In another life, I would be your girl.

di GiulsTrevino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's complicated, so complicated. ***
Capitolo 2: *** Quel dannato biglietto.. ***



Capitolo 1
*** It's complicated, so complicated. ***




" . . In another life, I would be your girl . . " parte questa canzone nell'I-pod, tra gli occhiali neri appena comprati una piccola lacrima scende attraverso le sue piccole e rosee guance.
Quanti ricordi suscita quella canzone, eppure non c'era quando lo vide per la prima volta in televisione. No, non c'era eppure era con lei. Si pulisce le lacrime, e continua a camminare.
1,2,3 . . inizia a contare e a guardare in alto. Quel bellissimo cielo azzurro, quelle nuvole bianche assomigliano ad un coniglio. Ride, al pensiero e continua a camminare. Le sue mani fredde tremano ma non è per il freddo, è per quella sensazione.
La stessa sensazione che prova da sei lunghissimi anni, la sensazione che non la lascia dormire certe notti, la stessa emozione, lo stesso calore, le stesse lacrime. Si ferma in cartoleria, sfoglia qualche giornale e per caso lo vede.
Vede quel sorriso, un vecchio servizio fotografico del 2009 su un giornalino del 2012, una parte di lei sorride divertita dalla stupidità italiana, dall'altra sente il cuore opprimersi formando un macigno sullo stomaco. Quel sorriso, quello sguardo.
Il suo intero universo.
Compra il giornalino ed esce dal negozio. Si siede sulla solita panchina del solito parco e sfoglia. Lentamente, terrorizzata, ansiosa. Non vuole arrivare a quelle pagine, eppure le brama con ardore. Alza lo sguardo, le lacrime non smettono di sgorgare,
eppure le compare un leggero e dolce sorriso. Lui c'è sempre stato per lei, c'è sempre stato. Non era presente fisicamente, ma era nei suoi ricordi, nel cuore e nella testa. Sente il sangue salire troppo velocemente alla testa,
gli occhi lucidi e le gambe tremolanti. L'effetto che lui ha su di lei, che aveva sempre avuto, è incredibilmente forte. Impossibile da capire.
Le sue amiche la prendono in giro, non comprendono quel forte legame che la lega a lui.
"Ma andiamo, come fai sul serio a credere di esserne innamorata? Non lo conosci, non ci hai mai parlato. Non sai nemmeno se è quello che credi che lui sia."
Si, hanno ragione. E' assolutamente vero. Io non so chi è lui, non so cosa preferisce fare quando ha appena un po' di tempo libero, non so se ama leggere, non so che musica preferisce, non so nemmeno se è simpatico.
Però so che il suo sorriso sprigiona energia, so che il mio cuore batte all'impazzata quando compare su un dannato schermo. So chi è nei miei sogni, so chi è
. . nel mio cuore.
Mi alzo e inizio a correre. Corro veloce, con la speranza di volare lontano da tutto questo. Lontano da chi non capisce, lontano da chi non vuole capire, lontano da tutti.

Nobody understands.
Nella corsa mi cade il telefono, e nello sbattere parte "Family Tree". Porto una mano sulla bocca come a respingere i singhiozzi e tutto quel dolore. Una semplice canzone, un momento, un arrivederci.

( . . )
Due ore più tardi sul mio letto, osservo il soffitto ricoperto da stelle finte in plastica. Mi chiamano - la sognatrice - per un motivo dopotutto.
Mia madre comprò quelle stelle esattamente cinque anni fa. Un anno dopo averlo visto per la prima volta, lo stesso giorno. Un piccolo regalo per me. Ogni volta che mi soffermo a guardarle vedo il suo viso.
Vedo il suo dolce e piccolo viso che mi sorride tra le stelle, ed io non posso raggiungerlo, ma sorrido con un pensiero dolce che riesce a farmi addormentare.
Il desiderio di essere anche io, con lui, su quelle stelle.

[ to be continued . . ]

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Capitolo 2
*** Quel dannato biglietto.. ***




Cosa fareste se aveste la possibilità di cambiare totalmente vita ma raggiungere l'unica persona che riesce a farvi battere il cuore? Cogliereste l'occasione, o lascereste mandare tutto al diavolo?

Era un freddo giorno di novembre. Correvo cercando di restare sotto ad un ormai sgualcito ombrello. L'oroscopo quella mattina diceva : "Attenzione, oggi grandi cambiamenti."
Avevo sbuffato ed ero uscita di casa borbottando qualcosa sull'inutilità di certi "programmi".
Quella mattina avevo scuola e poi sarei uscita con qualche amica per il centro. Arrivata davanti al solito opaco edificio, mi sedetti alla solita panchina per fumare una delle mie solite sigarette. Marlboro rosse.
Un gruppo di primini mi passò di fronte, ridevano e chiacchieravano sul calcio e wrestling. -Solite cose da maschi.- mi dissi, scuotendo la testa. -Non sanno fare altro. Macchine, calcio, wrestling, moto.-
Perchè mi sembravano tutti così dannatamente uguali? Erano così ridicoli i loro discorsi per me. Così insulsi.
Finita la pausa fumo entrai, saluti Carla, la bidella pugliese. Presi le scale di destra e feci il mio ingresso in aula. Solite cose. Italiano, Storia, Matematica e Economia. Odiavo la scuola, odiavo dover studiare cose che non mi sarebbero mai servite a niente.
Intervallo.
Finalmente, oserei dire.
Solito angolo, solite scale, solite amiche. Sorrisi sedendomi accanto a Natasha che mi stava già offrendo una sigaretta. Eravamo amiche da otto anni, eppure mi sentivo un'estranea. Con tutte loro.
Non sapevano niente di me, del mio amore per lui e della mia voglia di scappare via da questa inutile città. Tutte queste persone uguali, e fottutamente stupide mi asfissiavano.
Mi mordicchiai un labbro innervosita da tutte queste ragazzine e i loro urletti da prima elementare. Finita la paglia, mi diressi di nuovo in classe. Geografia, Inglese e Francese.
Geografia sembrava non terminare più. Appena suonò la campanella, tirai un sospiro di sollievo. Non ne potevo più di montagne, colline e chissà cosa. Ora Inglese. Un enorme sorriso comparve sul mio volto, si, Inglese.
Amavo fare Inglese, amavo imparare quella lingua. La professoressa Cuoghi entrò con i soliti tacchi da 15 cm. e con più trucco di Moira Orfei. Salutò ed iniziò la lezione. I quarantacinque minuti più belli della mattinata.
Passò Inglese, e durante Francese mi feci una sana dormita.
(..)

Finalmente fuori mi avviai al bar del centro dove Roberta e Valentina erano ad aspettarmi. Prendemmo il solito menù (Panino, the alla pesca e patatine)
Dopo aver pagato, uscendo dal bar, mi cadde il portafoglio. -La solita sbadata.- disse ridendo Vale. Soffiando consapevole mi chinai per raccoglierlo quando lo vidi.. Vidi quel dannato biglietto.
Era piccolo, giallo appassito, e con scritte nere. Non capivo cosa ci facesse nel mio portafoglio, non l'avevo messo io. Me ne sarei ricordata.
Sentivo gli sguardi delle mie due amiche fissi su di me, incapaci di capire cos'avessi trovato. Infilai il biglietto in tasca, l'avrei letto più tardi. Sorrisi rialzandomi.
-Allora, andiamo?-

(..)

Aprii la borsa adagiata sul letto, dopo cinque minuti di beato silenzio. Ero elettrizzata ma allo stesso tempo spaventata. Non mi capitavano queste cose, mai.
Presi tra le mani quel piccolo foglietto, indecisa ancora se andare avanti o fermarmi. Una scia di goccioline scese attraverso il collo.
-Oh, al diavolo.- esclamai. Sciolsi la carta, stendendola bene. Mi stropicciai gli occhi, ed iniziai a leggere decisa, tutto d'un fiato.



Siamo liete di annunciarle che ha vinto un biglietto per New York, in occasione della quindicesima inaugurazione della mostra "Noi aiutiamo".
Ospite d'onore : Michael Trevino.



Il respiro inizò ad affannarsi terribilmente, le ginocchia a tremare, le mani a sudare. L'unica cosa che non si muoveva era la bocca. La lingua si era come appiccicata, incastrata in qualche buco.
Soffiai pesantemente cercando di prendere il fiato necessario. Finalmente deglutii, non persi tempo.
-Mamma!- urlai.

( . . to be continued. )

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