Girl With One Eye

di _Calliope_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Dog Days Are Over ***
Capitolo 2: *** II. Her Morning Elegance ***



Capitolo 1
*** I. Dog Days Are Over ***


Girl With One Eye

 

I.

She told me not to step on the cracks
I told her not to fuss and relax
Pretty little thing stopped me in my tracks
But now she sleeps with one eye open
That's the price she'll pay

I took a knife and cut out her eye
I took it home and watched it wither and die
Well, she's lucky that I didn't slip her a smile
That's why she sleeps with one eye open
That's the price she'll pay

I said, hey, girl with one eye
Get your filthy fingers out of my pie
I said, hey, girl with one eye
I'll cut your little heart out 'cause you made me cry

 

 

Sono le otto e un quarto di mattina quando Molly si accorge di essere seguita.

Oddio, aveva questa impressione da giorni; ma era un'impressione, appunto, una specie di solletico sul retro della nuca che le diceva qualcuno ti sta osservaaaando. Niente di concreto, e per circa una settimana si dà dell'imbecille paranoica finché un (bel) piovoso lunedì mattina non avverte di nuovo quel formicolio dietro la testa e si gira per l'ennesima volta e qualcuno svolta troppo in fretta in una stradina laterale.

Non coglie niente del suo misterioso inseguitore; non capisce neanche se sia un uomo o una donna, solo che è vestito/a di nero ed è scomparso/a troppo in fretta perché possa trattarsi di una coincidenza.

Molly se ne sta ferma in mezzo alla strada per qualche secondo, poi un tipo le va a sbattere contro e borbotta uno 'scusi e lei si rassegna a sospirare e ad andare al lavoro come al solito e que serà serà. Che cavolo, però, tutte a me devono capitare.

(Mi dispiace, Misterioso Inseguitore, dovrai aspettare finché non avrò almeno due caffè in corpo. Oggi non è giornata.)

 

Dopo una settimana, diventa una certezza: qualcuno la sta seguendo. Molly si è allenata a guardare dietro di sé senza voltare la testa , e percepisce costantemente la presenza dell'inseguitore, quel filo che li unisce, quell'elettricità esistente solo tra due persone che in mezzo a una folla sono interessate unicamente l'una all'altra. Spesso nota un movimento con la coda degli occhi, se sta attenta, un momento in cui l'inseguitore si avvicina pericolosamente ed è poi costretto a ritirarsi. Le ricorda certi racconti sulle fate, in cui l'ignaro essere umano riesce a scorgere un guizzo di ali o di orecchie a punta che appena gira la testa sono scomparse.

 

Molly si fa un serio esame di coscienza. Dovrei avere paura?

La ragione dice sì, assolutamente sì, vai alla polizia, chiedi aiuto, protezione, non sai per quanto tempo questa persona si limiterà a seguirti. Sembra la cosa più sensata; ma l'istinto le dice che non sarebbe una mossa saggia, e Molly è un medico, e sa che l'istinto ha le sue ragioni: lavora sempre in favore dell'autoconservazione.

Innanzitutto, è improbabile che qualcuno le creda, e in effetti non ha prove di quello che sostiene. In più, ha il sospetto che l'inseguitore sia furbo: la lascerebbe in pace per un certo periodo e poi ricomincerebbe.

Probabilmente Sherlock le crederebbe – potrebbe essere una scusa per parlargli – ma Molly possiede ancora un po' di orgoglio, grazietante, e in ogni caso probabilmente lui considererebbe la cosa indegna della sua attenzione, e Molly non ha proprio voglia di vederlo accantonare le sue paure con noncuranza.

Infine, c'è la parte più inspiegabile di tutte: le sembra che l'inseguitore non abbia cattive intenzioni. Non ha nessun motivo per supporlo, a parte un lampo di vaga intuizione e l'ombra di un sorriso percepita, più che vista, prima che la persona si infilasse in chissà quale ombra e scomparisse.

Però questa cosa va ormai avanti da due settimane, e Molly pensa che dovrebbe veramente prendere qualche provvedimento, e per un paio di giorni tentenna nell'incertezza finché l'inseguitore non fa la prima mossa ed esce allo scoperto.

 

È domenica, e Molly sta tornando da Hyde Park – che è bellissimo anche in inverno e in effetti le fa un po' dimenticare quanto sia inverno – e per una volta ha abbassato la guardia, canticchiando nel sole del tramonto, quando si accorge che la strada in cui sta camminando è deserta a parte per la persona all'altro capo del filo elettrico. L'inseguitore. Molly si ferma di botto col cuore in gola.

Buonasera”, dice una voce melodiosa, e l'inseguitore evidentemente non è un uomo. Questo non la rende affatto meno nervosa, ma andiamo incontro al nostro destino con la testa alta e tutte quelle cose là. Molly si gira e che bello, pugnalata allo stomaco.

La sconosciuta è bellissima, cosa che non sarebbe detestabile di per sé, ma è bellissima in un modo in cui Molly non è mai stata e non sarà mai. È composta ed elegante e invidiabilmente consapevole di questo: indossa un cappotto nero che le dona molto e delle scarpe rosse con un tacco impressionante e un ombretto azzurro che fa risaltare meravigliosamente i suoi occhi chiari e Molly prova nei suoi confronti un'antipatia istintiva di proporzioni considerevoli; ha passato metà della sua vita a farsi prendere in giro da persone come lei e questo basta a metterla sulla difensiva.

Chi sei?”, chiede quindi, tesa. La donna sorride e le fa una radiografia dalla testa ai piedi, avvicinandosi (nonindetreggiarenonindietreggiare). “Una persona curiosa; ho sentito parlare di te, Molly Hooper”.

Molly stringe i pugni nelle tasche e alza il mento. “Ah, sì? E a che proposito?”
“Non ha importanza. Ti basti sapere che molte persone ti considerano speciale” la parola reca una lieve traccia di ironia, un sorriso educatamente scettico “e questo mi ha incuriosita”.

E quindi mi hai pedinata per due settimane”.

Intanto la sconosciuta si è avvicinata, e adesso sembra molto interessata a una ciocca di capelli che le copre in parte l'occhio destro. Molly riesce a sentire il suo profumo: è dolce e assuefacente e urla pericolo!

Così, quando la donna avvicina la mano al suo viso e inizia ad arrotolarsi la ciocca intorno all'indice della mano destra, Molly esclama “No!” e fa un passo indietro. La sconosciuta sembra sorpresa.

No cosa?”

Non toccarmi, per favore”.

Ed eccolo, ecco l'espressione che si addice di più al suo viso, che sembra esprimere la sua vera natura, il sorriso furbo e predatore. La sconosciuta è pericolosa.

Non c'è motivo di avere paura”.

Sì, come no. Non mi fido di te”.

Finalmente la donna la guarda negli occhi, e adesso sembra genuinamente interessata; non ha mai smesso di sorridere.

Ooh, capisco”, dice lentamente, “fuoco”.

Molly invece non capisce e il nervosismo la sta uccidendo. “Senti, appurato che non vuoi farmi del male” speriamo “cosa... cosa vuoi? Ti serve, non so, un favore?”

Stranamente no, non desidero nulla da te. Solo incontrarti, e forse conoscerti, se sei abbastanza interessante”.

V... va bene, conoscermi, d'accordo. Sarebbe bello se, uhm, la conoscenza fosse reciproca. Puoi dirmi chi sei? Ci siamo già incontrate e io non me ne ricordo?”

La sconosciuta sembra divertita.

Beh, tu hai più o meno incontrato me, anche se in realtà non ero io, e sono abbastanza sicura che all'epoca la mia non-faccia fosse abbastanza irriconoscibile, il che è esattamente quello che desideravo”.

eh?

Molly si arrovella su questi mezzi indizi per quindici secondi buoni, corrugando la fronte, cercando di capire esattamente cosa le ricordino le frasi della sconosciuta – perché le ricordano qualcosa – e di associarle a un nome, un volto, ma niente. La donna la osserva, e sembra sempre più divertita, e poi a un certo punto spalanca gli occhi, e questo le conferisce un'espressione strana ma non spiacevole, e dice: “Pensa” e qualcosa si sblocca.

Aspetta! T-tu sei lei!”, esclama, colpita da un'illuminazione. “Irene Adler! Quella che pensavano fosse morta! Il motivo per cui Sherlock è stato intrattabile per settimane!”.

Risposta giusta. La sconosciuta – beh, ora non più - sembra soddisfatta, e la osserva in silenzio mentre Molly riflette per qualche secondo sulla situazione. In effetti sa pochissimo di lei. Lo stretto indispensabile.

Io sono sua amica, sai”, dice alla fine, o almeno, lui è amico mio, “dovrei... non so, sgridarti per avergli spezzato il cuore o prenderti a schiaffi o qualcosa del genere”. È la prassi.

Il sorriso della donna si trasforma in una maschera di ghiaccio nel giro di un istante; è un lampo, un guizzo di genuina delusione. Uh?

E a cosa servirebbe, esattamente?”, chiede, in tono annoiato. “Non farebbe sentire meglio né lui, né te, e sicuramente non me. Cosa pensi che dovrei fare, pentirmi? Sentirmi in colpa? Ma per favore. Ho corso un rischio, sai, un grande rischio, ed il tuo amico” (sarcaaaasmo. Pesante, anche) “non si è rivelato all'altezza delle aspettative. Fine. Dio, quanto potete essere stupidi. Buona serata”.

Detto questo, gira sui suoi indubbiamente molto costosi tacchi e inizia a camminare a passo spedito.

Molly sbatte le palpebre. Cos'è appena successo? Mi sfugge qualcosa.

La non-più-sconosciuta – Irene Adler – sta per scomparire nel crepuscolo, e Molly combatte per non cedere a uno stupido istinto insensato, e poi ricorda, autoconservazione, e perde. Quindi, prima che Irene possa scomparire nel crepuscolo, per qualche ignoto motivo (forse perché Molly ha questo cretinissimo istinto da crocerossina e le è sembrato di aver toccato un tasto sbagliato e sente il bisogno di riparare il danno o forse perché non ha mai sentito nessuno definire Sherlock “non all'altezza delle aspettative” o forse per pura curiosità o forse per tutte queste cose insieme o forse per nessuna in particolare), insomma, fatto sta che Molly dice “Aspetta!” a voce troppo alta e, quando la donna si gira aggiunge, in tono incerto, “Caffè?”.

 

La cosa bella di vivere in una grande città è che puoi trovare negozi e bar e ristoranti aperti a qualsiasi ora del giorno, se sai dove cercare. Molly pondera sulla questione mentre fissa la sua tazza di caffè e si chiede se questo silenzio sia veramente imbarazzante o se sembri solo a lei. Furtivamente, lancia un'occhiata veloce alla donna seduta di fronte a lei: la sta scrutando con un sorriso furbo (ma non smette mai di sorridere?) e sembra che non potrebbe essere a suo agio.

Non ti facevo una persona da caffè”, dice Irene alla fine.

Ho preso l'abitudine all'università, quando avevo bisogno di stare sveglia fino a tardi per studiare”, risponde Molly, nervosa.

Ancora silenzio. È risaputo che per essere a proprio agio in presenza di una persona senza parlare richiede un certo grado di intimità e di conoscenza reciproca. Il modo in cui Irene non cerca di fare conversazione e sembra comunque padrona della situazione è quasi innaturale.

Sai, se volevi conoscermi avresti potuto, non so, invitarmi a bere qualcosa”, dice Molly alla fine.

Davvero?”. Irene sembra genuinamente sorpresa. “Ma così è stato più divertente, e sono riuscita a capire che tipo di persona sei senza doverti parlare prima, il che è una grande comodità. Questo metodo è il migliore”.

Beh, è illegale seguire le persone”, sottolinea Molly. “Una persona meno comprensiva di me si sarebbe potuta arrabbiare”.

Irene sembra interdetta per un attimo. “Accidenti”, dice poi, “c'è sempre qualcosa che non va”.

Non... non ci hai pensato? Non ti è passato per la testa che le persone si spaventano quando si accorgono di essere inseguite?”
“Non si può pensare sempre a tutto”.

A Molly questo ricorda qualcosa. Delle parole di una definizione di un vocabolario medico. Diminuzione dell'integrazione sociale e della comunicazione...

Oh, ma allora è ammirabile. Molly osserva la donna sicura di sé che ha davanti e improvvisamente le proporzioni della sua antipatia non sono più così considerevoli.

Hai ragione”, dice quindi. “Tu invece mi sai proprio di persona da caffè”, aggiunge dopo un po', in una maldestra offerta di pace.

Irene sorride.

 

Com'è prevedibile, quella notte Molly è preda dell'insonnia. Si rigira nel letto per ore, prima di accendere la luce e alzarsi a sedere sbuffando.

Dovrei odiarla?

A rigor di logica, sì, e nessuno si sognerebbe mai di biasimarla. La gelosia e l'invidia sono sentimenti universalmente condivisi e comprensibili. Chiunque capirebbe che Molly venderebbe l'anima per essere come Irene, affascinante, misteriosa, sicura di sé, e abbastanza intelligente e interessante da attirare l'attenzione di Sherlock.

Davvero?

È un pensiero nuovo, nato dal buio e dalla pazienza. Davvero Molly vorrebbe disperatamente essere come Irene? Più ci riflette e più ne dubita. L'ha pensato per mesi, senza conoscerla, ma ora che l'ha incontrata pensa che non le piacerebbe per niente vivere nella sua pelle. Perché è così controllata. Nei gesti, nelle parole, nel vestire. Dev'essere una fatica immane, e Molly non è del tutto sicura che ne valga la pena. In più, se l'intuizione che ha avuto su di lei è giusta, il suo sforzo raggiungerebbe dimensioni enormi. E per cosa, poi? Hanno passato due ore a parlare di tutto e di niente, e non ha mai parlato di amore, amici, famiglia, cose che Molly vorrebbe e che Irene potrebbe ottenere senza sforzo; però non le desidera. A lei interessa il potere, il controllo. Molly sa che è una cosa comune, ma non riesce a capirla. Controllare le cose le rende prevedibili.

No, decide improvvisamente. No, non le piacerebbe essere come Irene. Neanche se significasse l'ammirazione di Sherlock, per quanto la cosa le faccia attorcigliare lo stomaco.

Questa donna non merita il suo odio. È profondamente diversa dagli altri, eppure è uguale: merita, come loro, comprensione e attenzione. Ammesso e non concesso che la riveda.

Finalmente, si addormenta.

 

Nei due mesi seguenti la incontra più di una volta, anche se “incontrare” non è proprio il termine giusto. Vedete, Irene possiede la capacità di comparire apparentemente dal nulla, facendo perdere a Molly almeno dieci anni di vita ogni volta.

Come fai?”, le chiede quindi la seconda volta che compare al suo fianco per strada, tutta tacchi e rossetto Chanel e nessun rumore, mentre lei sta tornando a casa dal lavoro (e glielo chiede perché sente di poterlo fare, perché intuisce che otterrà una risposta, perché stranamente Irene non la mette in soggezione, cioè, sì, ma non è timore reverenziale come succede con Sherlock, ma questa è un'altra storia). Irene alza le spalle, un gesto sorprendentemente poco elegante ma che su di lei non stona, per qualche motivo.

Anni e anni di danza classica. Caffè?”

E anche se sembra una cosa da niente, Molly capisce che queste informazioni non vengono condivise spesso, e le custodisce con cura, come fa con tutte le parole rare e spesso taciute. Anzi, le colleziona. “Odio la pioggia; incita i miei capelli alla ribellione”, dice, o “A volte mi sembra che questa città scoppi di persone; è un po' spaventoso”; solo per sentirsi rispondere “Io invece la adoro” o “A me sembra che di persone non ce ne siano mai abbastanza”, e per scorgere quel luccichio rivelatore negli occhi. Questa cosa è importante. Non dimenticarla.

(Molly non dimentica.)

In effetti non capisce bene quali siano le sue intenzioni; sa solo che nel giro di due mesi Irene le appare al fianco dal nulla per cinque volte, quando torna a casa o quando va al lavoro, o durante la pausa pranzo, e Molly si spaventa ogni volta ma non fa commenti e aspetta; non è nella sua natura respingere le persone. E poi la compagnia di Irene è piacevole: non è una stronza con manie di onnipotenza come ci si potrebbe aspettare, anzi, Molly è impressionata dal fatto che sia disposta ad ascoltare per un'ora le sue preoccupazioni sulla progressiva scomparsa delle lingue autoctone in Australia (ehi, è un problema serio). Sembra che non senta il bisogno di dimostrare niente, e sorride spesso, e l'ultima volta aveva persino i capelli sciolti (Molly trova che le donino di più così, ma non è lei l'esperta di queste cose quindi potrebbe non voler dire niente.)

Non parlano di Sherlock; non hanno più toccato l'argomento dal primo giorno. È strano come alcune delle persone che sono più importanti per noi risultino essere dei pessimi argomenti di conversazione, perché parlare di loro con qualcuno è doloroso, o perché pensare a loro è totalizzante e complicato e quindi inadatto a una conversazione rilassante e disimpegnata.

Quindi non ne parlano, e l'ombra di Sherlock si affievolisce sempre di più.

 

La prima volta che Molly si trova Irene in casa è a fine marzo e Londra si stiracchia sotto una pioggia primaverile, leggera e non invasiva, pronta a cedere il passo al sole; il solo tipo di pioggia che Molly sia disposta a tollerare. Sono le sette di sera e Molly apre con sollievo la porta di casa, pregustando una serata tranquilla e le ultime cento pagine di un libro iniziato due settimane prima; che strano, non mi sembrava di aver lasciato la luce accesa...

Infatti; Molly non si spaventa eccessivamente, ma è comunque con un certo shock che registra la presenza di una persona seduta di traverso sulla sua poltrona preferita in salotto, con le gambe e la schiena appoggiate ai braccioli, gli occhi chiusi e la testa abbandonata all'indietro.

È una scena strana, e a Molly ricorda delle foto di certe ragazze francesi che riescono a sembrare eleganti anche nella scompostezza, con le scarpe abbandonate sul pavimento e la gonna piena di pieghe. Dopo qualche secondo di stupore, riesce a emettere un: “Come hai fatto a entrare?”

Senza aprire gli occhi, Irene si porta una mano ai capelli e ne estrae una singola forcina; la sua intera pettinatura cade in ricci scomposti. E come fa a tenere su tutti i capelli con una sola forcina? Stregoneria.

Dovresti cambiare serratura, ci ho messo meno di un minuto ad aprire questa”.

Ok. Che dovrei fare adesso, esattamente?

Molly avrebbe mille ragioni per cacciare questa donna fuori da casa sua, ma sfortunatamente è perseguitata da questa maledizione, quella del non respingere le persone; Irene sicuramente non è innocua, anzi, tutto il contrario, ma non le ha ancora fatto niente di male – beh, a parte la violazione di domicilio, ma glissiamo – e Molly ritiene un dovere personale giudicare le persone in base alle loro azioni e non alla loro fama. E poi – eterna benedizione e disgrazia del genere umano – è curiosa. Cosa vuole da me? Perché io?

Quindi sospira, si volta e chiede “Hai fame?”, ricevendo un “No” distratto come risposta. Oh beh. La pazienza è la virtù dei forti.

Irene emerge quando Molly ha quasi finito di lavare i piatti, e vaga per la cucina con l'aria di cercare qualcosa e di essere determinata a trovarla.

Aspetta. Ma io avevo ancora delle bottiglie di vino qua dentro?

Si siede davanti al suo bicchiere senza parlare. Se ne stanno così, in silenzio, per quasi cinque minuti, finché Molly non ce la fa più e comincia a ridacchiare.

Irene le rivolge un sorriso distratto e torna a fissare il vuoto con aria assorta. Dopo un po' dice: “Sai, se lavorassi per me ti pagherei una fortuna. Non sai quanto siano rare le persone che non fanno domande stupide”.

Io faccio un sacco di domande stupide”.

No, fai un sacco di domande scontate; questo non vuol dire che siano stupide. Molti grandi uomini si rovinano perché si rifiutano di fare domande scontate. Hanno paura di sembrare stupidi”.

Oh. “Era un complimento?”

Irene alza lo sguardo su di lei e ridacchia, sorpresa. “Potrebbe”.

Dopo qualche secondo, Molly aggiunge: “Beh, anch'io pagherei una fortuna, se potessi, per farti lavorare per me. Mi servirebbe proprio qualcuno capace di trovare tutte le bottiglie di vino e i libri e le cose che perdo”.

Gli occhi di Irene brillano. “Beh, in effetti ho un certo talento per trovare le cose, anche se non è proprio quello il mio campo”.

Molly arrossisce e guarda altrove, ma non abbastanza in fretta da non vedere Irene avvicinarsi il bicchiere al viso e notare una cosa che prima le era sfuggita: dei lividi blu sui suoi polsi.

Che cosa... che cosa ti sei fatta?”

Oh, questi?”, chiede l'altra, lanciando un'occhiata distratta alle proprie braccia. “Beh, sai che mi diletto in giochi pericolosi”, e cambia argomento.

Però Molly non riesce a smettere di fissare il suo braccio; adesso che ci presta attenzione, si accorge che è disseminato di lividi, niente di grave, ovviamente, ma fa impressione.

Potresti smetterla di fissarmi così? È indisponente”, dice Irene alla fine, in tono seccato.
“Scusa”, mormora Molly. Non si era neanche accorta di aver smesso di rispondere. Irene la guarda per qualche secondo, poi sospira.

Senti, per chiarezza, devi sapere quello che faccio. Io manipolo le persone. Le uso per ottenere informazioni, denaro, potere. Uso i loro desideri contro di loro, e non mi dispiace, perché è questo che amo e che sono brava a fare. Questo gioco è mio e io sono nata per lui¹, e capisco che a volte ci sono conseguenze spiacevoli, a volte comporta dolore e fatica. Lo so e lo accetto. Lo faccio da sempre. Ne vale la pena”.

Molly lo sa. Prima lo sospettava, adesso ne è certa: Irene non è quella che si potrebbe convenzionalmente definire una “brava persona”. Molly non la condanna per questo: fa, come tutti, il meglio che può con quello che ha. Solo che, naturalmente, corre dei rischi e a volte non tutto va per il meglio. Ma, come ha detto, lo sa e lo accetta.

È una questione di empatia.

Ne esistono di due tipi. La prima è quella che proviamo nei confronti di tutti i nostri simili, che ci permette di identificarci con dei perfetti sconosciuti e condividere le loro emozioni e sensazioni.

Poi esiste un'empatia più personale, più particolare, che si applica solo ad alcune persone, quelle che sentiamo per qualche motivo vicine a noi, perché ci ricordano noi stessi, o perché teniamo a loro, o perché le conosciamo abbastanza bene da comprenderle. Questo tipo di empatia è rischiosa, perché ci fa identificare con un'altra persona fino a quando non diventa doloroso. È come sentire per due.

Molly non capisce perché la provi per Irene (è anche vero che quest'empatia è apparentemente irrazionale). Sa solo che probabilmente si sta preoccupando di quei lividi probabilmente più della persona che se li è procurati, e che dovrebbe veramente smetterla perché tra poco inizierà a diventare spiacevole. Quindi torna a guardarla in faccia e, dopo qualche secondo, dice:
“Stai attenta, però”.

Irene sorride e avvicina di nuovo il bicchiere alla bocca.

 

Molly si sveglia il giorno dopo con il mal di testa e la schiena dolorante. Ci mette un po' a ricordarsi dov'è: il sole entra dalla parte sbagliata, è in una posizione strana.

Salotto. Divano. … okay. Cosa è successo ieri sera?

Irene. C'era Irene in casa sua per nessun motivo apparente e aveva dei lividi sulle braccia e hanno passato la serata a parlare e ad un certo punto Molly ha proposto di andare a sedersi in salotto perché le sedie della cucina sono scomode ed è così che dev'essere approdata sul divano. Forse ho bevuto un bicchiere di troppo. Sì, dev'essere così, in condizioni normali non sarebbe crollata a quel modo.

Chiude gli occhi e nasconde il viso tra le mani. Cos'altro? Ricorda stralci di conversazione, Irene che maneggia i suoi vecchi CD, oh, vedo che qualcuno ha avuto un periodo ribelle, la propria risata un po' imbarazzata, sì, beh, ero una bambina solitaria. Pensavo che nessuno mi capisse.

E tu eri una bambina solitaria?

Si ricorda di aver fissato gli orecchini di Irene, piccoli diamanti che catturavano la luce della lampada, sì, ero una bambina solitaria, ma non sono mai stata sola.

Ancora con gli occhi chiusi, Molly tende le orecchie. Sì, il suo appartamento è decisamente vuoto. Si alza sospirando e sentendo tutte le ossa del suo corpo rimettersi a posto con fatica, ahiaaaa.

Qualcosa cade a terra. È un foglio.

Grazie per l'ospitalità, la conversazione e tutto il resto. Mi dispiace per la tua schiena ma svegliarti sarebbe stato un peccato. A presto.

Non c'è firma, a parte un xoxo scritto in caratteri svolazzanti in fondo a destra. Molly sorride e si mette il foglio in tasca.

 

I rapporti tra le persone, di qualsiasi tipo, sono basati su convenzioni e accordi, spesso non scritti né detti ad alta voce, ma sempre presenti. Una volta stabiliti, è tutta in discesa: le parti in causa hanno delle regole da rispettare e non sono costrette a procedere a tentoni. A volte ci vogliono anni per mettersi d'accordo su questi trattati di pace; a volte lo si fa d'istinto. A volte, come in questo caso, bisogna procedere per tentativi.

Molly capisce presto che per trattare al meglio con Irene non esiste un'unica linea di condotta: la coerenza delle sue azioni le sfugge. Quindi, tentativi. E andiamo.

 

Si parte dal presupposto che Molly non sappia ancora (e probabilmente non lo scoprirà mai) cosa Irene voglia da lei. Ha provato a chiederglielo una volta, cercando di essere il più sottile possibile (e non riuscendoci troppo bene, a dire la verità, ma questi sono dettagli).

Chi ti ha parlato di me?”, butta lì un giorno, mentre stanno costeggiando il Tamigi negli ultimi raggi del sole del giorno.

Oh, qualcuno parlava di affidarti qualcosa di molto prezioso”, risponde Irene. “Qualcosa che io ritenevo molto prezioso. Mi chiedevo chi fossi, visto che questa persona ti considerava così degna di fiducia²”.

Non mi darai mai una spiegazione seria, vero?”, chiede Molly, giusto per sicurezza, e poi, vedendo il sorriso dell'altra, “no, certo che no, danneggerebbe irrimediabilmente la tua immagine di donna affascinante e misteriosa, va bene, domanda stupida”.

Irene ride. “Hai fatto tutto da sola!”

Molly non può impedirsi di sorridere e di tirarle una gomitata, che viene prontamente ricambiata.

 

Ecco, riguardo a questo. Il contatto fisico. Un giorno che Molly si è presa l'ennesimo infarto trovando Irene seduta sul suo divano con l'Anatomia di Gray in mano, e dopo aver passato una serata a invidiare i capelli rossi di Horatio Caine (Molly) e a trovare prima di lui l'assassino (Irene), si sorprende un po' quando l'altra le passa un braccio intorno alla vita, le dà un bacio sulla guancia (senza sporcarla di rossetto. Come) e dice piano “Grazie”, con il suo sorriso furbo nascosto nella voce.

Molly è un po' sorpresa ma non del tutto socialmente impacciata, grazietante, e dopo un attimo di stupore risponde: “Non c'è di che” e ricambia.

Dopo un secondo di stasi, Irene chiude la porta con un luccichio negli occhi che Molly ha imparato ad associare a interesse e curiosità. Oddio. Dove ho sbagliato?

Molly sa che è una cosa che fanno un sacco di persone; si ricorda delle sue compagne di scuola, che si abbracciavano e poggiavano la testa l'una sulla spalla dell'altra. Ma lei non ne è mai stata capace! Non sa quali cose si possano fare e quali invece no! È tutto così complicato. E adesso Irene penserà che sia strana e che non sappia come comportarsi con le persone che dimostrano il proprio affetto. Ugh.

O forse... forse no. Forse, pensa Molly, in un attimo di follia sorprendentemente lucida, forse è lei che non sa come comportarsi. Forse è così abituata a dominare che non sa come trattare quelli che le stanno alla pari. Forse il fatto che io abbia ricambiato il suo gesto l'ha sorpresa, perché magari è abituata al fatto che i suoi gesti siano unilaterali.

O forse si sta facendo tanti problemi per niente. In ogni caso, decide, non ha intenzione di essere né remissiva né troppo cauta. La tratterò come qualsiasi altra persona, non come una rivale né come una stramba né come qualcuno di potenzialmente pericoloso. Rapporto alla pari. È questa la chiave.

 

Va bene, allora. Rapporto alla pari. Questo dovrebbe voler dire che si può essere sinceri, nei limiti dell'educazione. Si possono fare delle critiche, dare consigli. (Vero?)

Molly testa le acque. Esempio: come si è scoperto dopo non troppo tempo, Irene è totalmente incapace di cucinare alcunché. Ci prova (forse come pegno di scuse, ma non facciamo ipotesi troppo azzardate) una sera in cui Molly è stanca e stressata e vorrebbe solo strisciare sotto le coperte ed effettivamente lancia uno strillo abbastanza acuto quando si accorge di non essere sola in casa. Ad ogni modo Irene le impone con un luccichio folle negli occhi (più tardi archiviato come pericolo) di andare a farsi una doccia e quando riemerge dal bagno c'è un allarmante odore di bruciato che si diffonde dalla cucina e Molly passa la mezz'ora successiva a ridere e spalancare le finestre.

Sembra che Irene non sappia bene come reagire. All'inizio fa uno strano sorriso tirato, di convenienza, come se volesse ostentare noncuranza ma fosse segretamente seccata dal fatto che qualcuno stia ridendo di lei. Ma non è questo che sto facendo! Quindi Molly si affretta a raccontare (mentre prepara la cena da sola, moltegrazie) della prima volta che ha cercato di cucinare una torta e finiscono per ridere insieme. Rapporto alla pari. Bene.

Logicamente, la volta successiva che Irene tenta di avvicinarsi ai fornelli Molly esclama “Fermafermaferma non pensarci neanche fai tre passi indietro mani dove posso vederle” e lei alza le mani in segno di resa e da qualche parte là in mezzo hanno raggiunto un accordo, un equilibrio; questo è il mio campo. Accordo accettato da entrambe le parti: ogni tanto Molly non può impedirsi di fare un riferimento casuale all'Incidente della Cucina e Irene accetta di buon grado la presa in giro (salvo poi fare un commento un po' sarcastico sull'incapacità di Molly di mettersi l'eyeliner senza sbavarlo almeno una volta, ma ehi, com'è che si chiamava? Par condicio?)

 

Un'altra cosa riguardo al sarcasmo. Dovete sapere che Molly ha uno strano senso dell'umorismo. (Ogni tanto si sente un po' in colpa per la sua passione per il black humor, ma questa è un'altra storia.) Insomma. Un giorno Irene si presenta a casa sua con il rossetto un po' più rosso del solito e dei tacchi ancora più alti e un sorriso decisamente sornione e e e e e un frustino in mano. Per una volta ha la decenza di bussare e appena Molly le apre la porta, non c'è niente da fare, si mette un po' a ridere.

Cioè, non che sia una risata seria, più che altro uno sbuffo e una specie di sogghigno, ma il danno è fatto. Irene alza un sopracciglio con aria interrogativa e Molly indica prontamente l'oggetto della sua ilarità.

Frustino”, dice. “Molto, ehm, pittoresco. Se vuoi puoi lasciarlo dentro quel vaso, vedi, dove ci sono gli ombrelli e le mazze da cricket. Scusa se non sono altrettanto pittoreschi. Pfft”.

Lo lascerò in cucina, grazie, se non ti dispiace. Perché stai ridendo?”, chiede, osservandola attentamente.

Non ne ho idea, giuro. Forse è riso isterico causato da avvenimenti inaspettati. Cioè, devi ammettere che è un tantino assurdo. Ieri sera una tipa con un frustino ha suonato il campanello. Sembra un po' l'inizio di una barzelletta”.

No, non credo che sia questo”, afferma Irene, pensosa, avvicinandosi ancora di più e abbandonando momentaneamente sul tavolo l'oggetto del contendere.

Senti, lo so che ho uno strano senso dell'umorismo, ok? Forse è un oggetto un po'... incongruo. Con il resto dell'allestimento, intendo. Oh, guarda, una poltrona. Oh, ehi, uno scaffale. Toh, lì c'è un vaso. E un... frustino? Che diavolo... Ok, magari c'è una spiegazione perfettamente logica per questo. Magari la padrona di casa si diletta di equitazione. Oh, ho sentito che lavora in un obitorio, magari l'ha trovato nello stomaco di un cadavere. O forse lo usa come sturalavandini”.

E a questo punto anche Irene comincia a ridacchiare, e la cosa si fa sempre più inspiegabile. Insomma, si sa che le risate sono contagiose, e alla fine si stanno entrambe più o meno facendo i venire i crampi allo stomaco e “Quello che dici non ha senso”, dice Irene, “perché fa ridere?”

Il frustino non ricompare mai più (Molly ne è un po' dispiaciuta; era veramente pittoresco), ma ogni tanto Irene si presenta alla sua porta con delle manette di peluche o una statuetta a forma di elefante alta cinquanta centimetri e un'espressione perfettamente seria e Molly ride e non sa perché e ride lo stesso.

 

I rapporti di amicizia, invece, sono basati su codici.

Quando si è veramente amici di qualcuno, dopo un po', se si fa attenzione, ci si accorge di parlare in un'altra lingua, di usare certe parole dando loro un altro significato, di sottintendere dei riferimenti che si sa verranno compresi. A volte questi codici sopravvivono alle amicizie, come le parole di una canzone di cui non ricordi più il titolo ma che da anni ti gira in testa. È quasi impossibile farlo apposta: semplicemente, un giorno un film stupido ti ricorda una battuta cretina ripetuta almeno cinque volte al giorno da una certa persona e capisci di avere un amico.

 

Non passa molto tempo che Irene inizia con i messaggi.

Molly ha appena incontrato per caso un suo vecchio professore di università e sta chiacchierando amabilmente con lui quando sente il suo telefono squillare. Non gli dà peso fino a dieci minuti dopo.

Somiglia terribilmente a Robin Williams. Come hai fatto a resistere all'impulso di salire sul banco declamando O CAPITANO! MIO CAPITANO! quando avevi lezione con lui?

Molly alza la testa di scatto e si guarda intorno. Questo è inquietante. Ma seriamente. Chi cavolo è? Qualcuno che la segue. Che logicamente riesce a vedere cosa fa. Che quindi dev'essere nelle vicinanze. Occhei. Molly è in un negozio. È circondata da persone. Potrebbe essere chiunque.

o forse no. Questo è molto inquietante ma Molly è stranamente poco inquietata, perché ha un sospetto.

Chi sei?, si rassegna a chiedere al misterioso stalker.

Non ha neanche il tempo di rimettere il cellulare nella borsa che questo squilla di nuovo. Il messaggio consiste in una sola parola.

Pensa.

Come volevasi dimostrare. Molly sospira.

Beh, all'epoca aveva qualche chilo in più di ora e un taglio di capelli assurdo quindi non gli somigliava poi così tanto, e inoltre mi sono rifiutata di guardare quel film per un sacco di tempo perché avevo sentito che finiva male e odio i film che finiscono male. Dove sei?

(Comunque non è normale la velocità a cui riesce a scrivere quella donna.)

L'attimo fuggente” non finisce proprio male. E se te lo dicessi non sarebbe più divertente.

Oh, dèi del cielo.

Stiamo giocando a nascondino e nessuno mi ha avvisata?

Ti sto avvisando adesso.

Ah, beh, allora. Molly ci mette qualche secondo a fare ordine nel grumo di indignazione (da quanto mi stava seguendo?), indecisione (e ora che faccio?), divertimento (che c'è di sbagliato in me) e lusinga (qualcosa ci dev'essere per forza) che al momento sta un po' confondendo la razionalità, poi, mordendosi un labbro e pensando, d'accordo, allora con aria di sfida, scrive:
Se ti sposti non vale.

Cinque secondi dopo (un record) giunge la risposta.

Non mi muoverò da qui.

Beh, tutto sta nel capire dove esattamente sia qui.

Molly ci mette un'ora a trovarla, e prima che possiate dire qualsiasi cosa sappiate che a) fa ormai quasi buio, b) c'è un sacco di gente, c) Irene è dannatamente brava a nascondersi, d) è anche brava a confondere chi la sta cercando, alternando mezzi indizi a frasi incomprensibili che servono solo a far impazzire Molly ancora di più. Non osa pensare a che incubo debba essere cercarla quando non vuole effettivamente essere trovata. È anche vero che probabilmente chi la vuole trovare in questo caso non ha intenzioni pacifiche come me.

È un pensiero scomodo, e Molly lo abbandona appena si accorge di due familiari occhi azzurri che la osservano dalla vetrina di un caffè. Bingo.

Sei stata brava”, dice Irene, prima che l'altra possa aprire bocca, “Oggi offro io la cena”.

La prossima volta sarò ancora più brava”, borbotta Molly, “perché non leggerò i tuoi messaggi diabolicamente fuorvianti”.

Ecco di nuovo il pericoloso sorriso furbo. Ho davvero detto “la prossima volta”?

Invece lo farai”, afferma Irene tranquillamente. “Italiano o cinese?”

Thailandese”, risponde Molly, giusto per contraddirla. Ma sta già iniziando a sorridere. L'altro sorriso, quello furbo, scompare per lasciare il posto a uno più rilassato.

E thailandese sia”.

(La volta successiva, tanto per la cronaca, Molly legge i messaggi e risponde nel modo più ironico possibile, cercando di non lasciarsi sviare. Irene risponde sullo stesso tono, e viene trovata dopo cinquantasei minuti. La volta ancora successiva, dopo cinquantatrè).

 

Il diciassette marzo è una giornata bella e schifosa, perché Sherlock ha bisogno di sezionare un fegato o qualcosa del genere e ovviamente da chi si va quando si necessita di resti umani clandestini? e Molly cerca di essere carina, disponibile e sorridente ma si sente lo stomaco aggrovigliato in modo sospetto (non che sia una novità) e lo sguardo negli occhi di John somiglia troppo a compassionemistopietà e questa è la suoneria del cellulare?

A guardarvi sembra di assistere a una rappresentazione gratuita di Avenue Q³.

Molly emette uno strano suono di shock soffocato e maledice le allitterazioni involontarie. Sherlock alza un sopracciglio ma non fa commenti.

Irene? Qui? Adesso? Il pensiero è fuorviante; tuttavia Molly non ha troppo tempo per fuorviarsi visto che il suo cellulare sta squillando di nuovo.

You know I'm pretty, and pretty damn smart

I like romantic things like music and art

Hehehe. Però è divertente. Molly risponde senza pensarci.

And as you know I have a gigantic heart

So why don't I have a boyfriend? Fuck! It sucks to be me.

Quindi io sono Kate Monster?

Probabilmente Irene conosce in anticipo le sue risposte e può elaborare i suoi messaggi di conseguenza, quindi non perde tempo a comporli e li spedisce e basta. Non c'è altra spiegazione. Nessuno scrive così veloce.

Esatto. E penso che tu sappia chi sono i nostri Rod e Nicky.

Molly alza la testa. A quanto pare, Sherlock ha fatto qualcosa di strano con quel fegato, quindi John si è dato al turpiloquio, non curandosi dell'apparente indifferenza del suo coinquilino. Il cellulare di Molly squilla di nuovo.

You leave your clothes out, you put your feet on my chair!

ODDIO È VERO. Molly cerca di non ridacchiare troppo forte mentre risponde, proprio quando Sherlock apre la bocca per ribattere.

Oh yeah? You do such anal things like ironing your underwear!

Ci mette un po' ad accorgersi che i due hanno smesso di battibeccare per guardarla con aria perplessa. Cough. Ehm. Forse ha ridacchiato un po' troppo forte, effettivamente.

(Ma adesso il nodo allo stomaco si è un po' allentato, il che è sempre una buona cosa.)

La volta successiva, John arriva un po' prima di Sherlock e appena quest'ultimo attraversa la soglia, cinque minuti dopo, Molly riceve un messaggio che recita Hey Rod! e cerca di contenere la sua ilarità mentre risponde Hi, Nicky.

Dopodiché lei e Irene passano una mezz'ora molto divertente a recitare If you were gay in silenzio e Molly non si accorge quasi quando “Rod” e “Nicky” se ne vanno.

IT SUCKS TO BE MEEEEEE

IS THERE ANYBODY HERE

IT DOESN'T SUCK TO BE?

IT SUCKS TO BE ME!

 

Però. Però però però. Non è sempre così facile. Vedete, l'inghippo delle leggi e dei codici non scritti è che hai sempre il dubbio di aver interpretato male qualcosa, di non aver capito un'espressione, e disgraziatamente non esiste un dizionario o un opuscolo che si possa consultare. Scomodo. In questo caso non si può fare altro che andare a istinto e sperare in bene.

Succede quando entrambe hanno la guardia abbassata, quando Molly è appena tornata da una cena con le sue amiche e forse ha alzato un po' il gomito e Irene è stanca e ha le borse sotto gli occhi e sembra dolorante e si siedono sul divano finché non si addormentano, a parlare di tutto e di niente, inseguendo i rispettivi pensieri, senza badare tanto al filtro tra il cervello e la bocca.

Per esempio, una volta Molly sta parlando del suo lavoro, dicendo che è diventata un medico perché vuole aiutare le persone e la geometria dei corpi la affascina, e Irene guarda nel vuoto e dice lentamente “Io voglio essere ricordata”.

Molly tace, perché non ha la forza di fare altre domande, è già quasi addormentata e in ogni caso non avrebbe senso, queste cose non vanno forzate; non è così che funziona.

È orribile, non essere ricordati”, riprende Irene, e sembra che sia parlando solo a se stessa, “a vole alla gente fa impressione quanti rischi corro, quanto mi faccio male, ma almeno si ricordano di me. Sono come una scintilla, nelle loro memorie, mentre gli altri sono ombre. È come se non esistessero. Vivono e soffrono e amano, ma nessuno lo nota, e quelli che lo fanno prima o poi muoiono, o dimenticano. E loro scompaiono”.

Apocalittico. Molly gira un po' la testa verso di lei.

Mio padre brillava”, dice l'altra dopo un po', a voce ancora più bassa. “Era magnifico. Intelligente, oh, non ne hai idea. Geniale. Uno scrittore. Ma aveva questa sfortuna, questa gigantesca, immensa sfortuna: dieci acri di terreno di cui mio nonno pensava si dovesse prendere cura. Sai, vecchia nobiltà, onore della famiglia, quelle cazzate lì. Ed era una persona pacifica, all'esterno, non il tipo da ribellarsi. Ci ha messo una vita intera per ribellarsi, per fregarsene di suo padre, per iniziare a lavorare seriamente al suo eterno romanzo”.

Fuori sta iniziando a piovere; Molly sente le gocce sbattere sul vetro. Irene fa una risata sarcastica.

E poi è morto. Incidente d'auto, tanto per essere originali. E tutto il suo lavoro... perso. Ho letto i suoi quaderni, sai, i suoi appunti. Sarebbe stato un capolavoro, meglio di qualsiasi altro libro, ed erano solo bozze. Ma la parte migliore era dentro la sua testa, credo. Persa. Dimenticata. Nessuno lo saprà mai. La sua morte è stata un furto all'umanità”. Pausa.

Non c'è niente di peggio di essere dimenticati”.

Da qualche parte nel cervello di Molly (la parte sveglia), inizia a formarsi una domanda. Ma questo è nel contratto? Ho il permesso di sapere queste cose? Il diritto? E cosa ci si aspetta che faccia? Ho forse capito male qualcosa?

Ma tu te ne ricordi”, dice in un sussurro (che fatica parlare), “ti ricordi di lui. Ti ricordi di quanto brillasse. Forse è questo che gli importava. Non essere ricordato da tutti, solo da alcune persone, persone meritevoli. Non lo so, se io dovessi morire domani vorrei poter pensare che verrò ricordata da persone che stimo e a cui voglio bene. La mia famiglia, i miei amici. E...” (questo pensiero è quasi troppo complesso da esprimere, nel suo stato attuale) “... e se tu fossi mia figlia, sarei orgogliosa di sapere che ti ricorderai di me”.

Basta. Molly si chiede vagamente quand'è che ho chiuso gli occhi? e da quanto tempo ho una testa appoggiata sulla spalla? e ascolta il ticchettio della pioggia sul tetto, e poi più nulla.

(Questo non era nel contratto. Sicuro.)

 

Altre volte ci scivolano senza quasi accorgersene, naturalmente, e si guardano stupite e cambiano argomento, ma non dimenticano queste infrazioni delle regole, queste alterazioni nel linguaggio, questi momenti alieni.

Come quel giorno in cui Irene si mette a disporre in ordine alfabetico (per autore) tutti i libri di medicina in casa di Molly e quest'ultima fa un commento un po' ironico sulla sua mania per l'ordine e Irene guarda nel vuoto per qualche secondo e dice “Beh, suppongo che non mi sia mai passata”.

Molly prova una sensazione strana alla base della nuca. Questo significa che è uno di quei momenti. La strategia migliore è far finta di niente.

Ero una bambina strana”, prosegue l'altra, “pensavano che avessi dei... problemi. Voglio dire, mettevo in ordine qualsiasi cose vedessi, libri, vestiti, quando volevo qualcosa non mi arrendevo fin quando non l'avevo ottenuta, facevo qualsiasi cosa per averla. Sapevo istintivamente quali erano i punti deboli delle persone, ma non riuscivo a capirle. Non avevo amici, ero solitaria. Ad un certo punto qualcuno ha tirato fuori la parola “autismo” e non mi si è staccata di dosso fino alle scuole medie. Ancora oggi non so quanto questa definizione fosse accurata”.

È questo, il più delle volte, il soggetto dei momenti. Molly ha notato che Irene si presenta al mondo come una persona senza passato, con una personalità ben definita, chiara; un personaggio. In realtà, è segnata dalle sue esperienze come chiunque altro, anzi, forse, inizia a sospettare, anche di più.

Beh, credo che le definizioni siano importanti fino ad un certo punto”, dice Molly, “il che suona quasi come un'eresia detto da un medico, ma definire le cose dovrebbe essere un modo per conoscerle meglio e affrontare i problemi, non un modo per incasellare e limitare le persone”.

Irene sembra ricordarsi solo in quel momento di non essere da sola. Si guardano per un momento, poi Molly fa un sorriso imbarazzato e cambia argomento.

Ma il momento era lì, c'è stato, e non si può far finta che non sia importante.

 

Una cosa che Molly ha imparato è non fare domande; o almeno, un certo tipo di domande.

L'ha imparato più precisamente la prima volta in cui Irene è arrivata a casa sua con l'aria di non reggersi bene sulle gambe e un'espressione confusa.

Ciao”, ha borbottato, per poi caderle addosso di peso, facendola andare prontamente nel panico.

Oddio, che cos'hai? Stai bene? No, okay, domanda stupida, hai preso qualcosa? Ti hanno dato qualcosa? Cos'era?”

Probabilmente no; Irene non ha né le pupille dilatate, né il battito del cuore accelerato né nient'altro. Sembra solo immensamente...

Stanca”, mugugna, “non dormo da tre giorni. Inseguita. Più furbi del solito, ma mai abbastanza. Per me. Stanca”.

Questo è tutto ciò che Molly saprà mai sull'episodio. Irene si addormenta prima ancora di essere distesa su una superficie orizzontale e Molly si rassegna a dormire sul divano.

Il giorno dopo si sveglia con il mal di schiena ed il profumo di caffè nell'aria. Si alza stiracchiandosi e trascina i piedi fino in cucina.

Irene è seduta sul ripiano della cucina, ed è quasi irriconoscibile; a quanto pare ha trovato nell'armadio una vecchia maglia con sopra la copertina di Dark Side Of The Moon che le arriva fino alle ginocchia, e si è accorta di quanto sia comoda (Molly lo sa per esperienza). Ha i capelli scarmigliati, una striscia nera di trucco a metà della guancia, una tazza di caffè in mano e la schiena curva.

Molly si sente un po' stringere il cuore. Sembra così... giovane, e ha uno sguardo familiare: quello di chi sta digerendo una situazione difficile e non riuscirà a pensare ad altro finché non ci sarà riuscito.

Non c'è niente che lei possa fare, così si rassegna a versarsi una tazza di caffè e appoggiarsi sul ripiano della cucina, vicino a Irene. Sono qui.

Dopo un po', l'altra china la testa e si appoggia a lei. Lo so. Grazie.

Passano cinque minuti buoni prima che il caffè si raffreddi e Irene si decida ad aprire la bocca.

Mi dispiace di aver frugato nel tuo armadio”.

Figurati. Immaginavo che un vestito di Dior non fosse la cosa più comoda del mondo per dormire”.

Quindi non ti dà fastidio?”

Molly emette un sospiro drammatico. “No, sapevo che questo momento sarebbe arrivato e mi ci sono rassegnata da molto tempo ormai”.

Questo momento?”
“Il momento in cui tu, per un motivo o per l'altro, avresti aperto il mio armadio e ti saresti accorta di quanto terribilmente poco eleganti siano i miei vestiti e mi avresti guardato con pietà e commiserazione per poi andartene scandalizzata. Tragico, davvero”.

Mi piacciono i tuoi vestiti”.

Non ci posso credere”.

Lo so. La gente si fa questa idea, sai, che io sia una di quelle femmes fatales con il rossetto sempre al posto giusto e un tailleur diverso ogni giorno. Il che tecnicamente è vero, ma non è una cosa che mi viene naturale, un divertimento. È una maschera utile ai miei scopi; la gente pensa che tu sia affidabile e ben organizzato, se sei vestito bene. Ma mi piacciono i tuoi vestiti. Si vede che ti ci senti a tuo agio. Dovrei essere una stupida per non apprezzarlo. D'altra parte, io vivrei in tuta da ginnastica”. Risata senza allegria.

Solo da queste parole, Molly inizia a capire quanto esattamente sia il lavoro che Irene ha fatto. Quanto spessa sia la sua corazza, quanta fatica ci voglia per fare quello che fa. E anche se “quello che fa” il più delle volte consiste nel usare le persone per i propri scopi, Molly non può fare a meno di provare una scintilla di ammirazione nei suoi confronti.

Forse tutto quello di cui ha bisogno è qualcuno che riconosca e ammiri i suoi sforzi. Tutti gli artisti hanno bisogno di un pubblico.

 

Irene non arriva più a casa sua in condizioni così pietose, ma ogni tanto è più stanca del solito, o pensierosa, o dolorante, e cerca rifugio per poi scomparire per settimane. Ringrazia ogni volta per l'ospitalità, e ogni tanto Molly riceve per posta un vaso cinese o un manuale di anatomia dall'aria sospettosamente costosa, e un giorno Irene piomba nel suo letto alle due di notte e dorme otto ore filate e da quel giorno nessuno deve più dormire sul divano. Molly inizia a sospettare di essere quello che Irene ha di più vicino a una casa, e finché la cosa non crea troppi problemi, beh, perché no?

 

Non è una cosa a senso unico, però. Irene le ricorda dolorosamente Sherlock per la sua capacità di capire istintivamente le persone (ma c'è una bella differenza tra capire i loro punti deboli e capirle effettivamente), però Molly si accorge dopo qualche tempo che ha un modo un po' strano e discreto di prendersi cura di lei. Prima di tutto, la ascolta. Non è una cosa da poco, visto che Molly ha la tendenza a tormentasi per ore su problemi che ad altri non sembrano neanche tali, tipo l'uso improprio delle parole o la rovina di un personaggio che prometteva bene (ehi, all'inizio Rachel Berry era una persona figa) o lo scioglimento di una band semisconosciuta. Irene non parla ma ascolta, si vede, e in effetti tutto quello di cui Molly ha bisogno è fare dei monologhi infiniti per liberarsi di un peso e stare meglio. Irene non la fa sentire giudicata.

Inoltre, sembra apparire proprio quando Molly si sente giù, scrivendole Oggi mi sono nascosta bene e strappandole un sorriso ogni volta. È impossibile sapere come faccia, e Molly non vuole dare troppo credito alla vocina inquietante nel suo cervello che dice ti seguono ovuuunque, ma in ogni caso. Capisce che è uno dei modi strani e piùomeno discreti in cui Irene si prende cura di lei.

E infine, sembra l'unica a capire la sua inquietudine; Molly sospetta che sia perché lei la prova sempre.

 

Ci sono giorni in cui Irene passa ore intere a guardare fuori dalla finestra e Molly a volte le fa compagnia ma altre volte sa che è meglio lasciarla da sola, con la pioggia londinese riflessa nei suoi occhi chiari e un'espressione irrequieta che è spesso nascosta ma non sparisce mai del tutto. Molly ha imparato a lasciare che si crogioli in questa sensazione, perché è l'unica cosa che si può fare, ingoiarla e aspettare che passi. Lo sa per esperienza personale.

Però c'è una volta in cui sembra che l'inquietudine la assilli peggio del solito, e Irene si gira con un luccichio folle negli occhi e dice: “Perché non ce ne andiamo?”

Andiamo dove?”, chiede Molly, anche se sospetta di conoscere già la risposta.

Ovunque. Dove vuoi, basta che sia a lungo, e che sia un posto dove non ci conosce nessuno. Possibilmente un bel posto, adesso che ci penso, quelli squallidi mi deprimono. E un posto grande, magari un intero continente, da girare in macchina o a piedi o anche in bicicletta, se vuoi, solo noi due. Ti va?”

Come Thelma e Louise?”, chiede Molly, e Irene sorride. “In America, allora. Ci sono stata una volta, e solo per due settimane, ed ero giovane, quindi non mi ricordo granché”.

Si, perché adesso sei così vecchia, vero?”

Terribilmente. È tragico, sul serio”.

Silenzio. Irene torna a guardare fuori dalla finestra, guarda le gocce che si arrampicano sul vetro; i suoi occhi sono freddi come ghiaccio ma bruciano, bruciano.

Tanto”, dice, a voce più bassa, “cosa abbiamo, qui? Sarebbe davvero così devastante perderlo?”

Beh, tu fai quello che sei brava a fare. Hai costruito un impero, praticamente, fai quello che vuoi. Non stai mai troppo a lungo nello stesso posto. Non ne sei almeno un po' orgogliosa?”

Certo”, risponde Irene, ma c'è una nota amara nella sua voce, “però non vivo di solo orgoglio. Sai, alla fine mi annoio anche di questo, dei giochi di potere, di strategie e menzogne, perché sono sempre gli stessi. Una volta imparato lo schema, basta ripeterlo all'infinito con piccolissime variazioni, per vincere. Ed è sempre anche lo stesso tipo di persone, il che è ancora più tragico. Persone influenti e potenti all'apparenza che in realtà sono piene di insicurezze e vogliono sentirsi dire quanto siano speciali, quanto siano bravi, quanto siano i migliori”. Risata sprezzante. “Illusi. Nessuno è più bravo di me in questo gioco, e quelli che potrebbero rivelarsi dei degni avversari spesso non vogliono partecipare. Potrei essere riuscita ad abituarmi anche a questo. Detesto abituarmi alle cose”.

Molly non sa cosa dire, perché in realtà non c'è niente da dire. Si tende a cercare di minimizzare, quando qualcuno dice di essere in una brutta situazione, ma è una stupidaggine. Nessuno meglio del diretto interessato sa quanto esattamente sia brutta la situazione. Molly non può pretendere di sapere come si senta Irene, solo farsi un'idea; e non c'è un modo sicuro per farla stare meglio.

Sarebbe un grande sforzo, però”, dice alla fine, “ricostruire tutto. Se ti accorgi di aver disfatto quasi tutto quello che hai costruito nella tua vita, e di non esserne contenta, dopo è un casino”.

Irene alza le spalle. “L'ho già fatto una volta. È andato tutto in pezzi indipendentemente dalla mia volontà, e io l'ho rimesso in piedi; ci ho messo solo qualche mese. È come andare in bicicletta, non te lo dimentichi, una volta che l'hai imparato”, e qui emette uno sbuffo che potrebbe somigliare a una risata, e guarda per un altro po' fuori dalla finestra, in silenzio. Molly trattiene un po' il fiato.

A volte si costruisce per se stessi qualcosa di grande e meraviglioso”, riprende Irene, a voce più bassa e lentamente, “e dopo un po' ci si accorge di quanto sia inutile. La cosa più stupida che si possa fare, in questo caso, e avere paura di distruggerlo”.

Allora sono una stupida”, dice Molly, piano, e Irene si volta a guardarla con un sorriso che è quasi dolce e non ci si aspetterebbe di vederle addosso.

Non è vero; la tua paura è giustificata. Quello che hai costruito non è inutile, pensi che non me ne accorga? Sei la migliore versione possibile di te stessa. Lascia pensare agli altri che ti manca qualcosa, sono solo degli idioti. Io vedo quanto brilli”.

Molly si accorge improvvisamente di essere arrossita abbastanza cavolocavolocavolo. “Grazie”, dice, a bassa voce, “ma penso che tu abbia ragione fino a un certo punto. Sai, se un giorno tu decidessi di partire sul serio, di salire sul primo aereo e non guardarti indietro... penso che verrei con te. Penso che manderei all'aria tutto quello che ho costruito, per un po' di avventura e di libertà. Se mi prendi quando sono dell'umore giusto. Quindi...” e qui respira profondamente, al diavolo il contratto, non è giusto che io sia l'unica a preoccuparmi di rispettarlo, umpf, “quindi, se un giorno decidessi di andartene, ma seriamente, prendi in considerazione l'idea di avvertirmi”.

E a quel punto Irene sorride, di quel sorriso particolare che le fa venire le fossette sulle guance, e non smette per un bel po', per interi minuti, guarda Molly e sorride, e basta. È un po' imbarazzante e un po' qualcos'altro.

L'ho già fatto”, dice alla fine, e poi la spinge fuori casa perché hanno entrambe bisogno di pioggia e di vento e di furia degli elementi per non sentirsi intrappolate. Si capiscono.

 

A volte Molly si ferma a pensarci e le sembra tutto francamente assurdo. È amica di una donna che a) è teoricamente morta, b) dovrebbe odiare con tutta se stessa. Ma non si può fare un granché per evitare le affinità elettive, quindi meglio mettersi il cuore in pace e continuare nel pseudoequilibrio che si è creato, fatto di visite sporadiche e castelli di parole e frasi non dette e leggi e codici non sempre rispettati.

Molly non è l'unica ad accorgersene; Irene stessa lo sottolinea, una sera, con un sorriso divertito.

Non ti fermi mai a pensare a tutto questo? Al fatto che almeno tre volte al mese una criminale entra in casa tua con intenzioni poco chiare e per di più senza permesso? Sembri sempre così poco sorpresa”.

Niente è mai come sembra. Ahi. Sono così affascinanti le mie doppie punte?”

Non ne hai idea”, ridacchia Irene, rigirandosi una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice.

Qualche minuto di silenzio, poi Molly alza la testa da blueeyedboy e si mette più comoda sul divano.

Beh, lo dici tu che non hai il permesso. In realtà te l'ho concesso, anche se non verbalmente. Se non ti volessi in giro per casa mia ti avrei cacciata la prima volta”.

Irene ridacchia. “E pensi che questo mi avrebbe impedito di tornare?”

Sì”, risponde Molly, senza esitazione. “Penso che tu non voglia stare in nessun posto dove non sei voluta. Soprattutto se non ti pagano”, aggiunge, con un sorriso lieve.

L'altra ci pensa su per un momento; Molly lo deduce dal fatto che la sua bistrattata ciocca di capelli non si muove più. Dopo un po' aggiunge:

E poi, ho imparato che è abbastanza inutile fare delle domande quando si sa che non si otterrà una risposta. Meglio cercare le spiegazioni da soli”. Poi la guarda di sottecchi. “Perché non avrei ottenuto delle risposte, vero? Se ti avessi chiesto come mai vieni qui e perché proprio io?”

No”, risponde Irene, lentamente, con lo sguardo fisso nel vuoto. “No, non credo”.

Come volevasi dimostrare”.

Non parlano più per un po'. Molly è quasi miracolosamente riuscita a finire di leggere una facciata intera quando sente:
“Quindi tu non ti fai mai domande?”

Sospiro. “Certo che sì. Non fare delle domande non esclude il farsi delle domande”.

Sottile”.

Sono sottigliezze importanti”.

E dimmi, funziona? Alle fine le si trovano, le risposte?”

Sì; l'inghippo è che bisogna aspettare, oppure cercare a fondo, o entrambe le cose. E anche allenarsi, ovviamente. Sai, spesso le risposte non sembrano risposte. Si travestono da gesti e parole poco importanti. A volte è difficile riconoscerle. Ma in generale sì, funziona”.

In generale”.

E quando non lo fa, ci si accorge che né le domande né le relative risposte erano poi così importanti. Ow”.

Su, su, non fare tante storie”.

Io odio quando mi tirano i capelli! Lo odio da quando andavo all'asilo. Una volta me li sono anche tagliati corti perché non la smettevano di rompermi le scatole. Che liberazione. Forse dovrei tagliarmeli di nuovo”.

Meglio di no”, sorride Irene, guardandola finalmente in faccia e tirando verso di sé la ciocca incriminata, insieme con la testa della sua proprietaria. Molly fa appena in tempo a mugugnare ahiahiahiahiahi prima che Irene chiuda gli occhi e appoggi le labbra sulle sue.

È un bacio serio. Non di quelli casuali e brevi e quasi scherzosi, ma una cosa lunga e impegnativa e seria, da far girare la testa. In effetti Molly si sente un po' strana, quando Irene la lascia andare, e per questo l'unica cosa che riesce ad emettere è un “Uh” abbastanza inutile; mentre l'unica cosa che riesce a ottenere in cambio è un sorriso furbo e una testa appoggiata alla sua spalla.

Ehm”, è il suo secondo, pregnante contributo.

Sto dormendo”, dice Irene, senza alzarsi.

okay. Credo.

(Cooooosaaaaa?)

 

 

 

 

 

 

 

 

1: Se Callie non cita Machiavelli non è contenta. (Vi ricordate? Il cibo che solum è mio e che io sono nato per lui...? No, ok, sono una secchiona.)

2: Ad un certo punto in A Scandal In Belgravia John propone di affidare/far portare il telefono di Irene a Molly. NBD.

3:Questa Cosa. È Figa.

4: Credo che tutti noi ci siamo sentiti così almeno una volta. (E poi, DAI, Rod e Nicky sono John e Sherlock. LO SONO.)

5: Come sopra. QUESTA COSA. È GENIALE. SRSLY. (O magari sono io che ho uno strano senso dell'umorismo. Yep. Sì, è possibile. OTL)

7: blueeyedboy. Joanne Harris mi fa sentile inutile come scrittrice. Non che mi lamenti :D

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Deliri Post Partum:

HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA. HA. HA. HAHAHA. HA. Ha.

non so che dire.

Sapete, è affascinante come lavora il mio cervello. Nel processo creativo, intendo. Insomma, un secondo prima sono tranquilla e beata, lallallà, poi sento questa canzone (TUTTA COLPA DI FLORENCE. TUTTA. SEMPRE. LI MORTACCI SUA) e KABOOM! IDEE! PSEUDOTRAMA! FRASI! Da matti. E quello che è veramente schizofrenico è il fatto che la parte razionale del mio cervello è là tutta “No, questa è un'idea davvero troppo stupida, lascia perdere, fidati”, mentre l'altra strilla “CHE NE DICI DI QUESTA IDEA? EH? E DI QUESTA? E DI QUEST'ALTRA? EH? EH EH EH EH EH?” come un cazzo di chihuahua esagitato. Poi la seconda parte vince sempre e io mi ritrovo un mese dopo con trenta pagine di una storia assurda e nessuna idea di cosa farne. ARGH. Adesso che sono fuori dal tunnel dell'enthusiasmòs creativo mi sembra sempre di più una cazzata BOH. FATE QUELLO CHE VOLETE. HATE IT, LOVE IT, IO VOGLIO SOLO FINIRLAAAA così il chihuahua magari mi lascerà in pace. Ha senso?

(Che poi il fandom di Sherlock mi terrorizza, giuro. Cioè, vabbè che io bazzico più che altro quello inglese, ma ODDIO HO PAURA CHE MI SBRANERETE. Non sbranatemi. Vi prego. Non è colpa mia. Sono le Muse che mi hanno ispirato questa cavolata per prendersi gioco di me. Declino ogni responsabilità. Volete un pasticcino?)

Ah, sidenote: non ho idea dell'arco temporale durante il quale si svolge questa cosa. Ho lasciato tutto abbastanza nel vago apposta HOHOHO FUCK DA SYSTEM CANON IS TOO MAINSTREAM etc.

Non so che dirvi, a parte che siete autorizzati a lanciarmi tutti i pomodori che volete. La seconda parte arriverà la settimana prossima e poi vi lascerò in pace GIURIN GIURELLO L'AMORE È BELLO(???). Shalom.

~ Callie

 


 

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Capitolo 2
*** II. Her Morning Elegance ***


Girl With One Eye

 

II.

I slipped my hand under her skirt

I said don't worry, it's not gonna hurt

My reputation's kinda clouded with dirt

That's why you sleep with one eye open

But that's the price you paid

 

I said, hey, girl with one eye

Get your filthy fingers out of my pie

I said, hey, girl with one eye

I'll cut your little heart our 'cause you made me cry

 

 

 

Riflettendoci, questa tipa è stata causa di paranoie e confusione più di chiunque altro nella mia vita, pensa Molly la mattina dopo, quando Irene se n'è andata e lei ha passato una notte a rigirarsi nel letto.

Anche più di Sherlock. (Il che è tutto dire.)

C'è tutta una serie di problemi. Quello immediato è: come comportarsi? Fare finta di niente? Ignorare del tutto il fattaccio? O – che il Cielo ce ne scampi – parlarne? Bisogna tenere in conto che la possibilità di ottenere delle risposte soddisfacenti è assai ridotta. Senza contare che andrebbe contro a tutto il discorso cercare le soluzioni da soli farsi domande ma non fare domande blablabla. Ugh.

Il punto è che questo non è previsto dal contratto, né da quello generale né da quello proprio di questo particolare rapporto. Molly è abbastanza sicura che gli amici non si mangino la faccia a vicenda in quel modo. E sicuramente non è quello che fanno lei e Irene. Io sono lo scoglio in mezzo alla tempesta, giusto? Quella che la prende in giro e le evita di mettere su la sua maschera di femme fatale? O magari ho sbagliato tutto?

Molly è anche abbastanza sicura che non le piacciano le ragazze, cioè, non in quel senso – o almeno, non ha precedenti su cui basarsi – ma ha il sospetto che la categoria sia troppo ristretta per Irene.

Perché tutte a me, pensa, mentre la testa le crolla sul tavolo in segno di sconfitta.

 

(Non pensa però a fare scenate isteriche o cacciare Irene fuori da casa sua, il che depone a suo favore. Per quello che vale.)

 

Irene si presenta si nuovo dopo due settimane, e Molly decide di utilizzare la tecnica del non-è-successo-nulla-facciamo-finta-di-niente-speriamo-bene. L'imbarazzo dura per circa dieci minuti, ma viene dimenticato quando Irene trova la sua vecchia collezione di CD e si mette a saltare per tutta la casa cantando You Shook Me All Night Long mentre Molly prepara la cena non sapendo se ridere o implorarla di non fare troppi danni pleeease.

Se avesse tempo per pensarci, Molly esaminerebbe quanto la Irene che vede lei sia diversa da quella che vedono gli altri; o meglio, alla parte di se stessa che decide di mostrare agli altri. Fa tenerezza, per dire il vero, perché è come un bambino che non ha il senso della misura e passa dall'energia più sfrenata all'apatia più completa nel giro di pochi minuti. In realtà ogni tanto Molly ci pensa, distrattamente, e le viene da credere che Irene abbia imparato i codici a memoria ma non capisca perché siano validi. E per qualche astruso motivo, fuori rispetta le regole, reagisce un po' come ci si aspetta che reagisca e un po' come le torna utile, applicando le formule per raggiungere i suoi scopi ma senza comprendere come ci sia arrivati; con Molly, invece, sembra usare i suoi codici, quelli che capisce e le vengono spontanei ma sono incomprensibili per chiunque altro.

Tutto questo per dire che Irene sta ballando scalza in mezzo al salotto con gli occhi chiusi, ascoltando Don't Cry, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e Molly dubita che lo farebbe in un qualsiasi altro posto.

Tuuuuu”, dice, brandendo un mestolo, forse seriamente o forse no, “tuu, hai scombinato l'ordine dei miei libri e pagherai per questo”.

Irene si volta lentamente, senza smettere di mormorare le parole della canzone. Molly deglutisce perché quello sguardo non vuol dire niente di buono nonono e all'improvviso si sente tirata in avanti e stretta per un braccio e, oh, fantastico, adesso Irene la sta baciando di nuovo. Cioè, non che non sia piacevole e tutto, ma non è ancora previsto dal contratto e forse sarebbe il caso di sottolinearlo, a questo punto.

Uhm”, dice quindi, abbracciata a Irene in mezzo al proprio salotto con la testa sulla sua spalla e i Guns 'n Roses nelle orecchie, “senti, non che voglia fare la guastafeste o niente del genere...”

Mmh”.

Ehi! Ascoltami! Ti prego, un po' di concentrazione”.

Mh-h”.

Dicevo. ...aspetta. Lo senti anche tu?”

E com'è logico la cucina sceglie quell'esatto momento per andare a fuoco e la conversazione deve essere rimandata. (Non che Molly ne sia eccessivamente dispiaciuta.)

 

Il punto è che poi la conversazione non viene rimandata, viene cancellata e la Cosa inizia a diventare un'abitudine. Cioè, in fondo non è che cambi molto, solo che ogni tanto Irene le sfiora le labbra o si mette a mordicchiarle il collo o lascia indugiare un po' più a lungo la mano sul suo fianco e fa il suo sorriso furbo e Molly arrossisce ma riesce quasi sempre a riprendere il filo del discorso. Tanto, ragiona, non è neanche fastidioso. Solo un po' strano, forse. Ma al momento non c'è nessuno che possa arrabbiarsi per questo e comunque non è niente di importante e in ogni caso probabilmente sono io che ho capito male qualcosa.

Forse; fatto sta che una domenica Molly si sveglia tardi sentendosi languida e rilassata e pensa oh no, conosco questa sensazione, so cos'è, e si accorge di non ricordare molto della sera precedente – a parte il solito sorriso furbo di Irene, chiaro – e di non avere niente addosso e sì, insomma, la conversazione non può più essere rimandata. Quindi si alza a sedere con determinazione e fatica a trattenere un sussulto di sorpresa quando vede Irene seduta sulla poltrona vicino al suo letto, con una sua vecchissima e larghissima maglietta nera addosso e un libro in mano. (E neanche un capello fuori posto. Grr.)

Oh, buongiorno. Ti sei svegliata. E anche alzata”, commenta con un sorriso.

Non l'avessi mai fatto”, borbotta Molly, prendendosi la testa tra le mani. Va bene la Conversazione e tutto, ma da dove saltano fuori gli omini che stanno suonando questi tamburi particolarmente rumorosi nella sua testa?

Hai bisogno di un'aspirina”, decreta Irene allegramente. “Aspettami lì”.

E chi si muove? Ah, e noi due dobbiamo parlare!”

Perché la cosa sta decisamente andando fuori controllo. Molly tenta di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa.

C'era un tipo. Un tipo con cui aveva un appuntamento. Tom. Carino e simpatico. Appuntamento: un disastro. Molly è abbastanza sicura di aver dato prova della sua leggendaria incontinenza verbale e di averlo spaventato a morte. Cos'altro?

Casa sua. Alcol, che cosa patetica. Irene. Irene ovunque...

E adeeeesso?”, mugugna, sconsolata.

E adesso cosa?”, chiede l'interessata, con una pillola in una mano e un bicchiere nell'altra.

Tu”, la accusa Molly. “Tu. Che diavolo hai... voglio dire... e cosa...” e poi si perde a emettere parole a casaccio tipo “strada della perdizione” e affini. Irene alza le spalle.

Eri triste”.

Triste?”. Non si ricorda la tristezza.

No, forse non è la parola giusta. Amareggiata? Delusa? Parlavi di essere inadeguata e socialmente impacciata e senza speranze”.

Ecco, questo è più probabile.

Insomma, fatto sta che mi sembravi molto giù e volevo farti stare meglio. Non mi piace vederti così. Quindi, sai, ho cercato di prendermi cura di te”. Risata leggera. “Non che conosca molti modi di prendermi cura delle persone. Solo uno, in effetti”.

Okay. Okay, va bene. Cioè, non so se vada bene, però credo di aver capito.

Uhm. Grazie per il... pensiero, immagino. Però devi sapere che...”

Sospiro. Ma esiste un modo delicato di parlare di questa cosa? Possibilmente senza suonare come se fossi uscita da un romanzo di Jane Austen?

... insomma, tendenzialmente non lascio che qualcuno si... prenda cura di me in questo modo. A meno di non avere un... tipo di rapporto molto specifico”. Odio i miei puntini di sospensione.

Noi due non abbiamo un rapporto specifico?”, chiede Irene, a metà tra il divertito e il curioso. Molly sospira, di nuovo.

Non lo so. Forse? Cosa abbiamo in realtà? È che odio, veramente, odio mettere etichette sulle cose, e ancora più sulle persone, e ancora di più sui rapporti tra persone, ma in questo caso... in questo caso si tratta di una cosa importante, per me. Che non prendo alla leggera. Non lo so. Vorrei capirci qualcosa”.

E quando alza la testa Irene è più vicina di quanto ricordasse, e sorride e chiude gli occhi e dice: “Va bene, allora cercherò di essere seria anch'io”, e questo è più o meno il momento in cui Molly smette di fare domande.

 

Ma non, ovviamente, di farsi domande. Perché io? è la prima, seguita immediatamente da sto facendo la cosa giusta? e da è pericoloso? Dove mi/ci porterà?

Il fatto è che di solito Molly non lascia entrare rifugiati politici o vattelapesca in casa sua e non intrattiene relazioni pseudosentimentali con loro. È tutto molto strano. Molly spesso si sente strana, sa di essere strana, ma nulla nel suo aspetto o nelle sue azioni lo farebbe sospettare. Qui si tratta di una cosa grossa, invece.

È anche vero che Molly è stata innamorata di Sherlock per anni, quindi una buona dose di intrinseca attitudine alle stranezze deve pur averla.

 

In realtà tutto si svolge in modo estremamente naturale e molto, molto lento. Questo tipo di cambiamenti è il più subdolo, perché una volta che guardi indietro e ti accorgi di quanto effettivamente tutto sia diverso è ormai troppo tardi.

Quindi Irene continua a irrompere in casa sua senza preavviso e Molly, inavvertitamente, comincia a conoscerla meglio; entrambe imparano ad abbassare la guardia, a camminare con cautela in alcuni punti e a non preoccuparsi in altri. A volte ridono a crepapelle per delle stupidaggini e stanno sedute a parlare per ore degli argomenti più disparati; a volte Irene si avvicina con un sorriso sornione e non parlano più per il resto della serata. Molly impara a prendere l'iniziativa; paritàparitàparità, si ripete mentalmente, la prima volta che prende il viso di Irene tra le mani e le stampa un bacio sulle labbra, ricevendo in risposta un sorriso sincero e un braccio dietro la schiena. Irene impara a prendersi cura di lei in altri modi, capendo di che umore sia e regolandosi di conseguenza, ricordandole dove ha messo il libro che sta cercando, notando quando si taglia i capelli. È tutto molto lento e molto naturale fino al giorno in cui Molly non esce con un tipo di nome Will che la annoia a morte e si ritrova a pensare se Irene fosse qui potrei parlarle di quanto quella ragazza somigli a Jennifer Lawrence invece di stare ad ascoltare questo imbecille che tra l'altro non è neanche divertente, e si accorge di essere abbastanza fregata.

 

Naturalmente, più o meno in quel periodo viene rapita.

In realtà avrebbe dovuto pensarci prima: frequentare persone pericolose è, beh, pericoloso, indipendentemente dalle loro intenzioni nei tuoi confronti. Le persone pericolose hanno nemici pericolosi che a volte sono sorprendentemente stupidi e a volte sanno fare due più due e si rendono conto che per far cadere qualcuno bisogna quasi sempre mirare ai suoi punti deboli. Molly avrebbe dovuto pensarci prima: Dio solo sa quanto è abituata alle persone pericolose e comunque a John è successo quante volte? Due? La seconda è pure quasi esploso. Avrebbe decisamente dovuto pensarci prima.¹

Però col senno di poi magari non sarebbe servito a niente; si sarebbe solo fatta qualche paranoia in più e l'avrebbero trovata lo stesso. Magari avrebbe dato fuori di matto sentendo che qualcuno si era introdotto a casa sua, invece di dare per scontato che fosse Irene, e magari sarebbe corsa a nascondersi o avrebbe tirato fuori la mazza da baseball o qualcosa del genere. Magari. Però l'avrebbero trovata lo stesso.

L'esperienza si rivela meno traumatica di quanto immagini, per fortuna (il che è probabilmente dovuto al fatto che rimane incosciente/drogata per tutta la sua durata), e in ogni caso Irene arriva dopo un paio d'ore con una pistola in mano e un'espressione che le fa quasi provare pietà per il tizio che l'ha sorvegliata per tutto questo tempo, visto che con ogni probabilità sarà torturato e/o morto nel giro di un paio di giorni. (Molly non è una persona insensibile: si opporrebbe a questa soluzione, in condizioni normali, è contro la pena di morte e le torture e tutte le cesarebeccariate del genere, ma al momento si sente la testa di piombo e non riesce ad emettere suoni coerenti quindi ciccia.)

Insomma, Irene arriva, spacca culi, affida Molly alle cure di una persona di cui in seguito lei non ricorderà né il volto né il nome, parla velocemente e con un sorriso sadico sulle labbra al tizio di cui sopra, e chiede alla Persona Senza Volto di essere lasciata sola con lui.

Serve una mano?”, cerca di dire Molly, perché sul serio, vuole fare qualcosa.

No, grazie, Damigella In Pericolo, vai a riposarti e cerca di espellere quelle schifezze dal tuo organismo, mmh? Anche se tu avessi delle straordinarie competenze nel campo della diplomazia o delle lingue slave, temo che non saresti comunque in grado di esibirle, nelle tue attuali condizioni”.

So come si dice “fungo” in russo”, borbotta Molly, perché è vero.

Ne terrò conto. Fuori”, dice Irene, in un tono tra l'esasperato e l'affettuoso, e Molly viene trascinata via.

Oh, accidenti”, dice dopo, tra un conato e l'altro, alla Persona Ancora Senza Volto (E, Apparentemente, Senza Voce) che le sta reggendo la fronte. “Sono proprio una Damigella In Pericolo, vero? Con tanto di Principe Azzurro che corre a salvarla, o di Principessa Azzurra, quel che è. Che schifo”.

L'unica cosa che si ricorda dello Sconosciuto, in seguito, è un annuire comprensivo.

 

Molly si sveglia sul sedile posteriore di una macchina, e fuori è buio. Okay.

Come ti senti?”, chiede una voce, dal sedile anteriore.

Mal di testa atroce, mal di schiena, indolenzita, bocca foderata di cartapesta. Come dopo ogni serata che passo con te, praticamente”.

Irene ride piano e continua a guardare la strada. Molly scuote la testa, scavalca i sedili e le si siede accanto. Sta per dire qualcosa (tipo grazie o come hai fatto a trovarmi?), quando si ricorda di un particolare e chiude la bocca, offesissima. Questa donna ha un sacco di cose da spiegare, sissignore.

Dopo un po' Irene sembra accorgersi del silenzio e chiede: “Che c'è? Non mi parli più?”

No. Sono molto offesa”, risponde lei suo malgrado, guardando ostinatamente fuori dal finestrino.

Oh, santo cielo. E perché?”

Perché”, sbotta Molly, rossa in viso, “non mi hai mai detto come ti chiami e l'ho scoperto solo ieri, e per di più non da te!”

E a questo punto Irene non può fare a meno di ridere, con gli occhi chiusi e la testa abbandonata all'indietro, e Molly vorrebbe urlare guarda la strada! ma ovviamente non può (è ancora offesa) quindi sta zitta e aspetta che passi.

Ti prego, spiegami la tua ultima affermazione, non capisco veramente cosa vuoi dire”, riprende, quando si è calmata.

Okay, va bene, visto che evidentemente non ci arrivi. Com'è che il resto del mondo ti chiama Irene mentre io sono l'unica cretina che ti chiama Irene?”

Ora, dovete capire che si tratta di una questione importante, linguistica e culturale. È risaputo che gli anglofoni sono tragicamente incapaci di pronunciare i nomi di derivazione greca o latina o generalmente non anglosassone, quindi il novanta per cento delle persone la cui lingua madre sia l'inglese, messa davanti al nome Irene (cfr. il greco eirene, pace) lo pronuncerebbe facendo un gran casino con le “i”, ottenendo come risultato qualcosa come Aireen. E adesso Molly si sente veramente stupida, perché sono mesi che la chiama Irene e non le è mai passato per la testa che non tutte le persone sono dei secchioni che hanno passato gli anni della loro adolescenza ad imparare l'alfabeto greco ed il vocabolario di base per poter risalire all'etimologia dei nomi presenti nel lessico della medicina ed è tutto molto imbarazzante e Molly è molto offesa (l'ho già detto?).

(Ancora più offesa perché adesso Irene si è rimessa a ridere, che stronza, tzè.)

Insomma, evidentemente i mafiosi russi si erano accorti che interrogare qualcuno in una lingua che non capisce è abbastanza inutile, quindi a quanto pare avevano assunto una specie di interprete che traduceva in inglese le loro domande. La cosa imbarazzante è che Molly (pur quasi incosciente e generalmente incapace di intendere e di volere) ci aveva messo qualche minuto a capire chi fosse questa “Aireen Adler” di cui andavano blaterando e che adesso non la smette di ridere oh ma non è possibile!

No, va bene, basta, scusa, hai ragione, non rido più. È solo che, giuro, avevo due ottimi motivi per non correggerti. Sul serio”.

Molly le lancia uno sguardo di sfuggita. Oh, al diavolo, maledetto sorriso furbo e irresistibile.

E quali sarebbero?”
(Tre volte maledetto sorriso gigantesco e sincero.)

Beh, come prima cosa, tecnicamente non stai sbagliando. In greco e latino e italiano e spagnolo la tua pronuncia è corretta, quindi non vedo perché dovresti cambiarla. E poi” pausa “sei l'unica che mi chiama così. Non è... spiacevole”.

Silenzio. Irene guarda con nonchalance fuori dal finestrino e Molly la osserva di nascosto e non ha idea di cosa stia succedendo ma neanche lei lo trova spiacevole.

(E poi in qualche modo le loro mani si stringono sopra il cambio e Molly non è più così offesa.)

 

Irene la lascia davanti alla porta di casa sua con un sorriso strano e un bacio sulla fronte e Molly non ha né il tempo né l'energia di interrogarsi sul suo comportamento perché le uniche cose che vuole in questo momento sono una doccia e dodici ore di sonno abbondanti. Per fortuna che domani è domenica.

Invece inizia ad interrogarsi più o meno una settimana dopo, quando si accorge – di nuovo – di essere seguita.

Solo che questa volta non è Irene. Sono dei tizi vestiti tutti allo stesso modo – impermeabile, cappello nero, occhiali scuri – che Molly fatica a trovare inquietanti perché non si sforzano troppo di non farsi scoprire e ogni tanto si portano una mano al cappello per salutarla. Un giorno ne invita uno a prendere un panino per pranzo con lei, così, giusto perché ama il rischio, ma non riesce a cavargli fuori un'informazione una che non riguardi le previsioni del tempo delle settimane successive.

Okay, non sono i tizi ad inquietarla; è il fatto che Irene non si è vista per circa dieci giorni. Scomparsa. Molly non sa cosa fare, e si rende conto con uno spasmo di leggero panico di non essersi mai preoccupata di rintracciarla, contando sempre sul fatto che sarebbe ricomparsa da sé, prima o poi. Ma se le fosse successo qualcosa? Qualcuno si preoccuperebbe di avvertirla? Argh.

Alla fine le manda un messaggio. È una speranza stupida, in realtà, perché Irene la chiama dallo stesso numero al massimo per tre volte di seguito, ma tentar non nuoce. Dopo potrà iniziare a preoccuparsi sul serio.

Ma gli uomini-impermeabile sono tuoi? Mi fanno un po' pena, dev'essere noioso seguirmi tutto il giorno. Dove sei? Hai bisogno che ti venga a salvare?

 

Non ottiene risposta per via telematica; invece, il giorno dopo, tornando dal lavoro, trova Irene seduta sul suo divano, intenta a mangiarsi le unghie, e rimane sorpresa dall'ondata di sollievo che la travolge inaspettatamente.

Ehi”, dice, sedendosi. Irene le fa un sorriso a metà e torna a mangiarsi le unghie.

Ecco, questo è un perfetto esempio di Momenti In Cui È Necessario Evitare Le Domande. Quindi Molly si alza, va a preparare il tè, torna in salotto, e aspetta.

Mi dispiace di averti messo in pericolo”, è la prima cosa che dice Irene.

Qual è la risposta giusta a questo? “Ti odio, fuori da casa mia”? Certo che no. Molly non vuole Irene fuori da casa sua. D'altra parte, però, non può neanche rispondere “Non preoccuparti, non c'è problema”, perché Molly sa cosa fa Irene. Lei usa le persone. Il non condannarla per questo e l'essere convinti che non lo faccia per cattiveria non significa che Molly abbia intenzione di lasciarsi usare. È una questione di linguaggio, e non vuole rischiare di dire la cosa sbagliata, consentire cose che in realtà non vuole.

È di nuovo Irene a rompere il silenzio.

Sai, hai ragione”, dice, quasi a se stessa. “Non voglio andare in posti dove non mi vogliono. Non voglio... continuare ad assillarti, se tu non lo vuoi. Quindi, se... se hai paura, o sei arrabbiata, e non vuoi più vedermi, non farti problemi a dirmelo. Va tutto bene, davvero”.

Eccolo, lo spunto, il modo migliore per parlare alle persone. Usare le loro parole, i loro significati.

Sì, sono arrabbiata”, dice Molly, lentamente, “ma non con te. Sono arrabbiata con quegli inserire-aggettivo-spregiativo-qui che mi hanno rapita. Ma non voglio lasciare che sia la rabbia a guidarmi. Non l'ho mai fatto e non voglio cominciare adesso”.

Irene guarda fisso davanti a sé e le stringe la mano.

E sì, ho paura, ma vale lo stesso discorso. La paura non è sempre una buona consigliera, quindi credo che non ti sbatterò fuori perché temo di essere rapita e/o drogata un'altra volta e/o possibilmente torturata. Anche se sarebbe fantastico se non succedesse più”.

Non succederà più”, afferma Irene, decisa, e Molly le crede e alza un po' la voce, sorridendo.

Forza”, dice, “mi devi favori sessuali illimitati dopo quello che mi hai fatto passare”, e Irene si mette a ridere a crepapelle e dice “Ho creato un mostro”, il che non è esattamente falso.

(Non ne sembra troppo dispiaciuta.)

 

Qualche ora dopo Molly chiede “Lo sai cosa mi fa paura?” a bassa voce, senza sapere neanche per certo se Irene sia sveglia o no.

Non sapere se ti è successo qualcosa. Cioè, se capitasse, potrei contattarti? Aiutarti? A qualcuno verrebbe in mente di avvisarmi?”

Movimenti. Irene si gira su un fianco. “L'ultimo numero da cui ti ho chiamato. Lo conservo sempre fino al cambio successivo. Puoi trovarmi lì”.

Oh. Okay. Grazie. Buono a sapersi”. Molly ridacchia e non sa neanche perché. “Phew, ma lo sai che sono veramente sollevata? Sul serio, grazie”.

E poi”, aggiunge Irene, con una voce strana, “ci sono gli uomini con l'impermeabile. Sono miei, ovviamente. Se succedesse qualcosa, ti avviserebbero”.

Uh. Bene. Sì, immaginavo”. Poi, ricordando un particolare, Molly chiede: “Ehi, ma perché non si nascondono meglio? Cioè, non voglio far perdere il lavoro a nessuno, ma credevo...”

Non volevo che”, la interrompe Irene, e poi si ferma. Mio Dio,sembra una tigre in gabbia, si ritrova a pensare Molly, una tigre bianca, fiera e irrequieta e spaventata. Ma da cosa?

Da questo, probabilmente.

Non volevo che”, prosegue, “che ti sentissi sola”, ed eccolo di nuovo, lo sguardo da tigre in gabbia.

Sì, è spaventoso, vero? Preoccuparsi per qualcuno, tenere a qualcuno. Spaventoso e fantastico. Ancora di più quando è reciproco. È l'inizio di qualcosa, ogni volta.

Molly si addormenta stringendo la mano di Irene, forte.

 

Quindi è una cosa, quella che hanno; è stato stabilito. Molly cerca disperatamente una definizione e alla fine il suo cervello matematico le fornisce una risposta: una costante. È una costante.

Cioè, una cosa che si ripete all'interno di un'equazione, ha sempre lo stesso comportamento, si ottiene ogni volta. Irene va e viene e a volte dorme nel suo letto per tre notti di fila e a volte non si fa vedere per giorni, ma se si guarda il quadro generale si notano degli schemi, delle abitudini, delle azioni ripetute. Delle costanti.

Irene non sembra badarci più di tanto; lo fa con naturalezza, come se fosse nata per arrivare all'improvviso e sconvolgere l'ordine nella vita di Molly e nutrirsi di questo stesso ordine e ripartire e ripetere lo schema all'infinito, sopravvivendo l'una del caos dell'altra.

È per questo che Molly non riesce a smettere di preoccuparsi; si è rassegnata al fatto che il novanta per cento della popolazione mondiale risulti insopportabilmente noiosa, dopo aver conosciuto Irene, e anche al fatto che, va bene, le ragazze non le piacciono in quel senso ma esiste sempre un'eccezione che conferma la regola eccetera eccetera, ma... ma.

Ma resta il fatto che questo sia il suo lavoro; far sentire speciali le persone per ottenere qualcosa da loro. Si sente in colpa solo a pensarci, ma è davvero tutto troppo assurdo perché ci possa credere senza riserve.

Ma cosa potrebbe mai volere da me?, cerca di ragionare. E non credo che il modo in cui si mostra.. vulnerabile, a volte, possa essere finto.

Certo, sono tutte supposizioni.

 

È difficile non crederle, però, perché sul serio, certe cose sarebbero assurdamente difficili da fingere.

Per esempio, un giorno stanno parlando di tutt'altro e Irene se ne esce con “Non sorridi tanto spesso”.

Molly si blocca per un attimo. Ho sbagliato qualcosa? Sono noiosa? Una compagnia deprimente? Oh cavoli.

Cioè, non qui”, prosegue Irene, “non con me. Sorridi fuori, agli sconosciuti, perché è parte integrante del tuo modo di essere gentile. Sorridere. Ma in realtà, quando non ci pensi, non lo fai tanto spesso”.

È un po' una pugnalata nello stomaco, e Molly ha appena iniziato a scusarsi parlando troppo veloce quando Irene sembra accorgersi di qualcosa e si gira verso di lei sorridendo come se si fosse ricordata di un'assurdità.

Aspetta”, le dice, “credi che ti stia criticando? Che vorrei che sorridessi di più?”

Molly è un po' sorpresa. “Beh...”

No, no, Dio, no, cosa vai a pensare? Mi piace quando sei seria”.

Bene, la cosa è ufficialmente diventata incomprensibile.

Nel senso”, continua Irene, “tanti usano i sorrisi come delle armi. È un modo per confondere l'avversario, sai, fargli credere che si hanno delle buone intenzioni, sviarlo con commenti sarcastici e un'espressione amabile. Dio sa quante persone così ho conosciuto, nella mia vita. Anche persone convinte del fatto che un sorriso basti per mettere a posto tutto, o che lo usano come passe-partout quando non sanno cosa fare. Però non è facile far sorridere te, almeno, non quando non stai cercando di piacere a nessuno. Ci vuole impegno e senso dell'umorismo ed è per questo che...” e qui si interrompe per un attimo, bloccata dall'enormità di quello che sta per dire ma non disposta ad ammetterlo, e poi prosegue cercando di mantenere lo stesso tono leggero, “è per questo che è così bello quando sorridi davvero”.

Molly ci mette più di qualche secondo a processare quello che ha appena sentito. Era un... complimento? No, una constatazione. Una constatazione sincera che per questo suonava come un complimento.

Uhm, grazie”, dice, “non me l'aveva mai detto nessuno”, perché probabilmente nessuno mi ha mai osservata così attentamente e per così tanto tempo e così tanto interesse, ed è un pensiero un po' spaventoso, davvero.

Tu invece”, afferma Molly, dopo qualche minuto di silenzio, “tu invece sorridi molto meglio di quanto immaginassi”.

E infatti. Irene le risponde con un sorriso diverso dalla sua solita espressione furba, con il sorriso che lei preferisce, e Molly le risponde sullo stesso tono, e nessun altro a parte loro due potrebbe immaginare quanto un'espressione del genere stia bene sulle rispettive labbra, e con ogni probabilità nessun altro lo saprà mai. Bene, pensa Molly, in uno slancio di egoistica soddisfazione.

 

A un certo punto Molly si ammala, perché non è che i suoi anticorpi siano onnipotenti, eh.

Cioè, è un'influenza cretinissima, un male di stagione, ma raffreddore e tosse e febbre e senso di generale stordimento e ugh.

La cosa migliore da fare in questi casi (se non l'unica) è chiudersi in casa, mettersi a letto, magiare poco, bere un sacco, sudare ancora di più e aspettare la fine di quest'agonia. Molly, siccome è una persona saggia e non per niente ha una laurea in medicina, ha intenzione di fare proprio questo. Finché, ovviamente, non arriva Irene.

In realtà ci mette un po' a registrare la sua presenza; quando si è malati si fa molta fatica a distinguere la realtà da quello che si sta sognando e quello che è irrilevante da quello che è importante. Ergo, Molly sente qualcuno che armeggia con una serratura, dà per scontato che sia un vicino del piano di sotto che cerca di entrare in casa propria, e si gira dall'altra parte.

Le sue supposizioni si rivelano tragicamente errate quando un'asse scricchiola e Molly si rende conto che c'è qualcuno nella stanza, al che sprofonda ulteriormente nelle coperte e si prepara ad ogni eventualità.

Se sei malintenzionato/a”, emette con una voce che suona non usata da giorni (cosa che in effetti è), “la cassaforte è dietro al quadro in salotto, se pensi che riesca a ricordarmi la combinazione in questo stato sei un illuso/a, e se vuoi scassinarla cerca di fare piano, per favore. Se invece vuoi rapirmi, sappi che faresti molti più soldi con la tipa al piano di sotto, che sospetto abbia dei parenti milionari e in più ha un cane davvero maleducato”. Qui fa una pausa per leccarsi le labbra, quand'è che nella mia bocca si è stabilito il deserto del Sahara? Ugh. “Se invece, miracolo dei miracoli, sei benintenzionato/a, ti seccherebbe portarmi un bicchiere d'acqua? Sto soffrendo, qua sotto”.

Sente uno sbuffo che potrebbe benissimo essere una risata, dei piedi che si avviano verso la cucina, un rubinetto che scorre e infine qualcuno che parla vicino alla sua testa e che per qualche concessione divina mantiene un tono di voce molto basso.

Sei una persona divertente, Molly Hooper”, dice Irene, e questo la spinge a uscire dalla sua tana.

Lieta di essere una buona compagnia”, borbotta, allungando la mano verso il bicchiere posato sul suo comodino e aggrottando le sopracciglia. “Ugh. Luce”.

Ma se fa buio pesto!”, protesta Irene, faticando a nascondere un sorriso.

Sbagliato. Quel raggio di luce filtra attraverso la tapparella e mi arriva proprio sulla faccia, quindi se non ti dispiace tornerò a cercare protezione nell'oscurità”.

Il silenzio si protrae per qualche minuto. Molly cerca di riaddormentarsi – o almeno, di scivolare in quello stato di semi-incoscienza tipico della malattia – ma c'è qualcosa che le sfugge. Siccome è malata e un (bel) po' frastornata, ci mette un po' a capire cosa sia; quando finalmente ci arriva, procede ad emergere per la seconda volta.

Irene ha avvicinato la poltrona al letto, e si sta mordicchiando il labbro inferiore. Un po' sta sorridendo, ma nella sua espressione c'è anche qualcos'altro. Al momento, tuttavia, Molly non ha intenzione di scervellarsi su cosa sia. Per ovvi motivi.

Senti”, inizia invece, “scusami, ma credo di essere abbastanza inutile al momento. Mi dispiace se hai fatto un viaggio a vuoto, e ti giuro che non mi offendo se te ne vai. Non che voglia cacciarti”, aggiunge precipitosamente, perché Irene sta facendo una faccia strana, “ma stare vicino ai malati è una vera rottura di scatole. Specialmente se hanno l'influenza. Specialmente se io ho l'influenza”, e neanche a farlo apposta inizia a starnutire come se non ci fosse domani. Che schifo.

Irene ha l'espressione che indossa quando non ha capito qualcosa. “Vuoi che me ne vada?”, chiede alla fine, lentamente.

Cosa? No, no, non è questo, cioè, in realtà è indifferente. Voglio dire, credo che passerò i prossimi giorni a smaltire questa schifezza dormendo, quindi che ci sia una persona in più o in meno non cambia tanto”.

Sono stata malata, a volte”, la interrompe Irene, come ricordandosi qualcosa, “da piccola, soprattutto. Mi ricordo com'è. Non è... male, avere qualcuno che si prenda cura di te”.

Molly è un po' sbalordita. Qualcuno che si prenda cura di te? Ma è questo che...?

No, beh, certo”, dice, “solo che per il qualcuno non è tanto divertente. Non voglio... annoiarti, o costringerti a stare chiusa qui dentro senza fare nulla. È una scocciatura. Io sarò una scocciatura”.

Irene sembra riflettere attentamente sulla questione. Non le è venuto in mente. Davvero non le è venuto in mente. Capisce benissimo le persone ma per lei sono come alieni. Assurdo, pensa Molly con un certo affetto.

Ma tu saresti da sola”, dice l'altra alla fine, e c'è della preoccupazione nella sua voce, è preoccupata, ecco cos'era, oddio. “Non voglio che tu stia male da sola. E penso che nessun altro possa stare con te come posso io. Non ho impegni, al momento, e questo vuol dire che sarò qui, se avrai bisogno di me. No, non credo che me ne andrò”.

Molly non può impedirsi di sorridere e di allungare la mano per stringere quella di Irene. Non sa bene cosa stia provando, solo che questa stretta al cuore è familiare, dolorosa e piacevole al tempo stesso, Dio, che stupido cliché, sono proprio andata.

A conferma di questa teoria arriva l'ennesimo starnuto. “Che schifo”, dice, tirando su col naso, “credi a me, tra qualche ora inizierai a chiederti chi te l'ha fatto fare di stare al capezzale di una tipa che si lamenta in continuazione, starnutisce e somiglia a una ricotta andata a male”.

Irene sorride. “Beh, innanzitutto sei divertente, ma questo mi sembra di avertelo già detto. E poi”, e qui abbassa la voce, e Molly chiude gli occhi, perché è staaaanca, “e poi, nonostante i tuoi improbabili paragoni, non somigli affatto a una ricotta andata a male. Hai gli occhi lucidi e ancora più brillanti del solido e la pelle bianca come il latte e le guance rosse e i capelli arruffati e sai che a volte le cose più vulnerabili sono le più belle, no?”

Molly non ha abbastanza forza da aprire gli occhi, e poi perché dovrebbe? Qualcuno le sta lasciando baci leggeri sul collo e le sta sussurrando cose quasi incomprensibili all'orecchio ed è tutto molto rilassante, quindi per nessun motivo al mondo si sentirebbe in dovere di sollevare le palpebre.

Bellissima”, sussurra il qualcuno, a voce ancora più bassa, disegnando con le dita sentieri invisibili sui suoi fianchi, “bellissima e malata, la mia Venus febriculosa”.

Non citare Nabokov a sproposito”, borbotta Molly, ma un angolo della sua bocca si solleva e si sposta per farle spazio. Sente le labbra di Irene curvarsi in un sorriso, sulla sua tempia, e la sua mano muoversi in cerchi regolari tra i suoi capelli.

Invece credo che date le circostanze la citazione sia molto appropriata”, dice, e poi non parlano più.

L'unico modo che conosce di prendersi cura delle persone, pensa Molly, sorridendo e mordicchiandosi il labbro inferiore. Non è un cattivo modo, però.

 

Due giorni dopo, Molly è come nuova, completamente guarita. Irene, invece, ha la febbre e starnutisce. Molly si prende altri due giorni di vacanza e non può fare a meno di ridacchiare sull'ironia della situazione, mentre si prodiga a curarla a colpi di tachipirina e spremute. In effetti è tutto abbastanza divertente.

 

Certo, non che tutto sia sempre rose e fiori. Anzi, non lo è mai, per dire il vero; è più che altro lo strano modo che ha Irene di farla sentire diversa. Molly ha passato la maggior parte della sua vita a pensare di essere ordinaria, come minimo, e sentirsi diversi a questo modo è un po' fuorviante. Le sembra di vedere il mondo un po' più da lontano, seduta con Irene in un posto dove se ne ha una visione in un certo senso più indistinta ma si capisce meglio il quadro generale. È diverso, ma non male, in fondo.

Logicamente, a volte Irene è insopportabile. Parla con disprezzo francamente gratuito di chiunque le venga in mente, si rifiuta di mettersi nei panni altrui, si vanta fino a diventare quasi noiosa e sembra esibire delle rischiose manie di onnipotenza. E Molly non può neanche stare zitta e fingere di non sentirla; in un certo senso, ridimensionarla è diventato il suo compito, e poi francamente si preoccupa di cosa potrebbe succederle quando si comporta così. Ha capito che è una sorta di meccanismo di autodifesa, un modo per non dover affrontare il fatto che certi aspetti delle persone le risultano assolutamente incomprensibili. È pericoloso. Però ormai ha capito come gestirla, e all'occorrenza mette una sorta di pilota automatico e le cose filano sempre più lisce.

Tuttavia è inevitabile: arriva il giorno in cui Molly si arrabbia sul serio.

Come ci si sarebbe potuti aspettare, si tratta di un motivo stupido, o magari di un insieme di motivi stupidi esplosi all'improvviso in un lite, cosa che i motivi tendono a fare, a volte.

È che Molly è stanca, capite. Ha avuto una giornata francamente orrenda e il fatto che Irene stia ostentando verbalmente da ore il suo disprezzo nei confronti dell'umanità non contribuisce certo a migliorare il suo umore. In questi casi, la cosa migliore da fare è ignorarla e ritirarsi in un angolino felice e tranquillo della propria mente, ma dopo una tirata particolarmente offensiva sulla mediocrità delle persone in generale Molly non può impedire a se stessa di esclamare, in tono seccato:
“Dai sempre la colpa agli altri! Non ti è mai capitato di pensare che magari ogni tanto anche tu sbagli da qualche parte?”

Irene si blocca. È un processo affascinante da osservare: la sua energia febbrile, diretta fino ad ora contro la popolazione mondiale in generale, sembra arginarsi temporaneamente, decidere che direzione prendere, e riversarsi tutta sulla persona che ha appena osato interromperla.

Quindi la colpa sarebbe mia? Stai dicendo che sono io quella sbagliata? Oh, che teoria originale, davvero, complimenti. Come se non me l'abbiano mai detto. Sì, ci ho pensato, sai, ho passato un periodo consistente della mia vita a pensarci, e sono giunta a questa conclusione: no, non sono io, siete tutti voi. Siete voi che non capite e vi sentite inferiori e cercate giustificazioni ovunque, tentando di proteggervi dalla vostra stessa inettitudine”. La sua energia si autoalimenta, i suoi occhi brillano, parla sempre più veloce. “Pensavo che almeno tu non ci saresti cascata, eppure”, le lancia uno sguardo di puro disprezzo che non dovrebbe farla sussultare e invece, “che delusione. La verità è che non riuscite ad accettare che qualcuno possa essere abbastanza intelligente da manipolarvi a piacere, non potete crederci, piccoli, sciocchi esseri umani”.

Quindi si tratta solo di questo”, dice Molly, sentendo un tono familiare nelle proprie parole, non credevo che mi fosse avanzata dall'adolescenza qualche traccia di sarcasmo, “e sicuramente non del fatto che prendi come un insulto personale il fatto di non riuscire ad immedesimarti nelle persone, anche se sei abbastanza intelligente da manipolarle. Senza contare che, per una che ci disprezza così tanto, sembra che ti importi un po' troppo di quello che facciamo e pensiamo di te. Certo, sciocco da parte mia pensare una cosa del genere, sono sicura che siamo noi ad essere piccoli e sciocchi e indegni della tua attenzione”.

Molly si sente piuttosto soddisfatta; ha il respiro un po' corto dopo la tirata, ma ne è valsa la pena. Irene la guarda incredula, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che qualcuno abbia osato contestarla.

Non hai capito niente”, sibila, e se ne va sbattendo la porta. Molly stringe le labbra e serra i pugni così forte da conficcarsi le unghie nel palmo della mano.

(Ne è valsa la pena?)

 

Due settimane dopo quella notte, Molly vede Irene perdere il controllo per la prima volta.

Sa che è in casa sua prima di aprire la porta: c'è luce che penetra sotto la porta, e poi la percepisce, è come se riuscisse a prevedere la sua presenza. Si dà un contegno ed infila le chiavi nella serratura.

Non riesce a capire da quanto tempo Irene stia camminando in cerchio nel suo ingresso, torcendosi le mani; troppo tempo, comunque: appena la vede le salta al collo, aggrappandosi a lei e spingendola contro la porta. Molly le accarezza i capelli, mormorando alternativamente sst e va tutto bene.

No, non va tutto bene”, dice lei, con forza, ritraendosi ma continuando a stringerle una spalla con la mano destra, come a non voler interrompere il contatto, “tu non capisci. Come fai a non capire? Io non faccio così. Io scappo. Quando qualcosa è scomodo, e fa male, e non posso impedirlo, scappo. Perché dovrei sopportarlo, quando ci sono milioni di altre cose che potrei fare? Cose che potrei fare meglio, e che mi darebbero più soddisfazione? Eppure”, e qui abbassa la voce, appoggia la testa sulla spalla di Molly, “eppure. Sono qui. Col cavolo che va tutto bene”.

Molly non capisce se il suo cuore si stia allargando o stringendo a dismisura; è una sensazione strana. In ogni caso, abbraccia Irene finché non si è calmata e poi le prende il viso tra le mani cercando di essere solida, lo scoglio in mezzo alla tempesta, e le sue labbra sono morbide e certo, certo che va tutto bene.

 

(“Hai ragione”, dice Irene un po' dopo, a bassa voce, tanto che Molly fa quasi fatica a sentirla. “Non vi capisco. Perché non vi preoccupiate di problemi importanti, perché vi esaltiate per delle inezie. Non capisco. E non mi piace non capire le cose”.

Molly ci pensa per un po'. Poi, lentamente, sussurra:
“Anche tu hai ragione. Cerchiamo in ogni modo di proteggerci dalle nostre debolezze, dandone la colpa a qualcun altro, o semplicemente ignorandole. E sì, è una cosa stupida da fare”.

Quindi hanno ragione tutte e due. Chi l'avrebbe mai detto.)

 

(Mettiamo le cose in chiaro: Molly non è stupida. Di nuovo, sa benissimo che lavoro fa Irene, e sa ancora meglio che è assolutamente inutile essere gelosa. Però non può fare a meno di sentirsi intimamente soddisfatta quando pensa, nessuno di loro la vedrà mai così, però, spettinata e senza trucco e con le borse sotto agli occhi e con una maglia dei Pink Floyd troppo larga di tre taglie che ha scovato da qualche parte nel mio armadio. Nessuno assisterà mai alla sua gloria, o almeno, non a questa).

 

Perché non sei rimasta con lui?”, chiede Molly un giorno, a bassa voce, sentendo il calore del suo stesso respiro solleticarle le labbra contro la spalla di Irene.

Lei tace; non c'è bisogno di chiedere a chi si stia riferendo. Sospira e si mette più comoda.

E tu perché me lo chiedi? Come mai hai bisogno di saperlo?”

Molly potrebbe rispondere, perché così non farò i suoi stessi errori e se proprio non potessi evitarlo almeno sarò preparata e non passerò mesi ad ascoltare canzoni tristi e non avrò il cuore troppo spezzato.

Molly potrebbe rispondere, ha una risposta, ma è inutile perché la conoscono entrambe, quindi si limita a girarsi su un fianco e a guardare Irene e ad aspettare, senza metterle fretta.

Perché mi ha salvata”, risponde dopo un poco, lentamente. “Cioè, non fraintendermi, ero in una situazione decisamente scomoda e avevo davvero bisogno di una mano e tutto, ma sapevo come sarebbe andata a finire se fossi rimasta. Mi avrebbe salvata ancora una volta, due, dieci, cento, mille, perché è questo che fanno, stupidi uomini, protettivi e gelosi, accidenti a loro. Io mi ci sarei abituata – perché è facile abituarsi ad essere salvati – e allora addio. Sarebbe stata la mia fine”. Rabbrividisce – allora questo pensiero la spaventa veramente. I do not fear death, but a cage²...

Non ho nessun bisogno di essere salvata”, conclude, scrollando le spalle e rifiutandosi di guardare Molly in faccia, Molly che la ascolta attentamente, Molly che capisce, Molly che si stringe al suo fianco e appoggia il viso alla sua spalla e chiude gli occhi.

Hai un enorme bisogno di essere salvata”, mormora, “ma non lo lasceresti fare a nessuno e onestamente se così non fosse non saresti più Irene Adler e non saresti magnifica neanche la metà di quanto sei ora”.

Silenzio.

E allora come faccio?”. È poco più di un bisbiglio, mischiato a una specie di risata. “Perché, sai, hai ragione. Ho un enorme bisogno di essere salvata”.

Molly non smette di sorridere ma apre gli occhi e la guarda in faccia.

Beh, tesoro, mi sembra ovvio. Ti salvi da sola”.

E Irene ride e ride e ride e paradossalmente non si è mai sentita più salvata.

 

Certo che è una cosa da non dormirci la notte; cosa che Molly fa, a volte, perché è una persona sensiBBile e ha i bioritmi tendenzialmente sballati. Quindi se ne sta sveglia per ore a fissare gli occhi chiusi di Irene e ad ascoltare il suo respiro tranquillo, sperando di poterla imitare presto. A volte scrive la domanda nel palmo della sua mano, una dieci cento mille volte, sperando che entri nel suo subconscio e la spinga a darle una risposta. Perché io? Perché io? Perché io perché io perché io perchéioperchéioperchéper....

Tu non lo sai”, sussurra Irene una notte, mentre Molly sta per addormentarsi a metà di una parola. “Tu non lo sai, ma io ti conosco da molto più tempo di quanto tu creda. Ti seguivo da mesi. Non sei stata tu ad accorgerti di me, sono stata io a lasciartelo fare. Se non avessi voluto farmi scoprire, tu non avresti mai avuto neanche un sospetto. Ma io ti seguivo da mesi”.

Silenzio. Molly non dice niente, cerca di respirare regolarmente, forse finge di dormire. Non parla.

Ti vedevo fare un sacco di cose. Ti vedevo faticare ad alzarti la mattina e arrabbiarti per aver fatto raffreddare il caffè e ridere con le tue amiche al telefono e aiutare le vecchiette ad attraversare la strada e ingoiare le lacrime quando Sherlock faceva qualcosa che ti faceva stare male e ingoiare le urla quando un'ingiustizia ti faceva arrabbiare e tanto, tanto altro. Il sorriso che hai quando leggi un libro, il modo in cui cerchi di non mangiarti le unghie quando sei nervosa. Come ti addormentavi senza spegnere la luce quando eri troppo stanca. E non penso...”, e qui si ferma per un attimo, inghiotte saliva, riprende a voce ancora più bassa, “non penso che si possa conoscere una persona a questo modo, tutte le sue piccole manie, le sue insicurezze, le sue gioie, senza...”

Senza?”

Irene apre gli occhi. Ha un'espressione quasi dolente, spaesata. Si agita, a disagio.

Lo sai”.

Lo so?

Allora Molly, non osando dire quello a cui sta pensando, scrive una parola sul palmo della sua mano; una parola corta, semplice, usata spesso con troppa leggerezza. Difficilissima.

Non ottiene risposta, solo due occhi chiari che la scrutano per un lungo momento e poi si chiudono.

La parola più difficile del mondo.

Lo so?

 

(Forse – forse – forse sì.)

 

La questione viene definitivamente risolta una sera in cui Irene passa due ore a parlare di quanto siano noiosi e prevedibili i ragazzini di buona famiglia e, alternativamente, a canticchiare Needing/Getting degli OK Go, pezzo che Molly non riuscirà mai più ad ascoltare in vita sua perché ne ha ufficialmente fatto indigestione.

Ad un certo punto, però, si accorge che Irene ha smesso di parlare e che la sta guardando con un'espressione a metà tra il pensieroso e l'ironico.

Chi te lo fa fare?”, le chiede, quando si accorge di aver attirato la sua attenzione. “Di sopportarmi, intendo. Non dev'essere facile”.

No, non lo è. Irene è incostante e fuorviante e spesso di cattivo umore e a volte se ne sta in silenzio per lunghi periodi di tempo mentre altre volte parla così in fretta che è difficile starle dietro e ci sono giorni in cui sembra ignorare completamente le regole più semplici dell'educazione e della convivenza civile. Però.

Sai cosa vuol dire il tuo nome?”, chiede Molly, guardandola negli occhi. Irene annuisce.

È greco, significa “pace”. Abbastanza paradossale, non credi?”, e ridacchia.

No, non credo”, dice Molly, lentamente. “Sai, gli antichi romani dicevano una cosa che trovo intelligente. Si vis pacem para bellum. Se vuoi la pace, preparati a combattere. E si dà il caso...”, e qui si ferma per deglutire, forza, dillo, non è così difficile, “si dà il caso che io voglia la pace”. Irene.

E non hai paura di combattere”.

Ovviamente”.

Okay, è tutto molto imbarazzante quindi Molly pensa che adesso abbasserà lo sguardo e si guarderà le mani con aria estremamente interessata. Sì. Sembra un ottimo piano.

Salvo che qualche secondo dopo le sue mani diventano effettivamente molto interessanti perché Irene si è messa a giocherellarci e Molly è proprio costretta a guardarla in faccia e sta sorridendo – il suo sorriso vero – e non è più tutto così imbarazzante. Di nuovo.

Molly sbuffa. “Chi lo fa fare a te”, dice, ed ecco, senza accorgersene ha fatto La Domanda ad alta voce e da qui non si torna indietro. Glip.

Irene fa il suo sorriso furbo e sembra pensarci un po'. Poi comincia a raccontare una storia.

C'era una volta una ragazza che viveva con un vecchio ammiraglio in un'isola deserta. La ragazza era bellissima, ma credeva che il suo viso fosse stato deturpato da un bombardamento ed era molto grata al vecchio perché la faceva vivere con tutte le comodità in una casa completamente priva di specchi e superfici riflettenti. Solo che un giorno la ragazza si ammalò”.

Molly non capisce molto dove stia andando a parare, quindi si morde l'interno delle guance e ascolta.

Per curarla, il vecchio chiamò una giovane infermiera dalla terraferma, proibendole di parlare in alcun modo con la ragazza del suo aspetto. Ma l'infermiera pensava che fosse una vera ingiustizia, perché oltre ad essere bellissima la ragazza era molto intelligente e tenerla segregata in quella casa pareva un vero crimine. Quindi tentò in ogni modo di farle capire la verità, usando ogni genere di sotterfugi, visto che il vecchio la controllava costantemente. Lui però se ne accorse, e intrappolò anche lei sull'isola, senza che la ragazza lo sapesse; l'infermiera andava a trovarla ogni mattina, come al solito, e poi veniva rinchiusa in una stanza³”.

Pausa. Molly aspetta il seguito della storia, perché ehi, sta diventando appassionante.

pausa lunga. Irene sta fissando il vuoto con sguardo assente.

E quindi?”, la sollecita dopo un po'. Viene ricambiata con uno sguardo pensoso.

E quindi cosa?”

Come va a finire?”

Dopo un'ulteriore pausa, Irene si decide a rispondere.

Ci sono due finali possibili. Il primo: l'infermiera riesce con un espediente a rivelare la verità alla ragazza, insieme si vendicano del vecchio ammiraglio e passano il resto della loro vita a viaggiare per il mondo e insomma ad essere felici. E il secondo...”

Qui indugia per un altro po', alza la mano per giocherellare con una ciocca dei capelli di Molly, gliela mette dietro all'orecchio.

... il secondo. L'infermiera convince il vecchio ammiraglio di essere riuscita a rivelare la verità alla ragazza, e lui, disperato perché crede che lei non potrà mai perdonarlo, si getta da una scogliera. A questo punto l'infermiera lo sostituisce, va a vivere sull'isola e per il resto dei suoi giorni è l'unica a conoscere ed ammirare l'immensa bellezza della ragazza”.

oh. “Oh”, dice Molly, “capisco”.

Gli occhi di Irene la scrutano attentamente. “Davvero?”

E la cosa strana è che sì, Molly pensa di capire sul serio. Le è capitato, nel suo periodo da secchiona, di leggere delle opere di Platone, ed è rimasta colpita da come i miti disseminati un po' dappertutto nei suoi dialoghi riescano sempre a trasmetterti ed insegnarti qualcosa. Non si capisce cosa, non si capisce come sia possibile, ma, come la storia che ha appena raccontato Irene, lo fanno. Conducono ad un'illuminazione.

Per cui, “Sì”, dice Molly, “credo proprio di aver capito”.

Interessante”, sussurra l'altra, vicinissima al suo orecchio, il respiro che disegna brividi sulla sua schiena, e Molly si dimentica un po' come inspirare ed espirare.

 

La Questione non viene più sollevata, la Domanda mai più ripetuta; Molly sa, istintivamente, di aver ottenuto una risposta. Per quanto scomoda e confusa.

 

Qualche settimana dopo, Sherlock muore (circa), e Molly scappa.

Irene ci mette pochi minuti, sospetta, a trovarla, e circa un'ora a raggiungerla, seduta su una panchina di fronte alla Serpentine in Hyde Park.

Ciao”, le dice, accomodandosi vicino a lei. Molly emette un sospiro che non si era accorta di aver trattenuto.

Ciao”.

Rimangono in silenzio per un bel po', e il sole ha già iniziato a tramontare quando Molly si decide ad aprire bocca.

Avevi ragione, sai. Fuggire è liberatorio. Perché sprecare il proprio tempo a preoccuparsi di cose su cui non abbiamo nessun controllo, se possiamo evitarle e dedicarci ad altro? Non posso credere di non averci mai pensato”.

Ancora silenzio. Irene schiaccia col tacco i sassolini sotto le sue scarpe, producendo un rumore stranamente soddisfacente. Alla fine dice, piano:
“Potresti continuare a farlo, lo sai, vero? A scappare. Evitare tutti i casini in mezzo a cui ti mettiamo. Nessuno ti biasimerebbe per questo”.

Molly ride. “Certo, potrei”. Poi appoggia la schiena, piega il collo, guarda verso il cielo. “Chi l'avrebbe mai detto che la mia vita sarebbe stata così. Circondata da geni, criminali e geni criminali, disastri mediatici e sociopatici. Sono sempre stata convinta che avrei vissuto una vita tranquilla e modesta”.

Un angolo della bocca di Irene si solleva in un mezzo sorriso. “Che errore grossolano, da parte tua”. Poi, improvvisamente, la sua voce è vicina e urgente in modo quasi allarmante.

Dico sul serio, pensa ai rischi che stai correndo. È pericoloso. Qualcuno cercherà di farti del male, prima o poi”.

Molly si volta a guardarla, e la sua preoccupazione le fa stringere un po' il cuore.

Beh, allora”, dice, tranquilla, “dovrò cercare di dormire con un occhio aperto”.

Irene si morde l'interno delle guance, e Molly le appoggia la testa su una spalla, e rimangono così per un bel po'.

Chi l'avrebbe mai detto che la mia vita sarebbe stata così; ma non è una brutta vita.

Pace.

Il sole tramonta su Londra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Io ho questa (non tanto) segreta convinzione che ogni tanto Molly e John si ritrovino in segreto a bere un caffè e sparlare di Sherlock e di quanto a volte sia insopportabile (e di come incidentalmente ogni tanto rischi di far uccidere i suoi preziosi collaboratori) e che la cosa faccia sentire entrambi un po' meglio.

2. LotR rulla. Punto. (E i suoi fanboys/girls sono disseminati/e un po' ovunque :D)

3. Tristemente, questa storia non l'ho inventata io, ma la genialissima Amélie Nothomb, che l'ha esposta in Mercurio. Non consiglierò mai abbastanza di leggere la sua opera omnia. GENIO. (E inoltre, secondo me lei è in assoluto la scrittrice preferita di Irene, mentre Molly è una grande fan di Joanne Harris. INFORMAZIONI INUTILI PER DI QUA)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DPP:

I CAN'T WRITE FEMSLASH FOR CRAP. OTL

Bon adesso che l'abbiamo capito rassegnamoci vabbè ci abbiamo provato e ciao amici come prima. AAAAGHHH. Seriamente, I don't know how I feel about this. Ho bisogno di feedback perché sono confuuuusa (noo, non è un poco subdolo invito a recensire, macché, macché); cioè, rileggendo sta roba mi sembra un confuso misciotto di melensaggini e a volte cose vagamente intelligenti. AGH. Che stress.

(Che poi Irene è un po' l'Edward Cullen della situazione, se ci pensate, il che è spaventoso. MA spero che non gliene vogliate eccessivamente visto che a) è un po' autistica (nella mia testa) b) HA ALMENO IL CORAGGIO DI AMMETTERLO. Chiusa parentesi.)

Ah sì! Anche se a questo punto starete guardando lo schermo così: o.O posso dire almeno di avervi ripagati delle vostre sofferenze con tanta buona musica, come la canzone che dà il titolo alla storia o Dog Days Are Over o Her Morning Elegance o ancora Needing/Getting. YAY FOR THAT.

Bene. Penso di aver finito. Grazie infinite alla mia compagna di banco (anche se – si spera – non leggerà mai questa cosa), perché lei sa come si dice “fungo” in russo (io no) e perché mi ha detto che i lividi non si curano e ha avuto la delicatezza di non chiedermi PERCHÉ CASPITA LO VUOI SAPERE? E nel bel mezzo della lezione di storia, per giunta o.O

Se siete arrivati fin qui, GRAZIE, AILOVIUOLL, LEMME KNOW WHAT YOU THINK, etc. Shalom!

~ Callie

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