The blog of Dr. John H. Watson

di Rosebud_secret
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Particolari in più ***
Capitolo 2: *** Senza Titolo ***
Capitolo 3: *** Ascolta... ***
Capitolo 4: *** Un po' di chiarezza (forse) ***
Capitolo 5: *** Genio o cretino? Ai posteri... ***
Capitolo 6: *** Se non lo ammazzo, mi fanno santo. ***
Capitolo 7: *** Breve aggiornamento ***
Capitolo 8: *** Nessun nuovo post ***
Capitolo 9: *** Nessun nuovo post - Epilogo ***
Capitolo 10: *** Io non posso! ***
Capitolo 11: *** Commenti al post precedente ***
Capitolo 12: *** "Ventimila leghe sotto i mari" ***
Capitolo 13: *** Rivoglio il mio migliore amico... ***
Capitolo 14: *** "Ricerca" ***
Capitolo 15: *** Sono passati sei mesi ***
Capitolo 16: *** Come non farsi i fattacci propri ***
Capitolo 17: *** "Code solved" -I parte- ***
Capitolo 18: *** "Code solved" -II parte; Epilogo- ***



Capitolo 1
*** Particolari in più ***


The blog of Dr. John H. Watson

 

 

24 Novembre 14.20

 

Particolari in più:

 

Ti guardai, ma tu non sembrasti vedermi, mi lanciasti solo una debole occhiata, tutto preso come eri da... ehm, credo di non aver nemmeno capito che cosa stessi facendo, dietro a quel microscopio.

Chiedesti a Mike di darti il suo cellulare, perché il tuo non prendeva, quindi ti offrii il mio.

Il tuo ringraziamento arrivò flebile come il battito d'ali di una farfalla.

Ti avvicinasti, mentre lui ci presentava.

Per prendere il telefono mi sfiorasti le dita ed io provai un brivido, come se mi fossi trovato di fronte a qualcosa di estremamente raro, pericoloso forse, ma senza dubbio affascinante.

 

-Iraq o Afghanistan?-

 

La domanda mi lasciò perplesso ed anche un po' infastidito.

Allora notasti anche me, non solo il mio telefono! Ciò non toglie che non fui affatto felice che ti facessi gli affari miei con una tale impudenza.

Mi arrischiai con un diplomatico:

 

-Come scusi?-

 

Tu ti limitasti a ripetere la domanda e fui costretto a rispondere.

Molly ci interruppe e tu sorseggiasti il tuo caffè, poi mi facesti una domanda davvero inaspettata:

 

-Le piace il violino?-

 

Il... violino?

 

Quale fu la mia prima impressione di te?

Non mi so rispondere, ti ascoltai, rapito, mentre un fiume di parole pronunciate troppo in fretta mi travolgeva.

Dove stavi correndo, misterioso sconosciuto?

Ancora mi chiedo come si faccia a dimenticare UN FRUSTINO DA FANTINO in un obitorio... Ma da te, ormai, mi aspetto ogni cosa.

Nemmeno mi avevi detto il tuo nome e già volevi abitare con me.

 

-Non sappiamo nulla l'uno dell'altro.- obbiettai.

 

Mi riassumesti in due parole la storia dell'ultimo periodo della mia vita ed io rimasi sconvolto.

 

-Io mi chiamo Sherlock Holmes.-

 

E così tutto è iniziato...

 

Lo ricordo come se fosse successo ieri, non avrei mai voluto staccarmi da te, ma, adesso che siedo nel tuo disordinato studio, rifletto e non riesco a non sentirmi in colpa per le volte in cui ho pensato di non sopportarti più, ma come potevo?

Ti eri preso tutto: la mia attenzione, il mio tempo, il mio affetto e non ti bastava.

Eri avvolgente, soffocante, mi spaventavi, ma ora mi spaventi ben di più.

Quel tuo travolgente bisogno di attenzioni mi stava schiacciando e stavo davvero finendo con l'odiarti, Sherlock, persino quando non c'eri, non pensavo che sarei stato peggio, ma mi sbagliavo.

Ora non mi vuoi intorno, sei cocciuto, testardo e benché la mia assistenza ti sia indispensabile, ti ostini a voler fare tutto da solo, compromettendo la tua salute e la mia pazienza.

Ti sei forse scordato di essere gravemente malato?

Penso che proverò un'altra volta ad entrare nella tua camera, per controllare le tue condizioni e portarti il pranzo.

Ovviamente mi rivolgo a te come se ti stessi parlando a voce perché LO SO che mi leggi, anche se tutti i dottori che ti hanno visitato, (quindi non solo io), ti hanno sconsigliato di farlo per tempo prolungato.

Attendo una tua risposta affermativa.

 

9 Commenti:

 

Non avrai la mia risposta “affermativa”, avanzati di salire, non ho appetito. Le virgole non sono necessarie quando si pone un inciso tra parentesi e i tuoi periodi sono pesanti come macigni.

 

Sherlock Holmes 24 Novembre 14.23

 

 

 

Possibile che questo sia diventato l'unico modo di comunicare?! Vuoi davvero che il mondo si faccia gli affari tuoi???

 

John Watson 24 Novembre 14.24

 

 

 

La punteggiatura non ti ha fatto niente, lasciala fuori dalle nostre questioni.

 

Sherlock Holmes 24 Novembre 14.24

 

 

 

Smettila di pensare alle dannate virgole e apri quella porta, o la sfondo, sei avvertito.

 

John Watson 24 Novembre 14.46

 

 

 

Sherlock?

 

John Watson 24 Novembre 14.47

 

 

 

Ok, te la sei voluta.

 

John Watson 24 Novembre 15.00

 

 

Brutti momenti, ragazzi?

 

Anonimo 24 Novembre 16.17

 

 

Ma cosa succede? Sherlock sta male? E' per questo che non vi fate vedere da due settimane? Perché non rispondete al telefono?

 

Molly Hooper 24 Novembre 17.03

 

 

Dottor Watson dubito che i lettori capiranno nulla se continuerà a raccontare i fatti in modo così criptico. Coraggio, ci sveli che cos'è successo e come mai non scrive più nulla sulle sue “avventure”.

 

Anonimo 24 Novembre 22.32

 

 

***

 

John si alzò dalla poltrona, abbandonando frettolosamente il computer sul tavolinetto.

Salì al piano di sopra, reggendo il vassoio con fare impacciato.

La porta, come prevedibile, era chiusa.

Bussò, senza ottenere alcuna risposta.

 

-Sherlock!- berciò. -Oh, maledizione! Sherlock!-

 

Tutto quello che ottenne fu un lungo, spettrale silenzio.

Posò il vassoio sul mobiletto del corridoio, poi con un calcio sfondò la serratura. Rifletté sul fatto che Mrs. Hudson non avrebbe apprezzato per niente la cosa, ma il pensiero passò in secondo piano, quando vide Sherlock riverso a terra ai piedi del letto.

Non si fece prendere dal panico, anche perché quella scena si ripeteva da settimane, ormai.

Si chinò su di lui, afferrandolo sotto le ascelle e lo sollevò sul letto.

Gli scostò i capelli dalla fronte sudata e vi posò sopra la mano.

Era gelida.

Anche questa non era una novità.

Afferrò il termometro elettronico dal comodino e gli misurò la temperatura. Il responso fu di 34.6 C°, di nuovo in ipotermia.

Chiuse gli occhi, scuotendo la testa rassegnato.

Lo coprì e si rialzò.

Cercare di farlo mangiare era inutile, non si sarebbe svegliato per ore.

 

***

 

-J-John!-

 

Sherlock precipitò in salotto, crollando in ginocchio oltre la soglia.

Strinse la moquette tra le dita, mentre una fitta di dolore gli rendeva impossibile l'uso delle gambe.

Emise un lugubre gemito gutturale.

 

-John!- gridò di nuovo.

 

Il dottore, ancora addormentato sul divano, si svegliò di soprassalto.

Accorse da lui in un lampo, sollevandolo in piedi.

Il suo urlo straziante lo spaventò al punto che si affrettò a farlo stendere sul divano.

 

-Non avresti dovuto alzarti.- gli disse, misurandogli i battiti con una rapida stretta del polso.

 

Sherlock sbatté le palpebre un paio di volte, come se non avesse ben compreso le parole dell'altro.

Deglutì, elaborandole.

Il pallore del suo volto brillava alla luce dell'abat-jour.

 

-Ricordo di essermi alzato per aprirti la porta...- mormorò in modo sconnesso.

 

Gli occhi scuri di John si accesero per la preoccupazione.

 

-Questo è successo ore fa...- commentò.

 

-Cosa?-

 

Sherlock si afferrò le tempie con una mano, stringendole tra il pollice e l'indice. Il mal di testa improvviso lo stava facendo impazzire, tanto da fargli scordare il dolore alle gambe.

L'altro salì al piano di sopra e gli portò una coperta.

 

-Cerca di dormire.-

 

-SAI BENISSIMO CHE NON CI RIESCO!-

 

John sospirò di fronte al suo repentino cambio d'umore e lo spinse di nuovo giù, puntellandogli una mano sul petto.

 

-Provaci!- digrignò tra i denti.

 

Sherlock si abbandonò con la testa sul cuscino, gli occhi aperti e lo sguardo perso nel vuoto.

 

-Devi scrivere tutto.-

 

-Scrivere tutto? Che diavolo significa “scrivere tutto”?- chiese John, allibito.

 

Sherlock gli scoccò un'occhiata malevola. -Inizi ad avere anche tu dei sintomi, o sei solo tardo di natura?!- ringhiò, stringendosi maggiormente le tempie.

 

Il dottore si zittì e chinò il capo.

 

-Dove?- chiese semplicemente.

 

-Sul tuo blog.-

 

***

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Capitolo 2
*** Senza Titolo ***


The blog of Dr. John H. Watson

 

 

25 Novembre 05.57

 

Senza Titolo:

 

Non ci voglio credere. No, davvero, come puoi volere questo, Sherlock?

 

7 Commenti:

 

Non vuoi essere il compositore del mio “Requiem”?

 

Sherlock Holmes 25 Novembre 06.54

 

 

Fa' un altro discorso del genere e ti ammazzo io.

 

John Watson 25 Novembre 09.41

 

 

Se non ti stacchi da quel computer e comnci a visitare i pazienti sarò io ad ammazzare te.

 

Sarah Sawyer 25 Novembre 09.45

 

 

Attenta agli errori di battitura.

 

Sherlock Holmes 25 Novembre 10.15

 

 

Ma tu non hai altro di meglio da fare?

 

Sarah Sawyer 25 Novembre 10.55

 

 

Sarah, per piacere, evita.

 

John Watson 25 Novembre 11.03

 

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

25 Novembre 18.20

 

Titolo: La piscina

 

Bene, vuoi che cominci? E allora cominciamo.

Dunque era il 29 Marzo quando M. ci contattò per la prima volta, lasciando un telefono cellulare (identico a quello di “Uno Studio in Rosa. Notare che non ho messo le virgole, questa volta) alla centrale di polizia e sfidando Sherlock a una lotta senza quartiere di certo non mi aspettavo che saremo finiti così.

Il nostro simpatico amico imbottiva le persone di tritolo e poi, dall'alto della sua follia criminale, voleva che Sherlock risolvesse i casi che, via via, gli presentava.

E' superfluo dire che Sherlock li risolse tutti anche se con un comportamento eticamente discutibile.

Contemporaneamente a questo io e Sherlock ci stavamo occupando della sparizione di certi piani militari segreti, benché non avessero proprio la priorità, dato che il tempo dato da M. era estremamente ristretto.

Recuperarli fu semplice, forse la cosa più semplice di tutta questa dannata faccenda...

Il fratello della fidanzata della vittima, coinvolto in traffici di droga, sperava di poterli rivendere ed ottenerne liquidità.

Semplice, quasi elementare.

La situazione era tranquilla, o almeno lo è stata, sino a quando non venni addormentato e mi risvegliai imbottito di esplosivi.

Un uomo, un piccoletto a cui non avrei dato un penny, in condizioni normali, mi istruì sulle frasi da dire e così si aprirono le danze...

Entrai nella piscina e trovai te, Sherlock, che agitavi in aria quei piani, offrendoli impudentemente come premio per l'intelligenza dimostrata dal tuo “avversario”.

Non credo che dimenticherò facilmente l'espressione del tuo viso nel vedermi lì e nel capire che la mia vita dipendeva dai tuoi gesti, dalle tue parole, dalle tue azioni.

Hai avuto paura, l'ho visto dal modo in cui la tua mimica è cambiata.

Non ricordo perfettamente le parole che tu e quel bastardo vi siete scambiati, ma una cosa è certa: nella tua voce c'era ammirazione, nonostante tutto.

Era una tattica per non indispettirlo?

Eri sincero?

Non lo so, ma mi ha dato fastidio, mi sono chiesto se potevo fidarmi di te e non è mai bello quando succedono cose del genere.

Avrei dovuto fidarmi, avrei dovuto impedirtelo, avresti dovuto scappare quando te ne ho dato l'occasione.

Ma tu no, stupido testardo! Dovevi far scattare mezzogiorno di fuoco in una piscina!

Lui ritornò, dopo averci quasi fatto credere che ci avrebbe lasciato andare, i puntatori dei laser illuminavano i nostri petti, i nostri volti.

Ti suggerii di puntare agli esplosivi e tu lo facesti.

M. non sembrò sorprendersi e nemmeno preoccuparsi, a ben vedere.

Poi tu, improvvisamente cambiasti la direzione di tiro. Sparasti a un estintore o al dosatore di cloro pressurizzato, la stanza si riempì di polvere e l'esplosione mi fece sbalzare verso sinistra. Sentii qualcuno cadere in acqua, ma non riuscivo a vedere nulla, poi uno sparo.

Uno solo e un altro schianto.

Mi misi istintivamente al coperto rincuorato dal rassicurante suono delle sirene della polizia, qualcuno, evidentemente, aveva sentito gli spari.

La polvere si diradò e ti vidi sott'acqua, aggrappato al bordo per tenerti fuori dalla linea di tiro dei puntatori laser.

Anche M. era in acqua, galleggiava immobile, colpito dal suo stesso fuoco alleato.

I puntatori sparirono, probabilmente i cecchini, sentite le sirene si erano allontanati. Mi tuffai a mia volta, raggiungendoti, nel caso avessi bisogno d'aiuto, ma non ne avevi, stavi bene.

Ti issasti da solo sul bordo e guardasti M. con espressione ferita, come se non avesse dovuto permettersi di morire, come se a te fosse tutto dovuto.

Le volanti arrivarono e il corpo venne portato via, chiudendo così la questione.

Direi che per il momento basta così.

 

7 Commenti:

 

Che cosa? E questo ti sembra un articolo? Dove sono i dettagli delle indagini? Il metodo, John! Il metodo! Mi serve tutto!
Senza considerare che il tuo passaggio a darmi del tu è stato sgraziato e sgradevole, tanto quanto il fatto che questo sembra il riassunto del riassunto delle puntate precedenti!

 

Sherlock Holmes 25 Novembre 19.37

 

 

Raccontala tu, visto che sei tanto bravo.

 

John Watson 25 Novembre 19.39

 

 

Sai benissimo che non posso.

 

Sherlock Holmes 25 Novembre 19.40

 

 

Certo, se continui a sprecare le tue energie in commenti inutili, dubito che troveremo una soluzione.

 

John Watson 25 Novembre 19.40

 

 

Sherlock?

 

John Watson 25 Novembre 19.41

 

 

Sherlock, per Dio, rispondimi! Non è divertente!

 

John Watson 25 Novembre 19.43

 

 

Non ci si capisce assolutamente nulla, Dr. Watson. Chi è M. e perché eravate in una piscina?

 

Anonimo 25 Novembre 23.13

 

 

 

***

 

John oltrepassò la soglia, spingendo la porta.

Aveva insistito con Mrs. Hudson affinché non facesse riparare la serratura sfondata e, alla fine, era riuscito ad averla vinta.

Sherlock sedeva sul letto in posizione scomposta, la vestaglia che accompagnava la sua figura esile.

 

-Ti sembra il caso di fare scherzi idioti?- lo aggredì.

 

-Come sei melodrammatico. Ho controllato i risultati delle analisi. Dicono che non ho niente.-

 

John gli strappò il computer dalle mani e aprì l'email incriminata. -Come sarebbe a dire “niente”?-

 

-Sai leggere, no?-

 

-Ne faremo altre, non preoccuparti, scopriremo cosa...-

 

-Non mi sto affatto preoccupando. Solo che tutto sta diventando sempre... meno interessante, mi annoio.- Sherlock lo interruppe senza alcun rispetto.

 

-Vuoi una pistola per prendertela col muro?- scherzò il dottore, ma l'altro non sorrise nemmeno.

 

Non sorrideva più da molto tempo, ormai, e nemmeno rispose.

 

-Va' via.- lo cacciò.

 

-Ma, Sherlock...-

 

L'altro lo guardò, i suoi occhi chiari sembravano lanciare fiamme. -Ti ho detto di andartene. Fuori da questa camera e anche da questa casa, se ti riesce!-

 

John alzò le mani in segno di resa. -Ok, ok, come vuoi. Preparo qualcosa da mangiare.-

 

***

 

-Mi hai chiamato?-

 

-Non sei salito, prima.- mormorò Sherlock con aria ferita.

 

-Prima quando?- chiese l'altro, posando il vassoio sul suo grembo.

 

-Prima, quando ho smesso di scriverti.-

 

John strinse la mascella e la sua espressione mutò quanto bastava per insospettire Sherlock.

 

-L'ho scordato di nuovo?-

 

-No, ho avuto da fare.- borbottò il dottore.

 

-Menti.-

 

-Mangia.-

 

-No. Che è successo? Dimmelo.- insistette Sherlock.

 

-Sono venuto e mi hai cacciato via.-

 

-Forse perché il tuo articolo è penoso e non è ciò che ti ho chiesto di fare.- sbottò l'altro, stizzito.

 

-Questo, però, lo ricordi.- Jonh sospirò di sollievo.

 

-Mi sono mandato delle email, mi appaiono piuttosto criptiche, in certi punti, ma il senso è quello.-

 

Il dottore sentì il suo conforto sgonfiarsi. -Ah...-

 

-E' lapalissiano che la mia memoria a breve termine sia altamente compromessa, allo stato attuale dei fatti. Quindi fare delle documentazioni su tutto ciò che accade è fondamentale. Al momento non sappiamo se anche la memoria a lungo termine sia a rischio, di fatto non riesco a scrivere più di poche righe ogni cinque, sei ore e questo stesso discorso mi sta affaticando, per questo devi essere tu a permettermi di sapere ciò che sta succedendo e ad annotare quel che è accaduto.-

 

-Sherlock...-

 

-Sei l'unico che sappia tutto, John, la cosa non è in discussione.-

 

-Sherlock! Dovresti riposare, non pensare a come risolvere il tuo caso! Ci sono i medici per questo!-

 

-Medici che non trovano niente nelle mie analisi?-

 

Sherlock si spazientì e la mimica del suo volto lo comunicò con chiarezza. -Se non vuoi aiutarmi non c'è alcun bisogno che resti.-

 

John scosse la testa e, malgrado la situazione, ridacchiò. -Mi hai richiamato qui solo per cacciarmi un'altra volta? Lo sai che non me ne andrò e non sei di certo in grado di costringermi. E dopo essermi concesso di darti questo smacco, penso che andrò a fare la spesa.-

 

-Prendi la mia carta.- l'altro si stese su un fianco, posando la testa al cuscino, chiudendo gli occhi.

 

-E perché?-

 

Non ottenne risposta. -Sherlock?- indugiò qualche istante a guardarlo dormire, gli sfiorò appena la fronte.

 

Che diavolo stava succedendo?

 

***

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Capitolo 3
*** Ascolta... ***


 

***

 

-Latte, un po' di carne...- borbottò John, esaminando ciò che aveva già messo nel carrello.

 

-Che mi prenda un colpo, John! John Watson!-

 

Sussultò, voltandosi. -Oh mio Dio, Tom!- esclamò, riconoscendo un vecchio amico degli anni del college. Mollò il carrello a lato corsia e gli andò incontro stringendogli la mano.

 

-Da quant'è che non ci vediamo, eh, John? Quanti anni?- ridacchiò l'uomo, dandogli una sonora pacca sulle spalle.

 

-Fidati, meglio non contarli!- sorrise il dottore.

 

-Aaah, bei tempi quelli del college, quando non pensavamo ad altro che alle donne e avevamo ancora tutta la vita davanti!- esclamò l'altro.

 

-A questo proposito, immagino che, alla fine, tu non sia diventato il ginecologo di Naomi Campbell come aspiravi di fare.- ridacchiò John.

 

-Ah ah ah! Ma come fai a ricordartelo?!-

 

Il dottore si grattò la nuca. -Deformazione professionale, immagino.- bofonchiò.

 

-Comunque no, sono un dannato squalo delle assicurazioni. Lavoro che dà altri tipi di soddisfazione, comunque. Tu, invece? Che hai fatto dopo il college?-

 

-Medicina, poi ho pensato bene di partire in guerra. Sono stato congedato dopo che mi hanno sparato, ora lavoro come medico sostitutivo in una clinica in centro e cerco di ricostruirmi una vita.-

 

Tom alzò le sopracciglia, sorpreso. -Tu? In guerra? È già tanto se non ti hanno freddato appena sbarcato!-

 

John scrollò le spalle, in effetti era un po' sfigato ai tempi del college. Abbassò lo sguardo sulle mani dell'amico, notando il segno della fede.

 

-Divorziato o stai solo facendo il furbo?- questa domanda proprio gli sfuggì, la conseguente occhiata basita dell'altro gli fece maledire l'influenza di Sherlock nel suo modo di vedere il mondo.

 

-Non ti sfugge niente, eh? Sto facendo il furbo, ma resti tra noi, ok, Johnny-boy?-

 

-Chiamami un'altra volta così e giuro che mi premurerò di informare personalmente la tua signora.- sogghignò il dottore.

 

-Alla fine ti sei sposato con Jenny?- lo ignorò l'altro.

 

John sospirò, sorridendo. -No, ci siamo mollati alla fine del primo anno di università.-

 

-No, ma non mi dire! Eravate così uniti!-

 

-Alla fine si è resa conto di essere più unita a qualcun altro.- ironizzò John.

 

-La solita vecchia storia... Senti, ho la macchina qui fuori, ti va di andare a farci due birre in onore dei vecchi tempi?-

 

John tentennò, non gli piaceva lasciare Sherlock da solo per troppo tempo.

Oh, alla malora, si sarebbe preso quelle due ore, tanto Sherlock sarebbe riuscito solo a trattarlo male, o ad ignorarlo tutto il tempo.

 

-Dovrei portare la spesa a casa, prima...-

 

-E che problema c'è? Ti aspetto, immagino che la tua signora non sopporterebbe di veder la spesa andare a male.-

 

-Non ho una signora, vivo con un amico...- si affrettò a specificare John.

 

-Non dirmi che...-

 

-No, non cominciare anche tu. Non sono gay, siamo solo amici.-

 

-Ok, ok, non ti scaldare, ti porto dove vuoi.-

 

***

 

-Aspettami qui, metto la roba in frigo e scendo!-

 

John salì le scale, lasciando la porta aperta e si fiondò in cucina, iniziando a sistemare in fretta la spesa.

 

-Dove vai?- la voce di Sherlock dallo studio lo fece sussultare.

 

-Che ci fai lì? Dovresti essere a letto!- lo rimbeccò, infilando la carne sul ripiano più in alto.

 

Un lato positivo c'era in tutta quella situazione: da quando Sherlock stava male c'erano meno pezzi di cadavere nel frigorifero e più posto per il cibo.

 

-Dove vai, John?- l'altro si premurò solo di ripetere la domanda.

 

Sbuffò e entrò nello studio, trovandolo di fronte alla finestra. -E chi è quel tizio sulla BMW blu di fronte al nostro portone?-

 

-Un vecchio amico, vado a farmi una birra con lui. Hai bisogno di qualcosa?-

 

-Cambierebbe la situazione?- il tono di Sherlock era infastidito.

 

John prese un respiro profondo, richiamando il suo autocontrollo. -No, temo proprio di no.-

 

-Bene.-

 

-Sherlock non sono in vena di giochetti, ti serve qualcosa sì o no?!-

 

-Mi serve che tu scriva quel che ti ho chiesto di scrivere.- rispose finalmente l'altro, voltandosi e scoccandogli un'occhiataccia.

 

-E vuoi che lo faccia adesso?!-

 

Sherlock si stese sul divano con il suo consono atteggiamento da diva. -No, va' pure.-

 

-Per tua norma e regola non sono il tuo schiavetto e non mi serve il tuo permesso!-

 

-Ma, di fatto, lo chiedi sempre.- ribatté Sherlock, dandogli le spalle.

 

John scese e sbatté la porta alle proprie spalle.

 

-Tutto ok?- gli chiese Tom, una volta che fu salito in macchina.

 

Fece una lunga pausa prima di rispondere con un “Sì” non troppo convinto.

 

***

 

-Cristo, questa serata ci voleva proprio!- esclamò Tom, tracannando l'ennesimo sorso di birra.

 

-Sì, avevo davvero bisogno di un diversivo.- commentò John che, tuttavia, non aveva mai staccato gli occhi dal cellulare.

 

Sherlock non gli aveva scritto nulla.

Si rigirò il telefono tra le mani e si decise ad aprire i messaggi.

 

Tutto ok?” scrisse.

 

Nessuna risposta immediata.

Forse stava dormendo... o forse era talmente infuriato che non voleva rispondergli.

Tom gli sfilò l'oggetto dalle mani.

 

-Si può sapere a chi scrivi? Sherlock? Sto iniziando a pensare che non me la conti giusta, Johnny-boy.-

 

John sospirò. -Il fatto è che sta molto male ed è così cocciuto da non voler l'aiuto di nessuno, sopporta a stento la mia presenza e nemmeno sempre. Abbiamo discusso, prima, quando ho portato la spesa e non mi scrive nulla da allora, quando invece è solito sommergermi di sms se, in qualche modo, l'ho seccato.-

 

Tom sospirò e fece cenno alla cameriera di portare altre birre. -Vedrai che le cose si sistemeranno.-

 

Il dottore tracannò la sua birra con pochi sorsi. -Il fatto è che è orribile vedere una persona come lui costretta in un letto, in cui si ostina a non stare, e incapace di ragionare con lucidità...-

 

-Lo sai chi altro sta male?- lo interruppe Tom.

 

John scosse la testa e bevve un altro sorso.

 

-Taylor Colter, eppure le sue analisi non dicono niente, oh, in fondo è giustizia, era proprio uno stronzo quando eravamo ragazzi.-

 

Corrugò le sopracciglia. -Taylor, Taylor...- borbottò. -Non me lo ricordo.-

 

L'altro ridacchiò. -Oh, andiamo! Quello che stava con quella del quinto anno con il cervello inversamente proporzionale alle tette: Patricia. È stata proprio lei a dirmelo.-

 

-Uh, lei sì che me la ricordo! Scema tronca, ok, ma che tette! Una quinta, se ben ricordo.-

 

-Questo è il Johnny-boy che riconosco! Se vuoi ti lascio il suo numero è diventata “piuttosto disponibile” anche con le matricole se si è carini con lei...- rispose Tom, con tono piuttosto allusivo.

 

John per poco non si strozzò con la birra. -Vuoi dire che fa la prostituta?-

 

-Sì, una puttana di gran classe, ma con il cervello che aveva è già tanto che sia riuscita ad inserirsi in questo buisness. La incontrai dopo un meeting, un annetto fa, se la faceva con il mio capo, la stronza. Mi ha fatto metà prezzo, visto che eravamo compagni al college, magari fa lo stesso anche a te.-

 

-Uhm, non credo di potermela permettere comunque, ma mai dire mai, non sia mai che vinca alla lotteria...- John si alzò in piedi. -Mi farebbe piacere rivederla, magari per un caffè. Accidenti, è quasi l'una!-

 

Tom lo imitò. -Meglio andare, o Sherlock potrebbe pensar male, ha tutta l'aria di essere una “mogliettina gelosa”.-

 

John chinò il capo con aria sconfitta, ormai non aveva più idea di come dire al mondo che lui e Sherlock NON erano una coppia.

 

***

 

...E non ti ho detto di quella volta in cui Sherlock... Cioè, il Sistema Solare!-

 

-Sì, John, va bene, siamo arrivati.- sorrise Tom accondiscendente, alzando gli occhi al cielo.

 

Si era amaramente pentito di aver chiesto a John come fosse la sua vita. Il ritorno a casa era stato un continuo “Sherlock questo, Sherlock quell'altro, Sherlock pensa, Sherlock fa... e che due palle!”.

 

-Ti ho annoiato a morte, vero?- gli domandò il dottore.

 

-Oh, no. Senti, posso usare il tuo bagno?-

 

-Certo.-

 

John aprì piano il portone di Baker Street, non voleva svegliare la signora Hudson, né Sherlock, tanto meno Sherlock.

Talmente preoccupato da questo inciampò sui gradini, facendo un frastuono del diavolo.

 

-Tutto ok? Comunque se ti stavi premurando di non svegl...-

 

-Sono già sveglio, signor “vendo polizze assicurative e tradisco mia moglie quando sono via da casa”.-

 

Tom alzò lo sguardo, notando l'esile figura di Sherlock in piedi in cima alla scala.

La sua aria era talmente tetra e arcigna che non osò nemmeno chiedere come diavolo facesse a sapere certe cose...

 

-Sherlock che ci fai in piedi?!- lo apostrofò John.

 

Quello lo ignorò del tutto, scendendo la scala. -Interrompo qualcosa?- chiese poi a passando lo sguardo dall'uno all'altro.

 

-Eh? Oh, no no. Io l'ho solo accompagnato, dovevo, no, niente.....- rispose quest'ultimo a disagio. -Piacere di aver fatto la sua conoscenza, signor Holmes.-

 

-Il piacere è tutto suo. Buonanotte.-

 

-Oh... ok, ci vediamo Johnny-boy.-

 

Tom uscì in strada, chiudendosi il portone alle spalle.

 

-Brrr, altro che mogliettina gelosa!- borbottò a se stesso, risalendo in macchina.

 

***

 

Con molta fatica Sherlock riuscì a risalire da solo sino allo studio e dovette andare forzatamente a sedersi.

Avrebbe scontato caro quello sforzo, lo sapeva.

 

John si stropicciò il volto, cercando di recuperare un minimo di controllo. -C'era bisogno di trattarlo così male?!- esplose.

 

Sherlock raccolse le ginocchia al petto e non rispose, continuando a fissare il vuoto.

John si spazientì. -STO PARLANDO CON TE, SAI?!-

 

-Non sono sordo, John.-

 

-POSSIBILE CHE IO NON POSSA PRENDERMI UNA STRAMALEDETTA SERATA?! SONO SEMPRE DIETRO A TE, SEMPRE AI TUOI ORDINI ANCHE QUANDO MI TRATTI DI MERDA! MI MERITAVO UN PO' DI PACE! QUESTA SITUAZIONE E' INSOSTENIBILE!-

 

- Puoi andartene domani stesso e cominciare a far bagordi tutte le sere, se per te sono così importanti.- detto questo Sherlock si alzò e salì al piano di sopra.

 

John trasalì. -Cazzo...- sospirò.

 

Si sedette sul divano e aprì il computer.

 

 

***

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

26 Novembre 01.20

 

Titolo: Ascolta...

 

Non intendevo davvero dire quel che ho detto, ero solo incazzato. Sono incazzato.

Questa situazione è snervante per tutti, non solo per te.

Sono preoccupato, sono maledettamente preoccupato e tu... tu non fai altro che chiuderti in te stesso!

Come posso aiutarti se mi tagli fuori?

Ad ogni modo... Mi dispiace.

 

3 Commenti:

 

Ehi... Ho detto che mi dispiace...

 

John Watson 26 Novembre 01.34

 

 

E rispondimi! Lo so che stai leggendo, cosa credi?!

 

John Watson 26 Novembre 01.54

 

 

***

 

Sherlock sospirò, indugiando lo sguardo sul monitor.

Sfiorò la tastiera con la punta delle dita.

Era furibondo con John.

Non sopportava di vederlo affannarsi tanto per preoccupazioni di nessuna utilità, illogiche, infantili, umane, forse...

Una parte di lui gli suggeriva che John aveva fatto bene a prendersi una serata di pausa, in fin dei conti, ma gli sembrava comunque un sopruso nei suoi confronti.

Prese un respiro profondo e si decise a rispondere.

 

***

 

 

 

Sono stanco, non ne ho voglia. Tutto questo è patetico, scrivi quel che ti ho chiesto di scrivere e non torniamo più in argomento. Cancella questo post.

 

Sherlock Holmes 26 Novembre 02.00

 

 

***

 

Il computer scivolò via dalle sue gambe e lui crollò all'indietro, privo di forze.

Non avrebbe dormito, lo sapeva, ma la sua mente si stava facendo ovattata.

Perse la percezione di ciò che gli stava intorno molto presto.

 

***

 

 

Post cancellato 26 Novembre 02.02

 

 

 

 

 

N.d.A.: Ciao a tutti, non si nota ma sono qui ^^! Ho visto che mi leggete in molti e vi ringrazio, però qualche parere in più mi farebbe piacere, qualche critica o suggerimento, insomma. Devo fare una piccola specifica: ho messo “slash” nelle note, ma penso che mi terrò più su una bromance. Sperando che continui a piacervi:

Un bacione,

Ros

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Capitolo 4
*** Un po' di chiarezza (forse) ***


 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

26 Novembre 05.20

 

Titolo: Un po' di chiarezza (forse)

 

Ok, cerchiamo di fare un po' di chiarezza. Capisco che il post precedente sia un po' criptico.

Gli eventi a cui ho fatto riferimento non sono recenti, ma di qualche mese fa. Per la precisione la notte del 31 Marzo.

Da quella notte, ringraziando il cielo, ci tenemmo lontani da maniaci assassini anche perché, si spera, che di psicopatici con un QI alto come quello di M. ce ne siano pochi in giro.

Saperlo morto mi tranquillizza alquanto.

In seguito affrontammo diversi casi, tutti di piuttosto semplice soluzione.

Nulla di particolare nota.

Una donna assassinata dal marito in un goffo tentativo di farlo sembrare un incidente, così da incassare l'assicurazione e poter scappare con l'amante.

Un caso di truffa ai danni del fisco da parte di un esimio signore del jet-set.

La misteriosa sparizione del gattino della bimba che abita nel palazzo di fronte, insomma, nulla di particolarmente entusiasmante.

Sherlock era intrattabile, perennemente annoiato, non stava zitto un attimo, o non parlava affatto, insomma,niente di diverso dal solito, niente, almeno, che lasciasse presupporre la tempesta che stava per arrivare e a cui non siamo ancora arrivati a capo.

Mi chiedo se mai ci arriveremo...

Io, dal canto mio, proseguivo la mia vita piuttosto tranquillamente, dividendomi tra il lavoro allo studio, e, ah, ho conosciuto una ragazza, ma è durata talmente poco, questa volta che menzionarla mi pare superfluo.

Mi ha mollato così in fretta che quasi mi è girata la testa.

Comunque, era il pomeriggio del 13 Luglio, faceva un caldo maledetto e noi eravamo in periferia sulla scena di un crimine, fu quel pomeriggio che Sherlock iniziò ad avvertire i primi sintomi, più volte mi fece notare di sentirsi non solo annoiato, ma anche fiacco, stanco, come se nella notte non fosse riuscito a riposare, ma non gli diedi troppo corda.

Ricordo a tutti che Sherlock dorme pochissimo quando si sta occupando di un caso interessante e, in genere, dorme pochissimo anche in tutte le altre occasioni, il sottoscritto ne sa qualcosa, soprattutto quando sono le tre di notte e non desidererebbe altro che prendere il violino e l'archetto e ficcarglieli in gola per farlo smettere di suonare.

Torniamo al punto principale, quel pomeriggio, mentre esaminava il corpo, Sherlock ebbe un mancamento e perse i sensi. Con tutta probabilità quello fu solo il primo sintomo evidente, ma ce ne sono stati altri, precedenti, che non abbiamo notato o che io, quanto meno, non notai, come la fiacchezza, la difficoltà nel recupero energetico, il suo scarso appetito (più scarso del solito)...

Inizialmente pensai a un caso fortuito, insomma, faceva caldo e non si può certo dire che Sherlock abbia una buona alimentazione, poteva aver avuto un calo di zuccheri o qualcosa di altrettanto semplice e banale.

Purtroppo mi sbagliai e presi sottogamba la cosa. Lui si rialzò pochi minuti dopo, pallido e forse un po' provato, ma riprese a lavorare con tranquillità, come se nulla fosse realmente successo. Probabilmente, sul momento, nemmeno lui vi diede grande peso.

Concludemmo la questione in pochi minuti, anzi, la concluse.

L'assassino era il maggiordomo con il candelabro in cucina, scherzo, ovviamente, ma, a volte, con i casi più semplici sembra davvero di star giocando una partita di Cluedo (con le regole vere, quelle giuste, non quelle di Sherlock in cui l'assassino e la vittima sono la stessa persona).

Per un certo periodo, dopo quel giorno, Sherlock non accusò altri sintomi differenti da quelli già elencati, ma la sua resistenza di fronte agli sforzi fisici era sempre minore.

Da due settimane a questa parte non riesce nemmeno ad uscire di casa...

Sono preoccupato e sono stanco morto.

 

7 Commenti:

 

Tralasciamo il fatto che non hai chiarito assolutamente nulla. Pazienza, dopotutto non ci si può aspettare troppo... Comunque: lo svenimento non è stato il primo sintomo, ma gli altri che hai elencato, io mi ero già reso conto che ci fosse qualcosa che non andava, John, per la precisione da metà giugno in poi. Comunque sia ricordo abbastanza bene questi eventi, puoi passare oltre e, per cortesia, cerca di non sottolineare così tanto il tuo essere contrito, non stai scrivendo un romanzo dell'ottocento.

 

Sherlock Holmes 26 Novembre 10.55

 

 

Grazie per la tua benedizione... Ti viene qualche idea in merito a quel che potresti avere?

 

John Watson 26 Novembre 10.59

 

 

Ci sto ragionando.

 

Sherlock Holmes 26 Novembre 11.23

 

 

 

Ci hai messo parecchio a rispondere. Ti senti bene? Devo passare da casa?

 

John Watson 26 Novembre 11.54

 

 

Sì. No.

 

Sherlock Holmes 26 Novembre 12.03

 

 

Ma voi non dormite mai? Anzi: John, tu non dormi mai? Anche questo post è delle cinque del mattino o.O!!!

 

Harry Watson 26 Novembre 16.34

 

 

Il suo aplomb di fronte ai continui appunti del signor Holmes è encomiabile, Dr. Watson.

 

Anonimo 26 Novembra 19.37

 

 

***

 

-Stai bene?- Mycroft guardò il fratello intensamente, mentre con una mano portava alle labbra la tazzina del tea.

 

Sherlock lo fulminò con un'occhiata gelida. -Non cominciare anche tu. È patetico il fatto che tu sia qui, quando in realtà dovresti essere da tutt'altra parte.-

 

-Prego?-

 

-Non fare il finto tonto con me. Stai facendo dei viaggi frequenti nell'ultimo periodo, vieni da un posto in cui fa più freddo, dato il cappotto pesante che indossi. Hai le occhiaie, segno evidente che non riposi abbastanza. Cosa giustifica un cappotto del genere e la mancanza di sonno? Un probabile viaggio di ore e una crisi da jet-lag. Piuttosto elementare, dopotutto. L'orario del tuo orologio è avanti di quattro ore. Nottata insieme a qualche ex spia del KGB? In fondo non mi interessa, vattene.-

 

Mycroft si accigliò. -Hai sbagliato.-

 

-No, non è vero.-

 

-Sì, Sherlock.- insistette.

 

L'altro gli voltò le spalle bruscamente con fare stizzito, sdraiandosi su un fianco.

 

-Se tu, quanto meno, avessi aperto le tende ti saresti reso conto che c'è un cielo da neve e che le temperature sono calate. Non dormo da molto, ma non mi sono mosso da Londra, nell'ultimo periodo. Non è da te sbagliare così su tutta la linea, questo risponde alla mia prima domanda: non stai affatto bene.-

 

-La parte del fratello preoccupato non ti è consona.- bofonchiò Sherlock.

 

-Non sta a te definire cosa sia consono e cosa non lo sia.- ribatté Mycroft seccato.

 

Posò la tazzina sul comodino e si alzò, facendo il giro del letto per averlo di nuovo di fronte.

Sollevò la manica della giacca e gli mostro l'orologio.

 

-E il mio orario è quello di Greenwich, il cambio d'orario te lo sei immaginato. Quindi, ora che abbiamo reso palesi le tue condizioni, smettila di fare l'idiota! Io posso aiutarti e lo sai.-

 

Sherlock inarcò un sopracciglio. -Ti sopravvaluti.-

 

-So che stai studiando i tuoi sintomi, ti conosco e so anche che stai segnando tutto quello che ti succede e tutte le possibili cause. Dammi i tuoi appunti, troverò io la soluzione.-

 

-No.-

 

-Ti stai comportando come un bambino, Sherlock.- il tono di Mycroft era severo e tradiva una certa rabbia. -Sino a che punto vuoi spingerti per provare “quanto sei bravo”?-

 

Sherlock si mise seduto a fatica, celando a stento una smorfia di dolore. -Non credo che tu sia la persona più indicata per discutere di etica.-

 

-Qui non si tratta di etica o di non etica e non si tratta di terzi. Si tratta di te!-

 

-E siccome si tratta di me e sono capacissimo di intendere e di volere, posso decidere come affrontare la cosa!- Sherlock aveva iniziato ad alzare la voce.

 

-Non sei mai stato in grado di farlo!-

 

-Taci!-

 

Mycroft strinse i pugni. -Io posso occuparmi di te, sono l'unico!-

 

-Se fosse davvero così preferirei spararmi.- rispose Sherlock con estrema tranquillità.

 

Mycroft sbuffò, poi afferrò il cappotto e uscì dalla stanza da letto sbattendo la porta.

Passò di fronte allo studio, più che intenzionato a scendere le ultime scale e andarsene.

 

-Non così in fretta.- disse John, comparendo sulla soglia della stanza.

 

L'altro si raddrizzò e alzò il viso con fare sdegnoso, guardandolo con la solita, fastidiosa aria di superiorità.

 

-Non ho tempo da perdere.- disse.

 

John, che, dopo aver letto la risposta di Sherlock si era, comunque, precipitato a casa, alzò gli occhi al cielo.

 

-Lo trovi.- sibilò.

 

-Non credo lei possa dirmi nulla di illuminante, questa volta.- rispose a tono Mycroft con un ghigno sottile.

 

L'altro incrociò le braccia al petto, chiedendosi perché i due Holmes sapessero essere tanto odiosi e anche perché usassero lui come valvola di sfogo.

 

-Non pensi che non sia preoccupato per lui...- cominciò a dire.

 

Mycroft lo interruppe subito. -Non dubito del fatto che lei sia preoccupato, ma, sfortunatamente, tale premura risulta essere inutile.- si fermò e accennò alla scala che portava alle camere. -Credo che la nostra conversazione non sia più privata.-

 

Gli occhi di John brillarono. -Molto bene, allora. Proseguiamo fuori.-

 

Mycroft sorrise, immaginando l'espressione infastidita del suo fratellino al piano di sopra.

 

-Mi faccia strada.-

 

Non si spostarono di molto, si limitarono solo a sedersi in un bar in fondo alla strada. Cosa inusuale nei loro incontri, visto che il maggiore degli Holmes era solito rapire il suo interlocutore quando voleva parlare con lui...

 

-Dubito che quel che ha da dirmi possa risultare, in qualche modo, interessante, ma devo riconoscere che la mossa di uscire di casa è stata acuta, inaspettata da uno come lei, Sherlock ne risulterà molto seccato.- borbottò Mycroft, guardando l'orologio.

 

John non diede peso all'offesa velata, la salute di Sherlock era più importante delle sue schermaglie con il maggiore degli Holmes.

Si rigirò la tazza di caffè tra le mani.

 

-Sto prendendo nota di tutti i suoi sintomi, della frequenza con cui si manifestano o si ripetono e la situazione è drammatica.-

 

-Mi faccia un quadro, invece che perdersi in sentimentalismi inutili.-

 

-Possibile che lei e suo fratello dobbiate essere così dannatamente freddi di fronte a tutto?!- ringhiò malamente l'altro.

 

-Da parte mia questo si può riassumere in “professionalità”.-

 

John puntò gli occhi scuri in quelli di Mycroft. -Un giorno le spaccherò la faccia.-

 

-Decisamente triviale.-

 

Il dottore si alzò. -Mi sbagliavo a pensare di poter collaborare. Arrivederci.-

 

Mycroft lo guardò uscire. Tirò fuori il cellulare e compose un numero.

 

-Voglio un hard disk con la copia del contenuto del computer del dottor Watson tra un'ora sulla mia scrivania.-

 

***

 

N.d.A.: Eccoci alla fine di un altro capitolo, ringrazio tutti quelli che mi seguono e che mi recensiscono ^^.

Un bacione,

Ros.

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Capitolo 5
*** Genio o cretino? Ai posteri... ***


 

Sherlock sedeva sul letto con le ginocchia strette al petto. Guardò l'armadio, non aveva mai desiderato uscire come in quel momento.

Non gli piaceva che Mycroft parlasse con John, voleva uscire a cercarli ma si sentiva così maledettamente stanco e gli faceva male tutto, ogni muscolo. Prese una penna e si scribacchiò degli appunti sul palmo della mano sinistra.

Strinse il bordo della vestaglia tra le dita, poi si alzò in piedi. Barcollò un poco sotto il proprio peso e raggiunse la porta zoppicando, scendendo,poi, piano sino al portone.

Fuori aveva cominciato a nevicare e lui aveva addosso solo il pigiama e la vestaglia, nemmeno i calzini. Tornar dentro a cercare altri abiti era impensabile, sarebbe crollato sulle scale.

Si incamminò lungo il muro, tenendo una mano contro la parete per potersi sorreggere.

Scontrò un passante e rischiò di cadere.

 

-E sta' attento, imbecille!- gli berciò contro quello, proseguendo senza accorgersi di lui o delle sue condizioni.

 

Sospirò mestamente e si appoggiò con le spalle, alzando gli occhi stanchi verso il cielo. La sua mente si spense e lui rimase come in stand-by.

Quando riprese a ragionare si stupì di trovarsi in strada, che diavolo era uscito a fare?

 

-Dannazione!- esclamò, facendo sobbalzare una povera bambina che passeggiava con la madre.

 

Si sentiva come se la sua mente fosse piena di nebbia. Si lasciò scivolare seduto per terra, mentre la neve rapidamente lo inzuppava. Il freddo pungente lo stava uccidendo, gli scoppiava il cervello.

 

-Sherlock! Oh, caro ragazzo! Che ci fai qui sotto la neve e in pigiama?!-

 

Alzò lo sguardo, trovandosi di fronte il volto preoccupato di Mrs. Hudson. Restò in silenzio, non sapendo cosa rispondere.

 

-Alzati e torna dentro!- gli intimò lei.

 

Ecco, alzarsi sarebbe stato un problema, doveva trovare una soluzione, ma non riusciva proprio a pensarci.

 

John sopraggiunse, ma non lo notò subito. -Mrs. Hudson ha bisogno di... Sherlock?!- si tolse di dosso la giacca e gliela buttò addosso.

 

Lo afferrò da sotto le ascelle, tirandolo in piedi e lo guidò verso la porta.

 

-Credo che non ci siano sufficienti termini per insultarti nell'intero dizionario britannico! Cosa diavolo ti è saltato in mente?!- gli ringhiò contro.

 

Sherlock non rispose niente e, quasi a peso morto, si fece trascinare in casa, sino allo studio.

 

-Ce la fai a spogliarti? Sei fradicio.- si sentì dire, ma non riuscì a seguire il senso del discorso, la nebbia lo stava ottenebrando, impedendo alle sue sinapsi di registrare il messaggio.

Sbatté le palpebre un paio di volte, mentre il freddo pungente gli provocava violenti tremori.

 

Mrs. Hudson gli si avvicinò, ma non capì nemmeno le sue parole. Non riusciva a formulare un pensiero, la sua mente era spenta, inerte nella sua ribellione.

Il suo stesso peso gli provocò un dolore atroce alle gambe e gridò, afflosciandosi sul pavimento come una foglia.

Quando riprese a ragionare John lo stava rivestendo. Per fare il più in fretta possibile gli aveva messo addosso uno dei suoi brutti maglioni.

 

-Perché sono qui?- domandò con voce flebile.

 

Il dottore sussultò, sorpreso di sentirlo nuovamente parlare. -Perché sei un idiota.-

 

Sherlock sbatté le palpebre e si guardò le mani, leggendo gli appunti che si era lasciato. -Di cos'hai parlato con Mycroft?!-

 

-Voleva saperne di più delle tue condizioni...Sherlock? SHERLOCK?!-

 

L'altro si afflosciò sul divano, perdendo i sensi.

 

***

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

26 Novembre 16.58

 

Titolo: Genio o cretino? Ai posteri...

 

Scrivo... mi piacerebbe davvero poterlo fare.

A volte invidio la capacità di Sherlock e di Mycroft, suo fratello, di chiudere al di fuori tutti i problemi della vita e poter mantenere un punto di vista assolutamente analitico.

Davvero, ci sono momenti in cui darei una gamba per riuscire a fare come loro.

Ce ne sono altri, invece, in cui proprio non capisco come si possa essere tanto stupidi, parlando di Sherlock e tanto dannatamente gelidi, parlando di Mycroft.

Eh sì, perché “il fratellone” ha pensato bene di degnarci della sua divina presenza e presentarsi qui a pretender informazioni e risposte.

Le risposte le vogliamo tutti e le informazioni, beh, non ci sono!

Puf! Scomparse! Mai esistite! “Out”!

Tutti si rivolgono a me come se fossi il Padre Eterno, pozzo inesauribile di ogni conoscenza, eppure i geni sono LORO, io sono solo un povero tizio qualunque sull'orlo di una crisi di nervi...

Dico, ma è normale che una persona stia male e, per il puntiglio di sapere subito qualcosa, esca in strada in vestaglia e crolli sul marciapiede?

Andiamo, questa non è l'azione di un genio, è l'azione di un cretino, con tutto l'affetto del mondo perché è il mio migliore amico, s'intende, ma resta sempre un cretino.

Sono spiacente di non potervi abbagliare con le solite gesta di mirabolanti azioni, ma non so cosa dire e nemmeno cosa fare.

Sono stanco, sono demotivato e non ne posso più.

Ora che ci penso, forse è proprio a questo che serve un blog: annotare quel che mi succede.

Non posso dire che non stia succedendo nulla, perché non sarebbe vero, ma mi sento inutile.

Tutti danno per scontato che Sherlock si sia ammalato per qualche strano evento del destino, per qualche strabiliante macchinazione del “supercattivo” di turno, ma porca miseria!

Possibile che nessuno pensi che possa essersi ammalato come tutte le persone di questo mondo?

Cazzo... non lo penso nemmeno io.

Non lo penso NEMMENO IO.

Non so dire se questo sia un bene o un male, forse mi sto facendo trascinare dalla voglia di romanzare tutto, come Sherlock mi ha fatto notare più volte nei suoi commenti acidi, o forse non voglio arrendermi alla banalità della vita reale.

Ripeto: non lo so.

Il fatto è che, più ci penso, più tutto quel che è successo in questi ultimi mesi mi appare normale, trascurabile.

Non abbiamo avuto casi difficili, né che potessero lasciar presupporre alcun tipo di contagio o contaminazione.

Certo, se Sherlock si decidesse, una buona volta, a farsi visitare e a farsi portare in ospedale per tutti gli esami necessari, questo renderebbe la mia vita infinitamente più semplice, ma, ahimé, è Sherlock Holmes, perché aspettarsi che abbia la reazione di una persona normale?

Sarebbe assurdo.

Evidentemente genialità e stupidità vanno a braccetto, ringrazio il cielo di non essere un genio, perché, almeno così, ho buone probabilità di non essere anche un cretino.

 

0 Commenti:

 

 

John chiuse il computer, senza badare ai commenti, tanto l'unico che potesse commentare istantaneamente giaceva svenuto sul divano.

Posò lo sguardo sull'anziana padrona di casa, seduta sulla poltrona.

 

-Vada pure, Mrs. Hudson, non credo si risveglierà tanto presto...-

 

La donna sospirò. -Prima faccio a te un po' di caffè. Da quanto tempo non riposi? Non hai una bella cera.-

 

John, seduto sul tavolinetto di fronte al divano, si stropicciò il volto stanco e provato da innumerevoli nottate di veglia o, al limite, di sonno leggero.

Era stravolto e l'aveva notato persino Harry, il che era tutto dire...

Posò il computer e si alzò.

 

-Io sto bene, non si preoccupi.- mormorò.

 

La donna lo imitò, fermandoglisi di fronte. -Va sempre peggio, vero?- chiese con tono apprensivo.

 

-Già... e non so cosa fare... Cristo, questa frase sembra esser diventata il ritornello della mia vita!- cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, tenendosi la testa tra le mani.

 

Ripensò a Mycroft.

Era stato irruento nel rifiutare il suo aiuto, magari con la pressione del fratello maggiore Sherlock si sarebbe, finalmente, confidato.

Guardò Mrs. Hudson.

 

-Ascolti, non è che può rimanere un po' con lui? Lo so che le ho appena detto di andare, però...-

 

-Va' pure dove devi, caro e non ti preoccupare.- sorrise paziente l'anziana signora.

 

-La ringrazio...-

 

***

 

-A cosa devo la sua visita? Sono molto occupato.- la voce di Mycroft uscì strascicata e sgradevole, guidata dal disappunto di non aver trovato nulla di utile nel contenuto del computer di John.

 

Quest'ultimo si sedette al di là della scrivania. -Sherlock non parla con me, non ho idea di come si senta, i sintomi...-

 

-So già tutto dei sintomi che lei ha riscontrato. Ho esaminato il contenuto del suo computer.- lo interruppe seccamente Mycroft.

 

-Cosa?!-

 

-Oh, andiamo, non ho di certo tempo da perdere dietro alle sue reticenze adolescenziali, quindi ho cercato di ottenere il massimo risultato nel minor tempo possibile, con frutti alquanto scarsi, purtroppo.-

 

John chiuse gli occhi e strinse i pugni.

Accettava il fatto che la sua privacy fosse stata violata solo per via della situazione assurda.

 

-Non si fa visitare da me e si è rifiutato di farsi vedere da altri medici. Sono riuscito solo a fargli delle analisi del sangue.- si limitò a dire.

 

Mycroft si soffermò a riflettere. -Con le informazioni che abbiamo attualmente, le possibilità di diagnosi sono infinite. C'è, che lei ricordi, un possibile evento scatenante?- domandò, risvegliando un poco la propria attenzione.

 

John scosse la testa. -Niente di rilevante, come ha sicuramente appreso dai miei dati. Sherlock ha cominciato a star male mesi fa e da due settimane le sue condizioni sono precipitate, questo è quanto.-

 

Mycroft si alzò e gli diede le spalle, perdendo lo sguardo fuori dalla vetrata del palazzo del parlamento.

Tacque per diversi minuti, alla ricerca di una possibile soluzione introvabile, considerati i dati frammentari e tutt'altro che precisi.

 

-Lo costringa a parlare, se c'è stato un evento scatenante, lui lo sa.- la sua voce riecheggiò nell'ufficio.

 

-E come diavolo pensa che potrei fare?! Torturandolo?!- sbottò John al limite della pazienza.

 

-Smettere di sprecare le sue serate in bevute frivole potrebbe essere l'inizio della soluzione.- rispose l'altro acidamente.

 

-Perché non ci prova lei?!-

 

-Non è me che Sherlock ha scelto per stare al suo fianco e lei lo sa benissimo, dottor Watson.-

 

John era allibito. -Quindi tutto si riduce a questo?!- lo aggredì.

 

Mycroft sbatté le palpebre, perplesso. -Mi illumini, che conclusioni astruse ha tratto la sua semplice mente?-

 

-Lei non ci prova nemmeno perché è geloso! Geloso del fatto che Sherlock preferisca un amico a lei!-

 

-Temo di non comprendere, o meglio, ho compreso benissimo, ma la sua deduzione è completamente errata. Il mio rapporto con Sherlock è così da anni, da sempre, da molto prima che lei arrivasse, ad ogni modo. Lei sente, ma non ascolta, poco fa le ho detto che miro al maggior risultato nel minor tempo e se c'è qualcuno con cui mio fratello possa confidarsi, quello è lei, dottor Watson, quindi non sprechiamo tempo e non parlo del mio o del suo, parlo di quello di Sherlock. A seconda di quale variabile tenere in considerazione, potrebbe non averne più molto.-

 

John si avviò verso la porta. -Questo non voglio nemmeno sentirlo!- berciò, trincerandosi dietro all'umana paura del non voler ricevere notizie tragiche.

 

-Dobbiamo essere pronti a considerare qualsiasi eventualità e la morte non è ciò a cui mi stavo riferendo. Ci sono molte malattie degenerative che potrebbero corrispondere alla nostra diagnosi parziale e, se mi permette, molte di queste produrrebbero su di lui effetti ben peggiori della morte.- lo fermò Mycroft con tono apatico, inespressivo, distaccato.

 

John mandò giù un boccone amaro, deglutendo sonoramente. Il tono gli uscì strozzato. -Potrebbe anche non essere nulla di tutto questo. Sherlock ha spesso avuto momenti di apatia e di fiacchezza cronica dovuti alla noia conseguente dall'assenza di casi interessanti. La sua reazione potrebbe anche essere... psicosomatica.- azzardò.

 

Mycroft inspirò profondamente, sfiorando il piano della scrivania con la punta delle dita. -Potrebbe...- si arrese a dire, più in un compassionevole slancio verso un minimale conforto del suo interlocutore che per altro.

 

John chinò il capo, non sapendo se ridere o piangere di quel tentativo goffo e malriuscito ma che, almeno, c'era stato. -L'intenzione c'era, glielo riconosco, ma è poco credibile...- borbottò.

 

Il profondo respiro del maggiore degli Holmes gli dimostrò il suo disappunto. Lo guardò dritto in faccia. -Ma l'ho apprezzato, grazie.- si affrettò ad aggiungere, come si era ripetuto più volte: non era il momento di scatenare una schermaglia con Mycroft. -Ora è meglio che vada, arrivederci.-

 

Si incamminò a passo svelto verso la porta.

 

-Ah, John! Cerchi di riposarsi.- si sentì dire.

 

Arrestò il passo e si voltò, inarcando un sopracciglio. -Si sta preoccupando per me?- chiese sorpreso.

 

Mycroft alzò gli occhi al cielo. -No.- disse, scandendo la parola alla perfezione. -Ma se cede anche lei la situazione potrebbe complicarsi.-

 

John sorrise divertito. -Ah, ecco, mi pareva strano!-

 

***

 

Sherlock, seduto sul letto, tamburellava nervosamente sul case del suo pc. Aveva letto e riletto il post di John, dopo essersi minimamente ripreso.

Era incerto se rispondergli o mantenere un silenzio dignitoso, perché per quanto John non sapesse cosa dire, lui non sapeva cosa rispondergli.

Chiuse il computer di scatto e lo posò con malagrazia sul comodino, prima di accoccolarsi tra le coperte e lanciare un ultimo sguardo al cassetto del comò.

Sentì John rientrare e parlottare con la signora Hudson, ma finse di dormire, quando il dottore entrò nella sua camera.

L'altro lo guardò stare avvolto tra le coperte e gli si avvicinò, posandogli una mano sulla fronte per sentire la sua temperatura.

Lo fece con delicatezza, per non rischiare di svegliarlo, poi, silenzioso com'era venuto, tornò dabbasso nello studio e aprì il computer per leggere i commenti.

 

 

2 Commenti:

 

John hai bisogno di aiuto? Io stacco alle otto, passo di lì, ma se disturbo fammelo sapere!

 

Molly Hooper 26 Novembre 18.56

 

 

La vedo un po' sotto stress, dottore, forse sarebbe il caso che si riposasse un poco. Magari a cervello più rilassato riuscirebbe a focalizzare meglio i dettagli, qualora ce ne fossero.

 

Anonimo 26 Novembre 19.03

 

 

Sherlock non gli aveva risposto, la cosa lo intristiva e lo irritava allo stesso tempo.

Ormai comunicare attraverso i commenti al suo blog era diventato l'unico modo quasi pacifico per parlare, se Sherlock smetteva anche di rispondere lì, non sapeva proprio più dove sbatter la testa.

Scrisse a Molly di non passare, ci mancava solo lei e richiuse il computer.

 

-Signora Hudson!- chiamò.

 

La donna salì le scale. -Sì?- chiese.

 

-Mi prepara qualcosa da mangiare?-

 

-Non sono la sua governante.-

 

-E anche un caffè, grazie.- fece orecchie da mercante lui.

 

-Va bene, ma non sono la sua governante.-
 

***

 

 

N.d.A.: Capitolo piuttosto lungo, spero non vi dispiaccia, ma non potevo in alcun modo tagliarlo. Sono davvero felice che la storia vi incuriosisca, spero che continui a farlo!

Un bacione a tutti!

Ros.

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Capitolo 6
*** Se non lo ammazzo, mi fanno santo. ***


 

John si stropicciò gli occhi e guardò l'orario sul monitor del pc con aria sconsolata. Aveva dormito poco, troppo poco e l'idea di alzarsi per andare a lavoro lo annientava nel profondo.

Era già successo in precedenza che si sentisse così spossato, ma un nuovo caso incalzante o, ancor più semplicemente, uno Sherlock attivo con tutte le sue bisbetiche manie, erano sempre riusciti a fornirgli la sufficiente botta d'adrenalina per tirare avanti.

Ora, tuttavia, non aveva né casi, né Sherlock.

Si mosse lentamente e subito il suo collo “incriccato” gli suggerì, con un penetrante fitta, che era stato un coglione ad addormentarsi su quella dannata poltrona.

Si rese conto di aver una coperta addosso. Lui, di certo, non se l'era messa, doveva esser stata Mrs. Hudson con tutta probabilità.

Si alzò in piedi e si stiracchiò con un lamento dolorante.

Solo in quel momento si rese conto che c'era qualcuno in cucina, ma non vi diede molto peso, tanto da lì a tre secondi sarebbe entrato nella stanza.

 

-Mrs. Hudson... mi fa' una tazza di caffè?- bofonchiò, lasciandosi cadere goffamente su una delle sedie e coprendosi il volto stanco con entrambe le mani.

 

Sentì chiaramente il suono della tazza che veniva posata sul piano del tavolo e poi nient'altro.

Nessuna risposta, nessun “Buongiorno”, nessun “Mio Dio, John caro, dovresti chiamare e dire che stai male e tornartene a letto!”.

Strano, troppo strano.

Si decise a compiere lo sforzo disumano di alzare lo sguardo e le sue sopracciglia si contrassero immediatamente in una smorfia di incazzatura mista ad incredulità.

 

-Che cosa cazzo ci fai in piedi?- chiese con un lungo ringhio gutturale.

 

Sherlock, vestito di tutto punto e con un'aria rilassata si appoggiò al frigorifero con la schiena, sorseggiando il proprio tea. -Immagino tu volessi dire: “Buongiorno”.- lo provocò.

 

-No, ti sbagli, volevo proprio dire: che cosa cazzo ci fai in piedi?- ripeté il dottore.

 

Eccola la famosa botta di adrenalina...

 

Sherlock posò la tazzina nel lavabo e scrollò le spalle. -Esco.- rispose criptico, avvicinandosi alla porta della cucina.

 

John scattò in piedi come una molla, rovesciando ovunque il caffè e lo afferrò per un braccio. -Oh, no, tu te ne torni di sopra all'istante!- gli intimò.

 

Sherlock sorrise appena e si divincolò con una mossa decisa. -Porti quella camicia da quattro giorni e le tue occhiaie mi dicono chiaramente che non dormi bene da almeno una settimana. Ieri sera Mrs. Hudson ti ha fatto del pudding, lo so perché ve n'è chiara traccia sulla tua camicia, colletto e polsino destro, dovresti fare più attenzione, quando mangi.-

 

John aprì la bocca per rispondere, ma l'altro lo fermò, posandogli due dita sulle labbra.

 

-Zitto, non ho finito: non ti fai una doccia da almeno cinque giorni. Prima di andare a lavoro sarebbe opportuna, puzzi. Come ho detto: io esco, ci vediamo più tardi.-

 

Il dottore rimase per qualche istante frastornato, il tempo sufficiente a Sherlock per sgattaiolare via e uscire in strada.

Lo rincorse a piedi nudi.

 

-Sherlock!- gli urlò dietro.

 

L'altro lo ignorò e fermò un taxi, ma prima di salire si voltò verso di lui. -Ora chi è quello con addosso abiti inappropriati alla neve? Secondo la tua analisi sei un cretino, quindi c'è buona probabilità che tu sia anche un genio.- lo schernì con un altro sorriso, poi si sedette e chiuse la portiera di scatto.

 

-SHERLOCK!- gridò ancora il dottore, ma ormai era tardi.

 

Il taxi era partito.

Non poté far altro che rientrare in casa, dove per prima cosa, recuperò il cellulare.

 

-Tuo fratello è uscito.- disse a Mycroft, non appena questi rispose.

 

Dall'altra parte ci furono alcuni istanti di silenzio. -E com'è che non è riuscito a fermarlo? Non dovrebbe essere complicato, nemmeno per uno come lei.-

 

-PERCHE' E' SALITO SU UN TAXI PRIMA CHE POTESSI FERMARLO!- tuonò John furibondo.

 

-Evidentemente l'ho sopravvalutata, dottore. Si dimentichi della faccenda, ci penso io a trovarlo.-

 

Mycroft chiuse la comunicazione, provocandogli uno scatto d'ira che gli fece lanciare il telefono sul tavolo.

 

-Ma che succede?- domandò Mrs. Hudson, attirata dal trambusto e dalle sue urla. -C'è caffè ovunque!-

 

John non rispose nemmeno e seguì l'unico consiglio sensato di Sherlock: si fece una doccia.

 

***

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

27 Novembre 09.10

 

Titolo: Se non lo ammazzo, mi fanno santo.

 

E' uscito!

Stamattina Sherlock ha preso, è salito su uno stramaledetto taxi ed è uscito!

Mi manderà ai matti, lo so, lo sento, lo prevedevo dalla prima volta che l'ho visto in quel laboratorio, ma ora stiamo veramente raggiungendo livelli inaccettabili.

No, ditemi come dovrei comportarmi!

Non risponde nemmeno al cellulare, sono dieci minuti che provo ininterrottamente a chiamarlo.

Ok, ok, cerco di calmarmi e di ricostruire quanto accaduto a mente fredda: mi sono svegliato e Sherlock era in cucina, mi ha preparato il caffè e sembrava pimpante come un grillo, proprio come se questi mesi non ci fossero stati e, tanto meno, le ultime due settimane.

Era talmente vispo che è riuscito a sgusciar via come un anguilla prima che potessi fermarlo, è salito su un taxi e via! Scomparso dai radar... maledetto!

Per prima cosa ho chiamato suo fratello e spero vivamente che, almeno lui riesca a rintracciarlo e riportarlo a casa, perché è ovvio che, se non ci riesce nemmeno Mycroft, allora non può riuscirci nessuno. (Tralascio di descrivere la squisitezza consona della gentilezza del maggiore degli Holmes e chi vuol capire capisca!)

Darei il mio braccio destro per sapere dov'è andato Sherlock e anche, come mai, di punto in bianco sta bene.

Cioè, non prendiamoci in giro, i miracoli non esistono, quindi non è possibile che Sherlock, fino a ieri fosse un cadavere ambulante, ed oggi, invece sia sano come un pesce.

Dev'essere successo qualcosa, qualcosa che ancora mi sfugge e che intendo scoprire.

 

 

Ma chi voglio prendere in giro?

Quel che è successo lo saprò solo se Sherlock vorrà dirmelo (sempre che stia effettivamente bene. Per quel che ne so potrebbe anche esser raggomitolato a un angolo di strada, privo di conoscenza... solo che preferisco non pensare a quest'eventualità), altrimenti dovrò e dovrete tenervi la curiosità di questo mistero di guarigione.

Ho provato a chiamarlo. Ancora.

Niente.

Sherlock, se in qualche modo leggi questo post sappi CHE APPENA MI CAPITI SOTTO LE MANI, IO TI AMMAZZO!

 

 

 

 

 

 

 

Manda almeno un sms...

 

 

6 commenti:

 

Se non inizi IMMEDIATAMENTE a visitare i pazienti, Sherlock Holmes sarà l'ultimo dei tuoi problemi, John!

 

Sarah Sawyer 27 Novembre 09.15

 

 

Comincio, comincio... Fai entrare il primo...

 

John Watson 27 Novembre 09.16

 

 

Scateniamo una caccia all'uomo, dottore?

 

Anonimo 27 Novembre 09.23

 

 

Oh, andiamo, se sta bene, sta bene, John, non comportarti da mogliettina gelosa, o presto comincerai anche a rubargli il cellulare di nascosto!

 

Harry Watson 27 Novembre 10.03

 

 

Harry, per la tua stessa incolumità: TACI!

 

John Watson 27 Novembre 10.27

 

 

LOL =3!

 

Harry Watson 27 Novembre 11.38

 

 

***

 

-Sherlock, John ha postato sul blog, questa mattina... sembra preoccupato.- disse Molly, digitando l'indirizzo del blog sul pc portatile accanto al microscopio.

 

L'altro non si mosse, continuando a tener lo sguardo fisso sul vetrino.

 

-Sherlock...- tentò di nuovo lei. -Ormai ti ha scaricato il telefono per quante volte ha provato a chiamarti. Se tu non vuoi avvisarlo posso farlo io...-

 

-Non ora, Molly, ho da fare. Va' a prendermi un caffè e non ti azzardare a dire a John che sono qui. Non posso tornare a casa, non ancora e, comunque: sto bene, smettila di guardarmi a quel modo!- si decise a dire Sherlock, dopo intere ore di silenzio totale.

 

Lei uscì dalla stanza con la coda tra le gambe, come sempre.

Sherlock digitò qualcosa sulla tastiera, ignorando bellamente il post dell'amico.

Sentì dei passi e li riconobbe.

Non erano quelli di Molly.

 

-Mycroft.- sbuffò, sollevando lo sguardo.

 

-Sherlock.- rispose quello, passandosi l'ombrello da una mano all'altra. -Stai perdendo il tuo tempo.-

 

-Curioso, stavo per dirti la stessa, identica cosa. Torna ad occuparti delle tue faccende e non scocciarmi.-

 

Mycroft sospirò, avanzando di un passo. -Intendevo dire che stai perdendo il tuo tempo ad esaminare quell'acqua.-

 

-Ho parlato con...- tentò di ribattere il minore, ma l'altro lo zittì.

 

-So perfettamente che le condizioni igieniche di quella piscina sono discutibili, ma, benché non abbiano cambiato l'acqua da quella sera, IO l'ho esaminata prima di te e non ho trovato niente.-

 

Sherlock si soffermò a riflettere, poi afferrò il cappotto e se lo buttò addosso.

Mycroft lo afferrò per un braccio.

 

-Non pensarci neanche, ti riporto a casa, ti ho lasciato giocare fin troppo, oggi.-

 

Si lanciarono un lungo sguardo eloquente, pieno di non detti, poi Sherlock si arrese e distolse il suo.

Uscirono dal laboratorio e salirono su una delle tetre macchine nere che Mycroft amava utilizzare, quando decideva di fare qualche spostamento.

 

-Questa pista è sbagliata.- disse, improvvisamente quest'ultimo. -Voglio che mi dai i tuoi appunti.-

 

Sherlock guardò fuori dal finestrino, seguendo con lo sguardo i fiocchi di neve che danzavano nell'aria.

 

-Al tempo, Mycroft... al tempo.- bisbigliò.

 

 

 

N.d.A.: Ciao a tutti! Ecco il nuovo cap, sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate =3!

Un bacione e mille grazie a tutti!

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Capitolo 7
*** Breve aggiornamento ***


The blog of Dr. John H. Watson

 

 

27 Novembre 17.10

 

Titolo: Breve aggiornamento.

 

Nessuna novità, Sherlock ancora non ha fatto avere notizie di sé.

No, fermi tutti, ora che ci penso una novità c'è: ora anche Mycroft ha smesso di rispondere alle mie chiamate.

Che il diavolo si porti tutti i geni dei cromosomi degli Holmes, ma aspettate solo che mi ricapitino davanti agli occhi!

Sherlock, se leggi: RISPONDI!

 

5 commenti:

 

Che ragazzacci questi Holmes! Non se la prenda a male, dottore, si faccia una camomilla.

 

Anonimo 27 Novembre 17.15

 

 

Meglio una cioccolata calda, con questo freddo!

 

Henry Watson 27 Novembre 17.23

 

 

Ancor meglio se la cioccolata è corretta al rum, non trova?

 

Anonimo 27 Novembre 17.27

 

 

Lei sì che è un intenditore! O, magari, intenditrice =3!

 

Henry Watson 27 Novembre 17.30

 

 

Potete andare a far conversazione altrove? Questo non è un sito di appuntamenti al buio. Grazie.

 

John Watson 27 Novembre 17.32

 

 

 

***

 

John infilò le chiavi nella toppa.

Era esausto, stanco morto.

Quel pomeriggio era uscito mezz'ora prima da lavoro e aveva passato ore ed ore a scandagliare ogni angolo del centro di Londra alla ricerca infruttuosa dell'amico.

Aveva provato ancora a chiamarlo, prima di uscire, ma alla fine si era arreso, quando aveva capito che Sherlock non aveva spento il telefono, ma, probabilmente, glielo aveva scaricato lui a suon di tentativi.

Si era persino scordato il cellulare allo studio, ma gli importava davvero poco.

Era congelato sin nelle ossa e fuori aveva ripreso a nevicare.

Odiava la neve, odiava Londra.

No, non era vero, amava sia la neve che la sua città, solo... non quando era così incazzato o in ansia.

Si tolse le scarpe, giusto per non sporcare il pavimento che Mrs. Hudson aveva lucidato con tanta cura e iniziò a salire le scale, non provocando alcun rumore.

Giunto sulla soglia dello studio, restò pietrificato e strabuzzò gli occhi, incapace anche solo di continuare a respirare.

Non poteva credere a quanto stava vedendo.

No, non era corretto: non ci VOLEVA credere.

Sherlock era sdraiato sul divano, con un laccio emostatico fissato sopra il gomito e una siringa nella mano libera.

Lo vide infilare l'ago in vena e premere lo stantuffo come a rallentatore.

Era talmente sconvolto e furibondo da non riuscire nemmeno a respirare.

Le chiavi che ancora teneva in mano gli scivolarono, schiantandosi sulla moquette con un tonfo ovattato.

Sherlock sussultò e i suoi occhi guizzarono rapidi in direzione della porta.

Incrociò lo sguardo di John e balzò in piedi, sentendo una pallida morsa di panico stringergli lo stomaco.

Aveva controllato il gps del suo smartphone solo cinque minuti prima ed era ancora allo studio medico!

Si guardarono ancora per qualche istante, in completo silenzio.

 

-John non...-

 

-STA' ZITTO!- tuonò il dottore, avanzando verso di lui a grandi falcate. -TUTTO QUESTO TEMPO A PREOCCUPARMI PER TE, AD ARROVELLARMI SU QUALE FOSSE IL PROBLEMA E POI! POI SCOPRO CHE SEI SOLO UN DROGATO DI MERDA!- ribaltò il tavolinetto con una manata, sbattendo a terra decine di fogli, qualche soprammobile e, soprattutto, la siringa appena usata dall'altro.

 

Non voleva vederla, non voleva nemmeno percepirne la presenza.

 

-ORA TUTTO SI SPIEGA: LA FIACCHEZZA, I DOLORI, LA POCA LUCIDITÀ! OGNI COSA!- continuò, reprimendo l'istinto di prendere a pugni l'amico. -STAVI CERCANDO DI SMETTERE E OGGI STAI BENE PERCHÈ HAI RIPRESO!-

 

Sherlock socchiuse la bocca nella speranza di poter parlare.

 

-TI HO DETTO DI STARE ZITTO!-

 

Ammutolì e voltò la faccia verso la finestra, slacciandosi il laccio emostatico dal braccio e lanciandolo a terra.

 

-Ha ripreso a nevicare...- mormorò, avvicinandosi al vetro per scostare appena la tenda.

 

Aveva rinunciato a dargli una spiegazione.

Non avrebbe capito, lo sapeva bene.

John, di per sé, era sul punto di esplodere, ma si trattenne, quando vide l'altro girarsi in sua direzione con occhi tristi.

 

-Devi fare una cosa per me, John.- gli disse.

 

-No.-

 

Sherlock abbassò lo sguardo, poi lo afferrò saldamente per le spalle.

 

-E' importante, io non posso e tu devi farlo adesso, stanotte!- insistette.

 

Il dottore corrugò le sopracciglia. -Menomale che siamo soli, o fomenteremo ulteriormente le leggende su noi due.- commentò acido.

 

-Questo non ha alcuna importanza! Lo farai? Farai quel che ti chiederò?-

 

John si divincolò dalla sua stretta e gli diede le spalle.

 

-No.- ripeté.

 

Sherlock si risentì e puntò alla porta. -Eri l'unica persona di cui potessi fidarmi. Farò da solo.-

 

John lo afferrò per un braccio, con tanta veemenza da farlo voltare, poi lo colpì in pieno volto con un diretto, facendolo stramazzare al suolo.

 

-Anche tu eri l'unico per me.- gli rispose, poi rise, isterico. -Una volta, anzi, la prima volta che ci incontrammo tuo fratello mi chiese perché tra tutte le persone della terra io avessi deciso di fidarmi di te, proprio di Sherlock Holmes, sai? Non gli risposi, ma lo dico ora a te: mi sono fidato perché ti ho giudicato straordinario, qualcosa che mai nella mia vita mi era capitato di incontrare e adesso...- si interruppe, stropicciandosi gli occhi con una mano. -...Scoprire che la soluzione era così drammaticamente stupida mi fa... tu non hai idea di come mi senta! Ho perso il sonno per causa tua, sono arrivato al limite della sopportazione umana e per che cosa? PER NIENTE!-

 

Sherlock restò a terra, tenendosi la bocca sanguinante con la mano destra. -Devi aprire la tomba di Moriarty.-

 

-COSA C'ENTRA LUI, ADESSO?! RISPONDI A QUEL CHE TI HO APPENA DETTO!-

 

-È ininfluente, John!- strillò. -Apri quella dannata tomba e poi ti giuro che ti dirò tutto!-

 

John recuperò le chiavi da terra. -No, aprirò quella dannata tomba, va bene, ma poi non voglio più vedere la tua faccia e questa è una promessa!-

 

Sherlock non fece una piega.

 

-Troverai quel che ti occorre al piano di sotto, in un sacco all'entrata.- rispose, alzandosi e recuperando violino ed archetto.

 

Lo infilò sotto il mento e cominciò a suonare una melodia triste, inventandola sul momento.

 

-NON TI IMPORTA?!- gli urlò il dottore.

 

L'altro smise di suonare, ma non si voltò.

 

-Cambierebbe, in qualche modo, il tuo punto di vista?- chiese.

 

John strinse i pugni. -No, ma forse potrebbe farmi stare meglio, ma nei rapporti umani fai schifo, quindi non posso chiederti qualcosa che non sai fare. Solo... mi ero illuso di essere importante per te, invece sono solo uno dei tanti burattini con cui ti diverti a giocare.-

 

Sherlock riprese a suonare, chiudendo gli occhi lucidi. -Fa' quel che ti ho chiesto. Non c'è motivo alcuno di perdere altro tempo.-

 

-Forse hai ragione. Come non c'è motivo per cui abbia perso tutto questo tempo ad assistere una persona come te! Perché non mi hai detto niente?! Quando hai cominciato?! Perché?! Che cosa diamine ti manca nella vita, eh?!-

 

-Informazioni inutili.- lo liquidò Sherlock.

 

-Chieste da una persona altrettanto inutile, capisco.- il tono di John era basso, gutturale, spezzato.

 

Fece qualche passo verso la porta. -No, in realtà non capisco affatto. Perché? perché mi stai facendo questo, adesso?- gli domandò, osservando le sue spalle.

 

Sherlock tacque per qualche istante, senza la reale intenzione di trovare una risposta da dare all'amico.

Anche perché le risposte potevano essere molteplici, come nessuna e, comunque, le domande di John erano davvero troppe e lui non aveva né il tempo, né la concentrazione per accontentarlo.

I dolori fisici erano ripresi, sarebbe riuscito a rimanere in piedi ancora per poco e si domandava per quanto ancora la sua mente sarebbe stata in grado di restare lucida.

Doveva far uscire John, al più presto possibile.

Evitare di fomentare l'insistente conversazione che voleva a tutti i costi affrontare, era il modo più sbrigativo per indisporlo e farlo andare via.

Riprese a suonare, non staccando gli occhi dai fiocchi di neve che si schiantavano contro la vetrata.

Si soffermò a riflettere sulle piccole cose, tanto noiose, ma che, inspiegabilmente, almeno per lui, rendevano felici tante persone.

La neve, ad esempio.

Cosa c'era di straordinario nella neve?

Era un agente atmosferico come tutti gli altri.

I fiocchi non erano altro che acqua ghiacciata cristallina di simmetria esagonale, spesso con geometria frattale.

Non c'era niente di romantico nella neve, né, tanto meno, di magico.

Proprio non capiva.

 

-A te piace la neve?- chiese, ben certo che anche questa sua uscita fuori da ogni contesto avrebbe indisposto l'amico.

 

Non sentì alcuna risposta, se non il rumore secco della porta che sbatteva al piano inferiore e si sentì triste.

Posò il violino e l'archetto, continuando a guardare fuori.

Mrs. Hudson lo raggiunse, già in camicia da notte, nonostante fossero appena le dieci e mezza.

 

-Avete litigato di nuovo?- gli domandò, raddrizzando il tavolino e piegandosi a raccogliere gli oggetti che John aveva sparpagliato per la stanza, non avanzando alcuna lamentela.

 

Una lacrima scese lungo la guancia sinistra di Sherlock, senza che lui se ne avvedesse.

 

-Oh cielo, ma tu stai piangendo e stai anche sanguinando, Sherlock!- esclamò la donna, mollando tutto a terra e accorrendo da lui.

 

Il giovane sorrise appena, un sorriso triste e si asciugò il viso con la punta dell'indice, osservando il dito umido con aria vagamente curiosa.

Sospirò e cinse le spalle dell'anziana padrona di casa con un braccio.

Indicò fuori dalla finestra.

 

-Dev'essere la neve, signora Hudson... dev'essere la neve...-

 

 

 

N.d.A.: ^^ salve, miei cari, spero che il nuovo cap vi abbia incuriosito!

Un ringraziamento a tutti voi!

Un bacione,

Ros.

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Capitolo 8
*** Nessun nuovo post ***


***

 

-Taxi!- l'autista lo ignorò, accelerando e sparendo dietro l'angolo.

 

John imprecò, scalciando via un cumulo di neve.

Stava camminando da mezz'ora in direzione del cimitero con quel dannato sacco sulla spalla e non c'era stato nemmeno uno stronzo tassista che avesse deciso di farlo salire, tra i pochi che erano passati in strada.

C'era da biasimarli perché volevano tornarsene a casa?

Assolutamente no!

Erano le undici passate e si stava scatenando una vera e propria bufera, quella notte.

Solo un coglione come lui poteva andarsene in giro a quella maniera!

Ma quel vento gelido che gli frustrava la faccia e gli abiti, ancora zuppi dal tardo pomeriggio di ricerca, ormai congelati, erano sempre una prospettiva ben più allettante che rientrare in casa con Sherlock.

Già, Sherlock...

Era passato sopra a tutte le sue dannate bizze, da quando lo aveva conosciuto, ma questa... no QUESTA, proprio non era disposto a sopportarla!

Si maledisse, perché, nonostante la sua presa di posizione piuttosto decisa, era fuori al freddo ad obbedire ai suoi ordini, proprio come un bravo cagnolino che prendeva il biscottino quando faceva il bravo e accettava il bastone senza troppo protestare, quando al padrone girava male.

Moriarty lo aveva definito un cucciolo zelante.

Moriarty... era morto, per Dio! Morto e stramorto da mesi!

Ricordava perfettamente il 2 Aprile,quando lui stesso aveva fatto il suo riconoscimento all'obitorio: un proiettile gli aveva sfondato il torace, perforato un polmone e quel gran pezzo di merda era affogato nella piscina, basta, fine della storia!

E invece no!

Lui, John Watson, il re degli idioti, stava facendo marcia verso un cimitero dall'altra parte della città, rischiando di morire assiderato per dar retta ai folli deliri di un drogato!

Una macchina passò radente al marciapiede, sollevando un'onda di neve che lo investì in pieno.

 

-MA VAFFANCULO, OK?! VAFFANCULO!- gli urlò dietro, gesticolando.

 

Quello inchiodò.

 

Bravo, John, un tocco da maestro! Ci manca solo di farti menare da un automobilista per concludere in gloria la serata!” si complimentò con se stesso, il dottore, continuando, comunque a camminare con fermo stoicismo.

 

Vide la portiera aprirsi, ma proseguì senza curarsene più di tanto, in fin dei conti in quel sacco aveva una pala e un'accetta e non era per nulla certo che il suo autocontrollo avrebbe retto, di fronte a un'aggressione.

 

-John! Che ci fai in giro con questo tempo?!-

 

Sì fermò immediatamente, riconoscendo la voce del detective Lestrade.

Grugnì qualcosa di incomprensibile, sbatté il sacco sui sedili posteriori e poi montò sulla sua macchina senza colpo ferire.

Sentire il riscaldamento della vettura gli provocò un violento bruciore diffuso sia alle mani che al volto, ma era pur sempre meglio che restar fuori a crepare di freddo.

L'altro richiuse la portiera e lo guardò stranito.

 

-Vuoi che ti porti a casa?- gli chiese.

 

-Secondo te, visto che stavo camminando nella direzione opposta, stavo andando a casa?!- gli abbaiò contro John, allungando le mani verso la bocchetta dell'aria calda.

 

Lestrade sollevò le sopracciglia, perplesso. -Quindi... dove devo portarti?-

 

-Al cimitero.-

 

-Beh, se decidi di star fuori altri dieci minuti con questo tempo, ci finisci di sicuro. Dai, dove ti devo portare?-

 

-Non stavo scherzando, sto andando al cimitero di Highgate.- rispose John, criptico, muovendo le mani per recuperare un minimo di sensibilità.

 

-E a fare cosa?!-

 

-Giardinaggio. Lavoro extra, sai? Per sbarcare il lunario...- borbottò il dottore, sarcastico. -Tu perché sei fuori a quest'ora? Lavoro?-

 

Lestrade mise in moto e sospirò. -No, mia moglie mi ha cacciato di casa. Di nuovo. Stavo andando a cercare un albergo per non passare la notte in macchina. È già un miracolo che sia stata così magnanima da lanciarmi le chiavi dalla finestra...-

 

John non rispose nulla, troppo concentrato a ripensare a Sherlock.

Sì, probabilmente anche lui si sarebbe cercato una stanza in albergo, quella notte.

Ammesso e non concesso che non lo ritrovassero morto assiderato sulla tomba di Jim Moriarty, la mattina dopo.

 

-John non hai una bella cera.- gli disse l'altro con tono un po' preoccupato. -Sherlock come sta? Non leggo il tuo blog da un paio di giorni, ho avuto da fare.-

 

-Non voglio parlare di Sherlock.- sentenziò John con tono inamovibile. -Non adesso, non questa volta.-

 

-Uh, deve averla fatta grossa parecchio... a priori mi sento di dar ragione a te, se la cosa può tirarti un po' su.-

 

John gli lanciò un'occhiata e sospirò. -No, non può tirarmi su, ma grazie.-

 

Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, fino a che Lestrade non parcheggiò di fronte all'imponente entrata monumentale del cimitero.

John chiuse del tutto la zip del giubbotto e tirò su il cappuccio, prima di aprire la portiera senza aggiungere nemmeno una parola.

Recuperò il sacco dai sedili di dietro.

 

-Grazie per il passaggio.- bofonchiò a Lestrade che aveva abbassato il finestrino in attesa di una qualche spiegazione.

 

-Ma, John!- cercò di obbiettare il detective, restando pietrificato ad osservarlo scavalcare il cancello.

 

Stava facendo una cosa illegale e lui era lì fermo a guardarlo senza fare niente.

Beh, non che fosse realmente intenzionato a fare qualcosa, ma quanto meno a capire cosa stesse succedendo, sì.

Ormai si era abituato a chiudere, uno, o per meglio dire entrabi gli occhi, quando Sherlock o John commettevano atti non proprio legali, ma questa volta la situazione era davvero singolare e la faccia di John non prometteva nulla di buono.

Maledì la propria curiosità anche se, in fin dei conti, non poteva mica lasciarlo da solo a morire assiderato in un cimitero, recuperò una torcia dal cruscotto e si decise a scendere a sua volta.

 

***

 

Sherlock era ancora in piedi di fronte alla finestra, immobile come una statua, incurante di Mrs. Hudson che ancora metteva a posto la stanza.

 

-E questa siringa che ci fa qui?- domandò la donna, senza alcuna intenzione accusatoria.

 

Gliela tolse dalle mani e la posò sul tavolinetto. -Nulla di importante. Coraggio, vada a dormire, la vedo stanca.-

 

-Dovresti riposare anche tu, caro, sei così pallido...-

 

Sherlock sorrise appena, poi le diede un bacio su una guancia. -Buonanotte, signora Hudson.-

 

Lei sospirò. -Buonanotte, Sherlock.- si arrese, scendendo al piano inferiore.

 

Quel ragazzo la stava facendo preoccupare e non era affatto carino da parte sua.

Gliele avrebbe cantate, quando si fosse ripreso, questo senz'altro!

 

***

 

-Eri uno stronzo da vivo...- digrignò John tra i denti, mentre affondava la pala nel terriccio ghiacciato. -E continui a rompermi i coglioni anche da morto, questo però non vuol dire che mi faccia piacere profanare la tua tomba, chiaro?-

 

-Si può sapere cosa stai facendo?- la voce di Lestrade gli fece venire un mezzo infarto, nonostante questo continuò a scavare.

 

-Pianto crisantemi, si intonavano con la sua cravatta.- ribatté acido.

 

Il detective sospirò, passandosi una mano tra i capelli. -Secondo te, io, adesso, cosa dovrei fare?- gli domandò, battendo i denti per il freddo e frizionandosi il petto.

 

John si fermò un istante a riflettere. -Lì c'è la rimessa, magari cerca un'altra pala.- rispose schietto.

 

Lestrade sgranò gli occhi. -M-ma...- balbettò.

 

-Senti...- cominciò il dottore, scaraventando via della terra mista a neve. -Non faccio i salti di gioia nemmeno io e, visto che non mi arresterai per vilipendio di cadavere, o quale sia il reato che sto commettendo, quanto meno renditi utile. Prima finiamo, prima ce ne andiamo.-

 

-Lo faccio solo se poi mi dai una spiegazione razionale. Torno subito.-

 

John sentì uno sparo e si voltò allarmato.

Corse in direzione della rimessa e trovò Lestrade chino a raccogliere il proiettile.

 

-Ti ho detto di cercare una pala! A chi diavolo hai sparato, alla tua ombra? Ci sono solo morti, qui!-

 

-Alla serratura e dentro ho trovato queste. Sono le chiavi della ruspa, qui dietro. Non sarò un genio, ma quanto meno ho senso pratico.- sorrise.

 

John mollò a terra la pala, e, nonostante tutto, rise.

Lui non ci aveva affatto pensato.

 

-Sai guidarne una?- chiese, poi.

 

-Non sarà mica così difficile...- borbottò Lestrade.

 

Salirono entrambi a bordo della piccola ruspa.

No, non era affatto difficile, riuscirono solo a travolgere e ad abbattere una decina di lapidi, prima di riuscire a raggiungere la tomba di Moriarty.

 

-E così doveva essere semplice, vero?- continuava a ridacchiare John.

 

-Era tutto per creare un depistaggio, così penseranno a dei ragazzini.- tentò di giustificarsi il detective, cercando di non pensare al fatto che, se qualcuno avesse mai solo ipotizzato la sua presenza lì, il suo distintivo non lo avrebbe visto mai più.

In fondo era proprio questo il bello di lavorare con Sherlock Holmes e John Watson: non ci si annoiava mai.

Controllò e sospirò di sollievo, visto che anche John indossava dei guanti.

 

-Raccontala a qualcun altro. Ora, come si usa il braccio?- chiese quest'ultimo.

 

-Prova con quella leva.-

 

John ubbidì.

 

«SBRANG!»

 

-E un'altra lapide è andata! Alla quindicesima c'è una bambolina in premio come al luna park!- esclamò Lestrade, ormai sull'orlo dell'isteria.

 

Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata, poi il dottore, più o meno, riuscì ad indirizzare il braccio della ruspa nella giusta direzione, cominciando a scavare.

Ci impiegarono una mezz'ora, poi scesero e John finì di togliere la terra con la pala.

 

-Mi spieghi cosa pensi di trovarci?- domandò il detective, tornando serio.

 

L'altro recuperò l'accetta. -Le miei spiegazioni.- rispose, abbattendo il primo colpo.

 

La rabbia era tornata tutta insieme e sfogarla su quella cassa era sempre meglio che sulla testa di Sherlock.

Nonostante questo si fece delle aspettative.

Insomma, se Sherlock lo aveva mandato lì un motivo doveva pur esserci, no?

Continuò a infierire, sfondando il legno ed evitando di incrociare gli occhi di Lestrade che continuava ad osservarlo in silenzio.

 

-Non è possibile...- gemette, facendosi scivolare l'accetta dalle mani.

 

L'altro si allarmò e, presa la torcia, la direzionò verso la bara sfondata.

 

-Oddio che puzza!- gemette, tamponandosi il naso con la manica della giacca.

 

John restò pietrificato.

Il corpo di Moriarty era lì, ad un primo stadio di decomposizione, perfettamente in linea con il tempo passato dalla sua morte.

La sua pelle era bluastra, ma il volto era perfettamente riconoscibile.

Non diede il minimo peso al penetrante odore di metano, misto ad altri gas che fuoriusciva dal foro che aveva aperto nella cassa.

I deliri di un drogato... aveva dato retta ai DELIRI DI UN DROGATO.

La verità era che aveva voluto sperarci sino all'ultimo.

Si issò sul bordo.

 

-Andiamo.- sibilò.

 

Lestrade passò lo sguardo dal fondo della fossa all'amico.

 

-Ma come? Tutto qui?-

 

Non ottenne risposta e dovette inseguirlo.

 

-Portami a casa.- gli disse John, una volta alla macchina.

 

***

 

Durante il viaggio di ritorno non ci fu modo di fargli dire neanche una parola.

Il dottore riaprì bocca solo di fronte al 221B di Baker Street

 

-Salgo a prendere un paio di cose. Aspettami qui, vengo in albergo anche io.-

 

-Sì, ma muoviti, sono quasi le tre!- obbiettò il povero Lestrade.

 

John non lo considerò e scese, sbattendo forte la portiera.

Una volta dentro casa non si premurò nemmeno di chiudersi la porta alle spalle, prima di salire al piano di sopra.

Non si sarebbe nemmeno voltato verso lo studio, se non avesse sentito un tonfo sordo e pesante.

Si affacciò.

 

-SHERLOCK!- gridò, spaventato.

 

L'altro era a terra, in preda alle convulsioni, aveva la schiuma alla bocca e il suo corpo si dibatteva con violenza.

 

 

 

N.d.A.: Ciao :3, capitolo un po' più lungo, ma tanto mi maledirete lo stesso XD!

Spero vi sia piaciuto!

Un bacione,

Ros (che tornerà nel suo angolino a studiare, dopo aver risposto alle recensioni o.O).

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Capitolo 9
*** Nessun nuovo post - Epilogo ***


John si apprestò immediatamente a scansar via il tavolino con un calcio, allontanando da Sherlock tutto ciò con cui avrebbe potuto ferirsi.

Si inginocchiò accanto a lui, sforzandosi di mantenere la mente lucida e di non cedere al panico che gli artigliava le viscere.

Non era la prima volta che vedeva delle convulsioni e, ovviamente, essendo un medico sapeva perfettamente come doveva comportarsi.

Corse con dita rapide al colletto della camicia dell'altro, ma lo trovò già slacciato, come se Sherlock avesse, in qualche modo, previsto cosa gli sarebbe capitato.

Le convulsioni cessarono e John si rilassò appena, erano stati i due minuti più lunghi della sua vita.

Si sedette, attendendo che l'altro riprendesse conoscenza, cosa che, di norma, avrebbe dovuto fare.

Ma che non avvenne.

Gli afferrò il polso e lo sentì anormale, troppo debole.

Si portò le mani alle tasche con fare frenetico, doveva chiamare un'ambulanza!

Non riuscì a trovare il telefono e si maledì per averlo lasciato allo studio.

Si guardò intorno, per cercare di scovare quello di Sherlock, ma non lo vide in giro, probabilmente giaceva ancora abbandonato in una delle tasche del suo cappotto. Scarico.

Sentì dei passi e si voltò, mentalmente benedisse il cielo quando vide Lestrade.

Lo vide sgranare gli occhi e aprire la bocca per chiedere spiegazioni.

 

-CHIAMA IL 999, MUOVITI!- gli urlò contro, tirando indietro la testa di Sherlock per favorirgli l'ossigenazione.

 

Guardò il suo amico, il suo migliore amico e si sentì stringere il cuore nel vederlo in quelle condizioni.

Ogni rabbia era sfumata lontano.

 

 

***

 

 

Quella era davvero una serata infernale, con quel dannato mal tempo il dottor Louis White, di turno al St Mary's Hospital, non aveva avuto un attimo di respiro.

Quando sentì le sirene spiegate di un ambulanza che si avvicinava sospirò mestamente, maledendo quella nottataccia.

Osservò le porte del pronto soccorso spalancarsi di botto e i paramedici trasportare un uomo su una barella, si avvicinò.

 

-Che cosa abbiamo?- chiese, annoiato.

 

-Uomo, trentacinque anni, ha avuto le convulsioni. Nelle ultime ore pare abbia assunto sostanze stupefacenti.-

 

-See, see, ma non poteva scegliere un'altra sera per andare in overdose? Portatelo nella uno.- sbuffò. -Infermiera!- chiamò. -Infermiera!-

 

Una giovane donna accorse, era nuova e goffa, uscita fresca fresca dall'università, probabilmente perché l'aveva data ai suoi professori, non per altro, perché era un'incapace cronica.

Il dottore non ricordava nemmeno il suo nome, ma, a ben vedere, nemmeno gli importava granché.

La guardò con severità, incrociando le braccia al petto.

 

-Quando la chiamo lei deve scattare, è chiaro?-

 

Lei arrossì e si scostò una ciocca scura dal volto. -Mi scusi, ma stavo finendo di...-

 

-Non si metta a discutere. Due fiale di Vivitrol nella uno.- le ordinò il dottore, indicando la stanza. -Martha ha finito di ricucire quel barbone? Ho bisogno di lei nella cinque.-

 

-No, deve ancora finire. Vado subito nella uno e la raggiungo.-

 

Quando lo superò l'uomo le guardò il culo, poi scrollò le spalle ed andò a visitare il dannato bambino della cinque che non la smetteva di frignare.

 

 

***

 

-Non mi ricordo!- sbottò un ragazzino.

 

-Ma come fai a non ricordarti il codice?!- gli sbottò contro la madre, seduta accanto a lui.

 

Lestrade sospirò, tornando a posare lo sguardo su John.

 

-John, ti prego, siediti. Continuare a fare avanti e indietro davanti alla porta non ti farà avere prima delle risposte.- gli ripeté per l'ennesima volta.

 

John si voltò. -PERCHE' NON MI FANNO ENTRARE?! HO DETTO CHE SONO UN MEDICO!- strillò, facendo sobbalzare gli altri pazienti che, in sala d'attesa, ancora aspettavano di venir visitati.

 

Il detective lo guardò, l'altro era bagnato fradicio e ricoperto di terriccio, in più tremava di freddo o per la tensione, o per entrambe le cose, forse.

Era chiaro e anche normale che non lo avessero fatto entrale e se solo John fosse stato meno nervoso ci sarebbe arrivato anche lui.

Ad ogni modo, pur prendendo in considerazione un'improbabile strappo alla regola, nemmeno un folle gli avrebbe permesso di curare anche solo un raffreddore, in quelle condizioni.

Lo afferrò per le spalle e lo costrinse a raggiungere una delle sedie.

 

-Ti prendo una cioccolata calda, dovrei allungartela con qualcosa di alcolico, così almeno ti rilasseresti un po'.- si diresse verso la macchinetta, addossata al muro a pochi metri da loro.

 

John rifletté sulle ultime parole di Lestrade e corrugò le sopracciglia. -Sei tu!- esclamò.

 

Greg si voltò, perplesso. -Sono io, cosa?- chiese.

 

-Sei tu “l'Anonimo”!- balzò in piedi il dottore.

 

-C-cosa? Ma che stai dicendo?- il detective era perplesso.

 

-Hai parlato della stessa cosa con Harry, oggi, fra i commenti!-

 

Lestrade sospirò. -John, calmati, ok?- stava per aggiungere qualcosa quando il suo cellulare prese a squillare.

 

Guardò il monitor, era sua moglie. -Senti, devo rispondere, tu siediti e sta' fermo lì. Torno subito.-

 

Uscì dal pronto soccorso e rispose.

 

-Ciao tesoro...- mormorò con tono mogio. -Cosa? Dove sono? Sono in ospedale. No, no, non preoccuparti, io sto bene, un mio amico si è sentito male e sono qui con un altro amico. È piuttosto sconvolto e non posso lasciarlo solo. No, non sono con nessun'altra donna, te lo giuro! Puoi venire a controllare, sono al St Mary's Hospital. No, accidenti! Certo che non mi aspetto che tu esca con questo tempo!-

 

Un'ambulanza in arrivo lo costrinse ad interrompersi, ma le sirene si fermarono non appena la vettura parcheggiò nel piazzale.

I paramedici scesero, scuri in volto.

 

-Lascia perdere, tanto è morta.- sentì borbottare ad uno di loro. -Libera l'ambulanza.-

 

Sospirò, lanciando uno sguardo all'interno del pronto soccorso.

John si era rialzato ed aveva ripreso a fare avanti e indietro come un leone in gabbia.

 

-Senti, tesoro, devo lasciarti, tu torna a dormire, ci sentiamo domattina per la litigata settimanale.- attaccò ancora prima di darle l'occasione di rispondere, non era di certo quello il momento di perder tempo a discutere.

 

Prima di rientrare, tuttavia, si voltò verso l'ambulanza.

I paramedici stavano scendendo la barella dove giaceva una ragazzina sui diciassette anni, forse venti, ricoperta di sangue e morta.

Morta.

Probabilmente aveva avuto un incidente.

 

Cristo, ma si può morire così?” si chiese, osservano un uomo trasportare il corpo all'interno dell'ospedale attraverso l'entrata di servizio.

 

Era pur sempre vero che alla mattina potevi alzarti e non tornare a casa alla sera, o che potevi addormentarti senza svegliarti più.

Lui ne aveva viste tante di morti, nella sua carriera di detective, ma una cosa era certa: non l'aveva mai capita, né ritenuta giusta.

Insomma, perché mai la Morte poteva avere il diritto di prendere ed interrompere i progetti che una persona aveva intrapreso?

Si diede mentalmente dello stupido.

La morte non era un'entità personificata, ma un fattore biologico, come avrebbe detto Sherlock.

Già, Sherlock... anche il “geniaccio”, alla luce dei fatti, non sembrava immune alle malattie, quindi, probabilmente, nemmeno alla morte.

Gli dispiaceva ed era preoccupato, benché non si sentisse “quasi a rischio d'infarto” come John.

Poteva anche non essere qualcosa di grave, no?

Rivolse, ancora una volta, lo sguardo in sua direzione e lo vide parlare con un'infermiera giovane.

Forse c'erano novità, ma avrebbe pazientemente aspettato, voleva lasciare a John un minimo di privacy, in fin dei conti.

 

 

***

 

 

-Holmes?- chiamò l'infermiera, affacciandosi dalla porta della sala d'aspetto.

 

John scattò rapidamente in sua direzione, con tanta veemenza che lei si ritrasse allarmata.

La giovane si ritrovò a pensare che quel tizio non dovesse avere proprio tutte le rotelle a posto. Insomma, ne aveva visti di parenti e amici di pazienti in condizioni più o meno buone, ma un uomo bagnato fradicio, ricoperto di fango e con occhi folli di preoccupazione, ancora le mancava.

Probabilmente era il compagno del signor Holmes.

 

-Gli abbiamo fatto due fiale di Vivitrol e una flebo di fisiologica. I battiti cardiaci dovrebbero stabilizzarsi a breve. Il suo fidanzato dovrebbe riprendersi in qualche ora.-

 

-P-Posso vederlo?- la voce di John uscì quasi come un sibilo rauco, causato dall'ansia e da un mal di gola conseguente a quella giornata all'aperto sotto la neve e il gelo. Sembrò non accorgersi nemmeno che, per l'ennesima volta, avevano scambiato lui e Sherlock per una coppia.

 

Lei abbassò lo sguardo al pavimento. -Veramente, il regolamento...- cominciò a dire.

 

L'altro le afferrò le mani con forza e la guardò negli occhi. -Signorina, la prego, solo... solo un minuto!- esclamò con tono di supplica.

 

John si sentiva in colpa.

Le ultime cose che aveva detto a Sherlock, prima di uscire, erano state terribili, imperdonabili.

Era il suo migliore amico! Che cosa gli era saltato in mente?!

Ok, ok, lo aveva beccato a drogarsi, ma avrebbe dovuto aiutarlo, ascoltarlo! Sherlock all'inizio aveva cercato di parlargli, ma, di fronte alle sue urla aveva rinunciato quasi subito.

Ora John la voleva quella spiegazione! La voleva più di qualsiasi altra cosa al mondo!

Avrebbe aspettato che si svegliasse, si sarebbe scusato con lui e lo avrebbe supplicato di rivelargli la ragione per cui aveva cominciato a drogarsi, una cosa talmente stupida e illogica da sembrare esser fuori da ogni possibile schema mentale di Sherlock, ma non solo di Sherlock, proprio di ogni persona minimamente intelligente.

Eppure...

Eppure era lì, in ospedale, perché il suo migliore amico era finito in overdose.

L'infermiera controllò la corsia alle proprie spalle.

 

-Solo un minuto, non di più.- sentenziò.

 

Sgattaiolarono dentro con circospezione e la giovane gli indicò la prima stanza sulla sinistra.

Mentre percorrevano il corridoio John ripensò a Taylor Colter, il suo vecchio compagno di college.

Si era ripromesso di fargli visita, prima che la situazione precipitasse...

Varcò la soglia dell'ambulatorio con il cuore che gli martellava nel petto e ogni altro pensiero svanì.

Scostò la tenda di separazione e puntò gli occhi sul letto.

Sherlock era immobile, con gli occhi chiusi, pallidissimo.

Sembrava star dormendo.

Gli si avvicinò, deglutendo e si mise a controllare la flebo, forse per concedersi di non guardarlo più per almeno qualche secondo. Era tutto a posto, il flacone non era nemmeno a metà.

Guardò il cardiogramma, ancora instabile, i battiti erano bassi.

Deglutì di nuovo, a fatica, come se la sua saliva fosse diventata, all'improvviso, una colata di cemento in polvere, si decise a guardare di nuovo l'amico.

Gli sfiorò la fronte, imperlata di sudore freddo e gli scostò via qualche ciocca umida.

 

-S-Sherlock...- mormorò. -Senti, mi dispiace, Cristo...- si stropicciò il volto con le mani. -Lo so che adesso tutto questo può sembrare ipocrita ma io sono qui, non ti lascio, non vado da nessuna parte. Affronteremo insieme questa... questa cosa! Per Dio, Sherlock ma che cazzo stai facendo?! Tu vuoi ammazzarmi...- aveva alzato progressivamente il tono di voce, diventando sempre più disperato.

 

Controllò di nuovo il cardiogramma.

Non gli piacevano quei battiti, sarebbero già dovuti tornare normali da un pezzo con il Vivitrol, perché, invece, non c'era alcun miglioramento?!

 

-Che diamine ci fa lei qui?!- una voce lo fece sussultare.

 

Si voltò, incrociando lo sguardo irritato di un'infermiera più anziana, tarchiata e con un cipiglio decisamente poco accomodante.

 

-I-Io... sono il suo migliore amico e sono anche un dottore...- mormorò John, esausto e con più nessuna forza di lottare.

 

-Non può stare qui, deve aspettare in sala d'attesa con tutti gli altri. La scorto fuori.-

 

L'altro lanciò un ultimo sguardo al volto dell'amico e soffocò un singhiozzo strozzato, prima di seguire l'infermiera e incamminarsi lungo il corridoio.

Perché?!

Perché Sherlock aveva cominciato a drogarsi?!

Perché lo aveva mandato ad aprire inutilmente la tomba di Moriarty?!

Perché lo aveva totalmente escluso dalla sua vita?!

Superarono in silenzio un paio di paramedici in pausa caffè ed erano quasi arrivati alla porta quando...

 

 

«PIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!»

 

 

Il suono inquietante dell'elettrocardiogramma che non rilevava più alcun battito colmò l'ambiente, seguito immediatamente dall'allarme della stanza.

 

John si voltò di scatto e fece per correre verso l'ambulatorio uno, ma i due uomini lo placcarono prontamente, mentre il dottore e l'altra infermiera, quella più giovane e gentile, accorrevano.

 

-Non può andare là, signore, deve attendere fuori!- gli disse uno dei due paramedici.

 

John si dimenò e colpì il più vicino con un pugno in faccia e quello dietro di lui con una gomitata.

Si sfilò il giubbotto a cui i due si erano aggrappati per trattenerlo ancora e scattò lungo il corridoio.

Cercò di aprire la porta dell'ambulatorio, ma la trovò bloccata e non poté far altro che assistere impotente ai tentativi del medico e delle infermiere di rianimare Sherlock.

Se prima aveva pensato che i due minuti delle convulsioni fossero stati i più lunghi della sua vita, beh, non potevano nemmeno essere lontanamente paragonati a questi.

Prima il massaggio cardiaco, poi il defibrillatore, una scarica.

 

Due...

 

Tre...

 

Il corpo di Sherlock sussultava con violenza.

Era orribile vederlo così.

 

Quattro...

 

John venne affiancato dai due paramedici che, nonostante tutto, non cercarono ulteriormente di portarlo via.

 

Cinque...

 

Il medico posò le piastre, il quadro era piatto, non c'era più niente da fare.

 

-SHERLOCK!- gridò John, sbattendo entrambi i palmi sul vetro, tanto che le due infermiere sussultarono di spavento.

 

I due paramedici si apprestarono ad afferrarlo per le braccia, ma John si afflosciò sulle ginocchia, abbattendosi a peso morto contro di loro.

 

-S-Sherlock...- gemette.

 

*Fine*

 

 

 

N.d.A.: “The Code”

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Capitolo 10
*** Io non posso! ***


 

 

N.d.A IMPORTANTE: Per tutti coloro che non se ne sono resi conto, vi ho giocato uno scherzetto ^^, la storia non si è conclusa con lo scorso capitolo, ma ho inserito una missing moments fondamentale per il proseguo del racconto. Vi invito a leggerla prima di questo nuovo capitolo, la trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=968863&i=1

 

 

Il suono del rasoio gli dava fastidio e Sherlock non riusciva a non osservare le sue ciocche che, l'una dopo l'altra, si abbattevano, recise, sul pavimento del laboratorio.

Mycroft lo guardava in silenzio, le labbra arricciate per il palese disappunto.

La sua immobilità marmorea gli comunicava chiaramente cosa stesse provando.

Non c'era alcun bisogno che parlasse, ma il maggiore si sentì, comunque, in dovere di farlo.

Si staccò dalla parete e tamburellò con le dita sul tavolo, distolse lo sguardo, poi lo puntò di nuovo sul fratello minore.

Il suo assistente gli aveva già rapato quasi metà della testa.

 

-No.- disse, scoccando un'occhiata all'uomo. -Lasciaci.- gli ordinò.

 

Quello annuì e, posato il rasoio, uscì dalla stanza.

 

-Non posso farlo.- sentenziò Mycroft.

 

Aveva le mani umide, stava sudando e, per quanto era stato immobile sino a quel momento, ora non riusciva a cessare di muoversi.

Sherlock sospirò e guardò ancora le sue ciocche sul pavimento, prima di stringere i pugni in un moto di evidente fastidio.

 

-E' l'unico modo, Mycroft!- ringhiò.

 

Aveva previsto che suo fratello avrebbe fatto delle storie, tuttavia non era nell'ordine di idee giusto per tollerarlo.

Si sentiva stanco e la sua mente si stava nuovamente offuscando aveva ancora un'ora di lucidità, forse anche meno e l'idea di trascorrerla a discutere con Mycroft...

Fissò le sue spalle.

 

-NON E' UN MODO, SHERLOCK! È PURA FOLLIA!- ecco, aveva anche cominciato ad urlare.

 

Come quando erano ragazzini.

Tirò indietro la testa, piccato.

 

-Devo dedurre che, forse, preferisci lasciarmi morire?- il suo tono era calmo e, al tempo stesso, graffiante, ma sapeva che avrebbe resistito ben poco prima di perdere le staffe.

 

Mycroft si voltò. -Non giocare con me, Sherlock! Se solo tu mi avessi interpellato, invece che costringermi con le spalle al muro come hai sempre fatto, io...-

 

-Tu, cosa, Mycroft?!- lo interruppe il minore. -Che avresti fatto, eh?! Mi avresti chiuso in un laboratorio come una cavia?! Mi avresti portato a Lourdes?! Cosa diamine avresti fatto?! Non c'è altra soluzione se non sia quella che IO ho trovato!-

 

Il maggiore gli si avvicinò. -QUELLO CHE CHIEDI È CRIMINALE, VA AL DI LA' DI OGNI ETICA!-

 

Sherlock balzò in piedi e lo spintonò indietro. -TU MI PARLI DI ETICA?! PROPRIO TU?!- strillò e stava per aggiungere altro, quando un grido spezzato irruppe dalla sua gola.

 

Le gambe gli cedettero e crollò contro il petto del fratello, aggrappandosi alla sua giacca.

Il dolore era talmente insopportabile che i suoi occhi cominciarono a lacrimare.

 

-Sherlock, stenditi!- Mycroft fece per riportarlo sul lettino, ma l'altro glielo impedì.

 

Alzò il volto e lo fisso dritto in faccia. -F-Farai questo per me..?- gli domandò con la voce arrochita e spezzata.

 

Il maggiore tentennò.

 

-Mycroft, ti prego! Lo hai detto e avevi ragione: sei l'unico che può e allora FALLO!-

 

-S-Sherlock, maledizione...- riuscì a farlo avvicinare al letto, ma non a farlo sdraiare.

 

Era come se Sherlock stesse usando tutte le sue ultime forze per opporsi a lui.

 

-Ti prego...- lo sentì ripetere con tono sempre più flebile.

 

Gli toccò il volto con una rude carezza e prese un respiro profondo e doloroso.

 

-Lo farò.-


Queste due parole gli costarono un pezzo del suo stesso cuore, ma bastarono.

Sherlock smise di fare resistenza e si afflosciò sul letto, dove si accoccolò su un fianco, prendendosi la testa tra le mani.

Il cervello gli esplodeva, si sentiva come se l'intero percorso dei suoi ponti neurali bruciasse.

 

-N-Non dire niente a John...-

 

Mycroft si sedette sul bordo del letto.

 

-Sherlock...-

 

-NON dire... niente a John...!- ripeté il minore.

 

-Non dirò niente...- si arrese l'altro. -Ora, riposa...-

 

Si alzò, guardando un'ultima volta il fratello che, ormai esausto, giaceva ad occhi chiusi e poi uscì dalla stanza.

Una volta fuori crollò con le spalle contro la porta chiusa e si coprì gli occhi con una mano.

 

-Signore, tutto bene?- gli chiese il suo sottoposto che aspettava pazientemente di finire il lavoro.

 

Mycroft si riscosse e tornò ad assumere la sua consona postura.

 

-Non voglio essere disturbato per nessun motivo. Concluda quel che ha cominciato.- lo liquidò, prima di rifugiarsi nel suo ufficio personale.

 

Doveva pensare, essere lucido, essere logico...

 

 

***

 

 

-Ce la fai a..?- Greg non osò nemmeno concludere la domanda, quando, dopo aver aperto la portiera di John, gli aveva teso la mano per aiutarlo a scendere.

 

Il dottore sedeva impietrito, gli occhi vitrei, persi nel vuoto.

Aveva avuto un collasso, dopo aver appreso della morte di Sherlock, tanto che al pronto soccorso avevano dovuto tenerlo in osservazione per diverse ore.

Quando si era risvegliato aveva appreso che Mycroft aveva già provveduto a far portar via il corpo dell'amico.

Senza nemmeno interpellarlo.

 

-John..?- Greg era preoccupato e non sapeva come comportarsi.

 

L'altro scese, non accettando il suo aiuto, la schiena dritta, rigida.

 

-Ce la faccio.- gli disse con tono strozzato. -Prestami il tuo telefono. Voglio chiamare Mycroft.-

 

Il detective obbedì, passandogli l'oggetto.

Non era certo che quella fosse una buona idea, ma non se la sentiva di negarglielo.

Il dottore si portò il cellulare all'orecchio, dopo aver recuperato il numero da un vecchio foglietto che aveva messo nel portafogli.

 

John.” fu quanto Mycroft gli disse.

 

Non si stupì che l'altro avesse intuito che fosse lui a chiamare.

Deglutì, reprimendo i singhiozzi.

 

-V-Voglio vederlo... Dov'è?- chiese.

 

No.”

 

John sentì la rabbia montargli dentro e crescere a dismisura. -COSA VORREBBE DIRE: NO?!- urlò, facendo sussultare Greg.

 

Sherlock... mi ha lasciato disposizioni, il suo corpo sta già venendo cremato, le porterò le ceneri non appena mi perverranno...”

 

-C-Cosa..?- ebbe un mancamento, tanto che dovette aggrapparsi alla macchina per non cadere.

 

Ho altre faccende più urgenti, al momento, dottore. Arrivederci.”

 

Mycroft chiuse la telefonata e John lasciò scivolare il telefono a terra.

 

Ebbe un momento di completo sbandamento, ma si sforzò di riprendersi.

 

-Grazie per avermi accompagnato.- si avvicinò alla porta dell'appartamento, senza considerare oltre Greg che lo guardava con occhi pieni di ansia.

 

-Vuoi che io... resti?-

 

-No.-


John si chiuse la porta alle spalle con uno schianto.

Greg abbassò lo sguardo e tirò su col naso.

Il “geniaccio” era morto...

Morto...

Sembrava incredibile.

Proprio lui.

Proprio Sherlock.

Gli occhi gli si inumidirono di lacrime che scacciò via con una manata.

No, non voleva pensare al fatto che il suo amico fosse morto.

Non ora che doveva andare a lavoro ed era già in ritardo.

Guardò la porta del 221B e sospirò, prima di risalire in macchina e partire.

Non l'avrebbe più varcata per chiedere aiuto a Sherlock...

Nulla sarebbe stato più come prima.

 

 

***

 

 

-John... caro...- tentò Mrs. Hudson, precipitandosi nell'ingresso all'apertura della porta.

 

-Non ora.- sibilò lui, puntando alle scale.

 

-John, tu devi... Sherlock non avrebbe voluto che...-

 

-HO DETTO: NON ORA! VOGLIO RESTARE SOLO!- abbaiò il dottore con talmente tanta rabbia nella voce che l'anziana signora si preoccupò e decise che forse era più opportuno aspettare.

 

Lasciarlo realizzare la cosa, lasciarlo calmare.

 

John, di per sé, non la considerò oltre e salì al piano di sopra.

Guardò lo studio, il petto gli doleva da quanto erano profondi e violenti i suoi respiri.

Tutto era come lo aveva lasciato: il tavolo in un angolo, dove lo aveva spinto poche ore prima, i fogli a terra.

Il violino... anche il violino era sul pavimento...

Si chinò a raccoglierlo e ne strinse l'impugnatura tra le dita, mentre le lacrime, alla fine, abbattevano la barriera dei suoi occhi.

Un singhiozzo rimbombò tra le pareti, seguito da molti altri.

Lasciò andare il violino e prese il suo computer, lo spalancò.

 

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

28 Novembre 09.54

 

Titolo: Io non posso!

 

Io non posso...

Iocejnchdhù

 

0 commenti:

 

 

Avrebbe voluto scrivere, ma non ci riusciva.

Colpì la tastiera con una manata, senza nemmeno essersi reso conto di aver inviato il post.

Stava per sbattere tutto a terra, quando notò un'icona, in basso a sinistra sulla barra.

Era un video...

 

 

 

N.d.A.: Eccoci in fondo al decimo capitolo ^^, spero che vi sia piaciuto =3!

Piccolo spazio pubblicità: ho postato due nuove storie su Sherlock, una è una Oneshot, l'altra, invece una minilong su Jim Moriarty.

Non sono collegate con la trama di questa, ma se voleste dar loro uno sguardo, le trovate qui:

 

Della tua anima, solo coriandoli”: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=971794&i=1

 

E qui:

 

I miss the taste of Heaven”: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=973892&i=1

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Capitolo 11
*** Commenti al post precedente ***


 

5 commenti:

 

La forma lascia sempre più a desiderare, dottore. Che è successo questa volta?

 

Anonimo 28 Novembre 10.15

 

 

John? Ehi? Mi rispondi al telefono?

 

Harry Watson 28 Novembre 10.23

 

 

John, posso sapere perché non sei venuto a lavoro? Almeno degnati di farti vivo. Ah, il tuo cellulare è qui in studio.

 

Sarah Sawyer 28 Novembre 11.27

 

 

Oddio... John, mi dispiace tanto! Io... non ci credo, non ci voglio credere!

 

Molly Hooper 28 Novembre 12.30

 

 

Lasciatelo in pace, dategli tempo.

 

Greg Lestrade 28 Novembre 13.15

 

 

 

John posò la punta del medio sul pad del mouse.

Un video...

Lui non ce l'aveva lasciato, quindi doveva essere stato Sherlock.

Non era per nulla sicuro di volerlo vedere, roteò a vuoto la freccia del puntatore sulla barra applicazioni e tirò su col naso.

Tremava.

Alla fine, con tocco incerto, si decise ad ingrandire l'icona.

Vedere il volto di Sherlock gli fece stringere il cuore e, per un istante, temette di star per collassare di nuovo.

Due lacrime gli scorsero lungo le guance, mentre sfiorava il monitor con una mano, come se, così facendo, avesse potuto carezzargli il volto.

 

-S-Sherlock...- singhiozzò.

 

Prese un respiro profondo e si decise a cliccare su “play”.

Bastò questo semplice gesto perché lo studio si riempisse nuovamente di lui.

Puntò gli occhi sullo schermo e lo vide sistemare meglio la webcam.

L'espressione di Sherlock appariva scocciata, infastidita e questo lo turbò.

 

-Sherlock...- ripeté.

 

Ti, prego, non pronunciare il mio nome con quel tono e, per l'amor del cielo smetti di piangere!” il suo tono di voce era come un'aggressione.

 

Smise di respirare, tanto era teso.

Lo osservò alzarsi e cominciare a fare avanti e indietro per la stanza con la giacca slacciata che svolazzava dietro di lui.

 

Dunque, giusto per entrare in un inutile cliché: se stai guardando questo video, vuol dire che sono morto.

Immagino tu sappia benissimo che lo sono, visto che mi hai portato tu in ospedale, dopo avermi trovato sulla moquette.

Non chiederti come lo so, non appesantire il mio cervello con le tue stramaledette domande inutili! Come ho detto: sai che sono morto, quello che non sai è che mi sono ammazzato!

È stato voluto!

 

John sussultò indietro, sbattendo contro lo schienale della poltrona.

Quelle parole lo stavano crivellando con più crudeltà del proiettile che lo aveva colpito in guerra.

Sherlock era rabbioso e dalla sua bocca usciva solo veleno.

 

Non ne potevo più di questa vita, inizialmente la droga aveva sortito qualche effetto, ma mi mandava un po' troppo su di giri. Tentare di smettere è stato anche peggio, lo hai visto anche tu.

Ma la cosa che realmente non sopportavo era LA TUA PRESENZA.

Sei noioso, ordinario, banale e stupido come tutta la mia maledetta vita.

Quando una creatura non ha più ragione d'esistere è una crudeltà tenerla in vita e questo è quanto: mi sono ammazzato, anzi, per la precisione: sto per ammazzarmi.

Ti starai chiedendo perché non ne ho parlato con te.

Ovvio, prevedibile.

Beh, tu andresti mai a chiedere consiglio o a sfogarti con una scimmia?

Immagino di no, quindi penso che, anche con il tuo limitato cervello, tu possa aver compreso la situazione.

Non mi interessava il tuo punto di vista.

 

Sherlock nel video, rise.

 

Non mi interessa nemmeno adesso, perché non sono mai stato più felice di una decisione come che di questa!

Non eri un sostegno, per me, eri un peso.

Oh, non quello risolutivo, non è di certo per causa tua se sto per ammazzarmi. Non sei mai stato così importante anche se, forse, ti ci sei creduto e io te l'ho lasciato fare.

Non volevo perder tempo in faccende inutili.

Hai una vaga idea di come sia vivere come vivo io?

No, certo che no, sei troppo primitivo anche solo per intuirlo.

No.

Non ci pensare nemmeno! Non provare ad ipotizzare che ti stia mentendo per chissà quale misterioso motivo, ti dico sin da subito che ti sbagli, idiota!

Una volta ti ho detto che non sono un eroe e, infatti, non lo sono.

L'unica persona che avesse minimamente risvegliato il mio interesse per la vita è morta, ti ho mandato inutilmente a scoperchiare la sua tomba.

Lui era interessante.

Lui poteva essere un motivo per vivere, una sfida.

Non tu.

Detto questo, passiamo alla burocrazia spiccia: ho fatto testamento, ieri mattina.

Ti ho lasciato tutto quello che avevo così, almeno, forse riuscirai a pagarti un'analista decente, dopo tutto questo.

Licenzia la stronza che avevi, è un'incapace.

Il tuo bastone è di sopra, nel caso lo shock ti facesse riprendere a zoppicare.

Mio Dio, come sei patetico.

Ancora mi chiedo cosa mi sia saltato in mente, quel giorno, quando ho deciso di prenderti come coinquilino. A livello economico non ne ho mai avuto bisogno, ma questo lo vedrai quando il notaio ti comunicherà la cifra dell'importo che ti ho lasciato. Ah, ho detto a Mycroft di rinunciare alla sua parte di eredità in tuo favore, lui, di certo non ha bisogno di soldi per sopravvivere.

Volerti in casa è stato un esperimento, un esperimento fallimentare.

Mi dispiace.

No, non è vero. In realtà non mi interessa affatto. Fa' quello che ti pare delle mie ceneri, buttale nel cesso, costruiscici un mausoleo, tanto, ormai, sono morto.

Addio, John.”

 

John lo guardò avvicinarsi nuovamente al computer, poi il video terminò.

Trascorse alcuni secondi nella più completa immobilità, poi balzò in piedi, furibondo.

Afferrò il violino che aveva abbandonato accanto a sé e lo scaraventò contro la parete, fracassandolo.

Gridò di rabbia e di dolore, talmente forte che Mrs. Hudson si precipitò al piano superiore.

Si spaventò, la povera donna, nel vederlo prendere e lanciare qualsiasi oggetto fosse stato caro a Sherlock, mentre piangeva disperato.

Ritenne che intervenire sarebbe stato pericoloso e tornò da basso, al telefono.

Recuperò l'agendina e compose il numero di Mycroft.

 

 

***

 

 

Quando il maggiore degli Holmes entrò nello studio di Baker Street, la stanza che si trovò davanti non assomigliava nemmeno da lontano a quella che aveva stampata nella memoria.

Tutti i documenti, tutta la posta, tutti gli spartiti con le composizioni di Sherlock erano accartocciati, strappati e sparsi ovunque.

I mobili erano tutti ribaltati e John sedeva sulla moquette, al centro della stanza.

Immobile.

Senza più forze.

Deglutì, mentre un pallido spettro di senso di colpa si dipanava nella sua brillante mente.

Lo scacciò e avanzò, appoggiando la punta dell'ombrello dopo ogni passo.

 

-John...- disse.

 

Quello non si mosse, nemmeno lo guardò, quindi Mycroft decise di sedersi a terra a sua volta.

 

-Tu... lo sapevi?- la voce del dottore uscì in un sibilo rauco.

 

Non ne aveva più, aveva urlato troppo, pianto troppo, senza contare la febbre che si trascinava addosso dal giorno precedente.

Mycroft prese un respiro profondo.

Sapeva del video che Sherlock aveva fatto trovare all'amico, gliene aveva inviata una copia e, bene o male, si era preparato ad affrontare anche quella situazione, la parte più semplice, a ben vedere, del folle piano di suo fratello.

 

-Mi dispiace, dottore....- mormorò. -Mi dispiace che lei sia stato l'ennesima vittima inconsapevole dell'egoismo di mio fratello.-

 

-M-Mi ha mentito... sempre... da sempre...- piagnucolò John allo stremo delle energie.

 

Mycroft gli posò una mano su una spalla. -Adesso è finita... Non deve rimproverarsi di nulla, John. Lei non poteva rendersene conto. Lui, Sherlock, si è sempre divertito a giocare con le persone.- il suo volto si contrasse in una smorfia di dispiacere, forse quel che stava dicendo non era del tutto falso. -Lo ha fatto con lei, lo ha fatto con me... ci ha messi tutti con le spalle al muro nel tentativo di riempire un vuoto interiore che non è mai riuscito a colmare e che lo ha portato a fare quel che ha fatto. Forse si sta chiedendo perché abbia voluto ferirci tutti...-

 

-Non mi chiedo più niente...- lo interruppe John, prendendosi il volto tra le mani. -Non mi interessa più... se ne vada.-

 

L'altro tentennò. -John...-

 

-Ho detto: se ne vada! Non ha, forse, questioni più importanti di cui preoccuparsi?- il tono del dottore era accusatorio, pieno di rancore, lo dimostrava l'aver ripetuto a pappagallo una delle frasi preferite dell'altro, quando voleva defilarsi.

 

-No. Al momento, no.- ammise Mycroft, seriamente preoccupato per le condizioni dell'amico del fratello.

 

Anche questa parte del piano era immorale, ma non era il peggio...

Quel che riguardava John poteva sostenerlo.

 

-Perché non mi ha detto niente? Non Sherlock, lei!- lo aggredì John.

 

-Io...- Mycroft allontanò lo sguardo da lui, sentendosi a disagio e maledendo Sherlock per la situazione in cui lo aveva messo. -Speravo che Sherlock riuscisse davvero ad uscire dai suoi problemi, grazie al suo aiuto. Sono stato ingenuo e le chiedo scusa.-

 

-LE SUE SCUSE PUO' INFILARSELE NEL CULO!- John cominciò a tossire e finì con l'accasciarsi del tutto al suolo.

 

Mycroft lo sollevò in piedi e lo trascinò al piano di sopra, del tutto sordo alle sue proteste.

Lo adagiò sul letto. -Deve riposarsi, dottore. Manderò qualcuno ad occuparsi di lei...- disse con tono dispiaciuto.

 

Gli stese addosso una coperta e scese dabbasso.

Una volta nello studio guardò nuovamente la desolazione. Qualcosa scricchiolò sotto le sue scarpe.

Abbassò lo sguardo e vide ciò che restava del violino.

Il violino.

Sentì un peso sordo nel petto.

Si chinò e lo raccolse con cura, come se fosse stato il corpo stesso di suo fratello.

Glielo aveva regalato lui quel violino, tantissimi anni prima, quando Sherlock era ancora poco più di un bambino e loro padre aveva mancato di presentarsi al suo compleanno per l'ennesima volta.

Aveva ingannato Sherlock, che, benché sveglio, non era ancora in grado di competere con un diciassettenne sopra la media come era lui.

Gli aveva fatto credere che il violino fosse da parte di loro padre, quando invece era stato lui a spendere quasi tutti i suoi soldi per comprarglielo.

Era stata la felicità negli occhi del suo fratellino di dieci anni a ripagarlo e non aveva mai confessato a Sherlock quel suo piccolo inganno, anche perché i loro rapporti erano complessi già all'epoca...

Si ritrovò a maledirsi, forse se nella sua vita fosse stato meno spocchioso, meno orgoglioso, meno insofferente di fronte al suo fratellino, le cose sarebbero andate diversamente tra di loro e Sherlock non si sarebbe chiuso in se stesso.

Magari si sarebbe fidato di lui, gli avrebbe chiesto aiuto sin dall'inizio, invece che implorarlo solo all'ultimo momento, snocciolando una risoluzione delirante e folle.

No...

No, doveva smetterla.

Non era quello il momento di mettersi in discussione, doveva solo agire e non deludere Sherlock che, in lacrime, come quando era bambino, lo aveva pregato di aiutarlo.

 

-Mycroft, caro...- la voce di Mrs. Hudson lo riportò alla realtà.

 

Accettò il suo abbraccio, pur senza ricambiarlo.

 

-Che cosa è successo con John?- domandò la donna. -E' vero che Sherlock si è..?-

 

-Sì...-

 

La donna singhiozzò, nascondendosi contro il suo petto. -S-Sembrava così felice... io non capisco! Sherlock amava la vita!-

 

-A volte le persone mentono, Mrs. Hudson...- sussurrò. -A volte le persone mentono...- ripeté.

 

Posò gli occhi sul violino, ancora tra le sue mani, e, quasi inconsapevolmente, lo strinse al petto, affondando le dita tra le spaccature del legno.

 

-Ora devo andare, Mrs. Hudson.- si allontanò dall'anziana padrona di casa e si affrettò giù per le scale.

 

Non aveva tempo da perdere.

 

 

N.d.A.: Eccoci XD! Mi aspetto le vostre ire in recensione, ragazze, Dio, questo capitolo è stato tremendo anche da scrivere o.O!

Spero vi sia piaciuto!

Un bacione,

Ros.

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Capitolo 12
*** "Ventimila leghe sotto i mari" ***


-Non è mia consuetudine mescolare il mio lavoro con il vostro giro d'affari, né entrare in collaborazione con degli incompetenti. L'offerta di denaro è cospicua, ma sfortunatamente per lei non è il perno giusto su cui fare leva e poi... No, non mi interessa. Ho una chiamata in attesa, non sprecatevi a farvi risentire.-


Un click su un tasto del cellulare e la chiamata si concluse.


-Pronto? Uh, quale onore! Mr. Holmes in persona! Sì, ho sentito che lei aveva bisogno di qualcuno per un certo lavoro. Come? Beh, gli scienziati parlano tra di loro, le voci circolano in fretta, mi creda, si stupirebbe. Cosa ne penso? Penso che sia una follia, ma questo stimola il mio interesse. Esatto: vuol dire che accetto, ma alle mie condizioni...-



***



John socchiuse gli occhi. La testa gli doleva terribilmente.

Fuori era buio.

Quanto aveva dormito?

Si mise seduto, ignorando un capogiro. Aveva la febbre alta.

Raggruppò le idee con un po' di fatica e, dopo averlo fatto, si maledì.

Sherlock...

Il video...

Sherlock.

Sherlock era morto, si era suicidato, gli aveva mentito.

Posò i piedi nudi a terra, mentre i brividi gli scuotevano il corpo.

Si stava alzando per fare che cosa?

Non lo sapeva.

Non sapeva nemmeno perché continuare a respirare.

La porta della sua stanza si aprì, scorrendo sui cardini con delicatezza e Molly comparve, pallida, un po' smunta e con gli occhi gonfi.

Segno più che chiaro che avesse pianto molto.

Si chiese cosa ci facesse lì, poi si ricordò che Mycroft aveva detto che gli avrebbe mandato qualcuno.

Beh, sempre meglio Molly che uno dei suoi sottoposti...


-Oh, sei sveglio! Come ti senti?- gli domandò premurosamente quest'ultima con tono incerto.


Non le rispose e deglutì.

Il mal di gola non si era attenuato nemmeno un poco.


-Quanto ho dormito?- chiese con tono roco.


-Quasi dodici ore. Ti stavo... preparando del brodo caldo, insieme a Mrs. Hudson...-


-Non ho fame.-


Si alzò, un po' barcollante ed andò in bagno per prendere almeno un'aspirina.

Guardò il proprio riflesso e tutti gli insulti che Sherlock gli aveva rivolto gli invasero la mente.

Perché?

Perché lo aveva preso in giro a quella maniera?

Perché tanta crudeltà?

Gli veniva da vomitare, anche se non toccava cibo da giorni, ormai.

Non aveva capito niente, si era fidato della persona sbagliata per tutto quel tempo...

Scese da basso ed evitò lo sguardo preoccupato di Mrs. Hudson.

Lanciò uno sguardo allo studio, tutto era stato risistemato, le due donne si erano date davvero un gran daffare.

Aveva distrutto tutto.

Notò quasi subito che mancava qualcosa: il violino.

Si voltò verso la padrona di casa, intenta ad apparecchiare.


-Dov'è il violino?- le chiese.


Lei sussultò e i cucchiai le scivolarono di mano, abbattendosi sul tavolo.

Non si aspettava di sentire la voce di John.


-L'ha preso Mycroft, caro...-



***



Mycroft entrò nella stanza dove Sherlock riposava.

Posò la sua cartella sul tavolinetto, controllò la flebo di antibiotico e poi si sedette sul letto, al suo fianco, scuotendo la testa.

Gli sfiorò la fronte rovente con la punta delle dita e sussultò quando l'altro spalancò gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte, assumendo un'aria confusa.


-M-Mycroft? Dove sono? Dov'è John?- domandò Sherlock con voce flebile, cercando inutilmente di mettersi a sedere.


Il maggiore sospirò.

Sherlock aveva dimenticato...

Per un secondo la sua mente gli suggerì di approfittare della situazione e fare marcia indietro, ma la sua coscienza glielo impedì.

In fondo anche lui ne aveva una...


-Shhh, va tutto bene... devi riposarti, Sherlock. Penserò a tutto io, come mi hai chiesto. Ho trovato una persona che ha accettato di mettere in pratica il tuo piano...-


Sherlock si accoccolò su un fianco con un gemito di dolore.


-Ti ho chiesto qualcosa..?-


Mycroft tirò fuori il suo portatile dalla borsa e lo aprì.

Sullo schermo comparve un testo e cominciò a leggerlo.



Ventimila leghe sotto i mari.

-Jules Verne-



Il 1866 fu un anno particolare, caratterizzato da uno strano misterioso avvenimento che certamente nessuno avrà dimenticato.


A parte le dicerie che mettevano in agitazione le popolazioni della costa ed eccitavano

l'opinione pubblica nelle zone continentali, la gente di mare ne era particolarmente scossa.


Commercianti, armatori, comandanti di navi, piloti europei e americani, ufficiali delle marine militari di tutti i paesi e, infine, i governi dei diversi Stati dei due continenti, si preoccuparono profondamente del fenomeno.



Si interruppe.


-Ricordi, ora?-


-Certo...- mugolò Sherlock, chiudendo gli occhi. -Me lo leggevi quando ero piccolo...-


Mycroft deglutì.


-N-Non era a questo che mi riferivo...- gli disse, triste, ma non ottenne risposta, l'altro aveva di nuovo perso i sensi.


-Mio Dio, Sherlock...-



***



John si sedette sulla poltrona, ignorando l'informazione che gli era appena stata data.

Aprì il giornale che Molly aveva lasciato sul tavolinetto.

Nemmeno a farlo a posta finì nella pagina dei necrologi, lesse con la coda dell'occhio uno dei trafiletti, scoprendo che Sherlock non era stato l'unico a morire in quei giorni: Taylor Colter, il suo amico del college...

Lanciò via il giornale con un: -Vaffanculo!- e si stropicciò gli occhi, prima di avvolgersi in una coperta per cercar di combattere i brividi almeno un poco.

Prese un respiro profondo e aprì il computer.

Chiuse il video di Sherlock e stava per trascinarlo nel cestino quando notò che l'icona segnalava che il cestino, appunto, era pieno.

Lui lo aveva svuotato l'ultima volta che era stato al computer.

Lo ricordava perfettamente, visto che aveva dovuto liberare un po' di spazio nell'hard disk.

Lasciò perdere il video e cliccò sul cestino.

Quando vide l'icona di un altro video il cuore prese a martellargli nel petto.

Lo ripristinò e guardò l'ora dell'ultima apertura, segnava il 28 Novembre alle 2.45, poco prima che lui e Lestrade tornassero dal cimitero.

Non sapeva se voleva aprirlo.

Forse Sherlock non lo aveva cancellato perché non lo aveva giudicato importante...

Ma se, invece, non avesse avuto il tempo di cancellarlo, visto che lui era rientrato poco dopo..?

Il dubbio e, forse, anche la speranza si insinuarono di prepotenza nella sua mente.

Lanciò uno sguardo dietro di sé.

Sia Molly che Mrs. Hudson erano in cucina.

Si alzò in piedi, ignorando ancora una volta i capogiri e ritornò nella propria stanza, dove si chiuse a chiave.

Non voleva essere umiliato pubblicamente dalle parole del suo migliore amico, o presunto tale, di fronte a loro.

Faceva già abbastanza male senza aver pubblico intorno.

Si sedette sul letto e cliccò l'icona.


Ti, prego, non pronunciare il mio nome con quel tono e, per l'amor del cielo smetti di piangere!” cominciava esattamente come l'altro, stesso tono, stessi movimenti, come se fosse un copione imparato a memoria.


John si irrigidì e strinse le lenzuola tra le dita, mentre la rabbia riprendeva a scorrere dentro di lui come un fiume in piena.


Ma la cosa che realmente non sopportavo era LA TUA PRESENZA.

Sei noioso, ordinario, banale e stupido come... c-come...” Sherlock si interruppe e si sedette, coprendosi il volto con entrambe le mani.


Io... non ce la faccio...” gemette.


Puntò in camera gli occhi azzurri.

John poté chiaramente veder le lacrime tentar di uscire e si sentì morire.

Un singhiozzo doloroso risalì lungo il suo petto, mentre Sherlock, nel video, rimaneva in silenzio e cercava di calmarsi.

Da solo, perché lui, John, non era lì ad ascoltarlo, a confortarlo.


N-Non posso... Maledizione!” lo vide buttare a terra quello che stava sul tavolino con un gesto di rabbia, poi il video terminò bruscamente.


Rimase qualche istante a fissare lo schermo.

Tutte le emozioni che stava provando lo stavano travolgendo, portandolo alla completa immobilità.

Riaprì l'altro video e andò subito alla fine.

Lo rallentò e notò chiaramente che, prima di chiuderlo, Sherlock si era voltato verso le scale.

Tornò indietro, alzò il volume al massimo e benché soffuso e debole, sentì il rumore della porta al piano di sotto che veniva aperta.

Sherlock aveva fatto giusto in tempo a rifare il video, prima che lui tornasse e non aveva avuto modo di cancellare il primo...



N.d.A.:

Note importanti: il pezzo che Mycroft legge a Sherlock non è di mia invenzione, è opera di Jules Verne ed è tratto, come avete visto, da Ventimila leghe sotto i mari.

I diritti di questo scritto sono scaduti, quindi è utilizzabile da chiunque, in virtù delle leggi sul copyright che decadono dopo settant'anni dalla morte dell'autore. Ho chiesto ad Erika il permesso di utilizzarne un pezzo e mi è stato accordato alla condizione che citassi espressamente di chi era “la citazione” e che la suddetta non superasse il 50% dello scritto totale del capitolo.


Estinte queste formalità, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se trovate delle diottrie vaganti, salutatele per me, sono quelle che ho perso tra la notte scorsa e stamattina dietro al capitolo XD!

Un bacione,

Ros.



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Capitolo 13
*** Rivoglio il mio migliore amico... ***


 

John riuscì a riprendersi in un paio di giorni, dopo essersi imbottito di farmaci e non aver rivolto parola né a Molly né a Mrs. Hudson, entrambe molto preoccupate per le sue condizioni.

Era mattino presto quando ricevette la telefonata del notaio.

Aveva totalmente rimosso questo lato della questione e l'idea di uscire per occuparsi di quella faccenda lo atterrì.

Il secondo video di Sherlock lo aveva sconvolto, se possibile, ancora più del primo, non sapeva più cosa pensare, né cosa fare.

Si fece una doccia e si rese minimamente presentabile, prima di decidersi a uscire di casa.

La giornata era grigia e il cielo plumbeo minacciava pioggia. Le temperature si erano alzate, ma le strade erano ancora piene di neve nerastra e per lo più sciolta, sporcata e infangata dal traffico di Londra.

John camminò a lungo, non aveva voglia di prendere un taxi, né di soffermarsi a pensare.

Tutte le cose che erano successe erano... troppo, semplicemente. Una parte di lui ancora si illudeva che fosse tutto uno scherzo e che, tornando a casa, qualche ora dopo, avrebbe trovato Sherlock in salotto, annoiato e bisbetico come sempre.

Controllò l'indirizzo che aveva annotato sul telefono.

Era arrivato e in perfetto orario.

Suonò al campanello e l'apertura automatica fece scattare il portone.

Salì al terzo piano, interno cinque e una segretaria lo fece attendere per qualche minuto in anticamera.

Quando venne, finalmente, fatto accomodare, vide che Mycroft era già dentro, seduto su una delle poltroncine.

Il maggiore degli Holmes era pallido e sembrava davvero esausto, nonostante la sua consona aria altezzosa.

 

-Buongiorno.- salutò cordialmente il notaio.

 

John ignorò la cortesia e si sedette, voleva chiudere quella faccenda al più presto possibile.

Ascoltò poco o niente del discorso del notaio, ma sussultò quando sentì la cifra che Sherlock gli aveva lasciato.

 

-700.095,28 £. Il signor Holmes, qui presente ha già rinunciato ufficialmente alla legittima. Se mi dà i suoi dati provvederò personalmente a trasferire l'importo sul suo conto.-

 

Il dottore non rispose.

Da quel momento in poi non avrebbe più potuto ignorare la certezza che Sherlock fosse morto.

Le emozioni lo travolsero e si alzò.

 

-Occupatene tu.- ordinò a Mycroft, prima di scappare via dall'ufficio e tornare in strada.

 

Si accucciò a terra, cercando di non pensare, cercando di negare anche l'evidenza.

Mycroft scese qualche minuto dopo.

 

-John...-

 

Il dottore deglutì.

 

-Perché?- chiese.

 

-Temo di non capire.-

 

John si alzò di scatto, lo afferrò per il colletto e lo sbatté con violenza contro il portone. -Perché mi ha mentito?!- gridò.

 

L'autista di Mycroft, fermo in una macchina nera di fronte al marciapiedi, scese allarmato, ma tornò dentro, quando il suo superiore gli fece cenno di andarsene.

 

-Può anche colpirmi, John, se pensa che questo possa farla stare meglio, ma non mi aiuterà a comprendere a cosa si sta riferendo.- disse poi.

 

-Perché si è ucciso?! Perché?!-

 

-Lo sa il perché, glielo ha detto in quel video.-

 

E il dottore lo colpì, non riusciva a sopportare tutte quelle menzogne, tutto quel dolore, quella frustrazione.

Mycroft lo spinse indietro con decisione, ma senza alcuna intenzione di cominciare una zuffa.

Si limitò a tirar fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca e a tamponarsi il naso sanguinante.

 

-Non mi menta!- urlo John. -C'era un altro video!-

 

-Le giuro che non ne ero a conoscenza.- rispose, solo dopo qualche istante, il maggiore degli Holmes, ed era vero, Sherlock non aveva accennato a niente di tutto questo.

 

-Può spiegarmi?- chiese.

 

Il dottore guardò il volto sanguinante di Mycroft e si sentì in colpa.

Gli aveva spaccato il naso, con tutta probabilità, ma l'altro sembrava non badarvi affatto, come se il dolore fisico nemmeno lo scalfisse.

 

-L'ho trovato nel cestino, era... la brutta copia del video che mi ha lasciato...-

 

Non servì altro.

 

-Allora non lo so perché lo ha fatto, ma ormai non ha più alcuna importanza. Cerchi di elaborare il lutto, dottore.-

 

-HA IMPORTANZA PER ME, MYCROFT! I-Io voglio capire perché!-

 

Mycroft sospirò ed emise un lamento di dolore, mentre ancora si tamponava il naso cercando di placare la fuoriuscita di sangue.

 

-Non ha importanza...- ripeté.

 

John, preda della rabbia, fece per colpirlo di nuovo, ma questa volta Mycroft schivò e il suo pugno si abbatté contro la parete.

Rantolò di dolore, prendendosi la mano con l'altra e piegandosi.

 

-Una volta mi sta bene, dottore, due no. Salga, le do un passaggio.-

 

John ubbidì, sconfitto.

Non riusciva nemmeno a prendersela con Mycroft, non del tutto, almeno.

Era chiaro che anche lui stesse soffrendo, certo, a suo modo e maniera, ma doveva rispettarlo.

Una volta nella macchina l'altro gli passò un'urna metallica, ma non aggiunse nulla, sapeva che John aveva già compreso di cosa si trattasse.

Lo osservò piangere in silenzio e si ritrovò a chiedersi che cosa avrebbe provato lui, in quella situazione.

Avrebbe pianto?

No, probabilmente no, non ne era in grado.

La morte, sia la propria che quella altrui, era un avvenimento logico nella vita delle persone, una cosa che comprendeva e sapeva affrontare.

Quello che non capiva era come confrontarsi con la situazione attuale, quella di cui John era totalmente all'oscuro, per sua fortuna.

 

-John...-

 

-No. No, stia zitto, non saprebbe cosa dire, si avanzi lo sforzo, consolare il prossimo non è proprio il suo campo.- lo zittì il dottore.

 

Mycroft si interrogò se quella di John fosse stata una premura nei suoi confronti o una critica, ma non si seppe rispondere.

La macchina si fermò di fronte al 221B di Baker Street e l'altro scese con stretta a sé l'urna.

Non salutò Mycroft e si rifugiò subito dentro l'appartamento.

Posò le ceneri sul tavolinetto e prese il computer. Lesse il post che aveva mandato per sbaglio e i commenti.

Si rese conto di essersi quasi totalmente estraniato dal mondo, quindi cominciò a scrivere.

 

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

3 Dicembre 11.45

 

Titolo: Rivoglio il mio migliore amico...

 

Immagino che tutti voi sappiate che cosa è successo, quindi non costringerò me stesso a scrivere “quella parola”.

Voglio continuare ad illudermi che tutto questo sia solo un incubo.

Non voglio pensare che ho le ceneri del mio migliore amico sul tavolinetto del salotto.

Proprio non voglio, spero che possiate capirmi.

Non so che cosa fare...

Lui avrebbe voluto un funerale?

Avrebbe voluto che le sue ceneri venissero seppellite?

Non mi ha detto niente!

Sto impazzendo, non riesco ad accettare che se ne sia andato così, senza un vero motivo, senza degnarsi di darmi una spiegazione, o, per meglio dire, dandomi delle spiegazioni deliranti e contraddittorie...

Le mie parole sono piene di rabbia ed è buon costume non parlare male dei morti, ma come faccio a non essere furioso con lui per tutto questo?!

Io non sono come lui o come suo fratello, non sono una fottuta macchina!

No, sono ingiusto... nemmeno loro sono immuni alla sofferenza, lo so, l'ho visto con i miei occhi e sentito sulla mia pelle.

Allora perché Mycroft non si interroga?! Perché non mi aiuta in questo momento?!

Non gli sto chiedendo niente che lui non sappia fare quanto (e forse meglio) di lui e cioè: scoprire la verità!

È contrario, me lo ha fatto capire in più modi, ma non so perché e questo mi manda in bestia!

Forse perché questa situazione lo tocca troppo sul personale perché la consideri un caso?

Forse perché è a conoscenza di elementi che io ignoro?

 

 

Non mi importa!

Chiaro, Mycroft?!

Scoprirò questa maledetta verità, dovessi crepare nel tentativo!

Stai lontano da me, non ti voglio attorno solo perché devi occuparti “dell'animaletto abbandonato” da tuo fratello.

Non voglio la tua carità, voglio il tuo aiuto e se non vorrai darmelo, beh, VAFFANCULO, me la caverò da solo.

 

 

Per prima cosa lascerò questa casa, mi dispiace per Mrs. Hudson, ma sento di non poter rimanere qui dentro un minuto di più.

C'è troppo di lui e io non posso sostenerlo.

Fa male, fa dannatamente male.

 

 

Non vi lascerò nemmeno la possibilità di commentare, per quel che riguarda questo post, per i futuri non lo so, non so nemmeno se ce ne saranno.

Ho cominciato a scrivere perché ero “il suo blogger”, perché le nostre avventure avevano bisogno di venir raccontate, di essere note.

Magari le ho sempre descritte maldestramente, non sono uno scrittore e lui si è sempre curato di farmelo notare.

Non riesco a pensare che non leggerò più i suoi commenti sarcastici tra i post...

Con questo non sto dicendo che i vostri non mi interessino, solo... non ora, non adesso.

Non ho bisogno di sentirmi dire quanto vi dispiaccia per me, non ho bisogno che mi stiate vicini e, soprattutto, non voglio sentirvi dire “che la vita va avanti”.

Forse per voi lo fa, per le persone che si relazionano con altre persone “normali”, ma lui era tutt'altro che normale, da vivo e... da... no, NON VOGLIO DIRLO!

Non ho scritto il suo nome nemmeno una volta...

 

Mi ha lasciato una fortuna...

Dio mio, mi sono sempre preoccupato di avere dei soldi con cui vivere ed ora che li ho, ora che lui me li ha lasciati, li ridarei indietro tutti, sino all'ultimo penny.

Rivoglio il mio migliore amico!

Il mio migliore amico che mi teneva qui con lui, pur non avendo bisogno di alcun coinquilino con cui dividere le spese.

Il mio migliore amico che aveva bisogno di me, forse ancor più di quanto io avessi bisogno di lui.

Rivoglio il mio migliore amico...

 

Commenti disabilitati.

 

 

 

 

***

 

 

Mycroft fece irruzione nella stanza di suo fratello.

Era sveglio, la febbre era calata ed era parzialmente lucido.

Lo trovò immobile, di fronte ad un computer portatile.

Lo chiuse con una manata e si chiese quale dei suoi sottoposti fosse stato tanto idiota da darglielo.

Sherlock alzò lo sguardo verso di lui.

 

-Che cosa ho fatto, Mycroft? Cosa gli ho detto? Perché mi crede morto?- domandò.

 

Il maggiore chiuse gli occhi e si infilò il portatile sotto braccio.

Impiegò troppo tempo per formulare una risposta e questo fece andare Sherlock su tutte le furie.

Lo vide alzarsi e si beccò anche uno spintone, tanto che il pc si schiantò a terra.

 

-PERCHE' SONO INTRAPPOLATO QUI DENTRO?! CHE COSA HAI FATTO?!-

 

Mycroft sospirò mestamente.

Sherlock non ricordava nulla delle sue richieste, quindi, automaticamente, lui era diventato la carogna, quello che lo teneva prigioniero.

In tutto questo c'era un solo lato positivo: si sarebbe dimenticato ben presto anche di quella conversazione, com'era successo altre tre volte, tra quel giorno e il precedente.

Lo afferrò per le spalle con forza.

 

-Sherlock, ascoltami, ti sembrerà assurdo, ma sei stato tu a chiedermi tutto questo...- aveva già pronunciato quella frase e vedersi costretto a doverla ripetere per la quarta volta lo fece sentire... inutile.

 

-Non mi toccare! Che hai fatto al naso?! Te l'ha spaccato John?! Cosa diavolo ti sei messo in mente?! FAMMI USCIRE DI QUI IMMEDIATAMENTE!-

 

Mycroft gli diede le spalle, respirando profondamente per calmarsi a sufficienza.

 

-Che giorno pensi che sia, Sherlock?- gli domandò.

 

-E QUESTO COSA C'ENTRA?!-

 

Il maggiore si voltò di scatto. -RISPONDI ALLA MIA DOMANDA!- gridò.

 

Non era arrabbiato, ma doveva far capire a Sherlock che quel che gli aveva chiesto era importante.

L'altro, infatti, si zittì, ma continuò a guardarlo con sospetto.

 

-Il 3 o il 4 Aprile, non saprei dire con precisione.-

 

Mycroft sollevò il pc, lo riaprì e gli indicò la data della pagina del post di John, ancora aperta sul desktop.

 

-T-Tre Dicembre? Che cosa significa?- ora Sherlock appariva turbato e preoccupato.

 

L'altro gli tolse di nuovo il computer di mano. -Significa che non ho il tempo, né le energie per spiegarti un'altra volta tutto quanto.- disse, puntando alla porta.

 

-DA QUANTO TEMPO MI TIENI QUI DENTRO?! MYCROFT! NON OSARE ANDARTENE! MYCROFT! FAMMI USCIRE DI QUI, DEVO ANDARE DA JOHN!-

 

Chiuse le urla del fratello dentro quella stanza e si appoggiò all'uscio, serrando gli occhi e sbattendo un paio di volte la nuca contro la superficie, volontariamente, ma senza troppa violenza.

Stava perdendo il controllo e questo era inaccettabile... ma quel pomeriggio le cose sarebbero cambiate.

La tragedia era che non sapeva ancora se in peggio o in molto peggio...

 

 

N.d.A.: Eccoci qui alla fine di un nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto!

Un bacione,

Ros.

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Capitolo 14
*** "Ricerca" ***


Lestrade aveva tirato tardi al lavoro, quella sera, un caso di omicidio lo stava impegnando davvero molto.

Sbadigliò stancamente e si incamminò lungo il corridoio, più che deciso a tornare a casa e andarsene a letto.

 

-Ma che cazzo ha in testa la gente? È la seconda volta in pochi giorni che scoperchiano una tomba e questa volta hanno anche portato via il corpo!-

 

Il detective sussultò e si voltò di scatto verso i due agenti alle sue spalle.

 

-Di che stai parlando?- domandò al primo.

 

-Hanno di nuovo scoperchiato una tomba ad Highgate, signore, ma questa volta sappiamo chi è stato, i custodi hanno fatto mettere delle telecamere e ci hanno inviato immediatamente i video.-

 

Greg deglutì sonoramente. -Posso vederlo?- chiese.

 

I due agenti lo guardarono incuriositi, ma annuirono, scortandolo in un ufficio.

Bastarono i primi fotogrammi per permettere a Lestrade di riconoscere John, ma fece finta di nulla.

 

-Avete già identificato il soggetto?- domandò.

 

-No, ma ha una faccia familiare...- rispose uno dei due agenti.

 

-Me ne occupo io.- lo interruppe Greg, chiudendo la finestra del video e puntando alla porta.

 

-Ma signore... lei è della omicidi, non è di sua competenza...-

 

Si voltò con sguardo truce e inamovibile. -Ho detto: me ne occupo io. Buonanotte, agenti.-

 

 

***

 

 

-Ti prego, spiegami...- sussurrò Molly, coprendosi la bocca con una mano.

 

Erano giorni che non sentiva John e, all'improvviso, lui l'aveva chiamata in piena notte, praticamente ordinandole di aprire il laboratorio al Barts e di aspettarlo lì.

Gli aveva ubbidito, preoccupata e spaventata per la voce folle e piena di rabbia che gli aveva sentito usare.

Osservò agghiacciata l'amico sollevare il sacco nero che aveva trascinato sino al tavolo per le autopsie e schiantarlo sul piano metallico.

 

-J-John...- gemette, osservando i suoi abiti fradici e ricoperti di terriccio.

 

Lui la ignorò completamente e, con uno strattone, strappò la plastica, rivelando il volto di Jim Moriarty.

Molly quasi gridò, arretrando sino agli scomparti frigoriferi. Che cosa voleva fare?

John spogliò il corpo, tagliando via i vestiti e lanciandone i brandelli sul pavimento.

Prima si limitò ad osservare attentamente il torace del cadavere, analizzando con attenzione il foro d'entrata e poi, sollevando appena il corpo, anche quello d'uscita.

Solo a quel punto si voltò in direzione di Molly con un'espressione truce.

 

-Aprilo!- il suo tono di voce apparve quasi come un ringhio pieno di rabbia.

 

-John... ma cosa ti sei messo in mente? Il coroner della polizia ha già fatto l'autopsia di Jim. Sono passati nove mesi, cosa ti aspetti di trovare?-

 

-Sherlock mi ha mandato a riaprire la sua tomba, è l'ultima cosa che mi ha fatto fare, voglio capire perché! Muoviti!- gridò.

 

Lei sospirò e, ubbidiente, prese il bisturi dal tavolo degli strumenti.

Cercò di non guardare il volto di Jim, mentre affondava la lama nella sua carne, aprendo i punti della precedente incisione ad Y.

Era stato difficile per lei accettare che una persona squisita come Jim fosse, in realtà, un bugiardo, uno psicopatico assassino ed era ben conscia di non aver superato la cosa, ma non poteva negare a John il suo aiuto, benché stessero palesemente commettendo innumerevoli reati.

Deglutì e con mani tremanti sollevò gli strati di pelle e muscolatura, accartocciandoli ai lati del corpo, prese le tronchesi e tagliò le costole, scoperchiando la cassa toracica. Come prevedibile gli organi erano interamente avvizziti e avevano un colorito nerastro.

 

-Cosa stai cercando di preciso..?- domandò con tono flebile.

 

John si passò le mani sporche di terra tra i capelli. -Non lo so, qualsiasi cosa!- borbottò in risposta.

Afferrò un bisturi, non curandosi nemmeno di mettere i guanti e con un gesto netto e deciso sollevò il cuore, tagliando via i tessuti che lo tenevano al suo posto. Lo posò sul tavolo vicino, non curandosi di esaminarlo e rimosse anche il polmone sinistro, quello che il proiettile aveva perforato.

 

-John... metti i guanti...- mormorò Molly, ferma in un angolo ad osservarlo con apprensione.

 

Aveva visto decine, forse centinaia di cadaveri, ma quella situazione la turbava. Si era fidata di Jim, se n'era innamorata.

Ricacciò indietro le lacrime e mentre l'altro continuava meccanicamente a rimuovere gli organi si apprestò ad esaminarli uno per uno.

Sapeva da ancor prima di incidere il corpo che tutto quel lavoro sarebbe risultato inutile non solo per trovare qualcosa di insolito, ma anche solo per confermare il referto della precedente autopsia.

Era passato troppo tempo, inoltre il fatto che John non sapesse cosa cercare non aiutava.

I liquidi se n'erano andati, gli organi erano in pessime condizioni, l'acqua della piscina in cui era affogato Jim era stata raccolta in precedenza dal medico legale della polizia ed era probabilmente stata messa in archivio.

No, non potevano davvero fare nulla.

Sussultò quando John, alle sue spalle, ribaltò a terra il carrello degli strumenti e si appoggiò con le spalle al muro, sconfitto.

Lo vide portarsi le mani sporche al volto, prima di scoppiare in sordi e silenziosi singhiozzi.

Era arrivato alla sua stessa risoluzione: tutto quel lavoro era inutile.

Gli si avvicinò.

 

-John...- provò a posargli una mano sulla spalla, ma l'altro si scostò.

 

-Non mi toccare! Dobbiamo cercare ancora!- avanzò verso il corpo di Moriarty e riprese ad esaminarlo con crescente rabbia.

 

-CHE COSA GLI HAI FATTO, FIGLIO DI PUTTANA?!- gridò, iniziando a colpirgli il volto con violenza. -BRUTTO BASTARDO!-


Molly arretrò, uscendo dal laboratorio e gridò, quando si scontrò con Lestrade che, trafelato, era appena arrivato al Barts.

Non era un genio come Sherlock, ma arrivare alla soluzione che John avesse portato lì il corpo di Moriarty era elementare per chiunque lo conoscesse almeno un poco.

 

-Sta' tranquilla, sono io.- rassicurò Molly, ma si preoccupò quando la vide in lacrime.

 

Stava per chiederle spiegazioni, ma lei lo precedette.

 

-Ti prego... fermalo!-

 

Greg la lasciò in corridoio e fece irruzione nella sala autopsie.

John stava ancora colpendo il corpo di Jim, lo afferrò per le spalle, tirandolo indietro.

 

-Basta, John... basta...- gli sussurrò addolorato.

 

Il dottore si accasciò contro di lui, singhiozzando senza più alcun ritegno.

 

-D-Deve esserci qualcosa! DEVE!- rantolò.

 

-No, John... andiamo via, ti porto a casa.-

 

 

***

 

 

Mycroft entrò al 221B di Baker Street circa due ore dopo.

Greg e John erano nello studio, sedevano in silenzio, il primo preoccupato, il secondo con lo sguardo perso nel vuoto.

Si schiarì la voce per palesare la propria presenza.

 

-Mycroft... non pensavo che...-

 

-Mi hanno riferito il suo messaggio, detective. Sono qui per dire che ho provveduto a risolvere la situazione: i video del cimitero sono stati cancellati e i custodi indotti a non sporgere alcuna denuncia.- il maggiore degli Holmes guardò prima Greg e poi John. -Ovviamente, signori, quanto avvenuto non deve ripetersi una terza volta.- si voltò verso le scale, intenzionato a non perdere altro tempo.

 

-Come lo sa?- chiese John all'improvviso.

 

Mycroft si voltò. -Come so cosa?- chiese.

 

L'altro gli si abbatté addosso come una belva, schiantandolo con le spalle contro la parete.

 

-COME SA CHE ERAVAMO IN DUE LA PRIMA VOLTA?! COME SA CHE L'ABBIAMO APERTA?! GLIEL'HA DETTO SHERLOCK?!- gridò, torcendo con violenza la stoffa della giacca.

 

Greg si alzò e fece per avvicinarsi ai due.

 

-Lasci pure detective.- lo fermò Mycroft, spingendo indietro John. -Dopo aver ricevuto il messaggio, questa notte, ho visionato delle foto tra le carte di documentazione della prima denuncia mossa dal cimitero contro ignoti, dottore. Quelle foto ritraggono le vostre impronte sul terreno alcune corrispondono agli stivali che il detective Lestrade indossa anche in questo momento. Soddisfatto dalla deduzione o forse avrebbe preferito che l'avessi fatta in modo più teatrale?-

 

Lestrade si frappose tra loro prima che John perdesse di nuovo il lume della ragione.

 

-Forse sarebbe il caso che vi calmaste e la smetteste di pugnalarvi a vicenda.- intervenne.

 

-Mandalo fuori di qui e vattene anche tu.- ringhiò il dottore.

 

-Torni in terapia, John.- sibilò Mycroft, decisamente stanco ed esausto delle continue accuse dell'altro. Stava facendo quanto in suo potere per preservarlo, compreso evitargli un processo e delle possibili condanne per vandalismo, furto e vilipendio di cadavere.

 

-VACCI TU IN TERAPIA, STRONZO! È MORTO TUO FRATELLO E NON TE NE FREGA NIENTE! TU NON SEI UN ESSERE UMANO SEI UNA MACCHINA, SEI MALATO!-

 

Lestrade per pura prevenzione si tenne pronto ad afferrare John, all'occorrenza.

Mycroft, invece, si limitò a scendere le scale, ignorando completamente gli insulti che gli erano stati rivolti.

Risalì in auto e si stropicciò gli occhi.

Quella situazione era davvero insostenibile.

 

-La porto a casa, signore?- gli domandò l'autista.

 

-No, al laboratorio.- rispose, poi, notando che l'altro non aveva ancora richiuso il vetro che li separava si decise a dire. -Mi dica, Robert.-

 

-Posso parlare liberamente, signore?-

 

-Sì.-

 

-Non so di cosa si stia occupando, di questi tempi e so perfettamente che non me ne parlerà, segreti di stato non di mia competenza, suppongo, ma penso dovrebbe riposare.-

 

Mycroft scosse la testa, divertito, quelle premure da parte di un suo sottoposto erano inaspettate.

 

-Sono faccende personali, non di stato. Questo non significa che la renderò partecipe degli avvenimenti, ma grazie.- rispose.

 

-Tipico, signore.-

 

L'autista mise in moto senza risentirsi in alcun modo del comportamento del suo superiore, si limitò a portarlo dove aveva richiesto.

Mycroft entrò nello stabilimento e camminò a passo svelto lungo il corridoio, digitando poi la password d'accesso al laboratorio.

I suoi occhi si abituarono presto all'unica luce fredda che illuminava il letto di suo fratello.

Si sedette su una sedia e si limitò a guardarlo come aveva fatto anche le notti precedenti, senza chiudere occhio.

Occuparsi del fratello era sua responsabilità, la era sempre stata e la situazione gli era fin troppo sfuggita di mano, viste le conseguenze. Aveva fallito miseramente nel suo ruolo di fratello maggiore, ma avrebbe rimediato, forse.

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Capitolo 15
*** Sono passati sei mesi ***


The blog of Dr. John H. Watson

 

 

9 Giugno 14.50

 

Sono passati sei mesi:

 

Tempo...

Non scrivo da molto tempo e pensavo che non lo avrei fatto più, ma, insomma, in un certo senso ne avevo bisogno.

A questo punto credo sia d'obbligo un bel riassunto delle puntate precedenti.

Poco dopo la morte di Sherlock, giusto un paio di settimane, come vi avevo detto nell'ultimo post, mi sono trasferito, vivere a Baker Street era diventato insostenibile.

 

In quel primo periodo ho fatto cose... beh, discutibili.

Posso anche parlarne apertamente, visto che Mycroft si è occupato personalmente di non farmi avere problemi.

Ho scoperchiato la tomba di James Moriarty (due volte), ho rubato il suo cadavere, l'ho portato al Barts e l'ho aperto.

Non so cosa mi fosse preso, anzi, lo so perfettamente, stavo impazzendo di rabbia e di dolore.

Aprire la tomba di Moriarty era stata l'ultima cosa che Sherlock mi aveva chiesto di fare e pensavo di non aver notato qualcosa di importante, la prima volta, visto che ero furibondo con lui...

Invece non c'era proprio niente che non andasse in quel corpo. Certo, ripetere l'autopsia è stato decisamente inutile, ma, a conti fatti, mi sento di dire che quel cadavere fosse proprio quello di Jim Moriarty.

 

Una parte di me, lo confesso, si aggrappa alla folle utopia che non lo sia, così da poter dare un volto al colpevole della morte del mio migliore amico, ma le cose non stanno così.

L'ultima prova che si potrebbe fare sarebbe un test del DNA, sfortunatamente, però, non abbiamo nulla con cui far confrontare il DNA del cadavere, né impronte digitali.

 

Insomma, l'indagine per scoprire che cosa abbia portato Sherlock al suicidio non porta ad altro che immensi e incolmabili buchi nell'acqua.

 

Di tanto in tanto Mycroft si fa vivo, mi sono scusato con lui e sono anche un po' preoccupato per le sue condizioni.

Ci ho messo diverso tempo a rendermene conto, ma la morte di Sherlock ha colpito anche lui, in maniera diversa, certo, ma credo stia soffrendo molto più di quanto gli avessi mai visto fare.

Non è una macchina...

Mi sono comportato ingiustamente con lui, ma non solo, anche con Greg, con Molly e me ne dispiaccio molto.

Non se lo meritavano.

Oddio, forse Mycroft un pochino sì, ma gli altri sicuramente no.

Ok, ok, non riesco proprio ad essere obbiettivo su Mycroft, ma lui non sembra curarsene più di tanto, ha capito che sono alla continua ricerca di un capro espiatorio e gli sta bene interpretare quella parte.

Inizialmente la cosa mi insospettiva, pensavo che accettasse tutto perché, in realtà, mi stava nascondendo qualcosa, ma, in fin dei conti, penso che questo sia solo il modo più umano che conosce per starmi vicino, quindi, in un certo senso, lo apprezzo.

 

Per quel che riguarda Molly, invece, beh, non ho più avuto il coraggio di ripresentarmi di fronte a lei, dopo quel che l'ho costretta a fare quella notte.

 

Ti chiedo scusa, non avrei mai dovuto portarti il corpo di Jim, non avrei proprio dovuto coinvolgerti.

Ti ho spaventata a morte, non mi sono affatto preoccupato dei tuoi sentimenti e sono stato egoista.

Ancora scusa, insomma.

 

Greg, il mio avvoltoio personale.

Non avrei pensato che potesse esserci qualcuno ancor più pressante e presente di Mycroft e invece tu... tu non hai staccato (non stacchi?) gli occhi da me nemmeno per un secondo dalla sera della riesumazione del corpo di Moriarty.

Se la cosa non mi facesse piacere e tu non fossi un mio amico, avrei tutti gli elementi per denunciarti per stalking e vincere anche la causa.

Scherzi a parte, a te non devo solo delle scuse, sei stato il mio punto di riferimento principale in tutti questi mesi (riferimento spesso non voluto), quindi ti ringrazio.

 

Harry, grazie anche a te, sono contento che tu sia tornata (che volta è? La quinta?) dagli alcolisti anonimi, spero che funzioni, una volta per tutte.

Solo una cosa: se non ti chiamo ogni dannato giorno NON significa che sono morto, non c'è bisogno di avvertire la polizia, i pompieri, la guardia nazionale e i servizi segreti, semplicemente ho da fare, smettila di stare così in ansia per me, non ce n'è ragione.

Il peggio è passato.

Ora sto bene, davvero...

 

Beh, certo, fare questo lungo post in cui chiedo scusa a tutti non è che faccia proprio pensar bene, ma, rassicuratevi: NON ho alcuna intenzione di suicidarmi.

Al prossimo post che, credo, arriverà prima di sei mesi.

 

 

14 Commenti:

 

Oh, John, ma non ti preoccupare, davvero.

È tutto passato.

Quello è stato un momento molto difficile per te e per tutti noi.

Non c'è alcun motivo per avanzare recriminazioni, stavi soffrendo e sono felice di averti aiutato, nonostante tutto.

Non sei da solo e non sei l'unico a voler sapere cosa sia successo veramente. Sezionerò tutti i cadaveri che vorrai per te e per Sherlock, farò questo e tutto ciò che mi chiederai, perché sono dalla tua parte.

Mi manca, come manca a te, anche se tu non lo dici apertamente.

Senti, ti va di prendere un tea insieme uno di questi giorni?

Ah, sono davvero felice che tu abbia ripreso a scrivere.

 

Molly Hooper 9 Giugno 15.13

 

 

 

Molly... alle volte io mi chiedo se tu sia reale, o meglio, di questo pianeta.

Oddio, così più che un complimento sembra un insulto, è solo che la tua totale incapacità di provare rancore ed essere, invece, sempre così dolce mi lascia spesso perplesso, ma questo non significa che non l'apprezzi, anzi, ti ringrazio molto.

Verrò volentieri per un tea, facciamo mercoledì alle cinque?

 

John Watson 9 Giugno 15.24

 

 

Va benissimo, grazie a te, John.

 

Molly Hooper 9 Giugno 15.32

 

 

Avvoltoio e stalker? Certo che hai un modo tutto tuo per ringraziare, amico mio!

Ad ogni modo te lo dovevo e te lo devo per tutte le volte che mi hai ascoltato per i problemi con mia moglie.

Sono rassicurato dal fatto che tu sia uscito, o stia uscendo, da quel periodo anche se certe tue attività ancora mi preoccupano, John, ne abbiamo già parlato.

 

Greg Lestrade 9 Giugno 17.47

 

 

Sì, ne abbiamo parlato e, per l'ennesima volta: no, non lascerò perdere, Greg.

Su questo sono davvero inamovibile, in qualche modo devo pur occupare il mio tempo, non credi?

 

John Watson 9 Giugno 18.07

 

 

Mmmmh...

 

Greg Lestrade 9 Giugno 19.28

 

 

Hai dimenticato gli X-files, John.

Comunque non hai tutte le ragioni, eh!

Per un mese non ti sei fatto sentire ed io ero preoccupatissima, certo, avrai anche avuto i tuoi angeli custodi, ma un sms a tua sorella era troppa fatica?!

Mi hai fatto stare da schifo, John e sono l'unica persona a cui non hai chiesto scusa!

 

Harry Watson 9 Giugno 19.29

 

 

Scuuuusaaaa Harry!

 

John Watson 9 Giugno 22.12

 

 

Ma vaff..!

 

Harry Watson 9 Giugno 23.14

 

 

Mi sembra di stare ad una di quelle festicciole di Natale in cui i vari parenti ed amici non si vedono da mesi e si infamano per questo.

Niente da dire: è divertente.

 

Anonimo 9 Giugno 23.46

 

 

Credo tu abbia ragione.

 

John Watson 10 Giugno 00.51

 

 

Il parere autorevole di Mr. Holmes si può avere?

 

Anonimo 10 Giugno 03.57

 

 

Naah, non penso proprio che si sprecherebbe a scrivere un post.

Vado a dormire, buonanotte.

 

John Watson 10 Giugno 03.59

 

 

Notte a lei.

 

Anonimo 10 Giugno 4.08

 

 

 

 

***

 

 

-Come ti senti, oggi?-

 

Sherlock si voltò e sorrise. -Bene, direi. Continuiamo la partita?-

 

Mycroft si sedette al tavolo e osservò il fratello con occhi attenti, gli sorrise, anche se era tutt'altro che allegro.

 

-Certo.- rispose, muovendo la propria pedina sulla scacchiera.

 

Andava tutto bene, escluso il fatto che Sherlock era confuso e che la sua memoria era altalenante. -Che giorno è oggi?- gli domandò, incrociando le braccia al petto.

 

-E come pensi che faccia a saperlo? Chiuso qui dentro...-

 

Il maggiore sussultò, quella era una risposta inaspettata.

Di solito Sherlock rispondeva con riferimenti precisi più, o meno recenti, il giorno prima, ad esempio era il 16 Febbraio 1995.

 

-Come?- gli chiese, sorpreso.

 

Sherlock rise sarcastico. -Eppure non mi sembrava di aver detto qualcosa di difficile. Andiamo, da quanto mi tieni qui dentro? Fammi uscire, o scapperò.-

 

-Qual'è l'ultima cosa che ricordi?- indagò Mycroft, lasciando perdere la partita a scacchi e percependo l'adrenalina pompare lungo la sua spina dorsale.

 

-Jim Moriarty è morto. Non avendo una chiara percezione non posso dirti quanto tempo fa sia successo, la mia memoria va' e viene. Dov'è John? Anche lui è in combutta per tenermi chiuso qui dentro?-

 

Prematuro, tutto questo era prematuro e Mycroft lo sapeva.

Doveva tenere Sherlock sotto stretta sorveglianza, come minimo, per altri tre mesi.

Era un bene che stesse, piano piano, riprendendo lucidità, ma si era abituato a non prendere alla leggera le sue minacce di fuga, nel corso del tempo.

Prese un respiro profondo.

Era imperativo annullare del tutto il suo stimolo a uscire dalla struttura, ma come?

Bocciò le idee preliminari, non avrebbero funzionato, quindi continuò a pensare, fino a trovare, almeno su piano teorico, la corda giusta, anche se eticamente sbagliata.

Non aveva ulteriore tempo, Sherlock, di fronte a lui, già si stava spazientendo.

Mosse la torre, travolgendo il suo alfiere.

 

-Vuoi davvero saperlo?- gli chiese.

 

-Che domande! Certo che voglio saperlo!- esclamò Sherlock indignato.

 

-John se n'è andato...- mormorò il maggiore.

 

-Andato dove?-

 

Distolse volutamente lo sguardo, mostrandosi a disagio.

 

-V-Vuoi dire..?- la voce di suo fratello si era fatta improvvisamente flebile.

 

-Sì. Un incidente d'auto, un paio di mesi fa. Un ubriaco ha travolto il taxi....-

 

Sherlock si alzò di scatto e gli diede le spalle. -Perché..? PERCHE' NON LO RICORDO?!- gridò.

 

-C'eri anche tu su quel taxi, è per questo che sei qui, stai lentamente recuperando la memoria, se vuoi guarire del tutto devi restare. Non c'è più niente per te, là fuori, non adesso, quanto meno...-

 

Sherlock chinò il capo. -Io... Lasciami solo.-

 

Mycroft ubbidì, ma prima di lasciarlo lo osservò prendere il violino.

Si chiuse la porta alle spalle mentre delle note strazianti accompagnavano il suo passo.

Aveva toccato il fondo e, non contento, si era persino messo a scavare per arrivare più giù.

Era esausto, Mycroft, debilitato da tutte quelle menzogne sapientemente orchestrate.

Tutto stava andando bene, secondo i piani, Sherlock si stava riprendendo anche più rapidamente di quanto previsto.

Si era preparato all'eventualità di mentirgli, ma l'idea di far star male tutti lo faceva sentire sporco, benché fosse l'unica strada percorribile.

In quei mesi aveva ripercorso con Sherlock la sua infanzia, aveva coadiuvato il suo recupero partendo, di fatto, da zero, ritrovandosi, all'inizio, solo con un involucro vuoto quasi del tutto privo di ricordi.

Lo aveva aiutato a recuperarli passo dopo passo.

Presto, probabilmente da lì a poche settimane, giorni, forse, Sherlock si sarebbe reso conto del fatto che gli aveva mentito.

Ma avrebbe capito anche il perché?

No, la risposta era: no.

Non lo avrebbe capito, non subito e allora sì che avrebbe dovuto rafforzare la sorveglianza, ma, per il momento, ancora per poco, avrebbe potuto lasciare tutto com'era.

 

 

 

***

 

 

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

11 Giugno 10.33

 

Come ho passato il mio tempo:

 

 

Il nuovo appartamento è carino, mi ci trovo bene e, grazie all'eredità che mi ha lasciato Sherlock ho potuto permettermi di non lavorare più nemmeno un giorno, anche se penso che, prima o poi, riprenderò.

Ad ogni modo non sono stato con le mani in questo periodo, come ha facilmente lasciato intuire Greg nel suo commento al post precedente.

Sto seguendo un caso e, anche quello, va a rilento.

Non sono Sherlock, ma, nonostante questo, mi sono scoperto più capace di quanto avessi previsto di essere.

Un mio amico, tempo fa, mi aveva detto che un nostro conoscente comune dei tempi del liceo stava male e, pochi giorni dopo la morte di Sherlock lessi il suo necrologio sul giornale.

Ci misi del tempo per attivarmi e auto-convincermi a prendere in mano questo caso che, lo dico chiaramente, potrebbe anche non essere un caso, solo che... che ci sono delle circostanze e delle coincidenze che mi portano a dire: no, non lascio perdere, voglio arrivarne a capo.

 

Tutto cominciò un mesetto dopo la morte di Sherlock, quando, per puro caso, mi ritrovai a pensare ai tempi del college.

Di conseguenza mi tornò in mente anche Taylor Colter, quindi, senza preoccuparmene troppo, chiesi a Greg se poteva recuperarmi il suo indirizzo.

Inizialmente si mostrò contrario, ma non potei biasimarlo, insomma, non avevo tutte le rotelle al proprio posto e lui era, giustamente, preoccupato.

Gli spiegai la situazione e lui acconsentì.

A casa di Colter trovai sua madre e venni presto a sapere che i due vivevano insieme nello stesso stabile, anche se in appartamenti separati.

Parlare con lei mi provocò un bel tuffo nel dolore della mia perdita, non ero pronto ad ascoltare qualcuno che mi dicesse quanto fosse duro continuare a vivere dopo che un caro se n'era andato.

Strinsi i denti e ascoltai con una pazienza presa da chissà dove, tutti i ricordi di quella povera donna.

Mi tenne lì per ore e mi fece compassione.

Era una donna sola con un estremo bisogno di sfogarsi.

 

-E' tutta colpa di quella dottoressa, quell'incapace!- mi disse, a un certo punto.

 

Questo attirò la mia attenzione.

 

-Dottoressa?-

 

-Sì, era stata lei a diagnosticargli il diabete! Il diabete, al mio bambino! Lui che era uno sportivo! L'aveva rassicurato che con quelle iniezioni di insulina sarebbe stato meglio, invece... invece...- era scoppiata in singhiozzi e, bene o male, mi ritrovai a consolarla, combattendo in tutti i modi la tentazione di pensare a Sherlock e mettermi a piangere a mia volta.

 

Quando le dissi che anche io ero medico i suoi occhi si illuminarono e, ancora prima che potessi chiederli, mi portò tutti gli incartamenti delle analisi di Taylor, pregandomi di esaminarli e di cercare qualcosa, qualsiasi cosa, un minimo errore che le permettesse di farla pagare a quella dottoressa.

Ovviamente presi la cosa con le pinze, insomma, quella non era la prima volta che un congiunto se la prendeva con l'ospedale o con i dottori per la morte di un caro.

Anzi, era una condizione piuttosto solita.

Visto che si era fatto tardi le chiesi di poter portar via i documenti e lei acconsentì, mi ero dimostrato meritevole della sua fiducia e questo mi fece piacere.

Tornato a casa esaminai il tutto con attenzione, ci trascorsi la nottata che avrei, comunque, passato insonne a rigirarmi nel letto, quindi, tanto valeva...

Non vi trovai niente di insolito, erano dei normalissimi referti.

Decisi, comunque, di recarmi alla clinica privata St. Patrick, il giorno seguente, per parlare personalmente con la dottoressa, una certa Allison Cramer, per poi tornare dalla madre di Taylor e chiudere definitivamente la faccenda.

 

Ma le cose non andarono come previsto.

 

Una volta giunto alla reception della clinica chiesi se potevo incontrare questa donna e mi venne risposto che non c'era alcuna dottoressa Allison Cramer.

Domandai se si fosse trasferita altrove e se poteva essermi dato un recapito, ma mi dissero che, no, non avevo capito, lì non c'era mai stata una dottoressa con quel nome.

Tornai sui miei passi e ricontrollai i documenti.

Effettivamente i nomi sui referti rimandavano ad una mezza dozzina di altri dottori, ma nessuna Allison Cramer.

Ne parlai con Mrs. Colter e lei fece il diavolo a quattro, facendomi quasi pensare che suddetta dottoressa non fosse altro che una creazione della sua mente instabile.

In fin dei conti io avevo scoperchiato una tomba, aperto e preso a pugni un cadavere, decisamente una cosa ben peggiore che inventarsi una dottoressa.

 

-Lui teneva tutto sul computer!- mi comunicò e, afferratomi per un braccio, mi trascinò fuori dall'appartamento e mi fece entrare in quello di fronte, quello del figlio.

 

L'ambiente era in perfetto ordine, pulito.

Una casa normale, insomma.

 

-Lo accenda lei, io non so nemmeno come si faccia.-

 

Lo feci e, beh, in quel computer non c'era nulla.

No, non “nulla di rilevante”, proprio nulla.

Era stato resettato completamente.

La cosa mi apparve subito sospetta ma, in fin dei conti, non potevo sapere se, prima di morire, Taylor, magari, avesse avuto dei problemi con il computer.

Notai un'hard disk e provai a collegarlo, ma anche quello era vuoto.

 

-C'è qualcosa che non va...- mormorai e, non l'avessi mai fatto, perché la signora ricominciò da capo la sua filippica contro i dottori.

 

Avevo perso buona parte della mia empatia, in quel periodo, quindi la cosa mi infastidì, ma fu quando lei mi elencò con cura i sintomi di Taylor che decisi di occuparmi del caso.

 

  1. Spossatezza.

  2. Dolori diffusi

  3. Cefalea

  4. Disturbi della psiche

  5. Vuoti di memoria

  6. Inappetenza

 

Troppe coincidenze con i sintomi di Sherlock perché la mia mente potesse, semplicemente, ignorare la cosa.

Certo, come per Sherlock, sarebbe potuta essere qualsiasi maledetta malattia, ma a livello psicologico mi confortò molto intraprendere la risoluzione di questo caso.

Non potevo saperne di più di Sherlock, perché non avevo elementi a sufficienza, ma mi misi in testa di scoprire di Colter e smettere di passare le mie giornate a bere sul divano di fronte alla televisione.

Parlai a Mrs. Colter delle mie intenzioni di indagare e lei quasi mi benedì, nemmeno fossi stato un Angelo del Signore, mi disse che aveva provato più volte a rivolgersi alla polizia, ma che era sempre stata liquidata come una vecchia matta.

Che dire?

Forse eravamo in due ad essere matti...

 

Mi ci volle molto poco per rendermi conto che, dati alla mano, non avevo niente se non: una presunta dottoressa mai esistita, probabilmente partorita dalla mente della “mia cliente” (mi sento tanto Sherlock, parlando così...), un computer e un hard disk vuoti e tante, tantissime turbe mentali irrisolte (mie e della signora).

 

Nei mesi successivi parlai con molti degli amici di Taylor, compresa la mia ex-compagna che ora fa la prostituta d'alto borgo, ma non cavai un ragno dal buco e, no, non mi fece lo sconto, ma non essendo i soldi un problema, ormai, decisi che avevo bisogno di una serata diversa, lontano dal caso e lontano, soprattutto, dal fantasma di Sherlock.

 

Non fu nemmeno una gran serata, a dirla tutta, ma questa è un'altra storia...

 

Cercai in internet notizie su Taylor e capitai quasi subito nel suo sito internet.

Nulla di entusiasmante.
Insomma, cosa poteva esserci di entusiasmante nel sito di un campione di canottaggio?

Niente.

Tornai nel suo appartamento e lo esaminai con maggior cura, come Sherlock mi aveva, almeno un poco, insegnato a fare e scoprii un'intera stanza stracolma di medicinali di ogni genere.

Riparlando con i suoi conoscenti appresi che Taylor fosse ipocondriaco.

 

Non so ancora dire se questa sia un'informazione utile oppure no, fatto sta che ho parlato con tutte le persone che conosceva e sono a un punto morto.

Certo, potrei chiedere a Greg di farmi avere il permesso di riesumare il suo corpo, ma non credo che sarebbe risolutivo, anzi, probabilmente mi procurerebbe solo un occhio nero.

Vorrei fare delle analisi e penso che non avrei problemi ad ottenere il permesso da Mrs. Colter...

Una volta tanto potrei anche decidermi a chiedere aiuto a Mycroft, vedrò...

Comunque questo è quanto.

È così che ho passato gli ultimi mesi, lo so, il racconto non è entusiasmante come quando c'era Sherlock, ma è il meglio che possa offrirvi, date le circostanze...

 

Molly... per risponderti: sì, mi manca, ma reputo che sia superfluo dirlo e, forse, anche un po' inutile, perché non lo riporterà indietro.

Ci vediamo domani pomeriggio per il tea.

 

 

 

8 Commenti:

 

Devo ammettere che questa sua propensione a scoperchiare tombe mi inquieta, dottore. Per il resto sono felice che lei si sia rimesso in moto e aspetto nuovi sviluppi.

 

Anonimo 11 Giugno 11.25

 

 

Sto cercando un modo rapido e incisivo per dirti: SCORDATELO, John!

 

Greg Lestrade 11 Giugno 15.08

 

 

In che casini ti stai cacciando, John?!

 

Harry Watson 11 Giugno 15.35

 

 

@ Anonimo: sperando che ci siano questi nuovi sviluppi... Nei prossimi giorni dovrei incontrare il grafico che ha fatto il sito di Taylor, ormai è l'unica persona con cui non ho parlato, anche se non riesco a contattarlo in alcun modo.

@ Greg: vorrà dire che lo ruberò, tanto ho Mycroft sulla spalla.

 

@ Harry: fatti una camomilla.

 

John Watson 11 Giugno 16.43

 

 

Io ti arresto, ti chiudo in una cella e butto via la chiave.

 

Greg Lestrade 11 Giugno 16.57

 

 

Ah! Ah! Ah! Non lo faresti mai!

Hai da fare stasera?

 

John Watson 11 Giugno 17.05

 

 

Scommettiamo?

Se hai intenzione di andare a profanare cimiteri, sì, devo venire ad arrestarti, se è per una birra, no problem.

 

Greg Lestrade 11 Giugno 17.07

 

 

Vada per la birra, allora.

 

John Watson 11 Giugno 17.10

 

 



N.d.A.: Signori, sono partita con l'idea di non sapere cosa scrivere in questo capitolo e, alla fine, è risultato il più lungo fra tutti.

Manca poco alla fine, due, forse tre capitoli e, come al solito, sono vittima della malinconia che mi prende ogni qual volta raggiungo la dirittura d'arrivo.

Spero che vi sia piaciuto.

Un bacione,

Ros.

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Capitolo 16
*** Come non farsi i fattacci propri ***


The blog of Dr. John H. Watson

 

 

15 Giugno 6.50

 

Come non farsi i fattacci propri:

 

Scrivo dal Macbook di Sherlock, non lo avevo mai aperto, prima d'ora, anche se l'ho portato via da Baker Street quando me ne sono andato.

Non so cosa mi aspetto di trovarci, sorprendentemente non è protetto da alcuna password ed io che pensavo di ammattire solo premendo il tasto di accensione.

Il suo computer è spoglio, senza fronzoli, uno strumento, non c'è nulla che si possa considerare personale: nessuno sfondo personalizzato, nessun browser specifico (li usava tutti)...

Sono rimasto fermo a guardare la schermata di OSX Lion a lungo, prima di decidermi a controllare le sue cartelle.

Dico sin da subito che non sono fiero di quello che ho fatto, io rispetto la privacy delle persone e nel rovistare nel suo computer mi sono sentito come un ladro.

Ho persino letto i suoi appunti sui differenti tipi di tabacco e, no, anche se lui è morto, il mio punto di vista resta uguale: è la cosa più noiosa che mi sia capitato di vedere.

 

A parte questo non ho molto altro da dire, oggi, la mia vita sembra essere tornata allo stesso tenore di noia e apatia che mi perseguitava prima di conoscere Sherlock.

Non succede niente, benché io stia seguendo un caso, che, ci tengo a ricordarlo, non va da nessuna parte.

 

Ok, ho lasciato il post a metà, anche se voi non potete rendervene conto e ho controllato le email di Sherlock.

Non lo avrei fatto se l'icona in basso a sinistra non mi avesse comunicato l'arrivo di un nuovo messaggio.

A parte mesi e mesi di email di spam tra le più disparate, dalle prostitute russe, alle carte di credito, agli aggeggi per allungare il pene (Gesù, questa cosa era una scemenza vent'anni fa!), ho trovato ben poche email che lui avesse aperto.

 

Greg, mi spiace, quelle che gli hai mandato tu erano tutte ancora chiuse, ma credo ci fossi abituato, lui si comportava così con te, in fondo.

Si comportava così anche con me, a onor del vero, ma con gli sms, non credo di avergli mai scritto un'email.

 

Non ho ancora aperto quelle che ha letto, continuo ad essere combattuto dagli scrupoli morali.

Scrupoli che Sherlock non si farebbe.

 

Ok, ne ho aperte un paio di possibili clienti di cui non mi ha mai parlato, forse perché i casi non erano niente di che.

Ammetto di essere un po' sconfortato da questa mia ennesima ricerca infruttuosa.

Mi aspettavo di trovare qualcosa nel suo Macbook, qualsiasi cosa inerente ai suoi ultimi mesi di vita, ma c'è ben poco.

 

Oh, ha inviato un libro a suo fratello, “Ventimila leghe sotto i mari” mai letto e non lo farò di certo adesso.

Quindi, dietro a uno schermo, erano anche in grado di non freddarsi di frecciatine a vicenda.

Buono a sapersi anche se il testo mail dice ben poco: ti ricordi quella festa in maschera del 10 Agosto 1981?

Mycroft, ovviamente, non ha risposto.

Ho controllato la data e... ed è il pomeriggio della sua morte, questo spiega perché non gli abbia risposto.

Che sia stato un ultimo messaggio di addio..?

 

Io...

Perché a Mycroft un libro e a me quel video?

Non capisco, mi esplode il cervello.

 

Ho letto tutto quel che c'era, eccetto un'ultima email che lui nemmeno ha aperto, inutile dire che mi sento sempre più frustrato.

 

Oh, Cristo!

Scusate, devo uscire!

 

3 Commenti:

 

Oh, Cristo” cosa, John? Dove stai andando?

 

Greg Lestrade 15 Giugno 08.22

 

 

John? Sei impazzito del tutto? Che hai trovato su quel computer? Mi rispondi al telefono???

Harry Watson 15 Giugno 09.22

 

 

Immagino che il nostro tea delle cinque salterà, non ti preoccupare, chiamami quando puoi e non far preoccupare gli altri.

 

Molly Hooper 15 Giugno 15.48

 

 

 

 

***

 

 

John uscì di casa e salì su un taxi.

Non poteva crederci, aveva una pista!

Quell'email che Sherlock non aveva aperto conteneva, inspiegabilmente, un referto medico di Taylor Colter, fatto in un centro analisi diverso da quello dove aveva svolto le precedenti.

Nel suo sangue era stato riscontrato un'assenza quasi totale di B12.

Prima di recarsi all'indirizzo del mittente, tornò dalla signora Colter.

 

-Forse ci siamo, signora!- gli aveva detto, talmente euforico da spaventarla un poco.

 

-Chi gli faceva le iniezioni per il diabete e dove sono le fiale?- domandò, una volta dentro l'appartamento del ex-compagno di college.

 

-G-Gliele facevo io...- balbettò la donna. -Le spiace spiegarsi?-

 

Oh, no, John non aveva tempo di spiegare, per la prima volta e, forse l'unica nella sua vita, riusciva a comprendere Sherlock, o, per meglio dire, a comprendere l'euforia che lo coglieva durante la risoluzione di un caso, quando ci si trovava ad un passo dalla fine.

Non aspettò la risposta della donna, né le sue continue domande ed entrò nella stanza dove Taylor era solito tenere i suoi medicinali.

Buttò a terra molte cose nella sua febbrile ricerca.

 

-ORA BASTA! SE NON MI SPIEGA CHIAMO LA POLIZIA!- gridò Mrs. Colter.

 

Trovò le fiale di insulina e afferrò la donna per le spalle.

Sorrise, colto dall'ebrezza dell'adrenalina che gli pompava in corpo.

 

-Giuro che le spiegherò tutto! Non adesso, devo far analizzare queste fiale al più presto.-

 

Corse via e scese in strada.

Si era scatenato un temporale nel frattempo, pioveva a dirotto e, come prevedibile, non c'erano taxi in vista.

Non se ne curò e proseguì a piedi.

Aveva percorso quasi un isolato quando una Citroen C3 rossa lo affiancò, abbassando il finestrino.

 

-Ehi, serve un passaggio?-

 

John si voltò. -Oh, è lei!- disse con un sorriso sorpreso, prima di fare il giro della macchina e salire a bordo.

 

-Non capita spesso di trovare qualcuno che ti dia un passaggio, la ringrazio.-

 

-Si figuri. La spia dice che non ha chiuso bene la portiera.-

 

Il dottore si voltò e la richiuse per bene, ma quando fece per tornare a guardarsi al fianco percepì chiaramente il leggero dolore di una puntura al collo.

 

-Cosa?!-

 

-Shh, stia tranquillo, John, è solo un narcotico, dormirà per qualche ora...- gli venne detto con tono rassicurante.

 

-Lei?!- rantolò, mentre già la sua vista si faceva più sfuocata e le sue percezioni più ovattate.

 

L'ultima cosa che percepì fu una mano che gli sfilava il cellulare dalla tasca dei jeans e lo lanciava fuori dal finestrino.

Era stato fregato.

 

 

 

 

***

 

 

11 Commenti:

 

 

John, per la miseria! Rispondi a quel telefono! Dove sei? Guarda che chiamo Mycroft!

 

Greg Lestrade 15 Giugno 17.20

 

 

Accidenti che minaccia, ispettore.

 

Anonimo 15 Giugno 18.03

 

 

Senti, imbecille, non so chi tu sia, ma mi sono stufato dei tuoi commenti inutili! Se sai qualcosa di John, parla, altrimenti risparmiaci.

 

Greg Lestrade 15 Giugno 18.15

 

 

Bellicoso...

Potrei, in effetti, ma credo che tacerò comunque.

 

Anonimo 15 Giugno 19.45

 

 

No, la prego, Anonimo, se sa qualcosa lo dica! Greg, per piacere!

 

Harry Watson 15 Giugno 20.12

 

 

Non credo che ti risponderà.

 

Greg Lestrade 15 Giugno 20.14

 

 

Questo perché tu l'hai trattato da schifo! Impara a cucirti la bocca!

 

Harry Watson 15 Giugno 20.15

 

 

Chiamo Mycroft.

 

Greg Lestrade 15 Giugno 22.15

 

 

 

 

***

 

 

-Stava guardando delle email, prima di uscire. Controlli il computer, io guardo in giro.-

 

Lestrade era agitato, palesemente agitato.

Mycroft, invece, manteneva la sua calma serafica.

In realtà era stufo marcio dei colpi di testa di John e non era solito lasciarsi andare a futili allarmismi in merito.

Mosse il pad e aprì le email di Sherlock.

Già, Sherlock... in quegli ultimi giorni era stato impossibile persino indurlo a mangiare.

Certo, gli aveva tolto lo stimolo a cercar di scappare, ma non aveva tenuto in conto gli effetti collaterali della sua menzogna.

Decise di soprassedere.

 

-Detective, credo di sapere dove sia andato.- disse con tono annoiato, annotando mentalmente l'indirizzo del mittente di quel referto medico. -E' inerente al caso che stava seguendo.-

 

Uscirono dal piccolo appartamento e salirono sulla macchina di Lestrade, altro elemento che a Mycroft diede non poco fastidio, dato che era abituato a ben altre comodità durante i suoi spostamenti.

 

-Lei come sta?- la domanda del detective non gli giunse del tutto inaspettata, ormai era palese dal suo aspetto fisico che non se la stesse passando bene, nonostante questo, rispose:

-Bene.-

 

Greg non insistette, ma gli lanciò uno sguardo preoccupato.

 

-Pensi a guidare...- borbottò Mycroft scocciato.

 

Arrivarono all'appartamento di Mr. Sandler verso le undici e mezza, ma non si fecero scrupoli a disturbarlo e ad irrompere nel suo appartamento.

 

-Siamo della polizia.- esordì Lestrade. -Vorremmo farle qualche domanda.-

 

-A quest'ora?- obbiettò l'uomo, visibilmente assonnato.

 

Mycroft prese in mano la situazione. -All'incirca sette mesi fa lei ha mandato un email a Sherlock Holmes, contenente i referti medici di un certo Taylor Colter. Perché ha inviato quell'email? Come ne è venuto in possesso? Conosceva il defunto Mr. Colter?-

 

-Accomodatevi...- bofonchiò quello.

 

-No.- si oppose Greg. -Non abbiamo tempo.-

 

-Ok, ok. Non conoscevo questo Colter, l'email me l'ha girata un mio amico, Dan Bennet. A quel che ne so aveva fatto un sito per Colter e, insomma, Dan ha sempre avuto il brutto vizio di farsi gli affari degli altri, compresa questa volta. Quando mi girò l'email mi disse che c'era qualcosa di strano in quella questione. Parlò di diabete, di iniezioni, cose che gli aveva detto quell'altro tizio là, me ne disinteressai, fu mia figlia a farmi mandare quell'email, segue i casi di quei due svitati da sempre, cotte adolescenziali, sapete? Mi diede il tormento, ma quello Sherlock non rispose mai e adesso è morto, pace all'anima sua. Mia figlia è stata in lutto per mesi.-

 

Mycroft inspirò profondamente, tanto che Lestrade lo guardò allarmato, ritenendo che non fosse semplice per il maggiore degli Holmes sentir trattare quell'argomento con tanta leggerezza e irriverenza.

 

-L'indirizzo di Bennet.- lo sentì dire con tono fermo.

 

-Non credo che lo troverete, è da un po' che non si fa sentire nemmeno con me. Alle volte sparisce, quando finisce in casini troppo grossi... succede, impicciandosi negli affari altrui. Gliel'ho detto mille...-

 

-Silenzio!- Mycroft stava visibilmente perdendo la pazienza.

 

Greg lo afferrò per un braccio, tirandolo indietro.

 

-Mi dia quell'indirizzo e la faccia finita.- disse a Sandler con aria vagamente minacciosa.

 

Riuscirono, finalmente, a farselo dare, dopo qualche altro minuto di chiacchiere inutili e di velati insulti sui modi sgarbati della polizia.

Prima di andare, tuttavia, Lestrade fece un'ultima domanda.

 

-E' venuto qualcun altro a farle domande?-

 

Sandler scosse la testa e poi richiuse la porta.

Si recarono all'indirizzo, trascorrendo il viaggio in completo silenzio.

Mycroft appariva nervoso, come ansioso di sbrigare quella faccenda al più presto possibile.

Ed era vero, voleva tornare al laboratorio per provare, per l'ennesima volta, a parlare con il fratello che, in quei giorni, lo aveva totalmente tagliato fuori.

Non era tanto una questione di disagio per la parziale rottura del loro rapporto fraterno, in realtà era preoccupato per il suo recupero.

Scesero dalla macchina e imboccarono il vialetto della casa di Bennet.

Al loro insistente suonare il campanello non ottennero alcuna risposta.

 

-Che facciamo?- domandò Lestrade.

 

Mycroft infilò lestamente una mano sotto la sua giacca estiva e gli sfilò la pistola dalla fondina, sparando alla serratura senza tante cerimonie.

 

-Ma è impazzito?! Ci avranno sentito tutti!-

 

-La gente presta molta poca attenzione a questo genere di eventi, detective, penseranno a dei ragazzini, li malediranno, imprecando alla finestra, e torneranno a dormire come se nulla fosse.- lo rassicurò il maggiore degli Holmes, spingendo la porta con la punta delle dita.

 

-Holmes...- borbottò Lestrade, scuotendo la testa, incerto se essere divertito o esasperato.

 

Entrarono nella casa.

 

-Oh, Cristo!- gemette Greg, coprendosi il naso con la manica per ovattare un poco il cattivo odore.

 

Mycroft non fece una piega.

 

-Direi che questa volta Mr. Bennet si è impicciato degli affari sbagliati. La cosa non mi sorprende.-

 

 

***

 

 

Sherlock era in piedi, accanto al tavolo, immerso nel buio.

Sapeva perfettamente quanto distasse il letto dalla sua posizione, ma non aveva voglia di raggiungerlo.

Non era più riuscito nemmeno a suonare il violino.

John era morto...

Non riusciva a crederci, non voleva crederci.

Per un incidente d'auto, poi.

Assurdo. Illogico. Inspiegabile.

Normale.

La porta di fronte a lui si spalancò e venne accecato dalla luce. Si riparò gli occhi con un braccio, cercando di abituare la vista, ma, per lunghi istanti, riconobbe solo una sagoma nera indistinta, sfuocata nella luce bianca.

 

-Quando un pettirosso finisce in gabbia si indispettisce il cielo, anzi si arrabbia. Red Dragon. Bel film. Ti sono mancato?-

 

 

 

 

N.d.A.: Eccoci qui un passo avanti verso la fine. Che dire? Grazie per essere ancora qui a seguirmi.

Un bacione,

Ros.

 

 

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Capitolo 17
*** "Code solved" -I parte- ***


Sherlock si voltò, dandogli le spalle.

 

-Non sembri sorpreso.- si sentì apostrofare.

 

-Non lo sono, infatti. Quelli come te non restano morti a lungo, Jim.-

 

-Mpf! Allora, come te la passi in questo periodo di “prigionia volontaria”?- Jim si sedette al tavolo degli scacchi, guardandosi intorno con occhi rapaci.

La penombra non lo disturbava affatto.

 

-Come hai fatto ad entrare?-

 

Quello sbuffò. -Passando attraverso le pareti.- bofonchiò. -Avevo dei vecchi agganci.- aggiunse, poi.

 

-Banale.-

 

-La tua domanda era banale!-

 

Sherlock gli scoccò un'occhiata. -Che vuoi da me?-

 

Jim sollevò la regina nera, facendola ondeggiare tra le dita. -Ho decifrato il tuo codice...- disse, annoiato.

 

-Quale codice?- domandò Sherlock.

 

L'altro ignorò la domanda. -“Tieni fuori John. Digli che sono morto.”- si limitò a citare.

 

-E' John ad essere morto.- il tono di Sherlock uscì gutturale.

 

Moriarty rise. -Immagino che questo tocco da maestro sia riconducibile a Mycroft, giusto? Ingegnoso. Credo che tuo fratello abbia sbagliato lato della barricata, sai?-

 

-Non so di cosa tu stia parlando!-

 

Jim decise di piegarsi al suo gioco, o ad il suo ipotetico bluff. -John è vivo, per il momento, ma non so proprio garantirti per quanto ancora manterrà questo stato. Si è divertito a pestare i piedi ad una persona un poco... volubile, diciamo.-

 

Sherlock iniziò a far avanti e indietro, cercando di ragionare.

Mycroft gli aveva parlato di un incidente d'auto, ma anche solo il semplice fatto che Jim Moriarty fosse lì, vivo e vegeto, di fronte a lui, smentiva in modo lapalissiano quella storia traballante.

 

-Puoi smetterla con la pantomima...- cantilenò l'altro.

 

Attimi di silenzio.

 

-Davvero non stai recitando? Che succede? Qualche elemento del tuo piano delirante è andato storto?-

 

Sherlock lo fulminò con lo sguardo, ma restò in silenzio.

A Moriarty piaceva parlare, auto-compiacersi di se stesso.

Per sapere a cosa si riferisse di preciso avrebbe solo dovuto aspettare.

 

-Ok, ok. Ti dice niente 0011?- gli domandò Jim, puntellandosi al tavolo con i gomiti. -Ed anche: “Ventimila leghe sotto i mari”?

 

Sherlock sussultò. 0011 era la chiave di crittografia di un vecchio codice che lui e Mycroft erano soliti usare da ragazzi, mentre Ventimila leghe sotto i mari era il libro che suo fratello gli leggeva quando era piccolo.

Dettagli troppo specifici e precisi perché Jim stesse, semplicemente, tirando ad indovinare.

 

-No.- rispose, nonostante tutto, rimanendo in attesa del prossimo dettaglio.

 

L'altro corrugò le sopracciglia. -Non insultare la mia intelligenza.

0011 1011 0111

0012 0011 0112

0012 0011 0012

0012 0012 0011

0012 0011 0112


0012 0011 0021

0012 0012 0122

0012 0012 0012

0012 0012 0111

0012 0011 0112


0011 0122 0111

0012 0012 0012

0012 0011 0111

0012 0012 0011

0011 0111 0121 e così via.

Ci ho messo un po' a risolverlo, senza la chiave di crittografia, ma una volta ricavata quella, beh, è risultato quasi banale, elementare, il gioco di due ragazzini. È un codice piuttosto vecchio, dico bene? Lento e noioso, decisamente poco pratico.-

 

Sherlock sorrise. -E, sentiamo, come lo avresti risolto?- chiese, dando implicitamente chiara conferma alle domande di Jim.

 

Non gli importava che il codice suo e di Mycroft fosse stato risolto, voleva sapere il contenuto del messaggio ed era pronto anche a blandire Moriarty, pur di comprendere che cosa fosse realmente successo.

 

-Con un metodo molto empirico: con schema totalmente casuale, vocali, consonanti e punteggiatura, talvolta non sono in Times New Roman, font del testo, bensì in Bodoni, due caratteri molto simili, ma distinguibili con un occhio attento.

La somma totale di questi caratteri mascherati è di 10.440 sparsi lungo la totalità del libro. Notai quasi subito che il numero fosse divisibile per dodici, ma questo mi portò, temporaneamente, ad un vicolo cieco, benché ci fossi andato più vicino di quanto pensassi, in quanto 10.440/12= 870, ovvero la cifra totale dei caratteri del tuo messaggio decodificato.

Riflettei... dodici, dodici... divisibile per tre e per quattro.

Scelsi tre, ingannato dalla presenza di tre elementi: vocali, consonanti e punteggiatura: altro vicolo cieco.

Era rimasto solo il quattro, quindi organizzai il testo in gruppi di quattro, tuttavia avevo solo tre elementi, non quattro. 1, 2, 3: nessuna risposta accettabile; 0,1,2: binario con crittografia.

A quel punto andai a tentativi fino a trovare la combinazione corretta: le vocali corrispondevano all'1, le consonanti allo 0 e la punteggiatura al 2.

Fatto questo fu semplicissimo trovare la chiave di crittografia: dovevo solo sottrarre un numero che mi consentisse di ottenere dei numeri binari puri. Ad onor del vero mi bastò guardare il numero di quattro cifre più basso presente nel testo, ovvero: 0011. Dovetti, quindi, solo togliere 0011 a tutti i gruppi di quattro e ottenni dei binari convertibili in altri numeri decimali che, raggruppati in tre danno il corrispettivo delle lettere in Ascii ed eccomi servita la chiave su un piatto d'argento. Et voilà!- concluse Jim con un sorrisino soddisfatto.

 

-Corretto.-

 

-Solo “corretto”?- Jim sembrò deluso.

 

-Lo hai detto tu, era elementare.- sogghignò Sherlock.

 

-Toglimi una curiosità: Mycroft, ovviamente, conosceva la chiave (ah, nel caso te lo stessi chiedendo: ho hakerato il tuo indirizzo email, da lì ho preso il testo), ha a che fare con “la festa in maschera del 10 Agosto 1981”, questo è chiaro, ma cos'era di preciso?-

 

Sherlock scrollò le spalle. -Il mio travestimento: Edward Teach, meglio conosciuto come Barbanera. E=9, d=8, w=1, a=5, r=7, t=3, c=0, h=2, numeri e lettere concordati a caso tra me e Mycroft. 57=5+7=12=1+2=3 che in binario è 11=0011. Cosa diceva il messaggio?-

 

L'altro sbuffò, annoiato. -Capisco.- poi lo recitò a memoria. -“Tieni fuori John.

Digli che sono morto.

 

Bombardamento di antibiotici e antivirali, comportati come fosse una meningite. demolisci il mio organismo, debella possibile virus, alza temperatura a livelli critici.

 

Totale interruzione funzioni sinaptiche => Morte cerebrale dell'individuo 1.0 (cessazione di ogni impulso elettrico, spegnimento della macchina/cervello, blocco ponti sinaptici) impedimento della produzione di mielina che riveste gli assoni (indurre un deficit enzima Arisulfatasi A; Contemporaneamente: Blocco sistematico Nodi di Ranvier, impiego dell'interferenza-RNA per impedire l'espressione della gliomedina. Oppure: distruzione dello schema della gliomedina, mediante proteina solubile contenente il dominio extracellulare della neurofascina=> Riavvio del programma. Reimmissione dell'impulso elettrico tramite collegamento neuronale diretto da altro cervello attivo. Risveglio e applicazione dell'individuo 2.0.

Previsto totale recupero del bagaglio mnemonico.

 

Sherlock”. In breve hai chiesto a tuo fratello di scoperchiarti il cranio, spegnerti il cervello, scoperchiarlo a qualcun altro (vivo) e fare un collegamento. Un po' come si riavvia la batteria di una macchina e comportare, così, un reset di sistema. Pura fantascienza, non mi meraviglio che tu abbia voluto “tener fuori John”, ti avrebbe sparato lui. Il tuo fratellone, invece, ti ha dato corda, sorprendente. Come hai fatto davvero? La tua teoria non ha né capo né coda.- Jim si alzò e gli si avvicinò, sollevando una mano per scostargli i capelli, in quei mesi ricresciuti a sufficienza da occultargli il cranio.

 

Sherlock gli afferrò il polso malamente e glielo spinse via. -Ti terrai la curiosità.- sbottò.

 

La realtà era che non ne aveva idea.

Nonostante questo, era d'accordo con Jim: non aveva proprio né capo né coda.

 

L'altro scosse la testa, divertito e scrollò le spalle. -Ok, in fin dei conti non mi interessa.-

 

-Chi ha preso John? Che ha a che fare con lui e con me?-

 

-Ma mi sembra ovvio: è la stessa persona che avevo ingaggiato per farti ammalare. Ha fatto davvero un lavoro brillante. Sfortunatamente non ha avuto la decenza di morire quando io avevo deciso che lo facesse.-

 

-Già, certa gente è proprio sgarbata.- ironizzò Sherlock.

 

-Collaboriamo.-

 

-Prego?-

 

-Sai? Essere ufficialmente morto limita decisamente il mio campo d'azione, quindi devo accontentarmi del primo che passa.- ribatté Jim, seccato dal doversi ripetere.

 

L'altro tentennò, incerto.

 

-Tic, tac, tic, tac, le lancette scorrono, Sherlock, John potrebbe non avere molto tempo.-

 

-Andiamo.-

 

 

***

 

 

John socchiuse gli occhi con un lamento.

Era legato a una sedia con le braccia bloccate dietro la schiena.

Sbatté le palpebre, guardandosi intorno.

Si trovava in una vecchia fabbrica dismessa, simile a quelle in cui era solito portarlo Mycroft.

 

-Oh, ti sei svegliato. Posso darti del tu, vero, John?-

 

Lui si voltò bruscamente verso destra, riconoscendo chiaramente l'infermiera gentile che gli aveva permesso di vedere Sherlock, in ospedale, prima che morisse.

Appariva decisamente meno giovane, in quel momento ed anche meno attraente.

Corrugò le sopracciglia, confuso.

Di fatto non sapeva nemmeno che cosa chiedere.

 

-Ti verrò incontro: puoi chiamarmi Allison Cramer. Certo, non è il mio vero nome, ma credo possa guidarti nella giusta direzione.-

 

-Tu hai ucciso Taylor Colter?!-

 

-Tra gli altri... Difficilmente saresti potuto riuscire ad arrivare vicino a sufficienza da diventare pericoloso, per me, ma ho voluto premiare il tuo zelo, dottore, mi hai fatto tenerezza.-

 

-Perché lo hai fatto?- ringhiò John, dando uno strattone alle corde che lo tenevano legato.

 

Lei si sedette a terra di fronte a lui. -Non te ne frega niente di Colter, lo so io, come lo sai tu. Fa' la domanda giusta.-

 

L'uomo rifletté per qualche istante. -S-Sherlock...- balbettò con un filo di voce. -TU HAI..?!-

 

-No, ha fatto tutto da solo, di fatto.- lei si rialzò con un sorrisino, prese il cellulare dalla tasca e digitò qualcosa, prima di rispondergli. -Io mi sono solo limitata a trovare la neurotossina degenerativa più indicata per lui e a modificarla cosicché rispondesse solo ai suoi ritmi biologici: alimentazione, mancanza di sonno, nicotina... La parte più piacevole del lavoro fu osservarlo cercare una soluzione. Ha distrutto il suo organismo, giorno dopo giorno con ogni tipo di sostanza, dalle medicine alle droghe, sino a ritrovarsi in un vicolo cieco. Era prevedibile che una persona tanto votata all'azione si ingegnasse in tutti i modi senza considerare la soluzione più ovvia: non doveva fare assolutamente nulla. La neurotossina sintetica che abbiamo posto nell'acqua della piscina è, infatti, un prototipo non soddisfacente, i cui effetti svaniscono dopo pochi mesi di riposo quasi totale. Se solo fossi riuscito a tenerlo fermo, John, non ci troveremmo qui, adesso. Per quel che riguarda Colter, spiacente di deluderti, con Sherlock non c'entrava assolutamente nulla. Iniziai ad occuparmi del suo caso tre anni fa, quando ancora ignoravo la vostra esistenza, non potevo prevedere che ti saresti intestardito tanto. Volevo testare quale fosse il tempo di deterioramento dell'organismo umano in carenza di B12. Mettere in atto quel piano fu semplice, Colter era ipocondriaco e pendeva dalle mie labbra. Essendo tu stesso un dottore sai bene il legame di dipendenza che si crea tra un ipocondriaco e il suo medico.-

 

-Quindi lo hai convinto a farsi fare delle iniezioni direttamente nello stomaco dalla madre, sostituendo l'insulina con dell'alcool. Ovviamente Mrs. Colter era troppo ignorante per capire la differenza.- intervenne John.

 

-Molto bravo. Ovviamente occupandomi personalmente delle sue analisi, modificai, di volta in volta, il risultato. Sfortunatamente, però, Taylor iniziò a dubitare di me e fece delle analisi in un altro centro. Quindi, dovetti ucciderlo. Niente di doloroso, solo uno dei tanti banali “attacchi cardiaci” che uccidono misteriosamente molte persone. Cancellai tutto il materiale presente sul suo computer e scoprii solo successivamente che aveva un grafico impiccione intorno. Levai di mezzo anche questo Bennet, giusto per scrupolo e cessai di essere Allison Cramer, ma, evidentemente, qualcosa dev'essermi sfuggito, visto che quell'email è arrivata nientemeno che a Sherlock Holmes.-

 

John chinò il capo, livido di rabbia, mentre silenziosamente cercava di divincolare i polsi per potersi liberare. -Perché..?- chiese, ancora.

 

-Lavoro, in entrambi i casi. Immagino che non ci sia bisogno di dirti chi fosse il mandante del caso “Sherlock”, visto che ti sei accanito davvero tanto contro il suo “povero cadavere”.-

 

-Moriarty?-

 

-E chi altri poteva essere? È un peccato che la nostra collaborazione si sia “estinta” in quel modo. Ora, se vuoi scusarmi, ho altre faccende di cui occuparmi.- la donna tirò fuori una siringa dalla tasca della giacca nera e gli si avvicinò.

 

-Mi ucciderai?- ringhiò John, tirando indietro la testa istintivamente.

 

-Vedremo.-

 

-Farai meglio a farlo o io...-

 

Lei gli conficcò l'ago nel collo, tenendolo saldamente per i capelli. -Buon riposo, dottore.-

 

Scrisse qualcos'altro al cellulare, poi la porta metallica alle sue spalle si aprì con un cigolio.

 

-Jim, sei in ritardo.- disse solo.

 

 

***

 

 

-Trovato niente?- Lestrade si sporse appena nello studio, trovando Mycroft seduto di fronte al computer, intento a scrivere al cellulare.

 

Il detective non capiva perché l'altro gli avesse impedito di chiamare la scientifica, ma gli aveva ubbidito, attendendo delle spiegazioni che, come prevedibile, non erano arrivate.

Lo osservò alzarsi e ignorare, ancora una volta, il cadavere sul divano.

 

-No. Si dimentichi di questo caso. Me ne occuperò personalmente.- lo sentì rispondere.

 

Lestrade strinse i pugni, nervoso e sull'orlo della peggior incazzatura della sua esistenza: non avevano trovato John e Mycroft appariva trattarlo come un povero deficiente!

Persino Sherlock era sempre stato più rispettoso nei suoi confronti.

 

-Come sarebbe a dire?!- strillò con tono stridulo.

 

-E' sordo, per caso?-

 

La risposta di Greg venne interrotta dagli squilli insistenti del cellulare dell'altro.

Lo osservò controllare il monitor e impallidire visibilmente.

 

-Sì? Cosa?! Che significa “LA PORTA ERA APERTA”?! Mandate qualcuno a Baker Street, immediatamente!- gridò Mycroft, poi prese un respiro profondo e cercò di calmarsi. Diede la propria posizione ed ordinò che una macchina lo andasse a prendere.

 

-Che sta succedendo? Chi sta andando a Baker Street?! John?!- ringhiò Greg con aria minacciosa.

 

Mycroft si incamminò verso la porta a passo spedito. -No. Sherlock, probabilmente.-

 

Lestrade fu preso in contropiede e provò pena per l'altro, tanto che la sua ira si placò e ritornò calmo e comprensivo.

 

-Mycroft, Sherlock è... morto.- gli disse con tatto.

 

L'altro gli scoccò un'occhiata divertita. -Magari!- esclamò, vagamente isterico. -Se così fosse avrei molti, molti meno problemi!-

 

 

 

N.d.A.: Eccoci qui, avevo pensato di racchiudere tutto in un solo capitolo, ma mi sono resa conto che fosse necessario, per questione di tempistiche, spezzarlo in due parti.

Spero che la risoluzione di questa prima parte di storia vi sia piaciuta, sono un po' tesa, fatemi sapere ^^!

Ovviamente la parte crittografata che ho messo qualche capitolo fa è solo la primissima parte del testo.

 

Ho modificato una parte del codice e del testo di spiegazione del suddetto, perché chiacchierando con PrezSilverope, ci siamo resi conto che era fraintendibile e decisamente poco chiaro per chi volesse, come lui, cimentarsi nella risoluzione del codice stesso. L'errore è mio e mi scuso.

Lo ringrazio pubblicamente per essersi cimentato con il codice, per averlo controllato e per avermi permesso di correggere alcuni errori che avevo fatto nel codice stesso (troppi numeri, qualche svista è comprensibile, anche se non giustificabile).

Ma la sua preziosa collaborazione non si è fermata qui, signori, ha anche fatto una splendida tabella esplicativa che possa aiutare anche quelli che non hanno voglia/tempo di imbarcarsi nell'impresa della risoluzione di questo codice, la trovate sul link della sua pagina di DeviantArt: http://prezsilverrope.deviantart.com/art/Codice-297459051

Ancora grazie, Prez, per tutto il tempo che ci hai passato sopra, come ti ho detto, riesci a farmi i migliori complimenti, pur non intenzionali.

 

Un bacione,

Ros.

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Capitolo 18
*** "Code solved" -II parte; Epilogo- ***


-Cosa vorrebbe dire con questo?!- domandò Greg, raggiungendo Mycroft sul vialetto fuori dall'abitazione.

 

L'altro sospirò e guardò il cielo notturno di quella serata primaverile.

 

-Sherlock non è mai morto, è stata tutta una montatura.- rispose, sentendosi molto sollevato all'idea di potersi togliere quel peso e per nulla preoccupato di starlo buttando sulle spalle del detective.

 

Greg strinse i pugni. -V-Vuol dire che avete preso tutti per il culo?!- gli urlò contro, pieno di rabbia. -Me, Mrs. Hudson, John! John è andato fuori di testa, poteva morire!-

 

Mycroft gli scoccò un'occhiata. -L'ho sempre tenuto sotto stretto controllo.-

 

-Certo! Difatti adesso è scomparso! Tanti complimenti, “Signor Governo Britannico”!- urlò Lestrade, fuori di sé.

 

Quello irrigidì la mascella e non rispose.

Greg gli si pose di fronte. -Sappi che se gli succede qualcosa la giudicherò il diretto responsabile!-

 

-Come crede. Sono solo stanco.-

 

-Stanco di che cosa?!-

 

-DI FARE DA BALIA A TUTTI!- urlò Mycroft, poi prese un respiro profondo e si costrinse a riportare il proprio tono a livelli normali. -In questi mesi non ho fatto altro che mantenere in equilibrio una situazione insostenibile. Certo, lei la vede soltanto dal suo punto di vista, ma non mi meraviglio che una mente limitata come la sua non riesca ad intuire il complesso nella sua integrità. Mi sono caricato sulle spalle tutte le responsabilità, ho mentito su più fronti e, se lo lasci dire, non sono affatto turbato o dispiaciuto di aver urtato i suoi sentimenti o quelli di John. Era necessario e questo mi giustifica.-

 

-Oh, è molto comodo, in questi termini!- sbottò Greg. -Appena troveremo John lei dovrà dirgli la verità!-

 

-Altrimenti che farà, detective? Mi sparerà?- ironizzò l'altro.

 

-Altrimenti lo farò io!-

 

Mycroft rise, anche se non era affatto divertito. -Lei è così ingenuo, Greg. È talmente coinvolto a livello emotivo che non si rende conto che basterebbe un mio schiocco di dita per farla tacere per sempre.-

 

Lestrade non tentennò. -Non mi interessa.- rispose, risoluto.

 

La macchina di Mycroft accostò di fronte a loro e l'uomo aprì la portiera. Si sedette e lanciò un ultimo sguardo al detective.

 

-Non sarà necessario, Greg, questa faccenda sta volgendo al termine. Lei è un uomo stupido, ma di valore, stia attento in futuro.- disse, chiudendo lo sportello con un colpo secco.

 

L'auto partì, abbandonando lì Lestrade che non aveva ben chiaro se fosse stato appena elogiato o, al contrario, insultato.

Ricevette un sms proprio da Mycroft pochi minuti dopo, in cui era scritto un indirizzo.

 

 

 

***

 

 

-Ho avuto un po' da fare.- rispose Jim, avanzando lentamente con le mani affossate nelle tasche della giacca.

 

-Immagino.- rispose Allison, allontanandosi da John solo di qualche metro.

 

-Tu mi hai sparato.- disse lui, mal celando il suo fastidio.

 

-Tu hai provato a farlo per primo e non era negli accordi. Non puoi biasimarmi per aver preso delle precauzioni. Ad ogni modo, ho trovato molto elegante il modo in cui hai disperso la neurotossina nella piscina, fingendo di liberarti solo di quella chiavetta USB. Abbiamo lavorato bene, insieme, dopotutto.-

 

-Eri servita al tuo scopo, non avevo più bisogno di te. Dovevi morire, ma penso che rimedieremo in fretta.-

 

Lei sorrise. -Ne sei così sicuro?-

 

-Sì.-

 

Allison sussultò, sentendo una voce provenire da dietro le sue spalle.

Si pose di fianco, in modo da poter vedere entrambi gli uomini.

 

-Sherlock Holmes, di nuovo in piedi. Che dire? Quando ci sono io di mezzo, alle volte, la morte sembra proprio andare in vacanza.

 

Jim sgranò gli occhi. -Tu! Te ne sei occupata tu! Avevamo stabilito che non ci sarebbero stati contatti diretti!- esclamò.

 

Sherlock restò in silenzio, cercando di calcolare come portar fuori John da lì, lasciando che quei due si scannassero a vicenda. Si sarebbe occupato di loro solo in seguito.

Guardò l'amico, accasciato sulla sedia a cui era legato.

Respirava.

Questa era l'unica cosa importante.

Si tranquillizzò e passò lo sguardo da Jim a quella donna.

 

-Ti prego, non parlarmi di regole! Sei il primo a non rispettarle.- sbottò lei. -Non dirmi che credi davvero che io gli abbia scoperchiato il cervello, Jim. Oh, so che hai lavorato sul messaggio che lui ha dato a suo fratello, me lo ha detto il tuo braccio destro. Che dire? È stato molto interessante vedere come questa partita tra voi due si sia orchestrata (immagino tu lo abbia messo al corrente del fatto che il mandante fossi tu, o forse ne era già certo).-

 

-Lo ero.- intervenne Sherlock. -Non ne avevo la certezza, ma me ne sono comunque convinto quando ho confrontato l'acqua della piscina con quella estratta dai polmoni del “suo cadavere”e non corrispondevano. Mycroft pensava che stessi ricercando qualche indizio sulla mia malattia, ma si sbagliava. Questo lo ricordo anche se vagamente.-

 

-La memoria tornerà, devi solo aspettare e riposare. Non dovresti essere qui, questo ritarderà il recupero.- gli rispose Allison. -Ma, ormai, dovresti essere fuori pericolo, sempre che tu non decida di lasciarti andare ad altri colpi di testa. Il modo in cui hai bloccato la dopamina, poco prima di crollare del tutto, è stato assolutamente folle. Hai buttato ossigeno sul fuoco per cercare di spegnere l'incendio, per avere un ultimo guizzo di lucidità che ti permettesse di sistemare le cose...-

 

-Ma ora sono qui.- sbottò Sherlock. -E ti fermerò.-

 

-Nello stesso modo in cui intende fermarmi lui?- chiese la donna, indicando Jim.

 

-Se necessario.-

 

-Come ci sei riuscita?- si intromise Jim, stanco di esser lasciato in disparte.

 

Aveva portato Sherlock con sé solo per distrarre Allison, era, in fin dei conti, un individuo piuttosto interessante con cui avere a che fare e che, nonostante le loro “divergenze di opinione” lo avrebbe aiutato a neutralizzarla.

Era stato paziente, in macchina, poco prima, quando gli aveva spiegato come fosse riuscito a fingere la propria morte.

In realtà era stato molto semplice: i paramedici che avevano portato via il “suo cadavere” erano in realtà suoi uomini. In quella piscina aveva solo finto di essere morto, impresa non del tutto semplice con un proiettile in corpo, ma non impossibile.

Il resto lo aveva fatto Sebastian, occupandosi personalmente di uccidere in condizione analoghe una delle tante persone a lui rassomiglianti che “ tenevano da parte per ogni evenienza”.

Ovviamente non aveva potuto sparare al malcapitato e, successivamente, affogarlo, nella stessa piscina in cui lui era caduto. Questione di tempistiche, principalmente, ed era per questo che Sherlock se n'era reso conto: diversa densità di cloro.

Certo, Jim ci aveva messo un po' a rimettersi in sesto, erano stati mesi difficili, mesi in cui era rimasto quasi del tutto isolato, in cui gli era stato impedito di riprendere in mano le redini della sua organizzazione.

Questo per colpa di quella donna, ora voleva sapere come.

 

-Per quanto la partita, apparentemente, si sia conclusa con un tuo netto vantaggio, Jim, visto che, come preventivato, lui non è stato assolutamente in grado di rendersi conto che l'unico modo per guarire fosse il totale riposo... i vostri assistenti riportano il tutto ad un livello di parità, ai miei occhi. I sentimenti possono essere parimenti un intralcio, un perno su cui fare leva, o qualcosa su cui basarsi per arrivare a un obbiettivo. Lasciamelo dire: il tuo braccio destro, Jim, è stato davvero deludente.-

 

-Interessante. Delucidami.-

 

Allison si voltò verso di lui e Sherlock ne approfittò per cominciare ad avvicinarsi lentamente a John.

Probabilmente era uscito armato, come era solito fare e, forse, poteva avere ancora la pistola addosso, qualora la dottoressa non lo avesse perquisito.

Non sapeva se gli altri due fossero armati, Jim, probabilmente, lo era. Sapeva che detestava sporcarsi le mani personalmente, nonostante questo, Jim si era rivolto a lui, quindi non aveva altre persone a cui dirottare quell'incombenza.

 

-E se nella piscina non ci fosse stata solo la neurotossina per lui?- domandò Allison con un sorriso.

 

Sherlock sbuffò divertito, il volto di Jim, invece, divenne livido.

 

-Stai bluffando. Io sto benissimo.- sibilò quest'ultimo.

 

-Può darsi.- rispose lei. -Ma questo è bastato a tener buono Sebastian per tutto questo tempo. Quindi, ricapitolando 1 a 0 per te, ma 1 a 1 grazie al dottor Watson, che, al contrario di Sebastian, ha saputo rivelarsi davvero sorprendente, pur muovendosi del tutto a caso.-

 

Jim tirò fuori la pistola dalla tasca della giacca e la puntò verso la donna.

 

Sherlock si accucciò alle spalle di John e gli infilò le mani sotto la giacca, alla ricerca dell'arma.

 

-Cerchi questa?- gli chiese la donna.

 

Si rialzò e si stupì nel vedersi lanciare l'arma con tranquillità.

Allison tornò a concentrarsi verso Jim.

 

-Non essere permaloso e poi potrebbe anche non essere un bluff. Poteva esserci davvero qualcosa in quell'acqua.-

 

-Penso che correrò il rischio.- rispose l'altro.

 

Sherlock si rigirò la pistola tra le mani.

Qual'era il male minore?

La puntò verso Jim. -Fermo.- disse.

 

Quello fece una smorfia di fastidio. -Oh, andiamo! Ti ho portato qui perché dovevi aiutare me, non lei!-

 

-Sono così volubile. È il mio unico difetto.- lo canzonò Sherlock, imitando il suo tono di voce.

 

Jim roteò gli occhi.

 

-Intanto che voi due ragazzi ci pensate, io tolgo il disturbo.- sorrise Allison, dando loro le spalle e incamminandosi verso la porta.

 

-Ti troverò e ucciderò te e chi ti protegge!- la minacciò Jim.

 

-Provaci, ti prego, mi godrò lo spettacolo seduta sul divano mentre mangio pop-corn.- lei si chiuse la porta alle spalle.

 

-Sei soddisfatto, adesso, idiota?!- sbottò Moriarty, puntando l'arma contro Sherlock.

 

Quello sorrise. -Non credo sia andata poi così lontano, magari puoi raggiungerla...-

 

Jim ripose la pistola in tasca e si voltò verso la porta da cui era entrato. -Non finisce qui.- sibilò, prima di andarsene.

 

Sherlock si precipitò da John e gli liberò i polsi, lo stese a terra, controllando le sue condizioni. Il respiro continuava ad essere regolare così come il battito. Era solo stato sedato.

Lo trascinò fuori dallo stanzone, non voleva ripetere lo stesso errore commesso alla piscina, qualora uno di quei due criminali avesse deciso di tornare indietro a finire il lavoro.

Sentì dei passi alle proprie spalle.

 

-Sherlock! Oh mio Dio, Sherlock!- esclamò Greg.

 

-Buonasera, Lestrade. Mi dai una mano?- sorrise l'altro.

 

Tutto era chiaro, finalmente.

 

 

 

***

 

 

 

-Jim...- la voce di Sebastian gli arrivò alle orecchie roca e spaventata.

 

Jim si voltò, furente. -TU SEI UN IMBECILLE!- urlò.

 

L'altro gli si avvicinò e gli porse una siringa e una provetta. -Allison ha detto di darti questa, ho controllato il contenuto e...-

 

-E, fammi indovinare! È comune fisiologica, giusto?!- ringhiò Moriarty.

 

-Io non potevo saperlo! Me l'ha fatta recapitare solo mezz'ora fa, che dovevo fare?! Metterti a rischio?-

 

-Ho fatto la figura dell'idiota, Sebastian, dovrei ammazzarti per questo!-

 

Sebastian sorrise, lanciando via siringa e boccetta. -Ho un modo per rimediare.-

 

-Ti ascolto.- Jim incrociò le braccia al petto.

 

-Ho ricevuto una telefonata, mentre mi occupavo dei tuoi affari...-

 

-Da chi?-

 

-Irene Adler.-

 

Jim sorrise. -Andiamo, Sebastian. La partita è appena cominciata.-

 

 

 

***

 

 

Allison aprì la portiera della macchina nera che l'attendeva fuori da quel vecchio stabilimento in disuso e si accomodò sul sedile posteriore.

 

-Mio fratello sta bene?-

 

-Come un fiore. Vedo che rispetta gli accordi, Mr. Holmes.-

 

-La vita di mio fratello per la sua.-

 

Lei sbuffò. -Non l'ho fatto, di certo, per buon cuore, ma per un impiego e per la sua protezione. Ma mi creda su una cosa, Mr. Holmes, se avessi davvero dovuto scoperchiare il cranio di suo fratello, non avrei mai accettato un lavoro tanto folle, mi meraviglio che lei abbia voluto dargli retta. Non escludo che, prima o poi, quanto teorizzato da suo fratello possa, effettivamente, essere messo in pratica, ma non adesso, non con le strumentazioni attuali e, con tutta probabilità, nemmeno secondo la sua stessa procedura.- borbottò, sollevando lo sguardo sull'uomo. -Siete stati entrambi fortunati, avrei potuto non essere interessata ad un ingaggio a lungo termine, ma sono piacevolmente sorpresa da suo fratello, si è ripreso molto in fretta, lei è riuscito a tenerlo fermo a sufficienza perché i farmaci avessero effetto e la neurotossina venisse debellata. Questo non era affatto scontato e penso sia merito suo. Siete stati un caso interessante.-

 

La macchina accostò.

 

-Non si sopravvaluti. Ora che lavora per me ha il divieto di occuparsi di “casi esterni”, o Jim Moriarty sarà l'ultimo dei suoi problemi.- le rispose Mycroft con tono perentorio.

 

Allison scrollò le spalle. -Basta che lei non mi chiami ogni qual volta suo fratello avrà un raffreddore e, per il resto, siamo d'accordo. Ci vediamo mercoledì in laboratorio.-

 

-Arrivederci, signorina Cole.-

 

-Qualcuno ha fatto i compiti.- ridacchiò lei, chiudendo la portiera e allontanandosi.

 

 

 

***

 

 

The blog of Dr. John H. Watson

 

 

17 Giugno 14.57

 

Capolinea:

 

Ieri sono stato rapito, ma non ho voglia di dilungarmi in tal senso, lo scriverò in uno dei prossimi post, ho ben altro da raccontarvi.

Quando venni sedato dalla pazza che, come avevo appreso, era la responsabile della morte di Taylor Colter e di Sherlock, mi trovavo in un magazzino in disuso, quindi potete ben immaginare la mia sorpresa, quando, risvegliandomi, mi resi conto di essere a Baker Street, nella mia camera.

Camera in cui, a ben vedere, non entravo da mesi.

Ero confuso, mi girava la testa e avevo la vista annebbiata a causa del narcotico.

Non avevo la più pallida idea di come fossi tornato lì, né di cosa fosse successo, mi ci volle qualche secondo per riuscire a richiamare alla memoria il nome di Allison Cramer.

Mi infuriai e mi alzai in piedi, più che deciso a scendere sino all'inferno pur di ritrovarla e fargliela pagare.

 

La casa era silenziosa, o, almeno, così mi parse finché non iniziai a scendere le scale per il piano di sotto e sentii distintamente dei movimenti in cucina. Ipotizzai fosse Mrs. Hudson, ma restai comunque vigile e rallentai la mia discesa per far meno rumore possibile.

Mi affacciai alla porta e... vidi Sherlock con in mano la teiera. Si voltò verso di me e mi sorrise.

Non mi vergogno a dire che mi prese un colpo e crollai a terra come un sacco di patate, svenuto (è già un miracolo che non mi sia preso un infarto).

Non so quanto tempo gli ci volle per farmi riprendere dallo shock, ma ero tutt'altro che tranquillo, quando mi risvegliai.

Adrenalina e tachicardia, non ero ancora fuori dal rischio infarto.

Ero steso sul divano e lui sedeva sulla mia poltrona, chino su di me, con sguardo divertito, come se mi stesse studiando.

Seguii senza indugio il mio primo istinto e lo colpii con un cazzotto dritto in faccia, talmente forte che rischiai di farlo finire giù dalla poltrona.

Ci sarebbe stato tempo, dopo, per le spiegazioni, in quel momento ero solo furibondo.

Si risollevò e si massaggio la mascella, sempre con quella maledetta espressione divertita.

 

-Ciao, John.- mi disse.

 

Tentai di colpirlo di nuovo per quest'uscita cretina, ma, questa volta, lui schivò. Come il fratello, evidentemente, aveva reputato che un pugno bastasse e avanzasse come punizione. Dal mio canto, penso che scioglierli entrambi vivi nell'acido non sarebbe affatto sufficiente a fare ammenda per quel che ho passato in questi mesi.

 

-Voglio.delle.spiegazioni.- ringhiai, scandendo ogni singola parola.

 

Ero così furioso che nemmeno la felicità di riaverlo vivo, di fronte a me, servì a placarmi, in quei primi momenti.

Lui si appoggiò allo schienale e si premurò di dirmi che, con tutta probabilità, la sua ricostruzione non sarebbe stata accurata, visto che aveva ancora numerosi vuoti di memoria da colmare.

Mi raccontò di come Mycroft (bastardo!) aveva sapientemente orchestrato il tutto (sotto suo espresso ordine), mi raccontò di come aveva ipotizzato di salvarsi, dandosi del pazzo da solo, prima che glielo urlassi io, usando tutti i sinonimi presenti sul dizionario britannico, educati e meno educati. Lo inveii, strillandogli contro che non aveva il diritto di farmi stare così male, che era immorale e che non me lo meritavo.

Piansi, persino.

Lui non si difese, ma nemmeno si scusò, questo è chiaro, non sarebbe stato nel suo stile, ma mi lasciò sfogare a lungo, prima di riprendere a raccontare la sua versione dei fatti.

 

Mi raccontò dei mesi con suo fratello, mesi in cui non riusciva ad avere lucidità e durante i quali, alternativamente, viveva ricordi ancestrali del suo passato.

A un certo punto mi disse che Mycroft, pur di tenerlo al laboratorio, gli aveva raccontato che io fossi morto e sorrise, tristemente, ammettendo che, in effetti, quello era l'unico modo possibile per farlo restare dov'era..

Non aggiunse altro in merito, ma io capii che, limitatamente al suo modo di percepire determinate emozioni, anche lui avesse sofferto e passato un periodo (più breve del mio, ci tengo a sottolinearlo!) in cui aveva provato le mie stesse sensazioni (non posso esserne certo, ma mi piace crederlo).

Dopo questa confessione, la mia rabbia scemò un poco, ma ricomparve TUTTA quando Mycroft osò mostrare la sua faccia e comparire sulla soglia dello studio.

 

-Reputo di avervi lasciato abbastanza tempo.- esordì. -Sherlock devi tornare al laboratorio, devi stare sotto osservazione.-

 

Ehm...

 

 

L'ho buttato giù dalle scale.

 

 

...

Ok...

Ok.

Non ne sono fiero, ma, Cristo, quanto mi sono sentito bene, dopo! Non potete immaginarlo.

 

Quando Sherlock riuscì a placarmi, perché ero ben pronto anche ad infierire su Mycroft, entrambi mi spiegarono i tasselli mancanti e di come Allison Cramer si fosse trasformata da sicaria di Jim Moriarty (che è vivo! È vivo! Avevo ragione!) a salvatrice di Sherlock e di come quest'ultimo fosse stato tanto stupido (parole di Mycroft) da non capire quale fosse la soluzione e si fosse, di fatto, quasi autodistrutto.

Poi io e Mycroft litigammo. Di nuovo.

Lui voleva riportare Sherlock al laboratorio.

Io non volevo che uscisse da quella porta.

E...

 

L'ho avuta vinta, certo, grazie a Sherlock che chiuse la questione con un semplice.

 

-E' lui il mio dottore.- alludendo a me con un gesto del capo, prima di cacciar via il fratello.

 

Di come l'abbia presa quest'ultimo, onestamente, poco m'importa, che vada al diavolo!

 

Ora Sherlock è lì, sul divano e si lamenta perché si annoia e perché dovrà passare, come minimo, altri tre mesi, senza fare assolutamente niente.

Non so come li passerò io, questi mesi, ma, per il momento, sentirlo lamentarsi è l'unica cosa che possa farmi stare bene.

Quindi, amico mio, lamentanti pure finché vuoi.

 

 

17 Commenti:

 

Ah! Mi sono dimenticato! Greg, grazie di aver aiutato Sherlock a riportarmi qui e anche GRAZIE in generale.

 

John Watson 17 Giugno 15.02

 

 

Era il minimo che potessi fare, ma tu NON SPARIRE un'altra volta!

 

Greg Lestrade 17 Giugno 15.05

 

 

John! Stai bene?! Come rapito?!

 

Harry Watson 17 Giugno 15.07

 

 

Mai stato meglio.

Davvero.

 

John Watson 17 Giugno 15.08

 

 

Avete finito?

 

Sherlock Holmes 17 Giugno 15.09

 

 

Sherlock! Dio Sherlock!

 

Molly Hooper 17 Giugno 15.34

 

 

No, solo “Sherlock”, Molly.

 

Sherlock Holmes 17 Giugno 15.35

 

 

Era il suo modo di dirti che mancava una virgola.

 

John Watson 17 Giugno 15.37

 

 

John, giochiamo a Cluedo!

 

Sherlock Holmes 17 Giugno 16.03

 

 

Oh...

 

John Watson 17 Giugno 16.05

 

 

Muoviti.

 

Sherlock Holmes 17 Giugno 16.06

 

 

Tutto è bene quel che finisce bene. Tre mesi, uffa, che noia!

Va bene, va bene, prenditi questo periodo di pausa, Sherlock, questo non vuol dire che io mi fermerò, comunque.

 

Anonimo 17 Giugno 16.20

 

 

Ti prenderò dopo, con calma.

 

Sherlock Holmes 17 Giugno 17.34

 

 

John, spegni la tv, questo film è tremendo.

 

Sherlock Holmes 18 Giugno 03.20

 

 

A me piace...

 

John Watson 18 Giugno 03.21

 

 

Spegni o sparo al televisore.

 

Sherlock Holmes 18 Giugno 03.22

 

 

 

Saranno tre mesi mooooolto lunghi...

 

John Watson 18 Giugno 03.25

 

 

 

-Fine-

 

 

 

N.d.A: Prima di chiudere: chi non avesse visto il bellissimo schema esplicativo del codice fatto da PrezSilverope, lo trova qui: http://prezsilverrope.deviantart.com/art/Codice-297459051

Ancora grazie per tutto questo lavoro che ci hai fatto sopra!

 

Ed eccoci qui...

Questa volta è la fine sul serio, ragazzi, niente più giochetti strani. Siamo arrivati alla conclusione della prima storia su Sherlock sulla quale mi sia cimentata (le varie One Shot, temporalmente, vengono dopo).

Che dire? Sono preda della solita depressione da fine storia, ma sono davvero felice che abbia riscosso così tanto successo e spero di non avervi deluso con questo finale.

Grazie per aver viaggiato con me, ora è tempo che questa storia si chiuda e finisca nell'oblio.

Un abbraccio a tutti quelli che mi hanno seguita nelle mie rocambolesche astrazioni mentali.

Ros.

 

P.S.: per chi volesse provare a capire come funzionino i miei processi creativi, questa storia è nata da questo video (a ben vedere non c'entra nulla con la trama in sè, ma fu grazie a questo che mi venne l'ispirazione): http://www.youtube.com/watch?v=CwyCmBeQ3vs 

 

 

 

 

 

 

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