Angie, Angie, where will it lead us from here?

di Giuacchina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** What a dreamer! ***
Capitolo 2: *** Come on into the future! ***
Capitolo 3: *** A car, a spinster and a lovely curly boy ***
Capitolo 4: *** Old MacDonald had a farm, eee-yi-eee-yi-oh ***
Capitolo 5: *** Kiss the chef ***
Capitolo 6: *** The life of two slackers ***
Capitolo 7: *** Chicken cupid ***
Capitolo 8: *** Here's the day you hoped would never come. ***
Capitolo 9: *** The wc will testify ***
Capitolo 10: *** JD and Adele ***
Capitolo 11: *** Stupid heritage ***
Capitolo 12: *** Love you, guys! ***
Capitolo 13: *** Mr. Potato ***
Capitolo 14: *** The Lord of the Rings ***
Capitolo 15: *** The dramatic story of cereals ***
Capitolo 16: *** Hey you've got to hide your love away! ***
Capitolo 17: *** Seven days. ***
Capitolo 18: *** Jonah said: ***
Capitolo 19: *** Keith is here! ***



Capitolo 1
*** What a dreamer! ***


Il suono della batteria nella stanza davanti a me rendeva l'aria alquanto ansiosa. O forse ero io quella ansiosa. Mi sarei sentita male se da quella porta fosse uscita la tizia super tinta che prima mi aveva accompagnata e, con fare poco gentile, mi aveva chiesto di accomodarmi su quella scomoda sedia ed aspettare, per dirmi che non sarei servita a niente lì, che mi avevano già rimpiazzata con uno dei tizi che era entrato prima di me. Non l'avrei accettato, ma mi sarei scaraventata contro di lei per mostrarle il mio affetto dedicandole un assolo di batteria sulla sua testa. No, meglio di no. Le mie bacchette avrebbero potuto rompersi su quella testa tinta e per lo più rifatta.
Tic-toc, tic-toc. Stupido orologio, smetti di far rumore sulla mia testa.
Ora una chitarra sovrastava il clima, divenuto sempre peggiore col passare del tempo.
Qualche accordo fatto male, un urlo da parte di una donna che diceva che le sue orecchie stavano scoppiando.
E poi silenzio. Mi si bloccò il cuore. Forse si erano stancati dei tizi lì dentro?
Sentii a mala pena sussurrare il nome di qualcuno, che prontamente rispose con un “Sono pronto”.
Brutto segno. Questo tizio sembrava sicuro di se, accidenti a lui! Se avessero scelto lui al posto mio, Dio solo sa che cosa avrei combinato.
Ancora un attimo di silenzio. Le bacchette che stringevo tra le mani a momenti non si spezzavano.
E poi il canto… melodioso? Fantastico? Meraviglioso? No, niente di questo. Era solo una voce ben intonata che cantava qualcosa che a me era abbastanza famigliare. Ma niente di più. Non poteva essere meglio di me. Provai ad ascoltare un po’ quella canzone. Mi sembrava che fosse qualcosa che avevo ascoltato, qualcosa che a me piaceva, oltretutto.
“She comes in colors everywhere, she combs her hair…”
…she’s like a rainbow, continuai mentalmente. Era una delle canzoni più belle che possano esistere sulla faccia della terra! Insomma, i miei Rolling Stones con la loro “She’s like a rainbow”. Quel tizio doveva essere in gamba. no, aspettate! Che sto pensando? Dovrebbe essere un nemico per me. È troppo bravo, cavolo.
Batto una mano sulla fronte cercando di riprendermi da quei pensieri che per me erano già troppo. Ero stressata, qualcuno cercava di rifilarmi il posto e quel qualcuno aveva anche la mia stima. Ahimè, non poteva andarmi peggio.
Un minuto, due minuti. La canzone finì, mentre nel frattempo – ovviamente – cantai a bassa voce anch’io.
Silenzio. E che diamine, la vogliamo smettere con questi attimi di silenzio? Mi ricordavano tanto i momenti in cui al liceo qualche prof aveva intenzione di interrogare. Ecco, c’era la stessa agitazione. La maniglia della porta si mosse.
Fa che mi chiamino, fa che mi chiamino, fa che mi chiamino. Preghiera esaudita. La tizia tutta finta urlò con una voce gracchiante “Il prossimooo!” Trucidatela, fu il mio pensiero.

Tre persone sedute dietro ad un tavolo nero. Tanti fogli davanti a loro – tra quelli doveva esserci anche il mio con tutte le mie informazioni – e sguardi di altra gente dietro le spalle. I ragazzi che arrivarono prima di me si erano sistemati dietro di me, credo che stessero gufando contro di me così come avevo fatto io in precedenza. Eh no, miei cari! Vincerò io, non c’è bisogno che sprechiate il vostro fiato inutilmente.
“Bene, Angie. Suoni la batteria?” disse un simpatico ometto con degli occhiali rotondi indicando le bacchette che stringevo tra le mani.
“No, in realtà sono solo il mio portafortuna” sorrisi “Io canto.”
“Bene, facci sentire” la donna bionica rispose irritata.
Sospirai. Avrebbero sentito un’altra canzone dei Rolling Stones, si sarebbero stancati? Non era la stessa, ma avrebbero potuto esser stufi delle stesse note. Beh, dopotutto io ero migliore del tizio che aveva cantato prima di me, ne ero certa.
Presi tutto il coraggio che avevo e iniziai ad intonare “Streets of love”.
Il microfono in una mano, le bacchette nell’altra. Mi sentivo una star, sapete? Di solito davanti allo specchio mi sentivo una nullità, una sfigata. Quelle dieci persone intorno a me, però, mi facevano sentire importante, ascoltata finalmente. Non avevo mai provato la sensazione di esser fissata e magari anche stimata, perché no. Però avevo avuto un caratteraccio e non ero mai nemmeno riuscita ad avere un discorso più lungo di cinque minuti con una qualsiasi persona sulla faccia della terra.
Mentre recitavo il ritornello, qualcuno dietro di me canticchiò alzando un po’ troppo la voce.
Cercando di fare la disinvolta, trovandomi in piedi, mi voltai per linciare con lo sguardo chiunque avesse osato sovrastare la mia meravigliosa voce. Sorrisi ai giudici, poi verso quei ragazzi che si trovavano dietro di me inquadrai un tipo riccio verso gli ultimi posti, che al buio non si vedeva nemmeno granché. Quell’essere stava cantando con un sorriso sfacciato sul viso. Lo fulminai con lo sguardo, senza dimenticare di continuare a intonare la canzone.
I giudici mi sorridevano, nonostante la biondona mi stesse squadrando. Sembrava anche che il terzo giudice fosse rimasto a bocca aperta, non appena finii di cantare.
“Grande” sentenziò il giudice simpatico.
“SENSAZIONALE!” ora toccò al terzo giudice, quello che non poteva credere alle sue orecchie. “Uhm” la donna bionica sentenziò.
Un applauso, e dico un solo applauso, partì dal “pubblico” dietro di me. Il tizio che aveva cantato irritandomi. E continuava a sorridere! Me l’avrebbe pagata se non fossi riuscita a passare le selezioni. I giudici ci fecero uscire tutti nella sala d’aspetto in cui mi trovavo poco prima. Le urla disperate dei ragazzi che non avevano ottenuti buoni risultati mi davano ai nervi. Mi avvicinai alla macchinetta del caffè per poterne prendere un po’. Avevo i nervi a fior di pelle.
Bevvi un sorso di caffè, amarissimo, e chiusi gli occhi.
“Niente male” una voce dietro di me mi distrasse dal mio momento di relax.
“Che vu-” mi bloccai. Era il tizio che aveva osato cantare con me!
Lo guardai torvo e mi voltai verso la finestra al mio fianco.
“Non è un bel panorama. Beh, a meno che non ami i muri in cemento”
Lo evitai un’altra volta. Lui, nel frattempo, picchiettava sulla finestra.
“Angie?”
“Come diamine fai a sapere il mio nome?!” sbottai irritata. Avevo persino posizionato le bacchette in segno di attacco.
“Prima Rob ha detto il tuo nome.” Rob? Chi diamine era… ah, il giudice.
“Già. Ora lasciami in pace.”
“Come mai così di mal umore?”
Lo guardai negli occhi. Cavolo, in mezzo a quella catasta di capelli riccissimi c’erano due smeraldi accesi. Rimasi imbambolata qualche secondo, poi ripresi in mano la situazione e gli puntai le bacchette al collo.
“Prova a soffiarmi il posto e non sarò più io quella con il malumore”
Acchiappò le bacchette in modo da poterle togliere dal suo collo e si avvicinò un po’ di più a me. “Lo stesso vale per me, baby. Anzi, io non voglio farti stare col malumore! Sono sicuro che se sorridi sei più bella”
Mi colse alla sprovvista, ma trovai subito una risposta prontissima.
“PRIMO: lascia stare le mie bacchette, non voglio che si infettino coi tuoi germi.” Mi calmai un po’ fissandolo ancora negli occhi “Secondo: non sei per niente coerente.”
Uno sguardo interrogativo da parte di lui.
“Non vuoi che venga presa al posto tuo e poi mi dici che vuoi vedermi sorridere. Questa tua teoria non ha senso.”
“Invece si, cara: se vengo scelto io e non tu, sarai costretta ad uscire con me, così da farti sorridere. Sai sono bravo con le donne” mi porse uno sguardo malizioso che smise subito di fare quando gli puntai addosso le bacchette “Se, invece succede il contrario ti lascerò in pace. Ci stai?”
“Non mi pare di aver parlato di scommesse o altro”
“Allora ci stai?” domando impaziente evitando la mia affermazione.
Annuii, sapendo che avrei vinto io sicuramente.
La bionda ci richiamò tutti in sala. Strinsi le mie bacchette, allontanandomi da quello strano tipo, che prontamente si avvicinò ancora a me.
“Comunque io sono Harry, non voglio che tu esca con me senza sapere nemmeno come mi chiamo!” Che presuntuoso, pensava davvero che sarebbe stato preso!



Corner
Bene bene bene! È la mia prima fan fiction. Spero vi piaccia, spero che la nostra Angie non vi dispiaccia! (scusate per il brutto gioco di parole ahah) Ho provato a raccontare di una ragazza… rock? Non lo so, avrei tanto voluto creare la storia con una ragazza alternativa, diversa dalle solite ragazze “oh come sono bella e blablabla”
Ci sarò riuscita? Un grazie, comunque, a chiunque leggerà :D

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Capitolo 2
*** Come on into the future! ***


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COME ON INTO THE FUTURE!


“Harry! HARREEEEEEEEH!” urlai con tutta la forza che avevo nonostante fossero solo le sei del mattino.
“Cosa diamine vuoi, Angela?” uscì subito dopo dalla sua stanza assonnato, buttandosi sul divano con gli occhi ancora chiusi.
“Cos’è, ridi perché hai la coda di paglia?! Dovresti vergognarti piuttosto!”
“Oh, avanti… ho solo messo del dentifricio nello shampoo, cosa sarà mai, mio amor?” spalancò gli occhi e cadde in una profondissima risata.
I miei capelli bianchi, appiccicosi e crespi iniziarono a prudermi. Mi sarei vendicata molto presto. Oh, eccome se mi sarei vendicata.
Mi girai, fingendo di non essermela presa. Cavolo, era difficile mantenere la calma, aveva ragione quello stupido.
“Angie, te la sei presa?” rideva ancora, sfacciato.
“Ma no, caro!” il mio sorriso finto funzionava? Buono. “Sono allegra, dai un po’ di spirito ci vuole all’alba, almeno nel giorno che mi cambierà la vita, no?”
Forse diventai un tantino isterica nell’ultima parte della frase, tanto che mi si avvicinò e mi guardò torvo.
“Non me la racconti giusta, Angela.”
Trattieniti, trattieniti.
Presi la bottiglia che si trovava sul tavolo accanto a me e la bevvi, convinta che fosse acqua.
Dio, non l’avessi mai fatto! Sputai sulla faccia di Harry il liquido che avevo inghiottito. Latte, che obbrobrio.
Solo che mi accorsi della scena comica che mi ritrovai davanti: Harry che urlava come un matto qualcosa del tipo “i miei capelli, ommiodioooooo! Erano perfetti… me li hai rovinati!” mostrando il suo lato gay, mentre cercava invano un asciugamano per asciugarsi.
“Har, fattelo dire, sei uno schianto in bianco.”
Aprì gli occhi, il loro verde smeraldo veniva risaltato dal bianco che li circondava. Sguardo malizioso, rabbioso o chissà cos’altro? No, era il suo sguardo da pesce lesso di sempre.
“Me lo sarei dovuto aspettare, Angela non è mai gentile con le persone dopo che le si viene fatto un torto”
“Perché parli di me alla terza persona?” lo guardai storto mentre si stropicciava gli occhi.
Giuro, in quel momento mi aspettavo una risposta seria.
“Non lo so, fa effetto ‘sono un uomo intelligente e vissuto’, non pensi?”
Mi ero illusa inutilmente. Non avrebbe mai detto qualcosa di intelligente, il suo cervello non ne era capace. Poi parve leggermi nella mente.
“In una reazione chimica la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti.” Sorrise.
“Bravo il mio Harry” gli detti una pacca sulla spalla ridendo di gusto.
Mi diressi verso il bagno, sperando di fare in tempo a lavarmi di nuovo i capelli – stavolta con uno shampoo che avrei controllato prima di utilizzare – per la mia prima giornata lavorativa.
Nel frattempo Harry faceva la pipì.
Mi spogliai velocemente per infilarmi nella vasca. E si, non mi vergognavo nonostante ci fosse Harry nella stessa stanza. Dopotutto anche lui era solo in mutande. Anzi, se l’era pure tolte per fare la pipì!
Mi rilassai un poco chiudendo gli occhi, prima di sentire un peso su di me.
“Harry.”
“Angela!” sorrise.
“Mi distruggi le gambe, hai un peso non poco indifferente, sai?”
“Oh, ’sta zitta”
Si posizionò su di me, poggiando la sua schiena sul mio petto e la testa riccioluta sulla mia spalla.
Era in una posizione buffa, le sue gambe erano talmente lunghe che le aveva alzate lungo il muro.
“Comodo, Mick?” mi aveva raccontato che gli piaceva quando lo chiamavo così.
“Mai stato più comodo, Angie cara.”
Si girò verso di me e mi sorrise. Strinsi le mie braccia intorno al suo busto in modo da… abbracciarlo? Si, credo di averlo abbracciato. Poggiò le sue braccia ai bordi della vasca e cominciò a parlare con gli occhi chiusi.
“Perché non rimaniamo così per sempre?”
“perché abbiamo una vita, odierei il fatto che tu stia così comodo e io debba morire schiacciata” risposi ovvia.
“io credo che questa posizione non ti dispiaccia. Sei con il ragazzo più figo dell’universo!”
tu sei con la ragazza più figa dell’universo.”
“siamo dei figoni.” Rise, contagiando anche me.
“davvero sei scomoda?”
Annuii, carezzandogli i capelli.
“Allora facciamo cambio, non mi dispiacerebbe stare sotto” ammiccò.
“Mick, Harry, come diamine tu ti voglia chiamare, sto comodissima così come sto!” rimangiai quel che avevo detto prima ridendo.
Ma fu un attimo. Scivolò sotto di me cercando di non farmi sbattere, stringendomi come stavo facendo prima io con lui.
“Ora si che sto più comodo io” disse sorridente.
“sono scomoda!” indicai le sue parti basse sotto le mie di parti basse.
“non ti preoccupare, è ancora presto e non ho intenzione di metterlo a lavorare a quest’ora” mi fece l’occhiolino.
Dopotutto quella non era un posizione poi così scomoda. Mi abbandonai chiudendo gli occhi, la mia testa sulla sua spalla.
Un bacio sulla mia guancia, che tenero.
Mioddio, avevo appena detto qualcosa di carino? in riferimento a lui?!
“Sei carina quando non fai la dura.” Un altro bacio.
Lasciai andare. Chissà se il rossore sulle mie guance era visibile.
“e non sai fingere che non ti sia piaciuto” Un altro bacio, questa volta tra l’orecchio e il collo.
Cuore, ti prego smettila di battere.
“sai una cosa?”
Spalancai gli occhi, sperando che se ne uscisse con una battuta stupida. Quella volta qualcosa di stupido mi sarebbe andato più che bene. Tutto purchè non dicesse qualcosa di estremamente tenero.
“i capelli bianchi ti rendono estremamente sexy” stavo per ribattere, ma mi scoccò un bacio sulle labbra con tanto di rumore.
Mi si bloccò tutto, anche il cervello, anche la sua più piccola parte, quella più importante, quella che mi faceva sembrare forte. Mi sentivo un’idiota assoluta. Qualche minuto di silenzio in cui mi baciò più e più volte la guancia e ripresi il controllo di me stessa, guardando l’orologio che avevo fatto fissare davanti al wc perché Harry si sbrigasse ad utilizzarlo.
“E’ TARDISSIMO HARREEEH! HO SOLO TRENTA MINUTI PER PREPARARMI!”
Balzai fuori dalla vasca con nonchalance, rischiando anche di cadere. La sua risata mi pervase. Per un attimo, un fantastico attimo, mi dimenticai di quel bacio, ma il rumore irresistibile che usciva dalla sua bocca me lo fece ritornare alla mente. Lavai in fretta i capelli nel lavandino, provando a mandar via quel pensiero. Cuore smetti di battere velocemente oppure smetti di battere semplicemente. Avrei preferito morire piuttosto di ammettere a me stessa che lo stomaco mi brontolava per un altro motivo e non per la fame.
“Phon, phon… DOVE DIAMINE è IL PHON HARRY?!” sbraitai sapendo che era lui quello che lo utilizzava più dei due.
Era sparito. Non me n’ero accorta. Beh, almeno potevo emettere un sospiro liberatorio.
Cercai quel maledettissimo phon, asciugai i capelli alla bell’e meglio e mi diressi in camera mia.
Lo specchio parlava chiaro: ero ancora nuda. Cavolo cavolo cavolo! Solo ora provavo imbarazzo.
Una maglia, dov’è la mia maglia? E i pantaloni scuri? Oddio, le scarpe?
Avevo preparato tutto la sera prima! Volevo essere pronta per il mio primo giorno, non potevo vestirmi come se fossi una sciattona.
Presi un respiro profondo, poi tornai allo specchio. Il riflesso che vidi non fece che aumentare la mia rabbia. Mi volta di scatto correndo verso la porta: Harry sorrideva beffardo – nudo – con i miei vestiti in mano.
Il mio primo giorno di lavoro alla casa discografica non sarebbe mai arrivato. O meglio, io non sarei mai arrivata in quell’edificio. Non quel giorno.

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Capitolo 3
*** A car, a spinster and a lovely curly boy ***


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A car, a spinster and a lovely curly boy


Stupida auto, chi diamine ti ha dato l’ordine di non partire? Insomma, non ti ho mai trattata così male. Abbiamo solo fatto un paio di incidenti, ma niente di che! Oh, andiamo. La chiave l’ho infilata nel modo giusto, il motore da anche segni di vita! Ma si blocca. Porca cacca.
Giusto, il sole era alto nel cielo, gli uccellini cinguettavano allegri e la sclerata, nonché me medesima, iniziava la sua allegrissima giornata maledicendo il giorno in cui aveva scelto quell’auto perché “è economica, è verde e non passa inosservata”. Che stupida ragazza.
Digitai velocemente il numero di Harry. Avrei inventato una scusa più che plausibile per farlo scendere nel garage piuttosto che salire io per chiedergli di prestarmi la sua auto.
Rispondi, ti prego.
“Angela?” sembrava scocciato.
“Harry è successo qualcosa di terribile! Ti prego scendi immediatamente in garage!”
“Se è un ragno alza la tua bellissima gamba e schiaccialo, non morde”
“SONO SERIA! ALZA QUEL BEL SEDERINO CHE TI RITROVI E SCENDI Giù, è UN’EMERGENZA!”
Chiuse il telefono. Aveva abboccato all’amo. Non importava se ci avesse creduto o fosse sceso solo per non ascoltare più le mie urla, ma avevo ottenuto quel che volevo.
La sua entrata trionfante in mutande fece rabbrividire la vecchia zitella che abitava davanti casa nostra. Ah, povera donna. Guardava con occhi sognanti quell’adone che ora si stava dirigendo al finestrino anteriore dal quale sbucava il mio viso sorridente. Quella donna mi odiava, non lo so. Ma a me piaceva darle fastidio, così appena Harry si avvicinò gli diedi un bacio sulle labbra. Lui rimase basito, cercando di continuare il contatto. Ovviamente lo bloccai, ero quasi in ritardo.
“Se è per questo che mi hai chiamato allora dovrei venire direttamente nudo” ammiccò.
Posai il mio sguardo da quei suoi occhi magnetici alla donna in vestaglia davanti a noi. Anche lui fece lo stesso, senza vergognarsi di essere in quello stato.
“Signora Lee” le sorrise a trentadue denti “Buongiorno!” mi stava tenendo il gioco, bravo ragazzo.
Non so cosa provocò il rossore sul viso della zitellona, il fatto che lui le avesse rivolto la parola o che lui fosse mezzo nudo. Non disse niente, si rintanò in casa con le sue miriadi di gattini.
“Un giorno le ammazzo tutti i gattini, li investo con l’auto… se solo si degnasse di partire.”
“Ok, tralasciando il fatto che mi hai baciato per far ingelosire quella povera donna e non perché mi ami” sorrise mettendo in scena una mossa teatrale portando le mani al cuore “a cosa devo tutto questo trambusto?”
Gli sorrisi per la prima volta nella giornata. Mi aveva scaldato il cuore solo per il semplice fatto di esser stato gentile con me piuttosto che essersi arrabbiato come avrei fatto io.
“L’auto non parte”
“Ti ho sempre detto che il motore di questo catorcio non è mai stato buono” mi dette un buffetto alla guancia. Poi si avvicinò al cofano anteriore, piegandosi. Cavolo, com’era sexy quando faceva così.
Eh no! Stavolta non mi fermo a dire “Angie, che diavolo ti salta in mente?!” era sexy, punto.
Uscii dall’auto di punto in bianco e mi appoggiai al lato dell’auto fissandolo soddisfatta. Il mio cervello elaborò una scena alquanto a luci rosse. Mioddio, che sottona stavo diventando.
Alzò gli occhi verso di me. Forse istintivamente, ma si avvicinò per cingermi in un abbraccio tenerissimo.
“Ti accompagno io” posò un bacio nei miei capelli.
“Ammettilo, non sai come aggiustare l’auto e stai facendo di tutto per non darlo a vedere”
“In realtà la signora Lee ci spia dalla finestra.” Sorrise prima di avvicinarsi ancora al mio viso “E per la
cronaca prima hai detto che ho un bel sederino, non è da te fare certi complimenti.”
Un bacio. Che dolce. E io ero rimasta imbambolata! Ma risposi non appena ebbi il coraggio di staccarmici.
“Dovevo trovare una scusa plausibile pe-” un altro bacio.
“Dalla a bere a qualcun altro, Angela. Ora vado su a vestirmi, non appena torno voglio trovarti nuda nella mia auto super lussuosa!”
“Ma la tua auto non è né super, né lussuosa!” risi “E non avrebbe senso vestirsi per poi rispogliarsi”
“Giusto, che ne dici di darci da fare ora così dopo ti accompagno semplicemente?”
Feci una piroetta piuttosto goffa per staccarmi dal suo abbraccio. Fece gli occhi e le labbra da cucciolo.
“Sono già in ritardo, e la zitellona è già scioccata dal nostro comportamento” sorrisi ancora. Troppi sorrisi quella mattina!
Fece per voltarsi, gli diedi una pacca sul sedere e mi lanciò un bacio. Che tipo.
Chiusi la mia auto e mi accomodai nella sua, accendendo la radio. Sweet disposition dei Temper Trap.
Quella canzone mi piaceva particolarmente. Fu Harry ad avermela fatta scoprire. Sorrisi a me stessa cominciando a cantare, fissando ancora quella finestra davanti casa nostra. Ma quella donna non aveva davvero niente di meglio da fare? Gatti da sfamare? Un uomo da cercare?
Il mio Mick entrò in auto non appena finì la canzone, partendo.
“Signora Lee, buona giornata! Ci si vede” mi piaceva quando giocava con i sentimenti di quella donna.
Quest’ultima forse stava morendo d’infarto per l’emozione, chissà.
“Sei troppo sorridente oggi signorina. Cosa mi nascondi?” abbassò il volume alla radio.
“Sono allegra, non posso?”
“Sai che quel che penso” sorrise.
“Stupido Harry” non potei fare a meno di guardarlo concentrato sulla strada. I suoi ricci cadevano disordinati sul suo viso. Probabilmente non aveva fatto in tempo a sistemarseli. No aspettate… Harry che esce di casa con i capelli in quello stato? Cavolo, doveva davvero tenerci a me per aver fatto quella scelta così drastica. Ma era bello lo stesso.
“Ti ascoltata prima, quando cantavi la nostra canzone…”
“Non è la nostra canzone” lo bloccai.
“…sei fantastica.” Continuò, evitando la mia uscita da dura.
“Diamine Harry! Perché devi farmi diventare tremendamente tenera?”
“Oh, non sono io. È il fatto che sei innamorata di me” mi fece un occhiolino.
Tacqui. Noi cos’eravamo? Noi non… non avevamo mai trattato l’argomento “essere innamorati o meno”.
Non sapevo nemmeno se stessimo insieme! Cioè, facevamo quel che facevamo, ma in buona fede!
“Niente insulti o frasi dure? Si, sei davvero finita” parcheggiò davanti alla casa discografica. “Fatti valere oggi, piccola.” Poggiò la mano sulla mia.
Non volevo alzarmi più. Dio che effetto mi faceva stare a contatto con lui. Fissai un po’ il grande edificio davanti a me.
Non è un bel panorama, a meno che non ami i muri in cemento” cavolo, gli sarei saltata addosso a momenti! Si era ricordato il suo tentativo di abbordaggio nel primo giorno che mi vide.
Gli carezzai il viso voltandomi sorridente verso di lui, avvicinandomi per baciarlo. Lui però si scansò. Ci rimasi male.
Poi si giustificò. “Non lo fai perché magari c’è la Lee che ci spia da dietro un cespuglio?” sorrise.
E alla fine lo feci, gli saltai addosso. Era TOTALMENTE irresistibile. Passammo qualche minuto il quello stato da “noi siamo la coppia più bella del mondo e nessuno lo può negar”, prima che lui si accorgesse che ero un quarto d’ora in ritardo e mi lasciasse andare via. Ci sorridemmo soddisfatti.
Ero vicina all’entrata dell’edificio, quando la sua voce sovrastò il rumore delle auto che passavano lì davanti.
“Chiamami appena hai finito, verrò a prenderti, mia Angie!” mi lanciò un bacio che presi al volo.
Non era possibile che una persona potesse farti stare così maledettamente bene.


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Capitolo 4
*** Old MacDonald had a farm, eee-yi-eee-yi-oh ***




Old MacDonald had a farm, eee-yi-eee-yi-oh


Gira a destra, poi ancora a destra. Troverai un corridoio lunghissimo, percorrilo tutto, poi entra nella penultima porta, sali le scale che ti ritroverai davanti e troverai la porta dello studio.
La faceva facile quell’uomo quell’uomo che mi diede informazioni. Avrei dovuto salire quattro piani a piedi perché l’ascensore era fuori uso. Ecco un punto a sfavore nel mio nuovo lavoro: mi sarei dovuta abituare a quello sforzo fisico. Provai a ricordarmi più o meno quel che mi aveva detto, invano. Mi ritrovai su un balcone che si affacciava verso il muro di un altro palazzo. Risi istintivamente. Praticamente ogni cosa mi ricordava Harry.
Tornai indietro, trovando un biondino che faceva avanti e indietro davanti a due porte.
“Scusa, potresti darmi una mano a trovare un posto?” chiesi sistemandomi meglio la borsa.
“Se solo sapessi dove dovrei andare io molto volentieri, ma credo di non poterti aiutare molto” sorrise.
Aveva un apparecchio bianco sui denti e degli occhi azzurri splendenti, sembrava abbastanza piccolo. Gli sorrisi anche io, tesa.
Non potevo fare un ulteriore ritardo. Girovagai ancora un po’ in quel posto. Ritrovai un posto abbastanza famigliare: una fila di sedie blu lungo un muro, una porta azzurra con un orologio fissato lì accanto e delle macchinette del caffè. Non potei fare a meno di ridere quando mi accorsi della finestra dal brutto panorama. Lì nacque quella scommessa andata male, purtroppo per lui.
Non venne selezionato e questo inizialmente mi fece gioire. Passai una settimana a esultare, sorridere spesso e a parlare con persone che non conoscevo (cosa alquanto strana). Una sera lo trovai per caso in un locale in cui ero andata a prendere una birra per continuare il mio momento prolungato di felicità. Era triste, ma non appena mi vide si aprì del tutto. Tra una birra e l’altra mi confessò che non avrebbe mai voluto perdere la scommessa, sia per il fatto che avrebbe voluto avere il lavoro, sia perché gli sarebbe piaciuto conoscermi. E io ridevo, ci parlavo come se ci conoscessimo da una vita. Ad un certo punto, forse preso da un improvviso attacco di lucidità esclamò stringendomi il braccio “Ma tu ti chiami Angie! Come quella che faceva cose zozze con Mick Jagger e Keith Richards” sorrise a trentadue denti “Mi stai simpatica anche per questo. Sono i miei cantanti preferiti!” non so cosa mi prese. Lo baciai. Aveva detto che amava gli stessi cantanti che amavo io, ricordandosi anche del mio nome, omonimo di Angela Bowie, la moglie di Keith. “Angie… Angie where will it lead us from here? ” sussurrava mentre ci baciavamo. E poi so solo che mi ritrovai nel suo letto il giorno dopo. Non mi pentii di quel che avevo fatto, però.
Non chiedetemi come, trovai quel maledettissimo studio. Bussai una volta, due volte. Niente.
La scritta ‘London Records’ iniziava a darmi sui nervi ogni momento in cui la fissavo. Insomma, pensavo di essere arrivata in ritardo! Avrei potuto benissimo restare a casa a dormire. Mi accasciai a terra, stringendo le ginocchia e chiudendo gli occhi.
Speravo che fosse solo uno scherzo, anche se di cattivo gusto. Ok, magari erano arrabbiati con me perché il giorno prima non mi ero presentata al lavoro. Ma mi chiamarono per sapere se era successo qualcosa, e io risposi che mi era morta la zia per evitare questioni inutili. Mi dissero che erano dispiaciuti per la mia perdita e che se volevo potevo ripresentarmi il giorno dopo. LORO NON ERANO ARRABBIATI, e semmai lo fossero stati erano davvero crudeli.
Il cellulare vibrò.

'Sono indeciso. Colloquio con il panificio vicino casa o con la signora Lee? Credo le piacerebbe sapere che potrei fare il cat-sitter :)'

Risi. Come poteva essere così allegro e ottimista nonostante non avesse ancora un lavoro tra le mani?

'Io opterei per il primo per ovvi motivi!', risposi.
'Sentiamo le tue strampalate spiegazioni, honey.'
'Ti ho già detto che in bianco sei uno schianto, no? La divisa da panettiere ti starebbe benissimo. E poi potresti essere attratto dalla Lee, non si sa mai ;)'
'Oh si. Ritrovarmela in casa con il pigiamone e le ciabatte sarebbe troppo entusiasmante, i miei ormoni scoppierebbero!'
'Con me in quello stato funziona così Mick.'

Pensai che magari davanti a quella mia sfrontatezza lui stesse sbuffando divertito perché cercavo di obiettare ogni cosa dicesse.

'Sai ora che ci penso credo proprio che chiederò alla Lee. In questo momento sono steso in guardino e mi sta fissando con la bava alla bocca ahahah :D'
'Harry Edward Styles entra immediatamente in casa e vestiti!'
'La mia Angie gelosa?'

Arrivò qualcuno al mio fianco che mi chiese se c’era qualcosa che non andava. Era il tizio biondino di prima.
“Tutto bene, grazie”
“Quindi anche tu qui? Allora avrei potuto aiutarti se l’avessi saputo” sorrise.
“Sei arrivato anche dopo di me, credo sia stato un bene che non sia venuta con te” risposi sarcastica.
Mi evitò un attimo “Non c’è nessuno?”
Alzai le spalle. Suonò il campanello che si trovava sulla mia testa. Aspettate, c’era un campanello?
La donna bionica del giorno del provino uscì più truccata del solito. Dio, che spavento. Mi fissò come per dire “alzati, sembri una barbona”. Così feci, sbuffando pesantemente, provocando la risata del ragazzo di prima.
Ci fece accomodare davanti alla reception e dopo poco tornò con dei fogli da farci compilare.
Nome Angela Young
Età 23
Città di nascita Castletown
Per l’informazione di dopo avrei potuto scrivere “artista di strada”, poi optai per non scriverlo. Avrei fatto solo pietà.
Lavori precedenti Nessuno
e in quella dopo non sapevo proprio che scrivere. Impegnata, single, coppia aperta…
Situazione sentimentale Impegnata
Beh, in realtà lo ero.
Continuai a compilare il foglio notando che il biondino di fronte a me controllava spesso l’orologio borbottando qualcosa come ‘ma quando arrivano, sono in un ritardo pazzesco!’
Mi alzai per lasciare alla bionda bionica il foglio. Ovviamente lei non c’era.
Si starà limando le unghie in bagno, pensai. Suonarono ancora, e ancora, e ancora.
Scocciata da quella situazione andai ad aprire, spazientita. Non mi sarei mai aspettata che dietro quella porta si trovassero tre figoni. Per un po’ mi sentii la signora Lee di turno. Uno di loro si fece avanti per dire qualcosa che non capii al volo, troppo presa dalla loro naturalezza nell’essere irresistibili.
“Possiamo passare?” uno dei tre, quello con la pelle ambrata che sembrava tutto tranne che inglese, mi chiese.
Mi spostai un attimo per farli passare. Tre giganti mi passarono davanti, sorridenti, correndo ad abbracciare il biondino. Che vista meravigliosa. Mi accorsi anche che nemmeno il biondino era male. Erano tutti e quattro qualcosa di splendido. Certo, niente a che vedere con il mio Harry, lui era più bello di tutti quei quattro messi insieme. Già è così.
… ma chi vogliamo prendere in giro? Quei tizi erano la fine del mondo, ci feci più di un pensierino finchè il moro più alto, un tipo vestito in un modo stranissimo – chi avrebbe mai pensato che un uomo potesse indossare i pantaloni arrotolati da sotto e una maglia aderentissima a righe bianche e blu e non essere scambiato per gay? – mi rivolse la parola. Che voce gente!
“Dobbiamo compilare dei fogli?”
“Che?” chiesi interdetta.
“Non hai dei fogli che dobbiamo compil-” il biondino lo interruppe.
“Non è lei la segretaria.” Risero insieme.
“Mi spiace, che figura! Come posso farmi perdonare?”
“Oh, non c’è bisogno, non ti preoccupare” sorrisi. Mi sembrava strano che non fossi diventata rossa come succedeva con Harry. Dei ragazzi fighissimi mi stavano rivolgendo la parola e, cosa più strana, io stavo rispondendo!
“Piacere, Louis” chiese il moro. Che occhi azzurrissimi.
“Visto che siamo in vena di presentazioni, io sono Zayn” il ragazzo-non-inglese.
Il terzo che non aveva ancora parlato mi si avvicinò con un sorriso innocente. “Liam, piacere”
“E tu, biondino sbadato?” gli sorrisi avvicinandomi. Che sfrontatezza avevo imparato ad avere vivendo con Harry. Piuttosto… Cavolo! Dovevo ancora rispondergli!
Il biondino disse timidamente “Io sono Niall”
Lo ignorai, non so se ci rimase male, ma dovevo assolutamente rispondere ad Harry.
Come pensavo, mi aveva tartassato di messaggi inutili e divertenti allo stesso tempo.

‘Beh, chi tace acconsente u.u’
‘Angie, ci sei? Non ti chiederò se te la sei presa per qualcosa, perché so che faresti la vittima comunque.’
‘Nella vecchia fattoria iah iah oooh!’
‘…stai lavorando e io ti distraggo, vero? Ti prego non evitare i miei messaggi :(‘
‘Se non rispondi andrò dalla Lee e le dirò del lavoro. RISPONDI’
‘Angie ti prego…’
‘Ok, ho capito. Sto andando al panificio. Ti farò sapere se è andata bene o meno. ‘
‘P.s. se non trovo almeno un tuo messaggio irrompo lì e ti rapisco.’


Risi di gusto, ottenendo uno sguardo torvo da parte dei quattro con cui prima stavo discutendo.

Ti rispondo ad ogni messaggio che mi hai inviato: non è vero; non sono arrabbiata, mi hai fatta divertire con questi messaggi ahah; …c’è un cane, cane, ca-ca-cane!; non mi distrai, mi fa piacere che mi pensi; se davvero hai intenzione di andare dalla zitella non ti ostacolerò! Si dice: se ami una persona lasciala andareee! u.u; non mi pregare, sei già troppo irresistibile; grande ragazzo, niente Lee, quindi? :3; prova ad irrompere qui, è peggio di un labirinto, mi ci sono persa!
Buona fortuna con il colloquio, schianto in bianco xx


La donna bionica uscì a dare i fogli anche ai ragazzi e ci portò in una sala in cui iniziammo a registrare. I ragazzi erano anche simpatici e non stavano mai zitti o fermi.
Rob, il giudice simpatico, sembrò essere sempre più allegro ogni volta che provavamo a cantare.
Verso le due, dopo cinque ore a sgolarci, facemmo una pausa nella quale mi scusai con il biondino per non averlo calcolato quando si era presentato. E poi ci pensai, loro si presentarono e io no! Che sbadata.
Uscii nel balcone adiacente allo studio e mangiai il panino che Harry, da bravo casalingo, mi aveva preparato. Che tesoro che stava diventando quel ragazzo!
Altre quattro ore di canto che non finivano mai. Arrivato il momento di andarcene Niall mi chiese cordialmente se avessi voluto un passaggio per andare a casa.
“Non vorrei disturbarti, e poi dovrebbe venire il mio fid-” ci pensai su: si stai dicendo bene, continua “amico.” Stupida ragazza, stupida! Avevo detto il contrario sul foglio di prima, perché ora dicevo così?
“Oh, avanti! È solo un passaggio, niente di più!”
Accettai dopo un paio di preghiere da parte sua. E chi si sarebbe perso un passaggio da quello schianto di ragazzo, per di più anche divertente?
In auto mise a tutto volume canzoni house. Che obbrobrio. Un po’ mi era scaduto, si.
Arrivati davanti casa, dopo esserci persi una volta perché voleva vedere se il ristorante ‘Nando’s’ lì vicino fosse ancora aperto, lo salutai con uno ‘ciao’, uscendo dall’auto rapidamente perché i miei timpani si stavano fracassando. Avevo bisogno di un abbraccio da parte di Harry.
Entrai nella casa buia, salii al piano di sopra e trovai Harry spaparanzato sul divano con una posa davvero poco disinvolta. Mi buttai ugualmente su di lui, cercando di non fargli male. Mi allontanò con due braccia, dirigendosi verso la cucina.
“Cosa c’è? Il colloquio non è andato bene?” chiesi premurosa.
Rimase di spalle, senza rispondere.

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Capitolo 5
*** Kiss the chef ***


Kiss the chef

“Ti prego girati.”
I muri mi avrebbero ascoltata di più. Che diamine gli era preso tutt’una volta?
Facevo avanti e indietro dietro al bancone della cucina, dove lui fissava un punto a me non chiaro. Voleva evitarmi, va bene, ma volevo sapere il perché.
Perché diamine di punto in bianco decidi di non parlarmi? Detesto quando fai così.
Fissai l’orologio. Erano ben dieci minuti che andavamo avanti così.
“Parlami” dissi avvicinandomi a lui e sfiorandogli il braccio.
Ci mise un po’, esitò più di una volta, poi prese l’iniziativa e cominciò a parlare.
“E’ andata bene”
Rimasi in silenzio non capendo a cosa si riferisse.
“Mi hai chiesto com’è andato il colloquio, no?” il tono della sua voce era alquanto amaro per i miei gusti.
Sospirai, sedendomi sul bracciolo del divano. Avevo bisogno solo di un abbraccio.
“E a te” ruppe il silenzio, facendomi sobbalzare “com’è andato il primo giorno? Conosciuto nuova gente?” scandì bene l’ultima parola.
“Si nello studio sono tutti simpaticissimi e-”
Mi interruppe bruscamente voltandosi e prendendomi per un braccio, con gli occhi lucidi. Come avevo fatto a non accorgermi che nel frattempo stesse piangendo? Eppure non aveva la voce strozzata, anzi. Mi venne un colpo al cuore a vederlo così.
Un impulso irrefrenabile di carezzargli il viso pervase il mio corpo, solo che non riuscivo a sostenere quello sguardo. Mi aveva messa KO.
“Chi era quel tizio che ti ha accompagnata?”
“Oh, era Niall. È davvero molt-”
“Ti avevo detto che sarei venuto a prenderti io.” Era serio. Troppo.
“Ma ho pensato che ti avrei disturbato” Angie, sai che ti scoprirà ugualmente. Sei un libro aperto per lui.
“Da quando in qua pensi di potermi disturbare? Lo fai sempre, anche per delle sciocchezze.”
“Ma mi spieghi perché te la prendi tanto? Sono qui, sana e salva, reduce da una giornata impegnativa e Dio solo sa perché non se ne sia andata anche la mia voce.” Azzardai quell’impulso di prima. Non si ritrasse, mi sentii sollevata. “Ora ho solo bisogno di un abbraccio. Il tuo”
Parve illuminarsi. Spostò la mia mano dalla sua guancia per stringerla forte. Poggiò l’altra mano sulla mia gamba per potersi avvicinare meglio.
“Sono stato in pensiero, ti ho chiamato minimo dieci volte per sapere se avevi bisogno di un passaggio” sospirò teneramente. Cavolo mi ero dimenticata di controllare il telefono! “Così sono andato sul balcone sperando che avessi preso l’autobus. Poi ho pensato a tutte le cose che ti sarebbero potute capitare andando in giro da sola e poi ti ho vista arrivare in auto. Con quel tipo.” Poggiò la fronte alla mia “Non hai idea di come mi sia sentito in quel momento.” “Uhm. Mi sa tanto di… gelosia?”
“Potrei darti ragione” ammise.
“Sai che per me sei migliore di tutti i ragazzi del mondo messi insieme”
“No questa cosa non la sapevo. E con questo ti sei prenotata una notte nel mio letto” si alzò contento cominciando a saltare come se fosse un bambino di sei anni che andava al Luna Park “Mi stai facendo provare troppe emozioni insieme, Angie”
Mi alzai e finalmente l’abbracciai. Oh. Quel che desideravo ardentemente. Mi cinse talmente forte che dopo un po’ – non so per quale strana legge che sicuramente non era nemmeno la gravità, perchè prima balzai e poi caddi – ci ritrovammo a terra.
“Perché aspettare di andare nel mio letto, dopotutto?” rise e mi baciò. Un bacio perfetto. Niente fuochi d’artificio, Harry ne era spaventato. Sorrisi a quel pensiero.
Un brontolio proveniente dal basso.
“Mick, ho fame” lo guardai supplicante.
Detto fatto. Il bel casalingo indossò il grembiule rosa con su scritto “Kiss the chef” e si catapultò davanti ai fornelli ordinandomi di apparecchiare.
“Sei sexy vestito così” gli stampai un bacio sulla guancia.
“Non era il bianco a rendermi sexy?”
“So che con quest’ultima frase ti sconvolgerò del tutto oggi, ma ammetto che stai bene con qualsiasi cosa. Anche senza niente addosso, non mi lamento affatto”
E questa volta fu lui ad arrossire. Com’era bello.
“Ho preso il pane al panificio, d’ora in poi avremo tutto il pane del mondo gratis” sbottò, in forte imbarazzo.
“Pancia mia fatti capanna!” esclamai odorando quei profumi che venivano dalla cucina. Harry era un cuoco pazzesco. Anche le uova strapazzate fatte da lui erano sublimi.

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Capitolo 6
*** The life of two slackers ***


The life of two slackers

“Troppo stupido per i miei gusti. Ora è troppo intelligente. Oddio, cos’è quello schifo? Cambia immediat… E’ UN SERPENTE? NON VOGLIO GUARDARE! Cambia, cambia!”
Un televisore, un divano, una busta di patatine, coca-cola e due fannulloni. Il quadro perfetto di una nostra serata tipo. In pratica due vecchi di ottant'anni sarebbero stati più vitali di noi due.
“Da quando fare zapping è diventato uno sport agonistico? Il pollice sta per scoppiarmi” due occhioni dolci spuntarono sul suo viso.
“Mick, i tuoi sguardi non mi ammaliano.”
“Nemmeno un po’?”
“Nemmeno un po’.”
Il divano, a mio parere, era troppo stretto. Ok, aveva due posti e noi eravamo due persone. Due persone anormali, però. Io ero stesa per lungo con la testa poggiata sul bracciolo e le gambe sull’addome di Harry che a sua volta si trovava a testa in giù con le gambe sollevate sullo schienale, i capelli si poggiavano sul pavimento, tanto erano disordinati e lunghi.
“Passami la coca, Angie”
Tasto dolente. La coca-cola era appena finita e l’unico modo per averne un po’ era alzarsi dal divano, fare due passi e aprire il frigo. Che sforzo notevole.
“Non mi dirai che-”
“Si. È finita.”
“Non voglio morire assetato!”
“Nemmeno io!”
Sospirammo all’unisono facendo in modo che scoppiassimo a ridere come due cretini.
“Facciamo che ci alziamo contemporaneamente?” propose.
“Ci sto.”
Non ci sarei mai cascata. Aveva detto quella cosa perché sperava che io mi alzassi e lui rimanesse steso. No, non l’avrebbe vinta stavolta.
Poi contò. 1…2… alzai le gambe in modo da fargli spazio per alzarsi e dargli l’illusione del movimento. …3
Fu lui l’unico ad alzarsi.
“COSì NON VALE!” mi sgridò puntandomi il dito contro.
“Sono stanca”
“Pensi che io non lo sia? Domani devo pure alzarmi alle quattro.”
“Alle che?!”
“Il lavoro.”
“Oh.”
Prese la coca-cola e la bevve. Gli sorrisi sperando che me ne cedesse un po’. Avvicinò la bottiglia al mio viso, cercai di prenderla ma lui me la allontanò subito. Dal suo sorriso splendido uscì una linguaccia tenerissima.
Ma quante cavolo di volte sto usando la parola ‘tenero’ e i suoi superlativi?!
“Io vado a dormire, piccola” si avvicinò e mi scoccò un bacio sulla guancia.
“Posso fidarmi o domani mattina mi ritrovo la signora Lee in camera tua?” risi.
“Se proprio non vuoi rischiare dormi tu con me, no?”
“Hai bisogno di dormire, Mick”
“Pensi che non riesca a frenare il mio impulso di saltarti addosso pur sapendo che ho solo quattro ore per dormire un po’?”
Alzai le spalle, spaventandomi dopo aver visto una scena sanguinolenta in tv. Ero talmente scossa da essermi alzata a prendere il telecomando che era caduto un po’ più in là e spegnerla.
Sarà stato lo spavento – diamo la colpa a quello stupido programma in tv, si -, corsi ad abbracciare Harry che stava ridendo per la scena del mio sbigottimento di poco prima. Ricambiò subito, avvolgendomi come se non volesse più lasciarmi.
“Ho davvero bisogno di dormire, quindi datti una mossa: dormi con me o no?” mormorò a ridosso del mio orecchio. Chissà quanti brividi mi pervasero in quel momento.
“Dormo con te. Potrei aver paura del killer della televisione”
Corsi in camera sua saltando sul letto, ricevendo un rimprovero silenzioso dai suoi occhi vispi. Mi sistemai nel letto ad una piazza in modo da potergli lasciare un po’ di spazio, tanto ero più che sicura che mi sarei addormentata su di lui.
Nel frattempo il mio Mick – ho detto mio? Sottona – stava indossando i pantaloni della tuta, dopo essersi tolto la maglia. Che fisico. Probabilmente sarei stata io a cedere, non lui.
Inizialmente si sedette accanto a me, controllando un attimo il suo cellulare, poi spense l’abat-jour e alzò le coperte per sistemarsi vicino a me. Mi cinse i fianchi con un braccio, avvicinandomi.
Il suo respiro sapeva di coca-cola – ma va?! – e non potei fare a meno di poggiare la testa al suo petto.
Bum - bum, bum - bum. Com’era dolce il rumore del suo cuore.
“Harry, non ho intenzione di dormire.” sussurrai maliziosamente.
“Io si. Non rendere le cose più difficili di quanto siano.” Sentii che sorrise.
“Posso…” mi bloccai. Da quando ero timida con lui?
“Si, Angie?”
“Angie e Mick non dormivano insieme. Loro due copulavano allegramente.”
Rise. “Cosa stai farneticando?”
“Harry! Insomma, io… oh, non importa.”
Non sapevo nemmeno io cosa avrei voluto dire.
“Sai che in realtà si dice che Mick fosse segretamente innamorato di Angela?”
“Davvero? E perché non glielo disse?”
“Forse aveva paura di perderla”
“Non perché era la moglie del suo migliore amico?”
“L’amore supera ogni cosa, anche l’amicizia”
“Frase fatta”
Mi spostai all’altezza del suo viso, ancora allegro, ora un po’ stanco. Con un dito tracciai delle linee immaginarie sul suo naso all’insù e sulle sue occhiaie scure messe in risalto dal chiarore delle iridi. Non avevo mai notato che dormisse con la finestra aperta, così da far trasparire un po’ di luce. Strano, vedevo ogni sua piccola parte, anche la più minuscola. Non mi spiegavo come potesse essere così dannatamente perfetto anche con i capelli arruffati e le occhiaie.
“Angie sei fredda” poggiò la fronte alla mia, prendendomi la mano e stringendola in modo tale da riscaldarla.
Io vedevo tutto di lui con la luce, no? Speravo che non si accorgesse del rossore delle mie guance e del calore che in quel momento il mio corpo emanò per l’emozione.
Mi baciò. Forse il secondo bacio più bello di tutta la mia vita, dopo il bacio che mi dette prima nella stessa giornata.
“Buonanotte traditrice” mugugnò sorridendo.
“Notte gelosone”

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Capitolo 7
*** Chicken cupid ***


Chicken cupid

“Ho preparato la cena!” urlai dalla cucina per farmi sentire.
Un tonfo, poi un urlo, poi ancora un altro tonfo. Ma che diamine…?
La sua testa riccia sbucò dalla porta del bagno.
“ANGELA!” rideva a crepapelle. Perché diamine stava ridendo?!
Si avvicinò al tavolo e si rilassò, sghignazzando ancora. Prese il telecomando e accese la televisione, mentre con l’altra mano cercava il pane sul tavolo. E io rimasi basita davanti a quella scena. Non capivo davvero che avesse.
Mi sedetti accanto a lui e bevvi un po’ d’acqua. Lo fissai torvo. Forse allora capì che non avevo collegato a niente quel che aveva detto.
“Mi è parso di sentire che hai cucinato” mi sorrise “Poi ho visto che c’era del pane sul tavolo e mi sono sentito meglio”
“Cosa vorresti insinuare?”
“Se davvero avessi cucinato, la cucina sarebbe andata a fuoco”
“Peccato che l’abbia fatto e ne sia uscito fuori un bel pollo arrosto” lo guardai con sfida.
Strabuzzò gli occhi e si avvicinò a me.
“Non ci credo, avrai chiamato la rosticceria qui vicino”
“No.”
“Allora hai corrotto la signora Lee dicendo che se avesse cucinato il pollo avrei passato una notte infuocata con lei!” risi per la sua convinzione.
“Per quanto odi la signora Lee, no, non è così.”
“Aspettami un attimo qui.” Si alzò serio dalla sedia e scomparve qualche minuto in camera sua. Nel frattempo guardai in silenzio il telegiornale.
Elezioni, crisi, elezioni, oh! Una showgirl paparazzata con un presidente… che società schifosa.
Misi su Mtv e ascoltai un po’ di musica, nonostante la maggior parte fosse alquanto orribile (ergo house).
“Angela, da quando ascolti questo schifo?” sbucò di soppiatto dietro di me facendomi balzare.
“Non c’è niente di interessante in tv”
“NO!” mi strinse il braccio “Questa musica ti ricorda quel tizio lì, Nick, Nat, Na..” disse con disprezzo.
“Niall” lo corressi “E comunque ne abbiamo già discusso”
Si avvicinò al mio viso e mi stampò un bacio sulla guancia. Lunatico.
“E tu cos’hai intenzione di fare con quei fogli?” chiesi indicando quelle penne e quei fogli che aveva appena poggiato sul tavolo.
“Scrivere a chi darò la mia eredità” sorrise divertito.
“Eh?”
“Quel pollo mi ammazzerà. Dio solo sa cosa ci hai infilato dentro” rise.
“Non vuoi mangiarlo? Bene, lo farò io, dimostrandoti che sono un’ottima cuoca”
Detto fatto. Mi catapultai in cucina, presi il pollo dal forno – solo allora mi accorsi che era alquanto bruciacchiato – e lo portai a tavola. La mia espressione da soddisfatta era diventata schifata. Ma non mi tirai indietro. Notai che Harry nel frattempo si dava da fare nello scrivere su quei fogli. Lo fissai incredula.
“Harry non devi più mangiare il pollo, devo dimostrarti che è buono”
“Firma qui” mi porse il foglio indicandomi una x accanto alla quale avrei dovuto firmare qualcosa. Lo feci inconsciamente. “Ora mangia, su”
Coltello, forchetta, a voi l’arduo lavoro. Tagliai un pezzo minuscolo di coscia, notando che dentro era ancora cruda. Non mi spiego ancora come potei bruciare un pollo lasciandolo crudo nel suo interno.
Il mio stomaco era ributtante, i miei occhi chiedevano pietà e la mia bocca era piegata in una smorfia davvero bizzarra.
Quando finalmente presi coraggio e aprii la bocca avvicinando quell’obbrobrio, Harry puntualmente scostò la forchetta. Al suo posto nella mia bocca ci ritrovai la sua lingua. Mi stava baciando, mi stava baciando!
Ed era pure in una posizione scomoda, piegato sul tavolo di fronte a me. Presi il suo viso tra le mani e ricambiai ringraziandolo per non avermi fatto morire.
“Non ti avrei mai permesso di morire per qualcosa che hai fatto tu stessa” Perché diamine mi leggeva sempre nella mente?!
Sorrisi, con il suo viso ancora vicinissimo al mio.
“Se continui a sorridere così un giorno o l’altro cadrò ai tuoi piedi davvero. E lì non avremo scampo, specie tu.” Mi baciò.
“Che intendi dire?”
“Viviamo nella stessa casa da due mesi. Agli occhi degli altri siamo una coppia, in realtà noi ci baciamo e facciamo l’amore come se fosse qualcosa che due conoscenti fanno normalmente”
“E che c’è di strano?”
“Mai pensato al futuro?” mi baciò ancora, spostandosi accanto a me e facendomi girare verso di lui, che ora era inginocchiato.
“No, perché se continuando così va bene, allora non vedo che c’è di strano”
“Potrebbe entrare in gioco l’amore”
“Suvvia non essere sciocco, non succederà mai”
“Tu sei la prima a non ammetterlo a te stessa. Cosa succede nel tuo stomaco quando faccio così?” mi carezzò il viso.
Deglutii.
“E questo?” strinse la mia mano.
Deglutii in modo ancora più evidente.
“O questo?” si alzò all’altezza del mio viso, poggiando la sua bocca sulla mia, in un bacio innocente e sincero.
Deglutii, arrossi, iniziai a sudare e il cuore cominciò a battere.
“Io quando ti sfioro sento mille movimenti nel mio corpo, a partire da quello che stai dando a vedere tu ora.” Sorrise, mozzandomi il fiato.
“Harry questo non vuol dire che siamo in-” mi bloccai. Mi stavo prendendo in giro da sola.
Mi baciò ancora e io chiesi subito un altro bacio, e poi un altro, e un altro ancora. Non potevo fare a meno delle sue labbra soffici.
“Questo non significa niente?”
“Questo significa che stanotte non succederà quello che succede sempre.”
“Angie, che intendi?” chiese malizioso.
“Stanotte saremo solo noi due, insieme all’amore” sorrisi baciandolo ancora, lasciando perdere i brontolii dei nostri stomaci. Ci stavamo saziando con l’amore, dopotutto, no?
“Oh, Angie, per la cronaca: prima hai firmato il tuo contratto ereditario. A me spetta un pezzo del tuo cuore e i tuoi poster dei Rolling Stones”
Stupido, stupido Mick.

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Capitolo 8
*** Here's the day you hoped would never come. ***


Here's the day you hoped would never come.’

Lo zodiaco diceva che il segno dei pesci non avrebbe avuto una grande fortuna quel giorno, pazienza. Credevo nello zodiaco relativamente e quando mi conveniva, ergo solo quando diceva qualcosa di positivo. Ma quella mattina l’auto era partita, il sole splendeva (che strano, un novembre soleggiato a Londra!) e la signora Lee non ci aveva provato con il mio Harry. Odiavo che si alzasse presto lasciandomi sola nel letto e tornasse nel tardo pomeriggio perché avevamo poco tempo per noi. Ma se fare il panettiere implicava un buono stipendio e una divisa bianca che lo rendeva estremamente bello, beh, Harry non avrebbe dovuto lasciarselo scappare.
Come ogni mattina mi aveva lasciato un biglietto sul comodino.
‘Ogni mattino vi è data la facoltà di scegliere come agire, fare, essere. Sii il meglio di ciò che sei! -Stephen Littleword’, c’era scritto. Aveva una scrittura alquanto disordinata ed ogni mattina dovevo indossare per forza gli occhiali per decifrarla. Ma le frasi che mi dedicava erano diventate una parte essenziale della mia routine giornaliera: non uscivo di casa se non trovavo il bigliettino, il mio nuovo portafortuna insieme alle bacchette. Le mie bacchette. Quelle bacchette che non avrei fatto toccare a nessuno, nemmeno se me l’avesse chiesto Dio. Erano un ricordo troppo importante di JD, l’uomo che mi insegnò la passione per il canto: mio nonno. Magari potrà sembrare strano che un anziano sapesse suonare la batteria, ma il mio era un nonno davvero alternativo (anche nel nome. In realtà non conobbi mai il suo vero nome finchè non morì: John Dover): suonava la chitarra, il pianoforte e, “Per stare al passo coi tempi” come diceva lui, imparò a suonare la batteria. Tutto il contrario di nonna Adele, la donna più in gamba che abbia mai incontrato in vita mia. Tutta d’un pezzo, educata, mai scomposta. Eppure sapevo che infondo infondo era una ribelle come il nonno, se no non l’avrebbe sposato. E si amarono molto fino all’ultimo, quando nonno ebbe un infarto. Nonna cercò di essere composta e non disperata, ma non ci riuscì. A quindici anni non ci si può aspettare che la propria nonna, specie se era una donna forte come Adele, potesse piangere così. Non l’avevo mai vista così disperata. Crebbi con loro, per me erano come i genitori che non avevo mai conosciuto. Poi anche la nonna iniziò a cedere e, quando non ce la facevo a gestirla da sola, la portai in una casa di cura. Finchè vissi a Castletown andavo a trovarla ogni giorno, portandole il mio lettore mp3: le piaceva ascoltare la musica, la rendeva felice, così come la rendeva felice il nonno con le sue canzoni. Poi arrivò il tempo in cui avrei dovuto trovare il lavoro perché vivere con la pensione della nonna era un po’ difficile: mi trasferii a Londra provando a restare in contatto con la segretaria della casa di cura. Poche settimane dopo mi dissero che non c’era bisogno che chiamassi sempre e che mi avrebbero chiamata loro se ce ne fosse stato il bisogno.
Promisi a me stessa che avrei fatto di tutto per trovare un lavoro in campo musicale, sia per il nonno che per la nonna. Se lo meritavano.
Crebbe in me un innato carattere scontroso verso coloro che non conoscevo bene e la testa mi si riempì di pregiudizi. Proprio come quelli che ebbi verso Harry quando addirittura lo ascoltai, non lo vidi nemmeno.
Il lavoro sembrava andare a gonfie vele e i ragazzi con cui cantavo erano davvero simpatici. Louis in particolare era il più divertente di tutti. Non smetteva mai di ridere di se stesso, delle sue maglie a righe e della sua passione per le carote. Niall rideva di gusti qualsiasi cosa il suo amico dicesse – un po’ di tempo dopo tolse l’apparecchio ed il suo sorriso era davvero fantastico – e saltava in continuazione. Non per agitazione, solo perchè era contento. Quello maturo era Liam: seduto al proprio posto, con le gambe dritte e il cellulare sempre tra le mani, rideva in silenzio, sbottando con battute intelligenti che ci stendevano tutti per quanto fossero sensate. Zayn cercava di rimanere serio nelle sue pose statuarie. Un giorno gli dissi che avrebbe dovuto fare il modello invece che il cantante e, coincidenza delle coincidenze, Harry capitò dietro di me e ascoltò la mia battuta. Non mancò la scena di gelosia.
Tesoro!” la sua voce mi fece sobbalzare, spaventandomi.
“Mick” mi girai verso di lui guardandolo torvo per fargli capire che mi aveva fatto perdere vari anni di vita. “Non osare chiamarmi più in quel modo.”
Fece una smorfia.
“E tu saresti?” chiese cortese Zayn porgendogli la mano.
“Il suo ragazzo, Harry”
Subito arrossii. Il mio ragazzo. Uhm.
“Ma non ti chiami Mick?” sorrise Niall. Mancava solo che scodinzolasse, sembrava un cane allegro.
“Mick è il suo soprannome” gli sorrisi a mia volta.
E ovviamente Harry fissò di traverso quel povero biondino.
Parlarono un po’ ed Harry parve rilassarsi, facendo addirittura amicizia con i ragazzi. E, con mia grande sorpresa, quei quattro adoni più Harry erano uno splendore. I miei occhi si gustavano momenti succulenti immaginando cose davvero davvero davvero sconce.
Ma quel giorno, forse, non mi era concesso essere tanto allegra.
A metà giornata chiamai Harry per chiedergli come andava e mi rilassai un po’ sulla poltrona che dava sul balcone (forse l’unico che non si affacciava su un muro in cemento). La canzone Lotus Flower dei Radiohead fece capolino dal mio cellulare.
Sarà Harry che ha dimenticato di avvisarmi per stasera, pensai, che sbadato.
Ma la schermata del mio cellulare mi mostrava un numero sconosciuto, non il faccino dolce del numero di Harry.
“Pronto?”
“Signorina Angela Young?” una voce femminile stridula e scocciata.
“Si? Chi parla?”
“Lei ha tutti i documenti della signora Adele Dover?”
Mi stavo preoccupando.
“Chi è lei?” chiesi spazientita.
Niall mi raggiunse sorridente come al solito porgendomi un pacco di patatine. Non ci feci caso, concentrata nella discussione appena aperta con quella sconosciuta. Non notai se se la prese, ma rimase accanto a me a fissarmi.
“Chiamo dalla casa di cura St. Daniel”
Il mondo mi crollò addosso e la spalla di Niall era la più vicina alla quale potessi poggiarmi.
Stupido, stupido zodiaco del cavolo.

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Capitolo 9
*** The wc will testify ***


The wc will testify

Abiti su abiti buttati sul pavimento, cassetti aperti, porte spalancate, tranne quella del bagno, nel quale mi chiusi. Luci accese per paura che potesse succedere qualcosa di brutto, ancora. Sembrava fosse stata buttata una bomba in casa.
Lo specchio davanti a me non mostrava una ragazza sicura e determinata, credo che in quel momento rivelasse il suo esatto opposto. Occhiaie enormi, occhi gonfi, pelle pallida. Mi sentivo davvero uno schifo. Il gabinetto di fianco era pieno di trucchi. Li avevo spostati per poter squadrare meglio quella figura insicura. Non la conoscevo, ma era abbastanza famigliare. Avevo visto quel viso abbattuto in un altro specchio, uno specchio vecchio, decorato, a differenza di quello davanti a me.
Un paio di forbici in mano, quello che mi serviva in quel momento.
Il cellulare continuava a suonare, ma lo evitai sempre. Non volevo essere fermata. La mia era diventata una scelta definitiva. Avrei dovuto metter fine a quella vita da ragazza dura e prepotente. Non era quello l’atteggiamento con cui avrei dovuto affrontare la vita. Eppure mi guardavo in continuazione allo specchio, ricordando come ero diventata così insulsa. Non avrei mai dovuto comportarmi male con nessuno. Dopotutto nessuno mi insegnò ad essere scortese. Nonna Adele, la mia cara e dolce nonnina, mi avrebbe messa in punizione all’istante, se avesse potuto.
A quel pensiero scivolarono altre gocce sulle mie guance rosse dalla rabbia.
Stringevo i denti. Sii determinata come la nonna, Angela.
Come se fosse facile smettere di star male. Fissai un’ultima volta quella sconosciuta riflessa davanti a me. Oramai avevo deciso.
Presi finalmente l’iniziativa, con le lacrime che scorrevano una dietro l’altra, insistentemente: le lame delle forbici si alzarono, arrivando all’altezza del collo, ma venni interrotta bruscamente da un Harry che buttava giù la porta preoccupato. Non mi ero accorta che fosse arrivato, ero troppo presa da quel maledetto pensiero.
“Angela!” corse a prendermi le forbici dalle mani, ma feci resistenza. “Molla queste forbici, ora.” Mi strattonò riuscendo a prendere l’oggetto dalle mie mani.
Lo fissai esterrefatta mentre lanciava le forbici fuori dalla mia portata. Istintivamente mi buttai su di lui iniziando a prenderlo a pugni sul petto. Non poteva ostacolarmi solo perchè era più forte di me. Avevo preso una scelta e sarebbe stata portata a termine.
Non mi piaceva l’Harry serio e preoccupato, amavo guardare il tizio sorridente e allegro che era sempre.
Mi misi in posizione di attacco, alzandomi le maniche lunghe fino al gomito e lo guardai con aria di sfida. Con la coda nell’occhio lo osservai avvicinarsi per poi abbracciarmi. In quel momento non opposi resistenza, il suo respiro intorno a me mi fece sentire immediatamente più calma.
“Mi dispiace, Angie” sussurrò con la voce strozzata. Rimasi immobile senza provare ad abbracciarlo. Avrei tanto voluto che fosse arrivato più tardi, sapevo che non sarebbe stato d’accordo.
“Che diamine volevi fare con quelle forbici?” chiese preoccupato allontanandomi ma tenendomi alla distanza della lunghezza delle sue braccia.
Chiusi gli occhi, scoppiando a piangere ancora.
“Non piaccio a nessuno!” urlai disperata.
“C-cosa? Angie hai idea di quel che hai appena detto?” riprese ad abbracciarmi, abbassandosi all’altezza del mio viso. “E a me non ci pensi? Tu sei perfetta così come sei! Sai che ci sarò sempre e ti direi sempre che sei la più bella persona del mon-”
“Non è vero. Odi il fatto che sia così scontrosa con te. Ammettilo!”
“Angela! Non voglio sentire mai più niente del genere! Sai che non ti odierei mai, ne tanto meno odierei il tuo comportamento” i suoi occhi cercarono i miei, che nel frattempo si erano voltati verso lo specchio “Vedi che persona splendida sei?” si posizionò dietro di me indicandomi nello specchio.
Ora l’immagine che vedevo era fatta da due parti: una parte bassa brutta, piena di dolore, e la parte alta piena di spirito e allegria. Non riuscivo a credere di poter stare insieme alla bontà fatta persona.
“Non voglio che per via della morte di tua nonna tu ti tolga la vita.” Mi abbracciò da dietro.
Allora mi voltai sconvolta dietro di lui. Cosa aveva detto?!
“Ripeti quel che hai detto”
“Non devi ucciderti! Angie, io…”
“Uccidermi?!” gli urlai contro “Davvero tu pensavi che… Harry non l’avrei mai fatto!” credo che il panico che si era impossessato di lui lo abbandonò a poco a poco.
Si asciugò un’ultima lacrima che gli scorreva sulla guancia rossa.
“E cosa ci facevi con le forbici in mano?” indicò le forbici sul pavimento nel salone.
“Mi stavo tagliando i capelli.” dissi con una naturalezza che non avevo mai avuto prima.
“Tu cosa?!” cadde a terra, sfinito. Subito mi abbassai verso di lui per calmarlo.
“Te l’ho detto che non piaccio a nessuno. Avevo voglia di cambiare. Di essere come la nonna.”
Si poggiò alla vasca dietro di lui e io feci lo stesso. Ora fissava il vuoto davanti a sé. Mi fece pensare che allora valevo qualcosa per qualcuno se lui si era spaventato così tanto.
“Sono andato allo studio” sussurrò di colpo, interrompendo il silenzio “e tu non c’eri. Ho chiesto a Niall che mi ha subito raccontato tutto.” sospirò “Non te la sarai presa perché mi ha accompagnata lui, vero?”
“No, Angie. Non me la sono presa con nessuno. Solo mi è venuto un attacco di panico, conoscendoti avresti potuto fare di tutto” finalmente mi porse un sorriso, anche se tirato.
“Sei perfetta come sei, Angie. Non hai motivo di cambiare, specie se a cambiare sono i tuoi splendidi capelli.”
“Dici così perché tu sei un patito di capelli” sorrisi arrossendo. Credo che le lacrime smisero di scendere da quel momento. Ora tornavo sorridente.
“Dico così perché ti amo per ciò che sei.” Fissava ancora il vuoto. Non l’aveva detto perché non sapeva che dire, vero? Il cuore cominciò a battermi in un modo indescrivibile, quasi mi faceva male. Il calore mi pervase e ripresi colore in men che non si dica. Mi voltai e gli posai un bacio delicato sulla sua guancia perfetta come se fosse fatto di porcellana.
“Non so cosa si dice in questi casi” ammisi fissando il suo profilo perfetto.
“Non importa, anche un tuo sorriso può bastare per rendermi felice.”
Ok, era un momento imbarazzante e fin troppo romantico.
Avevo ritrovato la vera me stessa, e quella ragazza non avrebbe mai resistito più di tanto a quella dolcezza inaudita.
Spostai il suo viso verso il mio, poggiai la mia fronte alla sua e gli regalai uno dei miei migliori sorrisi. Gli asciugai le ultime gocce che gli scorsero sul viso e posai le mie labbra sulle sue.
“Mick e Angie.” Sorrise tra un bacio e l’altro “Chissà se Keith sarà geloso.”
“Sbaglio o l’amore supera ogni ostacolo?”
“Non rovinare ogni momento, Angela!”
“Non sto rovinando un momento romantico, dopotutto siamo anche in un bagno”
Si staccò dal nostro pseudo abbraccio e scosse la testa.
“Oh, al diavolo il cesso davanti a noi, sarà il testimone di queste parole: ti amo anch’io Mick.”

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Capitolo 10
*** JD and Adele ***


JD and Adele

Il silenzio del salone era davvero demotivante. Non che il funerale non lo fosse, ma l’atmosfera per i miei gusti era troppo deprimente. Tutti vestiti in nero, tutti in tiro, le vecchie amiche della nonna avevano addosso un rossetto rosso sangue davvero volgare e i loro mariti avevano tutti i capelli tirati indietro. Il nonno odiava quella gente, ma per la nonna riusciva a sopportarli per intere serate. Nessuna lacrima da parte loro, chissà se erano davvero amici della nonna, dopotutto era davvero stimata da chiunque per la sua bontà.
La bara in mezzo alla sala era decorata vistosamente affinché fosse all’altezza della donna che conteneva.
Era bellissima: le avevano messo indosso il suo abito preferito, quello rosa fiorato e le sue scarpe coi tacchi preferite. Un sorriso spuntava sul suo viso pallido, quasi come a dirmi che non avevo bisogno di preoccuparmi e che lei stava bene. E i suoi capelli, quei capelli così morbidi del colore delle nuvole quando è nuvoloso, erano sistemati proprio come avrebbe voluto. Avrei voluto tanto essere come lei, bella e forte.
Guardai ancora un po’ in giro, il silenzio oramai era stato dimenticato e gli amici della nonna stavano parlottando tra loro.
Il rispetto sempre al primo posto, eh?
Mi avvicinai un po’ di più alla nonna per ammirare la sua meraviglia.
Ora sei con il nonno, lassù. Continuerete ad amarvi come avete sempre fatto, sorrisi pensando, e spero che tu possa imparare a cantare. Il nonno sarebbe lieto di sentire la tua bellissima voce.
Il sacerdote mi chiamò in disparte e mi diede le condoglianze, seguito a ruota dalla mandria di amici della nonna.
Non piangevo da quasi due giorni: mi ero ripromessa di essere come lei.
Uno dopo l’altro tutti passarono a darmi un sacco di baci, augurandomi il meglio. Iettatori, pensavo.
Dalla porta d’ingresso fece capolino una donna con due bambini. Non ci vedevo bene senza occhiali, così fissai a lungo la robusta figura femminile che si avvicinava a me e poi mi salì il panico.
“Angela!” la sue era una voce temuta da sempre.
Rabbrividii, cercando di indietreggiare ma mi bloccò stringendomi in un abbraccio. Un falsissimo abbraccio.
“Mi spiace per la nonna!” ora la sua faccia era ben visibile: una specie di clown con il rossetto rosso e il trucco fin troppo acceso mi fissava allegro. Che poi allegro per cosa?
“Zia.” Salutai abbassando gli occhi. Non avrei mai più voluto vederla. Salutai velocemente i suoi due angioletti – si erano due angioletti, speravo che da grandi non diventassero come lei – e mi diressi verso la veranda che dava sul giardino.
Mi sentivo triste per quello che era appena accaduto. Non bastava quel che aveva fatto anni prima?
Una scena bizzarra, però, mi distrasse dal mio pensiero: un Harry alle prese con un anziano signore che ragionavano seriamente. Asciugai le lacrime scese qualche minuto prima dirigendomi verso di lui.
“Mick, cosa combini?” cercai di mostrargli il mio più sincero sorriso.
“Angie!” corse ad abbracciarmi, poi si rivolse ancora verso il signore “Lui è il signor Thompson.”
Gli porsi la mano gentilmente.
“Angela? Sei splendida come tua nonna.” Mi aveva appena fatto il complimento più bello del mondo. Arrossii.
“Ah, no! Nemmeno con me arrossisci così” si finse offeso Harry, stringendomi il fianco.
Il signor Thompson rise e fece l’occhiolino ad Harry.
“Mi sono persa qualcosa?” li fissai fingendomi seria. Mi stavano mettendo di buonumore dopo tanto.
“Assolutamente no” si giustificò Harry.
“Non credi che sarebbe meglio che glielo raccontassimo?” sorrise sinceramente l’uomo.
Harry strabuzzò gli occhi. “N-no, cioè… sarebbe un po’ umiliante!”
“Signorino” lo ammonì simpaticamente Thompson “tu non hai idea di quanto io mi sia sentito in imbarazzo quel giorno in cui dissi ad Adele che l’amavo!”
Stavolta fui io a strabuzzare gli occhi. Amava mia nonna?
Lo intimai a continuare il suo racconto, facendolo sedere sulla panchina dietro di lui. Harry mi propose di sedermi sulle sue gambe.
“In realtà ti ho anticipato già tutta la sto-”
“Non importa, voglio sapere” gli sorrisi.
I capelli di Harry mi solleticavano il braccio, così lo spostai in modo da potergli cingere il collo ed accarezzargli quell’ammasso di morbidezza. L’uomo ci fissò con gli occhi un po’ sognanti e cominciò il suo racconto.
“Tua nonna ti ha mai raccontato che era stata promessa in sposa ad un uomo ricco?” scossi il capo “Beh, quell’uomo ero io. Uno stupido ragazzo montato e viziato. Pensavo che mi avessero fatto fidanzare con tua nonna solo per le sue virtù, come l’educazione e il saper cucire. Pensavo che fosse, scusami il termine, brutta donnetta di provincia.” Sembrava sincero e non mi arrabbiai quando disse quelle cose, sapevo che ci sarebbero stati altri particolari dopo.
“Ma quando la vidi la prima volta ne rimasi incantato: la sua compostezza, la sua determinatezza e quei suoi occhi a forma di mandorla mi fecero impazzire all’istante. Inizialmente pensai che anche lei ricambiasse, finchè non mi dissero che era scappata di casa.” Rise nostalgico “E indovina perché?”
Harry mi guardò curioso, sapendo che conoscevo la risposta.
“Il nonno?”
“Esattamente. Quel figlio di buona madre” scherzò. In realtà credo che il nonno non fosse visto proprio come una brava persona, solo perché non era ricco e garbato come i ragazzi borghesi. “Mi dissero che non era stata la prima volta che tua nonna era scappata di casa. Successe sempre e sempre i suoi genitori la costringevano a tornare a casa, promettendola ad un uomo dietro l’altro. Ma era testarda, non avrebbe mai mollato l’osso, così come non l’avrei mai fatto io. E poi un giorno mi chiese gentilmente di parlare.” Mi immaginai la nonna in tutto il suo splendore mentre chiedeva umilmente di poter parlare. Era sempre stata cortese.
“Cosa disse?” chiese Harry intimando a continuare
conoscendo il seguito. Lo guardai teneramente. Era davvero troppo carino in quel momento. Gli scoccai un bacio sulla tempia e mi sentii ancor più calma di prima. Si era creata un’atmosfera davvero calda e famigliare.
L’uomo rise ancora e continuò.
“Mi chiese scusa per il suo comportamento, confessandomi che le piacevo davvero – ammetto che in quel momento mi lusingò molto quel suo complimento – ma che lei amava un altro uomo. Lì per lì ci rimasi male. Ma poi capii che se l’amavo davvero allora avrei dovuto lasciarla andare.” sospirò. “Ovviamente pensai anche di parlarne con i suoi genitori, chiedendo loro di lasciarla andare da quell’uomo che tanto amava, il grande JD.” A quel nome sorrisi a trentadue denti.
“Grazie” uscì spontaneamente dalla mia bocca.
“Di nulla. Non mi sono pentito della mia scelta: se non l’avessi fatto non avrei potuto vedere questo spettacolino romantico così delizioso” fece l’occhiolino ad Harry. “Voi donne Dover siete maledettamente belle e gradevoli.” Arrossii ancora.
Harry mi lasciò un bacio delicato sul braccio, sfiorandolo poi con il naso.
“Signorino, ora dille quel che devi.”
Harry mi spostò al suo fianco, mettendosi piegandosi sulle ginocchia davanti a me. Thompson all’angolo lontano della panchina fissava allegro la scena.
“Non vorrai mica chiederti di sposarmi, Mick?” chiesi imbarazzata.
“No, Angie. Non esagerare” mi regalò uno dei suoi sorrisi più belli, poi guardò l’uomo lì accanto e prese coraggio.
“E’ vero, voi donne Dover siete davvero affascinanti, aggiungerei anche sex-” Thompson lo guardò torvo. Risi “Potrei essere il tuo JD? So cantare e suonare anch’io. Tu potresti essere la mia Adele, per sempre.”
“Non sono come lei Harry”
“Hai ragione, hai ragione: sei meglio.” Thompson sembrava davvero colpito dall’audacia del mio ragazzo.
“Harry, io…”
“Angela, ti ho già detto che ti amo. Oggi volevo solo dirti che non ti lascerò mai. Il signore mi ha raccontato anche di tua zia. Non lascerò che stia male per via di gente così crudele” Una lacrima, due, una cascata di lacrime sgorgarono sul mio viso. Un abbraccio autentico, come solo poche altre volte, da parte mia. Lo amavo, davvero.
“Angela, vieni dentro a parlare!” un clown sorridente urlava dalla finestra.
“Se non la ritrovate integra tra un paio d’ora saprete chi l’ha ridotta in quello stato” ringhiai prima di dirigermi verso di lei, sperando che non dovesse darmi altre brutte notizie.

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Capitolo 11
*** Stupid heritage ***


Stupid heritage

Lo sguardo spaventato di Harry che mi lasciava la mano mentre sperava che tornassi calma mi tornò in mente mentre quella strega di mia zia cominciò un discorso che partiva dall’era di Adamo ed Eva per raccontare le cose belle che aveva fatto per me. Questo vuol dire: niente, niente e, oh, niente!
“E insomma, quando la nonna stava male, chi cucinava per te?”
“Io.” Risposi ovviamente.
Tacque.
“E quando il nonno morì chi ti accolse in casa propria?” la sua voce si alzava sempre di più, non nascondendo la rabbia come prima stava facendo.
“Lo zio.”
“Ecco, vedi? Ti ho ospitata in casa mia.”
“Era lo zio ad avermi ospitata, tu ti arrabbiasti con lui perchè pensavi potessi mettere in cattiva luce la tua ‘allegra famigliola’ e rischiasti di cacciarmi fuori.” La fissavo arrabbiata.
Se in quel momento era cominciata la battaglia della rabbia credo di essere stata in vantaggio sin da subito.
“Ma..ma…”
“Cosa ‘ma’, zia?” mi alzai in piedi e le rinfacciai un po’ di cose. “Quando mamma e papà se ne sono andati sei stata la prima ad esserti tirata indietro. La nonna sapeva che non poteva farcela da sola a tirarmi su, eppure tu non hai esitato a renderle la vita più complicata lasciandola sola con il nonno. Ah, no, scusami: venivi solo quando la nonna ti invitava perchè non le facevi vedere il proprio figlio per mesi e mesi.”
La donna finse un malore e si sedette sulla sedia accanto a lei.
“Tesoro” ricominciò con una voce falsamente dolce “stai calma, stai facendo agitare anche me.” Respirava affannosamente, coprendosi il viso e scrutando ogni tanto i miei movimenti. Avevo imparato le sue mosse negli anni, di certo non mi sarei ancora fidata di lei.
“Perché sei qui?” chiesi con un tono più calmo dopo un bel po’ di minuti di rabbia e scrutamenti.
“Io, beh, sono qui per l’eredità.”
La rabbia salì ancora. Era palese il fatto che non stesse aspettando altro che quella domanda.
Presi un respiro profondo e le urlai contro come non avevo mai fatto in vita mia.
“TU! LURIDA CACCIATRICE DI DOTI!”
Forse strillai un po’ troppo, perché qualche attimo dopo intervenne qualcun altro a tenermi ferma e calma. Solo dopo realizzai che fu proprio Harry ad avermi fermata dal non alzarle le mani addosso.
Il clown cominciò a piangere troppo fintamente e si buttò tra le braccia di Harry che le si era avvicinato per dirgliene quattro. La mia rabbia si triplicò. Harry cercava di divincolarsi dalle braccia di quel mostro urlando cose del tipo “mi sta stritolando”. Da un lato c’ero io a tirare via il mio ragazzo, dall’altro arrivò lo zio a staccare sua moglie da quella morsa così stretta. Che diamine, era diventata anche pedofila ora! Non appena non ebbe più le forze per stringere Harry, quest’ultimo non esitò ad abbracciarmi dicendomi che andava tutto bene.
“Cosa le hai detto, Terence?” chiese infuriato lo zio a quel suo mostro di moglie.
“Io.. io..” ricominciò a fare la vittima.
Così lo zio speranzoso si voltò verso di me.
“Zio, non so cosa ti abbia spinto ad aver sposato una donna del genere.” Lo dissi forse anche convincendo per un momento lo zio.
“Ragazzo!” urlò la donna indicando Harry ancora stretto attorno a me “Non hai idea in che stupida ragazzina tu ti sia incappato! Ti porterà solo verso grossi gu-”
Sbem! Zio, non ti ho mai voluto più bene se non in quel momento. La forma della sua grande mano era rimasta sulla guancia del mostro, mostrando un colore rosso acceso che la rendeva ancora più ridicola.
Harry si staccò da me e le andò incontro.
Sembrava la signora Lee, incantata da quello splendore di ragazzo.
“Per sua informazione Angela non mi ha mai creato problemi. Forse dovrebbe farsi qualche domanda, perché i problemi seri ce li ha lei” si fermò un attimo puntando un dito sulla testa della donna “nel cervello.”
Detto questo tornò soddisfatto da me, scusandosi comunque con lo zio e convincendomi ad andare nell’altra sala, dove tutti ora mi stavano fissando.
Mi scusai con i presenti e trascinando Harry di sopra, nella mia vecchia stanza.
Era rimasta tale e quale: il letto e la scrivania rivolti verso la grande finestra perché durante il giorno amavo che la luce filtrasse dai vetri che decorai io stessa con gli acquerelli, l’armadio in legno bianco pieno di poster di cantanti, la mia enorme libreria, quella che prendeva tutta la parete di fronte al letto, e, ultima ma non meno importante, la mia bacheca. I pensieri, le foto e gli articoli di giornale appesi in modo disordinato mi ricordavano i miei pomeriggi da nerd davanti al computer con la chitarra in mano a provare invano di suonarla. Ah, la chitarra del nonno. Chissà se era ancora nel suo piccolo studio.
Chiusi la porta e mi stesi sul letto, seguita da Harry.
“Angie, non è vero quello che ha detto tua zia.” Mi lasciò un bacio sulla tempia.
Mi strinse a sé, stendendosi sul lato, mentre io rimasi a pancia in giù. Cominciò a parlarmi ma non ci feci molto caso. comunque ogni tanto annuivo, fingendomi interessata. Non potevo aver litigato con quella tizia mentre mia nonna riposava in pace nella stanza accanto, mancandole di rispetto. Sicuramente mi avrebbe sgridata e il nonno le avrebbe chiesto scusa da parte mia, dicendo che ero solo un po’ birichina, allora mi avrebbero abbracciata entrambi e avremmo giocato a carte.
Sorrisi a quel pensiero così allegro.
“Ti fa ridere il fatto che io sia caduto dallo scivolo da piccolo?” sussurrò dopo avermi dato un bacio sulla guancia.
“Oh, no non rido perché sei caduto dallo scivolo.” Mi giustificai.
“Quindi non stavi nemmeno seguendo il mio discorso.” Un altro delicato bacio sulla guancia.
“Certo che si, Mick!” mi girai verso di lui e gli posai un bacio sulle labbra.
“Non ti stavo raccontando dello scivolo, stupidina.”
Non poteva non arrabbiarsi mai.
Si alzò un po’ e guardò le foto appese sulla bacheca. Ne staccò una e me la porse, chiedendomi chi erano quelle due figure accanto a me.
Sbuffai al pensiero di dovermi aspettare una scena di gelosia da parte sua. Poi glielo spiegai.
“Oh, lei è Tracy, la mia ex migliore amica.” Mi fermai lì.
“E lui? Sembrate… intimi.”
“Lui è un mio vecchio amico.” Esitai sull’ultima parola.
“Amico.” Ripeté lui.
“Si, amico.”
“Solo amico o amico amico?”
“Amico.”
“Amico?” poggiò le sue labbra sulla punta mio naso “Un amico non stringe la tua mano come faccio io.”
Non poteva sorridere, perdinci bacco.
“Era il mio ex” ammisi poi “è preistoria oramai.”
“Non c’erano dubbi! Dopo aver incontrato me di certo non avrai occhi che per nessun altro… guardami, sono uno splendore!”
“Uno splendore modesto!” lo presi in giro. A poco a poco rabbia e dolore stavano passando.
“Sai che lo stesso vale per me. Sei uno splendore anche tu quando ridi, specie se lo fai dopo aver ascoltato una delle mie solite battute squallide!”
“Mick?” evitai un attimo la sua battuta squallida (manco a farlo apposta).
“Dimmi.” Mi strinse ancora un po’, buttando a terra la foto che aveva in mano.
“Hai ancora voglia di vivere in quel buco di casa?”
“Eh?”
“Questa casa è mia, oramai. Potrei trasferirmici quando voglio.” Mi girai sul fianco anch’io e lo guardai supplichevole. “Mi hai ospitata nella tua casa per tre lunghi mesi, ora tocca a me ricambiare!”
“Ma il tuo lavoro? E’ lontanissimo da Londra!”
“Ci rifacciamo una vita qui.” Sorrisi. “Ma non voglio costringerti, voglio solo che tu sappia che io voglio stare insieme a te.”
“Mi hai detto delle parole dolci e mi hai sorriso, come faccio a dirti di no?”

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Capitolo 12
*** Love you, guys! ***


Love you, guys!

Un chiasso assurdo proveniva dalla porta d’entrata. Erano le otto del mattino, chi diamine disturbava la mia quiete?
Una testa mora sbucò da dietro quel colosso di Harry, che sembrava più addormentato di me.
“Tu non hai intenzione di fare quello che vuoi fare, vero?”
“Louis che stai farneticando?” mi avvicinai ad Harry che si stupì anche lui dell’urlo dell’amico e mi cinse le spalle.
Niall fece capolino dall’auto parcheggiata di fronte casa, davanti al garage della signora Lee.
“Angie, non fare la finta tonta!” Harry lo linciò con lo sguardo, poi il biondino si giustificò spiegando tutto. “Bob ci ha raccontato tutto.”
Oh, che dispiacere vederli così addolorati.
“Ragazzi, non fateci scendere, avvicinateci per farci ascoltare! Anzi fateli mettere tutti e due davanti all’auto, nel caso volessero davvero andarsene li metterò sotto con l’auto!” Zayn nell’auto al posto del guidatore fece ridere tutti.
Stranamente Harry lo raggiunse – ovviamente in mutande, solita mise notturna – e iniziò a scherzare con lui e Liam, al suo fianco. Erano diventati grandi amici, mi piaceva il fatto di vedere ridere le persone con cui avrei dovuto condividere vita privata o lavoro, mi facevano stare bene. Rimasi sola davanti alla porta alzando per mezzo secondo lo sguardo verso il balcone della nostra vecchia vicina notando che stava, come ogni giorno, sbirciando.
Anche Harry parve accorgersene e dopo avermi dato uno sguardo d’intesa sussurrò qualcosa agli altri quattro che, non appena finì di parlare, si voltarono quasi all’unisono verso la vecchia.
“Signora Lee, buongiorno!”
Risi raggiungendoli. La donna era scomparsa nella sua casa. Questa mattina erano stati in cinque gli adoni ad averla salutata, chissà ora cosa stava pensando, vecchia volpe!
“Ragazzi, Harry” precisai subito fissando le sue mutande “che ne dite di entrare?”
“Angie, non sarai mica gelosa?” ribatté lui fingendosi offeso.
“Oh si, Mick! La signora Lee è molto più attraente di me e per te basta che un essere sia di sesso femminile che gli salti add-” e saltò addosso a me, facendomi perdere per un attimo l’equilibrio.
“Si, è vero. Ma quell’essere si deve chiamare Angela Young.” Sorrise.
“E voi volete privarci di una coppia così carina?” esclamò Louis allungando le i nell’ultima parola.
Non mi spiegavo il motivo per cui qualsiasi cosa dicessero o facessero mi faceva ridere.
Salimmo in casa, li feci accomodare nel salotto e spedii Harry a vestirsi.
“Quando hai deciso di allontanarti da qui? Hai detto che cantare è il tuo sogno!” Liam, il ragazzo più serio che abbia mai conosciuto.
“Ragazzi, date le circostanze non sapevo che altro fare! E non voglio vivere alle dipendenze di Harry, ha già fatto molto per me.”
“Ma se ve ne andate non avrò più la compagnia da Nando”
Niall, come diamine fai ad essere così – quasi – convincente?
“Ed Harry avrebbe preso il tuo posto allo studio.”
“Oh, ho scelto io di andarmene con lei. Lavoro o meno”
Harry, Harry, Harry. Dio quanto sei fantastico.
Mi scoccò un bacio sulla guancia e poi continuò.
“Voi verrete a trovarci, vero?”
“Oh, si amore mio!” scherzò Louis “Non tradirmi, però. Ti concedo solo che tu stia con Angie”
“Si ma noi?” esclamarono all’unisono gli altri tre.
“Voi state con me, ma non diciamolo ad Harry!”sbottai ridendo.
“Ah, facciamo un baffo a Beautiful!”
Andammo avanti così tutta la mattinata, finchè Niall non decise di portarci tutti da Nando promettendoci che avrebbe offerto lui solo perché a lui era concesso lo sconto.
Covent Garden non era distante e non ci mettemmo molto ad arrivarci. Il locale con i pavimenti in parquet era talmente vistoso che non passerebbe mai inosservato. Una cameriera si avvicinò al tavolo, lasciandoci i menu.
Che menu, gente! Volevano davvero viziarmi.
Avevo gli occhi a cuoricino: c’erano carni d’ogni tipo e addirittura la pasta che avevo mangiato poche volte perché il nonno supplicava la nonna che a sua volta diceva che il prezzo era troppo alto e che non aveva voglia di viziarci con patti che non avremmo mangiato quasi mai.
“Non ti ci abituare, non cucinerò mai tutte queste delizie per te” sorrise Harry avvicinandosi al mio viso e lasciandomi un delicato bacio sul collo. Se i miei occhi erano a cuoricino ora erano a x: mi stava facendo morire con tutta quella dolcezza!
“E se imparassi a cucinare?” proposi.
“Non mangerei più a casa.”
“Non è così difficile, Angie! Anche noi quattro sappiamo cucinare!”
“Aspettate, sono circondata da cinque ragazzi che sanno cucinare?” esclamai esterrefatta.
“E’ vero, non c’è più religione.”
“Che intendi Zayn?”
“Solitamente la società ha avuto la donna ai fornelli.” annunciò con fare da saputello.
“Beh, effettivamente è vero. Ma il tuo non era un messaggio subliminale per dire che sei maschilista?” feci finta di indagare.
“No, anzi! Sto solo dicendo che siete riuscite alla grande ad ottenere la parità dei sessi, congratulazioni!”
“Cavolo è vero! E poi penso anche che gli uomini che cucinano siano estremamente sexy.”
Harry si alzò in piedi e indicò a tutti la sua maglia dei Ramones.
“Fate finta che qui ci sia scritto ‘Kiss the chef’. Angie va matta per quel grembiule rosa che uso per cucinare!” Urlò facendo voltare tutta la sala verso di noi. “Ed ha ammesso che gli piaccio di più se cucino nudo!” continuò.
“Non ho mai detto niente del genere!”
“Ma ci sei andata vicina.”
Lo guardai torvo.
“Ammetti di averlo pensato almeno una volta?” mi porse una mano, ancora in piedi.
“Lo ammetto.” Dissi imbarazzata, facendo ridere tutti i commensali intorno a me.
“Allora nella nuova casa potrò cucinare nudo per te?”
Risi. Chissà come sarebbe stato bello mangiare con tanto di spettacolo.
“La signora Lee!” esclamai fingendomi dispiaciuta.
“Che ha fatto?” rispose Louis a tono, pensando chissà cosa.
Harry convenne con me.
“Quindi mi è concesso di girare nudo per la casa?” ammiccò.
“Hey, hey, hey.” Mi avvicinai al suo viso “Il mio è un quartiere pieno di vecchi, ci sono tante signore Lee. Ma ti concedo lo girare nudo per casa se lo farai solo per me.”
“E me?” esclamò divertito Louis.
La cameriera di prima portò i piatti che ordinammo tra una risata e l’altra, continuando a fissare i miei ragazzi con occhi da pesce lessa.
“Quindi vi trasferite per davvero?”
Quelle parole mi fecero pensare ancora.
Nella mia vecchia casa, nella quale ero cresciuta tra risate e insegnamenti, con la persona a cui tenevo di più, con un nuovo lavoro che Bob aveva ricavato sia a me che Harry.
Quest’ultimo era felice per tutto, anche perché ora poteva fare un lavoro normale, senza bisogno di doversi alzare presto la mattina e abbandonarmi da sola nel letto.
E poi lavorare in una radio non era nemmeno male come idea.
Mi sarebbe dispiaciuto lasciare quelle testoline dei miei nuovi amici. Mi promisero che sarebbero venuti a trovarci e che ci saremmo visti su Skype. Ci tenevo tanto a loro, così come Harry.

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Capitolo 13
*** Mr. Potato ***


Mr. Potato

“Ora spiegami la tua teoria per cui un gatto in casa porti sfiga.” Harry aspettava divertito una risposta intelligente da parte mia, e l’avrebbe avuta.
Sputai i residui del dentifricio – ovviamente doveva chiedermi qualcosa quando mi lavavo i denti – e gli puntai lo spazzolino al petto.
“Avere un gatto in casa significherebbe farlo accoppiare, ergo tanti cuccioli.”
“E che problema c’è?”
“Potremmo fare la stessa fine della signora Lee.”
Le urla divertite del ragazzo davanti a me che ora correva avanti e indietro nel corridoio davanti al bagno echeggiarono in tutta la casa. Mi avvicinai a lui divertita anch’io, ma non esagerando come stava facendo lui. Enfatizzò la sua stupidaggine cadendo a terra, quasi vicino alle scale, e mi fece venire un colpo. Gli andai incontro controllando che stesse bene e mi tirò su di lui. La posizione goffa in cui mi ritrovai non solo era scomoda, ma ci avrebbe trascinati tutti e due al piano di sotto se avessi anche solo provato a muovere un muscolo.
Mi riempì di baci fino a quando non aveva più fiato, sia per questo che per le risate.
“A me i gatti piacciono” ammise imitando un gatto, strofinando il suo nasino contro la mia guancia.
“Mick non mi tentare. Sai che odio qualsiasi cosa abbia a che fare con un felino. Mi sanno troppo di zitella”
“Ho un’idea!” esclamò convinto aiutandomi ad alzarmi per non farmi cadere, cosa che però non aiutò molto. Il mio equilibrio era nullo, proprio come le mie capacità culinarie.
Per fortuna non caddi per le scale, mi limitai al primo gradino. Le risate di Harry ricominciarono. Non avrei potuto convivere con un tizio che rideva anche quando non ce n’era bisogno! Era troppo.
“Hai visto? È un segno!”
Non poteva ridere peggio di così, perciò si limitò a buttarsi a terra rotolandosi. Ero sembrata così una psicopatica in quel momento? Credo di averlo spaventato o chissà cos’altro!
Scesi scocciata per la sua poca fiducia nei miei pensieri intelligentissimi e mi feci un panino con la marmellata.
La sua mano veloce acciuffò la mia merenda e la morse con fare… felino.
“Hai appena lavato i denti” bofonchiò facendo in modo che tutto quel che masticava mi finisse addosso.
“Ora dovrò anche farmi la doccia grazie alla tua eleganza nell’inghiottire la mia merenda”
Sorrise. Dio, dammi la forza per resistere.
Ma secondo una teoria alquanto recente del mio cervello Dio non esiste, quindi le probabilità di saltargli addosso erano al 100%.
Il bancone della cucina era ormai cosparso di pane e marmellata, compresi noi che oramai trovavamo la nostra pace in qualsiasi punto del mondo. Non c’era posto che non andasse bene. Se la voglia arrivava, ahimè, non potevamo tirarci indietro.
Gli abiti volarono in chissà quale punto remoto della grande stanza, i nostri respiri affannati, il suo odore di fragole, forse dovuto alla marmellata.
Tutto insieme rendeva l’atmosfera intima e famigliare. Ero a casa ora, con la persona che più adoravo al mondo.
L’odore delle spezie sul lavandino, la frutta colorata poggiata nel cesto, le finestre spalancate che facevano penetrare luce in quantità… aspetta, cosa?! Finestre aperte?!
In un lampo i miei occhi si catapultarono sulla ragazzina che fissava esterrefatta la scena.
Dio, avrei voluto morire. Se solo avessi potuto dire con semplicità e gentilezza ad Harry di smettere! Invece no, gli tirai un pugno sul petto, buttandolo giù dal lato opposto alla finestra, così che potessimo nasconderci.
Ne ricavai un urlo straziante da parte sua seguito da un “Mi spieghi che diamine c’è che non va? Ero arrivato al culm-”
Lo baciai, almeno sarebbe stato zitto. Solo che non calcolai il fatto che lui avrebbe continuato indisturbato, così gli spiegai un po’ la situazione. Rimase allibito e sbirciò dall’altro lato, scorgendo una figura esile poggiata al cancelletto basso del giardino. Sospirò pesantemente e partì alla ricerca dei vestiti, solo che lo bloccai subito prendendolo per una gamba e tirandolo verso di me perché era ancora nudo e non poteva girare nudo, venendo schiacciata dal suo fisico. Magro si, ma diventare un hamburger non faceva parte delle mie aspirazioni future. Sentimmo sghignazzare la ragazzina.
Harry mi bloccò prima che potessi alzarmi e insultarla pesantemente.
“Lei potrebbe ricambiare con insulti peggiori dopo quel che ha visto.” Rise anche lui.
Un lampo di genio pervase il mio cervello. Il grembiule Kiss the chef non era molto distante da lì, così iniziai a calcolare quante possibilità di acchiapparlo senza esser vista avrei potuto avere.
Ma la ragazza mi avrebbe vista comunque nuda. Esplicai la mia teoria al ragazzo che ancora mi fissava divertito e lui stesso prese l’iniziativa, slanciandosi verso la nostra preda.
“Non così in fretta. Potrebbe vederti.”
“Gelosa?” ammiccò, posandomi un bacio malizioso sulle labbra.
Alzai le spalle e mi diressi verso l’appendiabiti. La ragazza mi avrebbe vista, certo, ma ero una ragazza: non si sarebbe sconvolta. Indossai velocemente il grembiule e raccolsi con nonchalance i vestiti presenti in ogni punto della cucina.
“Che hai da guardare? Stai violando la mia privacy.”
Detto questo chiusi le finestre.
Mi voltai e trovai Harry con gli occhi da pesce lesso.
“Hai ragione, quel grembiule rende davvero sexy. Vieni qui e continuiamo quel che stavamo facendo” Drin dron!
Chi diamine era a quell’ora del pomeriggio? Indossai in fretta l’abito e corsi alla porta sperando di sembrare almeno presentabile a chiunque fosse arrivato.
Un colpo al cuore. Ok, se prima volevo morire ora sarei scappata a gambe levate per la figura. La ragazza che prima ci stava guardando ora era davanti a me con un sorriso imbarazzato.
“S-sono Kate, piacere, sono la vicina.” Le sua guance rosse mi fecero capire che era davvero a disagio.
“Oh, piacere, io sono Angela!” e da dove spuntava quella sfacciataggine? Mi stupii di me stessa.
“Mi spiace per prima” sussurrò qualche momento dopo “è che il mio gattino è caduto nel vostro giardino e…”
Un sorridente Harry sbucò dietro di me.
“Chi ha parlato di gatti?” esclamò illuminando la vista mia e della ragazza che ora era diventata palesemente bordeaux.
Non puoi guardare il mio ragazzo con occhi sognanti. NON PUOI. Prima che la ragazza potesse saltargli addosso, ricominciai a parlare.
“Niente Kelly…”
“Kate” mi corresse la ragazza, rivolgendosi comunque ad Harry, come a presentarsi.
“…Kate mi stava dicendo che il suo gattino è caduto nel nostro giardino.”
“Corro subito a prenderlo!” il mio super ragazzo corse spedito nella parte posteriore della casa lasciando di stucco Kisha.
O era Keith? Comunque, la ragazza iniziò a farmi domande riguardo me e lui, insistendo sul fatto dell’essere fidanzati o meno. Che nervoso! Ovviamente dissi che eravamo una coppia. Eccome se avrei giocato con i suoi sentimenti.
Un Harry abbastanza divertito e un micetto microscopico entrarono in scena lasciando a bocca aperta me e la tizia.
A parte quel gatto e gli abiti che aveva addosso sarebbe potuto essere violentato in qualsiasi momento.
Cedette il gatto alla ragazza.
“Come si chiama?” i suoi occhi verdi si illuminarono.
“Kate!” sorrise lei scendendo dal mondo delle stelle.
“No” la guardò strano lui “intendevo il gatto.”
Un misto di delusione, scoraggiamento e tristezza marcarono il suo viso, al contrario di me che scoppiai a ridere e strinsi il braccio di Harry per non buttarmi a terra per la scena troppo comica.
“Oh. Si chiama Mr. Potato”

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Capitolo 14
*** The Lord of the Rings ***


The Lord of teh Rings

La noia pomeridiana impediva al mio cervello di lavorare più del dovuto, così dovetti arrangiarmi comprando una console e qualche gioco stupido che mi avrebbe fatto passare gran parte della mia giornata. Fu il collegare tutti quei fili alla televisione la parte peggiore, però. Nulla di divertente, solo un paio d’ore sprecate inutilmente per capire che il cavo rosso va col cavo rosso e che quello blu va con l’omonimo.
Poi ci fu il dramma dell’imparare le mosse e i trucchi per giocarci. Per quello ci misi poco tempo, o meglio essendo un gioco di calcio imparai a passare sempre la palla agli avversari e a fare gol premendo chissà quale tasto. E per la fortuna del principiante vinsi.
Ritornare nerd, dopotutto, mi era mancato.
Ricordo quando Tracy irrompeva in casa mia e mi costringeva ad uscire perché a due isolati di distanza si era trasferito un ragazzo che a lei piaceva tanto e io mi trascinavo il portatile per strada perché sapevo che lei avrebbe attaccato bottone e io sarei stata solo d’intralcio nella sua conoscenza. Solo che quella volta fu lei a dover mantenere il computer - ovviamente non per davvero, retoricamente – e fui io a parlare con quel tizio. Bello si, anche simpatico. La sua maglia dei Pink Floyd mi colpì non poco e subito ci feci amicizia. Jonah Harvey. Ci frequentammo per un po’, passavamo pomeriggi interi insieme e gli attacchi di gelosia da parte di quella papera della mia amica non mancarono mai. Una sera, qualche mese dopo la nostra conoscenza, mentre guardavamo Star Wars in camera mia, mi chiese di fidanzarmi con lui. A dire il vero non so perchè accettai subito, non è che mi attirasse come ragazzo. Lo sentivo molto più come amico, ma a sedici anni e dopo una lavata del cervello da parte di Tracy riguardo il “non aver mai avuto un ragazzo e quindi essere una sfigata cronica” mi fecero cambiare idea. Non lo amai mai, questo no. Fino alla fine, nonostante i suoi numerosi “ti amo” troppo sdolcinati, io continuai a dirgli che gli volevo un mondo di bene.
Un anno, due anni. Riuscì addirittura a stringere amicizia col nonno ed ebbe l’autorizzazione per salire in camera mia da parte della nonna.
Fu una festa di paese a dividerci. Era il belloccio del quartiere, quello spassoso, quello irriverente, che avrebbe fatto cadere ai suoi piedi chiunque. Lo trovai ubriaco su una ragazza, in un angolo remoto del parco in cui si svolgeva la festa. Dopo qualche tempo scoprii anche che questa storia andava avanti da ancor prima che mi chiedesse di stare con lui.
Mi depressi solo il primo giorno, chiedendomi se avrei mai trovato qualcuno come lui, che mi capisse al volo, che non mi prendesse in giro per le stupidaggini che facevo, che adorasse i sistemi operativi così come li adoravo io… che ingenua ero stata a pensare che nessuno sarebbe stato mai come lui. Nemmeno Jonah riuscì a capire il perché del mio soprannome Angie e il perché adorassi tanto esser chiamata così.
Eppure qualcuno migliore di lui l’avevo trovato. Non avevo nemmeno mai conosciuto tutti i suoi lati simili ai miei fino a quella sera.
You're awful bright, you're awful smart!
Che voce, che canzone, che ragazzo!
Non alzai gli occhi dal gioco per salutarlo ma sentii i suoi passi per niente delicati dirigersi verso il divano.
Un piccolo gridolino mi fece trasalire. Premetti ‘Start’ sul joystick e mi voltai verso di lui che ora si era fiondato in ginocchio davanti al televisore per analizzare tutto quel ben di Dio che avevo predisposto. Il suo sorriso a trentadue denti contagiò anche me che gli feci spazio sul divano per farlo sedere accanto a me.
“Sai la frase che ho cantato prima?”
Annuisco.
“Dopo questo credo che te lo sia meritato davvero!”
Risi scrutando il suo fisico iperattivo che ora non smetteva di muoversi per l’allegria.
“Allora, ti va di fare una partita?” propose ancora raggiante.
“Tanto vinco io” lo stuzzicai.
“Ne sei così sicura?” sgranchì le dita davanti al mio viso sapendo che mi faceva davvero senso guardare le ossa che scattano e acchiappò il joystick sulla console.
“Non mi hai ancora salutata” mi finsi offesa.
In un lampo il suo viso sorridente si trasformò in una smorfia tra il combattuto e il dispiaciuto. Senza mollare la presa dal joystick avvicinò il suo viso al mio offrendomi un dolcissimo bacio sulle labbra, facendomi arrossire non poco.
“Si comincia?”
Ebbene, dopo imprecazioni varie da parte di entrambi ogni volta che l’avversario rubava la palla o faceva goal, vinse lui. Contento di avermi sconfitta, cominciò a correre per casa tenendo dai lembi la copertina che aveva rubato dalle mie spalle e facendola ‘volare’ per la stanza. Ma quanto poteva essere idiota?
“Ma hai davvero più di venti anni? A volte me lo chiedo.” dico alzandomi e correndo con lui. Avevo voglia di divertirmi.
“Angela! Angela!” si bloccò di colpo facendomi scivolare sul parquet liscio.
Rise e poi boccheggiò qualcosa.
Lo guardai divertita perché i suoi pantaloni portati a vita bassa oramai erano arrivati alle ginocchia e la sua felpa copriva quasi tutta la sua attrezzatura. Il suo essere magro equivaleva anche ad avere un fisico scolpito e decisamente sexy.
“Dimmi tutto Mick!” mi alzai e mi issai davanti a lui, fissandolo negli occhi. Mi faceva divertire il fatto di arrivare al suo mento. Era altissimo rispetto a me.
Con la testa piegata in modo da tenermi testa con lo sguardo iniziò a saltare lanciando la coperta a terra e prendendomi le mani, intimandomi a saltare.
“Stasera ho una sorpresa!”
“Oh, la tua idea di ieri? A proposito, non me l’hai più detta.”
Ansimavo. Tutti quei salti mi fecero venire il fiatone.
“Quello è un segreto, lo scoprirai col tempo!” mi fermai atteggiandomi a ragazza snob che vuole sapere sempre tutto su tutti.
“Mick dimmelo!” che voce strana uscì dalla mia gola!
“No, cara.” Continuava a saltare, mi stava dando sui nervi.
Risi istericamente. Si fermò anche lui poggiando la fronte alla mia e sorrise.
“Come fai a sorridere sempre?”
“Sono il tuo alterego” si vantò.
“Io sono sempre allegra!” ribattei.
“E perché non me lo dimostri?” mi scoccò un bacio.
Abbassai lo sguardo. Era vero: non gli avevo dimostrato spesso il mio amore o la mia felicità, ero sempre stata chiusa in me stessa.
“Comunque la mia sorpresa è qualcosa di stravagante” si allontanò e raccolse la coperta da terra “Non so se ti piacerà.”
Mi guidò verso il divano e corse verso l’entrata di casa.
Chissà cosa aveva intenzione di fare. Sorprendermi sarebbe stato facile, mi sarebbe bastato vederlo nudo e sarei stata in paradiso.
Rientrò in stanza e mi lanciò dei dvd. Se sperava che li avrei presi al volo, beh, si sbagliava di grosso. La mia scarsa capacità di acchiappare le cose era direttamente proporzionabile al mio equilibrio, ergo nulla.
“Cd?” dissi delusa mostrandogliene uno.
“Oh, pensavo ti sarebbe piaciuto guardare Il signore degli ane-”
“Cosa? I-il signore degli anelli?” mi alzai in piedi sul divano con il cd ancora in mano per studiarlo per bene. Era proprio lui, uno dei miei film preferiti!
“Ti piace?!” si alzò in piedi sul divano anche lui.
Risposi iniziando a saltare con lui allegra. Credo che allora gli mostrai per bene la mia contentezza.
Star Wars? No, ora avevo di meglio da ricordare, con una persona migliore accanto.

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Capitolo 15
*** The dramatic story of cereals ***


The dramatic story of cereals

I supermercati e la loro utilità nell’essere aperti alle undici di sera quando il proprio coinquilino ha un improvviso attacco di fame di caramelle gommose sono davvero fantastico. Sarò riconoscente per sempre a coloro che hanno inventato questa nuova moda dei negozi aperti fino a tardi.
“Che hai intenzione di comprare?” urlai vedendo che prese un carrello. Doveva solo prendere un po’ di caramelle! “Chi lo sa se non vediamo qualcosa che potrebbe tornarci utile!”
Entrambi sembravamo tutto fuorché due persone normali. insomma, già girare per i negozi a quell’ora non era davvero da persone normali, figuratevi se in più queste due persone hanno indosso i pantaloni del pigiama e una felpa col cappuccio alzato per il fresco che il vento ci regalava. Che regalo di cacca.
Siccome quel negozio era nuovo anche a me facemmo un giro per capire dove si trovasse questo e quello, con lo straordinario risultato di un carrello pieno di idiozie – a cosa serviva lo scopino per il wc se ne avevamo a buttare in casa?! – e un Harry ritornato bambino che correva. Ok, forse per il fatto che lì ancora non mi conoscesse nessuno o perché era tardi e il mio cervello cominciava a cedere, mi diedi alla pazza gioia anche io. Buttai nel carrello una quantità infinita di patatine e coca-cola e mi diressi alla cassa con quel figo del mio ragazzo. Intravidi un aggeggio strano e lo andai a vedere curiosa, mandando Harry alla cassa.
Oh, quell’aggeggio era davvero carino! Aveva un sacco di scatolini e un buco sotto, bastava aprire il buco e ne sarebbero usciti fuori tanti tipi di cereali. Non esitai un attimo e presi una bustina e la riempii di ogni tipo di schifezza fosse presente lì davanti a me.
Ma la mia ingenuità finì col combinare un disastro: non avevo calcolato che una volta utilizzato l’aggeggio, gli scatolini andassero chiusi.
Mi controllai circospetta intorno e mi allontanai come niente fosse. Oddio, magari le telecamere avevano visto l’ammasso di cereali caduti sul pavimento, ma io avevo ancora il cappuccio in testa, non avrebbero potuto vedermi.
Corsi alla cassa con una nonchalance mai vista, mentre il panico dentro mi faceva venire dei sensi di colpa incredibili! Il caro Harry aveva a che fare con un carrello pieno di roba che non finiva mai, al che mi chiesi da dove spuntassero tutti quei soldi che aveva in tasca. Io li avevo racimolati col lavoro, ma lui non è che avesse guadagnato così tanto col suo vecchio lavoro. Ma lasciai perdere e, sorridente, mi avvicinai a lui per aiutarlo. Il mio sorriso per nascondere la mia colpa si tramutò in una smorfia indefinibile quando riconobbi il cassiere.
“Jonah?!” gridai.
Lo sguardo assonnato di Harry diventò più sveglio che mai. Era pronto ad ogni cosa pur di non farmi parlare con lui, così mi prese per le spalle e mi spinse più avanti, in modo che il mio stato di trance svanisse del tutto. In realtà non sembrava nemmeno lui, così uscii con la poca calma rimastami e cominciai a fare avanti e indietro finchè non vidi uscire Harry. Era pieno di buste. Lo aiutai a portarle fino a casa, a due isolati di distanza.
Lasciammo tutto all’entrata. O almeno io feci così, correndo dritta verso il bagno per vedere la mia faccia sconvolta. “Sei uno spasso!” Harry poggiato alla porta con le braccia incrociate mi fece venire un colpo.
“Non è colpa mia se sui cereali non c’era scritto di richiudere lo scatolo.”
“Eh?”
Gli spiegai il mio grosso guaio. Rise tantissimo, ma poi mi abbracciò teneramente rassicurandomi. Il diabete stava salendo alle stelle, caramelle gommose comprate prima comprese.
“Comunque io mi riferivo al cassiere” sussurrò poco dopo.
“Ah si, mi pare di averlo visto già da qualche altra parte!”
“Era il tuo Jonah”
Mi bloccai. Come avevo potuto non riconoscerlo?
“E perché sarei uno spasso nel conoscerlo?”
“Non pensavo andassi matta per gli obesi” rise.
È vero! Era ingrassato tantissimo, ecco perché non lo riconobbi come avrei dovuto! Beh, gli occhi comunque erano splendidi come una volta.
“Fino a quando non sono partita per Londra era uno schianto. Non pensare di esser stato l’unico bel ragazzo della mia vita” ammiccai per farlo ingelosire.
“Oh, e quanti ragazzi splendidi come me hai conosciuto?” mi posò un bacio tra i capelli.
Possibile che ogni nostro momento romantico debba accadere sempre in bagno?
“Fino ad ora, Jonah escluso, ne ho cinque.”
“Addirittura, e chi sarebbero?”manteneva ancora la calma. “Tu, Niall, Liam, Louis e Zayn” gli sorrisi.
“Ma Louis sta con me, non può tradirmi con te!” si allontanò a mise in scena dei movimenti davvero poco disinvolti.
Sentii il rumore di Skype dal mio portatile.
Oh, parli del diavolo…
“Ragazzi!” Liam sorrideva sforzatamente.
“Liam, amico” sorrise Harry, sempre sincero. Mi fece sedere sulle sue gambe.
“Che succede lì?” si sentivano urla in sottofondo. Chissà che stavano combinando.
“Ehm” si bloccò quando Louis passò per prendere in braccio Niall e buttarlo a terra. “Qui c’è gente ubriaca e mi serviva compagnia” ammise.
“Liam tu sei la persona più dolce, gentile e tenera del mondo. Mi stai facendo sciogliere, guarda che visino dolce hai!” i miei occhi luccicavano davanti a cotanta dolcezza.
“No, questo non mi scende. Perché lui ti ispira dolcezza e io no?” chiese Harry stringendomi i fianchi.
“Non vuoi davvero sapere cosa mi ispiri tu, vero?” sussurrai maliziosa.
“Oh, si che voglio saperlo” mi baciò con passione.
“Gente, ci sarei anche io.” Ci ricordò il povero Liam.
“Oddio che figura! Scusami! Comunque perché tu non sei sbronzo come loro? Mi sembra strano, conoscendovi”
Lui rimase in silenzio per un po’, pensieroso, così continuai a parlargli.
“Cos’è, è per una ragazza?” sorrisi strabuzzando gli occhi allegra.
“No è che ho subito un intervento ai reni e non posso bere” ammise triste.
Come potevo essere stata così insensibile? Mi bloccai per un po’ senza batter ciglia e fissai i tasti del computer. Dio, quante figure stavo facendo in quella casa.
“Oh, le hai detto qualcosa di sensibile e lei non sa come trattare argomenti del genere. Liam, ti chiedo scusa per la sua impertinenza” gli disse solidale Harry.
“Voi non potete essere così perfetti” sussurrai a denti stretti. Entrambi m chiesero cosa avessi detto.
“Tu” indicai lo schermo e quindi Liam “sei la dolcezza fatta persona. E tu” ora indicai Harry “sei la persona con più sex appeal del mondo. È ovvio che io in confronto a voi faccia queste gaffe”
“Oh ricominciamo con questi discorsi inutili. Liam, forse è meglio che tu vada a dormire e io consoli la tipa davanti a me. Ha attacchi improvvisi di insicurezza. Ci si vede amico!” “Ciao Liam” sorrisi ancora imbarazzata.
“Ciao ragazzi, ci si vede!” sorrise lui.
Provai ad alzarmi dalle sue gambe ma lui mi bloccò, facendomi voltare verso di lui. Incrociai le gambe intorno ai suoi fianchi e poggiai la testa sulla sua spalla.
“Allora, cos’è che saresti tu?” intimò.
“Niente”
“Niente cosa?”
“Ti amo”
Soffocò una risata.
“E’ la seconda volta che me lo dici. Non è che forse rivedere Jonah ti ha fatto impazzire?”
“No, mi ha fatto capire che tu sei la perfezione!”
“Se fossi perfetto ora non starei qui con una ragazza triste tra le braccia, la starei rendendo felice. Io ci provo e basta, questo vuol dire che non sono perfetto. Se poi mi riesce, beh, l’hai detto tu stessa, no? È il mio sex appeal” imitò la mia voce nell’ultima parte.
“Ok, sei anche estremamente dolce.”
Sorrise e mi trascinò in camera. Ci meritavamo un po’ di sano riposo.

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Capitolo 16
*** Hey you've got to hide your love away! ***


Hey you've got to hide your love away!

Everywhere people stare, each and every day I can see them laugh at me and I hear them say ‘Hey you've got to hide your love away!’
Miei cari, adorati, fantastici, meravigliosi Beatles, perché dovete avere sempre dannatamente ragione? Solo che in quel caso ero io a voler nascondere il mio amore, di certo la gente non se ne sarebbe interessata minimamente.
I miei discorsi interiori aumentavano ogni giorno di più, tanto che a volte pensavo di rinchiudermi io stessa in una clinica privata. Ma c’è da dire che il motivo per cui la mia grande propensione nel creare chiacchierate filosofiche tra me e me era soltanto uno: il ragazzo con cui ora condividevo ogni cosa, anche lo scopino per wc (che cosa tremendamente romantica, cavolo!) e che mi stava rendendo la vita possibile.
Ammetto anche che il mio essere scontrosa migliorò in pochissimo tempo: accettai di essere gentile anche con quella stupida vicina che ogni volta che ci vedeva sbavava. Si, siamo la coppia più bella del mondo, ma non c’è bisogno di darlo così a vedere, ecco perché a volte nascondevo addirittura il fatto di essere fidanzata con un super figo come Harry.
Questo è un altro dei miei discorsi lunghi e insensati. La mia essenzialità sta nel complicare un concetto che ha già una base anormale, come me.
Bene, detto questo, avrei anche potuto pensare al fatto che di lì a poco sarebbe arrivato il mio compleanno e che il mio lavoro sarebbe cominciato proprio quel giorno.
Quanti di voi sono allegri per questa notizia stratosferica? Io no.
Insomma, ventiquattro anni. Già il mio comportamento o i miei modi di fare potevano essere paragonati ad un’anziana signora, anzi!, l’anziana signora avrebbe avuto più chance col mondo, quindi credevo che invecchiando avrei potuto avere la crescita inversa, come ne ‘Lo strano caso di Benjamin Button’. Io ho sempre preferito stare chiusa in casa davanti ad una tv o un computer da sola. Nessuno che ti disturba; solo quiete, tanta tanta quiete.
E, ovviamente, trovai il mio alter ego: vivace, allegro, pieno di spirito. Harry era tutto quello che qualunque genitore – o nel mio caso nonno – avrebbe sempre voluto avere.
E mentre questi pensieri vagavano per nella mia testa, mi venne in mente una cosa essenziale da sapere. “Non mi hai mai raccontato della tua famiglia, Mick.”
Lui mosse la testa in modo tale da far finta di potermi guardare negli occhi – nonostante sapessi che era comunque concen-trato sul videogioco – e mi sorrise.
“I tuoi genitori si chiamano Smiles o Styles?” ammiccai.
Però, che battuta pessima. Tanto pessima che rise tanto fintamente da distrarsi dal gioco e perdere.
Si voltò verso di me e con uno sbuffo si decise a parlare.
“I miei genitori hanno due occhi, un naso, una bocca, due orecchie e un fisico niente male.”
Feci finta di essere interessata.
“E scommetto che hanno pure dei capelli!” stetti al gioco.
“No, mio padre no” rise prendendosi gioco di me.
“Harry” lo ammonii, tornando alle solite.
“Angie” mi fece il verso lui.
“Parlamene o niente playstation per una settimana!”
Strabuzzò gli occhi. “Non ne avresti il coraggio.”
Detto fatto: mi diressi all’interruttore della tv, spensi tutto e staccai tutti i fili. Lui rimase impassibile, forse sperando che da un momento all’altro smettessi.
Trascinai tutto sul piano di sopra e nascosi il tutto nell’armadio della mia vecchia cameretta.
Ok, nascondere è anche una parolona grossa: con il suo fare felino – si, si comportava come un gatto: silenzioso e detestabile, a volte – mi inseguì scoprendo il posto in cui nascosi tutto.
“Non sei molto furba, Angie” mi venne incontro con le braccia aperte. Mi fece talmente tenerezza in quel momento – il motivo non era chiaro, forse il suo viso era tenero tutto il tempo ma io non me ne accorgevo, tonta com’ero – che mi avvicinai e cercai di stringerlo, invano.
In realtà fece una finta: mi evitò e corse all’armadio, diretto al ripiano più alto per prendere il gioco. Ahimè, fermarlo ormai era impossibile: era talmente alto che anche a voler riprendere il gioco non ci sarei riuscita. Infatti anche lui mi chiese come ero riuscita a infilarlo sullo scaffale più alto.
“Non ne ho la più pallida idea” ammisi.
Sorrise e corse via.
Il mio sguardo, poi, cadde su un quaderno. Il mio quaderno. Il quaderno. Mi inchinai per acchiapparlo, scrutando ogni dettaglio della copertina: i miei disegni, i disegni che dedicavo ai nonni. Ognuno di essi era dedicato ad un momento particolare della mia vita.
Mi sedetti sul letto con gli occhi arrossati. Le lacrime stavano scendendo a poco a poco riesumando ogni ricordo grazie a quei piccoli schizzi. Eppure i personaggi erano uguali alla re-altà in modo impressionante. Rimasi a fissare ancora la copertina bianca piena di piccoli ghirigori a lungo, finchè un Harry apparentemente preoccupato mi chiese se andava tutto bene. Forse si accorse delle lacrime.
Gli raccontai del mio quaderno e non esitò nel chiedermi di vedere i miei disegni.
Alla prima pagina apparve quello che io chiamavo “impressionismo Angelico”: avevo inventato un mio personale stile di disegno e secondo il nonno ero più brava di Picasso o chissà quanti altri. Una piccola figura al fondo della pagina si allungava verso il centro, come se avesse aperto le sue ali, sulle quali c’erano scritte varie parole che costituivano la mia esistenza. Le più importanti, cioè quelle scritte al centro con uno stile più elegante, erano ‘Adele’, ‘JD’, ‘musica’ e ‘giustizia’.
“Spiegami il significato di ognuna delle parole, anche se per le prime due lo immagino” mi incitò.
Presi un grosso respiro e cominciai, indicando una per una ogni parola.
“Adele, ovviamente, è la nonna: simbolo di grazia e forza. Poi c’è JD, il nonno. Lui è…” lo guardai negli occhi sorridendo “lui è lui. Non c’è altro modo per descrivere una tale persona.”
Un’altra lacrima scese sulla guancia. Harry prontamente portò il pollice sul mio viso per asciugarla e mi posò un delicato bacio lì dove aveva appena eliminato il mio evidente segno di cedimento. Indicò in silenzio la parola ‘musica’.
“Musica” constatai “è quello per cui sono arrivata fin qui, no? Credo che se non ci avessi creduto sin da allora grazie al nonno io non…” diventai palesemente rossa, lo sentivo. “Non ti avrei mai incontrato.”
Mi ritrovai complice di uno dei baci più dolci che mi avesse mai regalato.
“E la giustizia?” chiese incuriosito.
“Devi sapere che prima di incontrate Jonah” sputai con disprezzo l’ultima parola “non ero una ragazza ‘socialmente attiva’. Avevo un’amica, ma anche lei non era così importante nella società o nella scuola. A volte venivamo scartate o addirittura insultate per qualsiasi cosa: una ragazza a chilometri di distanza si era fatta male? Colpa mia. Un ragazzo aveva preso un brutto voto? Ovviamente colpa mia, perché non gli avevo suggerito niente. E poi c’erano i professori che ce l’avevano costantemente con me perché una di loro era proprio quel clown di mia zia. Nonostante avessi ottimi voti, una volta rischiai la bocciatura perché riuscì a corrompere alcuni dei miei insegnanti e-”
“Conosco la storia” mi abbracciò teneramente.
Iniziai a piangere ininterrottamente. Ovviamente guardare il quaderno passò in secondo piano.
“Sono contento che finalmente tu ti stia aprendo con me” ammise soffiandomi sulle labbra, tanto era vicino.
“Come vedi, non sono così forte come do a vedere.”
“Lo dico da sempre” sorrise “Sai? La Angie dolce mi piace anche di più. Mi fa pensare che anche tu riesci ad amare no-nostante tutto quel che hai passato.”
“Mick…”
“Si?”
“Promettimi una cosa.”
“Qualsiasi cosa.”
“Non osare mai, e dico mai, parlarne con qualcun altro. Chiaro?”
“Speravo mi dicessi: non mi abbandonare mai” si finse offeso.
“Dolcezza si, ma sono pur sempre Angela Young, non dimenticarlo.”

Buonasera signorine, buonasera!
Vorrei tanto sapere cosa vi passa per la testa quando leggete la mia storia. Troppo strappalacrime? Troppo poco sdolcinata? Assenza di qualcosa in particolare? Aspetto tante critiche - costruttive e non - perchè dopotutto vorrei accontentare ogni scelta delle mie amate lettrici. E poi credo sarebbe bello mettere insieme tante idee per confondere ancora di più il cervello della protagonista della storia. Tanto più pazzoide di così non si può!
Un bacio alle lettrici, e ancora buonasera!

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Capitolo 17
*** Seven days. ***


Seven days

“Sette giorni.”
Due parole. Undici lettere. Una frase insensata se si vuol ricorrere alla grammatica. Non c’è un verbo, ergo sette giorni vogliono dire qualsiasi cosa. Sette giorni ad una festa? Sette giorni al mio compleanno? Sette giorni alla mia… morte?
Il cervello cominciò a formulare le cose peggiori che sarebbero potute accadermi.
In quel momento mi trovavo seduta sul divano, guardando la tv. Anche se dire che guardavo la tv è anche troppo: Harry sotto la doccia cantava a squarciagola e non mi faceva sentire niente. Poi quella chiamata anonima mi sconvolse del tutto.
Di solito non facevo caso a chi mi chiamasse, rispondevo a chiunque. Che poi, stranamente, risposi anche in tono allegro.
Solo che alle parole “Sette giorni” uno non può che pensare ai film horror.
Sette giorni dopo sarebbe stato il mio compleanno. E se un killer avesse deciso di uccidermi proprio il giorno del mio ventiquattresimo compleanno?
Decisi di andare a dirlo al tizio canterino.
Quando spalancai la porta del bagno ricevetti uno sguardo malizioso da parte sua.
“Non resisti nemmeno un attimo dal guardarmi nudo, vero?”
Lo fissai con il terrore.
“Che è successo?” chiese allarmato. “La signora Lee si è trasferita da queste parti?” sdrammatizzò poi insaponandosi i capelli.
Mi sedetti sul wc fissando un punto indefinito.
“Angie?”
“Un tipo mi ha chiamata e mi ha minacciata!”
In un attimo mille emozioni si materializzarono sul suo viso: terrore, preoccupazione, divertimento, timore, angoscia e… aspettate: divertimento?
Comunque non ci feci tanto caso perché ora stava uscendo dalla doccia e si stava asciugando. Non appena finì si piegò verso di me e mi sorrise.
“Chi era?”
“Non lo so, ha chiamato con l’anonimo.”
Mi accarezzò il viso, poggiando la fronte bagnata alla mia.
“Così mi farai raffreddare” sorrisi.
“Bene, così rimarrai chiusa in casa con me” ammiccò.
Si allontanò diretto allo specchio.
Quant’era bello. Anche con i capelli bagnati questi ultimi lo rendevano sexy. Erano estremamente lunghi. E il suo profilo, i suoi occhi, il suo tutto…
“Credi che dovrei chiamare la polizia?” sbottai.
Si voltò con le mani ancora nei capelli e mi guardò sconcertato.
“Cosa?! Oh, avanti, sarà stata una ragazzata” disse velocemente, quasi come se nascondesse qualcosa, a mio parere.
“O meglio, non vorrai mica credere a certe stupidaggini?” si giustificò.
Lo guardai torva e mi diressi verso la cucina. Tutto quel trambusto mi fece venir fame. Harry mi urlò qualcosa riguardo un panino con i salumi, ma ovviamente non avevo intenzione di fargliene uno.
Presi il pacco di patatine e mi spaparanzai sulla sedia davanti al bancone, poggiando i piedi sulla seggiola accanto. Il cellulare era rimasto poggiato sul divano. Lo fissai a lungo, molto a lungo, provando ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere sette giorni dopo. Il fatto è che oltre a pensare alla mia morte non riuscivo a concepire idee diverse.
Mi persi nei miei pensieri per chissà quanto tempo, quando Harry mi svegliò da quello stato di trance.
“Non dirmi che ci stai pensando ancora!”
Mi girai verso di lui accigliata.
Il suo odore di pulito inondò la stanza, tanto che alla fine dovetti cedere e sorridergli, facendogli credere che, ovviamente, io non credevo a quel genere di cose.
Ma credo che mentire a me stessa sia più difficile di mentire a lui.
Mentre finivo il mio pacco di patatine, Harry si affacciò alla finestra, voltandosi ad un certo punto con un sorriso diabolico.
“Stasera si va al cinema!”
“A che pro questo tuo entusiasmo?” chiesi.
Si sedette spostando i miei piedi dalla sedia.
“Ogni tanto penso che ci farebbe bene essere una coppia normale” annunciò beffardo.
“Noi siamo normali. Abbiamo una media di tre volte al giorno in fatto di sesso, ci baciamo spesso, ammicchiamo, facciamo un sacco di battutine pervertite e facciamo quel che ci piace ogni volta.”
“E dov’è il romanticismo?” chiese dolcemente sfiorandomi le gambe.
“Ti amo” gli sorrisi.
“Questo è un buono, anzi ottimo inizio!”

***

“Oh, Ozzy” sospirai impaurita non appena arrivammo davanti al parcheggio del cinema. Quel che era successo qualche minuto prima mi aveva sconvolta ancor di più.
Mentre il mio carissimo Harry usciva dal vialetto con l’auto, ahimè, un gatto nero ci passò davanti. Ovviamente il mio essere superstiziosa mi portò ad urlare che se fossimo usciti di casa sarebbe successo qualcosa di brutto, così uscii dall’auto fissando schifata quel gatto.
Kate, la nostra nuova stupida vicina, corse verso il gatto, prendendolo al volo. E ti pareva che il gatto non appartenesse ad una come lei?
“Mr. Potato quante volte ti ho detto di non scappare?”
Addirittura parlava con gli animali.
Harry corse verso la ragazza salutandola e coccolando il gattino. Lei puntò gli occhi su di me, facendomi innervosire ancor di più.
Vuoi farmi vedere che il mio ragazzo ti calcola? Bene, che guerra sia.
Mi avvicinai a loro cercando di essere più disinvolta possibile, passando un braccio intorno ai fianchi di Harry.
“Mick, non dovevamo andare al cinema?”
Tre paia di occhi mi fissavano. Due paia erano verdi, brillanti, intense. L’altro paio era marrone, color cacca. Ovviamente apparteneva alla tizia che ora mi sorrideva chiedendomi perché lo avessi chiamato in quel modo se il suo nome era un altro.
Prima che la prendessi a botte perché quelli non erano affari suoi, Harry parve incuriosito dalla mia domanda.
“Come mai ora hai tutta questa voglia di andare al cinema?”
Credo che sapesse già il perché del mio comportamento improvviso, così lasciò perdere, lasciando il gatto alla propria padrona.
“Che film c’è stasera?” chiese Kim/Karla/come si chiama.
“Credo sia un film strappalacrime” le sorrise soddisfatto Harry.
“Oh, io li adoro!” emise un gridolino di gioia.
Per la seconda volta, però il suo viso tornò deluso dopo aver sentito l’affermazione del mio grandissimo ragazzo.
“Io li odio. Sono così… troppo poco realistici.”
“Harry, ti amo” esclamai saltandogli addosso.
Lui ricambiò con lo stesso entusiasmo.
Forse capì che era di troppo, fatto sta che dopo poco la ragazzina se ne andò, calciando il cancello e facendolo sbattere alla mia gamba, procurandomi un dolore atroce.
“Me la pagherai!” urlai per farmi sentire.
“Dai, sarà stato il vento” cercò di giustificare Harry.
“Tu sei troppo buono” sussurrai dolorante.
Dopo avermi trascinata in casa mi controllò la gamba. Niente sangue, niente rotture, solo un po’ di rossore.
Bevvi un sorso d’acqua, ma conoscendo la mia sfiga, ovviamente avrei potuto mettere la mano sul fuoco: allungando il braccio verso la bottiglia il sale lì accanto cadde, rovesciandosi a terra.
E lì mi chiesi: Come si può non essere superstiziosi in certi casi?
Cercai di rimediare al danno raccogliendo il disastro che avevo combinato. Mentre mi avvicinavo al cestino mi accorsi di una figura nella penombra: camminava lenta, piegata.
Non potei fare a meno di urlare, spaventata. Presi il primo oggetto che mi capitò tra le mani – una spugnetta: ma chi voglio minacciare con una spugnetta?! – e la scagliai contro quella cosa o persona che fosse.
Una risata rimbombò nella casa, facendomi rinvenire e imprecare allo stesso tempo. La chioma riccioluta di Harry si fece spazio nel buio.
“Che avevi intenzione di fare?” urlai più che chiedere mentre mi portavo una mano sul cuore che ora batteva fortissimo per la paura.
“Allacciarmi le scarpe?” rise ancora lui venendomi incontro a braccia aperte.
“Andiamo a quello stupido cinema. Poi però dritti a casa, è stata una giornata stressante.”
Ma davanti al cinema non poté che accadere l’inimitabile: non appena calò il silenzio nell’auto una canzone spaventosa, o meglio metal che più metal non si può, echeggiò facendomi sobbalzare ancora tra le risate del conducente.
“Non è divertente” dissi facendo un broncio che mi faceva sembrare tanto una bambina.
“Scommetto che ora mi dirai che-”
“-che è un segno.” Esclamai esasperata.

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Capitolo 18
*** Jonah said: ***


Jonah said: "Happy bday!"

“Tesoro?”
Una voce bassa mi distolse dal sonno. Mugugnai qualcosa di incomprensibile anche a me stessa, rigirandomi nel letto.
“Dai, sveglia!” ripeteva.
Questa volta mi avvolsi ancor di più nelle lenzuola, nascondendo la testa sotto il cuscino. Una mano fredda mi solleticò la schiena facendomi sobbalzare.
“Harry che diamine vuoi?”
Non rispose, semplicemente si buttò su di me buttando all’aria coperte e guanciale.
“E’ il primo giorno di lavoro!” esclamò allegro.
“E che c’è di bello nell’iniziare a lavorare? Dai lasciami dormire un pochino…”
Non accettò obiezioni: mi ritrovai sulle sue spalle assonnata. Non avevo nemmeno la forza di ribellarmi, così mi lasciai portare davanti al bancone dove c’era un ben di Dio pazzesco. Strabuzzai gli occhi a quella vista.
“Mick, da quando cucini le frittelle?” ne mandai giù un pezzo che avevo appena acchiappato “Avevi detto che non sapevi cucinarle.”
Ingoiò un sacco, facendosi teso.
“Oh, mi sono messo d’impegno. Volevo che oggi fosse un bel giorno.”
“Perché?”
“Possibile che tu…” pensò un attimo “per il… cioè” ingoiò ancora, teso più di prima.
Vidi che fissò un punto dietro di me, agitato.
“Mick?”
“Beh, te l’ho detto… è il nostro primo giorno di lavoro.”
“Oh, wow.”
Mangiai frettolosamente quel cibo, era sublime. Nemmeno nei più grandi ristoranti del mondo avrebbero potuto creare qualcosa di più dolce.
“Prepariamoci! Ti aspetto in macchina tra venti minuti.”
“Ma dobbiamo fare entrambi la doccia!”
Finimmo col farla insieme, provando a non cedere.
Pronti per la nostra giornata lavorativa, ci recammo nel nuovo studio radiofonico.
Finalmente un luogo senza muri in cemento a rovinare il panorama!
Prima di entrare nell’imponente edificio, Harry mi cinse i fianchi con il braccio.
“Non dimentichi qualcosa?” sussurrò.
Gli detti un bacio, cercando di essere quantomeno dolce.
Forse, però, non ne fu del tutto contento: iniziò a guardarmi di sottecchi, quasi scioccato.
“Non ti è piaciuto?” chiesi curiosa.
“No… non… cioè, tu non… oh, entriamo” sembrava confuso.
In poco tempo ci fecero conoscere tutti. In particolare mi fece piacere conoscere Pauline, una signora tutto pepe che non la smetteva mai di parlare, proprio adatta alla carriera radiofonica.
“Quindi voi sareste quelli nuovi?” ci squadrò inizialmente “Siete bellissimi! Insomma, non fraintendetemi, non pensavo potessero arrivare dei così bei ragazzi a dar vita allo studio. Oh, mio Dio! John! Guarda chi è arrivato!” e fu così che, a catena, ci presentò ogni membro dello studio. Ci fecero assistere a delle trasmissioni per più di quattro ore consecutive, spiegandoci le funzioni di tanti tasti e gli interessi degli ascoltatori.
“Che genere di musica vi piace?” ci chiese un ometto basso con i capelli leccati all’indietro. Credo si chiamasse Jim.
Il primo a rispondere fu Harry. “Essenzialmente Rock, tutti i suoi generi. Dal soul all’alternative.”
L’ometto fissò me per una risposta. “Oh, si, beh lo stesso.”
Annuì istericamente e si diresse verso Pauline che, dopo un po’, ci propose di far ascoltare altri generi ai telespettatori.
“Che genere intendi?” sbottai io.
“Beh, quello che va oggi tra i giovani” sorrise.
Le chiesi gentilmente se la nostra fascia oraria potesse essere trasformata in qualcosa di mirato, qualcosa che trattasse la vera musica. Dopo un po’ di esitazioni accettò, cercando comunque di farmi distogliere dalle mie idee.
“Oh, no, Pauline. Non ti conviene contrattare con lei, è cocciuta fino al midollo” le disse Harry.
La donna sorrise compiaciuta e tornò nel suo studio.
Decisi di allontanarmi un po’ per andare a prendere un caffè al bar al piano terra. Erano state quattro ore pesanti.
Il bar, in particolare, era davvero carino: il bancone nero dava quel nonosochè di chic, le sedie in pelle, le luci basse e il sottofondo musicale ricercato gli davano un’aria davvero sofisticato.
Mi diressi verso la cassa e ordinai un caffèlatte.
Fissai a lungo tutte le decorazioni nella grande sala, comodamente seduta su una poltrona in fondo alla sala. Fu il cameriere a distogliermi dai miei pensieri.
“J-Jonah?” esclamai.
Un ragazzo piuttosto piazzato dagli occhi azzurri mi fissò a bocca aperta.
“Angela?”
Ok, la scena fu alquanto imbarazzante. Lui aveva ancora il vassoio in mano e io avevo ancora il dito puntato contro di lui.
“Ch-che diamine ci fai qui?” chiesi.
“Io ci lavoro!”
“Ma non lavoravi al supermercato?”
“Devo pur arrivare a fine mese.”
“Ma tu non ti vantavi di esser talmente bravo da poter accedere a tutte le università e trovare un lavoro ben pagato?”
Quanta impertinenza da parte mia. Ottimo.
“Io…” rimase perplesso “E’ un piacere anche per me vederti, Angie.”
“Non chiamarmi così.” Mi irritai.
“Perché? Ti piaceva quando lo facevo.”
“Peccato che quella tua stupida voce sia stata sprecata per tanto, tanto tempo, non credi?”
“Pensi ancora a quella questione?”
Un Harry allegro fece capolino nella grande sala, scorgendomi e raggiungendomi quasi salterellando. La sua euforia cesso non appena inquadrò per bene il tipo davanti a me.
Si abbassò alla mia altezza e mi scoccò un bacio sulle labbra.
Sussurrai un flebile “Grazie” e lo feci accomodare accanto a me.
“Un cappuccino, grazie” si rivolse strafottente a Jonah.
Quest’ultimo, scioccato da quanto aveva appena visto, torno al bancone, incredulo.
“Non posso lasciarti un attimo sola che subito ritrovi vecchie fiamme!” sorrise.
“Ahimè, la fortuna non è dalla mia parte” scherzai.
Iniziammo a parlare di Pauline, a volte a imitare la sua voce stridula e logorroica. E il cameriere ci interruppe ancora.
“Angela, per te solo per oggi offre la casa” sorrise Jonah.
Guardai circospetta intorno a me. Perché il mio caffèlatte era gratis solo quel giorno? Harry bevve il suo cappuccino in fretta, pagando e correndo subito ai piani superiori perché Jim lo aveva chiamato.
“Jonah” chiamai il cameriere che si muoveva a stento tra le sedie per la sua stazza abbastanza voluminosa “Che giorno è oggi?”
“18 settembre. Auguri Angela.”

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Capitolo 19
*** Keith is here! ***


Keith is here!


Bene, bene, bene. Non sapevo quale fosse la cosa peggiore, che io mi sia dimenticata del mio compleanno o che il mio fidanzato lo avesse fatto. Fatto sta che saltai su tutte le furie.
Insomma, si era ricordato solo del primo giorno di lavoro? Aveva preparato tutto quel cibo per uno stupido primo giorno alla radio? Se così fosse stato, era davvero un insensibile.
Quando salii ai piani superiori, feci finta di niente. Se avesse tenuto a me se lo sarebbe ricordato, altrimenti lo avrei fatto pentire di esser nato.
Pauline continuava a darci consigli e istruzioni, Jim chiamava spesso Harry per spiegargli qualche regola di dizione data la sua voce roca e John, il primo tizio che Pauline ci presentò, non faceva altro che chiedermi se mi andava un po’ d’acqua, perché secondo lui ero tesa.
Beh, tesa un corno! Non lo ero affatto, ero solo infuriata.
Il mio compleanno, che diamine!
Ed era anche il giorno della scadenza della telefonata misteriosa! Chissà cosa sarebbe successo. Chissà se sarei sopravvissuta, chissà se qualcuno aveva davvero intenzione di uccidermi.
Alla fine, la giornata finì, Harry non mi degnò nemmeno di una parola riguardo il mio compleanno e io continuai a fingere finchè potei, ergo fin quando non entrammo in auto.
Prima che potesse svoltare l’angolo, iniziai a sbraitare.
«Davvero non sai che giorno è?»
«Si. Il 18 settembre»
«E quindi?»
«Quindi cosa?»
«Cosa succede oggi?»
Mi guardò torvo. «Ti riferisci alla chiamata?» rise.
Sospirai a lungo, cercando di calmarmi.
«Harry, sii serio.»
«Ma sono serio!»
Lo mandai gentilmente a quel paese, senza rivolgergli più né parola né sguardo. Aveva oltrepassato il limite.
Nonostante le sue suppliche e i suoi tentativi di scusa non lo perdonai né gli permisi di toccarmi. Mi aveva totalmente delusa.
Nell’atrio davanti casa calciai una bustina di caramelle facendola finire in strada. Che razza di maleducato aveva osato gettare della spazzatura in casa mia?
Notai che la casa aveva la luce del bagno accesa, probabilmente Harry l'aveva lasciata accesa. Infilai una decina di chiavi nella serratura, non riuscendo a trovare mai quella giusta. Harry corse in mio soccorso, trovando al primo colpo quella che ci sarebbe servita ad aprire quella maledetta porta.
«Grazie» sussurrai, sperando che non mi avesse sentita. Ce l'avevo con lui, avrei dovuto essere meno flessibile alla sua gentilezza.
«Angie, scusami» si affrettò a dirmi non appena chiudemmo la porta di casa.
Nemmeno lì cedetti. Sbraitai per l'ennesima volta.
Le mie urla erano davvero forti, forse non mi ero mai arrabbiata così tanto nella mia vita. Nonostante lui cercasse di intrappolarmi tra le sue braccia non esitai un attimo nel dirigermi in cucina per cercare qualcosa di duro da buttargli in testa (si, in quel momento ero fin troppo impulsiva).
«Angela, stai calma!» urlò lui implorandomi pietà.
«No, non mi calmo! Harry, hai dimenticato il mio compleanno!» e lì caddi.
Oltre al mio grido di dolore sentii un mugugno proveniente dallo scatolo nel quale ero appena inciampata.
Mi alzai di scatto, nascondendomi dietro Harry.
«Ecco, e sono passati sette giorni! Potrebbe essere una bomba, o un mostro, o qualcosa che può ammazzarmi!» esclamai spaventata.
«'sta zitta e va ad aprire» rise lui.
Che aveva tanto da ridere?
«Ma Harry, la chiam-» mi bloccò, porgendomi la scatola, invitandomi ad aprirla, sempre sorridente.
Lo fissai negli occhi per qualche minuto, cercando un punto sicuro su cui potermi “reggere”. Quel verde intenso mi rilassò a tal punto che dimenticai di litigi e morti imminenti. Allungai le braccia verso il pacco e qualcosa mi leccò la mano. Saltai spaventata, vedendo sbucare una testolina marrone con un musetto tenerissimo. Lanciai un urlo che stava ad indicare la mia allegria nel vedere qualcosa di così tremendamente tenero.
Ora stringevo un cucciolo di York-shire tra le braccia, sognante. Era la cosa più bella che avessi mai visto, ed era grande quanto la mia mano. Superava anche la bellezza di Harry, accidenti!
«Allora non te ne sei dimenticato» sorrisi avvicinandomi per baciarlo.
Il nostro romanticissimo momento venne interrotto da quattro voci acute che cantavano "tanti auguri". Ebbi un sussulto nel vedere i miei grandissimi amici ballare con tanto di cappellino a punta e trombetta alla bocca. Mi corsero incontro per abbracciarmi ma mi ritrassi.
«Che succede?» chiese con un finto broncio Niall.
«Ho la cosa più preziosa del mondo tra le braccia, non potete ucciderla in così poco tempo!» sentenziai allegra, poggiando delicatamente il cucciolo sul divano, senza perderlo mai d'occhio.
Saltai addosso a Louis e di conseguenza tutti si buttarono su di me. Stranamente Harry fece lo stesso, senza allontanarli dopo un po'.
«Angie tantissimi auguri!»
«Aspettate un attimo, devo risolvere un mistero» dissi seria acchiappando il cucciolo per accarezzarlo e sedendomi sul divano. Fissai tutti e cinque quegli schianti davanti a me, uno ad uno, finchè Harry non iniziò a ridere.
«Avanti, diteglielo ragazzi» disse infine.
Strabuzzai gli occhi, odiando il fatto di non poter sapere cosa passava nella mente di ognuno di loro in quel momento.
«Allora» iniziò Liam «innanzitutto, ti aspettavi tutto questo?»
Scossi il capo.
Fu il turno di Zayn. «La settimana scorsa hai ricevuto una strana chiamata, giusto?»
Feci per alzarmi, ma Harry fu più veloce di me e mi bloccò abbracciandomi teneramente.
«Beh, è stata una mia idea» urlò contento Louis.
«E il cagnolino?» chiesi fissando quella creaturina così bella.
«Idea mia» disse con voce bassa Harry, scoccandomi un bacio sulla guancia «Ti ricordi della mia idea geniale?»
Annuii. «Voilà!» sorrise mozzandomi il fiato.
«E voi avete fatto tutto questo per me?»
I ragazzi iniziarono ad urlare e buttarsi a terra. Strana reazione, quando avrebbero potuto semplicemente rispondere "si".
«Grazie»
«E' la prima volta che ti vedo sorridere oggi, scusa se ti ho fatta stare con il broncio, speravo che la sorpresa ti sarebbe piaciuta» mi baciò finalmente Harry.
Poi mi rivolsi ai miei amici. «Dormite qui ovviamente, no?»
E ancora le urla e il giocare a terra.
«Come chiamerai il cagnolino?» chiese Liam tornando – come al solito – serio per primo.
Ci pensai su un attimo, poi presi un lungo respiro.
«Keith» annunciai solenne.
Nessuno capì il perché, tranne Harry.
«Mi vorresti tradire con un cagnolino?»
«In realtà starei tradendo Keith con te, Mick.»
Tutti ci guardarono interrogativi ed Harry dette loro una veloce spiegazione ridendo di gusto.
«Mick Jagger aveva un'amante, Angie. Quest'ultima era la moglie del suo compagno di band, Keith Richards. È una sorta di menage a trois.»
 

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