Symphony of Opposites.

di SunriseNina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~Arrivo a Briggs. ***
Capitolo 2: *** ~In città. ***
Capitolo 3: *** ~Segreto. ***
Capitolo 4: *** ~Sentimenti. ***
Capitolo 5: *** ~Non è una fine... ***



Capitolo 1
*** ~Arrivo a Briggs. ***


PREMESSA.
Questa Long-Fic è il seguito di una mia One-Shot, Burning ice
Consiglio ovviamente di leggere anche essa, ma se qualcuno proprio non sopportasse l'idea di leggersi questa One-Shot (?) riporto brevi informazioni che possono tornare utili per capire la storia:


Scar è diventato il Gran Sacerdote di Ishval, e con l'aiuto di persone come Mustang sta aiutando Ishval a risorgere e a tornare al suo splendore originale. Ha ormai sviluppato una radicata fede religiosa (questo si noterà parecchio) ed è ormai una figura di spicco parecchio conosciuta in tutta Amestris.
Olivier Armstrong è venuta a fargli visita alcuni mesi prima, chiedendogli alla fine del loro incontro di venire a fargli visita a Briggs: Scar ha accettato, riferendo che un giorno o l'altro sarebbe venuto da lei.



Detto questo, buona lettura! :D













Scar alzò infreddolito il bavero del suo bigio pastrano, chiudendo gli occhi per alcuni secondi: riusciva a vedere gli immensi paesaggi del suo paese, le basse abitazioni, le strade sterrate arroventate dal sole cocente, i vermigli sguardi della sua gente, il sole che si posava sull’orizzonte tingendo d’oro il loro cielo sconfinato e limpido.
Riaprendoli, rimase immobile con aria sperduta: la realtà di quel luogo lo destabilizzava.
Non era per nulla abituato a quel cielo perennemente coperto, agli alti edifici bigi, a quel vento che soffiava imperterrito buona parte del tempo, e soprattutto non capiva come potessero convivere con la neve: gelida, bagnata, fastidiosa. Gli mancava già l’afa soffocante di Ishval e il suo sole che rendeva bruna e scottante la pelle.
Raccolse la valigia di cuoio e si affrettò ad allontanarsi dal binario, entrando nel piccolo stabile che era la stazione di quella cittadina sperduta nella bufera.
Il locale era piccolo, ben illuminato e riscaldato. Un paio di persone erano sedute sulle piccole panchine insieme ai loro bagagli, attendendo il treno, mentre un bigliettaio annoiato e dai grandi baffi sistemava la sua piccola scrivania in un angolino.
Scar si guardò intorno, chiedendosi se fosse meglio uscire ad aspettarli fuori o rimanere all’interno; non sapeva nemmeno chi sarebbe venuto a prenderlo, e tantomeno come sarebbero andati a Briggs: aveva richiesto solo un arrivo quanto più celato ai giornalisti radio affamati di notizie, e gli avevano indicato quella stazione sperduta.
Sentì la porta aprirsi con un cigolio, e il rumore di pesanti scarponi sul pavimento: «Ben arrivato, Scar.»
L’uomo si voltò verso la figura che si stagliava sulla porta: i lunghi capelli biondi intrisi di un leggero nevischio, le guance arrossate dal gelo, le labbra turgide modellate in un’espressione di superiorità.
Olivier Armstrong.
 
Chiuse la portiera, sistemandosi nella piccola utilitaria: i sedili erano foderati di un velluto dal color del vino purpureo, e Scar sfiorava il basso tettuccio. Al posto del conducente, Miles gli rivolse uno sguardo amichevole mentre Olivier gli intimava di sgommare fino a Briggs nel minor tempo possibile.
«La ringrazio per aver rispettato i nostri patti.»
Olivier si voltò verso il compagno di viaggio seduto accanto a lei:«Ho fatto semplicemente come aveva chiesto. Arrivo nascosto, poche persone, in una cittadina poco conosciuta.»
«L’arrivo insospettato di un esponente religioso avrebbe potuto causare scompiglio…»
«Non le sto chiedendo spiegazioni. Personalmente, non mi interessa se lei vuole arrivare in incognito o ha bisogno di arrivare in cocchio con un tappeto che le si srotola davanti ai piedi.»
Miles si lasciò scappare un debole risolino, che cercò di soffocare in una frazione di secondo. Scar corrucciò le sopracciglia, guardando fuori dalla finestra: erano davvero così ridicole le loro conversazioni?
Dal canto suo, Olivier mantenne la sua espressione seria fissa sul sedile davanti a lei. Si formò un silenzio colmo d’ansia nella piccola vettura, si mescolava all’aria gelida e all’odore di chiuso di quella macchina rimasta probabilmente inutilizzata per anni.
Fuori dalla finestra fioccava una leggera neve che sempre caratterizzava il rannuvolato cielo di Briggs: si posava sui radi alberi, sulle rocce, sui bassi muretti che delimitavano le stradine che imboccava la macchina.
Ed eccola, l’enorme Fortezza che separava Amestris da Drachma.
Quando scesero, sul volto di Olivier si formò un piccolo sorriso: era evidente che quella gigantesca costruzione che li sovrastava con i suoi imponenti muri era per lei come una stella polare, nonché ciò che di più simile aveva ad una casa. Ovviamente non una casa in senso pratico, perché aveva magnifiche ville in molte aree di Amestris, eredità della ricchissima famiglia Armstrong: intere tenute riccamente ammobiliate, dai larghi portici e dai giardini perfettamente curati, con scalinate in marmo e sale da ballo degne di una corte reale. Eppure, Scar lo poteva comprendere benissimo, non era la magnificenza di un’abitazione a rendere essa la propria casa: lui stesso, nonostante tutta la fama che aveva ormai acquisito, si sentiva a casa solo nelle misere casupole  dei quartieri in cui era nato, in cui i bambini correvano a piedi nudi tra la polvere e in cui i vecchi si sedevano in terra su tappeti variopinti riparandosi dal sole sotto tettoie costruite alla bell’e meglio.
«Mi segua.» si rivolse Olivier a Scar, facendogli segno di seguirlo mentre Miles prendeva il bagaglio dell’ospite.
L’interno della struttura non era certo caldo, ma paragonato all’esterno gelido non era nulla: Scar si tolse il cappotto, sentendosi un poco più rilassato ma non per questo a suo agio. Non era abituato a quel genere di costruzione, alle mille scalinate e alle pareti rinforzate con lastre metalliche. Si sentiva come chiuso in una camera blindata da cui era impossibile uscire. Quasi si pentì di essere venuto a Briggs, ma quel pensiero sostò nella sua mente solo alcuni secondi: era sinceramente soddisfatto di aver ricambiato il gesto che Olivier aveva fatto, venendo a far visita ad Ishval qualche mese prima.
«Prencey!» tuonò Olivier verso il corridoio: in pochi secondi accorse un giovane soldato, evidentemente intimorito dalla donna:«Eccomi, generale Armstrong!» aveva il viso sottile e una zazzera di capelli rossicci che gli ricadevano sugli occhi chiari.
«Accompagna il Gran Sacerdote nella sua stanza.»
«Subito!» il ragazzetto afferrò la valigia che portava in mano Miles, e i tre si allontanarono.
 
Olivier chiuse con violenza la porta dietro di sé, poi si lasciò cadere sfinita sulla sua poltrona.
Si massaggiò le tempie: la presenza di quell’uomo la destabilizzava. Ancora non riusciva a capire come aveva potuto accettare di vederlo nuovamente: avrebbe dovuto invece chiudere ogni vago ricordo o pensiero in proposito in un cassetto del proprio subconscio e non badarci mai più.
Era cambiato parecchio, riflettendoci: la vita che conduceva lo stava lentamente plasmando, ne levigava l’animo rude e scontroso, rendendolo più debole. La donna abbozzò un’espressione di superiorità, compiacendosi della propria integrità e di come lo svolgersi delle vicende non l’avesse mai distolta dai suoi principi e dalla sua vera natura: eppure sapeva che, in fondo, Scar aveva solo imparato dai suoi sbagli. Non era una persona stupida, tutt’altro: era più scaltro e saggio di quanto non si potesse immaginare, e sentiva di provare una sincera ammirazione per quell’uomo.
Mentre ancora si arrovellava le meningi con quei pensieri contorti, piombò nella stanza Prencey con il respiro affannato per la corsa: «Generale, abbiamo… abbiamo un piccolo problema… con l’ospite.»
La donna scattò in piedi, trascinandosi dietro l’impaurito soldato e dirigendosi a passo spedito verso la stanza degli ospiti.
Appena arrivò, vide Miles e Scar in piedi davanti alla porta spalancata, il primo con espressione vaga come sempre e il secondo con aria contrariata.
«Cosa succede qui?!» sbottò irritata, squadrando i tre uomini.
Scar resse il suo sguardo inferocito senza farsi intimidire: «Non ho bisogno di una stanza tanto lussuosa.»
«Le assicuro che è la stanza più modesta che abbiamo…» cerò di farsi valere il soldato semplice, con scarsi risultati.
Olivier lanciò uno sguardo alla stanza, arredata con pochi semplici mobili:«È questo il modo di ricambiare l’ospitalità, Uomo Cicatrice?» incrociò le braccia con aria minacciosa, ma Scar non vacillò.
La donna rimase immobile per parecchi secondi, poi sospirò con irritazione: «Venga, Sacerdote. La porterò in prigione. Non abbiamo luogo più umile delle nostre celle.»
Il soldato semplice, stupito, guardò con espressione interrogativa Scar che annuì seguendo la donna lungo il corridoio.
«Così è meglio?»
Lui annuì, guardando la buia e minuscola celletta. Si sedette sul letto, poggiando a lato di esso il bagaglio, e rimase a fissare la parete davanti a sé.
«Già nostalgico?» chiese lei, appoggiandosi alle fredde sbarre di ferro.
«È la mia terra. Mi manca ogni istante in cui non sono lì.»
«La capisco. E non lo dico così per dire.»
«Comunque, grazie dell’ospitalità. Sono contento di essere qui.»
«Certo.»
«Cosa aveva previsto lei per domani?»
«Avevo in mente di farle visitare la città più vicina e pranzare lì, è piccola ma molto pittoresca. Poi la accompagnerò in stazione, e potrà ripartire.»
Scar cercò le parole giuste per esprimersi: «Solo… Io e lei?»
«Già» lei distolse lo sguardo «Così immaginavo. Sarebbe stato scortese invitarla qui e non passare nemmeno un po' di tempo con lei. Mi sono organizzata per poter avere una giornata libera per farle da guida.» sorrise con complicità «Vedrà: non sarà Ishval, ma anche Briggs è un luogo bellissimo.»
«Se è come il generale che ne è a capo, non avrò dubbi.»
 Olivier spalancò gli occhi, per poi ridere nascondendo l'imbarazzo: «Dio mio, ma lei non dovrebbe essere un sacerdote?»
«Non per questo sono esentato dal poter constatare la bellezza di una donna come lei.»
Lei osservò il viso serio e composto dell’altro, i suoi tratti mascolini del viso e il suo corpo dai muscoli definiti e voluminosi: «Che faccia tosta, Uomo Cicatrice… Tra poco ceniamo. Le andrebbe di prendere posto con noi a tavola? Sarebbe un onore.»
«Preferisco rifiutare. Ho già mangiato, oggi.»
Lei fece roteare gli occhi con insofferenza nei riguardi di pratiche come il digiuno: «Bene.»
Strinse le dita inguantate sulla sbarra di ferro a cui era appoggiata.
Voleva rimanere, in qualche modo.
Voleva mettersi lì, a parlare del più e del meno, come due persone qualunque potevano fare.
Ma era questo il problema: non erano due persone qualunque. Non era nemmeno lontanamente concepibile una normale conversazione tra loro, e ciò la fece sentire improvvisamente di malumore.
«Se così è, allora buonanotte, Scar.»

Si rigirava tra le coperte, gemendo disperata: era nel pieno di un inaspettato e irrazionale attacco di insonnia.
Olivier sprimacciò il cuscino, tentò in tutti i modi possibili di conciliarsi il sonno, ma nulla sembrava funzionare: il suo ventre era in preda ad un malessere inspiegabile, che le impediva di concentrarsi su altro.
Si sedette ai bordi del letto, ancorando lo sguardo perso alla porta: cosa la rendeva così maledettamente irrequieta? Possibile che…
No, scempiaggini.
Non lei, non la Regina delle Nevi di Briggs.
E non lui, un sacerdote di una remota e afosa regione dell’Est.
Non si spiegava perché mai avesse deciso di salvarlo dall’esecuzione: aveva avuto solo la sensazione di aver fatto la cosa giusta, una volta che lo aveva visto assopito nel letto della sua villa.
Non riusciva a smettere di pensare a quel suo volto: fin dalla prima volta che lo aveva visto, si era resa conto di provare una sensazione insolita ogni qualvolta che esso si voltava nella sua direzione. Chiunque ovviamente si sarebbe sentito intimorito davanti agli sguardi severi di Scar, ma non era di timore che si colmava il petto della donna: sentiva di leggere in esso una profondità d’animo che gli altri non riuscivano a percepire. E poi c’era quella cicatrice, quella pelle biancastra in netto contrasto con il viso olivastro, di cui Olivier cercava di intuire la provenienza. Non avrebbe mai osato chiedergliela, ma al contempo bramava tremendamente di capire come si fosse sfregiato in tal modo il viso.
C’era qualcosa in quell’uomo che la attirava, la incuriosiva come nient’altro in vita sua aveva mai fatto: era un essere avvolto nel mistero, che aveva vissuto nell’ombra e anche dopo esserne riemerso era rimasto intriso dei suoi segreti e del suo passato turbolento.
C’era qualcosa in lui.
Un qualcosa che la tormentò tutta notte, infestando il suo sonno di incubi.
«Perché mi fai questo effetto, Scar?» sibilò alle tenebre di quella notte che pareva infinita «Perché












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Oook, sono perfettamente consapevole che come primo capitolo non è nulla di che.
Scrivere su di loro è bellissimo quanto maledettamente difficile >.<" Spero che vi sia piaciuto il modo in cui ho interpretato le loro personalità, e che esse non sforino nell'OOC.
Vedremo un po' che accadrà nella breve permanenza di Scar a Briggs... :3
Ah, dico subito che potrei cambiare modo di chiamare Ishval (Ishvar? Ishbal?) e gli Ishavliani (Ishvariani? Ishbaliani?), essendo non proprio chiaro come si scrivano... ^^

Nina.

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Capitolo 2
*** ~In città. ***


Olivier strinse i palmi inguantati sulla ringhiera metallica.
Un’alba come poche prima d’allora dominava il cielo, maestosa, coperta da pochi sprazzi di nubi che, il generale conosceva bene la sua terra, sarebbero gradualmente aumentate fino a coprire completamente il cielo; ma fino ad allora lei avrebbe potuto godere di quello spettacolo meraviglioso e di quel silenzio che cullava i sonni delle genti del Nord.
«Sarà il caso di andare a svegliare quel monaco…» ma appena si girò, si trovò Scar a pochi metri da lei; istintivamente afferrò l’elsa della spada che portava alla cintola, e ne sguainò per metà la lama lucente:«Scar!» esclamò, riponendo l’arma al suo posto «Non è educazione spiare una donna, tanto meno non salutare.»
«Non volevo disturbare.»
Lei lo guardò con complicità: «Pronto per la giornata che la aspetta?»
Lui annuì, mostrando forse il primo sorriso da quando era arrivato.
 
A Briggs dominava, ovunque si voltasse lo sguardo, la neve: anche sulle strade dove correvano i bambini e su cui sgommavano le macchine, essa vigeva imperterrita anche quando non nevicava.
Le case avevano esterni spogli e bigi, secondo la buona pratica di economizzare sulle apparenze e di incentrarsi sugli interni: un’abitazione che poteva apparire poco più che una scatola di latta, al suo interno conteneva enormi sale ammobiliate, tappeti variopinti e una temperatura assai migliore di quella esterna. A conti fatti, il ceto medio che comprendeva buona parte della popolazione viveva in una situazione comoda, se non agiata; il contrario di quello che invece succedeva a Ishval.
Nella terra natia di Scar, la povertà attanagliava buona parte della popolazione, ed era all’ordine del giorno che si saltasse un pasto, o che ci si ritrovasse a dormire sul nudo terreno. Ma su questo il suo popolo aveva costruito la sua cultura: i racconti intorno ai focolari comuni, seduti su tappeti di infima fattura, erano l’immagine più comune e affascinante degli Ishvariani. Scar stesso ricordava bene le sere passate ad ascoltare gli anziani, ad osservare le ombre dei fuochi che deformavano i loro volti quando narravano delle fiere delle terre di Xing.
«Woooh guarda, Baba!» una bambina, di sì e no sei anni, agitò la mano inguantata verso il viso di Scar, strattonando la manica della sorella maggiore «Guarda cos’ha quel signore sulla faccia!»
«Vicky!» la ragazzina, che avrà avuto un dozzina d’anni, diede un buffetto sulla guancia della sorella con dolce rimprovero «Non si indicano le persone. Saluta il Generale Armstrong!»
«Ciao, Generaleee!» si sbracciò la piccola, ricevendo un altro colpetto in viso:«Non fare la maleducata! Dai, andiamo…» prima di proseguire però alzò gli occhi azzurri colmi di commozione verso Olivier: «Buongiorno, Generale. Averla in città è sempre un enorme piacere. Le porgo i saluti della mia intera famiglia.»
La donna fece uno dei suoi sorrisi traboccanti d’energia, ricambiando il saluto. La ragazzina si sistemo una cioccia di capelli scuri dietro le orecchie a sventola, poi iniziò a correre trascinando la piccola sorella:«Mi ha salutata! Hai visto, Vicky?!»
«Non tirarmi la mano, Baba! Mi fai male, Babaaa!»
Scar e Olivier rimasero fermi per alcuni secondi sul marciapiede, osservando il duo allontanarsi.
La donna ridacchiò, e fece cenno a Scar di seguirla: «Andiamo. So dove potremmo mangiare, è quasi ora di pranzo.»
Lui annuì: «Quella bambina è stata molto gentile. Erano entrambe molto carine.»
«La piccola ha fatto un’osservazione non proprio galante nei tuoi confronti…»
«Sono bambini.»
«Alla loro età ero molto più sveglia… Non vorrò mai figli.» bofonchiò.
«Ha opinioni di questo tipo su buona parte del genere umano, mi par di capire…»
«Ma che va dicendo! Non sono così mostruosa…» ci rifletté, poi scoppiò a ridere «Sì, forse un po’ lo sono. Ma sono gli altri ad essere dei totali inetti, non io ad essere severa. Guardi quell’idiota del mio ex-fratello, Alex. Grande e grosso ma ha il coraggio di crollare in lacrime sul campo di battaglia.» si voltò incuriosita verso l’interlocutore «Ha mai pianto?»
«Certo, quando sono nato.»
«Grazie del sarcasmo.»
«Non era sarcasmo. Non ricordo altra occasione in cui io abbia mai pianto, sinceramente. Lei?»
«Io
…Un veloce gioco di tasti.
Bianco, nero, bianco.
Una melodia dolce, un fluido fiume di note che si propagava per la stanza.
E ad ogni movimento una lacrima le rigava il volto…

«No, non penso proprio.» rispose con tono insolitamente cupo «Ecco, quello è il locale di cui le parlavo.»
 
La strampalata coppia si sedette ad un tavolino della modesta osteria. Per l'ennesima volta Scar si stupì dell'umiltà della donna, che mai avrebbe approfittato della sua posizione politica e militare per rifocillarsi gratuitamente in locali lussuosi. Inoltre, pensò in cuor suo, probabilmente non voleva metterlo in imbarazzo, essendo perfettamente conscia della frugalità dei monaci Ishvaliani.
«Benvenuti» una vecchia cameriera rivolse loro un sorriso rugoso e cordiale «Cosa posso servirvi?»
«Due minestre, due stufati con le carote e... Lei beve?»
Scar scosse la testa.
«Allora acqua per lui e un boccale di birra per me.»
La donna annuì e sgattaiolò in cucina, recuperando con mano abile i bicchieri ormai vuoti mentre passava accanto ai tavoli.
«Non si preoccupi, fanno uno stufato delizioso. Il minestrone è assolutamente anonimo, ma non è certo la brodaglia che servono a Briggs.»
Scar non proferì parola.
«È impressionante come il silenzio componga buona parte delle sue risposte o dei suoi discorsi, Scar. Mi da quasi l’impressione di parlare da sola.» disse lei con una smorfia beffarda, appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Sono di poche parole. In questo modo ognuno può interpretare come vuole il mio silenzio, e non mi creo problemi con nessuno. Trovo fastidiose le persone che si sentono in dovere di informare gli altri di qualsiasi cosa passi loro per la mente.»
«In compenso quando parla dice solo frasi concise e assennate. È un dono divino.»
«Sia lodato il Fondatore.» disse Scar, abbassando riverenzialmente il capo.
«È sempre molto teso, Scar...» assottigliò gli occhi con espressione seria, come se lo stesse scrutando alla ricerca di un particolare occultato.
«Anche lei, Olivier.»
Lei sussultò, sentendosi chiamare per la prima volta per nome da quell'uomo enigmatico:«In modo diverso. Io sono solo rigida, integra. Lei sembra sentirsi perennemente fuori luogo.»
«Perché lo sono.»
«Si sente fuori luogo, ora?» gli chiese, mettendolo alla prova.
«Non voglio offendere la splendida ospitalità del maggiore Armstrong.» rispose lui.
«Che abile astuzia di parole...»osservò con un sorriso quasi crudele Olivier, mentre la cameriera appoggiava davanti a loro i piatti traboccanti «Sarebbe interessante leggere una sua lettera. Non oso immaginare come riempirebbe lei un foglio bianco.»
«Mi impegnerò a scriverle qualcosa, se desidera. Non prometto nulla di buono, però.»
«Apprezzerò lo sforzo. Ora mangiamo.»
I due afferrarono i cucchiai e si sfamarono in sacrosanto silenzio. Anche in un gesto semplice e quotidiano come il mangiare si potevano intravedere i loro animi contrastanti: l'eleganza con cui Olivier si portava alle labbra il cibo, chiaro frutto di un lungo insegnamento di bon ton, e i gesti veloci e rudi di Scar, segno di uno spirito semplice e che voleva evitare qualsiasi genere di sguardo su di sé.
Un giovane cameriere si avvicinò al loro tavolo, ammonticchiando i loro piatti ormai vuoti sul vassoio che reggeva. Era giovane, alto e slanciato, dal mento sottile e dai capelli chiari in completo contrasto con gli occhi scuri e pieni di vitalità: nel complesso, aiutato anche dalla voce cordiale e dal sorriso allegro, era un ragazzo assolutamente affascinante.
«Di vostro gradimento?» sebbene si rivolgesse ad entrambi, era lampante come il suo sguardo non riuscisse a staccarsi dal viso di Olivier, che con assoluta freddezza lo liquidò: «Sì, assolutamente. Pagherò come al solito, secondo il patto con il proprietario.»
«Certo, aspetteremo il signor Miles.» il ragazzo accennò un inchino con il capo. Sembrava cercare, tentennante, un motivo per rimanere. Alla fine, tutto ciò che riuscì a balbettare, fu un misero: «Spero di rivederla presto, generale Armstrong.»
Lei annuì con indifferenza, mentre questo fuggiva letteralmente via.
Scar non volle commentare subito quella scena; preferì restare alcuni secondi in silenzio, per calibrare bene le parole.
Era strano, per non dire anormale, il comportamento completamente distaccato che la donna assumeva nei confronti di chiunque la avvicinasse, anche nel caso di un ragazzo così avvenente e così ovviamente interessato. Certo non avrebbe preferito vederla civettare con un estraneo, anzi, il solo pensiero lo fece insolitamente ribollire, cosicché allontanò velocemente quell'idea; rimaneva comunque che erano così numerosi gli uomini che facevano la corte ad Olivier Armstrong che pareva impossibile che lei si mostrasse così caparbiamente fredda.
«Deve essere una donna molto desiderata, generale.»
Lei fece un’espressione scocciata: «Nessuno è abbastanza coraggioso da farsi avanti, con me. Ma non fraintenda, ovviamente: non ho bisogno di nessuno.»
«Non ha bisogno di nessuno?»
Lo guardò diffidente: «Certo che no. Le sembro una donnetta di casa?» il disprezzo con cui sputò queste ultime parole colpì profondamente il monaco.
«Non intendevo questo. Intendevo dire che non necessariamente bisogna aver bisogno di qualcuno, per amarlo. Può anche solo…Volerlo.»
«Che animo romantico…» lo schernì in realtà profondamente turbata.
«Non volevo essere inopportuno. Volevo solo farle una constatazione, un… apprezzamento.»
«Lo so, lo so.» lei distolse lo sguardo «Grazie, Scar.»
Lui tossicchiò, imbarazzato: «Di nulla. Chiunque potrebbe constatare che non le mancano i pretendenti.»
Olivier lo guardò con aria di sfida, non osava aprire bocca: «E lei, Scar?»
«Scusi?»
«Non mi dica che non c’è nessuna donna che ambisce a lei…»
«No, certo che no. Sono solo un sacerdote.» lui si mise a guardarsi le grosse e callose mani.
«Anche io sono un soldato, ma questo non impedisce agli altri di desiderarmi.»
«Non capisce, io non sono affascinante. Lei sì. Io non ho portamento, né grazia. Parlo poco, non amo chiacchierare con tutti. Sono riservato e anche un po’ rude, ad essere proprio sinceri.»
«Lo sa, Scar?» sorrise lei, alzandosi in piedi e uscendo dal locale «Probabilmente, tutto quello che ha appena elencato sono le caratteristiche che di lei preferisco.»
Scar la guardò, sistemandosi il pesante giaccone; il vento le scarmigliava i capelli, e i suoi occhi parevano brillare pieni di vita: «Sono… Lusingato.»
Lei sorrise nuovamente, per poi esclamare: «Immagino che il suo insolito rossore sia dovuto alla neve, vero, Scar?»
L’uomo si sfiorò le guance, scoprendole improvvisamente calde: «Non saprei, non mi è mai capitato. Dice che è per la neve?»
«Oddio!» la donna non trattenne un risata fragorosa «Ma lei davvero parla come se non avesse mai vissuto su questo pianeta!»
Scar non si offese minimamente, e insieme si incamminarono verso la stazione.
«Saranno già arrivati lì con il bagaglio?»
«Certo, ci staranno attenendo con la macchina: una volta accompagnato lei, farò ritorno con loro a Briggs.»
«Non mi sarebbe dispiaciuto prolungare la mia permanenza.»
«Le ammetto che nemmeno a me sarebbe dispiaciuto ospitarla ancora.» alzò gli occhi al cielo «Forse non si rende conto di come io la tratti, rispetto alle altre persone…»
«No, purtroppo no.»
Lo guardò, con uno sguardo stranamente dolce: «Penso sia la persona con cui mi sia mai trovata così bene in poco tempo. Nonostante le nostre differenze, io e lei siamo compatibili a pelle, Scar.»
«Oh… è una cosa positiva, immagino.»
Olivier guardò la neve calpestata della strada che stavano percorrendo: no, non era una cosa positiva. Non per due persone così diverse, così distanti, che per incontrarsi un misero paio di giorni potevano attendere mesi o anni. Non per due universi paralleli simili a due poli di una calamita, intoccabili uno per l’altro. Non per un fiero generale e per un uomo legato ad voto verso Dio.
Meglio non pensarci, in fondo: di tardo pomeriggio Scar sarebbe partito, e lei non lo avrebbe rivisto per parecchio.
Poteva godere della sua compagnia in giro per la città solo per altre poche ore, e non voleva rovinarsi la giornata con quei pensieri.
 
«Cosa significa?!» tuonò la donna con espressione irata.
«Purtroppo è così, Generale.» disse Miles «La galleria che precede la strada per North City è rimasta bloccata da una caduta di massi. Poco fa è giunta la notizia. Nulla di grave, rimediabile in poco, ma per questa giornata sicuramente non riusciranno a partire treni per North City.»
«Ma è dove il nostro ospite deve effettuare il cambio di treno!»
«Generale, rimedierei, se potessi.»
La donna incrociò le braccia, innervosita, poi tornò a grandi passi verso Scar che la attendeva alla porta della stazione: «Che succede?»
«Un problema di percorso. Sarà obbligato a prolungare la sua permanenza a Briggs ancora per una notte.»
Il cielo si era fatto ormai completamente buio, e difficilmente si riusciva a intravedere nelle tenebre che già prima dell’ora di cena calano sulle terre del Nord.
«Mi dispiace disturbarla ulteriormente.» si scusò Scar, una volta salito in macchina.
«Non mi disturba affatto, si figuri.»
«Non sembrava entusiasta della mia permanenza…»
«Lasci perdere.»
Che poteva fare? Spiegargli che la sua presenza la faceva sentire tremendamente confusa, che i pensieri le si accavallavano nella mente fino a farle dolere le tempie? No, ovvio che no.
Scar, dal canto suo, non seppe come reagire a quella notizia né come interpretare la reazione di Olivier: appena la notizia gli era stata riferita, aveva provato una naturale e incontrollata sensazione di gioia, che immediatamente si era spenta alla vista del cipiglio irritato dell'altra.
Forse non avrebbe dovuto intraprendere quel viaggio, forse avrebbe semplicemente dovuto restarsene a casa, dimenticare la Regina delle Nevi e badare alla sua vita di monaco.
Fin dal principio, si era chiesto con preoccupazione cosa stesse alla base di quel profondo desiderio di ricongiungersi: sperava con tutto il suo cuore che fosse solo il dimostrarsi di una sincera simpatia nei confronti di Olivier, ma più passavano i secondi più si rendeva conto di come quello che provava non potesse definirsi così miseramente come una “simpatia”: era qualcosa di molto più profondo, e questo lo spaventava. Aveva imparato a mettersi in guardia davanti ai legami, e quello che si stava creando con lei era indubbiamente un legame. Un legame tacito, impuro, per cui sentiva di dover provar vergogna.
«Ci vediamo a cena, Scar.»
 
Un insolito silenzio proveniva dalla mensa della fortezza.
Più che insolito, inspiegabile: in assoluto, la cena era il momento in cui le regole venivano più accantonate, e ci si poteva rilassare prima di gettarsi a dormire. Gli uomini ne approfittavano per chiacchierare rumorosamente, giocare a carte e bere quel poco di alcolico che era loro permesso.
Cos'era la causa di quel silenzio di tomba?
Olivier affrettò il passo, chiedendosi dove fosse il monaco che doveva attenderla alla porta della mensa, e irruppe nel locale: davanti ai suoi occhi si presentò una scena alquanto bizzarra.
Uno scarno numero di persone era seduta ai tavoli, e a capo chino mangiava il suo ultimo pasto; ma in fondo alla sala, ecco che si vedeva una calca di persone ammassate intorno all'ultimo tavolo. Chi si era seduto in terra, chi su una sedia trascinata da un'altra posizione, sbocconcellavano gli avanzi dei loro pasti ascoltando in riverenziale silenzio Scar, seduto in mezzo a loro.
Olivier si avvicinò, cercando di non farsi notare; riuscì ad intercettare solo una parte dei discorsi del monaco, che in quel momento aveva appena terminato un sermone profondo e si era voltato verso uno di quelli seduti in terra più vicini a lui: «Tu, ad esempio. Hai mai ucciso una persona?»
Il soldato sorrise tristemente: «Io… Ho partecipato alla guerra di Ishval.»
Era evidente che temeva una reazione violenta dell’uomo, ma Scar gli pose con gentilezza la mano sulla spalla: «Guarda i miei occhi: ormai sono privi di risentimento. Questo è il Fondatore. Nulla mi impedisce di chiamarti fratello, e non provo alcun genere di odio verso di te.»
«Sono tante belle parole!» commentò un giovane seduto su un tavolo, stringendo una pagnotta smangiucchiata nella mano «Ma l’uomo non può solo ingoiare la rabbia, non è nella sua natura…»
«Per questo io vi parlo del Fondatore. Io, uomo, solo, non potevo far nulla e la mia anima era intrisa della negatività umana; ma l’avvicinarsi a Dio purifica. E non dico solo come culto, ma come idea: l’avvicinarsi al Bene, al voler bene agli altri. Questo è avvicinarsi a Dio.»
«Bel discorso, Uomo Cicatrice.» applaudì Olivier, facendo restare tutti muti «Ma non è il momento. Avanti, tutti in ordine ai tavoli.»
Il gruppetto, destabilizzato per l’arrivo inaspettato della donna, si disperse per la sala in un brusio generale: solo Scar rimase, seduto, attendendo che Olivier gli parlasse.
«Che hai da guardare?» lo apostrofò.
«Nulla. Mi chiedevo se volevi forse dirmi qualcosa.»
«Niente di niente. Su, muoviti. Vieni a mangiare con me e gli altri.» indicò il tavolo a cui erano seduti Falman, Miles e altri soldati chiaramente di rango superiore.
«Grazie» disse lui, tentennante «Ma non me la sento di mangiare con voi. Mi sentirei… inadatto.»
«Deve essere una qualche fobia della folla che ti impedisce di cenare come una persona normale…» disse lei «Andiamo, allora. Ti accompagno alla cella e poi torno qui a cenare.»
Scar annuì, e seguì la donna per il corridoio.
«Non ti avevo mai sentito parlare così.»
«Che intendi?»
«La tua voce, quei gesti… Quei discorsi aulici e forbiti…» imitò l’ampio movimento che soleva fare il monaco con le mani nominando il Fondatore «La tua abilità oratoria sembra esserci solo quando devi far propaganda religiosa.»
«Non era mia intenzione fare propaganda. Mi hanno chiesto chi fossi, e da lì ho iniziato a parlare.» rispose lui, rude.
«Calmati. Dicevo per dire. So perfettamente che non sei un lurido verme che approfitta delle menti plasmabili degli altri.» abbassò lo sguardo mestamente «Ma non vorrei che tu illudessi così quei soldati con quelle congetture sul perdono in ogni dove e in ogni quando.»
«Non sono congetture. Il Fondatore perdona davvero…»
«Ma Briggs no.» disse lei, enigmatica «A Briggs vive il più forte. Questa è la regola. Le nostre discipline ferree danno luogo a una selezione naturale, e i più deboli devono rassegnarsi. Non è moralmente giusto, forse, ma è il fondamento su cui abbiamo costruito la nostra potenza.»
Lui annuì: «Ad Ishval è tutto il contrario. Chi è forte si abbassa al livello dei deboli, per poterli aiutare.»
«Sono completamente opposti. Esattamente come me e te, Scar.»
Già, opposti e intoccabili: non era questa la muta verità che si stava creando tra loro?
«Eccoci.» Olivier si fermò al di fuori della cella «Buonanotte, Scar.»
«Anche a lei, Generale.» corrucciò le sopracciglia, alla ricerca delle parole giuste «Volevo dirle che lei, Olivier… è una persona molto speciale. Una donna molto speciale. E sono contento di averla conosciuta.»
Lei sentì il cuore balzarle in gola, ma replicò con ironia: «Conoscermi? Nessuno mi conosce davvero, e di sicuro lei non è uno di quelli che più si può dire che mi siano mai stati vicini.»
«A volte non occorre il tempo trascorso. Bastano pochi attimi, a volte, per conoscere una persona. O quantomeno per capirla.»
«Non si scervelli troppo, Scar.» disse lei, allontanandosi «Dorma bene.»
L’uomo si sdraiò sulla scomoda branda, guardando il soffitto scuro: anche tra le crepe di quella misera cella riusciva a scorgere il sorriso luminoso di Olivier, i suoi occhi dalle lunghe ciglia, le sue labbra rosee. Pregò infinitamente il Fondatore che potesse attenuare quelle fitte al petto che gli capitavano ogni volta che uno di quei particolari gli saltava all’occhio.
 
 

I suoi passi risuonavano solitari per la buia scala a chiocciola.
Aprì la porticina: essa emise uno stridente cigolio che si propagò per la piccola stanza. La donna accese la luce, muovendo con sicurezza la mano sul muro fino all’interruttore: la lampadina appesa al soffitto di quel vuoto e inutilizzato sgabuzzino illuminava lugubremente le pareti vuote.
Ed eccolo, sulla parete più lontana, unico arredo di quel nascondiglio remoto.
Olivier rimosse il drappeggio rosso che a lungo lo aveva protetto dalla polvere, si sedette sullo sgabello e inspirò profondamente.
Era tanto, troppo tempo che non veniva in quella stanza, e ne aveva sentito il bisogno divorarle l’anima per tutta la giornata.
Si sistemò il ciuffo di capelli ribelli dietro l’orecchio, amareggiata per quello scompiglio emotivo che le attanagliava il cuore.

Ma che serviva rimuginarci, in quel momento?
Era lì proprio per sfogarsi.

«Iniziamo.» sussurrò con espressione soddisfatta.












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Oook, secondo capitolo u.u questo mi da la speranza di poter terminare questa Long :'D
Avviso subito che, causa scuola, non riuscirò a scrivere per ben più di una settimana... indi per cui, chi attendesse il prossimo capitolo si metta il cuore in pace perché ci metterò parecchio x°D
Anche perché è un capitolo cruciale, il prossimo! u.u entriamo nel vivo della vicenda accennata nell'ultimo paragrafetto... :3
Spero vi sia piaciuto. Ah, e abbiate pietà degli errori ortografici e grammaticali, pubblico sempre molto di fretta xD dovrei averli corretti tutti, ma vi invito a segnalarmeli se ne trovate.


Nina.

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Capitolo 3
*** ~Segreto. ***


Le sue dita scivolavano sui tasti, come trascinate da un’entità superiore.
Nella piccola stanza il fiume di note che sgorgava dal pianoforte a muro si mescolava all’aria e alla polvere, senza limitarsi all’inebriare il solo udito: pareva che ogni senso fosse pervaso e ammaliato da quella melodia fluida e ininterrotta.
Olivier stessa si chiedeva come fosse possibile che riuscisse ancora a suonare così bene, dato il lungo lasso di tempo in cui non aveva più sollevato la copertura della tastiera. Di nuovo uniti, lei e quel magico strumento color dell’ebano, il cui delicato suono la avvolgeva stregandola.
Una lacrima le cadde su dorso della mano; seccata, interruppe la musica e la strofinò via. Le sue guance erano umide di pianto, i suoi occhi arrossati come gli zigomi, il collo teso e il mento raggiunto da qualche lacrima caparbia che aveva proseguito instancabile il suo incedere sul suo volto.
Le parole che anni e anni addietro le aveva riferito teneramente sua madre la fecero rabbrividire, e proseguì a suonare cercando di coprire il rumore aspro dei suoi pensieri.
Si rivedeva, bambina, seduta al grande pianoforte a coda della sala da ballo della villa; i raggi lunari che dolcemente facevano rilucere i tasti color perla dello strumento di un colore candido come la neve appena posata in terra. Anche quella notte, alla fioca luce di alcuni candelabri, si era ritrovata a suonare con dita tremanti e con la gola scossa dai singhiozzi.
Ricordò anche il giorno in cui, ampliando e ristrutturando l’immensa struttura di Briggs, si era ritrovata davanti a quel vecchio sgabuzzino senza sbocchi né finestre nascosto in uno dei più remoti angoli della fortezza. Ai suoi occhi subito era apparsa quella imperdibile possibilità, e in gran segreto aveva comprato quel pianoforte poco ingombrante, che era poi stato sistemato da pochi uomini di fiducia: così era stato creato quel suo piccolo paradiso, quella stanza che era l’incarnazione del suo più recondito subconscio.
Improvvisamente, un cigolio le fece interrompere bruscamente la musica; si voltò di scatto: qualcuno era entrato nella stanza.


Scar, in uno dei suoi soliti dormiveglia, stava supino sulla scomoda branda con le orecchie tese; quell’ambiente, per quanto cercasse di ignorarne la cupezza, era assai inquietante: a renderlo inquieto, più che il fatto di essere in una prigione, era l’assoluto silenzio che in essa regnava. Cercava disperatamente qualcosa che interrompesse l’oblio di silenzio e tenebre che lo avvolgeva, non perché normalmente quell’assenza di presenza gli desse fastidio, ma perché in quella situazione lasciava vagare la sua mente a pensieri di ogni genere.
Pensieri che non si sarebbe dovuto permettere di fare nei confronti di una donna come Olivier.
Quei tormenti non si riferivano più di tanto a qualche blanda voglia carnale, anche se era impossibile negare che più volte in quelle lunghe ore di buio abbassando le palpebre gli si erano presentate le curve turgide e desiderabili della donna; ciò che davvero gli faceva stringere il cuore era l’insistente presentimento che non aveva mai provato nulla per una donna come per Olivier Armstrong, e ovviamente per un uomo legato a Dio come lui non era permesso un simile sentimento.
Dov’era finita la sua forza d’animo? Era stata spazzata via da quel sentimento puerile quanto trascinante, in cui l’uomo non manca mai di perdersi ed affogare.
La sua immaginazione giungeva ad estremi incalcolabili: si ritrovò pure a pensare come sarebbe stato un loro possibile matrimonio. Un lungo velo sui capelli di Olivier, perle alle sue orecchie, brillanti come i suoi occhi, le labbra rese ancor più irresistibili da un rossetto acceso, le mani inguantate che reggevano un mazzo di fiori dai larghi petali azzurrini. Oppure un tipico matrimonio Ishvariano, con gli abiti porpora da cerimonia e i piedi scalzi adorni d'anelli, il rito del calice e quello delle ceneri, i canti sacri rimbombanti tra le alte colonne del tempio.
Era inaccettabile l'appigliarsi a quelle fantasie: aveva un compito, un compito ben preciso nella sua vita, ed era riportare Ishval alla vita. Lui, Miles, Mustang e gli altri si erano presi quest'impegno, e a lui era stata salvata la vita per questo motivo.
Perché si tormentava allora con quelle congetture irrealizzabili ed egocentriche? Perché lui, che aveva giurato a sé stesso che non avrebbe amato mai niente e nessuno se non la sua patria e il ricordo di suo fratello?

Improvvisamente, qualcosa lo destò da quella mare di pensieri: una vaga e lontana melodia, che debolmente attraversava i muri.
Pensò che fosse la sua immaginazione, ma dopo alcuni minuti si rese conto che non era per niente così: da qualche parte, nascosto chissà dove, qualcosa emetteva una delicata musica.
Si alzò, ormai privato di qualsiasi rimasuglio di sonno, seguendo come infatuato quelle note alla ricerca della loro fonte. Al buio tastava le pareti, lasciandosi guidare come in sogno.
Proveniva dalla parte opposta a tutte le normali sale e stanze dell’edificio, e nonostante ciò era assai distante dalle prigioni che erano appunto agli estremi della struttura; dopo innumerevoli vie sbagliate, arrivò finalmente ad una porticina ed iniziò a scendere delle strette scale a chiocciola, cercando di non fare nemmeno il minimo rumore: sentiva di avvicinarsi a qualcosa di segreto, ai limiti del consentito.
Ecco, ormai era arrivato: davanti a lui vi era una porta da cui si sentivano quelle note.
Si sedette, come indeciso sul da farsi: sentiva che, se avesse anche solo sfiorato quella porta, sarebbe accaduta una catastrofe. Preferì restare lì, accovacciato sull’ultimo gradino, cullato da quella melodia.
Il susseguirsi delle note aveva un che di famigliare; Scar scavò nella memoria, chiedendosi dove già aveva sentito quel brano: erano note semplici e ripetitive, spesso in scale.
Ed ecco che il ricordò affiorò improvvisamente nella sua mente.

 
«Fratellino, fratellino guarda!» il giovinetto alzò il dito verso il cielo stellato.
Erano entrambi al di fuori della loro misera abitazione, vestiti solo di leggere tuniche color sabbia; il tappeto sotto di loro era ricamato da fitti disegni variopinti, che alla fioca luce delle stelle apparivano solo come intricate linee scure.
«Cosa, cosa?» chiese l’infante Scar, alzando il naso verso il firmamento.
«Guarda le stelle, sembra che ballino…»
Il piccoletto piegò il collo di lato: «Ma no, che dici! Sono ferme.»
«Sdraiati.»
Obbedì al fratellone, e si stese sul tappeto su cui erano seduti. Accanto a loro, le braci del focolare che avevano animato le storie degli anziani si stavano definitivamente spegnendo. I loro compaesani si erano ormai ritirati, sopraffatti dal sonno, e così i loro genitori: erano sempre gli ultimi ad andarsene dal fuoco comune, provando l'estasi di dominare sulle silenziose e tenebrose stradine della città.
Il fratello maggiore si sedette accanto a lui con le gambe incrociate, e iniziò a suonare una dolce melodia con un rudimentale flauto di Pan.
«Cos’è?»
Glielo mostrò: erano alcune canne di bambù, in ordine decrescente di grandezza, legate insieme da alcune cordicelle variopinte decorate con piccole perline e piume. Agli occhi del piccolo quello strumento risultò a dir poco magnifico, forse per il suo aspetto bizzarro, forse per quella melodia che il fratello aveva accennato poco prima.
«Me lo ha regalato papà, viene da Xing. Soffi piano sopra i buchi e suona. Ascolta…» sfiorando ad occhi socchiusi con le labbra lo strumento, il bambino emise una sussurrata scala musicale.
«Tutto qui?» lo schernì il fratellino, in realtà in profonda ammirazione.
«Devo ancora imparare bene! Ora guarda il cielo.» e così dicendo ricominciò a soffiare nello strumento.
Agli occhi del piccolo, in quel momento, le stelle sembravano davvero muoversi cullate da quella melodia: giocavano tra loro, ondeggiando lentamente nell’infinito e tenebroso mare del cielo.
«Hai ragione, fratellone…» sbadigliò «Le stelle ballano…»
Il fratello gli passò la mano tra i capelli, scompigliandoglieli: «Ti voglio bene, fratellino.»
«Anche io. Sei il mio eroe.»
«Insomma, non esageriamo!» rise l’altro.
«Dico sul serio…» rispose Scar, assonnato.
L’altro, con il petto pieno di gratitudine, continuò quella cantilenante musichetta, fino a quando il piccolo fratellino non si assopì, dolcemente confortato dalle stelle in quella notte tiepida. 
Il mattino successivo il piccolo Scar si risvegliò nel suo letto, con il fratello accovacciato lì accanto, che si era addormentato stremato dopo averlo portato in braccio fino a casa; il flauto era riposto nell'angolo, sopra la pila di libri che il fratellone, a malapena undicenne, stava studiando.


Scar si sentì devastato, a quel pensiero: tutto quello che era accaduto in seguito a quel ricordo gli riempì la testa, facendolo invadere da una sensazione orribile fin nel profondo dell'anima. Sentendo impossibile anche solo il pensiero di rimanere immobile lì su quel gradino, si alzò e aprì la porta.
La scena che gli si presentò davanti era la più assurda che si sarebbe mai sognato: una vuota stanzetta odorante di chiuso, un pianoforte contro la parete in fondo e, a suonarlo, Olivier con il volto pieno di lacrime.
«S…Scar?!» la donna, esplodendo in una furia rabbiosa, si alzò rovesciando lo sgabello «Cosa ci fai qui?!» si passò le mani sulle guance, come per cancellare il più presto possibile quel pianto.
«Non volevo interrompere niente di…» il sacerdote tentò di scusarsi, ma lei sguainò la sua spada, puntandogliela al petto; al che anche lui strinse i pugni, in posizione di combattimento.
Il petto di Olivier si sollevava e si abbassava velocemente in un respiro affannato, il suo viso era una maschera di odio e rabbia solcata da lacrime che imperterrite le sgorgavano dagli occhi; digrignava i denti, emettendo un brontolio dalla gola tremendamente simile a un debole ruggito animale.
«Tu…» sussurrò rabbiosa all’uomo confuso, che ribadì: «Stavo cercando di capire da dove provenisse questa melodia, non volevo nemmeno entrare a disturbare…»
«Origliavi?!» tuonò, se possibile ancor più infuriata.
«No, non lo definirei origliare…»
«Scar!» strepitò lei, in preda a una rabbia incontrollata «Non farmi ripetere quest’ordine una seconda volta: prendi la tua valigia e vattene da qui!»
Lui non rispose, rimanendo attonito per qualche secondo.
«Mi hai sentito?!» fece una leggera pressione con la punta acuminata della sua spada contro il suo petto «Ti ho detto di andartene! La tua permanenza si è prolungata molto più del previsto, e non sei più gradito come ospite! Vai a perderti nella neve, maledetto cane del deserto!»
Lui squadrò quel viso bellissimo deformato da quei sentimenti maligni: chinò il capo, e si apprestò ad uscire dalla stanza.

 
«Olivier?»
La donna aprì lentamente il grande portone che dava sulla sala da ballo, e vi scrutò dentro con circospezione: era sicura di aver sentito fino a poco prima quella musica suonata da dita inesperte sul grande pianoforte del salone.
Come immaginava, la bambina era seduta sull’altro sgabello a quattro gambe, ancora in vestaglia, con i capelli biondi scarmigliati e le rosee gote piene di lacrime.
«Tesoro, qualcosa non va?»
Come al solito, la bimba alzò fieramente il mento, cercando di mostrare la più assoluta compostezza. La madre sospirò, la sollevò e la fece sedere sul suo grembo: «Olivier, cosa c’è?» ripeté.
Gli occhi cristallini ed arrabbiati della bambina fissarono quelli dolci della madre: «Niente.»
«Andiamo, tesoro. Puoi dirlo alla mamma.»
«No.»
«Non essere testarda!» la rimproverò sottovoce.
La piccola strinse i pugni, fissandosi i piedi nudi; dalle enormi vetrate filtrava la luce lunare, che si rifletteva sui pavimenti marmorei e illuminava i giganteschi ritratti appesi alle pareti: «Non lo so.» disse infine, con tono di chi si è tolto un peso dall’anima.
«Cosa non sai?»
«Non so cosa non va. Non c’è niente che non va.»
«Sicura?»
Lei annuì. Non era mai stata così sicura in vita sua.
«E allora, buon Dio, perché piangevi?»
Olivier fissò i tasti del pianoforte. Era complicato, da spiegare. Aveva sentito l’impellente bisogno di sedersi su quello sgabello e piangere fiumi di lacrime, accompagnata dal suono di quello strumento. Senza un reale motivo, una precisa causa di quel pianto: né gioia né rabbia animavano il suo giovane petto, in quel momento. Sentiva solo di doversi liberare da ogni debolezza, di dover sfogare quell’accumulo di stanchezze in qualche modo.
Come leggendo nella sua mente, la madre le sussurrò: «Non siamo invincibili, lo sai?»
«Cosa dici, mamma!» la apostrofò con quel modo di fare tremendamente simile al padre «Siamo gli Armstrong! Noi siamo invincibili!»
«Voglio dire, tesoro, che non siamo senza difetti. O senza sentimenti, preoccupazioni, malesseri. »
«Naturale.»
«Non devi vergognarti di essere debole, ogni tanto.»
«Io non sono debole! Alex è debole!» ripensò con rabbia a quel bimbetto dal pianto facile che era il suo fratellino minore.
«Tutti siamo deboli, chi più e chi meno. Ma vedi, Alex riesce subito a sfogare le sue debolezze, tu le chiudi tutte qui…» le posò una mano sul petto «Olivier, è importante che impari a sfogare le tue emozioni. Non te ne devi vergognare. Vuoi prendere lezioni di pianoforte?»
La bambina si morse il labbro in una smorfia arrabbiata, ma alla fine annuì con eccessiva foga. La madre sorrise, e le diede un bacio sulla fronte che la bambina ignorò: «Anche io suonavo il pianoforte, sai?»
«Anche tu piangevi?» chiese con un fil di voce Olivier.
«No, io sono molto più simile a tuo fratello…» ridacchiò la madre «Non voglio che tu cresca senza saper esprimere quel che provi, Olivier. Chi cresce così poi smette anche di credere di poter provare emozioni. »
«Cosa c'è di male nel non voler provare emozioni?! Sono una seccatura bella e buona.» disse lei.
«Un giorno troverai qualcuno che ti farà provare così tante emozioni che non riuscirai più a nasconderle, nemmeno suonando questo pianoforte tutte le notti della tua vita...»
«Bleah, che schifo!»
«Cambierai idea, quando succederà.» disse la madre con aria di chi se ne intende.

La bimba scosse il capo con disapprovazione, poi scese dalle gambe della madre e si ritirò nella sua stanza con gli occhi ancora rossi di pianto.
Si vergognava enormemente di quel che era successo, e ancor di più del discorso di sua madre: che storie erano quelle? Le debolezze non le appartenevano per niente, e mai le sarebbero appartenute. Era una bambina forte, e sarebbe cresciuta come una donna forte. 
«Prima e ultima volta che mi succede, giuro!» sussurrò a sé stessa, sotto le coperte.

 

Olivier osservava dalla ringhiera l’ombra allontanarsi nel buio della notte, in mezzo alla tormenta. Il suo animo bolliva ancora di una rabbia feroce, ma già si stava pentendo della sua azione; comunque, aveva avuto quel che si meritava. Non doveva vacillare sulla sua decisione.
Scar si strinse nel giubbotto, reggendo nella mano intorpidita dal freddo la sua valigia, lo spirito in subbuglio e la mente in preda al caos. Era stato sfrattato con una tale velocità che a stento riusciva a credere a ciò che aveva visto, a ciò che era accaduto.
Avanzava nella neve, diretto verso l’ignoto, esattamente come il suo cuore vagava ormai in un tetro oblio senza ritorno.













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Approfittando di essere a casa, pubblico questo capitolo sperando che vi piaccia! :3
Spero di aver inserito bene i flashback ^^ e che si capisca un po' questa mia idea del pianto di Olivier in rapporto con la sua incapacità di esprimere le sue emozioni u.u"
Scrivendola ho ascoltato a ripetizione "Le onde", ve lo consiglio come sottofondo per le vostre FF *-*

Nina.

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Capitolo 4
*** ~Sentimenti. ***


Scar si sedette in terra, a gambe incrociate; con la massima indifferenza al vento che lo schiaffeggiava e al nevischio che gli si impigliava nei capelli, iniziò la sua preghiera.
Nell’aria l’ululato del vento trasportava le sue parole mormorate, portava alla sommità del cielo le sue invocazioni al Fondatore.
Tra i pendii innevati scorgeva le città, l’enorme barricata di Briggs, l’orizzonte velato di nubi che rendeva vago il distacco tra terra e cielo: un enorme limbo coperto dai candidi fiocchi e piegato dal vento.
Dei passi, attutiti dalla neve, giunsero alle sue spalle.
Non si voltò, aspettò che fosse l’altra ad avvicinarsi: infatti lei, dopo aver sostato irritata qualche secondo dietro di lui, gli si sedette accanto.
«Grazie di essere qui.»
Lei digrignò i denti, e Scar decise che lasciasse sbollire rabbia ed orgoglio prima di iniziare una conversazione.
 
 
La donna si portò alle labbra la tazzina, gustando compostamente il suo tè.
Miles la osservava, impettito; non osava aprir bocca, ma il suo sguardo diceva più di mille parole. Olivier se ne era resa conto, e la lentezza di quei sorsi era dovuta proprio al fatto che cercava di evitare una conversazione di qualsiasi tipo.
«Generale.»
Lei sospirò: non aveva funzionato fingere indifferenza. Si voltò verso di lui: «Sì, Miles?»
«Non pensa che dovrebbe…»
«No, affatto.» voltò il viso, perché l’altro non potesse intravedere alcun genere di emozioni da esso.
«Non cercherò di convincerla, generale. La conosco abbastanza bene per sapere che è impossibile.»
«Bene.»
«…Ma, mi conceda di osservare, che sicuramente prima o poi lo farà. Lo sa lei meglio di me. Buona giornata.» si congedò con un saluto militare ed uscì dalla stanzetta.
Olivier strinse i pugni sul tavolo, osservando la tazzina e il vago fondo di tè rimasto in essa: si sentiva esattamente come quel piccolo oggettino di ceramica. Fragile.
Si alzò di scatto, e camminò a grandi passi verso la cima della barricata, da dove si poteva scorgere il paesaggio attraverso le feritoie: aveva quell’abitudine di coprire la voce della sua mente con il movimento, soffocandola nel camminare o nel gesticolare. Purtroppo, quei pensieri le trapassavano la mente e il petto, instancabili, torturandola fisicamente e psicologicamente.
Si immobilizzò davanti alla minuscola finestrella: la bufera sembrava essersi vagamente attenuata, ma non c’erano sicurezze che essa si sarebbe affievolita –anzi, Olivier conosceva abbastanza bene la sua patria per sapere che sarebbero solo aumentata-.
«AAARGH!» tirò un pugno alla parete, le nocche pressate contro il muro «Quello stupido!» afferrò la giacca, la indossò frettolosamente  e si gettò fuori dalla stanza, diretta verso il portone principale «Quello stupidissimo monaco Ishvariano!»
 
 
«Come sapeva dell’esistenza di questo rudere?» alluse Olivier alla macilenta costruzione di legno simile a una tettoia senza pareti sotto cui erano seduti.
«Non la conoscevo affatto. Diciamo che mi ci sono ritrovato vagando.»
«Ha avuto molta fortuna, è vicina alla città. Anche Briggs in realtà non dista molto da qui.»
«E lei, come mi ha trovato?»
«Briggs ha occhi su tutte le innevate cime di questi monti, dalla sua altezza ogni singolo anfratto è visibile con i mezzi adatti. Inoltre non si è allontanato troppo.»
«Bene.»
Un silenzio insopportabile calò tra i due. Scar voleva sapere, Olivier voleva spiegare, ma nessuno osava fare il primo passo –per timore e per orgoglio-.
Avrebbero forse preferito rimanere lì in sacrosanto silenzio, godendo della vicinanza dell’altro, senza interrompere il vociare continuo della bufera del Nord?
«Olivier. Posso chiamarti così?»
Lei assottigliò gli occhi, chiedendosi da dove arrivasse quell’irriverenza; ma non voleva risultare immediatamente chiusa ad un dibattito, quindi annuì: «Certo, Scar.»
«Olivier.» si interruppe, come assaporando quel nome sulle sue labbra «Mi scuso nuovamente per averti recato fastidio. Sono stato sgarbato ad origliare la tua musica. Ti prego di perdonarmi.»
«Scuse accettate.»
«Mi permetto di… farti i complimenti. Sei una pianista davvero eccellente.»
Lei sbuffò, sentendo le viscere aggrovigliarsi; voltandosi però verso il monaco, realizzò vedendo il suo viso sincero che lui non poteva capire cos’era successo. Non sapeva nulla del fatto che fosse un segreto, né della notte in cui sua madre la aveva scoperta, né del trasporto del pianoforte in quell’angolo remoto di Briggs. Non capiva il perché delle sue lacrime, tantomeno della sua ira, ma si ostinava comunque a chiedere umilmente scusa.
«Scar, perdonami tu per come ti ho trattato.» non credeva che avrebbe mai proferito una frase simile; lo stesso interlocutore sembrò sgomento, ma si riprese velocemente.
«Mi è concesso sapere perché stavi… Piangendo?»
Lei inspirò profondamente:«…Certo.»
Gli raccontò per filo e per segno di quella notte, le parole fluivano dalle sue carnose labbra finalmente libere, alleggerendole il petto; Scar ascoltava, vedeva come in sogno l’enorme stanza, un’infante Olivier in una camicia da notte dai colori pastello, le guance colme di lacrime, la musica che si diramava per la sala da ballo, la luna che formava strane ombre sul pavimento, la fioca luce dei candelabri.
«Da quel giorno, ogni volta che sento qualcosa pesarmi dentro suono, e inevitabilmente piango. Anche grazie a questo sfogarmi sono la donna forte che sono.»
«Perché allora nascondersi?»
«È una debolezza. Voglio risultare invincibile al mio nemico, chiunque esso sia: se si vedesse anche solo una minuscola crepa in me, potrebbero farmi crollare. Non posso permettere che nulla di ciò accada.»
«Io trovo invece che questo potrebbe renderti più umana. Esserlo non è un difetto, né una debolezza. Ti dona un fascino diverso.»
«Devo sentirmi lusingata da questo assurdo apprezzamento?» chiese sorridendo ironicamente.
«Ne sarei felicissimo.»
Scar guardò il cielo, indeciso sul proferire o no quelle parole: «Olivier, io… Vorrei che si chiarisse una situazione che si sta creando tra noi. Volevo però prima accertarmi che anche tu la percepissi, perché in caso contrario la classificherei come una mia idea completamente sbagliata.»
La donna sentì il cuore dimenarsi nel petto; cercando di non dare a vedere alcun cambiamento emotivo, disse con tono imperioso: «Spiegami, allora. Di che stai parlando?»
Scar resse con le sopracciglia aggrottate il suo sguardo inquisitore: «Sto parlando di me e te, Olivier. Mi permetto di esprimere, contro qualsiasi concetto morale della mia fede religiosa, che non ho mai sentito un’affinità così lampante con un’altra persona. »
«E cosa vuoi che ti risponda? Vuoi forse sapere se il tuo sentimento è ricambiato?» chiese lei, arrogante, in realtà desiderosa della risposta.
«Non lo so. Non so minimamente cosa voglio. Sentivo solo il bisogno di dirti che, quando sono con te, è come se tutto sparisse e si facesse più nitido allo stesso tempo. Tu alteri la mia realtà, Olivier. E non so come affrontare questo genere di situazione. »
La donna sentì un caos crescente rapirla, e rispose sgarbatamente: «Sembra un bambino ancora incapace di gestire sé stesso…»
«La conoscenza di sé può arrivare a qualsiasi età, anzi, sono dell’opinione che spesso non la si raggiunga mai.» rispose lui, guardandola con aria accusatrice «E ho anche l’impressione che tu stia semplicemente sviando il discorso, additandomi come il debole della situazione. Se non altro, io sto avendo il coraggio di espormi, al contrario di te che ti riduci all’occultare tutte le tue emozioni fin da quando eri bambina.»
«Chi sei tu per insultarmi in questa maniera?! » già gli si stava avventando contro con rabbia, ma lui le frenò i polsi: «Sono qualcuno che realmente si interessa di te e di come stai. Qualcuno che vuole che non solo il forte generale Armstrong stia bene, ma anche la fragile Olivier.»
Il petto della donna si alzava e si abbassava velocemente, stringeva i pugni inguantati mentre le vene del polso palpitavano sotto il palmo di Scar. I loro sguardi si mescolavano, si combattevano e si abbracciavano dolcemente, come fiere che prima si attaccano con gli artigli e poi si curano le ferite a vicenda.
Era quello il loro destino? Un’infinita lotta e passione tra le loro differenti anime, una continua danza tra i loro spiriti di ghiaccio e fiamma come le loro iridi, azzurre e vermiglie?
«Scar, ti ordino di lasciarmi andare…» lui rafforzò la morsa delle mani, ma quando capì che non aveva alcuna intenzione di attaccarlo lasciò scivolar via le sue braccia.
La donna di accovacciò, stringendosi le ginocchia al petto: «Le ho detto cosa mi disse mia madre, prima che io scappassi via da lei quella notte?»
Scar scosse il capo.
«Mi disse che avrei trovato qualcuno che mi avrebbe fatto provare così tante emozioni…» si voltò verso di lui, gli occhi bagnati da un pianto copioso «Che non sarei più riuscita a nasconderle. »
Nel largo petto di Scar il suo cuore iniziò a battere fuori controllo: senza nemmeno comprendere cosa stesse facendo, si avvicinò alla donna e le cinse le spalle con le forzute braccia, lasciando che i suoi singhiozzi simili a sussurri si acquietassero.
«Scar, promettimi che nulla di quel che sta succedendo ora arriverà ad orecchie estranee.» disse lei.
«Lo giuro.»
Lasciarono che il silenzio colmasse quei lunghi istanti; Olivier sentiva accanto a sé il petto di Scar palpitare, ne sentiva il respiro tiepido tra i capelli.
Lui le scostò con indicibile delicatezza una ciocca fuori posto per poter meglio ammirare il suo viso, i suoi tratti nordici, le lunghe ciglia e le deliziose labbra: il complesso, incorniciato da quella fluente chioma color dell’oro, risultava così bello da parere inumano.
«Scar?» lo interpellò nuovamente «Sai che tutto ciò è sbagliato, vero? Sai che né io né te possiamo abbandonare i nostri ruoli per dei miseri sentimenti?»
«Ne sono più che consapevole.» disse lui, ma non smise di abbracciarla. Accostò il capo al suo orecchio, e le mormorò: «Vorrei solo che quest’attimo durasse un’eternità. Vorrei non dovermi più alzar da qui, anche a costo di congelarmi, perché so che una volta che torneremo indietro tutto questo non sarà mai accaduto, e dovrò nuovamente portarmi queste sensazioni nel petto, farle tacere in un modo o nell’altro. So anche che non ti rivedrò chissà per quanto tempo, e comunque se mai ancora ci rivedremo nulla cambierà: io sarò sempre un sacerdote, tu sempre un generale. »
Lei annuì. Nulla poteva essere più doloroso e al contempo più vero. Non c’era speranza, per loro.
«Capisci che non voglio smettere di essere quel che sono, vero? Non potrei mai abbandonare i miei soldati, la mia gente, il mio paese. Il mio cuore vive qui, tra le cime di queste montagne. »
«Lo capisco e lo condivido. Anche il mio cuore risiede da sempre nella terra arida e nel sole rovente di Ishval. Speravo solo che in qualche modo si potessero incastrare le nostre esistenze con questi sentimenti, ma… »
«… è una fantasia impossibile.» completò lei la frase.
«Olivier, il mio cuore non vive solo ad Ishval. Il mio cuore vive anche con te. Non so come potrò a lungo portare indifferenza a ciò.»
«Possiamo riuscirci, Scar. Siamo persone forti e mature. Ce la caveremo.»
Lui accostò le labbra a lei, facendole annodare la gola; si fermò a pochi centimetri dal suo viso arrossato dal freddo per sussurrare: «Sono di nuovo il benvenuto a Briggs?»
Lei ridacchiò: «Ovviamente, Gran Sacerdote.»
Si incamminarono nella neve, i passi simili, le mani che si sfioravano ondeggiando una accanto all’altra.
Con grande sorpresa di tutta Briggs, la bufera aveva lasciato il posto ad un vento privo di neve, e i raggi del sole filtravano attraverso le nuvole candide: un’imprevedibile serenità atmosferica, che certo non si rifletteva nei loro cuori.
 
«Eccoci. Il suo treno partirà tra qualche ora, io e Miles la riaccompagneremo.» la donna alzò lo sguardo verso l'imponente barricata di Briggs che si stagliava davanti a loro.
Si voltarono uno verso l'altro, guardandosi per alcuni lunghi attimi. I loro vestiti erano scossi dal vento gelido, i capelli color dell'oro della donna ondeggiavano nel vento.
«Olivier...»
Lei aggrottò le sopracciglia, inspirando profondamente: «Ora sono il Generale Armstrong, ricorda.»
Scar allungò la mano verso il suo viso, bloccandola a mezz'aria; strinse il pugno, e il braccio ricadde rassegnato lungo il corpo: «Certo, Generale.»
Si squadravano, desiderosi di toccarsi. Olivier lasciava correre gli occhi sul petto dell'altro, sul suo viso dai tratti virili che sembravano scolpiti nel legno; Scar le osservava le gote rosee, le labbra carnose con brama inimmaginabile.
 
I due rientrarono in assoluto silenzio, senza proferir parola con nessuno. Stupiti, si tormentavano chiedendosi come avevano potuto i sentimenti plasmare le loro anime incrollabili: avevano sopportato ferite fisiche e psicologiche ben peggiori, eppure bastava una sola persona a distruggere la loro forza d’animo come un castello di carte.
Sarebbero davvero riusciti a nascondere tutto ciò?
Quanto avrebbero resistito le loro anime?
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Aaaaaallora. Spero vi sia piaciuto il capitolo :3
Questo si potrebbe definire un po’ il fulcro di questa mini-long: i sentimenti dei due vengono finalmente a galla, ma come decideranno di affrontarli?
Aspettate l’ultimo mini-capitolo, che chiuderà in bellezza (?) questa breve (dis)avventura sentimentale di Olivier e Scar u.u
 Ah, scusate se l'ho dipinto così, ma io ADORO Scar tutto puccipucci ghghghgh quanto sono carini Q_____Q <3 *fangirla*
 
Nina.

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Capitolo 5
*** ~Non è una fine... ***


La stazione aveva due binari, e ai lati di essi sparuti gruppi di persone strette nei loro giubbotti attendevano che il treno arrivasse.
Non vi era quel caos, quella frenesia tipica delle enormi stazioni di Amestris: era un particolare che andava aggiunto, nella lunga lista di quelli che rendevano il Nord unico nel suo genere.
Questo era ciò che Scar amava di Briggs: il suo ordine naturale, l’inflessibilità della sua esistenza e delle sue regole.
Purtroppo, si ritrovò ad ammettersi, non era più l’unica cosa che amava di quel paese nevoso.
 
«Il suo treno arriverà a momenti.» disse con tono autoritario la donna, perfettamente consapevole che quest’informazione non fosse sfuggita all’uomo: semplicemente non riusciva a capacitarsi di ciò che stava succedendo, e sentiva il bisogno di interrompere quel silenzio.
“E così te ne vai” pensò, osservando l’uomo in piedi accanto a lei con una sensazione nel petto che era un misto contradditorio di dispiacere e sollievo: ovvio dispiacere e sollievo perché si illudeva che la lontananza avrebbe logorato i loro sentimenti fino a farli scomparire. Come speranza era alquanto inusuale e a tratti masochista, ma era tutto ciò a cui la sua anima poteva aggrapparsi.
Scar guardò Olivier: in viso quel cipiglio perennemente irritato le creava sottili rughe sulla fronte, sottolineate in quel momento da sentimenti che reprimeva faticosamente. L’uomo in sé provava un enorme rammarico per essersi così esposto e confessato, e al contempo sentiva che era stata una mossa più che necessaria: aveva avuto senso parlare in quel modo, usare quei termini? Sì, altrimenti sarebbe rimasto pressato dal peso stesso delle proprie emozioni.
Si sentiva falso: lui non era l’uomo che le aveva parlato il giorno prima. Non lo era mai stato. Non gli appartenevano le parole dolci e malinconiche, i gesti delicati e teneri, gli sguardi colmi di dolcezza: eppure con lei –per lei- quelle sfaccettature della sua personalità emergevano fino ad avere il sopravvento sulle altre.
Lo rassicurava il fatto che fosse così anche per Olivier: era palese la sua estraneità a quel genere di comportamento debole ed emotivo che aveva assunto in presenza di Scar. Era proprio come la madre le aveva predetto: un uomo che non le avrebbe più permesso di nascondere le emozioni.
“Già, ma per quale motivo proprio l’Uomo Cicatrice?” si chiese lei con stizza e leggera disperazione. Di tutti gli uomini che la ammiravano e la desideravano, perché proprio lui?
Entrambi se lo chiedevano, ma nessuno poteva rispondere: non vi era risposta.
 
«Oddio, ma lei è il maggiore Armstrong! Che onore averla in città!» una vecchina con il capo avvolto in uno scuro velo da vedova, gobba, si avvicinò zampettando sulle gracili gambe.
«Buongiorno, signora.» salutò imperiosa lei, assumendo istintivamente una posa vittoriosa ponendosi le mani sui fianchi e alzando il mento.
Regale, incrollabile. Magnifica.
Non si poteva descrivere diversamente la figura che si presentava agli occhi di Scar.
«Oh, è vero quel che dicono di lei» disse l’anziana con un gesto riverenziale del capo «Alla sua presenza il mondo intero sembra piegarsi al suo cospetto… una degna Regina delle Nevi.»
«Grazie.» disse lei, austera, senza modestia né vanità.
Scar sentì  un suono lungo, prolungato, un fischio e uno sferragliare di ruote sulle rotaie.
Il suo treno stava arrivando.
Improvvisamente guardò Olivier: il mondo sembrava prostrarsi al suo cospetto.
Nulla era più vero.
«E allora perché non dovrebbe essere così anche questa volta?» esclamò con voce roca.
«Scusi, Scar?»
«Olivier, perché dovrebbe essere diverso?!» strinse i pugni, trasportato energicamente da rabbia e convinzione; lei lo fulminò con uno sguardo atroce- avevano deciso che non si sarebbero chiamati per nome-, ma lui non si fermò «Non sei forse il generale più forte del mondo? Non sei forse quella priva di debolezze? Sbaglio o millantavi che niente e nessuno ti avrebbe mai messo i piedi in testa?!» il suo tono era accusatorio e il suo sguardo penetrante.
«Come osi parlarmi così?! Certo che lo sono! Sono Olivier Milla Armstrong, non una misera donnicciola qualunque!»  si infuriò lei, il suo viso divenne paonazzo e la sua mano andò all’elsa della sua spada.
«E allora perché piegare la testa e nascondersi?!»
Lei sembrò realizzare ciò di cui stava parlando il monaco e i suoi occhi si spalancarono; si morse violentemente il labbro, in preda a chissà quali pensieri.
Alle loro spalle il treno iniziò una rumorosa frenata, facendo leggere scintille contro le rotaie malmesse; in quel fragore, con le orecchie piene di rumore e i vestiti scossi dalla velocità della locomotiva, Scar si accostò ad Olivier e la baciò.
La scena aveva un che di indescrivibile: la giacca di Scar lambiva ondeggiando le gambe di Olivier, il cui corpo rimaneva immobilizzato in quella posa pronta all’attacco, tanto che la sua mano era ancora poggiata sull’elsa; eppure il suo viso si era in poco lasciato andare a quell’attimo di passione: i tratti erano rilassati, gli occhi teneramente chiusi.
Scar le aveva poggiato sgraziatamente le mani sulle spalle e, accortosi dello scarso romanticismo di quella mossa grezza, le fece scivolare lungo il busto della donna fino ad arrestarsi all’altezza della cintola; gustava con inesprimibile piacere la bocca di Olivier, confermandosi che quell’attesa non era stato tempo perso: nulla era paragonabile alla morbidezza delle sue labbra carnose, velate di una dolcezza zuccherina –frutto dell’immaginazione dell’uomo o di una colazione frettolosa-.
Ed eccoli, la Regina delle Nevi e il Sacerdote della Terra del Sole, a baciarsi sotto gli occhi dell’intera stazione.
In realtà erano molti più occhi a guardarli: erano gli occhi del mondo, i suoi giudizi malevoli, la sorpresa, lo sgomento generale che un simile atto si sarebbe trascinato dietro da lì all’eternità.
Ciò che era importante, anzi, fondamentale in quel momento per i due era che quel che gli altri pensavano non era rilevante. Nulla lo era più, davanti ai loro sentimenti.
A quel pensiero un sorriso soddisfatto affiorò sulle labbra di Olivier, e di rimando anche l’altro sorrise: interruppero il bacio così, sorridendo con i visi che si sfioravano ad occhi socchiusi.
«Scar, il suo treno!» proruppe lei, improvvisamente, guardando oltre la testa dell’altro. Lui si voltò, e vide le porte che si richiudevano lentamente. Con uno slancio riuscì a infilarsi tra due di esse con il bagaglio stretto al petto, e di pochi centimetri di tessuto il suo giubbotto non si impigliò nella morsa delle porte scorrevoli. L’uomo si voltò nel momento in cui le ruote si rimisero in moto con un cigolio; la locomotiva sbuffò nello sforzo di trascinarsi i vagoni in un’altra corsa estenuante.
I due si guardarono attraverso il vetro sporco del finestrino: i loro erano volti fieri, volti forti e pieni di speranza.
«Scar!» urlò, mentre il treno partiva lentamente «Hai promesso di scrivermi! Fallo, capito?! È un ordine!»
Lui non la sentì, eppure sorrise.
Lei, come trasportata da quell’espressione contenta, continuò ad agitarsi al di fuori dell’abitacolo: «E la prossima volta verrò io nel tuo maledetto paese! Sì, hai capito bene!» ormai correva per tenere il passo del mezzo «Non ti libererai facilmente di me, Uomo Cicatrice! Il tuo destino è stato segnato nel momento in cui ti ho salvato la vita!» anche con la sua forza sovrumana non riuscì ad eguagliare la velocità del treno, e la sua figura iniziò a rimpicciolirsi agli occhi di Scar, pressati contro il vetro.
La donna guardò l’uomo allontanarsi e, con il poco fiato che le rimaneva, urlò: «Suonerò quel maledetto strumento così forte che lo sentirete pure ad Ishval!»
Il suo respiro si condensava nell’aria, creando nuvolette che si dissolvevano in pochi attimi. Il treno era ormai lontano.
Si sedette in terra, sfinita.
Non importava come, con quante difficoltà: non avrebbero mai più fatto soffocare le loro sensazioni nei petti.
Sorrise soddisfatta all’albeggiare di quella loro nuova vita.
 
 
 
 






“…Qui nevica. Che immonda banalità, non è così, Scar? Eppure mi sento in dovere di informarti anche di queste minuzie. In qualche modo, penso che ti possa rendere più presente, più “qui”. Che inutile fantasia.
Finisco questa lunga lettera dicendoti che ho chiuso la camera del pianoforte.
L’ho fatta sigillare.
Ma non ho lasciato lì il piano, se è quello che ti stai chiedendo: l’ho spostato nelle sale centrali. Ora quando suono, tutta Briggs riesce a sentirmi. E io non piango più.
Ancora quarantasette giorni, prima del prossimo incontro.
Attendo tue notizie. Dimmi se Mustang e Miles se la stanno cavando bene, in caso contrario verrò personalmente ad infliggere pene corporali a quegli inutili fannulloni!
Tua,
 
Olivier”













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E così finisce (inizia?) l'avventura dei nostri eroi x°D
Bene, sono fiera di me per essere riuscita a finire questa piccola Long... con i suoi errori e difetti, certo, ma ce l'ho fatta :')
E diciamocelo, non mi merito un bel premio per aver riportato in auge la figura di Olivier? u.u l'ho pure fatta inserire tra i personaggi da Erika! :D
Alla prossima FanFiction su FullMetal Alchemist! ~

Nina.

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