The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.

di OldMilk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** There's nothing here for me on this barren road. ***
Capitolo 3: *** Miles away from those I love purpose hard to find ***
Capitolo 4: *** Some live repressing their instinctive feelings. ***
Capitolo 5: *** 'Cause I'm lonely and I'm tired. ***
Capitolo 6: *** And I don't want the world to see me. ***
Capitolo 7: *** When everything feels like the movies ***
Capitolo 8: *** Never happened ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***


prologo The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
Prologue.


Avere le mani completamente libere da qualsiasi oggetto contundente in certi casi può risultare particolarmente utile. Quel giorno me ne stavo beatamente accomodato sul divano quando il cane di Zackary era arrivato correndo, cominciando a lavarmi la faccia come se fossi stato il suo giocattolo preferito. Inutile dire che se avessi potuto levarmelo di torno subito l'avrei fatto, ma la soffice e leggera bestiolina aveva deciso di ricoprirmi con le sue dolci zampe, impedendomi qualsiasi movimento. Avevo la testa dolorante a causa della febbre e tutto quel casino non mi stava aiutando per nulla, imprecai mentalmente per non far arrabbiare Zackary di prima mattina, dopodichè cercai di levarmi di torno il dolce peso dell'alano che avevo addosso. Il grande cane mi guardava con gli occhioni vogliosi di coccole, cosa che non avevo assolutamente voglia di concedergli, e se ne stava immobile a fissarmi, leccandomi la faccia ogni tanto.

«Zack!» cercai di richiamare l'attenzione del mio amico, prima di finire soffocato da un animale di prima mattina. Sentii dei rumori provenire dal piano di sopra, dopodichè vidi quella stragrande faccia da cazzo che si avvicinava alla porta del salotto. Ovviamente non pensavo realmente quelle cose di Zackary Baker, ma essere lasciati a dormire sul divano con 38 di febbre senza una coperta era davvero da ingrati. Cercai di fargli notare l'enorme problema che mi ritrovavo addosso, ma qualcosa mi diceva che non aveva minimamente afferrato il concetto.
«Cristo Baker! Il tuo cane mi stà letteralmente ammazzando!» mi ritrovai ad esclamare. Il ragazzo moro scosse la testa, cercando di svegliarsi e, dopo aver messo a fuoco la situazione, disse al suo amorevole compagno di avventure di lasciarmi stare. Il cagnolone scese, tornando a dormire nella sua cuccia accanto al camino spento. Stavo congelando e le dita dei piedi mi facevano male.
«Grazie per avermi svegliato ieri sera..» biascicai, mettendomi a sedere, massaggiandomi il collo.
«Non sapevo se volevi tornare a casa, visto che stavi male» Zack sbadigliò sonoramente, prima di sporgersi leggermente sulla porta per guardare l'ora sull'orologio appeso sopra ad essa «Cazzo Brian!» esclamò, sbuffando «Sono le otto!»
«Cosa vuoi che ti dica? Se ieri sera mi avessi svegliato a quest'ora non avrei dovuto chiamarti per riuscire a levarmi di torno il tuo cane» tenatai di alzarmi in piedi, ma barcollai e mi risedetti sul grande divano.
«E' solo un cane Brian!» il ragazzo moro mosse qualche passo, dirigendosi probabilmente verso la cucina. Poco dopo riuscii a sentire distintamente dei rumori di stoviglie e ante che si chiudevano.
«Potrei avere la decenza di sapere che stai facendo?»
Uno sbuffo mi fece intuire l'umore di Zack quella mattina, irascibile come da un pò di tempo a quella parte «Senti Haner! Questa è casa mia e faccio tutto quello che mi pare!»
Sorrisi, non poteva essere ancora così ingenuo come a sedici anni. In realtà quella non era casa sua, sua madre era andata in vacanza per un paio di settimane e approfittavamo della casa libera per ritrovarci con gli amici a fare baldoria. La sera precedente, però, non mi ero sentito particolarmente bene e, dopo avermi fatto provare la temperatura corporea, Zacky aveva deciso che era meglio lasciarmi dormire al freddo e al gelo, piuttosto che invitarmi ad andare nella stanza degli ospiti. Le ossa mi dolevano e la testa minacciava di esplodere da un momento all'altro. Dovevo ammettere che io e quello strano ragazzo non eravamo proprio amici da quando gli avevo soffiato il posto da chitarrista solista all'interno del gruppo, ma pensavo che ormai, dopo tutto quel tempo, le acque si fossero un pochino calmate. Mi ritrovavo spesso in conflitto durante le prove, infatti mi era parso strano che mi avesse tenuto li a dormire, ma non volli farci caso in modo particolare. Rientrò nel piccolo salotto dopo qualche minuto tenendo in mano una tazza di caffè. Ripeto, UNA tazza di caffè.
«Apprezzo il pensiero» mi ritrovai a dire «Ma non preoccuparti troppo del fatto che hai un ospite in casa» diedi una scorsa veloce al pavimento, cercando di trovare l'ubicazione delle mie converse consumate e, sotto lo sguardo di un Baker particolarmente stronzo, arraffai la prima da sotto il tavolino stracolmo di bottiglie di birra vuote e macchie dalla dubbia provenienza.
«Se qualcuno non fosse così presuntuoso probabilmente potrei permettermi di consumare energia elettrica anche per lui» cominciò l'altro, mentre prendevo la seconda scarpa e la infilavo «Ma dato che non mi stai simpatico e mi tocca avere a che fare con te per forza direi che.. no, non ti devo portare nessun caffè» andò vicino al caminetto, e dopo aver dato una carezza al cane, si mise a mettere ceppi all'interno del camino. Non mi andava a genio e io non andavo a genio a lui, meglio di così non poteva andare. Fottiti Baker. Mi alzai, andando a sbattere con il ginocchio contro il tavolino di vetro.
«Cazzo che male!» presi la felpa e mi diressi verso l'uscita.
«Haner non ti hanno mai detto che si ringrazia prima di uscire di casa?» Zackary mi stava fissando con quel suo sorrisetto strafottente, come al solito.
«Non credo di doverti ringraziare per qualcosa» risposi, mentre aprivo la porta e mi portavo una sigaretta alla bocca.
«Si saluta Brian! Almeno questo potresti farlo per educazione!» sorrise nuovamente, facendomi ribollire il sangue dentro.
«Fottiti Baker!» risposi, mentre gli porgevo il medio, lasciando che la porta si chiudesse alle mie spalle.
Non aveva mai nevicato ad Huntigton Beach, ma quella mattina grigia di fine Novembre non lasciava presagire nulla di buono. Minacciava acqua e il freddo mi entrava nelle ossa come tanti piccoli aghi.
Alzai gli occhi verso le nuvole grigie e pensai a quanto cazzo fosse stronzo quello stramaledetto ragazzino.

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Sono nuova del sito e mi cimento nella mia prima fanfiction sugli Avenged Sevenfold :)
Questa storia è una Synacky, e spero possa piacervi! Mi farebbe davvero piacere avere delle
vostre opinioni, anche le critiche sono ben accette :)
Fatemi sapere!
Un abbraccio :)
OldMilk.

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Capitolo 2
*** There's nothing here for me on this barren road. ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
There's nothing  here for me on this barren road.




Attraversai la strada mordendomi il labbro, mentre tenevo la testa bassa per coprirmi dal freddo vento autunnale. Quando diavolo sarebbe cambiato qualcosa? Sbuffai. La strada era deserta e gli alberelli spogli rendevano tutto eccessivamente gelido, non mi ero mai sentito così solo come in quel momento. Presi una boccata di fumo dalla sigaretta e sentii le prime gocce di pioggia bagnarmi il viso, scendere poi lungo il mio collo e infilarsi sotto alla mia maglia, come a cercare riparo da loro stesse. Il vento che tirava era davvero molto forte quel giorno e la febbre mi aveva provocato quell’insopportabile mal di testa che proprio non se ne voleva andare, pulsava sulle tempie e mi faceva chiudere gli occhi per cercare sollievo. Mentre svoltavo l’angolo tra la sesta e la settima strada sentii la pioggia aumentare e il freddo penetrarmi sin dentro alle ossa, non sarei mai riuscito ad arrivare a casa in tempo per salvarmi da una polmonite. Misi a fuoco il luogo in cui mi trovavo e pensai che, probabilmente, sarebbe stato meglio andare a casa di Matt, a qualche isolato da li. Gli occhi mi lacrimavano per il freddo e il naso non lo sentivo nemmeno, avrei dovuto portarmi via una giacca la sera prima ma, come mio solito, non avevo dato molto peso al meteo della televisione.. eravamo in California cazzo. Affondai il piede sinistro dentro la prima pozzanghera e imprecai sottovoce contro il buco che avevo nella scarpa da ormai troppo tempo, dopodiché salii i pochi gradini che mi separavano dalla casa del mio amico e mi attaccai al campanello. Nessuna risposta. Suonai nuovamente ma non rispose nessuno ancora una volta. Ma che giornata di merda era appena iniziata? Mi voltai per andarmene quando sentii un cigolio dietro di me, spontaneamente mi voltai e trovai Matthew Charles Sanders in boxer che si strofinava gli occhi con la mano, mentre con l’altra teneva ancora ben salda la maniglia della porta. Dopo aver inquadrato per bene la situazione si portò in avanti, perplesso.
«Brian!» mi disse «Cosa diavolo fai qui alle otto e mezzo del mattino?»
Ok, dovevo solo spiegare che io e Zackary non ci sopportavamo, che ci eravamo urlati dietro ancora una volta e che avrei preferito davvero cacciarlo dal gruppo il prima possibile ma mi limitai ad emettere un flebile «Uhm» prima di accasciarmi a terra in preda al mal di testa.
«Cazzo ma sei bollente!» esclamò il più grosso dopo avermi messo una mano sulla fronte «Vieni dentro razza di scellerato» mise un mio braccio sopra la sua spalla e mi portò in casa. Il salotto di casa Sanders non era mai stato tanto accogliente come quel giorno. Era tutto dannatamente pulito e in ordine, le tende bianche erano rette da dei pratici bastoncini in legno chiaro e il divano in pelle beige era posto proprio davanti alla televisione e ad un tappeto estremamente soffice. Alle pareti color crema erano appese un sacco di foto di famiglia e un paio di quadri dall’aria vagamente noiosa che, probabilmente, aveva comprato sua madre a qualche mercatino di beneficenza. Mi tolsi le scarpe e nascosi i piedi sotto il sedere, cercando un po’ di conforto.
«Tieni» mi disse Matt, porgendomi una coperta a trama scozzese «E poi è il caso che ti cambi» nell’altra mano teneva un paio di pantaloni di una tuta neri, una maglietta di un gruppo e una felpa bordeaux con una strana scritta bianca. In cima alla pila di vestiti svettavano un paio di calze di lana bianche. «Ti amo» gli dissi ironicamente, mentre prendevo il tutto e iniziavo a levarmi i vestiti per cambiarmi.
«Scusami per l’ora» gli dissi, mentre mi toglievo i pantaloni e mettevo quelli della tuta «Ma sono stato cacciato in malo modo» spiegai, infilandomi poi i calzini e la felpa.
«Non preoccuparti» Matt mi sorrise, mostrandomi la fila di denti bianchi e delle fossette estremamente dolci. Si portò al caminetto che vi era dietro il divano ed iniziò ad armeggiare con tutto quello che occorreva per accenderlo.
«Senti Matt..» cominciai, girando la testa verso di lui e infagottandomi meglio dentro la coperta calda.
«Dimmi tutto» disse il più grosso, soffiando sulla fiammella che si era creata.
«Avresti un phon?»
In effetti la mia non era stata una domanda particolarmente stupida, avevo i capelli che grondavano acqua, lasciando tante piccole gocce sul morbido divano dei Sanders e, nonostante mi fossi cambiato, sentivo ancora freddo a causa di tutta l’umidità che i miei dolci capelli si portavano appresso. Avevo dovuto aspettare solamente un paio di minuti prima che Matt ricomparisse con quello che mi serviva. Inserì la presa e accese quello che mi avrebbe permesso, forse, di smettere di battere i denti. Matthew Charles Sanders sarebbe stato un buon padre, almeno così lo vedevo io. Si era portato dietro di me e con le mani mi spostava le ciocche di capelli, asciugandomele.
«Sei davvero gentile» mi ritrovai a dire, mentre mi accarezzava la testa con le mani per permettere all’aria calda del phon di agire meglio. Immaginai stesse sorridendo quando mi disse «Grazie», mi fece reclinare la testa di lato e si mise a lavorare con i capelli alla mia destra «Ma per un amico farei questo ed altro» mi strinsi più forte dentro alle coperte e chiusi gli occhi, godendomi quel momento così rilassante.
Dopo aver terminato l’operazione ed essermi goduto leggermente il tepore che l’aria calda del phon mi aveva dato, Matt era ricomparso dalla cucina con una tazza fumante di thè caldo perché «Il caffè ti farebbe alzare sicuramente la temperatura» e si era seduto con me sul divano facendo colazione. La televisione era accesa su un canale musicale ma non era seguita, perché il volume era talmente basso che si riuscivano ad udire solo le note alte durante gli assoli. Avevo sorseggiato la bevanda calda con estrema lentezza e il silenzio che si era andato a creare tra di noi era abbastanza imbarazzante.
«Dimmi una cosa» cominciò l’altro, poggiando la tazza di caffè vuota sul tavolino «Chi è che ti ha cacciato in malo modo?» chiese, puntando i suoi occhi verdi nei miei.
«Lascia stare» risposi, bevendo un altro sorso «Si tratta sempre del solito discorso» terminai di bere, appoggiando a mia volta la tazza sul tavolino chiaro.
«Sapevo ti fossi fermato da Zack ieri sera, ma non credevo che ti avrebbe cacciato così brutalmente» mi espose il suo pensiero con un’innaturale tranquillità.
«Non mi ha propriamente cacciato» cominciai a spiegare «Mi ha lasciato dormire sul divano con la febbre senza nemmeno una coperta, il suo cane mi ha svegliato alle otto della mattina e lui si è fatto la colazione senza nemmeno prendermi in considerazione» sbuffai, portandomi una mano sulla testa «Mentre ci stavamo urlando dietro mi sono messo le scarpe e l’ho salutato con un bel medio.. prima che si chiudesse la porta».
Matt mi guardava con la sua tipica espressione da “ti stò ascoltando” e questo mi faceva solo che piacere, era un ottimo amico su cui potevo fare affidamento ogni volta che avevo un problema.
«Finchè non vi parlate come due persone civili non risolverete un bel niente» mi disse, annuendo a se stesso.
«Con Zackary è impossibile parlare Matt, almeno per me» mi ritrovai a rispondere, avvolgendomi meglio la coperta attorno.
«Lo so che per te non è facile, ma prova a metterti nei suoi panni» si mise a rovistare in un cassetto li vicino, completamente allungato sul divano «E’ stato declassato da chitarrista solista a ritmico dal detto al fatto, non deve essere facile per lui sopportare una cosa del genere» mi passò un termometro per farmi provare la febbre, lo accettai volentieri e lo posizionai alla meglio sotto alla maglietta.
Lo potevo immaginare, anche io mi sarei arrabbiato se qualche sconosciuto mi avesse soffiato il posto da solista, ma dopo due mesi probabilmente mi sarei messo via la cosa. Invece lui insisteva a mantenere la sua posizione, freddo come il ghiaccio continuava a guardarmi dall’alto in basso come se fossi stato uno scarafaggio e a illuminarmi con i suoi assoli ogni volta che entravo in sala prove. Per me la situazione stava prendendo una piega da non ritorno.
«Capisco Matt» cominciai «Ma per me la situazione sta diventando pesante»
«L’unica cosa da fare caro mio» e mi battè una mano sulla schiena, facendomi tossire «E’ quella di portare pazienza, vedrai che le acque si calmeranno presto»
Lo speravo davvero tanto, ma non mi sarei mai aspettato qualcosa di rapido e veloce. Estrassi il termometro e lo controllai.
«Cazzo» mormorai «Ho 38.8» sorrisi.



Matt mi aveva curato finchè non aveva smesso di piovere, dopodiché mi aveva caricato in macchina e mi aveva portato a casa intorno alle 12.00. Avevo aperto la porta principale e avevo salutato mia madre, intenta a preparare una torta per mio padre e mia sorella. Nell’aria sentivo un buonissimo odore di mirtilli e quello che sperai era che si trattasse di una crostata. Salii al piano di sopra e mi buttai sotto il piumone, iniziando a guardare il cielo fuori dalla finestra che si trovava proprio accanto al mio letto. Ripensai a quella mattina e a quel maledettissimo ragazzo che non voleva avere nulla a che fare con me, e pensai che quella sera avrei avuto delle stramaledettissime prove a cui non volevo andare a causa della febbre e del componente indesiderato. Stava andando tutto troppo una merda.
Mi sedetti, appoggiando la schiena al morbido cuscino e osservai i grossi goccioloni che si stavano addossando sul vetro un po’ sporco, si era messo a piovere di nuovo. Merda.
«Brian» mia sorella aprì appena la porta e sbirciò dentro, era piccolina, si trovava all’ultimo anno di scuola elementare e aveva diversi problemi con la matematica.
«Ehi» mi voltai a guardarla mentre lei, con il suo vestitino viola, entrava in camera mia.
«La mamma mi ha detto di portarti questa» e mi allungò una fetta di crostata ai mirtilli appoggiata sopra ad un tovagliolino bianco.
«Grazie» le dissi, mentre prendevo la torta e ne addentavo un pezzo, assaporando il gusto dolce del mirtillo appena sfornato.
Si voltò e andò verso la porta, portando con se l’innocenza che può avere un bambino e, prima di chiudere la porta mi guardò con i suoi occhioni e mi disse una frase che mi rese felice di avere una sorellina come lei «Sei il fratellone migliore del mondo» e scomparì dietro alla porta, lasciandomi solo con la mia torta, i miei pensieri e il rumore della pioggia che si infrangeva sul vetro della finestra di camera mia.
Poco più tardi, dopo aver pranzato e aver ingurgitato una medicina orripilante per farmi abbassare la febbre, mi misi a ripassare gli assoli che quella sera avrei dovuto provare in sala prove. Non avevo nessuna voglia di fare figure davanti a Zackary Baker. La mia Schechter necessitava di una piccola ripulita e quindi occupai altro tempo a lucidarla per bene. Notai con orrore che dovevo cambiare le corde, prima che si rompessero con una sola plettrata. Sarei andato sicuramente il giorno successivo al grande negozio di articoli musicali che vi era nei presso della spiaggia,  a qualche isolato da casa di James. Il telefono vibrò sul mio comodino, facendomi sobbalzare. Il messaggio era di Matt che, come al solito, ricordava a tutti che le prove si sarebbero svolte quella sera dalle otto alle dieci. Gettai il telefono sul letto e tornai ad occuparmi della mia chitarra, armeggiando con lo straccetto per pulirla al meglio.



Ero arrivato leggermente in ritardo ma, una volta aperta la porta della sala prove, mi ero reso conto che mancavano ancora all’appello James e Matt. Come al solito nel momento stesso in cui la porta si chiuse dietro di me, Zackary iniziò ad improvvisare assoli su assoli, cosa che tentai di evitare di ascoltare. Quello che quel ragazzo non aveva ancora capito era che apprezzavo come suonava, mi piaceva quello che scriveva e la passione che ci metteva in quello che gli piaceva fare. Alzai gli occhi al cielo, mentre prendevo la Schechter, posizionandomela a tracolla.
«Ancora non ti sei deciso a non venire?» mi domandò Zackary, alzando leggermente un sopracciglio.
«Non vedo perché dovrei saltare le prove» dissi, mentre collegavo il jack all’accordatore e iniziavo a testare le tenuta delle corde ormai vecchie.
«Perché un chitarrista solista in questo gruppo c’è già» sorrise strafottente, facendo partire un armonico.
«Eddai Zack» si intromise Johnny «Lascialo stare»
Johnny Christ. Non avevo ancora capito da che parte stesse dato che non proferiva mai parola riguardo a questa situazione, se non ogni tanto, come oggi. Teneva il basso imbracciato in qualche maniera e aveva la sua solita cresta.
«Non ti intromettere Johnny» il ragazzo moro si tolse la chitarra, appoggiandola all’amplificatore e si diresse verso di me.
«Cosa vuoi ancora, Baker?» domandai, tentando di mantenere un tono di voce tranquillo, quando in realtà i nervi del mio braccio erano pronti a scattare già da un po’.
«Tu devi levarti dalle palle» mi disse, iniziando a girarmi intorno come un leone fa con la sua preda «Devi tornartene a casa tua e non rompermi più i coglioni» si fermò davanti a me, sogghignando.
«Altrimenti?» chiesi, alzandomi in piedi e appoggiando la chitarra al muro.
«Altrimenti cosa Haner?» mi domandò, incrociando le braccia davanti al petto.
«Sei solo un idiota» sbuffai, stringendo i pugni.
«Sei solo incapace» mi guardò, sfrontato «E non sai suonare.. Sei solo uno stronzetto qualsiasi che pensa di potermi fottere il posto da solista»
In quel momento il nervo del mio braccio scattò, non potevo controllarlo ancora. Centrai in pieno lo zigomo di Zackary che rispose con una ginocchiata nel mio stomaco. Provai un dolore lancinante alla pancia, quando me ne assestò una seconda. Alzai gli occhi verso di lui e gli rifilai un altro pugno in faccia. Stronzo che non era altro.
Johnny tentò di dividerci, cosa che non riuscì a fare data la sua corporatura e quindi prese in mano il cellulare e uscì dalla sala, probabilmente a chiamare Matt e James. Io e Zack ci stavamo davvero pestando pesantemente, eravamo caduti a terra, in un groviglio di gambe e braccia. Le chitarre ormai cadute non avevano emesso un bel rumore, ma nessuno dei due volle controllare in che condizioni fossero. Era completamente a cavalcioni su di me, il braccio alzato pronto a colpirmi il viso di nuovo, quando vidi una mano avvolgersi attorno all’esile braccio del ragazzo moro.
«Zack basta!» la voce di Matt irruppe prepotente nelle mie orecchie, mentre sentivo James aiutarmi a sollevarmi da terra.
«Sei solo uno stronzo!» urlò l’altro, sputandomi a pochi centimetri dalle scarpe.
Tentai di divincolarmi dal mio migliore amico per assestare un altro colpo al più piccolo ma non riuscii a muovere un passo.
Avevo il labbro spaccato e le costole doloranti. Il moretto si teneva un occhio con la mano e aveva il sangue che usciva a fiotti dal suo naso.
«Non ha senso provare in queste condizioni» disse Matt a James e Johnny, prima di uscire trascinandosi dietro Zack. Mi lasciai scivolare a terra, tra il dolore e il mal di testa che ancora avevo a causa di quella maledetta influenza.
«Brian» Jimmy si abbassò su di me, prendendomi il mento con la mano, facendomi sollevare il viso «Andiamo da me»
Annuii, prima di sentire James che mi aiutava ad uscire dalla sala. L’ultima cosa che vidi furono le corde saltate e il manico rotto della mia chitarra.



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Ed anche questo capitolo è stato portato a termine. :)
Questo Zacky così bastardo mi piace e Brian riuscirà a sopportare ancora a lungo?
Commenti e critiche sono sempre ben accetti.
Grazie mille a tutti quelli che hanno commentato o che hanno aggiunto la fic tra le
seguite o le preferite.
Un abbraccio.
OldMilk.

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Capitolo 3
*** Miles away from those I love purpose hard to find ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
Miles away from those I love purpose hard to find.


Matt si chiuse la porta alle spalle, spingendo Zackary sul divano. Era incazzato e si poteva leggerglielo perfettamente in faccia. Gli occhi chiusi cercavano un po’ di conforto in pensieri positivi che non riusciva a trovare, quella stramaledettissima casa ultimamente era sede di troppe uscite fuori luogo e adesso sarebbe toccata alla sfuriata di turno. Si portò le mani dietro alla testa per evitare di rompere ulteriormente la faccia al suo chitarrista e prese un profondo respiro. Si cominciava.
«Immagino tu sappia già di essere una enorme testa di cazzo» si protese in avanti, portando le braccia ai lati della testa di Zackary Baker, quest’ultimo lo guardava con aria arrabbiata e poco socievole, una mano teneva ancora ben saldo l’occhio sinistro e con l’altra tentava di pulirsi alla meglio il sangue dal naso.

«Non provare a farmi la paternale Sanders»
gli diede uno spintone e si alzò dal luogo in cui era seduto, per dirigersi verso il bagno che si trovava appena accanto alle scale in legno scuro. Aprì la porta bianca, incamminandosi sulle mattonelle azzurre.
«Non dovrei farti la paternale?» Matt cercava di mantenere il controllo, sapeva che molto spesso tendeva a perderlo e sapeva anche che Zack marciava molto su questo suo problema. Prese un altro respiro e lo raggiunse alla porta del bagno, lo vide piegato sul lavandino intento a sciacquarsi la faccia. Si appoggiò allo stipite della porta e attese che il ragazzo moro proferisse parola, Zack si asciugò il viso per voltarsi poi verso il ragazzo più grosso, mostrando il suo occhio sinistro circondato da un leggero contorno arrossato, appena accennato.
«Questa merda» e Zack si avvicinò spaventosamente a Matt, indicandosi proprio l’occhio colpito «Non se ne andrà almeno per una settimana! E domattina sarà viola! Lo sai vero!?» gli sbraitò contro, sputandogli in faccia verità che Matthew sapeva già. Quel ragazzo non aveva avuto una vita facile e l’intoppo di aver trovato un chitarrista migliore di lui aveva peggiorato un po’ le cose, ma era più che sicuro che le cose si sarebbero sistemate, dovevano solo avere pazienza. Solo che di pazienza, in quel momento, non c’era nemmeno traccia.
«Si che lo so Zack!» Matt  si scostò di lato per farlo passare e lo seguì nuovamente in salotto. Il ragazzo più piccolo si sedette ancora una volta sul suo divano, accarezzando il cane grigio che si era subito andato ad accomodare accanto a lui. Matt constatò che avevano la stessa espressione, un misto tra fragilità da coprire con la violenza e tristezza pura. Si dispiacque a vedere il suo amico in quello stato, ma del resto lui non poteva farci assolutamente nulla.
«Dovresti dare una possibilità a Brian» disse, sedendosi sulla poltrona accanto alla finestra «Non è un cattivo ragazzo»
«Suppongo di esserlo io, allora» rispose l’altro, continuando ad accarezzare la testa del suo amico fidato.
«Non ho detto questo Zack!» Matthew si portò una mano alla testa, spostando lo sguardo fuori dalla finestra.
«Dite sempre così» Zack si alzò dal divano di scatto, facendo capitolare il suo cane a terra «Non ve ne importa un cazzo di come mi sento io! O di come abbia voglia di scrivere delle cazzo di canzoni! Non ve ne frega niente!» il cane iniziò ad abbaiare e Matt si trovò costretto ad alzarsi per fronteggiare il ragazzo.
«Stai solo dicendo delle stronzate!»
«Non è vero, e lo sai bene!» sbraitò, portando le braccia avanti «Quante volte vi ho sentiti parlare del “povero Zacky dal passato orribile”!» i suoi occhi color acquamarina incrociarono quelli verdi del suo cantante, che rimase zitto per qualche secondo. Proferì parola solo dopo essersi calmato ancora una volta.
«Non sparliamo di te alle tue spalle, idiota!» rispose, prendendolo per le spalle «E comunque Brian non sa nulla!» gli diede uno spintone, facendolo sedere nuovamente sul divano «E tu con lui ti stai comportando come uno stronzo!»
Un lampo squarciò il cielo plumbeo, illuminando il viso di entrambi. Nulla poteva cambiare il suo passato, Matt lo sapeva bene, ma Zackary avrebbe dovuto cambiare atteggiamenti, o si sarebbe cacciato nei guai. Sapeva che tutti i suoi comportamenti erano dovuti ad un passato violento e poco accogliente, ma questo non dava il permesso di attaccare briga con Brian, che non centrava nulla con tutto questo.
«Vattene» lo udì appena.
«Vuoi che me ne vada?» Matt si avviò verso la porta «Va bene Baker, me ne vado» aggiunse, dato che non sentì nessuna risposta provenire dall’amico «Ma tu ti stai comportando davvero da merda» e uscì di casa sbattendo la porta. Il ragazzo moro rimase al buio, con il temporale che imperversava sulla cittadina e la pioggia che batteva contro i vetri. Si portò una mano alla faccia, cercando di coprire dei segni incancellabili.
«Augustine» disse, protendendo il braccio verso il pavimento. Il suo cane, una bellissima femmina di alano grigia, si avvicinò a lui e gli lecco dolcemente il palmo semi aperto «Meno male che ci sei tu».



Se avessi visto le condizioni della mia chitarra quando avevo ancora Baker sotto tiro probabilmente avrei trovato la forza di scostarmi da James e ammazzarlo di botte ancora una volta, ma destino volle che l’avessi vista tardi. La mia bellissima e più preziosa compagna di avventure se ne stava sulla scrivania della camera di James Owen Sullivan, completamente spaccata a metà.
«Quello è solo uno stronzo»
mi ritrovai a dire, mentre appoggiavo tristemente il manico sulla scrivania «Era la mia chitarra migliore»
«Mi dispiace» mi rispose l’altro, allungandomi l’ennesimo pacco di ghiaccio, che andai a posizionare sul labbro ancora gonfio.
«Come mai mi odia così tanto?» gli domandai, sedendomi sul letto accanto a lui.
«Zack non ti odia» mi rispose Jimmy, guardandomi attraverso le lenti dei suoi occhiali da vista «Ha solo un modo molto particolare di approcciarsi con le persone»
«Un modo part..» mi misi a ridere, smettendo subito dopo per i dolori alle costole «Quello li non mi sopporta, non mi può vedere!»
«Deve solo abituarsi al fatto che non farà assoli, poi il suo strumento lo suona quando vuole» si alzò, avviandosi alla finestra per guardare fuori «Cazzo quanto piove» aggiunse.
«E io ho pure la febbre» gli dissi, portandomi una mano sulla fronte «Non è che hai qualche medicina per farmela abbassare vero?» chiesi, speranzoso.
«Non lo so» il ragazzo più alto si portò una mano al mento «Vado a chiedere» mi diede una pacca sulla spalla e scomparve oltre la porta di camera sua. Mi guardai attorno. La stanza di James era di un arancione acceso, aveva un sacco di poster di gruppi appesi alle pareti e, sotto ai miei piedi, c’erano diverse riviste erotiche. Sorrisi, pensando a quanto non fosse cambiato in questi sette anni che ci conoscevamo. Sulla scrivania, accanto alla mia chitarra, c’erano un plico di spartiti enorme e un sacco di matite consumate, alla mia destra, accanto alla finestra, mi guardava con gli occhi semiaperti il suo grosso gatto rosso.
«Charlieee» iniziai, tentando di attirare la sua attenzione «Vieni qui, micio micio»
«Posso sapere cosa diavolo stai facendo, Gates?» quando mi girai vidi Jimmy, sulla porta, con un bicchiere di acqua in mano, al cui interno stava effervescendo qualche orripilante medicina. Si avvicinò a me, porgendomi il bicchiere «Tieni» mi disse «Ma non domandarmi cosa sia, so solo che fa schifo»
«Ottimo» risposi, prima di bere quella schifezza in un sorso solo.
«Rimani qua questa sera?» mi chiese Jimmy, guardandomi «Oppure ti devo riportare a casa?»
«Non lo so Jimbo» mi portai una mano dietro al collo «Dovrei andare a casa perché sono stato fuori anche stasera ma, onestamente, non ho voglia di uscire al freddo ancora»
«Capito capo, chiamo tua madre e le dico che stai male» si allungò sul letto e afferrò il telefono di casa, componendo il mio numero. Lo sentii parlare con mia madre e, dopo che riattaccò, si voltò verso di me mostrandomi i pollici.
«Perfetto, adesso giochiamo ai videogames» sorrisi, guardando quel gigante saltare giù dal letto ed avviarsi verso il piccolo televisore che aveva in camera.
«D’accordo Jim, d’accordo».



Il giorno successivo, quando ci alzammo per andare a scuola, notai uno strano atteggiamento da parte di James. Continuava a guardarsi attorno leggermente preoccupato e non aveva nessuna voglia di mettere piede fuori di casa. Mi voltai verso di lui, dopo aver aperto la porta principale.
«Cosa ti prende?»
gli chiesi, esasperato.
«Nulla» rispose, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Non prendermi per il culo, ti conosco troppo bene»
«Niente, davvero» e uscì di casa prima di me, portandosi dietro l’odore della sigaretta che si era appena acceso.
«Jimbo..» tentai di nuovo.
«Sono solo teso per quel cazzo di test di matematica» sbuffò, prendendo poi una boccata di fumo «E mi sono scordato di dirti che alla mattina io, Zack e Matt andiamo a scuola insieme» me lo disse tardi, quando ormai avevo notato all’angolo della strada la grossa figura di Matt e il ragazzo più esile accanto a lui, se ne stava ricurvo su se stesso, la sigaretta in bocca e lo sguardo vitreo. Notai anche che la sua pelle era pallida come non mai.
«Potevi dirmelo un po’ prima» gli dissi, acido, mentre raggiungevamo gli altri all’angolo della strada.
«Ma qual buon vento» mi disse il moretto, squadrandomi dall’alto in basso «Haner..»
«Ciao Matt» allungai un amichevole pacca sulla spalla di Matt, senza calcolare minimamente Zackary Baker.
«Si saluta Haner, te l’ho detto anche ieri» si portò tra me e il ragazzo più grosso, perforandomi la testa con il suo sguardo ghiacciato, notai subito il livido viola che gli avevo lasciato all’occhio sinistro «Cazzo» dissi, ironico «Deve fare male» e sorrisi, portandomi avanti, accanto a James.
«Stronzo» disse l’altro, affiancandosi a Matt, che gli diede un leggero buffetto sulla testa.
«Mi hai spaccato la chitarra, te lo sei meritato, razza di imbecille»
Ok, come inizio di giornata non era sicuramente idilliaco, ad un certo punto io e James dovettimo addirittura cambiare strada. Era inutile che il mio migliore amico insistesse nel dire che non ci odiavamo, era ovviamente chiaro che Zackary Baker non poteva vedermi.
L’aula quella mattina era piena come al solito di ogni tipo di persona, si passava dal gruppetto di ochette a quello dei patiti dello studio, a me e James che non volevamo saperne di aprire i libri e a Zack che se ne stava da solo a guardare fuori dalla finestra la pioggia che era tornata a cadere copiose sui vetri della scuola.
«Me ne vado in bagno Jimbo» dissi, alzandomi dal banco e uscendo dall’aula. Il corridoio era deserto, si poteva sentire solo il rumore della pioggia schiantarsi sui muri e sulle finestre chiuse. Il linoleum chiaro attutiva il rumore delle mie scarpe e la luce al neon faceva sembrare tutto surreale. Aprii la porta del bagno e mi sciacquai la faccia con dell’acqua ghiacciata. Quando mi specchiai sentii la porta del bagno aprirsi, e vidi Zack prendere posizione accanto a me davanti allo specchio.
«Non dovresti essere in classe?» mi chiese, sogghignando.
«Non sono cose che ti riguardano» risposi, asciugandomi le mani con un pezzo di carta, per poi buttarlo nel cestino accanto all’entrata.
«Io mi interesso a tutto quello che mi pare» si avvicinò a me in modo strano, non emetteva nessun rumore, se non per il respiro che andava a tradire la sua presenza. Vidi i suoi occhi chiari piantarsi nei miei e un senso di gelo prese possesso del mio corpo, facendomi percorrere un brivido per tutta la schiena. Incuteva timore, più del giorno prima.
«Non provare mai più a farmi una cosa del genere, Haner» mi disse, indicandosi l’occhio, poi portò il braccio accanto al mio volto, appoggiando la mano contro la parete fredda del bagno. Non risposi, non volevo rispondere. Volevo solo che si levasse di torno in fretta.
«Levati» gli dissi, guardandolo dritto negli occhi, accettando la sfida silenziosa che mi stava lanciando.
«Altrimenti?» mi chiese, sentivo il suo fiato freddo sul mio orecchio destro.
«Altrimenti mi toccherà levarti di torno» e lo spintonai via, aprendo la porta del bagno «Scendi da quel piedistallo Baker» dissi, prima di chiudermi la porta alle spalle. Quest’ultima si aprì poco dopo, mostrandomi uno Zack abbastanza alterato.
«Ho voglia di giocare, Haner» mi urlò nel corridoio, strafottente.
«Bene» risposi «Perché ho voglia di giocare anche io»

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Capitolo secondo terminato! Sono davvero felice che questa storia vi piaccia :):)
Un commento o una critica sono sempre graditi :) e approfitto anche per ringraziare
anche quelli che la aggiungono alle seguite e alle preferite!
Grazie mille a tutti quanti :)
Un abbraccio.
OldMilk.

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Capitolo 4
*** Some live repressing their instinctive feelings. ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
Some live repressing their instinctive feelings.




Avevo passato tutta la giornata ripensando al mio casuale incontro nei bagni con Zackary Baker, era diventato un’ossessione. Ma non una di quelle ossessioni positive come può essere l’innamoramento, no.. questa era un’ossessione negativa bella e buona. Non potevo vederlo perché ogni volta mi veniva voglia di distruggerlo come lui aveva amatamente distrutto la mia chitarra e, supponevo, la voglia fosse reciproca. Mi diressi tranquillamente verso casa mia, cuffie nelle orecchie e parecchio sale in zucca. Quel pomeriggio avremmo provato, e si sperava, non come la volta precedente. La strada era illuminata da leggeri raggi di sole che era parzialmente oscurato da una nuvola di passaggio e le mie scarpe da ginnastica scricchiolavano su alcuni sassolini scampati al giardino di qualche persona. Non avevo nessuna voglia di fare a pugni un’altra volta, il labbro mi faceva ancora male e come se non fosse bastato adesso avrei dovuto portare con me la mia Schechter di riserva, alla quale dovevo assolutamente fare un check-up completo. Sbuffai, mentre svoltavo l’angolo in prossimità di casa di James quando lo spettacolo che mi si presentò davanti mi colpì allo stomaco come mille artigli affilati.
Se ne stava piegato su se stesso, a terra, cercando di coprirsi la testa come meglio poteva. Sulle braccia scoperte vi erano due tagli non eccessivamente profondi ma che comunque dovevano fare male. Racchiuso in posizione fetale Zackary Baker stava cercando di proteggersi come meglio poteva dall’attacco di due ragazzi della nostra scuola.
«Sei solo un coglione Baker» davanti a lui, accucciato vicino alla sua faccia, c’era un ragazzo dai capelli biondi che lo prendeva in giro, mentre l’altro continuava a dargli calci sulla schiena.
«Come mai il tuo paparino non c’è più Baker?» Zacky non reagiva, se ne stava racchiuso in quella posizione, cercando di scacciare qualcosa che nella sua mente continuava a ripercuotersi, ma ovviamente questo non potevo saperlo. «Non ci vuoi raccontare del tuo papà, razza di sfigato?» gli diede un pugno nello stomaco, facendo sussultare l’altro «E poi chi ti ha fatto questo bellissimo occhio nero? Vorrei congratularmi con lui!» e si mise a ridere insieme all’altro suo amico.
«Piantala!» Zack si era tolto le mani dalla testa e stava cercando di tirarsi in piedi, era dolorante e si poteva notare dal suo ansimare.
«Hai sentito Ian?» e rise «Vuole che la piantiamo!»
Non che mi stesse a cuore Zackary Baker, ma certe cose non le sopporto a priori. Che stiano accadendo ad un mio amico a ad un’emerita testa di cazzo come lui. Cercai di attraversare la strada, ma mi sentii fermato da due braccia abbastanza grosse. Voltai lo sguardo e vidi James osservare la scena davanti a lui, per poi voltarsi verso di me e farmi incamminare dalla parte opposta.
«Se non vuoi farti odiare ancora di più, lascia che se la cavi da solo» me lo disse con una strana smorfia sul viso, la tipica espressione che James riservava alle situazioni peggiori. Aveva voglia di suonarle di santa ragione a quei due bastardi, ma non poteva.
«Ma non possiamo Jimmy!» voltai lo sguardo indietro, ma non si vedeva più nulla «Cazzo lo stanno massacrando!»
«Fidati se ti dico di lasciar stare»
Rimasi in silenzio per tutto il tragitto di ritorno, avevamo preso un’altra strada per andare a casa di James, proprio per evitare di passare nuovamente davanti a loro, solo che non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagina di un Baker indifeso. Continuammo a passeggiare sotto al sole quando raggiungemmo l’abitazione di James dalla porta sul retro. Non avevo capito cosa intendesse  James quando mi aveva detto che se la sarebbe cavato da solo.
«Senti Jimmy» iniziai, sedendomi sullo sgabello della cucina, mentre lui prendeva un sacchetto di patatine e lo apriva, buttando poi il contenuto dentro una ciotola in plastica dura azzurra «Cosa intendevi quando mi hai detto che se la sarebbe cavata da solo?»
«Penso che il tuo labbro ti possa spiegare molte cose» rispose, sedendosi accanto a me e cominciando a smangiucchiare qualche patatina.
«Beh» arrossi leggermente «Ma lui è più piccolo di me come stazza, ha delle braccia così magre» continuai.
«Non vuol dire nulla.. Zackary tiene dentro un animale pronto ad esplodere in qualsiasi momento» e sbadigliò sonoramente, portandosi una mano davanti alla bocca.
«Questo è vero, forse mi stò preoccupando troppo»
«Siamo tutti preoccupati quando Zacky fa a botte, però per lui va bene così.. e non vuole che nessuno lo disturbi»
«Capisco» presi anche io una patatina, iniziando a smangiucchiarla.


Zackary era tornato a casa con la schiena dolorante e gli occhi lucidi. Zackary Baker non piangeva mai.
«Augustine, sono tornato!» chiamò, mettendo le chiavi sul mobile dell’entrata. Il suo cane gli corse incontro, scendendo per le scale scodinzolando felice. Lo seguì fino in salotto, dove Zack si lasciò cadere sul divano per cercare di alleviare il dolore. Augustine saltò accanto a lui, appoggiando la testa sulle sue gambe.
«Grazie» Zack gli accarezzò la testa, prima di lasciarsi andare a pensieri risalenti a troppo tempo addietro. Forse un giorno li avrebbe raccontati seriamente a qualcuno di cui poteva fidarsi. I suoi amici lo sapevano solo perché erano cresciuti con lui e quei due stronzi di Ian e Jeremy  lo avevano appreso solo dai loro genitori dopo che avevano letto i giornali locali. Furibondo, diede un violento calcio al tavolino di vetro che aveva davanti, rischiando di mandarlo in frantomi. La sua vita era proprio una merda.


Arrivai in sala prove con il mio solito ritardo, la differenza era che questa volta non c’era nessuno insieme a Zackary Baker. “Ottimo” pensai tra me e me mentre lui iniziava a fare i suoi soliti assoli. Aveva rotto le palle a sufficienza, ma non volevo farci caso, non dovevo farci caso. Estrassi la mia vecchia e consumata chitarra rosso scuro e la accordai alla meglio, sotto lo sguardo indagatore di Baker.
«Forse è il caso di cambiare quel catorcio, no?» mi disse, ironico.
«Non sono cazzi tuoi, Baker» risposi, voltando lo sguardo verso di lui. Quello che vidi mi procurò una profonda destabilizzazione psicologica. Quel ragazzo aveva bisogno di aiuto, e qualcuno doveva prendersi la briga di farlo. I suoi occhi verdi erano spenti, ed uno era circondato da un alone violaceo che sapevo essere colpa mia. Le braccia erano ricoperte di lividi e una cicatrice faceva capolino dal colletto della sua maglia.
«Non sono cazzi miei?» esclamò ridacchiando «Si da il caso che faccio parte di questo gruppo da più tempo di te, e penso di avere tutto il diritto di esporti i miei cazzo di problemi nei tuoi riguardi»
Mi voltai esasperato, non poteva andare avanti così tutte le volte, non avevo una pazienza illimitata. Stavo per ribattere quando la porta si aprì, facendo entrare i restanti tre componenti della band. Matt si stupì talmente tanto della quiete che c’era al momento che non riuscì a trattenere un «Che cazzo vi hanno fatto?», prima di sistemare il suo microfono e il resto delle cose. James era sempre più tenebroso nei confronti di Zack, lo seguiva con lo sguardo senza parlare mai. Era un suo grandissimo amico e, per come potevo conoscere James, sapevo che stava cercando un modo per stargli vicino senza infastidirlo. Johnny, dal canto suo, appena entrato era venuto da me dandomi una pacca sulla spalla in segno di saluto, al quale ricambiai sorridendo. Quel gruppo non era così male, se non fosse stato per il componente indesiderato.
«Allora..» Matt iniziò a parlare nel microfono, tentando di ricevere l’attenzione di tutti «Abbiamo scritto una canzone la volta scorsa, non il giorno delle prove saltate» continuò «Ma quella prima! Dato che l’intro prevede un assolo di chitarra direi di iniziare con quella, così potremo sistemare alcuni problemi o fare degli aggiustamenti!»
«Io ci stò» asserì James coperto dai piatti.
«Va bene» esordì Jonathan, guardandoci dal basso verso l’alto.
Zackary non diede nessun parere, si limitò a sbuffare e ad attendere l’inizio della canzone. Da quando James diede i quarti con le bacchette, si scatenò l’inferno. Una battaglia tra me e Baker fatta solo di assoli. Iniziavo io e terminavo con sguardo di sfida e lui rispondeva, eccome se rispondeva! Quel ragazzino non era così male come sembrava dall’esterno, ma non riusciva a prendere i tasti bene nella velocità con cui tentava di starmi dietro. Faceva quasi tenerezza, in effetti. Lo sguardo attonito dei nostri compagni di band era palese, si erano rotti i coglioni.
«Allora!» Matt si ritrovò ad urlare nel microfono per richiamare l’attenzione «Adesso vorrei provare seriamente!»


Quella sera se ne stava steso nel suo letto, guardando il soffitto di quella casa che tanto odiava. I ricordi affioravano come un fiume in piena ogni volta che cercava di prendere sonno. Solo Augustine gli faceva compagnia e lo tranquillizzava. Gli occhi lucidi erano concentrati su una macchia sul soffitto quando uno dei tanti pensieri prese forma nella sua testa.

Stava giocando con dei piccoli robot di plastica, era seduto in mezzo alla sua stanza e fuori imperversava una pioggia torrenziale. Sua mamma era a lavoro e lui era rimasto a casa con suo padre. Aveva sette anni o poco meno quando sentì dei rumori al piano di sotto, un po’ intimorito scese le scale, reggendosi al corrimano, ed arrivò in cucina. Suo padre era riverso sulla tavola e stava bevendo una sostanza di colore rossastro.
«Perché bevi sangue?» lo aveva chiesto innocentemente, guardando negli occhi quell’uomo.
Quest’ultimo si era alzato e si era avvicinato al figlio, alitandogli in faccia odore di sporco e alcol. Non aveva mai risposto alla sua domanda, in cambio aveva ricevuto parecchie botte. Un pugnò sulla schiena e uno schiaffo in pieno volto. Si era messo a piangere ma non era stato sufficiente per quell’uomo che aveva continuato a sfogare la sua rabbia sul figlio piccolo.

Aprì gli occhi di scatto, raggomitolandosi accanto al suo cane.
«Promettimi che ci sarai per sempre, Augustine.»

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Ho finito anche il terzo capitolo c:
Scusate se impiego un po’ a postare ma sono sommersa dallo studio c:
Grazie a tutti coloro che recensiscono e che la aggiungono alle seguite o preferite,
mi rendete davvero felice c: Come al solito recensioni e critiche sono ben accette!
Alla prossima!
OldMilk.


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Capitolo 5
*** 'Cause I'm lonely and I'm tired. ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
'Cause I'm lonely and I'm tired.




Male, sentiva male ovunque. La schiena era sicuramente coperta da lividi e le braccia non erano da meno. Sentiva i tagli bruciare e il sangue scorrere velocemente sotto la sua pelle, per soffermarsi a pulsare violentemente sotto alle ferite. Augustine era ancora accanto a lui, su quel letto freddo. Zachary si portò una mano alla testa, coprendosi gli occhi, mentre si rendeva conto di quanto fosse sudato. Aveva fatto incubi anche quella notte, non ne poteva più. Le occhiaie già marcate erano ancora più accentuate sulla pelle bianca e il corpo magro ed esile. Scese dal letto, appoggiando i piedi sul pavimento freddo, rabbrividendo. Strinse le mani a pugno e sfogò un urlò incastonando la testa nella coperta del letto, dopo essersi accasciato al suolo. Augustine era ancora li, pronta a stargli accanto, appoggiando la sua testa sulle gambe del ragazzo.


Non capivo come mai nessuno si prendesse la briga di difendere quel ragazzo. Ero l'ultima persona a dover parlare, lo sapevo perfettamente, ma l'immagine di lui steso a terra, mentre veniva deriso e pestato rimaneva nitida nella mia mente, senza andarsene. Ero seduto su uno sgabello della cucina, e stavo facendo colazione con frittelle e succo d'arancia insieme alla mia sorellina minore. Mi guardava con quei grandi occhioni dall'altro lato della tavola, mentre tentava di arrampicarsi nuovamente sullo sgabello.
«McKenna sai che ti devo aiutare, non ci arrivi da sola» dissi, posando la forchetta sul piatto pieno di briciole e miele.
«No, ci arrivo» risoluta come non mai tentò ancora di arrampicarsi, senza successo.
Sorrisi, osservandola nel suo piccolo vestitino azzurro e i capelli castani lunghi sciolti sulle spalle. Aveva sette anni, ed era estremamente dolce. Imbarazzata, tentò ancora una volta di salire ma non ci riuscì. La vidi sbuffare e venire verso di me, tenendo stretto tra le mani il suo consumato orsetto di peluche. Si mise accanto al mio sgabello e, guardandosi i piedi sussurrò un leggero «Fratellone mi aiuti?»
Pensai anche di lasciarla li, giusto per scherzare, poi mi venne in mente quanto era permalosa la piccoletta, quindi la presi al volo in braccio, facendola ridere, e la misi seduta sullo sgabello in legno chiaro.
«Grazie» disse, addentando un biscotto.
«Di cosa?» risi, mentre prendevo il mio piatto e iniziavo a lavarlo nel lavello. Guardai pensieroso fuori dalla finestra, il cielo era di un azzurro intenso e, dopo una settimana abbondante di pioggia, il sole aveva deciso di tornare a farci compagnia con i suoi tiepidi raggi. Lungo il marciapiede correvano un sacco di bambini e le mamme, che fino al giorno prima erano rimaste chiuse in casa col caminetto acceso, adesso se ne stavano in gruppo a camminare con i loro passeggini. Scossi la testa, stavo diventando troppo pensieroso. In realtà sapevo perfettamente che mi concentravo su altro solo per non pensare a lui, nonostante non lo sopportassi, non potevo pensare a quanto male si stesse auto infliggendo. Asciugai il piatto, appoggiandolo sul mobile accanto a me quando lo vidi, stava camminando con quel cane gigantesco lungo il marciapiede dalla parte opposta di casa mia. Sembrava più pallido del solito sotto la luce accecante del sole, i capelli corvini si posavano con leggerezza su quel volto consumato dalle occhiaie e le braccia troppo magre se ne stavano infilate nelle tasche dei jeans. I lividi erano ben visibili anche da quella distanza. Non so perchè lo feci, ma in meno di qualche secondo mi ritrovai sulla porta di casa a urlare un «Resta qui, sono sul marciapiede, torno subito» a mia sorella, che annuì distrattamente, mentre si accendeva la televisione.
Sbucai col volto dalla siepe che recintava la mia abitazione, seguendolo con lo sguardo. Era qualche metro avanti a me, dall'altra parte della strada. Aprii il cancello, richiudendomelo alle spalle e lo raggiunsi, non mi vide e, se lo fece, non me lo fece notare.
«Baker» dissi, infilandomi a mia volta le mani in tasca.
Non parlò, voltò semplicemente lo sguardo nella mia direzione, mostrandomi quegli occhi chiari completamente spenti e privi di vita.
«Cosa vuoi?» veleno, le parole dette con la sua voce erano completamente veleno.
«Perchè lo fai?» chiesi, avvicinandomi di un passo e accucciandomi, accarezzando Augustine che era venuta dalla mia parte.
«Cosa, Haner?» mi guardava sprezzante dall'alto della sua posizione.
«Farti picchiare e non reagire» dissi, alzando gli occhi verso di lui «Ti ho visto l'altro giorno» e feci cenno con la testa alle sue braccia distrutte.
«Non sono cose che ti devono interessare» ribattè «E lascia stare Augustine» al sentirsi chiamare l'alana grigia andò accanto al suo padrone, immobilizzandosi. Lo osservai, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi e mi sbranava con gli occhi. Perchè tutto questo odio, Zachary?
Era una sensazione strana, mi prendeva lo stomaco e lo divorava lentamente, mentre lo osservavo in tutto il suo dolore. Non doveva ridursi in quello stato.
«Saranno anche cose che non mi riguardano, ma non sopporto chi picchia le persone»
Fu strano, il moro spostò velocemente lo sguardo da me al suo cane, iniziando ad accarezzarlo improvvisamente, con premura ed amore.
«Ci vediamo alle prove, Haner» si girò e si incamminò dalla parte opposta alla mia, insieme a quella sua grossa amica grigia. Il suo saluto era stato insensibile, improvviso e, stranamente, normale. Rientrai in casa e, dopo aver chiuso la porta, appoggiai la schiena ad essa, sospirando.
Perchè?


Non aveva senso, quante volte glielo avevano ripetuto? Matthew era sempre preoccupato per lui, James si era quasi fatto ammazzare per difenderlo un giorno. Appoggiò la schiena alla fredda porta d'entrata bianca, lasciandosi scivolare per terra con le mani tra i capelli. Era stata difficile quella volta, uno dei suoi migliori amici era finito in ospedale per lui. Quella coltellata allo stomaco lo aveva quasi fatto morire, ed era solo stata colpa sua. Gli occhi diventarono umidi, ma ricacciò indietro le lacrime. Lui non piangeva mai, nemmeno provando tutto il dolore del mondo, aveva imparato ad essere così, insensibile. Aveva bisogno di aiuto? No.
Strinse le ginocchia al petto, appoggiando il mento sopra ad esse, per poi chiudere gli occhi e pensare. Riaffiorarono i ricordi, e cadde nel buio un'altra volta.
Camminava così piano e impaurito per la casa che gli veniva già da piangere.
Non voleva rimanere a casa da solo con suo padre, lo aveva detto alla mamma, ma quest'ultima aveva detto che non c'era assolutamente nulla di cui preoccuparsi, mentre lo baciava sulla fronte prima di uscire per andare a lavorare. Era entrato in salotto e si era messo a giocare con le macchinine, quelle belle che gli piacevano tanto. Suo padre era entrato così rapidamente che nemmeno se ne era reso conto. L'aveva sbattuto per terra, iniziando a incolparlo, dicendo che era colpa sua se la sua relazione con la madre stava andando a rotoli. Zachary si era messo a piangere, mentre veniva colpito altre volte con violenza.
«Basta» glielo chiedeva sempre «Per favore» ma era sempre tutto inutile, spaventoso e violento. Suo padre non rispondeva mai e se gli diceva qualcosa era per ricordargli che non doveva piangere, che era colpa sua, che doveva solo stare zitto.
Il ragazzo aprì gli occhi chiari, osservando il muro davanti a lui. Si alzò, avviandosi verso lo specchio del bagno. Si scrutò in tutti i dettagli. Gli occhi chiari erano di suo padre, gli facevano schifo. Letteralmente.
Le labbra carnose le aveva prese dalla madre, mentre la corporatura esile e magra era dovuta al fatto che per un sacco di tempo non aveva mangiato. Passò le dita dalle labbra al naso, agli occhi, per poi sollevare i capelli dalla fronte. All'attaccatura se ne stava una grossa cicatrice rosea. Urlò, prima di tirare un pugno contro il vetro e vedere il sangue iniziare a scorrere a fiotti lungo la mano candida.


Matthew era corso a casa del ragazzo così rapidamente, che per poco non si era fatto investire da una macchina. Si era davvero affezionato a lui, si era preso la responsabilità di seguirlo come un padre, di difenderlo e di stargli vicino nei momenti difficili. Non voleva lasciarlo solo, mai. Era entrato in casa come una furia, cercandolo in cucina e in bagno, per poi trovarlo disteso in camera da letto con la mano completamente fasciata in stracci bianchi, ormai completamente coperti di sangue. Gli occhi vitrei che guardavano il soffitto bianco, persi in chissà quali pensieri. Matthew si avvicinò al letto, sedendosi accanto a lui, percorrendo silenziosamente con una carezza la mano distrutta e il braccio ossuto di Zachary. Terminò con una leggera carezza sul volto di lui, che si scostò immediatamente.
«La faccia non me la toccare, quante volte devo dirtelo?» si era seduto rapidamente, rannicchiandosi nell'angolo del letto per non farsi raggiungere.
«Non sono lui» rispose Matt, appoggiando il braccio sulla gamba.
«Non mi interessa»
«Fammi vedere la mano»
Zachary allungò la mano fasciata. Matthew la prese, togliendo le bende delicatamente, per poi mostrare una mano gonfia e ricoperta di sangue.
«Bisogna andare all'ospedale» disse, appoggiandogliela sul letto.
«No»
«E invece si, ci voglio i punti qui» e indicò i numerosi tagli che aveva sulla mano.
Zachary sbuffò, mentre seguiva Matthew fuori dalla camera. Sarebbe andato all'ospedale solo perchè era lui a chiederglielo. Se fosse stato solo per se, sarebbe stato ancora su quel letto dalle coperte macchiate. Se fosse morto sarebbe stato meglio, anche se sapeva che per una cosa del genere non sarebbe certo accaduto.


Avevamo raggiunto Matthew all'ospedale, per poi scoprire che Zachary era già entrato a farsi medicare. Non sapevo quanto sarebbe stato felice di vedermi, ma non mi interessava, volevo sapere come stava.
Stavamo tutti seduti su quelle scomode sedioline di legno pieghevoli, aspettando che lui uscisse dalla porta che portava alle varie stanze mediche.
«Perchè?» domandai, volgendo la sguardo verso James, Matthew e Johnny. Stavo chiedendo troppe volte perchè, in realtà non sarebbe dovuto interessarmi più di tanto. Jimmy si alzò, venendo a sedersi accanto a me. Mi prese per le spalle, appoggiando la sua fronte sulla mia.
«Ci sono cose che non si scordano Brian» arrossii, non so perchè, ma lo feci. Vidi i suoi occhi azzurri guardarmi nei miei di cioccolato liquidi. C'era stato un tempo in cui io e James eravamo stati, involontariamente, qualcosa di più che due semplici migliori amici, ma adesso era acqua passata. Non era mai successo niente, ma eravamo sempre insieme, molto gelosi l'uno dell'altro. Una sera a casa sua ci eravamo baciati. Uno scontro di labbra lieve ma completamente dolce, romantico. Da quel momento era tornato tutto come agli inizi.
Sentimmo Matthew alzarsi e lo guardammo andare dal ragazzo moro che era appena uscito. Andammo tutti li per vedere come stava, se la mano gli faceva male. Ci guardò uno ad uno, mentre ci facevamo avanti per domandargli come si sentisse. Non appena incrociò il mio sguardo mi fulminò. Vidi i suoi occhi incattivirsi e le sue gambe muovere un passo indietro.
«Cosa fai qui?» sibilò, tenendosi la mano fasciata.
«Eddai Zack, voleva solo sapere come stavi» Matt cercò di accarezzargli i capelli, convinto di tranquillizzarlo, ma ottenne l'effetto contrario.
«Ti ho detto di non toccarmi!» era balzato indietro, urlando, mettendosi in una posizione di difesa «E tu» aggiunse, tornando a guardarmi «Sarai felice ora, dato che non potrò suonare la chitarra per due settimane»
Rimasi interdetto, non credevo non potesse suonare.
«Mi dispiace...» cominciai, ma fui interrotto dalla sua risata. Una risata amara, fredda, che poi si era ridotta in singhiozzi. Vidi Jimmy andargli accanto e sorreggerlo per le spalle. Singhiozzava, ma non piangeva, nemmeno una lacrima solcava il suo viso pallido e scarno. Solo tristezza e odio trasparivano da quegli occhi stupendi.



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Dopo mesi che non aggiorno eccomi qui.
Mi spiace, come già spiegato per messaggio privato ad una ragazza che mi ha scritto ho avuto problemi di salute e familiari, quindi perdonate l'assenza.
Sono nuovamente qui, pronta a continuare la storia. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi farebbe piacere sapere come lo trovate :)
OldMilk.

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Capitolo 6
*** And I don't want the world to see me. ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
And I don't want the world to see me.




Mescolai quello che rimaneva del sugo che avevo preparato, appoggiando la padella sul fornello ormai spento. Vi versai la pasta cotta e iniziai a mescolare il tutto, sotto lo sguardo di James e Johnny, seduti al tavolo della cucina, intenti a sorseggiare una birra. Non avrei mai pensato che Matthew avesse talmente a cuore quel ragazzo. Da quando avevamo messo piede in casa Baker lo aveva accompagnato di sopra, sparendo per le restanti due ore. Quando si erano fatte le otto e mezzo avevamo iniziato a morire di fame, quindi avevo messo su una pasta anche se, personalmente, non credevo Zachary ne sarebbe stato felice.
Brian Haner che toccava i suoi attrezzi da cucina, ma stiamo scherzando?
Sentii una mano posarsi sul mio fianco e vidi una testa mora parecchio più alta di me, fare capolino dalla mia spalla sinistra.
«Che sugo è?» domandò James, spiando il contenuto della padella.
«Qualcosa come pomodoro, tonno e philadelphia» dissi, mescolando ancora un pò la pasta.
«Qualcosa?» domandò Johnny alle nostre spalle, col viso appoggiato al braccio tatuato, che se ne stava rigido sul tavolo in legno scuro. Ridemmo, sperando che quello che ne era uscito fosse decente.
«Si Johnny, qualcosa. Non sono sicuro di aver seguito tutti i procedimenti» mostrai i denti bianchissimi a James, che mi scompigliò i capelli, prima di avvisarci che sarebbe andato a chiamare gli altri.
«Vado ad avvisarli, dovrebbero mangiare qualcosa anche loro» e sparì su per le scale.
«D'accordo» Johnny si alzò, apparecchiando per cinque. Scossi la testa, involontariamente, non sarebbe mai sceso sapendo che c'ero anche io. Sospirai, mentre versavo la pasta in cinque piatti di plastica. Avremmo evitato il problema di chi doveva lavare le stoviglie.


James percorse quel tetro corridoio cercando di fare meno rumore possibile. La carta da parati era rotta in vari punti, e tutte le luci erano completamente spente. Poggiò una mano al muro per sorreggersi. Qualcosa l'aveva fatto scivolare, anche se non riusciva a vedere di cosa si trattasse. Alzò le spalle, ormai si era rassegnato alla confusione che regnava in quel piano della casa. Zachary non sistemava mai, la maggior parte del tempo lo trascorreva fuori di casa, anche con la pioggia. Il divano era un suo grande amico nei momenti di solitudine ma il piano di sopra no, il piano di sopra era reduce di tutti gli incubi che covava e si portava appresso come macigni. Erano i ricordi più dolorosi e brutti che potesse avere.
Notò la porta della camera socchiusa, la luce era spenta anche li.
Bussò piano, per non disturbare, ma non ottenne risposta.
Spinse la superficie bianca e fredda, osservando la stanza illuminata dalla chiara luce della luna che, nonostante fosse così bella, riusciva ugualmente a dare un tocco sinistro a quel luogo. Zacky avrebbe dovuto andarsene da quella casa.
«Matt» sussurrò piano, notando due figure scure sul letto. Una era sdraiata, rannicchiata su se stessa, mentre l'altra era seduta al bordo del letto e, nonostante il buio, si notava distintamente che gli stava accarezzando i capelli con fare fraterno.
«Sta dormendo?» domandò ancora Jimmy, quando non udì risposta.
«Si» sussurrò piano Matthew, alzandosi lentamente e coprendo il ragazzo con la coperta pesante.
«Brian ha fatto qualcosa da mettere sotto i denti, se vieni di sotto ci mettiamo a tavola»
Il ragazzo muscoloso annuì, lanciando un'ultima occhiata al più piccolo, addormentato su quel letto insieme al suo cane.


Eravamo tutti a tavola, intenti a sbocconcellare quello che era rimasto della pasta nei nostri piatti. Alzai lo sguardo, incrociando lo sguardo caldo di Matt, palesemente preoccupato. Cercai di infondergli coraggio senza aprire bocca, ma risultava particolarmente complicato.
«Qualcuno dovrebbe rimanere» Johnny si era alzato, gettando il piatto di plastica giallo nel cestino della spazzatura. Matt posò la forchetta sul tavolo, annuendo distrattamente.
«Sarebbe la cosa migliore» disse, guardandoci uno alla volta «Ma stasera io non posso assolutamente, devo tenere la figlia piccola di mia sorella. Ha cinque anni, dubito che saprebbe cavarsela a casa da sola» si appoggiò con entrambi i gomiti al tavolo, affondando poi il viso tra le mani.
Nessuno parlò. Sapevamo tutti che la persona più indicata per quel compito era proprio Matt. In sua presenza Zachary sembrava quasi più tranquillo e rilassato, si sentiva protetto, questo era sicuro. Sarebbe toccato a qualcun'altro prendersi la responsabilità della cosa.
«Lo farò io» dissi, ancora prima di collegare il pensiero alla bocca. Solo dopo mi resi conto di quello che avevo appena detto. I tre ragazzi davanti a me mi guardarono allarmati e preoccupati, chi in piedi appoggiato al lavello come James, chi con le braccia incrociate come Matt e Johnny.
«Sei sicuro?» mi chiese Matthew, preoccupato «Senza offesa Brian ma... non penso tu sia la persona più indicata»
«Non preoccuparti» dissi, mentre iniziavo a liberare la tavola da quello che vi era rimasto sopra «Potrei  involontariamente esserlo, invece» vidi lo sguardo perplesso di tutti, quindi andai avanti «Sono l'unico a non sapere cosa gli sia accaduto e quindi riesco a trattarlo come una persona normale. Immagino abbia passato delle cose orribili, ma non sapendole, non riesco a provare pena per lui, o una eccessiva preoccupazione come fate tutti voi» presi fiato, risedendomi sulla sedia. Rimanemmo in silenzio per un pò, mentre il ticchettio dell'orologio continuava, mandando avanti le lancette che ormai segnavano le dieci e mezza.
«D'accordo» esordì Matt poco dopo, passandosi una mano sul viso «Ma se gli succede qualcosa Brian, qualsiasi cosa... te la vedi con me» e si alzò, prendendosi un bicchiere d'acqua.
«Non preoccuparti» incrociai lo sguardo di James per qualche secondo, prima di salutarli tutti e tre.


Avevo chiuso la porta a chiave e non avevo acceso nemmeno una luce. Sapevo che Augustine doveva ancora mangiare, dato che mi aveva avvisato Matt prima di uscire dalla porta, quindi versai dei croccantini nella sua ciotola vuota. Avrebbe mangiato quando gli sarebbe venuta fame, non avevo intenzione di andare a cercarla in giro per la casa. Così buia, l'abitazione metteva i brividi. Sentivo il freddo entrarmi nelle ossa e lanciarmi brividi per tutta la schiena. Volevo dormire, gli occhi erano pesanti e il divano di qualche settimana prima non mi allettava per nulla. Mi mossi facendo il meno rumore possibile, salendo le scale di legno per poi avviarmi ad esplorare quel piano che mi era sempre rimasto segreto. A differenza del piano di sotto era tutto molto disordinato e sporco, la carta da parati graffiata e macchiata, come il pavimento freddo. In fondo al corridoio, sulla destra, una porta semiaperta mi fece intuire che doveva trattarsi della camera di quel ragazzo così complicato. Entrai lentamente. L'aria era talmente pesante che faticavo a prendere fiato. Mi avvicinai al letto, accarezzando Augustine che mi guardava con quegli occhioni spenti.
Lui dormiva rannicchiato su stesso sotto alle coperte, le labbra leggermente socchiuse e i lividi sul collo dovuti ai calci presi due giorni prima. Sapevo che non dovevo stare li dentro, se si fosse svegliato sarebbe stato un macello, ma c'era qualcosa di più forte che mi teneva ancorato li e che non riuscivo a comprendere.
Dormiva senza maglia, a petto nudo, indossava solo un paio di pantaloni di una tuta grigia scura. Allungai una mano, sfiorandogli il braccio, risalendo lungo la spalla, il collo e le labbra.
Che diavolo sto facendo? mi ritrovai a pensare, accucciato al bordo del letto. Seguii i contorni della sua bocca, del naso e degli occhi, finchè non mi ritrovai a sollevargli il ciuffo dalla fronte, mostrando quel taglio netto e vecchio proprio all'attaccatura dei capelli. Sentivo il suo respiro vicino al mio viso. Sembrava così indifeso.. Gli accarezzai una guancia, prima di alzarmi in piedi e voltarmi per andare a cercare la stanza degli ospiti. Prima che potessi muovere un passo sentii la sua mano afferrare delicatamente la mia, fu un contatto leggero e fresco. Voltai lo sguardo verso di lui, che ancora teneva gli occhi chiusi.
«Resta..» sussurrò lentamente, in un dormiveglia leggero.
Sapevo perfettamente che non mi aveva riconosciuto, ma lui aveva bisogno di me e, una piccola parte del mio inconscio, mi diceva che anche io avevo bisogno di lui. Fu strana quella notte. Mi addormentai seduto sul pavimento con la testa appoggiata accanto alla sua sul letto, con la sua mano ancora ben salda nella mia.



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Non so se comincio bene.. ta-daaaan :)
Eccomi con un nuovo capitolo, un pò breve ma intenso.. dai :D Certo, come no... tiratemi dietro quello che volete! Ringrazio davvero tutti quelli che hanno recensito e che hanno aggiunto la storia tra le seguite e le preferite. Grazie mille, davvero. Posterò presto, promesso ;)
Abbraccio,
OldMilk.

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Capitolo 7
*** When everything feels like the movies ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
When everything feels like the movies.



Avevo passato l'intera nottata dormendo profondamente, la mano di quel ragazzo ancora ben stretta nella mia e i suoi capelli a contatto con la mia fronte. Non saprei definire bene cosa mi avesse svegliato quella mattina, so solo che sentii un bruciore allucinante all'altezza della nuca.
Aprii gli occhi di scatto, massaggiandomi il collo, ma cosa diavolo stava succedendo?  Sentii un'altra fitta dolorosa arrivare dopo poco sempre nello stesso punto.
«Oh.. ma che cazzo!» urlai, tirandomi in piedi.
Misi a fuoco la stanza illuminata dai raggi del sole. Il pavimento di marmo freddo, le pareti rovinate e lui, rannicchiato nell'angolo del letto che mi guardava con due occhi omicidi. Ok, dovevo ammettere che pensavo mi sarei svegliato prima di lui, ma così non era stato. Faceva scorrere il suo sguardo dalla sua mano alla mia faccia e viceversa. Aveva i capelli completamente scompigliati, il petto nudo si alzava ed abbassava al ritmo regolare del suo respiro e la forma delle ossa si intravedeva sulle sue spalle gracili.
«Tu» iniziò, alzandosi in piedi e venendo verso di me a passo spedito «Cosa cazzo stavi facendo??» mi diede uno spintone, facendomi finire addosso al muro. Non reagii, non volevo.
«Nulla, Matt voleva solo che qualcuno rimanesse qua con te»
«Stronzate!» urlò, tirando un pugno con la mano buona sul muro, proprio accanto alla mia testa. Non mi aveva colpito, non aveva voluto farlo. Il silenzio calò su quella stanza in poco meno di qualche secondo, facendoci prendere fiato ad entrambi. Aveva lo sguardo basso, avvilito in un certo senso.
«Sei la persona che odio di più al mondo» sussurrò, continuando a guardarsi la punta dei piedi. Indossava solamente quei pantaloni grigi della tuta con cui aveva dormito e aveva i muscoli del braccio tesi, con la mano chiusa a pugno ancora accanto alla mia testa. Sollevò lo sguardo verso di me, era carico di odio e.. lacrime. Non uscivano da quegli occhi ormai stanchi, ma se ne stavano sull'orlo, premendo per riversarsi sul viso scarno.
«Zack..» cominciai.
«Lascia stare, non dire nulla» sibilò, lasciandosi scivolare per terra.
Mi abbassai con lui. Aveva le braccia che gli ricadevano lungo il busto, lo sguardo basso coperto dai capelli che aveva sulla fronte. Allungai un braccio nella sua direzione, appoggiando la mano sulla sua spalla. Sentii la forma dell'incavo del suo collo quando lo presi senza forza, facendo aderire il suo volto sul mio petto. Lo avvolsi in un abbraccio, sperando che non mi picchiasse ancora. In risposta udii un singhiozzo, appena accennato, soffocare nella mia maglietta scura, per poi aumentare di intensità. Le sue mani si aggrapparono con forza alle maniche e sentii distintamente lacrime calde iniziare ad inzupparmi il petto. Lo strinsi più forte, mentre lo lasciavo sfogare in un pianto liberatorio.
«Scusami» disse, piangendo «Scusami se ti odio» e pianse ancora.


Matthew si lasciò scivolare pesantemente sul divano, osservando la mia figura in piedi davanti a lui. Come sempre, il salotto di casa Sanders mi lasciava trapelare una tranquillità inaudita. Alzò gli occhi verdi su di me, incrociando le mani.
«Cosa è successo?» domandò, mentre mi lasciavo cadere sulla poltrona accanto al caminetto acceso.
«Nulla, è scoppiato a piangere, dicendo che mi odia e.. chiedendomi scusa» mi limitai a voltare lo sguardo verso la finestra, osservando il cielo terso di fine Novembre.
«Capisco» chiuse gli occhi, mettendosi a riflettere qualche momento, dopodichè si alzò, sistemando i ceppi del fuoco «Credo che sarà meglio non provare questa settimana, magari stasera usciamo tutti insieme a prendere qualcosa da bere al Johnny's e vediamo come procede la situazione.. Credo che stia cominciando a cedere» si risedette, composto.
«Cedere?» domandai, curioso.
«Questa sua facciata è tutta una finta, si vede lontano un miglio che dentro ha una bomba pronta ad esplodere.. ed è quello che sta cominciando ad accadere, quando sarà pronto ti tratterà come tutti noi.. Per il momento non sentirti in colpa, tu gli stai solo facendo del bene»
Feci per dire qualcosa, ma una bambina di cinque anni fece capolino dalla porta del salotto con la sua chioma bionda, guardandoci curiosa.
«Zio Matt» sussurrò, intimorita da me.
Matthew si voltò, sorridendo «Ehi Grace, arrivo tra un momento! Torna pure in camera a giocare, e prepara un bel tè per le tue bambole, sarò felice di prenderlo con loro»
La piccola fece un sorrisone, scomparendo oltre la porta. Io scoppiai in una sonora risata, tenendomi le mani sulla pancia.
«Sarò felice di prenderlo con loro.. ahahah.. oddio Matt sei esilarante»
Matthew si alzò, scoppiando a ridere «Fuori da casa mia Gates, ho da fare con delle signore di là»
E sotto le nostre risate lo salutai, asserendo che ci saremmo visti quella sera.



Il Johnny's era semi deserto quella sera. Probabilmente l'acquazzone che era arrivato quel pomeriggio aveva fatto desistere tutti dall'intento di mettere piede fuori di casa. Tutti tranne noi, che ormai ce ne stavamo beatamente stravaccati su quei divanetti in pelle da più di mezz'ora, sorseggiando le nostre birre scure. Attorno a quel tavolo sembravamo un gruppo di matti, ma noi sapevamo benissimo di essere una personalissima famiglia, ma non una di quelle composte e perfette, piuttosto una di quelle con parecchi problemi, in cui i componenti si sostengono, nonostante le numerose litigate. Zachary appoggiò la birra sul bancone, osservandomi di sbieco. Non riuscivo ad inquadrare il suo comportamento quella sera. Appena voltai lo sguardo nella sua direzione lo vidi girarsi immediatamente, mettendosi a parlare con Johnny.
«Vado fuori a fumare una sigaretta» dissi alzandomi, afferrando il pacchetto di Marlboro che avevo lasciato sul tavolo. Matthew scosse la testa, era contro il fumo.
«Come vuoi Gates, ci vediamo tra poco» e mi fece un cenno con la mano.
La pioggia cadeva copiosa, sbattendo violentemente contro l'asfalto della strada. Il rumore dell'oceano era udibile sin li, nonostante fossimo abbastanza distanti dalla riva. Estrassi una sigaretta, portandomela alla bocca, per poi mettere le mani nelle tasche dei jeans, cercando l'accendino.
«Cazzo» sussurrai, dovevo averlo lasciato sul tavolo.
«Stai cercando questo?» La voce di Zachary, così fredda e tagliente, mi arrivò all'orecchio in pochissimo tempo, facendomi rabbrividire un attimo.
«Si, grazie» mi voltai, prendendo l'accendino dalla sua mano. Lo avevo davvero vicino, sentivo il suo respiro sul mio viso e notai distintamente ogni più piccola sfumatura delle sue iridi chiare. La sua mano si posò sulla mia, cominciando poi a risalire lungo il braccio. Seguì la spalla e il collo, afferrando poi la sigaretta dalle mie labbra. La lasciò scivolare a terra, dentro ad una pozzanghera. Posò una mano sul mio petto, facendomi indietreggiare leggermente. Sentii il freddo del muro di mattoni sulla mia schiena, mentre Zachary mi sussurrava un «E' questo quello che hai fatto ieri sera, no?» e sorrise sul mio orecchio «Non è poi così male»
Avevo il suo corpo completamente incollato al mio, lo sentivo perfettamente mentre con la punta del naso mi sfiorava il collo. Spostò con la mano buona il colletto della mia maglietta, iniziando a lasciare piccoli baci sul lembo di pelle scoperto, facendomi chiudere gli occhi. Salì lentamente, torturandomi, finchè non mi lasciò andare, sfiorando le mie labbra con la punta delle dita, soffiando un leggero e flebile «Muoviti a fumare, Matthew vuole parlare a tutti quanti» e sparì, lasciandomi li fuori con il cuore che martellava così pesantemente da sembrare voler uscire dal petto. Sentivo le guance in fiamme. Merda.


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Ehm, eccomi qui! :)
Spero ne sia uscito qualcosa di buono, ma non ne sono così convinta :D
Come sempre ringrazio tutti quelli che hanno recensito la scorsa volta (grazie mille davvero, mi rendete la persona più felice di questa terra) e tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite!
Al prossimo capitolo :)
OldMilk.

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Capitolo 8
*** Never happened ***


The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
Never happened.



Non riuscivo a capacitarmi di quello che era accaduto, non mi sembrava possibile.
Mi sentivo completamente scombussolato, il cuore batteva talmente  forte che minacciava da uscirmi dal petto ogni volta che ci ripensavo. Non lo avevo capito, e tutt’ora non capivo. Come poteva essere cambiato tutto così rapidamente nel giro di così poco tempo? Che quella notte passata a casa sua, standogli accanto, gli avesse fatto capire quello che effettivamente potevo essere? Ovvero un grande amico?
Mi passai una mano tra i capelli spettinati, mentre osservavo le persone che passeggiavano per la strada da camera mia. Il pigiama che indossavo era una manna dal cielo, stavo così bene che probabilmente non sarei nemmeno uscito di casa se non fossi dovuto andare a chiarirmi con lui su quello che era accaduto due sere precedenti. Bevvi una lunga sorsata dalla tazza di caffè che tenevo stretta tra le mani e sospirai, dovevo decisamente andare da lui quel pomeriggio.  Aprii la porta verniciata di bianco della mia camera e scesi al piano di sotto, mia madre stava cucinando qualcosa per il pranzo e mia sorella era sul divano a guardare la televisione.
«Ehi scricciolo» dissi, sedendomi  accanto a lei, alla televisione davano i cartoni di McDonald’s, osservai leggermente disgustato la TV, per poi voltarmi nuovamente verso la piccola McKenna «Non sarebbe meglio guardare qualcosa di più divertente?» proposi, afferrando il telecomando, quel clown era davvero inquietante, non capivo come potesse piacere a dei bambini.
«Ma io voglio guardare questo» incrociò le braccia al petto, corrugando le sopracciglia esattamente come me, eravamo decisamente fratelli.
«Come vuoi» scossi la testa, lasciandola ai suoi cartoni, mentre mi alzavo e rubavo qualche pretzel dal tavolo della cucina. Mia madre mi diede una forte mestolata sulla mano «Dopo pranzo Elwin, quante volte devo dirtelo?»


Il pomeriggio arrivò rapidamente, tra una suonata di chitarra e qualche telefilm in streaming. Allacciai le converse e uscii di casa inspirando l’odore dell’oceano che avevo davanti a me. Un gruppo di ragazzini mi passò accanto rincorrendo un pallone da basket. Li invidiavo, non avevano ancora nessun tipo di problema. Le scarpe scricchiolavano a contatto della superficie del marciapiede, tenevo le mani nelle tasche dei jeans e le cuffie nelle orecchie. La musica tranquilla e pacata di Bryan Adams mi invadeva le orecchie, lasciandomi vagare con la fantasia. Mi fermai, sedendomi su una panchina nel parco che stavo attraversando, mettendomi le mani tra i capelli. Lo dovevo davvero fare? Ne ero veramente sicuro? Sbuffai, sollevando il viso verso il cielo coperto da qualche nuvola grigia. Sentii fastidio alla nuca, proprio alla base del collo. Scossi la testa, voltandomi, incontrando i suoi occhi verde acqua una ventina di metri dietro di me. Augustine, l'alana grigia, stava giocando con un bastone di legno e lui mi osservava , in maniera piuttosto strana dovevo ammettere.
Volevo alzarmi e andare da lui, ma sentivo le gambe decisamente pesanti, da quando ero diventato così rammollito. Feci un cenno con la mano, lui sbuffò sorridendo, per voltarsi a osservare il suo cane. Mi stava prendendo in giro? Rimasi a guardare la scena per un pò, soffermandomi sulla sua figura magra ed esile. Indossava dei jeans chiari, una felpa nera troppo grande per lui e le converse scure. Sorrideva, lo vedevo da li.
Notai, con la coda dell'occhio, il suo leggero movimento della mano, mentre rilanciava il ramoscello ad Augustine. Passò poco meno di qualche minuto, ma mi alzai e lo raggiunsi. Mi sentivo osservato, nonostante non mi stesse guardando, e anche piuttosto in imbarazzo, non sapevo davvero come intavolare il discorso.
«Zachary» cominciai, ma venni interrotto dalla sua mano. Era davanti alla mia faccia e mi faceva segno di bloccare il discorso.
«Credo che questo tuo dialogo non debba nemmeno cominciare» disse, senza guardarmi. Era nuovamente tornado freddo e distaccato e, davvero, non riuscivo più a capirlo.
«Non ti capisco» mi lasciai scivolare sull'erba, incrociando le gambe e chiudendo gli occhi.
«Cosa non capiresti?»
«Perchè prima mi tratti come se fossi la più grande merda su questa Terra e poi fai... quello che hai fatto» deglutii, sentivo il suo sguardo addosso e questo mi imbarazzava da morire. Augustine si accoccolò sotto un albero davanti a noi, mentre Zachary si sedette di fianco a me.
«Non lo so» iniziò a torturare l'erba, strappandone piccoli fili per poi ridurli in ancora più microscopici pezzettini «Davvero ti odio, ma non riesco a fare a meno di starti vicino, in un certo senso» si schiarì la gola «Dopo l'altra sera, quando mi sei rimasto accanto per tutta la notte, mi sono reso conto che non hai mai fatto nulla di sbagliato, e che la tua vicinanza poteva farmi bene in un certo senso.. ma poi ho visto che ci tenevamo per mano, come mi guardavi e.. ho preso paura di quello che mi stava passando per la testa» sospirò, appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Avevi paura di me?» lo chiesi con talmente tanto stupore da farlo sorridere.
«Non proprio, ma di quello che mi stavi dando. L'altra sera, al bar, ero ubriaco e ho fatto quello che ho fatto, ma ripensandoci ora non me ne pento minimamente. E' quello che sento, non vedo perchè negarlo»
Mi voltai a guardarlo, mi persi in quegli occhi così chiari da sembrare l'infinito. Eravamo davvero vicini, sentivo il suo respiro irregolare sul mio volto e il mio cuore battere troppo velocemente.
«Sai.. non avrei mai pensato di arrivare a questo» mi disse, avvicinandosi ancora un pò al mio volto. Mi portò una mano al viso, accarezzandomi poi i capelli. Si avvicinò ancora e premette le sue labbra sulle mie.
Rimasi immobile, senza sapere cosa fare, quando mi aggrappai ai lembi della sua felpa con un impeto assurdo. Sentivo le sue mani tra i miei capelli, il suo respiro addosso, le sue labbra morbide sulle mie. Schiusi la bocca, lasciandolo entrare, facendo iniziare un gioco di lingue decisamente proibito e poco consono in un parco pubblico come quello. Le sue labbra erano morbide e mi ricordavano il gusto delle pesche appena raccolte. Lo strinsi più forte addosso a me, per poi lasciarlo andare. Ci guardammo, senza parlare.
«Non ci credo» e scoppiò a ridere, nascondendo il volto nella felpa. Ne riemerse dopo poco, con le guance colorate di rosso e i capelli spettinati. Si alzò, ripulendosi i pantaloni dall'erba.
«Augustine, andiamo» disse, incamminandosi verso casa. Si voltò verso di me, che me ne stavo ancora seduto per terra intento a guardarlo «Questa cosa non è mai accaduta» e sorrise.
«Certo, non è mai accaduta» e mi lasciai cadere sull'erba, sorridendo come un bambino di cinque anni.


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Ok, lo ammetto. Questo capitolo fa davvero pena :(
Speravo ne uscisse qualcosa di meglio ma non mi sembra, se vi ho deluso mi spiace davvero, mi rifarò con il prossimo, promesso!! Come sempre ringrazio chi recensisce e chi l'ha aggiunta tra le seguite e le preferite. Un bacio!
OldMilk.

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