L'Ancella e gli occhi della colpa

di phoenix_esmeralda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piccola Terra Fiorita ***
Capitolo 2: *** Shandar ***
Capitolo 3: *** Partenza ***
Capitolo 4: *** Prime sorprese ***
Capitolo 5: *** Risposte, verità, nuovo patto ***
Capitolo 6: *** Il prezzo dell'obbedienza ***
Capitolo 7: *** Richiesta difficile ***
Capitolo 8: *** Dentro Shandar ***
Capitolo 9: *** Lacrime ***
Capitolo 10: *** Il giusto sacrificio ***
Capitolo 11: *** Nuova vita ***



Capitolo 1
*** Piccola Terra Fiorita ***


Tu che pensi solamente spinta dall’affetto
e non ne vuoi sapere di battaglie d’odio, di ripicche e di rancore
e t’intenerisci ad ogni mio difetto,
tu che ridi solamente insieme a me
insieme a chi sa ridere ma ridere di cuore,
tu che ti metti da parte sempre troppo spesso
e che mi vuoi bene più di quanto io faccia con me stesso,
è trasceso il concetto di un errore
ciò che universalmente tutti quanti a questo mondo... chiamiamo amore.

 

                                                                                                                      (“Il sole esiste per tutti”, T. Ferro)




Anni fa mia madre disse che per essere la signora di Piccola Terra Fiorita, avrei dovuto sviluppare una buona dose di imperturbabilità.
Capivo cosa significavano le sue parole, perché vedevo da sempre quanto le Ancelle Fiorite facessero riferimento a lei per ogni minimo dettaglio, quanto la sua serenità interiore fosse fondamentale alla loro.
Così, quando tre anni fa mia madre morì e io presi il suo posto, mi impegnai ad acquisire la stessa patina di imperturbabile tranquillità di cui lei si era sempre avvalsa. Ci provai.
Purtroppo il mio carattere non si sovrappone spontaneamente a quello della mia dignitosa genitrice e per me, essere serena sempre e comunque, è un lavoro faticoso e costante che impegna buona parte delle mie energie. Tuttavia i miei risultati sarebbero più che accettabili se non fosse per un nome, che ritorna costantemente nella mia vita e che ha la capacità di mandare in frantumi la mia corazza d’imperturbabilità.
Shandar.

Oggi mi trovavo con buona parte delle ancelle sulla riva del fiume a svolgere il mio dovere, quando giunse la notizia di un nuovo rapimento. Un’altra delle mie ancelle, Leanda, forse la più dotata, era caduta nelle mani del signore di Geocenda, il sovrano della terra confinante la nostra. Era già la quinta rapita nel giro di pochi mesi e non potevo permettermi di perderne ancora. Così la mia reazione non fu proprio... imperturbabile. Diedi in un’esclamazione poco ortodossa e la vidi riflessa all’istante negli occhi spaventati delle mie ancelle. Mi morsicai la lingua, domandai scusa e proseguii nel lavoro come se nulla fosse accaduto.
Ma Shandar, signore di Geocenda... io ti detesto dal profondo del cuore!

Piccola Terra Fiorita è minuscola come il suo nome la raffigura. La signora della terra e le Ancelle Fiorite, da secoli si occupano di apprendere e coltivare le arti magiche dei fiori che permettono loro di espandere le conoscenze e migliorare le condizioni di vita della loro gente. Così era fino a dieci anni fa, quando accadde il Disastro.
Piccola Terra Fiorita, così come Geocenda e moltissime altre terre circostanti, si estende lungo il Fiume Diamante, dal quale gli abitanti traggono le acque per bere, lavarsi, coltivare e sopravvivere. Ma dieci anni fa, all’improvviso, le acque del Fiume Diamante smisero di essere potabili. I paesi interessati, disponendo di una scarsa riserva d’acqua, organizzarono una spedizione alla fonte del Fiume, per scoprire cosa fosse accaduto e riparare a un evento che presto si sarebbe rivelato fatale. Ma pur percorrendo il Fiume per giorni lungo tutta la sua estensione, la spedizione non venne a capo di nulla. Non volle rinunciare a trovare quella che sembrava l’unica soluzione a una morte certa e continuò a perseverare nella ricerca di una soluzione finché le scorte d’acqua si esaurirono. I membri della spedizione morirono tutti, uno a uno, compreso mio padre, signore di Piccola Terra Fiorita.
Avevo otto anni allora e la perdita di mio padre fu il dolore più atroce che avessi mai provato fino ad allora. Lo fu anche per mia madre, ma lei e la sua imperturbabilità ressero il colpo.
Le Ancelle Fiorite e l’intero popolo di Piccola Terra Fiorita contavano sulla loro signora e prima che le scorte del paese si esaurissero condannandoci a una morte disumana, mia madre trovò la soluzione. La trovò nei fiori naturalmente. Le sue arti magiche e le conoscenze fino ad allora sviluppate le consentirono di dare origine a una specie nuova, in grado di ridare alle acque del Fiume Diamante la loro purezza originale.
Da allora, la signora della terra e le sue Ancelle, ogni giorno si dedicano alla coltivazione e alla cura speciale di questi fiori, che mia madre ha chiamato Radonder. Ora sono io ad aver preso il suo posto e ad assicurare che le acque del Fiume restino potabili per il loro intero corso. Il lavoro che svolgo assieme alle mie Ancelle, permette la sopravvivenza di tutti quei popoli che, dieci anni fa, soffrirono la perdita dei loro cari in quella fatale quanto inutile spedizione.
Per questo non posso permettermi di perdere altre compagne. Se Shandar, signore di Geocenda, continua a rapire le mie Ancelle, resterò sola nel compito di purificare il Fiume Diamante ed il lavoro è troppo gravoso per una sola persona.
Quello che sta accadendo è rischioso, non solo per la mia terra, ma per ogni paese risiedente lungo il fiume, Geocenda compresa. Ho mandato svariati messi al cospetto di Shandar per chiedere che questa persecuzione smetta, ma i rapimenti non sono mai cessati.
Questo denota, da parte sua, nient’altro che una ben radicata stupidità.

Entro nel mio studio personale e apro il cassetto della corrispondenza. Ogni volta non riesco a capacitarmi delle parole di Shandar e devo riprendere in mano le risposte alle mie invocazioni per essere certa di non averle solo immaginate.
“Mia signora, sono certo che comprenderete che le vostre ancelle sono troppo deliziose perché io permetta loro di andarsene dalla mia terra”
Questo, dopo la mia prima lettera.

“Capisco perfettamente le vostre motivazioni, venerabile Ailanda, d’altronde, volendo privarmi della compagnia delle vostre ancelle, dovreste offrire una valida alternativa alla mia noia atavica”
Questo dopo la seconda.

“Signora, dalla vostra insistenza nel contattarmi con regolarità, devo dedurre che vi sentiate attratta da me? Se desiderate un incontro, non avete che da chiederlo apertamente”
Quell’ultima lettera mi aveva mandata fuori di testa e addio tanto decantata imperturbabilità.
Il solo nome di Shandar ormai ha la capacità di farmi schiumare di rabbia!
Tuttavia la situazione si sta facendo veramente pericolosa ed è venuto il momento di porre fine ai rapimenti.
Chiederò un incontro al signore di Geocenda, come lui stesso ha suggerito nella sua ultima, irritante missiva e inculcherò nella sua testa bacata un po’ di rispetto per gli abitanti di Piccola Terra Fiorita.
Questo ho detto e farò.


********************************** -Nota dell'Autrice- ****************************************

Questa fic non è altri che il frutto di un contest a cui ho partecipato  ("L'uomo dei miei sogni"), in cui era stata esplicitamente chiesta una storia d'amore il cui protagonista
avesse alcune caratteristiche indicate. Nel mio caso le caratteristiche erano: ironia, mani grandi e un passato tormentato.
Che dire? Sono partita un po' a caso, senza sapere bene dove sarei arrivata, e il risultato alla fine non mi è affatto dispiaciuto!
Ho amato molto i personaggi che pian piano sono venuti a delinearsi e spero che possiate apprezzarli anche voi, nei loro lati oscuri e in quelli luminosi!
Grazie a chiunque vorrà seguire questa storia!

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Capitolo 2
*** Shandar ***


Porto con me solamente due accompagnatori, benché non mi fidi di Shandar le nostre terre non possono dirsi in guerra e non voglio dare l’impressione di volerne iniziare una. Il potere di Piccola Terra Fiorita è vasto e nessuno sarebbe tanto sciocco da mettersi contro il popolo che purifica l’acqua del Fiume Diamante; neppure Shandar può fare a meno di un’alleanza con la mia terra. Sarà su tali argomentazioni che punterò in questo incontro, lo farò ragionare e riuscirò a riavere le mie ancelle.
L’incontro avverrà all’incrocio delle nostre terre, ciascuno di noi ben radicato entro la propria linea di confine. Le leggi sono chiare in merito: chi attraversa il limitare per entrare nella terra altrui, perde ogni diritto di aggressione e di difesa ed è costretto a sottostare al volere del sovrano del posto. Sarebbe piuttosto interessante, in effetti, se Shandar sbadatamente attraversasse il confine...
 
Il luogo indicato per l’incontro è una parte di terra arida contornata solamente da grosse rocce. La linea di confine è tracciata da un solco che secoli fa i nostri antenati scavarono con cura. Mi fermo a pochi passi da essa e mi guardo intorno incuriosita, senza notare traccia della presenza di un re.
Non ho mai avuto modo di incontrare Shandar, ma lo immagino come un signore vizioso, corrotto
da una vita di piacere e perversioni, sarcastico, maligno e... beh, stupido. Per forza. Sta rapendo le ancelle che contribuiscono a salvare anche il suo regno!
Devo in qualche modo far valere la mia autorità e costringerlo a ragionare.
L’abito che ho scelto per questo incontro, bordeaux, dalle lunghe maniche larghe e dallo scollo rotondo, ispira senza dubbio dignità, rispetto e superiorità.
Ho legato i capelli biondi e mossi, lunghi fino alla vita, in un’acconciatura severa e ho indossato orecchini pendenti, di un verde chiaro come i miei occhi.
Le ancelle mi hanno assicurato che il mio aspetto favorirà le trattative. Sempre che il signore di Geocenda si presenti.
I miei accompagnatori siedono sulle rocce, annoiati e perplessi. L’ora dell’appuntamento ormai è passata. Anch’io sto meditando sulla possibilità di riposare.
- “State attenta signora, camminate un po’ troppo vicina al confine. Credete che mi lascerei scappare l’occasione di tirarvi dalla mia parte?”
Sussulto di sorpresa e mi volto verso la voce irridente che ha parlato.  Il sole cocente mi acceca e per qualche istante faccio fatica a trovare il signore di Geocenda. Poi lo vedo, seduto a mezza altezza su un grosso roccione, il braccio piegato su un ginocchio, il viso affondato nel braccio. Mi sta studiando attentamente e l’impressione che dà è quella di essere fermo lì da parecchio tempo.
Il suo sguardo ironico non mi piace, mi sta palesemente prendendo in giro.
- “Non siete che una bambina” – dice sorpreso –“Le vostre ancelle sono affascinanti, venerabile Ailanda, credevo che la loro signora lo fosse mille volte di più.” – sta ridendo di me adesso, senza neppure nasconderlo – “E invece mi trovo di fronte a una ragazzina travestita da regina!”
Ovviamente non mi lascio turbare, il signore di Geocenda non avrà la soddisfazione di vedere la mia ira.
- “Ho diciotto anni signore, dubito che voi ne abbiate molti di più” – rispondo, con la sua stessa ironia.
Ed effettivamente Shandar non è l’uomo di mezza età che mi aspettavo di trovare.
È giovane e la sua pelle dorata crea un accostamento luminoso con i capelli biondo scuro. Ha uno sguardo affilato, occhi grigio chiaro acuti, un fisico tonico e dinamico.
Sorride di scherno alla mia risposta e si alza in piedi, rivelando una buona statura, accompagnata da un fisico snello dalla muscolatura ben allenata. Ha spalle forti e mani grandi, dalle dita lunghe.
- “Ho ventiquattro anni “ – risponde – “Temo di poter vantare su di voi il vantaggio dell’età.”
Scende dalla roccia e si avvicina alla linea di confine. Mi osserva attentamente dall’alto in basso, sempre con lo stesso sorriso ironico che sembra giudicarmi una bambina sprovveduta.
- “Cosa posso fare per voi, signora di Piccola Terra Fiorita? Le vostre missive si stanno facendo insistenti!”
- “Sapete perfettamente cosa potete fare per me! Restituirmi le ancelle e smetterla con i vostri rapimenti! Se continuate in questo modo, presto il numero di ancelle non sarà più sufficiente a purificare le acque del fiume!”
Lui scoppia a ridere.
- “Vedo che vi prendete molto sul serio, mia piccola signora!”
Quel “piccola” mi fa uscire dai gangheri. Non sono più “piccola” da molto tempo, ho preso il comando di Terra Fiorita quando non avevo che quindici anni!
Faccio due passi verso di lui, a filo del confine.
“Voi non avete idea del pericolo che...” – inizio, ma Shandar, veloce come il lampo, sporge una mano, mi afferra per il gomito e dà uno strattone.
Sorpresa, perdo l’equilibrio, annaspo per restare in piedi, ma tutto è inutile. Cado rovinosamente in avanti, contro Shandar... e oltre il confine di Piccola Terra Fiorita.
Il cuore mi si ferma, mentre il respiro dei miei accompagnatori si mozza.
Ci sono cascata come un’allocca. E ora sono impotente nella terra di Shandar.
 
- “Eppure vi avevo avvisata” – sibila alle mie orecchie e nel contempo avvicina una lama affilata alla mia gola. I miei uomini sono rimasti pietrificati, osservano il coltello come se non avessero mai visto un’arma. Non sono guardie del corpo addestrate, non ce ne sono a Piccola Terra Fiorita. Nessuno ci è nemico, nessuno ci ha mai messo nelle condizioni di doverci difendere.
- “Rimanete dove siete” – dice Shandar con calma ai miei uomini – “Se vi muovete di un solo passo le taglio la gola. Ma se restate tranquilli, ve la restituirò in fretta!”
Fa un cenno con la testa e istintivamente seguo il suo sguardo. In cima al roccione, dove prima non c’era nessuno, è seduto un uomo. Da dove è arrivato? Sembra che gli abitanti di Geocenda abbiano la capacità di comparire dal nulla!
- “Avvertimi se si muovono” – gli raccomanda. E poi voltandosi verso di loro – “Se avverto un solo grido da parte del mio servitore, la vostra signora è morta!”
Poi mi spinge con delicatezza verso le rocce, la lama sempre a contatto con la mia pelle. Non mi ferisce, ma basterebbe un solo millimetro in più per creare un danno irreversibile. Lo seguo docilmente, non potendo fare altro. Indosso una collana di fiori freschi, come sempre, se fossi su un’altra terra potrei sfruttarla per usare il mio potere. Ma nella terra di Geocenda non posso fare nulla contro Shandar. Maledizione!!
Shandar mi sospinge dietro le rocce, dove un’incavatura crea una zona nascosta, in ombra.
- “Ora tolgo il coltello, ma desidero che facciate come vi dico. Altrimenti le cinque ancelle nelle mie mani moriranno.”
- “Siete spregevole” – sussurro, mentre lo sento allontanarsi di un paio di passi.
- “Vorrei dire che invece voi siete incantevole” –  risponde con un sorriso innocente – “Ma avete troppi abiti addosso. Devo chiedervi di toglierli.”
Rimango immobile per un istante senza capire. Osservo annichilita questo giovane dalla pelle color miele e mi soffermo sulle sue mani forti, sugli occhi espressivi, sulla bocca piegata in un sorriso ironico. Che cosa vuole da me?
- “Signora, devo forse pregarvi?” – mi chiede canzonatorio.
Capisco che dice sul serio. Vuole che mi spogli. Davanti a lui.
Oppure... farà  uccidere le mie ancelle.
Rimango senza respiro, la testa mi si svuota.
L’eco della voce di mia madre mi ronza in testa con suono sordo. Imperturbabile, devi mantenerti imperturbabile.
Con mani tremanti slaccio i bottoni del vestito e lo sfilo in un unico movimento fluido. Lancio al signore di Geocenda uno sguardo freddo, come se le azioni che mi sta costringendo a commettere non mi stessero squassando l’animo.
Lui risponde con un cenno divertito della testa in direzione della mia sottoveste.  La tolgo senza scompormi e poi, a un altro suo cenno, levo il corpetto che mi copre il seno.
A quel punto non so più cosa fare né come stare. Vedo lo sguardo di Shandar che scende a scrutare l’ultimo indumento che mi rimane addosso. Sta per scapparmi uno sguardo implorante, ma mi trattengo. Non lo farò. Se questo è il prezzo da pagare per le mie ancelle... e per la mia idiozia nell’avvicinarmi così tanto al confine... beh, pagherò!
Mi sfilo le mutande e le lascio a terra. Anche se cerco di restare impassibile, sto tremando e il mio respiro è affannoso.
Gli occhi grigi di Shandar corrono sul mio corpo velati di divertimento.
- “Giratevi per favore”
Obbedisco, sentendo una fitta di umiliazione percorrermi l’intero corpo. Non mi sono mai vergognata così tanto in vita mia. Non mi sono mai sentita tanto vulnerabile e impotente.
- “Avete un fondoschiena niente male, mia signora. Forse potrei considerare la possibilità di trattare con voi.”
Mi mordo la lingua per non rispondere. Vorrei insultarlo, vorrei scoppiare a piangere, vorrei picchiarlo, vorrei scappare!
- “Scioglietevi i capelli”
Impiego un po’ a farlo, le mie dita tremano troppo. Quando i capelli mi ricadono sulla schiena sento un fugace senso di sollievo per la copertura che mi offrono.
Ma è il respiro di un solo istante, perché sento i passi di Shandar farsi più vicini.
- “Ailanda, i vostri capelli rappresentano la miglior parte delle vostre attrattive, siete così poco vanitosa da nasconderli con assurde acconciature come quella con cui vi siete presentata da me?”
Mi giro di colpo, terrorizzata e furibonda al contempo.
- “Credete che  possa anche solo interessarmi usare le mie attrattive su di voi?” – scatto all’improvviso – “Su di un pervertito mascalzone che rapisce ragazze innocenti?” – devo fare uno sforzo terribile per non piangere – “È questo che avete fatto anche alle mie ancelle? Ve le siete portate a letto con la forza?”
Lui scoppia a ridere. Sarebbe un giovane bellissimo, senza quel sorriso sarcastico perennemente ricamato in volto.
- “Non vi sto portando a letto con la forza, signora” – risponde beffardo – “Potrei portarmi a letto i vostri capelli e il vostro fondoschiena, ma il resto di voi è decisamente al di sotto dei miei gusti.”
Fa un passo indietro e mi osserva ancora una volta da cima a fondo, le caviglie, i polpacci, le cosce. Si sofferma sull’inguine per un po’, mentre tremo di vergogna. Poi risale lungo i fianchi e fa una sosta sul seno, osservando come sale e scende sotto il mio respiro affannoso. Alla fine i suoi occhi tornano sul mio viso.
- “Questo è quello che succede quando una ragazzina sfacciata cerca di impormi il suo volere” – dichiara, incrociando le braccia sul petto – “Desiderate dirmi qualcos’altro, signora di Piccola Terra Fiorita?”
La verità è che vorrei solo piangere. Dopo questa umiliazione, non avrò più il coraggio di guardarmi allo specchio.
Di fronte al mio silenzio, Shandar torna a sorridere.
- “Se è sufficiente questo per ammutolirvi, provvederò a spogliarvi ogni volta che riceverò un vostro sollecito!”
Si avvicina di nuovo e con una mano sfiora la collana di fiori che porto al collo.
- “Da qui proviene il vostro potere, vero?” – dice, curioso – “Scommetto che se non fossimo sulla mia terra, mi avreste già incenerito!”  Il pensiero sembra divertirlo.
Poi, senza preavviso, mi passa una mano dietro la schiena e una sotto le gambe e mi trovo intrappolata fra le sue braccia. Mi accorgo con orrore che sta uscendo dal vano delle rocce, di nuovo verso la linea di confine... e verso i miei uomini.
- “No!” – ansimo – “Non così, i miei abiti...”
- “Vi preferisco nuda signora, avete una lingua meno tagliente”
Si ferma presso la linea di confine e affondo il viso nel suo petto per non vedere le facce sconvolte dei miei uomini.
- “Questo è il patto che vi offro” – dice all’improvviso, sorprendendomi – “Fra tre giorni partirò per un breve viaggio in cui mi farà comodo potermi servire dei vostri poteri. Accompagnatemi in questo tragitto Ailanda. Sola. Venite con me e io smetterò di rapire le vostre ancelle.”
- “La signora non può venire via sola con voi!” – ribatte indignato uno dei miei accompagnatori – “Siete un uomo pericoloso, l’avete appena dimostrato. Se accetterà di venire, lo farà con una scorta.”
- “Nessuna scorta, questo è il patto” – risponde calmo Shandar – “Per difenderla dai pericoli esterni basto io. E per difenderla da me... “ – anche se non lo sto guardando, sento il sorrisetto canzonatorio spuntare tra le pieghe della  sua voce – “... vi siete già dimostrati sufficientemente fallimentari.”
Detto questo si china e sporge le braccia oltre la linea lasciandomi a terra
Immediatamente uno dei miei uomini si precipita su di me a coprirmi con il mantello. Ma io me ne accorgo a malapena. Tornata nella mia terra, la mia furia si incendia. Scatto in piedi in preda alla rabbia e sento l’alone di energia crepitare intorno a me in una fiammata multicolore.
- “Risparmiatemi la vostra rabbia signora” – dice Shandar, affatto impressionato – “Avrete bisogno di energie per il nostro viaggio. Fra tre giorni qui, all’alba”
Mi lancia un ultimo sguardo beffardo e si allontana in compagnia del suo servitore. La sua figura snella, dorata, contrasta con l’azzurro del cielo.
Quando sono certa che non si volterà più a guardarmi, crollo a terra annientata.


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Dopo la partenza un attimo lenta del primo capitolo, la storia inizia a "scantenarsi" e seguirà più o meno il ritmo di questa parte appena pubblicata.
Spero che questi personaggi possano presto incuriosirvi e indurvi a seguire la breve ma intensa avventura che li attende....

 
 

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Capitolo 3
*** Partenza ***


Sono già trascorsi due giorni e non ho ancora trovato il coraggio di uscire dalla mia abitazione. Mi limito a raggiungere le rive del Fiume Diamante per svolgere il mio dovere assieme alle ancelle, ma non ho fatto visita agli abitanti di Piccola Terra Fiorita come è mia abitudine.  La voce di ciò che è accaduto è trapelata, nonostante tutte le assicurazioni di riservatezza dei miei due accompagnatori. Ma sapevo che sarebbe accaduto, a Piccola Terra Fiorita nulla rimane un segreto. Siamo troppo pochi e troppo intrecciati gli uni agli altri, perché le conoscenze dell’uno non diventino in breve tempo quelle di tutto il popolo.
Così, in capo a due interi giorni, ormai tutta la nostra terra è a conoscenza della mia umiliazione e io temo che non avrò mai più il coraggio di farmi vedere da occhi  umani.
Le ore trascorse dall’incontro con Shandar sono state le più tormentate della mia vita, le immagini di quanto è accaduto non hanno fatto che girarmi ripetutamente davanti agli occhi, mentre all’orrore si sovrapponevano vergogna, terrore, disgusto, rabbia e odio.
Ho parlato con le Ancelle del patto propostomi dal signore di Geocenda e la loro prima reazione è stata di rifiuto. Mi hanno promesso che sarebbero state attente, che avrebbero agito in modo da non diventare prede di nuovi sequestri, ma anche le precedenti vittime di Shandar mi avevano fatto le stesse promesse. Purtroppo Piccola Terra Fiorita non è autosufficiente e spesso sconfiniamo nelle numerose terre adiacenti per procurarci ciò di cui necessitiamo. E se finché restiamo sulla nostra terra Shandar non può farci nulla, appena varchiamo i confini di altri paesi, può avventarsi su di noi.
E so che accadrà, accadrà in continuazione, perché l’ho guardato in faccia e ho compreso che non si farà scrupoli. Non gli importa di danneggiarci, né di danneggiare la sua stessa terra, continuerà a mettere in pericolo la purezza del Fiume Diamante, solo perché l’ha promesso.
L’alternativa restante sarebbe quella di muovergli guerra. E perdere, senza dubbio, perché Piccola Terra Fiorita non ha mai fatto guerra a nessuno e non ha forze né ingegno adatti a sostenere una battaglia.
Così so che non posso fare altro che andare, anche se le Ancelle Fiorite cercano di trattenermi e i miei uomini mandano messaggi di avvertimento nelle mie stanze. Se penso a ciò che mi appresto a fare, lo stomaco mi si contorce di ansia e repulsione. Non sopporto di essere scrutata ancora da quei sarcastici occhi grigi, non tollero il pensiero di trascorrere del tempo accanto a quel giovane perverso. Ma se ho ben capito, il nostro viaggio si estenderà lontano da Geocenda e questo mi assicurerà una certa protezione. Fuori dalla terra di Shandar potrò difendermi e, se posso attingere energia dai fiori, non sono proprio una fanciulla inerme.
Così mi rivolgo a Laila, mia prima cugina, perché si occupi delle Ancelle durante la mia assenza, per quanto essa possa durare. Ingoio la vergogna, l’avversione e la collera e decido di partire con Shandar, signore di Geocenda.
Sono assolutamente imperturbabile e per ogni goccia della mia imperturbabilità, giuro che gliela farò pagare.
 
Quando arrivo al luogo dell’appuntamento, mi sta già aspettando. Il suo cavallo è alto, forte, bianco come latte puro. Io invece sono a piedi, non avendo ricevuto indicazioni di portare una cavalcatura. Già da lontano sento il suo sguardo pungente su di me, sta esaminando ogni centimetro del mio corpo come se valutasse le mie possibilità di sopravvivere. Osserva il mio comodo abito da viaggio, i capelli legati in un’unica grossa treccia, i fiori che mi circondano il collo e i polsi.
- “L’altro giorno mi siete sembrata una ragazzina” – esordisce – “Ma oggi devo ricredermi, temo siate ancora una lattante.”
Alzo su di lui lo sguardo più freddo che riesco a produrre, ignorando la sua provocazione.
- “Promettete che se vengo con voi smetterete di rapire le mie ancelle?”
- “ L’ho già detto.”
- “E libererete quelle che avete rapito?”
- “Questo dipenderà da quanto sarete compiacente.” – ribatte, con un sorriso appena accennato.
-“ Desiderate dunque la compiacenza di una lattante?”
Lui scoppia a ridere.
- “Avanti signora, salite!” – mi porge una mano, ma io esito ancora.
- “Dove andremo?”
- “Viaggeremo per qualche ora attraverso Geocenda, poi raggiungeremo la Terra di Calanda e passeremo la notte in uno dei suoi villaggi. Domani infine proseguiremo per la regione di Verdenia.”
Annuisco e afferro la sua mano. Shandar mi dà uno strattone e in un attimo i miei occhi sono all’altezza dei suoi. Ma trovarmi così vicina al giovane che tre giorni prima mi ha orribilmente umiliata mi procura una tale repulsione che mi tiro indietro, perdo l’equilibrio e all’improvviso sto cadendo. Dimeno le braccia in cerca di un sostegno, una mano di Shandar rallenta la mia caduta ma non riesce a fermarla, mi avvinghio a ciò che riesco, ma anche il mio appiglio cede e infine approdo di schiena sulla terra dura, le gambe per aria e uno stivale del signore di Geocenda in una mano.
Il mondo si sfoca davanti ai miei occhi, mentre resto senza fiato per l’impatto, poi lentamente i colori tornano a farsi definiti e il mio sguardo si ferma sul viso beffardo di Shandar, rimasto da solo sulla sella.
- “Un encomio alla vostra grazia, mia signora” – mi apostrofa e dietro ai suoi occhi grigi scorgo un lampo di divertimento.
Chiudo gli occhi, incredula di fronte alla mia orribile goffaggine. Quando trovo il coraggio di riaprirli, Shandar purtroppo non è scomparso. Mi alzo lentamente a sedere, indolenzita, e appoggio a terra lo stivale del giovane che, durante la caduta, mi è rimasto in mano. In quel momento lo sguardo mi si posa sul piede nudo del ragazzo, che pende dalla cavalcatura. Sbatto le palpebre più volte, sicura di avere ancora la vista confusa, ma l’immagine non cambia.
Alla caviglia di Shandar è stretto un bracciale di spine acuminate. Gli aghi gli penetrano la carne in un modo che è doloroso solo a guardare, mentre rivoli di sangue, in parte fresco in parte già coagulato, gli solcano la pelle.
Alzo un sguardo interrogativo su di lui, ma il giovane sta tendendo il braccio senza badare al mio stupore.
- “Lo stivale, per favore”
- “Grazie per il vostro interessamento, in effetti mi fa un po’ male la schiena” – ribatto acidamente, sbattendogli in mano la calzatura.
Mi alzo da terra, mentre lui infila lo stivale sopra alla caviglia piagata. Ma inghiottirò la mia stessa lingua prima di chiedergli spiegazioni.
Risalgo a cavallo, stavolta con successo, getto un ultimo sguardo di rimpianto alla mia terra e mi appresto a iniziare questo discutibile viaggio.



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Capitolo piuttosto breve, ma che serve da premessa per tutto quello che verrà... Dalla prossima pubblicazione inizieremo a scoprire qualcosa di
più su Shandar...






 
 
 

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Capitolo 4
*** Prime sorprese ***


Con mia sorpresa, viaggiare con Shandar non si rivela sgradevole. Quando il cavallo prende un’andatura regolare, il suo sguardo si fa pensoso e all’improvviso sembra che si scordi della mia presenza. Dopo un po’ mi abituo al calore che proviene dall’inevitabile contatto dei nostri corpi e i brividi di repulsione diminuiscono. Per quanto finga di sentirmi tranquilla, non posso negare di essere preoccupata per la mia incolumità, ma Shandar al momento sembra diventato innocuo e questo mi permette, con il passare delle ore, di iniziare a rilassarmi almeno un poco. Ci sono mille domande che mi percorrono la mente, senza che mi azzardi a porne neanche una. Dove stiamo andando, cosa dovrei fare, perché ha voluto proprio me, perché Shandar porta un braccialetto di spine alla caviglia..? 
Quando usciamo dai confini di Geocenda mi rilasso ulteriormente. So di potermi difendere ora e questo mi fa sentire meno vulnerabile.
Nel primo pomeriggio ci fermiamo a mangiare nell’osteria di un villaggio di Terra di Calanda. Ordino zuppa, pane, formaggio e per concludere una fetta di torta. La levataccia all’alba, la tensione accumulata e la lunga cavalcata mi hanno messo una fame terribile. Mangio di gusto ed è solo verso la fine del pasto che alzo gli occhi dal tavolo e incontro il sorriso canzonatorio di Shandar.
- “Pensate di riuscire a risalire a cavallo, dopo questo pasto?” – mi stuzzica – “O vi ritroverò nuovamente con la schiena per terra?”
Lui non ha sbocconcellato che una mela  e nonostante il lungo viaggio che ancora ci aspetta, non accenna a voler mangiare nient’altro. Non per questo cedo al pensiero di dovermi sentire in imbarazzo, ho deciso che non proverò mai più vergogna davanti a lui!
Paga anche per me, una cifra piuttosto elevata a dire il vero, e nel farlo mi lancia un’occhiata ironica. Sembra che ogni cosa di me lo diverta, ma è quel divertimento che non ti apprezza davvero e che si fa beffe di te senza riguardo.
Ripartiamo immediatamente e cavalchiamo ancora per diverse ore, finché non vediamo il sole scendere all’orizzonte. Solo allora Shandar decide che è ora di fermarsi per la notte e sceglie una locanda nel villaggio che stiamo attraversando. La prospettiva della sosta mi attrae e al contempo di respinge. Sono sfinita, ho bisogno di scendere da questo cavallo, mangiare e riposare, ma non so cosa mi aspetterà una volta alla locanda. Non credo tuttavia che si ripeterà la scena di tre giorni prima... Shandar, al confine, ha solo cercato di umiliarmi per rimettermi al mio posto, ma non sembrava realmente attratto da me. L’ha detto chiaramente.
Come temevo, prende una sola stanza e nella camera c’è un solo grosso letto. Chiediamo che ci portino la cena e nel frattempo mi apparto nella stanza da bagno per rinfrescarmi e cambiarmi. Ho portato per la notte un camicione lungo e largo, che non lascia intravvedere nulla e che toglierebbe la voglia di fantasticare anche a un carcerato senza donna da vent’anni.
Shandar, quando lo vede, scoppia a ridere.
- “Bel tentativo Ailanda” – mi apostrofa – “Ma temo sia del tutto inutile, dal momento che conosco perfettamente ogni centimetro del vostro corpo.”
L’ira mi fa arrossire, ma dissimulo il mio stato d’animo andando ad aprire al locandiere che porta la cena.
Imperturbabilità, mi ripeto. Shandar non riuscirà più a turbarmi!
Mi rimpinzo di spezzatino per calmare l’agitazione e ancora una volta mi stupisco nel vedere il mio compagno mangiare solo un tozzo di pane. Una mela e un pezzo di pane, in un giorno intero sono niente, soprattutto se si tratta di un giorno di viaggio, iniziato all’alba e intrapreso da un uomo giovane e di alta statura.
Stavolta la curiosità mi vince.
- “Vi sentite poco bene Shandar? Non avete mangiato nulla per tutto il giorno!”
- “Signora, temo che i vostri parametri siano un tantino abbondanti. Forse dovreste stare voi attenta a tutto quello che ingerite!”
Mi mordo la lingua per punirmi di aver ceduto e avergli dato modo di prendermi in giro una volta di più. Se vuole morire di fame, sarà libero di farlo e io osserverò il suo corpo rinsecchire con estrema soddisfazione!
Quando si corica a letto, mi accorgo che il braccialetto di spine si trova sul comodino. La sua caviglia, orribilmente piagata, è libera sulla coperte.
- “Spegnete la candela, quando volete dormire” – mi dice e poi si copre il viso con il cuscino. Sospiro di sollievo nel rendermi conto che non ha secondi fini.
Mi accosto alla finestra fingendo di interessarmi al paesaggio notturno, mentre aspetto che si addormenti. Se riesco nel mio intento, avrò tutte le risposte che cerco senza dover porre alcuna domanda. Sono sicura che Shandar non conosca tutte le risorse di cui dispone un’ Ancella Fiorita, nel momento in cui non è costretta a trattenere i suoi poteri.
Aspetto una mezzora per sicurezza, mentre il respiro del ragazzo si fa sempre più lento e profondo. Quando ho la certezza che lo sfinimento abbai preso il sopravvento, mi avvicino a lui con cautela e mi sfilo dai polsi i braccialetti di fiori. Ne appoggio uno con cautela sulla sua caviglia martoriata, l’altro, dopo un momento di riflessione, lo adagio sul suo stomaco che non può – sono certa che proprio non possa – evitare di contorcersi per la fame. E poi ascolto.
Le prime vibrazioni che arrivano sono basse, sotterranee, le devo scandagliare cautamente prima di capire che portano a un’emozione. L’emozione umana più cupa e corrosiva: il senso di colpa.
Provo ad affondare nelle vibrazioni che arrivano dai fiori e che trasportano i sentimenti di Shandar. La negatività che ne emana è talmente densa, da impedirmi di vedere con chiarezza. So per certo che ciò che sta facendo il giovane a se stesso, il tormento alla caviglia e il digiuno forzato, sono comportamenti autopunitivi imposti da un senso di colpa amaro come bile. Ma quando cerco di scavare più a fondo, il letto sotto di me inizia a tremare.
- “Quello che avete scoperto è di vostro gradimento?”
Shandar, ora sveglio, si è levato a sedere e mi osserva con occhi inquietanti. Tuttavia non sa con chi ha a che fare. Ora sono libera di agire come preferisco.
In un istante afferro i bracciali che avevo appoggiato su di lui e lo spingo indietro con una mano finché, colto di sorpresa, lui non ricade con la schiena sul materasso con le braccia ai lati del viso.
Spingo i braccialetti di fiori su entrambi i suoi polsi e godo nel vedere il suo smarrimento quando cerca di muoversi e si rende conto di essere immobilizzato. I fiori mi obbediscono qui a Calanda, per lo meno su Shandar che è abitante di Geocenda.
- “Bella mossa” – dice lui, senza perdere il suo sorriso beffardo – “E ora cosa vorreste farmi Ailanda? Accoltellarmi con le posate dello spezzatino?”
In realtà non avevo pianificato di arrivare a questo punto e non so bene come agire. Il senso di trionfo che sperimento nell’averlo immobilizzato, non è sufficiente a giustificare le mie azioni.
- “Avete addosso altri segni?”
- “Segni di che tipo?” – replica lui, senza troppa partecipazione.
- “Segni che vi auto infliggete, come quello sulla caviglia.”
- “Non vedo come questo possa interessarvi. O è una scusa per indurmi a togliere i vestiti?”
Il suo sorrisetto mi dà ai nervi. Sembra che niente possa scalfire la dura corazza di questo giovane principe. È così difficile conversare con lui... di qualunque cosa!
Mi avvicino spavalda e gli apro la camicia esaminandogli il petto. Controllo le spalle, i fianchi, e rimango sbigottita da ciò che trovo. Cicatrici, abrasioni ovunque. Sono tutti segni vecchi, ormai guariti, ma non scomparsi. Mentre lo controllo, lui resta immobile sotto di me.
Sono tentata di cavargli i pantaloni e fare un commento caustico sul suo fondoschiena, così come lui l’ha fatto sul mio, ma la sua voce mi precede.
- “Sempre a vostra disposizione per farmi esaminare, signora. Ditemi solo cosa volete vedere ancora.”
Sentendomi una stupida mi sollevo, apro la mia sacca ed estraggo l’occorrente per la medicazione.
Afferro poi la sua caviglia e inizio a pulirla dal sangue.
- “Cosa vi prende adesso? Credevo foste una predatrice e invece vi mettete a fare il medico?”
- “Premuratevi di stare zitto Shandar” – lo interrompo – “O questo quarto d’ora, per voi non sarà affatto piacevole!”
- “Sono certo che non vi spiacerebbe!”
Non sapete quanto. Ma non lo dico ad alta voce, perché ho giurato a me stessa di restare imperturbabile. Sono certa che dal cielo mia madre si è già disperata mille volte in questi giorni, non posso più infangare il buon nome delle signore di Piccola Terra Fiorita!
Quando ho finito di lavare la caviglia, la cospargo di unguento e la avvolgo nelle bende. Shandar non parla più, sembra quasi assente. È lo stesso sguardo che aveva oggi a cavallo, durante l’intera giornata. Allora capisco cosa significa quell’essere così assorto.  Devo avergli fatto molto male medicandogli la caviglia, così come doveva essere doloroso cavalcare con il piede in quelle condizioni,  e quello è il suo modo di reagire al dolore. Niente lamenti o contorsioni, solo una fissità di sguardo che denota un’abitudine radicata alla sofferenza fisica.
Vorrei guardare dentro al suo senso di colpa in modo più completo, capire da dove arriva e perché lo costringe a farsi del male. Ma ora che è sveglio, le sue barriere sono elevate e tutto mi diventa più difficile. Mi sporgo a liberargli le mani dalla magia dei miei fiori e proprio in quel momento, mentre gli sfilo i bracciali, mi rendo conto di ciò che fino ad allora era rimasto nascosto dalle maniche lunghe.
- “Shandar... ma voi...”
Lui si massaggia i polsi e ridistende le maniche sulle lunghe cicatrici biancastre. Alza su di me uno sguardo grigio fosco, quasi a sfidarmi a continuare.
- “Voi avete tentato il suicidio!” – insisto, senza lasciarmi intimidire.
- “È di moda, nella mia terra.” – risponde lui, aspro  –“Un diversivo come un altro.”
Lo guardo in faccia e so che non mi spiegherà. Non dirà nulla, nemmeno sotto tortura, il suo sorriso canzonatorio sarà la barriera contro cui rimbalzerà ogni mio tentativo di comprensione.
Non sarà questa sera il momento in cui capirò Shandar di Geocenda.
Rimetto l’occorrente per la medicazione nella mia sacca e poi soffio sulla candela ormai agli sgoccioli, in segno di resa.
*   *   *
 
La prima cosa che noto il mattino dopo, oltre al fatto che Shandar non si trovi più nella stanza, sono le bende insanguinate accasciate a terra. Il braccialetto di spine è scomparso dal comodino e non ho dubbi sul fatto che sia tornato alla caviglia del giovane principe.
Raduno le mie poche cose e scendo al piano a terra, dove la locandiera mi offre la colazione. La giornata è bella e calda come le precedenti, unica nota positiva di quel viaggio forzato.
- “Il vostro signore si trova nelle stalle” –mi avvisa la donna – “Sta lavando il cavallo.”
Annuisco e metto in bocca l’ultimo pezzo di pane.
- “Ha fatto colazione stamattina?” – domando.
- “Ha bevuto un bicchiere di latte.”
Mi sfugge una smorfia di disappunto.
- “E ditemi, ci sono prati fioriti nei pressi del paese? Avrei bisogno di andarci, mentre il mio... compagno finisce con il cavallo.”
La locandiera assume un’aria interessata.
- “Siete un’Ancella Fiorita, vero? Sì, ci sarebbe un prato di fiori alla fine del sentiero qui a destra, in fondo alla strada. Devo dire a vostro marito che rientrerete a breve?”
Il fraintendimento mi innervosisce, è scocciante accorgersi che la gente ci crede  una coppia affiatata.
- “Se volete” – rispondo seccamente, incamminandomi per il sentiero. Presumo che agli occhi di un’ingenua sconosciuta, il signore di Shandar paia un giovane attraente e carismatico. Ha un bel viso, un bel fisico, una notevole parlantina e un modo di fare – quando non si rivolge a me – che risulta accattivante e piacevole. Nasconde con subdola facilità la sua completa mancanza di scrupoli verso la sorte dei nostri popoli o di chiunque ci circondi.
Per me è buona cosa girare equipaggiata di fiori, in modo da essere pronta  a qualunque evenienza: attaccare, scrutare, proteggermi. Con Shandar ogni cosa è possibile.
Ho già raccolto un bel mazzo, quando mi rendo conto che i suoni che percepisco nell’aria da un po’ sono identificabili come un guaito. Seguo il richiamo fino al limitare del prato, dove si apre un grosso canale ripido e aggrovigliato dai cardi. Il cucciolo di cane si trova lì, incastrato fra due rami spinosi che gli impediscono di liberarsi. Piange disperato.
Mi chino a terra e sondo il terreno scivoloso con un piede, ma una mano mi trattiene proprio mentre decido di tentare la discesa.
- “Cosa fate, sciocca? Quei rovi vi ridurranno a un colabrodo!”
Shandar è trafelato, come se avesse corso a perdifiato per raggiungermi.
Gli rivolgo un’occhiata scettica.
- “Quanta fretta mio signore, avevate paura che vi avessi piantato in asso?”
- “O che vi foste infilzata come un pollo allo spiedo, cosa che sta effettivamente per accadere!” – ribatte lui.
- “Beh, non ho intenzione di lasciar morire quel cucciolo, quindi lasciatemi!”
Lui mi rimanda  uno sguardo esasperato.
- “Vado io. Voi non muovetevi.”
Lo osservo sdegnata.
- “Non avete alcun potere Shandar, voi sì che finirete come un colabrodo, le spine vi squarceranno!”
Mi risponde con il consueto sorriso tagliente - “Sono abituato alle ferite, se non ve ne siete accorta. Meglio a me che a voi, non credete?”
La mano di lui è salda, grande e forte. Non permetterà che vada, ma lasciar andare lui è una sconfitta per il mio orgoglio assetato. Il mio spirito bruciante si estende per l’intero campo e abbraccia ogni singolo fiore, che mi rimanda la sua energia. Divento incandescente e Shandar istintivamente mi lascia, costernato. Approfitto dell’istante per lasciarmi scivolare nel canale. Man mano che sfioro il terreno, i rovi si attorcigliano e si ritirano come se sfuggissero a un fuoco divorante.
Raggiungo il cucciolo che guaisce, osservandomi con occhioni disperati. Non sembra gravemente ferito, solo intrappolato da una gabbia di rovi che deve essergli scivolata addosso quando con la sua caduta ha fatto vacillare l’equilibrio delle piante.
Afferro due rami nel punto dove ci sono meno spine e con uno scatto tiro in alto, rimettendo il cucciolo in libertà. Un frastuono di rami e scalpiccio mi rimbomba in testa, seguito da un gemito strozzato.
- “Maledizione a voi Ailanda! Non potevate bruciare le spine, invece di spostare ogni cosa?”
Shandar è accanto a me, con una spalla sanguinante e una smorfia di disgusto in viso.  Con un braccio ha fermato una massa di rovi aguzzi che, con il mio movimento brusco, si era spostata crollando verso di noi. Diverse spine l’hanno trafitto fra il collo e la clavicola.
Prendo in braccio il cucciolo, che si abbandona con un guaito nelle mie mani.
- “Non mi ero resa conto che i rovi ci sarebbero caduti addosso” – dico, con disappunto.
Shandar mi osserva divertito – “Evidentemente il vostro cervello funziona a intermittenza!” – ma non mi lascia controbattere, perché subito aggiunge  - “Non vi credevo tanto temibile, i rami si ritraevano da voi come se ne foste la regina.”
- “Solo voi mi sottovalutate Shandar e mi trattate come se non potessi oppormi a voi.”
- “Ma voi non potete opporvi a me” – mi ricorda con un sorriso antipatico – “A meno che non vogliate rinunciare alle vostre ancelle.”
Ci guardiamo in faccia in silenzio. Sappiamo entrambi che sono più forte di lui, il modo in cui l’ho immobilizzato la sera prima lo dimostra. Potrei ucciderlo, o anche prenderlo in ostaggio e allora riavrei le mie ancelle. Forse potrei strappargli comunque la promessa di cessare i rapimenti.
Ma ho fatto un patto con lui, a metà delle nostre terre, e sono la signora di Piccola Terra Fiorita. Non verrò meno alla mia parola e lui lo sa. E ne approfitta. Non solo per girare le mie forze a suo favore, ma anche per sorriderne.
Accarezzo il cucciolo che mi sta leccando le mani e mi incammino verso la locanda.
- “Grazie per aver fermato la caduta dei rovi” – dico, senza guardarlo, richiamando alla mente la mia imperturbabilità – “Alla locanda vi medicherò.”
- “Vi ringrazio signora, ma mi avete già fatto sprecare tempo a sufficienza. Dobbiamo ripartire immediatamente.”
Alzo le spalle in segno di indifferenza. Probabilmente è fiero di portare un nuovo segno sul corpo. Forse spargerà sale sulla ferita per soffrire di più, dal momento che il masochismo gli piace.
- “Ho intenzione di tenere questo cucciolo” – gli annuncio – “Chiederò alla locandiera se può curarlo fino a domani, quando ripasseremo a prenderlo.”
Lui non risponde, come se non avesse sentito.
La locandiera, gentilmente, accetta di occuparsi del cane. Lo accarezzo un’ultima volta prima di partire, mentre lui si accanisce in feste grandiose.
- “Aspettami qui Carciofino, domani verrò a prenderti e tornerai a casa con me!”
- “Carciofino” – ripete lentamente Shandar, come se non credesse a quel suono.
- “Gli si addice perfettamente, qualcosa in contrario?”
- “Carciofino!” – ripete lui incredulo. Mi toglie di mano la sacca legandola al cavallo, scuotendo la testa come se compatisse me e il cane.
Imponendomi di non badargli, saluto la locandiera e mi accingo a riprendere il viaggio.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Risposte, verità, nuovo patto ***


Durante il viaggio, quel giorno rifletto a lungo. Non c’è altro da fare mentre il sentiero si dipana sempre identico davanti e dietro a noi. Shandar non parla e dopo un po’ la mia testa inizia a vagare di propria iniziativa. Mi soffermo sulle scoperte più recenti e sugli avvenimenti delle ultime ore e scopro che il principe di Geocenda mi incuriosisce. Sono tanti gli elementi di lui che destano il mio interesse: il rapimento incomprensibile delle mie ancelle, le tracce dense di colpa che lo tormentano, i comportamenti autolesionisti che non nasconde ma sul quale è elusivo, il comportamento ambiguo nei miei confronti. A volte strafottente e provocatorio, a volte evasivo e sfuggente, a volte ancora accondiscendente. Mi ha sorpreso il modo in cui si è offerto di aiutare il cane al mio posto, sospetto che in lui possa esistere un ansito di sensibilità, anche se probabilmente traspare di rado.
Man mano che le ore passano, ho la sensazione che l’umore di Shandar si faccia più cupo. A pranzo non mangia che un piatto di brodo senza pane, il suo silenzio diventa sempre più lungo e pervasivo. Persino il suo sorriso ironico sembra essersi eclissato, lasciando il posto a occhi grigi assorti in chissà quali elucubrazioni.
Ci troviamo nella terra di Verdenia da poche ore quando, in pieno pomeriggio, mi dice che siamo arrivati. Abbiamo appena attraversato un villaggio di medie dimensioni dall’aria stanca e antiquata e ora ci stiamo inoltrando per un sentiero, nel fitto di un piccolo bosco al limitare del paese.
Mi guardo intorno incuriosita, cercando di capire finalmente lo scopo di questo viaggio forzato, ma non vedo niente che possa dare soddisfazione alle mie domande.
Ma poi, tra gli alberi, vedo apparire una costruzione insolita, in pietra, alta almeno quanto cinque uomini. La pianta è circolare e l’ingresso è delimitato da due alte colonne. Ciò che più mi sorprende sono le decorazioni dipinte sulle parenti esterne, del tutto simili a quelle tipicamente utilizzate a Piccola Terra Fiorita.
- “Aspettate qua un momento” – dice Shandar, scivolando a terra. Senza esitare entra nella costruzione – un tempietto oserei chiamarla – e scompare tra le ombre delle colonne.
Il momento di attesa si prolunga più del previsto e presto inizio ad annoiarmi. Scendo di sella e lego il cavallo a un albero, ne approfitto per sgranchirmi le gambe e bere qualcosa dalla borraccia.
Finalmente Shandar riappare e dietro a lui vedo spuntare un uomo anziano, alto e sottile, vestito di una tonaca grigia. Ha una barba cinerea che gli copre il mento, occhi azzurro pallido e una testa quasi del tutto calva. Mi osserva con calma e studiato interesse, poi volta la schiena e rientra lentamente nel tempio.
- “Seguitelo Ailanda, è tempo che abbiate le risposte che cercate.”
Rimango indecisa un istante. Ammetto di sentirmi turbata all’idea di entrare da sola nella costruzione a parlare con quell’insolito sconosciuto.
- “Troverete molte più risposte di quello che potete immaginare” – mi incita Shandar, enigmatico.
- “Di cosa state parlando?”
- “Del motivo per cui le acque del Fiume Diamante hanno cessato di essere potabili.”
Il mio cuore manca un battito. Possibile che il signore di Geocenda stia dicendo la verità?
- “Non è possibile, Verdenia non si trova neppure lungo il fiume Diamante!”
Sul volto di Shandar torna ad aprirsi il solito sorriso ironico. Stavolta però è venato di un umore più scuro, quasi cattivo.
- “È per questo che la spedizione partita dalle nostre terre ha avuto un esito tanto infausto. I nostri uomini cercarono una soluzione lungo le terre che costeggiavano il fiume. Ma le risposte erano qui, in questo tempio. La risposta ero io.”
Sbatto le palpebre, confusa.
- “Voi? Cosa dite?”
Shandar sorride amaramente – “ Io sono la causa del Disastro. Unicamente io.”

Il signore cinereo, Urtens ha detto di chiamarsi, mi fa strada attraverso le colonne istoriate fino al nucleo del tempio. Camminando, leggo gli avvertimenti scritti a lettere cubitali sui muri e sulle colonne, ciascuno di loro incita a non toccare il Fiore, a lasciare ogni cosa come si trova. Mi sorprendo di vedere che avvicinandoci al centro, il pavimento di pietra scompare, sostituito da un tratto erboso circolare illuminato dal sole che entra da un grosso foro rotondo situato sul soffitto.
Urtens siede sulla pietra che costituisce il delimitare del pavimento e mi fa segno di imitarlo. Lo accontento, ancora stordita dalle parole di Shandar. Ho pensato che mi stesse mentendo e prendendo in giro, ma i suoi occhi erano così foschi, il suo sorriso così truce, che ho paura di scoprire la verità.
- “Vi sento nervosa, signora” – dice infatti l’uomo, dando voce al mio stato d’animo – “E posso capirvi. Shandar non ha avuto il coraggio di darvi spiegazioni e ha incaricato me di farlo al suo posto. Lo accontenterò per ciò che posso, ma vi chiedo di ascoltarmi fino alla fine. Quello che vi dirò vi turberà, ma è importante che sappiate con precisione ogni cosa.”
Annuisco e con fatica ritrovo la voce.
- “Lui... ha detto che sapete perché il Fiume Diamante è cambiato.”
- “Questa storia è molto più vecchia del Disastro accaduto dieci anni fa. Il Fiume Diamante non è nato potabile, signora. Esso è sempre stato un torrente dalle acque velenose, a causa delle terre cui deriva la sorgente. Terre cattive, pericolose, che producevano acque altrettanto dannose. Fu un’Ancella Fiorita come voi, più di cinquecento anni fa, a trasformare il fiume in una fonte di vita.”
- “Un’ Ancella Fiorita?”
È la prima volta che sento questa storia, nessuno me ne ha mai accennato.
- “È una storia vecchia, ve l’ho detto, che si perde nei secoli. Tamalai, si chiamava quell’ancella. Essa fu la più potente signora dei fiori mai nata sulla terra. E proprio grazie alla sua potenza, fu in grado di creare un incantesimo di proporzioni grandiose. Incrociò svariate sementi e produsse un Fiore dai poteri eccelsi. Voi Ancelle Fiorite ora riparate al Disastro grazie a fiori che coltivate ogni giorno e su cui quotidianamente agite tramite le vostre energie. Ma quel Fiore era qualcosa di completamente diverso. Esso era eterno e immortale e finché la mano di un uomo non l’avesse colto, avrebbe continuamente purificato le acque del Fiume Diamante, giorno dopo giorno, senza sosta.”
Questa storia mi affascina.
- “E il Fiore si trovava qui?” – domando, indicando il lembo di prato al centro del tempio.
- “Sì, qui lo piantò Tamalai e intorno a esso sorse il tempio a sua protezione.”
- “Eppure ora non c’è più.”
Urtens sospira.
- “Qui interviene il vostro compagno di viaggio, mia signora, il giovane principe Shandar che dieci anni fa non era che un ragazzino quattordicenne. Si trovava in un ritiro d’addestramento in Verdenia, qui nel nostro villaggio, assieme a molti altri giovani. Era un ragazzo scanzonato, superficiale, come molti lo sono alla sua età. Fece una bravata una notte, uscendo di nascosto con un gruppo di amici. Si sfidarono a vicenda a compiere imprese proibite, pericolose. Fu così che entrarono nel bosco e trovarono il tempio. Shandar fu sfidato a entrare e rubare qualcosa e lui lo fece. Entrò eludendo la mia sorveglianza, ma non trovò null’altro che il Fiore. Temendo che l’avrebbero tacciato di vigliaccheria se fosse tornato a mani vuote, ignorò tutti gli avvertimenti scritti a chiare lettere sulle colonne, si avvicinò al Fiore e lo strappò.” – Urtens fa una pausa e un sospiro desolato gli sfugge dalle labbra – “Quello fu il momento in cui il Fiume Diamante tornò a essere velenoso. L’incantesimo benigno si spezzò e il Fiore, tra le mani di Shandar, divenne un pugnale.”
- “Un...pugnale?”
Solo allora lo vedo. È al centro del piccolo prato, confuso tra l’erba.
- “Prendetelo, Ailanda.”
Obbedisco e pochi secondi dopo il pugnale è fra le mie dita, pesante e freddo. Torno a sedermi accanto a Urtens e solo in quel momento scorgo una scritta sottile sull’elsa.
- “Solo il giusto sacrificio farà splendere il pugnale come un Fiore” – leggo.
Urtens annuisce.
- “Dopo quell’episodio, Shandar fu costretto a crescere in fretta. Tornò al suo paese, solo per scoprire che la spedizione era già partita. Molti uomini di Geocenda si erano uniti alla missione, fra i quali il re stesso, suo padre. Come ben sapete, nessuno di loro tornò. Il padre di Shandar morì come tutti gli altri.”
- “Come mio padre” – dico e un fiotto dell’antico dolore mi fa tremare.
Urtens mi rivolge un cenno di comprensione.
- “Shandar raccontò la verità alla madre e le spiegò del pugnale e della scritta.”
- “Il giusto sacrificio in grado di ritrasformare il pugnale in fiore. E di ripristinare l’incantesimo.” – comprendo.
Urtens sospira nuovamente, un sospiro intriso di tristezza.
- “La regina arrivò fino al tempio trascinandovi suo figlio, afferrò il pugnale e si scagliò su Shandar per ucciderlo. Ma il giovane era spaventato e in ultimo si scostò, restando solamente ferito. Fu allora che io intervenni. Il pugnale non stava splendendo e ciò significava che non era quello il sacrificio richiesto.”
Le parole di Urtens mi lasciano senza fiato. Non riesco a credere ai suoni che mi riempiono le orecchie.
- “Signore... mi state dicendo che quella donna ha cercato di uccidere suo figlio?”
- “Riteneva che il sacrificio di una madre che toglie la vita al figlio traditore, potesse essere la carta giusta. Ma non la era. E tornò a Geocenda con Shandar, giurando che avrebbero trovato il modo di ripristinare l’incantesimo. Poi passarono gli anni, il Fiume Diamante, purificato da Piccola Terra Fiorita, tornò a scorrere limpido come ai tempi dell’incantesimo. Ritenevo che il tempo avrebbe sfumato il dolore delle vite perse nella spedizione e affievolito la rigida determinazione della signora di Geocenda. Ma non avevo fatto i conti con il germe della colpa sbocciato in Shandar che negli anni, invece di rinsecchire, era attecchito e cresciuto e aveva esteso rami forti, implacabili.
Tornò qui quando aveva diciannove anni. Non aveva più nulla del ragazzo di cinque anni prima. Nessuna allegria, nessuna gioia di vivere, nessun entusiasmo. Era duro, corazzato, esteriormente invalicabile, ma il suo animo era intriso di sola disperazione.
Entrò nel tempio, prese il pugnale e si tagliò le vene. Mentre lo faceva, supplicò perché il suo sacrificio fosse preso in considerazione e perché il suo sangue lavasse la colpa di ciò che era stato. Ma il pugnale non splendette.
Raccolsi Shandar e nonostante le sue proteste curai le sue ferite e gli salvai la vita. Per la seconda volta. Non voleva più vivere, ma gli ricordai che solo lui poteva ripristinare l’incantesimo. Lui l’aveva spezzato e solo il suo sacrificio, qualunque esso fosse, poteva rimettere le cose a posto.
Gli diedi quella ragione di vita e per fortuna funzionò.
A quel punto sapevo che non avrebbe mai dimenticato e che, quando il senso di colpa si fosse fatto nuovamente insopportabile, sarebbe tornato a cercare una nuova soluzione.
Poi l’anno scorso sua madre morì e dopo qualche mese lui ricomparve al villaggio. Chiese di poter vedere i testi più antichi rinchiusi nella biblioteca e per settimane non fece che passarli in rassegna pagina dopo pagina. Disperavo che potesse trovare qualcosa di utile e invece la ricerca diede i suoi frutti. Comparve all’improvviso con un libro estremamente datato e mi mostrò le pagine che aveva scovato. Concordai con lui che c’era ancora una speranza.”
- “Cosa diceva il testo?” – sussurro.
- “L’incantesimo era stato fatto da un’Ancella Fiorita. E un’Ancella Fiorita avrebbe dovuto perpetuare il sacrificio che l’avrebbe ripristinato.”
Deglutisco. All’improvviso la mia presenza in quel luogo inizia ad assumere un significato tetro.
- “Così Shandar iniziò a rapire le Ancelle Fiorite” – aggiunge Urtens.
- “Era per questo.” – comprendo all’improvviso – “Voleva che lo aiutassero!”
- “Sì. Ma l’impresa non si rivelò semplice. Le Ancelle Fiorite sono anime miti, vengono educate alla pace, alla quiete e alla dolcezza. Nessuna di loro riuscì ad assumersi l’onere di spegnere la vita del signore di Geocenda. Un paio arrivarono persino fino a qui, convinte che per il bene delle terre nate attorno al Fiume Diamante, sarebbero riuscite a compiere il sacrificio. Ma in ultimo si tirarono indietro. Nessuna di loro volle macchiarsi le mani di sangue. Così Shandar pensò a voi.”
- “A me...” – sussurro.
- “A voi, che siete responsabile di ogni ancella di Piccola Terra Fiorita e della purificazione delle acque. Si disse che il rapimento delle vostre ancelle sarebbe diventato un ricatto perfetto. Aggiunse che se fosse riuscito oltretutto a rendersi detestabile ai vostri occhi, allora forse non avreste esitato. Immagino, se ora siete qui, che lui abbia messo in pratica tutte le astuzie che si era ripromesso.”
Penso al modo in cui mi ha ricattata. Ricordo l’umiliazione di trovarmi nuda di fronte a lui, esposta a quel sorriso beffardo che canzona ogni dettaglio del mio corpo. Il modo in cui mi ha gettata davanti ai miei uomini senza uno straccio d’abito. La voce di ciò che è accaduto, che gira sulla bocca di ogni abitante di Piccola Terra Fiorita.
- “Ha dato il peggio di sé.” – concordo con le labbra tremanti.
- “Non ne dubito.” – Urtens sorride, ma il suo sorriso non è allegro. Ha sempre un che di profondamente malinconico. – “Signora, ora tutto è nelle vostre mani. Il pugnale è vostro, potete tenerlo e usarlo come ritenete.”
- “Come ritengo...” – ripeto a voce bassa. Chiudo gli occhi pensando all’ironia della sorte – “Voi mi state dicendo che Shandar mi ha portata fino a qui perché lo uccida.”
- “Questo è il suo obiettivo, ma la decisione spetta a voi sola. Il mio compito era solo quello di chiarirvi gli avvenimenti. Ora vi lascerò sola, perché possiate pensare con calma. So che le vostre azioni non saranno dettate dalla rabbia, ma da una considerazione ben più ponderata.”
Così dicendo si alza, china la testa nella mia direzione in segno di saluto e si allontana silenziosamente, lasciandomi nella situazione più contorta e complessa che un’Ancella Fiorita abbia mai affrontato.

Rimango a lungo all’interno del tempio. Passeggio nel prato con il pugnale in mano, rigirandolo fra le dita in cerca di risposte. Le mie emozioni si accavallano l’una all’altra, rendendosi inestricabili, indistinguibili. Sollievo per la scoperta della verità, orrore per il racconto di Urtens, rabbia per la morte inutile di mio padre causata dalla bravata di alcuni ragazzetti. Smarrimento di fronte al compito che mi si chiede, pena per il tormento senza fine di Shandar, livore verso la sua superficialità infantile.
Ogni emozione si mescola di modo che non riesco a provarne una, senza che già un’altra cominci a pervadermi il cuore. Invoco l’imperturbabilità di mia madre. Respiro lentamente.
Rifletto sui tentativi già messi in atto per ripristinare l’incantesimo, medito sulla frase incisa sul pugnale, sugli insegnamenti che da sempre le Ancelle Fiorite si tramandano l’un l’altra, sulle energie dei fiori e le loro risorse. E man mano che rifletto la situazione mi diventa più chiara, fino a dipanarsi davanti ai miei occhi in tutta la sua complessità.
A quel punto sono pronta a tornare da Shandar.

Il sole sta tramontando quando lo raggiungo. È seduto sull’erba e i raggi obliqui del tramonto rendono la sua pelle scura e i suoi capelli del colore dell’oro bruno.
Sedendomi accanto a lui, percepisco il suo nervosismo. Benché cerchi di nasconderlo, la sua tensione è palpabile. Sorrido, perché è la prima volta che il comando si trova nelle mie mani.
Sotto forma di pugnale.
- “Dunque voi siete l’assassino di mio padre.” – dico tranquillamente.
Lui sussulta, ma subito si ricompone.
- “È così.” – risponde quietamente.
- “E l’assassino di vostro padre. E di tutta quella gente morta nella spedizione.”
Stavolta Shandar non reagisce.
- “Credevo foste solo un cafone, per il modo in cui mi avete trattata. Invece mi avete riservato un’autentica sorpresa.”
- “Vi offro una possibilità di vendetta. La stringete fra le mani.”
- “Mi offrite una possibilità di vendetta?” – mi viene realmente da ridere – “L’unica cosa che mi state offrendo è l’opportunità di liberarvi dai vostri tormenti, Shandar! Se vi uccido, voi sarete finalmente in pace! E io cosa ci guadagno?”
- “La purificazione del Fiume Diamante.”
- “Ho vissuto dieci anni purificandolo di persona quotidianamente. Posso continuare a farlo, se questo significa lasciarvi soffrire ancora a lungo.”
Lui non reagisce. Vuole la pace, ma paradossalmente sa di non meritarla.
- “Cosa siete disposto a fare Shandar, perché io vi uccida?”
Alza su di me occhi grigi, onesti.
- “Qualunque cosa.”
- “Veramente qualunque cosa?”
Esita. Un sorriso ironico appare sulla sua bocca.
- “Temo che me ne pentirò, ma... sì, qualunque cosa.”
- “Allora vi esprimo i termini del nostro accordo.” – fisso gli occhi nei suoi, perché sappia che non sto scherzando – “ Da questo momento voi siete di mia proprietà. Verrete a Piccola Terra Fiorita come mio schiavo e mi obbedirete in tutto per tutto. Farete qualunque cosa io vi ordinerò, per quanto spiacevole e umiliante possa essere. Mi prenderò su di voi soddisfazione per il dolore che avete inflitto alla mia terra con la morte di tante persone care e poi mi prenderò soddisfazione per le umiliazioni che ho dovuto subire da voi durante il nostro primo incontro. Salderete in questo modo la sofferenza che ci avete inflitto e quando mi riterrò sufficientemente ripagata userò questo pugnale e ripristinerò l’incantesimo.”
Ecco, l’ho detto.
Sono stata assolutamente imperturbabile e sono convinta che mia madre sia fiera della mia prova.
Sul volto di Shandar appare un sorriso sarcastico.
- “Dovevo immaginare che uccidermi non vi sarebbe bastato, temo di aver esagerato con voi. Non avrei dovuto commentare il vostro fondoschiena!”
Arrossisco all’improvviso, sentendomi nuovamente nuda di fronte a lui. Il maledetto sa perfettamente come mettermi in condizione di svantaggio.
- “I termini del mio accordo non cambiano, Shandar. Il vostro atteggiamento può solo prolungare il periodo che vi separa dalla pace agognata.”
Il suo sorriso si addolcisce.
- “Lo so. Ma non ho resistito alla tentazione di stuzzicarvi un’ultima volta. Siete incantevole quando arrossite, signora di Piccola Terra Fiorita.”
Le sue parole mi spiazzano e sto cercando una risposta sufficientemente acida, quando lui aggiunge –“ Accetto i vostri termini. Quando sono partito avevo già dato disposizioni perché altri mi sostituissero alla guida di Geocenda. Verrò con voi come vostro schiavo, farò qualunque cosa mi domanderete. Vi darò tutta la soddisfazione che richiederete. Promettetemi solamente che quando vi riterrete ripagata, ripristinerete l’incantesimo.”
- “Così è il patto.”
Quando Shandar mi stringe la mano in segno di alleanza, il mio cuore batte come un tamburo.
Non sa ancora cosa lo aspetta. Nemmeno io lo so. Ma sono certa che il sacrificio di cui parla il pugnale porti in una direzione diversa da ciò che il signore di Geocenda crede.
Una direzione difficile per me e per lui. Tuttavia farò tutto ciò che posso per ripristinare l’incantesimo e per riportare la pace nelle nostre vite.



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Questo capitolo chiarisce molti aspetti di Shandar e della vicenda.. e da questo momento in poi le cose cambieranno drasticamente!!
Spero che il seguito possa piacervi! ^^ 

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Capitolo 6
*** Il prezzo dell'obbedienza ***


Il mattino dopo riprendiamo il cammino in senso contrario. Come avevo promesso alla locandiera, stiamo tornando a Terra di Calanda per riprendere Carciofino. Passeremo nuovamente lì la notte e per domani sera saremo a Piccola Terra Fiorita. Manco da casa da quarantotto ore, eppure mi sembra di essere in viaggio da mesi.
Sto tornando con una consapevolezza completamente nuova, trasformata. Immagino la reazione della mia terra, quando si saprà la verità. Quando si saprà della possibilità di tornare alla tranquillità di un tempo. L’intero popolo sarà in festa.
Ma sarà difficile proteggere Shandar dalle ire della mia gente, per quanto Piccola Terra Fiorita sia un popolo pacifico, le ferite inferte dal Disastro bruciano ancora in superficie. Dovrò agire con cautela e camminare in precario equilibrio senza scivolare da una parte né dall’altra.
Arriviamo alla locanda sotto sera e con sorpresa scorgo Carciofino correrci incontro festoso. Mi lancio a terra contenta, precipitandomi verso di lui. Siedo a terra e lascio che mi metta le zampe addosso, leccandomi e abbaiando al contempo. Dopo tanti giorni di tensione, permetto finalmente che quel piccolo cucciolo scalmanato tiri fuori dalla mia gola una risata autentica. Ho bisogno di questo, di un cagnolino buffo che mi salti addosso facendo le feste e non pretenda da me null’altro che la mia esistenza.
- “Vedo che quella povera bestia non vi serba rancore per il nome che le avete affibbiato.”
Shandar torreggia su di me con le nostre sacche fra le mani. Ha già affidato il cavallo al locandiere e aspetta che io mi tiri in piedi.
Vedendolo, Carciofino si getta sulle sue gambe abbaiando gioioso. Shandar si china su di lui e liberando una mano lo accarezza. Sembra esitante, come se con quel semplice gesto affrontasse un mondo a lui completamente sconosciuto.
Quando entriamo nella locanda, mi accorgo del cambiamento che il nostro accordo ha generato. Il signore di Geocenda lascia che sia io a condurre le trattative e si stupisce quando si rende conto che affitto la stessa stanza di due giorni prima. Ordino anche una cena abbondante e lo incito a salire in camera. Sono stanca, in tutti i sensi. Mi  rinfresco velocemente e lascio il posto in bagno al mio compagno. Quello che voglio fare è estrarre dalla sacca tutti i fiori che ho raccolto durante la giornata di viaggio e intrecciarli.
Quando Shandar torna in camera, mi osserva incuriosito. A Piccola Terra Fiorita nessuno troverebbe singolare la mia occupazione, ma per chiunque venga da fuori, le Ancelle Fiorite rappresentano un’autentica stravaganza.
- “Parliamo ancora un momento del nostro patto.” – dico, interrompendomi – “Se non erro hai accettato di essere mio schiavo vero? Di obbedirmi in tutto e per tutto.”  Gli do del “tu” di proposito,  per apparire sicura,  provocatoria.
- “Sì, ho accettato di obbedirti in tutto e per tutto.” – replica lui, apparentemente sottomesso. Ma negli occhi gli brilla una luce divertita e non posso evitare di accorgermi che anche lui è passato al “tu”.
- “Va bene. Allora dammi quello strumento di tortura che porti alla caviglia!”
Stupito, impiega un momento a reagire.  È scalzo e quando appoggia il piede sul letto per obbedirmi, mi lancia un’occhiata dubbiosa. Sfila il groviglio di spine con una breve smorfia dolente e me lo porge esitante. Io non invece non esito nell’afferrarlo e gettarlo fuori dalla finestra.
- “Non voglio più vederti addosso nulla di simile. Nessun oggetto autolesionista, per nessun motivo.”  Lo sfido a contestare la mia autorità, ma lui si limita ad abbassare gli occhi.
Accipicchia, funziona veramente! Non riesco quasi a credere che mi obbedisca davvero, è una situazione che mi mette persino in imbarazzo.
- “Ora passami la caviglia” – proseguo e quando lui la appoggia sul letto mi chino a esaminarla.
Era ridotta male due sere prime, quando avevo cercato di medicarla con acqua e unguento, ma oggi è un vero strazio. Prendo un bracciale di fiori che ho appena finito di intrecciare e lo infilo alla caviglia, richiamo ogni energia possibile sulle ferite e lascio che il mio piccolo incantesimo inizi a funzionare. Posso quasi vedere la pelle rimarginarsi e sentire il dolore affievolirsi. Shandar è sbigottito e provo una grande soddisfazione nel prenderlo in contropiede.
- “Tieni il bracciale fino a domattina, per allora la tua caviglia sarà tornata completamente a posto.”
Non fa in tempo a replicare, perché bussano alla porta e la locandiera lascia un vassoio con la cena.
Faccio cenno al giovane di restare seduto sul letto e gli metto davanti un piatto di carne fumante accompagnata da polenta. Ora che ho cominciato a fare la padrona, non smetterò tanto facilmente.
- “Mangia” – gli dico e aspetto radiosa lo sguardo sbigottito che non tarda a venire.
- “È un ordine, mia signora?” – domanda, lasciando che un sorrisino ironico gli scivoli in faccia. Ma io non ho intenzione di scompormi neppure di un sospiro.
- “Sì, è un ordine. Voglio che mangi fino a che non ti sentirai sazio, d’ora in poi la regola sarà questa.”
Lo osservo con soddisfazione mentre porta il cucchiaio alla bocca e mastica lentamente. Dall’espressione che per un istante lo coglie, sembra che non mangi nulla di appetitoso da mesi.
- “Ti avevo sottovalutata, Ailanda” – mi dice e non riesco a capire se il suo sguardo sia divertito o sofferente – “Credevo che qualunque dolore mi avresti inferto sarebbe stato sopportabile. Sono abituato alla sofferenza fisica, come hai potuto vedere. Ma questo tormento non l’avevo previsto.”
- “Di quale tormento stai parlando?”
Lui non risponde e continua a mangiare, forchettata dopo forchettata, come se stesse assumendo una medicina forzata.
- “Shandar, rispondimi. Cosa intendi dire?”
La mia richiesta suona come un comando e lui non vi si può sottrarre. Quando risponde, la sua voce è bassa, forzatamente tranquilla.
- “Se mi proibisci ogni mezzo di espiazione, mi costringi a restare indifeso di fronte al senso di colpa. Sono costretto a misurarmici, a sopportarlo in tutta la sua pienezza, senza poterlo scansare. Sono pronto a qualunque supplizio, ma questo... questo è il peggiore da reggere.”
Abbassa la forchetta, come se lo stomaco non riuscisse a ingerire nulla di più. Ha mangiato poco più di metà della portata che gli avevo messo nel piatto, un’inezia per un giovane della sua età e statura, ma comunque più di quanto abbia ingerito dall’inizio del nostro viaggio.
- “Posso smettere di mangiare ora? Un boccone in più e potrei vomitare.”
All’improvviso mi sento una megera. Assento e mentre lui si alza con il proposito di sciacquarsi il viso, mi chino sul mio piatto, anche se ora l’appetito è passato anche a me.
Non avevo previsto una simile reazione in Shandar. Non avevo capito a fondo il ruolo del suo autolesionismo.
Quando ci corichiamo al buio, mi rendo conto di quanto le sue parole rispecchino il vero. Nelle due notti trascorse precedentemente insieme, lui non ha mai avuto problemi ad addormentarsi. Pur con una caviglia martoriata e lo stomaco vuoto, crollava sfinito in un sonno pesante, riposante.
Non stanotte. Si gira e rigira nel letto, senza pace. Né la stanchezza dovuta al viaggio né l’acquietamento del dolore fisico sembrano sortire effetti su di lui, che si agita senza riposo.
- “Shandar” – sussurro – “Ho un nuovo ordine da darti.”
- “Vuoi che mi spogli?” – ribatte. Sotto all’intonazione sarcastica sento una nota amara, esasperata – “Il tuo schiavo potrebbe offrirti una prestazione sessuale senza eguali! Non hai idea di quanto possa essere bravo!”
- “Non essere stupido” – ribatto acida – “Un rapporto sessuale è troppo piacevole perché tu te lo sia concesso. Non ti permetteresti mai una simile gratificazione fisica, credi che non l’abbia capito?”
L’ho ammutolito e sono lieta di vedere che indovinato.
- “Allora cosa vuoi?” – mi chiede dopo un po’.
- “Voglio che tu dorma. Che smetta di pensare e di arrovellarti. Voglio che accantoni per un attimo il senso di colpa, respiri e ti dia lo spazio per godere un istante dell’assenza del dolore fisico. Pensi di potercela fare?”
Sento che si gira su di un fianco dandomi la schiena. La sua voce mi arriva soffocata dal cuscino.
- “Farò del mio meglio.”
Probabilmente il suo meglio non sarà sufficiente.
Allungo un braccio  oltre il suo fianco, cercando la sua mano. Intreccio le mie dita alle sue e le stringo.
- “Shandar, devi accettare quello che hai fatto. Non potrai blandire per sempre il senso di colpa con comportamenti autolesionisti, prima o poi dovrai venire a patti con te stesso. Anche se io ripristinassi l’incantesimo, quello che è accaduto non si cancellerà, le persone che sono morte in quella spedizione non torneranno in vita. Non tornerà mio padre e nemmeno il tuo. Anche se rimedierai al danno, la sofferenza che hai causato in passato non si annullerà. Devi imparare ad accettarlo e a convivere con questo.”
Sento la sua mano, tanto più grande della mia, tremare attorno alle mie dita. La sua voce è un sussurro roco.
- “Certo che tu sai come torturare la gente.”
Sospiro sconsolata, consapevole che niente stanotte lo farà stare meglio. Però non sciolgo le nostre mani, a riprova di ciò che ho detto. Spero che un giorno Shandar possa comprendere il vero significato delle mie parole.


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Povero Shandar... lo aspettano tempi duri! ^^




 

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Capitolo 7
*** Richiesta difficile ***


Nonostante le premesse cupe della notte, il giorno dopo Shandar riprende il suo fare scanzonato. Mentre ci rimettiamo in viaggio non mi risparmia un paio di frasette ironiche che io accolgo quasi con sollievo. Meglio canzonatorio che sofferente come la sera prima!
Carciofino in parte ci segue correndo, in parte sale in sella con noi, cosa che al cavallo non sembra risultare particolarmente gradita, ma che comunque accetta.
Facciamo soste brevi e cerchiamo di tenere un passo sostenuto. A pranzo, senza che io dica niente, Shandar prende pane e formaggio e mangia tutto quello che ha nel piatto. Nel farlo mi lancia uno sguardo ironico, che sembra però più ridere della situazione in cui si trova che di me.
Poi finalmente tocchiamo la terra di Geocenda e facciamo una breve sosta al palazzo del principe. Shandar spiega in poche parole la situazione al giovane a cui ha affidato il governo di Geocenda e chiede che le Ancelle Fiorite siano riportate a Piccola Terra Fiorita entro il giorno dopo. Questo mi porta un senso di sollievo che non sperimento da mesi. Essere la signora di Piccola Terra Fiorita comporta una responsabilità nei confronti delle proprie Ancelle che è difficile da comprendere per chi non è nato nel nostro paese.
Quando risaliamo a cavallo non posso fare a meno di intravvedere lo sguardo preoccupato che il sostituto di Shandar ci rivolge. So che la condizione del suo signore può apparire disperata... schiavo e votato alla morte. E io per il momento non sono ancora certa di come evolverà questa situazione.
Arriviamo a Piccola Terra Fiorita nel tardo pomeriggio e posso sentire, mentre attraversiamo il villaggio, l’intera popolazione che trattiene il respiro. Tutti sanno che sono partita con il signore di Geocenda costretta da un bieco ricatto, ciascuno di loro conosce il modo in cui sono stata trattata da lui, questo ingresso non può che gettarli nello smarrimento. Anche se mi mostro imperturbabile – sono pur sempre tornata nella mia terra – avverto chiaramente l’indignazione che la presenza di Shandar suscita e le insinuazioni pungenti che tagliano l’aria. Quando scopriranno l’intera verità su di lui, le reazioni potranno diventare veramente problematiche.
- “Gente accogliente, quella di Piccola Terra Fiorita” – commenta Shandar, in tono derisorio – “Ora capisco perché hai preferito fare un viaggetto con me, mia signora.”
- “Ti consiglio di tenere a freno la lingua, sono già maldisposti nei tuoi confronti e presto la situazione peggiorerà.”
- “Questo è sicuro.”
Anche se gli do la nuca, sento il suo sorrisetto. Non può essere tranquillo come sembra, sicuramente sa che rischia il linciaggio.
Proprio per questo, decido di tenerlo sott’occhio il più possibile. Quando arriviamo alla mia residenza lo affido a due Ancelle Fiorite chiedendo che lo alloggino nelle mie stanze e che provvedano a lui per un bagno, abiti puliti e la cena.
Io mi ritiro immediatamente lungo il Fiume Diamante dove vengo raggiunta dai personaggi di spicco del paese e interrogata sulla presenza di Shandar. Per quanto sulla nostra terra non possa nuocerci, nessuno può ignorare la sua cattiva reputazione.
Così sono costretta a parlare, a spiegare nel dettaglio la posizione in cui si trova il signore di Geocenda, il suo ruolo nell’abbattersi del Disastro sulle nostre terre e le condizioni di ripristino dell’incantesimo. Mi ascoltano sconvolti e quando si allontanano so già che nessun abitante di Piccola Terra Fiorita stasera andrà a letto ignorando la verità.
Scendo a cenare nel salone comune, assieme a tutte le Ancelle Fiorite. Parlo anche con loro, raccontando gli sviluppi della situazione e rassicurandole sul ritorno delle loro compagne. Sono quasi alla fine del pasto, quando vedo arrivare due degli uomini che poco prima avevano ascoltato il mio racconto lungo il fiume.
Come previsto, le novità hanno già fatto l’intero giro del paese e vengo informata che il popolo chiede vendetta nei confronti di Shandar, per tutti i morti e le difficoltà patite a causa delle mutate condizioni del fiume.
Gli abitanti sanno, dal mio racconto, che il signore di Geocenda da me aspetta solo la morte. Sanno che è venuto a Piccola Terra Fiorita come schiavo e che a causa di questo sta già patendo sofferenze e umiliazione sotto il mio comando. Ma chiedono anche soddisfazione per se stessi. Chiedono la gogna.
È anche meno di quanto temessi e mi affretto ad assentire, prima che le richieste, man mano che gli animi si montano, si facciano più esigenti.
Infine, tramortita di stanchezza, mi appresto a tornare nelle mie stanze.
Non è ancora finita la giornata e quello che mi aspetta mi darà il colpo di grazia. Ma mai quanto a Shandar.
Lo trovo nelle mie stanze, come avevo ordinato, assieme a Laila. Appena mi vede arrivare, lei si alza e si congeda, lasciandoci soli.
Decido, prima di ogni altra cosa, di informare Shandar del suo destino più prossimo.
- “La storia dell’incantesimo ha già fatto il giro del paese” – comincio – “E non ha suscitato molti consensi a tuo favore.”
- “Posso immaginarlo” – risponde lui, inarcando un sopracciglio.
- “È stato chiesto che tu venga messo alla gogna. A partire da domattina, per l’intera giornata.”
- “La gogna? Mi aspettavo qualcosa di meno volgare da una terra di Ancelle Fiorite!” – commenta, lanciandomi uno sguardo beffardo – “Immagino tu abbia dato il consenso, mia signora.”
Sospiro, sfinita.
- “Sì, l’ho dato. Non ho potuto evitarlo.”
Lui scrolla le spalle in un gesto indifferente. Sembra davvero che non gliene importi. Io al suo posto sarei terrorizzata.
- “Va bene, il tuo popolo vuole la gogna e l’avrà. E tu invece? Cosa vuoi da me stasera? Quando abbiamo stretto il patto hai minacciato un destino temibile, ma finora non hai fatto altro che curarmi una caviglia e darmi da mangiare” – la sua bocca si piega beffarda – “Un modo molto singolare di chiedere soddisfazione, Ailanda.”
- “Stasera ti chiederò qualcosa di più” – replico tranquilla, senza cedere alle sue provocazioni.
- “È arrivato finalmente il momento di spogliarmi?”
- “Precisamente.”
Il suo sguardo per un momento si fa confuso. Lascio che galleggi nel fraintendimento per qualche secondo, solo per godermi l’espressione di lui che si immagina umiliato come ha umiliato me qualche giorno prima. Poi peggioro la situazione.
- “È il momento di spogliarti delle tue difese.”
Mi osserva in silenzio, senza capire davvero.
- “Voglio entrare nel tuo cuore, come già stavo facendo alla locanda tre sere fa. Ti sei svegliato e mi hai interrotta. Eri troppo difeso e sono riuscita a cogliere molto poco di te. Ma stasera lascerai volontariamente che io scruti nella tua anima, senza opporti, aprendomi completamente ai tuoi segreti più intimi.”
Shandar arretra di due passi, istintivamente. Incrocia le braccia intorno al corpo in un gesto di rifiuto e vedo la sua bocca contrarsi. Capisco perfettamente il suo stato d’animo, io stessa reagirei a quel modo se fossi al suo posto. Lasciare che un altro ti guardi l’anima senza poter selezionare ciò che verrà a conoscere, è l’esperienza più spaventosa che si possa sperimentare. Per accettarla, è necessaria una fiducia totale nella persona che ti entrerà nel cuore ed è più che evidente – oltreché normale – che Shandar in me non ce l’abbia.
Si allontana di qualche passo e si accosta alla finestra, senza smettere di stringere le braccia al petto. Per un attimo penso che si butterà attraverso i vetri aperti e scapperà via dal mio paese e dai miei ordini. Invece si volta verso di me e abbassa le braccia.
- “Ma sì” – mi dice, lasciando che il sorriso ironico torni sul suo viso – “Infierisci su di me Ailanda. Io ho spogliato il tuo corpo e tu spoglierai la mia anima. Devo rendere onore alla sublimità della vendetta che hai architettato.”
Solo che non è una vendetta. Ma non posso ancora dirglielo.
- “Cosa devo fare?”
Gli faccio cenno di sedersi su un divanetto e mettendomi accanto a lui, gli infilo al collo una collana di fiori. Non reagisce, ma è così teso che mette in agitazione anche me.
Appoggio una mano sul suo petto, lasciando i fiori fra la sua maglia e la mia pelle. Mi concentro sul senso di colpa che ho percepito qualche sera fa e che userò da ponte fra questa realtà e quella che Shandar nasconde nel suo cuore.
Quando sente che sto entrando, lui stringe i pugni e la mascella, come per impedirsi di scappare. Trovo infatti un’ultima barriera fra me e il suo animo, fatta di paura e di vergogna. Aspetto, perché capisco che non è semplice per lui. Non lo sarebbe per nessuno.
E infatti, dopo un po’, Shandar emette un lungo sospiro, rilassa le mani e apre il cuore. Entro veloce, con un guizzo istantaneo e finalmente sono qui, nel centro dell’anima, dei sentimenti e dei ricordi del signore di Geocenda. 

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Capitolo 8
*** Dentro Shandar ***


 
Quando arriva la notizia del fallimento della spedizione, Shandar si trova nella biblioteca con la regina.
Per un attimo non comprende il significato delle parole del messo, ma la reazione di sua madre subito dopo lo inchioda alla realtà.
- “State dicendo che mio marito è morto?”
Morto.
Sono tutti morti. Tutti quanti.
La reazione di sua madre, quando ha saputo quello che ha fatto in Verdenia, è stata terribile. Sono dieci giorni che Shandar dorme a pancia in sotto, perché la sua schiena è straziata da talmente tante frustate che non ha saputo tenerne il conto.
Ha cercato di non lamentarsi, di non supplicare la madre di smettere, perché lei non faceva che ripetere quanto  meritasse le sofferenze più atroci. Eppure alla fine non era riuscito a non gemere, a non urlare, a non implorare pietà. E questo non aveva fatto altro che alimentare la furia di sua madre.
Ma adesso Shandar capisce. Capisce la sua furia. Capisce perché non gli ha concesso pietà.
Sono tutti morti e l’unico responsabile è lui.
Il dolore per la morte del padre lo trapassa come una lama incandescente, ma quando sua madre gli vede le lacrime negli occhi,  gliele asciuga con una sberla che gli fa girare la testa indietro.
- “Non osare piangere! Non provarci neppure. È solamente colpa tua! Tu hai ucciso tuo padre, hai ucciso tutti i nostri uomini e hai rovinato Geocenda e tutte le terre lungo il fiume! Tu non puoi piangere Shandar, non ti permettere!”
Lui arretra, cercando riparo da quella furia e ricaccia indietro le lacrime incriminate. Non può essere al contempo vittima e assassino. È solo assassino e non può piangere per ciò che gli arreca dolore come se fosse anche vittima. In qualche modo lo capisce.
- “Metterai tutto a posto.” – dice sua madre – “Avrei dovuto farlo prima. Prima che fosse troppo tardi! Compiremo insieme il giusto sacrificio Shandar e la tua anima potrà ritrovare la pace!”
Shandar comprende solo confusamente le elucubrazioni materne, si mette in viaggio con lei solo per compiacerla e anche se pensieri oscuri vengono a suggerire alle sue orecchie quale possa essere il sacrificio da compiere, lui non ha il coraggio di arretrare. Nonostante tutto, ha ancora fiducia in sua madre e nel fatto che possa trovare una soluzione alternativa.
Ma evidentemente non la trova. Quando sono al tempio e la vede brandire il coltello verso di lui, Shandar si rende conto pienamente della verità.
Sta per morire. E a sua madre sta bene così.
Un moto di ribellione o forse, più onestamente, di paura, lo fa scansare. Il coltello lo prende alla spalle, ferocemente. Rotola a terra, con il cuore che gli impazzisce in gola, pensando che anche questa volta non riuscirà a opporsi a sua madre.
Non ha che quattordici anni e per quanto negli ultimi mesi abbia giocato a provocare gli adulti e le loro regole, a conti fatti si sente ancora un bambino. E se sua madre, la donna che lo ha messo al mondo e allevato, la regina di Geocenda, pensa che debba morire, lui semplicemente non potrà più vivere.
E invece  tutto cambia.
Un uomo che sembra anziano, ma in realtà è forte, ferma sua madre. Le indica il coltello, le spiega che non è quello il sacrificio che si aspetta e che se ora uccide il ragazzo, annienterà ogni possibilità futura di ripristinare l’incantesimo. Questo gli salva la vita.
Ma Shandar sa che le cose non saranno mai più come prima. Non dimenticherà mai di aver ucciso suo padre né che sua madre ha tentato di uccidere lui.
E neppure per sua madre le cose saranno più le stesse. Nemmeno quando scopre che le Ancelle Fiorite hanno trovato il modo di purificare il fiume.
- “Se non puoi morire per salvare il tuo paese, allora dovrai scontare!” - gli dice, al loro ritorno – “Dovrai scontare giorno dopo giorno Shandar, fino alla fine della tua vita. Perché al futuro signore di Geocenda non si perdona un errore come questo. Io sicuramente non lo perdonerò!”
Shandar capisce. Esce in strada e raggiunge la riva del fiume, là dove è solo ciottoli. Solleva i pantaloni fino alle cosce, si butta in ginocchio sui sassi aguzzi e striscia, striscia sulle gambe stringendo i denti, ignorando le fitte che gli trafiggono la carne. Striscia finché le sue ginocchia non sono ricoperte di sangue. Solo a quel punto si alza e torna a palazzo, a fatica, zoppicando e gemendo. Incrocia sua madre sulle scale e lei vede quello scempio, gli fa un cenno d’assenso con la testa, senza sorridere. Così va bene.
Per due giorni Shandar non riesce a camminare, poi pian piano le ginocchia migliorano. Quando sono in via di guarigione, scende nel salone grande, afferra l’attizzatoio rovente dal camino e lo infila sotto la maglia, appoggiandolo alla schiena. Non riesce a trattenerlo molto, solo un istante, ma è sufficiente a farlo urlare di dolore. Poi scaglia il ferro lontano, ansimando. Il male è insopportabile.
- “Non sei durato molto”
Sua madre è sulla soglia, lo osserva con occhi severi.
- “Non ti resterà neppure la cicatrice. Sono certa che puoi fare di meglio.”
Shandar capisce che quella punizione non è sufficiente, sua madre si aspetta di più. E anche lui si rende conto che il dolore fisico è necessario. Non c’è altro modo per resistere al senso di colpa. Espiare, giorno dopo giorno, renderà sopportabile la sua vita. Anche se lui è imperdonabile, potrà comunque soffrire e questo gli darà il diritto di vivere fino a che non avrà trovato il modo di ripristinare l’incantesimo. Continuerà a farsi del male, senza sosta, ogni giorno.
Si alza e riprende in mano l’attizzatoio. Adesso farà sul serio.
 
 
Stacco la mano dal petto di Shandar, perché non riesco più a sopportare di vedere oltre. Anche se ho smesso di toccarlo, sento comunque il suo cuore battere all’impazzata. Sta ansimando vistosamente, tutto il suo corpo trema.
Mentre leggevo i suoi ricordi, lui li ha rivissuti per intero, come se stessero accadendo nuovamente. Purtroppo è qualcosa che non ho potuto evitargli, ma adesso mi pento di non aver valutato cosa sarebbe stato per lui riaddentrarsi nel passato. Sembra che il senso di colpa si sia riacutizzato in lui mostruosamente. Fa fatica a respirare.
- “Shandar...” – mormoro.
- “Hai visto cosa ho fatto” – ansima – “Ho ucciso delle persone, ho rovinato delle terre, ho provocato a mia madre un dolore insopportabile. Devo pagare Ailanda, devo pagare. Fammi scontare. Ti prego, permettimi di farlo. Ti prego.”
La sua voce si rompe, ma per quanto le sue parole mi graffino il cuore a sangue, non posso dargli ciò che vuole.
- “No, Shandar. Ho detto niente autolesionismo. Non ti farai mai più niente del genere.”
Lui abbassa leggermente il viso e chiude gli occhi, come se questo potesse alleggerire il peso che lo soffoca.
- “Ho capito...” – sussurra – “Ormai non merito più nemmeno di espiare.”
Le sue parole si schiantano contro la mia anima provocandole uno spasmo di dolore misto a pietà.
- “C’è una sola cosa che meriti, adesso.” – dico, mentre mi domando come sua madre abbia potuto fargli una cosa del genere. Mi sporgo verso di lui, gli circondo le spalle con le braccia e lo tiro a me. Il tormento squassante che ho letto nella sua vita, ha momentaneamente assopito il mio disgusto e il mio rancore. Lo stringo forte, per scaldare quell’anima che non ha mai ricevuto una sola parola di conforto.
Ma lui si irrigidisce fra le mie braccia, facendomi percepire il suo sgomento.
- “Non divincolarti Shandar” – mormoro – “Questa è l’unica risposta che avrai. Ogni volta che avrai voglia di farti del male, io ti abbraccerò. E l’ordine che ti do è di accettare il mio abbraccio.”
- “Non so come fare” – risponde lui, piano – “Se non mi faccio del male, mi sento soffocare.”
- “Stringimi.”
Lui obbedisce, ma solo perché è nel nostro patto. Avverto il suo disagio, la sua tensione. Sono quelle di una persona che non ha mai ricevuto abbracci. Sua madre non deve essere stata una donna affettuosa neppure prima del Disastro.
Lentamente le braccia di Shandar si alzano attorno al mio corpo e si chiudono sulla mia schiena. Rimaniamo stretti l’uno all’altra e il suo respiro non accenna a rallentare.
- “Stai tranquillo Shandar, puoi sopportarlo. Aspettiamo insieme, vedrai che il peggio passerà.”
Lui non risponde, ma come gli ho chiesto aspetta. Stringe i denti e aspetta. La mia vicinanza non gli è di conforto, ma imparerà ad esserlo. Un passo per volta. E so che dopo questa notte, i miei sentimenti per lui non saranno più gli stessi.
 
 
Shandar è andato a rinfrescarsi in bagno e non è ancora rientrato in stanza. Capisco la sua riluttanza, la sua corazza inattaccabile si è sgretolata sotto il peso di ciò che gli ho fatto. Non deve essere semplice per lui affrontarmi ora, tornare a guardarmi negli occhi.
La stanza è illuminata solo dalla luce della luna, ho infilato la camicia da notte e ora aspetto, seduta sul letto. Rielaboro a fatica le informazioni di cui sono venuta a conoscenza, sono così penose che  mi costa sforzo rievocarle. Mi domando se ritornerà mai la rabbia che fino a oggi pomeriggio provavo nei confronti di Shandar. Forse resterà sopita sotto la compassione che i suoi ricordi hanno suscitato in me.
Ebbene, era questo il motivo per cui mi sono addentrata nel suo cuore. Ma non credevo che avrebbe funzionato così bene.
Scorgo a malapena i contorni della figura di Shandar sulla soglia della porta. L’oscurità gli nasconde il suo viso.
- “Non vieni a dormire?” – domando.
- “Con te?” – la sua voce mi rivela che si trova sulla difensiva.
- “Come le altre notti. Nulla di diverso.”
- “E perché dovrei?” - sembra proprio ostile – “Perché fai questo? Tu mi detesti, mi hai portato qui per sfogare su di me la tua vendetta... perché invece mi tratti a questo modo? Hai visto il mio cuore, come puoi chiedermi di starti ancora vicino? Il disgusto non è troppo forte? Non ti viene da vomitare a guardarmi? Perché io mi faccio vomitare da solo, sai, mi faccio davvero vomitare!”
Mi rendo conto che imponendogli di rivivere momenti così angoscianti, ho intaccato la sua stabilità.
Non è un caso se desidero che dorma accanto a me. Avevo capito, mentre eravamo abbracciati, che ho suscitato qualcosa di pericoloso. Potrebbe decidere che la sofferenza è troppa. Potrebbe uccidersi e mandare tutto il resto in fumo.
- “Vieni vicino a me Shandar” – lo incito.
Lui si avvicina con lentezza, ma alla fine mi si siede accanto.
- “Tu vedi ogni cosa in bianco e nero” – dico, cercando di riordinare le idee. Non posso dirgli tutta la verità, ora sarebbe pericoloso. Devo limitarmi a un accenno che non faccia danni – “E probabilmente c’era del gran nero nel desiderio di vendetta che provavo, nel disgusto e nell’odio che hai fatto di tutto per suscitarmi in principio. Ma è possibile che aver toccato con mano la tua realtà, abbia sfumato le mie sensazioni. È possibile che vivendo il tuo passato, io mi sia accorta che... il dolore che hai provato è già più di quello che io ti avrei chiesto come pagamento. Forse... forse mi ritengo già appagata Shandar...”
- “Questo non è possibile.” – sussurra lui – “ Ciò che ho fatto non prevede il saldo... L’hai detto tu stessa, le persone che ho ucciso non torneranno a vivere, per questo io non riuscirò mai a pagare a sufficienza!”
- “Questo, secondo il tuo pensiero. Io mi ritengo soddisfatta.”
- “Ma...”
- “Credo di poter parlare per me stessa!” – lo interrompo.
Pausa.
- “Signora, sei insopportabile!”
Sento il sorriso sul suo viso e mi rilasso. Il peggio sta passando.
- “Stenditi”
Lui mi obbedisce e si abbandona sul materasso con un sospiro di stanchezza. Gli afferro il polso, gli sollevo il braccio e mi corico appoggiando il capo alla sua spalla.
- “Non dire niente” – lo zittisco, prima che protesti – “Questo è tutto ciò che avrai, al posto delle tue maledette autopunizioni!”
Silenziosamente  faccio vagare la punta del dito sul suo petto, poi arrivo fino allo stomaco.
- “Sei terribilmente contratto.” – commento, sentendo i muscoli tesi sotto la mano – “Cerca di rilassarti.”
- “Forse dovresti smettere di toccarmi.” – replica lui, ironico.
Sorrido. Ho toccato il cuore di Shandar e sotto sotto ho visto cosa cela.  Mescolati al dolore, al senso di colpa, a tutta la confusione che lo annebbia, ci sono una delicata sensibilità, un radicato amore per la sua gente, un disperato bisogno di essere un uomo giusto.
Mi piace quello che ho trovato e sono contenta che mi piaccia. Gioca a mio favore e alla possibilità che quel benedetto incantesimo sia presto ripristinato.


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Scrivere questo capitolo mi ha provocato una certa angoscia... Credo che i sentimenti e le ragioni di Shandar stiano venendo pian piano tutti quanti
alla luce e ben presto arriveremo alla conclusione della storia. Mancano solo un paio di capitoli! ^^
Certo che... come mi sarai mai venuto in mente di scrivere una storia così cupa..?? o__o




 

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Capitolo 9
*** Lacrime ***


Vengo svegliata dal raspare alla porta e mi alzo ad aprirla con gli occhi annebbiati di sonno.
Carciofino non risente dell’orario mattutino ed entra in camera balzellando festoso. Mi lecca abbondantemente e poi corre fino al letto, dove Shandar si è alzato a sedere. Il ragazzo accarezza l’animale sorridendo e i suoi gesti appaiono molto più disinvolti di due giorni prima.
Ma la leggerezza suscitata da quel piccolo evento, sfuma in un batter d’occhio quando, vedendo il sole nel cielo, mi rendo conto di quello che sta per accadere. Shandar è atteso alla gogna.
Lui alza lo sguardo su di me e mi riserva un rapido sorriso.
- “Arrivo subito, faccio in modo di liberarmi di Carciofino.”
Così dicendo si guarda intorno, finché l’occhio non gli cade sulla brocca del latte lasciata sul tavolino la sera prima. Si alza in piedi, tallonato dal cane, afferra una tazza e la riempie.
- “Buona colazione Carciofino, scommetto che questa ti interessa più di noi due messi assieme!”
A conferma delle sue parole, il cucciolo si inchioda davanti alla tazza e immerge il muso nel cibo.
Shandar si solleva in piedi e mi guarda con un sorriso.
- “Fatto. Sono pronto.”
Il sole che penetra dalla finestra gli sfiora i capelli color miele, accendendoli di luce. La pelle dorata e gli occhi grigio chiaro completano lo spettro di colori che gli appartengono.
Ho pensato fin da subito che il signore di Geocenda fosse attraente, ma stamattina mi appare bellissimo. Seguo con gli occhi la sua figura alta e snella, le mani dalle dita lunghe, i muscoli asciutti del suo corpo, il viso pulito.
Mi si torcono le budella al pensiero di ciò che lo aspetta.
Tre tocchi leggeri bussano alla porta e un momento dopo Laila infila la testa nella stanza.
- “In paese sono pronti. Stanno... aspettando lui.”
Annuisco senza riuscire a parlare e faccio cenno a Laila di aspettare fuori, con gli uomini che vorranno scortarci.
- “Mi dispiace” – dico poi, tornando a guardare Shandar – “Se avessi potuto, ti avrei risparmiato almeno questo.”
- “Oh, lo so” – sorride lui – “Le tue vendette sono fatte di cibo caldo, di abbracci e di parole di conforto. Ma il tuo popolo è più sensato di te, mia signora.”
Palesa una calma invidiabile. Al suo posto me la starei facendo sotto.
- “Va bene, andiamo.” – sospiro.
Mentre vado a vestirmi, Shandar si sciacqua il viso e si infila gli stivali. Lo costringo a mangiare qualcosa, anche se capisco che non debba essere facile nelle sue condizioni.
Poi, scortati da tre uomini, ci dirigiamo verso il centro del paese. A Shandar sono state legate le mani dietro la schiena, una precauzione presa più per umiliarlo che per una vera misura di sicurezza. Tutti sanno che il signore di Geocenda si è consegnato spontaneamente nelle mie mani.
Nel centro della piazza, il palco rialzato della gogna è già circondato dalla folla rumorosa che chiede vendetta. Quando la nostra presenza viene notata, i suoni si abbassano a un mormorio insistente. Tutti rimangono in attesa.
Appoggio una mano sulla spalla di Shandar in un breve cenno d’incoraggiamento, poi mi fermo mentre lui prosegue fino al palco, scortato dagli uomini. Viene fatto salire fino al centro della pedana e quando si trova davanti a tutti, le voci ritornano a sovrastare ogni altro rumore.
- “Assassino!”
- “Depravato!!”
- “Delinquente, devi morire!”
- “Hai ucciso mio marito, sei un assassino ripugnante!”
Stringo i pugni per impedirmi di intervenire. Non posso rifiutare questo sfogo agli abitanti di Piccola Terra Fiorita, rischierei solo di alimentare gli animi contro Shandar.
Ma non posso fare a meno di chiedermi come si senta lui, al centro di quella tempesta. Lui, che ha ascoltato quelle stesse accuse sulle labbra di sua madre.
Mi stupisco quando Shandar si lascia cadere in ginocchio. Rimane lì immobile, inchinato davanti alla furia di Piccola Terrea Fiorita, accettando quel livore e offrendo in cambio la sua contrizione.
Gli animi degli abitanti sono accesi di acredine al punto di restare insensibili di fronte al suo gesto, ma io, che ora conosco il suo animo, sento il cuore stringersi in una morsa di dolore.
Non posso restare a guardare mentre, ora dopo ora, il signore di Geocenda viene preso di mira, insultato e sbeffeggiato. Non ho il cuore di tollerarlo. Mia madre forse avrebbe mantenuto la sua imperturbabilità, ma io ormai ho rinunciato.
Giro la schiena e torno alla mia abitazione. Lì ho il piacere di trovare le Ancelle Fiorite rapite, appena ricondotte a casa e con loro mi dirigo sulla riva del Fiume Diamante. Non siamo le uniche presenze, tutte le mie Ancelle si trovano già lì, nessuna di loro interessata alla vendetta contro Shandar. Parliamo a lungo, mi faccio raccontare del rapimento e della prigionia e come già immaginavo scopro che sono state trattate con tutti i riguardi. Mi parlano della richiesta di Shandar di venire da loro ucciso e, mentre attraverso i fiori purifichiamo le acque del fiume, mi rendo conto che ciascuna di loro ha potuto intuire l’animo ferito e tormentato del signore di Geocenda.
Quando viene l’ora di pranzo mangiamo insieme lungo il fiume e subito dopo chiedo a Laila di controllare la situazione in piazza. Lei ritorna affannata dopo soli venti minuti.
- “Ailanda, presto, devi intervenire!”
Scatto in piedi in un istante.
-“ Vogliono spogliare Shandar, completamente! Ha iniziato qualcuno a ricordare quello che il principe ti ha fatto durante il vostro primo incontro... e ora tutti vogliono fare altrettanto a lui, sulla pedana della gogna, in mezzo alla città!”
Non la lascio neppure finire, già sto correndo in strada. Non posso permettere che lo facciano. Shandar ha già sopportato troppo.
Percorro tutta la strada di corsa e quando arrivo, scopro che stanno veramente mettendo in atto le minacce. Un uomo ha tirato in piedi Shandar e gli sta stracciando la maglia, sotto i fischi e le urla di approvazione del popolo.
- “Facci vedere come è fatto sotto! Si vergognerà di ciò che ha fatto alla nostra signora!”
Percorro gli scalini della pedana in un istante e cinque secondi dopo sono al centro della gogna. Allontano l’uomo con uno scrollone e mi frappongo fra lui e Shandar. La folla ammutolisce di colpo. Per un istante non un solo suono attraversa l’aria.
Approfitto del momento.
- “Uomini di Piccola Terra Fiorita” – esordisco – “Per quanto io comprenda il vostro rancore e il vostro desiderio di rivalsa, non posso accettare un comportamento che leda a questo modo la dignità umana! Per quanto male possa averci fatto il signore di Geocenda, io vi prego di ricordare la nostra natura di esseri umani! Oggi stavate per passare un limite che vi avrebbe abbassati al rango di bestie! Vi chiedo nelle prossime ore di riflettere accuratamente su questo!”
A quel punto afferro Shandar per un gomito e, nella sorpresa generale, lo trascino via con me.
Non lo lascerò su quella pedana un secondo di più.
Il popolo, contrito sotto le mie parole, non osa accennare alcun moto di protesta.
Scendiamo gli scalini, mi avvicino a un uomo armato e gli chiedo di tagliare le corde che legano il giovane signore di Geocenda. Vengo obbedita all’istante, nel silenzio più completo.
Mentre mi incammino trascinando con me Shandar, vedo sguardi bassi e occhi pieni di vergogna. Non siamo un popolo bellicoso, né rancoroso. Le mie parole avranno l’effetto di far riflettere a lungo chiunque abbia desiderato più vendetta di quanto avevo concesso.
- “Ha ragione, io lo sapevo che stavano esagerando” – sento sussurrare una donna.
- “Sì, in fondo è solo un ragazzo. Dieci anni fa era quasi un bambino.”
Sono compiaciuta di quei bisbigli, capisco che nel mormorio incessante di Piccola Terra Fiorita, ora entreranno a far parte queste argomentazioni. Si allargheranno ed espanderanno, spaccando dapprima la città in due. E poi la assorbiranno. Perché Piccola Terra Fiorita è una terra pacifica che confida nel buon senso della sua signora.
Shandar mi segue a fatica, è restato così tanto tempo in ginocchio che le sue gambe funzionano a  malapena. Tiene il viso basso, coperto dai capelli, e sembra accorgersi con difficoltà di ciò che lo circonda.
Lo porto direttamente nelle mie stanze che reputo il luogo in cui possa sentirsi più al sicuro. Man mano che i minuti passano, mi rendo conto di come l’esperienza appena vissuta l’abbia segnato. Gli ho risparmiato altre quattro ore di gogna, ma è rimasto su quella pedana per sei ore. Sei ore infernali in cui, senza sosta, ha assorbito rifiuto, odio, rancore, accusa, disprezzo. Emozioni alle quali lui è sensibilmente permeabile, molto più di qualunque altra persona io conosca.
Quando entriamo in camera mi volto a guardarlo per bene. Resta immobile, lo sguardo basso, come se non fosse consapevole del luogo in cui si trova. Come se, nonostante tutti i miei sforzi, si trovasse ancora su quella pedana, sotto una grandinata di insulti.
Gli sollevo il viso e lo costringo a guardarmi. I suoi occhi sono velati, il suo respiro corto.
- “Shandar, ti senti male?”
Lui non risponde, mi fissa smarrito.
- “Shandar!”
Lo faccio sedere sul letto, preoccupata che si trovi sotto shock. I suoi occhi grigi non riflettono la mia immagine, sembrano piuttosto ripiegati su se stessi, sui movimenti della sua anima turbata.
Lo sospingo indietro con delicatezza fino a farlo sdraiare, poi afferro un fiore dal vaso e glielo appoggio sul cuore. E immediatamente un’emozione violenta pulsa tra le mie dita. L’emozione di chi è stato rifiutato ripetutamente, in continuazione, troppe e troppe volte.
I pensieri, la paura di Shandar, mi attraversano la mente. La gogna l’ha portato vicino al punto di rottura oltre il quale... non so cosa succederà.
- “Fammi capire.” – bisbiglio. E lui è così instabile e indifeso che in un attimo sono nel suo cuore.
 
 
Quando manca poco al compimento dei suoi diciannove anni, Shandar si innamora.
Lei è la figlia del consigliere di sua madre, una ragazza graziosa, vivace, in grado di fargli perdere la testa. Ricambia le sue attenzioni con interesse e presto iniziano le passeggiate assieme lungo il fiume e le merende sull’erba.
Shandar comincia a escogitare autopunizioni che possano passare inosservate, per non turbarla. È in quel momento che inizia a costruire bracciali di spine e a praticare il digiuno forzato. Sono pratiche che gli permettono di scontare la sua pena quotidiana, senza che Viola  faccia domande.
Sulla riva del fiume parlano a lungo, scherzano, si stuzzicano e dopo un tempo che Shandar ritiene ragionevole, iniziano gli approcci fisici.
La relazione prosegue per qualche settimana e quando Shandar ogni sera torna a casa portando i baci di Viola sulle labbra, si addormenta velocemente, pervaso nel cuore da una serenità che non sperimenta più da anni. Per la prima volta da tempo immemore, il suo corpo è animato da una scintilla di vitalità. Nella nebbia uniforme della sua sofferenza, si è aperto uno spiraglio del color del cielo.
Quando Viola gli fa capire di essere pronta a far l’amore con lui, Shandar smette di respirare per l’emozione. Fissano un luogo e un’ora.
Ma al momento stabilito, Viola non si presenta. Shandar l’aspetta a lungo, fiducioso che la ragazza, qualsiasi impedimento abbia avuto, finirà con il raggiungerlo.
Invece arriva la regina. Quando l’ombra di sua madre si staglia su di lui, Shandar viene attraversato dal terrore.
- “Sei uno stupido Shandar” – lo attacca lei, con una voce fredda come il cristallo – “Per fortuna ho scoperto in tempo quello che stavi facendo. Sedurre la figlia del nostro consigliere? Pensavi che te l’avrei lasciato fare?”
No, non lo pensa. Ma era così innamorato che non si era  neppure posto il problema.
- “Credevi davvero che Viola ti sarebbe stata vicina anche una volta saputa la verità su di te? Quando suo fratello e suo cugino sono morti nella spedizione?”
Un’ondata di ghiaccio paralizza il corpo di Shandar, quando si rende conto di ciò che ha fatto sua madre. Ha mantenuto il segreto fino ad ora, solo per svelarlo all’ultima persona che doveva saperlo.
- “Non ho chiesto a Viola di staccarsi da te, le ho solo raccontato la verità. E come vedi, ora ti disprezza. Non sei destinato a questo, Shandar, il tuo destino è morire per ripristinare l’incantesimo, appena avrai scoperto come fare. Non avrai mai una fidanzata né una sposa e non farai mai l’amore con nessuno, perché nessuna ragazza ti vorrà sapendo che sei un assassino. E io mi premurerò che lo sappia ogni ragazza a cui ti avvicinerai. Non ingannerai nessuno, io te lo impedirò!”
Le parole di sua madre, amare come fiele, spengono l’ultima fiamma di speranza che gli resta.
La nebbia si richiude sopra la sua testa, il cielo scompare. Ma la sofferenza, dopo quel piccolo respiro, è mille volte più insopportabile.
Viola lo evita quando lo incontra, nei suoi occhi non c’è più alcun calore. Vede l’assassino di suo fratello e suo cugino e non può perdonare.
Shandar si chiede se racconterà ad altri la verità e se il rifiuto si trasmetterà da persona a persona come un contagio, lungo tutto la terra di Geocenda. Il pensiero è insopportabile.
Balza sul cavallo e scappa, galoppa per un giorno e mezzo quasi senza sosta, fino al tempio di Verdenia. Il coltello è ancora lì, dopo quasi cinque anni ne ricorda ogni minuzia.
Lo afferra e grida verso i  muri e le colonne, supplica perché il suo sacrificio venga visto e accettato. Non c’è una sola persona al mondo che possa sapere la verità su di lui e continuare a guardarlo senza disprezzo. Questo è il dolore che offre al coltello, nel momento in cui lo passa sui polsi, facendo uscire il sangue a fiotti.
Ma come il resto del mondo, anche il coltello lo rifiuta.
Respinge il suo sacrificio e lo abbandona a terra, scosso da singhiozzi angosciati, mentre il custode del tempio si avvicenda attorno a lui  per trattenere  una vita che Shandar non vuole più.
- “Non puoi morire, o nessun altro mai ripristinerà l’incantesimo.”
È la sua condanna, questo non poter morire. Perché anche la morte sarebbe  una colpa.
La vita e la morte non sono altro che colpa.
Costretta a letto dalla malattia, qualche giorno prima di spirare, sua madre glielo ribadisce.
- “Shandar, ricordati di espiare sempre, giorno dopo giorno. Non ti resta altro, perché non c’è perdono per te. Ricordatelo. Io non ti perdono.”
E con queste parole per testamento, sua madre lo lascia  signore di Geocenda, finché il sacrificio richiesto non sia compiuto.
Shandar sale al trono nella menzogna, il segreto che custodisce è una fiamma che lo divora.
Rifiuto, dolore, colpa, espiazione, disperazione. Nella sua vita non c’è altro.
 
Mi stacco di colpo, colma di orrore.
Shandar trema, è ancora sdraiato sulla schiena e ha le mani strette a pugno sugli occhi, come per smettere di vedere ciò che l’ho costretto a rivivere. Il suo corpo è scosso da un fremito incontrollabile.
- “Basta” – mormora, con voce rotta – “Basta, ti prego, non ce la faccio più. Ti prego, basta. Uccidimi. Abbi pietà,  uccidimi!”
Una lacrima gli scivola dall’angolo dell’occhio lungo la tempia, fino alla coperta del letto. Shandar preme i pugni sugli occhi, come a fermarla, mentre un singhiozzo rotto gli erompe dalla gola.
Mi chino su di lui, straziata. Cerco le sue labbra e ci appoggio le mie, con tutta la delicatezza che riesco a trovare. Lo bacio con tenerezza, con calore, perché capisca che non lo sto respingendo. Conosco la verità su di lui e non intendo rifiutarlo.
Lui si blocca, costernato, poi il bisogno che ha dentro prende il sopravvento. Mentre trema come una fogliolina sotto la tempesta, mi attira a sé. Risponde al mio bacio con disperazione, come un assetato che non veda acqua da giorni.  I baci si mescolano ai singhiozzi.
Quando vedo le lacrime spuntare dai suoi occhi, lui si stacca. Se li asciuga furiosamente, con veemenza e io risento la voce di sua madre. “Non osare piangere! Non provarci neppure. È solamente colpa tua! Tu hai ucciso tuo padre, hai ucciso tutti i nostri uomini e hai rovinato Geocenda e tutte le terre lungo il fiume! Tu non puoi piangere Shandar, non ti permettere!”
Gli prendo i polsi e glieli abbasso.
- “Smettila, se hai voglia di piangere puoi farlo!”
- “No, non posso!”
- “Puoi invece, Shandar. Hai il diritto di piangere ogni volta che stai male!”
- “Io da solo mi sono procurato il male! Ho fatto tutto io! Gli abitanti di tutti i popoli possono piangere, tu puoi piangere Ailanda, perché sei una vittima, ma non io!”
Scuoto la testa, furiosa.
- “Anche tu sei una vittima. Non sei un assassino, Shandar! Non hai rigirato un coltello nel cuore di quegli uomini... non hai ammazzato mio padre! Eri solo un ragazzino che ha avuto la sfortuna di prestarsi a una bravata finita in tragedia! Ma quegli uomini... gli uomini partiti con la spedizione, hanno scelto di propria volontà di non rientrare una volta vicini alla fine delle scorte d’acqua! Hanno scelto di andare avanti comunque, sapendo che probabilmente sarebbero morti! E mio padre come loro. Mio padre ha scelto di andare avanti, invece di fidarsi di mia madre... Lui... proprio lui doveva sapere che le Ancelle Fiorite avrebbero trovato una soluzione! Lui avrebbe dovuto fidarsi di mia madre e tornare indietro... invece di morire!” – una lacrima mi scivola sul viso, ma non l’asciugo – “Anche tuo padre Shandar, come ogni altro membro di quella spedizione, avrebbe potuto riflettere e capire... È il loro orgoglio ad averli uccisi... la presunzione di dover a tutti costi salvare delle terre che potevano essere salvate altrimenti... Tuo padre è partito mentre eri ancora via... invece di ostinarsi e morire, avrebbe dovuto pensare a te... sarebbe dovuto tornare a salutarti...”
Le mie lacrime non sono più le sole a scendere, Shandar ha smesso di respingere le sue. Le sfioro con un dito, trasformando il gesto in una carezza.
- “Domattina” – sussurro – “Domattina userò il coltello, come ti ho promesso.”
Gli occhi di Shandar si spalancano e subito dopo si riempiono di sollievo. Scorgono la fine del supplizio, forse la pace.
- “Grazie” – sussurra. E mi rendo conto che per l’intera giornata non mi ha rivolto un solo sorriso ironico.

 
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Siamo a un passo dalla fine... e se qualcuno sta seguendo questa storia, chiedo  per favore  se può lasciarmi una piccola recensione per
sapere come sta andando, se piace, se non piace... se delude.... Mi farebbe un grandissimo piacere avere anche solo due righe di commento!!!
Grazie!!!

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Capitolo 10
*** Il giusto sacrificio ***


 Quando mi rendo conto che Shandar si è tranquillizzato, lo lascio a un bagno caldo e mi dedico ai preparativi per ciò che accadrà domani.
Riunisco le ancelle lungo il fiume, già precedentemente informate della mia situazione nei confronti dell’incantesimo, spiego nel dettaglio come intendo agire durante il sacrificio e chiedo il loro appoggio. Me lo danno incondizionatamente.
Poi chiamo gli stessi uomini che il giorno prima avevano divulgato la verità su Shandar e racconto loro cosa accadrà la mattina dopo. So che posso approfittare di quello che è accaduto nel pomeriggio. L’eccesso nel quale la mia gente è caduta e il senso di vergogna suscitato dalla mia sfuriata, cadranno a mio vantaggio.
Gli uomini mi ascoltano, provano a replicare, ma sono proteste deboli. Scuotono la testa desolati, ma stanno già accettando quello che accadrà. Quello che cercherò di far accadere.
Se ne vanno e so che ancora  una volta le voci circoleranno a velocità inaudita, avvisando tutto il popolo di Piccola Terra Fiorita che domattina l’alba sorgerà su qualcosa di inaspettatamente nuovo.
Ceno nel salone comune e ancora una volta ripeto la mia storia ai presenti e sondo le loro reazioni. Nessuna è entusiastica e qualcuno di loro prova a ipotizzare un’alternativa, ma alla fine sono tutti costretti a rassegnarsi. Accetteranno la mia volontà.
Quando torno finalmente nelle mie stanze, sono sfinita. Mi preparo per la notte velocemente, infilando una camicia da notte pulita e leggermente meno scoraggiante della precedente. La camera è buia, illuminata solo dal chiarore della luna piena. Shandar è seduto sul letto con la schiena appoggiata al muro, immerso in una chiazza di luce. Ha lo sguardo fisso oltre i vetri della finestra, il suo viso è rilassato, forse come non l’ho mai visto.
Mi siedo accanto a lui nella pozza di luce e finalmente lascio andare la tensione che da ore mi irrigidisce le spalle.
- “Hai cenato?” – gli bisbiglio.
Lui annuisce senza rompere il silenzio. Una accanto all’altro, immobili, respiriamo un po’ di pace.
Alla fine è lui a parlare.
- “Perché oggi mi hai portato via dalla gogna?” – chiede in un sussurro.
- “Stavano esagerando. Ci sono limiti che non voglio vengano superati.”
- “Avresti potuto semplicemente fermarli e poi lasciarmi lì.”
È vero, ma non mi è neppure passato per la testa. Desideravo solamente proteggerlo, portarlo al sicuro. Sorrido fra me, pensando a quanto Shandar mi spaventasse solamente una settimana fa. Lo ritenevo minaccioso, pericoloso, quando invece è la persona più innocua che io conosca. Non c’è nulla che lo terrorizzi di più del poter far male a qualcuno, perché il suo cuore non potrebbe sopportare il peso aggiuntivo di un’altra colpa, seppur minima.
- “Ero stanca di vederti soffrire” – rispondo alla fine – “Non sono imperturbabile quanto dovrei.”
- “Grazie. Ne sono contento.”
La sua risposta mi scalda al cuore. Fino ad ora, ogni mio tentativo di placare le sue sofferenze era stato preso al pari di una tortura.
Mi piego di lato e appoggio la testa alla sua spalla, in un gesto rilassato. Shandar lo accoglie senza sorpresa, chiude gli occhi come se stesse ascoltando qualcosa di importante.
- “Pensi davvero che la spedizione partita dopo il Disastro abbia sbagliato a non rientrare?” – mi domanda dopo un po’.
Accenno di sì con la testa, anche se non può vedermi.
- “Non ho fatto che pensarci per anni. Ho odiato mio padre per aver scelto di andare fino in fondo. Mia madre e le sue Ancelle hanno trovato l’incantesimo riparatore tre giorni dopo la sua morte e questo è stato... talmente assurdo da mandarmi fuori di testa. Era morto inutilmente e più ci pensavo, più mi rendevo conto di quanto fosse stato presuntuoso nel non volersi arrendere neppure di fronte al fallimento più completo. Ho provato  una rabbia furibonda per anni nei suoi confronti. Non sono sicura che mi sia ancora passata.”
- “Hai pensato di non essere abbastanza importante per lui.”
- “Né io né mia madre. Non valevamo abbastanza da farlo tornare. Non eravamo più importanti del suo orgoglio.”
- “O forse eravate più importanti della sua vita.”
Alzo la testa e cerco i suoi occhi. Illuminati dalla luna sono scuri, di un grigio metallizzato prossimo al nero.
- “Cosa vuoi dire?”
- “Forse tu e tua madre eravate così importanti da fargli rischiare qualunque cosa. Forse non pensava al suo onore, ma solamente alla vostra sopravvivenza. Magari ti voleva così bene, da accettare qualunque prezzo pur di salvarti la vita.”
Non è un’ ipotesi malvagia. Ho trascorso così tanto in tempo a trasformare il dolore in rabbia che ho trascurato qualunque altra supposizione.
- “Forse” – rispondo. Riappoggio la guancia alla sua spalla e ci rifletto su per un po’. In realtà dovrò meditarci molto a lungo, perché per dieci anni ho fatto più o meno sempre gli stessi pensieri e questi  hanno scavato nel mio cervello solchi così profondi da ostacolarmi nel concepire altre strade. Ma pian pianino potrei provare ad ampliare la mia prospettiva.
- “Non avevo intenzione di far veramente danno” – dice Shandar all’improvviso, la voce attutita dal ricordo – “Ero semplicemente tanto superficiale da pensare di poter sfidare le leggi senza che vi fossero conseguenze. Superficiale in modo nauseante.”
- “Tutti sono superficiali a quattordici anni.”- rispondo piano – “E nessuno pensa davvero che tu volessi tutto questo pasticcio. Anche se oggi la mia gente ti ha chiamato assassino... non è stato che uno sfogo contro il dolore. In realtà nessuno crede che il signore di Geocenda volesse far del male alla propria gente e alla propria terra. È stato solo... un incidente. Un brutto incidente.”
- “Molto brutto” – conferma lui, piano.
Sospiro e le palpebre mi diventano pesanti.
- “Sai, mi piacerebbe dormire ancora come ieri.” – dico – “ Abbracciati.”
Potrei imporglielo come le altre volte, ma è finito il tempo dei comandi. Aspetto la sua reazione.
- “Farebbe piacere anche a me.”
Nascondo un sorriso che rischia di tradire il mio sollievo. Le speranze che nutro per ciò che deve accadere domani, non sono poi così campate in aria.
Sono sicura che non sono solo io a sentirmi così vicina al cuore di Shandar.
Aspetto che si corichi e alzi il braccio e mi infilo accanto a lui. Appoggio il capo sul suo petto e ascolto il suo cuore.
- “Domani sera non sarò più qui” – dice lui e una vena della vecchia ironia inclina la sua voce – “Pensa a quanto sentirai la mia mancanza!”
- “Ci speri?” – ribatto, per non dover commentare altrimenti.
Lo sento sorridere al buio e poi mi lascio andare al sonno.
 
All’alba, in riva al Fiume Diamante, tutto è pronto. La riva fiorita ci accoglie con il suo profumo familiare e in esso cerco un po’ della tranquillità che presto mi sarà necessaria. Penso a mia madre e alla sua imperturbabilità, spero che sappiano ispirarmi. Oltre a me e Shandar, non ci sono che le mie ancelle. Ci troviamo a semicerchio attorno a un solco scavato nella terra, dove verrà piantato il Fiore una volta ripristinato l’incantesimo.
Accarezzo l’impugnatura lucente del coltello e la vista mi si confonde sulle lettere che, sotto il sole, spiccano come in rilievo.
“Solo il  giusto sacrificio farà splendere il pugnale come un Fiore”
Saprò fare la cosa giusta?
Gli occhi grigi di Shandar sono inchiodati a me. Lui è tranquillo, come se finalmente fosse arrivato alla fine di un lungo combattimento. Ora deve solo lasciarsi uccidere, niente di impegnativo per una persona che ci ha già provato inutilmente due volte.
Rispondo al suo sguardo con un sorriso, non sa che gli chiederò un sacrificio molto più grosso della sua morte.
- “Siamo pronte Ailanda?”
Lo sguardo di Laila è solenne, ha accettato senza un commento ciò che le ho riferito e sotto il suo esempio tutte le altre ancelle hanno chinato la testa obbedienti.
Faccio un cenno d’assenso e mi avvicino a Shandar. Quando gli metto il pugnale nelle mani, lui mi rimanda un’occhiata interrogativa, ma quando mi inginocchio davanti a lui trasale come per una scossa.
- “Cosa stai facendo?”
- “Il giusto sacrificio non è quello che ti aspettavi, Shandar. Il pugnale non vuole la tua morte e due fallimenti dovrebbero ormai avertelo fatto capire. Sono io, la signora delle Ancelle Fiorite, a dovermi sacrificare e tu sei quello che pianterà il pugnale nel mio cuore.”
Nessuno parla per un tempo che sembra infinito. Le ancelle non hanno cambiato espressione, già preparate a quello che avrei annunciato. Quello che non è preparato è lui, il signore di Geocenda. Arretra di un passo, come se di fronte a lui fosse comparso all’improvviso un essere mostruoso.
- “Non può essere!”
La sua voce è strozzata, come se la gola gli si fosse improvvisamente chiusa.
- “Nessuno ti giudicherà per questo.” – spiego con voce calma – “Le mie ancelle testimonieranno che hai fatto ciò che dovevi e che io stessa ti ho chiesto. L’incantesimo verrà ripristinato come è giusto che sia e gradualmente tutti i popoli lungo la riva del  fiume dimenticheranno il Disastro e ciò che ci è costato.”
- “Deve esserci un altro modo” – ribatte lui, in un soffio di voce – “Sono io che ho causato questo pasticcio, non puoi essere tu a doverti sacrificare!”
- “Questo è l’unico modo. Ma io come vedi sono consenziente, Piccola Terra Fiorita accetterà questo piccolo sacrificio. E tu avrai fatto ogni cosa in tuo potere per riparare all’errore di dieci anni fa, sarai libero dalla promessa fatta a tua madre e potrai ricominciare ogni cosa da capo. Tornerai a governare Geocenda, potrai sposarti e avere tutto ciò che finora ti sei negato.”
Shandar sembra senza fiato. Stringe il pugnale come se, fra le sue lunghe dita, fosse una zavorra che lo inchioda a terra.
- “Se non lo farai invece, non riuscirai mai a chiudere con il passato.” – aggiungo – “Ti sentirai ancorato alle parole di tua madre per tutta la vita, senza tuttavia poter far più nulla per mettere ordine nelle cose. Finirai per soffocare schiacciato dalla colpa e dai tormenti, tenterai di nuovo il suicidio... ma io non ti lascerò morire, mai. Sarà un incubo Shandar, per cui fai la scelta giusta e uccidimi.”
Lui ora è bianco come un cadavere.
- “Dammi un’alternativa, Ailanda. Questa... è inaccettabile.”
- “Capisco la tua sorpresa, ma non c’è un’altra soluzione. Devi solo abituarti all’idea.”
- “Io... non posso farlo!”
- “Shandar...”
- “Non posso!”
Lascia cadere a terra il pugnale quasi che scotti. Vedo sul suo viso il tormento di chi ha perso l’unica ragione di vita.
- “Shandar, se non lo fai vivrai per sempre sotto la tortura del senso di colpa!”
- “Ma non lo farò! Io non posso! Non... posso!”
- “Perché?”
Lui chiude gli occhi e soffoca un singhiozzo. Crolla in ginocchio di fronte a me e mi circonda le spalle con le braccia.
- “Perché sei l’unico appoggio che ho!”
Affonda il viso fra i miei capelli e lo sento tremare contro il mio corpo.
La commozione si mescola al sollievo che provo, il calore del corpo di Shandar raggiunge un punto profondo della mia anima.
Alzo le braccia e lo stringo.
- “Perdonami” – sussurro – “Ti ho mentito.”
- “Come?”
Sorrido alla sua voce smarrita, mi sento un mostro per averlo messo a tal punto in difficoltà. Ma avevo bisogno che i suoi sentimenti venissero alla luce, per me, ma soprattutto per lui. Per ciò che deve ancora venire.
- “Non devi uccidermi, non è questo il giusto sacrificio che vuole l’incantesimo.”
- “Ma...”
- “E non chiede neppure la tua vita. Un incantesimo creato da un’Ancella Fiorita non vuole il male di nessuno Shandar. Forse è difficile crederlo per te o per tua madre, ma per me è stato chiaro fin da subito.”
Lui solleva la testa e mi fissa cauto. Sento che l’incomprensione in cui l’ho gettato lo sta mettendo sulla difensiva.
- “Perché mentirmi allora? E cosa..?”
- “Ho dovuto farlo, fin dal principio. Dovevo creare le premesse per arrivare a questo... Al perdono.”
Non capisce, perché tutto questo per lui è inconcepibile.
- “È questo che vuole il pugnale. Che io, signora di Piccola Terra Fiorita, in rappresentanza di Tamalai, pur avendo subito i danni del tuo gesto, pur avendo subito un lutto a causa della tua superficialità, ti perdoni. A nome di tutti i popoli lungo il Fiume Diamante.”
Shandar sta già iniziando a scuotere la testa.
- “Questa è la prima condizione” – proseguo – “La seconda è che tu perdoni te stesso, signore di Geocenda.”
- “È una follia! Dove sarebbe il sacrificio? Non c’è un senso in quello che dici!”
- “Il perdono è un sacrificio d’amore, Shandar. Un sacrificio che io faccio in nome di tutti i popoli del Fiume Diamante. E che tu dovrai fare verso te stesso. Sacrificare l’orgoglio che ti impedisce di accettare ciò che hai fatto e ciò che sei.”
- “L’orgoglio? Non è questione di orgoglio, ti rendi conto del danno che ho prodotto?”
- “Me ne rendo conto eccome. Ma non c’è niente che tu possa fare per cancellare ciò che è stato, puoi solo accettare il mio perdono e ripristinare questo incantesimo... sposandomi.”
Dopo aver lanciato la bomba, aspetto. Le ancelle osservano la scena in silenzio, ho detto loro che non sarebbe stato semplice ottenere un assenso da Shandar, ma prima di dirgli la verità ho sondato i suoi sentimenti e, considerata la sua reazione, le possibilità non sono del tutto a sfavore del successo.
- “Ailanda, cosa stai dicendo?”
- “Ti sto spiegando come ripristinare l’incantesimo...”
- “Sposarti? Sposarti ritrasformerebbe il pugnale in fiore?”
- “Sì, lo farebbe.”
- “Ma...” – i suoi occhi grigi riflettono smarrimento, paura e qualcos’altro che, se volessi cedere all’ottimismo, potrei chiamare desiderio – “È assurdo. Io.. io non posso sposarti.”
- “Perché non puoi?”
 Se mi risponde che gli faccio schifo, mi tiro una pugnalata da sola.
Lui però sembra riflettere sulla domanda come a comprendere le vere motivazioni che muovono i suoi pensieri. I suoi occhi si oscurano mentre si morde le labbra e risponde in un soffio – “Perché sposarti mi renderebbe felice.”
Trattengo un sorriso di gioia e imbarazzo. Sono a un passo dal farcela, a un solo passo.
- “Shandar, tua madre si ingannava, la tua sofferenza non serve a nulla. Se lei non ti ha perdonato, lo faccio io. Perdonati ciò che hai commesso e concediti di essere sereno.”
Siamo molto vicini, ma i suoi pensieri corrono distanti, percorrono il mondo in lungo e in largo in cerca di scuse, di giustificazioni, di pretesti che lo salvino dalla sua felicità.
- “Ailanda...” – sussurra – “Ieri ero sulla gogna, come credi che reagirà il tuo popolo se ti sposo?”
- “La mia gente è già avvisata” – gli annuncio.
Vedo la notizia dipingergli il volto di shock.
- “Ieri sera ho fatto sì che ogni abitante di Piccola Terra Fiorita sapesse quello che stava per accadere. So che ieri il mio popolo non deve averti fatto una buona impressione, ma la sua stirpe discende interamente dalle ancelle... ciascuno di loro è in grado di discernere il bene dal male e comprendere quando deporre le armi. Siamo un paese pacifico, la mitezza è la nostra principale caratteristica. Se serve a ripristinare l’incantesimo, Piccola Terra Fiorita è disposta a perdonarti e ad averti come suo signore.”
Shandar si guarda intorno, in cerca di un appiglio.
- “È così” – interviene Laila, dando voce per la prima volta al pensiero delle mie ancelle – “Nessuna di noi intende opporsi né esservi ostile. E così come vi accetteremo noi, così farà ogni abitante della nostra terra.”
Shandar scuote piano la testa, ma una luce nuova si è già accesa nel suo sguardo.
- “Fidati di me” – gli dico – “Non volevi ripristinare l’incantesimo? Non era lo scopo della tua esistenza? Vuoi che le acque del Fiume Diamante tornino definitivamente potabili o vuoi soddisfare solo il desiderio di vendetta di tua madre? Fai una scelta Shandar!”
Trattengo il respiro, mentre prego che si arrenda. La purificazione delle acque e la felicità di Shandar non sono in contrapposizione, così come ha creduto lui per anni. Deve solo cedere a questa verità.
E colgo l’esatto momento in cui succede.
- “Va bene” – dice – “Va bene.”
Afferro il pugnale da terra e lo tengo sul palmo della mano in mezzo a noi.
- “Facciamolo per bene” – dico.
Lui esita solo un momento, prima di appoggiare la sua mano sopra al coltello. Le nostre dita sono separate solo dalla lama.
Alzo lo sguardo e lo fisso negli occhi mentre parlo.
- “Io Ailanda, signora di Piccola Terra Fiorita, ti perdono a nome di tutte le terre lungo il Fiume Diamante. Il mio desiderio è di sposarti Shandar e farti signore della mia gente.”
Lui deglutisce e fissa i suoi occhi grigi nei miei. Sotto il sole del mattino i suoi capelli e la sua pelle brillano d’oro scuro.
- “Io Shandar, signore di Geocenda, farò del mio meglio per perdonarmi l’atto che ho compiuto dieci anni fa. Il mio desiderio è di sposarti Ailanda e farti signora della mia gente.”
Immediatamente il pugnale risplende. La mano forte di Shandar trema sopra a quella luce. Vedo nei suoi occhi l’incredulità. Per dieci anni ha cercato quel bagliore e gli sembra impossibile di averlo ottenuto.
Tra le nostre mani, il pugnale torna a essere un fiore. Il fiore che il giovane principe di Geocenda anni fa aveva spezzato. Ora è fra le nostre dita, i suoi petali lunghi cingono le nostre mani di un cangiante colore violetto.
Shandar si scosta cautamente mentre infilo le radici nella buca che è stata predisposta. D’ora in poi il fiore riposerà qui, lungo la riva del fiume, custodito dalle Ancelle Fiorite perché nulla di ciò che è accaduto possa ripetersi.
- “Non riesco a crederci” – sussurra Shandar, inebetito dalla sorpresa.
- “Avrai il tempo di abituarti alla novità. Ora dobbiamo andare.” – lo sprono.
- “Andare dove?”
Gli rivolgo un sorriso raggiante.
- “A sposarci!”
 

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Capitolo 11
*** Nuova vita ***


 Siedo sul letto esausta, felice di ritrovare finalmente un po’ di solitudine e silenzio. È stata una giornata emozionante e frastornante, credo di non essermi mai sentita tanto stanca in vita mia.
Shandar è uscito a portare fuori Carciofino che, nella confusione dei festeggiamenti, aveva ben pensato di venirsi a rifugiare nella tranquillità delle mie lenzuola.
Chiudo gli occhi e mi abbandono a un sospiro di stanchezza.
I festeggiamenti sono durati ore, il popolo intero di Piccola Terra Fiorita attendeva solo che io e Shandar ci allontanassimo dalle rive del fiume per accoglierci e iniziare a far baldoria.
Abbiamo appena avuto il tempo di cambiarci d’abito prima di presenziare alla cerimonia di nozze e poi sono iniziati i banchetti, predisposti nella notte, cui ha partecipato tutto il popolo.
Una festa di nozze decisamente improvvisata e per questo un po’ grossolana, ma sentita al punto tale che Shandar ha dovuto riconoscere come il popolo di Piccola Terra Fiorita sapesse perdonare rapidamente.
Domani partiremo per Geocenda, dove ci attende un altro popolo in festa. Non so se sopravvivrò a un’altra giornata come questa, ma non si può negare al popolo di Shandar il giusto festeggiamento del matrimonio del suo signore.
La porta si apre con un piccolo scatto e la testa bionda di mio marito fa capolino dalla fessura. Mi sorride, mentre si infila in camera.
- “Voleva a tutti i costi tornare da noi” – mi annuncia – “Cos’hai fatto a questo cane, Ailanda? Sembra irrimediabilmente innamorato di te!”
- “O di te” – preciso, mentre lo guardo avvicinarsi al letto. Si è infilato un paio di pantaloni morbidi e una maglia scura che gli scivola incantevolmente sui fianchi snelli. Dovremo procurarci al più presto un guardaroba adatto a lui.
Shandar siede sul letto e mi guarda. Il silenzio cade all’improvviso fra noi.
Da quando il pugnale è tornato a essere un fiore, non abbiamo praticamente più avuto modo di parlarci, trascinati nel vortice degli avvenimenti della giornata.
Shandar tira i piedi sul letto e si abbraccia le ginocchia. Mi lancia un’occhiata incerta e all’improvviso mi sembra molto più giovane.
- “Sei davvero mia moglie?” – dice, cogliendomi di sorpresa.
. “Sì...a quanto pare.”
Lui scuote la testa, come se il fatto lo rendesse incredulo.
- “Sono sposato” – ripete –“Ho una moglie. E...stiamo per fare l’amore?”
Sorrido, colta da un velo d’imbarazzo.
- “Lo spero.”
Sono giorni che sfioro il corpo di Shandar per tormentarlo o consolarlo, proteggerlo o invaderlo. Mi piacerebbe toccarlo per qualcosa che non abbia nulla a che fare con il dolore.
Lui chiude gli occhi, come se stesse cercando di realizzare la situazione. Ricordo all’improvviso le parole di sua madre... “Non avrai mai una fidanzata né una sposa e non farai mai l’amore con nessuno, perché nessuna ragazza ti vorrà, sapendo che sei un assassino.”
Shandar non ha mai messo in discussione le verità materne e ora si trova in una condizione che confuta completamente qualsiasi convinzione gli sia stata trasmessa. Ha una sposa e con lei farà l’amore, perché ha trovato una ragazza che lo vuole pur conoscendo la verità su di lui.
Faccio fatica a immaginare come possa sentirsi in questo momento.
Quando riapre gli occhi, è tornato il suo antico sorriso ironico. Quello che usa per difendersi dalle cose che potrebbero ferirlo.
- “D’accordo mia signora, farò del mio meglio per fartelo piacere, così non avrai modo di lamentarti dell’uomo che sei stata costretta a sposare.”
Per un momento rimango disorientata, senza capire.
- “Costretta?”
Credevo di essere stata io a costringerlo!
Ho dato per scontato che Shandar avesse capito i miei sentimenti. La volta in cui l’ho abbracciato, quella in cui l’ho baciato, quando mi sono appoggiata alla sua spalla... le notti passate avvinghiata a lui...Ho creduto che fosse chiaro quello che provavo, mi sembrava che i miei sentimenti si scrivessero nell’aria a lettere cubitali attorno a me. Ma non ho fatto i conti con l’animo ferito di Shandar, con il rifiuto che ha ricevuto dall’unica persona che avrebbe dovuto amarlo nonostante tutto e che l’ha reso analfabeta di fronte all’amore altrui.
Se voglio che capisca, dovrò essere veramente palese.
- “Shandar, io in principio ti detestavo, ma quando ho capito che l’unico modo di ripristinare l’incantesimo era perdonare... ho deciso di creare un contesto in ci poter entrare nel tuo cuore e leggere in prima persona la tua storia. Pensavo che così facendo, vedendo la tua anima e sentendo quali sentimenti muovevano le tua azioni, mi sarebbe stato più semplice capirti...e questo mi avrebbe permesso di attenuare il rancore e perdonare. Ma non mi sarei mai aspettata di arrivare fino a qui. Non avevo messo in conto che avvicinarmi così tanto a te, mi avrebbe portato... a innamorarmi.”
Lui sussulta a quella parola. Era pronto a sostenere una parte scomoda, non si aspettava una confessione a cuore aperto.
- “Ero convinta che tu l’avessi capito.” – mi scuso – “Pensavo... che le mie azioni fossero tutto fuorché fraintendibili.”
Sorride e riconosco in lui l’imbarazzo.
- “Temo di essere tanto abituato al disprezzo da non riuscire a percepire nessun altro sentimento. Credevo semplicemente...di farti pena.”
Pena?
Deglutisco mentre cerco i suoi bellissimi occhi grigi, il viso pulito, i capelli d’oro scuro ... quel corpo forte, snello, dalla pelle color del miele, le mani grandi e quel fondoschiena...
Io conosco il calore di quel corpo, la stretta di quelle mani, il sapore delle lacrime di Shandar mentre bagnano le mie labbra. Il cuore mi accelera.
- “Shandar... tu non mi fai pena, non provo pietà per te. Io ti desidero!”
Arrossisco dopo aver pronunciato quelle parole, ma credo che lui sia ancora più imbarazzato di me. Probabilmente nessuno gli ha mai parlato in questi termini.
- “Temo di essere in difficoltà” – mormora infatti, con sguardo incerto – “Ho una moglie che mi perdona, mi ama e... mi desidera. E io non so assolutamente cosa fare. Ho passato gli ultimi dieci anni a inventare modi sempre nuovi di torturarmi... e quella era l’unica cosa che sapevo fare bene.”
- “Allora adesso potremo cercare modi sempre nuovi di farti felice.” – propongo – “È un’idea che mi piace molto.”
Allungo un braccio verso di lui e gli sfioro il viso con le dita. Scendo lentamente lungo il collo fino alla spalla e proseguo adagio percorrendo la sua schiena. Percepisco il suo calore attraverso la maglia e allargo la mano per delineare sotto il mio palmo i muscoli del suo dorso. Lui rimane immobile, quasi senza respirare.
Quando afferro i lembi della sua maglia, esita un momento prima di alzare le braccia e lasciarsi spogliare. Io però non mi fermo. Benché la mia esperienza in campo maschile sia nulla – diventando signora della mia terra a quindici anni non ho avuto tempo di pensare ad altro – è chiaro che fra i due sia Shandar quello più insicuro. Riesco a percepire le sue sensazioni come se gridassero, in lui si mescolano in ugual misura il desiderio feroce di sentirsi amato e il terrore insensato di provare piacere. Sua madre ha fatto sì che provasse il senso di colpa più opprimente per ogni minima gratificazione che si concedeva e questi automatismi si cancelleranno solo con molto tempo e molta pazienza.
Appoggio la mano sulla sua schiena nuda e lo avvicino a me. Aspiro il profumo di sapone sulla sua pelle e poi alzo il viso. Shandar è ancora immobile, strattonato da sensazioni contrastanti. Per fortuna non manca di buon senso e un secondo dopo si china a baciarmi.
C’è una dolcezza in lui che mi ostruisce la gola di commozione. Mi bacia con delicatezza e poi, gradualmente, si abbandona al desiderio e a un certo punto mi ritrovo con la schiena sul materasso, schiacciata dal suo corpo.
Quando si scosta ha il respiro corto e nei suoi occhi leggo lo smarrimento.
- “Va tutto bene, vero? Lo... posso fare, no?”
Potrebbe sembrare una domanda irragionevole, ma so che ha bisogno di rassicurazioni. Ha bisogno di sapere che può concedersi questo istante di gioia e di piacere e che nessuno lo punirà per questo.
- “Fai l’amore con me” – gli dico – “Sei mio marito Shandar e io... ti voglio. E voglio vederti felice.”
Lui infila le mani sotto il mio vestito e all’improvviso sento il suo calore sul mio corpo. Ma quando mi accorgo che sta cercando di sfilarmi la camicia da notte, mi irrigidisco.
- “Shandar... non è meglio se spegniamo la candela?”
- “Vuoi spegnerla? Perché?” - Non sembra apprezzare l’idea – “Ti vergogni? So già come sei fatta!”
È proprio questo il punto.
- “Ti saresti portato a letto solo i miei capelli e il mio fondoschiena” – gli ricordo – “Il resto non ti piaceva.”
Leggo nei suoi occhi qualcosa di simile allo sbalordimento.
- “Ailanda” – sussurra, mentre gioca con i bordi della mia camicia da notte – “Il giochetto che ho fatto con te non era che un’altra delle mie autopunizioni. Guardare e desiderare quello che credevo non avrei mai potuto avere. E se desideri qualcosa che ti è negato per sempre... allora può succedere di fingere di disprezzarlo.”
- “Allora ti ero piaciuta?”
Lui solleva la camicia da notte e lascio che me la sfili. Sotto non indosso niente. Solo una settimana prima, in questa stessa situazione, avevo desiderato morire di vergogna. Ma lo sguardo di Shandar oggi è completamente diverso, è una carezza morbida che scivola delicata dal mio viso fino alla punta dei miei piedi. Quanto riescono a cambiare velocemente le cose.
- “Sono stato un vero cafone con te” – mi bisbiglia – “Perdonami.”
Quella parola mi fa sussultare. È il segno che Shandar ha accettato le mie parole e sta facendo il possibile per cambiare. Fino a ieri chiedere perdono sarebbe stato inconcepibile, perché lui era imperdonabile.
Mi bacia ancora con delicatezza e le sue labbra scendono lungo la gola fino al seno.
- “Ti perdono” – mormoro e sento il suo sorriso sul mio petto.
- “Sei l’essere umano più bello che conosca” – mi dice. E so che non intende solo per il mio seno, per il mio fondoschiena o per i miei capelli. Shandar sta parlando di tutta quanta me stessa.
Lo afferro per le spalle e lo attiro verso di me, perché anch’io voglio baciare ogni parte del suo corpo e farlo sentire desiderato, amato e voluto come non gli è mai successo in vita sua. Strattono il bordo dei suoi calzoni e lui mi dedica uno sguardo divertito.
Lancio alle ortiche tutta la mia imperturbabilità! Tanto diciamocelo... non l’ho mai avuta.

A fare l’amore impieghiamo un tempo infinito. Ciascuno di noi vuole che duri per sempre e che il momento non finisca mai. Alla fine Shandar entra dentro di me e in quel momento l’ombra più scura gettata su di lui dalla madre si dilegua. Posso quasi sentirla volar via, come un frullio d’ali di pipistrello.
Quando Shandar si stacca, negli occhi gli brilla un luccichio di lacrime. Mi stringe forte e mormora – “Non posso credere di essere così felice.”
- “Invece puoi crederlo” – ribatto – “Perché adesso intendo rifare tutto da capo.”
Lui scoppia a ridere, una risata leggera che non ha nulla di sarcastico o di amaro.
So che non sarà facile. So che i fantasmi torneranno e dovremo combattere ogni giorno contro l’ombra scura di una colpa che Shandar non può dimenticare. Ma ha promesso di cercare di perdonarsi e io lo aiuterò in questo. Sarà una nuova vita per lui. E anche per me, se è per questo.
Mi alzo di scatto e lo getto sul letto di schiena. Mi siedo sulla sua pancia e lo minaccio.
- “Avevo detto che avremmo cercato modi sempre nuovi di renderti felice! Quindi adesso ne troveremo un altro!”
Lui rimane immobile mentre lo accarezzo e quando mi chino a baciarlo, sento il suo sorriso.
Farò in modo che voglia sentirsi felice. Farò in modo che non desideri mai più tornare indietro. Lo faremo insieme.
- “Credi ancora di farmi pena, signore di Piccola Terra Fiorita?” – domando, chinandomi su di lui.
- “No, non lo credo. Credo di farti impazzire invece!”
Il suo tono è ironico, il sorriso divertito. Ma la sua ironia non nasconde più il dolore, non si difende dalle ferite.
La nuova vita è già iniziata.


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E così si conclude anche la storia di Shandar e Ailanda... Era nata senza che sapessi bene dove sarei andata a parare e alla fine mi ha coinvolta profondamente.
Quindi per favore.... recensiteeeeeee!!! Fatemi sapere che effetto vi ha fatto!!! Grazie!
phoenix_esmeralda 

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