Fall in love

di hug me peeta
(/viewuser.php?uid=188903)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfetti sconosciuti ***
Capitolo 2: *** Ci conosciamo già per caso? ***
Capitolo 3: *** La casa di Janissa. ***
Capitolo 4: *** Incomprensioni ***
Capitolo 5: *** Mentire mi viene bene ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Perfetti sconosciuti ***




Fall in love.























 
Capitolo 1

-

Perfetti sconosciuti








 

Luce si era trasferita da poco in Canada, esattamente due giorni fa, ed era stata costretta dai suoi genitori a frequentare una scuola normale, come tutti gli altri adolescenti della sua età. Per lei, una ragazza sempre abituata a studiare a casa, era stato uno shock. In diciassette anni non era stata in grado di instaurare amicizie solide ad Atlanta, se non quella con la sua migliore amica Charlotte, figurarsi lì, in una cittadina minuscola chiamata Stratford.

Lucinda dormiva ancora quando il sole brillò e illuminò la sua stanza. Era stanca morta a causa della noiosissima e lunghissima partita a Monopoly disputata tra lei e vari parenti e conoscenti che si erano riuniti a casa sua la sera prima. La sveglia trillò sul comodino e Luce si girò dall’altra parte del letto mentre la sveglia continuava a trillare incessantemente. Alla fine si costrinse ad alzarsi e a spegnere quel dannato oggetto che stava per cadere dal comodino. Poggiò i piedi avvolti nelle calze di lana e si alzò in piedi. Sbadigliò e andò in bagno. Il suo aspetto non era dei migliori, ma non poteva farci nulla a parte smettere di giocare a Monopoly fino a tarda notte (rischiando però l’odio profondo dei suoi parenti che consideravano ‘sacra’ la serata dedicata al Monopoly) e il nomignolo di ‘associale’. Sospirò.

Venti minuti dopo Luce stava scendendo le scale e si stava dirigendo verso la cucina, pronta a consumare una ricca colazione, ovvero una barretta di cereali. Quando arrivò in cucina non c’era più nessuno in casa, erano già tutti usciti, ma avevano lasciato attaccato sul frigo una mappa della città e un biglietto.

“Ciao Lucinda, ti lascio una mappa della città e cento dollari per la spesa.
Spero tu ti diverta al tuo primo giorno di scuola,
con affetto, mamma”

Lucinda rilesse più volte il biglietto finchè non decise che era ora di andare a scuola. Scuola, una parola comune per qualsiasi altra persona, ma Luce la vedeva quasi come un insulto. Per lei era tradimento ciò che le avevano fatto i genitori, impegnatissimi e indaffaratissimi per ricordarsi di avere una figlia da accudire. Se non altro, a causa di questo improvviso ‘cambiamento’, i suoi genitori avevano dovuto acconsentire all’acquisto da parte di Luce di una macchina, precisamente una vecchia Cadillac di colore nero, la pupilla degli occhi di Luce. Ella, infatti, aveva sudato moltissimo pur di ottenerla: aveva portato a spasso cani grossi quasi più di lei, fatto la baby-sitter a odiosi marmocchi e lavorato per quasi un mese in un fast-food. Aveva smesso di lavorarci a causa dell’odore insopportabile del fritto che impregnava i suoi vestiti e dalla nausea che ne derivava.

Non sapendo leggere una cartina, Luce impiegò più del dovuto per trovare l’edificio scolastico e arrivò in classe dieci minuti in ritardo, quando la lezione di trigonometria era già iniziata. Era arrossita quando tutti i ragazzi e le ragazze si erano voltati a guardarla e ancor di più quando il professor Conan, lo stesso nome di uno dei suoi scrittori preferiti, con sguardo alquanto arrabbiato la presentò alla classe e la fece accomodare in posto vuoto, isolato, dell’ultima fila.
Luce era la nuova arrivata, la novità e a questo pensiero, il suo stomaco si contorse. Sarebbe stato una delle cose più difficili fare amicizia con qualcuno di questi ragazzi, che ovviamente si conoscevano tra di loro, avevano giocato tra di loro, forse anche da bambini. Lei, invece non si era mai allontanata più di tanto da Atlanta, al massimo era stata a Abbeville dai nonni.
Alla fine della prima ora guardò nella cartella alla ricerca della pianta della scuola che le era stata consegnata da Miss Barnaby in segreteria. La sua prossima lezione sarebbe stata scienze, una materia che Luce era felice di studiare.
Corse nel caos generale verso l’aula numero 3 che si trovava dall’altro lato dell’edificio a quanto diceva la pianta. In pochi minuti tutti i ragazzi si dileguarono nelle aule e Luce rimase l’unica a camminare e c’era così tanto silenzio che persino le sue All Star nere facevano rumore contro il pavimento. Se non si fosse sbrigata sarebbe arrivata di nuovo in ritardo e dato che non voleva avere nessun altro professore in antipatia, accelerò il passo, quando, ad un certo punto, sentii dei passi dietro di lei. Si voltò e vide una ragazza dai folti e lunghi capelli castani dirigersi verso di lei correndo. Dietro la ragazza correva una donna alquanto robusta che reggeva un portadocumenti in mano.
“Janissa! Janissa! Fermati subito!” urlò la donna. Poco dopo Luce la vide fermarsi e riprendere fiato mentre la ragazza che sembrasse chiamarsi Janissa si prendeva gioco di lei facendo boccacce.
“Desiree mi deludi. La scorsa settimana correvi più veloce. Ora non riesci a fare neanche cinque metri senza stancarti?”
Janissa continuava a prendersi gioco di Desiree, ma lei non sembrava farci troppo caso, anzi, sorrise all’ironia di Janissa.
“Ringrazia il cielo che sei mia nipote e che quindi non ti faccio sospendere” fece una pausa e fissò Luce. “Tu che ci fai qui? Non dovresti essere a lezione?” Luce era sul punto di rispondere, ma Janissa lo fece prima di lei.
“Non preoccuparti Desiree. Mi occuperò io di lei” Janissa rivolse un caloroso sorriso a Luce e lei lo ricambiò subito, almeno aveva già guadagnato una sorta di amica. Desiree inclinò il capo a destra e sinistra. “Posso fidarmi di te?”
Janissa alzò gli occhi al cielo e avvicinò Luce a sé. “Certo che ti puoi fidare” detto questo trascinò Luce verso la fine del corridoio.
“Dove devi andare? Sei una novellina vero? Non ti preoccupare, mi prenderò io cura di te” ora che Luce la guardava più da vicino, vedeva dei bellissimi occhi verdi sotto quelle lunghe ciglia. Janissa era molto più bassa del metro e settanta di Luce, e quei lunghi stivali bruni, di pelle, la facevano sembrare ancora più bassa. Aveva dei capelli castano chiaro lunghi fino alla vita che Luce invidò sin da subito: i suoi, al contrario, erano lunghi fino alle spalle e non crescevano più di tanto. Indossava una maglietta a maniche lunghe di colore bianco con una grossa scritta di colore argento che diceva: ‘ I love me’ e dei blue jeans a vita bassa stinti.
“Sì sono nuova e devo andare all’alula tre e sono piuttosto in ritardo” Luce era in ansia, chissà cosa avrebbe pensato la professoressa Smith di lei.
Janissa la guardò sorridente. “Ormai la lezione è andata. Se entri ora o se non entri non fa nessuna differenza, te lo garantisco. Piuttosto, ti va di fare un giro per scuola?” Luce avrebbe voluto rispondere di sì, che voleva andare a fare un giro con lei, ma non voleva marinare la scuola, in fondo era il suo primo giorno. Scrollò la testa per cancellare questi pensieri e annuì a Janissa.
Janissa ironizzò su tutti i luoghi pubblici della città mentre continuava il giro della scuola e raccontò a Luce tutti gli aneddoti più divertenti della città e dei suoi abitanti. Luce trovava divertente Janissa, ma in lei vedeva qualcosa di oscuro e nebuloso.
“E questo è il nostro campo di basket all’aperto” e con un cenno della mano Janissa indicò una struttura messa abbastanza bene secondo gli standard di Luce nella quale in quel momento giocavano dei ragazzi. Avranno di sicuro marinato la scuola anche loro pensò Luce. Janissa si sedette su una panchina lì vicina ricolma di foglie. Luce la seguì.
Si chinò sulla panchina per spazzolare alcune foglie secche e fu in quel momento che lo vide. Portava grossi occhiali Ray-Ban di colore nero che gli coprivano gran parte del viso e nonostante non facesse poi così freddo indossava una giacca sopra la camicia aperta da cui si intravedeva una maglietta dal colore blu scuro, i pantaloni, leggermente abbassati erano di un colore appena più scuro della maglietta che portava. Luce rimase a fissare i capelli biondo cenere che venivano scompigliati dal vento e le labbra rosee. Quel ragazzo era di una bellezza che le tolse il fiato.
Luce era fatta così. Ogni qualvolta vedesse un ragazzo carino ne rimaneva affascinata, per poi perdere ogni interesse per lui.
“Quello è Justin Bieber. Bel tipo, eh?” ovviamente Janissa si era accorta dell’interesse di Luce verso quel ragazzo che ora la fissava attraverso i grandi occhiali. Le guance di Luce si riscaldarono e, per quanto volesse, non riusciva a non guardare quel magnifico ragazzo.
Justin si tolse gli occhiali e osservò Luce attentamente con aria burbera, poi, ad un tratto, le sue labbra scattarono in un sorriso. Automaticamente anche quelle di Luce sorrisero finchè Justin alzò una mano e le mostrò il medio.







Hello(?)

ecco a voi il primo capitolo! vorrei che recensiste cwc

p.s. questa storia è ispirata a 
fallen di lauren kate (la scrittrice è una
fan sfegatata) però, sia chiaro, niente 
angeli!


#muchlove 

@___bieberconda on twitter
                                                    


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ci conosciamo già per caso? ***


 Chiedo molto a dire che voglio solo quattro recensioni per questo capitolo?





 Capitolo 2

-
Ci conosciamo già per caso?






 

 
Luce abbassò lo sguardo all’istante. Non poteva credere di essere stata mandata a farsi fottere, e per di più da uno sconosciuto che non la conosceva nemmeno.
Si voltò verso Janissa per assicurarsi che non avesse visto il suo tete a tete con quel ragazzo che la stava ancora osservando. Non pareva averci fatto caso, anzi, pareva che la sua testa stesse da tutt’altra parte, infatti Janissa stava fissando qualcosa o meglio, qualcuno. Luce voleva capire chi fosse e così si mise sulla stessa traiettoria visiva di Janissa e notò un ragazzino moro e abbastanza basso che correva di qua e di là mentre giocava a basket.
“Quello è Charles, ma qui tutti lo chiamano Chaz. Non ti sembra meraviglioso?” Luce osservò Janissa con la coda dell’occhio e sorrise. Aveva proprio l’aria di una ragazza innamorata: gli occhi le brillavano e le guance erano rosee come dei boccioli di rosa.
“Invitalo per un appuntamento” fu tutto quello che Luce riuscì a dire. Fosse stata lei (forse) l’avrebbe fatto, almeno avrebbe pensato ad un’eventualità di questo genere per poi liquidare in fretta l’idea, ma dato che d’amore non se ne intendeva granché forse avrebbe fatto meglio a tacere.
“È una buona idea. Vacci tu novellina” Janissa la inchiodò con lo sguardo e con la testa le fece segno di andare. Luce si sentì messa con le spalle al muro. Era ovvio che non sarebbe mai andata da uno sconosciuto a dire ‘vuoi uscire con la mia amica che ho conosciuto tipo un’ora fa?’, ma non voleva neanche perdere la sua prima ‘amica’ che si era fatta qui a Stratford.
La scelta era dura: o la dignità o l’amicizia. Luce scelse la dignità non solo perché avrebbe fatto la figura dell’idiota (poco ma sicuro), ma anche perché tra quei ragazzi si trovava anche il ragazzo che poco prima l’aveva mandata al diavolo.
“Senti, non ci andrò. Mi dispiace, ma non ho intenzione di avere un altro incontro-scontro con quello lì” Luce non fece il nome di Justin, ma era ovvio che si riferisse a lui.
Janissa pareva divertita. “Sì, ho visto. Mi sa che non gli piaci, ma non preoccuparti, a quel ragazzo non piace nessuna, per quanto ne sappia” Luce annuì con la testa, come per dare atto di ciò che aveva detto Janissa.
“Beh, credo che dire che io non gli piaccia è un eufemismo. Sembra che mi odi, ma io non credo né di averlo mai conosciuto né di averlo mai visto” Luce si girò a vederlo. Ora stava giocando anche lui a basket e aveva tolto la giacca e aveva rialzato le maniche della camicia. Da quella distanza, a Luce non pareva un ragazzo molto muscoloso.
“Davvero non lo conosci? Eppure credevo che quella bi…” Janissa si bloccò di colpo. “Ecco guarda chi è arrivata”
Luce vide una ragazza bruna e molto bella avvicinarsi a Justin. Il suo cuore sprofondò. Che quella fosse la sua ragazza? È ovvio che lei sia la sua ragazza, ma guadatela. Luce osservò con attenzione la ragazza che in quel momento stava parlando con i ragazzi. Non sembrava molto alta, era più bassa di diversi centimetri di Justin ma, pensò Luce, che forse era Justin ad essere alto. La ragazza teneva i lunghi capelli legati in una coda alta e portava indosso un uniforme delle cheerleader. Logico. Cheerleader+ giocatore di basket= amore. Non doveva sorprendersi più di tanto, ma lo fece. Le pareva che Justin non dovesse stare con una come quella ragazza, ma con una ragazza forse con più cervello, forse una come…come lei? Luce si guardò attentamente. Secondo i suoi standard non c’era niente in lei che potesse attirare l’attenzione di un ragazzo. Alzò lo sguardo e continuò a fissare i due ragazzi che ora erano vicinissimi e parlavano animatamente. Lui pareva sorridere, lei era raggiante. Luce provò un’infinita gelosia e voleva andare lì e spingere via quella ragazza e affondare il viso nel petto di Justin. Abbassò lo sguardo all’istante e arrossì. Come poteva pensare ciò? Scosse la testa, quei pensieri dovevano sparire.
“Quella ragazza è Selene, ma non preoccuparti: non è fidanzata con Bieber, tranquilla!” Janissa le diede una pacca sulla spalla come per rinfrancare Luce, ma non ci riuscì più di tanto.
 A Luce venne in mente il discorso di poco prima di Janissa. Cosa voleva dire?
“Senti Janissa, di cosa stavi parlando prima dell’arrivo di Selene?” Luce voleva sapere, doveva sapere.
“Prima dell’arrivo di Selene?” Janissa fece la finta tonta e si mise a pensare. La campanella suonò.
“Senti ne riparliamo più tardi, ok? Ora devo andare, ho lezione di chimica con Quattrocchi” Luce corrugò la fronte nell’udire questo nome mentre vedeva Janissa allontanarsi sempre di più e diventare sempre più piccola. Si girò per guardare Justin e se si pentì: lui la stava fissando. Voltò immediatamente lo sguardo dall’altra parte, arrossendo.
Appena lo vide andarsene, raccolse la cartella da terra e se la mise in spalla. Controllò l’orario. La sua prossima lezione sarebbe stata quella di ginnastica.
Trenta minuti dopo Luce si era ritrovata in un’ampia palestra e un pallone da pallavolo in mano. Tutti aspettavano che tirasse la palla. Luce non era mai stata un genio negli sport, malgrado alcuni sport come la pallavolo le piacessero davvero. Il nervosismo ebbe la meglio su di lei e lanciò la palla dritta sulla testa del povero ragazzo che si trovava davanti a lei.
“Scusa, scusa, scusa! Mi dispiace moltissimo, io non volevo…” Luce si precipitò subito sul ragazzo per controllare di non avergli fatto troppo male. Il ragazzo si massaggiò il capo e si voltò verso di lei. Le sorrise, aveva un sorriso meraviglioso.
“Non ti preoccupare, ho la testa dura io” continuava a massaggiarsi il capo ed ad un certo punto una smorfia attraversò il suo viso. Doveva aver toccato il punto dolente.
“Comunque il mio nome è Jason, piacere” Jason le tese la mano e lei la prese subito. Era così calda e morbida…
“Ti ricordi di me, non è vero?” le chiese, titubante. Luce aggrottò la fronte. Non si ricordava di Jason, però quei suoi grandi occhi blu mare le ricordavano qualcosa, per non parlare dei tratti così perfetti del suo viso. Era mai possibile che doveva, ogni volta, rimanere imbambolata a fissare un ragazzo carino? Jason le strinse la mano e Luce notò che le loro mani non si erano mai staccate. Ritrasse la mano colma di imbarazzo.
“No, non mi ricordo di te” Luce si tirò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio.
Jason pareva meravigliato dalla risposta di Luce e alzò lo sguardo verso il soffitto. Dopo un’istante Jason tornò a guardarla.
“Ma sì che mi conosci. Io e te giocavamo insieme nel fango, da piccoli. Lo ricordo come fosse ieri Luce” Lucinda fremette sentendo il suo nome sulle labbra di Jason. Avrebbe voluto che Jason ripetesse il suo nome mille e mille volte.
Justin, Jason… due incredibili e diversi ragazzi. Uno che l’odiava l’altro che la trovava simpatica. Luce si morse il labbro. Incredibile che pensasse a due ragazzi contemporaneamente quando in passato non ci aveva neanche minimamente pensato.
“Davvero? Io non riesco a ricordare” Luce aggrottò la fronte com’era solita fare quando pensava.
Jason si grattò la testa. “Vabbè, so che prima o poi mi ricorderai. Ah, a mensa siediti vicino a me. Ci vediamo!” si allontanò da Luce nell’esatto momento in cui suonò la campanella. Luce rimase lì a fissarlo. Sentì dei passi dietro di lei e il rumore di palle che rimbalzavano. Un brivido le percorse la schiena quando notò che era l’unica rimasta in palestra. Qui la gente doveva davvero odiare quella scuola per dileguarsi così in fretta.
“Lo sai che qui non puoi rimanere, vero?” una voce dura e roca la fece trasalire. Luce si girò piano e il cuore le si gonfiò: in mezzo a tutti quei ragazzi, c’era Justin, che ovviamente la guardava con odio profondo.
“Allora, mi hai sentito? Non puoi stare qui” Luce tornò con i piedi per terra e si trovò faccia a faccia con un ragazzino alto quasi come Janissa e a Luce scappò un risolino. Osservandolo meglio si accorse di averlo giù visto. Ma, sì, era Charles, il ragazzo di cui Janissa era innamorata!
“Sì, ora me ne vado, non ti preoccupare” Lucinda se ne andò e per tutto il percorso fissò intensamente negli occhi Justin. Quegli occhi color del caramello non le erano nuovi.
Il pranzo passò veloce e fu molto divertente, soprattutto grazie alle imitazioni di Mr. Conan da parte di Jason. Grazie a lui non solo si era divertita un mucchio, ma aveva fatto amicizia anche con altri ragazzi e ragazze che si offrirono volentieri di darle una mano. Tutti erano così gentili, tutti tranne uno. Luce fece correre il suo sguardo per tutta la mensa, voleva incontrare i suoi occhi, doveva vedere i suoi occhi. I suoi occhi però non lo trovarono e ora che ci pensava neanche Janissa si trovava più. Pensò di chiedere ai suoi nuovi amici informazioni su Janissa e, magari anche su Justin.
“Ehi, ragazzi, conoscete Janissa?” dodici paia di occhi la fissarono, meravigliati.
“Janissa?” una ragazza disse il suo nome con uno strano tono, che pareva di disprezzo all’orecchio di Luce. “Sì, Janissa. Occhi azzurri e capelli castano chiaro” rispose Luce. Perché questi ragazzi disprezzavano in talo modo Janissa?
“Senti, Luce, Janissa è un po’…” Jason fece una pausa “…strana” alla parola strana Luce fece una smorfia. Era vero, Janissa non si era comportata educatamente con quella donna robusta di nome Desiree, ma addirittura pensare che fosse strana.. Ora che ci pensava cosa ci faceva Janissa in giro per la scuola nell’orario di lezione? Luce scosse la testa. Anche se Janissa fosse stata davvero strana, le sarebbe stata accanto lo stesso, in fondo lei era stata la prima con cui aveva stretto amicizia.
Jason le posò una mano sulla spalla e la guardò negli occhi. “Stalle lontana, ok? Potrebbe farti del male, potrebbe colpirti alle spalle, non sappiamo cosa è in grado di fare” un brivido percorse la schiena di Luce.
“Janissa è pazza! Si dice che abbia ucciso la sua famiglia!” disse una ragazza. “Sì è vero! E pare che abbia cucinato i suoi genitori!” acconsentì un’altra.
 Luce osservò attentamente le due ragazze che avevano parlato. Erano gemelle. Avevano capelli biondi lunghi fino al petto, dritti e lisci, gli occhi erano di un verde brillante. Non solo erano identiche nell’aspetto fisico, ma era uguali anche nel vestiario: indossavano una maglietta a maniche corte di colore blu con una cintura grossa di colore bruno che stava pochi centimetri sotto al seno, jeans e ballerine.
Pettegole le catalogò subito Luce. Per lei erano il genere di persona da cui stare alla larga.
L’ora successiva era con Miss Jenna, soprannominata Quattrocchi, la professoressa di chimica. Luce si era sempre divertita da bambina a giocare al piccolo chimico, ma questo accadeva dieci anni fa, quando aveva quasi fatto impazzire sua madre mentre mischiava liquidi sconosciuti in una provetta rischiando di far esplodere l’abitazione. Luce sorrise al quel ricordo. Si accomodò nel posto vicino a quello di Riley, la ragazza dai capelli neri e lunghi che si era seduta vicina a lei anche a pranzo. Riley le sorrise. “Allora, come sta andando il tuo primo giorno di scuola?”
“Bene, anche se sono rimasta un po’ sconvolta da cosa hanno detto a pranzo” Luce ricordò la conversazione avvenuta qualche minuto primo e una sgradevole sensazione la prese in contropiede.
“Non badare a ciò che dicono Melany e Melody, sono solo due pettegole che non sanno cosa fare se non sparlare della povera gente” era ovvio che a Ryan non piacessero, lo si notava dalla voce e dall’espressione sul suo volto. Luce scorse una caricatura fatta piuttosto bene delle due ragazze. Subito Riley le era sembrata simpatica, ma ora l’adorava. Era dolce e gentile, per non dire che era anche leggermente timida e riservata. Forse a lei avrebbe potuto chiedere informazioni su Justin.
Luce si meravigliava sempre di quanto poteva diventare ossessiva nei confronti di un ragazzo, ma la sua ‘ossessione’ era niente in confronto a quella di una certa sua amica.
“Riley, oggi io e Janissa siamo andate un po’ in giro e abbiamo visto dei ragazzi carini che giocavano le campo da basket e mi chiedevo se…” Riley la guardò e alzò gli occhi al cielo. “Vieni al punto, coraggio. Chi è?” Luce fece un profondo respiro. La sua tattica ‘sii normale e gira attorno all’argomento’ non funzionava. Sarebbe stato meglio averle detto subito la verità.
“Ok, c’è questo ragazzo, Justin, che mi ha mandata al diavolo questa mattina e vorrei sapere delle cose in più su di lui” Luce aveva parlato così velocemente che non sapeva se Riley avesse afferrato il concetto.
“Mmh. È strano che Justin mandi al diavolo una ragazza, di solito ci prova e poi, in alcuni casi, la manda al diavolo. Cosa gli hai fatto?” Riley ora sembrava divertita.
“Il punto è proprio questo. Non gli ho fatto nulla. Comunque, sai dirmi qualcosa su di lui?”
“Non t’arrendi mai, eh? Ora no. Forse domani, ma non ti preoccupare, avrai le tue informazioni piccola stalker” stalker? Riley l’aveva forse chiamata stalker? Era così evidente che lei stesse così dietro a Justin? Luce arrossì di colpo.
Per tutto il resto dell’ora Luce non le rivolse la parola, voleva evitare altre figuracce. La campanella suonò, ma nessuno si mosse dal proprio posto. Luce trafficò nella cartella alla ricerca dell’orario odierno e notò, con sua grande sorpresa, che anche la prossima ora si sarebbe svolta in quella classe.
“Ora formate delle coppie, coraggio, vivisezioneremo una rana!” una rana? Una rana! Luce ebbe il voltastomaco, non aveva MAI in vita sua vivisezionato una rana, il solo pensiero la faceva sudare.
“Ma guarda un po’ chi abbiamo qui! Benvenuto signor Bieber!” al suono di quel nome Luce alzò lo sguardo e vide un tizio, probabilmente un bidello, tenere per la collottola Justin. Luce non poté far altro che ridere in silenzio di quella situazione così divertente per lei.
“Oh, abbiamo anche il signor Butler qui con noi! Ma che immenso piacere!” Luce si chiedeva cos’era tutta quella contentezza.
“Come mai Quattrocchi è così, ehm, felice?” sussurrò Luce a Riley.
“Beh, vedi, quei due simpaticoni saltano quasi sempre le lezioni di Quattrocchi. La sua felicità deve essere dovuta al fatto che li hanno beccati.” Riley posò i suoi occhi azzurri su Luce. “Mi sa che ti dovrai spostare, quello è il posto di Ryan” Luce voltò lo sguardo in direzione di Quattrocchi e poi lo fece scorrere attraverso le file. Solo due banchi erano vuoti e questo significava che avrebbe dovuto sedersi vicino a Justin. Questa situazione la metteva a disagio.
“Bene, ora che è tutto sistemato, il signorino Bieber può andare a sistemarsi al suo posto. Signorina Dove può andare a sistemarsi vicino al signorino Bieber, grazie? Bene, attenzione a me! Karlie distribuisci le schede, una per banco”
Luce si alzò e prese a camminare verso il banco. Sfiorò la spalla di Ryan che le toccò il sedere. Luce la guardò inorridita e lui le fece l’occhiolino e prese a chiacchierare divertito con Riley. Luce scosse la testa e si accomodò al suo posto con finta nonchalance. Appena si sedette Justin le allungò il foglio e si appoggiò sul banco.
***
La lezione in compagnia di Justin era stata grossomodo bella e silenziosa, soprattutto silenziosa: Justin non aveva fiatato e non si era mosso dalla sua posizione.
Luce si guardò intorno in cerca di Janissa, ormai scomparsa. Dopo un po’ decise di arrendersi e si diresse verso la sua macchina e lì vi trovò appoggiata Janissa che la guardava con aria triste.
“Janissa! Ma dov…” Luce non finì di parlare, Janissa la zittì con un dito. “Ho sentito che ti hanno raccontato la storia della mia vita. Non devi fingere né compassione né pena per me, ok? Ok.” Luce era scioccata. Doveva dire qualcosa a Janissa e poi lei doveva ancora dirle cosa stava per dire prima.
“Non mi interessa cosa dicono di te, rimarrò sempre al tuo fianco, altrimenti non sarei un’amica degna di questo nome, no?” Luce le rivolse un sorriso caloroso e corse ad abbracciarla. Janissa rimase interdetta per qualche secondo e poi tentò di liberarsi dalla morsa di Luce.
“Mi soffochi! Non respiro! Ok, ok siamo amiche, ho capito, basta!” Luce sorrise e strinse ancora di più. Le piaceva abbracciare le persone in quel modo così soffocante e spensierato. Poco dopo lasciò andare Janissa per accertarsi che fosse ancora viva.
Janissa prese aria a pieni polmoni e disse: “Sei davvero un’amica. Altre persone non avrebbero fatto quello che hai fatto tu, grazie. Ti va di venire a casa mia?” Janissa le sorrise, un sorriso pieno di felicità e gioia.
“Ma certo!” rispose Luce e insieme salirono in macchina. Luce rise, ora sembravano Thelma e Louise.


 

____________________________________________________________

Buongiorno bella gente(?)
Oh, due recensioni e 63 visite?Fantastico!
Ok, questa storia non sarà certo da Nobel per la letteratura, ma
un piccolo sforzo per recensire potreste anche farlo e.e
Grazie a TheGoldenGirl e a UnderMistletoe9394 per
aver recensito. Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La casa di Janissa. ***


scusate il ritardo, sono riuscita a farmi ritirare il pc.




Capitolo 3

-

La casa di Janissa.








 

“Svolta a destra e poi ancora a sinistra” Janissa stava dando istruzioni a Luce, che guidava silenziosa.
“Eccoci, siamo arrivati! Parcheggia pure nel vialetto” Luce posteggiò e osservò la casa.
L’abitazione era dipinta con della vernice color ecrù, il recinto bianco candido circondava un’area di terreno abbastanza vasta ricoperta dall’erba verde acceso con qualche puntino rosa e blu dei fiori. Il tetto, spigoloso, era di un blu acceso e le finestre anteriori avevano gli stipiti verniciati di un colore marrone chiaro ed erano ornati da tendine di pizzo blu e vasi ricolmi di orchidee bianche. Sulla parte ovest della casa vi era il camino, fatto di mattoni rossi ormai marroni. In questo momento non usciva fumo dal camino, ma Luce si immaginava il camino fumante e Hansel e Gretel girare intorno alla casa. Sorrise, quella casa sembrava una casa delle favole, una casa surreale e perfetta, troppo perfetta si disse Luce. Sapeva che non tutto è come appare e solo perché l’aspetto esteriore della casa fosse bello e invitante non voleva dire che lo fosse anche l’interno.
“Ehi! Lucinda! Lucinda Blue! Muovi il sedere ed entra in casa!” Luce fu ridestata dai suoi pensieri dal suono della voce di Janissa che la chiamava.
“Sì, sì arrivo!” Luce era rimasta sconcertata da come l’aveva chiamata Janissa. Luce non le aveva raccontato niente di sé, però sembrava che Janissa la conoscesse da una vita. Collegò questo pensiero alla frase che Janissa non le aveva finito di dire.
S’incamminò verso la porta d’ingresso ed entrò nell’abitazione. L’interno era caldo e confortevole, un parquet marrone rivestiva il pavimento del corridoio e arrivava fino alla cucina, grande, spaziosa e luminosa.
Janissa corse su per le scale e Luce la seguì.
“Di qua, vieni!” Janissa la prese per mano e la condusse in una stanza. La porta era piena di disegni e adesivi che ricoprivano tutta la porta. Lucinda sorrise nel vederli. Erano attaccati tutti uno sopra l’altro, ma Lucinda riuscì a intravedere una foto. Era vecchia e un po’ stropicciata, ma riuscì ugualmente a vedere le persone che vi erano ritratte.la guardò da più da vicino e vide dei bambini. Dei bambini in quella che sembrava una spiaggiao un lago. Socchiuse gli occhi e osservò meglio la fotografia. I bambini nella foto erano quattro. Due si tenevano per mano e giocavano con la sabbia, gli altri due stavano costruendo un castello di sabbia.
Si avvicinò ancora di più alla foto, ma allora spuntò dal retro della porta Janissa, che la guardava accigliata. “Cosa c’è?” le chiese. Lucinda abbozzò un mezzo sorriso e arrossì. “Nulla, stavo solo guardando la tua porta, è molto carina” Janissa la guardò socchiudendo gli occhi e la tirò nella camera. Lucinda sentì un ‘crack’ e sbiancò. Janissa mosse le sopracciglia in un modo strano e la osservò. Lucinda abbassò lo sguardo, imbarazzata.
“Cosa c’è, ancora?” le chiese Janissa. Lucinda si guardò il braccio e disse: “Ho sentito un ‘crack’ provenire dalla mia spalla…” Janissa rise di gusto. “Bhe, guarda il lato positivo, ora sai che sei croccante!” Lucinda non capì la battuta e fece una faccia stranita.
“Benissimo, cosa vuoi fare di bello?” Janissa le andò così vicino al viso che Lucinda dovette arretrare. “Mhm. Non lo so, decidi tu” Lucinda si pentì subito di averle dato la possibilità di scegliere cosa fare. Poteva anche venirle la bellissima idea di fare una seduta spiritica o cose del genere. Però se le avesse chiesto di fare riti vudù con una bambolina simile a Selene, avrebbe accettato volentieri.
Lucinda si guardò in giro e vide altre fotografie: una stava sul comodino di Janissa, vi era raffigurata una ragazza, no, una donna che probabilmente aveva circa venti anni. Un’altra foto stava accanto alla finestra. Questa volta raffigurava due bambine che giocavano nel giardino della casa di Janissa. Il suo sguardo percorse l’intera stanza e molte, moltissime fotografie immortalavano quella donna con una bambina in braccio. In molte delle foto la donna sorrideva, in altre, invece, aveva uno sguardo neutro, triste.
“Chi è?” chiese ad un certo punto Luce. Janissa alzò lo sguardo e incontrò quello di Luce. “Cosa?” le chiese Janissa. “Chi è la donna nelle fotografie” il viso di Janissa divenne cupo e triste. “E’ mia madre. È morta non molto tempo fa, quando avevo circa dieci anni” Janissa sorrise per un secondo e poi abbassò lo sguardo. “Oh”. Lucinda non sapeva cosa dire, quindi optò per le due parole che dicevano tutte le persone in questi casi. “Mi dispiace”.
Janissa alzò lo sguardo e sorrise nuovamente. “Oh, non sei costretta a dire che ti dispiace. Tutti dicono:’Mi dispiace’. Vorrei che le persone mi dissero altro. Vorrei che le persone non mi trattassero come una povera pazza disperata.”
Lucinda non sapeva nuovamente cosa dire, si sentì un groppo alla gola. “Cosa vorresti che ti dicessi? Dovrei mentirti dicendoti che tutto andrà bene? Sappiamo entrambe che le cose non vanno affatto bene per te, basta guardarti in viso.” Lucinda le rivolse un dolce sorriso e poi l’abbracciò. Solitamente non era così tenera con le persone, anzi, certe volte sembrava che ne fosse allergica. Dopo poco Luce sentì dei singhiozzi provenire da Janissa. La abbracciò ancora di più. “Sfogati pure, tesoro. Non avere paura di piangere. Certe volte può essere utile. Credo che piangere ti liberi da tutti quei sentimenti che altrimenti rimarrebbero chiusi dentro di noi."
Janissa si scostò dall’abbraccio poco dopo e le sorrise. I suoi occhi erano un po’ rossi e gonfi, ma erano ugualmente bellissimi. “Sai che hai dei bellissimi occhi azzurri?” Janissa a quella domanda rise. “Questo sarebbe il tuo modo di consolarmi?” questa volta rise anche Luce. “Ok, ora vado in bagno. Torno subito” Janissa non ebbe neanche tempo di finire la frase che era già uscita dalla stanza.
Lucinda sorrise e cominciò a fare dei giri con la sedia a rotelle. Si stava divertendo come una bambina.
Si era appena lanciata verso il corridoio che Janissa spuntò dalla porta. Luce dovette frenare bruscamente per non investire Janissa e questo la fece cadere rovinosamente dalla sedia. “Ahia!” urlò. “Ahahahaha! Oddio, Lucinda! Certo che non sei proprio cambiata in questi anni, eh?” Janissa le tese la mano e l’aiutò a rialzarsi. “Cosa hai detto? E perché sei spuntata così all’improvviso?!” le chiese Luce. Janissa rise di gusto. “Per dirti che se in caso suonasse il telefono, di rispondere tu al mio posto, ok? Ok.” Janissa sparì da dietro la porta e corse come una furia verso il bagno. Lucinda notò solo allora che non aveva risposto ad entrambe le domande. E non era la prima volta. Aveva lo strano sospetto che Janissa le nascondesse qualcosa. Rimuginò anche sul discorso di quella mattina, qualcosa non andava.
Cercò di togliersi questi pensieri scrollando la testa, ma non vi riuscì. Allora riprese a fare i suoi soliti giri con la sedia. Rise come una bambina. Il telefono di Janissa trillò e Luce, spaventata, cadde di nuovo dalla sedia. “Accidenti, oggi tornerò a casa con un livido” si massaggiò il sedere e poi corse a rispondere al cellulare.
“Pronto, Janissa?” il cuore di Lucinda sprofondò nel sentire quella voce.











Recensite o Samara attraverserà il pc e allora sarete nei guai.

Bene, dopo avervi terrorrizzati(?) mi scuso per il ritardo. 
3 recensioni 107 visite nel primo capitolo e 44 nel secondo?! Grazie! :D
Un ringraziamento speciale va a


yeah_lovethem
Jade_itsMe
TheGoldenGirl
per aver recensito l'ultimo capitolo.


GRAZIE.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Incomprensioni ***


prometto che se ho almeno 5 recensioni qui,
aggiorno domani. il prossimo capitolo è una bomba, quindi...





Capitolo 4
-
 
Incomprensioni


 

 
“Pronto? Janissa?” Lucinda si resse al letto di Janissa per non cadere. Quella voce. Quella voce era di Justin, ne era sicura. Subito il nervosismo l’avvolse come una coperta e le sue mani cominciarono a sudare. Le gambe le tremavano. Non era ancora pronta per parlare con Justin, sempre che quello dall’altro capo del telefono fosse proprio Justin.
”Janissa, so che mi stai ascoltando, rispondi!” Lucinda inspirò ed inspirò lentamente. Poteva farcela.
“Sì?” accidenti. Le era uscita quella sua solita vocina che veniva fuori ogni volta che parlava con un estraneo. “Janissa, sei tu?” le chiese Justin. “No, s-sono la sua amica…” vuoto totale. Ovviamente Lucinda non poteva dire ‘Ciao, sono Lucinda, quella che  hai mandato a quel paese’, sarebbe stato imbarazzante. “Emily”. Scelse il primo nome che le venne in mente. Lucinda in questi casi non era un genio nell’originalità, della serie: ’fantasia portami via’. Però almeno un nome l’aveva detto, un nome che non era il suo.
“Sì, Emily” Lucinda avvertì una lieve risata provenire dall’altro capo del telefono. Nel sentirlo ridere, Lucinda provò a far emergere tutta quella rabbia accumulata nel corso di quei giorni a Stratford. Il fatto di doversi trasferire in un’altra città, l’umiliazione subita a causa di Justin, la palpatina di Ryan…. “Sì, sono Emily, cosa c’è, non ti piace il mio nome?” quasi urlò. Probabilmente aveva esagerato. “Ok, ok. Non ti scaldare piccolina” le rispose Justin, ridendo. Piccolina. Piccolina, un nomignolo che Luce detestava con tutto il suo cuore. “Non chiamarmi piccolina! Detesto essere chiamata così!” una risata sonora provenì dall’altro capo della cornetta. “Ahahhaha! Lo sai Emily che sei proprio divertente? Bene, sei ufficialmente invitata al party di Mr. Bieber! Porta con te anche Janissa, ok?”
Lucinda spalancò gli occhi. E ora come avrebbe fatto? Desiderava ardentemente andare a quella festa, divertirsi per la prima volta da quando era qui a Stratford e magari parlare con Justin. Però non poteva. Non poteva perché Justin aveva invitato Emily e lei non era Emily, lei era Lucinda. Con un’infinita tristezza, Lucinda cercò una scusa plausibile per giustificare la sua assenza, o meglio, quella di Emily. “Mi dispiace, ma Emily è impegnata con il suo ragazzo, arrivederci e grazie!” urlò Lucinda, in modo che Justin potesse sentire. “Ra-ra…” Justin non ebbe neanche il tempo di finire la frase, Lucinda aveva già riattaccato.
Clap, clap, clap.Lucinda si voltò all’istante e vide Janissa applaudire. Janissa le sorrise. “E brava la mia Lucinda che si fa rispettare! Complimenti!” Lucinda le sorrise a sua volta e disse: ”Certo che mi faccio rispettare. Dopo quello che mi ha fatto, dovevo pur vendicarmi.” Luce si sentì l’amaro in bocca, non aveva ancora scoperto il motivo a causa del quale Justin l’aveva mandata a farsi fottere. Se avesse avuto coraggio sarebbe andata a chiedergli quale fosse il suo problema, ma data la sua natura codarda, non l’avrebbe mai avuto il coraggio per farlo.
“Ok, ora possiamo fare i compiti e smettere di parlare di Justin?” disse Lucinda ad un tratto. “Ahahha, come vuoi, ogni tuo desiderio è un ordine per me!” Janissa fece il saluto militare e Luce non potè trattenere una risata.

 

***
 

 
Lucinda si trovava nella sua macchina con la musica a palla, stava ascoltando ‘Possibility’ dei Likke Li. A suo parere era una canzone molto bella ma allo stesso una canzone da persone depresse. Era proprio così che Luce si sentiva. Una depressa. Era lì a Stratford da quattro giorni e già era cambiata: gli occhi erano sempre stanchi, la pelle si era impallidita e aveva assunto un colore malaticcio, forse a causa del sole che in quei giorni si nascondeva dietro le nuvole. A causa di quel tempo che si ostinava a non cambiare, si sentiva oppressa, chiusa in una gabbia, o in una cupola, proprio come i Simpson nel loro film. Pensando ai Simpson, un sorriso lieve apparì sul suo viso. Sentì bussare al finestrino ed quasi ebbe un infarto. Sobbalzò e si girò verso il finestrino. Vide Jason, con un meraviglioso sorriso stampato sul viso. Lucinda scosse la testa e sorrise. Dopo poco aprì il finestrino.
“Buongiorno” gli disse. “ALLEGRIA!” gli rispose Jason. “Stai allegra! Su con la vita!” Luce avrebbe voluto stare allegra, felice, ma la lontananza dalla sua migliore amica e dalla città in cui era nata e cresciuta era troppo per lei. Nonostante questo, sorrise a Jason e scese dalla macchina. “Allora, qual è la tua prima lezione?” Lucinda corrugò la fronte. “Umh. Penso che sia scienze” disse. Jason fece un sorrisone splendente come il sole. “Allora, signorina, mi dia il braccio” disse, con fare da maggiordomo. Luce era molto divertita da questo suo comportamento, e nonostante non capisse dove Jason volesse arrivare non obbiettò e gli diede il braccio. Subito Jason iniziò a saltellare come uno scemo mentre Luce rideva come non aveva mai riso da quando era arrivata a Stratford. “Come andremo a scuola?” chiese Jason. Sembrava che lo stesse chiedendo a sé stesso anziché a Luce, infatti poco dopo disse: “Saltellando, saltellando!”
Luce rise di nuovo mentre gli sguardi di tutta la scuola si posavano su di lei. Quando si accorse che tutti la stavano guardando, sentì una voce sussurrare: “Guarda, quella è Lucinda Dove. Non posso credere che sia tornata”
“Se è per questo non ci posso credere neanche io” disse qualcun altro.
Lucinda non capiva. Era tornata? Non le sembrava di essere mai stata a Stratford. Poi si ricordò la conversazione con Jason. Lui la conosceva, lei non se lo ricordava. Ora capiva tutto. Capiva perché Janissa l’aveva chiamata Lucinda Blue nonostante all’apparenza non si conoscessero nemmeno. Capiva perché nessuno il primo giorno le avesse fatto delle domande. Perché tutti la conoscevano. Tutti sapevano di lei. E lei non si ricordava di nessuno.
Mille domande le affollarono la mente, ma una sola attirava la sua attenzione: quando sono stata a Stratford?!
“Qualcosa non va?” le chiese Jason dolcemente, vedendo che Lucinda si era fermata bruscamente. “Nulla. No. Cioè” Lucinda scosse la testa, doveva riordinare le idee. “Ok, ci sono. Primo: quando sono stata a Stratford? Secondo: quanti mi conoscono?” chiese. “Oh. Beh, vedi…” un trillo provenì dall’interno della scuola. “Scusa, devo andare. Oggi vieni a casa mia, ok? Parliamo lì” disse mentre correva via. Si girò una volta sola per salutarla con la mano per poi riprendere la sua corsa. Lucinda si guardò intorno in cerca di Janissa. Ma non solo di Janissa, anche di Justin.
Si alzò in punta di piedi e si girò a sinistra. Fu la prima cosa che vide. Indossava gli occhiali da sole malgrado sole non c’è ne fosse ed era bellissimo come sempre. Lucinda sorrise nel vederlo e si sentì un’idiota. Perché diamine sto sorridendo? Si chiese. Ma non riusciva a smettere di sorridere, era così felice in quel momento. Si sentiva leggera come una piuma. Chiuse gli occhi e quando gli riaprì Justin era proprio davanti a lei, a pochi metri, e le stava sorridendo. Il suo cuore iniziò a battere furiosamente. Justin le sorrise, sembrava felice di vederla. Anche Lucinda sorrise, poi il suo sorriso scomparve quando vide Justin correre verso il retro della scuola. Lucinda si voltò per vedere a chi stesse andando incontro Justin e con sua grande delusione vide che la persona in questione era Selene. Digrignò i denti e odiò come non aveva mai odiato nessuno quella ragazza. Aveva voglia di strangolarla. Le vennero in mente un milione di modi per ucciderla. Luce si sorprese di sè stessa, non aveva mai odiato una persona senza neanche conoscerla. Scosse la testa ed entrò a scuola, non voleva saltare l’ora di... di cosa? Controllò l'orario e vide che non era l'ora di scienze as aspettarla, bensì quella di arte.
Per tutta l’ora di arte non fece altro che pensare a quello che era successo quella mattina. Aveva fatto la figura dell’idiota. Un’altra volta. La professoressa la riprese mentre scarabocchiava cerchi sulla copertina del quaderno. Dopo essere stata ripresa, Luce dovette per forza tentare di prestare attenzione alla prof. L’ora passò così in fretta che Luce non si accorse nemmeno del suono della campanella. Infilò i libri a casaccio nella cartella e corse fuori dalla porta. All’uscita andò a sbattere clamorosamente contro una ragazza. Entrambe caddero all’indietro mentre almeno una decina di fogli cadeva sul pavimento. “Oddio, scusa!” disse la ragazza. Luce la guardò in viso e capì di averla già vista. Era Cady, la ragazza che si sedeva sempre al suo tavolo ma che non le aveva mai rivolto la parola. Aveva lunghi capelli biondi intrecciati in una treccia che pendeva sulla schiena e occhi grigi. Quando si tolse la giacca per appenderla all'appendiabiti, notò un lembo della sua camicetta a motivi floreali uscita dalla cintura. Assomigliava alla coda di una paperella.
“Non ti preoccupare, è colpa mia. Avrei dovuto prestare più attenzione a dove mettevo i piedi” una sonora risata uscì dalla bocca di Cady. “Pazienza. Ciao, sono Ca… ah, ma tu già mi conosci. Beh, io ora devo andare. Ci vediamo a pranzo Luce” Cady raccolse i fogli caduti per terra e si diresse verso il banco in seconda fila. Questo ricordò a Lucinda che doveva correre alla sua prossima lezione.







recensite o samara verrà a cercarvi e non sarà affatto piacevole

buongiorno a voi care lettrici!
per farmi perdonare del ritardo della scorsa volta,
vi ho fatto un bellissimo(?) regalo.
bene, ringrazio:
Ale_Swaggie i tuoi complimenti sono bjcdgchgdhchbdj *w*
Viviengli grazie per dire che sono brava 
Jade_itsme ciao rotella, quello che te devo dì lo sai già
yeah_lovethem grazie che recensisci c:















Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Mentire mi viene bene ***


ok, mi avete fatto 5 recensioni nell'ultimo capitolo.
vi minacciare ancora per avere di nuovo almeno 5 recensioni? LOL



 




Capitolo 5
-


Mentire mi viene bene.



 

 
Quando Luce varcò la porta della classe, tutti gli sguardi si puntarono su di lei. Quattrocchi non sembrava molto felice del suo ritardo e batteva senza sosta il piede sul pavimento. Lucinda si sentiva alla gogna. “Scusi, io…” cominciò a dire Luce. “Non c’è scusa che tenga! Io esigo la perfezione!” passarono almeno altri venti minuti prima che Luce potesse andare a sedersi. Quattrocchi continuava a parlare e a ciarlare sul comportamento che dovrebbe tenere un alunno per bene, eccetera eccetera. Lucinda alzava le sopracciglia a ogni sua parola e qualche volta le capitava di sussurrare parole come ‘ho capito’ o ‘il concetto mi è chiaro’ che suscitavano risate contagiose in tutta la classe. Fortunatamente per lei, Quattrocchi non la sentiva e continuava a parlare. Quando finalmente Luce riuscì a liberarsi dalla sua morsa, Quattrocchi disse: “Per questa volta chiudo un occhio, ma sia chiaro, la prossima volta….”
“Sì, ho capito, non sono sorda” sussurò e tutti si misero a ridere. “Cos’ha detto? Ripeta.” Luce sospirò.
“E niente sospiri nella mia classe!” Quattrocchi aveva la voce isterica. Luce si rigirò il cervello per trovare una scusa.
“Stavo solo ammirando il colore della sua camicia. E’ così bello, pulito. Direi quasi che è fatto con un qualche tessuto molto costoso. Solo una persona con tanto gusto come lei poteva comprare un così grazioso indumento” in realtà la camicetta di Quattrocchi non era per niente bella, ma Luce aveva un talento spiccato nel mentire, che aveva affinato nel corso degli anni. Se avesse detto alle sue amiche che era stata baciata da un bellissimo ragazzo, ci sarebbero state alte probabilità che loro abboccassero.
Guardò negli occhi Quattrocchi. Pendeva dalle sue labbra. Era fatta. Ci voleva solo il colpo di grazia. “Oh, e quelle scarpe? Sembrano confezionate da Armani in persona.” Bum! Luce aveva sganciato la bomba e Quattrocchi era arrossita. “Oh, non sapevo che ti intendessi di moda. Be’, se la mettiamo così, ho degli alunni troppo bravi e dolci! Per questa volta scampate ai compiti!” Lucinda spalancò gli occhi: non sapeva di essere così brava. Tornò a posto soddisfatta, mentre tra i banchi passava Paul, intento a consegnare delle schede.
“Sei sempre stata brava a mentire. Penso che meriti l’Oscar Alla Menzogna” sussurrò Justin. Lucinda si girò verso di lui. Da dove veniva tutta questa confidenza? Osservò Justin e lui le rivolse un caloroso sorriso che la fece arrossire e sotto le luci al neon si notava spaventosamente. “E non hai nemmeno smesso di arrossire ogni volta.” Justin le passò una mano sulla guancia. Lucinda arrossì ancora di più. Si immaginava il suo aspetto in quel momento.
“Arrossisci ancora quando ti arrabbi?” Lucinda socchiuse gli occhi e lo fissò con sguardo torvo. Cercava di capire. Cosa? Perché fosse così gentile con lei dopo quell’episodio. Lucinda arrossì per la rabbia ricordandolo.
Justin aveva fatto un salto enorme rispetto ai precedenti. Non aveva nemmeno senso ciò che faceva. Prima la mandava al diavolo e dopo… dopo le accarezzava la guancia e parlava con lei. Il suo comportamento le suonava strano.
“Sì, arrossisci ancora quando ti arrabbi. Non ti ricordavo così divertente. E non mi guardare con quello sguardo truce. Rilassa il viso, sei più carina così” quella considerazione provocò un ovvio sguardo truce che fece ridere Justin.
“Sarà meglio che ci concentriamo anziché parlare, non credi?” Lucinda alzò un sopracciglio e incrociò le labbra al petto. “Come vuoi” eccolo. Il tono gelido. Lucinda lo guardò negli occhi e se ne pentì. I suoi occhi. Erano così freddi, glaciali, sprezzanti, ricolmi di odio. Non c’era traccia di verde in quegli occhi. Erano scuri e marroni. Erano gli occhi che aveva visto la prima volta che si erano incontrati. Lucinda abbassò gli occhi. Cosa avrebbe dato per rivedere quegli occhi così belli, quegli occhi screziati di verde. Scosse la testa e pensò al pomeriggio che l’aspettava. A Jason. Già quel pensiero le faceva dimenticare per un attimo il suo scontroso compagno di banco.
Scrollò le spalle e seguì gli altri nel giardino della scuola per appuntare sul suo quaderno le varie domande sulla natura della scheda.
Per un po' girovagò da sola nel giardino appuntando con la sua scrittura disordinata le varie risposte.
“Ehi, ti ricordo che il lavoro è a gruppi, quindi non fare la forever alone e riporta il tuo sedere qui” le disse Justin, che stava a qualche metro di distanza. Lucinda alzò gli occhi al cielo e non potè far altro che andare da lui. “Cos’è, questo è un compito troppo difficile per te? Ah, non ci posso credere, il grande Bieber che non sa nemmeno rispondere a qualche domandina. Mi viene da ridere ahahhaha” Luce incominciò a ridere poi Justin l’afferrò per il braccio e la spinse contro un albero che stava lì accanto. Portò le mani alla gola di Luce e strinse.
“Senti, ragazzina, non usare quel tono con me. Non ti permettere mai più, sono stato chiaro?” Quando Luce ebbe la paura che la soffocasse, Justin la lasciò andare. Luce incominciò a tossire e pose la sua mano sul collo. Alzò lo sguardo e vide che Justin le dava le spalle. “Ma ti sei ammattito?! Mi hai quasi uccisa!” urlò Luce con quel poco di voce che le era rimasta in gola. Justin si girò e Luce vide che si stava mordendo il labbro, gli occhi lucidi. “Scusami” le disse, e poi prese a massaggiarsi le tempie. Passarono alcuni secondi e Justin la guardò di nuovo. “Io devo andare. Se la prof chiede di me, dille che sono andato in infermeria, ok?” detto questo Justin si volatilizzò. Luce si lasciò cadere per la corteccia dell’albero. Fu allora che sentì Cady urlare il suo nome. “Luce! Luce!”
Cady  si avvicinò e le toccò la guancia e la fronte. “Ti senti male, Luce? Sei un po’ pallida”no, è solo che Justin ha tentato di farmi fuori, oggi. Nulla di che. Pensò Luce.
“No, nulla. Mi sono stesa quaggiù perché ho un caldo tremendo e qui c’è più fresco” le rispose. Si accorse di quanto era flebile la sua voce. Guardò verso Cady e vide che stava aggrottando la fronte in segno di disappunto. “Non me la dai a bere. Ho visto cos’è successo” Lucinda sospirò. Si guardò le mani, non sapeva cosa fare. “Luce, dimmi tutto” Lucinda spalancò gli occhi. Non seppe perché, ma cominciò a raccontare a Cady tutto. Del fatto che sospettava di essere già stata a Stratford, che tutti qui la conoscevano, del dito medio di Justin, di Janissa, di Jason. Cady rimaneva ad ascoltare, silenziosa, assumendo varie espressioni mentre Luce parlava.
“Ho capito tutto. Io alcune cose te le posso spiegare. Ma il resto lo dovrai chiedere a Justin, o a Jason o a Janissa.” Cady le rivolse un largo sorriso.
Per il resto dell’ora girovagarono per il guardino mentre parlavano e appuntavano le risposte sul quaderno. Alla fine dell’ora si salutarono e Luce tornò in classe. Con suo grande stupore notò che Justin era ritornato in classe. Lo osservò meglio. Stava guardando fuori dalla finestra. Sembrava così distante. Probabilmente si era accorto di avere lo sguardo di Luce addosso perché si girò. La sua espressione era così triste. Forse era dispiaciuto per l’accaduto. O almeno così credeva Luce.
Delle braccia le circondarono la vita e sobbalzò. “Tranquilla, sono io. Jason.” Luce si girò di scatto e lo guardò con aria accusatrice. “Non farlo mai più! Mi hai spaventata.” Jason la strinse ancora di più tra le sue braccia e le sussurrò: “Ok, non lo farò mai più, promesso” Luce arrossì di colpo. Jason ridacchiò e le diede un bacio sulla guancia, indugiando. “Se non sbaglio abbiamo un appuntamento…” Jason guardava un punto sopra la testa di Luce. Anche Luce si girò e vide Justin venire verso di loro. “Ah, non ti ho detto una cosa: la prossima volta che devi far finta di essere un’altra persona, menti meglio, ok?” le disse Justin con un sorriso. Un sorriso che agli occhi di Luce sembrava falso.
Dopo di questo, se ne andò.






MA SALVE!
non posso credere che ho avuto 5 recensioni. 5. VI AMO!
-ovviamente le 5 recensioni le ho avute solo perchè ho fatto una sorta di minaccia. E se minaciassi
di non scrivere più se non ho 5 o più recensioni per questo capitolo?-

OK, LA MINACCIA E' PURA CATTIVERIA. XD



GRAZIE A:
Jade_its me
SimoeRossyBeliebers
Viviengli
SheIsmine_
Ale_Swaggie

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

-













 
Luce vide Justin uscire dalla porta senza nemmeno salutarla. Capì di aver sbagliato e si sentì in colpa, come se avesse tradito Justin, nonostante loro non avessero una relazione. Abbassò lo sguardo. Sciolse con delicatezza l’abbraccio di Jason e sospirò. “Jason?” disse. “Sì?" disse lui, di rimando e sospirò.
"Dimmi tutto” disse, mentre Lucinda si guardava le mani, stava cercando un tono di voce non troppo duro per dirlgli che non poteva uscire con lui.  Agrottò le sopracciglia. “Be’, ecco, vedi, io…” cercò di dire.
“Non vuoi venire a casa mia” concluse Jason. Lucinda alzò lo sguardo, lui era così vicino…
“No, non è come pensi”
“Luce, so come gira il mondo, non sono un’idiota” fece una pausa e volse lo sguardo verso la porta. “E’ per via di lui? E’ a causa sua, non è vero?” Lucinda spalancò gli occhi. “Sai, è facile sapere cosa pensa una persona quando la si conosce da una vita” Jason si guardò le mani. “Non ti preoccupare, è sempre stato così. Sempre. Mi sono illuso di poter cambiare le cose” fece per andarsene, ma Luce gli prese un braccio.
“No. Non andare via. Sei il mio unico amico, qui. Per favore” disse con voce supplicante. Luce non voleva farlo andare via, ormai si era affezionata a lui. Non poteva lasciar andare via il suo unico amico. Il suo unico amico a parte Janissa e forse Cady. Jason si girò di scatto in preda alle risate. “Non posso crederci! Ci hai creduto veramente! Ahah! Oddio!” Si stava perdendo gioco di lei. Lucinda gli voltò le spalle, prese la sua roba e se andò. Non poteva credere a cosa le aveva appena fatto Jason. “Hei! Luce! Luce, torna qui!” Jason le si pose davanti e si scusò.
Si scusò per aver fatto lo stupido e per averla ingannata. Le chiese di fare pace e Luce accettò, ma solo perché sapeva perdonare la gente anche quando non se lo meritava. Perdonare la gente che non se lo merita. Tipico di Luce. Luce era troppo buona, anche se non sembrava. Avrebbe potuto perdonare anche una persona che avrebbe tentato di assassinarla.
Justin ad esempio. Justin, quell’odioso ragazzo con una bellezza mozzafiato, quel ragazzo per cui Luce stravedeva. Subito dopo uscì nel cortile a prendere una boccata d'aria.
Aveva iniziato da poco a piovere e lei era già zuppa. I capelli le si erano appiccicati alla testa e alle labbra morbide, che continuavano a grondare gocce di pioggia dentro i suoi vestiti. Rabbridiva ogni volta che l'acqua riusciva a entrare nei suoi vestiti e a percorrerle la schiena.
 Fece qualche passo e incrociò una lattina. Le diede un calcio e l'innocente lattina fu scagliata nei cespugli, che le stavano a qualche metro di distanza. Era arrabbiata con se stessa per essersi presa una cotta per un tipo lunatico, arrabbiata con Jason per quello stupido scherzo e con Justin, che l’aveva quasi strangolata e mandata a farsi fottere.
“Ahia! Hei!” urlò qualcuno da dietro un cespuglio. Lucinda fece un salto mentre dai cespugli sbucava Chaz. Si stava massaggiando la nuca e una smorfia apparve sul suo viso. “Mi vuoi spiegare come mai mi hai lanciato una lattina in testa?” Lucinda tentò di ricomporsi. “Scusa. Non credevo di aver colpito qualcuno” Lucinda abbassò lo sguardo e camminò via. “Hei, aspetta!” le urlò Chaz. Ma Luce non si girò e continuò a camminare.
“Hei, Lucinda! Lucinda!” la chiamò di nuovo. Anche stavolta Lucinda non si girò. Iniziò a sentire lo sguazzare dell’acqua e non fece in tempo a girarsi che Chaz era lì davanti a lei.
“Cosa vuoi?” le chiese lei duramente. “Dio! Sei cambiata da quando ci siamo visti l’ultima volta. Cosa ti è successo?” Sei cambiata dall’ultima volta che ci siamo visti. Cosa diamine significava? Lucinda non lo sapeva. Era ovvio che fosse stata a Stratford, ma nessuno le era venuto a dire come mai era andata via o a chiederle cosa aveva fatto in questi ultimi anni. La gente non poteva averla scambiata per un’altra persona, era impossibile dato che conoscevano tutto di lei. Pensò allora che magari da bambina era venuta a fare una vacanza a Stratford, ma data la sua scarsa memoria, se l’era dimenticato.
Smise di camminare e si fermò. La pioggia continuava a cadere, incessante. “Alleluia! Era ora che ti fermassi!” Chaz l’aveva rincorsa per tutto il tragitto. Una mano passò davanti al suo viso. Luce scosse la testa e tornò con i piedi per terra. “Eh?” disse. Chaz scosse la testa e guardò in alto. Poco dopo la guardò negli occhi e disse:” Tu non ti ricordi nulla, vero?” Luce scosse la testa. “Lo immaginavo. Bhe, siamo praticamente zuppi. Vieni, andiamo al coperto” Chaz le fece un gesto con la mano e Luce lo seguì. Non sapeva dove stavano andando, però in un certo senso si fidava di lui.
Durante tutto il tragitto nessuno disse nulla, ma a Luce andava bene così, aveva bisogno di riflettere. Chaz si era offerto volontario per accompagnarla chissà dove. Luce aveva accettato solo perché magari avrebbe fatto più chiarezza e acceso qualche luce in quella stanza buia che era la sua mente. Chaz di sicuro sapeva tutto, doveva essere uno dei suoi migliori amici. Luce scosse la testa, l’ultima cosa che voleva era pensare a lui.
“Eccoci, siamo arrivati” Chaz si era fermato davanti a una caffetteria molto carina, con due piante con le foglie tagliate a regola d’arte davanti all’ingresso. Luce fece scorrere il suo sguardo per tutta la caffetteria, per vedere se quello fosse stato un locale malfamato. Ma Luce non vide altro che vecchietti che giocavano a carte. Di sicuro non veniva frequentato molto dai ragazzi. Un posto perfetto per fare una chiacchierata senza venire disturbati e con solo i vecchi –che probabilmente erano sordi o con un apparecchio acustico- ad ascoltare.
Chaz entrò prendendo per il braccio Luce e lei non potè opporre resistenza. Si accomodarono in un tavolo abbastanza appartato, decorato con una triste tovaglia di carta dal colore grigiastro. Tutto in quel posto aveva un che di melanconico, ma i vecchi non sembravano farci caso. Luce, invece,  trovava il posto orrendo. Eppure sembrava un locale così carino e grazioso dall'esterno.
“Allora…” cominciò Chaz. Poi si passò le mani tra i capelli e sul viso, come se stesse cercando le parole adatte da dire. Dopo alcuni secondi disse: “Cosa vuoi sapere?” Lucinda aspettava quella domanda da secoli ormai. Era ora che qualcuno andasse da lei a dirle come stavano le cose.
“Tutto” disse, in un soffio.








Buongiorno bellissime!


Ok, mi sembra passato un secolo da quando la scrittrice
ha aggiornato v.v
comunque, tra un po' saprete tutto, non è bellissimo?
d'ora in poi sarò io ad aggiornare e la scrittrice
a rispondere alle recensioni :D
6 recensioni?! GRAZIE MILLE!
vi ringrazierei una ad una, ma devo andare! 

RECENSITE, COSì MAGARI IL CAPITOLO ARRIVA PRIMA(?)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


ringraziamenti a:
Fraachecca
Ale_Swaggie
SimoeRossyBeliebers
Viviengli
Stoopid_
xeatmebieber
per aver recensito il capitolo 5 :D


 




Capitolo 7
-



 

 
Chaz la guardò accigliato e Luce si sfregò le mani per riattivare la circolazione.  Le aveva tenute in pugni per tutto il tempo.  Scrocchiò le nocche per cercare di ridare vita alle dita indolenzite. Chaz continuava a fissare la tovaglietta di carta e a non dire nulla. Luce cominciò a innervosirsi. “
Allora? Preferirei tirare le cuoia in un posto più carino” disse, con una voce più alta del dovuto. Alcune paia di occhi si posarono su di lei, finchè Chaz non fece un gesto con la mano. “Dammi il tempo di riprendermi, dolcezza” le disse, e stavolta guardandola negli occhi. “Non ho tempo da perdere, io. O mi dici quello che voglio sapere o me ne vado.” Nell’abitacolo risuonò una grossa risata. Chaz si stava asciugando le lacrime dagli occhi quando disse: “Sì, vai pure. Ma te lo dico: saranno poche le persone che ti diranno tutto” colpì la fronte di Luce “Ricordandoti tutto quello che è successo a Stratford circa sei anni fa”
Sei anni fa. Sei anni fa Luce faceva avanti e indietro da casa sua a quella dei suoi nonni a causa del lavoro dei suoi genitori. Non sapendo dove lasciare la figlia, la portavano dai nonni. A Luce non dispiaceva andare dai nonni. Da loro era tutto un ‘biscotti con gocce di cioccolato’, ‘nascondino’, e ‘giochi a non finire’. Loro la trattavano come meritava, non la lasciavano mai segregata in camera sua, abbandonata a se stessa, e con una baby-sitter a cui importava solo la paga.
Luce gli fece cenno di continuare. Chaz prese un sorso di acqua e si schiarì la voce.
“Partirò dall’inizio. Allora, avevi circa quattro anni quando arrivasti qui la prima volta. Mi ricordo ancora quel giorno. Portavi un vestitino giallo con un nastro bianco in vita che s’intonava benissimo con la tua pelle olivastra. Con le mani tentavi di tenerti stretto il cappellino. Io e Justin ti osservavamo da lontano. Poi il tuo cappellino prese il volo e tu lo rincorresti. Justin fu più svelto e lo prese al volo, ma si sbucciò il ginocchio. Ci portasti entrambi dentro casa e lo medicasti, dicendogli che tutto sarebbe andato bene. Da allora, passasti tutti i pomeriggi d’estate con me e con lui. Poi si presentarono anche Janissa, Cady e Jason. Jason e Justin facevano una sorta di competizione per giocare con te. All’inizio di settembre te ne andavi, ma promettevi di tornare all’inizio di giugno.”
Chaz fece una pausa e prese un respiro. Lo stomaco di Luce gorgogliò e entrambi risero, malgrado Luce fosse un po’ in imbarazzo. “Vuoi ordinare?” le chiese con dolcezza. Luce fece segno di sì con la testa.
Chaz chiamò una cameriera. Indossava una camicia nera –che depressione, questo posto- che le faceva risaltare il seno. La sua faccia era un tantino troppo truccata, facendola sembrare più vecchia di almeno dieci anni. Sotto quello strato di trucco, Luce vide due grandi occhi verdi e un viso paffutello, decorato con due labbra carnose e sopracciglia sottili.
“Cosa volete ordinare?” chiese. “Prima le signore” disse Chaz, e , con un cenno della mano, indicò Luce. Non aveva nemmeno dato un’occhiata al menù, perciò scelse la prima pietanza che i suoi occhi trovarono. “Ravioli ripieni di funghi porcini” disse, incerta. La cameriera le fece cenno di proseguire e Luce, fortemente impreparata, scosse la testa e cercando di riordinare i pensieri, fece correre lo sguardo sui secondi e sui dessert. “Gamberetti alla griglia con frutti di mare” disse, questa volta con voce più decisa. “Per dessert?” le chiese ancora la cameriera. Sembrava che la sua voce fosse stanca e dava l’idea che prima o poi avrebbe gettato a terra il grazioso grembiule che le cingeva la vita per poi andarsene. “Coppa di gelato quattro gusti. Crema, nutella, vaniglia e stracciatella” la cameriera fece un sorriso a Luce, ma sembrava uno di quei sorrisi del tipo: ‘ era ora’. Lucinda si accigliò e si sfregò nuovamente le mani. Aspettò che Chaz prendesse la sua ordinazione per poi fargli una serie di domande. Aspettò che la cameriera se ne andasse.
“Allora, cos’è successo dopo?” lo aggredì. Chaz prese una pagnotta e l’addentò. “Aspetta! Aspetta! Dammi modo di rimettere in moto il cervello, dolcezza. Certo che te hai una fretta di sapere…” ovvio che aveva fretta. Ironia della sorte, moriva dalla curiosità di sapere delle cose su se stessa. Lucinda lo incitò a sbrigarsi facendogli dei segni con le mani e il ragazzo posò la pagnotta e continuò il discorso precedente.
“Allora, dove ero rimasto? Ah, sì. Be’, tu tornavi ogni estate…”
“Sì, questo l’hai già detto” lo interruppe Lucinda. “Senti, la vuoi sentire questa storia sì o no?” Lucinda fece segno di sì con la testa. “Bene, allora smettila di interrompermi, grazie.” Chaz fece una breve pausa per poi riprendere subito. 
“Poi, un giorno, accadde l’irreparabile. Avevamo circa undici anni, credo. Stavamo giocando. E tu vidi un cagnolino sull’asfalto. Contro ogni previsione, tu corsi a prenderlo. Fu allora che arrivò una macchina. Justin si buttò in mezzo alla strada per tentare di salvarti e ci riuscì. La macchina vi prese di striscio, e finiste in un precipizio. Battesti la testa e anche Justin, infatti ha una  piccola cicatrice che si nota appena, sulla fronte. Quando arrivammo in ospedale, i medici ci dissero che avevi subito una commozione cerebrale, e , per questo, non riuscivi a ricordare l’accaduto. Non ti ricordavi più di noi. Per Justin è stato uno shock. Lui ti parlava, ti accarezzava la mano e tu, tremante, gli chiedevi chi fosse e perché ti stesse molestando. I medici ci allontanarono da te, per paura che tu avessi un crollo psicologico o qualcosa del genere. Per Justin fu il colpo di grazia. Sparì dall’ospedale e si chiuse in se stesso, diventando ciò che è oggi.”
Chaz si fermò e guardò attentamente Luce. Aveva la bocca semi aperta a causa di ciò che aveva appena sentito. I suoi sospetti erano fondati. Allora era vero che già la conoscevano. E si spiegava perché lei non ricordasse nulla di Justin, di loro. Ma ancora una cosa non le era chiara.
“Ma io ancora non capisco. Perché Justin mi ha mandata a quel paese?” chiese Luce. Intanto arrivò la caposala, che portò i piatti ordinati in precedenza. Luce guardò attentamente i ravioli dal profumo magnifico e il suo stomaco gorgogliò. Aspettò che la caposala servisse anche Chaz prima di iniziare a mangiare. Infilzò un raviolo e cominciò a mangiucchiarlo.
“Ah, la questione ora si fa più complicata. Credo sia per via della promessa” disse Chaz, ficcandosi il pane inzuppato di sugo in bocca. Luce smise di mangiucchiare il raviolo. “Promessa? Quale promessa?”
“La promessa che vi siete fatti. Non so bene di cosa si trattasse. Credo che vi foste promessi di rimanere amici per sempre o qualcosa del genere” Luce si rifletté un po’ sopra, poi annuì. Finirono di mangiare in silenzio. Ma alla terza portata, Luce si ricordò di una cosa.
“Janissa. Non l’ho più vista. Sai dov’è?” chiese, cauta. Era da una vita che non si faceva vedere. “Nemmeno io l’ho vista. Ma non ti preoccupare, lei è fatta così. Va e viene” Luce annuì nuovamente con la testa e finì il cibo che aveva nel piatto.
Alla fine del pasto, fu Chaz a pagare il conto per entrambi. Luce decise che Chaz le stava simpatico. Ma non solo perché le aveva pagato il conto.
Uscirono da quel posto così poco originale e s’incamminarono verso casa.
“Allora, Lucinda Dove, qual è la tua prossima mossa?” le chiese Chaz ad un tratto. La sua prossima mossa? Quale sarebbe stata la sua prossima mossa?
“La mia prossima è…parlare con Justin”
 


 




RECENSITE O VERRO' A PICCHIARVI IO STESSA(?)

ok, questo capitolo mi pare l’Odissea da quanto è lungo.
Non credo che nessun altra persona qui su EFP faccia capitoli così lunghi, o mi sbaglio? XD
Be’ comunque, dovreste essere grati a mia cugina, che vi ha fatto questo immenso(?) regalo, quindi, perché non farle arrivare almeno 10 recensioni a cui rispondere? Soprattutto vorrebbe sapere cosa pensano anche tutte quelle persone che hanno messo nei preferiti e nelle seguite questa storia (ma non quelle bellissime persone-sempre le stesse poi- che recensiscono ogni volta)

RINGRAZIAMENTI:

Jade_itsme
SimoeRossyBeliebers
Viviengli
ScriveMartina
Fraachecca

per aver recensito il capitolo 6 ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Scusate il mio ritardo, ma sono andata in ritiro con la mia squadra di pallavolo. Questo capitolo è pronto da un pochino di tempo, ma a causa degli amici non ho potuto aggiornare.
Scusate ancora.
Buona lettura.







Capitolo 8

-


 

Un raggio di sole filtrò attraverso la tenda della stanza. Sotto le coperte, una ragazza dai capelli corvini si copriva la testa, tentando di dormire, nonostante la luce del sole glielo stesse impedendo. Non riuscendo a riprendere sonno, Luce fu costretta ad aprire gli occhi. Si rigirò nel letto e fissò con sguardo truce la luce del sole. Si portò il piumone sopra la testa e prese l’iPod. Magari un po’ di musica l’avrebbe aiutata a dormire.
Guardò l’orologio. Erano le otto del mattino di sabato. Sabato. Il giorno dei waffles. Luce poteva già sentirne il profumo dolce e delizioso. Con uno strattone si tolse il piumone di dosso e corse giù in cucina. Davanti a lei uno spettacolo a dir poco meraviglioso. Waffle ricoperti di marnellata, nutella e zuccherini. Luce sentì l’acquolina in bocca.  Prese un piatto in mano e qualche waffle. Bevve un sorso di succo d’arancia e infilzò un waffle con una forchetta.
“Mamma, lo sai che…” iniziò a dire, voltando la testa,  ma si fermò subito, non appena vide una figura maschile davanti a lei. Strizzò gli occhi per capire chi fosse. Justin. Ma cosa ci faceva in casa sua, e per di più alle otto del mattino? Justin le rivolse un sorriso caloroso e Luce lo fissò.
“Cosa ci fai qui?” disse con tono freddo. Justin fece un sospiro e alzò gli occhi al cielo.
“Luce! Bisogna trattare meglio gli ospiti, non credi?” sua madre apparve da dietro Justin con un sorriso smagliante. Luce la vide fare a un gesto a Justin, mentre lui si accomodava proprio nel posto di fronte a lei. Dalle labbra di Justin sfuggì un risolino. Diana, la madre di Lucinda, servì a Justin un piatto pieno di waffle al cioccolato. Fu allora che Luce notò che sua madre era vestita di tutto punto. Alzò le sopracciglia in segno di sorpresa. “Mamma, oggi è sabato. Come mai indossi un completo?” Lucinda gettò un’occhiataccia ai vestiti  della madre.
“Vedi, tesoro, oggi mi ha chiamata Pattie, la mamma di Justin. vuole che l’accompagni a fare spese. Dato che so che tu odi fare shopping e anche Justin lo odia, ho pensato che…” “Hai pensato di scaricarlo a casa nostra, così potremmo lanciarci occhiatacce a vicenda” concluse la frase Luce con una punta di acidità e irritazione, mentre sua madre la rimproverava con lo sguardo. Justin fece per alzarsi. “Dato che non sono il benvenuto, posso anche andarmene.” Disse, mentre Diana lo tratteneva. “No. Puoi rimanere. Nessuno” e lanciò un’occhiataccia a Luce, “ti darà fastidio.”
Justin non sembrava affatto contento, e nemmeno Luce. Per rompere il silenzio luce domandò: “Dov’è papà?” “E’ uscito a pesca con i suoi amici.”  Luce si rabbuiò a quella risposta e infilzò un altro waffle. Lo portò alla bocca e masticò lentamente. “Ragazzi, io devo andare. Mi raccomando, state attenti e non incendiate la casa” Justin lanciò un’occhiata enigmatica a Lucinda e lei alzò le sopracciglia delicate come per chiedere: ‘cosa c’è?’ “Mi avete sentita?” continuò Diana. Lucinda e Justin fecero di sì con la testa. Luce sospirò. Avrebbe passato l’intera giornata con Justin. Forse non sarebbe stata la giornata più bella della sua vita, ma almeno poteva chiedergli qualcosa del suo passato perduto. Ad un tratto Justin si alzò. “Dove stai andando?” il tono di Lucinda rasentava l’irritazione.  “Il più lontano da te” fu la risposta secca di Justin. Lucinda rimase a bocca aperta. Non erano forse stati migliori amici da bambini? Non avevano forse passato le estati assieme? Lucinda finì i suoi waffle alla svelta e bevve l’ultimo sorso di aranciata. Fece per seguirlo, ma si guardò. Aveva ancora indosso il suo pigiama blu e le sue pantofole preferite.  Toccandosi i capelli notò che erano una massa aggrovigliata. Corse in camere sua a farsi un bagno. Si vestì in fretta, indossò i suoi jeans preferiti una maglietta e una semplice camicia rossa da boscaiolo. Si allacciò più in fretta che potè le All-Star appena lavate e corse giù.
Justin era seduto sul divano a guardare la tivù. Luce fece il giro del divano e gli sedette accanto. Justin non sembrò nemmeno notare la sua presenza. Per un po’ di tempo rimasero a guardare la tivù, mentre Lucinda pensava come attaccare bottone. Continuava a scrocchiare le nocche e a intrecciare le dita. “Ne hai ancora per molto?” le chiese ad un tratto Justin voltando la testa verso di lei. Lucinda arrossì violentemente e deglutì. “No.” Disse soltanto. Con tutto quello che aveva da chiedergli, aveva detto solo un banale ‘no’. “Bene.” Rispose Justin voltando nuovamente la testa verso la tivù. Lucinda lo osservò. Aveva le braccia incrociate sul petto e non sembrava di buonumore.
Indossava una giacca di pelle abbottonata e arrotolata fin su fino al gomito, ma Lucinda vedeva perfettamente lo scollo a V della maglietta. Anche i suoi pantaloni e le sue scarpe erano nere. Un brivido le percorse la schiena: era bellissimo. Osservò anche il suo viso. Gli occhi screziati di verde erano cerchiati di occhiaie scure e i capelli erano un po’ arruffati. E questo le fece pensare a Justin immerso nel sonno. Mentre arrossiva, Justin voltò la testa, molto probabilmente perché si sentiva osservato, e alzò un sopracciglio. Istintivamente Lucinda voltò la testa e battè più volte le palpebre. Scrocchiò le nocche come era solita fare quando era nervosa. Justin posò la propria mano sulla sua e disse: “Avevi detto che non ne avresti avuto ancora per molto, quindi smettila” le disse in tono duro. Lucinda tentò di non badare alla scossa che le aveva attraversato tutto il corpo e disse: “Smettila di trattarmi come se fossi una pezza da piedi! Da bambini eravamo amici, non possiamo tornare a esserlo?” urlò, in preda alla disperazione.
Justin abbassò lo sguardo e disse, con voce malinconica: “No.” Lucinda spalancò gli occhi dallo stupore. “Perché no?” replicò con voce timida. “Perché ti odio”
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1042647