The only thing I ask of you is to hold his when I'm not around. di OldMilk (/viewuser.php?uid=189084)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** There's nothing here for me on this barren road. ***
Capitolo 3: *** Miles away from those I love purpose hard to find ***
Capitolo 4: *** Some live repressing their instinctive feelings. ***
Capitolo 5: *** 'Cause I'm lonely and I'm tired. ***
Capitolo 6: *** And I don't want the world to see me. ***
Capitolo 7: *** When everything feels like the movies ***
Capitolo 8: *** Never happened ***
Capitolo 1 *** Prologue. ***
prologo
The only thing I ask of you is to
hold his when I'm not around.
Prologue.
Avere le mani completamente libere da qualsiasi
oggetto contundente in certi casi può risultare
particolarmente utile. Quel giorno me ne stavo beatamente accomodato
sul divano quando il cane di Zackary era arrivato correndo,
cominciando a lavarmi la faccia come se fossi stato il suo giocattolo
preferito. Inutile dire che se avessi potuto levarmelo di torno subito
l'avrei fatto, ma la soffice e leggera bestiolina aveva deciso di
ricoprirmi con le sue dolci zampe, impedendomi qualsiasi movimento.
Avevo la testa dolorante a causa della febbre e tutto quel casino non
mi stava aiutando per nulla, imprecai mentalmente per non far
arrabbiare Zackary di prima mattina, dopodichè cercai di
levarmi di torno il dolce peso dell'alano che avevo addosso. Il grande
cane mi guardava con gli occhioni vogliosi di coccole, cosa che non
avevo assolutamente voglia di concedergli, e se ne stava immobile a
fissarmi, leccandomi la faccia ogni tanto.
«Zack!»
cercai di richiamare l'attenzione del mio amico, prima di finire
soffocato da un animale di prima mattina. Sentii dei rumori provenire
dal piano di sopra, dopodichè vidi quella stragrande faccia
da cazzo che si avvicinava alla porta del salotto. Ovviamente non
pensavo realmente quelle cose di Zackary Baker, ma essere lasciati a
dormire sul divano con 38 di febbre senza una coperta era davvero da
ingrati. Cercai di fargli notare l'enorme problema che mi ritrovavo
addosso, ma qualcosa mi diceva che non aveva minimamente afferrato il
concetto.
«Cristo
Baker! Il tuo cane mi stà letteralmente
ammazzando!» mi ritrovai ad esclamare. Il ragazzo moro scosse
la testa, cercando di svegliarsi e, dopo aver messo a fuoco la
situazione, disse al suo amorevole compagno di avventure di lasciarmi
stare. Il cagnolone scese, tornando a dormire nella sua cuccia accanto
al camino spento. Stavo congelando e le dita dei piedi mi facevano male.
«Grazie per
avermi svegliato ieri sera..» biascicai, mettendomi a sedere,
massaggiandomi il collo.
«Non sapevo
se volevi tornare a casa, visto che stavi male» Zack
sbadigliò sonoramente, prima di sporgersi leggermente sulla
porta per guardare l'ora sull'orologio appeso sopra ad essa
«Cazzo Brian!» esclamò, sbuffando
«Sono le otto!»
«Cosa vuoi
che ti dica? Se ieri sera mi avessi svegliato a quest'ora non avrei
dovuto chiamarti per riuscire a levarmi di torno il tuo cane»
tenatai di alzarmi in piedi, ma barcollai e mi risedetti sul grande
divano.
«E' solo un
cane Brian!» il ragazzo moro mosse qualche passo, dirigendosi
probabilmente verso la cucina. Poco dopo riuscii a sentire
distintamente dei rumori di stoviglie e ante che si chiudevano.
«Potrei
avere la decenza di sapere che stai facendo?»
Uno sbuffo mi fece
intuire l'umore di Zack quella mattina, irascibile come da un
pò di tempo a quella parte «Senti Haner! Questa
è casa mia e faccio tutto quello che mi pare!»
Sorrisi, non poteva
essere ancora così ingenuo come a sedici anni. In
realtà quella non era casa sua, sua madre era andata in
vacanza per un paio di settimane e approfittavamo della casa libera per
ritrovarci con gli amici a fare baldoria. La sera precedente,
però, non mi ero sentito particolarmente bene e, dopo avermi
fatto provare la temperatura corporea, Zacky aveva deciso che era
meglio lasciarmi dormire al freddo e al gelo, piuttosto che invitarmi
ad andare nella stanza degli ospiti. Le ossa mi dolevano e la testa
minacciava di esplodere da un momento all'altro. Dovevo ammettere che
io e quello strano ragazzo non eravamo proprio amici da quando gli
avevo soffiato il posto da chitarrista solista all'interno del gruppo,
ma pensavo che ormai, dopo tutto quel tempo, le acque si fossero un
pochino calmate. Mi ritrovavo spesso in conflitto durante le prove,
infatti mi era parso strano che mi avesse tenuto li a dormire, ma non
volli farci caso in modo particolare. Rientrò nel piccolo
salotto dopo qualche minuto tenendo in mano una tazza di
caffè. Ripeto, UNA tazza di caffè.
«Apprezzo il
pensiero» mi ritrovai a dire «Ma non preoccuparti
troppo del fatto che hai un ospite in casa» diedi una scorsa
veloce al pavimento, cercando di trovare l'ubicazione delle mie
converse consumate e, sotto lo sguardo di un Baker particolarmente
stronzo, arraffai la prima da sotto il tavolino stracolmo di bottiglie
di birra vuote e macchie dalla dubbia provenienza.
«Se qualcuno
non fosse così presuntuoso probabilmente potrei permettermi
di consumare energia elettrica anche per lui»
cominciò l'altro, mentre prendevo la seconda scarpa e la
infilavo «Ma dato che non mi stai simpatico e mi tocca avere
a che fare con te per forza direi che.. no, non ti devo portare nessun
caffè» andò vicino al caminetto, e dopo
aver dato una carezza al cane, si mise a mettere ceppi all'interno del
camino. Non mi andava a genio e io non andavo a genio a lui, meglio di
così non poteva andare. Fottiti Baker. Mi alzai, andando a
sbattere con il ginocchio contro il tavolino di vetro.
«Cazzo che
male!» presi la felpa e mi diressi verso l'uscita.
«Haner non
ti hanno mai detto che si ringrazia prima di uscire di casa?»
Zackary mi stava fissando con quel suo sorrisetto strafottente, come al
solito.
«Non credo
di doverti ringraziare per qualcosa» risposi, mentre aprivo
la porta e mi portavo una sigaretta alla bocca.
«Si saluta
Brian! Almeno questo potresti farlo per educazione!» sorrise
nuovamente, facendomi ribollire il sangue dentro.
«Fottiti
Baker!» risposi, mentre gli porgevo il medio, lasciando che
la porta si chiudesse alle mie spalle.
Non aveva mai nevicato
ad Huntigton Beach, ma quella mattina grigia di fine Novembre non
lasciava presagire nulla di buono. Minacciava acqua e il freddo mi
entrava nelle ossa come tanti piccoli aghi.
Alzai
gli occhi verso le nuvole grigie e pensai a quanto cazzo fosse stronzo
quello stramaledetto ragazzino.
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Sono nuova del sito e mi
cimento nella mia prima fanfiction sugli Avenged Sevenfold :)
Questa storia è una Synacky, e spero possa piacervi! Mi
farebbe davvero piacere avere delle
vostre opinioni, anche le critiche sono ben accette :)
Fatemi sapere!
Un abbraccio :)
OldMilk.
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Capitolo 2 *** There's nothing here for me on this barren road. ***
The
only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
There's nothing here for me on this barren road.
Attraversai
la strada mordendomi il labbro, mentre tenevo la
testa bassa per coprirmi dal freddo vento autunnale. Quando diavolo
sarebbe
cambiato qualcosa? Sbuffai. La strada era deserta e gli alberelli
spogli
rendevano tutto eccessivamente gelido, non mi ero mai sentito
così solo come in
quel momento. Presi una boccata di fumo dalla sigaretta e sentii le
prime gocce
di pioggia bagnarmi il viso, scendere poi lungo il mio collo e
infilarsi sotto
alla mia maglia, come a cercare riparo da loro stesse. Il vento che
tirava era
davvero molto forte quel giorno e la febbre mi aveva provocato
quell’insopportabile mal di testa che proprio non se ne
voleva andare, pulsava
sulle tempie e mi faceva chiudere gli occhi per cercare sollievo.
Mentre
svoltavo l’angolo tra la sesta e la settima strada sentii la
pioggia aumentare
e il freddo penetrarmi sin dentro alle ossa, non sarei mai riuscito ad
arrivare
a casa in tempo per salvarmi da una polmonite. Misi a fuoco il luogo in
cui mi
trovavo e pensai che, probabilmente, sarebbe stato meglio andare a casa
di
Matt, a qualche isolato da li. Gli occhi mi lacrimavano per il freddo e
il naso
non lo sentivo nemmeno, avrei dovuto portarmi via una giacca la sera
prima ma,
come mio solito, non avevo dato molto peso al meteo della televisione..
eravamo
in California cazzo. Affondai il piede sinistro dentro la prima
pozzanghera e
imprecai sottovoce contro il buco che avevo nella scarpa da ormai
troppo tempo,
dopodiché salii i pochi gradini che mi separavano dalla casa
del mio amico e mi
attaccai al campanello. Nessuna risposta. Suonai nuovamente ma non
rispose
nessuno ancora una volta. Ma che giornata di merda era appena iniziata?
Mi
voltai per andarmene quando sentii un cigolio dietro di me,
spontaneamente mi
voltai e trovai Matthew Charles Sanders in boxer che si strofinava gli
occhi
con la mano, mentre con l’altra teneva ancora ben salda la
maniglia della
porta. Dopo aver inquadrato per bene la situazione si portò
in avanti,
perplesso.
«Brian!»
mi disse «Cosa diavolo fai
qui alle otto e mezzo del mattino?»
Ok, dovevo solo spiegare che io e Zackary non ci sopportavamo, che ci
eravamo
urlati dietro ancora una volta e che avrei preferito davvero cacciarlo
dal
gruppo il prima possibile ma mi limitai ad emettere un flebile
«Uhm» prima di
accasciarmi a terra in preda al mal di testa.
«Cazzo ma sei bollente!» esclamò il
più grosso dopo avermi messo una mano sulla
fronte «Vieni dentro razza di scellerato» mise un
mio braccio sopra la sua
spalla e mi portò in casa. Il salotto di casa Sanders non
era mai stato tanto
accogliente come quel giorno. Era tutto dannatamente pulito e in
ordine, le
tende bianche erano rette da dei pratici bastoncini in legno chiaro e
il divano
in pelle beige era posto proprio davanti alla televisione e ad un
tappeto
estremamente soffice. Alle pareti color crema erano appese un sacco di
foto di
famiglia e un paio di quadri dall’aria vagamente noiosa che,
probabilmente,
aveva comprato sua madre a qualche mercatino di beneficenza. Mi tolsi
le scarpe
e nascosi i piedi sotto il sedere, cercando un po’ di
conforto.
«Tieni» mi disse Matt, porgendomi una coperta a
trama scozzese «E poi è il caso
che ti cambi» nell’altra mano teneva un paio di
pantaloni di una tuta neri, una
maglietta di un gruppo e una felpa bordeaux con una strana scritta
bianca. In
cima alla pila di vestiti svettavano un paio di calze di lana bianche.
«Ti amo»
gli dissi ironicamente, mentre prendevo il tutto e iniziavo a levarmi i
vestiti
per cambiarmi.
«Scusami per l’ora» gli dissi, mentre mi
toglievo i pantaloni e mettevo quelli
della tuta «Ma sono stato cacciato in malo modo»
spiegai, infilandomi poi i
calzini e la felpa.
«Non preoccuparti» Matt mi sorrise, mostrandomi la
fila di denti bianchi e
delle fossette estremamente dolci. Si portò al caminetto che
vi era dietro il
divano ed iniziò ad armeggiare con tutto quello che
occorreva per accenderlo.
«Senti Matt..» cominciai, girando la testa verso di
lui e infagottandomi meglio
dentro la coperta calda.
«Dimmi tutto» disse il più grosso,
soffiando sulla fiammella che si era creata.
«Avresti un phon?»
In effetti la mia non era stata una domanda particolarmente stupida,
avevo i
capelli che grondavano acqua, lasciando tante piccole gocce sul morbido
divano
dei Sanders e, nonostante mi fossi cambiato, sentivo ancora freddo a
causa di
tutta l’umidità che i miei dolci capelli si
portavano appresso. Avevo dovuto
aspettare solamente un paio di minuti prima che Matt ricomparisse con
quello
che mi serviva. Inserì la presa e accese quello che mi
avrebbe permesso, forse,
di smettere di battere i denti. Matthew Charles Sanders sarebbe stato
un buon
padre, almeno così lo vedevo io. Si era portato dietro di me
e con le mani mi
spostava le ciocche di capelli, asciugandomele.
«Sei davvero gentile» mi ritrovai a dire, mentre mi
accarezzava la testa con le
mani per permettere all’aria calda del phon di agire meglio.
Immaginai stesse
sorridendo quando mi disse «Grazie», mi fece
reclinare la testa di lato e si
mise a lavorare con i capelli alla mia destra «Ma per un
amico farei questo ed
altro» mi strinsi più forte dentro alle coperte e
chiusi gli occhi, godendomi
quel momento così rilassante.
Dopo aver terminato l’operazione ed essermi goduto
leggermente il tepore che
l’aria calda del phon mi aveva dato, Matt era ricomparso
dalla cucina con una
tazza fumante di thè caldo perché «Il
caffè ti farebbe alzare sicuramente la
temperatura» e si era seduto con me sul divano facendo
colazione. La
televisione era accesa su un canale musicale ma non era seguita,
perché il
volume era talmente basso che si riuscivano ad udire solo le note alte
durante
gli assoli. Avevo sorseggiato la bevanda calda con estrema lentezza e
il
silenzio che si era andato a creare tra di noi era abbastanza
imbarazzante.
«Dimmi una cosa» cominciò
l’altro, poggiando la tazza di caffè vuota sul
tavolino «Chi è che ti ha cacciato in malo
modo?» chiese, puntando i suoi occhi
verdi nei miei.
«Lascia stare» risposi, bevendo un altro sorso
«Si tratta sempre del solito
discorso» terminai di bere, appoggiando a mia volta la tazza
sul tavolino
chiaro.
«Sapevo ti fossi fermato da Zack ieri sera, ma non credevo
che ti avrebbe
cacciato così brutalmente» mi espose il suo
pensiero con un’innaturale
tranquillità.
«Non mi ha propriamente cacciato» cominciai a
spiegare «Mi ha lasciato dormire
sul divano con la febbre senza nemmeno una coperta, il suo cane mi ha
svegliato
alle otto della mattina e lui si è fatto la colazione senza
nemmeno prendermi
in considerazione» sbuffai, portandomi una mano sulla testa
«Mentre ci stavamo
urlando dietro mi sono messo le scarpe e l’ho salutato con un
bel medio.. prima
che si chiudesse la porta».
Matt mi guardava con la sua tipica espressione da “ti
stò ascoltando” e questo
mi faceva solo che piacere, era un ottimo amico su cui potevo fare
affidamento
ogni volta che avevo un problema.
«Finchè non vi parlate come due persone civili non
risolverete un bel niente»
mi disse, annuendo a se stesso.
«Con Zackary è impossibile parlare Matt, almeno
per me» mi ritrovai a
rispondere, avvolgendomi meglio la coperta attorno.
«Lo so che per te non è facile, ma prova a
metterti nei suoi panni» si mise a
rovistare in un cassetto li vicino, completamente allungato sul divano
«E’
stato declassato da chitarrista solista a ritmico dal detto al fatto,
non deve
essere facile per lui sopportare una cosa del genere» mi
passò un termometro
per farmi provare la febbre, lo accettai volentieri e lo posizionai
alla meglio
sotto alla maglietta.
Lo potevo immaginare, anche io mi sarei arrabbiato se qualche
sconosciuto mi
avesse soffiato il posto da solista, ma dopo due mesi probabilmente mi
sarei
messo via la cosa. Invece lui insisteva a mantenere la sua posizione,
freddo
come il ghiaccio continuava a guardarmi dall’alto in basso
come se fossi stato
uno scarafaggio e a illuminarmi con i suoi assoli ogni volta che
entravo in
sala prove. Per me la situazione stava prendendo una piega da non
ritorno.
«Capisco Matt» cominciai «Ma per me la
situazione sta diventando pesante»
«L’unica cosa da fare caro mio» e mi
battè una mano sulla schiena, facendomi
tossire «E’ quella di portare pazienza, vedrai che
le acque si calmeranno
presto»
Lo speravo davvero tanto, ma non mi sarei mai aspettato qualcosa di
rapido e
veloce. Estrassi il termometro e lo controllai.
«Cazzo» mormorai «Ho 38.8»
sorrisi.
Matt mi aveva curato finchè non aveva smesso di piovere,
dopodiché mi aveva
caricato in macchina e mi aveva portato a casa intorno alle 12.00.
Avevo aperto
la porta principale e avevo salutato mia madre, intenta a preparare una
torta
per mio padre e mia sorella. Nell’aria sentivo un buonissimo
odore di mirtilli
e quello che sperai era che si trattasse di una crostata. Salii al
piano di
sopra e mi buttai sotto il piumone, iniziando a guardare il cielo fuori
dalla
finestra che si trovava proprio accanto al mio letto. Ripensai a quella
mattina
e a quel maledettissimo ragazzo che non voleva avere nulla a che fare
con me, e
pensai che quella sera avrei avuto delle stramaledettissime prove a cui
non
volevo andare a causa della febbre e del componente indesiderato. Stava
andando
tutto troppo una merda.
Mi sedetti, appoggiando la schiena al morbido cuscino e osservai i
grossi
goccioloni che si stavano addossando sul vetro un po’ sporco,
si era messo a
piovere di nuovo. Merda.
«Brian» mia sorella aprì appena la porta
e sbirciò dentro, era piccolina, si
trovava all’ultimo anno di scuola elementare e aveva diversi
problemi con la
matematica.
«Ehi» mi voltai a guardarla mentre lei, con il suo
vestitino viola, entrava in
camera mia.
«La mamma mi ha detto di portarti questa» e mi
allungò una fetta di crostata ai
mirtilli appoggiata sopra ad un tovagliolino bianco.
«Grazie» le dissi, mentre prendevo la torta e ne
addentavo un pezzo,
assaporando il gusto dolce del mirtillo appena sfornato.
Si voltò e andò verso la porta, portando con se
l’innocenza che può avere un
bambino e, prima di chiudere la porta mi guardò con i suoi
occhioni e mi disse
una frase che mi rese felice di avere una sorellina come lei
«Sei il fratellone
migliore del mondo» e scomparì dietro alla porta,
lasciandomi solo con la mia
torta, i miei pensieri e il rumore della pioggia che si infrangeva sul
vetro
della finestra di camera mia.
Poco più tardi, dopo aver pranzato e aver ingurgitato una
medicina orripilante
per farmi abbassare la febbre, mi misi a ripassare gli assoli che
quella sera
avrei dovuto provare in sala prove. Non avevo nessuna voglia di fare
figure
davanti a Zackary Baker. La mia Schechter necessitava di una piccola
ripulita e
quindi occupai altro tempo a lucidarla per bene. Notai con orrore che
dovevo
cambiare le corde, prima che si rompessero con una sola plettrata.
Sarei andato
sicuramente il giorno successivo al grande negozio di articoli musicali
che vi
era nei presso della spiaggia, a
qualche
isolato da casa di James. Il telefono vibrò sul mio
comodino, facendomi
sobbalzare. Il messaggio era di Matt che, come al solito, ricordava a
tutti che
le prove si sarebbero svolte quella sera dalle otto alle dieci. Gettai
il
telefono sul letto e tornai ad occuparmi della mia chitarra,
armeggiando con lo
straccetto per pulirla al meglio.
Ero arrivato leggermente in ritardo ma, una volta aperta la porta della
sala
prove, mi ero reso conto che mancavano ancora all’appello
James e Matt. Come al
solito nel momento stesso in cui la porta si chiuse dietro di me,
Zackary iniziò
ad improvvisare assoli su assoli, cosa che tentai di evitare di
ascoltare.
Quello che quel ragazzo non aveva ancora capito era che apprezzavo come
suonava, mi piaceva quello che scriveva e la passione che ci metteva in
quello
che gli piaceva fare. Alzai gli occhi al cielo, mentre prendevo la
Schechter,
posizionandomela a tracolla.
«Ancora non ti sei deciso a non venire?» mi
domandò Zackary, alzando
leggermente un sopracciglio.
«Non vedo perché dovrei saltare le
prove» dissi, mentre collegavo il jack
all’accordatore
e iniziavo a testare le tenuta delle corde ormai vecchie.
«Perché un chitarrista solista in questo gruppo
c’è già» sorrise
strafottente,
facendo partire un armonico.
«Eddai Zack» si intromise Johnny «Lascialo
stare»
Johnny Christ. Non avevo ancora capito da che parte stesse dato che non
proferiva mai parola riguardo a questa situazione, se non ogni tanto,
come
oggi. Teneva il basso imbracciato in qualche maniera e aveva la sua
solita
cresta.
«Non ti intromettere Johnny» il ragazzo moro si
tolse la chitarra,
appoggiandola all’amplificatore e si diresse verso di me.
«Cosa vuoi ancora, Baker?» domandai, tentando di
mantenere un tono di voce
tranquillo, quando in realtà i nervi del mio braccio erano
pronti a scattare
già da un po’.
«Tu devi levarti dalle palle» mi disse, iniziando a
girarmi intorno come un
leone fa con la sua preda «Devi tornartene a casa tua e non
rompermi più i
coglioni» si fermò davanti a me, sogghignando.
«Altrimenti?» chiesi, alzandomi in piedi e
appoggiando la chitarra al muro.
«Altrimenti cosa Haner?» mi domandò,
incrociando le braccia davanti al petto.
«Sei solo un idiota» sbuffai, stringendo i pugni.
«Sei solo incapace» mi guardò, sfrontato
«E non sai suonare.. Sei solo uno
stronzetto qualsiasi che pensa di potermi fottere il posto da
solista»
In quel momento il nervo del mio braccio scattò, non potevo
controllarlo
ancora. Centrai in pieno lo zigomo di Zackary che rispose con una
ginocchiata
nel mio stomaco. Provai un dolore lancinante alla pancia, quando me ne
assestò
una seconda. Alzai gli occhi verso di lui e gli rifilai un altro pugno
in
faccia. Stronzo che non era altro.
Johnny tentò di dividerci, cosa che non riuscì a
fare data la sua corporatura e
quindi prese in mano il cellulare e uscì dalla sala,
probabilmente a chiamare
Matt e James. Io e Zack ci stavamo davvero pestando pesantemente,
eravamo
caduti a terra, in un groviglio di gambe e braccia. Le chitarre ormai
cadute
non avevano emesso un bel rumore, ma nessuno dei due volle controllare
in che
condizioni fossero. Era completamente a cavalcioni su di me, il braccio
alzato
pronto a colpirmi il viso di nuovo, quando vidi una mano avvolgersi
attorno all’esile
braccio del ragazzo moro.
«Zack basta!» la voce di Matt irruppe prepotente
nelle mie orecchie, mentre
sentivo James aiutarmi a sollevarmi da terra.
«Sei solo uno stronzo!» urlò
l’altro, sputandomi a pochi centimetri dalle
scarpe.
Tentai di divincolarmi dal mio migliore amico per assestare un altro
colpo al
più piccolo ma non riuscii a muovere un passo.
Avevo il labbro spaccato e le costole doloranti. Il moretto si teneva
un occhio
con la mano e aveva il sangue che usciva a fiotti dal suo naso.
«Non ha senso provare in queste condizioni» disse
Matt a James e Johnny, prima
di uscire trascinandosi dietro Zack. Mi lasciai scivolare a terra, tra
il
dolore e il mal di testa che ancora avevo a causa di quella maledetta
influenza.
«Brian» Jimmy si abbassò su di me,
prendendomi il mento con la mano, facendomi
sollevare il viso «Andiamo da me»
Annuii, prima di sentire James che mi aiutava ad uscire dalla sala.
L’ultima
cosa che vidi furono le corde saltate e il manico rotto della mia
chitarra.
------------------------------------------
Ed anche
questo capitolo è stato portato a termine. :)
Questo Zacky
così bastardo mi piace e Brian riuscirà a
sopportare ancora a
lungo?
Commenti e critiche
sono sempre ben accetti.
Grazie mille a tutti
quelli che hanno commentato o che hanno aggiunto la fic
tra le
seguite o le preferite.
Un abbraccio.
OldMilk.
|
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Capitolo 3 *** Miles away from those I love purpose hard to find ***
The
only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
Miles away from those I love purpose hard to find.
Matt
si chiuse la
porta alle spalle, spingendo Zackary sul
divano. Era incazzato e si poteva leggerglielo perfettamente in faccia.
Gli
occhi chiusi cercavano un po’ di conforto in pensieri
positivi che non riusciva
a trovare, quella stramaledettissima casa ultimamente era sede di
troppe uscite
fuori luogo e adesso sarebbe toccata alla sfuriata di turno. Si
portò le mani
dietro alla testa per evitare di rompere ulteriormente la faccia al suo
chitarrista e prese un profondo respiro. Si cominciava.
«Immagino
tu sappia già di essere
una enorme testa di cazzo» si protese in avanti,
portando le braccia ai
lati della testa di Zackary Baker, quest’ultimo lo guardava
con aria arrabbiata
e poco socievole, una mano teneva ancora ben saldo l’occhio
sinistro e con l’altra
tentava di pulirsi alla meglio il sangue dal naso.
«Non provare a farmi la paternale Sanders»
gli diede uno spintone e si
alzò dal luogo in cui era seduto, per dirigersi verso il
bagno che si trovava
appena accanto alle scale in legno scuro. Aprì la porta
bianca, incamminandosi
sulle mattonelle azzurre.
«Non dovrei farti la paternale?» Matt cercava di
mantenere il controllo,
sapeva che molto spesso tendeva a perderlo e sapeva anche che Zack
marciava
molto su questo suo problema. Prese un altro respiro e lo raggiunse
alla porta
del bagno, lo vide piegato sul lavandino intento a sciacquarsi la
faccia. Si
appoggiò allo stipite della porta e attese che il ragazzo
moro proferisse
parola, Zack si asciugò il viso per voltarsi poi verso il
ragazzo più grosso,
mostrando il suo occhio sinistro circondato da un leggero contorno
arrossato,
appena accennato.
«Questa merda» e Zack si avvicinò
spaventosamente a Matt, indicandosi
proprio l’occhio colpito «Non se ne
andrà almeno per una settimana! E domattina
sarà viola! Lo sai vero!?» gli sbraitò
contro, sputandogli in faccia
verità che Matthew sapeva già. Quel ragazzo non
aveva avuto una vita facile e l’intoppo
di aver trovato un chitarrista migliore di lui aveva peggiorato un
po’ le cose,
ma era più che sicuro che le cose si sarebbero sistemate,
dovevano solo avere
pazienza. Solo che di pazienza, in quel momento, non c’era
nemmeno traccia.
«Si che lo so Zack!» Matt si
scostò di lato per farlo passare e lo seguì
nuovamente in salotto. Il ragazzo
più piccolo si sedette ancora una volta sul suo divano,
accarezzando il cane
grigio che si era subito andato ad accomodare accanto a lui. Matt
constatò che
avevano la stessa espressione, un misto tra fragilità da
coprire con la
violenza e tristezza pura. Si dispiacque a vedere il suo amico in
quello stato,
ma del resto lui non poteva farci assolutamente nulla.
«Dovresti dare una possibilità a Brian»
disse, sedendosi sulla poltrona
accanto alla finestra «Non è un cattivo
ragazzo»
«Suppongo di esserlo io, allora» rispose
l’altro, continuando ad
accarezzare la testa del suo amico fidato.
«Non ho detto questo Zack!» Matthew si
portò una mano alla testa,
spostando lo sguardo fuori dalla finestra.
«Dite sempre così» Zack si
alzò dal divano di scatto, facendo capitolare
il suo cane a terra «Non ve ne importa un cazzo di come mi
sento io! O di come
abbia voglia di scrivere delle cazzo di canzoni! Non ve ne frega
niente!»
il cane iniziò ad abbaiare e Matt si trovò
costretto ad alzarsi per
fronteggiare il ragazzo.
«Stai solo dicendo delle stronzate!»
«Non è vero, e lo sai bene!»
sbraitò, portando le braccia avanti «Quante
volte vi ho sentiti parlare del “povero Zacky dal passato
orribile”!» i
suoi occhi color acquamarina incrociarono quelli verdi del suo
cantante, che
rimase zitto per qualche secondo. Proferì parola solo dopo
essersi calmato
ancora una volta.
«Non sparliamo di te alle tue spalle, idiota!»
rispose, prendendolo per
le spalle «E comunque Brian non sa nulla!» gli
diede uno spintone,
facendolo sedere nuovamente sul divano «E tu con lui ti stai
comportando come
uno stronzo!»
Un lampo squarciò il cielo plumbeo, illuminando il viso di
entrambi. Nulla
poteva cambiare il suo passato, Matt lo sapeva bene, ma Zackary avrebbe
dovuto
cambiare atteggiamenti, o si sarebbe cacciato nei guai. Sapeva che
tutti i suoi
comportamenti erano dovuti ad un passato violento e poco accogliente,
ma questo
non dava il permesso di attaccare briga con Brian, che non centrava
nulla con
tutto questo.
«Vattene» lo udì appena.
«Vuoi che me ne vada?» Matt si avviò
verso la porta «Va bene Baker, me
ne vado» aggiunse, dato che non sentì nessuna
risposta provenire dall’amico
«Ma tu ti stai comportando davvero da merda» e
uscì di casa sbattendo la
porta. Il ragazzo moro rimase al buio, con il temporale che
imperversava sulla
cittadina e la pioggia che batteva contro i vetri. Si portò
una mano alla
faccia, cercando di coprire dei segni incancellabili.
«Augustine» disse, protendendo il braccio verso il
pavimento. Il suo
cane, una bellissima femmina di alano grigia, si avvicinò a
lui e gli lecco dolcemente
il palmo semi aperto «Meno male che ci sei tu».
Se
avessi visto le condizioni
della mia chitarra quando avevo ancora Baker sotto tiro probabilmente
avrei
trovato la forza di scostarmi da James e ammazzarlo di botte ancora una
volta,
ma destino volle che l’avessi vista tardi. La mia bellissima
e più preziosa
compagna di avventure se ne stava sulla scrivania della camera di James
Owen
Sullivan, completamente spaccata a metà.
«Quello è solo uno stronzo»
mi ritrovai a dire, mentre appoggiavo
tristemente il manico sulla scrivania «Era la mia chitarra
migliore»
«Mi dispiace» mi rispose l’altro,
allungandomi l’ennesimo pacco di
ghiaccio, che andai a posizionare sul labbro ancora gonfio.
«Come mai mi odia così tanto?» gli
domandai, sedendomi sul letto accanto
a lui.
«Zack non ti odia» mi rispose Jimmy, guardandomi
attraverso le lenti dei
suoi occhiali da vista «Ha solo un modo molto particolare di
approcciarsi con
le persone»
«Un modo part..» mi misi a ridere, smettendo subito
dopo per i dolori
alle costole «Quello li non mi sopporta, non mi
può vedere!»
«Deve solo abituarsi al fatto che non farà assoli,
poi il suo strumento lo
suona quando vuole» si alzò, avviandosi alla
finestra per guardare fuori
«Cazzo quanto piove» aggiunse.
«E io ho pure la febbre» gli dissi, portandomi una
mano sulla fronte «Non
è che hai qualche medicina per farmela abbassare
vero?» chiesi,
speranzoso.
«Non lo so» il ragazzo più alto si
portò una mano al mento «Vado a
chiedere» mi diede una pacca sulla spalla e scomparve oltre
la porta di
camera sua. Mi guardai attorno. La stanza di James era di un arancione
acceso,
aveva un sacco di poster di gruppi appesi alle pareti e, sotto ai miei
piedi, c’erano
diverse riviste erotiche. Sorrisi, pensando a quanto non fosse cambiato
in
questi sette anni che ci conoscevamo. Sulla scrivania, accanto alla mia
chitarra, c’erano un plico di spartiti enorme e un sacco di
matite consumate,
alla mia destra, accanto alla finestra, mi guardava con gli occhi
semiaperti il
suo grosso gatto rosso.
«Charlieee» iniziai, tentando di attirare la sua
attenzione «Vieni qui,
micio micio»
«Posso sapere cosa diavolo stai facendo, Gates?»
quando mi girai vidi
Jimmy, sulla porta, con un bicchiere di acqua in mano, al cui interno
stava
effervescendo qualche orripilante medicina. Si avvicinò a
me, porgendomi il
bicchiere «Tieni» mi disse «Ma non
domandarmi cosa sia, so solo che fa
schifo»
«Ottimo» risposi, prima di bere quella schifezza in
un sorso solo.
«Rimani qua questa sera?» mi chiese Jimmy,
guardandomi «Oppure ti devo
riportare a casa?»
«Non lo so Jimbo» mi portai una mano dietro al
collo «Dovrei andare a
casa perché sono stato fuori anche stasera ma, onestamente,
non ho voglia di
uscire al freddo ancora»
«Capito capo, chiamo tua madre e le dico che stai
male» si allungò sul
letto e afferrò il telefono di casa, componendo il mio
numero. Lo sentii
parlare con mia madre e, dopo che riattaccò, si
voltò verso di me mostrandomi i
pollici.
«Perfetto, adesso giochiamo ai videogames» sorrisi,
guardando quel
gigante saltare giù dal letto ed avviarsi verso il piccolo
televisore che aveva
in camera.
«D’accordo Jim, d’accordo».
Il
giorno successivo, quando ci
alzammo per andare a scuola, notai uno strano atteggiamento da parte di
James.
Continuava a guardarsi attorno leggermente preoccupato e non aveva
nessuna
voglia di mettere piede fuori di casa. Mi voltai verso di lui, dopo
aver aperto
la porta principale.
«Cosa ti prende?» gli chiesi,
esasperato.
«Nulla» rispose, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Non prendermi per il culo, ti conosco troppo bene»
«Niente, davvero» e uscì di casa prima
di me, portandosi dietro l’odore
della sigaretta che si era appena acceso.
«Jimbo..» tentai di nuovo.
«Sono solo teso per quel cazzo di test di
matematica» sbuffò, prendendo
poi una boccata di fumo «E mi sono scordato di dirti che alla
mattina io, Zack
e Matt andiamo a scuola insieme» me lo disse tardi, quando
ormai avevo
notato all’angolo della strada la grossa figura di Matt e il
ragazzo più esile
accanto a lui, se ne stava ricurvo su se stesso, la sigaretta in bocca
e lo
sguardo vitreo. Notai anche che la sua pelle era pallida come non mai.
«Potevi dirmelo un po’ prima» gli dissi,
acido, mentre raggiungevamo gli
altri all’angolo della strada.
«Ma qual buon vento» mi disse il moretto,
squadrandomi dall’alto in
basso «Haner..»
«Ciao Matt» allungai un amichevole pacca sulla
spalla di Matt, senza
calcolare minimamente Zackary Baker.
«Si saluta Haner, te l’ho detto anche
ieri» si portò tra me e il ragazzo
più grosso, perforandomi la testa con il suo sguardo
ghiacciato, notai subito
il livido viola che gli avevo lasciato all’occhio sinistro
«Cazzo»
dissi, ironico «Deve fare male» e sorrisi,
portandomi avanti, accanto a
James.
«Stronzo» disse l’altro, affiancandosi a
Matt, che gli diede un leggero
buffetto sulla testa.
«Mi hai spaccato la chitarra, te lo sei meritato, razza di
imbecille»
Ok, come inizio di giornata non era sicuramente idilliaco, ad un certo
punto io
e James dovettimo addirittura cambiare strada. Era inutile che il mio
migliore
amico insistesse nel dire che non ci odiavamo, era ovviamente chiaro
che
Zackary Baker non poteva vedermi.
L’aula quella mattina era piena come al solito di ogni tipo
di persona, si
passava dal gruppetto di ochette a quello dei patiti dello studio, a me
e James
che non volevamo saperne di aprire i libri e a Zack che se ne stava da
solo a
guardare fuori dalla finestra la pioggia che era tornata a cadere
copiose sui
vetri della scuola.
«Me ne vado in bagno Jimbo» dissi, alzandomi dal
banco e uscendo dall’aula.
Il corridoio era deserto, si poteva sentire solo il rumore della
pioggia
schiantarsi sui muri e sulle finestre chiuse. Il linoleum chiaro
attutiva il
rumore delle mie scarpe e la luce al neon faceva sembrare tutto
surreale. Aprii
la porta del bagno e mi sciacquai la faccia con dell’acqua
ghiacciata. Quando
mi specchiai sentii la porta del bagno aprirsi, e vidi Zack prendere
posizione
accanto a me davanti allo specchio.
«Non dovresti essere in classe?» mi chiese,
sogghignando.
«Non sono cose che ti riguardano» risposi,
asciugandomi le mani con un
pezzo di carta, per poi buttarlo nel cestino accanto
all’entrata.
«Io mi interesso a tutto quello che mi pare» si
avvicinò a me in modo strano,
non emetteva nessun rumore, se non per il respiro che andava a tradire
la sua
presenza. Vidi i suoi occhi chiari piantarsi nei miei e un senso di
gelo prese
possesso del mio corpo, facendomi percorrere un brivido per tutta la
schiena.
Incuteva timore, più del giorno prima.
«Non provare mai più a farmi una cosa del genere,
Haner» mi disse,
indicandosi l’occhio, poi portò il braccio accanto
al mio volto, appoggiando la
mano contro la parete fredda del bagno. Non risposi, non volevo
rispondere.
Volevo solo che si levasse di torno in fretta.
«Levati» gli dissi, guardandolo dritto negli occhi,
accettando la sfida
silenziosa che mi stava lanciando.
«Altrimenti?» mi chiese, sentivo il suo fiato
freddo sul mio orecchio
destro.
«Altrimenti mi toccherà levarti di
torno» e lo spintonai via, aprendo la
porta del bagno «Scendi da quel piedistallo Baker»
dissi, prima di
chiudermi la porta alle spalle. Quest’ultima si
aprì poco dopo, mostrandomi uno
Zack abbastanza alterato.
«Ho voglia di giocare, Haner» mi urlò
nel corridoio, strafottente.
«Bene» risposi «Perché ho
voglia di giocare anche io»
-----------------------------
Capitolo
secondo terminato! Sono davvero felice
che questa storia vi piaccia :):)
Un commento o una critica sono sempre graditi :) e approfitto anche per
ringraziare
anche quelli che la aggiungono alle seguite e alle preferite!
Grazie mille a tutti quanti :)
Un abbraccio.
OldMilk.
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Capitolo 4 *** Some live repressing their instinctive feelings. ***
The
only thing I ask of you is to hold his when I'm not around.
Some
live repressing their instinctive feelings.
Avevo passato
tutta la giornata ripensando al mio casuale incontro nei bagni con
Zackary Baker, era diventato un’ossessione. Ma non una di
quelle ossessioni positive come può essere
l’innamoramento, no.. questa era un’ossessione
negativa bella e buona. Non potevo vederlo perché ogni volta
mi veniva voglia di distruggerlo come lui aveva amatamente distrutto la
mia chitarra e, supponevo, la voglia fosse reciproca. Mi diressi
tranquillamente verso casa mia, cuffie nelle orecchie e parecchio sale
in zucca. Quel pomeriggio avremmo provato, e si sperava, non come la
volta precedente. La strada era illuminata da leggeri raggi di sole che
era parzialmente oscurato da una nuvola di passaggio e le mie scarpe da
ginnastica scricchiolavano su alcuni sassolini scampati al giardino di
qualche persona. Non avevo nessuna voglia di fare a pugni
un’altra volta, il labbro mi faceva ancora male e come se non
fosse bastato adesso avrei dovuto portare con me la mia Schechter di
riserva, alla quale dovevo assolutamente fare un check-up completo.
Sbuffai, mentre svoltavo l’angolo in prossimità di
casa di James quando lo spettacolo che mi si presentò
davanti mi colpì allo stomaco come mille artigli affilati.
Se ne stava piegato su se stesso, a terra, cercando di coprirsi la
testa come meglio poteva. Sulle braccia scoperte vi erano due tagli non
eccessivamente profondi ma che comunque dovevano fare male. Racchiuso
in posizione fetale Zackary Baker stava cercando di proteggersi come
meglio poteva dall’attacco di due ragazzi della nostra scuola.
«Sei
solo un coglione Baker» davanti a lui, accucciato vicino alla
sua faccia, c’era un ragazzo dai capelli biondi che lo
prendeva in giro, mentre l’altro continuava a dargli calci
sulla schiena.
«Come mai il tuo paparino non c’è
più Baker?» Zacky non reagiva, se ne stava
racchiuso in quella posizione, cercando di scacciare qualcosa che nella
sua mente continuava a ripercuotersi, ma ovviamente questo non potevo
saperlo. «Non ci vuoi raccontare del tuo papà,
razza di sfigato?» gli diede un pugno nello stomaco, facendo
sussultare l’altro «E poi chi ti ha fatto questo
bellissimo occhio nero? Vorrei congratularmi con lui!» e si
mise a ridere insieme all’altro suo amico.
«Piantala!» Zack si era tolto le mani dalla testa e
stava cercando di tirarsi in piedi, era dolorante e si poteva notare
dal suo ansimare.
«Hai sentito Ian?» e rise «Vuole che la
piantiamo!»
Non che mi stesse a cuore Zackary Baker, ma certe cose non le sopporto
a priori. Che stiano accadendo ad un mio amico a ad
un’emerita testa di cazzo come lui. Cercai di attraversare la
strada, ma mi sentii fermato da due braccia abbastanza grosse. Voltai
lo sguardo e vidi James osservare la scena davanti a lui, per poi
voltarsi verso di me e farmi incamminare dalla parte opposta.
«Se non vuoi farti odiare ancora di più, lascia
che se la cavi da solo» me lo disse con una strana smorfia
sul viso, la tipica espressione che James riservava alle situazioni
peggiori. Aveva voglia di suonarle di santa ragione a quei due
bastardi, ma non poteva.
«Ma non possiamo Jimmy!» voltai lo sguardo
indietro, ma non si vedeva più nulla «Cazzo lo
stanno massacrando!»
«Fidati se ti dico di lasciar stare»
Rimasi in silenzio per tutto il tragitto di ritorno, avevamo preso
un’altra strada per andare a casa di James, proprio per
evitare di passare nuovamente davanti a loro, solo che non riuscivo a
togliermi dalla testa l’immagina di un Baker indifeso.
Continuammo a passeggiare sotto al sole quando raggiungemmo
l’abitazione di James dalla porta sul retro. Non avevo capito
cosa intendesse James
quando mi aveva detto che se la sarebbe cavato da solo.
«Senti Jimmy» iniziai, sedendomi sullo sgabello
della cucina, mentre lui prendeva un sacchetto di patatine e lo apriva,
buttando poi il contenuto dentro una ciotola in plastica dura azzurra
«Cosa intendevi quando mi hai detto che se la sarebbe cavata
da solo?»
«Penso che il tuo labbro ti possa spiegare molte
cose» rispose, sedendosi accanto a me e cominciando a
smangiucchiare qualche patatina.
«Beh» arrossi leggermente «Ma lui
è più piccolo di me come stazza, ha delle braccia
così magre» continuai.
«Non vuol dire nulla.. Zackary tiene dentro un animale pronto
ad esplodere in qualsiasi momento» e sbadigliò
sonoramente, portandosi una mano davanti alla bocca.
«Questo è vero, forse mi stò
preoccupando troppo»
«Siamo tutti preoccupati quando Zacky fa a botte,
però per lui va bene così.. e non vuole che
nessuno lo disturbi»
«Capisco» presi anche io una patatina, iniziando a
smangiucchiarla.
Zackary
era tornato a casa con la schiena dolorante e gli occhi lucidi. Zackary
Baker non piangeva mai.
«Augustine, sono tornato!» chiamò,
mettendo le chiavi sul mobile dell’entrata. Il suo cane gli
corse incontro, scendendo per le scale scodinzolando felice. Lo
seguì fino in salotto, dove Zack si lasciò cadere
sul divano per cercare di alleviare il dolore. Augustine
saltò accanto a lui, appoggiando la testa sulle sue gambe.
«Grazie» Zack gli accarezzò la testa,
prima di lasciarsi andare a pensieri risalenti a troppo tempo addietro.
Forse un giorno li avrebbe raccontati seriamente a qualcuno di cui
poteva fidarsi. I suoi amici lo sapevano solo perché erano
cresciuti con lui e quei due stronzi di Ian e Jeremy lo
avevano appreso solo dai loro genitori dopo che avevano letto i
giornali locali. Furibondo, diede un violento calcio al tavolino di
vetro che aveva davanti, rischiando di mandarlo in frantomi. La sua
vita era proprio una merda.
Arrivai
in sala prove con il mio solito ritardo, la differenza era che questa
volta non c’era nessuno insieme a Zackary Baker. “Ottimo” pensai
tra me e me mentre lui iniziava a fare i suoi soliti assoli. Aveva
rotto le palle a sufficienza, ma non volevo farci caso, non dovevo farci
caso. Estrassi la mia vecchia e consumata chitarra rosso scuro e la
accordai alla meglio, sotto lo sguardo indagatore di Baker.
«Forse è il caso di cambiare quel catorcio,
no?» mi disse, ironico.
«Non sono cazzi tuoi, Baker» risposi, voltando lo
sguardo verso di lui. Quello che vidi mi procurò una
profonda destabilizzazione psicologica. Quel ragazzo aveva bisogno di
aiuto, e qualcuno doveva prendersi la briga di farlo. I suoi occhi
verdi erano spenti, ed uno era circondato da un alone violaceo che
sapevo essere colpa mia. Le braccia erano ricoperte di lividi e una
cicatrice faceva capolino dal colletto della sua maglia.
«Non sono cazzi miei?» esclamò
ridacchiando «Si da il caso che faccio parte di questo gruppo
da più tempo di te, e penso di avere tutto il diritto di
esporti i miei cazzo di problemi nei tuoi riguardi»
Mi voltai esasperato, non poteva andare avanti così tutte le
volte, non avevo una pazienza illimitata. Stavo per ribattere quando la
porta si aprì, facendo entrare i restanti tre componenti
della band. Matt si stupì talmente tanto della quiete che
c’era al momento che non riuscì a trattenere un
«Che cazzo vi hanno fatto?», prima di sistemare il
suo microfono e il resto delle cose. James era sempre più
tenebroso nei confronti di Zack, lo seguiva con lo sguardo senza
parlare mai. Era un suo grandissimo amico e, per come potevo conoscere
James, sapevo che stava cercando un modo per stargli vicino senza
infastidirlo. Johnny, dal canto suo, appena entrato era venuto da me
dandomi una pacca sulla spalla in segno di saluto, al quale ricambiai
sorridendo. Quel gruppo non era così male, se non fosse
stato per il componente indesiderato.
«Allora..» Matt iniziò a parlare nel
microfono, tentando di ricevere l’attenzione di tutti
«Abbiamo scritto una canzone la volta scorsa, non il giorno
delle prove saltate» continuò «Ma quella
prima! Dato che l’intro prevede un assolo di chitarra direi
di iniziare con quella, così potremo sistemare alcuni
problemi o fare degli aggiustamenti!»
«Io ci stò» asserì James
coperto dai piatti.
«Va bene» esordì Jonathan, guardandoci
dal basso verso l’alto.
Zackary non diede nessun parere, si limitò a sbuffare e ad
attendere l’inizio della canzone. Da quando James diede i
quarti con le bacchette, si scatenò l’inferno. Una
battaglia tra me e Baker fatta solo di assoli. Iniziavo io e terminavo
con sguardo di sfida e lui rispondeva, eccome se rispondeva! Quel
ragazzino non era così male come sembrava
dall’esterno, ma non riusciva a prendere i tasti bene nella
velocità con cui tentava di starmi dietro. Faceva quasi
tenerezza, in effetti. Lo sguardo attonito dei nostri compagni di band
era palese, si erano rotti i coglioni.
«Allora!» Matt si ritrovò ad urlare nel
microfono per richiamare l’attenzione «Adesso
vorrei provare seriamente!»
Quella
sera se ne stava steso nel suo letto, guardando il soffitto di quella
casa che tanto odiava. I ricordi affioravano come un fiume in piena
ogni volta che cercava di prendere sonno. Solo Augustine gli faceva
compagnia e lo tranquillizzava. Gli occhi lucidi erano concentrati su
una macchia sul soffitto quando uno dei tanti pensieri prese forma
nella sua testa.
Stava giocando con dei piccoli robot di plastica, era seduto
in mezzo alla sua stanza e fuori imperversava una pioggia torrenziale.
Sua mamma era a lavoro e lui era rimasto a casa con suo padre. Aveva
sette anni o poco meno quando sentì dei rumori al piano di
sotto, un po’ intimorito scese le scale, reggendosi al
corrimano, ed arrivò in cucina. Suo padre era riverso sulla
tavola e stava bevendo una sostanza di colore rossastro.
«Perché bevi sangue?» lo aveva chiesto
innocentemente, guardando negli occhi quell’uomo.
Quest’ultimo si era alzato e si era avvicinato al figlio,
alitandogli in faccia odore di sporco e alcol. Non aveva mai risposto
alla sua domanda, in cambio aveva ricevuto parecchie botte. Un
pugnò sulla schiena e uno schiaffo in pieno volto. Si era
messo a piangere ma non era stato sufficiente per quell’uomo
che aveva continuato a sfogare la sua rabbia sul figlio piccolo.
Aprì gli occhi di scatto, raggomitolandosi accanto
al suo cane.
«Promettimi che ci sarai per sempre, Augustine.»
-------------------
Ho finito anche il terzo
capitolo c:
Scusate se impiego un
po’ a postare ma sono sommersa dallo studio c:
Grazie a tutti coloro
che recensiscono e che la aggiungono alle seguite o preferite,
mi rendete davvero
felice c: Come al solito recensioni e critiche sono ben accette!
Alla prossima!
OldMilk.
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Capitolo 5 *** 'Cause I'm lonely and I'm tired. ***
The only thing I ask of you is to hold his when
I'm not around.
'Cause I'm lonely and I'm tired.
Male,
sentiva male ovunque. La schiena era
sicuramente coperta da lividi e le braccia non erano da meno. Sentiva i
tagli
bruciare e il sangue scorrere velocemente sotto la sua pelle, per
soffermarsi a
pulsare violentemente sotto alle ferite. Augustine era ancora accanto a
lui, su
quel letto freddo. Zachary si portò una mano alla testa,
coprendosi gli occhi,
mentre si rendeva conto di quanto fosse sudato. Aveva fatto incubi
anche quella
notte, non ne poteva più. Le occhiaie già marcate
erano ancora più accentuate
sulla pelle bianca e il corpo magro ed esile. Scese dal letto,
appoggiando i
piedi sul pavimento freddo, rabbrividendo. Strinse le mani a pugno e
sfogò un
urlò incastonando la testa nella coperta del letto, dopo
essersi accasciato al
suolo. Augustine era ancora li, pronta a stargli accanto, appoggiando
la sua
testa sulle gambe del ragazzo.
Non
capivo come mai nessuno si prendesse la briga di
difendere quel ragazzo. Ero l'ultima persona a dover parlare, lo sapevo
perfettamente,
ma l'immagine di lui steso a terra, mentre veniva deriso e pestato
rimaneva
nitida nella mia mente, senza andarsene. Ero seduto su uno sgabello
della
cucina, e stavo facendo colazione con frittelle e succo d'arancia
insieme alla
mia sorellina minore. Mi guardava con quei grandi occhioni dall'altro
lato
della tavola, mentre tentava di arrampicarsi nuovamente sullo sgabello.
«McKenna
sai che ti devo aiutare, non
ci arrivi da sola» dissi, posando la forchetta sul piatto
pieno di briciole e
miele.
«No, ci arrivo» risoluta come non mai
tentò ancora di arrampicarsi, senza
successo.
Sorrisi, osservandola nel suo piccolo vestitino azzurro e i capelli
castani
lunghi sciolti sulle spalle. Aveva sette anni, ed era estremamente
dolce.
Imbarazzata, tentò ancora una volta di salire ma non ci
riuscì. La vidi
sbuffare e venire verso di me, tenendo stretto tra le mani il suo
consumato
orsetto di peluche. Si mise accanto al mio sgabello e, guardandosi i
piedi
sussurrò un leggero «Fratellone mi
aiuti?»
Pensai anche di lasciarla li, giusto per scherzare, poi mi venne in
mente
quanto era permalosa la piccoletta, quindi la presi al volo in braccio,
facendola ridere, e la misi seduta sullo sgabello in legno chiaro.
«Grazie» disse, addentando un biscotto.
«Di cosa?» risi, mentre prendevo il mio piatto e
iniziavo a lavarlo nel
lavello. Guardai pensieroso fuori dalla finestra, il cielo era di un
azzurro
intenso e, dopo una settimana abbondante di pioggia, il sole aveva
deciso di
tornare a farci compagnia con i suoi tiepidi raggi. Lungo il
marciapiede
correvano un sacco di bambini e le mamme, che fino al giorno prima
erano
rimaste chiuse in casa col caminetto acceso, adesso se ne stavano in
gruppo a
camminare con i loro passeggini. Scossi la testa, stavo diventando
troppo
pensieroso. In realtà sapevo perfettamente che mi
concentravo su altro solo per
non pensare a lui, nonostante non lo sopportassi, non potevo pensare a
quanto
male si stesse auto infliggendo. Asciugai il piatto, appoggiandolo sul
mobile
accanto a me quando lo vidi, stava camminando con quel cane gigantesco
lungo il
marciapiede dalla parte opposta di casa mia. Sembrava più
pallido del solito
sotto la luce accecante del sole, i capelli corvini si posavano con
leggerezza
su quel volto consumato dalle occhiaie e le braccia troppo magre se ne
stavano
infilate nelle tasche dei jeans. I lividi erano ben visibili anche da
quella
distanza. Non so perchè lo feci, ma in meno di qualche
secondo mi ritrovai
sulla porta di casa a urlare un «Resta qui, sono sul
marciapiede, torno subito»
a mia sorella, che annuì distrattamente, mentre si accendeva
la televisione.
Sbucai col volto dalla siepe che recintava la mia abitazione,
seguendolo con lo
sguardo. Era qualche metro avanti a me, dall'altra parte della strada.
Aprii il
cancello, richiudendomelo alle spalle e lo raggiunsi, non mi vide e, se
lo
fece, non me lo fece notare.
«Baker» dissi, infilandomi a mia volta le mani in
tasca.
Non parlò, voltò semplicemente lo sguardo nella
mia direzione, mostrandomi
quegli occhi chiari completamente spenti e privi di vita.
«Cosa vuoi?» veleno, le parole dette con la sua
voce erano completamente
veleno.
«Perchè lo fai?» chiesi, avvicinandomi
di un passo e accucciandomi,
accarezzando Augustine che era venuta dalla mia parte.
«Cosa, Haner?» mi guardava sprezzante dall'alto
della sua posizione.
«Farti picchiare e non reagire» dissi, alzando gli
occhi verso di lui «Ti ho
visto l'altro giorno» e feci cenno con la testa alle sue
braccia distrutte.
«Non sono cose che ti devono interessare»
ribattè «E lascia stare Augustine» al
sentirsi chiamare l'alana grigia andò accanto al suo
padrone, immobilizzandosi.
Lo osservai, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi e mi sbranava con
gli
occhi. Perchè tutto questo odio, Zachary?
Era una sensazione strana, mi prendeva lo stomaco e lo divorava
lentamente,
mentre lo osservavo in tutto il suo dolore. Non doveva ridursi in
quello stato.
«Saranno anche cose che non mi riguardano, ma non sopporto
chi picchia le
persone»
Fu strano, il moro spostò velocemente lo sguardo da me al
suo cane, iniziando
ad accarezzarlo improvvisamente, con premura ed amore.
«Ci vediamo alle prove, Haner» si girò
e si incamminò dalla parte opposta alla
mia, insieme a quella sua grossa amica grigia. Il suo saluto era stato
insensibile, improvviso e, stranamente, normale. Rientrai in casa e,
dopo aver
chiuso la porta, appoggiai la schiena ad essa, sospirando.
Perchè?
Non aveva senso, quante volte glielo avevano ripetuto? Matthew era
sempre
preoccupato per lui, James si era quasi fatto ammazzare per difenderlo
un
giorno. Appoggiò la schiena alla fredda porta d'entrata
bianca, lasciandosi
scivolare per terra con le mani tra i capelli. Era stata difficile
quella
volta, uno dei suoi migliori amici era finito in ospedale per lui.
Quella
coltellata allo stomaco lo aveva quasi fatto morire, ed era solo stata
colpa
sua. Gli occhi diventarono umidi, ma ricacciò indietro le
lacrime. Lui non
piangeva mai, nemmeno provando tutto il dolore del mondo, aveva
imparato ad
essere così, insensibile. Aveva bisogno di aiuto? No.
Strinse le ginocchia al petto, appoggiando il mento sopra ad esse, per
poi
chiudere gli occhi e pensare. Riaffiorarono i ricordi, e cadde nel buio
un'altra volta.
Camminava così piano e impaurito
per la
casa che gli veniva già da piangere.
Non voleva rimanere a casa da solo con suo padre, lo aveva detto alla
mamma, ma
quest'ultima aveva detto che non c'era assolutamente nulla di cui
preoccuparsi,
mentre lo baciava sulla fronte prima di uscire per andare a lavorare.
Era
entrato in salotto e si era messo a giocare con le macchinine, quelle
belle che
gli piacevano tanto. Suo padre era entrato così rapidamente
che nemmeno se ne
era reso conto. L'aveva sbattuto per terra, iniziando a incolparlo,
dicendo che
era colpa sua se la sua relazione con la madre stava andando a rotoli.
Zachary
si era messo a piangere, mentre veniva colpito altre volte con violenza.
«Basta» glielo chiedeva sempre «Per
favore» ma era sempre tutto inutile, spaventoso e violento. Suo padre non rispondeva mai e se gli diceva
qualcosa
era per ricordargli che non doveva piangere, che era colpa sua, che
doveva solo
stare zitto.
Il ragazzo aprì gli occhi chiari, osservando il
muro davanti a lui. Si
alzò, avviandosi verso lo specchio del bagno. Si
scrutò in tutti i dettagli.
Gli occhi chiari erano di suo padre, gli facevano schifo. Letteralmente.
Le labbra carnose le aveva prese dalla madre, mentre la corporatura
esile e
magra era dovuta al fatto che per un sacco di tempo non aveva mangiato.
Passò
le dita dalle labbra al naso, agli occhi, per poi sollevare i capelli
dalla
fronte. All'attaccatura se ne stava una grossa cicatrice rosea.
Urlò, prima di
tirare un pugno contro il vetro e vedere il sangue iniziare a scorrere
a fiotti
lungo la mano candida.
Matthew era corso a casa del ragazzo così rapidamente, che
per poco non si era
fatto investire da una macchina. Si era davvero affezionato a lui, si
era preso
la responsabilità di seguirlo come un padre, di difenderlo e
di stargli vicino
nei momenti difficili. Non voleva lasciarlo solo, mai. Era entrato in
casa come
una furia, cercandolo in cucina e in bagno, per poi trovarlo disteso in
camera
da letto con la mano completamente fasciata in stracci bianchi, ormai
completamente coperti di sangue. Gli occhi vitrei che guardavano il
soffitto
bianco, persi in chissà quali pensieri. Matthew si
avvicinò al letto, sedendosi
accanto a lui, percorrendo silenziosamente con una carezza la mano
distrutta e
il braccio ossuto di Zachary. Terminò con una leggera
carezza sul volto di lui,
che si scostò immediatamente.
«La faccia non me la toccare, quante volte devo
dirtelo?» si era seduto
rapidamente, rannicchiandosi nell'angolo del letto per non farsi
raggiungere.
«Non sono lui» rispose Matt, appoggiando il braccio
sulla gamba.
«Non mi interessa»
«Fammi vedere la mano»
Zachary allungò la mano fasciata. Matthew la prese,
togliendo le bende
delicatamente, per poi mostrare una mano gonfia e ricoperta di sangue.
«Bisogna andare all'ospedale» disse,
appoggiandogliela sul letto.
«No»
«E invece si, ci voglio i punti qui» e
indicò i numerosi tagli che aveva sulla
mano.
Zachary sbuffò, mentre seguiva Matthew fuori dalla camera.
Sarebbe andato
all'ospedale solo perchè era lui a chiederglielo. Se fosse
stato solo per se,
sarebbe stato ancora su quel letto dalle coperte macchiate. Se fosse
morto
sarebbe stato meglio, anche se sapeva che per una cosa del genere non
sarebbe
certo accaduto.
Avevamo raggiunto Matthew all'ospedale, per poi scoprire che Zachary
era già
entrato a farsi medicare. Non sapevo quanto sarebbe stato felice di
vedermi, ma
non mi interessava, volevo sapere come stava.
Stavamo tutti seduti su quelle scomode sedioline di legno pieghevoli,
aspettando che lui uscisse dalla porta che portava alle varie stanze
mediche.
«Perchè?» domandai, volgendo la sguardo
verso James, Matthew e Johnny. Stavo
chiedendo troppe volte perchè, in realtà non
sarebbe dovuto interessarmi più di
tanto. Jimmy si alzò, venendo a sedersi accanto a me. Mi
prese per le spalle,
appoggiando la sua fronte sulla mia.
«Ci sono cose che non si scordano Brian» arrossii,
non so perchè, ma lo feci.
Vidi i suoi occhi azzurri guardarmi nei miei di cioccolato liquidi.
C'era stato
un tempo in cui io e James eravamo stati, involontariamente, qualcosa
di più
che due semplici migliori amici, ma adesso era acqua passata. Non era
mai
successo niente, ma eravamo sempre insieme, molto gelosi l'uno
dell'altro. Una
sera a casa sua ci eravamo baciati. Uno scontro di labbra lieve ma
completamente dolce, romantico. Da quel momento era tornato tutto come
agli
inizi.
Sentimmo Matthew alzarsi e lo guardammo andare dal ragazzo moro che era
appena
uscito. Andammo tutti li per vedere come stava, se la mano gli faceva
male. Ci
guardò uno ad uno, mentre ci facevamo avanti per domandargli
come si sentisse.
Non appena incrociò il mio sguardo mi fulminò.
Vidi i suoi occhi incattivirsi e
le sue gambe muovere un passo indietro.
«Cosa fai qui?» sibilò, tenendosi la
mano fasciata.
«Eddai Zack, voleva solo sapere come stavi» Matt
cercò di accarezzargli i
capelli, convinto di tranquillizzarlo, ma ottenne l'effetto contrario.
«Ti ho detto di non toccarmi!» era balzato
indietro, urlando, mettendosi in una
posizione di difesa «E tu» aggiunse, tornando a
guardarmi «Sarai felice ora, dato
che non potrò suonare la chitarra per due
settimane»
Rimasi interdetto, non credevo non potesse suonare.
«Mi dispiace...» cominciai, ma fui interrotto dalla
sua risata. Una risata amara,
fredda, che poi si era ridotta in singhiozzi. Vidi Jimmy andargli
accanto e
sorreggerlo per le spalle. Singhiozzava, ma non piangeva, nemmeno una
lacrima
solcava il suo viso pallido e scarno. Solo tristezza e odio
trasparivano da
quegli occhi stupendi.
------------------------
Dopo mesi che non aggiorno
eccomi
qui.
Mi spiace, come
già spiegato per messaggio privato ad una ragazza che mi ha
scritto ho avuto problemi di salute e familiari, quindi perdonate
l'assenza.
Sono nuovamente qui,
pronta a continuare la storia. Spero che il capitolo vi
sia piaciuto e mi farebbe piacere sapere come lo trovate :)
OldMilk.
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Capitolo 6 *** And I don't want the world to see me. ***
The only thing I ask of you is to hold his when
I'm not around.
And I don't want the world to see me.
Mescolai
quello che rimaneva del sugo che avevo preparato, appoggiando la
padella sul
fornello ormai spento. Vi versai la pasta cotta e iniziai a mescolare
il tutto,
sotto lo sguardo di James e Johnny, seduti al tavolo della cucina,
intenti a
sorseggiare una birra. Non avrei mai pensato che Matthew avesse
talmente a
cuore quel ragazzo. Da quando avevamo messo piede in casa Baker lo
aveva
accompagnato di sopra, sparendo per le restanti due ore. Quando si
erano fatte
le otto e mezzo avevamo iniziato a morire di fame, quindi avevo messo
su una
pasta anche se, personalmente, non credevo Zachary ne sarebbe stato
felice.
Brian Haner che toccava i suoi attrezzi da cucina, ma stiamo scherzando?
Sentii una mano posarsi sul mio fianco e vidi una testa mora parecchio
più alta
di me, fare capolino dalla mia spalla sinistra.
«Che
sugo è?» domandò James, spiando
il contenuto della padella.
«Qualcosa come pomodoro, tonno e philadelphia»
dissi, mescolando ancora un pò
la pasta.
«Qualcosa?» domandò Johnny alle nostre
spalle, col viso appoggiato al braccio
tatuato, che se ne stava rigido sul tavolo in legno scuro. Ridemmo,
sperando
che quello che ne era uscito fosse decente.
«Si Johnny, qualcosa. Non sono sicuro di aver seguito tutti i
procedimenti»
mostrai i denti bianchissimi a James, che mi scompigliò i
capelli, prima di
avvisarci che sarebbe andato a chiamare gli altri.
«Vado ad avvisarli, dovrebbero mangiare qualcosa anche
loro» e sparì su per le
scale.
«D'accordo» Johnny si alzò,
apparecchiando per cinque. Scossi la testa, involontariamente,
non sarebbe mai sceso sapendo che c'ero anche io. Sospirai, mentre
versavo la
pasta in cinque piatti di plastica. Avremmo evitato il problema di chi
doveva
lavare le stoviglie.
James percorse quel tetro corridoio cercando di fare meno rumore
possibile. La
carta da parati era rotta in vari punti, e tutte le luci erano
completamente
spente. Poggiò una mano al muro per sorreggersi. Qualcosa
l'aveva fatto
scivolare, anche se non riusciva a vedere di cosa si trattasse.
Alzò le spalle,
ormai si era rassegnato alla confusione che regnava in quel piano della
casa.
Zachary non sistemava mai, la maggior parte del tempo lo trascorreva
fuori di
casa, anche con la pioggia. Il divano era un suo grande amico nei
momenti di
solitudine ma il piano di sopra no, il piano di sopra era reduce di
tutti gli
incubi che covava e si portava appresso come macigni. Erano i ricordi
più
dolorosi e brutti che potesse avere.
Notò la porta della camera socchiusa, la luce era spenta
anche li.
Bussò piano, per non disturbare, ma non ottenne risposta.
Spinse la superficie bianca e fredda, osservando la stanza illuminata
dalla
chiara luce della luna che, nonostante fosse così bella,
riusciva ugualmente a
dare un tocco sinistro a quel luogo. Zacky avrebbe dovuto andarsene da
quella
casa.
«Matt» sussurrò piano, notando due
figure scure sul letto. Una era sdraiata,
rannicchiata su se stessa, mentre l'altra era seduta al bordo del letto
e,
nonostante il buio, si notava distintamente che gli stava accarezzando
i
capelli con fare fraterno.
«Sta dormendo?» domandò ancora Jimmy,
quando non udì risposta.
«Si» sussurrò piano Matthew, alzandosi
lentamente e coprendo il ragazzo con la
coperta pesante.
«Brian ha fatto qualcosa da mettere sotto i denti, se vieni
di sotto ci
mettiamo a tavola»
Il ragazzo muscoloso annuì, lanciando un'ultima occhiata al
più piccolo,
addormentato su quel letto insieme al suo cane.
Eravamo
tutti a tavola, intenti a sbocconcellare quello che era rimasto della
pasta nei
nostri piatti. Alzai lo sguardo, incrociando lo sguardo caldo di Matt,
palesemente preoccupato. Cercai di infondergli coraggio senza aprire
bocca, ma
risultava particolarmente complicato.
«Qualcuno dovrebbe rimanere» Johnny si era alzato,
gettando il piatto di plastica
giallo nel cestino della spazzatura. Matt posò la forchetta
sul tavolo,
annuendo distrattamente.
«Sarebbe la cosa migliore» disse, guardandoci uno
alla volta «Ma stasera io non
posso assolutamente, devo tenere la figlia piccola di mia sorella. Ha
cinque
anni, dubito che saprebbe cavarsela a casa da sola» si
appoggiò con entrambi i
gomiti al tavolo, affondando poi il viso tra le mani.
Nessuno parlò. Sapevamo tutti che la persona più
indicata per quel compito era
proprio Matt. In sua presenza Zachary sembrava quasi più
tranquillo e
rilassato, si sentiva protetto, questo era sicuro. Sarebbe toccato a
qualcun'altro prendersi la responsabilità della cosa.
«Lo farò io» dissi, ancora prima di
collegare il pensiero alla bocca. Solo dopo
mi resi conto di quello che avevo appena detto. I tre ragazzi davanti a
me mi
guardarono allarmati e preoccupati, chi in piedi appoggiato al lavello
come
James, chi con le braccia incrociate come Matt e Johnny.
«Sei sicuro?» mi chiese Matthew, preoccupato
«Senza offesa Brian ma... non
penso tu sia la persona più indicata»
«Non preoccuparti» dissi, mentre iniziavo a
liberare la tavola da quello che vi
era rimasto sopra «Potrei involontariamente
esserlo, invece» vidi lo
sguardo perplesso di tutti, quindi andai avanti «Sono l'unico
a non sapere cosa
gli sia accaduto e quindi riesco a trattarlo come una persona normale.
Immagino
abbia passato delle cose orribili, ma non sapendole, non riesco a
provare pena
per lui, o una eccessiva preoccupazione come fate tutti voi»
presi fiato,
risedendomi sulla sedia. Rimanemmo in silenzio per un pò,
mentre il ticchettio
dell'orologio continuava, mandando avanti le lancette che ormai
segnavano le
dieci e mezza.
«D'accordo» esordì Matt poco dopo,
passandosi una mano sul viso «Ma se gli
succede qualcosa Brian, qualsiasi cosa... te la vedi con me»
e si alzò,
prendendosi un bicchiere d'acqua.
«Non preoccuparti» incrociai lo sguardo di James
per qualche secondo, prima di
salutarli tutti e tre.
Avevo
chiuso la porta a chiave e non avevo acceso nemmeno una luce. Sapevo
che
Augustine doveva ancora mangiare, dato che mi aveva avvisato Matt prima
di
uscire dalla porta, quindi versai dei croccantini nella sua ciotola
vuota. Avrebbe
mangiato quando gli sarebbe venuta fame, non avevo intenzione di andare
a
cercarla in giro per la casa. Così buia, l'abitazione
metteva i brividi.
Sentivo il freddo entrarmi nelle ossa e lanciarmi brividi per tutta la
schiena.
Volevo dormire, gli occhi erano pesanti e il divano di qualche
settimana prima
non mi allettava per nulla. Mi mossi facendo il meno rumore possibile,
salendo
le scale di legno per poi avviarmi ad esplorare quel piano che mi era
sempre
rimasto segreto. A differenza del piano di sotto era tutto molto
disordinato e
sporco, la carta da parati graffiata e macchiata, come il pavimento
freddo. In
fondo al corridoio, sulla destra, una porta semiaperta mi fece intuire
che
doveva trattarsi della camera di quel ragazzo così
complicato. Entrai
lentamente. L'aria era talmente pesante che faticavo a prendere fiato.
Mi
avvicinai al letto, accarezzando Augustine che mi guardava con quegli
occhioni
spenti.
Lui dormiva rannicchiato su stesso sotto alle coperte, le labbra
leggermente
socchiuse e i lividi sul collo dovuti ai calci presi due giorni prima.
Sapevo
che non dovevo stare li dentro, se si fosse svegliato sarebbe stato un
macello,
ma c'era qualcosa di più forte che mi teneva ancorato li e
che non riuscivo a
comprendere.
Dormiva senza maglia, a petto nudo, indossava solo un paio di pantaloni
di una
tuta grigia scura. Allungai una mano, sfiorandogli il braccio,
risalendo lungo
la spalla, il collo e le labbra.
Che diavolo sto facendo? mi
ritrovai
a pensare, accucciato al bordo del letto. Seguii i contorni della sua
bocca,
del naso e degli occhi, finchè non mi ritrovai a sollevargli
il ciuffo dalla
fronte, mostrando quel taglio netto e vecchio proprio all'attaccatura
dei
capelli. Sentivo il suo respiro vicino al mio viso. Sembrava
così indifeso..
Gli accarezzai una guancia, prima di alzarmi in piedi e voltarmi per
andare a cercare
la stanza degli ospiti. Prima che potessi muovere un passo sentii la
sua mano
afferrare delicatamente la mia, fu un contatto leggero e fresco. Voltai
lo
sguardo verso di lui, che ancora teneva gli occhi chiusi.
«Resta..» sussurrò lentamente, in un
dormiveglia leggero.
Sapevo perfettamente che non mi aveva riconosciuto, ma lui aveva
bisogno di me
e, una piccola parte del mio inconscio, mi diceva che anche io avevo
bisogno di
lui. Fu strana quella notte. Mi addormentai seduto sul pavimento con la
testa
appoggiata accanto alla sua sul letto, con la sua mano ancora ben salda
nella
mia.
-----------------
Non so se comincio bene..
ta-daaaan
:)
Eccomi con un nuovo
capitolo, un pò breve ma intenso.. dai :D Certo, come no...
tiratemi dietro quello che volete! Ringrazio davvero tutti quelli che
hanno
recensito e che hanno aggiunto la storia tra le seguite e le preferite.
Grazie
mille, davvero. Posterò presto, promesso ;)
Abbraccio,
OldMilk.
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Capitolo 7 *** When everything feels like the movies ***
The only thing I ask of you is to hold his when
I'm not around.
When everything feels like the movies.
Avevo
passato l'intera nottata dormendo profondamente, la mano di quel
ragazzo ancora
ben stretta nella mia e i suoi capelli a contatto con la mia fronte.
Non saprei
definire bene cosa mi avesse svegliato quella mattina, so solo che
sentii un
bruciore allucinante all'altezza della nuca.
Aprii gli occhi di scatto, massaggiandomi il collo, ma cosa diavolo
stava
succedendo? Sentii
un'altra fitta dolorosa
arrivare dopo poco sempre nello stesso punto.
«Oh.. ma che cazzo!» urlai, tirandomi in piedi.
Misi a fuoco la stanza illuminata dai raggi del sole. Il pavimento di
marmo
freddo, le pareti rovinate e lui, rannicchiato nell'angolo del letto
che mi
guardava con due occhi omicidi. Ok, dovevo ammettere che pensavo mi
sarei
svegliato prima di lui, ma così non era stato. Faceva
scorrere il suo sguardo
dalla sua mano alla mia faccia e viceversa. Aveva i capelli
completamente
scompigliati, il petto nudo si alzava ed abbassava al ritmo regolare
del suo
respiro e la forma delle ossa si intravedeva sulle sue spalle gracili.
«Tu» iniziò, alzandosi in piedi e
venendo verso di me a passo spedito «Cosa
cazzo stavi facendo??» mi diede uno spintone, facendomi
finire addosso al muro.
Non reagii, non volevo.
«Nulla, Matt voleva solo che qualcuno rimanesse qua con
te»
«Stronzate!» urlò, tirando un pugno con
la mano buona sul muro, proprio accanto
alla mia testa. Non mi aveva colpito, non aveva voluto farlo. Il
silenzio calò
su quella stanza in poco meno di qualche secondo, facendoci prendere
fiato ad
entrambi. Aveva lo sguardo basso, avvilito in un certo senso.
«Sei la persona che odio di più al
mondo» sussurrò, continuando a guardarsi la
punta dei piedi. Indossava solamente quei pantaloni grigi della tuta
con cui
aveva dormito e aveva i muscoli del braccio tesi, con la mano chiusa a
pugno
ancora accanto alla mia testa. Sollevò lo sguardo verso di
me, era carico di
odio e.. lacrime. Non uscivano da quegli occhi ormai stanchi, ma se ne
stavano
sull'orlo, premendo per riversarsi sul viso scarno.
«Zack..» cominciai.
«Lascia stare, non dire nulla» sibilò,
lasciandosi scivolare per terra.
Mi abbassai con lui. Aveva le braccia che gli ricadevano lungo il
busto, lo
sguardo basso coperto dai capelli che aveva sulla fronte. Allungai un
braccio
nella sua direzione, appoggiando la mano sulla sua spalla. Sentii la
forma
dell'incavo del suo collo quando lo presi senza forza, facendo aderire
il suo
volto sul mio petto. Lo avvolsi in un abbraccio, sperando che non mi
picchiasse
ancora. In risposta udii un singhiozzo, appena accennato, soffocare
nella mia
maglietta scura, per poi aumentare di intensità. Le sue mani
si aggrapparono
con forza alle maniche e sentii distintamente lacrime calde iniziare ad
inzupparmi il petto. Lo strinsi più forte, mentre lo
lasciavo sfogare in un
pianto liberatorio.
«Scusami» disse, piangendo «Scusami se ti
odio» e pianse ancora.
Matthew
si lasciò scivolare pesantemente sul divano, osservando la
mia figura
in piedi davanti a lui. Come sempre, il salotto di casa Sanders mi
lasciava
trapelare una tranquillità inaudita. Alzò gli
occhi verdi su di me, incrociando
le mani.
«Cosa è successo?» domandò,
mentre mi lasciavo cadere sulla poltrona accanto al
caminetto acceso.
«Nulla, è scoppiato a piangere, dicendo che mi
odia e.. chiedendomi scusa» mi
limitai a voltare lo sguardo verso la finestra, osservando il cielo
terso di fine
Novembre.
«Capisco» chiuse gli occhi, mettendosi a riflettere
qualche momento, dopodichè
si alzò, sistemando i ceppi del fuoco «Credo che
sarà meglio non provare questa
settimana, magari stasera usciamo tutti insieme a prendere qualcosa da
bere al
Johnny's e vediamo come procede la situazione.. Credo che stia
cominciando a
cedere» si risedette, composto.
«Cedere?» domandai, curioso.
«Questa sua facciata è tutta una finta, si vede
lontano un miglio che dentro ha
una bomba pronta ad esplodere.. ed è quello che sta
cominciando ad accadere,
quando sarà pronto ti tratterà come tutti noi..
Per il momento non sentirti in
colpa, tu gli stai solo facendo del bene»
Feci per dire qualcosa, ma una bambina di cinque anni fece capolino
dalla porta
del salotto con la sua chioma bionda, guardandoci curiosa.
«Zio Matt» sussurrò, intimorita da me.
Matthew si voltò, sorridendo «Ehi Grace, arrivo
tra un momento! Torna pure in
camera a giocare, e prepara un bel tè per le tue bambole,
sarò felice di
prenderlo con loro»
La piccola fece un sorrisone, scomparendo oltre la porta. Io scoppiai
in una
sonora risata, tenendomi le mani sulla pancia.
«Sarò felice di prenderlo con loro.. ahahah..
oddio Matt sei esilarante»
Matthew si alzò, scoppiando a ridere «Fuori da
casa mia Gates, ho da fare con
delle signore di là»
E sotto le nostre risate lo salutai, asserendo che ci saremmo visti
quella
sera.
Il
Johnny's era semi deserto quella sera. Probabilmente l'acquazzone che
era
arrivato quel pomeriggio aveva fatto desistere tutti dall'intento di
mettere
piede fuori di casa. Tutti tranne noi, che ormai ce ne stavamo
beatamente
stravaccati su quei divanetti in pelle da più di mezz'ora,
sorseggiando le
nostre birre scure. Attorno a quel tavolo sembravamo un gruppo di
matti, ma noi
sapevamo benissimo di essere una personalissima famiglia, ma non una di
quelle
composte e perfette, piuttosto una di quelle con parecchi problemi, in
cui i
componenti si sostengono, nonostante le numerose litigate. Zachary
appoggiò la
birra sul bancone, osservandomi di sbieco. Non riuscivo ad inquadrare
il suo
comportamento quella sera. Appena voltai lo sguardo nella sua direzione
lo vidi
girarsi immediatamente, mettendosi a parlare con Johnny.
«Vado fuori a fumare una sigaretta» dissi
alzandomi, afferrando il pacchetto di
Marlboro che avevo lasciato sul tavolo. Matthew scosse la testa, era
contro il
fumo.
«Come vuoi Gates, ci vediamo tra poco» e mi fece un
cenno con la mano.
La pioggia cadeva copiosa, sbattendo violentemente contro l'asfalto
della
strada. Il rumore dell'oceano era udibile sin li, nonostante fossimo
abbastanza
distanti dalla riva. Estrassi una sigaretta, portandomela alla bocca,
per poi
mettere le mani nelle tasche dei jeans, cercando l'accendino.
«Cazzo» sussurrai, dovevo averlo lasciato sul
tavolo.
«Stai cercando questo?» La voce di Zachary,
così fredda e tagliente, mi arrivò
all'orecchio in pochissimo tempo, facendomi rabbrividire un attimo.
«Si, grazie» mi voltai, prendendo l'accendino dalla
sua mano. Lo avevo davvero
vicino, sentivo il suo respiro sul mio viso e notai distintamente ogni
più
piccola sfumatura delle sue iridi chiare. La sua mano si
posò sulla mia,
cominciando poi a risalire lungo il braccio. Seguì la spalla
e il collo,
afferrando poi la sigaretta dalle mie labbra. La lasciò
scivolare a terra,
dentro ad una pozzanghera. Posò una mano sul mio petto,
facendomi
indietreggiare leggermente. Sentii il freddo del muro di mattoni sulla
mia
schiena, mentre Zachary mi sussurrava un «E' questo quello
che hai fatto ieri
sera, no?» e sorrise sul mio orecchio «Non
è poi così male»
Avevo il suo corpo completamente incollato al mio, lo sentivo
perfettamente
mentre con la punta del naso mi sfiorava il collo. Spostò
con la mano buona il
colletto della mia maglietta, iniziando a lasciare piccoli baci sul
lembo di
pelle scoperto, facendomi chiudere gli occhi. Salì
lentamente, torturandomi,
finchè non mi lasciò andare, sfiorando le mie
labbra con la punta delle dita,
soffiando un leggero e flebile «Muoviti a fumare, Matthew
vuole parlare a tutti
quanti» e sparì, lasciandomi li fuori con il cuore
che martellava così
pesantemente da sembrare voler uscire dal petto. Sentivo le guance in
fiamme.
Merda.
--------------------------------
Ehm, eccomi qui! :)
Spero ne sia uscito
qualcosa di buono, ma non ne sono così convinta :D
Come sempre ringrazio
tutti quelli che hanno recensito la scorsa volta (grazie
mille davvero, mi rendete la persona più felice di questa
terra) e tutti coloro
che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite!
Al prossimo capitolo :)
OldMilk.
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Capitolo 8 *** Never happened ***
The only thing I ask of you is to hold his when
I'm not around.
Never happened.
Non
riuscivo a capacitarmi di quello che era accaduto, non
mi sembrava possibile.
Mi sentivo completamente scombussolato, il cuore batteva talmente forte che minacciava da
uscirmi dal petto
ogni volta che ci ripensavo. Non lo avevo capito, e tutt’ora
non capivo. Come
poteva essere cambiato tutto così rapidamente nel giro di
così poco tempo? Che
quella notte passata a casa sua, standogli accanto, gli avesse fatto
capire
quello che effettivamente potevo essere? Ovvero un grande amico?
Mi passai una mano tra i capelli spettinati, mentre osservavo le
persone che
passeggiavano per la strada da camera mia. Il pigiama che indossavo era
una
manna dal cielo, stavo così bene che probabilmente non sarei
nemmeno uscito di
casa se non fossi dovuto andare a chiarirmi con lui su quello che era
accaduto
due sere precedenti. Bevvi una lunga sorsata dalla tazza di
caffè che tenevo
stretta tra le mani e sospirai, dovevo decisamente andare da lui quel
pomeriggio. Aprii
la porta verniciata di
bianco della mia camera e scesi al piano di sotto, mia madre stava
cucinando
qualcosa per il pranzo e mia sorella era sul divano a guardare la
televisione.
«Ehi
scricciolo» dissi,
sedendomi accanto a
lei, alla
televisione davano i cartoni di McDonald’s, osservai
leggermente disgustato la TV,
per poi voltarmi nuovamente verso la piccola McKenna «Non
sarebbe meglio
guardare qualcosa di più divertente?» proposi,
afferrando il telecomando, quel
clown era davvero inquietante, non capivo come potesse piacere a dei
bambini.
«Ma io voglio guardare questo» incrociò
le braccia al petto, corrugando le
sopracciglia esattamente come me, eravamo decisamente fratelli.
«Come vuoi» scossi la testa, lasciandola ai suoi
cartoni, mentre mi alzavo e
rubavo qualche pretzel dal tavolo della cucina. Mia madre mi diede una
forte
mestolata sulla mano «Dopo pranzo Elwin, quante volte devo
dirtelo?»
Il
pomeriggio arrivò
rapidamente, tra una suonata di chitarra e qualche telefilm in
streaming.
Allacciai le converse e uscii di casa inspirando l’odore
dell’oceano
che
avevo davanti a me. Un gruppo di ragazzini mi passò accanto
rincorrendo un
pallone da basket. Li invidiavo, non avevano ancora nessun tipo di
problema. Le
scarpe scricchiolavano a contatto della superficie del marciapiede,
tenevo le
mani nelle tasche dei jeans e le cuffie nelle orecchie. La musica
tranquilla e
pacata di Bryan Adams mi invadeva le orecchie, lasciandomi vagare con
la
fantasia. Mi fermai, sedendomi su una panchina nel parco che stavo
attraversando, mettendomi le mani tra i capelli. Lo dovevo davvero
fare? Ne ero
veramente sicuro? Sbuffai, sollevando il viso verso il cielo coperto da
qualche
nuvola grigia. Sentii fastidio alla nuca, proprio alla base del collo.
Scossi
la testa, voltandomi, incontrando i suoi occhi verde acqua una ventina
di metri
dietro di me. Augustine, l'alana grigia, stava giocando con un bastone
di legno
e lui mi osservava , in maniera piuttosto strana dovevo ammettere.
Volevo alzarmi e andare da lui, ma sentivo le gambe decisamente
pesanti, da
quando ero diventato così rammollito. Feci un cenno con la
mano, lui sbuffò
sorridendo, per voltarsi a osservare il suo cane. Mi stava prendendo in
giro?
Rimasi a guardare la scena per un pò, soffermandomi sulla
sua figura magra ed
esile. Indossava dei jeans chiari, una felpa nera troppo grande per lui
e le
converse scure. Sorrideva, lo vedevo da li.
Notai, con la coda dell'occhio, il suo leggero movimento della mano,
mentre
rilanciava il ramoscello ad Augustine. Passò poco meno di
qualche minuto, ma mi
alzai e lo raggiunsi. Mi sentivo osservato, nonostante non mi stesse
guardando,
e anche piuttosto in imbarazzo, non sapevo davvero come intavolare il
discorso.
«Zachary»
cominciai, ma venni
interrotto dalla sua mano. Era davanti alla mia faccia e mi faceva
segno di
bloccare il discorso.
«Credo che questo tuo dialogo non debba nemmeno
cominciare» disse, senza
guardarmi. Era nuovamente tornado freddo e distaccato e, davvero, non
riuscivo
più a capirlo.
«Non ti capisco» mi lasciai scivolare sull'erba,
incrociando le gambe e
chiudendo gli occhi.
«Cosa non capiresti?»
«Perchè prima mi tratti come se fossi la
più grande merda su questa Terra e poi
fai... quello che hai fatto» deglutii, sentivo il suo sguardo
addosso e questo
mi imbarazzava da morire. Augustine si accoccolò sotto un
albero davanti a noi,
mentre Zachary si sedette di fianco a me.
«Non lo so» iniziò a torturare l'erba,
strappandone piccoli fili per poi
ridurli in ancora più microscopici pezzettini
«Davvero ti odio, ma non riesco a
fare a meno di starti vicino, in un certo senso» si
schiarì la gola «Dopo
l'altra sera, quando mi sei rimasto accanto per tutta la notte, mi sono
reso
conto che non hai mai fatto nulla di sbagliato, e che la tua vicinanza
poteva
farmi bene in un certo senso.. ma poi ho visto che ci tenevamo per
mano, come
mi guardavi e.. ho preso paura di quello che mi stava passando per la
testa»
sospirò, appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Avevi paura di me?» lo chiesi con talmente tanto
stupore da farlo sorridere.
«Non proprio, ma di quello che mi stavi dando. L'altra sera,
al bar, ero
ubriaco e ho fatto quello che ho fatto, ma ripensandoci ora non me ne
pento
minimamente. E' quello che sento, non vedo perchè
negarlo»
Mi voltai a guardarlo, mi persi in quegli occhi così chiari
da sembrare
l'infinito. Eravamo davvero vicini, sentivo il suo respiro irregolare
sul mio
volto e il mio cuore battere troppo velocemente.
«Sai.. non avrei mai pensato di arrivare a questo»
mi disse, avvicinandosi
ancora un pò al mio volto. Mi portò una mano al
viso, accarezzandomi poi i
capelli. Si avvicinò ancora e premette le sue labbra sulle
mie.
Rimasi immobile, senza sapere cosa fare, quando mi aggrappai ai lembi
della sua
felpa con un impeto assurdo. Sentivo le sue mani tra i miei capelli, il
suo
respiro addosso, le sue labbra morbide sulle mie. Schiusi la bocca,
lasciandolo
entrare, facendo iniziare un gioco di lingue decisamente proibito e
poco
consono in un parco pubblico come quello. Le sue labbra erano morbide e
mi
ricordavano il gusto delle pesche appena raccolte. Lo strinsi
più forte addosso
a me, per poi lasciarlo andare. Ci guardammo, senza parlare.
«Non ci credo» e scoppiò a ridere,
nascondendo il volto nella felpa. Ne
riemerse dopo poco, con le guance colorate di rosso e i capelli
spettinati. Si
alzò, ripulendosi i pantaloni dall'erba.
«Augustine, andiamo» disse, incamminandosi verso
casa. Si voltò verso di me,
che me ne stavo ancora seduto per terra intento a guardarlo
«Questa cosa non è
mai accaduta» e sorrise.
«Certo, non è mai accaduta» e mi lasciai
cadere sull'erba, sorridendo come un
bambino di cinque anni.
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Ok, lo ammetto. Questo capitolo fa davvero pena :(
Speravo ne uscisse qualcosa di meglio ma non mi sembra, se vi ho deluso
mi
spiace davvero, mi rifarò con il prossimo, promesso!! Come
sempre ringrazio chi
recensisce e chi l'ha aggiunta tra le seguite e le preferite. Un bacio!
OldMilk.
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