Vetri

di Haruakira
(/viewuser.php?uid=98001)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Cocci infranti ***
Capitolo 2: *** 2. Santuario ***
Capitolo 3: *** 3. Rosso ***
Capitolo 4: *** 4. Dolore ***
Capitolo 5: *** 5. La mossa di Hades ***
Capitolo 6: *** 6. Via le lacrime ***
Capitolo 7: *** 7. Alcesti ***
Capitolo 8: *** 8. La busta ***
Capitolo 9: *** 9. Il responso della Pizia ***
Capitolo 10: *** 10. Il passato è sulla porta di casa . Il futuro è in arrivo. ***
Capitolo 11: *** 10. Voglio chiamarti Cheiron ***
Capitolo 12: *** 12. Dov' è finita Antares? ***
Capitolo 13: *** 13. Confessioni e vie di fuga ***
Capitolo 14: *** 14. Conoscersi ***
Capitolo 15: *** 15. Confidenze ***



Capitolo 1
*** 1. Cocci infranti ***


c. 1
Capitolo 1
Cocci infranti

Ora del...

Ora del...
Ora.

Zac.
Un taglio di forbici e anche l' ultima ciocca rossa era andata ad aggiungersi alle altre nel lavello.
Un ammasso di capelli rossi tagliati.
Antares aveva scosso i capelli ora corti e aveva osservato quelli tagliati nel lavabo.
Aveva voglia di vomitare. Sembravano un mare di sangue.
Come un automa si spostò verso la vasca e preparò la tintura nera.

Febe era andata all' università. La sua era la facoltà di scienze della formazione. L' area universitaria non distava tanto dal loro appartamento tuttavia il suo edificio era il più lontano, in fondo al viale alberato dell' univerisità. Per arrivarci doveva passare davanti a tutti gli altri. O quasi. Le  segreterie, Giurisprudenza, Lettere, Ingegneria... Medicina.
Medicina, ripetè nella sua testa mentre portava istintivamente le mani alla pancia gonfia.
Ora del...
Ora del...
Ora del...
No!-
Scosse la testa per scacciare quel ricordo. Si accarezzò ancora il ventre, protettiva- Ti proteggerò piccola mia- sussurrò a voce bassa mentre gli occhi si arrossavano.
Arrivò alla sede dell' esame. I colleghi la squadrarono da capo a piedi. Il professore posò un attimo lo sguardo sul pancione gonfio. Ma fu un attimo. Lo distolse subito e fece finta di niente. Ma era quasi imbarazzato.
Una professoressa anzianotta lì accanto la guardò con cipiglio severo e alzò gli occhi al cielo sbuffando prima di dedicarsi al candidato che le era davanti.

Talia non tornava a casa da due giorni. Fece il suo ingresso sbattendo contro il mobile accanto al portoncino e rompendo il vaso che si riversò in mille pezzi sul pavimento insieme ai fiori appassiti. Febe di solito si ricordava di cambiarli, ma questa volta non lo aveva fatto.
Antares corse nel corridoio e accese la luce, poco dopo la raggiunse l' altra ragazza tenendosi il pancione e camminando di tutta fretta.
Talia stava cercando di rimettersi in piedi sulle gambe malferme. Il vestito pieno di brillantini che indossava non riusciva a coprire neppure un quarto della coscia, il trucco pesante era sbavato in più punti, i capelli biondi, di norma lisci, e che dovevano essere stati arricciati da un poco, erano solo una massa sfibrata e arruffata.
Antares guardava la bionda alzarsi e cadere sui tacchi neri troppo alti. Era ubriaca fradicia. Non aveva la sua pietà, non aveva la sua comprensione. Gli occhi nocciola della ragazza -anche i suoi capelli non erano più gli stessi. Erano corti, erano neri- la osservavano indifferenti attraverso le palpebre semiabbassate, le braccia erano incrociate sul petto.
-Cazzo!- gridò Talia dopo l' ennesima caduta sui fiori e sui cocci che le avevano ferito le gambe. La voce isterica.- Aiutatemi!
Febe era rimasta dietro Antares. Sentiva gli occhi gonfiarsi.
"Ho scordato di cambiare i fiori", pensò.
Portò le mani alla pancia -di nuovo- e i piedi scalzi avanzarono di un paio di passi. Antares    allungò il braccio bloccandole il passo.
-Alzati da sola- affermò gelida alzando i tacchi.
Antares aveva sorriso alla mora del trio, Febe, prendendole il braccio:- Andiamo- la incitò soffice.
Talia rimase immobile nel corridoio. Si tolse prima uno stivale, poi l' altro e si rimise finalmente in piedi. Appoggiò una delle mani contro la parete e con gli occhi offuscati dal dolore e la mente dall' alcool si diresse in camera sua attenta a non passare sui cocci.
Ora del...
Ora del...
Ora. Del.

Antares aveva avuto capelli rossi, lunghi e lisci. Ora erano corti e neri. Aveva voluto dare un taglio a un passato non ben definito, aveva voluto scacciare quel rosso che sembrava riempirle anche il palato del sapore metallico del sangue. Del suo puzzo.
Febe le aveva chiesto perchè.
-Avevo voglia di cambiare- si giustificò.
Febe aspettava un figlio o forse una figlia. Insomma, lo aspettava e lei, Antares, lei che era stata sempre molto protettiva con tutte, fingeva che tutto andasse bene.
Febe era la più fragile tra loro, era quella che anche fisicamente stimolava un senso di protezione, di debolezza. I capelli neri erano leggermente ondulati e incorniciavano un viso leggermente paffuto, gli occhi erano scuri ma dolci. Febe era bassa di statura, era la più bassa. Era minuta e piccolina. Era tutta piccola e Antares si domandava come potesse trascinare un pancione così grosso.
Ma questo non aveva importanza. Importava piuttosto che lei stesse bene e non si preoccupasse.
Talia entrò nella cucina stiracchiandosi e sbadigliando. Prese il latte dal frigo e si sedette con loro versansolo nel bicchiere.
"Non ha fatto nemmeno lo sforzo di riscaldarlo", si disse Antares.
La ragazza notò ancora una volta i capelli arruffati -ancora non li aveva pettinati-, il trucco lavato via velocemente e i segni rossi sul corpo. Strinse il pugno e chiuse gli occhi respirando a fondo.
Antares pensava che Talia stesse sbagliando e che con il suo comportamento avrebbe fatto preoccupare Febe. E che si stava distruggendo. E distruggeva loro di più. Era egoista.
Talia pensava che Antares non poteva proteggere tutte. E non c' era riuscita infatti e che forse la ormai ex rossa iniziava ad odiarla. Antares la odiava perchè non si sforzava di capirla, la odiava perchè non la riteneva all' altezza di sopportare anche i suoi più intimi crucci, perchè lei lo sapeva che anche Antares, come tutte loro, li aveva.
Febe pensava che ormai loro erano solo i cocci di un vaso rotto come quello che ancora era a terra all' ingresso. Pensava che Antares aveva dei seri problemi e fingeva che in realtà tutto andasse bene, pensava che anche Talia avesse dei seri problemi e li nascondeva poco e male.
La giovane si accarezzò ancora la pancia sospirando.
C' erano delle parole che aleggiavano sulle loro teste, dei fatti che le stavano colpendo lentamente come una spada di Damocle. Ma loro non erano in grado di reagire.

Ora del decesso, 4:42.

Talia si era aggrappata alla vetrata che le separava da Sophia. Non sentivano nulla. Con gli occhi sgranati aveva visto un' infermiera fare cenno di no con il capo, il dottore guardare l' orologio a aprete, aveva letto sulle labbra del medico ripetendo inconsciamente le sue stesse maledette parole.
Ora del decesso, 4:42.
Aveva urlato dando dei pugni alla parete trasparente. Aveva urlato.
Febe le era accanto, lei non aveva letto il labiale. Aveva sentito la voce bassa di Talia, un sussurro.
Ora del decesso 4:42.
Si era spostata indietro non appena Febe aveva iniziato a colpire la vetrata. Il primo istinto era stata la paura per la sua bambina, quello contemporaneo le lacrime pizzicare gli occhi e uscire come un fiume in piena senza fermarsi mai, aveva aperto la bocca per dire qualcosa ma stava solo singhiozzando. Il nome di Sophia non usciva.
Antares aveva i pugni stretti in quel momento e stava urlando a un infermiere di farla entrare. Non aveva capito subito cosa era successo. Si era girata non appena aveva sentito Talia urlare, l' aveva vista sbattere le mani contro la vetrata trasparente mentre Febe si allontanava e piangeva -no, quello era pià che piangere-
Era corsa da loro in tempo per vedere un medico coprire il corpo di Sophia.
Era rimasta immobile, incredula, aveva sentito solo il cuore accartocciarsi su sè stesso, un pugno portato alla bocca per potervi affondare i denti e non urlare. Le lacrime scendevano.




_________________________________________________________________________________________
PREMESSE E NOTE VARIE.
Salve a tutti,
Questa storia si propone di essere un seguito di Rinascere. Per chi avesse letto Rinascere, alcune mie storie e il primo capitolo di questa noterà immediatamente che c' è una differenza abissale di stile e contenuti. Rinascere è ancora molto informe e infantile e io stessa me ne rendo conto. Avevo detto che mi sarei dedicata a un seguito solo dopo averla rivista o forse sarebbe meglio dire riscritta completamente, sfortunatamente questo tempo non ce l' ho, in compenso sono parecchio ispirata. Ammetto di avere una certa avversione per i nuovi personaggi, persino per i miei, tuttavia amo confrontarmi con me stessa. Non creerò personagi belli e perfetti, anzi, a volte magari li odieremo, voglio -ma è difficile, è una sfida per quanto impossibile- crearli molto umani. In tutti i casi non aspettatevi storie romantiche o robe da Harmony perchè non è nel mio stile. In questa storia ammetto io stessa che un paio di storie d' amore etero saranno presenti così come lo shonen-ai visto che è quello che scrivo di norma, però saranno storie particolari - o almeno spero- nel senso che io amo ciò che è ambiguo, che non è semplice a livello psicologico per così dire, amo il confronto anche conflittuale tra i personaggi, analizzarne i rapporti privilegiando anche e soprattutto quelli d' amicizia, dunque non vi aspettate storie d' amore a tutto spiano. Questa, vi avviso, è una storia pilota, una prova, infatti avendo poco tempo a disposizione la posterò solo sulla basa di un eventuale gradimento. Non mi piace scrivere solo per me, dal momento in cui un autore -scribacchina nel mio caso- scrive, lo fa per far leggere la storia e per ricevere pareri e critiche positive e non, per migliorarsi, per confrontarsi e perchè no, per sentirsi un pochino soddisfatto se una storia va a segno. Questi sono solo alcuni motivi perchè non sopporto il facile clic su mi piace/preferite/ricordate.  La storia sarà postata anceh tra gli originali ovviamente con tutta una serie di cambiamenti significativi, ma certi capitoli, il primo ad esempio, rimarrano uguali.

DISCLAIMER: I personaggi di Saint Seiya non mi appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Santuario ***


c. 2
PREMESSA: Come qualcuno di voi saprà inizialmente questa ff aveva raiting rosso. Ho deciso di abbassarlo ad arancione perchè non mi sembrava giusto che chi avesse letto Rinascere non potesse eventualmente seguirne il seguito qualora lo volesse. Un avvertimento è comunque doveroso. Le tematiche trattate saranno diverse rispetto a Rianscere, saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a tutti. Violenza, depressione ecc... sono solo un paio di esempi. Ovviamente cercherò di trattare il tutto in maniera più delicata possibile tentando di adattarlo al raiting scelto, cosa assai difficile avendo deciso di seguire completamente l' ispirazione. Metto perciò le mani avanti. Io vi ho avvertiti. Vi prego di chiudere la pagina e di non leggere se la cosa non vi va bene. Confido nel vostro buon senso. Non voglio rotture di scatole. Ho finito.
__________________________________________________________________________________________


Capitolo 2

Santuario

Death Mask di Cancer camminava avanti e indietro lungo l' ingresso della casa. Si rammaricò alla vista delle pareti spoglie. Non un misero urlo, non un lamento, non una faccia dagli occhi terrorizzati che lo fissava al suo passaggio.
Ancora non aveva digerito la storia dell' Atena Exclamation in casa sua. C' erano molto cose che in realtà non aveva mandato giù. Sbuffando si tolse l' armatura i cui pezzi caddero malamente a terra.
-Cazzo- soffiò senza troppa convinzione. Era troppo nervoso. Andò in cucina e iniziò a cucinare.
Quando Aphrodite dei Pesci entrò nel quarto palazzo sentì un profumino invitante provenire dalle sue cucine. Non era un buon segno, non alle tre del pomeriggio almeno. Death Mask quando era nervoso -tanto nervoso- iniziava a cucinare più di quanto potesse fare in un mese intero Aldebaran del Toro.
-Death- lo salutò accomodandosi su di una sedia e accavallando le gambe con grazia.
L' altro grugnì quello che doveva essere un saluto.
-Offrimi qualcosa- disse Aphrodite contemplando le spalle dell' uomo.
Cancer gli mise sotto il naso una tazza di tè e dei dolcetti appena sfornati mentre l' altro cavaliere dovette trattenere una risata. In quei momenti il suo compagno sembrava una specie di casalinga isterica.
Death Mask si sedette con malgrazia di fronte all' altro, le braccia incrociate e il viso imbronciato come un bambino che aveva ricevuto un affronto terribile. Lo sguardo vagò per un momento su un cassetto della cucina.
-Ti manca Sophia?- domandò Dite agguantando un docetto al cioccolato e col tono di chi stà parlando del tempo.
-Non dire cazzate- biascicò l' altro.
-Non mi sembri molto convinto.
-Non è che mi manca. E' che...- era difficile dirlo, non voleva che un presentimento reale fosse scambiato per una semplice preoccupazione dettata dalla lontananza. Quando mai lui aveva provato certi sentimenti?- ho una sgradevole sensazione- finì lentamente come se quelle parole pesassero come sassi.
Death Mask dovette ammettere con se stesso che da quando quella pustola se ne era andata le sue giornate si erano fatte più silenziose. Non che Sophia fosse rumorosa o troppo loquace, al contrario, era sempre posata e schifosamente gentile, studiosa e piena di progetti. Però gli piaceva stuzzicarla, prenderla in giro, trovarsi i libri sparsi ovunque per il palazzo, sedersici sopra senza rendersene conto. Alla fine aveva concluso che non era tanto male avere un' allieva da spedire ogni tanto all' Inferno. Quando se ne era andata aveva conservato un libro e un evidenziatore in un cassetto della cucina e non lo aveva più aperto. Gli era mancata un pochino, giusto perchè per forza di cose si era dovuto abituare alla sua presenza quando lei e quelle schizzate delle sue compagne avevano messo sottosopra il Grande Tempio ma era un sentimento che era duranto una, forse due settimane, nulla di più.
Poi un paio di mesi prima c' era stato il cambiamento. Si era svegliato di soprassalto nel letto di Dite, un rumore reale e assordante, troppo vicino alle orecchie lo aveva irritato, gli aveva dato una specie di senso di vuoto. Aveva sentito -aveva visto annaspando nel buio- un filo spesso e lucente  tagliato da un paio di forbici. Il filo non era sottile e le forbici avevano dovuto fare una pressione maggiore per dividerlo. E lui aveva sentito quella pressione e quella forza sulla pelle.
Poi tutto era finito.
Aveva guardato la sveglia sul comodino. Segnava le 4:42.

Gli abitanti del Tempio avevano vissuto pochi mesi prima un' avventura molto particolare. Quattro ragazzine quasi diciottenni gli erano capitate tra capo e collo cadendogli addosso dal cielo -nel senso vero del termine-
Si erano presentate come senshi, come le eredi dei pianeti interni del Sistema Solare, figlie di quelle guerriere leggendarie che combattevano con una divisa alla marinaretta.
C' era Sophia, la saggezza, rappresentante di Mercurio, con boccoli di un tenue castano che incorniciavano il viso fino al collo e dagli occhi dello stesso colore, pacata e gentile. Studiosa come lo era stata la madre.
C' era Talia, la forza prorompente dell' amore di Venere che era il suo pianeta. Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi e scuri simili a quelli di Minako, esuberante e ottimista come lei.
C' era Febe che della passione un giorno avrebbe fatto il suo credo, figlia del pianeta rosso del sistema solare e diversa nel carattere dalla madre Rei. Aveva preso solo il colore scuro dei capelli dalla donna, non altro, essendo piuttosto minuta e assai buona e timida di carattere.
Infine c' era Antares, figlia dei sovrani di Giove, sorella di Camus di Aquarius e tanto simile a lui nell' aspetto e nel carattere severo e composto che si ammorbidiva solo nei confronti delle amiche, di Milo e del fratello che venerava come fosse un dio.
Non era la loro epoca, avevano detto. Erano venute dal futuro ancora bambine, insieme al piccoletto che una volta uomo sarebbe stato il cavaliere dell' undicesima casa, per scappare da un attacco nemico e non potevano farvi ritorno se non dopo un ciclo di morte e rinascita. Attaccate dal Caos perchè insieme erano Cosmos, perchè insieme erano acqua, terra, fuoco e aria, garanti dell' equilibrio nel Sistema.
Alla fine il Caos lo avevano affrontato comunque. Alla fine avevano dovuto chiedere il perdono di Atena che Antares aveva odiato con tutta sè stessa, alla fine erano tornate alle proprie vite. Sailor Pluto aveva detto loro che i ricordi di quel periodo sarebbero stati cancellati per garantire la loro incolumità ma Talia, una volta sull' autobus che le avrebbe portate a casa, aveva messo nelle mani delle amiche una foto e quattro lettere.
-Qui c' è la nostra storia. C' è l' avventura di questi mesi- aveva spiegato.
Ovviamente questa parte della storia era sconosciuta ai santi del Santuario.
Alla fine quelle lettere erano state dimenticate e così quell' avventura.
Nel Tempio qualcuno si ricordava ancora di loro. Erano state buone amiche, valide combattenti, pessime allieve, erano infine un ricordo piacevole, un caro affetto che ogni tanto faceva capolino nella mente. La vita al Santuario procedeva tranquilla e tranquillo era l' animo dei suoi abitanti come era giusto che fosse.
Pochi erano i cavalieri che maggiormente soffrivano di quella mancanza.
Eppure qualche traccia del loro turbolento e al tempo stesso discreto passaggio era rimasta.
C' era il libro che Cancer conservava nel cassetto in cucina.
C' era la musica che si espandeva per tutta la settima casa quando Doko di Libra metteva su un dvd di aerobica e indossava la tuta comprata insieme a Talia.
C' era un quaderno di ricette che Aldebaran e Febe avevano scritto a quattro mani.
C' era un pendente verde che era la metà di un altro al collo del cavaliere di Aquarius.
C' erano dei disegni posati su una scrivania in una delle stanze dell' undicesimo tempio.
C' era una tuta d' aerobica in un angolo nascosto nell' armadio del cavaliere di Virgo.
C' erano dei ricordi martellanti nella mente di alcuni.

Saga di Gemini aveva mantenuto quel suo contegno severo a cui si era però andato ad aggiungere un malcelato disprezzo per qualcosa o qualcuno e una rabbia che carpiva i suoi pensieri sempre più spesso. Si sentiva una bestia ingabbiata e odiava sè stesso per gli sciocchi sentimenti che non riusciva a controllare. Saga di Gemini odiava le emozioni. Le odiava perchè lo indebolivano e lui che era un guerriero non poteva permettersi di essere un debole. In ciò era molto simile al gelido Camus dell' Aquario, il signore delle energie fredde che in realtà temeva i sentimenti poichè erano per lui qualcosa di impossibile da controllare, un qualcosa che sfuggiva all' umana comprensione e per lui ciò era inammissibile, lui che tutto tentava di capire e di spiegare al lume della ragione. Alla fine si era rassegnato a qualche emozione, poche a dire il vero, costanti come martelli pneumatici. Tra queste, quella principe che sovrana regnava aveva il nome di Milo di Scorpio.
Saga si dava dell' idiota perchè aveva perso la testa per una ragazzina. Si diceva che era prestino per avere una crisi di mezz' età e correre dietro alle minigonne. Si dava dell' idiota dunque e fingeva che nulla fosse accaduto, che nulla lo turbasse.
Questo almeno durante il giorno.
Quando calava la notte il saint si dirigeva tra le strade dell' Atene moderna, girando pub e locali e spendendo le sue ore in compagnia di qualche bella donna. E se proprio non poteva, il suo letto si concedeva il peso leggero di qualche ancella. Saga faceva sesso con donne ogni notte diverse. Bionde, brune, castane... rosse. Ma ancora non era riuscito a trovare il rosso che cercava.
 Quello ce l' avevano solo Camus di Aquarius e una ragazzina indisponente.
Saga baciava una donna, la penetrava in maniera quasi selvaggia, la sentiva gemere, urlare il suo nome estasiata e traduceva quella voce in un altra ben diversa, dura e tagliente.
Immaginava che a gridare il suo nome fosse Antares. Lo poteva sentire nelle orecchie.
Immaginava che il corpo con cui venivano a contatto le sue mani e le sue gambe fosse il suo.
Immaginava di fare sesso - o l' amore, questo ancora non lo aveva capito- con lei.
Poi la notte cedeva il passo alla luce del giorno e Saga di Gemini appariva un irreprensibile cavaliere.  In realtà il nervosismo costante, l' aria accigliata, gli allenamenti massacranti sembravano volergli urlare che sì, qualcosa era cambiato e che lui quel qualcosa non lo aveva accettato. Ma Saga non voleva sentire. Neache quando vedeva i capelli rossi di Camus, nemmeno quando evitava i suoi occhi nocciola perchè gli sembrava di avere davanti un' altra persona. Una persona che amava e odiava al tempo stesso, che lo sfidava e che era irriverente e testarda. Una persona che in fondo aveva respinto lui stesso.
Saga si era ritrovato a compatire Shura più che sè stesso.
Forse perchè Febe era diversa da Antares. Forse perchè Febe sembrava un angelo e deve essere brutto perdere un angelo.
In realtà Shra di Capricorn era un uomo di grande forza e insieme di grande fragilità. Aveva sopportato con l' onore di un guerriero una colpa gravosa, la più dura per l' animo, di saint e di amico insieme poichè aveva tentato di uccidere un' Atena ancora in fasce e aveva ucciso il suo amico Aiolos di Sagitter, sebbene la sua mente in quei momenti non gli appartenesse.
Era stata dura manipolare la mente del Capricorno, dovette riconoscere Saga.
Ora quel santo portava nell' animo un ulteriore peso.
Shura non era come Saga che cercava di non vedere quei ricordi. Anzi, amava trastullarsi in quel pensiero dolce e amaro, amava ricordare quella ragazzina che aveva ritenuto prima alla stregua di una sorella minore, solo poi amante e compagna. L' unica. L' unica che con la sua dolcezza timida e discreta rendeva meno spigoloso e solitario il suo carattere.
Faceva male pensare a lei ma allo stesso tempo doveva farlo per non dimenticare i tratti del suo viso, perchè aveva deciso di restare fedele a quell' unico amore.
Shura si sedette e sprofondò nella poltrona coprendosi le mani con il viso.
E' un' ossessione.
Si può morire di un' ossessione?

Avrebbe voluto mandare a quel paese il contegno di saint e la tempra di guerriero che per carattere o per necessità si era ritrovato cucita addosso e urlare, urlare, urlare.
Lo sentiva ogni volta che il cuore iniziava a battere più forte, ogni volta che iniziava a rallentare piano piano e stringersi su sè stesso, ogni volta che la testa iniziava a pulsare e la bocca diventava amara.
Questo è il sapore dell' ossessione. E' dolce e amara e poi infine diventa aspra e sembra acido che vuole bruciarti dall' interno.
Il buon senso e i suoi amici gli dicevano che doveva sbattere fuori a calci nel culo quell' ossessione ma la lui non voleva. La sua forza di volontà non ne era in grado. Si rifiutava proprio di mettersi all' opera e allora Shura se ne stava lì tra l' arena e le quattro mura della sua casa a grugnire come un orso.
Death Mask entrò sbattendo la porta e accovacciandosi senza tante cerimonie sul divano di fronte a lui, Shura sollevo il capo guardando con un velo di stupore l' amico. Non era da lui essere così silenzioso.
Rimasero così a fissarsi per un tempo indefinito. Non ha litigao con Phro, pensò Shura, altrimenti avrebbe vomitato immediatamente una sequela di insulti all' indirizzo dell' altro.
-Shura- iniziò l' ospite- guardandolo serio- non pensi mai di farti una bella scopata?
Il ragazzo lo guardò interdetto. Come si permetteva quel cretino di dire una cosa del genere? E infangare così il suo amore e il nome di Febe? Stava per rispondere a tono quando l' altro continuò:-
Ti comporti come un vedovo, pezzo di coglione. Quella ragazzina non è mica finita all' altro mondo. Lei stà vivendo, magari sbattendosene di te. Ti ha dimenticato. Quella tizia con la minigonna...
-Sailor Pluto- lo corresse indispettito l' altro
-Sì quella... l' hai sentita no? Si sarebbero scordate tutto. Quindi smettila di fare la parte del morto vivente. Mi girano le palle.
Shura pensò che effettivamente Cancer aveva ragione. Certo, i suoi modi non erano proprio delicati e non riusciva a capire come quella mattina si fosse preso il pensiero di farsi i fatti suoi. Ma aveva ragione, però rispose semplicemente:- No. Non rompere e lasciami fare il morto vivente.
Il ragazzo di fronte a lui sbuffò contrariato, voleva aggiungere ancora qualcosa ma non lo fece. Si diresse in camera dell' altro ricomparendo con una maglietta e dei pantaloni.
-Ti sei lavato?- domandò
-Ma certo!
-Vestiti allora. Ti aspetto a casa mia. Ho cucinato.
Shura non pensava che alla quarta casa avrebbe trovato tutti i gold. Eppure così sembrava. All' appello erano presenti anche alcuni silver saint. Mancavano solo i bronze e Atena, al momento in Giappone.
Trovò un tavolo imbandito con leccornie di ogni tipo e nazionalità, qualche festone in giro per la sala e la musica altissima che gli spaccava i timpani.
Visto quello spettacolo indegno fece dietrofront verso l' uscita ma venne bloccato da Aphrodite.
-Hombre... dove vai?
-Me ne torno a casa.
-Death non la prenderebbe bene- il sorriso canzonatorio sul viso di Pisces si spense all' improvviso. Trattenne l' altro per un braccio- resta Shura, ci sono tutti.
- Non mi aveva detto che c' era una festa.
-Forse non lo sapeva nemmeno lui fino a un paio di ore fa. Non credo che lo sapesse mentre preparava tutto questo cibo in cucina. Shura rimani- ribadì- te lo chiedo come amico. Lo sai che Death non ama il casino in casa sua.
-In quella degli altri- sorrise Capricorn pensando a quanto l' amico amasse andare a scrocco.
-Credo che voglia esorcizzare qualcosa. O qualcuno- terminò alzando lo sguardo verso il padrone di casa intendo a ballare in mezzo alla stanza.
Shura acconsentì alla richiesta, stanco di fare domande e si diresse in un angolino da Aiolos, Camus, Mu e Shaka, apparentemente i più calmi.
Una volta arrivato osservò Camus assorto a contemplare qualcosa. Fece vagare lo sguardo nella stessa direzione di quella del compagno d' armi e iniziò a ridacchiare.
-Lascia quel panino, dannato artropode!- berciò Kanon con una forchettina infilazata nel detto panino che gaiceva solitario su di un vassoio.
-Giammai!- fu la veemente risposta di Scorpio mentre con la sua forchetta spingeva l' agognata leccornia verso di sè
-L' ho visto prima io!
-Menti! E' mio!
-Ragazzi- intervenne Aldebaran con un largo sorriso- se permettete...
Sfilò l' oggetto del contendere dalla presa dei due con grazia felina e collaudata e se lo pappò sotto lo sguardo allibito dei due e quello divertito del gruppetto che osservava la scena. Poi il gold di Taurus spostò la sua attenzione su alcuni involtini lì accanto.
Dopo un attimo di smarrimento Milo puntò un' altra solitaria leccornia:- A-ah- fece passandosi la lingua sulle labbra- mio!- urlò mentre Kanon gli si gettava alle calcagna urlando qualcosa del tipo " E' mio, pezzo di scimmione"

Dopo qualche ora di festa e bagordi Saga di Gemini era ormai giunto tra le braccia di  Bacco e con passo malfermo e ostentando una risata sguaiata si diresse verso Camus
-Pinguino...- iniziò afferrando una ciocca di capelli rossicci e fissandola attentamente- pinguino- ripetè Saga rimanendo un momento in silenzio prima di iniziare a fissarlo in maniera insistente. Poi, senza sapere nè come nè perchè, Camus si ritrovò le braccia di Saga intorno alla vita e la lingua che insistente cercava di insinuarsi nella sua bocca.
Saga fu spinto bruscamente lontano dal saint di Aquarius visibilmente indignato mentre un Milo rosso di rabbia corse verso i due.
-Scommetto... scommetto che non te la cavi male tra le lenzuola- biasciò il saint della terza casa
-Testa di cazzo- sbraitò Milo afferrandogli la camicia- giuro che ti spaccco il culo. Ti ammazzo!
-Milo lascialo- intervenne Kanon cercando di staccare le chele dello Scorpione dal petto di suo fratello- lascialo. Ora lo porto a casa.
-Milo- Camus gli si fece accanto prendendogli i polsi- non è in sè- spiegò.
-Andate tutti al diavolo- si congedò Saga seguito a ruota da Kanon.
Il minore dei gemelli riuscì con fatica a portare l' altro a casa, lo fece stendere sul letto e si accomodò sulla sedia accanto.
-Mi tieni d' occhio- affermò ridacchiando il maggiore
-Sì- fu la limpida risposta di un Kanon accigliato
-Vieni qui- lo pregò stancamente l'altro- vieni. Stenditi e dormiamo insieme. Come quando eravamo piccoli.
L' altro sbuffò acconsentendo al desiderio del fratello. Si ritrovarono faccia a faccia come se si stessero preparando a una lunga conversazione.
-Non voglio che tu veda quel coso infernale- iniziò Saga, la bocca che ancora puzzava di alcool
-Rhadamantys. Non dobbiamo temerlo. Ci ha aiutato durante la scorsa battaglia
-Me ne fotto! Non voglio, non voglio, non voglio.
-Saga- sospirò l' altro
-Mi sento solo- lo interruppe  sospirando- lo sai? Io ti voglio bene. E' normale, sei mio fratello. Lo sai- ripetè con fare assorto- credo di essermi innamorato di lei. Però, però... voglio più bene a te
-E' un amore diverso. Siamo gemelli- spiegò l' altro
-Sì, ma io- sbadigliò Saga prima di chiudere gli occhi- voglio più bene a te.
Anche io.
Idiota, sembri un poppante.
- pensò il ragazzo sorridendo nell' osservare quel volto identico al suo, quel carattere così diverso e di norma dignitoso e severo. Ora Saga sembrava solo un bambino un poco solo, un poco capriccioso. Kanon sapeva che il fratello gli voleva bene ma effettivamente se lo dicevano assai raramente quasi che fosse una scomoda confessione, però quelle parole, dettate più probabilmente dai fumi dell' alcool che da altro, lo avevano reso felice in un certo senso.
Non avrebbe dovuto essere felice per una cosa del genere, si ammonì.




---------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: Lo so, ora dopo questo capitolo mi ucciderete. Inoltre non è venuto molto bene. Volevo solo dire che risponderò alle recensioni domani, oggi non ho molto tempo, perdonatemi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Rosso ***


3 vetri PREMESSA: Come qualcuno di voi saprà inizialmente questa ff aveva raiting rosso. Ho deciso di abbassarlo ad arancione perchè non mi sembrava giusto che chi avesse letto Rinascere non potesse eventualmente seguirne il seguito qualora lo volesse. Un avvertimento è comunque doveroso. Le tematiche trattate saranno diverse rispetto a Rianscere, saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a tutti. Violenza, depressione ecc... sono solo un paio di esempi. Ovviamente cercherò di trattare il tutto in maniera più delicata possibile tentando di adattarlo al raiting scelto, cosa assai difficile avendo deciso di seguire completamente l' ispirazione. Metto perciò le mani avanti. Io vi ho avvertiti. Vi prego di chiudere la pagina e di non leggere se la cosa non vi va bene. Confido nel vostro buon senso.
_____________________________________________________________________________________



Capitolo 3
Rosso

Febe se lo ripeteva spesso che decisamente no, non si poteva andare avanti così.  Sapeva che prima o poi la situazione sarebbe esplosa. Esplosa davvero, ma certo non avrebbe mai immaginato che Talia tirasse un vaso ad Antares.
Il vaso... pensare che lo avevano appena cambiato.
Talia era rientrata dopo tre o quattro giorni di assenza. Aveva aperto piano la porta dell' ingresso ed era corsa da lei.
-Antares è a casa?- aveva domandato in un sussurro mentre lei rivolgeva la sua attenzione al viso pallido e troppo truccato, ai lividi sulle braccia e sulle gambe. Febe ricordò di avere allungato una mano e con il dito indice aveva fatto un solco leggero sotto l' occhio lasciando una scia che correva verso il basso. Guardò prima il dito sporco di phard e poi il viso dell' amica. Talia si allontanò istintivamente portando le mani al volto.
-Si vede comunque- affermò Febe con la voce che le tremava
-Non so...
-Di che parli, giusto? Si chiama Andrea vero?
-...
-Ti ho sentita piangere al telefono l' altro giorno. Non volevo sentire, è successo.- Febe si avvicinò di qualche passo alla ragazza abbracciandola forte mentre l' altra si lasciava andare in quella stretta e in un pianto liberatorio. Gli occhi rossi e gonfi in verità indicavano che già aveva versato diverse lacrime ma non erano state lacrime di libertà, non quelle che lasciano l' anima più leggera. Talia aveva pianto sì, ma di dolore.
-Dovresti lasciarlo tesoro.
-Litighiamo... è... è normale- singhiozzò Talia
-No che non lo è! Non è normale che lui ti... ti... dannazione... non ci riesco, io non riesco a pronunciare quella parola- sbottò Febe frustrata. Le faceva male il cuore se pensava che Talia stesse passando quell' inferno e non riuscisse a liberarsene.
-Febe...
-Dimmi
-Mi... mi servono dei soldi. Ma non devi dirlo ad Ann.
-Talia... devo sapere a cosa ti servono. Tu lo sai che non ho più contatti con la mia famiglia da quando...- La ragazza lasciò la frase a metà abbassando le mani e gli occhi sul pancione.
-Febe scusami, ti prometto che te li restituirò.
-Non è questo il punto.
-Andrea... gli servono dei soldi... deve darli a dei tizi... io non so bene la situazione. Lui mi ha detto...
Talia ricominciò ancora a piangere e piangere finchè i suoi singhiozzi furono tanto forti da  coprire i rumori discreti alle sue spalle, la porta che si apriva mentre asciugandosi le lacrime chiedeva nuovamente un prestito a Febe e il suo silenzio con Antares.
-Cos' è che non dovrei sapere?- domandò la voce impassibile della ragazza. Febe alzò gli occhi verso la porta mentre Talia si girò con la sgradevole sensazione di essere stata colta a fare qualcosa di male.
-Niente, niente- si affrettò lasciando la stanza.
Quando Talia riemerse dalla sua camera era decisamente di buon umore. Vantava un abito rosso attillato e un rossetto dello stesso colore su una bocca incurvata in un largo sorriso.
-Cos' è- la stuzzicò Antares alzando gli occhi dal giornale- quel delinquente ha risolto i suoi casini?
-Andrea non è un delinquente!- lo difese la bionda a spada tratta
-Ah no? E cos' è di grazia? Gioco d' azzardo, droga... forse prostituzione... sì un tipo proprio pulito.
-Lui non c' entra niente in tutto questo! Vuole uscirne, è stato costretto da della gente che...
-Te ne ha raccontate di cazzate, eh?- chiese Antares alzando un fine sopracciglio avvicinandosi alla ragazza- e tu ci hai creduto- sospirò- Talia, ho fatto fare delle ricerche su di lui.
-Antares!- urlò l' altra indietreggiando lontano da lei- come... come ti sei permessa?
-Guardati, guardati, cazzo! Sembri una puttana!
-Non permetterti! Tu sei solo invidiosa
-Di prenderle da mattina a sera?
-Sei invidiosa perchè non sei bella, perchè nessuno ti vuole. Sei acida, Antares. Scommetto che tra le lenzuola sembri un palo della luce.
-Tu invece te ne intendi ormai no? Sei sempre stata stupida ma adesso hai superato te stessa. Ti sei fatta abbindolare da quell' idiota!
-Invece tu sei un genio vero? Sei un genio. Credi di sapere sempre tutto, di sapere ciò che è meglio per noi. Ma la sai la novità? Tu non sei mia madre, tu non sei nessuno. Vorresti proteggerci... cazzate... non sei nemmeno riuscita a difendere Sophia!
Talia gridò con tutta la forza che aveva. Ormai sembrava impazzita. Febe si era ranicchiata sul divano in lacrime, incapace di agire, di separarle. Chiuse un attimo gli occhi e quando li riaprì vide Antares schiaffeggiare Talia, sentì il rumore della sua mano contro la guancia dell' amica e spalancò gli occhi incredula.
-Puttana! Puttana!- urlava Antares mentre piangeva a dirotto, mentre tutta la forza che aveva nel corpo in quel momento sembrava concentrarsi un unico punto e  raschiare le corde vocali, mentre il carattere duro che ostentava si sgretolava in mille pezzettini troppo piccoli per essere ricomposti- Tu dovevi comprare quel fottutissimo latte! Dovevi esserci tu su quella dannata macchina... - si fermò un attimo scivolando sul pavimento. Le ultime parole furono solo un sussurro- non Sophia.
-Ti odio... Sophia... tu e Sophia siete sempre state così complici. Sempre.- gli occhi di Talia sembravano bruciare d' ira. Si allontanò verso l' ingresso, prese il vaso sul comodino e lo lanciò contro di Antares prima di aprire la porta e sparire.
Era calato il silenzio, la calma irreale dopo ogni guerra che ha già distrutto tutto e non ha più nulla da distruggere, quella dei campi deserti dopo una calamità, un silenzio di piombo di chi non riesce più a parlare eppure avrebbe tante cose da dire, si sentiva solo il pianto sommesso di Febe, la testa poggiata contro il divano e le mani che freneticamente toccavano il pancione. Antares si era alzata - scusa- aveva sussurrato atona prima di chiudersi nella sua stanza e sdraiarsi sul letto con il braccio sinistro che bruciava e macchiava di rosso le lenzuola.

-Cavolo è finito il latte- si lagnò Talia
-Se è per questo il frigo  praticamente è vuoto- aveva fatto notare Febe
-Se è per questo- aveva aggiunto Antares addentando un biscotto- Talia doveva fare la spesa.
-Ann... lo so ma non ho avuto tempo.
-Vai oggi?- chiese Febe- mi servono degli ingredienti per una ricetta
Talia tossicchiò imbarazzata- non posso... oggi al corso di fotografia avremo una lezione piuttosto lunga e...
-Vado io- si offrì Sophia alzandosi da tavola dopo aver ascoltato la conversazione con un sorriso sulle labbra
-Toccava a Talia però- fece notare Antares
-Tu non vuoi mangiare vero Ann?- la prese in giro Sophia- Finisco la lezione pomeridiana e passo dal supermercato.

Antares si era sempre chiesta cosa avesse provato Sophia in quel momento, quando aveva avuto l' incidente.
"Omissione di soccorso" avevano sentenziato gli agenti che si erano occupati del caso.
-Omissione di soccorso- si ripeteva Antares fissando il sangue rapppreso sul braccio.
Era ormai buio quando Sophia era uscita dall' università, la sua lezione era finita tardi e il supermercato più vicino avrebbe chiuso dopo una mezz' ora. Però Antares sapeva che Sophi era prudente, Sophi era saggia e non guidava veloce e agli incroci si fermava e guardava bene prima di passare.
Guardava bene.
Sophi era rimasta in fin di vita al centro di un incrocio e quando l' avevano portata all' ospedale era più morta che viva.

Febe teneva gli occhi spalancati contro il tessuto arancione del divano, la mente era un turbinio soffocante di emozioni grigie e nere. E rosse. Come il sangue, quello che macchiava il braccio di Antares, come quello che aveva visto sul corpo di Sophia. Il telefono squillò all' improvviso, la ragazza guardò l' orologio. Segnava le nove di sera.
Chi poteva chiamare a quell' ora? Fissò gli occhi sul telefono e lo osservò e lo sentì squillare imperioso, portò una mano sulla bocca per trattenere un urlo.
Era stato propriò così quel giorno. A casa c' era solo lei, Antares era sull' autobus di ritorno da una visita ai suoi nella città natale di tutte loro  e Talia si era trattenuta con alcune ragazze del corso.
Il telefono aveva suonato, lei aveva guardato l' orologio sulla parete pensando di non aspettare nessuna chiamata e che le ragazze eventualmente l' avrebbero contattata sul cellulare.
-Pronto?
Una voce asettica e senza toni particolari le comunicava che la sua amica era stata portata d' urgenza all' ospedale. Era rimasta ferma qualche minuto a fissare il telefono, senza dire una parola aveva preso le chiavi e il telefonino ed era andata di corsa in ospedale componendo solo altri due numeri: Talia e Antares.
I genitori di Sophia sarebbero arrivati solo il giorno successivo essendo assenti dal paese. Erano andati in Germania a trovare i genitori del padre. Dopo la morte della figlia avevano deciso di trasferirvisi definitivamente.
Febe si era alzata dal divano- Pronto?-
-Febe... sono Eleni, scusami se ti disturbo ma vorrei chiederti assolutamente per domani alcuni  appunti.
Febe tirò un sospiro di sollievo. Forse avrebbero dovuto staccare il telefono di casa. O forse no. Aveva il terrore quando lo sentiva suonare.

Talia era salita su di una macchina rossa che la aspettava sotto casa, aveva salutato distrattamente il suo ragazzo.
-Ehi bambolina- la apostrofò lui circondandole il collo con un braccio- non mi saluti decentemente?
Talia come un automa fece come le era stato richiesto. La sua bocca puzzava già di alcool. Forse le ragazze avevano ragione, anzi, avevano ragione di sicuro. Talia pensava che Andrea era pericoloso alla guida, andava troppo veloce. Le strade quella sera, un lunedì come tanti altri, erano praticamente deserte. Quando giunsero nei pressi di un incrocio il ragazzo iniziò a ridere forte- ora ci divertiamo- aveva urlato per sovrastare la musica assordante che si espandeva nell' abitacolo mentre premeva sull' accelleratore.
Aveva fatto i successivi tre incroci così, senza fermarsi, senza guardare.
Talia ebbe paura, ebbe tanta paura. Era terrorizzata. Tenne gli occhi fissi sulla strada e le mani artigliate al cruscotto mentre quella stupida musica -sembravano delle urla-  sembrava volerle spaccare i timpani. Per un attimo immaginò l' incidente di Sophia.
Era la paura che rendeva tutto così nitido?
I poliziotti avevano detto che l' auto che aveva distrutto la loro piccola utilitaria doveva venire da destra e a giudicare da come era stata ridotta la macchina doveva essere piuttosto grossa e resistente.
Talia si vide davanti agli occhi Sophia che passava la strada, vide una grossa auto correrle addosso, sentì il frastuono dell' urto, lo stridere dei freni della loro piccola macchina, il pirata che avanzava fino al centro dell' incrocio schiacciando e spingendo Sophia e poi scappare.
Le venne da piangere all' improvviso, urlò il nome di Sophia mentre si copriva gli occhi per non vedere:- Rallenta!
-Sei una rottura di coglioni, Talia- sbuffò il ragazzo esaudendo finalmente il suo desiderio.
Avevano immaginato mille volte quella scena, lei e le ragazze, mille volte ma ora il terrore rendeva tutto più chiaro.

-Se... se quel pirata avesse avvertito i soccorsi, si sarebbe salvata?- aveva chiesto Talia ai poliziotti.
-E' difficile dirlo... i medici dicono che se fosse arrivata prima di certo ci sarebbero state più speranze.

Invece Sophia era rimasta al centro di quello stupido incrocio deserto finchè una coppia non l' aveva vista e aveva avvertito i soccorsi.
C' era un solo testimone. Era il conducente di un camioncino che sul suo tratto di strada, mentre si dirigeva all' incrocio, aveva visto sfrecciargli accanto solo una macchina ammaccata.
Quella era solo una strada periferica, una di quelle strade periferiche e poco frequentate. Talia sapeva che Sophia l' aveva presa solo per fare prima.



***

Camus aveva indossato una tuta e degli occhiali da sole, aveva raccolto i lunghi capelli rossi sotto un cappello largo e si apprestava ad uscire fuori dal tempio. Aveva gironzolato per le strade di Atene guardingo e finalmente era arrivato all' università.
-Ehi Cam...
La voce lo fece sobbalzare, il ragazzo si girò lentamente e si ritrovò di fronte al sorriso soddisfatto di chi aveva colto la sua preda in flagrante.
-Milo?
L' interpellato si tolse gli occhiali da sole e il berretto che indossava per lasciare libera la chioma bionda:- sembriamo due deficienti vestiti così... se non addirittura dei tipi particolarmente sospetti- gli fece notare.
-Già- convenne il rosso abbassando gli occchi a terra- che ci fai qui?- domandò poi con cipiglio
-Ti seguivo, no? E' da un po' che ti comporti in maniera assai... sospetta... e visto che con me non volevi parlarne...
-Mi hai pedinato!
-Mi hai costretto a farlo anche se in realtà immaginavo già qualcosa. Dunque Antares viene a lettere?
-Sì.
-L' hai già vista?
-Un paio di volte... da lontano. E'... cambiata... in peggio, temo. 
Milo era perfettamente consapevole che dopo averla ritrovata a Camus mancasse la sorella. Il suo compagno in fondo per lui era un libro aperto e benchè cercasse di restare impassibile, certi suoi gesti, come quello di andare ogni mattina a dare un' occhiata ai disegni di Antares - quasi per accertarsi che fossero ancora lì- erano assai eloquenti, per non parlare del fatto che in rarissimi momenti, forse un paio nell' arco di diversi mesi, il cavaliere di Aquarius gli aveva chiaramente confessato il suo malessere.
-Credo che mi manchi, sai. E poi mi preoccupa, odio il fatto di non sapere se stia bene o meno. E' mia sorella... è normale non è vero?
-Sì Cam, è normale provare delle emozioni. Specie verso chi si vuole bene.
-Passerà. Prima o poi la smetterò di fare così
-Non è un crimine
-Lo so. Ma fa male. Milo- chiamò dopo qualche minuto- se non potessi più vederti... credo che ti cercherei.
-Io sono qui, Cam.
-Sì, ma sei la persona più importante della mia vita. Anche Antares... però lei ha una vita, come posso dire, che non deve dipendere dalla mia, mentre io e te...
Milo sorrise e lo abbracciò ispirando a fondo il profumo dei suoi capelli:- Noi siamo intrecciati, legati, dipendenti l' uno dall' altro Camus.- concluse al suo posto conscio di quanto fosse difficile per il suo ragazzo esternare certi sentimenti.
Camus e Milo avevano incrociato Saga lungo le gradinate del tempio. Si salutarono brevemente, poi Saga dopo essere sceso per alcuni gradini tornò indietro chiamando i due ragazzi.
-Volevo scusarmi per il comportamento increscioso dell' altro giorno.
-Non preoccuparti Saga, credo di aver capito.
-Temo di non capire io adesso, Camus- rispose il saint dei Gemelli fissandolo perplesso.
-Non credo che tu sia interessato a me. Tutto qui.- il cavaliere di Aquarius si trattenne dal fare il nome di Antares. Non ci voleva un genio per comprendere che il suo parigrado avesse sovrapposto l' immagine della sorella alla sua- non è successo nulla, ok?
Saga annuì ringraziandolo prima di scusarsi ancora con Milo e congedarsi.
-Se ci riprova lo ammazzo per davvero- borbottò lo Scorpione del cielo che, sebbene fosse cosciente di ciò che passava in realtà per la testa di Gemini, trovava comunque il suo comportamento imperdonabile. Forse, si disse, perchè era stato coinvolto Camus.
Saga aveva attraversato la prima casa per dirigersi all' arena, qui Mu di Aries sorseggiava del tè in compagnia di Shaka di Virgo. Alla vista di Gemini al primo sovvene l' increscioso episodio della festa e il suo pensiero passò in maniera quasi automatica alle custodi.
-Shaka- incominciò- secondo te come se la passano le ragazze?
-Ti riferisci alle senshi? O meglio, alle custodi?
-Esattamente.
-Mi auguro per loro che stiano bene, in fondo hanno scordato tutto dunque è come se l' esperienza al santuario non sia mai esisitita. E se per loro questo non è esistito non vedo dove sia il problema.
-Già, il fatto di non ricordare nulla non comporta passaggi traumatici alla vita normale. Ci pensi mai a loro?
-A dire il vero no, eccetto quando mi ritrovo davanti agli occhi Libra con quell' orrenda tuta d' aerobica- affermò Shaka arricciando il naso.- e tu, amico mio?
-No. Di certo sono state una piacevole compagnia ed è stato bello condividere questa avventura con loro ma... ecco, diciamo che quasi nessuno di noi ha avuto legami tali da affezionarsi a lungo a quelle ragazze. Conserveremo di loro un buon ricordo però.- sorrise Mu.
-Credo che loro a noi si siano affezionate molto invece.
-Non ne dubito Shaka, anche Kiki sente molto la loro mancanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Dolore ***


c. 4

Capitolo 4
Dolore

Death Mask aveva visto quel filo recidersi una sola volta, una che però gli era sembrata sufficiente per tutta la vita. Agli uomini non era concesso vedere il volto delle Moire e invece lui -ammesso che quelle che aveva immaginato fossero le loro fattezze reali- le aveva sognate. Ed erano davvero, davvero brutte. Ma oltre a questo gli era rimasta addosso quella sgradevole sensazione, quel brutto presentimento che non riusciva a spiegarsi. Per questo aveva deciso di scendere giù, nel mondo infero. Da quanto tempo non ci andava? Da quando era morto per l' ennesima volta. No, no... da quando aveva avuto la brillante idea di mandarci quella pustola di Sophia. Era da un po' che non andava laggù, da quando quelle scocciatrici se ne erano andate in effetti. Otto? Nove mesi? Lui non stava certo lì a ricordarsene. Tsè... come se contasse i giorni, le ore, i minuti e i secondi  trascorsi da allora. Per quello bastava gà Shura.
E Saga? Saga, bè, era davvero il boss.  Al contrario del cavaliere dell' undicesima casa si era dato alla bella vita. Forse.
La valle della morte non era poi cambiata molto. Era sempre  triste e desolata e come sempre se tendeva l' orecchio poteva sentire l' urlo di qualche disperato. Death Mask ghignò, in fondo era una musica piacevole.
Si guardò intorno con le mani nelle tasche e l' aria annoiata. In fondo era tutto sempre uguale, o no?
Il cavaliere del Cancro percepì una strana energia provenire dalla zona dei tribunali. Nei pressi del primo una pesante umidità e un forte odore salmastro gli pizzicarono le narici. Vide dell' acqua scorrere copiosa lungo le gradinate del tribunale coprendole interamente come un velo. Death Mask rimase stupito mentre osservava quello spettacolo inquietante. Gli metteva i brividi. Si chiese se non fosse il caso di chiamare rinforzi e avvisare Atena.
" No, Atena no!"- penso risoluto- "che poi si mette nei casini"
"Sei un coniglio, Death", si ammonì. Prese un respiro profondo e iniziò a salire i gradini sebbene l' acqua non gli rendesse facile la cosa. "Male che vada mi teletrasporto in superficie"
Il saint degludì a vuoto ben sapendo che per quanto ne sapeva poteva benissimo rimetterci le penne. Si diede dell' idiota ad ogni passo. Attraversò i diversi edifici e finalmente giunse alle spalle dell' ultimo. Notò che erano tutti deserti, non aveva incontrato nemmeno quel rognoso di Lune a rompergli le scatole. Poi finalmente, ma non tanto in realtà, vide gli spectre riuniti intorno a una forte luce dai colori freddi.
-Ritornate immediatamente ai vostri posti!- ringhiò Aiacos
-Sommo Garuda... i tribunali sono invasi dall' acqua
-Questo spettacolo non può ripetersi ogni giorno. Non potete riunirvi qui! Dannazione! Siete soldati del sommo Hades non ragazzini davanti ad un' attrazione da circo- li ammonì Rhadamnthys
-Tornate alle vostre occupazioni- intervenne Minos con voce soffice mostrando le mani in posizione d' attacco e un ghigno sadico sulle labbra.
La folla si disperse lasciando in quel luogo solo i tre generali e Lune. Death Mask si avvicinò piano senza neppure sapere perchè. Quella luce gli era familiare in qualche modo eppure razionalmente non riusciva a spiegarsi il perchè di quell' attrazione nei suoi confronti. Quel brutto presentimento non lo abbandonava.
I quattro percepirono il suo cosmo voltandosi verso di lui.
-E tu che ci fai qui?- domandò Aiacos con  disprezzo
Il saint non rispose, si ritrovò proprio sotto la luce col naso all' insù.
-Cazzo...


Talia quella sera era uscita di casa con una faccia funerea. Il grosso ematoma sotto l' occhio sinistro rimaneva ben visibile nonostante il trucco più pesante del solito e la gonna troppo corta per essere definita tale lasciava intravedere dei lividi violacei e una serie di graffi che dovevano avere sanguinato parecchio.
- Io... vado- le aveva salutate con la voce malferma
-Talia- la fermò Febe trattenendola per un braccio- sono preoccupata. Non andare, ti prego. E' evidente che non vuoi!
La bionda si liberò dalla presa con un movimento brusco e indietreggiò chiudendosi alle spalle la porta. Febe sentì i passi risuonare veloci lungo le scale e giurò di avere visto le lacrime bagnare il volto dell' amica prima che questa scappasse.
Poco dopo Antares apparve sulla soglia della sua stanza avvolta in un giaccone pesante:- Fuori fa freddo- sorrise.
La ragazza si avvicinò a Febe prendendole le mani, fece un respiro profondo:- Ascolta, Fe... io seguo Talia e cerco di riportarla a casa. Tu chiuditi dentro e non aprire a nessuno e per nessun motivo.
-Così mi fai paura Ann
-Sì, scusami, ma lo sai che sono apprensiva- scherzò Antares.
Febe si sedette sul divano e accese il televisore. Aveva bisogno di un programma comico, di qualcosa di divertente perchè tutto quello non lo era davvero. Respirò a fondo mentre le voci della tv le tenevano compagnia, respirò a lungo più volte mentre le lacrime si ostinavano a bagnarle il viso e le mani toccavano il pancione per darsi forza.
-Perdonami tesoro mio... che inferno ti sto facendo passare! Non è salutare per te tutto questo, no, non lo è- disse parlando alla sua creatura.
Antares prese l' auto e si diresse sicura all' Infernal, un locale dagli affari assai dubbi. Sapeva che il proprietario era indagato per spaccio di droga ma in effetti la polizia non aveva trovato niente di certo a suo carico. Quando entrò giurò di trovarsi per davvero in una bolgia infernale. Intorno a sè vedeva mille teste, un sacco di gente, parecchi di loro su di giri, troppo, mentre il fumo la avvolgeva, avvolgeva tutto. Le forti luci  che c' erano andavano dal verde al rossastro mentre ballerine sfacciate danzavano su un palco rotondo in abiti succinti. La ragazza si domandò se per caso non fosse finita in un bordello. Si tolse il giaccone, faceva troppo caldo là dentro. Fece un rapido giro rendendosi ben presto conto che trovare Talia in quell' inferno sarebbe stato veramente impossibilie.
-Porca miseria!-
Antares era stanca, era di pessimo umore, sentiva il cuore scoppiarle nel petto per una preoccupazione che forse non esisteva neppure, ed infine era infastidita, anzi no, irritata da tutto quel caos, da quel caldo, dalla gente stupida che spintonava e dal fatto di non riuscire a trovare Talia.

-Per Atena...-
-Come? No, no Saga... mi chiamo Milena. Mi-le-na- scandì la ragazza mora accanto al cavaliere pensando che non avesse capito il suo nome.
Saga si domandò se quello scricciolo col maglioncino verde chiaro fosse lei o no. No, concluse. Antares aveva i capelli lunghi e rossi e poi non frequentava certi posti. Forse. In fondo non poteva saperlo. Non poteva perchè lui non sapeva niente di Antares. Si alzò dallo sgabello scusandosi con la sua nuova conquista deciso a seguire quel maglione. E se fosse stata lei che avrebe fatto?, si chiese all' improvviso.
L' avrebbe tirata per i capelli fuori da quel posto e le avrebbe fatto una ramanzina.
No, non poteva. Lei nemmeno si ricordava di lui.
Avrebbe finto un incontro casuale.
No, non poteva nemmeno. Pluto era stata chiara quando era intervenuta alla fine della battaglia per togliere loro la memaoria di quelle vicende. Niente più contatti di nessuno genere.
L' avrebbe guardata da lontano.
Poteva provarci, risolse infine.

Antares si portò fino a una porta sul retro, vide che era socchiusa. Si guardò intorno notando che nessuno faceva caso a lei. Stava per aprirla quando sentì la voce di Andrea provenire proprio dal vicolo.
-E allora bambolina- disse il ragazzo stringendo forte il mento di Talia- dammi i soldi della droga che hai venduto nel cesso.
Antares fu percorsa da un brivido, il cuore le rimbombava in corpo. Se quel bastardo la toccava, se la toccava, si ripetè, lo avrebbe ammazzato.
Talia tirò fuori i soldi stroppicciati da una tasca della giacca leggera.
-Solo questi?- si lamentò il ragazzo
-S-sì
-Allora non ci siamo capiti- urlò a pochi centimetri dal suo viso- non ci siamo capiti Talia. Se non fai quello che ti dico le ammazzo, hai capito? Ti avevo detto di venderla tutta, stronza!
Il ragazzo lasciò i capelli di Talia facendola cadere a terra e dandole un calcio, tirò fuori un coltello dalla tasca dei jeans e si chinò all' altezza della ragazza che singhiozzava terrorizzata, le sollevò la gonna ridendo:- Ora mi faccio un bel giretto su questa bella carrozzeria.
Antares era terrorizzata. Forse era la prima volta in vita sua che era così terrorizzata, in fondo fino ad allora non era mai successo niente, prima che Sophia morisse tutto andava bene. Poi il mondo era crollato e ora era terrorizzata, terrorizzata, terrorizzata. Era rimasta ferma con la mano artigliata al pomello della porta incapace di muoversi, aveva iniziato a piangere come una bambina senza rendersene conto e quando aveva visto Talia stesa a terra aveva spalancato la porta e aveva urlato di lasciarla stare spingendo il ragazzo per terra. Aveva preso l' amica per il braccio aiutandola a rialzarsi molto velocemente e l' aveva fatta nascondere dietro di lei.
Sentiva le mani di Talia stringerle il maglione, non le vedeva ma percepiva le spalle alzarsi e abbassarsi ritimicamente per il pianto.
-Non la devi toccare, hai capito?- Antares stava urlando, stava piangendo, la voce era diventata acuta, il respiro era corto e interrotto dai singhiozzi- io ti denuncio!
Andrea si era alzato in piedi e non sembrava per niente spaventato, anzi sembrava quasi divertito da quella scena:- Se tu mi denunci porterò nella merda anche quella puttana della tua amichetta. Cosa vorresti fare tu? Una ragazzina...- sputò a terra e si avvicinò a loro con il coltello ben in vista- hai un bel faccino. Se non fossi stata sempre così acida una scopata con te me la sarei fatta volentieri. Peccato.-
- Antares scappiamo. Per piacere scappiamo
-Io... io...- Antares aveva smesso di piangere, Antares aveva smesso di urlare- dimmi che non lo ami-
-Che diavolo? No, no Ann- gridò Talia tirando l' amica verso di sè per andare via- non è il momento-
-Bene.- Antares si sollevò il maglione e tirò fuori una piccola pistola dai jeans. La puntò contro il ragazzo- Avvicinati e ti ammazzo. Sei sulla buona strada. Alza le mani.
-Tu sei pazza- sussurrò, un ghigno folle increspò le sue labbra- stronza... mi fai ridere, ridere! Guarda come tremi, bambola! Posa quell' arnese e forse quella puttana la passa liscia.
Gli occhi di Antares bruciavano, i singhiozzi scuotevano il corpo minuto facendolo treamare tutto, le mani tenevano saldamente la pistola. Si morse il labbro. Un mostro rimaneva sempre un mostro. E qul mostro aveva toccato Talia.  Forse non solo lei.
Avevano bisogno di pace.
Le mani le tremavano, gli occhi erano offuscati dalle lacrime, la mente dalla rabbia e dal dolore.
Premette il grilletto.
Un colpo.
Un solo colpo partì colpendo il ragazzo di fronte a lei che si accasciò ai suoi piedi urlando.
Dal locale provenivano ancora i suoni di una musica assordante.
Talia si portò le mani alla bocca trattenendo un grido.
-Do... dobbiamo chiamare la polizia- affermò Antares in preda ai brividi- è stata legittima difesa.- balbettò vuota.
Si  inginocchiò a terra e si coprì il viso con le mani abbandonandosi a un pianto liberatorio senza sentire Andrea che chiedeva aiuto.

Saga l' aveva persa di vista molto presto in mezzo a tutta quella folla, si concentrò nella zona in cui l' aveva intravista poco prima accanto a una porticina secondaria e dopo parecchi minuti pensò che probabilmente poteva essere uscita fuori. Non se ne stupiva più di tanto visto che il maglione che indossava non era adatto ad una discoteca piena di gente.
Quando però aprì la porta non si aspettava certo tutto quello, il suo stato d' animo era cambiato in maniera brusca, l' ansia e la sotterranea felicità di trovarsela di fronte erano state sostituite dalla preoccupazione e dallo stupore più neri. Il ragazzo vide Talia che cercava qualcosa nella borsetta dicendo frasi sconnesse, vide Antares che gettava malamente una pistola di lato e si piegava su sè stessa, vide un ragazzo steso al suo fianco che sanguinava copiosamente. Rimase un attimo immobile, spaesato, poi guardò ancora Antares e sentì i pezzi della sua anima frantumarsi ancora, ancora e ancora.
Andò prima da Andrea, pieno di sangue, il giovane gli prese la mano con un gesto frenetico implorando di chiamare un' ambulanza.
Saga fece un cenno afermativo con il capo estraenedo il cellulare dalla tasca dei jeans. -Arriveranno tra poco- affermò liberandosi della mano sudata del ragazzo- non è grave. Ho visto di peggio- terminò alzando i tacchi. Saga non riuscì a provare pietà per quel ragazzo, voltò le spalle convinto che Antares doveva avere avuto un buon motivo per commettere un gesto così grave e nonostante questo sapeva bene che quei pensieri e quel sentimento di pietà che veniva a mancare non si addicevano a un cavaliere di Atena. Guardò un momento Talia che era scivolata a sedere con la schiena contro il muro, era visibilmente sotto chock e in teoria, si disse, avrebbe dovuto confortarla. Non ci riusciva, Saga voleva solo stringere una persona, consolarla, dirle che c' era e che tutto sarebbe andato bene. Si maledisse per quella sua mancanza di buon senso ma non ce la faceva più a non correrle accanto. Si inginocchiò all' altezza di Antares stringendola forte e sè in un gesto istintivo e frenetico e ciò che lo colpì di più fu probabilmente il fatto che l' ex guerriera lo lasciava fare, lui che era uno sconosciuto. La ragazza si era appoggiata contro di lui e le braccia prima inerti sui fianchi erano andate a stringere le sue in un bisogno di protezione che non si era mai concessa.
La sentiva piangere, tremare, farsi sempre più vicina e più piccola contro la sua figura. Quella non era Antares, si disse Saga sgomento.
L' aveva lasciata forte e barricata dentro ad un fortino impenetrabile dagli eventi, dalla gente, dalle emozioni diverse dalle tre ragazze che la circondavano e anche in quel caso cercava di mantenere il distacco giusto per fronteggiare gli eventi. Ora la ritrovava fragile e impaurita, la trovava spaccata in mille pezzi, rotta, completamente rotta mentre quel fiume di debolezze nascoste veniva a galla e tutto ciò che prima era stato assorbito dal forte in cui era chiusa veniva prepotentemente rilasciato.
-Coccinella...- sussurrò il ragazzo contro i suoi capelli in una muta preghiera a ritornare forte.


Il cavaliere del cancro e i tre generali erano rimasti in silenzio a contemplare ciò che di inquietante era sulle loro teste.
-La riconosci?- domandò a un certo punto Minos risvegliando il saint dal suo torpore.
-No- fece secco- di che diavolo parli?
-In effetti in quello stato ci ho messo un po' anche io. Quella larva fosforescente è Sophia.
Death Mask si tirò indietro di qualche passo. Non poteva essere, no, quella non era la pustola. Non poteva, si disse.
E davvero quegli spuntoni di roccia sotto cui si trovavano non circondavano solo una forte luce, ma un corpo. Ed era Sophia. La ragazza aveva la posizione delle mummie egizie, sembrava circondata da un liquido, probabilmente acqua e infine da quella luce fredda. Dall' interno di quello strano bozzolo scendeva l' acqua che si riversava sugli spuntoni di roccia su cui era adagiato e che si riversava negli edifici  e bagnava, bagnava tutto.
-E' qui... bè... è qui da un po'- affermò Aiacos parlando a un Cancer troppo sconvolto per starlo a sentire.

Minos si ricordava ancora di come all' incirca quattro mesi prima l' Inferno era cambiato. Si ricordava di un fuoco fatuo che non era un fuoco fatuo e non capiva cosa fosse in realtà e che vagava per la valle della morte, e raggiungeva la Giudecca. Si ricordava quella cosa prendere posto fra tre spuntoni di roccia che sembravano quasi intrecciarsi e diventare ogni giorno più grossa, si ricordava l' acqua che aveva invaso -infettato a suo dire- tutto, e poi si ricordava della ragazza che era chiusa in quel bozzolo di luce e di acqua. Quella ragazza con cui aveva preso un tè, che gli aveva mandato dei dolcetti per Natale. Non che la conoscesse granchè, l' aveva vista due o tre volte al massimo. Ma la ragazza che lui aveva conosciuto era viva. Viva. La creatura nel bozzolo era morta. La morte non gli aveva mai fatto impressione, insomma, era un giudice di sire Hades, era il burattinaio, era il più sadico tra i giudici. Ma forse, forse, si disse, non gli aveva mai fatto impressione perchè non era mai stato a contatto con la vita, quella vera, pacifica prima della morte. E Sophia era viva. Lui se lo ricordava. Era viva quando il cavaliere del cancro l' aveva mandata negli inferi per vendicarsi di un qualche scherzo bizzaro e ci aveva parlato, e aveva dei progetti, delle amiche. Voleva vivere, voleva crescere. E invece era morta. Minos dovette ammettere di esserci rimasto piuttosto male anche se in effetti non sapeva spiegarsi il perchè. In fondo lui aveva ucciso tanta gente, tante ragazze come lei. Le aveva viste implorare pietà. Ma le aveva viste sempre nel dolore e nella paura che precede la fine. Lui conosceva la morte. Non si era mai posto il problema che quelle persone vivessero davvero proprio come Sophia.
E ora lei era morta.
E aveva il viso scavato e bianco e gli occhi ostinatamente aperti e il sangue le macchiava il corpo esile.
Era un bel problema. Era un grosso, grosso problema soprattutto perchè sire Hades non c' era. Il signore del mondo sotterraneo non si curava più del suo regno da quando dopo la guerra contro il Caos la sua sposa era scomparsa. Ogni giorno usciva con i cavalli scuri e infernalissimi alla ricerca della bella Kore, vagava invisibile sulle teste degli uomini e tra di loro alla ricerca della donna, della dea, della sposa che era fuggita. Forse solo il sommo Hades sapeva il perchè. Forse.






_____________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, mi auguro che questo capitolo non sia sconclusionato  o almeno non più del solito. Più avanti inizieremo meglio a capire il comportamento di certi personaggi, ad esempio quello di Saga che va da Andrea giusto perchè era moribondo, lui che è così ligio al dovere e che un cavaliere. Dunque non vogliatemene. Passo e chiudo, un saluto,
Haru.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. La mossa di Hades ***


c. 5
Capitolo 5
La mossa di Hades

Il cavaliere del Cancro salì lentamente le gradinate che portavano al tredicesimo tempio.  Di norma si sarebbe lamentato  per il lungo tragitto borbottando che Aphrodite aveva un culo enorme mentre lui a ogni santa riunione dorata, a ogni stramaledettissima convocazione in solitaria o meno da parte di Sion, doveva fare centinaia e centinaia di scale. Di norma si sarebbe fermato di tanto in tanto per imprecare qualcosa. Di norma avrebbe risposto male a chiunque lo fermasse. Di norma a ogni sbuffo intervallava un impropero nei confronti di Sion che Zeus sapeva perchè lo avesse convocato.

Quel giorno camminava, semplicemente. Non sbuffava, non imprecava, non si lamentava. Camminava lentamente con le mani affondate nelle tasche dei jeans fissandosi le scarpe bagnate. Era inevitabile che si baganssero, pensò, era come se le avesse infilate per intero in una pozza di fango dopo un temporale, e in fondo non c' era andato poi tanto lontano, di acqua giù agli Inferi ce ne era per potere riempire una piscina.  Un brivido gli percorse la spina dorsale, sentì i peli delle braccia farsi dritti e la pelle d' oca su ogni singolo centimetro del corpo. Starnutì un paio di volte, dei, che freddo.
 Aveva freddo. L' umido dell' Inferno gli era entrato nelle ossa e l' aria pungente di quella giornata non faceva altro che ricordarglielo. Si sentì invadere da una profonda tristezza, le palpebre si facevano pesanti mentre procedeva lentamente lungo le gradinate del tempio. Era così stanco e così lento, era così triste. Gli sembrava di portarsi dietro un grosso macigno e di trascinarlo con sè lasciando un solco enorme al suo passaggio. Si voltò di riflesso, ovviamente non c' era niente. Dopo aver parlato con quel vecchio bastardo doveva mettersi a letto, risolse.
Starnutì nuovamente chiedendosi se Kanon sapesse qualcosa di quella storia. Se la intendeva con quel bastardo della Viverna, non poteva non sapere niente. Gli avrebbe dato un pugno sul naso molto presto.
 E se il suo corpo procedeva a rilento, al contrario la testa di Death Mask si muoveva veloce, gli ingranaggi del suo cervello si muovevano in mile congetture, in mille domande tanto che quando arrivò davanti alla porta del gran sacerdote gli faceva un gran male la testa.
Quella notte stessa una lunga assemblea si tenne sull' acropoli divina.

-Purtroppo è una questione che riguarda il signore degli Inferi. E' nel suo regno che sta avvenendo qualcosa di anomalo e a nessuno, nè uomo nè dio è dato intervenire- affermò Atena dopo un lungo dibattito con i suoi cavalieri.
-Divina Atena, le cose potrebbero degenerare. Non dovremmo prevenire il peggio?- domandò Aiolia del Leone.
-Sarebbe il meglio, lo so- rispose Saori impotente- ma purtroppo non ho nessun potere a tal proposito. Vedete, a nessun dio è dato intervenire nel regno di un altro dio.
La dea si morse il labbro inferiore. Non c' era modo di intervenire.
-Hades non farà niente- intervenne Death Mask con una vena di irritazione nella voce- forse non sa nemmeno cosa sta succedendo. I suoi tirapiedi-
-Cancer!- lo riprese Sion
-Sì, sì... i giudici- si corresse velocemente l' altro- dicono che è troppo impegnato a cercare Persefone in lungo e in largo. Quando è così come si comportano gli dei?
-Potremmo mandare un' ambasceria ad Hades- propose Aiolos
-Per dirgli?- domandò scettico Aphrodite- Rifletti Sagitter, credi che i suoi giudici non lo abbiano già informato?
-Non lo metto in dubbio ma è l' unica cosa che possiamo fare: sollecitarlo.

Aiolos di Sagitter, Camus di Aquarius, Mu il Grande di Aries e infine -ma solo per dargli un passaggio- Death Mask di Cancer erano stati scelti per conferire con il sommo signore della morte.
-Ben quattro cavalieri d' oro- li prese in giro Aiacos sorridendo e arcuando le sopracciglia.
-Mi stupisce come siate arrivati fino al palazzo di sire Hades- si informò Minos
-Rechiamo un permesso della somma Atena- rispose immediatamente Aiolos mostrando il foglio di pergamena che recava con sè.
-Entrate- acconsentì Rhadamanthys- ma non ne caverete un ragno dal buco- continuò sospirando e guadagnandosi l' occhiataccia dei suoi due parigrado. O meglio di Aiacos visto che Minos nascosto da quella sua lunga frangia sembrava imperturbabile.

-Kanon...- Saga si accomodò nella poltrona di fronte al fratello con aria seria- non sapevi nulla di tutto ciò?
Il gemello corrugò la fronte serrando la mascella:- E come potevo? Ti rammento che non vedo Rhadamntys della Viverna da più di quattro mesi. E comunque siamo rimasti d' accordo di non rivelarci nulla che abbia a che fare con i ruoli che ricopriamo. Poi perchè lo chiedi proprio a me?- si inalberò
-Vi frequentate
-Una scopata ogni tanto non è frequentarsi- gli fece notare il fratello sornione
-Non voglio saperlo. Non voglio sapere niente- rispose Saga con una nota adirata nella voce- ci mancherebbe solo che lo portassi qui dicendo "ehi Saga, ecco Rhadamanthys, quello che ha preso a calci in culo alcuni dei nostri compagni nella scorsa guerra. Oggi cena qua"
-Simpatico davvero. Non è nei miei progetti, rasserenati.
Saga a volte si stupiva del suo comportamento. Era sempre stato molto protettivo nei confronti del fratello, non lo aveva visto per tredici anni e ora quel senso di protezione si era trasformato in un bisogno. Bisogno di proteggerlo, bisogno di averlo sempre intorno, più che da bambini. Non era giusto, lui non era il suo sole. Saga non era il sole di Kanon, non poteva pretenderlo specie se lui per primo ammetteva di voler godere della luce di un altro astro. Imprecò a denti stretti sentendosi un egoista. Alla fine confessò al fratello ciò che era accaduto all' Infernal, di Antares, di Talia, di come si era sentito.
-Dannazione! Non ci voleva. Saga, sta succedendo qualcosa... e cazzo, come lo diciamo a Camus?
Quello era un tasto dolente, Saga stesso si era posto il problema sperando di ricevere aiuto dal fratello. In tutta onestà non era sicuro di voler essere proprio lui a dare quella notizia al cavaliere di Aquarius. Per fare che poi? Pluto era stata cristallina. Non dovevano avere nessun contatto con le senshi.
-Se non...-
-Non ci pensare idiota- lo ammonì Kanon- Camus deve saperlo, poi se la sbrigherà lui.


I quattro cavalieri di Atena ebbero come l' impressione che un vento gelido li avesse percorsi sin dentro le ossa non appena varcarono la porta che li avrebbe condotti al cospetto del dio infero. Hades sedeva compostamente sul trono in cima a una lunga fila di gradinate di marmo scuro, l' ambiente, decisamente largo, era immerso in una sinistra penombra e i tendaggi rossi appesi alle grandi finestre non permettevano di vedere cosa si celasse all' esterno, a rischiarare il grande salone solo la luce di alcuni candelabri.
A Death Mask, Hades sembrava più pallido e cadaverico del solito. Sperò che fosse di buon umore.
Prima di arrivare nel palazzo del dio aveva mostrato ai suoi compagni la situzione in cui versava l' Inferno e dunque anche la causa di ciò. Appena l' aveva rivista gli si erano gelate le mani ed era rimasto in silenzio, in un rispettoso silenzio.
-Sommo Hades- iniziò Rhadamanthys dopo che tutti si furono inchinati di fronte al dio- i cavalieri di Atena Glaucopide chiedono  di potere parlare di fronte a voi.
Il dio non accennò alcuna espressione, rimase in silenzio, fermo. Ma è ancora vivo?, si chiesero i presenti. Aiacos tossì discretamente.
-Alzatevi- affermò il dio incolore senza aggiungere altro.
Aiolos cercò con lo sguardo i suoi compagni i quali lo invitarono a prendere la parola.
-Ehm... Sommo Hades... sappiamo che la situazione  qui nel vostro regno è assai preoccupante- Aiolos si fermò e si girò a guardare nuovamente gli altri i cavalieri preoccupati di quel silenzio, Sagitter sospirò pesantemente prima di continuare più risoluto- la situazione è grave, è evidente. Una senshi si trova nel vostro regno. Una senshi che dovrebbe riposare in pace e non lo fa. L' acqua ha invaso i tribunali infernali e la divina Atena teme che la presenza della guerriera negli Inferi annunci gravi pericoli per voi e per la superficie. Siamo qui per sollecitarvi ad intervenire.
-E' il vostro regno, Hades- intervenne Camus di fronte al silenzio del dio con una veemenza che non si confaceva alla sua natura- se non volete agire voi stesso, permettete ai cavalieri della dea di farlo. Dobbiamo scoprire il perchè di tutto ciò!-
Sulle labbra del dio apparve un sorriso di scherno, gli occhi rimanevano assenti o quasi folli:- Temi per tua sorella, cavaliere? Mi pare che sia ancora viva, no?
-Le guerriere dell' equilibrio rinascono periodicamente. E' per questo che la senshi di Mercurio non dovrebbe trovarsi qui, è evidente che c' è qualcosa che non va. Non vorremo affrontare nuovi pericoli, sommo Hades- intervenne pacatamente Mu.
-Dunque avevo ragione io. Il cavaliere di Aquarius teme per la sua giovane sorella. Peccato...- aggiunse sospirando- peccato che della Terra poco mi importi.
-La vostra sposa non la pensa così- affermò Camus inarcando un sopracciglio sottile. I cavalieri si fecero indietro, i giudici gli lanciarono un' occhiata intimidatoria, il sorriso sul viso del padrone di quel luogo scomparve.
-Tu giochi con il fuoco cavaliere. O sarebbe meglio dire con la morte. Con la morte fatta persona. Bada a te, non continuare a sfidare gli dei.-
-Sommo Hades, anche il vostro regno rischia il pericolo- tentò Aiolos- converrette con me che tutto ciò è  allarmante.
Hades sospirò scocciato portandosi una mano sotto il mento:- Sai cavaliere... è così noiosa l' eternità. Andatevene ora, mi sono annoiato delle vostre chiacchiere.

-Ecco l' hai fatto incazzare- sbottò Death Mask rivolgendosi a Camus.
-Io non ho fatto nulla. Ho cercato semplicemente di fare leva sull' unico affetto che abbia. Ma è evidente che non gli è mai importato molto di quello che pensa la moglie. Se così fosse ci saremmo risparmiati un bel po' di guerre sacre.
-Il problema rimane- disse Aiolos- per quanto ne sappiamo potrebbe non accadere nulla... o l' irreparabile. E allora sarà troppo tardi per agire.

-Sire Hades- iniziò con circospezione Aiacos quando i gold saints furono ormai troppo lontani per poterli sentire- non avete intenzione di fare nulla?
-Lasciatemi ragionare e non temete. Ammetto di avere... ecco... trascurato i miei affari per così dire, ma qualche rimedio troveremo e magari riusciremo anche a guadagnarci qualcosa. Nel frattempo assicuratevi che quel "coso" non resti incustodito, state bene attenti ad ogni suo movimento, ammesso che ne faccia, e comunicatemi qualsiasi cosa vi insospettisca. Io da parte mia farò una visita ad Atena.
-Ma i suoi cavalieri sono appena andati via- gli fece notare Aiacos
-Aiacos, quando mai un dio si abbassa a parlare con dei semplici umani? Non che parlare con Atena mi sorrida... ma tant' è.... a volte bisogna fare dei sacrifici.
E Hades il suo sacrificio lo fece la mattina seguente senza perdere ancora troppo tempo. Il suo cosmo nero e inquietante, potente, svegliò di gran corsa tutto il santuario alle prime luci dell' alba. I cavalieri vestirono le loro armature in un batter d' occhio, i santi d' oro presidiarono agguerriti i loro palazzi, i silver saint preparavano i battaglioni degli eserciti a circondare le mura del tempio e a difendere Rodorio, Kanon era corso nelle stanze della dea mentre le rose di Aphrodite si estendevano lungo le gradinate che conducevano all' ultimo tempio. Hades volteggiava con noncuranza sul tredicesimo palazzo, un sorriso divertito rendeva il suo aspetto in apparenza meno pericoloso:-  Quanto trambusto! Un po' inutili le vostre difese non trovi?- domandò rivolgendosi ad Atena.
-Mi sembri di buon umore, cosa ci fai qui?- ribattè la padrona del tempio impugnando saldamente lo scettro di Nike.
Hades fissò lo sguardo sull' oggetto, quando mai la Vittoria era stata dalla sua parte? Dalla parte di qualcuno che non fosse Atena, meglio. E quello scettro e la Nike alata sulla mano della statua della Glaucopide sembravano volerlo ricordare come monito a chi decidesse di muovere guerra al Santuario di Atene. Lui lo faceva ogni duecentocinquanta anni e ogni volta perdeva, era destino evidentemente. A volte si chiedeva chi glielo facesse fare, non solo perdeva la guerra -e la faccia- ma senza nemmeno accorgersene anche Persefone gli era fuggita dalle mani, e del resto che pretendeva? L' aveva rapita nella piana di Nisa. Quanto poteva sperare che durasse un matrimonio del genere. Tanto, si disse, o almeno parecchi secoli. Peccato che lui avesse davanti l' eternità e il tanto allora non esisteva.
-Diciamo che ho trovato le cure ai miei mali- rispose il dio atterrando dolcemente sul suolo. Kanon si posizionò di fronte ad Atena e a Sion pur notando che in effetti Hades non indossava alcuna armatura. Mai fidarsi però, specie degli dei.
-Cosa ci fai qui?
-Domanda un po' scontata, nipote, non trovi? Non sei stata forse tu a cercarmi?
-E tu hai rifiutato la mia richiesta- gli fece notare Atena avanzando di qualche passo.
-Ho pensato- fece spallucce avanzando verso il trono su cui si accomodò- sai, in effetti qualcosa bisogna fare per quel coso giù agli Inferi. Ma sia ben chiaro che ti faccio un favore.
-Hades, non temete per il vostro regno?- domandò Sion
-Il regno dei morti non cambia, non cambierà mai. Lì è tutto morto, quindi... come può cambiare un cadavere, no? - Hades fece una pausa volgendo lo sguardo sul paesaggio che si intravedeva tra le colonne- però... la vita può cambiare, può morire... e io ne trarrei beneficio non credi? Per questo dico che ti faccio un favore. Quel bozzolo, pericoloso per la Terra, mi potrebbe arricchire di parecchie anime.
-Se è come dici che vantaggio ne trarresti aiutandoci?
-Vantaggio io? Mi credi così opportunista? No, non vantaggio... ti chiedo solo di aiutarmi a ricongiungermi  alla mia adorata sposa in cambio del mio prezioso aiuto.
-Sapevo che c' era un secondo fine- sbottò Kanon a bassa voce guadagnandosi l' occhiata truce di Hades.
-I tuoi cavalieri dovrebbero imparare a tenere a freno la lingua- costatò con una non troppo velata aria di superiorità-
-Io non so come rintracciare Kore- affermò Atena.
-Oh sì che lo sai- sbottò Hades- prima o poi si rivolgerà a te. O che so, usa i tuoi tirapiedi...-
-Cavalieri!- lo interruppe Atena risoluta- non sono dei tirapiedi. Questi uomini servono la giustizia!
-Mi sto annoiando- incominciò ora serio il dio alzandosi dallo scranno- trova Kore... o Persefone, chiamala come vuoi. Ti manderò la sua sacerdotessa. Quella stolta a me non ha detto niente. Trova la mia sposa e ti dirò come scongiurare il pericolo della fine del mondo.
-Fine del mondo?! Che stai dicendo?
-La guerriera imbalsamata nel mio regno non è forse una delle custodi dell' equilibrio? Non è forse l' essenza dell' acqua? Spezza l' equilibrio e la Terra diventerà finalmente una landa deserta. Poseidone ne sarà contento visto che se non ti sbrighi questo pianeta verrà ricoperto dalle acque.




_______________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, spero di non essere troppo in ritardo ma questo capitolo mi ha dato qualche problema. Mi rendo conto di avere caratterizzato Hades un pochino a modo mio, spero non vi dispiaccia. Volevo solo dire che sto riscrivendo Rinascere, a giorni dovrei ripostarla nuovamente con il titolo provvisorio "Cosmos", ve lo dico perchè credo che cambierò delle cose rispetto alla precedente versione, forse sciocchezze, forse parecchio, ancora sto decidendo. Se vi andasse di leggerla e dirmi cosa ve ne sembra della nuova versione (sistemata soprattutto nello stile) mi farebbe piacere. Ho dato un' occhiata ai primi quattro capitoli dove in effetti ho dato una sistemata alle frasi, agli errori di battitura, ampliato i pensieri di qualche personaggio ecc...
Per finire risponderò alle recensioni questa sera o domani. Vi ringrazio per l' appoggio che mi avete dato fino ad ora,
Haru.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Via le lacrime ***


v. vetri bo

 Capitolo 6
Via le lacrime.

Non voglio più dare baci che sanno di sangue.
Non voglio più ricevere baci che sanno di sangue.
Non voglio più baci.
Un bacio non deve sapere di sangue.
Un bacio deve avere il sapore dell' amore.
E l'' amore non deve avere il sapore del sangue.
L' amore ha un solo sapore, un solo inconfondibile profumo e non è certo il sapore metallico che sembra volerti congelare i nervi, nè l' odore di ferro bruciato mescolato a un disinfettante che brucia la pelle.
Non voglio più baci. Non voglio nemmeno l' amore.

Talia aveva gli occhi fissi sulla parete spoglia dell' ospedale. Aveva smesso di parlare, di piangere e di urlare da quando le sirene dell' ambulanza e i loro suoni assordanti le avevano riempito la testa e gli occhi. Era tutto rosso, sempre tutto irrimediabilmente rosso. Da mesi ormai. Il sangue di Sophi, quello di Andrea nel vicolo della discoteca, le sirene dell' ambulanza e della polizia.
 Tutto rosso.
Medici e poliziotti avevano iniziato a trafficare intorno a loro, a parlare, a fare domande. Non sapeva nemmeno come ci fosse arrivata lì, all' ospedale. Con lo sguardo disperato aveva visto degli agenti portare via Antares. Dove la portavano? E poi chi era quel tizio biondo? Chi era? Non le sembrava affatto di conoscerlo.
-E' ancora sotto chock. Non può rispondere alle vostre domande- informò uno dei medici parlando con qualche agente.
Talia si sentiva schiacciata dagli eventi. Erano proprio sfortunate, pensò. Si sentiva pressata, stritolata. Quel dolore l' avrebbe uccisa, ne era certa. Dolore perchè poi?
Già, Sophia era morta, si disse abbassando per un attimo gli occhi prima di ritornare a fissare la parete bianca. Sophia non c' era più e il mondo gli era crollato addosso, l' equilibrio della loro amicizia si era spezzato. E Febe... di chi era il bambino di Febe? Si era per caso domandata se non fosse il frutto di una violenza. Febe non parlava del padre del bambino. Perchè? E poi c' era Antares e la sua depressione, Antares e il rancore nei suoi confronti, Antares che aveva perso la ragione. Infine, lei, Talia. Dove era andata a finire la ragazza ottimista? Quella che rideva sempre, che sognava il principe azzurro? Era sempre stata convinta che prima o poi, il principe, quello vero, lo avrebbe trovato. Tanti perchè e nessuna risposta. Tanti dove e nessuno luogo in cui andare a rifugiarsi. Ripensava all' amore, che bella parola!  A- MO- RE, se lo scandì nella menta, se lo ripetè  in un sussurro. Aveva sempre creduto fermamente nell' amore, l' amore era il suo credo. E invece del principe azzurro aveva trovato Andrea, il cattivo della situazione. Quando Sophia era morta aveva sperato che qualcuno la salvasse e la portasse via regalandole di nuovo la felicità, e Andrea era bello, era più grande, era gentile... sì, era bello, era bello e maledetto. Ingenuamente le era sembrato uno di quei ragazzi che frequentano dei pessimi ambienti e cattiva compagnie più per necessità che per vera inclinazione e lei, Talia, lo avrebbe salvato. Come nei film più belli. Quelli che la facevano piagnucolare davanti al televisore. Invece no, Andrea era marcio dentro. La picchiava, la ricattava, la costringeva a vendersi per comprarsi l' ultima moto che era uscita o per regalarle un vestito sempre più corto dei precedenti. "Altrimenti le uccido", le ripeteva sempre. "Non ti conviene denunciarmi, sai? Finiresti in prigione anche tu. Ho molti amici che sarebbero contenti di giocare con quelle galline che dividono la casa con te"
Aveva vissuto nel terrore per tutti quei mesi, era stata zitta e non aveva parlato. Aveva paura di Andrea, paura che per colpa sua -di nuovo- le sue amiche ci rimettessero la vita. Doveva ammettere che un po' temeva anche Antares. Già la odiava, se avesse saputo una cosa del genere la loro amicizia sarebbe morta definitivamente. Chissà se Febe l' avrebbe perdonata quella volta? La dolce Febe... ora che se fosse morta, sarebbe morta anche la creatura che portava in grembo.
Talia si alzò dal lettino, con passo malfermo si avviò al bagnetto dietro di lei. Si tolse i sandali rossi dal tacco alto e si sfiorò le calze strappate. Sentiva ancora sulla pelle il tocco del coltello di Andrea, le sue mani irrispettose. Iniziò di nuovo a piangere. Era questo l' amore? Era questo l' amore? No, era odio, era perversione, era malattia mascherata da amore. "Io ti amo", le diceva con un sorriso sul viso sbarbato. "Io ti amo". No, Talia non voleva più sentire quella parola. Mai più. Odiava l' amore. L' amore era una malattia. Non voleva più sentire quelle parole. Significavano dolore, significavano violenza.
Aprì la porta del bagno e sollevò i capelli biondi sulla nuca, ormai vomitare era diventata un' abitudine. "Magra, ti voglio magra", le diceva.
Talia scivolò contro la parete gelida e ringraziò il cielo, ringraziò Antares per avere avuto un coraggio che a lei era mancato. Morto, lo voleva morto adesso.
Ma Andrea per quanto ne sapeva non era morto e Antares, le avevano detto, era negli uffici della polizia. Respirò a fondo e si pulì il viso. Via le lacrime, si ammonì. Antares aveva bisogno di lei. E anche Febe. Aveva sbagliato, aveva contribuito a rovinare le loro vite con quella storia di Andrea -e di Sophia-, ora doveva riparare.
Uscì fuori dalla stanzetta fredda dell' ospedale trovandosi davanti un paio di agenti:- Posso rispondere alle vostre domande- aveva detto.
Via anche l' amore.

Antares era stata portata di tutta fretta alla stazione di polizia, era stata strappata dalle braccia di Saga il quale era stato trattenuto per alcune domande prima di essere mandato via garantendo la sua reperibilità. Il saint di Gemini non aveva avuto il tempo di rendersi conto di nulla, in effetti. Era accaduto tutto troppo velocemente, troppo velocemente lo avevano separato -strappato via- da Antares, l' aveva intravista appena per un attimo ancora, prima che la ragazza sparisse in uno dei tanti uffici. Guardava fisso di fronte a sè, l' aria seria e apparentemente distante, le labbra piegate in una linea dura.
Coraggiosa. Aveva pensato Saga in quel momento.
Impenetrabile. Aveva aggiunto poi.
 Frantumata. Si era detto infine ripensando a tutte le crepe nascoste sotto quella faccia lontana dal mondo.
-Posso fare una chiamata?- aveva chiesto Antares neutra a uno dei poliziotti.
Dieci minuti dopo quella telefonata era arrivato un avvocato, un caro amico di famiglia. Appena un' ora dopo il generale Martakis, il padre di Antares, aveva fatto il suo ingresso nella stazione di polizia e nel giro di qualche ora la ragazza era fuori. Legittima difesa. Nulla di più e nulla di meno. Come se non fosse successo niente.
-Ti ringrazio Ilias- aveva detto il generale stringendo calorosamente la mano dell' avvocato.
-Di nulla Dimitri, sai che voglio bene a tua figlia. L' ho vista crescere.- sorrise l' altro prima di congedarsi.
 Il generale fissò la figlia con aria severa, le fece appena un cenno con la mano, in effetti non era mai stato uno di molte parole, e la condusse verso l' auto scura nel parcheggio. Dimitri Martakis era un uomo alto, dal fisico asciutto e i capelli ormai ingrigiti, un bell' uomo, un generale dell' esercito dal viso severo che aveva impartito e preteso disciplina dai soldati come dalla figlia. Considerò che sarebbe stato meglio se quella storia non fosse trapelata, pensò ai giornalisti e se li immaginò come sciacalli. Pensò che anche Katherine non avrebbe dovuto sapere nulla o non avrebbe più smesso di urlare come una donnetta. In effetti era una donna, si ritrovò a pensare l' uomo acennando un sorriso. Una donna affascinante quanto viziata. Antares per fortuna da lei aveva ereditato poco o nulla. La sua Ann, aveva sempre pensato il generale, era un piccolo uomo e aveva reagito con coraggio contro quel delinquente. Una figlia degna di suo padre. Peccato che avesse scelto di studiare qualcosa di inutile come la letteratura o la storia. Un topo di biblioteca, ecco cosa era quella ragazza. Uno spreco, pensò per l' ennesima volta scuotendo appena il capo. Il generale non parlava, non guardava di sottecchi la figlia, non la consolava. Per cosa poi? Aveva reagito con prontezza e rapidità. Si ricordava che Antares stessa qualche mese prima aveva chiesto una piccola pistola da tenere in casa e lui non aveva posto obiezioni. Ovviamente Katherine non sapeva niente. "Atene è una grande città, poi noi abitiamo da sole", si era giustificata. E lui le aveva insegnato a maneggiare un' arma. Un padre normale si sarebbe preoccupato probabilmente al suo posto. Ma lui non era un padre come gli alti, era il generale, figlio di un alto ufficiale, nipote di generali e colonnelli, pronipote di generali e così via.
-Perchè non torni in paese per qualche giorno. Ti farebbe bene staccare la spina, ti vedo pallida.- disse infine, una volta sotto casa. In effetti, forse Antares era leggermente provata.
-No, papà. Sto bene-
Stava bene, si ripetè l' uomo mentalmente. Magari era vero. Magari no. In quel caso dimostrava una grande forza d' animo. La sua Ann era forte, sapeva cavarsela. Era giusto così, solo così sarebbe diventata ancora più forte. Doveva essere in grado di badare a sè stessa, a non far conto su nessuno.
Quando Antares rientrò a casa non trovò nessuno. Pensò che avrebbe dovuto chiamare Febe. La ragazza che rispose all' altro capo del telefono era molto agitata, l' aveva investita con un fiume di parole e singhiozzi lasciandole appena il tempo di dire che con la legge erano a posto. Febe l' aveva avvisata di trovarsi in ospedale, i medici volevano tenere Talia in osservazione per qualche altra ora.
-Sto arrivando- capitolò infine Antares dopo tutta quella sequela di parole. In realtà evrebbe solo voluto stendersi sul letto e dormire, dormire, e dormire, guardò con un certo desiderio le pasticche sul comodino. Pillole per dormire la notte, gocce per favorire la concentrazione di giorno. Le servivano, concluse. Magari quando si sarebbe svegliata avrebbe stretto la mano di Sophia e quella di Talia e Febe. E' stato un brutto sogno, le avrebbero detto. In quel momento si sentiva solo stanca, dormire di sicuro le avrebbe fatto bene e magari svegliandosi di nuovo sarebbe tornata ad essere la solita Antares, magari sarebbe diventata acciaio, sì, un robot d' acciaio a cui le emozioni non possono arrivare.
Le emozioni sono un caos. Sono ingestibili.
Sembrano una specie di malanno. Non esiste una cura?
Vorrei non provarle, di sicuro starei meglio.
Sono troppo forti le emozioni, e io invece così debole...
 La ragazza sospirò, era appena entrata a casa e già doveva uscire. Non ce la faceva più di sicuro. Passò di sfuggita davanti allo specchio all' ingresso, ritornò indietro e si guardò. Capelli neri, occhi spenti, pelle pallida, borse violacce. Il ritratto della salute, proprio. Si toccò un occhio e si chiese se potesse piangere. Forse no, non aveva più la forza nemmeno per quello, si sentiva davvero stanca. Tutte quelle emozioni l' avevano completamente prosciugata.
E poi chi era quel ragazzo? Aveva un buon profumo, ed era tanto caldo. Le sue braccia la tenevano al caldo.

-Odio ricevere queste telefonate capito? Lo odio!- si stava lamentando Febe all' indirizzo di Talia- cosa è successo? Perchè parlavi con quei poliziotti? Perchè?- nella foga le aveva afferrato il braccio e Talia avrebbe voluto rispondere "ahi, mi fai male" però non poteva. Si chiese perchè parlava con quei due poliziotti. Il perchè da dire a Febe almeno.
-Volevano un' autografo di... mia madre- inventò.
-Tua madre non fa più la modella da quindici anni- la rimproverò Febe a voce bassa.
Talia pensò che sembrava tanto una bambina quando metteva il broncio. Una bambina in cappotto rosso e con un pancione che era quasi il doppio di lei, si corresse mentalmente.
-Non sono stupida e non sono malata- le fece notare con una certa decisione- aspetto solo un figlio. O una figlia. Ma... insomma- alzò le braccia al cielo esasperata- non sono debole di cuore. Non mi verrà un infarto se mi date una brutta notizia. Se devo apprenderla da un telegiornale o da una voce senza emozioni al telefono... allora sì, lì crollerò. Ma se voi mi dite la verità starò bene qualunque cosa sia. Cioè no, non starò bene se sono cattive notizie... ma non morirò mica, dannazione!
Talia avrebbe voluto ridere. Febe si arrabbiava ma non faceva paura a nessuno. Era buffa, si ritrovò a pensare con una punta di dispiacere. La sua amica quando si arrabbiava -cosa assai rara- si metteva a gesticolare. Gesticolava tanto. Muoveva le mani per aria, alzava le braccia in alto, tamburellava le dita su qualsiasi oggetto nella vicinanze. Parlava tanto, divagava, si perdeva. Era tanto dolce anche se era arrabbiata. Si chiese se poteva difendersi dal mondo con tutto questo concentrato di dolcezza.
-Siediti Fe... ora ti racconto- capitolò infine la bionda.
-Bè... - Febe sospirò- almeno è finito tutto bene- disse alla fine del racconto di Talia- Io lo sapevo- affermò battagliera mulinando un pugno per aria- lo sapevo che quel... aaaah... quel viscido...oh, mi metterei ad urlare.
Febe guardò di sottecchi l' amica, teneva lo sguardo basso.
-Scusami- sussurrò stringendo la mano di Talia nella sua- non parliamone più, uhm? Iniziamo di nuovo tutte insieme, vuoi?
Talia alzò gli occhi sull' altra ragazza:- Come fai a non avercela con me? Poteva finire molto, molto male. Per tutti quanti- aggiunse indicando il pancione che Febe accarezzò isitintivamente.
-Non è successo- rispose con calma facendo spallucce
Febe riflettè che probabilmente in tutti quei mesi era un miracolo che non avesse perso la sua creatura. Troppo, troppo dolore. Era strano come quella piccola vita dentro di lei crescesse ugualmente e non si arrendesse, lottasse, quasi, per nascere nonostante neppure appena al mondo sulla sua testa si erano abbattute così tante sofferenze. Aveva una grande forza, molta più di lei di certo.
Un mese, mancava solamente un mese e il suo piccolo tesorso sarebbe nato. Anche per questo dovevano ricominciare. Febe ammise che non le avrebbe perdonate, non avrebbe perdonato Talia e Antares, se non avessero ricominciato di nuovo, se avessero fallito. Lei su chi poteva contare se non su di loro? Se anche loro l' avessero abbandonata lei che avrebbe fatto? Aveva tanta paura. Forse tutto questo è una punizione, pensò. Una punizione per aver rifiutato il suo bambino, almeno all' inizio.
Quando erano ritornate in paese  ricordavano ben poco del periodo  trascorso e lei dopo pochi mesi si era accorta di aspettare un figlio. Un figlio! Non ci credeva proprio. Non voleva crederci. Dio, quanto aveva pianto! Aveva pianto di dolore. Si era chiesta mille volte da dove venisse quel bambino -sciagura lo aveva chiamato-, non ricordava proprio nessun ragazzo. Forse Theo, quel compagno che insisteva sempre per riaccompagnarla dopo le lezioni. Ma lei non ricordava proprio. Che le avevano fatto?
Era stato terribile, terribile. Non ricordava, non sapeva che fare. Aveva pensato di abortire, le era sembrata la cosa migliore. Le ragazze l' avevano accompagnata alla clinica, la tenevano per mano. Erano tutte insieme.
Quell' ospedale -tutti gli ospedali- le ricordavano quella clinica ingrigita dagli anni e dalle sofferenze della gente, dall' animo di madri spaventate o arrabbiate. Madri.
Febe scoppiò a piangere all' improvviso dopo che un medico aveva chiesto a Talia di seguirlo. E Antares dove era andata a finire? Perchè ancora non arrivava Ann?
Dovette ammettere che quel bambino all' inizio l' aveva odiato con tutta sè stessa. Non lo voleva. Punto. Non lo voleva perchè non riusciva proprio a capire se nascesse dall' amore o meno, perchè aveva paura. Come avrebbe cresciuto un bambino lei che non sapeva neppure curare sè stessa?
Ricordava i silenzi delle sue amiche, i silenzi che valgono più di tanti lunghi discorsi, le braccia di Sophia che le dicevano con voce gentile che se avesse deciso di tenerlo sarebbe stata una madre dolcissima.
-Non ci siamo- le avevano sorriso Talia e Antares coprendo la sua mano con le loro. Erano quattro paia di mani.
Ricordava infine una piccolissima cappella all' interno della clinica. Due ore, rammentò, due ore dopo sarebbe stato il suo turno. Un turno! Febe rise nervosamente, non le sembrava vero! Abortire era come un turno dal medico o alla posta? Bè non proprio, dovette riconoscere ma in quel periodo vedeva tutto con gli occhi di un cuore malato, malato per una mente incapace di ricordare, per una paura che la sovrastava.
-Vado in quella cappella- aveva avvisato le amiche tremando.
Era assurdo. C' era una madonnina col bambino. Era piccolina e tanto bella, tanto serena.
-Che devo fare Madonnina mia? E' un gran peccato è vero?- domandò a mani incrociate quella volta.
Udì dei rumori provenire dal corridoio, istintivamente si affacciò sull' uscio e vide un ragazzo alto, moro, era girato di spalle e stava parlando con una ragazza che piangeva. Il ragazzo tese la mano grande verso la giovane che lo abbracciò forte. Poi Febe rimase imbambolata a guardarli mentre sparivano nel corridoio. Un' infermiera che passava di là poco dopo comunicò allegra ad una collega che quella ragazza avrebbe tenuto la sua bambina. Il fidanzato non appena aveva saputo era corso da lei.
-Io nemmeno ce l' ho un fidanzato-. borbottò Febe parlando con la statuina. E il suo cuore sanguinò e si accartocciò. Faceva proprio male. Però un sorriso le spuntò sulle labbra e iniziò ad accarezzare il ventre ancora piatto. Era stupido pensare che quel bimbo, amore o no, non c' entrava nulla? Che meritava il suo affetto e non la sua vendetta? Che forse, forse, si ripetè incerta, un poco di amore c' era anche per lei?
Febe alzò gli occhi su una vetrata trasparente. Rifletteva l' immagine di una ragazza con un grande pancione e ancora un poco impaurita, dalle guance paffute e un poco arrossate. Non poteva soffrire per un ricordo che non esisteva, no?
Sorridi Febe, sorridi.
Caccia via il dolore.
Caccia via la paura, Fe.
Forse sarai forte anche tu.
Non devi permettere che il dolore diventi una malattia,
che un ricordo che non c' è ti uccida e uccida quelle manine che stringerai tra poco.
Sorridi Febe.




_______________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Eccomi con il nuovo capitolo. Finalmente sappiamo qualcosa di più delle nostre ragazze e abbiamo anche qualche notizia su Febe. Mi auguro che il capitolo vi piaccia. Abbiamo la comparsa del papà di Antares, qualche accenno alla sua famiglia, che ora sappiamo aver contribuito a modellare in parte il suo carattere.  Credo che una comparsa la faranno anche i parenti di Febe e Talia, in particolare Febe vi ricordo che non ha più contatti con i suoi. Piano piano comporremo il puzzle, mi auguro. Prossimo capitolo al santuario. Spero non vi sia dispiaciuto non vedere apparire nessuno dei gold in questo capitolo ma avevo bisogno di iniziare a sbrogliare la matassa sul fronte senshi. Vi avviso che in rete è presente il primo capitolo del remake di Rinascere con il titolo Cosmos: i guardiani dell' equilibrio. E' completamente diverso rispetto al precedente, ho anticipato certe cose, tolte altre e compagnia bella. Mi farebbe piacere come sempre avere il vostro parere. Domani provvederò a rispondere alle recensioni. Vi ringrazio infinitamente

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Alcesti ***


c. 7
NOTA: Come ricorderete nei capitoli iniziali c' era una premessa che recitava così: "Come qualcuno di voi saprà inizialmente questa ff aveva raiting rosso. Ho deciso di abbassarlo ad arancione perchè non mi sembrava giusto che chi avesse letto Rinascere non potesse eventualmente seguirne il seguito qualora lo volesse. Un avvertimento è comunque doveroso. Le tematiche trattate saranno diverse rispetto a Rianscere, saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a tutti. Violenza, depressione ecc... sono solo un paio di esempi. Ovviamente cercherò di trattare il tutto in maniera più delicata possibile tentando di adattarlo al raiting scelto, cosa assai difficile avendo deciso di seguire completamente l' ispirazione. Metto perciò le mani avanti. Io vi ho avvertiti. Vi prego di chiudere la pagina e di non leggere se la cosa non vi va bene. Confido nel vostro buon senso. Non voglio rotture di scatole. Ho finito." Se non l' ho più messa non è perchè quanto detto non sia più valido, al  contrario, lo è, semplicemente o mi scocciava o me ne scordavo.

Capitolo 7
Alcesti

Hades se ne era andato via sorridendo con la stessa velocità con cui era apparso tra gli allarmati abitanti del tempio lasciando dietro di sè una scia di muta sorpresa per i giorni successivi. Molte furono le riunioni tra i santi dorati al tredicesimo tempio sotto la guida benevola della dea protrettice di quei sacri luoghi. La verità è che l' esercito d' oro non sapeva come agire. Come evitare la catastrofe imminente?
-I ghiacci si sciolgono ad una velocità preoccupante- aveva fatto sapere Camus dell' Aquario di ritorno da un sopraluogo nelle terre più a  nord del pianeta.
-E Atene, così come molte altre città nel mondo, è teatro di piogge incessanti- rincarò Aiolos di Sagitter.
-Di questo passo non ci vorrà molto affinchè ciò che ci ha detto Hades diventi realtà- sospirò Shion avvicinandosi ad una delle grandi vetrate della sala.
Il cielo era scuro in una maniera assai preoccupante e mentre i fulmini squarciavano l' aria carichi di elettricità, la pioggia impietosa si abbatteva su una terra già provata dal fango nei giorni precedenti. Era, notò il pontefice, una pioggia leggera ma costante che bagnava ogni cosa senza apparente violenza e che sembrava immergere tutto in una calma irreale e dolorosa specie per chi sapeva cosa quella pioggia significasse. Il sacerdote vide all' improviso un albero bruciare in lontananza colpito da un fulmine particolarmente violento, la luce nella grande sala si spense immediatamente dopo lasciando i presenti avvolti dall' oscurità, poche candele un momento dopo brillarono rischiarando i visi dei santi d' oro che si erano stretti intorno a un tavolo non molto largo. Quando la porta dietro di loro si aprì con un cigolio lento e sinistro per quell' atmosfera, non esitartono a girarsi con i fiati sospesi e il cosmo sguainato dal nulla come fosse una spada pronta alla lotta.
Una figura ammantata procedeva silenziosa sotto i loro occhi vigili reggendo un bastone nodoso e una candela dinanzi a sè.
-Buonasera divina Atena e buonasera anche a voi cavalieri- la voce bassa ma decisa, come fosse lontana e irreale quasi che provenisse da un mondo altro, oscuro e misterioso, si rivelò essere quella di una donna che levando il cappuccio sulle spalle si rivelò essere giovanissima e di straordinaria bellezza. La pelle diafana contrastava con gli occhi color vinaccia e con i capelli altrettanto scuri quasi fossero fatti col carbone, il corpo a giudicare dalla braccia che pallide lasciavano intravedere le vene violacee dei polsi prometteva di essere esile. Quella giovane donna incuteva un timore quasi reverenziale, non sembrava neppure umana ma una creatura sputata dalle profondità della terra e nonostante ciò non si poteva fare a meno di restare ad osservarla affascinati e desiderosi di quella bellezza eterea e apparentemente intoccabile.
-Io sono Alcesti, devota sacerdotessa di Kore divina.
-Alcesti, benvenuta nel santuario di Atene- si fece avanti la dea del luogo leggermente turbata dalla figura che aveva di fronte- spero che con il tuo aiuto riusciremo a ritrovare Kore e ad evitare la catastrofe.
-Mi dispiace deludervi Atena ma non so proprio dove possa essere la mia signora-
Atena intrecciò le mani in grembo abbassando lo sguardo su di esse, si sentì profondamente delusa e sconfortata. Iniziava a pensare che non ce l' avrebbero mai fatta.
La luce nel frattempo era ritornata rischiarando meglio il volto dell' ospite e facendo sospirare di insolito sollievo i guerrieri.
-In ogni caso faremo tutto cò che è in nostro potere anche in questa situazione disperata. Mi auguro che potremmo comunque contare su di voi, sacerdotessa- intervenne Shion fissando la ragazza con cipiglio.
-Naturalmente.
-Bene, è già tardi. Alcune ancelle provvederanno a scortarvi nella vostra stanza- terminò il sacerdote congedando la seduta.
Quando fu solo con la dea, Shion la fece accomodare su di una sedia facendo egli stesso la medesima cosa:- Atena, non permettete che lo sconforto prevalga sui vostri sentimenti. Ditemi, cosa è cambiato 'sta volta rispetto al passato?
-Shion, ogni guerra poteva essere scongiurata solo in un modo: combattendo viso a viso col nemico, aggirando ostacoli la cui risoluzione imparavamo a conoscere sul campo. Ma ora spigami, come si aggira ciò che non si conosce? Non sappiamo perchè Sophia sia in quello stato, non sappiamo come fermare il disastro imminente. Non trovo soluzioni, Shion.
-Atena, voi siete la guida di questo esercito. Siete la nostra luce, la nostra speranza, il nostro conforto, voi rappresentate l' ideale per cui combattiamo. Credete forse che arrendendovi gioverete agli uomini e alle donne che combattono nel vostro nome? Permettetemi di dirlo, ma così facendo non siete degna del loro rispetto, della vita che vi donano.
Atena guardò il sacerdote con aria pensosa, si passò le mani sul viso pensando che Shion aveva ragione. Si sentì profondamente colpevole e indegna in quel momento del ruolo che ricopriva. Non poteva arrendersi, lo doveva a quell' umanità che aveva amato con tutta sè stessa, lo doveva soprattutto a coloro che combattevano per la giustizia. Se lei per prima si fosse lasciata andare allo sconforto, se si fosse resa passiva, tutto ciò che avevano fatto in passato, tutte le guerre combattute nei secoli, gli uomini caduti per quella pace tanto desiderata, sarebbe stato vano. Prese la mano dell' uomo che aveva davanti tra le sue sorridendo dispiaciuta:- Perdonami Shion. Questo esercito, no, gli uomini e le donne che popolano questa acropoli sono la mia forza e il mio ideale. Non vi deluderò.-
Il giorno successivo Atena e il pontefice furono pronti a mettere in moto la macchina del santuario. Shura fu incaricato di recarsi ad Eleusi, al santuario di Demetra, insieme ad Alcesti. Atena pregò il saint di non utilizzare la forza del suo cosmo in modo da nascondersi agli occhi di eventuali nemici, la dea ritenne che la prudenza in quell' occasione non sarebbe mai stata troppa. Mu, Shaka e Camus, considerati cavalieri di grande ingegno e sapienza furono invitati a recarsi negli Inferi per conoscere meglio la natura del bozzolo che ivi dimorava. Prima che ciò avvenisse Saga di Gemini raccogliendo tutto il suo coraggio salì le gradinate dei templi fino all' undicesimo. Mai, in tutta la sua vita si era ritrovato in una situazione tanto indesiderabile, pensò che in battaglia o persino nelle questioni diplomatiche tutto appariva più semplice, i sentimenti non inteferivano, doveva parlare con degli estranei o combattere. Punto. Ma ora doveva comunicare a un suo compagno d' armi che la sorella si trovava in una situzione incresciosa, un compagno con cui in effetti non aveva mai avuto una grande confidenza o rapporti di amicizia ma con cui aveva condiviso attimi importanti, fatti di ansia e di dolore durante la scalata alle dodici case sotto il vessillo di Hades. Quell' esperienza aveva unito tutti coloro che ne erano stati protagonisti sotto il marchio dell' infamia e del tradimento, li aveva resi partecipi dello stesso dolore. Questo avevano in comune e nulla più.
L' aria all' interno del tempio era come di consueto piuttosto fredda, Saga ebbe un brivido alimentato inoltre dalla pioggia che aveva incontrato lungo il percorso. Chiamò a gran voce il nome del compagno d' armi non sentendosi pronto ad entrare nei suoi appartamenti privati. Dopo qualche minuto il proprietario del palazzo fu sotto i suoi occhi, altero e severo come sempre.
-Dimmi, Gemini- fu il saluto lapidario del cavaliere dei ghiacci.
-Aquarius, sarò breve- incominciò Saga, deciso a liquidare in fretta quella spinosa faccenda- reco notizie di tua sorella Antares.
Camus ascoltò attentamente il breve racconto del parigrado a baccia conserte e con la medesima espressione con cui lo aveva ricevuto.
-Non molti giorni fa la polizia mi ha telefonato avvisandomi che comunque tutto si è risolto nel migliore dei modi per Antares- terminò infine Saga.
Camus rimase per qualche minuto in silenzio come se stesse ponderando le parole pù adatte da dire:- Capisco- risolse infine- bene, ti ringrazio per avvermi avvisato. Ora, se è tutto, devi perdonarmi ma come sai ho una missione-
Saga annuì cercando di non far trasparire la sua sorpresa di fronte alla reazione controllata -indifferente- del ragazzo- spero di non essere stato invadente- aggiunse prima di congedarsi.
-Affatto.
Quando Saga se ne fu andato Camus rimase sulla soglia del suo tempio, poi finalmente decise di recarsi all' ottava casa. Sentiva la pioggia accarezzarlo e bagnargli le guance come se le sue gocce fossero le lacrime che non riusciva a versare. Non riusciva a piangere, il controllo faceva parte di lui ma Antares era stata un piccolo diamante che aveva scalfito, incrinato il suo ghiaccio fino a creare tante piccole crepe. L' aveva spiata troppe volte per non capire che qualcosa non andava ma aveva sempre deciso di rimanere fermo a guardare, impotente contro il dettame che gli vietava di incontrarla. Non poteva non sentirsi preoccupato per quella sorella -la sua sorellina- in cui rivedeva i suoi stessi attegiamenti se non che forse Antares sembrasse  animata da un che di  selvaggio. Si chiedeva come poteva dimenticarsi di lui, Antares, che lo adorava come fosse il sole. Il cavaliere di Aquarius sperò senza troppa convinzione che la sua Ann fosse abbastanza forte da risollevarsi, nel frattempo lui poteva solo concedersi l' abbraccio rassicurante del custode dell' ottavo tempio.

Shura non era mai stato un uomo di molte parole e durante il breve tragitto in auto fino ad Eleusi ebbe modo di appurare che anche la sua compagna di viaggio poteva vantare la stessa qualità. Il panorama era terribilmente grigio e monotono e gli unici rumori che interrompevano il silenzio erano dati dal ticchettio della pioggia sui vetri e dal moto delle ruote sull' asfalto bagnato, osservando le case e la vegetazione scura con aria annoiata Alcesti parlò all' improvviso con la voce calme e irreale che la caratterizzava:- Una volta qui vicino c' era la Via Sacra che conduceva Atene ad Eleusi. Ogni anni erano molti coloro che la percorrevano per le feste in onore delle dee.
-...
-Non sei un gran conversatore vero nobile Shura?
-Già.
-Già- ripetè la ragazza prima che il silenzio cadesse di nuovo nell' abitacolo.
Shura fissò Alcesti con la coda dell' occhio, era vestita con abiti civili, un jeans, un maglione scuro e scarpe da ginnastica, nell' insieme era molto semplice eppure ogni capo sembrava esaltare le forme del suo corpo. Quando l' aveva vista per la prima volta pochi giorni prima aveva pensato che fosse particolarmente esile e invece si era sbagliato. Di certo i polsi erano sottili, le mani avevano delle belle dita lunghe, ma il seno, prosperoso, si adattava ad un corpo dalle curve sinuose. Un corpo da toccare, pensò il cavaliere prima di scacciare velocemente quel pensiero rimproverandosi la sua debolezza.
-Metti l' impermeabile- disse Shura una volta arrivati preparandosi a sua volta a scendere dall' auto.
-Aspetta- la mano di Alcesti si posò sul suo braccio- qui siamo nella città moderna. Dobbiamo procedere verso il bosco. Il tempio antico fu distrutto dai barbari e quello nuovo ricostruito  in un luogo inaccessibile e visibile solo agli eletti.
-Io non sono un eletto- obiettò il guerriero
-Non temere. Sarai ben accetto.
I due ragazzi dovettero lasciare l' auto all' inizio di una stretta strada che si snodava tra la fitta vegetazione boschiva, camminando fianco a fianco, Shura e Alcesti si facevano luce con delle torce, illuminando ora il terreno fangoso, ora il percorso che continuava. La fine della strada corrispose al termine della foreste e attraverso gli ultimi alberi il Capricorno intravide un villaggio circondato da prati rigogliosi e terreni fecondi che si protraevano ai piedi dell' alta acropoli a ridosso della montagna.
-Questa è la nostra Elusi- dichiarò orgogliosa la ragazza.
Camminando per il paese Shura notò come fosse evidente che quei territori appartenessero a Demetra. Tutto urlava alla vita, tutto odorava di messi e dei prodotti dell' agricoltura. Saliti degli ampi quanto interminabili  gradini, si aprì di fronte a loro una vasta spianata e al di sopra di essa una  una serie di sette portici prima di giungere al santuario vero e proprio.
Shura seguiva Alcesti a distanza di pochi metri, la vedeva muoversi decisa davanti a lui e non potè fare a meno di paragonarla a Febe. Alcesti odorava di donna, di sensualità, pensò amaramente il saint. Chiuse gli occhi e ricordò il volto di Febe, un viso rotondo e delicato contro quello allungato e serio della donna che era con lui, pensò al corpo esile e minuto, ai seni non troppo pronunciati e notò quanto Alcesti fosse esattamente il contrario della guerriera che in teoria doveva avere l' indole del fuoco.
-Quanti anni hai?- chiese all' improvviso il saint.
Alcesti sorrise di rimando:- In quest' epoca ventiquattro.
Ventiquattro, si ripetè il giovane, si mise le mani tra i capelli perchè, dannazione, Febe era una bambina. Aveva sempre emanato calma e dolcezza, una purezza che lui non aveva rispettato. Era stato attratto da lei ma era un desiderio ben diverso da quello che gli scatenava Alcesti. Con Febe non avrebbe mai potuto fare sesso e basta, con Febe - e lui ce ne aveva messo tanto- ci voleva l' amore, per forza. Si domandò se per caso fosse così volubile da mutare i suoi sentimenti  nel giro di un paio di giorni. Aveva sventolato il suo amore per lei da quando se ne era andata, e ora? E ora sbavava dietro la prima venuta? A ben pensarci aveva ritenuto il suo amore per Febe qualcosa di sacro e lei una sorta di angelo, la stessa natura della ragazza, ingenua e docile, gli impediva di definirla donna, di definirla sensuale. 
-L' ultima stanza del santuario contiene la grotta che conduce nell' Ade- lo informò Alcesti. Il santuario, a pianta rettangolare presentava innumerevoli navate. Shura pensò che non avrebbe potuto percorrere quel labirinto da solo. Si sarebbe perso. Dopo aver attraversato dei corridoi giunsero ad un largo portone e aprendolo Alcesti gli spiegò che quello in cui si trovavano era il  telesterion, il salone dove aveva luogo la cerimonia di iniziazione dei misteri Eleusini. Il telesterion era costituito da otto navate con file di sei colonne; numerose opere d'arte lo decoravano, rilievi di re e di uomini, delle due dee.
-Questo tempio è immenso- riconobbe Shura
-Ecco, siamo arrivati- dichiarò Alcesti aprendo un portone molto più piccolo del precedente. La sala, circolare e scavata probabilmente all' interno stesso della montagna, ospitava in posizione centrale le statue, di grandissime proporzioni, di Demetra e Persefone. Per il resto a parte un trono posto di fronte a degli scuri tendaggi, non vi era nulla. Sullo scranno una donna molto anziana vestita con i colori scuri della terra sembrava attendere i due giovani.
-Iambe- si inchinò Alcesti- sacerdotessa di Demet-
L' anziana donna fermò la giovane co un cenno della mano:- Non è qui colei che cerchi. Demetra ha abbandonato questi luoghi.



________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, in questo angolo autrice vorrei fare due precisazioni. La prima riguarda Atena. Come avrete notato abbiamo una dea che si fa prendere dallo sconforto ma che per fortuna si riprende. Spero non me ne vogliate ma mi piaceva l' idea di rappresentare una dea e le sue debolezze, i suoi turbamenti, non credo ne sia esente. La seconda precisazione riguarda il santuario di Eleusi, in particolare il telesterion era effettivamente così come l' ho descritto. Bene, detto ciò spero come sempre di ricevere qualche vostro parere. Come avrete notato abbiamo la comparsa di un nuovo personaggio, appositamente delineato fisicamente con tratti più o meno Merysuani, un personaggio che in particolare interagisce con Shura. Che ruolo avrà Alcesti? Febe ha una rivale? E Demetra, che fine ha fatto? o_o

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. La busta ***


c. 8
Capitolo 8
La busta

Dopo che era arrivata anche Antares le ragazze erano potute uscire dall' ospedale. Quando la ragazza aveva fatto il suo ingresso nella sala d' attesa si sedette su una sedia rossa accanto a loro. Erano schierate una accanto all' altra e paradossalmente per loro, che avevano avuto sempre qualcosa da dirsi, erano rimaste qualche secondo in silenzio con gli occhi bassi sul pavimento e la mente concentrata sulle due persone che ognuna aveva accanto.

-Scusate- aveva detto Antares alla fine. Si era alzata in piedi e si era rivolta a Talia- non volevo dire quelle cose l' altro giorno, sai? Non credo di stare molto bene.- aggiunse guardando altrove, incerta.
Febe aveva sorriso, si sentiva un poco meglio ora che tutto si stava sistemando. Come erano potute cadere così tanto? Vide Talia alzarsi  e sorridere a sua volta:- Perdonami Ann, perdonatemi entrambe. Vi voglio bene- aveva concluso trascinandole entrambe in un abbraccio confuso:- Vi voglio bene- aveva continuato commossa. Le stringeva, le stringeva forte e non le avrebbe mai fatte scappare. Aveva desiderato quell' abbraccio da mesi, forse tutte loro ne avevano avuto bisogno.
Una volta a casa Febe decise di mettere ordine in giro per il loro appartamento e infine nella sua stanza. Pensò che doveva sistemare e cambiare delle cose, far posto  a dei giochi e a tutto ciò che poteva servire a un neonato. Ancora non aveva preparato nulla, aveva solo comprato una culla. Non sapeva il sesso del bimbo, non aveva voluto, aveva deciso che non importava se fosse stato un maschio o una femmina, avrebbe avuto da subito il suo amore incondizionato, glielo doveva per quel senso di colpa che ancora si trascinava dietro per non averlo voluto, perchè un padre quel bimbo probabilmente non lo avrebbe mai avuto, perchè lei per prima non sapeva cosa avrebbe risposto un giorno quando le avrebbe chiesto di lui, di papà. Allora cosa gli avrebbe detto?
 Tesoro mio, non so chi è? Non mi ricordo nemmeno come sei arrivato?
Non voleva sapere se era un maschio o una femmina, voleva amare quella creatura così, di un amore cieco, assoluto, privo di condizionamenti. Febe aprì l' armadio e notò un piccolo scatolo sotto una massa ordinata di coperte, lo prese cercando di non far cadere nulla curiosa di sapere cosa mai potesse averci messo all' interno. Non ricordava di avere qualcosa da nascondere.

Antares arrivando nell' appartamento si congedò per andare a dormire, in lontananza sentì il suono delle campane di una chiesa. Da quando non pregava? Da una vita probabilmente, non aveva mai creduto in niente che non fosse la realtà. Ora le campane le ricordavano solo un suono di morte. Nel loro paese le campane di una chiesa cattolica suonavano per scandire le ore del giorno. Ricordò che quando Sophia aveva avuto quell' incidente lei non c' era. Era stata l' ultima delle ragazze ad arrivare in ospedale. Fu la volta in cui era andata da suo padre per chiedergli una pistola, era profondamente risoluta quel giorno e il generale negli occhi della figlia aveva visto solo questo, non aveva notato le mani che tremavano appena e il bisogno di un abbraccio che non avrebbe mai preteso da lui. Quando aveva chiesto il perchè del livido sulla fronte Antares aveva risposto di essere caduta. "Stai più attenta", fu l' affermazione dell' uomo mostrandole una pistola che considerava adatta a lei. Si chiese se per caso suo padre avesse collegato il livido alla sua strana richiesta dicendosi che se così fosse stato il generale come sempre avrebbe guardato non una ragazza in difficoltà ma sua figlia che onorandolo se la sarebbe cavata da sola, e quell' arma era uno dei tanti modi in cui farlo.  Antares si sollevò la manica del maglione che copriva il braccio sinistro, una lunga cicatrice lo percorreva fin verso l' alto, le vennero i brividi. Dovette ammettere a sè stessa che le era finita bene, molto, molto bene, sarebbe potuta morire o restare gravemente ferita. Avrebbe dovuto ascoltare Febe e Sophia quando le dicevano di non tornare tardi la sera. Quel giorno in particolare si era trattenuta in biblioteca fino a tardi, quando ne era uscita era già buio e il cielo prometteva pioggia, aveva preso una via secondaria e dopo qualche minuto aveva sentito dei passi seguirla, aveva iniziato a camminare più veloce, poi qualcuno la afferrò per le spalle sbattendola contro il muro, un coltello puntato alla gola e un alito che puzzava di alcool le intimavano di lasciare la borsa. Era cocciuta Antares e odiava chi valicasse il suo spazio personale, il suo territorio, la dignità. Schiacciò un piede all' aggressore facendolo allontanare, un calcio allo stomaco e fu a terra. Sarebbe andata bene se quell' idiota non avesse avuto un complice che lo aspettava alla fine della strada e che aveva pensato bene di farsi avanti. Era stata buttata a terra, presa a calci perchè mollasse quella dannata borsa ma lei non la lasciava, stringeva forte nonostante il dolore. C' era la sua vita lì dentro, si ripeteva. Un colpo con un coltellino sul braccio le aveva provocato un taglio che bruciando alla fine l' aveva costretta a mollare la presa. Era rimasta a terra per un tempo indefinibile con gli occhi spalancati verso il cielo e l' acqua che iniziava a bagnarle il corpo e a mischiarsi col sangue che usciva dal taglio. Le doleva da impazzire ma non riusciva a muoversi, la pioggia si mischiò ai singhiozzi e al senso di una perdita irrazionale. Perchè aveva lasciato il ciondolo in quella stupidissima borsa? Quella collana insignificante, che possedeva sin dai tempi dell' orfanotrofio, era l' unico legame con un passato di cui non ricordava nemmeno l' esistenza. Si era sentita senz' anima. Si era sentita una stupida, debole ragazzina come non le capitava da tempo ormai. Non avrebbe permesso a nessuno di approfittarsi della sua debolezza. Essere donne non significava essere deboli, lo avrebbero capito tutti. Appena un paio di giorni dopo prese l' autobus per andare in paese e avere un' arma che la difendesse. Qualche ora più tardi un bussare insistente alla porta della sua stanza la risvegliò dal suo sonno, non ricevdo risposta lo scocciatore si fece avanti accendendo la luce, quando Antares si rigirò tra le coperte vide suo padre che la guardava con aria di rimprovero.
-Mi aspettavo che mi aprissi tu- puntualizzò- troppo pigra per farlo?
-Stavo...
-Dormendo- terminò l' uomo guardandosi intorno- te lo concedo. Sono stati giorni duri per te. - Il generale Martakis si spostò sulla soglia della porta- prepara la valigia. Tua madre desidera vederti.
Antares si alzò di scatto dal letto, avrebbe voluto puntare i piedi e dire di no ma le avevano insegnato ferma obbedienza ai genitori e rispetto nei loro riguardi.
-Non mi tratterrò molto. Entro un paio di giorni vorrei ritornare qui ad Atene. Non manca molto al parto.
-Concesso- dichiarò il generale. "Concesso soldato", avrebbe dovuto dire, pensò la figlia.

Talia dopo mesi interi guardando le sue amiche si sentiva con il cuore più leggero. Sophia le mancava, probabilmente quel vuoto in un pezzo di cuore lo avrebbe avvertito per tutta la vita, nè del resto si poteva cambiare tutto ciò che avevano vissuto. I baci sulla pelle di uno sconosciuto, gli schiaffi di Andrea e le sue minacce le avevano tagliato l' anima scavandosi un posto con la forza dentro di lei ma ora si sentiva più sollevata, non doveva più avere paura, non avrebbe permesso a nessuno di farle del male, ora poteva urlare ad alta voce il legame con Febe e Antares, essere fiera perchè aveva resistito anche a quella tempesta. Talia aprì l' armadio e i cassatti con gli abiti, doveva buttare un po' di cose che non le appartenevano. Voleva tornare ad essere sè stessa, vestire solo con ciò che le pieceva, mangiare dolci, fare aerobica, scattere fotografie, uscire con le amiche, ridere, ridere tanto.
Ridere, ridere, ridere. Lo ripetè forte, ad alta voce, con convinzione afferrando tutti quei manga nascosti in un vecchio scatolone, i romanzi rosa invece pensò di buttarli via, tanto a quelle cose neppure ci credeva più.

Antares aveva avvertito Talia e Febe che sarebbe ritornata per un paio di giorni in paese dai suoi, quando se ne fu andata, la seconda ritornò alla busta che aveva trovato nella scatolina. Era una busta di un tenue arancione pastello e aveva impregnato la scatola in cui era stata conservata con il suo profumo, un odore fruttato e vivace che riconobbe come il profumo preferito da Talia. Non si stupì che la bionda avesse potuto spruzzarlo sulla busta, era proprio da lei, riflettè divertita.  Intravide una foto e una lettera e tutto il suo corpo si immobilizzò per lo stupore. Chi diavolo era tutta quella gente vestita di oro che era insieme a loro? La ragazza ebbe un inspiegabile senso di nostalgia, un tuffo al cuore quando si vide ritratta accanto a un ragazzo dai capelli scuri. Posò lentamente la foto sulla scrivania e incrociò le mani tra loro in maniera così forte che le unghie corte dell' una si conficcarono quasi nell' altra, sentì tutto il corpo in tensione e rimase lì ad osservare quel ragazzo che le fece arrossare le guance e battere forte il cuore senza che neppure fosse presente. Avrebbe voluto incontrarlo, si sentiva il cuore scoppiare nel petto e una felicità irrazionale che si mischiava a una strana nostalgia e a un affetto istintivo e inspiegabile. Affetto? A Febe, e per questo si diede della stupida, sembrò una cosa assurda. Nemmeno si ricordava chi fosse, che ruolo avesse nella sua vita. Guardando ancora quel ragazzo iniziò a cercare nella sua testa lo straccio di qualche ricordo e se lo vide, come se fosse lì proprio davanti a lei, vestito di un oro abbagliante, bello e luminoso come il sole, severo e contegnoso nei modi, quasi fosse un re delle favole o un antico cavaliere. Se lo ricordò accennare un sorriso e prendere una collana dalle sue mani mentre la neva cadeva, "Ecco, questa... questa è per voi, nobile Shura", balbettò senza rendersene conto a sua volta con le lacrime che iniziavano a bagnarle gli occhi.
Febe posò la testa sul tavolo, nascondendosi a piangere come una bambina, quel pianto forte e  copioso sembrava non volersi fermare più. Si sentiva profondamente triste, triste perchè aveva solo quel ricordo sbiadito, triste perchè non ricordava niente di più, triste perchè era sicura di essersi innamorata di un fantasma, di un ricordo inspiegabile, di un ricordo perduto. Forse era diventata pazza all' improvviso? Non capiva più niente. Sì sentì profondamente e assurdamente innamorata, ciò che desiderava più di ogni altra cosa in quel momento era toccare quell' uomo, vederlo, sentiro parlare. Che voce aveva? Si sentì sola, perduta, incapace di capire dove stesse la verità, poi si toccò il ventre gonfio per cercare sicurezza, no, non era sola, non doveva più pensarlo. C' era la sua creatura, c' erano Talia e Antares.
-E se lui fosse il tuo papà?- domandò alla pancia gonfia.


Quando Antares arrivò a casa non vide immediatamente l' ora di andarsene via di nuovo. Trovò sua madre intenta a chiacchierare con due sue amiche spocchiose nel salotto. Quando la videro insistettero per farla accomodare a prendere il tè insieme a loro mentre suo padre si rinchiudeva nel suo studio. Sua madre la squadrò da capo a piedi con aria critica, quasi digustata. Indossava ancora la tuta scura con cui suo padre l' aveva trovata in casa. Perchè cambiarsi? aveva pensato, in fondo era accettabile. Una semplice, normalissima e anonima tuta. Il fatto che fosse scura esaltava probabilmente il suo pallore e le occhiaie sotto gli occhi ma tanto lei non voleva piacere a nessuno.
-Sei pallida cara, stai forse male?- domandò una delle donne
-Non ho dormito molto a dire il vero- spiegò la ragazza con aria indifferente
-Avresti dovuto mettere del phard- la rimproverò sua madre- e magari indossare qualche altra cosa. Un vestito pastello magari. Hai sempre avuto la carnagione chiara, gli abiti scuri ti fanno sembrare un cadavere tesoro- finì di spiegarle da buona intenditrice.
-Katherine- rise la donna di prima- da che ricordi raramente ho visto tua figlia in società. Ma come mai, ora che ci penso?
Sua madre fece a sua volta un sorriso tirato liquidando in fretta la questione con un "la mia Ann e molto timida" e cambiando velocemente argomento.
In realtà Antares odiava le feste pompose, la gente che le frequentava e gli abiti che la facevano sembrare una meringa.
Sua madre invece era una donna molto bella, da bambina avrebbe desiderato essere come lei, poi con gli anni aveva cambiato idea anche se doveva ammettere che le dispiaceva non possedere almeno un po' della sua bellezza e della sua eleganza. E del resto come sarebbe stato possibile visto che era stata adottata? I suoi genitori non potevano essere più diversi tra loro, erano due mondi distanti ritrovatisi insieme dopo uno stupido errore di gioventù. Sua madre Katherine era la classica baronessina inglese in vacanza  in terra di Grecia, un po' viziata, una giovane avvenente dal sorriso smagliante, con gli occhi azzurri come il solito oceano e i boccoli biondi come le vecchie spighe di grano tanto spesso tirate in ballo da scrittori senza troppa voglia di costruire nuove metafore. Suo padre l' affascinante e carismatico ufficiale di dieci anni più grande che poteva avere ai suoi piedi tutte le donne. Si erano conosciuti, innamorati, o almeno infautati l' uno dell' altro, ed erano scappati a sposarsi senza ovviamente il consenso delle rispettive famiglie. Alla fine Katherine si era accorta di quanto fosse noiosa la vita in un piccolo paese di provincia in una terra che non era la sua e Dimistri di quanto frivola fosse la sua sposa. Un figlio poteva essere la soluzione a un matrimonio fatto di piccole sfide e vendette reciproche, un figlio che non arrivava mai e alla fine fu adottato.  Il generale avrebbe desiderato un maschio ma per far tacere i piagnistei della moglie acconsentì a prendere quella bimba che a Katherine era sembrata una bambola di porcellana. E Antares fu l' oggetto della nuova sfida per farla diventare una Lady infiocchettata o un ufficiale dal temperamento marziale destreggiandosi tra le figlie delle amiche snob della madre e le paturnie sull' esercito del padre che per indispettire la moglie permetteva alla figlia i divertimenti che alla baronessina sembravano da maschiacci, perchè in fondo a Katherine era stato evidente sin da subito che la sua bambolina fosse più attratta da un' arrampicata su alberi da cui poi non riusciva più a scendere, per il senso di vertigine una volta sulla cima, che da smalti e vestitini alla moda. Antares aveva deciso di non voler diventare come sua madre, non voleva essere frivola nè dipendere da nessuno. Katherine dipendeva dalla sua famiglia inglese e da suo padre, senza di lui non riusciva a fare niente, non era neppure mai andata a pagare una bolleta in vita sua. E il generale del resto aveva fatto di tutto affinchè la figlia non diventasse l' immagine della moglie, prima di tutto insegnandole il valore del denaro imponendole piccoli sacrifici e rinunce, poi  dell' umiltà e di quanto fosse importante sapersela cavare da soli.
Antares per quel giorno perse la voglia  di stare in casa dopo che si era sorbita i discorsi della baronessina e delle sue amiche e dopo che la stessa le aveva proposto una seduta da un' estetista che magari le avrebbe potuto sfoltire per ben benino le sopracciglia rosse. Era riuscita a lasciare casa nel tardo pomeriggio, si diresse immediatamente in direzione dei giardini e in uno dei tanti viali vide un gruppetto di suoi coetanei provenire dalla direzione opposta alla sua. Notò che erano alcuni suoi vecchi compagni di liceo e le venne un nodo allo stomaco, quel gruppetto non le aveva mai fatto una gran simpatia. Non sapeva se girarsi dall' altro lato o salutarli, a volte quei ragazzi la intimidivano con i loro attegiamenti, non si sentiva alla loro altezza, non si sentiva bella per entrare nelle loro grazie, nè interessante, nè alla moda. Dalle sue labbra uscì uno ciao indifferente mentre fingeva una sicurezza che non aveva e si stampava sulla faccia quell' aria di superbia che non rispondeva alla realtà. Il gruppetto le passò davanti, qualcuno non si era nemmeno accorto di lei, qualche altro ricambiò distrattamente. Era passato appena qualche secondo quando una voce allegra e un po' stupita la richiamò pronunciando il suo nome.
Antares girandosi notò Alex davanti a lei. Non ci credeva, aveva abbandonato il suo gruppo per venirla a salutare?
-Non sapevo che tornassi, tua madre si lamenta sempre con la mia perchè non vieni mai- disse avvicinandosi.
-Rimango per un paio di giorni- scandì lentamente.
Alex si girò verso i suoi amici avvertendoli di andare avanti. Quando furono soli il sorriso sulle sue labbra scomparve:- Non mi dici niente? Non sembri felice di vedermi.
-Mi fai ridere Alex, oggi è un giorno speciale per caso? E' da un po' di tempo che non mi riservi tutte queste attenzioni.
Alex era stato suo compagno di classe e suo amico, i loro genitori si conoscevano da una vita e loro erano praticamente cresciuti insieme. Era stata la sua prima cotta, una cotta piuttosto lunga che si era trascinata dietro per anni. All' età di quattordici anni erano persino stati insieme per un mese, poi lui si era tirato indietro. Antares pensò che era stata colpa sua visto che si era sempre rifiutata di baciarlo. Che diavolo mai di cotta era stata la sua?!
Però Alex era bello, era tanto bello. A sua mamma piaceva, forse perchè era biondo, forse per i capelli corti soprattutto ai lati che ne esaltavano meglio i lineamenti e quel ciuffo ribelle che copriva costantemente uno degli occhi verdi. Antares aveva sempre pensato che fosse uscito da uno di quei romanzetti che leggeva sempre Talia.
-Ohi Ann... lo sai che ti voglio bene- le stava dicendo mentre le prendeva la mano per abbracciarla.






-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: Bene, e anche questo capitolo è andato. Talia non ha avuto molto spazio ma vi assicuro che ci sarà anche per lei. Febe scopre qualcosa, non so se questa parte mi è venuta bene, a volte non so nemmeno io come gestire i miei stessi personaggi. E infine anche in questo capitolo compare un nuovo personaggio, un altro. Un Gary Stu XD, ma... che ruolo avrà Alex nella vita di Antares? Saga verrà a sapere della sua esistenza? E se è sì, come reagirà?
Mi sento un tantino ridicola con queste domande, ma amen, ogni tanto ci stanno.
Un saluto,
Haru.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Il responso della Pizia ***


c. 9 Capitolo 9
Il responso della Pizia


-I più saggi tra i saint di Atena vi definiscono- rise sarcastico Aiacos di fronte ai tre guerrieri che osservavavano pensosi il bozzolo in cui si trovava Sophia- siete qui da un' ora eppure non ne avete cavato un ragno dal buco.
-E' evidente che le vostre manzioni debbano essere piuttosto tediose se non vi cruccia rimanere qui ad osservare noi- rispose Shaka senza aprire gli occhi azzurri sul Garuda di fronte a lui.
-Lasciali fare Aiacos- intervenne Minos stancamente- hanno carta bianca.
Camus inforcò gli occhiali da vista avvicinandosi maggiormente all' involucro e osservandolo attentamente, tirando fuori un paio di pinzette e una busta allungò il braccio.
-Ti sembra una buona idea?- lo fermò Mu
-Non dovrebbe?
-Non sappiamo se così facendo rischiamo di alterare qualcosa.
-Un campione è necessario a questo punto. Non abbiamo molta scelta, Mu.- concluse Camus ritornando al bozzolo.
-Ti vedo a disagio amico mio- notò Shaka avvicinandosi all' Ariete d' oro.
-Non sbagli- sorrise il ragazzo- vedi... è strano, sai, ma è come se stessimo profanando una tomba,  intendo dire... la stiamo studiando senza riguardo. Guardala, porta sul corpo i segni del modo in cui probabilmente è morta.
-Mu, noi non abbiamo cattive intenzioni, non la osserviamo per mera sete di sapere. Il destino degli uomini è in gioco e noi dobbiamo cercare in ogni modo di scongiurare il peggio.
-Dannazione!
Non appena Camus imprecò i presenti si voltarono nella sua direzione.- E' una sostanza molle, è sottile, prendendo un piccolo campione si è bucata. Guardate, ne esce del liquido.
-Sembra acqua- notò Minos.
-Il buco non c' è più- notò Mu vedendo l' acqua smettere di zampillare.
-Ragazzi, il liquido si  tinto leggermente di rosso- affermò Camus.
-Viene da quella ferita- Mu indicò un taglio sottile all' altezza del polso destro- prima non c' era. Evidentemente la situazione è più grave di quanto pensassimo.
-Un colpo, anche minimo, dato all' involucro, è una ferita sul corpo di Sophia- terminò Shaka
-Non sappiamo se è viva o meno- disse Camus lapidario.

Nella campagna inglese aleggiava una fitta nebbia, il maniero dei Cavendish si ergeva solido circondato da un giardino in cui Kanon avrebbe detto che si sarebbe potuto perdere. Come di consueto alla porta dall' aspetto solenne venne ad aprire una cameriera accennando uno sguardo stupito all' inatteso ospite che da mesi non varcava le soglie di quella casa e che se ne era andato in maniera assai brusca.
-Comunico a Lord Spencer-Cavendish la vostra presenza signore-
-Ah, allora quello stronzo è in casa- sussurrò Kanon con una smorfia stupita  facendo accapponare le orecchie alla regale cameriera del maniero- dov' è?- chiese poi autoritario.
-Prego?
-Dov' è quel signorotto inglese?
-Abbiate un poco di rispetto, signore! Lors Cavendish è molto impegnato.
-A lustrarsi i mocassini forse!- rise Kanon facendosi strada nell' ampia dimora fino a raggiungere la biblioteca e aprendo le porta seguito dagli urletti furiosi della donna alle sue spalle.
-Kanon- lo salutò il padrone di casa posando lo scoth sul tavolo al suo fianco- mi lasci sempre infelicemente perplesso.
-Tsè, sapevo di trovarti qui
-Vai pure Margaret, ti ringrazio molto.
-Come mai sei qui e non a pungere il culo col forcone a qualche disgraziato?
-Il perchè della tua presenza lo dovrei domandare io, Gemini- rispose Rhadamantys senza scomporsi- inoltre sai bene che non ho un forcone, senza contare che tali bassezze sono indegne per un qualsiasi soldato di sire Hades. E dunque... che vuoi?- terminò il ragazzo prima calmo e infine righiando l' ultima frase.
-La divina Atena ha inviato alcuni di noi alla ricerca di Kore.
-E' Persefone.*
-E' lo stesso.
-Non credo proprio. Dovresti saperlo meglio di me, Kanon. Sei greco, no? Comunque mi dicevi che la tua signora vi ha mandati in giro per il mondo, deve essere proprio a corto di idee. Hai scelto tu la meta del viaggio?- ghignò il giudice.
-Sono venuto solo ad accertarmi che non ci sia sotto qualcosa! Cosa diavolo ha in mente Hades?
-Assolutamente nulla, vuole solo ritrovare la donna che ama.
-Ma non si degna di aiutarci a scongiurare il casino cosmico che è nato con quel coso giù agli Inferi!
-E perchè dovrebbe? Noi il mondo lo vogliamo distruggere, ti ricordo. Perchè credi che ci reincarniamo ad ogni guerra sacra? Tuttavia vi sarà riconoscente se ritroverete la sua sposa.
Kanon si accasciò stancamente sulla poltrona di fronte all' altro passandosi una mano sulla fronte, Rhadamantys lo osservò in silenzio. -Tieni- gli disse dopo qualche minuto porgendogli il bicchiere ambrato.
-Puoi parlarmi di Alcesti?- chiese il saint di Gemini
-Non c' è molto da dire. E' la somma sacerdotessa di Persefone.
-Non intendo questo. Dimmi com' è, se ci possiamo fidare... io...- Kanon strinse le labbra, non sapevano davvero cosa fare, si era ridotto a chiedere informazioni - a pregare- a un vecchio nemico. E amante.
-Non lo so Kanon, Alcesti non ha nulla a che fare con noi, con sire Hades. Non ha mai partecipato alle guerre sacre, so solo che è molto fedele alla sua signora e a Demetra, non le tradirebbe mai, è praticamente l' ombra di Persefone ed esiste praticamente da sempre. Conosci la storia di Alcesti e Admeto?*
-Vuoi dirmi che è la stessa Alcesti che ha accettato di morire al posto del marito?
-Esattamente.

Atena e il Pontefice avevano saputo da Shura e Alcesti che non solo Persefone, ma neppure Demetra si trovava ad Eleusi. Secondo la vecchia Iambe la signora delle messi si era reincarnata sulla Terra. Dopo Eleusi, Shura e la sacerdossa furono inviati in Sicilia sperando che le ninfe che abitavano quella che era stata l' antica piana di Nisa e che erano da sempre molto vicine alla signora del mondo sotterraneo, potessero aiutarli.
-E' un viaggio alla cieca- fece notare Alcesti una volta in albergo non avendo ottenuto nulla neppure dalle ninfe.
-Non abbiamo altre soluzioni- Shura osservava la pioggia che scorreva fuori dalle finestre, pensava che rischiavano di non farcela quella volta, che erano senza via d' uscita. Al tempio ancora attendevano notizie dai saint inviati nell' Ade. Milo e Aiolia invece erano stati inviati al santuario di Apollo a Delfi. Erano sull' orlo della disperazione, si ritrovavano in un labirinto senza via d' uscita. Avrebbe voluto che Febe vivesse tranquilla, si chiese se non fosse veramente il caso di richiamare le senshi, Sion stesso aveva accennato alla questione.  Quando lo aveva fatto, al suo ritorno da Eleusi, nella sala che per l' ennesima volta in quei giorni aveva visto i santi d' oro riuniti, si era levato un mormorio di sorpresa, di opinioni contrastanti. Camus era stato irremovibile nel non volerle coinvolgere e Aiolos stesso aveva convenuto che il loro coinvolgimento avrebbe potuto alterare il futuro. Uno dei motivi per cui la guerriera di Plutone aveva imposto la rimozione dei ricordi delle ragazze e il venir meno dei contatti con il Santuario era stato proprio quello. Milo però aveva preso le distanze dell' idea del compagno.
-Non sei obiettivo, Camus- lo aveva accusato con calma
-Non dire sciocchezze, Scorpio. Non possiamo alterare il futuro, sai bene che è pericolosissimo.- Milo, e un po' tutti in realtà, sapevano bene che quando il cavaliere di Aquarius chiamava il compagno con il titolo della sua costellazione allora non c' era niente di buono se non rabbia e Camus quel giorno fu molto contrariato, si sentiva quasi tradito perchè era venuto meno proprio l' appoggia della persona in cui credeva di più.
-Ti arrampichi sugli specchi, non è da te- gli aveva sussurrato all' orecchio lo Scorpione del cielo prima di continuare ad alta voce, in modo che tutti udissero- Il futuro, signori miei, di certo è gia mutato dal momento in cui la senshi di Mercurio si è chiusa in quell' involucro negli Inferi. Qualcosa deve essere andato storto, dunque meglio fare intervenire anche le senshi e cercare di salvare il mondo e dunque anche il futuro che non averlo proprio un avvenire, non credete?
Le parole di Milo erano state accolte con assenzo mentre la seduta si chiudeva con lo sdegno di Camus e la decisione della dea di chiedere l' intervento delle senshi, essendo Sophia una guerriera, entro pochi giorni al massimo se non avessero ottenuto nulla dalle azioni dei saint in missione.
Molto probabilmente, risolse il cavaliere di Capricorn, tra non molto lui e Febe si sarebbero rivisti. Non sapeva cosa pensare, non sapeva se sentirsi felice o meno. Che diavolo sarebbe accaduto tra loro?
-Ti vedo pensieroso, nobile Shura.
"Anche lei mi chiamava così, nobile Shura, ma la sua voce era timida, reverenziale quasi, la sua è decisa, sensuale."
-Non ci troviamo in una situazione favorevole, è normale che io sia pensierono.
Alcesti si avvicinò sedendosi sul tavolino di fronte a lui e sorridendogli:- Sono una sacerdotessa, so molte cose e ho accumulato tante vite da conoscere meglio gli uomini di quanto conosca persino me stessa.
-E in me cosa vedi?- scherzò il saint
-Non prendermi in giro- fu la risposta bonaria- vedo un uomo combattuto.
Capricorn si fece serio guardando attentamente la ragazza:- E hai anche qualche consiglio?
-Io credo semplicemente che un uomo debba seguire le sue inclinazioni. Se ad esempio, un uomo tende al male, è inutile che si arruoli tra le fila del bene. Ne nasceranno solo grandi disastri. Quali sono le inclinazioni che ti danno noia?
Shura era indeciso se parlarne o meno con lei, ma forse, si disse, forse avrebbe trovato veramente una soluzione. Era stanco di sentirsi in bilico in quel modo:- Una è il desiderio, l' altra è un sentimento non ben definito.
-Il desiderio è un' attrazione verso qualcosa o qualcuno. C' è sempre un motivo perchè ciò avviene. Soddisfalo Shua, le incertezze nei sentimenti difficilmente hanno ragione d' esistere, soprattutto nei sentimenti d' amore. O si ama o non si ama.  Soddisfa il tuo desiderio se è ciò che vuoi.
Shura sorrise ad Alcesti, era un sorriso un poco amaro, e si alzò dalla sedia su cui si trovava seduto:- Credo che starei male comunque, sai?

-Camminiamo da ore, non ne posso più- si lagnò Milo
-Non lamentarti, potrebbe accadere di peggio che qualche callo ai piedi- lo redarguì Aiolia
-Ehi gatto, che schifo! Ma tu te lo immagini Aphrodite a scarpinare insieme a noi?- ridacchiò poi Milo strappando un sorriso all' amico.
-Il Parnaso- osservò Aiolia alla vista del monte- manca poco. Credi che troveremo anche Apollo?
-Non credo, non mi pare un dio che ami mescolarsi agli uomini di quest' epoca. In ogni caso è Gennaio, se i miti non raccontano fandonie, o almeno non solo quelle, di questi tempi dovrebbe essere nell' estremo Settentrione, presso gli Iperborei.
I due saint fecero il loro ingresso nel Tempio scuro e silenzioso, procedendo verso l' interno udirono dei canti, alcuni sacerdoti del santuario pregavano e offrivano i loro doni di fronte alla statua del dio.  Pochi minuti dopo, come comparso dal nulla, un giovane sacerdote si fece loro incontro invitandoli a seguirlo se cercavano la Pizia. Nella zona più interna, alla fine di un lungo corridoio fiancheggiato da alte colonne, un' ampia entrata li condusse al cospetto di una giovane fanciulla in ginocchio ai piedi del tripode di bronzo. Le braci accese intorno a loro illuminavano l' ambiente profumando l' aria di essenze varie e irriconoscibili che pizzicavano le narici e gli occhi annebbiando i sensi.
-Questi odori... mi entrano dappertutto
-Milo, ritorniamo alle soglie all' entrata della stanza. E' pericoloso avvicinarsi a lei, rimarremmo storditi.- propose Aiolia afferrando l' altro per il braccio.
La ragazza intanto si muoveva di movimenti leggeri e aggraziati di fronte al braciere dinanzi a lei, sembrava danzare muovendo le vesti leggeri e dai tenui colori pastello formando mille svolazzi  intorno al suo corpo, sorrideva e sorridevano i suoi occhi mentre il dio le parlava invadendola con il suo calore e la sua sapienza, quel discorso solo a lei conosciuto era come una carezza, il dio la toccava e lei, le sue mani, andavano a sfiorare i punti in cui credeva di avere sentito la mano stessa del suo signore.
-Cavalieri- li chiamò poi con voce tenue risvegliandosi da quel momento d' estasi- fatevi avanti. Vi aspettavo.
La ragazza era giovanissima, aiutandosi con le mani sottili si avvicinò al tripode sedendovi sopra, la pelle imperlata di sudore e la voce ancora affaticata mostravano chiaramente i segni della sua stanchezza, regalando loro un sorriso fece ancora cenno con la mano affinchè non avessero timore dei fumi che lentamente sembravano sparire.
-Sapevo che sareste venuti, Aiolia di Leo e Milo di Scorpio. I vostri nomi sono grandi, rispetto molto la vostra casta e la vostra dea.
-Apollo non la pensa così- sorrise Milo
-Vi rispetta anche lui, credetemi. Avete solo visioni un poco diverse riguardo certe questioni. Ma non è per questo che siete qui.
Aiolia prese la parola:- Dite bene e proprio perchè non abbiamo molto tempo verremo subito alla questione. La divina Persefone è sparita e così Demetra, inoltre una delle senshi che hanno combattuto al nostro fianco durante l' ultima guerra si trova in una condizione anomala negli inferi, riposa in un bozzolo. Secondo Hades ciò porterà all' inondazione delle terre emerse. Egli dice che potrebbe aiutarci ma lo farà solo a condizione di ritrovare la sua sposa.
-Ero al corrente della questione ma volevo sentirla ugualmente dalle vostre labbra, cavalieri. Proprio in questo momento Apollo mi ha parlato, lo avete visto quando siete entrati. Dovete sapere che la senshi che è ora prigioniera in quello che voi chiamate bozzolo, nella vostra ultima battaglia ha fatto un patto con le Moire.
-Che diavolo... e perchè mai?- sbottò Aiolia.
La ragazza sorrise con indulgenza:- Ascoltate bene tutto ciò che ho da dirvi. Non ricordate che Death Mask di Cancer aveva perso la vita? Non vi spiegate come sia potuto tornare in questo mondo prima che la luce del Cosmos, dei quattro elementi della natura in unione con i vostri cosmi, potesse espandersi? Anche il cavaliere del Cancro era con voi in quel momento. Ebbene, ciò è accaduto perchèmentre scendeva a combattere il Caos la senshi di Mercurio ha accettato l' offerta delle Moire. La sua vita in cambio di quella del cavaliere.
-Sacrificarsi... per Death Mask...- sussurrò Milo sorpreso.
-Già, le moire le hanno concesso alcuni mesi di vita dopo la battaglia, poi Sophia è stata coinvolta in un incidente, la sua automobile è stata presa in pieno da un' altra, l' uomo alla guida non le ha prestato neppure soccorso. Sophia non è solo una senshi, era anche la signora dell' acqua e destino vuole che come le altre custodi degli elementi si reincarni periodicamente ma affinchè ciò avvenga non devono esserci interferenze nel ciclo di morte e rinascita, ogni vita che vivono esso deve fare il proprio corso senza l' intromissione degli dei. In questo caso ciò non è avvenuto e Sophia si trova in bilico tra la vita e la morte, la sua anima è intrappolata all' interno del suo corpo.
-Che dobbiamo fare allora?- domandò Milo
-Per quanto riguarda Sophia non posso dirvelo neppure io, ci sono questioni, quelle del mondo dei morti, che neppure alla Pizia di Apollo è dato sapere ma cercate di rintracciare le senshi. Ormai il futuro è irrimediabilmente alterato. Le guerriere devono essere coinvolte, temo che grandi prove spettino sia a voi che a loro.
-Non sarà semplice. Non crederanno mai a una parola di tutta questa storia. Ora hanno una vita normale!- obiettò Aiolia.
-Cavaliere di Leo, molte cose sono cambiate nel momento esatto in cui le senshi e i saint di Atena si sono incontrati, ci sono state delle decisioni che cambieranno gli eventi. Queste ragazze si ricorderanno di voi! Per quanto riguarda Persefone e Demetra posso dirvi che non sono molto lontane da voi. Una bambina è la chiave di tutto.



_________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Bene, bene vi avviso che già nel prossimo ne accadranno delle belle (?), abbiamo scoperto qualcosa in pù sul bozzolo e non solo su quello, Milo e Cam hanno litigato e neanche tra Rhada e Kanon le cose vanno troppo bene. Qualche capitolo fa abbiamo saputo che non si frequentavano da un po', chissà come mai. E, ciliegina sulla torta, Shura e Alcesti, il nostro hombre si è comportato bene ma non crediate che sia finita qui.
NOTICINE: La prima riguarda le battute tra Kanon e Rhada relativamente al nome della regina degli Inferi, nascono dal fatto che *Kore significa propriamente "ragazza", "figlia", dunque a mio avviso connota proprio l' aspetto di Persefone legato alla fanciullezza, a Demetra, alla vita aperta in un certo senso, rispetto a Persfone che mi rimanda maggiormente all' essere regina dell' Ade. Ovviamente è solo una mia modestissima opinione.
*Alcesti e Admeto: Ad Admeto fu concesso di evitare la morte se qualcun altro si fosse offerto al suo posto quando fosse giunto il momento. Nè il padre, nè la madre di Admeto pur essendo avanti con gli anni si offrirono e lo fece Alcesti.  Eracle, giunto alla loro corte e compreso ciò che stava accadendo riesce a strappare la fanciulla alla morte. Un' altra versione vuole che siano gli stessi signori degli Inferi a lasciarla andare.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Il passato è sulla porta di casa . Il futuro è in arrivo. ***


c.
ATTENZIONE: La seguente premessa vale come ricorderete per tutta la ff e credo in particolare per questo capitolo: Non me la sono sentita di alzare il raiting a rosso per dare a tutte le persone che avevano seguito "Rinascere" la possibilità di leggere questo seguito ma le tematiche trattate saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a tutti. Vi prego di chiudere la pagina e di non leggere se non ve la sentite o vi ritenete particolaremente sensibili, se insomma la cosa non vi va bene. Confido nel vostro buon senso.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
Capitolo 11
Il passato è sulla porta di casa. Il futuro è in arrivo.

Talia quando si era svegliata quella mattina si era stiracchiata per permettere al torpore di abbandonare i muscoli dopo un lungo sonno, si era svegliata sorridendo e pensando che Antares sarebbe tornata e che Febe avrebbe cucinato qualcosa di buono per tutte, guardando fuori dalla finestra aveva messo il broncio perchè pioveva a dirotto, "pazienza", si era detta risoluta, " troverò il modo di trascinarle ugualmente per negozi". Già dal mattino sapeva come sarebbe andata la loro giornata. Dovevano intanto comprare un mucchio di cose per il bambino - o bambina, questo ancora non lo sapevano- di Febe e poi avrebbero fatto una maratona di vecchi film. Tutto programmato, tutto bello e perfetto. E allora perchè era andata diversamente? Perchè per l' ennesima volta si ritrovava tra le quattro mura di un ospedale con i genitori di Antares che discutevano con i medici se portarla al reparto di psichiatria o meno e con Febe terrorizzata in sala parto? Che ci facevano lì loro, proprio loro? No, c' era uno sbaglio, non doveva andare così. "Destino, ehi, ascoltami", avrebbe protestato, "c' è uno sbaglio! Noi non dovremmo essere qui! "
E invece tutte quelle proteste erano solo nella sua testa. Con chi poteva lamentarsi?
Solo un attimo, solo un attimo si era sentita al sicuro, quando aveva incrociato i suoi occhi.
Sentiva Febe piangere e gridare. Salvate il mio bambino, diceva. Talia ebbe di nuovo paura, aveva perso il conto per tutte le volte che ne aveva avuta per quella sera. Si tappò istintivamente le orecchie, non ce la faceva a sentire le urla di Febe, il silenzio di Antares. Tutto questo la scuoteva nel profondo, era come se le loro emozioni, il loro dolore nascessero dentro di lei e si mescolassero al suo dolore, come se non ne avesse già abbastanza.
Sentì un tocco leggero sul polso, si voltò e vide un ragazzo biondo chinato accanto al suo viso. Sapeva chi era, lo sapeva perfettamente, Shaka di Virgo lo avevano chiamato gli uomini che erano con lui e che le avevano portate in quell' ospedale, si era ricordata per un momento di lui e ora se ne ricordava col cuore, con l' anima, con l' istinto di un ricordo sbiadito e sfumato.  La struttura apparteneva alla fondazione Kido e Talia ebbe come l' impressione che per i medici e le infermiere dell' enorme clinica fosse tutto sommato ordinario vedere nei loro corridoi dei ragazzi che si trascinavano dietro enormi casse dorate. Lasciò istintivamente che la mano del ragazzo allontanasse le sue dalle orecchie, lo vide accomodarsi compostamente al suo fianco.
Cosa avevano fatto di male? si domandò Talia.
-Cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo?- glielo chiese, proprio a lui, ad alta voce, piangendo.- Cosa?!- ripetè prima di alzarsi di scatto e correre verso le porte della sala in cui si trovava Febe, ci appoggiò la fronte, l' orecchio. La sentiva ancora gridare e si chiese se avrebbero mai saputo il sesso del bambino, Febe ne sarebbe morta, ne era certa e lei non lo avrebbe sopportato.
Shaka andò lentamente verso Talia, la prese delicatamente per le spalle facendola allontanare:- Non è un bene che tu stia qui.
-Tanto le sento lo stesso. Le sento entrambe- aveva detto senza smettere di piangere, con stizza- Antares non è pazza!- aveva urlato poi verso i genitori dell' amica.
Uno dei medici si fece avanti:- Signorina, nessuno di noi ha detto che la sua amica lo sia, ma è innegabile che abbia subito un forte trauma e noi qui non possiamo fare nulla, adesso bisognerà affidarci ai colleghi del reparto di psichiatria.
-Lei non la conosce, non può dire questo! Antares è forte! E' dannatamente forte e ci vuole bene e sa perchè si riprenderà? Lo sa? Perchè ci ama, perchè per lei sarebbe un dolore vederci star male per lei, ecco perchè. Perchè deve vedere il suo nipotino o la sua nipotina, perchè, cazzo, quel bambino nascerà! Nascerà!
L' uomo aveva fatto cenno ad alcuni infermieri di far allontanare la ragazza mentre il cavaliere di Virgo assisteva impotente alla scena, si fece avanti, ancora una volta, ancora una volta l' uomo più vicino agli dei si avvicinava al mondo degli uomini, quello più marcio e doloroso, prendendo la mano di una ragazza.
-Urlare non farà nascere il figlio di Febe nè rinsavire Antares.
-Starò meglio
-No, trasmetti tensione a chi ti sta intorno, alimenti il dolore che già ti divora dentro. Controllalo, non farti mangiare.
E Talia si era seduta ed era rimasta in silenzio. Si alzava regolarmente ogni ora per andare a vomitare il suo nervosismo, il panico e la paura nel bagno, per il resto piangeva e aspettava. Quello è Alex, si disse a un certo punto guardando il ragazzo che parlava con i genitori di Antares. E quello nella sua stanza, quello che le stringe la mano, realizzò, è Saga di Gemini.

Antares nei giorni trascorsi in famiglia aveva avuto modo di riallacciare nuovamente i rapporti con Alex. La loro amicizia, nonostante i lunghi mesi di silenzio, sembrava essere ancora solida. Parlavano senza imbarazzo e senza imbarazzo Alex le regalava grandi baci sulle guance e abbracci che la tenevano al caldo, una volta le aveva anche preso la mano e avevano passeggiato così, come se tra loro ci fosse qualcosa di più di un' amicizia ripresa da meno di un giorno. I genitori di Alex avevano cenato a casa sua e tutto sembrava così giusto, così perfetto. Tutti andavano d' accordo con tutti e le loro madri avevano ricominciato con i classici discorsi in cui speravano di vederli insieme. Antares aveva sentito volare paroloni come consuocere, abitare vicino a loro e termini affini. Lei a quella roba non ci pensava proprio, doveva laurearsi prima e magari trovare un lavoro, e sì, forse anche qualcuno da amare. La ragazza doveva ammettere che tutti quelli che conoscevano lei e Alex in quel paese avevano sempre pensato che prima o poi si sarebeo messi insieme, poi quell' idea era sparita quando si erano allontanati negli ultimi mesi di liceo e infine all' università. Nonostante entrambi fossero andati ad abitare ad Atene e Alex studiasse medicina, non troppo lontano dalla facoltà di Antares, non si erano mai visti nè sentiti prima di quel giorno. E allora tutto sembrava essere ricominciato. Antares aveva creduto di essere ancora innamorata di Alex, ammesso che amore poteva definire quella strana cotta che si era portata dietro per anni, a scuola, e invece era sorpresa perchè quel sentimento sembrava essere sparito, sbiadito, lontano. Si cresce, si era detta, è normale. Non le batteva più forte il cuore ogni volta che lui la abbracciava o le parlava, non si sentiva al settimo cielo se la guardava e le sorrideva.
-Ann, mi dispiace se in tutti questi mesi non mi sono più fatto sentire- aveva iniziato Alex un giorno stringendole forte la mano- ma dovevo cercare di capire. Il nostro rapporto è sempre stato in bilico, non era amicizia, non era amore. Dovevo capire. Ann, tu mi hai aspettato?
Antares aveva aggrottato le sopracciglia, non capiva:- Che intendi dire, scusa?
-So che sei stata innamorata di me- aveva inziato il ragazzo prima che Antares lo interrompesse brusca.
-Io non mai detto di essere innamorata di te.
Alex aveva sorriso, malizioso:- Si vedeva Ann. Ogni volta che litigavamo mi cercavi anche se ero io quello in torto, venivi tu da me quando non volevo uscire, diventavi tutta rossa se ti abbracciavo...
- In pratica ero il tuo cane- concluse Antares con ovvietà- Alex, ero una ragazzina stupida... e idiota. Hai mai sentito da me testuali parole: ti amo? Ti ho mai detto "sono innamorata di te"? No, e non l' ho fatto perchè non lo sentivo.
-Cazzate Ann, sei stata tu a dirmi "meglio se ci allontantiamo per un poco perchè non ce la faccio così", perchè non ce la facevi a sentirmi parlare di Elena, ecco perchè- si inalberò il ragazzo- E' assurdo, neghi l' evidenza.
-Cotta, si chiama cotta e ti avverto, mi stai facendo incazzare. Arriva al punto.
-Con te non si può mai parlare- aveva sospirato Alex- comunque mi piaci, Ann- aveva aggiunto- ora sono pronto.
Antares si era azata dalla panchina su cui si trovavano:- E allora no, Alex, non ti ho aspettato, non ho aspettato che tu fossi pronto.
Alla fine era comunque rimasta quasi una settimana lontana dalle ragazze perchè in fondo si stava bene a scappare dal dolore. In quei mesi i capelli stavano riscrescendo, ora le arrivavano alla base del collo ma soprattutto proprio in quei giorni erano ritornati rossi e questo lo doveva a sua madre che aveva insistito per portarla dal parrucchiere e poi doveva anche ringraziare suo padre perchè aveva trovato i sonniferi e tutte le pasticche che prendeva e l' aveva trascinata dal medico.
-Non prenderai più questa roba. All' inizio non sarà semplice ma non la prenderai più perchè se lo farai me ne accorgerò e allora Antares non rivedrai più Atene, nè Febe, nè Talia- aveva detto il generale. Ottimo deterrente, concluse la ragazza.
Quando era tornata a casa era pronta a ricominciare per davvero, era convinta che nessuna di loro si sarebbe fatta distruggere dal dolore e i suoi capelli, i suoi adorati capelli, quelli che aveva tagliato e rovinato, che aveva tinto come la pece, erano rossi. Brillavano e ne andava fiera, non sapeva perchè. Eppure quando sembravano pronte per rialzarsi qualcosa le aveva buttate di nuovo a terra. Stavano guardando un film alla televisione, era piuttosto tardi e Febe aveva approfittato di uno stacco pubblicitario per alzarsi, era ritornata portando una busta e mostrando loro l' interno, aveva letto ad alta voce cosa vi era scritto e allora il film era finito nel dimenticatoio per lasciare posto a una serie di dubbi.
-Questa è la scrittura di Talia- aveva detto Antares- ti avrà fatto qualche scherzo.
-E la foto?- aveva chiesto la mora
-Un fotomontaggio. Oggi si può fare di tutto al computer
-Ann- aveva esordito Talia- me lo ricorderei se avessi fatto uno scherzo così. E poi se è come dici, perchè queste cose si trovavano in una scatolina nascosta? Non ha senso.
-Ci sono un sacco di cose che non ci ricordiamo- aveva borbottato la rossa per giustificare la sua tesi
-Questo non è un montaggio, lo so, lo capisco... insomma, me ne intendo di foto, no? E questo vi assicuro che non è un montaggio.

Sia Talia che Antares -la seconda suo malgrado- avevano dovuto ammettere che quella foto non gli era del tutto indifferente, che, esattamente al centro del cuore avevano sentito un' emozione strana, di quelle emozioni che sono tutto e sono niente, a cui non sai dare un nome e che si ripercuotono interamente su di te, sul tuo corpo, magari facendo accellerare il cuore e pulsare la testa, e poi sulla mente che inizia a provare quella sensazione di frustrazione per cui sai che manca qualcosa, la tessera di un puzzle; che un dettaglio, un ricordo, qualcosa insomma, sfugge al tuo controllo razionale, alla tua memoria. E' un ricordo nascosto, è presente nell' archivio della tua testa ma non hai la più pallida idea del cassetto in cui cercare. E in effetti per quella sera non ebbero neppure il tempo di cercarlo quel benedetto cassetto, erano andate a dormire forti della filosofia che la notte porti consiglio e invece si erano ritrovate qualcuno che le afferrava malamente buttandole giù dei propri letti e trascinandole in salotto, verso l' entrata. Talia aveva rigettato tutto quello che aveva mangiato sul tappetto mentre Febe scivolava in un angolino, come se volesse sparire aveva abbracciato sè stessa, aveva cercato di nascondere il pancione. Antares era terrorizzata, come tutte, era rimasta ferma al centro della stanza e lo guardava, guardava Andrea e il suo amico e non sapeva che diavolo fare.
-Paura, eh, bastarda?- aveva esordito il ragazzo- Guarda.- aveva aggiunto alzando una pistola scura sotto il suo naso- lo sai cosa è questa? Certo che lo sai. Fa paura vero?
Antares spostò lo sguardo da Andrea alla pistola, dalla pistola ad Andrea e si pentì per quello che aveva fatto in discoteca. Forse se si fosse limitata a scappare con Talia tutto quello non sarebbe successo.  Fissò un' altra volta il ragazzo, "non guardarmi" aveva urlato prima di colpirle il mento facendola cadere a terra.
-Ector- chiamò poi spostandosi verso Talia e accarezzandole lascivamente la gamba- questa è la puttana che non ha venduto la tua droga. Fanne quello che vuoi, ti risarcisco con i suoi servizi.
E Talia, che si era spostata all' improvviso da quel tocco andando a sbattere contro il pianoforte a parete alle sue spalle, si era sentita di nuovo sporca, di nuovo colpevole, di nuovo una merce di scambio. Che qualcuno le aiutasse, che qualcuno le aiutasse, urlò nella sua testa. Si voltò di scatto non appena sentì il pianto di Febe, sembrava ancora più piccola e indifesa in quello stato. La sentirono anche i due uomini, si spostarono verso di lei e Talia coprì i pochi passi che le separavano per mettersi davanti all' amica -e al piccolo- tremando come una foglia e completamente impotente ma decisa a non spostarsi da lì.
-Quella è incinta- disse l' altro ragazzo con una smorfia- è inutile. Per ora la chiudiamo nello sgabuzzino.- Aveva dato uno schiaffo a Talia facendole battere la testa contro il muro, senza riguardo aveva costretto Febe ad alzarsi afferrandola per il braccio e spingendola dentro il ripostiglio delle scope, la porta si era chiusa ed era rimasto solo buio, dall' altro lato poteva sentire i rumori, le voci, il dolore. La ragazza portò le mani al pancione, doveva scegliere se mettere le mani sul ventre oppure sulle orecchie per non sentire e scelse suo figlio. Lo accarezzò, lo tranquillizzò o almeno ci provò e tentò di trarne conforto a sua volta. Era terrorizzata, tremava; tremava, piangeva a dirotto e alla fine pregò. Però aveva paura di tutto quel buio, di tutto quel rumore, aveva paura di perdere quello che le restava.
Andrea era ritornato da Antares:- Occupati della bionda mentre io regolo i conti con questa.
La ragazza aveva visto Ector trascinare Talia verso una delle loro stanze.
-Ti ammazzo!- aveva urlato stridula girandosi verso di loro e cercando di seguirli se non che Andrea la afferrò per i capelli e le fece sbattere violentemente il viso contro il pavimento:- Ma allora non hai capito, sei scema. Non potete fare un cazzo! Cos' è? Vuoi fare la voce grossa, ti senti una tigre e invece sei una gattina, la mia schiavetta.
Andrea l' aveva fatta mettere in ginocchio, era dietro di lei e le puntava la pistola contro il fianco, la ragazza stava impazzendo di dolore, ebbe come l' impressione che un grosso livido le si stesse formando rapidamente sulla fronte, sentiva il naso pulsare e il calore del sangue che le riempiva le narici prima di colare sul pavimento, c' era così tanto rosso che giurò di sentirlo attraversare gola, riempire i polmoni,  riversarsi ovunque; le doleva il mento e aveva quasi l' impressione di non poter parlare e capelli, i suoi capelli, quelli che brillavano, l' unica cosa di sè di cui andava orgogliosa. Non aveva mai sopportato granchè il dolore eppure aveva fatto a botte un sacco di volte, eppure erano ormai due anni che tirava pugni su di un ring di boxe. Però il dolore non lo sopportava, cercava di imporselo, imporsi di sopportare ma in realtà aveva una soglia del dolore piuttosto bassa.
Sentì dei colpi provenire dallo sgabuzzino, Andrea si era alzato deciso a farli smettere. Ti tengo sotto tiro, l' aveva avvisata camminando verso il ripostiglio senza mai darle le spalle.
E allora era stato un attimo, si era ricordata del fermacarte nel cassetto del mobile accanto a lei, Andrea si era girato un secondo, solo uno e allora lei era stata veloce, lo aveva preso dal cassetto, si era abbassata e aveva corso i pochi passi che la separavano da lui. Quell' idiota l' aveva vista, aveva sparato, ma Antares gli era comunque addosso, aveva dato una spinta con il piede alla porta del ripostiglio, immediatamente un colpo al cuore dell' uomo sotto di lei e infine aveva visto il braccio di Andrea allentarsi, la pistola cadere per terra ma per lei non era abbastanza.
Il rumore della pistola aveva attirato l' altro ragazzo, nello stesso istante la porta di casa si spalancò e tre figure vestite d' oro fecero risplendere la stanza, o almeno fu quella l' impressione che ne ebbe Antares.

Nei giorni precedenti la dea Atena e il Pontefice avevano inviato la maggior parte dei santi d' oro in giro per il mondo alla disperata ricerca di notizie su Demetra e Kore. La dea per quel momento aveva deciso di mettere al corrente della delicata situazione solo la casta più alta del tempio in modo da evitare allarmismi -benchè giustificati- ed impedire a possibili nemici di trovare anche una falla minima all' interno del sistema del santuario. Nonostante le esortazioni della Glaucopide Camus era rimasto ostinatamente fermo negli Inferi, mentre osservava Sophia pensava che doveva trovare una soluzione, una soluzione veloce magari. Non poteva permettere il coinvolgimento delle senshi, in realtà di sua sorella, nè che Antares facesse la fine della guerriera di Mercurio o che il loro futuro fosse buttato alle ortiche. Aveva avuto un' unica certezza alla fine della guerra passata, ovvero un futuro di pace, con Milo e sua sorella; pace per tutti, pace per l' intero sistema solare. E ora i suoi parigrado volevano chiedere l' intervento delle senshi, un intervento magari inutile e che avrebbe significato contravvenire al veto di Pluto e che poteva cambiare tutto. Tutto. Loro dicevano che l' avvenire era già stato modificato, lui quella possibilità invece non voleva nemmeno prenderla in considerazione.
-Stupidi- borbottò Camus all' indirizzo degli altri gold saints e di uno in particolare.
Antares era l' unica famiglia che aveva, l' unica di cui ricordasse qualcosa, l' unico affetto avuto per un breve periodo della sua infanzia. Ricordava tutto di lei. Ricordava che quando sua mamma gli aveva detto di aspettare un bambino aveva messo il broncio, che quando l' aveva vista per la prima volta aveva pensato a quanto fosse brutta, che era caduta dal seggiolone e lui l' aveva presa con le sue braccine ancora piccole e corte, che le aveva regalato orgoglioso Koko, un coniglio di peluche, che ogni notte quella cosina così simile a lui sgusciava nel suo letto tirandosi addosso tutte le coperte e aggrappandosi al suo collo. Cosa credevano? Che l' idea di non rivederla più gli sorridesse? Che non fosse preoccupato per lei? Aveva visto che era pallida e sciupata, aveva visto e non aveva potuto fare niente.
-Stupida Sophia- ringhiò- alla faccia della sapienza. Tsè... mandare tutto a puttane per quell' idiota di Cancer.
E mentre Camus studiava Sophia giù agli Inferi, Milo e Aiolia tornavano da Delfi con il responso della Pizia, Kanon ripartiva nuovamente per la magione dei Cavendish per parlare della cosa con la Viverna, Shura e Alcesti ritornavano ad Eleusi e Mu, Aldebaran e Aiolia scandagliavano l' Europa e l' Asia minore alla ricerca di notizie sulle dee. Il santuario in quei giorni era particolarmente noioso e solitario, la casa dei Gemelli a Saga sembrava infinitamente triste e silenziosa senza la presenza rumorosa del fratello. Il maggiore dei gemelli non faceva a meno di stupirsi per il comportamento di Camus, un gold saint fuggito agli Inferi gli sembrava una barzelletta e probabilmente avrebbe anche riso se la situazione in cui si trovavano non fosse stata così assurda. Dormiva più o meno tranquillamente quando Shaka di Virgo fece la sua placida irruzione nella sua stanza da letto. Non che non avesse percepito il suo cosmo nonostante il sonno in cui era caduto ma non vedeva perchè avrebbe dovuto alzarsi dal letto. Il cosmo di quel cavaliere da quando lo conosceva non era mai mutato di una virgola, sembrava che nessuna emozione potesse penetrarvi, che riuscisse a separare l' energia del suo cosmo dai suoi sentimenti, ammesso che il Budda si permettesse il lusso di provarli. Solo Ikki di Phoenix e solo durante il loro combattimento durante l' ultima guerra contro Hades aveva giurato di percepire qualche vibrazione insolita, un po' come un sassolino nell' acqua, così piccolo e in grado di produrre delle onde sottili e di breve durata. Però c' erano, il sassolino le onde le creava. E quella notte, quando Shaka aveva aperto la porta della sua stanza pregandolo con voce calma di alzarsi, aveva giurato di percepire un paio di quelle onde, un cambiamento lieve, quasi invisibile.
-Shaka, è strano vederti lasciare il tuo tempio e ancora di più lo è se nel cuore della notte. Che succede?
-Ti prego di alzarti, Saga di Gemini. Temo sia necessario recarsi immediatamente ad Atene. Ti spiegherò brevemente non appena avrò convocato gli altri.
Gli altri nella fattispecie erano Aiolos e Milo.
-Shaka, come mai questa urgenza?- aveva domandato Sagitter mentre si spostavano velocemente verso Atene.
-Posso percepire distintamente ogni cosa- aveva iniziato il ragazzo- concentrandomi posso sentire emozioni, inclinazioni... e questa notte ciò che ho sentito è stata molta sofferenza e una richiesta d' aiuto.
-Shaka, vieni al dunque!- chiese Milo in ansia
-Al tempo Scorpio, l' impazienza non ti sarà d' aiuto. Ho sentito Talia domandare aiuto per sè e per le sue amiche e noi stiamo andando a soccorrerle.
Shaka di Virgo era convinto di essersi distaccato dalle umane cose, in passato era anche stato convinto di non potere cadere in errore, di avere estirpato il dubbio da sè, ma gli eventi, iniziati con la scalata al tempio di una manciata di ragazzini, gli avevano dimostrato il contrario. Nonostante la sua presunta superiorità si trovava impreparato, lui, proprio lui che era l' Illuminato, a fronteggiare l' altro, quelle debolezze umane che inevitabilmente lo coinvolgevano nel momento stesso in cui toccavano chi gli era caro. Lui personalmente riusciva a distaccarsene totalmente o quasi ma chi lo circondava no, incapace di vedere, diversamente da lui, oltre, e incapace di liberarsi delle debolezze. A nulla valeva la sua sapienza, i suoi consigli spesso richiesti proprio dall' altro, e dunque poteva solo stare a guardare l' umana distruzione, lui che era più in alto, lui che era Illuminato. A volte però era capitato che questa umanità che sembrava avere scordato lo coinvolgesse e allora era un fiume in piene da arginare velocemente. Così era stato con Ikki di Phoenix che gli aveva aperto una nuova finestra sulle cose, una finestra che si era immediatamente impegnato a esplorare, capire, superare e innalzarsi ancora una volta e ancora più illuminato di prima, così era stato mentre i traditori salivano le gradinate del tempio, ammirava il loro cuore, accettava un nuovo sacrificio, scopriva che i cavalieri di Atena di quella generazione erano in grado di unirsi e combattere come compagni. E infine c' era Talia, Talia che mesi addietro aveva sconvolto la sua routine, che aveva messo a dura prova la sua calma con balletti assurdi e canzoni stonate sotto la doccia. Talia che con il suo dolore lo aveva colpito come un pugno nel petto. Era un dolore che lo aveva investito, pressato, schiacciato, gli sembrava quasi di provarlo sulla pelle tanto era imponente, irriguardoso, avanzava senza curarsi di schiacciare gli altri. Era un dolore che era paura, paura della morte, paura del dolore stesso, era un dolore che era preoccupazione, enorme e accorata per le persone che amava, era senso di perdita per una perdita che c' era già stata e per altre due che invece ancora non erano perdita ma vite attaccate ad un filo. Era questo e molto altro e colpiva, e feriva.
E poi alla fine era il dubbio. Lo era stato quando lei era caduta verso il vuoto e Virgo temette per la prima volta di non farcela, di arrivare troppo tardi per afferrare il suo braccio e salvarla.

Quando Talia era stata portata nella camera da letto di Febe, la più vicina all' ingresso in cui era rimasto Andrea, aveva capito le intenzioni dell' uomo, non ci voleva poi molto e allora aveva deciso, scuandosi con Febe, Antares e Sophia era uscita di corsa sul balcone e giù, si era buttata giù. Bastava chiudere gli occhi e concentrarsi sulle persone che amava, ormai avevano perso, non c' era scampo a quel giorno, non ce la faceva a lottare, ad accumulare ancora ferite su ferite, tanto valeva concludere con dignità che vivere l' inferno sulla terra. E Shaka, mentre salivano le scale verso il loro appartamento, aveva visto qualcosa - o qualcuno- cadere attraverso le vetrate che sostituivano la parete da un lato. Aveva fatto di corsa le scale, in quei pochi interminabili attimi si era dato fiducia dicendosi che un saint ha il dono della velocità della luce, che, nel momento in cui aveva spalancato la porta di un appartamento sotto lo sguardo stupito e spaventato dei suoi abitanti, ce l' avrebbe fatta. Si era sporto dal balcone e in quell' esatto momento Talia aveva sentito una mano che la afferrava per il braccio, poi aveva visto, aveva visto quella stessa mano coperta d' oro, e poi sù, lungo il braccio, la spalla, tutto era oro in lui. Aveva accarezzato con lo sguardo i capelli biondi che le solleticavano la fronte e gli occhi azzurri aperti su di lei. Sorrise fissandolo dimenticandosi  del vuoto sotto di lei e prendendo a piene mani la pace e il conforto della pienezza di quel viso che le stava sopra, concedendosi alla fine tra le sue braccia il piacere di un ricordo.
-Shaka?- chiamò Talia uscendo nel giardino della sesta casa
-Oh per Atena...e adesso che vuoi?- chiese il saint afflitto
-Che accoglienza! Comunque volevo darti questo
Talia pose sotto al naso di Virgo una serie di fogli scritti a mano.
-Cosa sono?- domandò perplesso il gold
-Un contratto
-....
-E' un contratto che regolerà la nostra convivenza. Leggilo- lo esortò piena di buone intenzioni
Passarono i secondi, i minuti e poi un' ora abbondante e Shaka si ostinava a non girare pagina, fermo alla prima.
-Shaka...e allora?- chiese Talia
-E allora....e allora non si capisce niente, chi l' ha scritto? Una gallina?
-Sì, l' ha scritto la gallina proprio davanti a te
-Ah. Scusa- disse mortificato il cavaliere
-Non importa, l' ho scritto di getto...sai avevo fretta, dovevo accompagnare Dohko per negozi. Facciamo una cosa, ti propongo un patto, poi se ti va bene, lo renderemo valido con una stretta di mano- propose la ragazza
-Uhm....ok- capitolò il ragazzo pensando di non avere molte alternative
E così Talia aveva promesso che sarebbe stata meno rumorosa, che non avrebbe più cantato nè sotto la doccia nè mentre si vestiva, che sarebbe andata a fare la sua oretta di aerobica giornaliera nella settima casa, che avrebbe obbedito a Virgo, il quale a sua volta si impegnava ad essere piu paziente e a spiegarle ciò che non capiva e infine a chiacchierare con lei almeno una mezz' oretta al giorno.
Alla fine del "patto" Shaka tirò fuori dalla tunica una cosa e la diede alla ragazza
-Cerotti per non russare?!- si meravigliò Talia- Io non russo!
-Si invece, quando dormi tu mi sembra di avere in casa dieci elefanti. Se vuoi ti faccio sentire la registrazione- detto questo il santo della Vergine tirò fuori dalla tunica un piccolo registratore nero
-Che cosa? Mi hai registrata?- domandò Talia offesa
-Mi servivano delle prove- rispose placido Shaka.
-E va bene userò questi stupidi cerotti- capitolò finalmente la ragazza per buona pace di Shaka.

Milo arrivando disarmò rapidamente l' uomo alle spalle di Antares mentre Saga si avvicinava cautamente alla ragazza che si abbandonava ancora una volta contro Andrea. Il gold la guardò qualche istante coperta di tutto quel liquido rosso che sembrava ovunque intorno a lei, il sangue che le usciva dal naso, dalle mani, si mescolava a quello del ragazzo e non si capiva più se Antares stesse ferendo lui  o piuttosto sè stessa. Le prese il polso togliendole dalle mani il piccolo oggetto.
-Basta così- sussurrò facendola spostare contro di sè. La sentì lamentarsi e toccarsi il fianco.
-Fammi vedere- le impose mentre lei con un no stentato si allontanava verso Aiolos che tra le braccia teneva una Febe terrorizzata.
Milo le afferrò le spalle.
-Non mi toccare!- urlò cadendo a terra. I ragazzi videro le pupille degli occhi nocciola dilatarsi, li guardava come se solo in quel momento avesse acquisito una nuova consapevolezza.
Rapidamente i santi d' oro portarono le tre ragazze all' ospedale della fondazione Kido. In quei pochi secondi Talia rimaneva in silenzio, ascoltava Antares a tratti gridare,a tratti singhiozzare frasi sconnesse e Febe gemere per i dolori del parto imminente.

Febe non avrebbe pensato di partorire in quel modo, in quel giorno. Forse suo figlio aveva pensato che era meglio sbrigarsi per nascere prima che fosse troppo tardi, ma lei in quel momento non sapeva se aveva la forza necessaria per spingere, come dicevano i dottori. La verità è che si sentiva spossata fisicamente e mentalmente, tutta la paura e la preoccupazione le avevano letteralmente succhiato ogni energia. Quando la adagiarono sul letto della sala parto sarebbe voluta scappare. Non ce la faceva proprio, poi pensò che però erano salve, nonostante la paura erano salve e allora aveva sorriso pensando che adesso le toccava l' ultimo sforzo per la creatura per cui aveva lottato in quei mesi. Lottato con i genitori che l' avevano buttata fuori di casa non appena avevano saputo che aspettava il bambino di un padre sconosciuto. Pensavano che non volesse dirglielo il nome del padre ma la verità era che lei non se lo ricordava proprio e poi aveva dovuto combattere con sè stessa, con quella parte fatta di dubbi e di paure, con la sè stessa debole che credeva di non poter diventare madre e infine contro la gente che la guardava rimproverandola o compatendola. Quella notte però era arrivata alla fine della corsa, aveva temuto di essere arrivata alla fine e basta e in quel ripostiglio aveva pianto pensando che avrebbe perso suo figlio, pensando alla cattiveria che c' era dall' altro lato della porta. Un attimo dopo si era sentita male, aveva sentito qualcosa rompersi e il ventre dolerle e allora aveva realizzato: il suo bambino aveva deciso di nascere. Aveva iniziato a sbattere i pugni contro la porta chiusa, poi la luce fioca del soggiorno, uno sparo e la porta che si richiudeva. Aveva visto di nuovo tutto buio e pensando al peggio era stato il panico e la paura, il cuore pompava veloce nel petto e i polmoni si muovevano annaspando alla ricerca d' aria che non percepivano in respiri brevi e secchi, un groppo in gola le impediva di urlare, le lacrime si bloccavano sugli occhi. Non poteva finire così, aveva pensato, aveva un bambino da far nascere e da crescere prima che tutto finisse. Un bambino.
Bambino, aveva ripetuto nella sua testa. Bambino, era il suo primo pensiero in quei momenti di paura. Poi finalmente qualcuno aveva aperto quella dannata porta tirandola fuori. Si era calmata solo quando aveva visto Talia e Antares nonostante non riuscisse a capire cosa avesse l' ultima. Nella sala operatoria i medici avevano iniziato a parlare di complicazioni, non aveva capito niente, lei, solo che qualcosa stava impedendo a suo figlio di respirare bene, che il piccolo si trovava in una posizione anomala.
Aveva gridato:- Salvate lui!- era un ordine, un appello perentorio e disperato. Non le importava di morire, Antares e Talia avrebbero cresciuto suo figlio, lo avrebbero fatto bene, lo avrebbero fatto per lei, ne era sicura, si fidava. Se in quell' istante le avessero proposto di morire al posto di suo figlio avrebbe accettato senza esitazioni, avrebbe accettato l' inferno per quella creatura. Erano passate ore, ore trascorse a lottare anche quando non ce la faceva più e alla fine era scoppiata a piangere. Di felicità, perchè aveva sentito il vagito di un neonato; alto, forte, poderoso, stava urlando al mondo di esistere, gridava "eccomi, sono qua, ce l' ho fatta. Ho vinto!"
Il medico guardò l' orologio:- Sono le 02:45 del 12 Gennaio, signora, è nato un bel maschietto-
Febe iniziò a ridere, a piangere e a ridere perchè suo figlio era già un eroe.
Nella sala d' attesa tutti tirarono un sospiro di sollievo, Talia si buttò addosso a Shaka urlando "è nato! E' nato!" per poi sgattaiolare veloce nella sala da parto e ridere con Febe. Mancava solo Antares e ovviamente Sophia.

Shura e Alcesti avevano trovato alloggio in un albergo ad Eleusi e ritornati dal tempio si erano seduti a parlare nella stanza del ragazzo.
-Dobbiamo trovare il modo di aggirarci indisturbati nel santuario- aveva esordito Alcesti
-Credi che Iambe ci nasconda qualcosa?
-Questo non lo so e non credo ne avrebbe motivo ma mi sembra assurdo che non sappia dove sia Demetra, la accompagna da una vita! Dovremmo partecipare ad uno dei riti.
-Starai scherzando...
-Affatto. E' una buona idea invece.
Shura si distese sul letto allargando le braccia, quella sera si sentiva particolarmente stanco, quella Iambe era un osso duro, o parlava troppo e di cose inutili o si chiudeva nel più ostinato silenzio. Alcesti gli si avvicinò stendendosi al suo fianco.
-Mi ricordi qualcuno- ammise poggiando la testa sulla mano fissandolo. Il ragazzo non parlava, imbarazzato da quella vicinanza eccessiva, dal suo profumo che gli entrava nelle narici desiderandone di più, Alcesti allora ne approfittò per continuare- qualcuno che ho amato molto, Shura.
Si protese ulteriormente rotolando delicatamente su di lui, gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò. Il saint guardò con la coda dell' occhio l' orologio sul comodino un po' per indecisione e un po' per pensare a qualcosa di diverso dal corpo di Alcesti, segnava le 2: 45, mancava poco più di un quarto d' ora alle tre e la notte era ancora lunga. Nella sua testa rimbombarono le ultime parole di Alcesti nella notte precedente.
 "Le incertezze nei sentimenti difficilmente hanno ragione d' esistere, soprattutto nei sentimenti d' amore. O si ama o non si ama.  Soddisfa il tuo desiderio se è ciò che vuoi."
Poi Shura decise di non pensare più.


-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, spero che non vi dispiaccia un capitolo così lungo ma mi  sembava un peccato dividerlo a metà, avrebbe perso molto. Ci tengo a dire una cosa a proposito delle note iniziali. Io non credo che questa storia necessiti di raiting rosso, leggendo cosa indica il raiting arancione mi sembra che vada bene per questa ff, anche per questo motivo, sebbene avessi in mente scene più forti, non le ho messe, proprio per cercare di mantenermi nella fascia arancione, per rispettare il raiting che ho messo, tuttavia ci tengo a ricordare ogni tanto la premessa perchè credo che ognuno di noi abbia una sensibilità diversa, questo è tutto. Non so dare un giudizio su questo capitolo, di certo incastrare i vari punti di vista della stessa situazione o comunque dei suoi diversi momenti non è stato semplice e ancor di più farlo con l' occhio dei saint, dunque come sempre mi affido a voi.



Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. Voglio chiamarti Cheiron ***


.c.11
Capitolo 11
Voglio chiamarti Cheiron

Il cellulare iniziò a squillare con insistenza, Shura si rigirò nel letto affondando la testa nel cuscino, prima o poi avrebbe smesso, ma a un giro di squilli ne seguì un altro. Accese la lampada sul comodino fissando accigliato l' orologio che segnava appena alle 4:30 del mattino, pensò ad un' emergenza e si alzò rapidamente dal letto cercando di individuare il punto da cui proveniva il suono e finalmente lo trovò sotto il maglione gettato malamente sul pavimento.

-Pronto
-Shura...
-Aiolos! Aiolos, che diavolo è successo?
-Shura- dall' altro lato del telefono si sentì un attimo di silenzio, poi un sottofondo di voci tra cui riconobbe quelle di Milo e Saga.
-Aiolos!
-Shura, ascolta, Febe ha avuto un... un bambino.
Il saint crollò a sedere sul letto, incredulo. Di chi diavolo era quel figlio? fu la prima cosa che si chiese, e per un attimo sentì del risentimento nei confronti della ragazza perchè si era scordata di lui, non solo aveva conosciuto un altro ma ci aveva anche fatto un figlio.
Non può essere, idiota, gli disse la parte più razionale di sè, i tempi non coincidevano, non vedeva Febe da sei mesi quindi...
-Era già incinta quando se ne è andata- soffiò.
Si sentiva dannatamente intontito, non era pronto. Insomma, qualsiasi uomo ha nove mesi di tempo per prepararsi, lui invece riceveva una telefonata, una stupida telefonata e gli dicevano che era padre, perchè ormai non c' erano grossi dubbi, il bambino era suo.
-Shura? Shura ci sei?
-Sì
-Tutto bene?
-Non troppo, a dire il vero.
-Forse dovresti venire in ospedale. Non è nato da molto.
-Qu-quando è nato?
Aiolos diede un' occhiata veloce all' orologio:- Sono le 4:30... intorno alle 02:45, neppure da due ore- e Shura sentì Aiolos sorridere.
-02:45- ripetè in trance- 02:45... nemmeno due ore. Mi sono perso la nascita di mio figlio
-Non è tardi per recuperare, è andato tutto bene, Febe e il piccolo stanno bene
-E' un maschio
-Sì, è un maschio.
-Un nome ce l' ha?
Aiolos rimase un momento in silenzio, spostò il peso da una gamba all' altra:- Sì ce l' ha- confermò e Shura pensò che non aveva partecipato neppure a quello, neppure a dare un nome a suo figlio. La piccola Febe aveva fatto tutto da sola, a quanto pare era cresciuta molto in quei mesi. E lui non c' era stato, non aveva potuto esserci, nè per lei, nè per il bambino e soprattutto si era dimenticato di lei. Nella notte in cui era stesa sul letto di una sala operatoria per far nascere il loro bambino, nella notte in cui suo figlio nasceva, lui se la spassava con la sacerdotessa di Kore.
-Dimmelo, no?- domandò bruscamente
-Si chiama Cheiron
Ci fu un attimo di silenzio, un attimo per riflettere ancora:-Ci sentiamo dopo-
Shura chiuse bruscamente la telefonata e iniziò a rivestirsi, quando si girò vide Alcesti che lo guardava in silenzio. I movimenti del Capricorno erano nervosi, frustrati, rapidi.
-Dovresti sfogare in qualche modo il tuo malessere.
-Già e per farlo, per sfogarmi come dici tu, sono andato a letto con una sconosciuta e mi sento uno shifo, sai?
Alcesti si alzò e Shura se la vide così, seminuda di fronte a lui. Avrebbe voluto coprirla, gli faceva ribrezzo lei e il suo corpo, gli faceva ribrezzo persino sè stesso:- Non dire sciocchezze, sei venuto a letto con me perchè volevi, perchè mi desideravi. Non cercare scusanti per alleggerirti la coscienza!
-Mi sento male lo stesso. Mi sento male perchè per loro non ci sono stato, perchè lei era lì, in ospedale e io nel letto di un' altra. Perchè mio figlio si chiama Cheiron. Cheiron!- urlò il ragazzo-Sai che vuol dire? Lo sai?!
-E' il centauro- disse con calma Alcesti
-Il più saggio e giusto, così meritevole da essere onorato da Zeus in persona che lo collocò tra le stelle, come costellazione del Sagittario.
Shura aveva serrato la mascella, i pugni così stretti da dolergli, avrebbe voluto abbandonare il suo proverbiale autocontrollo e distruggere tutto invece respirò, afferrò il cappotto e uscì dalla stanza.
Cheiron. Suo figlio che era anche del suo stesso segno zodiacale, si chiamava Cheiron. Perchè diavolo si chiamava Cheiron?


Febe aveva chiesto ad Aiolos di farle visita nella sua stanza poco dopo la nascita del bambino, non vedeva l' ora di farglielo vedere. Ne era orgogliosa, era orgogliosa di quel suo piccolo tesoro. Il saint di Sagitter era luminoso anche senza quell' armatura dorata che gli aveva visto addosso poche ore prima, Febe allungò il braccio verso di lui afferrando la sua mano nella propria, ben più più piccola e più chiara, con l' altro braccio teneva il bambino accanto a sè, attenta a non fargli del male. Gli occhi della ragazza si fissarono sulla figura del saint:- Le devo la vita, le dobbiamo la vita- precisò, si sentiva immensamente riconoscente a quell' uomo dal sorriso gentile, così grata da non sapere come dimostrarglielo e allora cercò di trasmettergli il suo calore, il suo grazie immenso e grandissimo, stringendo la sua mano- Grazie! Grazie!
Aiolos si passò una mano tra i capelli, imbarazzato:- Non devi ringraziarmi, davvero, non è necessario.
-Oh sì invece, lo guardi- aggiunse lasciando la presa e allungando il piccolo verso di lui- lo prenda, guardi. E' un miracolo. Lo, so, per ogni madre il proprio figlio è un miracolo ma lui lo è davvero, non sa quanto ha dovuto combattere in tutti questi mesi... e ha combattuto ancora, fino all' ultimo, per poter nascere. Non so perchè lo abbia fatto, non lo so davvero perchè in fondo credo che lui sentisse tutto, tutto quanto. Non siamo state molto fortunate in questi mesi, abbiamo vissuto tante sofferenze, io e le mie amiche e lui con noi, ne sono certa. Però ha lottato, ha voluto esistere e lei lo ha aiutato ad esistere, signore.
Aiolos prese il bimbo tra le braccia e iniziò a cullarlo pensando che forse era lui a dover ringraziare Febe, perchè davvero quel piccoletto era bellissimo, un miracolo davvero, come diceva lei.
-Non chiamarmi signore, non darmi del lei. Mi fai sentire vecchio, non lo sono- sorrise sedendosi sulla poltrona al suo fianco continuando a cullare il bimbo.
-Scusi... scusa. Io sai, credo di averla vista un' armatura come la tua. L' ho vista e ora lo so, voi esistete
-Noi, esistiamo?
-Sì, voi... voi... gente vestita con delle armature dorate. Ho una foto in cui ci siete voi e noi, io, Antares, Sophia e Talia ma onestamente ho delle difficoltà a ricordare come ciò sia possibile.
Il saint di Sagitter pensò che era impossibile che loro avessero una foto di quel periodo, non doveva essere così, Pluto aveva cercato di eliminare ogni cosa, ogni oggetto che le legasse al santuario e allora qualcosa doveva essere andata storta. Si ricordò le parole di suo fratello, la Pizia aveva detto che certe decisioni avrebbero avuto ripercussioni sul futuro quindi se le senshi avessero deciso di tenere una foto, allora è probabile che prima o poi si sarebbero comunque ricordate dei saint e di Atena anche senza il loro intervento diretto. Era tutto terribilmente complicato. Il bambino dormiva placidamente tra le sue braccia, bisognava assolutamente telefonare a Shura, in teoria il padre era lui.
-Hai già deciso il nome?- domandò all' improvviso.
Febe sorrise:- Ci ho pensato a lungo, tanto, tanto a lungo. Talia e Antares in questo periodo mi hanno proposto bizzeffe di nomi, ma ho deciso solo questa notte. Ho bisogno che tu mi dica una cosa. Sulla tua cassa ho intravisto un centauro, è il Sagittario vero? Il tuo segno è il Sagittario?
Aiolos annuì impercettibilmente.
-Lo avevo capito, quando ti ho visto, non so perchè, ma l' ho capito. Mio figlio si chiamerà Cheiron e sai perchè, perchè Chirone era il più giusto e saggio e buono tra tutti i centauri. Ha rinunciato alla sua immortalità, sai, per donarla a Prometeo. E tu sei buono e giusto e saggio... come Cheiron- sorrise contenta- Voglio che mio figlio cresca così e voglio che il suo nome onori l' uomo che lo ha salvato.
Aiolos si sentì imbarazzato e onorato al tempo stesso, orgoglioso di quel bambino ma non poteva permettere che il suo nome ricordasse lui, il Sagittario. Non doveva essere così. Il suo nome doveva ricordare un altro uomo, leale e fedele, il più fedele tra i santi alla dea.
-Non posso, non posso accettare Febe. Non è giusto, questo bambino ha un padre di cui essere fiero, te lo assicuro.
-Mi ricordo di una sola persona in questi giorni, una persona ricoperta di oro come te e mi ricordo tutto ciò che ho provato con questa persona, cosa ho sentito e mi ha trasmesso e se è lui il padre di mio figlio, allora sì, so che questo bambino può esserne fiero ma voglio ugualmente esserti riconoscente. Se tu non ci avessi tirato fuori in tempo da quel ripostiglio, il mio piccolo Cheiron non ci sarebbe mai stato, non avrei mai dovuto scegliere un nome per lui. E allora si chiamerà Cheiron, mi dispiace- pigolò a voce bassa, rammaricata.
-Non devi scusarti affatto, sono onorato. E' un onore grandissimo, te lo assicuro, non devi fraintendere... sono felice.



Antares sentiva il bip bip degli strumenti al suo fianco, i muscoli intorpiditi come se avesse dormito per giorni e poi aprendo lentamente gli occhi, l' oscurità più completa fu sostituita da una luce biancastra, non forte ma abbastanza da infastidirla. Le sue narici captarono puzzo di disinfettante e di ospedale, una stanza con le pareti metà blu e metà bianche e le poltrone di uno smunto turchese, strani apparecchi attorno a lei e uno di quegli armadietti grigi e allungati. Bleah, aveva sempre odiato gli ospedali e soprattutto le iniezioni. Ricordava che ogni volta che doveva farne una girava per minuti interi per la casa col sedere al vento faticando per tener su i pantaloni e insieme scappare dall' ago. Riabbassò lievemente le palpebre cercando di muovere le dita ma percepì qualcosa che glielo impediva, quando girò la testa dall' altra parte identificò quel qualcosa come una mano più scura stretta intorno alla sua. Era Saga, accarezzò la zazzerra bionda arruffata domandandosi che diavolo ci facessero in un ospedale, lo chiamò. Il ragazzo la guardò per un attimo stordito, scosse appena la testa prima di chiedere ansioso:- Come ti senti?
Antares ridacchiò:- Come se mi avessero dato una botta in testa.- Il suo sorriso si spense in fretta, le era parso di capire che l' avevano dovuta ricucire da qualche parte, si osservò le mani e notò che erano entrambe fasciate. Le sembrava di averle già viste così una volta ma scacciò velocemente il pensiero- Saga, che ci faccio qui? - la sua voce si incrinò, si fece incerta- è... è successo qualcosa al bambino?
Il saint di Gemini la guardò un momento confuso, prima di realizzare:- No, non ti preoccupare. Febe e il bambino stanno bene e prima che tu lo chieda, sì, è un bel maschietto- Saga aveva aveva fatto un cenno affermativo con la testa ampliando il sorriso che era spuntato sulle labbra severe.
-Sono contenta, sono davvero contenta ma vorrei sapere che ci faccio qui, vorrei sapere se il nostro di bambino sta bene. Se c' è ancora, ecco.
-Che?- Saga si domandò di che diamine stessa parlando quella ragazza mentre la fissava stralunato. Sembrava veramente preoccupata, poi si ricordò dello stato mentale e non solo fisico con cui l' avevano portata in ospedale e delle raccomandazioni dei medici. Assecondatela, avevano detto. Alla fine i genitori non avevano voluto il trasferimento al reparto psichiatrico, tuttavia c' erano alcuni psichiatri che la seguivano ugualmente per via dell' influenza delle famiglia di Antares nonostante Talia continuasse a ripetere che la sua amica non era impazzita.
Il saint aprì la bocca per parlare, lo fece lentamente misurando bene le parole e non sapendo in realtà cosa dire di preciso:- Sta...- si fermò mentre vedeva chiaramente Antares agitarsi sul letto, segno che probabilmente stava perdendo la pazienza- Vuoi che stia bene?- chiese invece alla fine
-Ma che cazzo di domanda è? E' ovvio che voglio che mio figlio, nostro figlio, stia bene!
-Allora sta bene.
Normalmente Antares avrebbe insistito per sapere il perchè della sua domanda, si sarebbe fatta mille paranoie e mille domande fino a quando Saga avrebbe ammesso la verità, questa volta, notò il saint, si era improvvisamente quietata, aveva sentito ciò che voleva.
-Bene. Bene- ripetè afferrando nuovamente la mano del ragazzo.
Poco dopo il saint andò ad avvisare i medici e la famiglia che Antares si era svegliata. Nel giro di pochi minuti la stanza si riempì di camici bianchi mentre il cavaliere aspettava nella sala d' attesa adiacente insieme alla famiglia e a quell' Alex. Si alzò per andare ad avvertire Talia e gli altri cavalieri, in quel momento con Febe, prima che il padre di Antares gli si avvicinasse insieme ad Alex.
-Vorrei sapere da lei- iniziò lentamente il generale con severità- vorrei sapere in che rapporti è con mia figlia. Non mi ha mai parlato di lei.
Saga rimase un momento interdetto, quel giorno gli stava capitando piuttosto spesso e non gli piaceva per niente:- Sono semplicemente un amico.
-Molto affezionato direi- disse Alex con una punta di fastidio
Saga si mise le mani nelle tasche e sorrise canzonatorio al ragazzino che aveva davanti:- E tu chi diavolo saresti invece?
-Io sono il suo ragazzo
E a Saga quella semplice affermazione pareve un pugno nel petto, un pugno che avrebbe volentieri ricambiato con un uno vero e decisamente fisico su quella faccia da schiaffi.
-Signor... signor?- domandò nuovamente il generale strappandolo ai suoi pensieri
-Avérof
-Bene, signor Avèrof, le sono infinitamente grato per tutto ciò che ha fatto per la mia Ann. Probabilmente senza l' intervento suo e dei suoi amici le nostre ragazze sarebbero state spacciate, tuttavia le devo chiedere per cortesia di non interferire nella vita di mia figlia. Vede, lei non mi piace. Trovo che sia un elemento di disturbo, quello che si definisce un semplice amico -tra l' altro Ann non ha molte amicizie- non le starebbe accanto con tanta dedizione. Antares è fidanzata, lo ha sentito lei stesso e con un ragazzo della sua età.- Il generale calcò la voce sottolineando le ultime due parole, come se non bastasse si congedò con un "addio", non certo con un semplice arrivederci. Era proprio un addio e Saga intuì che quello era il suo modo gentile per dirgli che non lo voleva più tra i piedi.
Saga sbuffò, come se quel despota potesse impedirgli di vederla, non lo avrebbe permesso. Andò via tornando pochi minuti dopo insieme agli altri cavalieri, mancava solo Milo. Aiolos lo avvertì che era andato ad avvisare Camus.
-Signor Martakis, come sta Ann? Che hanno detto i medici?- si informò Talia andando incontro all' uomo appena uscito dalla stanza della figlia. Il generale invece la sorpassò velocemente, livido in viso, mentre sua moglie parlava animatamente con Alex  dicendogli di calmarsi e che avrebbero chiarito la questione.
-TU. Grandissimo bastardo!
Il saint di Gemini si accigliò nel vedersi puntare contro il dito indice del generale e nel sentirsi dare del bastardo Si stava decisamente esagerando. Aveva detto di non piacergli. Bene, concluse, nemmeno lui gli piaceva. Per niente.
-Ora sta esagerando generale. Mi dica che vuole e facciamola finita.
-Hai anche questo coraggio? Non ti vergogni, eh? Quanti anni hai? Bè, lo sai, Antares ne ha solo diciannove. Mi spieghi perchè ha chiesto di suo marito? Che diavolo le hai fatto?
In quel preciso momento, mentre Saga cadeva dalle nuvole e si domandava per l' ennesima volta cosa stesse succedendo e come, in che universo e in che momento si fosse sposato con Antares, Camus, seguito a ruota da Milo, arrivò verso di loro. Quando il generale Martakis lo vide, sbiancò. Sua moglie si avvicinò a lui e al nuovo venuto con gli occhi spalancati dalla sorpresa: -Tu, tu sei uguale a lei- balbettò con ovvietà.
-E tu chi saresti?- chiese il generale.
Camus sollevò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto:- Io sono il fratello di Antares- fu la limpida risposta, data per lo più senza riflettere e per liquidare in fretta quei due scocciatori- Voi sareste...?
-I suoi genitori. Antares non mi aveva detto di avere un fratello. Tu non c' eri proprio quando l' abbiamo presa all' orfanotrofio- disse l' uomo.
-Piacere allora. Se non c' ero probabilmente è perchè ero già stato portato via. Se volete facciamo un test del DNA, non mi interessa, ora se volete scusarmi vado da mia sorella.
-E' stato un po' brutale- fece notare Saga girandosi verso Milo
-Abbastanza brutale
Camus entrando nella stanza sospirò nel vedere la sorella tutta intera, la abbracciò forte sedendosi sul letto al suo fianco:- Quanto tempo...- sospirò sollevato.
-E' solo da ieri che non ci vediamo. O forse è dall' altro ieri? Non me lo ricordo sai?
Camus la guardò confuso:- Ann, ma che stai dicendo? Noi non ci vediamo da-
Una dottoressa alle sue spalle lo interruppe invitandolo gentilmente ad uscire:- Vi vedrete dopo- aveva concluso sorridendo prima di dirigersi insieme a lui verso il pingue gruppetto in sala d' attesa. Camus si sentì piuttosto irritato. Non vedeva sua sorella da una vita e ed era potuto restarle accanto appena qualche secondo, sbuffò sonoramente, se non aveva fatto storie era solo perchè evidentemente qualcosa non andava.
-Allora- iniziò la donna- io sono la dottoressa Cassandra Skopas, sono la psichiatra responsabile di Antares.-guardò una cartella blu prima di continuare- Ho bisogno di parlare con la famiglia, ovviamente anche con il signor Camus Grandier, poi con il signor Avérof e per finire con la signorina Karamanlin. Potete seguirmi tutti insieme nel mio ufficio.
La psichiatra era una giovane donna bassina e dai capelli corti di uno strano arancione tendente al rossiccio, aveva gli occhi azzurrissimi e un grande sorriso. Sembrava quasi un folletto e nell' insieme era piuttosto carina e di sicuro originale con quel suo abito giallo canarino sotto il camice bianco. Fece accomodare i genitori di Antares sulle due sedie di fronte a lei, Camus e Talia  su un divanetto scuro mentre Saga al contrario preferì restare in piedi contro la parete.
-Lei è troppo teso signor Averof- rise- e lei, signor Martakis è troppo agitato. Facciamo un bel respiro e calmiamoci tutti.
-Sarebbe agitata anche lei dottoressa se venisse a sapere che sua figlia si è sposata con un tizio più vecchio di lei. E sconosciuto.
-Non saltiamo a conclusioni affrettate generale, non è da lei. Mi dicono che è sempre molto calmo.- la dottoressa inforcò un paio di occhiali da vista con le aste colorate dando uno sguardo veloce alla cartella di Antares prima di stendersi contro la poltrona- Allora, vi farò un veloce quadro della situazione, ho già parlato con la signorina Karamanlin.-
-Talia- la interruppe la ragazza- mi chiami Talia
La donna sorrise:- Bene, ho parlato a lungo con Talia che mi ha spiegato come sono andate le cose, lo ha spiegato anche alla polizia a dire il vero, ma comunque... Talia mi ha detto che erano tutte andate a dormire, poi i due aggressori le hanno costrette ad alzarsi dai loro letti portandole nel salotto all' ingresso, Andrea, l'' ex ragazzo di Talia, con il quale Antares si era già... uhm... scontrata in passato, ce l' aveva particolarmente con lei. Febe era stata chiusa in un ripostiglio, Talia veniva portata via dall' altro aggressore, Antares rimaneva sola nella stanza. A questo punto cosa succede? Lo chiedo a lei signor Averof perchè Antares non se lo ricorda. Vi prego di rispondere a tutte le domande che vi farò, per me è essenziale riuscire a ricostruire i fatti in modo da poter capire ciò che accade nella testa di Antares.
-Non saprei, quando siamo arrivati Antares era addosso ad Andrea, lo colpiva ripetutamente con un fermacarte, non era in sè, credo. Sembrava completamente vuota. Abbiamo tirato Feebe fuori dal ripostiglio, ho fatto allontanare lentamente e con calma Antares dal ragazzo e siamo venuti qui.
-Quando ha iniziato a dire frasi senza senso?
Saga ci pensò un momento, in realtà da quello che aveva notato il problema erano loro, i cavalieri di Atena:- Si è assicurata che Febe stesse bene, poi ci ha guardati attentamente, è rimasta in silenzio prima di parlare... in modo strano.
-Cosa diceva?
-Quello che ha detto quando i dottori l' hanno vista per la prima volta.
La donna sorrise ancora:- Me lo deve dire lei, io non ero ancora presente, mi dispiace.
Intervenne Talia:- Urlava, si metteva le mani tra i capelli, piangeva, a volte gridava forte, a volte sussurrava: Sophia, Sophia è morta diceva. Non ce la faccio più, sono stanca e poi Camus, diceva che gli mancava, che aveva bisogno di lui, che Saga non la voleva più vedere. Diceva però che non ce la faceva più soprattutto, che aveva paura ed era stanca, stanchissima. Poi si è come svuotata, nei suoi occhi non c' era più niente e non ha più parlato. I medici l' hanno operata e ora lei si sveglia e sembra tranquilla- Talia rise nervosamente.
-Non la voleva più vedere, eh?- fece il generale guardando in tralince il saint di Gemini.
-Signor Averof, lei è sposato con Antares? Aspetta un figlio da lei?
-No e no.
-Siete stati fidanzati?
Saga rimase in silenzio decidendo cosa rispondere. Non era semplice visto che in effetti sì, erano stati insieme una volta. A dirla tutta una volta erano proprio stati sposati e aspettavano un bambino. Ma era un' altra vita, troppo lontana per contare ancora qualcosa.
-Il rapporto tra Saga e mia sorella è stato sempre molto altalenante- intervenne Camus al suo posto- è uno di quei rapporti che è un poco un miscuglio di tutto, mai definito e definibile in qualcosa, probabilmente ci sono troppe incomprensioni tra loro per potere dare un nome a questo tipo di relazione.
-Capisco. Sophia, chi è?
-E' morta- fu la risposta laconica di Talia- qualche mese fa. Era la nostra migliore amica, ne abbiamo tutte sofferto molto.
-Lei, Camus, è realmente il fratello di Antares.
-Sì
-Noi non lo sapevamo- disse Catherine Martakis
-Bene, allora è evidente che Antares abbia subito un forte chock, ci sono state delle cose che le hanno causato una specie di cortocircuito al cervello, troppi ricordi e troppi pensieri scomodi tutti insieme. Poi il nulla, c' è stato una specie di black-out per cui vostra figlia ha eliminato tutto ciò che trovava scomodo, spiacevole, doloroso creando una realtà tutta sua, una specie di mondo perfetto in cui rifugiarsi in cui sono presenti solo le cose che le fanno comodo o che lei desidera.
Il generale fece una smorfia disgustata:- Mia figlia desidera sposarsi con quell' uomo? E un figlio, sempre da lui?
-Ha sempre detto che di figli e matrimoni non ne voleva sapere niente, che doveva laurearsi, che erano progetti lontani- disse la madre costernata.
Quando uscirono fuori dalla stanza Camus si avvicinò a Saga:- Antares ricorda, solo che ricorda solo certe cose, non ha inventato niente. Ricorda il suo matrimonio con te, il bambino e Sophia, ricorda solo le cose positive e nella sua testa non fa distinzione tra i ricordi accumulati nella varie vite, tra quelli presenti che appartengono a lei e quelli che appartengono alla sè stessa passata. Non è questione di desideri o di mondi immaginari.


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. Dov' è finita Antares? ***


c. Capitolo 12
Dov' è finita Antares?



Antares non capiva.
Si toccava delicatamente il ventre e non capiva. Immaginava un grosso punto interrogativo troneggiare sulla sua testa.  Lei si sentiva emozionata, felice - e anche spaventata, sì. Non era bello quello che le era accadatuto? Aspettava un figlio da Saga. Le scappò un risolino. Era felicissima, per natura non era mai felice, riusciva sempre a trovare qualcosa che non andava in tutto e non amava abbandonarsi alle emozioni ma adesso era tutto cambiato. Ma, sarebbe stata in grado di occuparsi di un' altra creatura? Si mise una mano sulla testa rossiccia, a mala pena sapeva curare sè stessa! Scosse il capo sentendosi un po' sciocca perchè aveva iniziato a ridere sommessamente senza motivo. No, un motivo c' era. Era dannatamente felice. Ce l' avrebbero fatta.
Però non poteva fare a meno di chiedersi perchè sua mamma piangeva, perchè suo padre le aveva detto -irritato, lo aveva visto che era irritato- che sarebbe andata a casa con loro.
Aveva piegato la testa di lato aggrottando le sopracciglia:- E Saga?
Il generale divenne paonazzo, strinse i pugni, stava per urlare ma Katherine lo bloccò asciugandosi gli occhi rossi e abbozzando un sorriso:- Poi, poi viene- mentì.


-Senti dolore?
-Un po'- Antares fece una smorfia mentre Alex le cambiava la fasciatura alle mani. Sua madre passò in quel momento dal salotto guardandola con aria smarrita. Katherine non aveva mai immaginato di potersi trovare in una situazione del genere. Sua figlia era pazza. Pazza! In ospedale aveva taciuto, si era asciugata le lacrime mentre sua figlia si carezzava una pancia dove credeva stesse un bambino -era terribile, terribile- ma poi era bastato mettere piede in auto per mettersi a piangere e ad urlare mentre Dimitri, in silenzio, pareva non ascoltarla neppure. Lo aveva scosso in preda alla rabbia:- e tu non dici nulla? Mi ascolti? Ti sto parlando, dannazione!
-Cazzo, Cat, stai zitta!- Dimitri Martakis non usava mai termini volgari, le parolacce non rientravano nel suo personale vocabolario, il suo linguaggio era sempre molto controllato ma quella situazione esulava dal suo controllo, -inammissibile!- e provava quella leggera frustrazione che portava il suo cervello a riflettere affinchè tutti i pezzi del puzzle perfetto che aveva costruito in quegli anni tornassero a combaciare.
- Sto pensando- terminò più rilassato mentre rifletteva sul modo di liberarsi di quel dannato Averof.
Due giorni dopo Saga e Camus non avevano più trovato Antares nella sua stanza d' ospedale e Talia non riusciva a mettersi in contatto con lei.
-Mamma?- Antares si affacciò alla porta della biblioteca seguita a ruota da Alex- dove è papà?
-Perchè, lo vuoi sapere?
-Come perchè? Ma che domande sono? Voglio sapere quando potrò tornare ad Atene.
Alex si appoggiò pigramente al pianoforte all' interno della stanza:- Che devi andare a fare ad Atene?
Antares stava perdendo la pazienza e poi si chiedeva cosa diavolo potesse interessargliene a lui:-La smettete con tutte queste domande? Io non lo so, veramente, da quando sono qua non fate altro che controllarmi...-
Il suo sfogo fu interrotto dall' ingresso del generale, le poggiò una mano sulla spalla costringendola a sedersi sulla poltrona che aveva alle spalle:- Siediti, Antares- aggiunse, prima di iniziare a camminare su e giù per la stanza. Si passò una mano sul volto stanco:- Tu non tornerai ad Atene.
E Antares per poco non si mise ad urlare.
"Calma, devi stare calma", si ammonnì poggiando una mano sul ventre. Ma chi voleva prendere in giro? Lei non era mai stata calma. In apparenza forse, ma no, non era mai stata nè calma e nè tranquilla. Non ci voleva poi molto a farla arrabbiare, era solo brava a soffocare emozioni e sentimenti, a controllare le sue azioni.
-Tu sei fidanzata con Alex- continuò il generale indicando con un cenno il ragazzo.
"Che? Ma quando mai?", pensò la rossa. Quando era successa questa cosa?
-Non con Avèrof- e quel nome il generale lo sputò- quel vecchio...
E Antares pensò che quella era ipocrisia visto gli anni che separavano i suoi genitori.
-Hai... avuto un incidente- continuò l' uomo. Quante volte se l' era immaginato quella scena? Quante volte aveva ripetuto la sua parte?- abbiamo parlato con i medici, ti curerai da un bravo psicologo. Ci hanno spiegato che la tua mente crede cose che non sono, che non esistono. Capisci?- ora la guardava come se fosse una bambina.
Mentre Antares lo guardava come se avesse tre teste e otto mani, ma che stava farneticando? Lei non ricordava proprio un bel niente. Niente:-Che dici? Che incidente? Non so di che parli- si era alzata in piedi aumentando il tono della voce.
Dimitri le si era messo davanti urlandole di calmarsi, che gli stava mancando di rispetto:- E' questo che ti ha insegnato quel bastardo?! Non mi hai mai risposto così. Non ti permettere, Antares. Non ti permettere!
Ecco. Questo la faceva piangere. Il terrore di ferire la sua famiglia, di deluderla, di mancarle di rispetto la faceva star male. Forse per questo ogni volta taceva e prendeva le cose così per come venivano.
Oh, ma quanta paura che aveva. Suo padre la spaventava a volte, quando alzava la voce. Bastava quello per farla scappare con la coda tra le gambe. La ragazza si era accasciata sulla sedia, in silenzio, l' uomo si era calmato, le parlava conciliante:- Devi credere a quello che ti dico. E' così. Sei stata in ospedale, no?
E Antares annuì. Era vero, ci era stata, solo che non sapeva perchè.
-Ecco, è perchè hai avuto un incidente... con... con l' auto. Hai sbattuto la testa.-Il generale si passò una mano tra i capelli. Dio, quante sciocchezze.- adesso, te l' ho detto, ricordi cose sbagliate, credi cose sbagliate.
-Il bambino...- sussurrò-... Saga...?
Il generale le strinse la mano:- Non c' è nessun bambino, Ann. E tu e quell' uomo non avete alcun tipo di rapporto, ti ha trovato e ti ha portata in ospedale, grazie al cielo, ma nient' altro. Tu stai con Alex.
Antares si tirò le maniche del maglione fino a coprire le mani, si sentiva le guance bagnate, forse stava piangendo. Però era brava perchè dalla bocca non usciva alcun rumore. Era brava, brava davvero, così nessuno l' avrebbe sentita, nessuno si sarebbe preoccupato o l' avrebbe compatita o peggio, le avrebbe dato della stupida perchè per queste cose non si piange. C' è gente che sta peggio. Glielo ripetevano sempre da bambina.
Era brava.
Ma, neanche troppo metaforicamente,  il suo mondo era crollato.


Se lo erano visto spuntare in ospedale silenzioso e come se avess un diavolo per capello, Shura.
-Dov' è?- aveva sillabato a un Aiolos stralunato. Lo sapeva, lui, che quel nome, Cheiron, non era stata una buona idea. Era raro vedere Shura arrabbiarsi e nonostante non lo desse a vedere, lo era parecchio. In quel momento era come se lo stesse bruciando con gli occhi, lo stava implicitamente accusando che era colpa sua, che in qualche modo il destino voleva per forza che lui fosse l' eroe della situazione e lui fosse in torto marcio, persino con Febe.
E poi quel nome per suo figlio era stata la ciliegina sulla torta.
Cosa voleva dimostrare Febe? Cosa? Era forse un modo per punirlo? Era capace di questo, quella ragazzina?
Shura alzò i tacchi senza una parola di più diretto verso la stanza della ragazza.
-Aspetta, Shura.
-Che vuoi, Aiolos? Ho fretta.
-Ti ruberò solo un secondo. Ecco... prima che tu parli con Febe devi sapere che non ricorda molto del periodo trascorso al tempio.
Shura annuì:- Per via di Pluto, no?
-Sì, per via di Pluto- confermò Sagitter- ma per qualche strano motivo, per via di una foto che hanno tenuto, ricorda vagamente qualcosa, qualche emozione... non ho ben capito.
-Ok. Altro?
-No, tutto qui.
-Tutto qui- sospirò Shura andando via.
Capricorn aprì la porta lentamente chiedendosi come diavolo potesse affrontare quella situazione assurda. Era ironico, no? Che proprio nel momento in cui andava a letto con un' altra donna ritrovava Febe. E non solo lei.
Gli si gonfiò il cuore nel petto quando lo sguardo scuro di lei si posò addosso a lui, si sentì un pugno in fondo allo stomaco fatto di felicità e di dolore, più precisamente di colpa. Per questo faceva così male. Rimase immobile come uno stupido senza sapere che dire e che fare.
Quando Febe lo vide schiuse la bocca in un moto di sorpresa, abbassò lievemente la testa di leato increspando le labbra in un sorriso, era rimasta così, a godersi quella figura come il sole sulla pelle. Fu un attimo di felicità pura e incondizionata, un momento in cui il cervello le andò in cortocircuito sotto il peso di ricordi, visioni, azioni e sentimenti. Il suo amore, il suo amore lo aveva ricordato tutto, tutto in un momento lo aveva visto, non solo sentito, tutte le immagini di mille vite, mille giorni sovrapposti le erano fluite nell' anima, le erano passati dalla mente come le immagini di un film.
Si alzò in piedi, di scatto, sollevando le coperte e piangendo come una bambina.
-Shura- ripetava il suo nome singhiozzando.
Shura.
Shura.
Shura.
Non seppe mai quante volte lo aveva ripetuto mentre piangeva e rideva, mentre si stringeva contro di lui e se lo stringeva tra le braccia con la poca forza che aveva. Aveva sfregato la testa contro il suo petto, lo chiamava, piangeva, rideva. E non le importava di sembrare stupida, non le importava di sembrare una ragazzina piagnucolona.
Si ricordava di lui. Si ricordava!
E lo poteva toccare, stringere, abbracciare, vedere. Potevano parlare! Era bellissimo.
Il cavaliere di Capricorn rimase in silenzio, la strinse stretta a sè sorridendo, per un attimo forse poteva dimenticare la sua colpa, poteva dimenticare di aver dubitato di lei.
L' avrebbe baciato, quello scricciolo che aveva dato al mondo il loro bambino. Non vedeva l' ora di vederlo.


Talia era sempre stata una socievole ed espansiva, non si creava particolari problemi davanti a niente e a nessuno, riusciva ad essere sè stessa persino di fronte alla persona più scontrosa o altezzosa o superba che ci potesse essere, incurante del suo giudizio assai probabilmente poco lusinghiero. Non le importava, l' importante era essere sè stessi, sempre. Eppure in quei giorni c' era una persona in grado di farla tacere, di metterle un certo timore, una specie di soggezione, e quella persona, con sua enorme preoccupazione, era Saga. Non sapeva bene perchè, non lo sapeva affatto, ma quell' uomo, così grande, così composto, così serio, la faceva sentire piccola piccola e fuori luogo, spesso inopportuna.
Pensò che dovesse essere molto innamorato di Antares e un poco invidiò l' amica, era fortunata ad avere accanto una qualcuno che si preoccupasse tanto per lei, che per lei agiva in un determinato modo. Quando aveva saputo che era sparita, o meglio, che i suoi genitori l' avevano portata via dall' ospedale, non aveva fatto apparentemente una piega. Aveva avvisato Camus e si erano messi a chiedere in giro a medici e infermieri sperando di poter reperire qualche notizia utile, poi si era avvicinato a lei:- Sai dove abitano?
-Lo so ma il padre di Antares non è un uomo stupido, non credere che si farà scovare tanto facilmente.
Aveva annuito:- Lo sospettavo, in effetti. Allora sai dove potrebbero essere?
-Ovunque... in Grecia... o da qualche parte in in Inghilterra. Non lo so.
-Bene, allora vorrà dire che cercheremo ovunque.
Si era girato ed era andato via e Talia si era passata una mano sulla faccia ammirando quell' uomo che riusciva a non perdere il controllo e maledendosi al tempo stesso per essere così inutile. Si era attaccata al telefono e aveva chiamato Antares più e più volte, ovviamente non aveva risposto nessuno. Per quanto ne sapeva poteva anche non vederla più.
Si battè una mano sulla coscia, era possibile essere così sfortunate? Come poteva spiegare la situazione a Febe? Non era mai stata brava in queste cose, era sempre stata la meno responsabile di tutte, la più infantile, non poteva sobbarcarsi un peso del genere tutto in una volta.
Si sentiva dannatamente sola e a dirla tutta invidiava un poco sia Febe che Antares, loro non erano affatto sole. E non era giusto questo perchè, cavolo, era Antares quella che si proclamava indipendente, quella che aveva più palle di tutte loro messe assieme, non vedeva perchè dovesse avere ben due ragazzi a proteggerle le spalle, Saga e suo fratello. Antares era quella che tra tutte loro ne aveva di sicuro meno bisogno, le sue spalle erano abbastanza larghe. Mentre lei invece era stata brava solo a trovare un buono a nulla che le aveva procurato un sacco di guai e ora si ritrovava con l' anima a pezzi perchè da una parte non desiderava affatto il tocco di un uomo, dall' altra voleva anche lei qualcuno al suo fianco -qualcuno che non fossero Febe o Antares-, come se non bastasse si sentiva un verme, un verme schifoso perchè non poteva essere gelosa delle sue amiche, non era giusto, quello che avevano se lo meritavano e non era vero che le spalle di Antares erano larghe o forti, erano piccole forse quanto le sue.




Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Confessioni e vie di fuga ***


c. nuovo vetri
Capitolo 13
Confessioni e vie di fuga.



Sull' acropoli di Atene si era tenuta un' assemblea speciale a cui parteciparono tutti i cavalieri d' oro e la sacerdotessa di Kore al cospetto di Atena e del Pontefice per discutere di quanto accaduto e degli avvenimenti più recenti. Al termine della riunione Saori, Talia e Febe si erano spostate in un piccolo salotto adiacente alla grande sala.
-Quindi non disturbiamo?- aveva domandato Febe stringendo il piccolo Cheiron contro il petto.
-No, assolutamente!- Saori aveva sorriso, Febe non era cambiata per niente in quel tempo lontana dal santuario. Era necessario che loro fossero al sicuro tra le case dello zodiaco. La dea, doveva ammetterlo, si sentiva parecchio frustrata. C' era Kore che non si trovava, Demetra che sembrava essere sparita assieme alla figlia, Sophia che si trovava negli Inferi. E no, non era proprio il suo posto. E non ultimo, un imminente catastrofe naturale se non si sbrigavano a risolvere quella situazione al più presto possibile. E come se non bastasse, ciliegina sulla torta, Antares era uscita fuori dai gangheri ed era sparita.
Bene.
Ottimo.
Perfetto.
Calmati, si ripeteva nonostante cercasse di apparire il più decisa possibile quantomento con gli altri.
Calmati e non farti prendere dal panico.
Due delle custodi in fondo erano al tempio ed era già qualcosa, Febe già sembrava ricordare praticamente tutto, e Talia piano piano anche.
Guardò le due ragazze sedute di fronte a sè, dovette ammettere suo malgrado che avrebbe preferito che al loro posto ci fossero state Sophia e Antares. Si sentì un po' in colpa per questo pensiero ma si era dimostrato evidente che le altre due senshi avessero un carattere più forte se si considerava la fragilità di Febe, e più maturo, visto che Talia era fin troppo esuberante. Senza contare che la guarriera dell' acqua e dell' aria avrebbero saputo fronteggiare molto meglio la situazione. Atena scosse il capo. Ma che stava facendo? Doveva avere fiducia in quella ragazze. Per Zeus! Erano guerriere. E se lo erano c' era un motivo, dovevano avere le qualità adatte per esserlo, semplicemente dovevano tirarle fuori.
Fiducia.
Sì, fiducia. Sorrise alle due ragazze chinandosi verso il bambino. Sorrise maggiormente, quel fagottino era speciale.
-Posso prenderlo in braccio?- chiese timidamente.
Febe annuì porgendole il piccolo addormentato.
La dea lo prese goffamente tra le braccia:-E' bellissimo. Bellissimo.
In momenti come quello o quando il suo cuore aveva battuto più forte per... amore -lo poteva chiamare così quel sentimento?- si chiedeva se fosse giusto reincarnarsi come umana. Sapeva che la sua permanenza sulla Terra come donna, e non come essenza divina come era stato nell' antichità, l' aveva cambiata. Prima era diversa, era diverso parte del suo modo di pensare, certi suoi principi. Stando tra gli uomini, vivendo le loro stesse fuggevoli emozioni, percependo sulla sua pelle i tempi e le epoche cambiare e rinnovarsi, era mutata anche lei con loro, il suo modo di concepire le cose, persino le guerre. Una volta era in prima linea, assisteva questo o quell' eroe che ai suoi occhi era stato meritevole, a volte agiva anche per un suo piacere personale, magari per vendicarsi di piccoli torti subiti. Si vergognava a morte di ciò, gli dei, tutti loro, erano stati egoisti, capricciosi, probabilmente più umani degli umani.


Antares chiuse gli occhi e si immerse completamente nell' acqua, le piacevano i vapori che si diffondevano nella piccola stanza del bagno, la tranquillità di quel momento, il malinconico ritmare delle gocce d' acqua del rubinetto. Sbuffò contrariata, solo lei poteva vederci della poesia in cose stupide come quella. Forse era pazza per davvero, insomma, sua madre la guardava con un misto di pena e vergogna -perchè, si chiedeva, perchè proprio a lei una figlia con le rotelle fuori posto?- mentre suo padre si limitava a guardarla deluso, sembrava volerle dire "ma che diavolo combini? Uscire di senno in questo modo!"- eppure lei pensava che non fosse colpa sua. Insomma, non è che una mattina ti alzi e dici "oh bè, oggi credo proprio che diverrò pazza. Per dispetto."
Eh no, mica funzionava così. Strano che suo padre non lo capisse, era sempre stato un uomo tanto assennato. Era come se fosse impazzito assieme alla figlia e allora si ostinava il generale, si ostinava a trovare una benedetta cura. E c' era lo psichiatra che veniva ogni giorno prescrivendo medicinali dai nomi strani, e c' era quello per dormire e quello per stare calma e quello per questo e per quell' altro. Bho, lei non ci stava capendo più niente. Si sentiva solo tanto confusa. Di certo non sarebbe guarita così. La prima volta che aveva visto quel tizio aveva capito che quello non consultava i libri di medicina ma quelli contabili, che aveva fatto non il giuramento di Ippocrate, ma quando mai! Aveva fatto il giuramento dell' esimio Conto Bancario.
Antares non si sentiva propriamente pazza, non totalmente per lo meno. Forse giusto un pochino perchè di alcune cose era sicura. O no? Sophia era morta, di quello ne era sicura e glielo avevano confermato.
E poi? Bho, e poi basta.
No.
Aspetta.
C' è... c' è... c' è Camus. E le avevano detto "e Camus chi è?"
E Saga. Oh, almeno lui esiste, così le avevano detto. Ma non era chi lei pensava.
Antares aggrottò le sopracciglia. Si sentiva prigioniera della sua stessa testa, e anche dei suoi genitori. C' era qualcosa che non andava. Forse era la pazzia. Forse era più pazza di quanto pensasse. E lei che credeva di avere solo qualche problema, solo qualche piccolo complesso. No invece, era tutta folle.
Doveva guarire. No, voleva guarire. Però non prendeva le medicine del Dottor Non-si-ricordava-il-nome. Gli faceva antipatia, solo per questo.
E se avesse provato a scappare?
Aveva sentito un discorso un paio di giorni prima. Suo padre e suo zio -quello materno, Alfred- volevano convincere quel disgraziato di Alex a sposarla. Ovviamente non sapevano che lei stava origliando e infatti si dovette trattenere dal ridere. Alex era sbiancato -Ma state scherzando?!-, ecco, aveva detto proprio così.
-Le nostre famiglie sono molto unite, tuo padre non avrebbe nulla in contrario a unire i patrimoni- aveva detto lo zio Alfred, e Antares aveva pensato "ah, ecco. E' questione di soldi"
-M... ma no!- E Alex balbettava
-Non vuoi bene ad Antares?- il generale
-Le voglio bene ma non ho intenzione di sposarmi con una pazza. E'... è assurdo. Mi fa schifo!- Alex di nuovo. Antares se ne era andata via, aveva sentito abbastanza. Adesso sapeva di fare schifo. Faceva un po' male questa cosa. Chi avrebbe amato una pazza come lei?
Alex non si era più fatto vedere, meglio così.
Sentì bussare alla porta, insistente, improvviso, fastidioso.
-Antares! Antares! Cosa stai facendo? Antares?!- era sua madre.
-Il bagno- una risposta semplice. La verità.
-Lo sai che non vogliamo che ti chiudi a chiave. Apri, tesoro!- preoccupata come se si aspettasse sempre il peggio.
Antares uscì fuori dalla vasca di mala voglia, aprì la porta e si ritrovò di fronte il pallido riflesso di sua madre. In pochi giorni si era sciupata molto, doveva essere a pezzi, non era truccata e sui capelli era evidente la ricrescita da cui faceva capolino qualche filo ingrigito. Si sentì in colpa.



Febe stava tornando alla casa del capricorno, Cheiron tra le sue braccia. Se aveva ben capito il discorso di Atena e di Sion dovevano risvegliare i loro poteri. Il problema era: quali poteri se li avevano esauriti tutti durante la battaglia contro Beryl? Sophia avrebbe trovato la soluzione, o magari Antares. Ma non c' erano nè l' una e nè l' altra. Lei non era tagliata per queste cose e a voler essere onesti non era nemmeno tanto sicura di voler partecipare a un' eventuale guerra.
Ma Sophia era rinchiusa in una specie di bozzolo.
 Quando lo aveva saputo per poco non scoppiava a piangere, se non lo aveva fatto era solo perchè Shura la stava guardando e anche quell' ospite strana, Alcesti, che le incuteva un vago timore.
Cosa doveva fare? I saint erano abbastanza certi che Sophia era morta, per lo meno fisicamente. Di certo non poteva lasciare una delle sue migliori amiche in quello stato, non era giusto, l' anima di Sophia meritava la pace, tuttavia nell' istante stesso in cui aveva sentito il suo piccolo scalciare nel proprio grembo tutte le sue priorità erano cambiate.
Come doveva comportarsi?
 C' era solo da cacciarsi nei guai in quel posto! Non poteva lasciare orfano il suo bambino o peggio mettere a repentaglio la sua vita. Se c' era una cosa che aveva imparato l' ultima volta era il fatto che il grande tempio non era un posto così sicuro come sembrava.
Sospirò, "Ho bisogno di cucinare", si disse, cucinare poteva distrarla o al contrario, se necessario le permetteva di concentrarsi meglio.
Persino Shura non era più quello di prima. Magari non la voleva più, magari non voleva Cheiron. 



Shura sapeva di starsi comportando in modo strano, avrebbe preferito che Febe alloggiasse al tredicesimo tempio invece che nella propria casa. Da quando l' aveva vista aveva scambiato solo un bacio con Febe poi non era più riuscito a toccarla, si teneva a debita distanza da lei. Trascorreva le sue giornate all' arena sottoponendosi ad allenamenti massacranti, se lei entrava in una stanza lui si premurava di uscirne, il problema al massimo erano i pasti.
Gelidi e silenziosi, nonostante la piccola Febe -ma quell' aggettivo forse non le si addiceva più- avesse tentato, almeno inizialmente, ad attaccare bottone. Non è che gli facesse piacere comportarsi così, nè tanto meno vedere il viso addolorato della ragazza. Febe non era mai stata brava a nascondere i suoi sentimenti.
Una sera gli aveva domandato come era andato l' allenamento, lui si era limitato a grugnire un "bene" stentato.
-E... e ti sei allenato con qualcuno?- la voce le tremava.
-No.
C' era stato un momento di silenzio, Febe stava letteralmente mordendo la forchetta pensando probabilmente ad una risposta che le permettesse di continuare quella pallida conversazione:- Cheiron...- si era interrotta alzandosi da tavola e farfugliando che andava a prendere il dolce. Aveva sentito i suoi singhiozzi provenire dalla cucina.
Shura si andò a sedere sugli spalti dell' arena, alcuni ragazzi si allenavano insieme ai propri maestri, dopo qualche minuto Alcesti si accomodò al suo fianco:- Mi evitate nobile Shura.
-Buongiorno anche a voi, sacerdotessa.
Alcesti sorrise:- La vostra bella è tornata. Ora siete persino padre. Dovreste esserne felice eppure sembra che vi sia morto il gatto.
-Sono felice- ci tenne a sottolineare il cavaliere.
-Vi assicuro che non sembra. Vi sentite forse colpevole per averla tradita?
Capricorn rimase in silenzio, tecnicamente non aveva tradito Febe visto che non stavano insieme e credeva che non l' avrebbe più rivista.
-E' pur sempre una forma di tradimento- aggiunse Alcesti come leggendogli nel pensiero- per questo vi sentite così in colpa. Il problema è che voi urlavate fiero e sicuro il vostro amore nei confronti di quella ragazza eppure avete giaciuto con un' altra donna. Immagino dobbiate essere confuso. Vi sentite in obbligo nei confronti di quella giovane? Non capisco bene perchè a dire il vero.
-Ho un figlio, dannazione!- sbottò il ragazzo
Alcesti rise:- Siete antico, amico mio. Sapete quanta gente divorziata esiste? Eppure i loro bambini crescono molto normalmente. E se volete la mia opinione vostro figlio crescerà maglio lontano dal tempio, senza il peso di essere il figlio di un cavaliere. Sapete che crescendo qui si voterà a una missione, come tutti del resto. La giustizia è una strada irta di ostacoli.
Alcesti non aveva tutti i torti ma lui, il più fedele tra i cavalieri della dea, non avrebbe tratto che orgoglio da un figlio fedele ai suoi stessi ideali:- Sceglierà lui la sua strada.
-E allora cosa volete fare? Giocare alla famiglia felice, qui al tempio? Con una donna che non amate?
-Voi non capite! Io... io amo Febe.
-Non si direbbe.
-Non è semplice, lei è così... pura e dolce e delicata, ingenua. Fragile. Come posso io farle del male?
-Allora non è amore. Voi vi sentite semplicemente obbligato. Avete fatto sesso con me, Shura. Questo non è amore, ve lo garantisco io- concluse Alcesti andando via.
-Io non so che diavolo fare...
Come poteva abbracciare Febe, parlarle normalmente, dormire con lei -era da quando era arrivata che si era trasferito sul divano- se si sentiva un verme ogni volta che la guardava? L' aveva tradita, è vero, Alcesti aveva ragione. Era un tradimento perchè aveva sempre detto di amarla. La verità è che si sentiva davvero confuso. Doveva parlarle, lei doveva sapere.
L' aveva trovata ai fornelli, Cheiron nella culla, lontano dai fornelli e al tempo stesso a portata d' occhio. Si era st upito non poco quando lei e Talia si erano presentate al tempio con ben due culle, una più leggera e semplice, l' altra graziosamente lavorata. Gli aveva spiegato che aveva bisogno si sapere che suo figlio fosse al suo fianco, nella sua stessa stanza.
Shura si era schiarito la voce, un modo un po' goffo di annunciarsi e dopo che lei lo abbe salutato spostò una sedia sedendosi al tavolo.
-Se hai fame ho preparato una torta di mele- aveva detto Febe indicando il dolce sul piano della cucina.
-No, grazie.
Febe si era girata verso il frigorifero cercandovi qualcosa all' interno e intanto parlava:- E... e allora come mai sei qui?- Si era voltata verso di lui all' improvviso, rossa in viso- ciòè, non intendo dire che non puoi venire. E' casa tua, no? Certo che è casa tua, puoi fare quello che vuoi. Non che ti serva il mio permesso, ben inteso...- aveva sospirato richiudendo lo sportello del frigo- è che di solito sembri evitarmi, ecco.
Shura aveva spostato una sedia accanto alla propria:- Siediti.
Quando Febe fu accanto a lui gli sorrise un po' triste:- Non devi dirmi delle belle cose, vero?
Si era limitato ad annuire:- E' passato molto tempo da quando ve ne siete andate. Ho sentito molto la tua mancanza e ti ho amata tanto... però prima o poi bisogna andare avanti- si era fermato un momento osservando con la coda dell' occhio i movimenti della ragazza, vedeva le sue mani strette tra loro sulle gambe, gli occhi bassi e gonfi puntati sul tavolo scuro- il fatto è che... in realtà non sono andato avanti, non mi sono dimenticato di te, Febe però mentirei dicendoti che non è cambiato nulla.
-N... non ti capisco Shura, puoi essere più... chiaro?- era un sussurro il suo, la voce spezzata e alterata dai singhiozzi trattenuti a forza.
-Sono stato con una donna di recente, è la sacardotessa di Kore, Alcesti.
-Ah- Febe non pensava che le sacerdotesse facessero queste cose. In effetti Alcesti era una bellezza particolare, desiderabile di sicuro. Le avrebbe spaccato il muso a quella lì, lo pensò per un attimo mentre in quello dopo rifletteva sul fatto che aveva perso irrimediabilmente Shura. Cosa si aspettava del resto? Già da quando si erano conosciuti ai suoi occhi era poco più che una bambina. Non l' avrebbe mai vista come una donna e ora che c' era la sacerdotessa ancor meno.
Adesso poteva piangere. Era rumorosa quando piangeva, forse patetica. Di sicuro debole. Non le importava più niente. Non aveva nemmeno il coraggio di chiedere in cosa aveva sbagliato, in cosa non era degna di lui, di implorarlo. Non era una questione di orgoglio, non ce la faceva semplicemente. Era inutile, non si sceglie chi amare, tuttavia tentò un semplice:- Posso cambiare, se vuoi.
Sentì il braccio di Shura avvolgerle le spalle e non potè fare a meno di abbandonarvisi.
-Sono solo confuso, Febe. Tu non devi cambiare per nessuno.
E allora Febe pensò che forse aveva una speranza:- Ti aspetterò. Aspetterò.
-Potrei deluderti.
-Aspetterò lo stesso.
-Non ti garantisco niente.
Cercò di asciugarsi le lacrime alla meno peggio:- Non importa.
Shura la guardò in silenzio. Sorrise interiormente, un' ostinazione degna della guerriera di Marte quale era.
Dopo qualche ora Febe raggiunse Shura nel salotto. Avrebbe dovuto fare le valigie da sè, ne era consapevole però decise di parlare prima con lui:- Vuoi che vada via, immagino.
Il ragazzo sollevò gli occhi sulle due figure che aveva davanti, la madre e il bambino:- No, potete restare. E' mio figlio.- disse indicando il bambino.
-E allora tienilo in braccio- Febe allungò Cheiron verso di lui. Si sentiva un poco in colpa, forse aveva giocato sporco, una parte di lei sapeva che Shura non l' avrebbe cacciata, specie se Cheiron fosse stato con lei. Se fosse andata via di sua spontanea iniziativa invece non era certa che lui l' avesse fermata.



Saga non aveva mai visto di buon occhio il rapporto tra la Viverna e suo fratello e doveva ammettere che quando era venuto a conoscenza del fatto che si erano lasciati aveva fatto non pochi salti di gioia. Questo per due motivi fondamentali: il primo era ciò che Rhadamantys rappresentava, uno dei giudici di Hades, loro nemico giurato, e ciò che in virtù di questo ruolo aveva compiuto in battaglia. Saga non avrebbe mai dimenticato quello che era accaduto ai suoi compagni anche se non colpevolizzava certo il gigante degli inferi, era suo dovere difendere il dio a cui aveva votato l' esistenza. Se si fosse comportato diversamente lo avrebbe ritenuto un essere infido e indegno, mentre invece, benchè nemico, lo ammirava. Il secondo motivo era quello di non voler vedere Kanon soffrire. Se un giorno si fossero trovati nuovamente sul campo di battaglia suo fratello avrebbe servito lealmente la dea così come Rhadamanthys il suo signore, di questo ne era certo e proprio perchè sapeva che sarebbe andata così era cosciente del dolore che questa lealtà avrebbe comportato per entrambi, perciò quando Kanon e il giudice avevano smesso di frequentarsi aveva tirato un sospiro di sollievo. Era meglio così.
E poi non riusciva a fidarsi completamente di quel tizio.
Nonostante ciò ora si trovava in un locale londinese a sorseggiare tè con la Viverna e Kanon al centro che probabilmente se la rideva sotto i baffi.
-Grazie per l' aiuto che ci stai dando- aveva iniziato appoggiando la tazzina sul piattino.
-Non montarti la testa, Gemini, lo faccio solo perchè le guerriere potrebbero servirci tutte quante. Vi aiuto per il bene del regno di sire Hades, non certo per altro.
-Ne sono consapevole, quindi sarò breve. Quest' incontro è tedioso per te quanto per noi, Viverna.- Kanon stava mettendo altro zucchero nel te, Radamanthys guardò il gesto contrariato, sul cucchiaino che il minore dei gemelli reggeva nella mano destra era ammucchiata una montagnetta considerevole di zucchero, era fastidioso. Gli tolse il cucchiano dalla mano.
-Che diavolo stai facendo?!- sbottò Kanon contrariato.
-Stai rovinando il gusto del tè- poi alzò gli occhi al cielo- hai dei gusti barbari- sputò.
-A me piace zuccherato- sibilò l' altro tendendosi verso di lui.
-Troppo. E' irritante, nessun inglese te lo perdonerebbe mai.
-Ah- Kanon ebbe una sorta di illuminazione- per questo hai smesso di offrirmi il tè quando di venivo a trovare.
-Ovviamente, non potevo sopportare un simile scempio.
-Sei un egoista. Non puoi impormi ciò che più ti aggrada!
-Non l' ho mai fatto.
-Non è vero!
-Solo per il tè?
Saga osservava la scena basito e si chiese come avessero fatto a stare insieme se non addirittura a provare un reciproco interesse anche se conoscendo suo fratello probabilmente tutto quello lo divertiva:- Smettetela- li interruppe alla fine- abbiamo cose più importanti a cui pensare.
Rhadamanthys lo guardò torvo, nessuno poteva permettersi di dare ordini a un giudice infernale, tuttavia dovette convenire che il cavaliere di Atena non aveva poi tutti i torti. Kanon sbuffò abbandonando la tazza sul tavolo.
-Ho saputo che la madre di Antares è una donna inglese, la  famiglia è piuttosto in vista. Si chiama
Katherine Hinchinghooke.
-In società ci conosciamo più o meno tutti. Il nome non mi è nuovo, mi informerò.



Saga si trovava di fronte ad una villa a pochi chilometri da Londra, aveva dovuto attraversare un giardino enorme per giungere fino al portone. La Viverna gli aveva dato l' indirizzo spiegandogli che apparteneva alla madre di Katherine, lascito di una prozia. Fece un giro attorno alla casa, non era il caso di agire subito, avrebbe peggiorato la situazione e molto probabilmente se ne sarebbe andato a mani vuote mentre lui doveva portare Antares con sè. Forse sarebbe dovuto andare Camus al suo posto. Aquarius aveva lasciato tutto nelle sue mani dicendo che si fidava di lui e che al momento aveva da fare. Che diavolo poteva mai avere da fare di più importante?! Qualcosa ci doveva essere, si disse Saga, il cavaliere dell' unidicesima non era un tipo che prendeva le cose alla leggera.
 Saga era rimasto per buona parte della mattinata a tenere d' occhio la casa, si era arrampicato sui rami di un albero per cercare di vederne meglio l' interno per dove era possibile. Finalmente nel primo pomeriggio sperò di aver individuato la stanza di Antares. Vide la ragazza chiudere le tende, forse per riposare dopo il pranzo. Aspettò qualche minuto e decise di tentare la sorte iniziando a tirare dei sassolini contro la finestra, si sentiva tanto un adolescente, se la situazione non fosse stata disperata avrebbe potuto riderne. Immediatamente si nascose tra i rami dell' albero su cui si era appollaiato in modo da non venire scoperto se ad affacciarsi non fosse stata Antares.
E invece era proprio lei, la vide scostare le tende e aprire le ante guardando verso il basso e poi in direzione dell' albero. Il cavaliere fece capolino tra i rami portandosi l' indice alle labbra non appena vide la sua faccia stupita. Le sorrise.
-Sei venuto... per me?- aveva bisbigliato lei indecisa se pronunciare le ultime due parole. Era davvero strano che qualcuno facesse una cosa simile proprio per lei.
-Sì, per te.
-Mi... mi... - respirò a fondo prima di articolare la frase- mi porterai via di qui, con te?
-Se vuoi. Se non vuoi, no.
Antares iniziò a torturarsi il maglione con le mani indecisa se parlargli  o meno del suo stato di salute, eppure sentiva di voler essere sincera con quel ragazzo -un uomo a dire il vero- a costo di rimetterci quella possibile via verso la libertà:- Ti devo dire una cosa. Io, vedi, non sto bene.
Saga arcuò le sopracciglia ma non disse nulla lasciandola continuare.
-Dicono che... sono pazza.- sputò velocemente le ultime parole.
Il cavaliere di Gemini sospirò chiedendosi cosa diavolo le avessero messo in testa.
-Questo lo giudicheremo insieme più tardi. Ora dimmi, Ann, ti fanno uscire di casa?
-In giardino e mai da sola.
-Ce la fai a uscire oggi? 
-Tra un paio d' ore posso scendere giù e chiedere a mia madre di accompagnarmi fuori. Prima non posso, vogliono che riposi- fece una smorfia.
-Ok, io sono qui, non mi muovo. Quando uscirai, passeggia in giardino, io ti seguirò e al momento opportuno ti porterò via. Ho bisogno di sapere se ci potrebbe essere qualche ostacolo però... non so, allarmi... security...
Antares ridacchiò:- Ma per chi ci hai preso?
-Devo calcolare tutto- rispose Saga piccato
-Scusa. In giardino comunque non c' è nulla di tutto questo.
-Bene.
E Saga si sentì sollevato, almeno in parte, perchè aveva letto negli occhi di Antares una fiducia nei suoi confronti che prima era sempre stata assente.



Alle quattro del pomeriggio Antares aveva varcato la porta di casa insieme alla madre. E purtroppo anche il padre. Saga notò che la ragazza camminava verso il cancello, doveva aspettarselo. Sorrise, era tipico di lei. Stava cercando di facilitare la fuga.
Quando furono abbastanza vicini all' uscita Saga si parò davanti a loro. La madre di Antares cacciò fuori un urletto mentro il padre tirava fuori una pistola dalla fondina che portava al fianco sinistro.
-Bastardo. Dovevo saperlo che con te le misure non erano mai troppe! Che vuoi?! Lascia in pace la mia famiglia!
Antares corse verso Saga spalancando le braccia davanti a lui, in silenzio. Era visibile il tremolio sulle mani e le braccia.
-Antares torna qui!
-No.
-Ti ho detto di tornare qui immediatamente! Ora!- il generale aveva perso la pazienza e urlava, Antares era spaventata, tentata di non disobbedirgli e fare cosa le diceva ma Saga la prese per il polso.
-Mi servi, coccinella.- le sussurrò all' orecchio prima di caricarsela sulle spalle a scappare.- purtroppo non ho il cavallo bianco- le sorrideva di sbieco.
In quel momento tutto era cambiato, all' improvviso non sentiva più le urla di suo padre e i singhiozzi di sua madre, non vedeva più il paesaggio che si muoveva troppo veloce, non sembrava neppure che Saga stesse correndo. Volava.
Quel nome, coccinella, le aveva fatto perdere un battito al cuore che all' improvviso si era svegliato, impazzito.
-Coccinella...- si disse con un sorriso a fiorn di labbra. Le sapeva di nostalgia. La emozionava.








----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE:
Coccinella per chi non lo ricordasse è il soprannome che Saga aveva dato ad Antares quando per la prima volta si erano incontrati nella loro vita precedente. Ovviamente Saga va parecchio veloce, troppo per una semplice persona, quindi è normale che ad Antares sembra che voli o roba del genere, in pratica non capisce più niente XD
Mi rendo conto che il capitolo è dedicato alle due coppie con un poco di Atena ma se voglio continuare la storia devo seguire l' ispirazione e stranamente ho bisogno di scrivere qualcosa del genere. Dico stranamente perchè per me è una novità. Ovviamente anche Talia avrà il suo spazio e ci saranno delle situazioni che la coinvolgeranno.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. Conoscersi ***


c nuovo
Capitolo 14
Conoscersi



Antares si mosse sul sedile aprendo lentamente gli occhi, si passò una mano sulla faccia mentre muoveva l' altra, indolenzita per essere stata appoggiata sotto la guancia fino a quel momento. La prima cosa che notò fu che il sole volgeva al tramonto e non potè fare a meno di chiedersi per quanto tempo avesse dormito. Saga, di fronte a lei, guardava pigramente fuori dal finestrino senza dire una parola. Rimasero ancora in silenzio in quella placida quiete accompagnata dal movimento rapido del treno sui binari. Avevano attraversato la Manica a bordo di una nave. Ricordava che a un certo punto del viaggio si era affacciata alla balaustra contemplando i flutti scuri dell' oceano. La giornata era tiepida, l' aria profumava di umidità per la pioggia della notte precedente e la luce illuminava l' acqua su cui navigavano, eppure Antares non potè fare a meno di avvertire una certa inquietudine, un senso di paura e di piccolezza che si era impadronito di lei mischiandosi alla nostalgia e a vecchi dolori. Temeva l' acqua sin da quando ne avesse memoria, odiava i luoghi troppo stretti e chiusi, evitava persino gli ascensori. Per lei era vitale lo spazio, lo paragonava quasi a una possibilità maggiore di respiro, per questo temeva l' acqua, perchè se l' avesse sovrastata non ci sarebbe più stata l' aria. Rimase imbambolata a fissare la schiuma del mare sotto di sè, i flutti che si muovevano di più al passaggio della nave e non potè fare a meno di pensare a Sophia che in acqua praticamente ci viveva, non poteva farne a meno, si trovava a suo agio, sempre, che fosse una  piscina o  l' acqua agitata del mare. Era una specie di sirena e più di una volta aveva provato a convincerla a imparare a nuotare, a vedere il mare, e l' acqua più in generale, come amici, come dispensatori di vita.
Non ci era mai riuscita. In quell' esatto istante di trance le venne alla mente un vecchio ricordo, antico come il mondo. Era doloroso e bello insieme. Era doloroso perchè in quel ricordo stava morendo nell' acqua di un' enorme vasca*, era bello perchè suo fratello la salvava. Era il suo eroe.
Si ricosse all' impovviso solo quando Saga le toccò una spalla preoccupato.
-Che diavolo vuoi fare?- aveva chiesto aggrottando le sopracciglia
-Di che parli?
In risposta si limitò ad allontanarla dalla balaustra, solo in quel momento si accorse di essersi sporta troppo.

-Quante cose ricordi?- La voce del cavaliere interruppe i suoi pensieri, Antares spostò lo sguardo su di lui tacendo qualche momento nel tentativo di riordinare le idee. Si fissò le scarpe domandandosi cosa poter ripondere.
-Ricordo... tante cose... e altre credo di averle scordate. A dire il vero non so cosa ci sia di vero e di falso in quello che so- sorrise amaramente- questo non vuol dire essere usciti fuori di banana.
Saga sospirò pesantemente:- No. Sfrutteremo il viaggio per mettere ordine. Puoi iniziare a dirmi tutto quello che ricordi.
Antares chiuse un attimo gli occhi e sorrise beata:- Camus.
Il cavaliere non potè fare a meno di irritarsi. Ovviamente, si disse.
-Potresti essere più precisa?- domandò infastidito
-E tu potresti stare più calmo? Ecco... lo vedi? Abbiamo ricominciato. Mi ricordo anche di questo.
Sì, avevano ricominciato. In effetti era strano che ancora non avessero discusso.

Talia camminava per le vie affollate di Atene insieme a Shaka. Si domandò perchè diavolo lei dovesse farsi largo tra la folla a suon di spintoni mentre il suo santo accompagnatore sembrava galleggiare tra la gente, non era possibile che non trovasse alcun ostacolo al suo passaggio. E Talia per girarsi a vedere se fosse ancora dietro di lei aveva persino sbattuto contro un palo guadagnandosi una botta sul naso.
-Dannazione, non poteva essere almeno un bel ragazzo?!- piagnucolò per un attimo prima di ricordarsi che lei di uomini non ne voleva più sapere niente. Forse era stato decisamente meglio il palo.
Si era fermata davanti a una vetrina sospirando. C' erano un paio di pantaloni azzurri carinissimi. Doveva ricordarsi di telefonare ai propri genitori e farsi mandare qualche soldo, sua mamma di sicuro non avrebbe avuto nulla in contrario a qualche piccola spesa, potevano andare a fare shopping insieme, si sarebbero divertite un sacco.
-Andiamo?- la voce pacata di Shaka la riportò alla triste realtà. Tutto era stato stravolto in quegli stupidi mesi, si maledisse per aver fatto preoccupare i suoi genitori con il suo stupido atteggiamento. Non se lo meritavano. Aveva telefonato a casa poco dopo essere arrivata al Tempio, era scoppiata a piangere chiedendo il loro perdono più e più volte. Poteva immaginare dall' altra parte del telefondo il sorriso un po' commosso di sua madre stretta nell' abbraccio sollevato di papà.
-Non c' è nulla da perdonare tesoro, la morte di Sophia vi ha fatte soffrire tutte quante. Sappiamo che quello che è accaduto è stato dovuto solo a questo, cercavi una via di fuga dal dolore... e ne hai trovato dell' altro. Ma io e papà lo sappiamo che non avresti mai fatto nulla del genere altrimenti, tu sei la nostra piccola- le aveva detto sua madre.
Avrebbe voluto abbracciarli e sentirsi coccolata nel loro abbraccio. I suoi genitori avevano insistito per andare a trovarle, volevano riabbracciare tutte loro e viziare il bambino di Febe, le avevano persino riproposto di ritornare a casa insieme alle ragazze, che avrebbero parlato con la famiglia di Febe.
La sua risposta era stata un "ci penserò, sento anche cosa dicono le altre", era consapevole che in quel momento -benchè desiderasse con tutta sè stessa ritornare a casa- non poteva prendere alcuna decisione senza prima consultarsi con Atena e Shion.
Aveva ottenuto di potere andare all' appartamento per prendere alcune cose -e gettarne altre-, dopo il ritorno di Antares sarebbe potuta tornare un paio di giorni a casa per rivedere i suoi familiari e tranquillizzarli.
L' appartamento era buio, sostò un momento all' ingresso insieme a Shaka prima di andare ad attaccare la luce. Passò velocemente dalla sala principale quasi ad occhi chiusi, guardando un momento con la coda dell' occhio il ripostiglio semi aperto. Le venivano ancora i brividi. Il letto nella sua camera era ancora sfatto da quel maledetto giorno. Aprì freneticamente l' armadio e i cassetti sotto lo sguardo attento del cavaliere di Virgo tirandone fuori vestiti -o pseudo tali-, collane e bracciali che le aveva regalato Andrea o che semplicemente aveva comprato per compiacerlo. Li infilò tutti in qualche borsa trovata in un cassetto della cucina schiacciandoveli dentro con forza e cercando di non pensare e di non guardarli perchè ognuno le ricordava solo un attimo doloroso di violenza e cattiveria.
Shaka percepiva il suo dolore, a un certo punto sentì anche i singhiozzi di Talia. Si abbassò alla sua altezza cercando di cacciare via le lacrime con le mani, delicatamente come solo lui sapeva fare. Rimpiangeva la ragazza allegra e rumorosa che aveva conosciuto e si augurava che sarebbe tornata al più presto quella di prima, confidava nella sua forza.
-Tutto passa. Affronta anche questo dolore, vincilo, non impedire che ti faccia vacillare. Non permettere ad altri di soffocare la tua voglia di vivere e il tuo essere o soffrirai in eterno. Andrea è morto, non farà più del male a nessuno, non permettere che un cadavere uccida la tua essenza. Hai vinto, Talia, sei riuscita a liberati delle sue angherie, sei riuscita a riabbracciare le tue amiche come un tempo, a chiedere perdono ai tuoi genitori. Manca poco, devi sorridere adesso.
-Come posso? Sophia... è... c' è un' altra guerra....
-Lo stai dicendo tu che c' è un' altra guerra. Chi è il nemico di grazia?
-...-
-Salverete Sophia.
-Ne sei troppo sicuro.
-Ho visto l' affetto che vi lega, è lo stesso affetto che vi ha permesso di uscire dal dolore di tutti questi mesi- Shaka sorrise quieto aiutandola a rialzarsi e afferrando alcune borse- prendi la tua macchina fotografica e buttiamo la spazzatura.
Talia non potè fare a meno di annuire con forza, non era sola, non avrebbe mai affrontato nulla da sola, era un grande conforto. Il cavaliere di Virgo in quel momento le aveva dato un poco della pace che emanava in quella sua grandezza di uomo e di santo.

Antares in quel momento sembrava più avvicinabile. Era calma, quasi intimidita, era quasi tenera addirittura.  Saga dovette soffocare una risata, di tutti gli aggettivi che poteva trovare tenera era di sicuro il meno adatto per la ragazza che aveva di fronte
-Tu mi mandi in confusione- aveva detto lei a un certo punto sospirando rassegnata. Prima o poi sarebbe saltato fuori anche quell' argomento, quello relativo al loro rapporto, era inevitabile e quando aveva visto le labbra di Saga incresparsi in un sorriso che sembrava promettere qualcosa di più si era chiesta cosa potesse suscitare tanta ilarità in quel momento e quella frase le era uscita spontanea fuori dalla bocca.
-Anche tu.
-Non è vero! Quando sono andata via ti ho detto chiaramente che... - aveva distolto lo sguardo rigirandosi i pollici- ti ho detto cosa sentivo per te... e tu mi hai mandato a quel paese senza troppi complimenti- la sua voce si era fatta via via più agguerrita- non mi fraintendere, eh, non che volessi che tu provassi per forza le stesse cose nei miei confronti. Ma almeno potevi essere un poco più delicato!
-A volte avrei voglia di strangolarti. Seriamente. Forse non sarò stato l' uomo più delicato di questo mondo ma, insomma, Ann, siamo realisti... te ne stavi andando quando mi hai detto che eri innamorata di me. Ti saresti scordata tutto. Cosa volevi che facessi?
-Niente, non volevo che facessi niente. E comunque il problema non si pone, tanto tu non mi vuoi e io... e io...
Saga si era sporto sul sedile, il viso all' altezza del suo, gli occhi fissi nei suoi:- Tu... cosa...?- sembrava quasi minaccioso.
Antares si allontanò appoggiandosi contro il sedile.
Il ragazzo prese una ciocca rossa rigirandosela intorno al dito:- Siamo stati sposati, qualche migliaio di anni fa- sottolineò guadando i suoi capelli- quando ci siamo rivisti non abbiamo fatto altro che litigare. E' strano che nasca un amore, non trovi?
-Che vorresti dire? Che ti ho mentito?
Saga sbuffò:- Sempre sulla difensiva, eh?- lasciò ricadere le ciocce rosse allontanandosi e poggiandosi a sua volta contro il proprio schienale:- Stai sempre a pensar male, dannazione. E' assurdo. Non fai altro che fraintendere le mie parole, Ann.
-Forse perchè tu non riesci ad essere chiaro.- borbottò lei
La guardò pigramente, appoggiando il viso sotto il palmo chiuso della mano:- Vorrei conoscerti. Vorrei che ti fidassi di me, vorrei vederti stare bene con me come riesci a stare con gli altri. Sembro essere l' unica persona che odi.
-Sei l' unica persona che mi fa uscire fuori dai gangheri in maniera esponenziale- ci tenne a precisare.
-Mi ami- sorrise lui malevolo facendo piegare il  viso di Antares in un' espressione rossa e indignata- però mi sei ostile.
Si sarebbe volentieri messo a ridere, sia per l' ovvietà di quell' affermazione che per la faccia di Antares. La vedeva, con i denti stretti che magari pensava a quanto fosse dannato e si divertisse a metterla in imbarazzo. Invece si fece serio:- Non sono un uomo delicato- la avvisò -e le ricordò- mentre la guerriera si asteneva dal fare domande a proposito di quell' affermazione.

Quando finalmente scesero dal treno si incamminarono verso la città, notarono che era stato montato un luna park non lontano dal centro. Antares si fermò guardando in lontananza le giostre illuminate, alcune di esse svettavano imponenti e colorate verso l' alto, la ruota panoramica girava lentamente. Sarebbe davvero voluta andarci, le piacevano un sacco i luna park. Afferrò il braccio di Saga camminando in direzione di quelle luci.
-Ehi, dove stai andando?! Dobbiamo andare al tempio.
-Voglio andare alle giostre.
-Che?- Saga si fermò di colpo facendo girare la ragazza verso di sè- Tu forse non ti rendi conto della situazione, Antares. Ti sei dimenticata di tutto quello che ti ho detto sul treno?
La ragazza gli si avvicinò agitando le mani:- Non dirlo, perfavore. Non ricordarmelo. Per una volta non ricordarmelo. Ti chiedo solo cinque minuti, solo per vedere le giostre. Non ti farò perdere tempo, lo prometto.
Saga le prese la mano entrando con calma all' interno del luna park:- Se vuoi provare qualche attrazione in particolare dimmelo.
Antares si guardò intorno, vide delle ragazze camminare con tanti peluche tra le mani. Si ricordò che ogni volta che andava alle giostre le veniva voglia di vincere qualcosa. Da piccola trascinava suo padre per un sacco di bancarelle fino a che non avesse ottenuto almeno un pupazzo, da grande ci pensava lei stessa cercando disperatamente di vincere qualcosa per tutte, per sè stessa, per Sophia, Talia e Febe. Sul momento, quando vedeva qualcuno camminare con parecchi premi pensava che era facile ma ogni volta non lo era per niente e si ritrovava a spendere quasi tutti i suoi soldi.
Anche adesso, in quel momento, avrebbe voluto vincere qualcosa. Quando una coppia le passò accanto pensò che magari avrebbe potuto regalare il premio a Saga... o no, forse Saga avrebbe potuto vincere qualcosa per lei.
Si guardò intorno spaesata osservando le varie bancarelle, gettò lo sguardo in alto sulla ruota panoramica. Sarebbe voluta salirci ma non poteva chiedere tutto questo a Saga.
Strattonò un poco la mano del ragazzo:- Andiamo- disse quando si fu girato.
-Siamo arrivati da poco. Non vuoi salire da nessuna parte?
-No, andiamo. Va bene così e poi vorrei passare un attimo dall' appartamento per prendere delle cose.
Prima di tutto dei soldi, si disse. Non si sarebbe mai fatta pagare niente da nessuno. Se Talia fosse stata lì le avrebbe urlato nelle orecchie che era stupida, orgogliosa e testarda come un mulo.
Entrare nell' appartamento che aveva condiviso con le ragazze era diventato una specie di trauma. Fino a poco tempo prima era un luogo felice ma adesso sembrava essersi riempito solo di sentimenti negativi. Erano state felici di poter andare a vivere insieme, erano una famiglia.
Andares andò immediatamente nella propria stanza seguita discretamente da Saga che si stupì della quantità di peluche e di salvadenai che si trovavano all' interno. Antares mise l' essenziale in un borsone, poi prese un altro zaino e scelse un paio di salvadenai di latta richiudendo la porta dietro di sè a malincuore, adorava tutte quelle cose.
-Ne hai tanti- notò Saga.
-Cosa? Pupazzi o salvadenai?
-Entrambi. Sei una risparmiatrice?- le sorrise fermandosi accanto al tavolo della cucina. Antares annuì:- Abbastanza, sì.- poi spostò lo sguardo sul frigorifero, c' era una piccola lavagnetta luminosa e dai colori sgargianti con la scrittura di Sophia che ricordava a Talia di chiudere il gas prima di uscire, le sottolineature e le freccette intorno le aveva fatte Antares aggiungendo una faccina che faceva una linguaccia accanto all' altra sorridente disegnata da Sophia. Si chiese se tutto quello sarebbe mai potuto ritornare.
Sospirò:- Sono stanca- si girò verso il ragazzo che le stava accanto- tu come fai? Combattere, essere un cavaliere, sacrificare tutto... come fai? Non sei mai stanco?
-No.
Antares fece un mezzo sorriso:- Non ci credo.
-Ho dei momenti di sconforto ma la mia fede non è mai vacillata. Ho tradito una volta ma ti posso assicurare che anche quando ero Arles credevo in qualche modo nel Grande Tempio. Ora sto espiando la mia colpa. E' un onore per me combattere al servizio della giustizia e della Dea.
-A me non interessa nulla di tutto questo, non sono tagliata per essere una persona altruista, nè per combattere.
-Eppure da quel che ti conosco non mi risulta che tu ti sia mai arresa senza combattere.
Antares spostò una sedia e si sedette:-Mi costringo a farlo, Saga. Non mi sembra di avere avuto un momento di pace in tutto questo tempo. Vorrei che tutto fosse normale.
-Il destino ha deciso così
-Ci credi?
-Credo negli dei e so quanto possano essere capricciosi.
-Non voglio più reincarnarmi, mi sono stancata. Ogni volta che sono nata su questa Terra ho perso tutto. Ora dobbiamo cercare di salvare Sophia, di darle la pace...
-Cosa sono questi discorsi disfattisti? Non credevo che amassi fare la vittima, Ann.
Antares alzò di scatto la testa:- Posso piangermi addosso ogni tanto? Posso?!
-E' da quando ti conosco che mi domando se tu sia una donna o una bambina...
-Sono una persona. Non sono un' eroina, non una sacerdotessa di Atena, non un gold saint. Non possiedo nervi saldi o spirito di sacrificio o altruismo come voi! Io voglio solo che le persone che amo stiano bene e magari un poco di pace anche per me.
-Ti si chiede solo di fare il tuo dovere- la rimproverò, si passò una mano sulla fronte e tra i capelli sbuffando- dannazione, ti facevo più matura. Sei ancora una ragazzina.
In quel momento pensò per l' ennesima volta che non sarebbero mai andati d' accordo.
Sentì la sedia spostare e cadere, Antares sbattere vilentemente le mani sul tavolo, la voce che sibilava crescendo di tono:- Tu. Tu non puoi dirmi che sono una ragazzina. Non sai niente. Cosa posso farci? Te l' ho già detto prima, non ho la tempra di un eroe, non sono un cavaliere, non ho ricevuto il vostro dannato addestramento, al contrario di te non sono stata preparata a queste cose. Almeno io ho dovuto affrontare i problemi, e anche le gioie, sì, anche quelle, della vita normale. Tu ci riusciresti Saga? O sai solo fare il cavaliere? Proteggi un mondo di cui non sai nulla! Sai cosa vuol dire avere due genitori che per te vogliono cose completamente diverse? Sai che confusione per una ragazzina avere prima il permesso del padre di poter correre tra l' erba e poi venire rimproverata dalla madre per lo stesso motivo? Oppure sapere che non sarai mai abbastanza per nessuno dei due? Perchè non sei nè una perfetta signorina nè tanto meno un maschio, un soldato?- abbassò il tono della voce, quasi pentita per tutto quello che aveva detto- sono stupidate... lo so e so di non potermi lamentare perchè nella vita in fondo ho avuto tutto ma certe cose a volte fanno male. Proprio in questo momento ho pensato a Sophia. Stavo per dirti che non sapevi cosa significava perdere chi ami ma mi sono ricordata che questo forse lo sai meglio di me. Hai combattuto così tante guerre... sì. Scusami. Ho sbagliato, non dovevo dirti quelle cose, sono piccolezze le mie, lo so. Cerco solo di dire che non è l' età che rende grande una persona, non sempre almeno. E' una questione di esperienze e anche io ne ho accumulate più di quante ne vorrei.
Vide Saga posare la sedia e raccogliere il borsone da terra, prese le chiavi dal tavolo e la mano di Antares nella sua:- Andiamocene di qui, uhm?
Si chiusero la porta alle spalle scendendo le scale in silenzio, il cavaliere si sentì tirare leggermente:- Non essere arrabbiato, perfavore.-
-Non sono arrabbiato. Mettiamoci una pietra sopra, ok?
Antares annuì continuando a camminare alle spalle di Saga:- Certo che... anche tu potresti chiedermi scusa.
Il ragazzo si girò sorpreso:- Cosa?
-Sei stato tu ad incominciare- gli fece notare Antares facendo spallucce.
-Sei una donna estremamente antipatica lo sai?
-E tu sei un vecchio schifosamente orgoglioso e arrogaante
-Vecchio?!

Saga lasciò che Antares andasse ad abbracciare le sue compagne e il fratello. Atena era molto sollevata per il fatto che la guerriera di Giove fosse finalmente tra le mura del Santuario, il cavaliere di Aquarius inoltre aveva scoperto delle cose piuttosto interessanti. Dovevano consultarsi tutti insieme per agire al meglio, salvare Sophia, ritrovare Demetra e Kore e di conseguenza, cosa più importante, salvare il pianeta.
-Wow- Antares stava contemplando il piccolo Cheiron nella sala del tredicesimo tempio in attesa che iniziasse la riunione con la dea e il pontefice. Saga, poco lontano da lei di qualche metro, la osservava con la coda dell' occhio- è piccolissimo.
Talia rise tirando fuori la macchina fotografica per scattare qualche foto al piccolo:- E' normale, cosa ti aspettavi, un elefante?
-No!
Febe si avvicinò ulterioremente con il bimbo, Shura non troppo lontano da lei osservava la scena con quel solito groppo alla gola che era il suo sgradito senso di colpa:- Prendilo in braccio.
-No, no... meglio di no. Lo sai, sono imbranata con i bambini.
Talia le rivolse un' occhiata furba:- Cos' è? Hai ancora paura dei bambini?
-Hai paura dei bambini?- intervenne Milo sconvolto.
-Non ho paura dei bambini.
-Una volta una bambina si è messa a fissarla- iniziò a raccontare Talia con foga- e lei sapete che ha fatto? Si è attaccata al mio braccio e mi ha chiesto "perchè mi guarda?"
-Aveva una faccia antipatica!- si difese Antares
-Ann, non dire queste cose- la rimproverò bonariamente Febe- i bambini non possono avere facce antipatiche.
-Ovviamente non è il caso di Cheiron- si affrettò ad assicurare la guerriera del fulmine ringraziando mentalmente Talia per averla messa in quel casino.
-Spiegami questa cosa dei bambini- la incalzò Milo divertito- anche Camus non ci sa fare granchè a dire il vero.
Il cavaliere di Scorpio si guadagnò un' occhiata truce da parte dell' interessato. C' era di più e Milo lo capì immediatamente, Camus era ancora arrabbiato con lui.
-A me piaccioni i bambini- precisò Antares- solo che devono essere bravi e buoni. Sono i B.R.U. che mi fanno paura... cioè... non paura...
-Cosa diavolo sono i B.R.U.?- si intromise Aphrodite che aveva sentito la conversazione.
Antares si spalmò una mano in faccia, bene, ora la cosa era di dominio pubblico:- Sono i bambini rumorosi e urlanti. Quelli impossibili da tenere a freno e che fanno tutto quello che vogliono senza che i genitori possano o vogliano fare qualcosa- le venne un brivido lungo la schiena, sperava di non doverne mai incontrare uno.
-Io ero una B.R.U.!- urlò soddisfatta Talia mettendosi a ridere- bè... sì... più o meno.
-Chissà perchè ma lo sospettavo- affermò Shaka avvicinandosi insieme a Mu

-Cavalieri!- la voce di Shion richiamò tutti all' ordine mentre la dea prendeva posto sul suo scranno.
Atena diede immediatamente la parola ad Aquarius senza perder tempo:- Qualche giorno fa ai confini estremi del santuario sono state rinvenute le spade dell' aria, del fuoco e della terra. Le ho analizzate e ho scoperto che non sono fatte di comune materiale come si potrebbe pensare ma... ecco, sono la manifestazione di energia. Cercherò di spiegarmi, analizzando una qualsiasi delle spade non troverete mai, che ne so, acciaio o bronzo ma con opportuni apparechi rileverete ad esempio nel caso del fuoco energia termica e luminosa, come se vi ritrovaste di fronte a un oggetto di fuoco e che brucia. Così per le altre due spade che comunque a noi si presentano come armi normali. Volendo potremmo supporre che sono una parte di aria, fuoco, terra traferite in degli oggetti così come loro- e fece cenno con la testa alla ragazze- ne sono l' incarnazione umana.
-Avete trovato la spada di Sophia?- chiese Death Mask.
-No. Suppongo che ogni spada sia strettamente legata alla propria guerriera, probabilmente per questo non abbiamo ritrovato quella di Sophia. Al momento è importante che le ragazze ottengano la loro spada.
-Non hai detto che sono qui al santuario?- intervenne Aiolia.
-Sono... incastrate- spiegò Atena al posto del cavaliere dell' unidicesima- cioè... sono incastrate in delle rocce o qualcosa di simile. La spada dell' aria è protetta da un vento molto forte, quella della terra galleggia su un lago di fango a cui si arriva attraverso un ponte di pietre mobili, quella del fuoco infine si trova su di un mare di lava.
-E tu, Aquarius come hai fatto ad arrivarci?- incalzò Death Mask
Camus sorrise:- Sono un cavaliere e governo le energie fredde. Non è difficile superare quegli ostacoli, per lo meno non dovrebbe esserlo per un qualsiasi gold saint.







-----------------------------------------------------------------------------------------------
HARU DICE: Molto rapidamente specifico che Antares si riferisce a quando violata la promessa che la legava ad Apollo durante la sua prima rinascita viene punita con la morte. In quell' occasione rischia di annegare in una delle vasche che si trova nella zona del sacrificio ma Camus la salva.
Scusate se ho deciso di dedicare questo capitolo a Saga e Ann ma avevo bisogno di sbrogliare la loro situazione, avrei continuato con una seconda parte ma mi sono resa conto che rischiavo di non finire più. Nel prossimo capitolo salvo imprevisti ci sposteremo a dare un' occhiatina a Febe e Shura perchè ricordiamoci che la nostra ragazza ha una rivale questa volta. Più avanti -anche se è ancora presto- vi anticipo che parecchio spazio verrà dato unicamente al punto di vista dei cavalieri, salvo ispirazione contraria.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. Confidenze ***


c. 3 vetri
Capitolo 15
Confidenze



Febe da quando Antares era tornata si sentiva molto più tranquilla, senza contare il fatto che il cavaliere di Aquarius aveva ritrovato le loro spade. Tutti credevano che fossero andate distrutte durante lo scontro precedente, consumate come dovevano essersi consumati i loro poteri invece ora potevano sperare che se le loro spade erano sane allora anche la loro energia doveva essere se non intatta -cosa che era impossibile- per lo meno ancora presente benchè particolarmente affievolita.
Antares si era già recata al confine nord del tempio insieme al fratello e al cavaliere di Scorpio per cercare di recuperare la sua. A Febe, mentre cullava Cheiron per farlo addormentare, scappò un sorriso. Antares era sempre stata così, poteva avere tanti difetti, era scontrosa, diffidente e facile a menar le mani, -poco femminile e priva di sex appeal, avrebbe aggiunto Talia- ma non era certo una che perdeva tempo, soprattutto se di mezzo c' erano loro, le sue amiche. Era quella che le aveva sempre protette, ma nella sua testa Febe non aveva mai associato quell' aspetto del suo carattere al fatto che in effetti proprio lei era la guerriera del coraggio e della protezione. In fondo ognuna di loro, -tranne lei stessa forse che si domandava ancora che avesse a che fare una come lei col titolo di guerriera di Marte- possedeva una parte di spicco del proprio carattere che era quello per cui era considerata la guerriera di un certo pianeta. Così come Antares era forte e coraggiosa, e quindi era normale che proteggesse tutti, allora Sophia era tanto intelligente e prudente. Era giusto che fosse la guerriera di Mercurio, quella della sapienza e che Talia così bella e vivace fosse la combattente di Venere.
Ma lei, Febe, ancora se lo chiedeva, lei che non era combattiva, che non era coraggiosa nè passionale in alcun modo... lei che diritto aveva di fregiarsi del titolo di guerriera di Marte, del fuoco e della passione? Quale? Non riusciva nemmeno a tenersi stretto Shura, nemmeno a tirare fuori gli artigli e intimare a quella Alcesti di stare lontano dal suo compagno.
-Oh- Febe arricciò le labbra, le guance in fiamme- compagno...- ripetè a fior di labbra. Era una parola importante e si domandava se poteva usarla per riferirsi a Shura.
La faceva pensare a qualcosa di primordiale, di istintivo rimandandole alla mente un patto non scritto che non si basava su nessuna carta e nessun contratto, un vincolo che univa le anime e che chiedeva fede e fedeltà, rispetto, lealtà, vita, sacrificio. Insomma, ogni singola cellula del proprio essere veniva coinvolta per donare tutto di sè all' altro. Febe si sentiva assolutamente disposta a donare la sua intera vita a Shura. Tutto. Poteva chiederle tutto. Il suo potere, la sua vita, l' anima, il sacrificio più grande. Poteva chiederle tutto questo e anche di più e lo avrebbe avuto.
Avrebbe avuto tutto di lei. Tranne Cheiron ovviamente. Ciò che poteva coinvolgere negativamente suo figlio non lo avrebbe ottenuto.
Febe scosse la testa dandosi della stupida. Shura non avrebbe mai fatto richieste così assurde. Però se si fosse reso necessario...
-Febe- Talia entrò negli appartamenti del Capricorno chiamando a gran voce il suo nome e la guerriera di Marte dovette farsi una corsa fino all' entrata per pregare l' altra di smetterla. Dietro la bionda, Antares rimuginava su quanto dovesse essere faticoso avere un figlio, augurandosi di non dover fare l' esperienza nell' immediato futuro. Nel qual caso avrebbe ovviamente castrato il responsabile. E a dire il vero non si spiegò perchè un sorriso diabolico le comparve sulle labbra e il nome di Saga per la testa.
-Fai paura- notò in effetti Talia indicandola 
Le ragazze si diressero nel salotto, il piccolo Cheiron dormiva placido nella culla accanto al divano.
Talia si guardò intorno accavallando le gambe:- Dov' è la capra?
-Porta rispetto, è un saint- la rimproverò atona Antares
-Non c' è- rispose Febe fissandosi il vestito a motivi floreali. Era indecisa se raccontare il tutto alle amiche, Talia perchè probabilmente avrebbe iniziato a improvvisarsi novella Cupido macchinando alle sue spalle e Antares perchè probabilmente l' avrebbe presa mentalmente per stupida - non glielo avrebbe detto apertamente-, visto che avevano cose più importanti a cui pensare, e a proposito di questo chiese- come è andata con le spade?
Antares grugnì un "tch" e tanto bastava per indicare che non era andata bene.
Talia dal canto suo le mostrò un' unghia scheggiata:- E una pietra stava per colpirmi!- aggiunse affranta- E quel dannato di Shaka non ha fatto niente per impedirlo- ringhiò.
-E tu ci sei andata?- indagò Antares.
Febe negò col capo:- Shura preferisce accompagnarmi. In questo momento è proprio al confine sud per rendersi conto della situazione. Le labbra di Febe assunsero una linea dura, le faceva decisamente male parlare di lui.
-Che c' è?- chiese ancora Antares in uno dei suoi rari momenti di dolcezza mettendo una mano sulle sue.
-Se c' è qualcosa che non va puoi parlarne con noi- la incitò Talia
Febe respirò a fondo mentre Antares si riappoggiava contro la poltrona:- Tra me e Shura le cose non vanno tanto bene...
La ragazza spiegò quanto era accaduto tra lei e il cavaliere da quando si erano reincontrati parlando anche di Alcesti, parlava a voce bassa, un po' per non svegliare Cheiron e un po' perchè tutto quello le faceva talmente male che sarebbe potuta mettersi a piangere lì, come una bambina, non che non lo stesse facendo a dire il vero ma cercava di farlo nel modo più discreto possibile:- Voi che fareste al mio posto?
-Le spaccherei la faccia- ringhiò Antares mostrando un pugno- poi si grattò la testa e sembrò ripensarci- no, forse no. Parlerei chiaramente con S...- si fermò mordendosi la lingua, perchè diavolo doveva pensare a lui? Mica stavano insieme, che facesse cosa diavolo gli pareva- parlerei chiaramente con il tizio... sì insomma, il mio ragazzo o pseudo tale dicendogli quello che penso.
-L' ha fatto- le fece notare Talia spazientita indicando Febe con la mano.
-In effetti tu e Shura non stavate insieme- dichiarò allora la guerriera del fulmine
-E lui sapeva che non vi sareste rivisti- continuò Talia
-Questo lo so anche io!- sbottò Febe con sommo stupore delle altre due- e che mi fa arrabbiare ma allo stesso tempo so di non potere accampare diritti- aveva iniziato a gesticolare- che devo fare? Cosa?
-Però che bastardo- masticò Antares incrociando le braccia sul petto e le gambe sul divano- non puoi dire a una persona che sei confuso. Non puoi!
-Abbassa la voce- disse stancamente Talia spalmandosi contro lo schienale del divano- stai pensando ad Alex vero?
-Sì, anche lui mi aveva detto di essere confuso ai tempi del liceo. E io gli stavo dietro come una deficiente.
-Ti piace ancora?- chiese molto innocentemente Febe
-Nah.
-Ora le piace Saga- ridacchiò Talia-
-Scema- soffiò la rossa.
Talia fece spallucce:-Almeno non lo nega.
-Scusate ma si stava parlando di me- si intromise la flebile voce di Febe.
-Però se lui ti amava non ti doveva tradire- sentenziò Antares.
-Dai Ann, non essere rigida, magari quel poveretto era confuso, solo e.... ma sì, aggiungiamo anche disperato- fece la bionda.
-Voi due mi confonderete le idee, me lo sento- sospirò Febe
-Ci hai chiesto aiuto e ora te lo prendi- puntualizzò la rossa, poi ghignò- tu hai un punto a tuo vantaggio- e indicò la culla
-Sei cattiva, Antares- piagnucolò Febe
-Antares ha ragione. Tu gli hai dato un figlio, questo vi lega.
-Non userò mai mio figlio!
-Nessuno ha detto questo- la calmò Talia- stiamo solo dicendo che oggettivamente Cheiron è come un filo, questa creatura in un modo o nell' altro vi lega e Shura mi sembra uno che a certe cose ci tiene. Poi se così non fosse, se non doveste stare insieme, Cheiron rimane comunque figlio di entrambi, in un modo o nell' altro vi accomuna.
-Io voglio che stia con me perchè mi ama e non perchè si senta in obbligo. Questo genere di unioni non funzionano- sussurrò Febe
Talia le mise una mano sulla spalla sorridendolole:- E sarà così, non devi preoccuparti.- poi si alzò in piedi troneggiando sulle altre due con tutta la sua altezza- Ora sai che devi fare? - puntò in alto l' indice e si sarebbe messa a gridare qualcosa se Antares non l' avesse afferrata per la vita buttandola di nuovo sul divano.
-Dì quello che devi dire a bassa voce- la minacciò
-Riconquistarlo!- sussurrò Talia con tutta la convinzione e la faccia tosta di cui disponeva.
-Ma che dici? E come si fa?- sussurrò allarmata la guerriera del fuoco.
Antares assottigliò gli occhi particolarmente interssata:- Sì, come si fa?
Talia rise compiaciuta:- Povere ingenuotte, non sapete niente. Ma non preoccupatevi perchè qui con voi avete la dea dell' amore. Ahahahaha- sospirò soddisfatta- come mi diverto.

Nel pomeriggio...
-Dobbiamo salvare Sophia e scongiurare un imminente catastrofe. Che cazzo ci facciamo in un negozio di pizzi?
-E' un negozio di intimo- la delucidò Febe
-Rilassati, Ann- la liquidò invece Talia passandole davanti e sventolandole la mano sotto al naso con nonchalance- e poi l' hai sentito Sion, non dobbiamo esaurire tutta la nostra energia visto che non sappiamo quanta ne abbiamo a disposizione. Riposo. Ci vuole riposo!
Febe si guardò intorno girando tra capi succinti e mutandoni portandosi il passeggino con un Cheiron che sembrava ridere dell' idea:- Almeno tu ti diverti, amore mio- gli sorrise la ragazza.
Talia stava ciarlando con la commessa di qualcosa che Antares non riusciva a capire e che neanche a dirlo la preoccupava assai. Si ritrovò di fronte a un tanga e arrossì, domandandosi come diavolo facesse la gente a portare un pezzo di stoffa così piccolo.
-Che utilità ha?- domandò al nulla squadrando il detto pezzo di stoffa- il sedere non lo copre di sicuro. Io morirei di freddo per tutto il tempo.
-Che domande. Si vede che sei proprio un maschiaccio- la rimproverò Talia prima di trascinarla in un camerino cercando di abbassarle i pantaloni all' urlo belluino di:- Fammi vedere che mutande hai!
-Taliaaa, ti ammazzo! Lasciami stare! Non mi toccare la cintura!
Febe fece un sorriso di scuse alle due commesse che fissavano il camerino fin troppo movimentato con un' espressione tra lo spaventato e il perplesso. Era sempre così, da quel che ricordava, la guerriera non riusciva a pensare a una volta in cui, andando tutte insieme per negozi, non avessero in qualche modo attirato l' attenzione e non sampre -anzi mai- facendo una buona figura.
A un certo punto si sentì la risata sguaiata di Talia e Febe infilando la testa nel camerino la vide indicare le mutande di Antares con sopra stampato un pinguino.
-Che c' è? Sono belle- si giustificò l' altra, rossa in viso- a me piacciono.
-Anche a me- concordò Febe.
Talia le diede una pacca sulla spalla:- Dai, anche a me... ma non sono certo adatte per conquistare un uomo.
-Io non devo conquistare proprio nessuno!- abbaiò Antares.
-Già, già- Talia uscì dal camerino- restate qua, vado a cercarvi qualcosa.
Guardò il cielo attraverso la porta del negozio, era plumbeo e prometteva un burrasca.
"Cosa stai facendo Sophi?"
Tornò con una serie di completini che distribuì sapientemente tra le due amiche.
-Voi maschietti a volte non capite il tesoro che vi si para davanti. Mi raccomando, non diventare ottuso come il tuo papà- disse Talia a Cheiron metre lo cullava tra le braccia e aspettava che le altre due uscissero dai camerini.
A un certo punto sentì la voce di Febe, più spaventata che altro:-Ta..Talia ma sei proprio sicura che questo vada bene?
Poi quella di Antares:- Ma come diavolo si mette questa roba?!
Talia aggrottò le sopracciglia e guardò di nuovo Cheiron che rideva:- Anche noi femminucce in effetti non siamo poi questi gran pozzi di scienza certe volte-
Alla fine della giornata Antares aveva comprato tre paia di mutandine classiche che aveva reputato particolarmente carine e un completo intimo senza troppi fronzoli che le coprisse un poco di più il sedere, Talia andava fiera del reggiseno che, parole sue, "le faceva le tette più sode" e Febe rimuginava sul fatto che avrebbe dovuto nascondere in qualche antro nascosto del palazzo del Capricorno il baby-doll pesca che in teoria doveva essere tutto pizzi e merletti ma che in pratica era trasparente, il completo intimo rosso con le calze abbinate e l' insieme di misere stoffe che avebbe dovuto richiamare l' uniforme di una cameriera. Che vergogna! Era rossa come un peperone, già il solo pensiero di indossare una qualsiasi di quelle cose -Talia diceva che bisognava essere audaci ma qui si esagerava- davanti a Shura la faceva andare in tilt, probabilmente di quel passo avrebbe perso i sensi. Sì, sarebbe svenuta, le ragazze avrebbero di sicuro chiamato aiuto, sarebbe arrivato Shura a sorreggerla e avrebbe scoperto quegli abiti indecenti.
O mio Dio!
Non poteva permetterlo!
Non sarebbe mai svenuta!

-Certo che è pesante salire tutte queste scale col passeggino- si lamentò Talia
-Ma se sto facendo tutto io!- ululò Antares
Io sto portando le buste- si giustificò la bionda
-Scusami, ti sto facendo fare tutta questa fatica- si aggiunse Febe dondolando il corpo per fare addormentare Cheiron
-Non fa niente, non fa niente- ribattè prontamente la guerriera di Giove per non far sentire in colpa l' amica.
Alla terza casa Saga e Kanon stavano parlando seduti sui gradini, il primo si alzò raggiungendo Antares per prendere il passaggino.
-Ce la faccio, ma grazie- lo precedette la ragazza cercando di assumere un tono gentile
-Te lo porto- affermò comunque Saga togliendoglielo dalle mani.
Antares alzò un sopracciglio:-Perchè?
Il cavaliere la guardò ponderando attentamente la risposta e cercando di non dire qualcosa che agli occhi di Antares potesse apparire come un affronto mortale, quando l' ebbe trovata sorrise soddisfatto e arcuò le sopracciglia fintamente stupido:- Perchè hai fatto trecendo gradini, è ovvio.
-Nh
Saga, doveva ammetterlo, in un primo momento fu tentato di dire qualcosa del tipo "perchè sei una femminuccia e il passeggino per te è pesante", poi saggiamente si rese conto che una frase del genere gli avrebbe fatto guadagnare una sfuriata millenaria e l' odio perenne delle coccinella -che non aveva un carattere per niente facile.
Kanon dal canto suo stava osservando tutte le buste che portava Talia desiderando, curioso com' era, di dare un' occhiata all' interno, cosa poco raccomandabile visto che Febe sembrava una pentola a pressione pronta a scoppiare da un momento all' altro -imbarazzo? E di che?- e Antares di sicuro avrebbe per lo meno tirato fuori la sua lingua biforcuta. No grazie, sentenziò quindi senza però rinunciare al suo scopo:- Ohi Talia, quante buste- ridacchiò allora- devi averne comprate di cose!
-Eh no, Kanon. Di queste buste solo una è mia.
Bene, ora Kanon sapeva una cosa in più.
-Wow, allora Febe e Antares hanno svaligiato un negozio. Se non sbaglio vende dell' intimo- era un attore nato, aveva adocchiato sin da subito il nome del negozio.
-Già- annuì Talia- soprattutto Febe. Ah, ma non preoccuparti Saga, Antares non è stata da mano.
Sia Febe che Antares erano diventate tutte rosse, in particolare Antares si voltò di scatto verso Saga:- Non è come pensi- chiarì e per dimostrare la sua tesi gli avrebbe pure fatto vedere le mutande che aveva comprato ma non le era sembrata una buona idea dopo tutto.
Allora fissò Kanon senza rendersi conto del sorriso malizioso del ragazzo alle sue spalle:- Abbiamo comprato cose normali. Cos' è? Tu cammini senza mutande? Eh?
Detto questo si allontanò di corsa trascinandosi dietro il passeggino e le altre due ragazze senza ovviamente risparmiarsi assieme a Febe una sonora lavata di capo per Talia che le cose a volte non le mandava certo a dire.
Erano riuscite ad arrivare ai rispettivi templi prima che iniziasse a piovere. Rientrata in casa Febe cercò Shura e non trovandolo si affrettò a sistemare i nuovi acquisti in un angolo nascosto dell' armadio, vedendo che la pioggia non accennava a smettere, dopo una mezz' ora chiamò Antares facendola scendere alla casa del capricorno.
-Scusami se ti disturbo, Ann... sono dispiaciutissima. Il fatto è che... ecco, volevo chiederti il favore di tenere Cheiron. Suppongo che Shura sia ancora al confine e fuori piove, non vorrei che si prendesse un raffrddore.
La guerriera di Giove annuì già domandandosi tristemente cosa diavolo dovesse fare per prendersi cura di un bambino. Quando Febe andò via Cheiron dormiva ma se si fosse messo a piangere? O se si fosse sentito improvvisamente male? O...oppure... poteva accadere di tutto e pensando proprio a quel tutto si mise le mani tra i capelli entrando nel panico più totale e pregando che Febe si sbrigasse. Nel frattempo non avrebbe tolto un attimo gli occhi dalla culla. Forse avrebbe potuto provare a chiamare rinforzi, si sarebbe sentita di certo più sicura. I saint avevano un cellulare, grazie al cielo quella era una modernità ben accetta tra le mura del tempio. Provò a telefonare prima a suo fratello e quindi a Milo che a quanto pare però avevano deciso di non utilizzare come si deve il telefonino visto che entrambi squillavano a vuoto. Fece rapida due conti mangiandosi le unghie delle mani e guardando vigile Cheiron -santo bambino, dormiva- , chi poteva chiamare? La casa immediatamente più vicina era quella del Sagittario ma a parte che non aveva il numero di telefono -ammesso che Aiolos possedesse il magico oggettino- non erano nemmeno in gran confidenza. Però Aiolos era buono e gentile quindi sì, se avesse potuto lo avrebbe chiamato eccome.
Talia. Avrebbe chiamato Talia.

Febe aveva afferrato di corsa l' ombrello e si era recata al confine meridionale, lì Shura contemplava immobile l' immenso lago di magma che si era formato tra le rocce e circondato da un muro di fiamme non troppo alte ma che comunque avrebbero ostacolato chiunque volesse prendere la spada che si trovava su un masso di grandi dimensioni che sembrava galleggiare al centro del liquido incandescente.
Febe rimase qualche minuto a guardargli le spalle, fece qualche passo avanti raggiungendolo e sfiorandogli timidamente la spalla con la mano.
Shura si girò lievemente sorpreso della sua presenza lì:- Che ci fai qui?
La ragazza sobbalzò appena, non voleva infastidirlo:- Sta piovendo- fece una pausa e si morse le labbra-  ho pensato che... potevi prenderti un raffreddore. Ti ho portato un ombrello- disse lentamente porgendogli l' oggetto.
Shura guardò l' ombrello rosso che gli veniva porto, non fece una piega, non si mosse:-Cheiron?- domandò invece.
Shura era freddo, terribilmente freddo e Febe si sentì stringere il cuore perchè non ce la faceva più. Come poteva stargli intorno se la sua presenza non era gradita, se lo metteva in imbarazzo?
-L' ho lasciato al tempio con Antares e sono venuta qui. Vorrei che tu tornassi indietro con me- prese coraggio e gli mise una mano sul braccio cercando di stringere l' armatura- perfavore. Prenderò quella spada, te lo prometto.
Non avrebbe pianto benchè la tentazione fosse forte. Doveva smetterla o non sarebbe mai stata degna di stargli accanto. Sarebbe cambiata per lui.
Il saint prese l' ombrello appoggiato col manico al polso di Febe e annuì, lo aprì sulla propria testa iniziando a camminare al suo fianco verso il santuario, camminando lentamente per godersi  la malinconia del cielo plumbeo sulle loro teste, il silenzio scandito dal solo ritmare incessante della pioggia sulla piante, sulle roccie, suglie ombrelli e sul terreno.


-Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile.
Antares allontanò il cellulare dall' orecchio fissando l' apparecchio con aria scioccata. Ma che stava succedendo a tutti?
Si accucciò su una sedia e la avvicinò alla culla poggiandovi le braccia conserte e la testa adagiata su di esse assorbendo la tranquillità che emanava quel bambino. All' improvviso il piccolo fece una smorfia e strabuzzò gli occhi irrompendo in un pianto potente, come se fosse dipeso dal semplice fatto di trovarsi davanti un' estranea e non la sua mamma. In un primo momento Antares si tappò le orecchie, poi prese Cheiron dalla culla e con quello che per lei fu uno sforzo enorme odorò il bambino. Non sembrava aver fatto la cacca ma se ne volle assicurare comunque. Come aveva supposto era pulito.
Allora che avesse fame?
No, Febe le aveva detto che aveva già mangiato.
E allora?
-Perchè piangi?- rantolò nel panico più totale.
Poi respirò a fondo, doveva calmarsi. Si posizionò bene il bambino all' altezza del petto e iniziò a girere intorno alla stanza cullandolo stretto, canticchiando qualche canzone e facendo qualche smorfia divertente -ma che a lei sembrava semplicemente idiota.  Voleva semplicemente trasmettergli un poco di tranquillità.
Lentamente il pianto del bimbo andò scemando permettendo ad Antares di rilassarsi e tirare un sospiro di sollievo, continuò a cullarlo, con le labbra increspate da un sorriso materno e gli occhi addolcitisi all' improvviso.
Quando alzò lo sguardo si accorse che Saga era fermo sulla soglia della porta. Come colta in flagrante si arrestò all' improvviso smettendo di cullare il bambino che ricominciò a piangere di nuovo costringendola più goffamente a ripetere i movimenti precedenti.
Il saint si avvicinava a lei guardandola in modo strano e Antares sarebbe voluta scappare il più lontano possibile, quella situazione era davvero troppo imbarazzante.
Si ritrovò con Saga a pochi centimetri da loro, il cavaliere allungò una mano accarezzandole la guancia e sorridendole:- Sei bellissima.
La guerriera rimase un attimo a bocca aperta a guardarlo spiazzata poi abbassò gli occhi:- No- sussurrò
-Sei bellissima- ripetè avvicinando il suo volto a quello di lei- e in questo momento sei la cosa più dolce che abbia mai visto.
Febe e Shura avevano percorso il tragitto che li separava dal tempio nel più religioso silenzio col peso di un muro invisibile che li separava.
-Hai detto che hai bisogno di tempo- fece lei a un certo punto facendo arrestare il cavaliere- ma sembra solo che tu stia cercando di allontanarmi. E la sai una cosa? Non mi interessa. Non mi interessa, Shura. Io resterò qui fino a quando non me lo dirai tu, chiaramente, di andarmene. Voglio che tu lo sappia. Non ti costringo ad amarmi ma ad essere sincero e fino a quando non me lo dirai, finchè non mi dirai "ti amo" oppure "vai via" io resterò qui e... e fino a quel momento farò di tutto per non perderti.
Febe gli passò davanti senza attendere una risposta, sperava solo di essere abbastanza forte da tentare davvero quel tutto e di non farsi sopraffare prima. Quando arrivò trovò Saga e Antares seduti sul divano, Cheiron placidamente addormentato tra le braccia della ragazza in un altrettanto religioso silenzio.

Usciti fuori dalle stanze private del tempio del Capricorno, Antares si girò verso Saga:- Non ti ho chiesto cosa ci facevi da questa parti.
-Tornavo dal tredicesimo templio, tutto qui.
-Ah... allora io salgo.
-Sì, e io invece devo scendere.
-Già.
-Camus non era nel suo tempio.
-Quando sono venuta qui c' era ancora.
-Ho capito. Magari è con Milo.
-Magari, sì.
A Saga era evidente che stavano perdendo tempo ritardando il momento dei saluti, pensò quindi di svelarle il motivo per cui era stato al tredicesimo tempio:- Ho chiesto a Sion di poterti allenare.
-...
-Credo di poterti preparare adeguatamente in vista di eventuali complicazioni.
-Come mai ti sei fatto carico di questa responsabilità?
Saga fece spallucce:- Ho voglia di combattere con te, tutto qui. Avresti preferito che ti allenasse Camus?
-Non pensavo di dovermi allenare di nuovo ad essere onesti.
-Bene- Saga si voltò dandole le spalle- ci vediamo domani mattina nel settore nord. Ti aspetto per le sette.
-Otto-
Antares sentì uno sbuffo:- Otto- capitolò il ragazzo.









--------------------------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: 
In questo capitolo si parla per buona parte di mutande e infatti avrei voluto intitolarlo "Mutande", ma poi non ne ho avuto il coraggio... ok, scherzi a parte, inizialmente avrei voluto dedicare questo capitolo solo a Shura e Febe ma poi è uscito fuori così. Abbiamo una Talia che sembrerebbe essere ritornata quella di una volta, Antares particolarmente su di giri e Febe apparentemente risoluta.
Ovviamente tra il Capricorno e neo-Mars non finisce mica qui. Nel prossimo capitolo in teoria (in teoria perchè poi i personaggi fanno quello che vogliono -.-) dovremmo avere l' allenamento di Saga e Antares che come immaginerete non sarà dei più simpatici, un paio di cosucce che riguarderanno rispettivamente Shura e Febe e finalmente Milo e Camus e poi bho... avrei in mente altre cose (soprattutto una su Talia) ma non so se inserirle già ora oppure aspettare un pochino.

Se può interessarvi ho postato due nuove ff, una shonen-ai dal titolo "Le relazioni pericolose (ovvero il buon vicinato)" e l' altra che invece coinvolge Kanon e un nuovo personaggio, ed è invece un het, il titolo è "Running away"

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=769480