”

Mi leccai le labbra, pregustandomi tutto il suo spavento: “Ciao Francisco.”

L-lisa?” domandò, letteralmente terrorizzato.

Feci una specie di mezza risata maligna, con gli occhi che mi scintillavano: “L'ultima volta che ti ho visto stavi urlando come se fossi in punto di morte. Spero per te che quando uscirò sarai disteso in un letto d'ospedale, altrimenti non so cosa ti faccio.” avevo parlato con un tono spensierato, ma sapevo perfettamente che lui avrebbe riconosciuto la minaccia per quel che era.

Non mi hanno nemmeno dimesso dall'ospedale.” si difese lui, “Mi hanno messo addirittura ventitré punti, e mi hai rotto il gomito.”

Ottimo!” dissi, con una voce parecchio sadica, “Spero che ti prenderai una bella infezione.”

Ma da quando in qua potete usare i cellulari?” mi domandò Francisco, sempre più spaventato da me.

Lanciai uno sguardo d'apprezzamento verso i due ragazzi, che ora avevano ricomposto i propri volti in uno sguardo più civilizzato: “Da quando i miei due compagni di cella sono popstar, a quanto pare. Anche se va ammesso che sono sia gay che stupidi.” aggiunsi, apprezzando la smorfia di scontento che si era dipinta suo loro volti. Li avrei chiamati gay più spesso,ora che sapevo che avrebbe sortito quella reazione.

Davvero?” mi domandò, quasi divertito dalla situazione.

Mmm, sì. Comunque, sappi che se mi fai sbattere dentro ancora una volta manderò qualcuno a finire il lavoro al posto mio. E a quel punto ci rivedremo all'inferno, niño.”

Contrariamente alle mie aspettative, Francisco si mise a ridere: “Si dice chico, Lisa, quante volte te lo devo dire? A sedici anni non puoi più chiamarmi niño.” mi corresse nel suo spagnolo perfetto da argentino.

Sbuffai, altamente infastidita: “Cristo Dio, ti sembra che me ne freghi qualcosa? Il mio punto era che se mi spediscono in carcere ancora una volta per colpa tua, entrerai a far parte del coro di voci bianche.”

Francisco tossì nervosamente: “Quanto tempo ti hanno dato?”

Un anno, porco.” lo accusai, anche se non era proprio tutta colpa sua. I graffiti sui muri della scuola media li avevo fatti da sola, Francisco non c'entrava niente.

Oh...” mormorò, e sapevo che dall'altro lato del telefono i suoi occhi neri stavano scattando da una parte e dall'altra, come a cercare le parole giuste, che tanto non avrebbe trovato. Francisco era fatto così, ormai ci avevo fatto l'abitudine, dopo due anni passati a spacciare eroina nello stesso racket.

Quindi adios niño!” urlai e senza aspettare che rispondesse al saluto gli attaccai in faccia, tornando a distendermi placidamente sul letto. Ancora un quarto d'ora di noia prima che cominciassero le attività.

Chiudendo gli occhi, mi chiesi se mi avrebbero spedita a teatro, cucina o che altro. Di solito mi mandavano al corso di teatro, perché credevano che così avrei incanalato le mie energie in quello invece che nell'usare la violenza. Contenti loro...

Improvvisamente intorno a me diventò tutto più buio, e associai subito la sensazione alla possibilità che ci fosse una persona accucciata sopra di me. Spalancai gli occhi, con la mano libera che volava direttamente alla tasca dove tenevo il mio coltellino svizzero.

Ma lasciai andare subito la presa quando mi accorsi che erano solo quei due ebeti dei miei compagni di cella.

Feci un grugnito: “Se non volete ritrovarvi con un coltello infilato tra le costole evitate di prendermi alla sprovvista.” li avvertii, domandando velocemente il motivo dell'interruzione.

Si può sapere chi è che hai chiamato? Con il mio cellulare, tra l'altro.” borbottò Harry.

Gli sbadigliai in faccia, mostrandomi meno che interessata al suo chiacchiericcio: “Il ragazzo che ho accoltellato qualche giorno fa.”

Zayn per poco non cadde per terra dallo stupore: “Hai accoltellato un ragazzo.” ripeté, cercando conferma nel mio sguardo. Gli feci un sorriso furbo, ma proprio nel momento in cui stavo per rispondere cominciò a squillare il cellulare che ancora tenevo in mano.

Harry cercò di strapparmelo, ma io lo tenni lontana dalla sua portata. Lessi il nome che lampeggiava sullo schermo. Selena.
“Interessante, riccio. Quindi hai una ragazza?” domandai, anche se non ero veramente curiosa, volevo solo distrarlo dai tentativi che stava facendo di riprendersi l'i-Phone.

Si bloccò all'improvviso, guardandomi bene in faccia: “No, nessuna ragazza.”

Questo mi fece spuntare un sorriso ancora più grande: “Perfetto.” dissi sottovoce, con Zayn che mi guardava con un po' di incertezza.

Mi portai il cellulare all'orecchio. Una voce femminile molto acuta mi trillò nelle orecchie, facendomi fare una smorfia di fastidio. Odiavo profondamente i suoni forti.

Harry, ho sentito quello che è successo! All'inizio non ci potevo credere, ma poi anche Justin e Demi hanno confermato e-” mi schiarii la voce, facendola zittire all'istante.

Riuscivo a vedere il luccichio di malizia che si era acceso sul mio volto riflesso negli occhi chiari di Harry, che mi stava guardando con preoccupazione.

Non sono Harry.” dissi, cercando di sembrare normale ma facendomi solo venire una voce da pedofila.

Ah... E chi sei?” chiese la ragazza, improvvisamente molto più cauta nel parlare.

Io sono Lisa.”
“Posso parlare con Harry allora? Ma anche uno degli altri quattro va bene.” mi domandò cortesemente la voce.

No, non puoi.” il mio sorriso era sempre più simile ad un ghigno.

Come non posso! Ma tu lo sai chi sono io?”

Mi guardai le unghie per un breve momento: “Dovrei?”

Sono Selena. Selena Gomez, la cantante! Sai, la fidanzata di Justin Bieber.” mi rispose, indignata.

No, il nome non mi diceva niente, anche se Bieber era già più conosciuto, ma non mi ricordavo precisamente dove l'avessi sentito: “Gomez... Bieber.... Ma Bieber non era mica frocio? Uhm. No, mi dispiace, non so proprio chi sei.” le dissi, attaccando il telefono in faccia anche a lei.
Mi lasciai andare ad una rauca risata divertita. Non solo tutta la corta conversazione tra noi due era stata ridicola, ma le facce esterrefatte dei due ragazzi erano a dir poco ilari.

Dimmi che quella a cui hai appena appeso in faccia non era davvero Selena Gomez.” mi pregò Harry, ma il mio sguardo aveva già detto tutto.

Zayn mormorò qualcosa di indistinguibile, andando a tirare fuori qualcosa dal suo zaino, appoggiato contro un muro. Scrollai le spalle, cercando di spostare i capelli da davanti, ma quella stupida massa non ne voleva sapere di comportarsi bene.

Cosa ci fanno cinque popstar in prigione?” domandai, ma non era come se potessero decidere di non dirmelo, lo sarei venuta a sapere con le buone o con le cattive.

Affari nostri.” mormorò Zayn, rialzandosi dalla posizione accucciata.

Feci un verso sorprendentemente simile al soffiare dei gatti: “Non fatemelo ripetere.” li minacciai, adottando la voce più spaventosa che avessi in repertorio.

Ma Zayn si limitò ad alzare un sopracciglio, mentre Harry era intento a scrivere sul cellulare, probabilmente un messaggio di scuse a quella Selena.

Altrimenti cosa ci fai?”

Scesi dal letto, avvicinandomi con lentezza a lui. Lo afferrai per il colletto della tuta arancione, sbattendolo con tutta la mia forza contro il muro.

Probabilmente la cosa non avrebbe funzionato se non l'avessi preso alla sprovvista, in quanto lui era grosso il doppio di me. Ma non se l'aspettava da una ragazza, e il gesto lo mandò a sbattere contro la parete con un'imprecazione. Sentii Harry che si alzava dal letto con un urlo allarmato.

Cosa succede qua?” domandò una voce al di là della porta con le sbarre. Lasciai andare Zayn con uno sbuffo e rotolando gli occhi, girandomi per guardare la guardia negli occhi con il corpo teso.

Ma mi rilassai quando vidi che la guardia non era altri che Matt, lo stesso che mi aveva presa in custodia appena ero entrata di nuovo dentro. Visto che era un totale fallito, avrei potuto estorcere qualsiasi tipo di informazione da quel tipo. Mi avvicinai alle sbarre, atteggiandomi in un paio di mosse sexy che con lui avevano sempre funzionato. E infatti cominciò subito a sbavare.

Ciao Matt.”

Matt sospirò: “Cos'hai combinato stavolta?” ma il suo tono sembrava davvero poco severo.
“Io volevo solo sapere cosa avessero fatto per essere spediti in carcere.” mormorai, la mia voce più roca del normale mentre cercavo di farmelo dire da lui.

Lo guardai deglutire: “E perché lo dovresti sapere?”

Spalancai gli occhi innocentemente: “Ma solo per cercare di fare amicizia, ovvio!”

Matt sembrava ancora indeciso, ma, quando mi umettai le labbra facendoci scorrere sopra la lingua, cedette: “Va bene, ma solo per stavolta, Lisa, e solo perché sei tu. Allora, fammici pensare un secondo.” aggrottò le sopracciglia prima che i suoi occhi si illuminassero con il ricordo.

C'è stata una rissa ad un party riservato alle celebrità, e a quanto pare loro cinque hanno fatto a botte con un altro tipo di cui non mi ricordo il nome. Insomma, il tipo è stato ferito e loro sono stati condannati a tre mesi senza la possibilità di uscire per buona condotta.”

Memorizzai l'informazione prima di staccarmi dalle sbarre e tornare a sedermi sul mio letto, senza degnare Matt di un altro sguardo. Dopo qualche istante di silenzio, Matt sospirò di nuovo e si allontanò lungo il corridoio.

In quel momento, grazie ad un lieve rumore, mi accorsi che anche la cella di fianco alla nostra era occupata. Un avvenimento incredibile, visto che non lo era mai stata in tutto il tempo che avevo passato qua.

Cercai di ricordarmi se avevo visto qualcuno entrarci dentro, ma ero stata troppo occupata con i miei compagni di cella.

Mi avvicinai di nuovo alle sbarre, tendendo la testa per sbirciarci dentro. Fui tirata indietro da un paio di mani ambrate che appartenevano sicuramente al pakistano. I capelli, che avevo ordinatamente portato dietro, finirono di nuovo davanti alla mia faccia quando mi mandò a sbattere contro il muro.

La mia schiena andò a schiacciarsi contro la parete, proprio come avevo fatto io con lui prima: “Porco cane.” sibilai tra i denti stretti quando una vampata di dolore mi attraversò la spina dorsale.

Senti un po', ragazzina. Non me ne frega niente di chi sei o cosa fai, provaci ancora e vedi cosa ti faccio.” disse il moro, la faccia impenetrabile e arrabbiata. Avevo schiacciato il suo caro ego, povero caro.

Harry cercò di separarci, ma inutilmente. Zayn non mi voleva lasciar andare la maglietta e io non stavo opponendo resistenza in nessun modo.
Allora tentò di persuaderlo con le parole: “Zayn... Zayn, è una ragazza, per l'amor del cielo! Vedi di darti una calmata.”

Feci un sorriso amaro al suo pessimo tentativo, ma parlai rivolta solo a Zayn: “Ora conto fino a tre. Se dopo il tre sei ancora in mezzo ai piedi...” la minaccia aleggiò tra di noi, lasciando tutto alla sua immaginazione. La sua mascella si contrasse, e i suoi occhi ebbero un guizzo veloce.

Uno.”

La sua presa rimase salda come prima, mentre Harry cercava di convincere Zayn che non ne valeva la pena, ma per ora era solo riuscito a ripetere che, visto che ero una ragazza, non sapevo cosa stavo facendo.

Due.” la mia voce era tranquilla.

Al contrario di quello che pensava il riccio, io sapevo perfettamente dove stavo andando con questa storia. Ed ero più che contenta che la presa del pakistano non stesse diminuendo.

Tre.” dissi, con un grosso sorriso stampato in faccia, lo stesso che stava facendo Zayn, davanti a me.

Senza dargli altro tempo per prepararsi, caricai il braccio sotto le frasi sconnesse di Harry. Il mio pugno volò contro la sua guancia con tutta la forza che ero riuscita a radunare.

Fece un passo indietro, portandosi una mano alla guancia. Ero decisamente fiera del mio gancio destro, anche se non ci avevo messo abbastanza forza per rompergli lo zigomo.

Mi guardò con uno sguardo pieno d'ira, mentre Harry gli correva accanto, chiedendogli se si era fatto male.

Porca Eva, ma sei fuori di testa?” mi ringhiò contro, non facendomi neppure un po' di impressione.

Scrollai le spalle: “Non dire che non ti avevo avvertito.”

Ma io ti ammazzo!” urlò furiosamente, chiudendo le mani a pugno.

Gli mostrai chiaramente il terzo dito, girandomi per uscire dalla cella, anche se non sarebbe stato regolare uscire dalla cella fuori orario.

Uscendo, vidi Harry che stava trattenendo a fatica il pakistano dal corrermi dietro. Il che era un bene, visto che mi ero anche rotta un'unghia e non avevo voglia di fare a botte.

Cominciai a vagare senza una meta, cercando la cella di Ethan. Alla fine la trovai in una delle stanze più remote e separate da tutte le altre. Ed era in una delle poche stanze a quattro. C'erano sempre state, ma mai occupate.

Ehi, Ethan!” salutai, sventolando la mano mentre mi avvicinavo. Il suo sguardo saettò dal libro che stava leggendo a me. Per un secondo rimase confuso, poi si aprì in un sorriso smagliante e venne ad aprirmi la porta della cella. Certo, di norma sarebbe stato impossibile aprirle dall'interno, per ovvie ragioni di sicurezza, ma Ethan era un mago a scassinare ogni tipo di serratura, e l'aveva fatto anche con la mia. In questo modo potevamo andare a trovarci in ogni momento.

Scivolai dentro, guardando i tre ragazzi che alloggiavano con lui. Stavano parlottando a bassa voce, anche se dalle loro espressioni non sembrava una questione molto seria. Per un secondo mi sembrarono conosciuti, e li riconobbi come gli altri tre tipi che erano nella band assieme a quei due decerebrati di Harry e Zayn. Avrei potuto capirlo anche dalle loro facce. Nessun tatuaggio o piercing, apparentemente ragazzi normali.

Tutti e tre mi scoccarono uno sguardo e poi un sorriso nervoso. Era limpido che li avessi spaventati con il mio discorsetto di prima.

Ma ciao, tipi di cui non mi ricordo il nome.” dissi, ironica, andando ad abbracciare calorosamente Ethan.

Ethan però si staccò in fretta da me, lanciandomi un'occhiata molto incuriosita: “Guarda che lo capisco quando ti succede qualcosa. Dai, su, racconta.” mi esortò, mettendomi a sedere sulla sua brandina.
Anche i tre ragazzi davanti a me piombarono nel silenzio, aspettando la mia risposta. In un primo momento fui abbastanza innervosita dal fatto che stessero origliando la nostra conversazione, ma poi mi accorsi del fatto che questo li avrebbe portati a capire che io non ero una persona con cui scherzare, io facevo sul serio.

Alzai le sopracciglia verso Ethan: “Niente di ché. I miei compagni di cella sono solo ritardati.” mormorai, stiracchiando la schiena.

Specialmente il pakistano.” aggiunsi, con un'occhiataccia pungente ai tre ragazzi, che distolsero subito l'attenzione da me.

Uno dei tre, quello con i capelli di quel biondo innaturale che sembravano tinti, mi fece un altro sorriso: “Sì, Zayn può essere un po' troppo esuberante, a volte.”

Risi rumorosamente: “Esuberante, eh? Ditegli che se continua così finisce che lo trovano morto sotto la doccia.”

L'altro, sempre con i capelli biondicci, che mi sembrava si chiamasse Liam, corrugò la fronte: “Già dal secondo giorno? Sicuramente non può essersi comportato così male.”

Come volete. Ma ricordatevi, se ora dovete andare da lui, di andarci piano. Direi che la parola giusta per descriverlo ora è... alterato.” sghignazzai, appoggiandomi contro il petto di Ethan, guardandolo negli occhi scuri.

Lui cominciò ad accarezzarmi delicatamente i capelli: “Che hai fatto?” domandò, con un tono molto divertito.

Beh, diciamo che ho calpestato il suo orgoglio.” sbuffai, facendo qualche gesto poco chiaro perfino a me stessa.

Tutti e tre i frocetti cominciarono a ridere, mentre noi due li guardavamo male: “Perché ridete?” chiese Ethan bruscamente.

Louis (il suo nome era l'unico che mi ricordavo bene) ci lanciò un sorriso smagliante: “Non è mai una buona idea mettersi in mezzo a Zayn, rischi di finire davvero male.” spiegò, facendo sottintendere che 'ora me l'avrebbe fatta pagare'. Come se fosse possibile. Doveva ancora arrivare il ragazzo che riusciva a battermi nei combattimenti corpo a corpo, l'unico ad esserci mai riuscito era Ethan, ma quando ancora ero una ragazzina, cinque anni fa.

Contaci. Se credi veramente che sarò io a finire male non hai ancora capito con chi stai parlando. Per ora è stato il suo zigomo a rimetterci.” insinuai, cercando di fargli capire che il loro amico non era proprio nelle migliori condizioni.

Ethan mi guardò, improvvisamente più serio: “Mi devo cominciare a preoccupare?” domandò, inarcando un sopracciglio per dissipare il nostro piccolo momento di serietà.

Mi guardai le mani, ghignando: “Oh, no. Non gli ho rotto niente, ma se prova ancora a toccarmi puoi stare sicuro che il suo bel faccino non sarà più tale.” guardai i tre, facendogli capire con uno sguardo che dovevano riferire la mia minaccia a quei due. Ethan rise, facendo tremolare il suo petto. Gli morsicai delicatamente un orecchio, giusto per fare qualcosa. Lui sembrò apprezzare, e aprì la bocca per dire qualcosa, ma le sue parole furono interrotte dal suono gracchiante dell'interfono che si accendeva.

Alzammo tutti la testa verso il piccolo aggeggio grigio, mentre io aspettavo poco pazientemente di sapere dove mi avevano smistata.

Sono le tre del pomeriggio. Fino alle sei, si richiede le vostra presenza nelle varie attività pomeridiane a cui siete stati assegnati.” le porte si aprirono tutte contemporaneamente con uno scatto metallico, e la voce della segretaria, una donna sulla sessantina che faceva fotocopie tutto il giorno, si fece più cordiale, “Lisa Jane Parker, sei stata mandata al corso di recitazione anche stavolta. Vedi di comportarti bene.” disse con una piccola risata.

Sorrisi, alzandomi da dosso di Ethan: “E tu? Sempre a falegnameria?” gli domandai, sperando che fosse magicamente finito a fare teatro pure lui.

Ma annuì con un sorriso arrogante: “Sai, ogni tanto penso che i tipi che organizzano le attività siano un pelo rintronati. Ti rendi conto del fatto che ci stanno insegnando ad usare una motosega?” la sua voce scandalizzata, da finto santarellino, mi fece scoppiare a ridere come una pazza. Effettivamente la cosa non mi era mai venuta in mente.

Allora ci vediamo più tardi.” mormorai, scoccandogli un bacio rumoroso sulla bocca.

Ethan si alzò a sua volta dalla brandina, facendomi un sorriso sornione: “A dopo, bellezza.”

Uscii velocemente dalla cella, camminando per i corridoi che si svuotavano appena passavo io. Ogni tanto facevo un cenno a qualche ragazzo che conoscevo, ma per il resto stavo in silenzio in mezzo al chiacchiericcio. Quella massa putrida di delinquenti era così ridicola, non avevano nemmeno la minima decenza necessaria a parlare di come fossi tornata dentro lontano da me. Era tutto un 'Lisa ha fatto questo', 'Lisa ha detto quello' e blah blah blah.

Aprii la porta con la targhetta che leggeva 'Corso di recitazione' con un calcio, facendo girare tutti i carcerati già dentro.

Ehilà!” dissi forte, ma solo un paio di loro ebbero il coraggio di rispondere al mio saluto. Ogni tanto sembravano conigli spaventati, invece che ragazzi in un carcere giovanile.

Senza curarmi di guardare a chi appartenessero gli scalpitii di passi che stavano dietro di me, mi lasciai cadere pesantemente su una delle sedie che erano ordinate attorno al piccolo palco. La cosa che mi piaceva di meno di quella stanza, tutto sommato esteticamente carina, era che era tutto fatto in legno. Tutto.

La cosa personalmente non mi toccava, ma conoscevo tutti i ragazzi con tendenze piromane qua dentro. E due di loro frequentavano il corso con me. Insomma potevo solo sperare che si ricordassero le minacce che avevo proferito all'inizio dell'anno sul fatto di appiccare fuoco alla stanza.

Ho voglia di una sigaretta.” mormorai, sbuffando. Presto sarei riuscita a procurarmene una in cambio di una scopata, ma sapevo già che sarebbe stato un anno molto lungo senza la mia riserva costante di nicotina.

Poi ricominciai a parlare a voce alta, conscia del fatto che tutti mi stavano guardando, aspettando che gli dicessi cosa fare e dove andare: “Allora, l'istruttrice ha finalmente deciso che spettacolo faremo a fine anno?” domandai. Fino a settimana scorsa stava ancora decidendo, facendoci esercitare sui monologhi. Poi ero finalmente uscita, e a quel punto non mi ero tenuta informata.

Un ragazzo moro annuii: “Sì, Romeo e Giulietta.” disse annoiato, facendo capire quanto poco fosse d'accordo.

Dio, che schifo, una storia d'amore. Non le potevo proprio vedere quelle, così melense e diabetiche. E poi, che senso aveva? Insomma, la trama era essenzialmente: Romeo e Giulietta si innamorano, non possono stare insieme perché le loro famiglie non vogliono, si mette in mezzo un cugino (o forse era lo zio...), Romeo muore e Giulietta si suicida.

Più o meno. Credevo almeno, non era come se avessi mai letto una delle tragedie di Shakespeare.

In quel momento la nostra istruttrice entrò nella stanza con il suo solito sorriso paffuto e lo sguardo vivace.

Si accorse subito di me, anche se mi ero seduta apposta in uno degli angolini più nascosti: “Oh, Lisa, che bella sorpresa è riaverti qua! Non immagini nemmeno, stavo giusto cercando una ragazza per fare Giulietta!”

Poco ci mancò che mi strozzassi con la mia stessa saliva: “Giulietta?” chiesi, la mia voce quanto più disgustata potessi avere, “Sta scherzando, vero? Io non posso fare Giulietta! Per non dire, non so nemmeno chi sia Romeo.”

In tutti gli anni che avevo passato qua, mi era sempre capitato di avere la parte principale, perché l'istruttrice per qualche strana ragione mi aveva presa in simpatia, ma tutti i nostri spettacoli si erano limitati a Peter Pan e Robin Hood. L'anno scorso avevamo addirittura messo in scena l'Iliade, sotto mia proposta. Un conto era recitare in storie di guerra e avventura, ma non potevo fare la damigella che andava salvata dal principe azzurro. No, no e poi no.

A questo si può rimediare subito, non ti preoccupare, Lisa. Tu farai Giulietta, mentre Romeo lo fa Harry Styles. E Zayn Malik fa Paride.”

Tutte le certezze che mi erano fatta fino a quel momento frenarono bruscamente, facendomi spalancare gli occhi per la sorpresa. Non era possibile, questo doveva sicuramente essere uno scherzo. Sì, era solo un brutto scherzo.

E io odiavo essere sorpresa: “No, non esiste, non farò questa schifezza.” sputai, guardando la donna paffuta con odio. Se in quel momento gli sguardi avessero potuto uccidere lei sarebbe stata una pila di cenere ai miei piedi.

Senti, tesoro, non fare la difficile. Ci sono poche ragazze in questo corso, e abbiamo un disperato bisogno di una ragazza forte, che sappia prendere le redini di questo spettacolo.

Le sue ampie lodi non servirono a rabbonirmi, come lei aveva sperato. Tirai un calcio alla sedia, facendola cadere con uno schianto. Digrignai i denti come un cane, ringhiando mentre guardavo tutti i ragazzi in faccia, ma saltando cinque facce conosciute. Ero a dir poco esasperata. Mi domandai se per caso non l'avessero fatto apposta, a mettere tutti e cinque quegli scemi nel mio stesso corso.

Cercai disperatamente un modo per tirarmene fuori: “Accetto solo se fate avere del cibo commestibile a me ed Ethan.” proclamai, vittoriosa. Sapevo che non sarebbe stato possibile, quindi era come dire che non avrei fatto Giulietta.

Tutto quello che vuoi.” si affrettò a dire l'istruttrice, con un grosso sorriso, “Supervisionerò personalmente che cucinino meglio per voi due.”

Quell'affermazione mi prese in contropiede, ma mi affrettai a nasconderlo. Io ero Lisa, non potevo mostrarmi debole di fronte a nessuno. E, per quanto volessi rifiutarmi di fare questo stupido spettacolo, io ero sempre stata fedele alla mia parola.

E sia, farò Giulietta. Ma il primo che osa toccarmi senza il permesso verrà decapitato, e non sto scherzando.”

Quell'avvertimento lo indirizzai ai miei due compagni di cella, specialmente Zayn, che mi stava guardando con quello sguardo assassino e un lato della faccia leggermente gonfio.

Feci una smorfia, strappando un copione di mano alla donna paffuta con rabbia. Andai fino in fondo, cercando di ricordarmi se ci fosse qualche bacio tra i protagonisti.

Ma così, a prima vista, sembrava che non ce ne fossero. Ringraziai almeno per quello. Anche se non mi sarei dovuta fidare troppo, perché la nostra istruttrice aveva la brutta abitudine di aggiungere scene d'amore ovunque.

E io non avevo nessuna intenzione di baciare quei due porci, nemmeno se fosse l'unico modo per salvare il mondo dalla distruzione aliena.

 

Vi posso amare per ogni giorno della mia vita, per sempre semprissimo?? (?)
10 recensioni. 10!! No, ma ci rendiamo conto? Boh, non capisco, ma davvero, mi fate così felice... Non potete nemmeno immaginare :D Quindi, vi ringrazio di cuore, e anche tutte le 41 persone che l'hanno messa tra le seguite e le 37 tra le preferite. Vi amo, davvero *-*
Ok, mi sento in colpa, per due motivi: uno, non ho ancora risposto alle vostre recensioni. Prometto che lo farò, ma sono davvero di fretta. Secondo, devo recensire 587394843 storie e non ho il tempo D: Le voglio leggere tutte, ma proprio non trovo il tempo materiale per farlo... Quindi, se sto leggendo la tua FF, non è che io non stia recensendo perché non mi interessa, è che è davvero un brutto periodo e non riesco a fare niente. Passerò, promesso, ma ancora non so quando ._.
Detto questo, il capitolo non mi piace, principalmente perché è solo di passaggio e non succede nulla di significativo. Detto anche questo, mi sento ancora più in colpa a chiedervelo, ma... mi lascereste una piccola recensione?
Ma la sto tirando troppo per le lunghe, vero? Passo e chiudo.
I love you!!!
Ele :)

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Capitolo 4
*** History of the damned ***


*ATTENZIONE*

Il comportamento di Ethan in questo capitolo non è assolutamente da imitare. Con questo racconto non voglio in alcun modo condonare l'uso della violenza, né contro persone né contro animali, e gli atti descritti non hanno l'intenzione di giustificare in alcun modo l'omicidio. Se siete facilmente influenzabili, o se atti di violenza contro altre persone vi turbano, siete pregati di non leggere il capitolo, grazie.

A scanso di equivoci, la parte contenente la violenza fisica è segnalata da cinque asterischi.

 

Purtroppo, Harry era dannatissimamente bravo a recitare. La sua voce si innalzava e abbassava con un'irregolare cadenza melodica. Tutti gli altri ragazzi sembravano rapiti dalla sua voce, o forse dai lenti gesti misurati che rivolgeva ad un immaginario servitore. Con uno sbuffo di fastidio per tutte le attenzioni che stava ricevendo, mi alzai in piedi e mi stiracchiai, la maglietta corta che mostrava il piercing all'ombelico. Le mie palpebre erano pesanti, chiaramente la voce di Harry era ottima per mettermi addosso una sonnolenza anormale. Sentii gli sguardi e i bisbigli spostarsi da Romeo o me, e mi spuntò un sorrisetto divertito. Era così semplice muovere le loro attenzioni, così facile, in effetti, che a volte avevo l'impressione di essere rinchiusa con un branco di cagnolini curiosi e non dei delinquenti che erano sulla buona strada per le carceri di stato.

Prima che l'istruttrice potesse fermarmi per comportamenti non idonei o chiamare le guardie, salii sul palco.

Harry si interruppe nel mezzo del suo bel monologo, girandosi verso di me con la confusione chiara nei suoi occhi. Lo spintonai leggermente lontano dal microfono sotto i risolini divertiti dei miei compagni.

Mi schiarii la voce, fregandomene altamente di tutte le minacce che uscivano dalla bocca della mia istruttrice. Tanto, era una donna così poco autoritaria che il massimo che avrebbe mai fatto sarebbe stato urlare e proferire un destino funesto se non avessi fatto quello che voleva lei, ma non funzionava mai. Anche perché aveva troppa paura per avvicinarsi direttamente a me.

Buon pomeriggio a tutti.” dissi con un sorriso a 300 volt che si spense dopo un secondo, la mia risposta automatica agli applausi e ai fischi dei carcerati. In un angolo della stanza vidi l'espressione tetra di Zayn, accanto al biondo.

Ripresi a parlare, lanciando un'occhiata sfrontata al pakistano: “Come avrete già notato, sono tornata. Bene, sappiate che ora le cose verranno fatte a modo mio, e il primo che osa sfidarmi si ritroverà con la gola tagliata.” dissi a testa alta, fiera di me. Non che ci fosse niente di bello ad avere la fedina penale più sporca di mezza Londra messa assieme, ma era stranamente gratificante. Colsi pezzi di conversazioni bisbigliate, teorie su come ci fossi finita di nuovo dentro di tutti quelli che non avevano sentito la mia conversazione con Ethan in mensa.

La più gettonata era che avevo picchiato un poliziotto, seguita a ruota da una minaccia al primo ministro inglese. Se c'era una cosa che non gli mancava, era proprio la fantasia.

Saltai giù dal palco e lanciai un bacio volante a Harry, che era ancora fermo immobile sul palco, che mi guardava con una faccia allibita. Uscii dalla stanza sotto gli sguardi di ammirazione e venerazione dei miei compagni e le urla isteriche dell'istruttrice che mi diceva di tornare dentro.

I corridoi erano deserti, tutti erano a fare qualche lezione educativa, quindi anche le celle erano vuote. Il silenzio cera paradisiaco alle mie orecchie. Nessuno schiamazzo, nessuna bestemmia da scaricatore di porto, nessuna maledetta campanella. I miei passi risuonavano sul pavimento mentre camminavo verso la mia cella, soffocando uno sbadiglio. Vidi un paio di guardie in giro, ma nessuna cercò di fermarmi, tanto ormai erano abituati a vedermi girare per il carcere. Questa era diventata un po' la mia casa.

Certo, non era come se avessi davvero un'abitazione al di fuori di qua, di solito dormivo a scrocco con uno qualsiasi dei miei compagni di malefatte.

Cercando di fare il meno rumore possibile, aprii la porta con le sbarre arrugginite. Mi buttai con un sospiro di sollievo sulla mia branda, chiudendo gli occhi. Era in quei momenti che potevo veramente lasciarmi andare. Fare la principessa delle tenebre tutto il giorno era complicato, e in fondo, io avevo solo diciassette anni. Ma valeva la pena fare quello sforzo, visti i risultati.

Tesi il collo per vedere l'orologio che c'era proprio fuori dalla mia cella, in corridoio. Con ogni probabilità non mi sarei persa molto, dato che la campana che ci ordinava di far ritorno nelle nostre celle sarebbe suonata tra una mezz'oretta. Potevo permettermi di dormire. Avevo sonno, tanta sonnolenza che mi impediva di formare dei pensieri coerenti. Sbadigliai e mi sistemai più comodamente le coperte attorno, con la testa che sprofondava nel cuscino. Il cuscino era morbido, e io ero talmente stanca!

I miei occhi si appiccicarono assieme, rendendo ancora più complicato stare sveglia. Sinceramente non capivo come mai fossi così priva di energie tutta d'un tratto.

Ma in effetti, se ci pensavo bene, era davvero tanto che non mi riposavo. Ieri sera, prima del processo, ero stata troppo nervosa per dormire. Era strano pensare che dopo tutto questo tempo riuscivo ancora a diventare agitatissima al pensiero dell'aula del tribunale, nonostante ci fossi abituata.

Però questa volta l'avevo combinata grossa, accoltellando un altro ragazzo. Non mi ero mai spinta così oltre, anche se attorno a me ruotavano delle leggende secondo cui io avrei ucciso parecchia gente in tutti i miei anni di vita. E si poteva dire che io avevo fatto di tutto per ingigantire questi miti. Poteva solo fare bene alla mia reputazione, già micidiale per la mia amicizia con Ethan.

Ethan faceva paura a tutto il carcere, salvo alcuni elementi schivi e solitari che erano serial killer, stupratori o cose simili. Perfino io limitavo i miei contatti con soggetti di quel genere, era meglio stargli il più lontano possibile se si teneva alla propria vita. Ma loro mi rispettavano, questo lo sapevo per certo perché ero stata in grado di assicurarmi il loro rispetto. E perché ero una delle pochissime che gli parlava senza paura.

I miei pensieri sconnessi si spezzettarono, distrutti da un'altra ondata di stanchezza. Mi abbandonai tra le braccia di Morfeo. Il mio ultimo pensiero fu che avrei dormito solo dieci minuti.

Il sogno che stavo facendo era senza senso, immagini frammentate di gente che avevo frequentato e perfetti sconosciuti. E poi si stabilizzò sulla faccia di Ethan. Il suo viso cominciò a ringiovanirsi gradualmente, un cambiamento quasi impercettibile, dato che Ethan era rimasto più o meno sempre uguale col passare degli anni. Il rimpicciolimento si fermò più o meno quando lui aveva tredici anni. L'unico cambiamento sostanziale erano i piercing in meno e i lunghi capelli marrone scuro che rendevano il suo viso più dolce, meno simile al criminale patentato che ora era.

E capii cosa stava per cominciare: ancora una volta il solito incubo, di ritorno dai più lontani recessi del mio subconscio. Quando Ethan mi aveva spiegato l'accaduto, dopo aver cercato di convincerlo per più di un anno intero a farmi raccontare la sua storia, avevo avuto quell'incubo per una settimana filata. Ogni tanto tornava ancora a spaventarmi. Oramai lo sapevo, tutte le volte che vedevo quelle scale, e quella casa bianca inondata di luce, sapevo che avrei sognato di nuovo il momento in cui Ethan uccideva la sua famiglia.

 

Mamma, sono a casa!” urlò Ethan subito dopo aver aperto la porta. Come al solito, nessuno rispose.

Ethan appoggiò la cartella di fianco all'ingresso, dirigendosi verso il soggiorno. Sul divano rosso, intenti a coccolare sua sorella, c'erano i suoi genitori, entrambi giovanissimi. Sua madre era rimasta incinta a diciott'anni, e lui non aveva idea di chi fosse il suo padre naturale. Qualche anno dopo aveva incontrato e sposato il suo attuale marito, suo 'padre'. Ethan era stato il frutto di uno sbaglio, nessuno lo aveva voluto veramente. E poi, dieci anni dopo la sua nascita, era nata lei. Era odiosa, con i suoi angelici ricciolini biondi, gli occhi verdi e le fossette quando sorrideva.

Ethan aveva preso tutto da suo padre, e quindi lui e la sua sorellastra non si somigliavano per niente, e ringraziava la sua buona sorte che non gli fossero capitati gli stessi geni, altrimenti sarebbe sembrato un dannato cherubino. Eppure non avrebbero potuto essere più uguali, avevano la stessa identica natura vendicativa e un lato sadico che nascondevano freneticamente. Ma nulla da fare, sua madre preferiva Stefanie a lui.

Lui aveva cercato di darsi una spiegazione logica. Forse erano i suoi occhi color pece a metterla in soggezione, o i buchi nelle orecchie che si era fatto da solo. Ma una madre dovrebbe amare ogni figlio allo stesso modo, no?

Oggi non era differente dal solito: i suoi si sarebbero accorti di lui solo per guardarlo con disgusto e ordinagli di sparire in camera sua per studiare. E infatti, subito dopo, appena la sua testa fece il suo ingresso nel salotto, il marito di sua madre alzò lo sguardo e gli ordinò di andarsene con tono burbero.

Fremendo per la voglia di spaccare qualcosa, Ethan salì le scale a due a due per sfuggire alla sua realtà familiare. Chiuse la porta con uno scatto e fece il terzo dito a suo padre attraverso la porta chiusa prima di gettarsi sul letto disfatto con un tonfo sommesso. Soppresse a fatica uno sbuffo. Non ce la faceva più a sopportare tutto questo. Ogni tanto si chiedeva se non sarebbe stato meglio scappare. Aveva già preparato tutto per una fuga. C'era una copia delle chiavi di casa sotto uno dei tanti vasi di fiori sul suo davanzale, una valigia piena di vestiti e cibo in scatola in quantità nell'evenienza di una fuga veloce. In fondo, lui era il figlio ribelle.

Ci pensava già da un paio di anni di andarsene, ma solo come presa di posizione. I suoi genitori si sarebbero accorti di che enorme errore avessero fatto e si sarebbe sistemato tutto.

Ethan accese il suo i-Pod e si infilò le cuffiette, alzando il volume fino a quando tutto il suo mondo non si restrinse al rumore assordante che gli perforava i timpani. Si perse tra gli assoli di chitarra e la voce armonizzante del cantante, cercando di concentrarsi più sulla rabbia del cantante, che in quel momento stava dicendo che avrebbe dato fuoco al mondo, che sulla sua.

Sentiva ogni muscolo fremere impaziente, cercando di controllare i suoi istinti assassini. Si immaginava già la scena. Lui che entrava nel bagno di Stephanie di soppiatto, guardandola mentre si rilassava pacificamente, appoggiata contro il bordo della vasca da bagno piena di schiuma azzurra, la bocca rosea leggermente dischiusa e la cascata di ricci sparpagliata attorno alla testa come se fosse un piccolo sole. Si sarebbe avvicinato e avrebbe allungato una mano. Poi, molto delicatamente, le avrebbe accarezzato la testa e le sue palpebre si sarebbero aperte con uno sfarfallio leggero. I suoi occhi verdi lo avrebbero trapassato da parte a parte, ma senza timore, perché lei non sapeva cosa la stava aspettando. Voleva che sapesse chi era il suo assassino, e sperava ardentemente che prima di morire si rendesse conto dei suoi errori, della sua maligna presenza che lo aveva allontanato dalle grazie di sua madre. Ma sapeva che era troppo piccola, e che ciò non sarebbe successo. Certo, non avrebbe impedito che il suo sorriso innocente e un malizioso saluto con la sua vocina acuta lo distraessero dal suo compito. L'avrebbe spinta delicatamente sott'acqua, e la sorpresa avrebbe bloccato ogni sua protesta, non avrebbe nemmeno cercato di risalire all'inizio. Dopo qualche istante si sarebbe accorta che Ethan non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare, e allora sì che avrebbe cominciato a dibattersi. Le sue piccole manine avrebbero cercato di arpionare via la mano del ragazzo, che le impediva di respirare. Le sue unghiette affilate lo avrebbero graffiato, e le quantità industriali di bagno schiuma nella vasca avrebbero cominciato a far pizzicare i segni sul dorso della mano, ma un dolore del genere era sopportabile. I suoi piedi avrebbero cominciato a sbattere qua e là, creando piccole onde concentriche nella vasca, dapprima piccole, poi sempre più grandi, che si frastagliavano contro l'orlo della vasca e si rovesciavano con una cacofonia di rumori all'esterno, bagnando il pavimento. Sarebbe passato qualche minuto, e la pressione contro la sua mano si sarebbe allentata gradualmente fino a sparire, e Stephanie sarebbe morta, sparita definitivamente dalla sua vita, fino a diventare non più che un vago ricordo.

Ma ovviamente, non poteva uccidere sua sorella, e si sorprese ad essere soppresso da uno strano senso di colpa. Lui non voleva davvero che Stephanie morisse, vero? O sì?

Ethan non riuscii ad approfondire l'argomento con se stesso perché in quell'istante sentì una scarica di dolore alla cute, e si accorse che doveva essere Stephanie, venuta a chiamarlo per la cena al solito modo, tirandogli i capelli così forte che aveva la sensazione che si sarebbero staccati di lì a poco.

Aprì gli occhi e le ringhiò contro, facendole fare un delicato passo indietro, ma senza scomporsi più di tanto; ormai era abituata all'aggressività del fratello, ma pensava che forse erano solo gli ormoni che lo rendevano così irritabile.

È pronta la cena.” disse con la sua vocina petulante ed affettata, con un sorriso smielato che di fraterno non aveva proprio nulla. E con quelle parole sparì dalla stanza, volteggiando con indosso il tutù viola che le avevano comprato ieri sua madre e suo padre.

Ethan si passò la lingua sulle labbra, bagnandole, e staccò le cuffiette dalle orecchie con uno strappo violento. Il silenzio della stanza si fece improvvisamente profondo, e gli cominciarono a fischiare le orecchie per l'assenza di rumore. Scese le scale e si avviò verso la cucina, notando come fossero tutti molto più rumorosi del solito. Il mistero fu presto svelato: si stavano comportando tutti assurdamente bene perché c'era suo zio in visita. Lo odiava. Odiava la sua persona arrogante e la sua ottusità, chiara come il sole sotto una coltre di pienezza di sé.

La sua giornata già nera sprofondò ancora un po' di più, facendogli credere che la sua buona stella se ne fosse andata completamente, lasciandolo da solo in quella famiglia incasinata.

Ma fece un sorriso allegro e si avvicinò a zio Albert, che per tutta risposta lo squadrò da capo a piedi, nemmeno fosse un vecchio straccio sporco. Si sentì in soggezione, e rimpianse di non aver scelto dei vestiti più eleganti, invece che la solita maglietta nera e un paio di jeans logori.

Ethan... Sei cresciuto. Come sta andando la scuola quest'anno?” domandò, dando in mano a mia madre il suo giaccone e accomodandosi su una delle sedie senza che nessuno gli dicesse niente. Mia madre appoggiò la giacca sull'appendiabiti dietro di lei e ordinò a tutti di sedersi con quella sua voce aspra che mi faceva venire voglia di spaccarle un piatto in testa. Si sedette al solito posto, cercando di trattenere l'impulso di scappare a gambe levate da quella situazione.

Tutto bene, zio.” disse, ricordandosi improvvisamente della domanda che aveva fatto. Suo zio lo scrutò con quei piccoli occhi porcini.

Sei sicuro? L'ultima volta che hai detto una frase del genere ti hanno quasi espulso.” la sua voce arrogante era nasale e nauseante mentre suo padre gli versava un bicchiere di vino e lui se lo scolava in poco più di un sorso.

Sentì un'insormontabile ondata di rabbia sorda e pulsante farsi strada nel suo corpo. Era stato davvero un colpo basso riportare a galla quella faccenda di due anni fa.

Ethan cercò di mantenersi calmo, ma sentiva tutti i muscoli della sua faccia tesi nel tentativo di sembrare neutrale al commento. Stephanie ridacchiò dalla parte opposta del tavolo, e lui sentì ancora quella voglia matta di ucciderla, ma stavolta le avrebbe ficcato la testa nell'acqua bollente. Voleva sentirla urlare, voleva vederla piangere. I accorse che aveva le mani strette a pugno così tanto che le unghie avevano lasciato piccole mezzelune rosse in corrispondenza con le sue unghie.
Le facce inquisitorie rivolte verso di lui indicavano che non aveva sentito qualche domanda che gli aveva posto lo zio. Fece un altro sorriso stentato.

Scusa, avevo la testa per aria.” disse a mo' di spiegazione, evitando di guardare l'espressione incenerante del padre e quella ammonitrice della madre.

Suo zio strinse gli occhi fino a ridurli a due fessure: “Sempre con la testa per aria questo ragazzo. Non è che sarebbe il caso di mandarlo d qualche specialista? Perché secondo me ha il cervello un po' bacato.”

E così, ora era lui ad avere il cervello bacato, no? Non sua madre, che non aveva usato un dannato preservativo mentre faceva sesso, non suo padre, che aveva deciso di sposare una donna single con un figlio da mantenere e che poi si lamentava pure delle spese.

Sentiva la testa girargli da quanto era in preda alle emozioni, tra poco sarebbe scoppiato e poi non si sarebbe più fermato. Questo era troppo anche per lui.

Sua madre cominciò a mettere i piatti in tavola, ed Ethan fu presto costretto a guardare quella roba che sua madre spacciava per cibo ne suo piatto. Sbirciò anche in quello degli altri ma, fedele alla linea di pensiero sua madre, i 'grandi' mangiavano una cosa, mentre i 'piccoli' ne mangiavano un'altra. Ma davanti a Stephanie c'era un piatto pieno di patatine fritte e un hamburger enorme. Fissò il cibo nel suo, riconoscendo la pasta per quel che era. Aveva un aspetto malaticcio, troppo bianca e tutta raggrumata, fino ad essere irriconoscibile. Ne dovette staccare un pezzo col coltello per poi metterselo in bocca, pensando che con ogni probabilità erano i rimasugli del pranzo scaldati nel microonde. Se ne mise un pezzo in bocca. Era viscido, come se si fosse appena messo un bocca un pesce rosso ancora vivo. Ed era disgustoso, così disgustoso che il solo pensiero di avere quella roba in bocca gli faceva venir voglia di vomitare. Ora che ci pensava, il paragone veniva automatico: aveva lo stesso colore dello sperma. Quel pensiero gli fece quasi sputare il boccone, ma si costrinse ad ingoiarlo, sentendo il suo pomo d'Adamo fare su e giù mentre si obbligava ad inghiottire. Bevve velocemente un grosso sorso d'acqua per togliere il sapore viscido dalla lingua.

Com'è che lei mangia quello?” chiese amaramente, puntando il coltello nella direzione di sua sorella. Ma sapeva come sarebbe andata a finire, non era la prima volta che succedeva, e di certo non sarebbe stata l'ultima.

Suo padre tossicchiò e rispose con voce severa mentre il chiacchiericcio si spegneva di botto: “Non fare il bambino, Ethan. Stephanie è piccola, e quella è l'unica cosa che mangia. Per non dire che tua madre ti ha preparato quel pasto con tanto amore, quindi farai meglio a mangiarlo.”

*****

Il pensiero di dover mangiare l'intero piatto lo fece quasi sboccare sul posto, rivoltandogli lo stomaco come un calzino. Si alzò in piedi di scatto, facendo cadere per sbaglio un bicchiere di vino e provocando l'ira di suo padre, a cui per poco non scoppiò una vena.

Siediti, Ethan.”

Altrimenti?” lo provocò, esibendosi nel suo sorrisetto più sfacciato, pur sapendo che non era saggio sfidarlo.

Altrimenti dopo ti insegno io una lezione.” disse, stentoreo, mentre stringeva la forchetta così tanto che le sue nocche erano sbiancate.

La sua mente ebbe un blackout. Troppa tensione, troppa rabbia perché il suo cervello continuasse a ragionare, invece furono i suoi istinti di sopravvivenza a prendere il sopravvento.

Vide tutto al rallentatore, la sua smorfia di odio puro rivolta a tutti i presenti, le sue mani che tremavano mentre afferrava saldamente il piatto. E poi si vide mentre tirava il piatto di ceramica in testa al suo padrigno. Il piatto si frantumò in mille pezzi, e la pasta si tinse rapidamente di rosso quando cadde con un suono floscio sulla sua testa, dandole un'aria ancora più cupa, mentre lui cadeva all'indietro dalla sedia, gli occhi così larghi che praticamente uscivano dalle orbite.

Gli uscì un suono strozzato dalla gola, come una ranocchia agonizzante, mentre si contorceva sul pavimento e cresceva la macchia di sangue sul parquet. Sua sorella scoppiò in un pianto disperato proprio mentre sua madre cominciava ad urlare istericamente e faceva una corsa per il telefono, ancora incerta se chiamare un'ambulanza oppure la polizia.

Ethan capì immediatamente cosa aveva fatto, e per qualche ragione sapere di aver (forse) ucciso il marito di sua madre gli dava un senso di soddisfazione immensa. Ma poi, proprio mentre sua madre afferrava la cornetta e cominciava a premere freneticamente i tasti, sbagliando tutte le volte perché le mani le tremavano troppo, capì che ora era un assassino, e sempre l'istinto di sopravvivenza lo obbligò a fare una decisione molto semplice. O impediva che il suo crimine venisse scoperto, o rischiava l'ergastolo. La scelta fu così ovvia che per qualche secondo si domandò se non ci fosse sotto qualche tranello.

Ma poi smise di pensare e si affidò alle conoscenze del predatore in pericolo che era appena diventato.

Il cuore gli batteva a mille, un po' per la paura di finire in prigione e un po' per l'eccitazione della caccia.

Afferrò sua madre per il collo, allontanandola dal telefono e pensando a come fare per stanarla velocemente. Se avesse fatto troppo rumore i vicini avrebbero potuto insospettirsi e chiamare la polizia. Di zio Albert non aveva paura, perché era ancora fermo sulla sedia a guardare il corpo inerme di suo fratello, che ora aveva smesso di dimenarsi, con gli occhi spalancati e increduli. Stephanie piangeva ancora, le sue urla stridule, ed Ethan seppe con assoluta certezza che voleva tenersi sua sorella per ultima, vedere la consapevolezza nel suo sguardo, la consapevolezza che stava per morire e che nessuno poteva aiutarla stavolta.

L'adrenalina lo stava facendo sragionare, ma non gli importava in questo momento. Spinse la testa di sua madre forte contro il muro, e sentì l'urlo di dolore che seguì. Chiaramente non era stato un colpo abbastanza forte.

Ripeté l'operazione altre due volte, mentre sia lei che sua figlia strillavano come ossesse, e alla quarta volta sentì la testa di sua madre aprirsi come un melone troppo maturo, con un rumore strano che non somigliava a nulla di quello che avesse mai sentito. Un po' di sangue gli colò sulle mani, e lui lo guardò con cupidigia, ansioso di provare di nuovo quella sensazione inebriante che seguiva l'atto di violenza.

Si diresse senza più esitazioni verso suo zio, mentre il corpo senza coscienza di sua madre scivolava per terra.

Stavolta si prese più tempo nel decidere come avrebbe attuato l'omicidio. Ora che il pericolo più grande, quello che la polizia sentisse le urla, era stato evitato, poteva riflettere di più sul lato estetico dell'omicidio.

Alla fine andò in cucina e frugò in lungo e in largo per trovare uno di quei coltellacci da cucina che sua madre usava per affettare la carne. Quando lo trovò, non perse altro tempo e si diresse verso suo zio, che, ancora sotto shock, non si accorse nemmeno del nipote che si avvicinava minacciosamente con un coltellaccio in mano.

Era quasi sul punto di pugnalarlo, quando si ricordò del problema che ponevano le costole. Quindi girò la lama del coltello, tenendola accuratamente in orizzontale in modo da non cozzare contro le ossa.

Si umettò le labbra e spintonò il coltellaccio nel corpo di suo zio, che dopo qualche istante di immobilità cadde in avanti come un sacco di patate, con la lama ancora infilata nella schiena. Il suo corpo andò a far compagnia a quello di suo fratello, e Ethan sentì distintamente il rumore del suo naso che si rompeva mentre finiva a terra, e lo splash della sua faccia massiccia che cadeva nella pozza di sangue uscito dai tagli in testa a suo padre, che sperava fossero abbastanza profondi da averlo stecchito.

Si girò verso Stephanie, il cuore che sembrava sul punto di scoppiargli e il fiato pesante e irregolare. Eppure si sentiva bene, l'ebbrezza dell'omicidio aveva un ché di salutare in lui. Sentiva una luce frenetica negli occhi, e udì le urla di sua sorella farsi sempre più acute e disperate. Si ricordò del sogno ad occhi aperti che aveva fatto prima, in camera, sotto il fracasso degli Slayer. Sapeva come voleva che morisse sua sorella, l'origine di tutti i suoi guai. Adocchiò un cuscino di lana grezza sul divano in pelle, e prese brutalmente in braccio la bimba per portarla vicino al cuscino, un sorriso maniacale in viso. Stephanie si ammutolì di botto, guardando il fratello con due occhioni che avrebbero fatto sciogliere un sasso, ma che in quel momento non sortirono alcun effetto su Ethan.

Fai ciao ciao con la manina.” disse sarcasticamente a sua sorella prima di spingere la sua faccia contro il cuscino. Fu una cosa lenta, ci mise quasi dieci minuti a smetterla di contorcersi, ma lui la tenne premuta contro il cuscino per più a lungo, giusto per essere certo di averla fatta fuori.

Ma era morta di sicuro. Le sue gambe pendevano flosce da sotto il tutù, e le sue mani affusolate, che fino a poco tempo prima cercavano di prenderlo a pugni dovunque arrivassero, ora erano innocue. Il suo viso era mortalmente pallido, con quasi una sfumatura di azzurro. La disgustava, quasi più da morta che da viva. Era assolutamente inutile, per non dire ingombrante.

Il flusso di adrenalina domandava di più, richiedeva che altro sangue fosse versato, altre vite bruciate. Le uniche altre cose che trovò di vive furono il canarino di sua sorella, che mise a cuocere in una pentola di acqua bollente, e il gatto di famiglia, un vecchio siamese che Ethan aveva odiato fin dal primo momento in cui il marito di sua madre se l'era portato in casa. In nome di tutti i casini di cui era stato incolpato per colpa di quel dannato gatto, gli fece fare una fine lenta e dolorosa. Prima gli tagliò la coda e gli legò un laccio emostatico improvvisato in modo che non morisse dissanguato dagli zampilli si sangue cremisi che uscivano dal moncone.

Poi si divertì a staccargli parti del corpo, un orecchio o una zampa spelacchiata. Alla fine morì, anche se lui non era certo di cosa fosse morto, magari gli era pure venuto un infarto, al poveraccio.

Il tempo passò. Lentamente, certo, ma alla fine passò, e poco dopo che le campane ebbero scoccato la mezzanotte si accorse che ora era orfano. E che era un assassino. La consapevolezza del suo gesto cominciò a farsi strada nel suo cervello annebbiato. Decise di chiamare la polizia. Non perché fosse divorato dai sensi di colpa, anzi, era sempre più felice di quello che aveva fatto, ma perché così avrebbe avuto un tetto sopra la testa e qualcosa da mangiare, e non avrebbe dovuto vivere sotto lo stesso tetto di sei cadaveri. Per non dire che in un paio di giorni si sarebbero accorti dell'assenza dei genitori al lavoro, e le sue impronte digitali erano limpide su tutta la casa, quindi era comunque impossibile nascondere il danno.

*****

Prese il cellulare dalla tasca e compose il numero della polizia, attendendo con pazienza mentre il cellulare squillava.

Parla un agente della polizia di stato, qual è la sua emergenza?” una voce annoiata, che probabilmente doveva aver ripetuto meccanicamente quelle parole tutto il giorno, rispose al quarto squillo.

La sua voce era ferma e stabile, ed Ethan era fiero di non essere crollato nel panico o che altro: “Buonasera. Chiamo perché vorrei costituirmi. Ho ucciso sei persone. Beh, non esattamente, quattro persone e due animali.”

Dove abita?” alla voce dell'agente, molto più secca e burbera ora, si unì il rumore di una sirena che cominciò a suonare nel sottofondo.

Lui disse l'indirizzo preciso, aggiungendo ogni informazione richiesta dall'ufficiale, come nome e cognome, età (era rimasto sconvolto nel sapere che Ethan era così giovane) e se faceva uso di medicinali.

Era nella sala ad aspettarli quando finalmente arrivarono, aprì con gentilezza la porta e gli disse di accomodarsi. Se gli ufficiali erano rimasti confusi dall'apparente gentilezza, non lo diedero a vedere, e di certo ogni progresso in positivo fu cancellato dai volti segnati dall'orrore quando entrarono nella cucina e videro tutti i corpi esanimi, constatando che nemmeno uno era sopravvissuto.

Ethan fu ben felice di farsi ammanettare, e disse addio a quella casa degli incubi, che era sicuro che non gli sarebbe mai mancata.

Un suono squillante interruppe il mio incubo, facendomi risvegliare tutta sudata e tremante. Quel sogno riusciva a sconvolgermi tutte le volte, senza eccezioni. Sapevo che ciò che era scaturito dalla sua immaginazione era molto somigliante al vero, dato che mi aveva fatto vedere delle foto della sua famiglia e descritto con cura ogni dettaglio insignificante. Dopo che me l'aveva detto ero rimasta terrorizzata da lui, domandandomi se era il caso di continuare a frequentarlo se era lo psicopatico che sembrava dal racconto. Di certo non sembrava che una misera minaccia potesse scatenare l'ira di Ethan, ma il mio povero amico ne aveva passate fin troppe, e a volte ero anche contenta che si fosse liberato del giogo della sua famiglia.

Mi alzai dal letto con uno sbuffo, leggermente traballante sulle gambe, e uscii in corridoio per il tempo libero.

Odiavo questi momenti, ore e ore di ozio in cui non succedeva quasi mai nulla di interessante. Perlomeno era del tempo che potevo passare sola con Ethan, e quello era l'unico lato positivo della faccenda.

Ero ancora un po' rintronata dal pisolino che mi ero fatta, e non mi ero accorta del casino in corridoio finché non finii quasi addosso ad una povera ragazza, che si girò per guardarmi male, prima di accorgersi che stava per fare un tremendo errore a guardare male Lisa Jane Parker.

Mi costrinsi a svegliarmi completamente e osservai il semicerchio di ragazzi che si era riunito attorno ad altre due persone, di cui una era sicuramente il riccio, il mio compagno di cella.

Spintonai un paio di persone fino ad arrivare proprio in prima fila: “Cosa succede qui?” domandai con un ringhio ferale, scroccandomi le nocche.

L'altro ragazzo, un tipo dai capelli corvini, si girò a guardarmi negli occhi con un'espressione omicida. Ci misi qualche secondo più del solito, ma riconobbi il ragazzo come Gabriel. Ma chiaramente mi stavo sbagliando, perché Gabriel era stato spostato l'anno scorso in un centro di recupero per ragazzi. E che io sapessi era ancora lì.

Ma quello davanti a me non poteva essere che lui: lunghi capelli neri che gli oscuravano metà della vista, occhi del colore del ghiaccio e mortalmente pallido. Era l'unico che potesse conciarsi in quel modo senza sembrare una specie di emo. Certo, aiutava il fatto che nessuno osava avvicinarsi a lui perché avevano tutti troppa paura.

Gabriel Delaware, sei proprio tu?” domandai con un sorriso che andava da una parte all'altra della faccia.

Gabriel era uno di quei tipi poco raccomandabili che nessuno osava avvicinare, ma che per qualche ragione mi aveva presa in simpatia. E avevo scoperto che la sua reputazione non era del tutto dovuta. Magari non era proprio la compagnia ideale, ma avevo visto tipi ben peggiori. Qualche omicidio, un paio di stupri, spaccio di droga e, come mi aveva confessato, prostituzione. Sì, tutto sommato era un tipo abbastanza a posto, ma si era fatto la fama di sociopatico, per qualche misteriosa ragione.

Lui fece un sorriso sornione, e i suoi occhi si placarono: “Lisa! Che bella sorpresa. L'ultima volta che ho sentito eri uscita per buona condotta. Ma a quanto pare in una settimana riesci a cacciarti in parecchi guai” nella sua affermazione c'era la tacita richiesta di sapere quello che era successo.

Che fai, mi spii? Non sapevo che ti fossi dedicato allo stalking ultimamente.” gli feci notare, un sopracciglio inarcato con sarcasmo.

Sul suo volto apparve l'ombra di un sorriso: “Cosa ne dici di incontrarci stasera nella tua cella? Verso le nove, magari.” propose con tono indifferente, ma sapevo bene quanto doveva essere in pena per farmi una richiesta del genere. Lui era più il tipo da sopportare in silenzio, che odiava dover chiedere favori alla gente.

Era arrivato a questo punto solo un'altra volta, ma mi era bastata per appurare che le lodi sul suo conto non erano sprecate.

Annuì: “Nove e un quarto in camera mia, ti mando Ethan a scassinare la serratura della cella.”

Cosa ti devo?” domandò dopo una pausa tesa, come se temesse la risposta.

Non è che per caso hai qualche sigaretta?” domandai con speranza, sentendo il peso dell'astinenza gravare su di me come una minaccia di morte.

Lui annuì, sorridendo maliziosamente: “Certo che sì, per chi mi prendi?”

Oh grazie, sei il mio salvatore.”

Lui aprì innocentemente gli occhi: “Come, non lo sapevi? Salvatore è il mio secondo nome.”

Gli lancia un'occhiata carica di sottintesi tra cui il solito non-fare-lo-scemo.

Gabriel si umettò le labbra suggestivamente: “Allora a dopo, bellezza.” disse con un occhiolino, girandosi e sparendo dal corridoio, manco fosse un fantasma.
“Sciò ragazzi, lo spettacolo è finito.” dissi seccamente alla folla che si era radunata attorno a noi. E poi mi girai a guardare il riccio, che era ancora disteso per terra.

Lo livellai con uno sguardo, cercando di capire in che stato fosse: “Sei suicida, per caso?”

Ne avevo conosciuti tanti di suicidi, e molti decidevano di irritare i soggetti pericolosi finché una mattina non si svegliavano con la gola tagliata. E, nonostante ci fossero così tanti suicidi, molti di più dei ragazzi fuori di testa, finivano tutti quanti stecchiti.

Essendo che l'unica risposta che mi diede fu un'occhiataccia, ritentai: “Allora mi spieghi cosa diavolo è successo qua?” Gli allungai una mano perché si rimettesse in piedi.

Hai davvero intenzione di fare sesso con quel tipo davanti a me e Zayn?” domandò, chiaramente disgustato dalla faccenda. Sinceramente trovavo il suo disgusto alquanto comico, visto che presto sarebbero venuti da me in ginocchio, pregandomi per una scopata.

Certo che sì, ora, vuoi dirmi cos'è successo?”

Harry borbottò, cominciando a camminare in direzione opposta a quella che doveva andare. Lo presi per li fianchi e lo guidai nella direzione giusta, con le mani che forse scendevano più in basso di quanto avrebbe voluto.

Mah, se lo sapessi te lo direi. Stavo camminando verso la sala e all'improvviso mi ritrovo quel tipo davanti. Ha cominciato ad urlare e spintonarmi, bestemmiando anche peggio di te.” staccò le mia mani dai suoi fianchi, ma non senza avermi lanciato un'occhiata di fuoco che non avrebbe spaurito nemmeno un bambino.

L'avrai guardato storto. Gabriel odia essere guardato.” commentai con noncuranza.

Ma ti consiglio di fare attenzione a dove vai, altrimenti ti ritroverai morto in poco tempo.” aggiunsi a titolo informativo, cercando di fare una coda di cavallo che non fosse una schifezza.

Lui mi guardò con la faccia inorridita: “Dio mio, voi siete tutti pazzi. E pensare che Liam aveva anche proposto di andare a fare un concerto di beneficenza in un carcere minorile. Ma sai qual'è la cosa peggiore?”

Lo guardai con un'espressione che chiunque non mi conoscesse scambiava sempre per interessata, ma che in realtà significava solo che mi stavo prendendo gioco del tipo, divertendomi a sue spese.

Lui prese il mio sguardo come un invito a continuare: “È che noi ci stavamo pure pensando seriamente!”

Lo guardai per un secondo, stranita non tanto dalle sue parole ma dallo scintillio nei suoi occhi: “Sei incredibile, riccio.”

Lui socchiuse gli occhi nella mia direzione: “Ed è una cosa buona o cattiva?”

Scrollai le spalle: “E chi lo sa, devo ancora capirlo.”

 

*ANGOLO AUTRICE*

Bentornate care lettrici! No, non sono caduta in un burrone, sono ancora qua a postare le mie storie orripilanti alle undici di sera perché domani devo partire per Shark El Sheikh (che poi, si scrive così?) e devo alzarmi alle tre del mattino e per una settimana non potrò aggiornare, quindi lo faccio adesso.

Chiedo venia per la mia prolungata assenza, spero che non me ne vorrete, ma era un po' in difficoltà riguardo al come scrivere il capitolo, e infatti è da notare come sia venuto una schifezza catastrofica e sia di una cortezza riguardevole. (?) Uso dei paroloni che non sapevo nemmeno di conoscere, oggi...

Non so con che coraggio sono tornata con un capitolo del genere, ma spero veramente che nelle recensioni (se ce ne saranno, poi!) non siate troppo severe. So che non si capisce niente e che è troppo forte e che è confuso e che non serve a niente se non ad anticipare quello che succederà nel prossimo capitolo (se non l'avete ancora capitolo rileggete l'ultima parte) e che alcune di voi mi avevano chiesto quando avrei scritto cosa è successo nella storia di Ethan, e quindi eccolo qui. Spero che non sia stato un disastro completo.

Un bacio a tutte,

Ele :)

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Capitolo 5
*** Is he trying to get killed? ***


 

Essendo che si erano già tutti abituati alla mia presenza minacciosa, il nostro ingresso nella sala di svago fu tranquillo. Non era come se ci fosse stato molto in quella sala, dedicato al divertimento. Era una grande stanza bianca, con sedie e tavoli sparsi per tutta la superficie e trapanati per terra in modo che non li potessimo usare come armi. Attaccato al muro c'era un televisore dall'aria antica che era già tanto se era a colori, naturalmente coperto da uno spesso strato di plexiglas sporco. Sarebbe stato troppo semplice spaccarlo se non fosse stato protetto.

Ai tavoli c'erano discussioni animate, o, più spesso, singoli individui dalle espressioni tetre che fulminavano chiunque osasse andare troppo vicino a loro. Sentii Harry mormorare qualcosa di indistinguibile dietro di me e mi camminò davanti, puntando in un'altra direzione rispetto a me. Aggrottai leggermente le sopracciglia quando superò il tavolo dove erano seduti Zayn e due dei suoi amichetti e si diresse più in là senza degnarli di uno sguardo.

Scossi la testa, ignorando il riccio e dirigendomi verso Ethan, che, seduto in silenzio assieme a Gabriel, stava pigramente facendo un solitario con le carte.

Mi sedetti di fronte a loro, con la schiena rivolta verso il pakistano, spingendo i pensieri su Harry in fondo alla mente. Come se la mia vita non fosse stata già abbastanza incasinata di suo, doveva mettersi in mezzo pure la pop-star prima di essere completa.

Ehi Lisa, è successo qualcosa? Hai una faccia preoccupata.” domandò Ethan, senza prestarmi nemmeno tanta attenzione, più concentrato sul gioco che si stava svolgendo davanti a lui.

Spostai i capelli che mi erano ricaduti, per l'ennesima volta, davanti al volto: “Sto pensando a quante probabilità ci sono che il mio compagno di cella venga fatto fuori prima di domani sera.” sospirai, pensando al putiferio che si sarebbe scatenato se un cantante famoso fosse stata assassinato in carcere.

Ci sarebbe stata un'inchiesta della polizia, e la sorveglianza sarebbe stata stretta attorno a noialtri, togliendoci quelle poche libertà che avevamo. Potevo solo sperare che gli altri carcerati si rendessero conto che non potevano farlo fuori. Probabilmente no, avendo un'idea di che genere di scimmioni ottusi si potessero trovare qua dentro.

Com'è che hai dei compagni di cella?” domandò Gabriel, inclinando la testa di lato e fissandomi con i suoi occhi del colore del ghiaccio.

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo: “Si da il caso che uno sia proprio il ragazzo riccio che hai minacciato in corridoio.” lo accusai, con l'ombra di un sorriso che mi tirava ai lati delle labbra.

Ah sì? Sai che ha una faccia conosciuta? Anche se non saprei dire esattamente dove l'ho visto, non mi sembra il tipo da droghe, e non l'ho mai visto nel girone della prostituzione.”

Scoppiai a ridere, con l'immagine del riccio che si prostituiva davanti agli occhi: “Fa parte di un gruppo musicale, l'avrai visto in televisione.”

A quell'informazione lui spalancò gli occhi, voltandosi sulla sedia per cercare Harry con gli occhi. Osservai le labbra sottili di Ethan cantare silenziosamente qualche canzone mentre girava velocemente carta dopo carta. Ancora un anno, e poi sarebbe stato spostato alle carceri di stato, dove avrebbe dovuto ricominciare da capo a crearsi una reputazione tra adulti. Sentii una stilettata di dolore al pensiero che presto avrei perso una delle poche persone a cui tenevo sul serio qua dentro. E poi sarei stata sotterrata da ragazzi e ragazze che cercavano di entrare nelle mie grazie e accaparrarsi il posto che era stato svuotato con lo spostamento di Ethan. Quella sì che sarebbe stata una regale seccatura, di certo non avevo nessuna intenzione di rimpiazzare la persona che mi aveva insegnato tutto quello che sapevo, che mi aveva protetta fin dal primo momento, con cui avevo condiviso le più grandi emozioni della mia vita, con un misero sostituto.

Avrei fatto in modo di ricordare per sempre la sua partenza, magari facendo qualche macello. Avremmo potuto cercare di fare una bomba a mano e poi farla esplodere in cortile durante le poche ore settimanali che ci concedevano all'aria aperta. Con l'aiuto di Francisco e qualche chiamata con cellulare del riccio ad un paio di amici, avremmo anche potuto riuscirci.

Sogghignai immaginando che colpo si sarebbero presi gli altri e le guardie. Chissà, forse avremmo anche potuto ritardare lo spostamento di Ethan per qualche giorno, con questo metodo.

O magari avremmo potuto inscenare una fuga dal carcere.

Sarebbe stato complicato, certo, e non era come se nessuno di noi due volesse veramente darsi alla fuga. Che fosse un anno o l'ergastolo, tutti noi preferivamo essere dentro. Chi non avrebbe preferito tre pasti gratuiti, un letto, una doccia tutte le mattine, visite mediche regolari e giornate di ozio più totale alla vita confusionaria e difficile là fuori? C'erano delle cose di cui sentivo la mancanza, come l'assenza di un coprifuoco ed una certa mobilità degli orari, ma meglio qua che fuori a spacciare droga o prostituirsi.

Ethan alzò gli occhi verso di me quando sentì il peso del mio sguardo scavargli un buco in faccia: “Perché mi fissi?”

Scossi la testa: “Stavo pensando.”

A quelle parole i suoi occhi scuri si accesero di malizia: “Quell'espressione non promette mai nulla di buono. Cos'hai in mente di fare?”

Aprii la bocca per ribattere, ma Gabriel richiamò la mia attenzione: “Penso che il tuo amichetto stia attirando un po' troppa attenzione su di sé.”

Alzai un sopracciglio, reprimendo l'istinto di girarmi a controllare. Non potevo permettermi di sembrare preoccupata, o anche solo minimamente interessata; avevo una reputazione da difendere. “E quindi?” chiesi, cercando di sembrare noncurante. Per qualche ragione quel ragazzo attivava una parte protettiva di me che non avevo mai avuto modo di esplorare a fondo. Al contrario di Zayn, che riusciva ad esasperarmi anche con i più piccoli gesti.

Anche Ethan guardò dietro di me, e riuscii a capire quando vide Harry perché la sua espressione mutò da annoiata ad un misto di divertimento e preoccupazione: “E c'è anche Niall. Meglio intervenire.”

A quelle parole non potei fare a meno di girarmi a guardare di persona cosa stesse succedendo. Solo in quel momento mi accorsi che molti degli ergastolani e dei veterani avevano smesso di parlare e fissavano il tavolo a cui erano seduti il riccio e Niall con identiche espressioni fameliche.

Mi concentrai su Harry. O meglio, sulla figura che lui stava abbracciando con slancio.

Al tavolo c'erano cinque persone compresi loro due, e di queste tre ragazze, due erano in lacrime e stavano venendo consolate dai ragazzi. Era palese che i singhiozzi disperati e i volti arrossati delle ragazze non potessero appartenere ad altri se non a delle matricole ignoranti.

Sbruffai di fronte a quella dimostrazione di emozione. La prima regola per evitare di essere linciati in carcere, specie se si era ragazze o maschi effeminati, era non dimostrare mai i propri sentimenti e debolezze. Se si faceva, si era inquadrati come una preda facile e, come risultava ovvio, si finiva sempre per essere picchiati e stuprati come pratica giornaliera.
Non era certo una novità che cose del genere succedessero tra noi delinquenti.

Ma con la mossa di Harry, lui e il suo amico biondo si erano volontariamente degradati al ruolo di prede. Se non avessi fatto attenzione, avrei potuto ritrovarmi con dei cadaveri tra le mani o, nella migliore delle ipotesi, due ragazzi pieni di lividi e tagli.

Mi alzai di scatto dalla sedia, seguita a ruota dalla testa pelata di Ethan, e mi diressi al tavolo da cui stava originando tutta la confusione.

Niall fu il primo ad alzare lo sguardo verso di me, i suoi occhi azzurri leggermente lucidi, e sorridermi dolcemente, come non vedevo nessuno fare da molto tempo. Si vedeva che non era mai stato in prigione prima d'ora.

Ciao a tutti.” dissi, abbozzando ad una smorfia crudele che forse, in qualche universo parallelo, avrebbe potuto somigliare ad un sorriso. La ragazza che non stava piangendo si irrigidì nella sedia, osservandomi con occhi attenti.

I ricci di Harry svolacchiarono qua e là quando alzò la testa di scatto, staccandosi dall'abbraccio con la ragazza come se il contatto scottasse: “Cosa vuoi Lisa?”

Scrollai le spalle, accennando al un gesto vago: “Dobbiamo parlare.”

In privato.” sottolineai con voce dura quando l'unica reazione che ottenni fu uno sguardo che mi invitava a continuare.

Per la prima volta da quando lo avevo incontrato, Harry dimostrò di essere dotato di un minimo di coraggio, e, indurendo gli occhi, scosse la testa: “Non vedi che sono occupato?”

Per quanto avessi apprezzato sapere che da qualche parte nascosta molto nel profondo aveva del fegato per rispondermi, questo non era proprio il momento: “Te lo ripeto solo un'altra volta, riccio: alzati da questo tavolo e seguimi.”

E tu vai con loro.” aggiunse Ethan, diretto a Niall, mentre appoggiava le mani dietro allo schienale della sua sedia e cercava di fare un sorriso gentile, fallendo miseramente, in direzione delle due ragazze che non avevano ancora smesso di singhiozzare sommessamente.

Il mio adorato compagno di cella fece un suono a metà tra un grugnito e uno sbruffo: “Non sei mia madre, non mi dici cosa devo fare.” disse ad alta voce, forse troppo alta, perché tutta la sala si zittì di colpo per quelle parole che nessuno aveva mai provato a dirmi prima.

Le due ragazze smisero di piangere, facendo scorrere lo sguardo tra di noi come se si fossero accorte dell'improvvisa tensione, un filo di elettricità che cresceva con ogni secondo di silenzio tra di noi. Lui aveva osato contrariarmi, e non avrebbe dovuto farlo. Era stato un errore di troppo, che aveva fatto scattare la mia rabbia.

Afferrai una manciata di stoffa arancione all'altezza del suo petto con abbastanza forza da farlo alzare, combaciando parte dei nostri corpi assieme e mandando una scarica di piacere lungo il mio corpo al contatto caldo.

Senti un po', se ti dico di alzarti tu lo fai. Se ti dico di seguirmi, tu lo fai. Se ti dicessi di puntare un coltello alla gola del tuo amichetto qua presente, tu lo dovresti fare.” ringhiai, avvicinandomi così tanto al suo volto che i nostri nasi praticamente si toccavano.

La sua espressione era un miscuglio infinito di emozioni tra cui spuntavano l'attonimento per il mio scatto d'ira ed imbarazzo. Con la coda dell'occhio vidi la ragazza, quella che mi stava ora osservando con tutti i muscoli tesi ed un'espressione guardinga sul volto, girarsi leggermente per guardare il riccio, per poi mordersi il labbro inferiore con tanta forza da farmi domandare come mai non si fosse ancora spaccato. Per un millisecondo sembrò sul punto di parlare, ma poi richiuse la bocca senza un suono.

Allora, vogliamo andare sì o no?” domandò Niall, per grande fortuna di Harry, alzandosi in piedi con un sorriso tentennante. Il suo era un chiaro tentativo di far dissipare l'umore nero al tavolo, e, per quanto fossi tentata di fare una scenata davanti a tutti, annuii e cominciai a trascinare Harry verso la porta mentre lui lanciava le imprecazioni più disparate.

La guardia di turno, Matt, mi lanciò un'occhiata truce quando fui abbastanza vicina: “Sì può sapere cosa stavate combinando là dentro?”

Alzai gli occhi al cielo con uno sbuffo, meravigliata dalla sua ingratitudine: “Stavo cercando di risparmiarvi le grane burocratiche quando questi due si fossero fatti uccidere.” mormorai, scuotendo leggermente Harry per la tuta e puntando a Niall, che si affiancò a me.

Matt si alzò dritto, osservando la sala con un'occhiata veloce, ma tutto era tranquillo ora che avevo eliminato la causa di tutto quel casino: “Devo mettere qualcuno in reclusione?” domandò poi, tornando ad appoggiarsi contro la parete con fare pigro.

Scossi la testa, spingendo Harry attraverso la porta e lungo il corridoio, fermandomi poi davanti alla mia cella e spingendo dentro il riccio mentre Niall si accomodava di propria volontà.

Allora?” chiese Harry con tono fermo, lasciandosi cadere di fianco al biondo sulla sua brandina e fulminandomi con uno sguardo.

Hai deciso che vuoi farti ammazzare, riccio?” domandai, non riuscendo a trattenere l'impulso di camminare avanti e indietro per la poca lunghezza della mia camera.

Che cosa c'entra?” domandò lui, aggrottando le sopracciglia.

Trattenni l'impulso di tirargli il primo oggetto contundente che mi capitava sottomano, ripetendomi come una cantilena che quel povero illuso non aveva idea di che cosa stava dicendo: “Ne riparliamo domani sotto la doccia, quando farai cadere la saponetta.” borbottai a bassa voce, guadagnandomi un'occhiata stranita da parte di Niall.

Sospirai, cercando di spiegargli tutte le regole in modo conciso: “Non dovreste parlare con quelle ragazze.”

Perché no? Non è come se avessero la ebbra o che altro.” ribatté Harry, incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio con aria di sfida.

Ti ricordi alle superiori, quando se eri popolare non dovevi parlare con quei poveracci dei secchioni altrimenti ne andava della tua reputazione?” domandai, cercando di farlo arrivare da solo alla spiegazione della faccenda.

Lui annuì lentamente, una luce di comprensione negli occhi: “Ecco, essenzialmente succede la stessa cosa qua dentro, solo che le conseguenze sono un po' più gravi del suicidio sociale.” gesticolai furiosamente, per qualche ragione nervosa.

Tipo?” domandò piano Niall, e riuscii a capire perfettamente che l'avevo spaventato.

Mi rabbuiai: “Non lo vuoi sapere.”

E quindi cosa dobbiamo fare?” domandò Harry, scambiando uno sguardo veloce con Niall per poi tornare su di me, fissandomi con quegli occhi inquietanti.

Scrollai le spalle. C'erano troppe cose da dire per poterle raccontare tutte in quel momento, e troppi divieti assurdi perché loro potessero ricordarseli e riferirli ai loro amichetti: “Prima di tutto, rispettate gli altri carcerati. Non fatevi mai vedere in giro con gente di rango basso, non parlate con le guardie a meno che non sia assolutamente necessario, non drogatevi, non giocate d'azzardo, non saltate la fila, non dite nulla delle vostre vite private, non-” Harry alzò una mano, interrompendo il mio elenco.

C'è ancora molto?”

Un'ultima cosa. Mai, e dico mai, far cadere la saponetta sotto la doccia. Piuttosto lasciatela per terra.”

Niall si sotterrò la testa tra le mani, gemendo: “Come diamine abbiamo fatto a cacciarci in questo pasticcio?” domandò, rivolto verso nessuno in particolare.

Il riccio gli passò una mano alle spalle in un gesto consolatorio, ma si vedeva che era demoralizzato di suo. Mi penava vederlo in quello stato. Mi ricordavo bene cosa significasse essere sbattuti al fresco per la prima volta. Se Ethan non mi fosse venuto incontro, probabilmente la mia vita avrebbe preso una piega completamente diversa.

Senza pensare, mi lasciai sfuggire delle parole avventate: “Posso darvi una mano, se volete.”

Harry si girò verso di me, sensibilmente ravvivato: “Lo faresti davvero? Avevo ragione io, allora, ce l'hai un cuore!” Non riuscii a trattenere un sorriso al pensiero di lui e Zayn che facevano scommesse su di me, ma lo feci sparire subito dal mio volto.

Sì. Sedetevi con me a mensa e nella sala di svago e statemi appiccicati in generale. Cercherò di tenervi vivi per tre mesi.” quelle parole avevano il tono finale di una promessa, gravandomi sulle spalle come un masso.
Io ci avrei provato, se fosse andata male pazienza, altrimenti meglio per me e per loro.

 

Linciatemi pure, so di meritarmelo per questo ritardo di mesi interi. Ormai lo avete capito: per quanto io ci provi, non riuscirò mai ad aggiornare regolarmente. Beh, meglio tardi che mai, no? Ok, no questa volta ho avuto un mini-blocco, sapevo cosa volevo scrivere ma non sapevo come.
Ora, tralasciando il capitolo, che ha il solo scopo di rimettermi nell'ottica di Lisa (se vi sembra che si sia addolcita, credetemi, non durerà) e introdurre una trama (già, perché di quel passo non sarebbe mai andata avanti, almeno così ho una vaga idea di dove vuole andare a parare la ff), volevo chiedervi di recensire. Veramente, le recensioni sono essenziali per il continuo di questa storia, perché sono totalmente al di fuori della mia zona di comfort e vorrei sapere se piace, se non piace, se ci sono suggerimenti e critiche costruttive.
Anche perché dopo il dimezzamento delle recensioni nello scorso capitolo mi sento come se stessi sbagliando completamente direzione. Però mi sembra strano, specie considerando che, per quattro miserrimi capitoli, ci sono 91 sante che seguono la storia. 91, ne vogliamo parlare? Ho le lettrici migliori del mondo :D
Comunque, ho creato una pagina Facebook per chi volesse seguirmi da lì:
Eledifra Efp
Eleonora
P.S. Ho tentato di fare un banner per questa ff, fallendo miseramente, quindi se c'è qualcuno che ha voglia, tempo, e che è capace di farne uno...

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Capitolo 6
*** I told you not to drop the soap! (part I) ***


Il suono della sirena il mattino dopo mi colpì a tradimento, facendomi grugnire e rotolare dall'altro lato della brandina mentre cercavo di aprire gli occhi, che sembravano essersi incollati assieme per tutto l'aiuto che mi stavano dando.
Gli eventi della giornata precedente ci misero qualche istante a registrarsi nella mia mente, ma appena lo fecero mi resi conto del dolore debole che si espandeva fino quasi all'addome. Resistendo all'impulso di strizzare gli occhi e testare la zona dolorante, sapendo che non avrebbe fatto alcun bene, feci dondolare i piedi oltre il bordo del letto.
L'aria fredda che sembrava non scaldarsi mai mi stava congelando i piedi, e la testa mi pulsava dolorosamente, sia per le poche ore di sonno che per la posizione scomoda in cui la brandina, troppo corta persino per me, costringeva.
Mi passai pigramente una mano sugli occhi, sbattendoli un paio di volte per schiarirmi la vista. Fu così che per prima cosa quella mattina vidi i muscoli pettorali di Malik flettersi mentre si stiracchiava come un gatto. Una vista non male per essere appena le sette.
Harry girava già per la stanza, borbottando parole incomprensibili e con i capelli che sparavano da tutte le parti peggio di ieri. Per qualche motivo, la vista del riccio scatenò un'ondata di affetto che mi scaldò il cuore.
Il dolce tepore che si stava diffondendo e minacciava di farmi sorridere come un'ebete fu tagliato corto quando mi accorsi esattamente di cosa stesse succedendo: mi stavo lasciando condizionare da una pop star gay in serio bisogno di un flacone o due di balsamo e una spazzola.
Scivolai silenziosamente giù dal letto a castello, digrignando i denti nel tentativo di distogliere la mia attenzione da Harry. Il mio umore già pessimo mi precipitò sotto i piedi.
Era in quei momenti che desideravo ardentemente un appartamento solo mio, lontana da distrazioni e rumori improvvisi. Io odiavo i rumori improvvisi. E i miei compagni di cella.
“Che giorno è?” domandai prima di portarmi le mani davanti alla bocca e sbadigliare, l'azione portando un sottile strato di lacrime ai miei occhi.
Harry smise di camminare per sorridermi nervosamente: “Sabato.”
Quella risposta mi fece esitare: “Sabato dici? Abbiamo la visita medica stamattina prima della doccia.” biascicai attraverso la sonnolenza, più per loro che per me.
Non era come se avessi bisogno di essere ricordata di una cosa che accadeva puntualmente tutti i sabati da cinque anni, ma non ero certa che qualcuno avesse spiegato loro le regole. Anzi, dopo la performance di ieri, ne ero più che sicura.
“In che senso una visita medica?” domandò nervosamente Harry, torturandosi le dita tra di loro. Scrollai le spalle, girandomi per rifare con movimenti precisi il letto: “Nulla di cui preoccuparsi, è solo prassi. Subito dopo la visita abbiamo la doccia e la colazione. Alle dieci inizia l'orario di visita. Poi abbiamo tutto il pomeriggio libero e un'ora fuori in cortile.”
Il verso annoiato che usci dalla bocca di Zayn mi fece irrigidire prima di girarmi verso di lui, una luce omicida negli occhi e una mano che era automaticamente scivolata nella tasca dove tenevo il coltellino svizzero. Un giorno non molto lontano gli avrei insegnato a stare al suo posto.
“Problemi, Malik?” chiesi a denti stretti, osservando il modo in cui i suoi occhi si socchiusero e la linea della sua bocca si appiattì ancora di più al suono della mia voce. La smorfia di disgusto che mi indirizzò subito prima di girarsi in un freddo congedo fece precipitare bruscamente il mio stomaco.
Spinsi lontano da me quell'inusuale reazione, concentrata sulla voce aspra di Zayn che mi rispondeva: “Sei una poco di buono.”
Alzai un sopracciglio in direzione di Harry, che però stava guardando anche lui Zayn con aria sorpresa: “E di grazia, cosa c'entra questo con il programma di oggi?”
“Non abbiamo bisogno del tuo aiuto.”

A quelle parole non potei fare a meno di scoppiare a ridere: “Ho notato. Per questo ieri il riccio e il biondo si stavano facendo ammazzare?”
Vidi le nocche delle sue mani, strette attorno al bordo della brandina, diventare bianche da quanto le stava stringendo forte: “Come hai detto?” domandò lentamente, una corrente di rabbia appena sotto la superficie della sua voce tranquilla. Ma quando si girò a guardarmi, i suoi occhi erano pieni di malcelato terrore. Ciò mi sorprese immensamente, non essendo abituata a dimostrazioni così aperte di sentimenti. I racket, il mondo delle droghe, le carceri, erano tutti ambienti in cui le emozioni umane contavano meno che niente. Pietà e compassione erano derise, amore e amicizia facilmente distrutte, fratellanza e unità comodità superflue di cui si poteva disporre a piacimento.
Tutta quella preoccupazione senza apparenti secondi fini scombussolava tutte le credenze che pensavo essere scolpite nella roccia: “Esattamente quello che ho detto. Il riccio e il biondo stavano per finire accoltellati. Ma non profonderti in ringraziamenti, ho solo ritardato l'inevitabile di qualche giorno.” ribattei con disinvoltura mentre la mia voce riprendeva i suoi toni velenosi e la mia mano si agitava per aria senza una meta. Era anche ora che la smettessi di essere così pateticamente gentile con loro, non ero loro madre o loro sorella. Anzi, eravamo perfetti sconosciuti.
Zayn si girò a guardare Harry senza riservarmi nemmeno un'altra mezza occhiata: “Lasciami indovinare, ti è scappato di mente anche questo?”
Le guance di Harry si tinsero di una curiosa sfumatura di rosso, tanto che si sarebbe potuto pensare che qualcuno lo stesse strozzando. Balbettò pateticamente, implorandomi con gli occhi di aiutarlo. Aiuto che gli negai, interessata a sapere come sarebbe andata a finire tra i migliori amici del cuore, o come diamine venivano chiamati al giorno d'oggi.
“No... Vedi... Ecco, io in realtà non pensavo che Lisa-”
Qualunque cosa stesse per dire fu soffocata dall'insopportabile squillo della campana, appesa proprio di fronte alla mia cella.
Per favore, dirigersi verso la stanza 23B per la visita medica. Ripeto, dirigersi verso la stanza 23B per la visita medica, disse la voce metallica dall'interfono, piatta come se fosse stata una macchina a parlare e non una persona, mentre tutte le porte si spalancavano all'unisono.
Soffocai un sospiro, raccogliendo un cambio di vestiti ed uscendo dalla minuscola cella: “Vogliamo andare?” domandai a Harry, ignorando completamente il marocchino. O forse era iraniano. Comunque fosse, lo trascurai completamente, afferrando il riccio per un braccio e, prendendo qualche vestito a caso dalla borsa ai piedi del letto, portandolo verso la cella di Ethan con me.
Lungo il percorso più di una persona osservò avidamente la mia mano attaccata al polso di Harry, girandosi a discutere di quel gesto con i vicini. Nemmeno avessimo dichiarato il nostro amore eterno e volessimo sposarci. Sbuffai, tirando il riccio più velocemente dietro di me.
Una ciocca di capelli scuri mi scivolò davanti alla faccia. Con un verso di impazienza, la tirai indietro, desiderando ardentemente di essermi ricordata di portare un elastico. Odiavo i miei capelli. Dall'interno della cella di Ethan, in fondo ad un corridoio semivuoto, si poteva sentire un basso parlottio, varie voci alte per rabbia od indignazione alternate alla voce suadente di Ethan.
Le mie sopracciglia si corrugarono automaticamente quando mi avvicinai abbastanza da vedere Ethan ancora disteso a letto, osservando con distaccata calma il ragazzo di cui non mi ricordavo il nome di fronte a lui urlare e gesticolare mentre Louis parlava sopra di lui, cercando di tranquillizzarlo.
Dietro di me Harry emise un suono incredulo: “Liam?”
“Cosa sta succedendo?” domandai, esasperata, piombando nella stanza con Harry ancora trascinato dietro di me. Calò il silenzio, mentre tutti si scambiavano occhiatine nervose.
Alzai un sopracciglio in direzione di Ethan quando nessuno si degnò di darmi una risposta: “Allora?”
Ethan per tutta risposta si alzò dalla brandina, stiracchiandosi e camminando con passo felpato verso di me. Liam si lasciò scappare un suono che forse, se non fossi stata una criminale patentata, mi avrebbe intimidita. Il biondino, Niall, allargò pateticamente gli occhi, fissandolo con sguardo incredulo, come se non potesse credere che un suono del genere fosse appena
uscito di bocca ad un suo amico.
Mi alzai in punta di piedi per incontrare le labbra di Ethan a metà strada, circondandomi del suo odore di sigarette e marijuana che mi era tanto familiare: “Si può sapere cos'era tutto il bordello che stavate facendo?” chiesi di nuovo, guardando tutti a turno con la mia migliore espressione accigliata.
Ethan sospirò, allontanandosi da me e chinandosi davanti alla sua borsa per prendere un cambio di vestiti: “Nulla di che, non ti scaldare. Il nostro amico qua presente si è solo innervosito un po' quando gli ho spiegato come funziona il sistema delle docce qua dentro.”
A quelle parole non potei fare altro che lasciarmi scappare una risata rauca. Ci sarebbe stato da aspettarselo, da questi cinque. Perché d'altronde, anche io all'inizio mi ero agitata al pensiero delle docce comunali.
Gli occhi di Harry si spalancarono e lui piroettò rapidamente verso di me, una luce di panico nello sguardo: “Lisa...?” Agitai una mano come per placare le sue preoccupazioni.
Ethan mi guardò con divertimento: “Non gliel'hai detto?”
“Detto cosa?” domandò freddamente una nuova voce da dietro di me.
Ci misi qualche secondo ad identificarla come quella del mio carissimo compagno di cella: “Toh, ecco chi si rivede!” dissi con finto tono baldanzoso, rivolgendogli un sorriso felino.
Zayn tentò di fulminarmi con lo sguardo: “Parker, vedi di smetterla di sentirti superiore, perché non lo sei affatto.”
Non ebbi nemmeno il tempo di sbattere le palpebre che già Ethan gli era piombato addosso e lo aveva spinto contro una parete: “Ringrazia il tuo Dio che non ho il tempo di insegnarti una lezione, ma prova a parlare ancora così a Lisa e vedrai cosa ti faccio.” lo minacciò, facendo scontrare le loro due paia di occhi neri.
Prima che uno dei due potesse abbassare lo sguardo, presi Ethan per l'incavo del gomito e lo trascinai via, anche se con difficoltà, siccome stava opponendo resistenza e la sua massa muscolare era nettamente superiore alla mia. Non mi guardai alle spalle per controllare che le cinque pop star mi stessero seguendo, ma dai passi supponevo di sì.
“Per quanto sia stato interessante, siamo veramente in ritardo, e non ho nessuna intenzione di farmi fare un'altra ramanzina da Bob su quanto sia importante la nostra salute.”
Bob era il sovraintendente delle carceri minorili, o almeno, Bob era il nome che gli avevo dato io. Nessuno aveva idea di come facesse di nome, perché erano poche le volte che si faceva vedere e le guardie lo chiamavano capo, e quindi tutti lo chiamavano per cognome. Ma siccome Eelheart era un cognome che si prestava veramente ad ogni genere di battuta, io l'avevo ribattezzato Bob.
Harry si portò di fianco a me con una piega tra il perplesso e lo spaventato tra le sopracciglia: “Lisa, davvero ci sono le docce comunali in questo posto?”
Annuii: “Ci si fa l'abitudine. Tu non far cadere la saponetta e vedrai che andrà tutto bene.” gli consigliai, dandogli una pacca consolatoria sulla spalla.
“E non chiudere gli occhi.” aggiunse Ethan dal mio fianco con un occhiolino.
Il riccio mi guardò con così tanta paura nello sguardo che per un secondo mi sentii quasi impietosita da lui. Quasi, non proprio però.
“Non è come se permetterò agli altri carcerati di stuprarvi, ci tengo alla mia libertà.” borbottò poi Ethan, lanciando un'occhiata obliqua dietro alle sue spalle.
Dritto verso Liam.
Un vago senso di incredulità si fece strada nella mia mente nel vedere il suo sguardo concentrato, uno che avevo visto abbastanza volte da riconoscere, seguito a ruota da un'allegra
baldanza per aver trovato uno dei rari punti deboli di Ethan.
Louis sbatté le palpebre un paio di volte: “In che senso, la vostra libertà?”
“Vedi, è semplice: tutte le volte che qualcuno qua dentro commette un omicidio o più spesso si suicida, ci tolgono tutte le piccole concessioni, compresa l'ora in cortile e le visite, finché non
finiscono di firmare tutte le loro scartoffie, e qua dentro non è che ci sia molto con cui intrattenersi. Se qualcuno alzerà anche solo un dito su di voi questo posto si riempirà di giornalisti e
poliziotti.” risposi seccamente, camminando più veloce verso la stanza 23B, poco più avanti e da cui proveniva un brusio di voci.
“Oh.” rispose Louis, chiaramente digerendo l'informazione.
“E invece la visita medica?” domandò timidamente Liam, spostando con nervosità lo sguardo da me a Ethan.
“Cos'è, ho scritto 'sportello informazioni' in fronte, per caso?”
Ero esasperata, davvero, per quale assurda ragione si aspettavano che io mi mettessi lì a rispondere a tutte le loro ridicole domande?
Ethan mi mise un braccio calmante attorno alle spalle: “Nessun bisogno di essere così aggressiva, Lisa.” mormorò pacificamente.
Alzai gli occhi al cielo mentre lui rispondeva: “Ti fanno togliere la maglietta, misurano respiro e pressione e fanno un controllo molto superficiale per tagli e lividi, ecco tutto. Poi sei libero di andare alle docce, ma è sempre meglio andarci per ultimi, così c'è meno gente.”
Liam annuì piano, riflettendo.
La stanza era gremita quando finalmente riuscimmo ad entrare, con quattro file poco ordinate in cui ci si spintonava e venivano urlati insulti da tutte le parti.
Battei una mano sulla spalla di Ethan, facendo un cenno di saluto anche agli altri: “Te li lascio allora, io vado a cercare Gabriel.”
Ethan corrugò le sopracciglia, ma non riuscii a capire se era perché non voleva restare solo con quei cinque ritardati (non l'avrei biasimato in quel caso) o solo per curiosità: “Perché
Gabriel?”
Feci un mezzo sorrisetto, muovendo su e giù e sopracciglia: “Mi deve due pacchetti di sigarette. Meglio andare a riscuotere il mio debito ora, prima che se le fumi tutte.”
Ethan rise, abbassandosi per stamparmi un leggero baco di commiato sulla bocca: “Ci vediamo a colazione, allora.”
Mi feci strada tra i corpi, ancora una volta ringraziando il Signore per la mia popolarità che faceva spostare tutti appena si accorgevano di chi fossi. Trovai Gabriel poco più avanti, in fila per
la visita e annoiato a morte.
Sapendo che non era una mossa furba cercare di cogliere di sorpresa Gabriel (la prima e ultima volta che avevo cercato di farlo ero quasi rimasta sgozzata) mi schiarii la voce appena fui
abbastanza vicina da farmi sentire.
I suoi occhi di ghiaccio scattarono verso di me, ma si sciolsero non appena si accorse che ero io e non una minaccia: “Ah, Lisa. Come sta la mia ragazza preferita?” mi salutò, un angolo
delle sue labbra pigramente tirato verso l'alto.
“Non c'è male. Tu piuttosto?” domandai, muovendomi assieme a lui non appena il medico finì di controllare un ragazzo e la fila si spostò avanti di qualche centimetro.
Il suo sorriso si allargò: “Molto meglio dopo ieri sera, naturalmente tutto grazie a te. A questo proposito, immagino che tu sia venuta a prendere quello che ti spetta, ho ragione?”
“In parte. Ovviamente non avrei mai saltato un'occasione per rivedere il mio psicopatico preferito.” ribattei con un pugno giocoso sulla sua spalla.
Gabriel scoppiò a ridere, infilandosi una mano nella tasca interna della sua tuta arancione che contrastava orribilmente con i suoi capelli e allungandomi due pacchetti nuovi di Chesterfield. Me le infilai nelle tasche dei jeans con un sorriso sincero. Anche se io preferivo le Marlboro, era meglio che restare in astinenza fino a quando non fossi riuscita a reperirle.
La fila si spostò ancora un po' più avanti e Gabriel mi lanciò un'occhiata in tralice: “Hai quell'espressione che non lascia presagire nulla di buono stampata in faccia, Lisa. Cosa hai intenzione di combinare questa volta?”
“Oh, Gabby, come mi conosci bene.” ribattei con una vocina civettuola, avvicinandomi a lui e sbattendo lascivamente le palpebre. Lui si limitò a scuotere la testa in esasperazione per le mie buffonate.
“Ok, ecco il problema.” dissi poco dopo, seria come poche volte prima, “A Ethan rimangono solo pochi mesi qua dentro, tra poco compie vent'anni. Stavo pensando di farlo uscire con un botto, sai, qualcosa come un ammutinamento di massa, o magari addirittura un'evasione. Mi aiuteresti?”
A suo favore, Gabriel non rise e non mi disse di smetterla con le mie stupidate, ma ci stette a pensare qualche istante prima di rispondermi in modo inusualmente serio: “In tutta sincerità, non penso che riusciresti mai a convincere tutto il carcere a fare uno sciopero collettivo. Quanto all'evasione, mi sembra un'ottima idea. Hai già qualche aggancio?” le ultime due frasi furono pronunciate a bassa voce per non farci sentire dai medici che, siccome avevano a che fare con dei criminali, erano più che altro guardie con una laurea in medicina generale.
Scrollai le spalle con noncuranza: “De La Cruz è in debito per avermi fatto sbattere di nuovo dentro, e posso chiamarlo quando voglio con il cellulare del mio compagno di cella. C'è Giorgio Moretti, sai, quello che ho tirato fuori da quel casino con la mafia qualche mese fa, che è specializzato in esplosivi. E poi un altro paio di contatti qua e là. Magari Zayn ho qualche esperienza in quel campo. Non sarei meravigliata se con la faccia che si ritrova avesse costruito una bomba o due anche lui.”
“Io ho un conoscente che è evaso una decina di anni fa e che sicuramente ci potrà aiutare. Perché non ci vediamo stasera assieme a Ethan e mettiamo su un piano?” aggiunse lui, cominciando a togliersi la maglietta per la visita.
“A me sta bene. Subito dopo cena, allora.” assentii, mimando la sua azione e rimanendo in reggiseno. Fischi di approvazione volarono nei secondi successivi, e non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
“Ehi, Lisa, da dove vengono i lividi?” urlò una voce tra la folla, che non riuscii ad associare con nessun volto. All'inizio rimasi stupita da quella domanda. Non ricordavo di essere finita in colluttazioni di recente, e di certo non ero andata a sbattere da nessuna parte. Mi feci un veloce esame da capo a piedi, notando i segni sul bacino dalla vaga forma di mano.
Rialzai lo sguardo verso Gabriel e inarcai un sopracciglio in una silenziosa richiesta di spiegazioni. Lui si limitò a sorridere: “Non è colpa mia se sei irresistibile.”
Volevo rispondergli a tono, magari saltargli addosso e fargli ricordare come mi fossi guadagnata la mia fama, ma il ragazzo davanti a noi uscì dalla fila e fu il nostro turno.
Gabriel fece un mezzo inchino e allungò una mano: “Prima le signore.” Ignorando il suo tono sarcastico mi spostai in modo da essere di fronte al dottore, un uomo tarchiato con numerose ciocche grige tra i capelli.
“Nome.” disse in un monotono, come da prassi.
“Lisa Jane Parker.” risposi a testa alta. Senza dire altro lo stetoscopio del medico si attaccò alla mia schiena, controllando la respirazione.
Non fece una piega nemmeno a vedere i lividi che mi macchiavano la pelle, avendo visto di peggio nella sua carriera tra qua e la prigione vera e propria, ma mi mandò via per la mia strada con un grugnito che segnalava che aveva finito il controllo.
Mi rinfilai la maglietta, internamente gioendo quando più di un ragazzo espresse il suo disappunto a vedermi di nuovo vestita, e mi diressi verso le docce.
L'ultima cosa che vidi prima di girare l'angolo fu Liam ed Ethan, anche loro in fila per le docce, discutere animatamente con un uso smodato delle gesticolazioni.
Poi Ethan scoppiò a ridere, facendo scorrere una mano lungo il suo braccio senza che Liam si accorgesse che non era propriamente un gesto innocente. Tuttavia l'espressione di Zayn dietro di loro, a metà tra l'adirato e lo sconvolto, fu abbastanza per farmi scoppiare a ridere di gusto.

I'm not dead ._.
Salve a tutti! Ho moooolte cose da dire oggi quindi taglierò i preliminari.
Visto che qualcuno ha sollevato la questione, rispondo pubblicamente: NO, io non condono i comportamenti di Lisa/Ethan/Gabriel e quando parlo in toni leggeri di certi argomenti è perché Lisa la pensa a quel modo, NON IO.
Volevo mettere questo capitolo e il prossimo assieme, ma poi veniva troppo lungo e ho deciso di tagliarlo. Ma dovreste essere contente pensando che il prossimo sarà pubblicato tra molto poco, perché l'ho praticamente finito di scrivere :D
Poi, avrete notato che ho saltato a piè pari la scena di sesso. Meh, non saltatemi addosso, giuro che ci ho provato, ma stavo per morire di imbarazzo. Ma non temete, ci saranno molte altre occasioni per rifarmi. E le reazioni di Harry e Zayn saranno chiare più avanti.
In questo capitolo appare anche il primo accenno di una possibile relazione Ethan/Liam e so che chi segue la mia altra ff,
All the same mistakes, si starà chiedendo: ma sta riciclando le idee?! Ecco, so che apparentemente sembrerà simile alla Gary/Louis, ma credetemi, l'unica cosa che hanno in comune è che sono entrambe relazioni omosessuali. Rispetto a All the same mistakes, questa prenderà una piega molto diversa, e avranno finali opposti.
In ultimo, ho alcune domande da farvi:

  1. Forse è un po' presto per esservi fatti un'idea, ma chi preferireste, Lisa/Harry o Lisa/Zayn?

  2. Vi sta più simpatico Ethan o Gabriel?

  3. Lisa è un personaggio abbastanza tridimensionale oppure fa veramente così schifo come mi sembra?

  4. Preferite che io continui con i miei aggiornamenti sporadici o capitoli più veloci ma più corti?

Ecco, è tutto.
Se magari mi poteste lasciare una piccola recensione, mi fareste veramente contenta :)
Ele

P.S. Ricordate il piccolo mistero dei rumori nella cella accanto a quella di Lisa? Ecco, tenetelo a mente, perché presto avrà una parte nella storia ;)

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