Always by your side di Rei Hino (/viewuser.php?uid=42599)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Alò, a rieccola, sempre per il medesimo motivo
del fandom ormai alla deriva e della promessa che ci siamo fatte di
postare ogni atrocità che ci viene in mente, ho deciso in
fine di postare questa cosa oscena. Anche perché Maya me lo
ripete di continuo, perciò eventualmente prendetevela con
lei!
L'ho scritta mesi e mesi fa, scritta, riscritta e riscritta ancora, e
non mi ha mai soddisfatta proprio, non so perché, eppure
dovrebbe, essendo la storia di come Jim e Bones si sono conosciuti e
innamorati dovrebbe essere in cima alle mie preferenze D:
Principalmente c'è da dire che è nata per dare un
carattere, un motivo, insomma un'esistenza al personaggio di Gary
Mitchell, che purtroppo non abbiamo mai conosciuto se non attraverso
qualche romanzo, ed essendo io una fanatica di Kirk, questa cosa la
trovo una grossa mancanza personale XD
Non so quando saranno pronti i prossimi capitoli, ho anche paura di
rileggerli XDDD
Ah credo che in seguito il raiting si alzerà ad arancione e
il livello di patetismo dei personaggi raggiungerà
proporzioni bibliche!
1
-Diario personale, data stellare 2721 punto 3,
diario del tenente Mitchell.
La Ferragut è approdata alla base stellare sette
in pessime condizioni dopo l’incidente di una settimana fa,
in data stellare
2324 punto 6. I lavori procedono a rilento data la lontananza di questo
avamposto rispetto al quartier generale di Starfleet e in questo
sistema solare
giungono poche navi, i pezzi di ricambio stanno richiedendo molto
più tempo per
giungere fino a noi. Di questo passo le riparazioni richiederanno
minimo sei
settimane.
Le condizioni di salute dei trenta uomini
dell’equipaggio situati nei pressi dell’esplosione
principale al momento
dell’incidente, stanno lentamente migliorando, ciascuno
secondo i propri ritmi.
Il ferito più grave, il tenente James T. Kirk,
dopo essere rimasto in coma per quasi una settimana, sembra ora sulla
via di un
completo recupero. Il medico che lo sta seguendo, primario del piccolo
ospedale
della base stellare, dottor McCoy, ritiene che entro otto settimane si
sarà
completamente ristabilito e sarà in grado di riprendere i
suoi doveri. Non gli
sarò mai abbastanza grato per aver salvato la vita del mio
compagno.
Il capitano Garrovich sembra contrariato dalla
nostra ‘licenza’ forzata, molti membri
dell’equipaggio non essenziali alle
riparazioni e in ottimo stato di salute, hanno approfittato
dell’occasione per
riposarsi su questa piccola base, o per raggiungere i vari mondi di
questo
sperduto sistema planetario.
Personalmente, dopo aver passato una settimana in
ospedale, per le mie leggere ferite e la preoccupazione per il mio
amico
sopracitato, ora ne sto approfittando per riposare e portarmi avanti
con del
lavoro arretrato.-
“E’ nero! Dovresti vederlo!”
Esclamò Gary con un sorriso smagliante, senza
preoccuparsi di nascondere un lampante divertimento al solo ricordo
dell’espressione imbronciata e urlante del capitano
Garrovich, impegnato da
quasi una settimana a sbraitare, in primis contro Starfleet per la
lentezza dei
soccorsi, e poi con il suo equipaggio, per l’evidente
sollievo che sembrava
trarre da quella vacanza fuori programma.
“Addirittura?”
Jim cercò di apparire sereno e altrettanto
divertito, nonostante sentisse un grande dolore alla schiena,
l’immagine del
capitano sbraitante faceva sempre il suo effetto.
Il giovane e biondo tenente Kirk era sdraiato in
quel letto bianco d’ospedale già da una settimana
intera, e ce ne avrebbe
dovute passare altre sette probabilmente, almeno queste erano le
intenzioni del
suo dottore.
Erano nella camera d’ospedale dove Jim era
ricoverato da quando erano giunti alla colonia, un ambiente semplice e
ben
arieggiato, illuminato da forti lampade. Oltre il letto vi era un
piccolo
mobile, un armadio e una scrivania, tutto rigorosamente bianco e
immacolato. Un
ambiente che a Jim risultava più claustrofobico ogni giorno
che vi passava
rinchiuso.
Inutile dire quanto il giovane tenente trovasse
tutta quella situazione del tutto opprimente. Al solo pensiero di dover
stare
lontano dai suoi doveri, dalla nave, dallo spazio, per così
tanto tempo, si
sentiva ribollire nelle vene e tutto quel bianco nel quale era immerso
sembrava
potesse soffocarlo.
Da quando era uscito dall’accademia non aveva
passato più di una settimana lontano dal suo lavoro, che a
conti fatti, era
tutta la sua vita, tutto ciò che desiderava, che lo faceva
alzare la mattina,
sempre di buon umore. Era tutto ciò che aveva e voleva per
sé.
“Beh, è costretto a ritardare tutte le missioni di
due mesi quasi, la Ferragut è in pessimo stato, ci vorranno
almeno altre cinque
o sei settimane per riparare tutti i danni, sempre che ci arrivino i
pezzi! E
per riparare te ce ne vorranno anche di più!”
Gary non si era mosso dal suo capezzale per tutta
la settimana che Jim era rimasto tra la vita e la morte, e anche se in
quel
momento il suo amico era ormai pienamente fuori pericolo, il tenente
Mitchell
rimaneva costantemente preoccupato, assalito da una paura che ancora
doveva
fare il suo corso prima di essere definitivamente abbandonata dietro di
sé.
Passava con Jim ogni secondo libero che riusciva a
ritagliarsi, il vederlo sveglio, attivo e sorridente era ciò
di cui necessitava
per convincersi, una volta per tutte, che quell’incubo fosse
finalmente giunto
a termine e che tutto si era concluso per il meglio.
“Ma io mi sento bene! Se il capitano vuole tirarmi
fuori da qua mi farebbe un gran favore!”
Kirk fece per alzarsi dal letto ma si bloccò
istantaneamente e la smorfia che apparve sul suo bel viso
lasciò trasparire
tutto il dolore che aveva completamente attraversato il suo fisico in
quell’istante. Gary sbuffò contrariato e si
alzò in piedi facendolo mettere di
nuovo sdraiato
“Sei un cretino…”
Aveva già assistito Jim malato in altre situazioni
ed era quindi perfettamente consapevole di tutta la sua insofferenza in
simili
circostanze, sempre troppo attivo ed energico per riuscire a stare
fermo tutto
quel tempo.
“Smettila di agitarti, dai”
Mormorò, armato di infinita pazienza
“Fiato sprecato signor Mitchell, sono giorni che
glielo dico e giorni che mi ignora!”
Sentirono entrambi l’allegro accento americano del
dottore che teneva in cura Jim, il dottor McCoy, appena entrato dalla
porta
automatica che si affacciava su un lungo corridoio bianco e spazioso.
Quel ragazzo, giovane ma estremamente competente, gli
aveva salvato la vita, contro ogni probabilità di riuscita.
Gary lo aveva visto prodigarsi molto per Jim in
quella settimana, e se lui non era riuscito a chiudere occhio, il
dottor McCoy
non era stato da meno.
“Prima o poi ce lo legherò al letto!”
Esclamò il dottor McCoy avvicinandosi ai due con
un tricorder stretto nella mano destra
“Promesse, Doc, solo promesse…”
Rispose il tenente Kirk con un bel sorriso
smagliante, il ragazzo moro seduto accanto a lui esplose in una bella
risata
divertita mentre il dottore si gelò un attimo sul posto per
poi sciogliere
l’espressione sbigottita anche lui in un bel sorriso
“Fa sempre così?”
Chiese a Gary scuotendo la testa, il tenente
Mitchell alzò le spalle tirandosi su dal letto per lasciar
lavorare il medico
“Oh beh, lo fa spesso”
“Bene, ora stai fermo James, vediamo un po’ queste
fratture”.
Si sedette sul letto e cominciò a passare il
tricorder medico lungo tutto il corpo atletico del giovane ragazzo, che
continuava a sorridergli e a fissarlo con quegli occhi chiari,
brillanti e
ricolmi di vita
“Ha mai visto tante ossa rotte tutte insieme, Doc?”
Chiese Gary sarcasticamente lanciando un’occhiata
di rimprovero a Jim per tutta la paura che gli aveva fatto provare,
McCoy
scosse la testa alzandosi in piedi per controllare i dati che
apparivano nello
schermo nero dietro la testata del letto
“E mi auguro di non vederle più!”
Esclamò scrivendo i dati osservati sul suo padd.
Il comunicatore di Gary iniziò a suonare
insistentemente
“E’ il capitano?”
Chiese Kirk, il ragazzo bruno scosse la testa
“No, devo andare!”
Si avvicinò all’amico, baciò la sua
testa biondo
scuro e uscì dalla stanza a piena velocità.
Jim sorrise e incrociò le braccia al petto
“Mi lascia qui per correre dietro a una ragazza,
che roba”
Mormorò ironico, McCoy sorrise e si avvicinò al
letto trascinando con sé un mobiletto dotato di piccole
rotelle, recante garze
e quant’altro per cambiare la fasciatura che stringeva gli
addominali del
giovane, escoriati e bruciati a causa dell’incontro
ravvicinato con
l’esplosione principale dell’incidente sulla
Ferragut
“Quel ragazzo non ha né dormito né
mangiato per
una settimana, ti è stato vicino tutto il tempo, non mi
lamenterei della sua
amicizia se fossi in te”
Borbottò, concentrato nel preparare un hypospray.
Si avvicinò col busto al ragazzo, aiutandolo a togliersi la
camicia bianca
dell’ospedale
“Piano…”
Raccomandò nessun movimento brusco a quel corpo
ancora sulla via della guarigione
“E’ la prima volta che qualcuno mi dice di
spogliarmi piano…”
Mormorò il tenente Kirk con una tale naturalezza e
disinvoltura da lasciare il dottore alquanto interdetto, come spesso
gli
capitava di rimanere con quel ragazzo impertinente e piacevole al tempo
stesso,
in un matrimonio curioso di mille sfaccettature che lo costituivano
all’unisono
e che il dottore trovava tremendamente intrigante e, in qualche modo,
intimorente.
Aveva visto il tenente flirtare con ogni
infermiera vagamente piacente che aveva la fortuna di incrociare il
ragazzo in
qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Spesso le giovani cercavano
appositamente ogni ridicola scusa pur di dare un’occhiata,
anche fugace a quel
Kirk, e non era certo difficile capirne il motivo, né il
dottor McCoy si
sentiva di poter biasimare il loro comportamento; il sorriso di quel
ragazzo,
in certe pessime giornate, era un antidepressivo naturale.
Lo aveva visto in simili atteggiamenti anche con i
membri femminili dell’equipaggio della Ferragut che erano
andati a trovarlo in
quei giorni, dopo il suo risveglio, ma il dottore non riusciva a
smettere di
pensare e ripensare e a chiedersi, quotidianamente, perché
mai quel ragazzo
dovesse flirtare con lui, con una tale ostentazione, in quel modo
assolutamente
sfrontato e arrogante… e maledettamente provocante che lo
faceva diventare
matto.
“Tutto bene, Bones?”
Chiese il giovane con quel suo sorriso delizioso,
McCoy non tardò un minuto a costatare quanto fosse,
semplicemente, bello.
Aggrottò le sopracciglia
“Bones?”
Domandò curioso, Jim alzò le spalle, non
cambiando
espressione
“E’ per quelle che ti ricorderai di me
immagino…
E’ un soprannome appropriato per un dottore, no?”
“Ah beh, meglio di Plum…”
Mormorò McCoy, togliendogli lentamente il
bendaggio
“Plum?”
“Lascia stare…”
Non era il caso di fornire alcuna spiegazione
riguardo quello stupido soprannome affibbiatogli da Nancy qualche tempo
prima.
“Se non ti piace ne cerco un altro”
“Mi piace… Jim”
Si affrettò a rispondergli, alzando gli occhi al
suo volto, con un bel sorriso che il giovane ricambiò
prontamente.
Jim non indagò minimamente sul perché quel
piccolo
e semplice gesto, quello stupido scambio di nomignoli, gli
provocò tanto calore
alle guance.
“Begl’occhi, Bones…”
Mormorò il tenente, il dottore aggrottò ancora le
sopracciglia e scosse impercettibilmente il capo, distogliendo
l’attenzione da
quel volto, si sentì lievemente arrossire, probabilmente lo
aveva fissato
troppo a lungo.
Finì in assoluto silenzio il cambio della fasciatura,
Jim nemmeno parlò, ma Bones percepiva lo sguardo chiaro e
curioso del giovane
su di sé. Uno sguardo attratto e tentatore, forse era solo
una sua impressione,
constatò tra sé, o peggio, un suo desiderio.
Così il medico si alzò e aiutò il
ragazzo a
sdraiarsi di nuovo sul materasso, sistemandogli bene i cuscini dietro
la
schiena
“Prova a dormire un po’, fra un’oretta
arriverà
l’infermiera con la cena”
Borbottò assestandogli coperte e guanciali
“Preferirei che me la portassi tu…”
Ammise Jim con quanta più schiettezza possibile, asserzione
che suonava tanto come una richiesta, richiesta assolutamente
accattivante alle
orecchie del dottore
“E’ una ragazza molto carina Jim, vedrai che la
troverai molto più interessante di me!”
Il tenente sorrise
“No, io non credo… ci vediamo tra
un’oretta,
Bones…”
Sbadigliò sonoramente e girò il collo
dall’altro
lato.
Leonard McCoy si ritrovò a sorridere tra sé e a
scuotere, divertito, lusingato e allettato, la testa. Quel ragazzino
biondo era
davvero un affascinante problema.
§§§
“Ahia! Fa piano, cavolo!”
Continuava a sibilare Jim tra i denti, cercando di
mantenere i lamenti doloranti, mentre Gary lo aiutava con uno dei suoi
esercizi
di riabilitazione.
Tanto per cambiare era sdraiato nel suo letto in
ospedale, cosa che ormai lo mandava totalmente fuori di testa, ma le
sue gambe
facevano ancora fatica a camminare per più di qualche metro.
Le uniche cose che
gli evitavano di impazzire del tutto erano le costanti visite di Gary e
le
lunghe chiacchierate con il dottor McCoy.
Era steso supino con le gambe in aria, posizionate
ad angolo retto, e stava cercando di farle girare in senso orario, Gary
ogni
tanto gli afferrava le caviglie costringendolo ad accelerare i tempi, o
a
rallentarli in caso di uno sforzo eccessivo, nell’ingenua
speranza di giungere
a una più veloce guarigione.
“Uh come piagnucoli!”
“Ti diverti? Io per niente”
“Spero ti serva da lezione per la prossima volta!”
Anche nel mentre diceva quella frase Gary era del
tutto consapevole che tale avvertimento sarebbe caduto,
inesorabilmente, nel
vuoto. Jim sospirò, l’amico gli avrebbe
rinfacciato la paura che gli aveva
fatto provare in quella settimana per ancora molto, molto tempo, e lo
comprendeva
perfettamente.
“Non ti lamenti così tanto con il bel dottorino
dagli occhi azzurri però, ti devi far vedere forte e
coraggioso da lui penso…”
Sorrise Gary con lampante malizia, rallentando i
giri delle gambe di Jim, il biondo ragazzo tirò leggermente
su il collo per
fissare l’amico, accigliato, fingendo di non capire tale
insinuazione o non
volendo dargli alcuna soddisfazione.
“Eh? Che stai blaterando?”
“Ti piace…”
Cantilenò il ragazzo bruno sorridendo divertito,
con tutta la buona volontà Jim non poté impedire
ai suoi zigomi di diventare
leggermente rossi, e scostò il viso, ancora più
corrucciato
“E allora?”
“E allora l’ultima volta che ti sei perso dietro
qualcuno volevi mollare tutto e…”
“Non tirare fuori Carol per favore… e non
esagerare. E’ un ragazzo simpatico e intelligente, mi ci
trovo bene a parlare,
tutto qui”
“Oh, quindi per ora vi limitate a parlare?”
Domandò Gary alzando le sopracciglia, con aria di
sufficienza
“E piantala di insinuare cose del genere, non è
detto che debba accadere qualcosa di diverso!”
“Ma ci stai pensando…”
Il moro sorrise ancora e scosse la testa
ricominciando a fargli girare le gambe, preferendo lasciar cadere ogni
questione.
Eppure, non si seppe spiegare il motivo, provò una
lieve irrequietezza in quel momento. Quell’interesse del
tutto irrazionale che
Jim nutriva gli parve, in un certo senso, disonesto.
Non seppe darsi un’interpretazione di quella
sensazione in quel momento, d’altronde neppure la
cercò, non riuscì ad
avvertire alcuna complicazione in quel bizzarro fastidio inaspettato e
immotivato.
“E la tua ragazza settimanale?”
La voce maliziosa di Jim lo ridestò dai suoi
pensieri, il ragazzo bruno alzò le spalle e tirò
più forte le caviglie
dell’amico, cercando di distrarlo dalla sua domanda
“Ahia! Cavolo, Gary!”
“Oh scusami, dicevi?”
Chiese ostentando una falsa innocenza
“Sei andato in bianc… AH!”
Nonostante gli avesse fatto discretamente male, pur
di non fargli finire la frase, Jim non seppe trattenere una risata
divertita,
appurando da quel comportamento che la sua supposizione sulla serata di
Gary
fosse del tutto corretta, e traendo da ciò un notevole, e
lievemente sadico,
divertimento che sapeva di leggera vendetta per l’imbarazzo
di poco prima.
“Stupidaggini! Era indisposta!”
“Certo, ogni volta che esce con te è sempre
indispos… Oddio! Così mi ammazzi!”
Urlò ancora dopo un’altra stretta, ma il suo bel
viso disteso e sereno continuava a ridere
“Allora smettila di sfottermi!”
Ma nonostante le sue parole, Gary non riusciva a
non rispondere alla risata allegra di Jim, l’aveva sempre
trovata adorabile,
contagiosa, e la cosa più straordinaria era poterla di nuovo
vedere e udire,
dopo quei tetri giorni passati a sperare che si ridestasse dal suo
sonno
costretto. Ai piedi del suo corpo inerme e sfinito, mentre la speranza
di
vederlo di nuovo aprire quegli occhi chiari e brillanti scivolava
lentamente
via da lui, sebbene tentasse strenuamente di trattenerla a
sé.
Ed ora, vedere Jim desto, energico, gioioso e
lamentoso, deliziosamente capriccioso come l’incantevole
ragazzino che era, lo
rendeva felice sopra ogni limite.
E con ancora la mente assillata dall’irragionevole
angoscia di quell’orrendo incubo appena chiuso, il ragazzo
bruno fissava il
compagno, non smettendo di rendere tacitamente grazie al suo Dio di
poterne ancora
ascoltare la spensierata risata.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Ok, qui servono due piccoli avvertimenti;
1) Non slasho Gary e Jim, ve lo dico perché me lo hanno
già chiesto. La gelosia di Gary non è da vedere
in quel senso, esiste anche la gelosia tra amici, che è
anche peggio e molto spesso può anche essere confusa,
dopotutto l'amicizia è un tipo di amore. Spero di essere
riuscita a esprimere questo concetto ma in caso (probabile) che non ci
fossi riuscita ve lo dico prima XD Poi vabbé libera
interpretazione!
2) Vi avverto anche che è incredibilmente palloso e
sentimentale, una specie di Dawson's Creek Trek XD Uomo avvisato...
Buona lettura, in caso vogliate continuare XD
2
Non era mai capitato.
Erano sempre stati loro due, al liceo,
all’accademia, nello spazio.
Loro due contro il mondo, contro l’universo,
pronti a conquistarlo con la loro bella nave.
Uno affianco all’altro, sempre, da sempre e per
sempre.
Nulla, nulla
poteva opporsi a quella tacita promessa, nulla poteva mettersi tra
loro, creare
quella distanza, porre in secondo piano ciò che loro erano e
rappresentavano.
Eppure Gary non riusciva a eliminare dalla mente
il sorriso che Jim rivelava solo in presenza del dottor McCoy, quel
ragazzo con
l’aria da uomo vissuto e distrutto, maturo di una
consapevolezza che nei loro
animi di ventenni non sarebbe affiorata per molti anni ancora.
Intelligente e
pacato, calmo, fiero di un’autorità che traspariva
da quegli occhi celesti
profondi e velati di un’amarezza malcelata. Amarezza che si
scioglieva, letteralmente
spazzata via, ogni volta che si posavano su Jim.
Dall’istante in cui i due si erano visti. Quando Jamie si era ripreso dal coma, dopo aver
passato giorni in terapia intensiva solo con quell’uomo,
quando Gary lo aveva
rivisto, c’era qualcosa di diverso in lui.
Non ci fece caso, cercò, Jamie era appena
rinvenuto da un terribile incidente e Gary ringraziò tutte
le stelle del cielo
che non gliel’avessero portato via, che fosse ancora vivo,
davanti a lui,
sorridente e sornione, come al solito, i suoi occhi che brillavano
vivaci,
ancora… non con lui.
Quegli occhi tanto particolari e tanto belli che
solo lui era in grado di far sorridere a quel modo, ora non sorridevano
a lui.
Quel sorriso, quella luce dorata non era per lui.
Si accorse di come quello sguardo seguiva con
attenzione ogni gesto di quel dottore, come ne rubava gelosamente
l’immagine
ogni qualvolta l’uomo si voltasse. Si accorse di un timido
rossore sulle belle
gote di quel viso giovane e perfetto ogni volta che il dottore alzava
gli occhi
su di lui, lo sfiorava, o anche solo gli parlava da lontano.
Quel ragazzo strafottente e spavaldo che non si
era mai piegato a nessuno, che continuava ad andare dritto per la sua
strada,
che non si faceva problemi nel prendere e divertirsi con ogni persona
che
desiderava vagamente, si ritrovava ora ad arrossire imbarazzato, come
una
timida ragazzina alla sua prima cotta, davanti a
quell’uomo… E vi era qualcosa
in lui che non riusciva a sopportarlo.
Era come se avesse davanti un'altra persona,
qualcuno che non era il suo Jamie, qualcuno che non conosceva.
Si ritrovò a pensare che se Jim doveva
interessarsi a qualcuno seriamente, in quel modo delizioso e puro, quel
qualcuno doveva essere lui, ne
aveva
ogni diritto.
Aveva certamente più diritto di quel dottore al
quale di Jim non importava, se non a un livello meramente
professionale.
Aveva certamente più diritto di quel dottore che passati
quei due mesi non avrebbe neppure ricordato il nome di
quell’ennesimo tenente
arrivato da lui moribondo.
Gary aveva con Jim un rapporto speciale e
privilegiato, non voleva rinunciarvi, non voleva che passasse in
secondo piano,
non voleva vederlo affezionato ad un altro come lo era di lui.
Questa possessività che sentiva di poter
pretendere su Jim non si era mai acuita come in quei giorni. Non era
mai subentrata
tra loro minaccia alcuna all’equilibrio del loro rapporto.
Le donne, le tante donne che spesso apparivano nel
loro cammino per poi ritrarsi prontamente, non avevano mai costituito
alcun
problema.
Ma ora, il profilarsi all’orizzonte di un altro
uomo che avrebbe potuto prendere il suo posto, rimetteva in discussione
il suo
rapporto con Jamie, minacciando di portargli via quanto di
più caro aveva
costruito.
Jim doveva continuare ad essere suo, come era
sempre stato… E se doveva proprio rivolgere quello sguardo,
quel sorriso, a
qualcuno… ad un uomo…
Quell’uomo doveva essere lui.
Una paura irrazionale di poter perdere
l’esclusività del loro affetto lo portava quasi a
confondere i sentimenti che
nutriva per il suo migliore amico, svegliando un’inquieta e
incompresa gelosia.
Perché quell’esclusività che non era
mai stata
minacciata, ora la stava vedendo scivolare fra le dita, incrinata da
ogni
sguardo e sorriso che Jim e il dottore si scambiavano.
“Grazie di avermi tirato fuori da quel posto
almeno per una sera!”
Jim era più che grato che Bones lo avesse fatto
uscire dall’ospedale per una serata, e ovviamente decisamente
felice che lo
avesse invitato a cena a casa sua. McCoy abitava in un
bell’appartamento,
pulito, su due piani, piccolo, profumato, essenziale nel suo mobilio,
non
sembrava essere molto vissuto in verità e come il dottore
aveva confermato, era
più un posto per dormire, quelle rare volte che non decideva
di restare in
ospedale, che una casa vera e propria.
“Se non vuoi ritrovarti in ospedale Jim, devi solo
evitare di ridurti in quelle condizioni!”
Erano seduti su un piccolo divanetto a due posti
che divideva l’angolo cottura dalla sala da pranzo
“Non ho scelto un lavoro facile. Tutto quel bianco
mi stava soffocando!”
“Sì, anche a me…”
McCoy si abbandonò stancamente sullo schienale,
Jim pensò che in effetti, da quando era stato ricoverato, o
meglio, da quando
si ricordava, aveva sempre visto Bones in ospedale, insieme a lui o da
altri
pazienti. Sorrise, non si seppe spiegare il motivo ma era
più felice di quanto
normale fosse, essere lì con lui, sul suo divano, aver
cenato per la prima volta
decentemente insieme a lui - seduto al suo stesso tavolo, e non semi
sdraiato
in un letto d’ospedale con un pigiama addosso- lo rendeva, in
qualche modo,
entusiasta. Era estremamente elettrizzato, e il dottore si era anche
rivelato
un ottimo cuoco.
“Era da troppo tempo che non mangiavo qualcosa di
non replicato e…”
Girò il collo e lanciò un’occhiata
all’angolo
cottura dietro di loro
“...l’unica cucina che avevo mai visto è
quella
nella fattoria dei miei!”
Si rigirò verso il dottore, che aveva la testa abbandonata
sullo schienale del divanetto e gli occhi chiusi, la leggera barba era
incolta
da un paio di giorni e appariva effettivamente stanco e spossato,
eppure risultava
incredibilmente piacevole da guardare.
Gary aveva ragione, era incredibilmente attratto
da quel ragazzo, dal suo bel viso onesto e gentile, che nonostante la
giovane
età rivelava una maturità che forse lui non
avrebbe mai raggiunto.
Era strano ciò che provava quando lo guardava,
quando gli sorrideva, quando si trovava insieme a lui, si
sentiva… bene, come non
lo era mai stato in vista
sua, con nessuno. Sentiva di poter essere se stesso con
quell’uomo, lui, che non
era se stesso nemmeno da solo, con lui si sentiva, in qualche modo, al
sicuro.
Aveva una gran voglia di protendersi verso di lui
e carezzargli il viso, portare un po’ di sollievo in quegli
occhi sempre
adombrati, aveva una gran voglia di essere accarezzato da quelle mani,
e non
nel modo in cui un medico usa toccare il suo paziente.
Bones sorrise
“Povera mamma, nessun genitore dovrebbe avere un
figlio nello spazio!”
“I genitori devono lasciare liberi i figli di
scegliere la propria strada, penso”
Notò sul piccolo comodino accanto al divano una
bellissima fotografia di Bones insieme a una deliziosa bambina con
grandi occhi
celesti, che non poteva avere più di quattro anni. Sorrise
“Se lei volesse iscriversi alla Flotta non
potresti impedirglielo…”
Mormorò indicando la foto con un dito, il dottore
tirò su la testa e vide che Jim fissava la fotografia di
Joanna
“Tua figlia?”
Annuì
“Ti somiglia”
“Lei è più bella”
“Dov’è?”
Bones alzò le spalle
“Con sua madre, tra qualche mese la rimanderà
qui…”
Una flebile luce gli oltrepassò lo sguardo, McCoy
non riusciva a contenere un lieve rancore ogni qual volta pensasse alla
sua
bambina, costretta ad essere spedita avanti e indietro alla stregua di
un pacco
postale, a causa sua, a causa del suo più grande fallimento.
Jim gli si avvicinò impercettibilmente, desideroso
come non mai di spegnere quel dolore che gli leggeva chiaramente negli
occhi.
Cercò di abbozzare un sorriso
“Trent’anni, già sposato, con una
figlia,
divorziato…”
“E quasi risposato di nuovo!”
Aggiunse con una nota di miserevole ironia
“Non ti sei fatto mancare nulla!”
Anche Bones sorrise leggermente. Ora Jim era
perfettamente in grado di capire perché quel ragazzo
sembrava essere già tanto
adulto.
Era così diverso da lui, si sentì incredibilmente
inferiore innanzi a quegli occhi, carichi di esperienze, di dolore, di
una vita
che lui ignorava del tutto, e che probabilmente avrebbe sempre
ignorato.
Si sentì così piccolo, ingenuo,
quell’alone ossequioso
che avvertiva verso quell’uomo si acuì ancora di
più, in una specie di
reverenza incondizionata che mai più lo avrebbe abbandonato.
“Possiamo cambiare argomento?”
Mormorò il dottore, massaggiandosi stancamente le
tempie
“Non pensavo fosse un tasto dolente…”
“Non lo è…”
Si affrettò a rispondere, troppo in fretta
“…semplicemente non c’è altro
da dire al
riguardo…”
Jim annuì, un po’ intimidito. Seguirono
interminabili istanti di assoluto silenzio, poi il dottore
sospirò e girò il
volto verso di lui
“Scusami, davvero, non sono mai stato molto
affabile, ed è molto che non sono in compagnia”
Il ragazzo sorrise e gli si avvicinò ancora
“Spero vivamente che non abbandonerai la pratica,
Bones…”
Gli soffiò sulle labbra, con quel suo bel sorriso
e quella bocca devastantemente vicina alla sua. Sentì un
calore allo stomaco
che non sentiva da molto, troppo, di un’intensità
che forse non aveva mai
provato. Non riuscì a distogliere lo sguardo da quella
bellissima bocca che
sostava a pochi centimetri dalla sua, e che gli parve improvvisamente
ancora
troppo lontana. Quando sentì la mano del ragazzo carezzargli
la coscia, in
quello che, probabilmente a causa della sua immaginazione, non era
affatto un
movimento casuale, gliela bloccò all’istante,
prendendola tra le sue, e si
allontanò di scatto
“Ora è meglio che ti riaccompagni,
Jim…”
Mormorò cercando di apparire quanto più calmo
possibile mentre il cuore sembrava volergli saltare in gola. Il tenente
Kirk
sorrise dolcemente e annuì
“Va bene, niente pratica per oggi…”
Aggiunse sottovoce, ma sicuro che Bones lo avesse
udito alla perfezione. Difatti il dottore avvampò ma non
diede alcuna risposta.
Jim lo seguì fuori dall’appartamento, fino in
ospedale, sorridente.
Quell’attesa rendeva tutto più interessante, la
sfida era ora intrigante, e quella squisita timidezza non faceva altro
che
renderlo ancora più irresistibile ai suoi occhi e al suo
cuore, che ancora non
si era accorto, ma che già batteva solo per lui.
§§§
“Molto bene, hai una grande capacità di ripresa
ragazzo mio, magari tutti i miei pazienti fossero in così
buona salute!”
Esclamò il dottor McCoy trascrivendo i dati del tricorder
su un padd, Jim si alzò in piedi dal lettino sul quale era
disteso, continuò a
fissare le mani di quell’uomo, che fino a qualche secondo
prima toccavano e
tastavano il suo torace e il suo addome. Metodi
tradizionali… certo… la scusa
più stupida dell’universo…
“Non vedo l’ora di uscire un po’ da qui
dentro, è
un mese che ci sono rinchiuso! Finalmente posso visitare questa
base!”
Jim sorrise, guardò Gary, in piedi sullo stipite
della porta con le braccia conserte, Mitchell non poté
evitare di sorridere di
cuore al suo amico.
“Sì, stanotte sei libero, ma domani torni
qui!”
McCoy guardò il tenente Kirk alzando un
sopracciglio, Jim annuì e si rimise la maglia
“Arrivederci signor Mitchell”
Il medico salutò educatamente uscendo dalla
stanza, lasciando soli i due ragazzi, Gary gli sorrise forzatamente,
con
educazione. Chiuse la porta dietro al dottore e si avvicinò
a Jim spalancando
le braccia
“Anche stavolta sei sopravvissuto, Jamie!”
“Ho la pelle dura, lo sai”
Gary gli mise le mani sulle spalle e strinse un
po’ la presa. Jim si preoccupò leggermente, sapeva
di aver rischiato grosso quella
volta, molto più di altre volte, e sapeva quanto Gary fosse
stato in pena per
lui
“Ehi, sto bene, davvero! Mai stato meglio!”
Lo rassicurò e gli regalò uno dei suoi
più
luminosi sorrisi, e l’amico annuì
“Sì… andiamo a cena? Ho conosciuto una
ragazza qui
alla base, le dico di portare un’amica e facciamo una delle
nostre solite
uscite a quattro! Di solito finiscono molto bene, e sei stato per un
mese qui
dentro, direi che ne hai proprio bis…”
“Mi piacerebbe Gary, ma stasera proprio non è
possibile”
Jim si allontanò per risedersi sul lettino e
infilarsi le scarpe nere, Gary mantenne il suo sorriso sornione,
così simile a
quello di Jim. I due ragazzi erano, a conti fatti, molto simili
l’uno all’altro
“Paura di non avere abbastanza forza?”
Kirk rise
“Ti piacerebbe averne metà della mia! No, devo
cenare con il dottor McCoy”
Probabilmente era una sua impressione, dovuta alla
morsa allo stomaco che lo assalì in quel preciso istante, ma
gli parve di
vedere il viso di Jim leggermente arrossato. Si ritrovò a
stringere forte i
pugni e portò le mani dietro la schiena per non darlo a
vedere.
Sorrise, cercando di ingoiare quel rospo che gli
era salito in gola, e tentò di assumere un’aria
spensierata
“Vuoi che tasti il terreno?”
Il ragazzo biondo aggrottò le sopracciglia,
incuriosito
“Che vuoi dire?”
Gary alzò le spalle e gli si sedette accanto,
rifiutandosi però di guardarlo, sperando di riuscire a non
tradire la minima
emozione
“Posso… cercare di capire se il dottor McCoy sia
interessato o meno… Insomma non vorrai sprecare un altro
mese appresso a
qualcuno, senza avere la minima possibilità di riuscita! Ti
stai perdendo un
mucchio di ragazze mio caro, e non è da te!”
Ancora Jim si sentì arrossire, si alzò in piedi e
sorrise spavaldo
“Oh non preoccuparti, su quel terreno ti recupero
sempre! C’è sempre tempo per le ragazze,
Gary… e per favore non aprire bocca
con Bones!”
“Bones?”
Gary si morse un labbro ma abbassò il volto, si
alzò lentamente in piedi raggiungendo l’amico
“Siamo già ai soprannomi?”
Jim alzò le spalle e si grattò la nuca, in una
posa imbarazzata e squisita che Gary non gli aveva mai visto assumere
“Beh, mi ha rimesso insieme tutte le ossa del
corpo… è un nome appropriato per un
chirurgo… e a lui fa piacere che lo chiamo
così…”
Difficile descrivere le numerose emozioni che si
agitavano nell’animo di Gary, erano del tutto nuove anche a
lui. Chi era quel
ragazzo che aveva davanti? Non era Jamie.
Non poteva esserlo, non poteva comportarsi in quel
modo così dannatamente adolescenziale, e in un certo qual
modo, adorabile…
Non doveva…
Si ritrovò a scuotere la testa, incapace di
portare a termine un solo pensiero coerente, sapeva solo di provare
rancore,
sapeva di voler andare da… Bones…
per
gridargli in faccia, su quella bella faccia tanto altolocata, che Jim
non gli
apparteneva, che non poteva prenderselo così, senza nessuno
sforzo, senza
nessun perché.
Non poteva maledizione!
E sapeva di non poter restare oltre in quella
stanza con lui.
Sorrise e annuì, gli poggiò una mano sulla spalla
“Allora buona serata Jim…”
Gli carezzò i capelli chiari e si allontanò verso
la porta
“Anche a te! Ci vediamo domattina così mi racconti
tutto! Facciamo colazione insieme!”
“Non fai colazione con… Bones?”
Continuò a dargli ostinatamente le spalle e cercò
di pronunciare quelle parole con quanta noncuranza possibile
“No, voglio farla con te”
Gary sorrise ancora davanti a quella semplice e
ingenua sincerità
“Ok, a domattina allora…”
E uscì dalla stanza, spiazzato, e amareggiato.
§§§
“Ti capita spesso?”
Chiese sorridendo il dottor McCoy asciugandosi la
bocca dal vino rosso appena bevuto, Jim aggrottò le
sopracciglia, alzando lo
sguardo dalla sua bistecca
“Arrivare mezzo morto in una base stellare!”
Spiegò Leonard riprendendo in mano forchetta e
coltello, il tenente Kirk sorrise
“Non così tante quante ne diresti!”
I suoi occhi erano brillanti e così vivi, e la sua
espressione furbetta e divertita. Il viso di quel ragazzo era talmente
adorabile che al dottore bastava guardarlo per sorridere di rimando a
quello
sguardo luminoso. Scosse la testa sconsolato
“Tutti uguali voi cow-boy dello spazio! Sempre
felici e contenti di rischiare l’osso del collo ogni
giorno!”
“Beh…”
Jim si pulì le labbra col tovagliolo che aveva
poggiato sulle gambe e riempì di nuovo il proprio calice e
quello del dottore
di quel vino replicato che a lui sembrava buono ma che
l’amico non smetteva di
criticare
“…non propriamente tutti i giorni”
“Grazie… Ogni volta che entri in un maledetto
spargi-molecole rischi la vita, Jim!”
Lo ‘spargi-molecole’ era il nome che Bones dava al
teletrasporto, mentre il ‘maledetto assembla-atomi’
era il replicatore
alimentare. Quell’uomo e la tecnologia, o tutto
ciò che riguardava lo spazio,
non andavano affatto d’accordo. Bones era sempre pronto ad
attaccare e a
sparare a zero su qualunque argomento concernesse una nave stellare, o
in più
in generale, l’universo!
Sempre con la risposta pronta e una buona
argomentazione per sostenerla, poteva andare avanti a borbottare per
ore.
In quelle settimane Jim ne aveva sentite tante,
sapeva ormai a memoria ‘il discorso contro il
tricorder’, macchina accusata di
non riconoscere i sintomi medici come solo l’occhio esperto
di un medico sa
fare. Poteva sentirlo blaterare per ore in verità, era
divertente, brillante,
intelligente, assennato, e perché no, buffo.
Essendo costretto a non uscire dalla corsia
dell’ospedale lo aveva visto visitare, operare, risolvere
situazioni critiche e
disperate, con una risolutezza e una decisione, una forza
d’animo che mai lo
abbandonavano. Non lo aveva mai visto gettare la spugna con nessun
paziente, in
nessun caso.
Aveva conosciuto e ammirato la sua tenerezza, la
sua forza e il suo dolore quando qualcosa non andava come doveva.
Aveva visto la sua disperazione e la sua colpa,
che mai si vergognava di nascondere. Non aveva mai conosciuto un uomo
così in
contatto e in pace con le sue emozioni, e non aveva mai provato quello
che
stava sentendo in quel momento, per lui.
“Sai che è davvero curioso trovare una persona
come te nello spazio?”
Jim sorrise, non riuscendo a distogliere lo
sguardo dal suo
“Odio lo spazio!”
Il ragazzo biondo gli si avvicinò leggermente, era
sull’angolo del tavolo, accanto all’amico
“E la domanda successiva quindi sarebbe, che ci
fai in una base stellare allora?”
Mormorò con la sua bella bocca rosea e carnosa
mentre quegli occhi d’oro, allegri e sicuri, non smettevano
di esaminare ogni
minimo segno sul viso del dottore.
Leonard non si ritrasse né si scostò, sentiva il
proprio
cuore battere più forte, era chiaro che fosse un
po’ imbarazzato, ma anche se
il suo volto fosse diventato bordeaux non trovò la forza
né la volontà di
allontanarsi da quel bel viso ambrato, delicato e perfettamente liscio.
Si girò verso di lui e alzò il suo bicchiere
“La vita non va mai come uno se l’aspetta ragazzo
mio, ti sballotta qua e là, l’unica cosa che puoi
fare è subirla”
“Oh non direi affatto, amico mio.
Io so esattamente dove sono e dove sarò tra dieci
anni!”
“E dove sarai?”
Jim gonfiò il petto
“Sulla mia
nave! L’USS Enterprise!”
E i suoi occhi emanarono una
tale sicurezza e decisione che sembrava stesse parlando semplicemente
di un
dato di fatto. E questa sua incredibile fiducia, questa certezza, che
quel
ragazzino ostentava sulla sua vita, sulla sua carriera, assolutamente
certo di
quello che stava facendo, senza alcun dubbio, alcun ripensamento, lo
attraeva
da impazzire, perché era qualcosa che lui non aveva, che non
aveva mai avuto.
Jim sapeva quello che voleva,
sapeva come ottenerlo, stava lavorando sodo per realizzare quel sogno,
senza
distrazioni, senza inciampi.
Leonard non era mai stato
così, anche
lui aveva sempre saputo cosa voleva diventare, ma oltre alla laurea in
medicina,
tutto il resto era andato storto.
Non aveva avuto intenzione di
sposarsi, ce l’aveva portato la vita, non aveva avuto certo
intenzione di
divorziare, non aveva avuto intenzione di perdere suo padre a quel
modo, non
aveva mai avuto l’intenzione di abbandonare i verdi campi
della sua amata Georgia,
ma tutto era andato irrimediabilmente storto.
La vita lo aveva preso, ne aveva
fatto quello che voleva, e lui non era stato in grado di opporsi a lei,
non era
stato in grado di prenderla e domarla.
Ed ora l’aveva abbandonato
in
quell’avamposto sperduto nell’universo, da solo,
con mille rimpianti, dopo
avergli rubato tutti i suoi sogni.
“L’Enterprise?
Punti in alto,
ragazzo”
Jim alzò le spalle
“Bisogna sempre puntare in
alto
Bones, se devo avere un sogno che sia perfetto!”
Disse con un’estrema
semplicità
e genuina intraprendenza che lasciò il dottore senza nulla
da poter dire. Se
quel ragazzo stava lavorando per diventare capitano
dell’Enterprise, non era
difficile credere che prima o poi ci sarebbe riuscito.
Ed era questa sua straordinaria
capacità di trasmettere entusiasmo e coraggio, allegria, che
il dottor McCoy
ammirava più di ogni altra cosa e che necessitava.
Stare vicino a quel ragazzo era
una medicina naturale, alla quale Leonard non riusciva a credere di
dover
rinunciare per rivederlo partire nello spazio, in mezzo ai pericoli, ai
guai…
Probabilmente non lo avrebbe
più
rivisto, forse gli sarebbe accaduto qualcosa e lui non sarebbe stato
lì a
proteggerlo, né ad aiutarlo.
Una morsa gli strinse lo stomaco
ma non lo diede a vedere, alzò il calice
“All’Enterprise
allora, e… al
futuro capitano Kirk”
Propose il brindisi, Jim lo fece
incontrare con il suo bicchiere e con l’altra mano raggiunse
quella dell’amico,
abbandonata scompostamente sul tavolo, Bones trasalì ma non
poté fare altro che
stringergliela
“E al dottor McCoy che
riprenderà in mano la sua vita!”
“Ne sei certo?”
Scherzò Leonard alzando un
sopracciglio
“Se non la prendi tu, me ne
approprio io…”
Gli soffiò sulle labbra con
quel
respiro dolce e bollente, McCoy rimase spiazzato e immobile sul posto,
con la
mente completamente in bianco, pregando solo che non gli si avvicinasse
ancora,
ma al tempo stesso sperando morbosamente che Jim posasse quella
perfetta bocca
sulla sua, talmente desideroso di assaggiarla, da ormai troppo tempo.
Ma Jim si allontanò
d’improvviso, fece scontrare i bicchieri e vuotò
il suo tutto d’un fiato.
Nemmeno un’oretta dopo si
ritrovarono a camminare tranquillamente sul ponte
d’osservazione, era una zona
molto silenziosa e serafica della base stellare, frequentata per lo
più da
coppie, ma anche persone in cerca di un po’ di pace per
pensare, o
semplicemente godersi lo spettacolo dello spazio.
“Guarda…”
Il ragazzo biondo tirò a
sé il
dottore per la mano e si avvicinarono alla grande finestra che
illuminava la
stanza con il magnifico spettacolo dell’universo
“Non puoi dirmi di
odiarlo… è
meraviglioso…”
Gli disse con un bel sorriso,
mentre le stelle illuminavano i suoi occhi rendendo lucido il suo
sguardo.
Jim amava lo spazio, era per lui
qualcosa di vitale, quando ne parlava, quando l’universo si
rifletteva sul suo
viso, quel ragazzo brillava. L’universo faceva parte di lui e
lui di esso, una
predestinazione evidente che non era difficile da comprendere.
“Davvero
meraviglioso…”
Mormorò Leonard non
staccando
gli occhi dal viso di Jim, era sempre bello e incantevole da osservare,
molto
spesso non era riuscito ad evitare di guardarlo quando lo aveva trovato
addormentato nella stanza dell’ospedale in quei due mesi
ormai agli sgoccioli.
Ma ora, mentre osservava il suo amato e indispensabile cielo, brillava
di una
luce particolare, il che lo rendeva, semplicemente, splendido.
“Tu dove ti vedi tra dieci
anni,
Bones?”
Chiese Jim, serio, girandosi
verso di lui e prendendogli entrambe le mani tra le sue, il dottore
scosse la
testa
“Io non riesco a vedermi
nemmeno
tra dieci giorni, Jim…”
Lo guardò, sorridendo con
quel riso
triste e rassegnato, sconfitto, che Jim tanto detestava vedergli in
volto.
“Bones…”
Il ragazzo si alzò
lentamente
sulle punte dei piedi e, con delicatezza, poggiò le sue
labbra su quelle del
dottore, un semplice tocco, una carezza accennata.
Non trovò ritrosia,
né resistenza
da parte dell’amico, ne sentì il respiro
accelerato, gli portò le mani al viso,
era bollente. Carezzò di nuovo quelle labbra con le proprie,
quelle labbra che
lo stavano disperatamente chiamando e che lo pretendevano a
sé
“Jim…”
E si sentì stringere forte
dalle
braccia del dottore, lo schiacciava contro il suo corpo mentre quella
tanto
agognata bocca finalmente catturava la sua.
Lo strinse per le spalle,
inconsciamente spaventato che l’uomo potesse andarsene da un
momento all’altro.
Si agitavano diversi pensieri
nelle loro menti, per quanto coerenti potessero essere in quel momento,
la
strana sensazione iniziale provata da entrambi,
nell’accorgersi di non aver mai
baciato un uomo prima di quel momento, lasciò ben presto il
posto a una felicità
mai raggiunta, alla consapevolezza che quello fosse il più
bel bacio della loro
vita.
“Jim…”
Mormorò infine Bones,
staccandosi a malincuore da quella bocca deliziosa, desiderata come mai
aveva
desiderato qualcosa in vita sua
“…scusami
Jim…”
Gli prese le mani e si
allontanò
da quel corpo caldo e sensuale
“Scusa di cosa?”
Il ragazzo biondo sorrise,
portandogli le mani al viso, il dottore gliele prese di nuovo, le
baciò, con
dolcezza, recriminazione
“Devo… devo
andare, è meglio
così”
Cercò di allontanarsi ma il
ragazzo gli si avvicinò ancora, aggrottò le
sopracciglia, senza capire il
perché di quel comportamento
“Bones…”
McCoy deglutì, non era sua
intenzione far soffrire Jim in alcun modo, ma quel bacio lo aveva
più
destabilizzato di quanto avesse mai creduto possibile.
Ciononostante sorrise dolcemente
“Va tutto bene Jim, non hai
fatto nulla di sbagliato, è tutto ok…”
Ci tenne a rassicurare quegli
occhi confusi, che non avevano alcuna colpa, che non avevano commesso
alcun
errore, se non quello di posarsi sulla persona sbagliata.
“Ci vediamo domani
mattina”
essere lui. Baciò ancora
quelle morbide e
profumate mani prima di allontanarsi da lui, nella sua confusione,
nella sua
angoscia, in quel timore che altro non era che una semplice e stupida
paura di
mettersi di nuovo in gioco sul terreno dei sentimenti.
**********
-non ho la più pallida idea di quando arriverà il
terzo capitolo perché non so proprio dove voglio andare a
parare °_° Perdonatemi, devo un attimo fare pace col
cervello °_°
|
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Capitolo 3 *** 3 ***
Vi giuro, di nuovo, che NON
slasho Gary e Jim, nonostante ciò che sta per succedere, ve
lo giuro ahahahahahahah X°DD
Per il resto, boh, non chiedetemi, non ne ho idea, non lo so che ho
scritto, boh! *espatria*
Credo saranno altri due
capitoli e un epilogo, o un capitolo e un epilogo o forse è
meglio che mi fermo qui prima di sparare altre min****te dato che sta
sola sembra solo che peggiorare XD
3
Jim non riusciva a capire cosa
fosse accaduto, perché Bones avesse reagito in quel modo, in
quella sua
logicamente immatura esperienza in quel campo che gli rendeva
impossibile
comprendere il tumulto che si agitava nel dottore, e continuava a
chiedersi
dove avesse sbagliato.
Eppure non aveva confuso nessun
segnale e di sicuro quel meraviglioso bacio non se lo era dato da solo.
Allora
cosa era accaduto? Perché si ritrovava a tornare in
ospedale, da solo e agitato
invece di stare ancora con lui?
La mente impegnata in questi
pensieri non gli fece rendere conto della mano di Gary
sull’avambraccio che con
forza lo fece sbattere contro il muro di uno dei tanti piccoli
corridoietti
della base stellare.
“Ahia! Sei impazzito?! Sono
ancora convalescente!”
Ma Gary non rispose e si
impossessò prepotentemente della bella bocca del suo amico,
senza un reale
motivo, guidato da puro istinto.
Gary non aveva mai avuto simili
desideri per il compagno di sempre, non gli era mai venuto alla mente
che
potesse esserci anche solo una semplice attrazione fisica per lui.
Eppure, dopo
quello che aveva visto sul ponte d’osservazione, dopo aver
visto Jim stretto
tra le braccia di un altro uomo, in quel modo, come se gli
appartenesse, non
aveva avuto in mente altro che riappropriarsi di ciò che era
suo, e che suo
doveva rimanere. Come a voler pareggiare il conto e prendersi anche lui
quello
che Jim aveva concesso a un altro.
“Mmm…
nghn…”
Jim mugugnò nella sua
bocca,
tentando di liberarsi dalla presa, ma la morsa di Gary gli teneva le
braccia
ancorate saldamente dietro la schiena e si sentiva soffocare da
quell’abbraccio
prepotente e costretto che lo schiacciava contro il freddo muro
metallico.
Una mano di Gary si spostò
sulla
sua delicata mascella, tenendogli fermo il viso contro il suo,
obbligandolo a
ricambiare quel contatto sbagliato.
Jim riuscì a spostare le labbra quanto occorreva per
mordergli forte il labbro
inferiore, e il dolore improvviso fece allentare la presa a Gary, Kirk
ne
approfittò per spingerlo via da sé
“Sei impazzito?! Che
accidenti
ti dice il cervello?!”
Sbraitò, pulendosi il
labbro dal
sangue di Gary, mentre l’amico faceva altrettanto, mantenendo
lo sguardo basso.
Entrambi avevano il respiro veloce e il viso arrossato, Jim sentiva il
proprio
cuore battergli forte in gola, si avvicinò lentamente al
compagno, mantenendo
la guardia alta, nonostante, di Gary, non aveva il benché
minimo timore
“Ti ho fatto male?”
Chiese preoccupato, alzando una
mano verso il suo viso, Mitchell si tirò indietro
inconsciamente, quasi sentendosi
indegno di quella carezza. Scosse la bruna testa
“Hai fatto
bene…”
“Che ti è
preso?”
“Io… non lo
so… lui non… non lo
so…”
Si ritrovò a mormorare,
apparendo molto più miserabile di quanto avesse voluto, non
riuscendo neppure a
dar corpo ai suoi pensieri, ma Jim, che lo conosceva meglio di quanto
conoscesse se stesso, comprese. Comprese e sorrise
“Sei uno
scemo…”
Sussurrò con dolcezza e,
nonostante
la reticenza di Gary, riuscì a stringerlo in un abbraccio
“…nessuno
può portarmi via da
te…”
Gli sussurrò
all’orecchio. Il
ragazzo bruno socchiuse gli occhi, Jim aveva, semplicemente, capito,
forse
meglio di lui, forse anche prima, ciò che stava provando,
grazie alla sua
speciale empatia.
Lo strinse forte a sé, non
percepiva
alcuna rabbia, rancore o qualsivoglia paura provenire da Jamie, era
sereno,
affettuoso, come sempre, come sempre era, anche con coloro che non lo
meritavano affatto.
**
-Diario personale
del dottor McCoy. Data stellare 48… 8… 4898
punto… quattro…-
Bones sbuffò sonoramente
non
riuscendo a fare mente locale neppure per ricordarsi che giorno fosse,
diede
velocemente la colpa al lavoro, la stanchezza, ben sapendo che la sua
mente era
settata su tutt’altro.
-…il paziente
numero… non me lo ricordo, Kirk, James T., si è
ripreso molto bene e molto più
in fretta di quanto credevo, non posso prendermi tutto il merito della
sua
guarigione, ha un fisico forte e una mente sveglia. Sono felice che
stia ormai
bene, è così giovane e di così belle
speranze che…-
Sospirò ancora e spense
quell’aggeggio infernale, aveva sperato che
‘mettere nero su bianco’ per così
dire, i suoi pensieri e le sue emozioni, avrebbe potuto servire a
qualcosa, se
non altro a confrontarsi con se stesso, una volta oggettivati i suoi
stessi turbamenti,
ma non era possibile, non ancora. Non aveva ancora del resto capito,
né
tantomeno accettato quel che era naturalmente nato, così
velocemente e quasi in
sordina che non se n’era neppure reso conto.
Era qualcosa che non gli
serviva, che non voleva, non più, perché sempre
era stato solo causa di
problemi. E si ritrovò a stringere forte nella mano la penna
del padd e a
chiedersi perché diavolo se quel qualcosa doveva tornare a
tormentarlo avesse
scelto proprio le vesti di quel giovane.
Quel giovane soldato che sarebbe
presto ripartito e fin troppo presto lo avrebbe dimenticato, sarebbe
scomparso
da un momento all’altro, mentre lui sarebbe rimasto in quel
maledetto e angusto
angolo del Creato, ancora una volta da solo, ancora una volta sconfitto.
Si chiese per quanto ancora la
vita aveva intenzione di prendersi gioco di lui e si chiese che cosa
potesse
fare per evitarlo.
**
Il dottor McCoy entrò
mestamente
nella camera della corsia dove si trovava il tenente Kirk, era passata
una
settimana dall’ultima volta che lo aveva visto, si teneva in
costante
informazione circa la sua salute e la sua ripresa, ma la totale
confusione che
aleggiava nella sua mente e soprattutto nel suo cuore gli intimava di
tenersi
lontano da quel ragazzo, nonostante non desiderasse altro che vederlo e
accarezzarlo ogni istante della giornata, e quel maledetto bacio, e
ciò che
poteva seguirlo, erano ormai il suo costante pensiero.
Fu lieto di trovarlo
addormentato, si avvicinò senza fare rumore, il ragazzo
aveva un’espressione
serena, accese il monitor dietro di lui e ne osservò i dati
per qualche minuto,
concentrandosi solo sul suo lavoro di medico al momento.
Il tenente si era ripreso
più
che bene, se solo osava pensare alle condizioni nelle quali era giunto
da lui,
come lo aveva visto la prima volta, gli tremavano le gambe, aveva
rischiato di
morirgli tra le braccia, e la cosa peggiore era che se così
fosse stato non
avrebbe conosciuto quella meravigliosa creatura che lo aveva
completamente
rapito riplasmandogli l’esistenza.
“Finalmente…”
Sentì Jim sussurrare con
una
voce assonnata, ma ne colse lo stesso il tono ferito e infuriato, al
quale non
poteva dar torto di sussistere
“Pensavo
dormissi…”
“Io pensavo mi stessi
evitando…”
“Sciocchezze…”
Si allontanò sedendosi alla
piccola scrivania vicino al letto, fingendosi occupato e distratto nel
trascrivere dati e dati sulla cartella di Jim. Il ragazzo sorrise e
scosse la
testa
“Dici? E’ da una
settimana che
ti cerco, che chiedo di te, niente… per favore non prendermi
in giro almeno”
Si rigirò sotto le lenzuola
dandogli
le spalle, Bones deglutì pesantemente, non era quello che
voleva, non voleva
ferirlo, quel ragazzo non lo meritava
“Non è
così Jim, sai che non è
così…”
Il tenente esplose in
un’amara
risata e si alzò seduto sul materasso
“Già, certo!
Allora dimmi che cavolo
è successo! Che cavolo Bones, non mi pare di averti
obbligato a baciarmi! Ed è
da allora che non ti vedo più! Merito una maledettissima
spiegazione, non ti
pare?!”
Stringeva forte il lenzuolo
bianco nella mano, e la cosa che più feriva il dottore era
che quel ragazzo avesse
perfettamente ragione, la sua frustrazione era del tutto giustificata.
McCoy
alzò le spalle
“Che vuoi che ti dica Jim?
Che
vuoi sentirti dire?”
“Mi stavi
evitando?”
“Jim…”
“Dimmelo Bones,
ammettilo!”
“Per l’amor del
cielo…”
“Bones!”
“Sì! Ti stavo
evitando!”
Sbraitò, fissandolo per
interminabili secondi di assoluto silenzio, per poi distogliere ancora
lo
sguardo mentre il viso gli bruciava di dolorosa rassegnazione.
“Di che hai paura
Bones?”
Mormorò il ragazzo
scendendo dal
letto e avvicinandosi a lui lentamente, McCoy sorrise e scosse la
testa, dunque
infine Jim era arrivato al nocciolo della questione
“E di cosa dovrei aver
paura,
illustre psicologo?”
Lo disse con una leggerissima
punta di amaro sarcasmo non intenzionale. Jim alzò le spalle
“Hai amato, hai sofferto, e
ora
hai paura… è tutto qua, non riesci a
vederlo?”
“Non parlare di queste cose
Jim,
tu non le conosci, non ne hai la più pallida idea, non
conosci il significato
della parola a…”
“Amore?”
Bones lo guardò,
riacquistando
baldanza e coraggio, tipica di quando si conosce perfettamente la
materia della
quale si discorre e si è sicuri al cento per cento delle
proprie posizioni
“Sì Jim, non
parlare di cose che
non conosci, non a me”
Kirk sorrise sprezzante, con la
medesima baldanza nello sguardo
“Credi di avere
l’esclusiva
sulla sofferenza e sulla conoscenza, Bones? Non è
così! Non sei l’unico ad aver
sofferto né l’unico a conoscere di cosa sta
parlando maledizione!”
“Tornatene a letto Jim,
è meglio
che io me ne vada”
Fece per allontanarsi ma il
ragazzo gli afferrò con forza un braccio, Jim non si rese
neppure conto del suo
movimento, del tutto istintivo
“Scappi di nuovo?”
“Non sto
scappando…”
“Stai scappando
invece… Io sarò
anche uno stupido ragazzino immaturo ma accidenti a te so quello che
provo! Non
voglio che ti allontani da me! Non scappare da me,
maledizione!”
La voce non era ferma e non
occorreva guardarlo in viso per captare il suo sguardo lucido, di
dolore e
rabbia, da lui causate, e questo McCoy non lo sopportava. Jim era un
ragazzo
giovane, ingenuo, dedito ai piaceri, rincorreva i suoi sentimenti senza
porsi
particolari domande o dubbi, sul futuro, sulla natura delle sue
emozioni,
semplicemente le viveva. Con quell’entusiasmo tipico della
sua giovane età e
della sua totale inesperienza.
Non poteva andare a confondersi
la vita con quel ragazzo, non poteva permettersi altri giochi di questo
genere,
non dopo quello che aveva passato. Di qualunque natura fosse quello
strano
legame che captava con quel giovane, era forte, gli faceva male, dunque
doveva
allontanarsi.
Ma allo stesso tempo, non
sopportava che quel ragazzo ne soffrisse, non era il caso, non ne
valeva la
pena, non per lui. E non capiva come Jim potesse continuare a volerlo.
Non comprendeva perché quel
giovane
perdesse il suo tempo e le sue energie con un insulso
medico di campagna. Perché non c’era
altro da vedere in
lui.
Ma Jim vi aveva visto invece la
colonna, la forza, la sicurezza e la maturità che non
trovava in se stesso, perché
probabilmente in lui non vi era posto per quelle caratteristiche. Aveva
visto
questo e molto di più.
Aveva visto qualcosa che sapeva
di lui, qualcosa di unico e insostituibile che avrebbe protetto,
custodito e
tenuto stretto per tutta la vita.
Bones non poté impedirsi di
stringere a sé quel ragazzo, che non aveva ancora capito
quanto fragile in
realtà fosse dietro tutta quella strafottenza ostentata. Un
abbraccio
riparatore, offrendogli a quel modo, le sue tacite scuse e la sua colpa.
Jim affondò il viso sulla
sua
spalla, nel suo bianco camice e si avvinghiò forte con le
dita alla sua schiena
“Non sei uno stupido
ragazzino
immaturo Jim… non ho mai pensato
questo…”
Gli prese il bel volto tra le
mani per osservare quegli occhi inquieti che non smettevano di brillare
“…sei
semplicemente un ragazzo,
con la sua vita e i suoi sogni da portare avanti, le sue avventure che
lo
attendono… Tra due settimane ripartirai, e io
resterò qui… qualunque cosa sia,
tra te e me, capisci che non ha futuro? Dimmi che lo capisci”
Jim respirò profondamente,
si
strinse a lui di più e gli prese le mani tra le sue
“Tu non riesci a vedere il
tuo
futuro, Bones… ma non vuol dire che questo non ci
sia…”
Il dottore sorrise dolcemente e
gli baciò la fronte e facendo appello a tutta la forza di
volontà che possedeva,
si allontanò da lui, pregando che non parlasse né
lo fermasse, perché sapeva
quanto gli sarebbe stato impossibile andarsene, e chiuse la porta
dietro di sé.
**
-Diario del
tenente Mitchell, data stellare 4849 punto sette.
I due mesi di
obbligata licenza che siamo stati costretti a prendere sono quasi
conclusi. Le
riparazioni alla Ferragut sono ormai ultimate, nonostante la mancanza
di alcuni
pezzi di ricambio, data la posizione di questa base stellare, saremo
benissimo
in grado di giungere sul sistema di Centauri, dove riceveremo
riparazioni più
adeguate.
Questa è stata la
decisione del capitano Garrovich, oramai del tutto inasprito da tale
situazione. Il capitano ha più volte espresso a Starfleet la
sua volontà di
ripartire al più presto e riprendere la sua missione e ora
che tutti i membri
dell’equipaggio feriti si sono rimessi in salute,
l’ammiragliato ha
acconsentito.
Dal canto mio sono
ben felice di ripartire e seguitare la missione che abbiamo dovuto
bruscamente
interrompere causa il nostro incidente e spero che tutto vada per il
meglio…-
Non trovò decisamente
opportuno
aggiungere le sue personali angosce, nemmeno nel suo diario personale,
perché
più le ripeteva, più ci pensava, più
apparivano così incredibilmente stupide da
non voler neppure essere considerate.
Eppure, non era servito
chissà
quanto tempo per rendersi conto di quanto Jim stesse soffrendo in quel
periodo,
nonostante la sua solita ostentata spavalderia.
Gary conosceva Jim da troppi
anni, avevano passato insieme quella che, in età
così giovane, sembra quasi una
vita intera, soprattutto alla luce di tutte le avventure e tutte le
brutte e
belle situazioni che avevano insieme affrontato e superato.
Lo conosceva bene, lo conosceva
fin dentro l’animo perché condivideva con lui
buona parte del suo carattere.
Erano indissolubilmente simili e per questo si erano ritrovati ad
essere così
vicini, e per questo, eppure, non si capivano fino in fondo.
Balenò nella sua mente il
pensiero che Jamie ricercasse qualcosa che non trovava in se stesso, e
che
quindi non trovava nemmeno in lui.
Quel qualcosa che Jim
necessitava era tutto ciò che aveva trovato nel dottor McCoy.
**
I giorni continuavano a passare
ognuno uguale al precedente, identici, nel silenzio e nella lontananza,
in
quell’indifferenza apparente e costretta, imposta, che non
faceva altro che accrescere
i sentimenti potenti e contrastanti che il dottore e il tenente
sentivano.
Il tenente Kirk quella sera era
riuscito a strappare a un’infermiera il permesso per uscire
un paio d’ore da
quelle bianche camere che tanto lo opprimevano, con la promessa di
stare
attento, di tornare presto. Promesse alle quali Jim aveva
distrattamente
annuito, non sentendo neanche una delle parole uscite dalle labbra
rosse della
ragazza, desideroso solo di uscire da quel posto, di fare due passi, da
solo,
con i suoi pensieri, cercando una minima distrazione, cercando solo di
respirare e stare un po’ in pace con se stesso, dopo
settimane che non ci
riusciva.
Aveva seguito stretti cunicoli e
corridoi, distrattamente, aveva deciso di scendere agli ultimi livelli
della
stazione, un po’ per la curiosità di vedere cosa
ci fosse in quello strano e
curioso mondo artificiale, un po’ perché sperava
di trovare un po’ di
solitudine.
Non aveva considerato che
scendere ai livelli infimi di una colonia orbitante equivaleva a
scendere nei
quartieri malfamati di una qualsiasi città, di un qualsiasi
pianeta, di un
qualsiasi sistema solare.
Quartieri che seguono di pari
passo il genere umano, che necessitano di nascondersi da sguardi
indiscreti,
perché la gente che vi si aggira non desidera essere vista.
Zone che si tengono
al nascosto e al riparo, al segreto, quelle zone delle quali si nega
l’esistenza, che si tenta di estirpare e che eppure vengono
costantemente
tenute in vita dal bisogno intrinseco della loro funzione.
Serve ovunque una
pattumiera…
Fu il primo pensiero che
attraversò la mente del ragazzo non appena si
ritrovò in quel freddo spiazzo
metallico gremito di strani e differenti umanoidi, ognuno intento nelle
proprie
consuete e consumanti attività.
Il ragazzo biondo si strinse
nelle spalle e proseguì fino a un piccolo interno dal quale
proveniva una calda
luce e un vociare indistinto, che altro non era che un semplice bar.
Le luci scure e l’atmosfera
ovattata del locale erano opprimenti e soffocavano quasi
l’aria, ma in quel
momento quel buio era ciò che necessitava. Decise che era
meglio evitare di
guardarsi troppo intorno, lo spettacolo molto probabilmente non sarebbe
stato
edificante, e l’ultima cosa che voleva in quel momento era
creare guai, quei
guai che sembravano seguirlo di pari passo ovunque e che sempre
l’avrebbero
seguito.
Si avvicinò al bancone,
dietro
il quale un uomo, con strani lineamenti e caratteristiche aliene
ereditate da
chissà quale incrocio genetico, gli diede immediatamente
un’occhiata curiosa,
squadrandolo dalla testa ai piedi
“E tu che ci fai qua
ragazzino?
Sei scappato di casa?”
Jim sbuffò e si sedette su
uno
degli alti sgabelli, l’occhio gli cadde sul tizio accanto a
lui che sembrava
svenuto con la testa tra le mani
“Sì sono scappato
di casa, ora
posso bere qualcosa?”
Rispose con sufficienza, il
barista sospirò e si girò per prendere una
bottiglia
“Non che mi importi, ma
credimi,
non è un luogo adatto a uno come te...”
Il tenente non rispose in alcun
modo, l’uomo non seppe neppure dire se avesse udito le sue
parole.
Con il bicchiere tra le mani, e
sorseggiando quella bevanda che non seppe identificare, non che gli
importasse
realmente di farlo, Jim si chiese dove diavolo fosse e che diavolo gli
fosse
accaduto per ridurlo in quelle condizioni. Perché il
silenzio e la lontananza
di Bones lo facessero soffrire così tanto, che senso aveva?
Forse Gary aveva ragione,
l’unica spiegazione era che, infine, anche lui fosse
capitolato all’amore, aveva
una sua logica, se così si poteva chiamare. Gli era accaduto
altre volte, ne
era stato convinto, ma mai era stato così forte e
improvviso, così lancinante,
così maledettamente potente.
Perché lui?
Perché adesso?
Per lui che l’amore non era
mai
stato nulla di essenziale, mai nulla di più di un incontro,
mai nulla… Non lo
voleva, non ne aveva bisogno, l’aveva sempre respinto laddove
aveva rischiato
di diventare qualcosa di pericoloso, era sempre scappato…
E non perché ne avesse
paura, ma
perché semplicemente quello non era il suo destino, non era
la strada che aveva
scelto, non voleva legami nella sua vita, non ne aveva il tempo, non ne
aveva
lo spazio.
Aveva altre priorità, il
futuro
che si era scelto, semplicemente, non lo prevedeva.
Forse anche Bones aveva ragione,
è la vita a decidere per te e a sballottarti a destra e a
manca… e la sua vita
l’aveva adesso portato lì, a
quell’uomo… distraendolo dal suo cammino
predisposto, e ora lo stava consumando lentamente…
Alla volontà di mettere
fine a
tutto e riafferrare la vita per le corna si opponeva la terribile
volontà di
stringersi a lui, di sentirsi ancora protetto in
quell’abbraccio, di sentire di
nuovo quella completezza, quella perfezione, che aveva sentito unendo
le
proprie labbra alle sue…
“Ehi,
bambino…”
Una voce roca e vagamente
metallica, a pochi centimetri dal suo orecchio, lo fece destare. Jim
girò il
volto e trovò lo sgraziato viso di un uomo alto e ben
piazzato, con lo sguardo
vacuo e le guance arrossate, che lo fissava con un mezzo sgradevole
sorriso
“Bel
visetto…”
Continuò a blaterare quella
voce
maleodorante di alcol da quella pochissima distanza. Jim
alzò gli occhi al
soffitto, l’ultima cosa che voleva era scatenare una
rissa… anche se forse,
almeno lo avrebbe distratto dai suoi pensieri. Improvvisamente il
pensiero di
prendere a pugni qualcuno divenne stranamente attraente.
“Ti consiglio di lasciarmi
stare, non è proprio giornata”
Ammonì l’uomo,
che per tutta
risposta sorrise ancora di più
“Ha anche un bel
caratterino…”
Jim lo vide guardare davanti a
sé, istintivamente girò il volto in quella
direzione, e si accorse solo adesso
di essere preso tra due fuochi. L’altro tizio aveva il
medesimo insolente sorriso,
sembrava più giovane e fisicamente debole, ma la stretta che
subito mostrò,
afferrando la sua delicata mascella, gli fece cambiare rapidamente
opinione al
riguardo
“Dovremo insegnargli modi
migliori di usare questa bella bocca…”
Gracchiò passandogli un
dito
sulle labbra, Jim fece per sferrargli un colpo ma una terza voce alle
sue
spalle bloccò i due uomini
“Toglili quelle mani di
dosso,
Bob…”
La riconobbe subito, nonostante
fosse leggermente contorta da quella che era facile individuare come
una
sbronza
“Buonasera, Doc”
Mormorò la voce
dell’uomo
identificato come ‘Bob’
“Mi hai sentito?”
Bones ripeté, si
avvicinò e
strattonò il braccio di Jim, tirando il ragazzo a
sé
“Prova anche solo a
guardarlo di
nuovo e la prossima volta che finirai in ospedale avrò
l’immenso piacere di
pensare a te personalmente!”
Buttò fuori tutto
d’un fiato,
non smettendo di fissarlo con due occhi brillanti e furenti che
lasciavano
trasparire quella identificabile solo come l’immensa collera
che si può provare
davanti al più grande degli oltraggi.
I due uomini alzarono le spalle
con noncuranza, abbozzando un sorriso innocente
“Si calmi Doc, non sapevamo
fosse roba sua!”
“Beh ora lo sapete, levatevi
di
torno, subito!”
I due ridacchiarono tra loro e
si allontanarono dal bancone senza lasciarsi ripetere due volte il
‘cortese’
invito.
“Che diavolo sei venuto a
fare
qui?!”
Bones ringhiò
all’orecchio di
Jim strattonandolo ancora per il braccio
“Mi stai facendo
male!”
“Cammina fuori!”
Lo spinse verso l’uscita non
smettendo di stringergli forte le carni.
“E lasciami,
maledizione!”
Esclamò Jim furioso
liberandosi
dalla presa dell’amico, una volta che furono entrambi fuori
dal locale
“Che razza di postaccio
è questo?!
Non dovrebbe neppure esistere su una base stellare!”
Urlò indicando la bettola
dalla
quale erano appena usciti
“Sono ovunque questi posti,
Jim…”
Borbottò il medico
accasciandosi
con la schiena sul muro di quella zona in ombra dello spiazzo
silenzioso, ora
che era rimasto semivuoto
“E tu li
frequenti?!”
Esclamò ancora
“Andiamo, ti riporto nella
tua
camera”
Fece per afferrarlo di nuovo ma
la sua postura sbilenca lo fece scontrare contro il muro, Jim sorrise
amaramente
“Ma se sei completamente
ubriaco…”
Mormorò tristemente,
provava un
certo fastidio nel vedere il dottore ridotto a quel modo, provava un
certo malessere
nel sapere che luoghi frequentasse. Ne provava un indubbio dolore, ma
il
fastidio era ad esso superiore, che fosse gelosia per ciò
che il dottore poteva
lì incontrare o frustrazione data dal non conoscere nulla di
quella vita che
tanto gli era cara, ancora non riuscì a capirlo.
Si avvicinò al medico
allargando
le braccia e indicandolo
“Ma guardati…
perché ti riduci
così? Non ha alcun senso, Bones…”
“Oh tu invece sai cosa ha
senso,
vero?”
“Bones…”
“Che diavolo vuoi da me,
Jim?!”
Esclamò il dottore
afferrandolo
di nuovo per le spalle e incatenando gli occhi celesti e confusi nei
suoi,
vagamente intimoriti
“Io non ti ho mai chiesto
nulla!
Non ti ho mai chiesto di entrare nella mia vita e sconvolgermela
così! Non ti
ho mai chiesto di farmi provare questi sentimenti… di nuovo! Io stavo bene qui, con me
stesso e me soltanto… Avevo
chiuso quella pagina! Non ti ho chiesto di apparire e rimettere tutto
in
discussione!”
Gli gridava continuando a
stringerlo, con il viso a pochi millimetri di distanza dal suo
“Maledizione
Jim…”
Mormorò poggiando la fronte
sulla
sua e scuotendo freneticamente la testa
“…perché
non riesco a toglierti
dalla mente? Perché continuo a sognarmi le tue labbra, i
tuoi occhi, il tuo
profumo, questo dannato bellissimo sorriso con il quale mi
guardi… Non ti ho
mai chiesto nulla di tutto questo… Che diavolo vuoi da
me?”
“Io… solo
te…”
Dichiarò Jim con quella
dolce
espressione, carezzandogli il volto, con
quell’ingenuità meravigliosa che McCoy
non riusciva più a tollerare; la sua luce non faceva altro
che rimarcare le
tenebre nelle quali si era imposto di vivere.
Sorrise, un sorriso arcigno,
crudele, che Jim non gli aveva mai visto
“Certo… Il
cacciatore ha scelto
la sua ennesima preda, vero?”
Jim aggrottò le sopracciglia
“Cosa? No,
Bon…”
“Sono solo
l’ultima conquista da
mettere nell’elenco, un altro degli innumerevoli sfizi che
vuoi soddisfare…”
“Ti giuro che non
è que…”
“E una volta che ti sarai
tolto
la curiosità, ti metterai l’anima in pace, dico
bene?”
“Perché ti
rifiuti di
ascoltarmi?”
Mormorò Jim, quasi fosse un
pensiero tra sé, con la consapevolezza che Bones non avrebbe
mai prestato
attenzione alle sue parole, non si sarebbe mai fidato di lui.
“Allora togliamoci questo
sfizio
Jim, così mi lascerai in pace
finalmente…”
Jim cercò di trattenere il
respiro, ma l’odore dell’alcol nel soffio di Bones
gli si era già insinuato fin
dentro i polmoni, non fu difficile rendersi conto
dell’eccitazione dell’amico,
che sfregava in quel modo maledettamente osceno su di lui, addossati su
quel
muro, in quel pubblico spiazzo.
Kirk si rifiutò di
focalizzare
l’attenzione su quel dannato particolare riportando lo
sguardo sul volto del
dottore, era arrossato, e bollente, vagamente sudato.
Ma mentre i loro inguini
continuavano a strofinarsi, pressati l’uno contro
l’altro, l’unica cosa alla
quale Jim riusciva a pensare era quel desiderio intossicante che si
stava
impadronendo di lui istante dopo istante, fino a fargli perdere
completamente
la ragione.
Jim non osava minimamente
muoversi di un centimetro, sopraffatto dall’inquietudine e da
una leggera angoscia,
il dottore mosse le mani dalle sue spalle giungendo
ad
afferrargli la nuca
e i
capelli chiari, tirando il volto del
ragazzo in avanti e verso
l’alto.
Sopraffatto dal profumo di Bones, dalla
sensazione di quel viso
sudato premuto
contro il suo, la
bocca di Jim
si schiuse, lasciando
il
posto all'assalto,
quasi famelico, di McCoy,
e la
lingua del
dottore si
lanciò immediatamente ad
esplorare ogni
centimetro di
quella bellissima bocca che
aveva appena violato.
Pensare era diventato impossibile
e senza importanza, come del resto respirare e le mani del ragazzo
raggiunsero
il petto dell’uomo, avvinghiandosi forte alla sua maglia
scura.
La mano di Bones si spostò
con
un movimento veloce e improvviso all’inguine del tenente,
premendo quell’erezione
già accennata con il palmo e carezzandola con forza
attraverso il tessuto dei
jeans.
Il respiro di Jim si ruppe in
rantoli e tutto il suo corpo rabbrividì, stretto contro
quello dell’amico. Kirk
doveva porre fine a tutto quello, c’era qualcosa di
terribilmente sbagliato,
non doveva andare così, non con Bones in quelle condizioni,
non addossati
contro quel muro, non con quell’impeto. Ma la mano del
dottore che gli abbassava
la cerniera dei pantaloni e l’altra che vagava sul suo petto,
fattasi strada
sotto la maglia, lo lasciavano del tutto inebetito e incapace di fare
qualsiasi
cosa, bramoso solo che quel meraviglioso contatto non smettesse.
“E’ solo questo
vero? E’ questo ciò
che cerchi da me, che cerchi da tutti…”
Mormorava il medico scandendo
bene le parole, mentre la sua mano si era insinuata oltre i tessuti
della
biancheria, spingendo ulteriormente contro il ventre del ragazzo.
A Jim sfuggì un singhiozzo
che
non lo sorprese ma che non avrebbe mai voluto lasciar andare, ma il
controllo
non era una possibilità al momento. La mano di Bones era ora
gentile, e
carezzava su e giù la sua intera lunghezza, tenendola
saldamente tra le dita, e
Jim continuò a stringersi a lui e completamente in balia di
quelle sensazioni,
premette di più il bacino verso la sua mano, alla disperata
ricerca di qualcosa
di più.
Gli strinse le braccia al collo
e si schiacciò ancora più verso di lui e verso
quel tocco tanto sospirato che proseguiva
nelle sue sfrontate carezze, e affondò il viso nella spalla
dell’uomo, strinse
forte la sua maglia tra le dita, mentre lottava per soffocare gemiti
convulsi e
delle stupide lacrime di frustrazione che pungevano agli angoli degli
occhi.
Spinse e spinse ancora con i fianchi, intrappolato in quella morsa,
fino
all’ultima spinta e all’ultimo soffocato uggiolio
di liberazione.
Non si mosse di un millimetro,
mentre il respiro tornava normale e la sua mente capace di mettere due
parole
in fila. Sentì le braccia di Bones muoversi, ma il corpo del
dottore non si
allontanava dal suo.
McCoy continuava a deglutire
pesantemente, la mente ovattata e confusa dall’alcol, da Jim,
da ciò che stava
facendo e che era riuscito a fermare, per chissà quale
miracolo.
Si pulì la mano con un
fazzoletto che teneva in tasca e rivestì velocemente il
ragazzo, lottò con tutto
se stesso per non stringerlo forte tra le braccia, per non carezzarlo e
ricoprire di baci quel bellissimo corpo che ancora tremava nel suo
abbraccio.
Si allontanò, lo
coprì con la
sua giacca e lo trascinò via.
**
“E’ troppo tardi
per riportarti
in corsia…”
Mormorò quando furono
entrati
nel suo saloncino
“Fa come se fossi a casa
tua…
vado a dormire…”
Non attese alcuna risposta, non
ebbe nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo su di lui e si
recò nella sua
stanza.
Jim rimase qualche istante in
assoluto silenzio, con la mente completamente vuota di ogni pensiero.
Il gesto di Bones lo aveva
agitato, inutile negarlo, era stato azzardato e improvviso, e per
quanto
assolutamente piacevole, o per quanto avesse disperatamente sognato il
suo
tocco, quel modo lo aveva del tutto interdetto. Forse era lo stato
d’animo nel
quale si trovava Bones, o peggio, era il proprio stato
d’animo… perché se non
fosse stato altro che puro e superficiale desiderio, non si sarebbe
trovato ora
con quel magone nello stomaco e nel cuore.
Jim era ormai certo che fosse
ben altro, o tutto quello non sarebbe stato minimamente
importante…
Alzò il volto sulle scale
del
piccolo appartamento che davano alle due camere da letto, dove poco
prima era
salito il dottore. Forse inconsciamente, Jim si avviò a quei
gradini.
Immaginava come potesse sentirsi
McCoy, da quel che di lui aveva avuto l’onore di conoscere,
probabile che il
dottore si sentisse in qualche modo colpevole di ciò che
aveva appena fatto, e
nessuna parola sarebbe servita a convincerlo che non avesse fatto nulla
di male
o di non voluto.
Difatti lo trovò sul letto,
steso supino con gli occhi spalancati e le braccia lungo i fianchi. Jim
si
sedette sul materasso, senza guardarlo, Bones si scostò
facendogli un po’ di
posto accanto a lui, il volto del ragazzo si illuminò, e
finalmente gli tornò
quel dolce sorriso felice che il dottore non riusciva a non ammirare.
“Non so cosa dire,
Jim…”
Mormorò impercettibilmente
McCoy, dopo qualche infinito secondo di assoluto silenzio, il ragazzo
continuò
a sorridere, e sdraiatogli accanto, gli strinse una mano
“Non dire niente, va tutto
bene…
dormiamo…”
Sussurrò girandosi su un
lato,
verso di lui. La tensione di McCoy si sciolse, senza riuscire a trovare
una
motivazione specifica, forse era la sua vicinanza, il suo sorriso, la
sua voce
serena, il suo animo quieto… o semplicemente il fatto che
non lo temesse.
“Sì,
sarà meglio…”
Con la testa pulsante a quel
modo non ci mise molto a cadere profondamente addormentato.
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Capitolo 4 *** 4 ***
4
“Avanti”
Mormorò Gary con noncuranza
sentendo il cicalino del suo alloggio, mentre continuava a piegare
pigramente
le maglie gialle della sua uniforme
“Ehi”
Il tenente Mitchell si
bloccò un
attimo sul posto, prima di poter fare mente locale, quando la porta
grigia si
richiuse dietro Jim
“Che ci fai qui?!”
L’amico dai capelli chiari
alzò
le spalle, sulla sua espressione stanca era presente un mezzo sorriso
“Mi hanno dimesso”
“E non mi hai detto niente?!
Ti
sarei venuto a prendere!”
Gary quasi si accigliò ma
Jim
per tutta risposta ridacchiò tra sé
“Grazie ma so salire sul
teletrasporto da solo!”
Esclamò avvicinandosi al
letto
dell’amico, sul quale si lasciò stancamente cadere
sulla schiena, stirando
abbondantemente braccia e gambe. Gary sospirò molto
rumorosamente, per farsi
sentire, seccato di come non fosse stato avvertito al momento, e Jim
sorrise
ancora di più
“Ti ho disturbato?”
“No, stavo solo mettendo un
po’
in ordine…”
Mormorò aprendo il cassetto
delle uniformi per sistemarvi le maglie fresche di bucato e ben piegate
“Strano…”
Bofonchiò Jim, abituato al
sempre totale caos nel quale viveva Gary, da che ricordava, era sempre
stato
così. Il suo piccolo alloggio, come prima di esso era stata
la camera
all’accademia, era colmo dei più svariati oggetti,
utili o meno che fossero.
Ninnoli, sopramobili, libri e quant’altro, posizionati
più o meno alla rinfusa
su tutte le superfici, costituivano il mondo disordinato del suo
migliore
amico.
In questo era quanto di più
diverso da lui ci fosse, per Jim, abituato ai suoi alloggi spartani,
con pochi
oggetti ai suoi occhi preziosi, quel piccolo mondo appariva fin troppo
saturo.
Si chiedeva spesso come facesse Gary a non sentirsi soffocare da tutti
quegli arnesi.
“Aspetti qualcuno?”
Chiese ancora, non era da Gary
riassettare la sua stanza, a meno che non ci fosse
un’ispezione del capitano,
ma anche in quel caso non era da lui comunque.
“No, è appena andato via qualcuno…”
Rispose Gary con un languido
sorriso soddisfatto che Jim contraccambiò
“Oh… spero tu
abbia cambiato le
lenzuola…”
Aggiunse sottovoce, non che gli
interessasse particolarmente, si sentiva talmente stanco che non si
sarebbe
alzato da quel materasso per nessun motivo al mondo al momento.
“Hai portato a bordo tutta
la
tua roba?”
Jim annuì
“Non potevo certo lasciarla
in
ospedale… E’ stato bello rivedere la faccia del
capitano, mi era mancato!”
“Oh beh tu a lui
sì, e molto!”
“Immagino…”
In realtà la nave gli era
molto
mancata, e, in un certo qual modo, anche il capitano Garrovich, che dal
canto
suo era stato costantemente in pensiero per il suo miglior tenente, per
quanto
scavezzacollo fosse.
Anche se, Jim doveva ammetterlo,
con tutto quello che gli era accaduto in quelle settimane passate alla
base, la
nave, il capitano, le missioni, nemmeno lo spazio erano stati nei suoi
pensieri.
Per la prima volta in tutta la
sua vita il suo lavoro non era restato al primo posto,
qualcos’altro aveva
occupato la sua mente e soprattutto il suo cuore.
E fu proprio il realizzare tutto
questo che lo aiutò a dare finalmente un nome a
ciò che provava per quell’uomo
dagli occhi celesti che gli aveva salvato la vita.
Gary si sedette sul materasso e
finalmente poté osservarlo. Jim aveva l’aria
stanca, spossata in qualche modo.
Delle leggere occhiaie gli segnavano gli occhi e il suo sguardo era
decisamente
altrove e Gary sapeva fin troppo bene dove.
Sapeva perché Jamie non
dormiva serenamente,
sapeva quali pensieri lo tenevano occupato. Altre volte aveva visto
quell’espressione, ma mai era stata così torva,
mai era durata tanto a lungo.
“Come stai?”
Domandò sorridendo,
dolcemente.
Il ragazzo biondo alzò le spalle
“Bene, altrimenti non mi
avrebbero dimesso”
“Non intendevo
fisicamente”
Jim girò il viso,
cominciando a
fissare il muro e aggrottò impercettibilmente le
sopracciglia chiare
“Sto bene”
Mormorò, e fu appena
percettibile la sua voce, Gary sorrise e scosse la testa
“Non è
vero”
Gli diede una pacca sulla gamba
facendogli cenno di spostarsi qualche centimetro per fargli spazio e si
sdraiò
accanto a lui. Jim girò il viso nella sua direzione
“Che ne sai?”
“So sempre quando non stai
bene”
Era fin troppo palese il
malessere di Jim, ogni malessere.
Ogni più piccola cosa che non andava si palesava in quello
sguardo chiaro dal
colore indefinito, ogni più piccolo dispiacere era
lì, per chiunque volesse vederlo.
E Gary ne aveva visti molti, fin troppi.
Conosceva il modo che aveva Jim
di chiudersi in sé, ingoiando ogni problema, evitandolo, ed
anche in questo era
identico a lui.
Conosceva alla perfezione il
modo che aveva Jim di arrivare al massimo sopportabile e di liberare
poi, di conseguenza,
ogni emozione trattenuta in sfuriate quasi violente, per poi
ricominciare da
capo a immagazzinare ogni cosa, fino al nuovo riempimento e fino alla
nuova
rottura.
E anche in questo erano simili.
E in virtù del loro tacito
accordo non verbale, sopportavano questa situazione, nessuno affrontava
i
propri problemi e nessuno aiutava l’altro ad affrontarli,
perché non ne erano
in grado; nessuno dei due aveva il carattere e la maturità
necessaria per
essere di un maggiore aiuto all’altro in quel campo.
E perciò l’unico
aiuto che aveva
sempre potuto dare a Jamie era quello di sopportare le sue sfuriate,
portarlo
fuori a bere una birra, presentargli l’amica di una propria
ragazza. Nulla di
più, nulla di realmente utile.
Lui che avrebbe fatto qualsiasi
cosa per il suo migliore amico di sempre, lui che avrebbe volentieri
sacrificato ogni cosa, anche la vita, come molte volte aveva messo a
repentaglio e molte altre volte avrebbe fatto in futuro, non riusciva,
concretamente, ad aiutarlo. E questa sua incapacità, a cui
non aveva mai
pensato, di cui non si era neppure mai reso conto, pesava adesso come
il più
forte dei rimorsi.
Non si era mai reso conto di
quanto fosse inadeguato, non se n’era reso conto fino a
quando l’animo di Jim
non aveva trovato quello, a lui complementare, del dottor McCoy.
“Lo dimenticherai prima di
quanto immagini…”
Mormorò, guardando il
compagno
sdraiato accanto a lui, che fissava ora il soffitto, con aria assente.
E non
era un augurio puramente egoistico, o almeno sperava davvero che
così non fosse,
che non fosse così meschino. Era semplicemente una
costatazione, era una logica
affermazione. Era la vita.
Jim avrebbe dimenticato anche
quella storia, non appena la sua missione nello spazio fosse ripresa,
il lavoro
sarebbe tornato al primo posto, il suo futuro e la sua carriera
sarebbero
tornati ad essere la sua preoccupazione principale, perché
era sempre stato
così.
E anche se quella volta era
tutto un po’ diverso, tornare a viaggiare avrebbe sortito
ugualmente il suo
effetto, anche se ci sarebbe voluto forse più tempo.
Jim sarebbe stato bene, contava
solo questo.
“Non lo voglio
dimenticare…”
Mugugnò Kirk, di nuovo
aggrottando le sopracciglia, Gary guardò il suo volto, non
era certo che Jim si
fosse reso conto di averlo detto o fosse convinto di averlo solo
pensato, la
sua espressione era fissa e quasi sperduta, i suoi occhi puntavano il
soffitto
del suo alloggio ma vedevano tutt’altro
“… non voglio
dimenticare i suoi
baci…”
Mormorò ancora e Gary fu
certo
che l’amico non si fosse accorto di averlo davvero
pronunciato quando, tiratosi
su col busto per osservarlo meglio, Jim gli lanciò
un’occhiata curiosa e il
ragazzo bruno sorrise
“Sono qui Jim, per qualsiasi
cosa…”
Era l’unica frase che
potesse
dirgli in quel momento e il bel viso dell’amico si
rasserenò lievemente,
lasciando comparire un delizioso sorriso
“Lo so…”
Batté il palmo della mano
sul
materasso facendogli cenno di sdraiarsi di nuovo accanto a sé
“… tu sei sempre
qui, ho
imparato a sopportarti!”
Esclamò sorridendo
poggiando la
testa chiara sulla sua spalla, Gary ricambiò
l’ironica espressione
“Ah dovrai fartene
un’abitudine
mio caro, perché sulla tua bella Enterprise ci
salirò anche io!”
“Non ho alcuna intenzione di
salirci da solo”
Fu l’immediata a mormorata
risposta di Jim.
Fin da quando erano due
ragazzini avevano sempre immaginato le loro avventure spaziali, non
avevano
parlato di altro argomento per lungo tempo.
Avevano sempre saputo, entrambi,
quale sarebbe stato il loro futuro, e avevano lavorato sodo, insieme,
per
costruirselo. E finalmente vi erano giunti, stavano vivendo quelle
avventure
che si erano sempre immaginati, fianco a fianco, com’era
sempre stato.
E, sognando il proprio futuro,
le proprie future missioni sull’ammiraglia della Flotta, come
capitano e primo
ufficiale, con la testa sulla spalla del suo migliore amico, Jim si
addormentò,
serenamente, dopo settimane che non vi riusciva.
**
-Diario personale
del tenente Kirk. Data stellare 5546 punto sette. Le otto settimane che
siamo
stati costretti a trascorrere in questa base sono ormai finite e tra
due giorni
ripartiremo e riprenderemo la missione, come Starfleet ha ordinato,
seppur
sotto richiesta del mio capitano.
Le mie condizioni
fisiche sono ottime, non risento di alcuno strascico, anche se per i
primi
tempi mi hanno raccomandato di non fare alcuno sforzo, ci
proverò.
Una parte di me è
molto felice di ripartire finalmente, è stata la mia
più lunga permanenza in un
luogo da quando ho iniziato a prestare servizio nella Flotta, e non
credo di
essere fatto per rimanere a lungo in un porto, non adesso almeno, non
prima di
aver esplorato questa galassia.
In realtà questo
tempo mi è volato… Sono state
settimane… intense.
Non ho più avuto
modo di parlare con il dottor McCoy, né di vederlo, se non
per uno sporadico
saluto, sembra essere costantemente impegnato, molto più del
solito, senza
contare la sua impostata freddezza nei miei confronti…
Vorrei parlargli,
devo farlo prima di ripartire…-
**
“Signor
Mitchell…”
Il dottor McCoy rimase stupito
quando, aprendo la porta, si trovò
davanti il volto del giovane tenente amico di Jim, nel cuore della
notte, o
meglio, di quella che per pura convenzione alla base stellare veniva
definita
tale.
“Posso
entrare?”
In realtà
l’ultima cosa di cui Leonard aveva bisogno era una
discussione notturna a rubargli il suo già risicato e
disturbato riposo, ma non
poté fare altro che scostarsi dalla porta facendo cenno a
Gary di entrare in
casa.
“Come sta
Jim?”
Chiese Bones non appena il
giovane si accomodò sul divano,
preoccupato per la leggera agitazione del ragazzo, che poteva voler
dire molte
cose
“Perché
non lo chiede a lui?”
“Non penso di voler
parlare di questo…”
“Lei non si rende
nemmeno conto di quanto sia eccezionale Jim, né
di quanto stia soffrendo”
Il dottore sospirò
e si massaggiò le tempie
“Me ne rendo conto
signor Mitchell, ma sul serio, non è il
cas…”
“Conosco Jim da una
vita, e mi creda, per quanto banale le possa
sembrare, non l’ho mai visto così. Oh,
l’ho visto innamorato, stava per mollare
tutto e sposare una ragazza tempo fa, era folle di… non
ricordo nemmeno il nome,
ma mi creda, non gli ho mai visto lo sguardo e il sorriso che rivolge a
lei, o
quando parla di lei. E dovrebbe vederlo adesso, se solo lo guardasse
bene, se
riuscisse ad accettare quello che Jim prova lo vedrebbe…
Perché è oltremodo
palese… e non è giusto che lei lo faccia stare
così…”
Mormorò infine
abbassando lo sguardo, una frase che sfuggì alle
sue labbra, stanca e satura del dolore che vedeva nello sguardo
dell’amico e,
forse, velata ancora da una punta di gelosia. Punta che il dottore
vide.
Bones gli si sedette accanto,
sul divano del piccolo saloncino
“Io non te
l’ho rubato, Gary…”
Non aveva mai parlato con quel
ragazzo moro dagli occhi chiari, lo
aveva visto per settimane al capezzale di Jim, muto e scostante, chiuso
in un
dolore che raramente aveva visto nei confronti di un amico, e questo
glielo
aveva fatto apprezzare da subito. Sorrise
“Jim non fa altro
che parlare di te, ‘io e Gary di qua, io e Gary
di là’… qualsiasi cosa lui provi per
me, non altera in nessun modo il rapporto
che ha con te…”
Alzò le spalle
“…ogni
rapporto è diverso, un nuovo affetto non cancella
né
modifica quelli vecchi. Jim ti adora, sei il suo migliore amico, questo
non
cambierà mai. Non fa altro che fantasticare su quando sarai
il suo primo
ufficiale sull’USS Enterprise!”
Una leggera risata di entrambi
allentò la tensione
“Sono dieci anni che
lo ripete…”
Annuì Gary, poi
tornò serio
“Io… lo
so, davvero, come… tu devi
sapere che Jim si è legato a te, molto…
Devi pur saperlo!”
Sospirò e si
passò una mano tra i capelli, se non riusciva Jim a
parlare con il dottore, nessuna sua parola avrebbe scalfito quel muro
che
sembrava circondare quell’uomo, per ragioni di cui Gary non
era a conoscenza ma
che nemmeno gli sarebbero importate.
Quella discussione rischiava
solo di protrarsi per ore,
inutilmente. Perciò annuì, chiedendo
l’unica cosa che gli stava veramente a
cuore
“Vorrei solo che lo
venissi a salutare dopodomani alla nostra partenza,
si merita almeno questo”
Disse con decisione, non
avrebbe accettato una risposta negativa
in alcun modo, non avrebbe visto lo sguardo di Jim ancora
più deluso e ferito
di quanto già quell’uomo non avesse fatto.
Non gli avrebbe causato altro
dolore.
Bones annuì e,
vedendo il ragazzo avviarsi alla porta, lo seguì
“Verrò…”
“Sì? Beh
eviterò di dirglielo comunque…”
Mormorò Gary,
fissandolo ancora, lanciando il suo ultimo attacco
con quello sguardo adirato
“…non
voglio alimentare false speranze, non si sa mai… buonanotte
dottore…”
Non attese alcuna risposta e
uscì dalla casa di quell’uomo.
**
Il giorno dopo la Ferragut
sarebbe finalmente ripartita, avrebbe
lasciato quella base in quell’angolo sperduto
dell’universo che, in appena due
mesi, era divenuta per Jim così dannatamente importante.
Poche ore mancavano ormai a
quel fatidico momento, e ogni cosa
sarebbe ricominciata, interrompendo quella surreale stasi nella quale
si era
ritrovato a vivere per quelle settimane.
Certo non si sarebbe mai
aspettato di trovare il suo destino in
quel luogo, incontrato per pura coincidenza a causa di un incidente
banale e
pericoloso nel quale era quasi morto. Eppure quel fatto aveva messo in
moto una
catena di eventi che avrebbero segnato per sempre la sua vita.
Ma tutte queste cose ancora
non le sapeva, forse le sentiva, nonostante
tutta la confusione e l’amarezza che aleggiavano sulla sua
testa mentre
camminava avanti e indietro per quei corridoi grigi e freddi della
base, senza
una reale meta, semplicemente per tentare di prendere sonno.
I suoi passi distratti lo
avevano condotto proprio sul ponte di
osservazione, un amaro sorriso gli comparve sul volto mentre si
avvicinava alla
balaustra, proprio su quell’esatta mattonella in cui aveva
baciato Bones, per
la prima volta.
Momenti preziosi e dolcissimi
che avrebbe sempre tenuto stretti ma
che si legavano a tutto ciò che poi era seguito e che lo
faceva soffrire, come
non riteneva nemmeno possibile che si potesse, non lui.
“Ciao”
La voce bassa e calda di
Leonard lo fece gelare sul posto, non si
aspettava di trovarlo lì, non si aspettava di trovarlo
affatto, per quanto il
suo inconscio potesse sperarlo, ma evidentemente non era il solo a non
riuscire
a dormire quella notte, e non era il solo ad essere stato trascinato in
quel
luogo dai propri, traditori, passi.
“Ciao…”
Rispose a bassa voce, quasi un
sussurro, e fu certo che le sue
gote furono arrossite mentre il cuore prese a battergli velocemente. Si
morse
la lingua cercando di darsi un contegno, cercando di sembrare meno
stupido di
quanto finora avesse fatto, ma non era facile, non con il calore di
Bones così
vicino, quel calore che aveva provato e dal quale era già
dipendente.
“Non vai a
dormire?”
Mormorò il dottore
portando le mani dietro la schiena, cercando di
apparire sereno, tranquillo, mentre il suo sguardo chiaro si perdeva
nella
profondità senza fine dello spazio aperto.
“Tra un
po’… non ho molto sonno”
“Come ti senti? Hai
ancora i giramenti di testa?”
“No, sto bene,
grazie”
Sospirò e
alzò le spalle
“Tu come
stai?”
Il dottore
ridacchiò e alzò le spalle a sua volta
“Uno
schifo!”
Jim girò appena il
viso nella sua direzione e i loro occhi si
incontrarono per qualche istante
“Mi
dispiace”
Mormorò il ragazzo,
sentendosi responsabile di quel malessere che
li accumunava. Una responsabilità della quale non riusciva
proprio a pentirsi.
McCoy respirò profondamente, avrebbe voluto dirgli di star
tranquillo, che non
era affatto colpa sua, invece restò muto, perché
non sarebbe stata la verità.
“Potrò
scriverti?”
Domandò Jim ma non
attese una risposta del dottore
“O magari
è meglio di no”
Aggiunse sottovoce, Bones
sorrise dolcemente, di nuovo non poteva
resistere a quella inconscia tenerezza
“Avrai talmente
tante cose da fare lassù Jim, che non avrai
nemmeno il tempo di dedicarmi un pensiero”
“Ne sei proprio
convinto eh? Poi dicono che il testardo sono io…”
Bones non avrebbe mai
ascoltato le sue parole, non avrebbe mai
creduto alla sincerità dei suoi sentimenti, non si sarebbe
mai fidato di lui,
e, sinceramente, non poteva dargli torto.
Nonostante dai suoi occhi
trasparisse ogni cosa, traspariva una
verità che Bones non accettava, una verità della
quale aveva ancora paura.
“Mi sono
innamorato… una volta…”
Mormorò Jim,
fissando ancora dritto davanti a sé, mentre i
miliardi di stelle del cosmo si riflettevano nel suo sguardo
“… o
forse due, o almeno così credevo, ma era un’altra
cosa
invece…”
O forse era un’altra
cosa quella che provava in quel momento,
vicino a lui, qualcosa di più forte, qualcosa che non aveva
nome.
“Come lo
sai?”
Domandò
ingenuamente l’uomo e Jim alzò le spalle
“Te lo direi, ma non
mi crederesti…”
Girò il bel viso di
nuovo roseo verso di lui, incatenando gli
occhi nei suoi, quegli occhi così dolci e sinceri che non
chiedevano altro che
di essere letti e fu McCoy a distogliere lo sguardo per primo.
Jim sorrise
“Beh, buonanotte
Bones…”
Sussurrò e si
voltò verso il corridoio, ma la mano dell’uomo
incontrò la sua.
A giudicare
dall’espressione stupita di Bones stesso, doveva
essere stato un movimento del tutto istintivo che non aveva
controllato. I suoi
occhi celesti fissavano la propria mano stretta in quella del ragazzo,
e al
momento null’altro era importante, solo che Jim non se ne
andasse.
Lo avrebbe perso il giorno
successivo, lo avrebbe perduto in poche
ore, e questo pensiero lo faceva impazzire come mai gli era accaduto
prima.
Perché se quel
sentimento era del tutto nuovo per Jim lo era anche
per Bones, nonostante lui conoscesse l’amore, forse
più nei suoi difetti che
nelle sue qualità, non aveva ancora conosciuto quel calore
unico, quella pace
interiore, che solo il viso di quel ragazzo, il suo sorriso e le sue
mani gli
provocavano.
E nonostante sapesse bene che
era sbagliato, perché il giorno dopo
avrebbe fatto ancora più male, perché lo avrebbe
perso in ogni caso, non poté
impedirsi di stringere forte a sé quel ragazzino.
Fu quella sensazione, mentre
Jim artigliava forte le sue dita
sulla sua maglia e affondava il viso nella sua spalla, quella terribile
sensazione di vuoto che lo colse d’improvviso quando la
consapevolezza che
entro poche ore lo avrebbe lasciato si impadronì di lui, a
fargli comprendere
che quel ragazzo era divenuto per lui ormai fondamentale. La sua luce
era ormai
fondamentale.
Gli carezzò
dolcemente quel viso dai lineamenti delicati e
perfetti e si chinò su di lui, aspettando che fosse Jim a
posare le sue labbra
sulle sue, solo allora le catturò con le proprie.
Ancora, e ancora,
perché era più di un bisogno.
Aveva bisogno delle sensazioni
che quel giovane gli faceva
provare, sensazioni che aveva dimenticato perfino esistessero.
Sensazioni
meravigliose che in qualche modo significavano, semplicemente, essere
vivi.
Vivo, si sentiva vivo, come
non lo era stato per molto tempo,
giungendo quasi a dimenticare l’importanza di quelle
emozioni. Emozioni senza
le quali la vita non ha alcun senso.
Giurò, in quel
momento, stringendo la vita di quel ragazzo, che
non avrebbe mai più dimenticato questa semplice
verità.
“Alla prossima
licenza tornerò qui, da te…”
Soffiò Jim, sulle
labbra dell’uomo, non smettendo di stringersi a
lui. Leonard sorrise
“Sappiamo entrambi
che non lo farai”
Mormorò, lambendo
ancora quelle labbra del cui sapore era ormai assoggettato,
Jim scosse la testa, decise di non discutere ancora, inutilmente, con
Bones,
appigliandosi all’ironia, e così
aggrottò le sopracciglia, in una finta
espressione offesa. Non voleva separarsi da lui con quel magone sullo
stomaco,
non lo avrebbe sopportato
“Ah no? Allora, se
vinco io mi crederai, ti fiderai di me… almeno
un po’…”
Aggiunse con
serietà e una punta di amarezza, Bones, non smettendo
di stringerlo a sé, alzò un sopracciglio
“E se vinco
io?”
“Non vincerai
mai”
“Non è
una risposta”
“Non è
una scommessa”
Jim si alzò in
punta di piedi e gli prese il volto tra le mani
“Io
tornerò qui, è un’affermazione
e… ci sarà tutto più
chiaro…”
Mormorò con un
dolce sorriso, Bones annuì, cercando di non crearsi
alcuna aspettativa ma, una parte di lui, credette istintivamente e
senza
riserve a quelle parole.
Non si seppe mai spiegare come
e perché ma fu come captare, in
quel momento, una sorta di eco di ciò che sarebbe accaduto,
di ciò che la vita
avrebbe loro portato.
**
E la mattina dopo, dopo quei
due eterni mesi, era alla fine giunto
il giorno tanto decantato della partenza della Ferragut da quella base
spaziale.
L’equipaggio, in
parte sempre rimasto a bordo, in parte sulla
base, e anche quelli che avevano approfittato per raggiungere
qualsivoglia meta
in quella licenza obbligata da cause di forza maggiore, erano tutti
tornati al
proprio posto.
O quasi.
Gary e Jim attendevano ancora
pazientemente nella sala del teletrasporto
della base stellare, di essere riportati a bordo. Attorno a Gary si
erano
aggirate, per svariati minuti, uno stormo di ragazze urlanti, Jim si
chiese
dove diavolo l’amico avesse trovato tutte quelle belle
ragazze in una base
stellare. O dove avesse anche solo trovato il tempo da dedicare a tutte
loro,
ma era una storia che sicuramente Gary si sarebbe deliziato a
raccontargli.
“Jim…”
“Verrà…”
Gary raggiunse
l’amico, fuori dalla pedana del teletrasporto,
intento a fissare il corridoio, continuando a sperare testardamente di
veder
apparire il dottor McCoy da un momento all’altro. Il ragazzo
bruno gli strizzò
una spalla
“E’ un
dottore Jim, sarà stato trattenuto, lo sai, quando vengono
chiamati loro devono andare…”
Gary cercava di rincuorarlo e
di parlare con tranquillità, il
compagno annuì
“Sì…
sarà così…”
“Ragazzi, la nave mi
sta continuando a chiamare, dovete andare…”
Disse il tecnico dietro la
console del teletrasporto
“Dobbiamo andare,
Jim…”
Gli prese una mano e Jim si
lasciò tirare inerme verso la pedana
rialzata del macchinario.
“Jim…”
Girò di scatto il
viso verso il corridoio, pregando di non averlo
solo immaginato, e quando vide Bones avanzare a passo svelto verso di
lui, il
volto gli si illuminò e corse incontro al dottore,
gettandogli le braccia al
collo, proprio come un bambino, ma non se ne vergognò
minimamente.
Gary sorrise mentre il
comunicatore del teletrasporto continuava a
suonare.
“Lo
sapevo!”
Jim continuava a stringere il
dottore a sé, aveva davvero avuto
paura che potesse, per un motivo o per un altro, lasciarlo partire
senza un
ultimo saluto.
“Sono stato
trattenuto”
La pura e semplice
verità era che, nonostante ci avesse provato,
non era riuscito ad impedirsi di rivederlo. Aveva avuto oltremodo paura
che se
lo avesse rivisto a pochi minuti prima della partenza, non avrebbe
più potuto
lasciarlo andare, e la tentazione di impedirgli di ripartire, in un
modo o
nell’altro, era tuttora molto forte.
Ma alla fine, non aveva
resistito al desiderio di vedere di nuovo
il suo volto, il suo sorriso, in quella che poteva essere
l’ultima volta. Un
ricordo e un’immagine che avrebbe tenuto stretta.
Gli prese il viso tra le mani
cercando di fissare nella mente ogni
suo singolo dettaglio.
Il cicalino del comunicatore
della console continuava a suonare, Gary
guardò l’addetto al teletrasporto unendo le mani
in una tacita preghiera,
questo sbuffò e rispose alla chiamata, dicendo la prima cosa
che gli venne in
mente su due piedi
“Necessito di
qualche minuto per risettare il teletrasporto, c’è
stato un… un’interferenza nel
segnale…”
Non attese di sentire la voce
alterata del capitano e spense la
comunicazione
“Grazie”
Mormorò il tenente
Mitchell.
“Ti
scriverò Bones, se mai vorrai rispondermi saprai dove
farlo…”
L’unica cosa che si
sentì di poter fare McCoy fu annuire
mestamente, senza allentare la presa su di lui
“Stai sempre attento
Jim ti prego, non cacciarti nei guai, evita i
pericoli, fa attenzione, ti prego…”
Improvvisamente il terrore che
quella fosse l’ultima volta che vedeva
quel ragazzo semplicemente perché poteva capitargli qualcosa
di male lo assalì
prepotentemente, ma Jim manteneva il suo bellissimo sorriso
“Devi stare
tranquillo, non mi succederà niente…”
“Sei sempre sicuro
di tutto tu”
“Sì,
perché voglio rivederti ancora, e
ancora…”
Mormorò con un
sorriso languido e dolce al tempo stesso,
quell’espressione così tipica di Jim che aveva del
tutto scombussolato la mente
di Leonard non appena lo aveva conosciuto.
Gli catturò la
bocca in un bacio profondo che il dottore non poté
interrompere, ritrovandosi ancora una volta a ricambiarlo con passione,
stringendo quel bel corpo al proprio.
Non sapeva come avrebbe fatto
a lasciarlo adesso, ad allentare la
presa e vederlo sparire nel teletrasporto, l’unico desiderio
che aveva in quel
momento era che restasse tra le sue braccia, dove poteva proteggerlo,
da ogni
male.
“Bones…”
Sussurrò infine Jim
restando con le labbra poggiate sulle sue
“…sai
dove sarai tra dieci anni?”
Aveva un sorriso bellissimo
che McCoy si trovò costretto a
ricambiare, intuendo dove Jim volesse andare a parare
“Fammi
indovinare…”
“CMO
sull’Enterprise, che te ne pare?”
“Un po’
prematuro”
“Scommetti?”
E quella sicurezza era ancora
lì, a brillare in quei bellissimi
occhi luminosi
“Jim, dobbiamo
andare o finiamo nei guai…”
Mormorò Gary alle
sue spalle, Bones gli porse la mano
“State attenti tutti
e due, mi raccomando…”
Il ragazzo bruno gliela
strinse sorridente e annuì, scompigliando
i capelli di Jim affettuosamente
“Non preoccuparti,
ci bado io a questo qui, come sempre!”
“Ehi!”
Si lamentò Kirk,
adorabilmente imbronciato.
La mano di Jim
scivolò lentamente via dalle sue e Leonard restò
finché non lo vide sparire nel teletrasporto e non
sentì la conferma che i due
ragazzi fossero arrivati sulla Ferragut, sani e salvi.
Si avviò poi al suo
appartamento, che non gli era mai sembrato
così vuoto. Bevve un bicchiere di brandy sauriano e si
sedette sul divano
cercando di fare mente locale e ordine nei suoi confusi pensieri. Bevve
un
altro bicchiere, prese una penna e un foglio di carta e
buttò giù tutto d’un
fiato quel tumulto che gli si agitava in mente.
Non
pensava che Jim avrebbe risposto alla sua lettera, non pensava che
sarebbe
tornato da lui come aveva promesso…
Non
pensava minimamente che quella corrispondenza sarebbe durata dieci
anni…
E
l’ultima cosa che credeva possibile, in quel momento, era che
Jim avrebbe infine
vinto, pienamente, la loro scommessa.
_______________________________________
Seguirà un
piccolo epilogo (appena ho qualche ora per scriverlo) e poi mi levo
dalle balle XD
|
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
5
– Epilogo
Il
dottor McCoy, nella sua bella uniforme a maniche corte da infermeria,
entrò a
passo lento nell’alloggio del capitano, sbadigliando
sonoramente e stirando le
braccia. Il turno lo aveva abbastanza provato, prima o poi si sarebbe
fermato
ad analizzare i motivi, pseudo scientifici o mistici che fossero,
secondi i
quali l’intero equipaggio era portato a fratturarsi ed
escoriarsi le più
svariate zone del corpo sempre
durante
le ore del suo turno, sempre e
costantemente, quasi lo aspettassero appositamente.
Si
tolse le scarpe con un movimento dei piedi distratto mentre gli
sovvenne la
voce vispa di Jim dal letto
“Ciao
Bones”
Mormorò
Kirk, sdraiato a pancia in sotto sul materasso, con i piedi sul cuscino
e la
testa di Spock adagiata sulla sua schiena, anche lui sdraiato, di
traverso, sul
lettone.
“Leonard…”
Salutò
anche il vulcaniano, McCoy rimase qualche secondo spiazzato; tutta la
sovraccoperta rossa del letto era invasa da centinaia di fogli scritti,
uno dei
quali il capitano era anche molto intento ad osservare.
Non
ci volle più di qualche secondo per rendersi conto che
fossero lettere. Le sue
lettere, anzi, le loro.
Aggrottò
le sopracciglia e si avvicinò, sorrise
“Come
mai state leggendo questa corrispondenza?”
Kirk
alzò le spalle
“Mi
è tornato in mente quel periodo, Spock si è fatto
raccontare un po’ di cose e
così…”
“Leonard,
vorrei precisare che non ho letto le tue lettere”
Il
dottore si sedette su un angolo del materasso e cominciò ad
osservare quei
fogli, con rinnovata curiosità
“Perché?”
Spock
alzò un sopracciglio
“Ho
ritenuto opportuno chiedertene prima il permesso, non vorrei risultare
irrispettoso per la tua privacy”
Bones
ridacchiò
“Quando
sei legato telepaticamente a due persone la parola privacy perde un
po’ del suo
significato!”
Il
vulcaniano si alzò seduto, Kirk sembrava non ascoltare
nemmeno, troppo
concentrato nella lettura di una sua vecchia lettera, a giudicare dalla
calligrafia.
“Leonard,
come ben sai non ho mai ascoltato le vostre menti se
n…”
“Spock
era per dire! Non ti serve il mio permesso, ora ne sei parte, siamo
parte l’uno
dell’altro no?”
Si
alzò in piedi e sbadigliò di nuovo
“Ma
sei stato molto carino a chiedermelo”
Aggiunse
baciandolo delicatamente sulle sottili labbra prima di recarsi nel
piccolo
bagno
“A
me niente? Anche io sono carino!”
Bofonchiò
Jim senza alzare gli occhi dalla sua lettera, datata oramai quasi sette
anni
prima. Il vulcaniano, con la sua tipica curiosità da
scienziato, rafforzata
dalla volontà di conoscere quelle parole, quei pensieri e
quei sentimenti
indelebilmente segnati su quella corrispondenza durata quasi dieci
anni,
cominciò a spulciare tutti quei fogli sommariamente, non
sapendo esattamente
nemmeno da dove cominciare.
“Uh,
questa la devi assolutamente leggere Spock… ho un talento
naturale per il
sesso, sia a farlo che a scriverlo…”
Jim
continuava a mormorare tra sé, racchiuso in un mondo tutto
suo. Il vulcaniano
alzò un sopracciglio abbozzando un sorriso, non era
difficile immaginarsi il
contenuto sicuramente vietato ai minori di alcune lettere –un
numero sostanzioso
di lettere- inviate dal suo T’hy’la a Leonard.
Sarebbe stato normale anche
adesso, ma dieci anni prima, con Jim ancora così giovane, al
suo primo vero
innamoramento, con il proprio uomo così lontano, Spock
poteva benissimo
immaginare, in tale situazione, che cosa dovessero contenere quei fogli
di
carta e, francamente, era molto ‘curioso’ di
leggerli.
Lo
sguardo tagliente e scuro del vulcaniano si posò poi su
delle parole, viste di
sfuggita, parole delicate e profonde, vergate dalla mano inconfondibile
di Jim.
Era
una delle sue prime lettere, all’inizio di quella
corrispondenza, Jim era
ancora un ragazzino, più giovane di quanto lo lui avesse mai
conosciuto.
Eppure,
in quelle frasi, in quelle dolci emozioni segretamente rivelate, non
trovò
nulla che non conoscesse alla perfezione, e sorrise. Non si accorse,
stranamente, dell’avvicinamento di Jim sulla sua spalla, ne
udì solo la voce
“Disgustosamente
sdolcinata…”
Bofonchiò
il capitano con una pantomimica smorfia sul viso, ma il vulcaniano
scosse il
capo
“Stavo
per dire profondamente… devota, Jim”
“Oh
beh se lo dici tu…”
“Sono
parole… è una lettera molto…
bella”
Il
capitano rimase piacevolmente stupito del sincero complimento da Spock,
e in
special modo, rimase alquanto deliziato dall’espressione
dolce del suo
vulcaniano
“Grazie
Spock, sei gentile”
Mormorò
avvicinando le sue labbra carnose alla guancia spigolosa del suo primo
ufficiale
“Io
sono sempre gentile…”
Rispose
questi cercando di non abbandonarsi troppo facilmente alle lusinghe del
Compagno, compito quanto mai difficile –se non impossibile-
mentre la bocca di
Jim scendeva sul suo collo depositando piccoli baci, intervallati a
lievi
morsi.
“Sarà
stato molto gratificante per Leonard leggere queste
parole…”
“Mh…”
Jim
non era più molto partecipe della discussione mentre la sua
mano, insinuatasi
sotto la maglietta nera del vulcaniano, carezzava bramosa quella pelle
bollente
e le sue labbra erano ora impegnate a intrattenersi con quel
meraviglioso lobo
appuntito che aveva giudicato sempre troppo
appetitoso.
Il
primo ufficiale alzò un sopracciglio pensoso
“…e
le successive, una corrispondenza di dieci anni avrà dato
luogo a molte altre
occasioni gratificanti…”
Jim
si tirò indietro qualche centimetro e puntò il
suo sguardo chiaro in quello
tagliente del Compagno, aggrottando le sopracciglia bionde e non
riuscì a non
sorridere divertito
“Sei
geloso, Spock?!”
Il
vulcaniano gonfiò il petto
“Non
capisco come ti sia venuta in mente una simile idea, Jim”
“Non
devi essere geloso, io e Bones abbiamo avuto una... storia a distanza
per un
decennio, ci vedevamo poco, mentre con te da quando ci conosciamo non
ci siamo
mai separati per più di qualche giorno!”
Spock
sospirò profondamente
“Jim,
innanzitutto lasciami dire quanto sia illogica la tua convinzione di
una mia
gelosia, proprio per i motivi da te appena citati. In secondo luogo
permettimi
di farti notare che questa tua affermazione non sia esattamente
veritiera, in
quanto capitò, l’anno scorso, che non ci vedemmo
per una settimana…”
“Lo
so, è stata terribile, i giorni più bui e tetri
della mia intera esistenza…”
Mormorò
Jim colto da un’improvvisa quanto teatrale disperazione
oltremodo caricata, ma
Spock non diede peso all’ironia del Compagno
“Se,
come tu sei convinto, la mia fosse gelosia, ti rammenterei infastidito
di come
in quella settimana non mi scrivesti, né tu né
Leonard, nemmeno una lettera. Ma
la tua è un’illogica assurda affermazione e quindi
non proseguirò tale
discussione”.
Jim
non poté fare a meno di ridacchiare scuotendo la testa,
quasi non ci credeva.
Ogni volta che era convinto di conoscere il suo vulcaniano oramai alla
perfezione, qualcosa lo stupiva sempre. Era anche oltremodo lusingato
da tutto
ciò.
“Che
ridi? Trovato qualche vena poetica imbarazzante?”
Domandò
Bones uscendo dal bagno in accappatoio mentre si strofinava un
asciugamano
bianco sui capelli bagnati, Kirk scosse la testa e afferrò,
con un rapido
movimento, il suo padd dal comodino
“Meglio,
Spock è geloso perché non gli ho mai scritto una
lettera d’amore!”
“Ribadisco
di non aver mai detto nulla del genere”
“Non
serve, hai anche ragione, io sarei geloso!”
Mormorò
McCoy, ridacchiando insieme a Jim e andando a sedersi sul letto
“Ok,
adesso ti scrivo la più melensa e sdolcinata lettera
d’amore che sia mai stata
scritta. Ti verranno le carie ai denti!”
Il
vulcaniano alzò un sopracciglio, non capendo per quale
motivo la sua dentatura
dovesse sviluppare una simile infezione a causa di una qualsivoglia
lettura, ma
non ritenne opportuno chiedere nulla, la conversazione era divenuta
già
abbastanza surreale.
“Infilaci
qualcosa di erotico”
Consigliò
Bones sfogliando quei fogli che ornavano il materasso, Jim
annuì
“Oh
quello nelle mie lettere non manca mai, lo sai bene”
“Oh
sì, decisamente…”
“Mi
serve un po’ di solitudine, mi ci devo concentrare, torno per
cena!”
Disse
Jim distrattamente e, senza attendere alcuna risposta, uscì
dall’alloggio.
“E’
andato alla serra?”
Domandò
Spock, sapendo già perfettamente la risposta, difatti il
dottore annuì
“Già,
è oggi l’anniversario”
Lo
sguardo celeste scorreva ancora su quei fogli che gli riportavano alla
mente
mille ricordi e sensazioni
“Crede
ancora che non lo sappiamo”
Mormorò
il vulcaniano e Leonard sorrise
“Gli
piace pensare che sia così…”
Come
sempre, da sempre, il capitano stava costantemente bene. In ogni
situazione.
Jim
andava sempre avanti, con un sorriso in viso e il cuore in pezzi.
C’era
un’altra ricorrente emozione che scorreva tra i pensieri di
Jim segnati su quei
fogli bianchi, c’era un altro nome che compariva spesso,
spessissimo, fino alla
fine di quella corrispondenza. Un nome che per entrambi loro, Spock e
Leonard,
continuava a rappresentare un quasi mistero.
Entrambi
sapevano poco, troppo poco, di Gary Mitchell, una figura che per Jim
era stata,
ed era ancora, molto importante.
Bones
ricordava quei due mesi di dieci anni prima alla base stellare, aveva
avuto
modo di conoscere quel bruno ragazzo molto poco, ma gli era bastato per
apprezzarlo.
Vi
si era poi affezionato per via indiretta, per tutte le belle parole che
Jim
spendeva ogni volta su di lui, lodando le sue qualità,
raccontandogli le loro
avventure, riportando per filo e per segno tutti i fatti, e tutte le
volte che
Gary gli aveva salvato la vita.
Lo
aveva rivisto forse un paio di volte, di sfuggita, purtroppo non aveva
avuto
l’onore di poter lavorare con lui, perché quando
il dottor McCoy aveva
finalmente preso il suo posto sull’Enterprise Gary se
n’era già andato.
Jim
non ne aveva mai più parlato di quell’incidente e
Bones si era ritrovato, in
silenzio, a raccogliere i pezzi del suo ragazzo.
Spock
era stato più a contatto con il signor Mitchell, aveva avuto
modo di prestare
servizio insieme a lui, seppur per poco tempo, e non era stato
difficile notare
il legame che aveva con Jim. Non aveva dimenticato nessuno sguardo,
nessun
sorriso, nessuna parola dei due.
Non
aveva dimenticato quanto avesse tentato il Compagno, fino
all’ultimo, a salvare
l’amico e non poteva dimenticare lo sguardo furioso e ferito
di Jim quando lui,
Spock, gli aveva comunicato di doverlo uccidere. Non avrebbe mai potuto
scordarlo.
Si
chiese se Jim lo avesse mai tacitamente incolpato di quanto accaduto,
se lo
accusasse in qualche modo di non aver fatto qualcosa, lui che era
sempre in
grado di trovare delle soluzioni, la prima e l’unica
soluzione che aveva
trovato in quel frangente era stata quella di uccidere il migliore
amico del
suo T’hy’la.
Senza
nessuna difficoltà, perché era la soluzione
logica, perché Spock era ancora
all’inizio del proprio percorso e non conosceva ancora
nemmeno il significato
di quelle emozioni.
Non
aveva compreso Jim in quella situazione, non gli era potuto essere
utile,
nemmeno dopo. Ma quel piccolo abbozzo di sentimento che già,
eppure, si
affacciava dentro di lui, per Jim, gli permise di sentirsi per la prima
volta
colpevole, gli permise di capire che l’unica cosa che
desiderava, che avesse
mai desiderato così tanto, era quella di riuscire a
comprendere Kirk, il suo
nuovo capitano.
“Oh
guarda un po’…”
Mormorò
McCoy porgendogli una lettera, con un dolce sorriso
“…questa
è relativamente recente, è la prima volta che mi
ha scritto di te…”
Spock
osservò il foglio non trattenendo un lampo di
curiosità nello sguardo scuro,
Bones continuava a sorridere
“Il
suo primo giorno da capitano, ti aveva appena visto, e già
era… totalmente
perso…”
Il
viso magro del bel primo ufficiale gli regalò un delizioso
sorriso vulcaniano
appena accennato, non rispose, continuando a leggere, ma non era
necessario;
Bones sapeva benissimo che da parte di Spock era stata la stessa
identica cosa.
E glielo lesse nello sguardo scuro, in quell’esatto momento.
**
La
serra, a dispetto di ciò che si poteva pensare, non era
molto frequentata di
solito. Era oltremodo raro non trovarci Sulu, questo sì,
quel ragazzo aveva una
vera passione per la botanica extraterreste e un vero talento per il
mondo
vegetale in generale. Il giovane giapponese si rinchiudeva sempre in
quelle
quattro mura appena staccava il turno, o almeno, così
capitava prima
dell’arrivo a bordo di quel nuovo ragazzo russo.
Jim
sorrise tra sé, stringendo tra le mani il padd nero e
sedendosi in fondo alla
sala.
Vi
erano straordinari colori in quel giardino artificiale, fiori e piante
di tutti
i tipi, provenienti dai più svariati luoghi, frutti
prelibati e dolci profumi originari
dei più disparati angoli della galassia si amalgamavano
perfettamente e
contribuivano a creare un’atmosfera rarefatta e delicata.
Un
piccolo bosco quasi surreale che respirava nelle profondità
dello spazio.
Il
capitano vi si recava poche volte in verità, ma quel giorno
era particolare.
Si
sedette sul freddo pavimento grigio, a gambe incrociate, poggiando la
schiena
al muro dietro di lui. Sorrise alzando lo sguardo su quel piccolo
alberello
dalle foglie bluastre che si stagliava innanzi a lui, con i suoi
piccoli rami
abbelliti da graziosi fiori argentati inodore.
Non
rammentava da quale pianeta provenisse, nonostante Gary
gliel’avesse ripetuto
tante di quelle volte, non riusciva proprio ad entrargli in testa quel
nome
curioso composto da fin troppe consonanti per essere pronunciabile.
Rammentava
solo che a Gary piaceva moltissimo ed era l’unica cosa che di
lui gli era
rimasta. Non aveva neppure potuto recuperare il corpo del suo migliore
amico,
era stato costretto ad abbandonarlo su quel pianeta sperduto.
Non
era facile non pensare a quel disastroso incidente, non era facile non
versare
qualche lacrima in quella giornata particolare, quando tutto ritornava
a galla
prepotentemente.
Vi
era rabbia, vi era tristezza, ma non vi era senso di colpa, e non
perché avesse
agito semplicemente nell’unico modo possibile, non
perché fosse stato logico,
non perché non vi erano state alternative.
Non
vi era senso di colpa perché qualsiasi creatura si
nascondesse dietro quegli
occhi argentati e inquietanti che aveva combattuto, semplicemente, non
era
Gary, non più.
Qualsiasi
cosa avesse ucciso su quel pianeta non era il suo migliore amico, suo
fratello,
la persona che sarebbe morta volentieri per proteggerlo, come tante
volte aveva
dimostrato.
Dovunque
fosse stato Gary, il vero Gary, in
quei momenti, mentre il suo corpo veniva usato per ferirlo, tutto
ciò che era
Gary era dalla sua parte, e lo aveva protetto, come aveva sempre fatto.
Come,
forse, tutt’ora continuava a fare, dovunque fosse.
Un
piccolo bocciolo argentato, sul ramo più alto del giovane
albero, si schiuse
quasi timidamente, davanti allo sguardo chiaro del capitano e Jim
sorrise di
nuovo, annuendo
“Lo
so, sei sempre qui…”
Mormorò,
quasi tra sé, raccogliendo il padd e la penna da terra.
E
ci credeva davvero, dovunque Gary fosse non sarebbe mai venuto meno
alla sua
promessa; sarebbe stato al suo fianco, in ogni avventura, come avevano
sempre
immaginato, fin da ragazzini.
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Mamma mia quanto cavolo sono sentimentale, e lo so, ho dovuto inventare
questa cosa abominevole e banale perché dovevo
cercare di chiudere, non dico col lieto fine, perché
sappiamo che fine ha fatto Gary, ma almeno in maniera un po' positiva,
o avrei perso il sonno!
Ok volevo fare la 'prima volta' di Jim e Bones ma ho avuto paura di me
stessa e del risultato disturbante che poteva uscire XD Altro che carie
ai denti, avrei provocato una grave forma di diabete, non era il caso!
La smetto di sparare ca**ate e chiudo con i doverosi ringraziamenti a
tutti coloro che hanno letto, hanno messo la storia tra i preferiti, i
seguiti (queste due cose proprio NON me le aspettavo XD), un grazie
speciale alle commentatrici (unite dalla voglia di sbattermi la testa
sulla tastiera XD). Un bacio a tutto il fandom e a risentirci presto! ^^
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