A volte le persone se ne vanno...

di NotFadeAway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'uomo alla porta ***
Capitolo 2: *** Quando le foto diventano ricordi ***
Capitolo 3: *** Il giornale con le foto che si muovono ***
Capitolo 4: *** Ritorno a Hogwarts ***
Capitolo 5: *** Il prato di pietra ***



Capitolo 1
*** L'uomo alla porta ***


Eileen era in cucina, china su una pentola il cui contenuto debordava sui fornelli. Con un cucchiaio stava tentando di salvare il salvabile, mentre con l’altra mano cercava la bacchetta  sul piano d’appoggio vicino al lavello. Appena la trovò spense il fuoco e ripulì tutto in un istante. Poi suonarono alla porta.
La donna era ormai in età avanzata, aveva i capelli grigi, rigati di bianco e riuniti in un’esile coda che le si poggiava sulla nuca. La pelle, quasi dello stesso colore della capigliatura, pendeva sotto al collo e sul suo viso.
Si mosse piano, mettendo ogni piede saldamente sul  pavimento prima di alzare l’altro, mentre con una mano appoggiata alla schiena, si raddrizzò.
Il campanello suonò ancora.
-Arrivo, arrivo!- protestò, cercando di aumentare l’andatura.
Alla fine giunse alla porta, sbuffando, e la aprì.
Oltre la soglia c’era un uomo di mezz’età, vestito alla bell’e meglio, con una tunica rattoppata, di almeno 4 colori diversi.
Non le diede il tempo di dire nulla, subito si prese la parola.
-Salve signora, scrivo per il Corriere della Strega e volevo chiederle…-
-Cosa diavolo vuole?-
-Posso farle qualche domanda? Come si sente? Cosa pensa dell’accaduto? Ha saputo particolari a noi ignoti di cui vuole metterci a parte?- a ogni domanda si era avvicinato sempre di più, sgranando man mano gli occhi.
-Mi dispiace non posso aiutarla – rispose quella, sbattendogli la porta in faccia, irritata e confusa.
Cosa diamine ci faceva la stampa lì? Cos’era successo? Pensò subito che evidentemente il suo ex marito aveva combinato qualche guaio o che uno dei suoi vicini era impazzito e si era tolto la vita. Succedono queste cose oggigiorno, si disse.
Non ebbe il tempo di fare altre supposizioni, che la porta suonò di nuovo.
-Cosa volete, per la miseria?!- gridò, avvicinandosi alla porta. –Non rilascerò alcuna dichiarazione alla stampa!-
Una voce profonda, completamente diversa da quella del giornalista di prima, rispose:
-Non sono della stampa signora, sono del Ministero della Magia. La prego di aprirmi –
La donna decise di fidarsi e obbedì.
Stavolta davanti a lei c’era un uomo enorme, completamente vestito di nero e avvolto in un pesante mantello da viaggio del medesimo colore, il viso era nascosto in parte da un cappuccio, quindi non riusciva a vederlo.
-Lei è la signora Eileen Piton?-
-Eileen Prince se non le dispiace, ho divorziato da mio marito vent’anni fa-
L’uomo si abbassò il cappuccio, era di pelle molto scura, aveva i capelli neri impiastricciati di sudore e un’espressione grave in viso.
Siccome non si decideva a parlare, Eileen riprese la parola.
-Cosa desidera?-
La donna sentì la lingua dell’uomo che si staccava dal palato prima di parlare.
-Abbiamo un posto tranquillo per parlare, fuori dalla portata di orecchie indiscrete?- chiese.
Eileen lo squadrò un’altra volta, strinse la bacchetta nel grembiule, poi disse.
-Sì, certo. Venga dentro…-
Lo fece accomodare in cucina, vicino al tavolo, e gli si sedette davanti.
L’uomo, rimasto per un attimo in silenzio, fece per parlare.
-Aspetti, Muffliato!- disse la donna, agitando la bacchetta, poi, vedendo il viso confuso e un po’ preoccupato di lui, si affrettò ad aggiungere – E’ per non essere ascoltati…l’ha inventato mio figlio…- l’entusiasmo nella voce di Eileen si spense sulla parola “figlio”, pensando a quanti anni erano che non si vedevano.
L’uomo parve non farcela più ad aspettare e, a quel punto, parlò.
-Bene,signora Prince. Sarò breve e conciso. Suo figlio è morto-
La notizia la colpì in pieno petto, sentì il cuore mancare un colpo, poi stringersi sempre di più, come se una mano lo stesse stritolando. Il respiro della vecchia signora era quasi inesistente ora. Poi le lacrime iniziarono a scendere, come acqua da un tubo che perde, senza singulti o lamenti, era solo acqua che cadeva su un pavimento.
L’omone era rimasto lì, in silenzio, per tutto quel tempo, alla fine decise di parlare di nuovo.
-Vuole…vuole sapere com’è accaduto?-
La donna annui, chiudendo gli occhi, senza però riuscire ad arrestare le lacrime. Quindi alzò lo sguardo e fissò l’uomo che le diceva che ad Hogwarts c’era stata una battaglia, che Voldemort era stato ucciso e che ora erano liberi. Che erano caduti un sacco di coraggiosi combattenti. Che suo figlio era stato ritrovato nella Stamberga Strillante senza vita, in una pozza di sangue, con il segno di un morso alla gola.
Pensò che non le importava cos’era successo, non le importava che Voldemort era stato sconfitto e che loro erano liberi. Dov’era suo figlio, per godersi quella libertà? E pensò anche che poteva chiamarli come voleva, i suoi “coraggiosi combattenti”, ma che questo non cambiava affatto le cose. Pensò anche che era stata una pessima madre. Dov’era lei mentre suo figlio era fuori a combattere? Dov’era quando lui era in pericolo? Quando lui, ferito, aveva cercato aiuto? Perché lei non c’era stata a mettersi tra lui e la morte?
Poi l’uomo si mise a dire che le esequie si sarebbero svolte l’indomani sera nel parco del castello di Hogwarts e che ovviamente era attesa là.
L’ultima cosa che pronunciò prima di uscire, furono le sue scuse per l’assalto dei giornalisti che la attendeva. Poi si Smaterializzò.

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Capitolo 2
*** Quando le foto diventano ricordi ***


«ORA SIAMO LIBERI»
Voldemort è morto. La guerra è finita.
 
Ieri, sabato 2 maggio, alle 6.35 del mattino, il corpo di Lord Voldemort è crollato senza vita sul pavimento della Sala Grande di Hogwarts.
La sua morte ha messo fine alla battaglia scoppiata nella scuola la notte del 1 maggio, in seguito all’arrivo improvviso di Harry Potter.
La venuta del nemico numero uno di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è stata immediatamente comunicata da alcuni Mangiamorte infiltrati ad Hogwarts (Amycus e Alecto Carrow) al loro capo. Da qui è scoppiata la battaglia.
Nelle prossime pagine è tutto spiegato: dinamiche dello scontro [pagg. 2/3], intervista ad Harry Potter [pagg.4/5], intervista alla vicepreside Minerva McGranitt [pag. 6], la restaurazione [pag.7], i caduti [pagg.8/11], Tom Riddle: chi era veramente Lord Voldemort? [pagg.11/12].
 
Eileen voltò pagina.
«LA BATTAGLIA DI HOGWARTS»
 
Al nostro arrivo ci troviamo di fronte ad uno spettacolo agghiacciante: sul prato di fronte all’entrata principale della Scuola, sono disposte quattro interminabili file di cadaveri, riparate dal sole dallo spettro di un’ Hogwarts distrutta.
Nella Sala Grande, appena entriamo, notiamo subito il soffitto crollato e i detriti ovunque, vi sono decine e decine di feriti in ogni dove, mentre bande di Guaritori (sopraggiunti solo poche ora fa), corrono da una parte all’altra.
La battaglia è iniziata la notte del 1 maggio, quando il nostro salvatore, Harry Potter, è sopraggiunto nella Scuola con due suoi amici, Ron Weasley e Hermione Granger, in cerca di qualcosa.
La voce della sua presenza lì si sparge presto e Potter viene trovato in un niente dalla Mangiamorte (ex professoressa di Babbanologia), Alecto Carrow, che avvisa immediatamente il suo padrone.
Dal momento in cui viene dato l’allarme, all’arrivo di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, passa circa mezz’ora, tempo in cui il Preside (ora deceduto), Severus Piton, abbandona la scuola, e i professori rimasti iniziano ad organizzarsi per affrontare la minaccia incombente…
 
La donna finì di leggere velocemente l’articolo, ma non trovò nient’altro su di lui.
Voltò pagina appena iniziarono a parlare dei festeggiamenti ora in corso in tutti il paese. Non gliene importava niente dei festeggiamenti.
 
«HARRY POTTER: “ORA VOGLIO UN PO’ DI TRANQUILLITA’»
 
Il diciassettenne Harry Potter, probabilmente il mago che diventerà il più famoso per tutte le generazioni a venire, dopo molta insistenza, ci ha finalmente voluto concedere questa breve intervista in cui ci ha spiegato…
 
Eileen scorse rapidamente con gli occhi le righe sottostanti, leggendo solo le domande del giornalista, fino ad arrivare a ciò che stava cercando.
 
I: “Ci è stato riferito che hai smentito la colpevolezza del presunto seguace di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, Severus Piton”
H: Sì, l’ho fatto ed è la verità. Piton, prima di morire, mi ha confidato (da notare che Harry ha sottolineato in maniera sospetta questa parola) che lui aveva, in realtà, sì fatto il doppiogioco, ma a favore di Silente, non di Voldemort. Era innamorato di mia madre, Lily Evans, fin da quando era bambino e, quando Voldemort si è messo sulle tracce della mia famiglia, ha iniziato a lavorare contro di lui. Credo per questo di dovergli, assieme a tutti voi, un grazie.
 
Eileen sorrise tristemente, gli occhi le si bagnarono.
Saltò l’intervista alla McGranitt e passò a pagina 8.
A lettere enormi, al centro tra le due pagine, c’era scritto.
 
«GLI EROI CADUTI»
 
E sotto continuava, più in piccolo.
 
“Morti perché noi potessimo vivere nella libertà. Diciamogli grazie.”
 
Eileen lo sapeva, lo sapeva che quelle era un scritta patetica* [i], per fare commuovere  le solite massaie facili alle lacrime, ma lei pianse lo stesso, perché in fondo era vero. Adesso lei poteva vivere senza più il timore di parlare, di pensare, di uscire di casa.
Ma a che prezzo.
Quella scritta era circondata da decine e decine di foto. Contro la sua volontà, Eileen le scorse tutte e, in alto a destra, tra quelle più grandi, trovò suo figlio.
Era una vecchia foto, lui doveva avere trent’anni, più o meno, quando era stata scattata. Era sempre uguale, i capelli lunghi e perennemente sporchi che gli sfioravano le spalle, il naso adunco sul viso giallastro, gli occhi spenti che già allora aveva…
A completare le foto, c’era un elenco di un centinaio di nomi, messo lì come se fosse una lista per la spesa. Arido. Anonimo.
Stavolta Eileen non si mise a cercare il nome di suo figlio tra quelli elencati, sapeva che era lì.
S’immaginò altre madri che, come lei stavano leggendo quell’articolo, e che si mettevano a scorrere freneticamente quelle colonne fitte fitte, traendo un sospiro di sollievo ogni volta che leggevano un nome e non era quello di loro figlio. Si immaginò quelle stesse che piangevano, ma di gioia, e che inviavano un gufo ai loro figli, per dirgli anche solo un “ciao”.
Già, loro potevano farlo.
Preferì non pensare, invece, a chi aveva successo nella propria ricerca e trovava il nome di qualcuno, le bastava il suo, di dolore.
Voltò ancora la pagina e, in fondo a quest’ultima, a prenderne una metà, c’era un articolo su suo figlio.
 
«SEVERUS PITON: QUANDO L’AMORE TI SALVA»
 
Trasse un respiro profondo e cominciò a leggere.
 
Severus Piton, 9 gennaio 1960-2 maggio 1998,
 
Eileen strizzò gli occhi e serrò la mano sinistra, tremante, in un pugno.
 
è stato professore di Pozioni ad Hogwarts per 15 anni, di Difesa Contro le Arti Oscure per uno e per circa 9 mesi Preside. L’altra notte, verso le due e mezza del mattino, è stato ucciso da Voldemort stesso per questioni riguardanti la leggendaria Bacchetta di Sambuco [vedi pagg. 4/5].
Potter, presente al momento dell’omicidio, ha raccontato che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato avrebbe dapprima esposto a Severus Piton la sua difficoltà nel padroneggiare la famigerata Bacchetta e poi avrebbe dato ordine al suo serpente, Nagini, di ucciderlo. Il morso alla gola non ha lasciato scampo all’uomo, che è caduto a terra e spirato pochi istanti dopo, dopo aver confessato ad Harry la verità su di lui e cosa avrebbe dovuto fare [vedi pagg. 4/5].
 
La donna dovette fermarsi, perché le lacrime non la facevano andare oltre con la lettura. Poggiò per un attimo il giornale sul tavolo e provò a lottare contro la sua mente, che continuava ad immaginare la scena appena descritta. Tutto era troppo chiaro nella sua testa: gli attimi di terrore mentre magari suo figlio iniziava  a capire perché si trovava lì, la vista del serpente, l’urlo che avrà cacciato, poi il sangue e lui che se ne andava, veloce, in “pochi istanti”, aveva detto il giornalista…
 
Tutto quello che c’era scritto dopo erano chiacchiere. Dicevano tutto e niente. Parlavano di Lily, della storia di suo figlio, della parte da cui stava. Niente di importante  o che non sapesse già. Tutto che faceva male.
S’interruppe e spostò lo sguardo su alcune foto affianco. Erano tre. La prima era la più recente, forse scattata proprio quell’anno. Severus era in piedi, ad Hogwarts ,probabilmente, e parlava in maniera autoritaria, a suo agio nella cortina di capelli neri. Sotto di quella, ce n’era un’altra: era assieme a Silente stavolta, il vecchio aveva messo un braccio sulla spalla di lui per la foto e sorrideva; suo figlio, invece, aveva le labbra arricciate e una certa aria di sufficienza (“sempre il solito”, pensò Eileen  sorridendo,triste). L’ultima era una foto più vecchia, in bianco e nero: Severus era sempre vestito di nero, ma stavolta quella era la divisa di Hogwarts, accanto a lui c’era Lily. Avevano tredici o quattordici anni.
Ciascuna di quelle foto si muoveva ed era come averlo di nuovo lì, era come quando, qualche sera, afferrava l’album con le foto di quando era piccolo, e si metteva a guardarlo, nell’attesa di vederselo davanti, una mattina, quando apriva la porta. Tranne che ora sapeva che non sarebbe tornato più, no.
Allora Eileen infilò la testa nel giornale e sfiorò con la sua guancia quelle foto, l’ultima in particolare, chiudendo gli occhi e desiderando con tutto il suo cuore che tutto quello non stava succedendo davvero.


[i] Nel senso retorico del termine, quindi “che suscita pathos, emozione”.

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Capitolo 3
*** Il giornale con le foto che si muovono ***


Il sole era già alto nel cielo, quando il vecchio scese le scale e andò a controllare la buca della posta, in cerca del giornale sportivo. La sua attenzione, però, fu catturata diversi metri prima della cassetta per le lettere, da un altro giornale.
Si chinò con un lamento (suo e della sua schiena) e lo raccolse. Non aveva gli occhiali, quindi se lo infilò sotto un braccio, rassegnandosi a tornare in casa per vedere di cosa si trattasse. Così andò a recuperare il suo amato giornale sportivo e rientrò.
Quando fu comodamente seduto sulla sua poltrona, finalmente prese quello strano giornale.
Lo riconobbe subito, non per il nome (che aveva cercato di dimenticare), ma per le foto che si muovevano. Era uno dei loro giornali.
Inforcò gli occhiali. Il titolo di prima pagina recitava:
 
«ORA SIAMO LIBERI»
 
Si chiese cosa ci faceva là quel giornale. Che fosse capitato lì per sbaglio? Magari caduto a quei loro maledetti gufi?
Lo posò, infastidito da vecchi ricordi, e iniziò a leggere il giornale di sport. Tuttavia, dopo essersi accertato che il Manchester City non avesse superato lo United e che il Liverpool perseverasse nel suo stato di pessima forma, lo chiuse. Era curioso. Quel giornale con le foto in movimento pareva fissarlo. Continuava a chiedersi perché era capitato lì…
-Ma sì, tanto che fa…- grugnì e lo afferrò di nuovo.
Prese a sfogliarlo velocemente, poi dopo tre, quattro pagine un pezzo di pergamena gli cadde sulle gambe.
Senza raccoglierlo, si chinò per leggerlo.
Diceva: “Solo perché tu lo sappia. E.P.”
Lo fissò confuso per qualche istante, poi rialzò gli occhi sulla pagina da dove era caduto.
A caratteri cubitali c’era scritto:
 
«GLI EROI CADUTI»
 
Tobias scorse i nomi.
C’era.
 

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Capitolo 4
*** Ritorno a Hogwarts ***


Erano passati più di cinquant’anni dall’ultima volta che Eileen aveva varcato la soglia di Hogwarts. Ma le circostanze erano un tantino cambiate.
Si era Materializzata pochi passi fuori dal cancello della scuola e ora stava attraversando il parco che la separava dal castello.
La vista era davvero agghiacciante come l’aveva descritta il giornalista: anche se non c’erano più le file di cadaveri sul prato di fronte all’entrata, la scuola distrutta, le torri crollate, il parco devastato disegnavano chiaramente i momenti di quello scontro.
Arrivò, alla fine, sotto all’arco della porta d’ingresso, dove alcune persone gestivano l’afflusso di gente. Si dovette fermare e rispettare quella sorta di fila che si era venuta a creare. Dopo un poco arrivò il suo turno.
Un uomo con una cartellina e una piuma in mano la fissava.
-Salve, sono Eileen Prince…la…la madre di Severus Piton…- disse, cercando di impedire alla sua voce di tremare.
Il ragazzo, era un ragazzo in realtà, non un uomo, sbirciò sulla lista, poi rispose:
-Sì, secondo piano, corridoio a sinistra. Segua gli altri-
Eileen annuì e si avviò, piena di tristezza.
Si guardava attorno e non c’era un sorriso sulle facce di chi la circondava, proseguivano tutti a testa bassa, senza fiatare.
Raggiunsero la scalinata principale, poi iniziarono a salire. Lei superò la prima rampa  e proseguì per il secondo piano, mentre una buona metà della gente si fermava lì.
Il corridoio del secondo piano non era diverso dal primo: era stato adibito a stanza d’ospedale (preferì non pensare alla parola “obitorio”), un letto seguiva l’altro e persone si aggiravano nello stretto spazio lasciato tra di questi.
Girò a sinistra, chiedendosi se avesse dovuto guardare i corpi uno a uno fino a riconoscere quello di suo figlio per trovarlo, ma prima che andasse oltre, una donna la fermò. Era un’infermiera, probabilmente.
-Salve signora, chi sta cercando?-
Aveva anche lei un’altra anonima lista in mano.
-Severus Piton-
-Settimo letto a destra- disse, abbozzando un sorriso.
La donna iniziò a percorrere quel corridoio stretto, guardando a terra e contando in mente sua i letti.
Sentiva qualcuno urlare, qualcuno piangere, qualcuno sussultare. Sentiva il silenzio di molta altra gente. Quei corpi disposti in schiera su bianchi letti d’ospedale erano l’unico punto in comune tra tutte le storie di quegli uomini e quelle donne che arrivavano. Mentre tutti si disperavano, soffrendo per la propria perdita, una diversa dall’altra, loro erano lì, in silenzio, tutti uguali, tutti in pace, tutti troppo lontani.
-…sei…sette…-
Eileen si fermò, si spostò sulla destra e alzò piano lo sguardo.
Per quanto la sua immaginazione avesse potuto anticiparle quel momento, niente sarebbe mai stato in grado di prepararla a quella realtà.
In quell’istante non pensò a nulla, agì d’istinto. Si gettò sul petto del figlio e si strinse a lui, più forte che mai, e poi, poco dopo, arrivarono le lacrime.
Lui era lì, immobile, impassibile, fermo, gli occhi serrati, che non avrebbe riaperto, la bocca chiusa, che sembrava disegnata da un bambino.
Quando, esitante, si alzò un poco, si sedette accanto a lui e poggiò una mano sulla sua. Sentì il freddo che veniva da quest’ultima, ma non la mollò.
-E così ci siamo rivisti alla fine – mormorò, non sentendosi neanche stupida nel farlo, era tutto normale, era una madre che parlava con suo figlio – Certo, non era così che me l’ero immaginato. Avevo sempre pensato che un giorno avrei aperto la porta e ti avrei trovato dall’altra parte. Poi tu mi avresti abbracciato, e avremmo parlato un po’ di te, di cosa ti è successo, ché sono vent’anni che non sorridi più. Invece l’altro giorno alla mia porta ci è arrivato quell’uomo in nero, è quando se n’è andato, si è portato via la mia speranza di rivederti, e mi ha detto che tu non c’eri più…Non ci sei più…Fa così strano dirlo, mentre  ti sto guardando, mentre ti posso toccare…eppure è…così…-
Sentì le lacrime salirle alla gola e non riuscì ad andare oltre.
Solo quando tornò a vedere oltre il velo lucido dei suoi occhi, notò alcune bende sul collo di lui. Celavano la ferita che se l’era portato via.
Tese la mano e le toccò, sentì la ruvida garza sotto le sue dita.
Pensò a quanto era stupida e crudele potesse essere la morte, a come quel segno sulla carne avesse potuto portarle via suo figlio. Pensò anche che lui era morto da eroe, e che quella ferita non doveva restare nascosta.
Si alzò e prese delicatamente la testa del figlio tra le mani, la posò sulle sue ginocchia e si mise a svolgere quelle bende. Quando ebbe finito lo riadagiò sul letto e gettò da una parte quelle inutili garze.
La ferita era stata pulita e i fori dove le zanne di quel serpente erano penetrate adesso erano visibili a tutti.
-Così va molto meglio- disse, quasi tra sé, poi continuò rivolgendosi al figlio – Tutti vedranno il tuo coraggio-
Ma fu in quel momento che una delle infermiere, forse quella di prima, le toccò una spalla.
-Signora, è arrivato il momento delle esequie, dovrebbe andare nel parco-
Eileen annuì, senza girarsi.
Senza aspettare alcuna altra risposta, la donna proseguì oltre, verso un altro letto, un’altra famiglia, un’altra storia.
-E così ci salutiamo qua? Io vado di sotto e tu mi raggiungi, va bene? – gli strinse forte la mano. Pensò che quella era l’ultima volta che avrebbe potuto vedere suo figlio, l’ultima volta che avrebbe potuto toccarlo, poi, che lui fosse passato per quella terra, sarebbe stato garantito solo da vecchie foto, dalla sua memoria e dalla scritta su una lapide.
Lasciò esitante quella mano rigida, raccogliendo ogni particolare di lui. Sempre più lentamente si alzò.
-Mi sarebbe bastato anche solo quell’abbraccio- disse e lanciando un ultimo sguardo a suo figlio, tornò nel parco.

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Capitolo 5
*** Il prato di pietra ***


 
Centinaia di sedie erano state disposte in lunghissime file e le persone iniziavano già a prendere posto.
Eileen si avvicinò e ancora una volta una donna con una cartellina e una piuma la fermò.
Per la terza volta le fu chiesto chi fosse e lei fu costretta a ricordare perché era lì.
Le fu detto di andare in una delle prime file e di prendere posto là.
Si mise in quarta fila, nel posto più in fondo, il più esterno, e aspettò.
Dopo mezz’ora tutta la gente accorsa ad Hogwarts aveva preso posto e la cerimonia poté iniziare.
Un omino vestito di nero, che si trovava su una sorta di palco (forse avrebbe dovuto chiamarlo altare), salutò l’assemblea e porse le sue più sentite condoglianze. Poi arrivarono.
Un centinaio di bare bianche filarono a mezz’aria lungo il corridoio centrale e si disposero nello spazio che intercorreva tra l’omino e il pubblico.
Non c’era musica, le uniche cose che si sentivano erano il respiro delle persone circostanti, colpi di tosse, qualcuno che si soffiava il naso, altri, molti, che piangevano.
Eileen, invece, era tra quelli che non fecero alcun rumore, le sue lacrime erano ancora una volta come gocce d’acqua sul pavimento, uscivano e cadevano in silenzio.
L’omino in nero cominciò con l’elencare tutti i nomi degli “eroi caduti” in ordine alfabetico. Tutti quei nomi che Eileen non aveva voluto leggere e quel nome che non aveva avuto bisogno di cercare furono scanditi a uno a uno. Il suono del nome di suo figlio le tolse un po’ di vita, se la sentì scivolare addosso e via appena fu pronunciato.
Le lacrime non si fermavano.
Assistette con occhio spento a tutta la cerimonia, senza sentire cosa realmente stesse dicendo quell’uomo, né vedere i suoi gesti.
Verso la fine, l’omino agitò la bacchetta e tutte le bare volarono alle sue spalle, dove erano stati scavate decine e decine di fosse, ognuna sotto una lapide.
Quando si alzò dalla sedia, udì le sue ossa scricchiolare assieme alle gambe di legno di quest’ultima. Sentì forte, in quel momento, il peso della vecchiaia, le sembrava che il suo corpo fosse un po’ più lontano, come se fosse in un sogno e non riuscisse  più a controllarlo come prima.
Non sentì l’erba fresca sfiorarle a tratti la pelle scoperta della caviglie. Non sapeva dire se gli sbuffi di vento sulla sua faccia fossero caldi o freddi. Non fu costretta a socchiudere gli occhi, quando il sole vi si riflesse dentro a forza.
Le voci attorno a lei si fecero ovattate e adesso sentiva solo i suoi passi rimbombare sul prato, mentre raggiungeva quello che era appena diventato un cimitero: una distesa di lapidi bianche punteggiava il parco di Hogwarts, intanto che figure in nero si disperdevano tra queste.
Eileen si trovò per la quarta volta la strada sbarrata da una donna con una di quelle stramaledette liste in mano.
-Prego?-
Eileen strinse gli occhi in due fessure, non le rispose e proseguì.
La donna non desistette.
-Signora, vuole gentilmente dirmi il suo nome? Chi sta cercando?-
-Faccio da sola, grazie – disse, in quello che era un ringhio.
-Lasci che la aiuti- continuò a inseguirla.
-Lasci che la mandi al diavolo, grazie- abbozzò un sorriso tirato, arricciando le labbra proprio come suo figlio.
La donna rimase lì, basita dalla risposta, e finalmente si arrese.
 
Eileen lo trovò da sola quello che stava cercando.
Suo figlio era sotto una lapide uguale alle altre.
La vecchia donna si avvicinò quasi zoppicando e, prima di mettere piede sulla parte di terreno appena smosso, si fermò.
-Ciao- disse e provò un forte desiderio di abbracciarlo. Ma di abbracciare cosa? Una pietra?
Rinunciò presto al pensiero di sedersi per terra, così fece apparire uno sgabello e vi si poggiò sopra.
Fisso per un attimo la lapide, poi si protese in avanti e avvicinò la mano, strisciando con le dita, seguì  il solco sulla pietra che tracciava il nome di suo figlio. La mano tremava, la vista era opaca e per un attimo non vide nulla, sentì solo la pietra sotto le sue dita.
Sopra quella scritta c’era una foto. Era abbastanza recente, Severus era in piedi e aveva la sua solita espressione impassibile. Eileen la conosceva bene e aveva imparato ad interpretarla. Ma perché avevano messo una foto in cui era così triste?
Si disse che non andava bene, così prese la borsa e vi frugò dentro. Alla fine da questa tirò fuori una foto, era vecchia, strappata e ingiallita, ma era perfetta.
Eileen la sostituì.
Ora il viso di quella lapide era un bambino, era piccolo, avrà avuto tre anni, non di più, e stava in braccio a sua madre, che vorticava, mentre lui rideva e si protendeva verso chi stava scattando quella fotografia.
-Almeno questo ricorderà a chi passerà di qui che adesso sei felice e che un tempo lo eri anche qui con noi-
-Già. Sono d’accordo- disse una voce alle sue spalle.
Eileen non ebbe bisogno di voltarsi per capire a cui appartenesse.
-Che cosa ci fai qui?-
Tobia si fece più vicino.
-Sono venuto a salutare mio figlio-
-Lasciaci in pace – disse Eileen, mentre ora sembrava fissare quasi con insistenza quella foto sulla pietra.
-Non mi concederai nemmeno questo?- disse Tobias, era stanco, credo.
-Perché dovrebbe esserti concesso qualcosa? Quando mai ti è importato niente di lui?-  ma la voce le si era abbassata sulla fine, quando si era girata e si era resa conto che anche Tobias sembrava essere diventato più vecchio nell’arco di una giornata.
-Hai ragione, Eileen. Non sono mai stato un padre, né pretendo di volerlo essere adesso. Non sono venuto in cerca di seconde possibilità, so che non si può tornare indietro. Volevo solo chiedergli scusa-
Eileen non rispose, ma tornò a guardare la lapide.
-Un…un ragazzo…vendendo qui, ma ha dato questo…- continuò lui, da una delle tasche della sua giacca cacciò fuori una fiala – Sono ricordi – disse, tendendoli a lei – I ricordi di tuoi figlio-
Eileen fissò quella fiala, poi guardò per un attimo il suo ex-marito e  la prese.
-Ha detto che era più giusto che li tenessi io. Invece io credo che sia più giusto che li tenga tu-
La donna si strinse al petto quell’esile contenitore di vetro e sentì la vita di suo figlio pulsare tra le sue mani.
-Va bene…io vado…- disse Tobias, rauco e si avviò, le mani in tasca, il capo chino, il terreno che scricchiolava sotto i suoi piedi.
-Aspetta- gridò Eileen.
L’uomo si arrestò.
-Rimani-
Tobias tornò indietro, mentre la vecchia signora si alzava dallo sgabello.
Eileen si avvicinò un poco e lo abbracciò. Non c’era nulla di romantico in quell’abbraccio, la donna stava solo abbracciando la persona più simile a suo figlio in quel momento. Tobias aveva esattamente il suo odore.
Dall’altro lato, con la faccia rivolta verso la bianca pietra, Tobias piangeva.
Il tre maggio era una splendida giornata di sole, la natura era più rigogliosa che mai.
Il tre maggio la terra era più leggera, molte persone erano volate via.
Il tre maggio era tutto più buio per centinaia di famiglie, che non riuscivano a vedere quanto sole ci fosse in realtà.
La natura se ne frega di quello che succede sulla terra, delle faccende degli uomini, lei prosegue il suo corso, perché lei sa che niente finisce, che le stagioni ritornano, che la vita continua, anche se tu non la vedi.

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