Aka to Murasaki.

di Melabanana_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 -Il ragazzo indifferente, Hera Tadashi. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 -L'idolo della scuola, Afuro Terumi. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 -Primi passi di una relazione instabile. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 -Si accendono i riflettori... ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 -Appuntamento in spiaggia? ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 -L'uscita del God Knows. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 -Incidenti e scherzi acquatici. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - La matematica (e non solo) perseguita. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 -Perché sei carino quando sei te stesso. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 -Lo scandalo Terumi, l'inizio. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 -Controcorrente. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 -Nel tuo mondo... ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 -Truth, Dare, Double Dare, Promise to Repeat & House on Fire. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 -La bellezza non è tutto. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 -Febbre da party. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 -Inseguendo te... ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 -La tempesta di Febbraio (?). ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 -Il ninja e il gladiatore, un incontro dettato dal destino? ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 -Se mi permetterai di restare al tuo fianco, sarò felice. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 -Aporo e Artemis, una coppia che fa scintille?!! ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21- La dichiarazione di Artemis. ***
Capitolo 22: *** Capitolo Extra -Ai no Hajimari ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22- La malinconia di Tadashi. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23- L'Host Club di Icarus. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24- La situazione di Artemis e il fiore abbandonato. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 -Parole seccatesi in gola. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 -Il rumore della porta che sbatte. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 -Il sorriso più bello del mondo. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 -Il rosso e il viola. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 -Epilogo. ***
Capitolo 31: *** Capitolo Extra - Ai no Fukuzatsuna. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 -Il ragazzo indifferente, Hera Tadashi. ***


Capitolo 1.

Marzo.
Aria primaverile, ciliegi in fiore.
Studenti che nella metro aspettano di andare verso il loro liceo.
Commenti entusiastici di quelli per cui è il primo anno.
Il primo anno di liceo. Tutti erano entusiasti.
Tutti tranne…
-Che noia.-
…tranne il ragazzo seduto sull’ultimo sedile della metro, proprio attaccato all’ultima porta, nell’angolo.
Era appoggiato col braccio sul corrimano di fianco a lui e era talmente abbandonato a sé stesso da sembrare addormentato.
Forse lo avrebbe preferito, visto che si annoiava da morire.
Si ravviò i capelli rossicci, e a quel gesto delle ragazze risero fra loro.
“Che cavolo hai da ridere?” chiese mentalmente alla più alta di loro che lo guardava maliziosamente.
“Sono un ragazzo come tanti altri. Due occhi, un naso, una bocca. Non vedi?”
Una parte di lui sembrava accettare pigramente il fatto di essere abbastanza carino da far colpo, un’altra parte provava un disgusto assoluto verso il mondo.
Solitamente, però, questa seconda parte era nascosta dalla prima, che gli conferiva un aspetto placido e annoiato.
Le porte si aprirono con un suono piacevole e assordante che lo tirò fuori dal suo coma empirico.
Il ragazzo si alzò, con le mani in tasca e le spalle curve, e uscì.
Prese la solita strada meccanicamente e s’imbarcò nel suo primo anno di liceo come gli altri tre milioni di studenti e studentesse che lo circondavano.
Era appena davanti al cancello quando una voce lo distrasse.
Anzi, due voci.
-Se ti prendo io ti uccido, ninja da strapazzo!-
-Che c’è? Senza il tuo elmetto ti senti nudo?-
-Non ti conviene metterti contro di noi…- Ah, erano tre?
-AH! Voi? Cioè tu, che non mi arrivi alle ginocchia, e Mr Senza-Elmetto-Non-Sono-Nessuno?-
-Okay. Tu sei morto ufficialmente.-
-Tanto non mi prendi, io sono un espertissimo nin… Ehi!- s’interruppe perché il ragazzo ora senza elmetto lo aveva placcato alle gambe ed atterrato.
-Allora, espertissimo ninja… come la mettiamo?- disse.
L’altro non si scoraggiò, si “smaterializzò” lasciando al suo posto un ceppo d’albero e apparve dietro il ragazzo.
Fu a quel punto che intervenne il terzo, un piccoletto con i capelli verdi, che afferrò l’elmetto con entrambe le mani e diede uno strattone tanto forte da farlo volare via dalle mani di entrambi. L’elmetto roteò in aria per tre, interminabili, secondi…
…e poi – SDENG!- atterrò sulla testa del ragazzo annoiato con i capelli rossicci.
Tutti restarono paralizzati, in silenzio.
-Oh.- commentò il ninja dopo un po’.
-Oh? E’ tutto quello che hai da dire?- sibilò il ferito, si girò e lanciò l’elmetto con una tale forza da colpire tutti e tre con una serie di rimbalzi precisi.
Un genio del flipper, insomma.
-Tadashi! Che ti salta in testa, quello faceva maleeee!- si lamentò il ninja.
-Lo so bene! Dannazione a te!- replicò l’altro furioso.
Nella confusione, il ragazzo dell’elmetto recuperò il suo tesoro e lo calzò nuovamente.
-Che c’entravo io, poi? Io ero una vittima.- protestò. –E’ stato Saiji a prenderlo. E Aporo a fartelo cadere in testa.-
-Ehi!- replicò Aporo, massaggiandosi i capelli verdi. –Io cercavo di aiutarti!-
Hera Tadashi borbottò un insulto generale e si voltò, riprendendo a camminare.
I tre ragazzi lo seguirono quasi subito.
Il ninja, Kirigakure Saiji, gli mise confidenzialmente un braccio intorno alle spalle.
-Ma dai, Tadashi, potresti farcelo almeno un sorriso, no? E’ il primo giorno di una nuova vita!-
Hera lo guardò accigliato.
–Dove la vedi questa nuova vita? Andiamo sempre alla stessa scuola, solo che ora non siamo alle medie ma al liceo. Non vedo la differenza- affermò.
Il ninja scosse il capo.
–Ma non capisci? Liceo significa maturare! Il fiorire di nuovi amori! Aaah, scommetto che farò colpo su un sacco di ragazze carine!- esclamò sognante.
-Ne dubito fortemente.- intervenne con un ghigno il ragazzo dell’elmetto, Demete.
Kirigakure gli lanciò un’occhiataccia, ma continuò a parlare come se non avesse sentito.
-Chissà se saremo in classe insieme anche quest’anno!- esclamò gongolante.
-Che Dio me ne scampi.- sussurrò Hera scuotendo il capo.
Ma che gli prendeva a tutti, con quella specie di febbre primaverile da liceo?
Cosa c’era di tanto entusiasmante, lo sapevano solo loro.
Non era cambiato praticamente nulla da quando stavano alle medie, eppure Kirigakure sembrava sinceramente convinto della sua teoria della vita nuova.
Si avviarono alla bacheca, dove erano appesi i fogli delle classi, con nomi e cognomi di tutti gi studenti classe per classe.
Kirigakure si fece largo fra la folla per guardare.
-Ah-ah! Demete, siamo in classe insieme!- esclamò afferrando il suo amico per un braccio e indicando insistentemente il classe con su scritto I F.
-Ma che bello.- commentò ironico Demete. –Aporo?-
Il ragazzino non rispose, continuava a fissare senza parole il foglio.
-Aporoooo? Mi sentiiii?- lo chiamò Demete –In che classe sei?-
Lui sobbalzò e arrossì. –Mi dispiace, io sono in I B. Ci si vede in giro- disse e fuggì, sparendo fra la folla.
–Ma che gli è preso?- chiese Demete sorpreso, Kirigakure era troppo occupato a curiosare nei fogli per accorgersene, ad Hera non fregava un bel niente.
Scorse velocemente il primo foglio con un dito, cercandosi.
Finché la sua mano non incrociò quella di qualcun altro.
Hera si voltò appena, e vide il biondino di fianco a lui ritrarre di scatto la mano e sorridergli, sfuggevole.
Poi il biondino si girò e sprofondò nella folla. Hera sospirò e tornò al foglio.
Classe I A.
-Non siamo in classe insieme? Che peccato.- commentò Kirigakure.
“Che fortuna, vorrai dire” pensò Hera soddisfatto.
–Ci vediamo dopo eh?- disse per cavarsi dì impaccio e andò a cercare la sua aula.
La trovò al secondo piano, entrò, scelse un banco isolato vicino alla finestra.
Si sedette, pronto ad annoiarsi in un posto nuovo.
“Non cambierà niente” pensò, convinto.
Era la solita vita di sempre. 






xxx

**Angolo dell'Autrice**
  Eeee così, ho deciso di pubblicare questa fic anche su EFP.
Visto che è già scritta -postata su un forum- dovrei riuscire ad aggiornarla in tempi decenti :3
Questa è la prima fic in cui ho usato questi personaggi. 
E' dedicata a ninjagirl, che me li ha fatti conoscere e amare. Senza di lei questa fic non sarebbe mai venuta alla luce.
Thank you, ninja 
 ♥
Oltre ai regolari capitoli, ci sarà uno spin-off e -forse- qualche capitolo "extra" :DDD
Spero che seguirete!

Kisses
roby
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 -L'idolo della scuola, Afuro Terumi. ***


Capitolo 2

Hera Tadashi era l’unico studente in tutta la scuola che avrebbe preferito fare lezione quel giorno.
Invece, gli toccò sorbirsi tutte le presentazioni dei suoi professori e dei suoi compagni (di cui, era certo, avrebbe dimenticato presto i nomi).
Si dovette anche alzare per presentarsi, cosa snervante perché odiava essere al centro dell’attenzione.
–Tadashi, Hera. Ho 14 anni e non amo niente di particolare.- disse in voce monotona e si risedette. Le ragazze lo guardarono ammaliate, come avesse detto chissà che.
Si era appena seduto che il ragazzo dopo di lui scattò su.
-Terumi, Afuro. Ho 14 anni e sono molto felice di essere qui!- esclamò allegro.
Hera lo degnò appena d’un occhiata e riconobbe il biondino di quella mattina: al contrario di lui, sembrava amare avere i riflettori puntati addosso. Sorrideva a tutti, amabile.
Le ragazze lo adoravano, ma anche i ragazzi non erano immuni a quel fascino perfetto.
Hera sospirò, ma perché doveva capitare in classe proprio con un tipo del genere?
-B-bene, Terumi, puoi sederti.- disse la professoressa, una ventenne svampita che era arrossita.
Afuro Terumi annuì, sorridendo in modo luminoso, quindi si sedette e si guardò intorno, catturando lo sguardo di Hera su di lui.
Gli fece l’occhiolino, segno che l’aveva riconosciuto.
Hera lo guardò accigliato, poi tornò a fissare il cielo.
Non ascoltò una parola di tutto ciò che seguì, e all’intervallo mentre tutti si alzavano e accerchiavano Terumi lui rimase immobile a fissare fuori dalla finestra, immerso nella sua placida noia. Le ragazze erano in puro delirio.
-Terumikun, ti piacciono i dolci fatti in casa?-
-Non mi dispiacciono- (sorriso).
-Oooh, che bello, allora te li preparerò!-
- Qual è il tuo colore preferito?-
- Quale musica ascolti?-
-Ti piace questo vestito?-
- Che shampoo usi?-
Nonostante le domande inopportune e seccanti dei compagni, Terumi sorrideva e rispondeva a tutto, sempre in quel tono amabile e malizioso che sembrava distinguerlo.
Hera decise in quel momento che non avrebbe mai potuto sopportare una persona tanto perfetta.
Alla quindicesima domanda sulla sua vita privata, si chiese “Ma che te ne frega?!” e si alzò intenzionato ad uscire per evitare quella confusione.
Aveva fatto appena quattro passi, avvicinandosi ai distributori, che qualcuno lo chiamò.
-Tadashi!-
Si girò, e vide il biondino.
Che ovviamente sfoderava il suo sorriso ammaliatore.
-Ho sentito che tu eri qui anche alle medie. Non mi potresti far fare un giro?-
Sbatté anche le ciglia, supplicante, e quel semplice gesto sembrava bastare a far cadere tutti ai suoi piedi. Hera invece lo trovava solo molto effeminato ed irritante.
-Mi hai preso per una guida turistica?- replicò seccato –Ci sono un sacco di ragazze che erano qui alle medie come me, perché non chiedi a loro? Saranno sicuramente felici di accontentarti.-
Il biondino lo fissò sorpreso e il suo sorriso cedette un po’.
-B-Beh… ma io l’ho chiesto a te, che ti costa? Tanto non hai nulla da fare…- disse nervoso.
-Mi scoccio.- replicò Hera scrollando le spalle, si prese una lattina di cola e si avviò verso le scale. Il biondino lo seguì immediatamente. –Ma Tadashi!- esclamò imbronciato.
 “Ma che palle…” pensò Hera ignorandolo. Il biondino era insistente, dannazione.
-Tadashi!- si sentì chiamare di nuovo a metà della rampa. Si voltò per dirgli di lasciarlo in pace, ma il biondino non c’era. “Beh, meno male, se ne sarà andato” pensò.
Si voltò e sobbalzò: il biondino era esattamente di fronte a lui, sorridente.
-Ta~da~shi~-cinguettò.
-Ma come…- Hera lo guardò incredulo.
-Sono saltato giù dal corrimano.- spiegò lui facendo spallucce, poi lo prese a braccetto ed esclamò allegro:- Allora, dove mi porti?-
-Nel laghetto della scuola se non la finisci.- borbottò Hera.
L’altro non sentì, oppure finse graziosamente di non averlo sentito perché continuò a stargli azzeccato addosso per il resto dell’intervallo.
–Oggi usciamo prima perché è il primo giorno vero? Ma di norma ci sono le lezioni pomeridiane?- chiese il biondino.
-Sì.- disse Hera, bevendo la terza lattina di cola.
-Sei un tipo di poche parole vero?- commentò l’altro divertito, poi il suo volto s’illuminò di malizia: –Visto che oggi si esce prima che ne dici se noi due ci facciamo un giretto da soli…?-
Hera sospirò, buttò la lattina, poi afferrò il viso del ragazzo fra le mani e ghignò:- Già… chissà quante belle cose potremmo fare, eh…?-
Il biondino avvampò, preso alla sprovvista. Hera si tirò indietro e gli fece la linguaccia.
-Ti sarebbe piaciuto che avessi detto così, no? Beh, scordatelo. Non ricordo nemmeno il tuo nome, a dire la verità.- commentò facendo spallucce.
-Mi chiamo Afuro, Terumi!- ripeté l’altro scioccato –Mi hai preso in giro!-
-Eh già.- confermò Hera ironico. Quel ragazzino era davvero problematico, doveva liberarsene.
Ma Terumi non si dava per vinto. 
- Tadashi, io non ti piaccio?- chiese esibendo la sua faccia da cucciolo.
-Neanche un po’- fu la risposta immediata.
Il biondino era sconvolto, e d’un tratto abbassò lo sguardo, cupo.
Hera sbatté le palpebre, perplesso, e domandò:- E ora che hai in mente?-
Ma l’altro sembrava parlare da solo.
Non gli piaccio non gli piaccio non gli piaccio- continuava a ripetere sotto voce, alla fine esplose di rabbia:- Come sarebbe a dire?! Hai solo una vaga idea di quanto ci metta la mattina per farmi così i capelli?! E per vestirmi?! Ne hai un’idea?! Io faccio ogni giorno una faticaccia e tu dici che non ti piaccio?! Quanto mi dai sui nervi?!-
Hera lo guardava sconvolto: che fine aveva fatto il ragazzino innocente e angelico di poco prima? Terumi sembrava impazzito. A meno che…
-Terumikuuuuun!- Delle ragazze li interruppero. Hera assistette in quel momento alla più splendida ed istantanea metamorfosi: Terumi in un secondo si sistemò i capelli, fece un respiro profondo e sfoderò un sorriso amabilissimo.
-Sì? Qualcosa non va, ragazze?- esclamò innocentemente voltandosi.
Mentre parlava ed esibiva tutto il suo fascino e brillava d’improvvisa allegria e dolcezza, Hera ebbe l‘impressione  che il ragazzo fosse in effetti un po’ troppo perfetto.
Forse per ché non lo era affatto. “Ma certo, è tutto costruito…” pensò osservando i modi gentili di Terumi e confrontandoli con la sfuriata di prima. “Questo qui è un mago della finzione!”
-Tadashiiiii! Tesoro di mammaaaaa!- gridò qualcuno e poco dopo il ninja spreferito gli fu addosso.
–Abbiamo saputo che ti sei trovato la ragazza! Ma guarda che mamma e papà non ti consentono di andare oltre il bacio, okay, Tadashi?- aggiunse Kirigakure malizioso.
-Da quando tu saresti mia mamma?! E chi sarebbe il padre poi?!- replicò Hera.
-Beh, Demete ovviamente- rispose Kirigakure. Si girò a cercarlo, ma il ragazzo sembrava ammaliato.
–Ehi, elmetto, che fu?!- esclamò Kirigakure stupito.
-Ma siete scemi, o cosa! Ma dove vivete! Davvero non sapete chi è lui?!- disse additando al biondino. Entrambi scossero il capo.
A Demete brillavano gli occhi.
-Fisico slanciato, pelle candida come quella di una bambola in porcellana, occhi rossi e profondi con ciglia lunghe, capelli biondi e scintillanti- descrisse incantato.
–Fa il modello nel tempo libero e quelli che lo conoscono nel suo blog e nelle riviste lo chiamano “Aphrodi”, come la dea della bellezza e dell’amore! E si capisce perché!-
Hera rimase a fissare stupito il biondino, che a quanto pareva era davvero una celebrità.
Kirigakure coprì istantaneamente gli occhi di Demete calcandogli l’elmetto sulla faccia.
–Se continui a guardarlo così, ti si consumerà la vista, papà.- commentò ironico, poi diede di gomito ad Hera. –Allora Tadashi, ti sei fatto una ragazza famosa, eh?-
-Ma cos’ha il mondo che non va? Per prima cosa è maschio, secondo non è il mio ragazzo! E’ lui che mi si è appiccicato come una cozza, e poi non è affatto perfetto come tutti credono!-
- Ow, Tadashi si sta scaldando, che carino.- ridacchiò Kirigakure mentre Demete cercava di disincastrare la faccia dall’elmetto.
Tadashi gli suonò la cartella in testa, impedendogli di morire soffocato nel ferro.
Distratto dal rumore metallico, Terumi si girò ed incrociò di nuovo il suo sguardo, come prima in classe.
Sorrise, malizioso: impossibile non capire a cosa pensasse.
Hera sbuffò e si girò, fermamente intenzionato a tornare a casa da solo. 







xxx
**Angolo dell'Autrice**
Ciaooooo! 
Eccomi con il secondo capitolo, in cui fa la sua entrata in scena il secondo protagonista della fic.
Oh, in realtà tutti e sei i personaggi sono protagonisti, a modo loro -ma non posso dire di non avere una predilezione per Hera e Afuro.
E infatti patiranno di più, ahah~
Ci vediamo al prossimo capitolo!

Kisses,
roby

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 -Primi passi di una relazione instabile. ***



Capitolo 3.

La mattina dopo, Hera stava letteralmente dormendo in piedi avendo passato tutta la notte a giocare con la X-Box a calcio. Persino in metro non fece alcuna attenzione agli altri e lasciò che dicessero di lui quel che gli pareva senza commenti sarcastici.
Uscì dal vagone e s’immerse nella folla, tenendo le spalle curve.
Niente poteva svegliarlo…
-Figlioooooo!-
Beh niente a parte questo. Alzò gli occhi e vide Kirigakure sventolare una mano nella sua direzione, mentre Demete cercava di tenerlo a bada. Aporo se ne stava per i fatti suoi, cosa strana.
-Ti aspettavamo, figlioletto mio!- esclamò Nuvoletta Rosa.
-Sto per commettere un matricidio- borbottò Hera. Demete lo osservò attentamente.
-Hai dormito poco eh?- commentò ed Hera annuì.
-Come mai? La tua ragazza, ops, ragazzo ti ha inseguito anche nei sogni?- chiese Kirigakure maliziosamente. Hera lo fulminò con lo sguardo.
-Per l’ennesima volta, io e quel ragazzo non…-
-Tadashi~!- Una voce purtroppo familiare risvegliò di colpo tutti i suoi sensi, soprattutto quello di sopravvivenza, ma prima che potesse nascondersi il biondino gli fu addosso.
-Buongiorno~!- cinguettò gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo forte.
Per alcuni istanti né Hera né gli altri tre capirono cosa stava succedendo, poi Kirigakure commentò:- Ah, c’est l’amour!- ed Hera si staccò da Terumi con la voglia di strangolare il ninja.
Kirigakure sorrise:- Ora devo andare dai miei nuovi amici! Bye!- e si eclissò.
Demete lo guardò a metà fra sorpreso e preoccupato.
–Nuovi amici? E chi sarebbero? Aporo, tu ne sai qualcosa?- domandò. L’amico non rispose, e lui lo scrollò. –Ehi, Aporo! Insomma, è da ieri che te ne stai sulle tue! Che ti prende?!
Aporo arrossì e balbettò qualcosa d’incomprensibile sulla sua classe e poi fuggì letteralmente.
Demete si mise le mani sui fianchi.
–Oh, avanti! Che gli prende a tutti oggi?- sospirò.
Poi si girò e vide che Terumi era ancora abbracciato ad Hera, che cercava in tutti i modi di scrollarselo di dosso. Demete osservò accigliato quello strano binomio, poi si ricordò di una cosa e tirò fuori dalla cartella il suo quaderno.
-Ehm- mormorò arrossendo –Aphrodisama?
Terumi si staccò da Hera e si girò verso di lui, con un sorriso allegro e gentile.
-Potresti farmi un autografo?- chiese Demete letteralmente pendendo dalle sue labbra.
-Certo!- esclamò Terumi, prese il quaderno e gli fece una bella dedica. Hera fissava incredulo uno dei suoi migliori amici.
“La mia stima per te, Demete, si è abbassata di colpo. Ora sei più in basso di Kirigakure!” pensò disgustato.
Scosse il capo e si avviò dentro. Terumi subito lo rincorse, lasciando da solo Demete.
-Tadashi, vorrei entrare a far parte di un club- annunciò Terumi.
Hera lo guardò, alzò un sopracciglio.
La scritta “E a me che me ne frega?” sembrava stampata sulla sua faccia. Ma ovviamente Terumi non ci fece caso, o fece finta di niente.
Continuò a parlare allegramente.
-Ho un'idea, fammi fare un giro dei club più forti. Sarà divertente!-
-Uno spasso- disse ironico Hera.
-Ma dai, sei proprio un guastafeste! Andiamo!- lo incoraggiò Terumi e prese a trascinarlo verso le palestre. Hera lo seguì senza troppo entusiasmo.
Lo osservava, di sottecchi. “E' piuttosto basso, ma ha un bel fisico slanciato. Sarà vero che fa il modello? Comunque con un fisico così non sarà certo adatto a fare attività sportiva...” Rifletteva “Farà anche questo parte del suo piano per far credere a tutti d'essere perfetto?”
Terumi si fermò di scatto, davanti allo specchietto di una delle auto parcheggiate nel cortile, appartenenti ai professori.
-Che c'è ora?- chiese Hera perplesso.
Terumi frugò nella borsa e tirò fuori una spazzola con cui iniziò a lisciarsi i capelli biondi.
-Odio essere spettinato- si giustificò posando l'oggetto e riprese a camminare come prima.
Hera scosse il capo. “Non potrebbe mai fare sport... forse ci sarà davvero da divertirsi...” si disse. “Probabilmente è una frana...”
-Cominciamo con... il karate?- chiese Terumi guardandolo.
Hera fece spallucce. Entrarono e Terumi chiese di poter fare una prova per essere ammesso, causando l'ilarità di molti dei ragazzi. Ed Hera poteva capirli, cosa poteva combinare quel ragazzo così mingherlino?
-Okay, ti sfido io- disse il capitano della squadra, con un ghigno disinvolto.
Era convinto, probabilmente, di liberarsi presto della seccatura. Salì sulla pedana morbida e si mise in posizione; al via, il ragazzone sferrò un calcio diretto al fianco di Terumi e un pugno alla sua testa.
Ma Terumi, come fosse stata la cosa più naturale del mondo, scansò entrambi i colpi spostandosi di lato e abbassandosi, poi dal basso tirò un pugno sul mento dell'altro, che barcollò stordito per poi inciampare nei suoi stessi piedi e cadere al tappeto. Terumi si drizzò e si portò una mano alla nuca, nervoso.
-Ops, ho esagerato vero?- disse. Le risate dei membri del club si spensero vedendo a terra il loro capitano, quindi seguì il silenzio e poi le urla di delirio delle ragazze. Hera spostava lo sguardo dal biondino al ragazzone, incredulo.
Afferrò il biondino per un braccio e lo portò fuori prima che esplodesse il caos.
-Ma cosa diavolo... sei tu? Come hai fatto?!- gli domandò.
-Questione di tecnica. Sono stato nel club di karate per un po' alle medie.-
Hera non credeva a ciò a cui aveva assistito. “Troppo incredibile” si disse, quindi portò Terumi al campo di basket.
Appena entrati un pallone gli volò addosso.
Terumi gli balzò davanti e lo prese al volo, bloccandolo all'altezza del petto.
-Ottimi riflessi, biondina- ghignò il ragazzo che l'aveva lanciato -Sei qui in visita col tuo ragazzo?
-Perché tutti pensano che io sia il tuo ragazzo?- sibilò Hera infastidito.
Terumi scosse il capo sorridendo.
-Vorrei giocare un po'- affermò tranquillo.
Il ragazzo rise, quindi si piegò sulle ginocchia e disse:- Vieni, avanti! Tanto un piccoletto come te che speranze ha!
Nel momento in cui Terumi posò palla a terra e partì, Hera notò che stavolta sul suo sorriso non c'era traccia del bravo bambino.
Il biondino arrivò davanti al ragazzo e lo dribblò con una serie di palleggi quasi rasoterra fra le sue gambe, quindi passò avanti e segnò in terzo tempo.
La palla gli tornò addosso, lui l'afferrò e la strinse.
Il ragazzo sconfitto lo guardò incredulo. -Dannazione!- gridò e caricò su di lui.
Hera temette che Terumi finisse spiaccicato sul parque, invece il biondino scartò l'avversario e palleggiando uscì dalla linea da tre. Da lì, si sollevò sulle punte come a voler tirare. Il ragazzo subito gli corse incontro e saltò per bloccare il tiro, che non partì.
Il momento successivo, quando il ragazzo era ormai atterrato e non poteva saltare di nuovo, Terumi lo superò con un rapido passo poi si sollevò e tirò.
Hera e gli altri spettatori rimasero ammaliati dalla sua figura mentre sembrava rimanere sospesa in aria, aggraziata, elegante. Poi il rumore della retina smossa dal punto segnato, li risvegliò dalla trance.
Il biondino ricadde perfettamente sulle gambe, si asciugò il sudore dalla fronte e si tirò indietro una ciocca di capelli.
-Niente di che, ero nel club di basket alle medie- commentò, fece l'occhiolino ad Hera, che boccheggiava vedendo che le ragazze morivano per il biondino.
“Essere perfetto gli riesce davvero bene” pensò Hera mentre il biondino lo raggiungeva sorridente.
-Tadashi, non c'è un club di calcio?- domandò.
-C-Certo che c'è. Io sono iscritto. Ti ci porto... seguimi...- balbettò il ragazzo colto di sorpresa. Era talmente sconvolto che si rendeva a malapena conto di di stargli davvero facendo da guida turistica, cosa che assolutamente aborriva.
-Terumi, ascolta... Ma in quanti club sei stato alle medie?!- Non si trattenne dal chiederlo, si vergognava ma era curioso.
-In quasi tutti- rispose il ragazzo e notando l'espressione di Hera rise.
-Però la mia permanenza è stata breve in tutti.- aggiunse.
-Perché?- domandò Hera. Terumi s'incupì leggermente.
-Perché sono troppo bravo...- mormorò. Prima che Hera potesse commentare, videro il campo di calcio davanti a loro.
Terumi s'illuminò e sul suo volto sparì ogni traccia di tristezza.
-Tadashi, facciamo due tiri!- esclamò. Hera lo seguì, trascinandosi per inerzia.
Terumi prese uno dei palloni dal cesto e cominciò a palleggiare col piede. Hera lo raggiunse poco dopo, arrotolandosi i pantaloni per giocare meglio.
Solo allora notò l'abbigliamento di Terumi.
A parte la camicia a maniche corte e la cravatta in regola, tutto il resto era assoluta irregolarità: pantaloncino che gli arrivava poco più giù dell'inguine, calze nere lunghe fino alle ginocchia, infine numerosi bracciali alle braccia.
-Che c'è?- chiese il biondino accorgendosi del suo sguardo.
-Ma ti fanno davvero girare così?- replicò Hera scuotendo la testa.
Terumi sbatté le palpebre senza capire, quindi si osservò e disse:- Oh. Ti riferisci al mio abbigliamento insolito? Beh, mi piace farmi notare...-
-Questo l'avevo capito, non è che tu lo nasconda- commentò Hera ironico. -Mi chiedevo solo se il preside e i professori fossero d'accordo...-
-Certo che non lo sono. Ma io me ne frego- Sorrise, un sorriso diabolico.
Hera sospirò e scosse il capo. Era un vero diavolo travestito da angelo...
-Tadashi, Tadashi! Mettiti in porta che faccio qualche tiro!-
-Va bene, va bene...-
Hera andò verso la porta. Terumi posò la palla a terra e calciò.
Ancora una volta, Hera si sorprese a pensare che l'eleganza e la grazia di Terumi non fossero solo finzione: era davvero un ragazzo speciale, in un certo senso. E mentre pensava ciò, si fece anche segnare il primo tiro.
-Non vorrai lasciarmi vincere! Impegnati!- lo prese in giro Terumi, malizioso. -Se perdi contro di me, dovrai uscire con me per un giorno intero!-
Hera arrossì e ringhiò:- Non ti montare la testa! Perché solo con me ti comporti così?! Dannazione!-
-Accetti la sfida?-
-Va bene! Se vinco io però ti trovi un nuovo amichetto e mi lasci in pace!-
Gli rilanciò la palla e cominciarono, stavolta sul serio.
Stavano a 3 parati da Hera contro 4 segnati dal biondino quando sentirono le voci degli altri membri del club che man mano arrivavano.
-Guarda chi ci precede sul campo, il nostro figlioletto adorato- commentò Kirigakure entrando in campo.
Demete, che avendo perso a Bim Bum Bam trasportava la borsa di Kirigakure oltre alla sua, le lanciò tutte a terra e stramazzò nelle braccia della “mamma”.
-Ma dai, se crolli per così poco che uomo sei, papà?- lo sfotté Kirigakure.
Demete stava per dargli una testata ma poi vide Terumi.
-Aphrodisama!- esclamò e subito andò a salutarlo, inchinandosi.
Hera affiancò Kirigakure, a cui era venuto un leggero tic all'occhio nell'osservare Demete prodigarsi per il biondino.
-Sei geloso, mammina?- domandò Hera.
-Semplicemente non capisco cosa ci trova di tanto interessante- borbottò l'altro.
Una voce li interruppe.
-Ma quello lì non vorrà entrare nel nostro club?-
I due ragazzi si voltarono verso quella voce: alcuni ragazzi delle medie stavano parlando fra loro di Terumi.
-E' troppo bravo. Non dovrebbe entrare in un club se non ne ha bisogno.-
-Già, e poi si mette troppo in mostra.-
-Ho sentito che fa il modello, non gli basta tutta quell'attenzione?!-
-Se le ragazze morissero per me come per lui!-
Hera s'infastidiva di più ad ogni parola, e stranamente sentì di dover intervenire a difesa di Terumi.
-Ehi voi...- stava per dire, ma qualcuno lo trattenne. Si girò e vide il biondino aggrappato alla manica della sua camicia.
-Terumi- mormorò. Il ragazzo sorrise, ma tremava per il nervosismo.
-Lascia stare, Tadashi, ci ho fatto il callo. La gente normale non mi vuole.- disse.
Si girò e cominciò ad avviarsi fuori dal campo.
Hera rimase a guardarlo, immobile.
“Oh, capisco... quindi questi sono gli svantaggi della perfezione?” pensò “Finisce così... Ma quanto mi da' sui nervi quel suo falso sorriso!
Arrabbiato, afferrò il braccio di Terumi e lo tirò indietro; quando lui barcollò all'indietro lo bloccò con il corpo e gli mise una mano sulla spalla.
-E se io ti volessi?- sussurrò.
-Eh?- Terumi sgranò gli occhi, ma prima che potesse parlare Hera iniziò ad inveire contro il gruppo di ragazzi.
-Stupidi ragazzini! Volete davvero farvi mettere i piedi in testa da questo qui?! Negli sport non si migliora eliminando quelli bravi ma con l'impegno! Quindi fatela finita con queste cazzate, Terumi entra in squadra è chiaro?!-
-S-Sissignore!- Fu la risposta terrorizzata dei ragazzini, che subito si dispersero per il campo, sconfitti dalla strigliata del loro senpai.
Hera sbuffò, mollò Terumi e si chinò a prendere un pallone.
Quando si sollevò notò tre paia di occhi fissi su di lui, increduli.
-Sei stato fighissimo, Tadashi- commentò Demete.
Kirigakure saltò addosso al suo amico e aggiunse:-Mamma e papà sono fieri di te!- fingendo di asciugarsi una lacrimuccia. Tadashi scosse il capo, spazientito. - Anche voi due, quando la finirete con questa sceneggiata?-
-Tadashi...- mormorò Terumi.  -Perché l'hai fatto?-
Hera si voltò e sussultò: il ragazzino aveva un'espressione sinceramente sorpresa e commossa.
-Non... non l'ho certo fatto per te. E' solo che quei discorsi mi hanno fatto imbestialire- si giustificò , poi si abbassò alla sua altezza, in modo che solo lui potesse sentire:- E poi, odio quando fai finta di sorridere.-...
Terumi avvampò. Hera si scostò con un sorrisetto e andò nel campo a giocare.
-Ma quanto si scalda Tadashi per la sua ragazza...!- ridacchiò Kirigakure seguendo Hera e trascinando via Demete dal suo idolo “Aphrodisama”.
Il quale rimase lì a bordo campo a fissare Hera Tadashi, che l'aveva protetto e lasciato senza parole, improvvisamente sotto una luce nuova.







xxx

 
**Angolo dell'Autrice**
Ciao °^°
In questo capitolo cominciamo a conoscere un po' meglio sia Hera che Afuro.
Ah, approfitto per dire che Hera è un tipo un po' particolare.
Lo vedrete fare parecchie cose imprevedibili -epersottocivannotuttiglialtrilol(?)- XD
Per il momento i personaggi sono ancora pochi, ma presto ne appariranno altri -compreso il nostro sesto protagonista, che non è ancora entrato in scena :DDDD
Al prossimo capitolo!
Un bacio
;roby 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 -Si accendono i riflettori... ***


Capitolo 4.

Quando Hera entrò nel cortile, la prima cosa che notò fu la confusione che si era creata nel centro.
La ignorò, sapendo che si trattava di Terumi.
-Tadashi, buongiorno- disse cupo Demete, comparendo di fianco a lui.
-Perché così di malumore?- chiese Hera perplesso.
Demete scrollò le spalle. Né Kirigakure né Aporo erano con lui quella mattina ed Hera immaginò che il motivo fosse quello.
Il mancato gladiatore si riscosse e cominciò a guardarsi intorno.
-Aphrodisama non è con te?- domandò, morboso.
Hera scosse il capo, ancora incredulo della fissazione che Demete aveva per Terumi, non si sapeva se perché fosse famoso o perché fosse effettivamente bellissimo.
-No, sarà al centro di quella massa femminile- disse.
Demete si accigliò. -Ti sbagli, lì c'è qualcun altro- rispose.
-Cosa?- sbottò Hera incredulo. Ora i VIP a scuola erano due?!
-Penso che lo conosci anche tu, Tadashi, perché stava in classe con Aporo alle medie. E' quel ragazzo alto che indossa una maschera...-
Demete aveva appena finito di parlare che Hera riconobbe il ragazzo con la maschera, in quel momento legata dietro la nuca per mostrare un viso lucido e pallido su cui spiccavano gli occhi blu.
Non sembrava entusiasta alle attenzioni che le ragazze gli riservavano, ma nemmeno riluttante.
Era come se si fosse trovato lì per caso e si aspettasse di uscirne per caso.
L'occasione comunque gli venne data quando si scontrò con un ragazzino basso con i capelli verdi che tentava di raggiungere il portone.
-Ehi, ma quello non è Aporo?- esclamò Demete.
-Fai attenzione, spilungone!- gridò proprio Aporo alzando minaccioso un pugno. L'altro sorrise, forse ironicamente.
-Scusami, Hikarukun, non ti avevo visto- disse in un tono che doveva essere gentile ma sembrava palesemente provocatorio.
-Stai dicendo che sono basso?!-
-L'hai detto tu, non io...-
-Argh! Un giorno di questi ti spaccherò la tua maschera in faccia, e poi la tua faccia, Artemis!-
Il ragazzo di nome Artemis si fece una risata, quindi si voltò ed entrò in classe.
Le ragazze del suo fanclub lo seguirono, mentre Demete ed Hera si avvicinarono ad Aporo, che era rosso in viso e tremava di rabbia.
-Stai bene?- chiese Hera osservandolo.
Aporo esplose:- Sto benissimo grazie!- e poi se ne andò marciando rabbioso.
-Ecco perché era così nervoso- commentò Demete quando l'amico fu sparito. Sospirò.
-E' di nuovo in classe con Artemis... Non si sopportano proprio.- constatò.
-Tu dici? A me non pare...- disse Hera pensieroso. Demete alzò lo sguardo.
-Cosa vuoi dire?- chiese confuso.
Hera scosse il capo, certe cose si sentono a pelle e se Demete non l'aveva sentito allora non avrebbe capito.
Per come la vedeva lui, era ovvio che Artemis nutriva interesse per Aporo, e forse era ricambiato -così tutta quell'attrazione inespressa finiva con l'esprimersi in  odio compulsivo.
“Non male davvero” si disse Hera compiaciuto “Potrei fare lo psicologo...”
-Entriamo in classe- disse, ma non fece in tempo a voltarsi che un certo biondino gli volò fra le braccia.
-Aphrodisama...!- disse Demete e arrossì.
Hera alzò un sopracciglio, chiedendosi perché in quella situazione era lui ad arrossire: non era certo lui a cui Terumi si attaccava insistentemente addosso!
Scosse il capo, esasperato.
-Dove pensi di andare, Tadashi?- cinguettò Terumi. -Hai promesso di passare un giorno intero con me, l'hai dimenticato?
Demete sgranò gli occhi, fissando Hera con invidia.
Hera avrebbe voluto, invece, far finta di non aver sentito, o almeno sperava di aver sentito male.
Considerato che lui non ci teneva proprio, trovava l'invidia di Demete totalmente fuori posto: che ci andasse lui se gli piaceva!
-Te ne sei dimenticato, vero? Ma ieri la sfida a calcio l'ho vinta io- continuò Terumi imbronciato.
Hera finalmente capì di cosa si stava parlando.
-Stai scherzando! La sfida non può essere valida, ci hanno interrotti!-
-Ma una promessa è una promessa, Tadashi- insistette Terumi.
-Scordatelo- replicò immediatamente Hera.
Delle lacrime spuntarono agli angoli degli occhi di Terumi. Hera lo fissò sconcertato.
Demete invece cominciò ad agitarsi.
-Oh no, Aphrodisama, non piangere! Tadashi verrà con te, lo garantisco!- esclamò, afferrò Hera e con uno spintone lo spedì addosso a Terumi, che prontamente si attaccò al suo braccio.
-Demete...!- cominciò Hera, pronto a minacciare o insultare.
-Non preoccuparti, Tadashi, va' pure! Ti copro io!- gridò l'amico e scappò all'interno della scuola.
Ed Hera iniziò immediatamente a preoccuparsi, ma non poté fare niente perché ormai Terumi e Demete avevano deciso.
Quando si furono allontanati abbastanza, Hera si lasciò andare ad un sospiro.
-Era davvero necessaria quella sceneggiata?-
Terumi fece un'espressione innocente del tipo “Ma chi? Io?”
-Hai addirittura finto di piangere... Demete è proprio un allocco.-
Dopo questo, Terumi scoppiò a ridere.
-Sono bravo a recitare, vero?-
-Così bravo che a volte mi chiedo quand'è che tu non reciti...-
-Beh, è semplice. Quando sono con te.- replicò Terumi pensoso. -Anche perché ho la sensazione di non riuscire ad ingannarti.-
-E di questo vado fiero.- ghignò Hera. Terumi gli tirò uno schiaffo sul braccio, poi continuò a trotterellare come se nulla fosse.
-Dove andiamo?- si costrinse a chiedere Hera, ormai rassegnato.
-Felice che tu l'abbia chiesto- Terumi sorrise, leggermente. -Si va a lavoro!
Hera non capì il significato di questa esclamazione finché non arrivò di fronte ad una palazzina con un enorme giardino, nel quale erano stati sistemati alcuni cartelloni, carta vetrata per riflettere la luce, riflettori, e gruppi di persone usavano macchie fotografiche di nuovo e vecchio stampo, provavano inquadrature, filavano e abbinavano vestiti, mettevano in ordine i trucchi ecc.
Una vera troupe.
-Buongiorno! Oggi ho portato un amico!- gridò Terumi balzando nel mezzo di quel nucleo lavorativo.
Parecchie persone alzarono la testa per salutare Terumi e squadrare da capo a piedi Hera, il quale si ricordò quanto odiava essere al centro dell'attenzione altrui: ma quando era con Terumi, ciò sembrava inevitabile.
-Aphrodi...- disse una donna che indossava la cosa più antiestetica che Hera avesse mai visto, ovvero una giacca giallo canarino a maniche lunghe.
-Oggi hai il servizio con me. Saginuma ti informerà sugli abiti che devi indossare, e Atena penserà al trucco. Vai subito- ordinò.
Terumi annuì, afferrò Hera per il braccio e lo trascinò con sé. Il ragazzo, ancora annichilito dalla giacca giallo canarino, non oppose resistenza.
L'unica cosa in comune fra Saginuma e Atena era l'uso della coda di cavallo per i capelli.
Per il resto, Saginuma era un ragazzo più alto della media, di carnagione molto pallida che faceva molto contrasto con i capelli neri; Atena invece aveva i capelli biondi, carnagione abbronzata ed era alto come Terumi.
Diligenti al lavoro, si occuparono di Terumi per il successivo quarto d'ora, mentre Hera s'intratteneva...
...ammirando le modelle che posavano dall'altra parte del giardino.
Una ragazza bellissima con lunghi capelli ricci e rossicci gli lanciò un sorriso sfuggevole, poi però tornò a far coppia col suo partner di lavoro e -lo intuì da come si guardavano- di vita, un ragazzo scuro con i capelli blu.
Hera si lasciò sfuggire un sospiro.
-Ehi- borbottò Terumi, comparendogli davanti con le mani di fianchi. Indossava un pantaloncino bianco-azzurro sotto cui s'intravedeva un leggins nero inguinale, una maglia bianca-azzurra solcata da un panno che gli attraversava diagonalmente il petto, dalla spalla sinistra al fianco destro.
-Non ti ho portato qui per sbavare dietro alle modelle!- osservò, imbronciato. -Tu devi fare attenzione solo a me, capito?-
Hera scrollò le spalle. Terumi lo prese per mano e lo fece spostare, in modo tale che non avesse più la minima prospettiva di quelle modelle.
Era strana quella sorta di gelosia che mostrava, ed Hera si trovò a chiedersi se fosse geloso di attenzioni o delle sue attenzioni.
Nel caso di Terumi, era davvero difficile distinguere queste due specificazioni quindi era meglio non starci su troppo.
-Piuttosto, ti piaccio?- chiese Terumi, calzando dei sandali rossicci. Atena gli pose in capo una corona di alloro.
-Chi dovresti essere scusa?- 
-Ma come! Secondo te perché mi chiamano “Aphrodi”?!-
-Beh...- Ora che ci pensava, Demete gliel'aveva anche detto, ma gli era passato di mente. 
-Scusa, tendo a dimenticare facilmente ciò che non mi interessa.- disse, apatico, e fece spallucce.
Terumi gli diede un altro schiaffo sul braccio. Hera gli bloccò la mano e alzò un sopracciglio.
-Vediamo di toglierci questa brutta abitudine eh?- commentò.
Terumi avvampò e si liberò della presa.
-Aphrodite. La dea della bellezza! Io sono una divinità!- scandì, quindi si voltò offeso e andò verso la donna canarina.
Hera non riusciva a distogliere lo sguardo da quel giallo brutto oltre l'impossibile e che proprio per questo annullava ogni sua capacità mentale, nella sua mente c'era il vuoto...
No anzi, c'era il giallo...
Nel momento in cui credette di vedere canarini volargli intorno alla testa, Terumi lo chiamò risvegliandolo dalla sua trance.
-Tadashi! Vieni un momento!- gridò sventolando la mano verso di lui.
Atena gli venne incontro e gli sorrise, invitandolo a seguirlo.
Hera obbedì a lui pur di non obbedire a Terumi e lo seguì finché non si trovò di fronte alla donna canarina, che cominciò a squadrarlo da capo a piede.
“Ma che vuole questa?! Oddio, non riesco a guardarla... quel giallo canarino mi sta dando il tormento...!” pensava Hera, al quale era venuto anche un tic all'occhio.
-Tadashi, mi ascolti oppure no?!- esclamò Terumi passandogli la mano davanti alla faccia. Hera sbatté gli occhi due volte per ritornare alla realtà.
-Hitomiko vorrebbe che tu facessi alcuni scatti con me- continuò Terumi emozionato. La donna canarina annuì.
-No, grazie- disse Hera deciso, indietreggiando.
Si scontrò con Saginuma, che lo afferrò per le spalle. La donna canarina fece un sorriso malefico.
-Caro, alle mie richieste non ci sono rifiuti. Saginuma, Atena, occupatevene voi- ordinò e schioccò le dita.
Prima ancora che Hera potesse anche solo pensare una fuga, Saginuma lo trascinò via in un camerino pieno di vestiti.
 Gli diede un completo simile a quello di Terumi e rimase a fissarlo.
Hera alzò un sopracciglio. -Posso cambiarmi da solo- sibilò.
Saginuma scrollò le spalle e uscì. Hera, rassegnato, chiuse le tende del camerino e si cambiò.
Quando aprì le tende, si trovò Atena di faccia.
-Credimi so bene come ti senti, io sono abituato ad essere sballottato di qua e di là da Hitomiko e Aphrodi.- disse sorridendo.
-La tua vita deve essere un inferno.- commentò Hera. Atena rise.
-Beh sì- rispose. -Ma sai, Aphrodi non è tanto male se lo conosci. Mi sembra affezionato a te perciò capirai cosa intendo... prima o poi.-
E se ne andò. Hera uscì poco dopo, Terumi gli saltò addosso e gli ficcò una tiara dorata in testa poi rimase a fissarlo ammaliato.
-Sei bello come una divinità- mormorò.
Hera se lo staccò di dosso e lo scrutò in volto, ma il biondino si girò e tornò dalla donna canarina.
Hera si rese conto in quel momento che il biondino era arrossito.
-Fantastici, ecco a voi il grande ritorno di Aphrodite ed Era, le dee della bellezza e del focolar domestico- sussurrò la donna canarina con un sorrisetto.
E cominciò il servizio fotografico.







xxx

**Angolo dell'Autrice**
Salveeee.
Finalmente in questo capitolo è apparso il sesto protagonista, Artemis :))
Anche se forse la sua apparizione è passata un po' inosservata a causa della forte presenza di HerAfu -che di certo non sarà sfuggita ai fan della coppia-, vi assicuro che Artemis è un personaggio molto interessante e avrà un ruolo importante nella storia :DDDD
Non a caso, è uno dei giocatori della Zeus che mi piace di più!
Ah, come ho detto, c'era molta HerAfu in questo capitolo, ma anticipo che nel prossimo ce ne sarà un'overdose~
Ci vediamo nel prossimo capitolo!
Un bacio, 
roby 




 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 -Appuntamento in spiaggia? ***


Capitolo 5.

-Grazie a tutti per l’ottimo lavoro, ci prendiamo una pausa.-
Con l’annuncio della donna canarina, la troupe si disperse in cerca di un caffè decente e ricominciò il brusio delle voci.
Hera aveva la fastidiosa sensazione che molti commentassero l’ambiguo rapporto fra lui e Terumi, rapporto al quale d’altronde neanche lui sapeva dare un nome.
In effetti, erano solo compagni di classe e si conoscevano pochissimo, per quanto Hera avesse la sensazione di aver colto qualche frammento della vera natura di Terumi.
Quasi come dovesse ricostruire un puzzle.
-Ehi, novellino, ottimo lavoro- gli disse la donna canarina interrompendo il filo logico dei suoi pensieri.
Hera spostò lo sguardo dalla giacca giallo canarino al biglietto che gli stava porgendo.
-Tu e Aphrodi fate una bella coppia. Se t’interessasse fare altri scatti, contattami- disse, si ravviò i capelli e se ne andò sculettando verso Saginuma, con cui si prese un caffè.
-Non m‘interessa- le gridò dietro Hera, ma lei parve non sentire.
Atena comparve dietro di lui, sorridente come al solito.
–E’ inutile- lo informò –Lei dice così, ma in realtà sarà lei a contattarti. Mi spiace ma temo che tu le piaccia, forse perché siete sim…-
-Non osare dirlo o ti taglio tutti i capelli- tagliò corto Hera, infastidito dall’idea che il suo carattere potesse anche solo lievemente somigliare a quello della donna canarina.
-Dov’è Terumi?- chiese, impaziente di tagliare la corda.
-Oh, lui non sopporta il caffè, è troppo amaro. Preferisce il milk-shake di quel bar- disse Atena e indicò un piccolo bar all’angolo della strada. Hera scrollò le spalle.
“E io dovrei anche rimanere qui ad aspettarlo?” si chiese, si girò verso Atena per dirgli che lui andava ma il biondo era sparito.
Hera si trovò a chiedersi se ci fosse almeno una persona normale in quella troupe, considerato quelli con cui aveva avuto a che fare quella mattina.
Sospirò e si voltò, fermamente intenzionato ad andarsene.
Come aveva potuto farsi trascinare lì? Era tutta colpa di Terumi, se ora si trovava in quella gabbia di canar… matti. 
“Possibile che non riesca a togliermi i canarini dalla testa stamattina?!” si disse scioccato.
Si era appena avviato sulla strada per casa, quando una voce lo chiamò.
Si voltò e si trovò di fronte Terumi.
Il biondino ora indossava un capellino alla francese, occhiali da sole rosa scuro, una maglia larga con la scritta “Love Japan” e pantaloncini di jeans, e a chiudere il quadro le converse con lacci diversi e coloratissimi. Stava bevendo del milk-shake da un bicchiere di cartone e aveva un sorriso malizioso.
-Dove credi di andare? Devi passare con me l’intera giornata, ricordi?-
Hera schioccò la lingua, seccato: dannazione, non riusciva proprio a liberarsene.
Ricominciò a camminare, stavolta con Terumi al seguito.
-Dove mi porti?- chiese il biondino.
-Non lo so, dove ti pare- fu la risposta.
Terumi cominciò a riflettere intensamente, quindi esclamò:- Mi porti in riva al mare?
-Se ci tieni.-
-Evviva!-
Imboccarono una lunga e stretta stradina, che Hera usava come scorciatoia per arrivare alla strada del litorale.
Era affollata come al solito di ragazzi che avevano fatto filone da scuole, turisti e bancarelle di gioielli e souvenir.
Camminando lungo un muretto nel quale prima o poi doveva esserci l’apertura per la spiaggia, Terumi terminò il milk-shake e ne buttò il contenitore in un cestino.
Poi decise che il silenzio era durato fin troppo.
Improvvisamente fece un mezzo giro in modo da mettersi davanti ad Hera e gli posò le mani sulle spalle, costringendolo a sedersi sul muretto, e quindi lasciò scivolare le braccia finché non fu il gomito a stare sulla spalla e le mani erano intrecciate dietro la schiena dell’altro.
-Allora… mi porti a fare una romantica passeggiatina sulla riva, o preferisci stare qui a baciarci?- domandò, malizioso e seducente, e avvicinò il viso al suo.    
Hera sospirò, poi allungò una mano sul viso di Terumi e lo accarezzò, lentamente…
…quindi afferrò il cappello e glielo tirò sulla faccia, spingendolo via.
-Ma va’, va’- disse ironico –Piuttosto perché questo abbigliamento bizzarro?
Terumi si alzò il cappello esibendo il suo broncio.
-Sei un mostro, come puoi trattare così un ragazzo tanto carino?- piagnucolò.
–E comunque l’abbigliamento mi serve per non farmi riconoscere, sono un modello famoso, ricordi?- aggiunse sdegnato.
-Ah, capisco- rispose Hera ignorando totalmente la prima parte della frase.
Si era scocciato di camminare in strada, perciò fece passare le gambe dall’altra parte del muretto e saltò già, erano appena cinque metri da lì alla sabbia.
Poi alzò la testa.
-Che fai? Non scendi?-
-No… è troppo alto.-
-Stai scherzando?-
Hera guardò Terumi incredulo, ma il ragazzo esitava. Sospirò e tese le braccia.
-Dai, ti prendo.-
-Non mi fido, sei cattivo.-
-In effetti…-
-Lo vedi?!-
-No, dai, ti prendo.- insistette Hera lasciandosi sfuggire un sorriso.
Terumi si convince a salire sul muretto, si sedette e si lasciò scivolare giù piano finché le braccia di Hera non trovarono il suo corpo e lo sollevarono per poi fargli toccare terra delicatamente.
-Uomo di malafede- lo sfotté Hera, lasciandolo. Terumi gli fece la linguaccia.
Hera credette che fosse arrossito di nuovo, ma poteva benissimo essere la luce.
Terumi iniziò a fissare intensamente il mare. –Che bello.- commentò.
-Che c’è? Ti vuoi fare una nuotata?- domandò Hera scherzoso. Terumi scosse il capo scandalizzato, quasi come se fosse spaventato, e ciò lo insospettì.
-Beh, che ti prende ora?- insistette.
Silenzio.
-Se non vuoi dirmelo, allora me ne vado- Hera fece per andare, ma il biondino lo trattenne.
-…Io…- Terumi esitò, mordendosi il labbro –Io… n-non so nuotare…
Hera lo fissò accigliato, poi rise.
–Davvero? Non ci credo!- esclamò. Terumi avvampò.
-Ehi! Non prendermi in giro!- protestò gonfiando le guance come un bambino capriccioso.
Poiché Hera continuava ridere di lui, il ragazzino cominciò a tempestarlo di pugni.
-Okay, okay, basta, Mi fai male!- si lamentò Hera – Non rido più, ma basta!-
-Cattivo!- esclamò Terumi tirandogli un ultimo schiaffo sul braccio.
Hera intercettò la sua mano e la bloccò nella sua, e fece lo stesso con l’altra per impedire di essere colpito con quella.
-Non ti avevo detto di smetterla con questa brutta abitudine…- cominciò e s’interruppe, sorpreso.
Terumi era diventato rossissimo, forse perché erano davvero vicini o forse per l’imbarazzo, comunque era strano: non era né il solito angelo né il solito diavolo.
Hera stava per commentare, ma d’improvviso una folata di vento si portò via il cappello di Terumi, rendendolo evidente a tutti.
-Oh no!- scattò il biondino cercando subito qualcosa con cui coprirsi.
Stavano passando in quel momento delle ragazze, che lo fissavano in modo strano.
-Mi riconosceranno! Hitomiko mi ucciderà! Aiutami!- piagnucolò Terumi. Hera sbuffò.
-Vuoi calmarti?- disse e lo abbracciò, in modo tale che il biondino avesse il volto nascosto contro il suo corpo.
Le ragazze squittirono, prese dal romanticismo del momento molto più di quanto non lo fosse Hera stesso, per il quale il gesto non aveva un significato particolare.
Rimase così finché le ragazze non se ne furono andate, poi si accertò che non ci fosse nessun altro, e quindi si staccò da Terumi.
–Stai bene? Certo che sei un incapace…- osservò.
Terumi non fece caso alla battuta ma mormorò solo un “Sì, sto bene” molto nervoso.
Calò il silenzio per alcuni minuti, poi Terumi disse in fretta:- Ora voglio andare a casa.
Hera lo guardò sorpreso. “Ha fatto tutte quelle storie per stare con me l’intera giornata e ora se ne vuole andare?! Certo che è un tipo contradditorio” pensò.
-Ti devo accompagnare?- chiese sperando in un no.
Che poi fu esattamente la risposta che ottenne. –Mi verrà a prendere Atena- mormorò.
Chiamò col cellulare e aspettò finché non venne Atena in motorino, quindi Terumi si infilò il casco e lo salutò e se ne andò.
Hera non riusciva a spiegarsi il motivo di quel comportamento anormale… un momento, ma perché, solitamente Terumi era normale?!
Scrollò le spalle e non trovando niente di meglio da fare passò il resto del pomeriggio a cercare quello stupido cappello.  





xxx

**Angolo dell'Autrice**
Ciaooooooo.
Finalmente un po' di sana HerAfu, nee? Sono proprio carini questi due insieme ♥
E con il trascorrere del tempo, diventeranno ancora più carini -per la gioia di Tadashi, ahahaha. Ho l'impressione che lui non sia il tipo da cose sdolcinate
L'idea dell'appuntamento in spiaggia mi è venuta da esperienze personali. Beh, il mio non era un appuntamento, ma una semplice uscita fra amici in Sicilia: stavamo camminando lungo il lido quando alla mia amica è volato via il cappello e abbiamo passato il resto della serata ad inseguirlo... 
Mi sa che è proprio così che Hera passerà il resto della sua giornata, ahaha ♥ 
Dal prossimo capitolo anche gli altri personaggi acquisteranno più spessore. Non vedo l'ora di sviluppare questa storia!
Kisses,
roby

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 -L'uscita del God Knows. ***


Capitolo 6.

Dannata borsa!
Questo, ma in forma molto più volgare, era ciò che stava pensando Aporo, mentre si trascinava dietro la borsa contenente i suoi libri, più la roba per il calcio. Più che una borsa, gli sembrava di portare un macigno.
Ancora un po', e avrebbe dovuto trascinare anche sé stesso.
-Che stai combinando, nanerottolo?-
Poco dopo che tale voce arrogante aveva parlato, qualcuno afferrò la borsa per un lato e la sollevò da terra, sollevando anche Aporo.
Il ragazzino alzò lo sguardo intenzionato a sbattere lì la sua opinione, peraltro non molto gentile, ma i suoi occhi verdi oliva si scontrarono con un paio di occhi blu scuro. Rimase per un momento ammutolito da tanta bellezza.
-Ti sei incantato?- lo prese in giro l'altro. Solo allora Aporo smise di annegare nel blu dei suoi occhi e cominciò a dimenarsi.
-Artemis, maledetto bastardo! Mettimi giù!-
-Accidenti, come sei sboccato, non si addice per niente ad un nanerottolo...-
Aporo arrossì e digrignò i denti. -Mettimi giù, maniaco narcisista.-
-Io volevo solo aiutarti a portare la borsa... Sembra un po' troppo pesante per te- obiettò Artemis e rise. Aporo non ci pensò su due volte.
Gli tirò un calcio, all'unico posto che era alla sua altezza.
Artemis, preso alla sprovvista dal dolore, mollò la borsa e si piegò in due, tenendo una mano sul posto ferito e l'altra contro il muro, per appoggiarvisi.
Aporo cadde a terra in perfetto equilibrio, si mise la borsa in spalla e sbuffò.
-Così impari, spilungone- disse -Essere bassi non è sempre uno svantaggio!
Poi gli fece la linguaccia, si girò e corse via.
Artemis, nonostante la sofferenza, continuò a ridacchiare fra sé.
-Che caratterino... ma è per questo che mi piace.- commentò, ma Aporo era già troppo lontano per poterlo sentire.
Il ragazzino con i capelli verdi andò dritto sparato al campo da calcio, dove trovò solo le matricole e alcuni ragazzi del secondo anno di liceo.
Di Hera, Kirigakure e Demete, nessuna traccia.
Almeno non in campo.
Scrutando meglio infatti Aporo vide Hera seduto su una panchina, con l'aria di chi gradirebbe volentieri un proiettile in testa.
-Che succede? Perché non vi state allenando?- chiese Aporo avvicinandosi a lui, sorpreso. Hera scrollò le spalle, posò i gomiti sulle ginocchia e appoggiò la testa sulle mani.
-Lo capirai- disse- E' in corso una lite familiare...
-Senti, un po', Mr-Il-Mio-Elmetto-Mi-Fa-Sentire-Figo!!! Tu non hai il diritto di dirmi cosa devo fare e con chi!!!- gridò Kirigakure in quell'esatto momento.
Aporo sobbalzò e lasciò cadere la borsa. Poi, ancora stordito, volse l'attenzione ai suoi due migliori amici che stavano discutendo proprio là davanti.
-Io non ho detto che non devi frequentare i tuoi nuovi amici, ma che potevi almeno avvisarmi prima di uscire e lasciarmi solo come un ebete!- replicò Demete spazientito, poi passò una mano sull'elmo -E comunque, tieni fuori il mio elmetto da questa faccenda!
-Ah! Ami quel pezzo di latta più dei tuoi amici, vedo! Psicopatico!-
-Io psicopatico?! Non sono certo io che va' in giro lanciando shuriken a tutto ciò che si muove insieme ad altri amichetti che fanno la stessa identica cosa!-
-Vedi che ce l'hai con i miei amici?! Continui a tirarli in ballo!-
-Ma anche se fosse! Ultimamente vai sempre in giro con i tuoi nuovi amici, e ti dimentichi spesso di quelli vecchi- Demete incrociò le braccia, imbronciato.
-Io non mi sono mai dimenticato di te... al contrario di te, che sbavi tutto il giorno dietro a “Aphrodisama”...- replicò Kirigakure abbassando lo sguardo.
-E' un idol, è ovvio che lo ammiri... anche tu hai ammesso che è carino!-
-Sì, ma non ci sbavo dietro come fai tu!-
-Sentite, ragazzi... non sarebbe il caso di allenar...- li interruppe Aporo, ma Kirigakure e Demete scattarono all'unisono.
-TU STANNE FUORI!- gridarono, si fissarono per circa un minuto e quindi si voltarono in direzioni opposte, entrambi imbronciate.
-Scusate- balbettò Aporo.
-Tra moglie e marito non mettere il dito~- li canzonò Hera.
Sembrava, comunque, che la tempesta si fosse placata per il momento, anche perché finché Demete e Kirigakure non si parlavano non potevano certo urlarsi contro.
Hera sbuffò davanti alla loro ostinazione infantile: era talmente ovvio che erano gelosi l'uno dell'altro. Perché non riuscivano a dirsi una cosa così stupida? Eppure non era una cosa difficile...
E a proposito di “Aphrodisama”, lui era un altro essere incomprensibile.
Dopo la loro uscita, in cui l'aveva prima trascinato e poi scaricato, Terumi si era assentato per... quello era il terzo giorno.
“Ma che me ne frega, poi?” si disse all'improvviso, scioccato “Non sarò mica... preoccupato per quello stupido biondino?!”
-Non ci credo! Sembra davvero una ragazza!-
-Che dici! Aphrodi è meraviglioso!-
-Ma questo... non credete che assomigli terribilmente al senpai Hera?-
-Hai ragioneee! Ma non è possibile!-
-Di che stanno parlando quelli?- chiese Aporo, la cui curiosità era stata di nuovo smossa da due ragazze del club, che stavano sfogliando una rivista.
-Ma quello è l'ultimo numero di “God Knows!”- esclamò Demete risvegliandosi anche lui. Kirigakure, Hera e Aporo gli lanciarono uno sguardo sconcertato mentre correva a vedere la rivista.
-Posso?- disse e prese la rivista dalle mani di una delle due ragazze. Gli occhi gli brillavano mentre guardava le foto di Terumi.
-Che idiota- commentò Kirigakure scuotendo il capo. Hera annuì.
Poi, improvvisamente, Demete alzò gli occhi dalla rivista e guardò Hera con un ché di sconvolto e perplesso.
-Tadashi...- mormorò.
-Che vuoi?- tagliò corto Hera.
Demete girò la rivista, mantenendola aperta con una mano su una pagina rosea su cui spiccava la foto scattata a lui e Terumi in vesti di divinità. Hera si grattò dietro la nuca e fece spallucce.
-Mi sono trovato lì e mi hanno chiesto di farlo. Mi hanno anche pagato- disse.
E qui si scatenò il putiferio.
Le ragazze lanciarono un urlo di sorpresa in preda ad un attacco di fangirlismo (??) acuto.
Demete sembrava incapace di spiccicare parola, mentre Kirigakure e Aporo si precipitarono a guardare la foto. O meglio le foto, perché la donna canarina aveva pubblicato vari scatti.
-Che figo, Tadashi- commentò Kirigakure e fischiò.
-Sei fotogenico- aggiunse Aporo -Sembri fatto apposta per stare lì con Terumi!
-Così non mi fai un complimento…- replicò Hera scuotendo il capo.
-Senpai Hera, sei amico di Aphrodi?!- chiesero le ragazze all'unisono.
Hera ci rifletté per qualche minuto, poi rispose:- No... non esattamente.-
-Allora perché eri lì?!- replicò Demete recuperando finalmente la favella.
-Perché avevo accidentalmente promesso a Terumi di uscire con lui, e così abbiamo fatto... Mi ha trascinato lì, e anche al mare.- Hera fece spallucce.
-Un appuntamento, in pratica! Mammina non sapeva che il suo piccolo Tadashi fosse cresciuto tanto!- fece Kirigakure malizioso.
-Non era un appuntamento... più o meno- sottolineò Hera, ma Kirigakure, il cui udito era da sempre molto selettivo, fece finta di non averlo sentito.
-Ooooh, Tadashi, ma allora è vero che è il tuo ragazzo!- continuò allegro.
Hera lo fulminò con lo sguardo. -Ti consiglio vivamente di pensare ai tuoi affari di cuore, mammina- sillabò.
Kirigakure accusò il colpo e si zittì.
-Se ad Aphrodi piacciono i tipi come te, Tadashi, non c'è speranza!- piagnucolò Demete. -A parte il caratteraccio, resti bello come un dio!
Kirigakure incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio. Aporo scosse il capo, sconcertato dalle varie seccature della giornata, fra cui non ultimo Artemis. Le due ragazze continuavano a spettegolare fra loro.
E Hera, in quel momento, pensò di nuovo a Terumi, nel giorno del loro “appuntamento”.
Anche lui aveva detto che “era bello come un dio”, quando si era dovuto vestire da Era, ma detto da Terumi aveva avuto un tono diverso.
Demete scherzava (almeno sperava che stesse scherzando), ma Terumi era stato terribilmente serio... più serio di quel che si addiceva al suo solito atteggiamento sbarazzino: per un momento, gli era sembrato sinceramente ammaliato. Ma era stato un attimo.
Hera sapeva benissimo che Terumi si divertiva solamente con lui, perché lui era l'unico a non trovarlo carino. D'altronde, lo stesso Hera pensava di non trovarlo carino.
Ma in effetti, realizzò in quel momento, che fosse carino lui lo aveva pensato.

Lo aveva pensato,  per la prima volta, quando era stato scaricato sulla spiaggia.



xxx


**Angolo dell'Autrice**
Ciaooooo. 
Stavolta ho aggiornato abbastanza presto, nee? ~
E' una cosa davvero rara, considerato che sono una lumaca addormentata (?) nell'aggiornare le mie fic
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :DDDD
Che novità: Hera comincia a trovare Afuro almeno sopportabile. Ma non vi preoccupae, piano piano si accorgerà che gli piace sempre di più XD
E' che Hera io me lo immagino come un tipo un po' lento. Non stupido, ma lento. Le cose lui le fa solo quando ha voglia. 
Afuro invece è il tipo impaziente e ostinato, ed ecco perché questi due hanno non pochi problemi ad andare d'accordo, MANNONCAPISCOH.
Demete e Kirigakure mi piacciono un sacco come coppia, e anche Artemis e Aporo ♥
Kisses,
roby


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Capitolo 7
*** Capitolo 7 -Incidenti e scherzi acquatici. ***


Capitolo 7.

Lezione di nuoto.
La piscina brulicava di studenti in calore che sbavavano di fronte ai vistosi bikini delle compagne. Ed era pur sempre un’ora di lezione, perché mettersi in mostra?
Hera era seduto a bordo piscina, in un normalissimo costume nero a pantaloncini, sospirando.
Odiava dover stare a mollo per una giornata intera, odiava mettersi il costume e odiava…
-Senpaiiiii! Ti prego, facci fare una foto con teeee!-
questo.
-Non mi va- rispose seccato.
Le ragazze non lo sentirono nemmeno, accorsero tutte vicino a lui e si scattarono le foto, per poi fuggire ridacchiando.
Da quando era apparso sulla rivista (come cavolo si chiamava??) con Terumi era diventato quasi un nuovo idol.
Non che prima non fosse popolare… ma non era bersaglio di foto, autografi e vari, e le ragazze non gli venivano appresso in modo così plateale; invece, ora persino le più timide trovavano il coraggio di avvicinarglisi e parlargli.
Cosa che, 
ad Hera, dava molto fastidio.
-Maledetto Terumi- borbottò -Per colpa sua sono sempre al centro dell’attenzione…-
-Non dovresti sparlare delle persone mentre non ci sono- obiettò una voce.
Hera alzò la testa e vide Terumi in piedi di fronte a lui, con le mani sui fianchi e indosso un costume sundek azzurro a fiori blu.
Sembrava piuttosto imbronciato.
-T’oh, oggi sei venuto- commentò Hera, contando mentalmente le sue assenze: solo cinque… la scuola era iniziata da poco, dopotutto.
-Già- borbottò Terumi, sedendosi vicino a lui. Si passò una mano fra i capelli, tirandoseli indietro per farsi una coda di cavallo, mentre dondolava i piedi a pelo d’acqua.
-In realtà, non ci volevo venire. Ero fermamente intenzionato a fare filone oggi, ma stamattina alle sette e mezza Hitomiko si è presentata a casa mia come una furia e mi ha spedito qui a calci. Dice che nei giorni in cui non lavoro devo andare a scuola. Che rottura- spiegò.
Hera annuì, la donna canarina era già a prima occhiata una a cui non si può dir di no.
-Comunque, non ho intenzione di entrare in acqua- affermò Terumi, torturandosi una delle due ciocche di capelli rimaste libere sulle orecchie.
–Bleah. Sai quanti germi- Fece una smorfia.
Hera scrollò le spalle. –Io invece temo che dovrò fare le gare- sospirò.
-Vado a prepararmi- aggiunse, si alzò e calzò le infradito. Si diresse verso gli spogliatoi, tirò fuori l’asciugamano e in quel momento notò Artemis che si stava cambiando.
- Arute…- mormorò. L’altro si girò e gli sorrise.
- Oh, Tadashi- salutò –Non ci parlavamo da un po’, vero?
- Già… tu sembri troppo occupato a perseguitare Aporo…-
-L’hai notato?- Rise. –Ho una fissa per quel ragazzino, ma lui non capisce perché. Divertente.-
-Quello non capisce proprio niente- commentò Hera scuotendo il capo.
-Ma anche tu ti stai dando da fare, ho saputo- disse Artemis. Hera lo guardò accigliato.
-Non avrai creduto anche tu a quella storia con Terumi?!- esclamò.
Artemis scoppiò a ridere.
–Scherzi? Ti conosco da quando stavamo alle elementari… so che non ti piace stare sotto i riflettori… Ti ci hanno cacciato dentro a questa storia, eh?-
-Puoi dirlo forte- borbottò Hera. Prese l’asciugamano e uscì, seguito dall’amico.
In realtà, la compagnia di Terumi non gli dispiaceva.
Anzi, dopo aver imparato a sopportare il suo lato falsamente dolce, era addirittura una persona piacevole, come gli aveva detto Atena.
“Se solo non si mettesse sempre in mostra” pensò osservando il biondino ovviamente circondato di ragazze che dispensava sorrisi, occhiolini e felicità. 
Raggiunse Demete e Aporo a bordo vasca. Il ragazzino con i capelli verdi sobbalzò vedendo Artemis e si mise sulla difensiva. Artemis gli sorrise. Aporo rabbrividì.
-Che ci fai con questo tipo odioso, Tadashi?!- chiese orripilato.
-Eh? Arute, intendi?- Hera fece spallucce –E’ mio amico da un po’, sai. Non te n’eri accorto?-
- Già! Io e Hecchan siamo amici dalla quinta elementare!- affermò Artemis mettendo un braccio sulle spalle del compagno.
Hera si liberò della presa e sbuffò:- Da dove cavolo l’hai tirato fuori quel soprannome?!-
-Ma come! Ti chiamavo sempre così alle elementari!-
-Cretino!-
Aporo nel frattempo si era allontanato sempre di più fino a nascondersi dietro Demete.
-Che schifo!- strillò –Tadashi, mi hai deluso!
- Su, non fare lo schizzinoso, anche noi siamo amici vero?- Artemis sorrise.
–C-che vuoi?! Stammi lontano, maniaco!- strillò Aporo. Non l’avesse mai detto. Artemis scoppiò a ridere, circondato da un’aura densamente sadica.
-Scusa Hecchan, ora io a Hikaru ci facciamo un bagnetto- disse in voce amabile, quindi afferrò Aporo per un braccio lo fece mulinare in aria e lo lanciò esattamente al centro della piscina.
-Caspita, è proprio leggero eh?- commentò coprendosi dal sole con una mano per osservare soddisfatto la lunghezza del lancio.
-Artemis! Che tu sia maledetto!- strillò Aporo emergendo e sputando acqua.
-Ahah! Vengo anch’io!- disse allegramente Artemis e si tuffò. Poi riemerse e cominciò a nuotare stile libero verso Aporo, che cominciò a battere i piedi freneticamente.
-Stammi lontano, stalkeeeeer!- strillava e fuggiva e Artemis lo inseguiva ridendo sadicamente.
Demete ed Hera rimasero a guardare la scena, con un leggero tic all’occhio.
Poi Hera decise che ne aveva abbastanza, anche perché aveva notato che Demete si passava freneticamente le mani fra i capelli.
-Problemi?- chiese felice di poter cambiare argomento.
-Naah, è solo che non mi piace stare senza il mio elmetto! Io non volevo toglierlo, ma il prof mi ha costretto!- rispose l’altro –Che bisogno c’era?! Tu che ne pensi, Hera?!
Hera immaginò l’amico affondare a causa dell’elmo di ferro e scosse il capo.
-Ma davvero sei così stupido?- sospirò. Demete mise il broncio.
- Non osare rivolgerti così a papà- lo rimproverò –E poi chi sarebbe lo stupido? Io, o quello che, con la scusa che i ninja devono allenarsi nell’attacco a sorpresa, va in giro apparendo alle spalle degli altri con non-so-quale-tecnica-ninja e buttandoli in acqua senza preavviso?!-
Hera voltò lo sguardo nella direzione indicata da Demete, dove Kirigakure e i suoi amici che facevano volare un ragazzo in acqua declamando “non-so-quale-tecnica-ninja”.
-In effetti, hai una bella concorrenza…- stava dicendo quando fu interrotto da un coro di strilli, sospiri e commenti maliziosi proveniente da un gruppo di ragazze della sezione F.
Avevano circondato Terumi, che ora al posto del sundek indossava un costume bianco con le righe laterali di palletes, così che il sole lo facesse brillare, più i capelli legati in due lunghi codini. A Demete ed Hera venne il secondo tic all’occhio della giornata, con la differenza che ora Demete rischiava anche di morire dissanguato.
Terumi li intravide e gli venne vicino.
-Le ragazze mi hanno costretto a cambiarmi… che ne pensi, Tadashi?- chiese, fece un giro su sé stesso e poggiò un dito accanto alla guancia, facendo l’occhiolino. Demete avvampò e quasi passò a miglior vita, mentre Hera si batteva il palmo della mano in fronte.
-Tu attiri troppo l’attenzione- commentò, esasperato.
In quel momento arrivò Kirigakure, evidentemente attirato da quella confusione, e si affiancò ad Hera.
–Che succede?- chiese curioso, poi notò l’abbigliamento vistoso di Terumi e l’aria sognante di Demete e fece due più due.
Sorrise, irritato, ed Hera capì che stava per fare qualcosa di poco carino.
-Ma che bel costume, sarebbe un peccato non usarlo non credi?!- esclamò, quindi prese Terumi per le spalle e lo sollevò da terra, lanciandolo letteralmente in acqua prima che chiunque avesse il tempo di replicare.
-Ma sei pazzo?!- gridò Demete uscendo dalla sua trance emotiva. Kirigakure sbuffò.
Hera rimase ad osservare il punto in cui Terumi era affondato, con la sensazione di essersi dimenticato qualcosa.
Poi il biondino riemerse, prendendo aria, e subito riaffondò.
E Hera si ricordò.
-Aveva detto che non sa nuotare- affermò, restando un attimo sorpreso.
“Ero convinto che Terumi mi stesse prendendo in giro… invece era vero?!” pensò.
-C-cosa? Non sa nuotare?- Kirigakure sbiancò. Demete stava per buttarsi, ma Hera lo precedette.
Nel momento in cui entrò in acqua, aprì gli occhi e individuò il biondino. Uscì un secondo per prendere abbastanza fiato, sentiva le voci concitate dei ragazzi, di Kirigakure che avvertiva il prof. Poi si rituffò. Nuotò fino a Terumi, gli cinse la vita con un braccio e risalì.
Terumi tossì, strizzando gli occhi, e istintivamente si aggrappò a lui.
Hera fece del suo meglio per tenere entrambi a galla mentre raggiungeva a fatica la parte della piscina in cui toccava.
Alle scalette, Demete e Kirigakure lo aiutarono a portare fuori Terumi e insieme mamma e papà lo distesero sul bordo. Hera uscì e si inginocchiò accanto a lui.
Il volto di Terumi era bagnato e pallido, con le labbra schiuse.
-E’ necessario il primo soccorso- disse il prof. Hera esitò, fissando ancora quel volto così bello e fragile.
Era presente quasi tutta la scuola…
“Dannazione! Sempre tutta colpa tua, Terumi!” pensò, mentre si chinava velocemente su di lui e poggiava le labbra sulle sue per la respirazione bocca a bocca.
Dopo circa tre minuti di soccorso, Terumi cominciò a tossire e si girò su un fianco per sputare l’acqua.
Aprì gli occhi, spaesato. – T-Tadashi?- balbettò.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, e molte ragazze esplosero in commenti e urla di gioia nel vedere il loro beniamino sano e salvo.
Demete aiutò Terumi a mettersi seduto, mentre gli ricordava in poche parole quel che era successo.
Terumi si portò le mani alle labbra, e rivolse ad Hera un’occhiata sconvolta.
Hera si ricordò improvvisamente del momento sulla spiaggia… ecco, anche adesso pensava che Terumi era carino, proprio ora che era indifeso e rosso in volto.
-Terumi!!!- gridò Kirigakure, facendosi spazio fra Demete ed Hera. –S-Stai bene?!
Terumi annuì, e il ninja crollò in ginocchio, sollevato.
-Meno… meno male- mormorò mentre alcune lacrime gli scivolavano dagli occhi.
Cercò di nasconderle asciugandole velocemente con i polsi, ma tanto se n’erano già accorti tutti.
-Saiji…- cominciò Demete, ma Kirigakure cominciò a gridare.
- Lo so che è colpa mia, va bene?! Era uno stupido scherzo, lo ammetto, ero geloso! Mi dispiace!- esplose e scoppiò a piangere più forte, gettando le braccia al collo di Terumi, che gli fece pat pat su una spalla. Hera e Demete assistevano scioccati.
-Su, su. Un ninja non dovrebbe piangere- disse Terumi sorridendo nervosamente – E poi va tutto bene, vedi, sto bene, grazie ad Hera… anzi…-
Si staccò Kirigakure di dosso e fece l’occhiolino, malizioso. –Se non fosse stato per te, non avrei avuto l’onore di essere baciato da Hera…- commentò ridendo.
Hera avvampò. –Non è stato un bacio! Era una respirazione!- esclamò.
Ecco, odiava quel suo atteggiamento.
Terumi si spostò una ciocca dal volto. –Certo, certo- lo liquidò.
Kirigakure e Demete scoppiarono a ridere, additando Hera, che avrebbe voluto strozzarli, ma per il momento si trattenne.
Era sollevato, dopotutto, che Kirigakure e Terumi andassero d’accordo, così Demete non avrebbe più rischiato la vita e l’amore sarebbe tornato a sbocciare fra mamma e papà.
-Ora basta acqua, non ne posso più, vado a cambiarmi- esclamò Terumi seccato, si alzò e si avviò. Quando gli passò affianco, però, si fermò un attimo.
-Grazie… Tadashi…- borbottò nervoso. -Non posso credere di esserti debitore in continuazione.- Arrossì e passò avanti.
Hera rimase immobile a fissarlo mentre se ne andava attorniato da ragazze preoccupate. 
Sulle sue labbra spuntò un sorrisetto divertito.




xxx
**Angolino estivo dell'Autrice**
Salveeeeee!
Certo che fa veramente caldo, anche se al momento sono in una casa così fredda che ci passano i pinguini (?) 
Un pinguino le offre un Kinder Pinguì
Mentre scrivo, ho continuamente voglia di gelato e savoiardi.

Passando al capitolo, mi sono sempre immaginata Afuro che non sa nuotare. Non so perché, ma è così. 
Kirigakure me lo immagino proprio così, irriverente e possessivo e con una grande faccia tosta. So che Demete e Aporo per il momento non fanno una gran bella figura, ma verrà il loro momento, non preoccupatevi. E Artemis... boh, semplicemente io l'adoro quel ragazzo xD 
Per quanto riguarda Hera... non so, ho la sensazione che sia sempre fuori posto (?)

Kisses,
roby

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - La matematica (e non solo) perseguita. ***


Capitolo 8.

Hera fissava le persone a cui aveva appena aperto la porta.
Gli stava venendo il tic all’occhio.
-Ciao tesorino! Non ci fai entrare?- esordì Kirigakure, mettendosi in una posa strana e facendo l’occhiolino.
Come risposta, Hera chiuse di scatto la porta, ma Demete fu abbastanza veloce da infilare il piede in mezzo. Aporo aiutava l’amico a tenere la porta aperta con le mani.
-Che cattivo! E dire che eravamo venuti a studiare da te tutti insieme!-
-Voi tre avete sempre questa pessima abitudine di venire senza preavviso!-
Anche Kirigakure si aggiunse alla lotta, e i tre amici riuscirono ad aprire la porta.
Hera indietreggiò sconfitto, scosse il capo e chiuse gli occhi
Poi sospirò, sbattendosi la mano in fronte.
- E stavolta vi siete portati anche lui- protestò, aprendo un occhio.
Il suo sguardo attento si posò sul biondino che indossava gli inconfondibili occhiali da sole rosa scuro, stavolta su una maglia azzurra larga e shorts bianchi.
- Volevo assolutamente vedere casa tua, Tadashi – cinguettò Terumi, stringendo le mani come in una preghiera.
Kirigakure mise il braccio attorno alle sue spalle e sorrise.
-Già! E poi Terumi è entrato nel nostro gruppo ormai!- esclamò.
-E chi l’avrebbe deciso?- borbottò Hera.
Domanda retorica, si rispose da solo: Mamma e Papà.
Scosse di nuovo il capo e fece largo, intimando a tutti di togliersi le scarpe e non fare guai. –Altrimenti vi ammazzo- aggiunse.
I ragazzi entrarono e chiusero la porta, quindi tolsero le scarpe ed entrarono nella casa.
La casa di Hera era in mezzo ad una strada, al primo piano di una palazzina composta di tante case attaccate l’una all’altra e perciò raggiungibile con delle scale.
Non era grandissima, ma del resto doveva bastare per una sola persona.
- Come sei ordinato- commentò Terumi attraversando la stanza d’ingresso, dove si apriva la porta a veranda, ed entrando nel salotto.
Al centro della stanza c’era un tavolo basso, con dei cuscini vicino. Kirigakure ne afferrò uno, lo lanciò in un posto e ci si sedette sopra.
Gli altri stavano per imitarlo, quando dalla cucina venne una voce.
-Ah, ma ci sono ospiti? Non me l’avevi detto…-
Al solo sentire la voce, Aporo ebbe un brivido che gli percorse tutta la schiena.
-Certo, non lo sapevo neanche io fino ad un minuto fa- rispose secco Hera.
Poi nella stanza entrò Artemis, scartando un pirulo, e sorrise ai presenti.
-Scusate, ero venuto a studiare con Hecchan visto che ha qualche problema in matematica… ma se vi do fastidio posso anche andarmene- disse, lanciando un’occhiata eloquente ad Aporo.
-Vaffan…-stava cominciando Aporo, ma Demete gli tappò la bocca con una mano.
-Ma come sei sboccato… ti trovo divertente, Hikaru- commentò Artemis.
Hera mi se una mano sulla spalla dell’amico. –Resta- disse.
Artemis annuì; era ovvio che non aveva mai avuto davvero intenzione di andarsene, ma voleva solo provocare Aporo.
-Allora studiamo!- esclamò Kirigakure.
E già dopo questa esclamazione, Hera ebbe un brutto presentimento.
Presentimento destinato a trovare fondamento.
Dopo soli dieci minuti, avrebbe voluto uccidere.
“Io non sono un asso in matematica… ma questi due sono delle teste di rapa!” pensò esausto mentre Artemis rispiegava per l’ennesima volta un problema a Kirigakure e Aporo.
Demete e Terumi, invece, non sembravano essere in difficoltà: una spiegazione gli era bastata e avanzata, e ora continuavano a studiare in pace.
Beh, in pace proprio no.
- Demeteeee! Aiutami!- piagnucolò Kirigakure gettandogli le braccia alla vita e affondando la testa nel suo petto. –La matematica mi perseguita!-
Demete arrossì impercettibilmente. –Ti capisco, ma cosa ci posso fare io?!- replicò.
-Artemis, io ho finito- annunciò Terumi facendogli gli occhioni. Hera lo fissò, sconcertato e disgustato: come poteva un essere umano sbattere le ciglia così velocemente?!
-Oh- disse Artemis, scorse velocemente il problema di Terumi e sorrise. –Perfetto. Bravissimo.-
-Wow, non solo bello ma anche intelligente- commentò Demete ammaliato.
Kirigakure, che era ancora abbracciato a lui, gli sferrò una testata micidiale nello stomaco e lo fece svenire per cinque minuti. Il ninja incrociò le braccia e voltò il capo, imbronciato.
-Davvero, Terumi, sei molto intelligente- aggiunse Artemis. Aporo sbuffò.
-Quante storie, è solo uno stupido problema- si lamentò.
Artemis si chinò verso di lui fino a sussurrare al suo orecchio:- Geloso? Ma se vuoi ti faccio una lezioncina privata…-
-NO GRAZIE!- strillò Aporo allontanandosi di scatto. Artemis tornò al suo posto, poggiando i gomiti sul tavolo e la testa sulle mani.
Sorrideva, con quel binomio di dolcezza e sadismo che lo caratterizzava.
-Perché no? Se fai bene il tuo lavoro, ti darò un premio~ ♥ - lo stuzzicò.
Aporo fece una smorfia mentre l’ennesimo brivido lo faceva sussultare, poi prese il suo quaderno e si trasferì vicino al corpo esanime di Demete.
Terumi nel frattempo aveva perso ogni interesse per lo studio.
-Tadashi, sono bravo vero?- chiese abbracciandosi al suo braccio.
-Non merito un premio anche io?- aggiunse malizioso. Hera lo guardò impassibile, quindi gli posò una mano in testa e gli fece patpat.
Una grossa vena pulsò sulla fronte di Terumi.
-Non sono mica un cane!- protestò, arrabbiato. Hera sorrise di fronte alla sua delusione per l’ennesima sconfitta subita.
“E’ così prevedibile” si disse.
Il biondino prese a guardarsi intorno nella casa, improvvisamente curioso.
-Tadashi… tu vivi da solo?- domandò.
-Sì- Risposta lapidaria. Hera rispose senza guardarlo negli occhi e non aggiunse altro.
Terumi capì che l’argomento era troppo delicato, e lasciò perdere.
-Senti..- cambiò argomento –Fra poco inizieranno le vacanze estive! Che programmi hai?-
-Aria condizionata e fumetti- fu la risposta semplice e secca. Terumi quasi non lasciò finire e gli parlò da sopra, con un tono falsamente esasperato. 
-Sapevo che non avresti avuto niente di meglio da fare- disse. –Ed io, essendo molto caritatevole e avendo pietà di te, voglio darti un biglietto per venirmi a trovare ogni volta che vuoi sul nostro “set”. Hitomiko mi ha chiesto di dartelo, ma l’idea è partita da me...-
-Non ne dubitavo- replicò Hera scuotendo la testa. –Non lo voglio…-
Terumi mise il broncio, frugò nella sua tasca e tirò fuori il biglietto.
-Dai, prendilo!- esclamò.
Demete si risvegliò momentaneamente dal suo coma:- Se non lo vuole lo prendo io!- ma Kirigakure, geloso, gli diede un’altra botta all’altezza delle costole e lo rimandò fra le braccia di Morfeo.
Stavolta si udì chiaramente il rumore dell’elmetto sbattere a terra, ed Hera si chiese quanto Demete si sarebbe sentito rintronato al suo risveglio. 
Approfittando di questa sua distrazione, Terumi gli ficcò il biglietto in mano.
-Non accetto rifiuti- ribadì e incrociò le braccia al petto. Hera sospirò, si alzò e mise il biglietto in un cassetto di un comodino su cui poggiava una piccola tv tondeggiante.
 -Verrò solo quando ne avrò voglia- affermò, mite.
-Se mi devo affidare a te…- mormorò Terumi sarcastico. Poi il suo cellulare emise un lungo squillo e lui si alzò di scatto. –Ah, è il segnale di Atena, devo tornare al lavoro!-
-Oh, te ne vai di già?- domandò Kirigakure deluso, poi sorrise:- Ma verrai altre volte vero??
-Certo, come perdermi un’occasione per stare con Tadashi?- rispose malizioso Terumi, quindi mandò un bacio generale a tutti (anche se solo Kirigakure ed Hera lo stavano ascoltando, visto che Demete era semimorto e Artemis e Aporo erano immersi in un mondo tutto loro).
S’infilò le scarpe, e stava per aprire la porta, quando Hera lo chiamò.
-Terumi- esclamò. Il biondino si girò, sorpreso, ma prima che potesse chiedere Hera gli calcò un cappello in testa. Terumi lo toccò con le dita, febbrilmente.
-Ma questo… è il mio cappello di quel giorno in spiaggia- mormorò.
-Visto che c’ero l’ho recuperato, è anche un bel cappello- spiegò Hera. Terumi arrossì lievemente e ringraziò, ma subito dopo sembrò pentirsene.
-Dannazione- borbottò, e si affrettò ad andarsene. Hera si accinse a chiudere la porta.
-Vieni più spesso che puoi!- gridò Terumi dalla strada. 
Ed Hera gli chiuse la porta in faccia con un gran sorriso



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**Angolo dell'Autrice**
Olà!
Oggi non ho molto da fare, per cui ho deciso di aggiornare alcune delle mie long su EFP ~
E, visto che AtM è già scritta, ho potuto aggiungere un capitolo con molto gaudio (?)
Spero che vi sia piaciuto! E' molto incentrato sul fluff e sui rapporti fra i personaggi.
Oh, io adoro Artemis e Aporo. I rapporti yandere/tsundere sono adorabili ~
Demete è molto maltrattato, lol. Ma povero. 
Ora vado a bazzicare in giro per pixiv :)
Beijos,
roby


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Capitolo 9
*** Capitolo 9 -Perché sei carino quando sei te stesso. ***


Capitolo 9.

La luce del flash lo accecò per qualche secondo, ma non perse il sorriso.
Dopotutto, era il suo lavoro.
Sorridere e sembrare la persona più carina del mondo.
Afuro non lo trovava particolarmente difficile, perché fin da piccolo tutti lo avevano sempre elogiato e coccolato.
Erano così prevedibili, le persone. S’innamoravano subito della sua faccia carina, ma poi non andavano oltre, e lui aveva imparato a manipolarle come voleva.
Bastava un sorriso, un battito di ciglia, una parola gentile.
Peccato che le uniche persone che voleva lo notassero erano anche le uniche su cui questi trucchi non avevano nessun effetto.
E una di queste due persone era Hera Tadashi, il ragazzo che aveva sempre l’aria di uno trovatosi lì per caso, come trascinato da una sorta d’inerzia perenne. Sembrava un tipo qualunque, tristemente normale, eppure perché non cadeva nella sua tela?!
-Okay, pausa- annunciò Hitomiko e batté le mani una volta.
Afuro rilassò i muscoli del viso e sospirò. Era dura sorridere sempre, si sentiva un po’ Barbie.
Estrasse il cellulare di tasca e controllò lo schermo.
“Nessun messaggio ancora” si disse, lo mise nella tasca del pantaloncino di jeans.
“Perché non chiama? Eppure aveva detto che avrebbe trovato un po’ di tempo” pensò deluso.
Fece un paio di passi e si fermò, con sguardo sorpreso.
C’erano due uomini con dei microfoni in mano, e un terzo con un block notes.
-Che ci fate qui? E’ zona riservata- li rimproverò.
I tre giornalisti lo riconobbero all’istante.
-Aphrodi! Stavamo proprio cercando un bello scoop, che ci racconti?-
-Non mi va. Ora andate?- replicò Afuro tagliente, senza perdere il dolce sorriso.
Ma loro invece di seguire il consiglio ripartirono all’attacco con le domande.
Afuro scosse la testa, pensando a quanto odiava la razza giornalistica, e si girò, con l’intenzione di andare a chiamare Hitomiko e farli sbattere fuori a calci.
Uno dei tre lo afferrò all’altezza del gomito e lo trattenne.
-Su, dai! Cosa ti costa rispondere ad un paio di domand…-
Fu interrotto dal rumore di uno schiaffo. Afuro sgranò gli occhi: ora fra lui e quell’uomo c’era niente poco di meno che Hera Tadashi, con una mano ancora alzata dopo aver dato lo schiaffo alla mano dell’altro: lo aveva liberato dalla presa efficacemente. 
-Ha detto che non gli va- disse Hera con voce piatta.
-E tu chi sei?! Cosa vuoi?!- esclamò il giornalista ferito più nell’orgoglio che fisicamente.
Hera non gli rispose, ma cominciò a recitare a memoria l’articolo riguardante lo stalking e concluse minacciando di fargli fare una querela se non peggio.
Ogni parola che diceva, i tre giornalisti sbiancavano di più.
-Ce ne andiamo, va bene! Ma non finisce qui!- gridò uno di loro, e se la diedero a gambe.
Hera sbuffò e si rivolse ad Afuro, che in tutto quel tempo era rimasto lì a fissarlo ad occhi sgranati. 
–Che cos’è quell’aria sorpresa? Mi hai detto tu di venire- fece notare Hera.
Afuro sussultò e si riscosse. –S-sì, l’ho detto… ma non mi aspettavo che venissi sul serio.-
-Perché non avrei dovuto?-
-B-beh, perché tu non…-
-Aphrodisamaaaaaaaaaaaaaaaaa!- urlò Demete e saltò sul biondino abbracciandolo.
Afuro sobbalzò. –C-cosa?!- esclamò. Hera fece spallucce.
-Volevo venire da solo, ma poi Demete mi ha scoperto e mi ha seguito… Kirigakure ha seguito Demete e Aporo ha seguito Kirigakure e Artemis ha seguito Aporo…- spiegò.
-Alla fine siamo tutti qui per te- concluse Demete.
-Non esattamente per te, in realtà- sottolineò Artemis, sorridendogli e mettendo un braccio sulle spalle di Aporo, che sgusciò via dalla presa e fece una smorfia disgustata.
-E’ inammissibile che quei giornalisti facciano quel che gli pare!- intervenne Kirigakure, tremando di rabbia –Ascoltami, Afuro, se ti infastidiranno ancora chiamami! Li annienterò con una delle mie tecniche ninja!-
-Giusto! Brava mamma!- lo appoggiò subito Demete. -Ammesso che funzionino...- aggiunse, ma si beccò un'occhiataccia da parte del ninja.
Afuro sorrise, un po’ nervoso. –Beh, g-grazie a tutti- esclamò.
Il suo sguardo si soffermò su Hera per pochi secondi, ma quando i loro occhi s’incrociarono cominciò a fissare a terra.
Hera non si fece troppe domande sul perché di quel comportamento.
- Afuro, fine pausa!- gridò Atena raggiungendolo di corsa. Si fermò sorpreso davanti a quell’insolito gruppetto. –Non potete stare qui, è zona riservata- obiettò.
-Ciao, Atena - Hera lo salutò normalmente. Il ragazzo lo riconobbe e sorrise.
-Oh! Capisco, sono con te, Tadashi? Allora va bene- disse –E’ un piacere rivederti.-
Hera annuì. Atena si voltò verso la troupe e iniziò a sbracciarsi.
-Ehi! C’è Tadashi!- gridò, in direzione di qualcuno.
Hera immaginò chi, e infatti poco dopo dalla folla uscirono la donna canarina e il suo assistente (certamente anche amante) Saginuma.
Hera, Demete e Kirigakure ebbero come immediato riflesso il tic all’occhio e una smorfia, dovuti entrambi allo shock da giacca giallo canarino.
-Oh… mio…dio- sillabò Demete cercando di distogliere lo sguardo e non ci riusciva tale era il suo orrore.
Artemis la osservò divertito. –In effetti, sono gusti discutibili- sussurrò.
-Meriterebbe di sparire dalla faccia della terra, quella giacca.- commentò Kirigakure orripilato.
Hera diede una pacca sulla spalla ai suoi due amici, sollevato che non fosse l’unico a pensarla così.
“Forse siamo davvero geneticamente simili” pensò, guardando mammapapà.
- Tadashi… sei tornato per qualche scatto?- domandò la donna canarina. Aveva le braccia incrociate al petto e un’espressione saccente in viso.
-Se lo scordi.- replicò Hera seccato.
La donna canarina si spostò i capelli dal viso e sorrise, come se l’avesse previsto.
“Ma quanto è irritante” pensò Hera, con una vena pulsante sulla fronte.
- Afuro, ricomponiti. Ti voglio perfetto.- disse lei perentoria. Afuro scattò sull’attenti.
-Sissignora!- esclamò, poi abbassò la voce in modo che solo Hera lo sentisse e aggiunse, malizioso:- Non sarà certo difficile per me…-
-Narcisista- replicò Hera fra i denti. Nessuno si accorse del loro scambio.
Afuro mise al collo una lunga collana con pietre color dell’ambra, una maglia viola lunga fino alle ginocchia, con sotto i pantaloncini jeans, e alla vita una cintura marrone come gli stivaletti. -Sono pronto- disse, spostando una ciocca di capelli di lato.
Tutti rimasero a bocca aperta.
 -KAWAI!!!- gridò la troupe al completo, un paio di ragazze svennero.
Kirigakure, Artemis e Aporo sembravano incapaci di commentare. Demete aveva la bocca spalancata e gli occhi luccicanti.
-Papà, se tieni la bocca aperta così a lungo ci entreranno gli insetti- osservò Hera con un’espressione molto seria. Lui non ci trovava niente di speciale, in quell’abbigliamento.
-Allora, Hera? Sono carino?- chiese Afuro con un sorrisetto malizioso. Gli fece l’occhiolino.
-Sei uguale a prima- rispose Hera, voltando lo sguardo. Due rondini avevano fatto un nido su un albero e si stavano beccando affettuosamente le piume.
“Che carine” pensò Hera. Anche uno stupido avrebbe capito cosa gli passava per la testa e Afuro non era stupido.
-Ma sei senza speranza!- esclamò, contrariato. Hera lo ignorò insistentemente, quindi Afuro mise il broncio e salì sulla pedana. Saginuma piegò un riflettore su di lui.
-Sorridi- ordinò la donna canarina. Afuro obbedì: dopotutto, era il suo lavoro.
Dopo circa mezz’ora (durante la quale Hera dovette sorbirsi tutti gli “oooh”, “kawaii”, ecc. dei presenti) la donna canarina decise di chiudere la sessione di scatti.
-Riposa i muscoli facciali, Afuro- disse, sarcastica. Afuro le fece la linguaccia.
-Aphrodi!- esordì Demete –Mi fai un autografo?!
-Un altro?!- esclamò Kirigakure. –E dove te lo fai fare?! Sull’elmo?!
-Scherzi?! L’elmo non si tocca, è oro puro per me!-
-E’ latta. Lat-ta. Come le lattine di Coca-cola…-
-Q-questa non te la perdono, Saiji! Ritira ciò che hai detto!-
-Perché dovrei? L’ho sempre pensato… a proposito, sarà riciclabile?-
-Mi sfotti anche ora?! Se ti prendo…!-
E così Kirigakure cominciò a fuggire da un Demete inferocito, e il bello è che giravano in tondo intorno ad Aporo e Artemis.
Il piccoletto, all’iniziare del quindicesimo giro, fu colto da un attacco di nausea e svenne fra le braccia del compagno, che non ne fu affatto dispiaciuto.
E Demete e Kirigakure continuavano a correre.
-Quegli idioti- commentò Hera scuotendo il capo, poi ammutolì sentendo una risata cristallina.
Si girò verso Afuro, che sembrava incapace di trattenersi di fronte alla comicità della situazione.
Aveva le guance leggermente arrossate per lo sforzo di respirare, e un sorriso allegro e sincero.
Ecco, quello era decisamente la versione di Afuro Terumi che preferiva.
-Sei carino- osservò, con un tono un po’ sorpreso.
Afuro smise immediatamente di ridere e lo fissò ad occhi sgranati.
-C-come hai detto scusa?!-
-Ho detto che sei carino. Il sorriso di adesso era semplice, sincero… davvero carino.-
Afuro arrossì. –Allora… mi preferisci così?- chiese con voce flebile, ma sembrava più parlare a sé stesso. Hera annuì, e mise le mani in tasca pensoso.
-A volte non ti sopporto affatto. Ci sono momenti in cui vorrei strozzarti- ammise.
Afuro si accigliò e borbottò qualcosa. Hera dondolò un po’ la testa, alzando lo sguardo al cielo.
-Però sai, mi piaci quando sei te stesso. Sei molto più… kawaii- aggiunse, poi notò che Afuro era arrossito e si chinò verso di lui, malizioso.
–Che c’è? Non te lo aspettavi vero?- chiese.
-M-m-m-ma smettila!- lo rimproverò con voce acuta il biondino e gli diede le spalle.
Era sempre così, con Hera.
Aveva la brutta sensazione non solo di non riuscire a farlo cadere nella propria tela…
… ma di essere rimasto lui stesso invischiato nella sua.
Ed era molto, molto spiacevole sentirsi sconfitto in continuazione.
“Che poi, in che razza di situazione ci troviamo?” si chiese fissando l’altro di sottecchi.
Non erano certamente amici come potevano esserlo Artemis ed Hera… né d’altronde semplici conoscenti, o compagni di classe e basta.
Ma allora cos’erano l’uno per l’altro?
Questa domanda irritava terribilmente Afuro.
Ma Hera non sembrava per niente turbato da quella strana situazione: ancora una volta, si lasciava trascinare dagli eventi con inerzia.
Ed era proprio questa, la cosa più irritante.
Il suo cellulare squillò , facendolo sussultare. Lo estrasse dalla tasca così velocemente che per poco non lo fece cadere a terra.
Hera osservò curioso Afuro leggere lo schermo del cellulare e illuminarsi di quella che sembrava incredulità.
-Hitomiko, vado un attimo a telefonare- avvisò e sparì dietro un angolo. Hera si appoggiò al muro, da lì poteva sentire benissimo la conversazione.
Non che volesse farsi i fatti suoi, ma era insolitamente preoccupato per Afuro.
Forse perché, a pelle, sentiva arrivare i guai.
-Non ci credo! Aveva detto che avrebbe trovato del tempo per me- diceva Afuro arrabbiato, ma più disperato che arrabbiato veramente. La voce dall’altra parte disse qualcosa.
–Lo so che è impegnato negli affari… talmente impegnato che il grande Minoko Terumi non si degna di vedere suo figlio!- disse, poi si accorse di aver perso le staffe e rientrò nei ranghi, rispondendo con voce più calma:- Okay, Digli che ho capito. Ciao.- e attaccò.
Hera si chiese con chi parlasse… probabilmente un amico del padre, o un familiare.
Sentì un fruscio vicino al cancello, ma non ci fece caso: era troppo occupato a fissare Afuro.
Il ragazzo stringeva il cellulare in pugno, con gli occhi abbassati e densi di lacrime, lacrime che scivolavano sul suo viso e cadevano nell’erba.
Hera pensò di nuovo che era carino, e si accorse di pensarlo sempre in momenti sbagliati.
-Dannazione- mormorò Afuro, asciugandosi le lacrime con il dorso della manica.
Hera rimase immobile, appoggiato contro il muro, in silenzio. 


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**Angolo dell'Autrice**
Ciao :)
Sono appena tornata da Praga, avevo del tempo per cui ho deciso di aggiornare.
Questo è un capitolo divertente -non so a leggerlo, ma a scriverlo di sicuro- perché fa intuire quanto complicato stia diventando il rapporto Hera/Afuro, soprattutto da parte di Afuro, spiazzato dai propri sentimenti nei confronti dell'altro; per quanto rigarda Hera, diciamo che lui è il tipo che si fa trascinare dalla corrente :)
La parte finale prelude a tutta una serie di eventi che daranno una svolta alla storia, "rompendo" questa bizzarra quotidianità.
Non aspettatevi capitoli troppo tranquilli, d'ora in poi! XD
Kisses,
roby

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 -Lo scandalo Terumi, l'inizio. ***


Capitolo 10.

-Andatevene.-
Fuori, c’era il caos più totale.
Persone con microfoni, fili, videocamere, macchina fotografiche, si accalcavano sulle mura, alle finestre, alla porta. Calpestavano i fiori. Abbagliavano con i loro flash.
Stordivano con le loro voci saccenti, incontrollate, morbose, asfissianti.
Dentro, Afuro Terumi se ne stava rannicchiato sotto il tavolo della cucina, con le mani premute sulle orecchie e i lunghi capelli biondi a fargli da coperta.
-Andatevene. Andatevene. Andatevene!-
Voleva urlare, ma non voleva farsi sentire. Forse sapevano già che lui era in casa, ma non voleva dargli quella certezza. Oh, come avrebbe voluto che qualcuno venisse a salvarlo.
Che venisse a salvarlo il ragazzo che l’aveva già salvato tante volte.
-Tadashi…- sussurrò, in lacrime.
Una mano sfiorò il suo viso. Poi qualcuno respirò, e parlò.
-Sono qui.-
 
Quella giornata cominciò come tutte le altre per Hera.
O meglio, sarebbe dovuta cominciare come tutte le altre.
In realtà, appena svegliato sbagliò lato del letto e sbatté contro il muro.
Così, arrivato a scuola, aveva una faccia da zombie per il dolore e per il sonno.
-Tadashi, ti vedo morto- commentò Demete.
-Se non eviti certi commenti, sarai morto tu- sibilò Hera.
Demete si nascose istintivamente dietro Kirigakure, che ghignò:- Che c’è? Ti sei alzato dalla parte sbagliata del letto stamattina, Tadashi?
“Mai parole furono più vere” pensò Hera, ma non gli diede la soddisfazione di saperlo. Si girò e cominciò a frugare nella borsa in cerca del suo ventaglio. Moriva di caldo.
-Buongiorno, Hecchan.-
Hera si voltò e sobbalzò trovandosi di fronte una maschera bianca attorniata da capelli blu.
-V-vuoi farmi prendere un infarto?! P-perché la maschera?!-
-Perché sennò le mie fan mi perseguitano…-
-Non è che la metti per sembrare più figo, come questo cretino che porta l’elmo?- chiese Kirigakure curioso. Demete sbuffò.
-Trovi che mi faccia sembrare più figo?- osservò Artemis.
-Certo, non ti si vede la faccia- intervenne Aporo maligno. Non fu possibile vedere l’espressione di Artemis, ma pochi secondi dopo il ragazzo fece scivolare una mano sul sedere di Aporo, che fece un salto di circa tre metri per poi fuggire da Kirigakure.
-Ma che sono io, tana libera tutti?!- esclamò il ninja seccato, visto che ora sia Demete che Aporo erano nascosti dietro di lui. Artemis rimase impassibile.
Forse perché faceva caldo, forse perché Kirigakure aveva usato la parola “tutti”, Hera improvvisamente si trovò ad osservare i propri amici e a notare qualcosa di strano.
C’era qualcosa che non andava.
Era il numero.
Erano solo in cinque, compreso lui.
Non avrebbero dovuto essere cinque, ma sei.
- Dov’è Afuro?- chiese all’improvviso. Riuscì ad attirare l’attenzione dei presenti.
-Non lo so… non è ancora arrivato, noi siamo qui da un bel po’- rispose Demete preoccupato.
-Forse deve lavorare…- osservò Artemis, che intanto si era levato la maschera.
Hera annuì, ma non ne era affatto convinto.
In mente, gli tornò prepotentemente l’immagine di Afuro in lacrime.
Vederlo così fragile, era stato uno shock.
Vedere un altro frammento del vero Afuro, era stato uno shock.
Doloroso, ma bello.
Anche lui era un bambino abbandonato, dunque? Era solo come lui?
Si chiese se non stesse piangendo, anche in quel momento. E, proprio in quel momento, il suo cellulare squillò. Lo cercò in fretta, nelle tasche del jeans e poi nello zaino.
Quando lo trovò, era già al settimo squillo. Era un numero privato.
-Pronto?- rispose, dubbioso.
- Tadashi, abbiamo bisogno del tuo aiuto- replicò la voce secca e decisa della donna canarina. Hera si accigliò. –Niente scatti.- sottolineò.
- No. E’ per Afuro. Devi aiutarlo. Tu sei l’unico a cui possiamo chiedere- fu la risposta.
Il cuore iniziò a battergli forte, mentre si allontanava di alcuni metri dai suoi amici per tenere una conversazione privata. – Lo sapevo, è successo qualcosa- borbottò – Mi dica.
-Se non sai nulla, allora guarda prima un giornale, o la tv. Poi vieni a casa di Afuro.- disse la donna canarina, e attaccò. Hera bestemmiò e tornò indietro.
-Che ti prende stamattina? Chi era?- lo interrogò Kirigakure, i fatti suoi non se li faceva mai.
Hera non lo pensò neanche di striscio, era troppo occupato a rimuginare.
“Ma chi si crede di essere?! Mi chiama, mi riempie la testa di allarmismi e poi mi lascia a metà! Dove cavolo lo trovo un giornale a scuola?! Ma io la odio! Aborrisco il giallo canarino!” pensava.
Si sentiva terribilmente frustrato.
-Aporo!- gridò. L’amico sobbalzò.
-Mi serve un giornale!- ordinò Hera; Aporo scattò e in un lampo tornò con un giornale fresco di giornata.
Non fu difficile trovare ciò doveva trovare.
In prima pagina, troneggiavano due grandi foto.
Una era di Afuro.
Quella affianco invece rappresentava un uomo sulla cinquantina, con capelli corti e quadrati tirati all’indietro. Era biondissimo.
-Minoko Terumi- sussurrò Hera. Aveva sentito quel nome da Afuro.
Non c’erano dubbi, la somiglianza fra lui e il figlio era impressionante.
Quello che Hera non sapeva era che il grande Minoko Terumi era a capo di una compagnia di tecnologie avanzate e informatica, che l’aveva reso ricchissimo.
Si sapeva che Minoko Terumi era un vero e proprio magnate del mercato.
Ma non si sapeva, fino a quell’articolo, che fosse anche il padre dell’idol del momento.
Non ci volle molto, per Hera, a capire cosa fosse successo.
Ricordò il fruscio che aveva sentito, e immaginò i reporter ascoltare la conversazione di Afuro a telefono e scrivere quell’articolo su di lui.
In cui ne dicevano di tutti i colori su Afuro, su Minoko, sulla ricca famiglia Terumi.
Senza dubbio, Afuro stava piangendo in quel momento.
-La donna canarina aveva ragione- sussurrò -Ha bisogno del mio aiuto.-
-Ma che vai blaterando?! Fa’ leggere pure a me!- esclamò Demete.
Hera gli schiaffò il giornale in faccia e corse via. Corse come non aveva mai fatto prima.
Si fermò solo quando, scioccato, vide l’immensa folla scalpitare davanti alla casa di Afuro.
Era solo un villetta, dove probabilmente viveva da solo, e loro la stavano distruggendo.
Hera li squadrò, profondamente disgustato, e li odiò a morte.
Non riusciva neanche ad intravedere la porta.
Allora fece l’unica cosa che gli venne in mente.
Fece il giro della casa, scavalcò il cancello di cinta ed entrò dalla finestrella che stava sul retro della casa, era stretta ma non c’erano altre soluzioni.
Si ritrovò sotto terra, in quella che era una cantina umida. Vicino a lui c’erano scale, le salì tastandole a tentoni nel buio ed emerse da una botola nel mezzo di una cucina.
Si alzò, maledicendo il mal di schiena.
La casa di Afuro era nel caos più totale, non c’era niente che fosse al suo posto, o almeno nel posto in cui la logica del buon senso l’avrebbe voluto. 
Hera immaginò che non si desse una gran da fare, vivendo da solo.
O forse, si era semplicemente lasciato andare per lo shock della situazione.
In ogni caso, provo sincera compassione per lui. Non solo compassione. Affetto.
Si accorse di provare molto più affetto per Afuro di quanto immaginasse. Mentre era perso in questi pensieri, sentì una voce flebile.
-Andatevene.-
Attraversò la cucina e arrivò fino al tavolo, sotto il quale c’era una piccola figura, rannicchiata su sé stessa, che continuava a singhiozzare e ripetere sempre la stessa cosa.
-Andatevene. Andatevene. Andatevene!-
L’odio per i giornalisti aumentò proporzionalmente alla disperazione nella voce di Afuro.
Poi il ragazzino sussurrò il suo nome –Tadashi…- ed era così triste.
Hera si chinò verso di lui e gli accarezzò il viso dolcemente.
-Sono qui.- sussurrò. 







xxx

**Angolo dell'Autrice*
Buonasera :)
Da questo capitolo in poi la fic diventerà un po' più movimentata! Ne sono felice, e scommetto che lo sarete anche voi perché ciò significa che ci sarà anche un po' d'azione nelle storie d'amore xD Eh sì, i nostri personaggi finlmente inizieranno a darsi una mossa (soprattutto alcuni... ma non farò nomi.) xD
Ora... una mia amica mi ha chiesto qual è la mia parte preferita di questo capitolo.
Beh, ovviamente avendolo scritto io non so che dire... Ma se proprio devo dirlo, la mia parte preferita del capitolo è...
Quando Hera chiede un giornale e Aporo scatta a prenderglielo. 
Insomma, penso che questa frase dovrebbe far capire quanto ascendente ha Hera su questi bambini
(Hera: che c’è? Io ammaestro bene i miei servi…)(Tutti: servi???)(Hera: uhm… ho detto servi? Volevo dire, amici ù.ù)(Tutti: ... ah o.ò) :'DDDD

Kisses,
roby

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 -Controcorrente. ***


Ciao :)
Finalmente torno ad aggiornare ^^
Questo capitolo è interamente HerAfu, e ci sarà un sacco di fluff per la vostra gioia <3
Il titolo del capitolo si riferisce ad Hera, ovviamente. 
Baci, 
Roby



Capitolo 11.

Afuro fissò il ragazzo di fronte a lui come un disperso nel deserto fissa il miraggio di un oasi.
Hera non disse altro, ma continuò ad accarezzargli la testa.
-Che ci fai qui?!- esclamò Afuro scioccato, scostandosi da Hera troppo velocemente, infatti sbatté la testa nel tavolo. Hera sospirò e lo trascinò fuori dal suo nascondiglio.
- Hitomiko mi ha chiesto di aiutarti- spiegò. Non aggiunse che in realtà era lui stesso a voler vedere se stava bene. Troppo imbarazzante.
Afuro sbatté le palpebre e i suoi occhi si velarono.
-Sto creando guai a tutti- pigolò. La sua voce fu coperta dal rumore delle persone che bussavano alla porta.
Afuro si rannicchiò di nuovo su se stesso, rifiutandosi di sentirli.
-Perché non mi lasciano in pace?- mugolò, arrabbiato.
Hera rimase a fissarlo: sembrava così fragile, quasi sull’orlo della crisi nervosa.
Non piangeva, ma forse aveva voglia di farlo.
Si tratteneva per non apparire debole. Sorrideva per non apparire debole.
Sorrideva, ma in realtà…
-Se non se ne vanno loro, ce ne andiamo noi.-
Afuro alzò lo sguardo incredulo.
-Spogliati.- ordinò Hera. Afuro avvampò.
-C-c-c-cosa ti prende?!-
-Non è il momento d’imbarazzarsi, spogliati.-
Afuro obbedì e si tolse la maglietta e i pantaloncini. Hera li prese e li mise ad arte su una scopa per lavare a terra, che mise vicino al tavolo, in una posizione tale che avrebbe potuto benissimo sembrare un essere umano, se vista dalla finestra.
-Questo li ingannerà per un po’- disse Hera, poi si sfilò la felpa e la gettò addosso ad Afuro.
–Mettila- ordinò.
Afuro obbedì: la felpa era molto larga per lui perciò gli arrivava fino alle ginocchia. Chiuse la zip e si tirò il cappuccio in testa.
Hera lo prese per mano e lo guidò attraverso il passaggio che lui aveva usato per entrare.
Sbucati nel giardino, Hera lo prese in braccio per fargli scavalcare il cancello di cinta, poi scavalcò lui e sempre tenendolo stretto per la mano lo costrinse a correre con lui.

xxx

-Ma questa è casa tua…- sussurrò Afuro quando Hera lo fece infilare in una casa e chiuse la porta.
L’altro annuì e scrollò le spalle.
-Scusa, per il momento è l’unico posto sicuro che ho trovato- disse.
Che poi non era sicuro per niente.
Dopotutto, anche lui era apparso sulla rivista, ci avrebbero messo poco a fare il collegamento…
Hera scosse il capo, avrebbe pensato ad una soluzione migliore più tardi: ora la priorità era tranquillizzare Afuro.
-Ti va della cioccolata?- chiese.
Afuro non rispose. Hera immaginò che fosse ancora sotto shock, perciò gli mise una mano sulla spalla e disse:- Va tutto bene. Ora ci sono io con te.-
-...perché? -
La voce di Afuro era talmente bassa che Hera credette di averla immaginata.
Si voltò verso di lui, perplesso. 
Afuro alzò di scatto il volto.
-Perché sei venuto?!- gridò.
Il cuore di Hera sussultò dinanzi a quello sguardo spezzato, duro, che strideva acutamente con l’immagine della beata dea della bellezza di cui Aphrodi portava il nome.
-Io non ti capisco proprio! Perché fai sempre tutto all’opposto?! Devi avere qualcosa che non funziona!- esclamò Afuro guardandolo torvo. Stringeva i pugni, tremante.
-Quanto tutti dicevano che ero carino, tu restavi indifferente… ora che tutti mi odiano, tu invece sei gentile! Perché ti comporti in questo modo?! Perché sei così gentile?! Non devi esserlo… i-io non merito questa gentilezza…- La sua voce s’inasprì e nei suoi occhi brillò una scintilla di quella malizia che caratterizzava il suo vero carattere.
Piegò le labbra in una smorfia. –Non capisci che ti sto usando? Non capisci che è tutto finto? Io nella mia vita non ho fatto altro che mentire… anche mio padre deve odiarmi… io stesso mi odio profondamente... E tu...!- 
-Lo so- lo interruppe Hera, semplicemente.
Afuro lo guardò incredulo, spiazzato.
Tentò di abbassare lo sguardo, ma Hera gli afferrò il volto fra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
Come immaginava, stava piangendo: nell’ultima frase, la sua voce si era incrinata.
Non riuscì a dire nient’altro. Come esprimere, d’altronde, quello che provava?
Avrebbe voluto dirglielo, il perché.
Perché quando si divertiva con loro, il suo sorriso era sincero.
Perché ormai aveva capito com’era fatto.
Perché Afuro sorrideva sempre, ma alla fine quello ferito era sempre lui.

Voleva dirgli tutte queste cose, ma gli mancò il coraggio.
-Sono venuto per starti vicino- disse imbarazzato.  –Così anche quando tutti ti odieranno, te compreso, io potrò fare la cosa opposta, come sempre…-
E poi lo abbracciò. Afuro si sciolse in lacrime contro la sua spalla.
-Mi dispiace- pigolò. –Mi dispiace tanto!-
Rimasero così, abbracciati nel salotto di casa Tadashi, finché Afuro ne ebbe bisogno.
No, la verità è che entrambi ne avevano bisogno.
Hera si chiese come aveva fatto a non rendersi conto di quanto Afuro fosse diventato importante per lui: forse perché, come la lava scioglie lentamente la pietra, anche quel processo era stato graduale. E adesso, aveva bisogno di quel calore…
Quando si staccarono, Afuro aveva smesso di tremare.
Si asciugò le lacrime rimaste con il dorso della manica e accennò un sorriso debole, ma sincero.
-Grazie- disse. Hera annuì, quindi si rese conto dell’abbigliamento del ragazzo.
-Ah, scusa, i miei vestiti ti saranno un po’ larghi ma ti prendo dei pantaloni- disse.
-No, va bene così- Afuro scosse il capo.
Si sedette al tavolino e cominciò a guardarsi intorno, con un ché di nostalgico.
-La tua casa è semplice, ma calda…- commentò, poi si voltò verso di lui. -Perché abiti da solo?-
Hera esitò. –I miei genitori si sono separati quando ero piccolo. Non ho mai più visto mio padre. Mia madre in seguito si è risposata e visto che ormai ero già abbastanza grande ho deciso di venire a vivere da solo- spiegò senza perdersi nei dettagli.
Afuro rimase a lungo a fissarlo negli occhi.
-Io e te ci somigliamo- osservò, senza malizia. Hera scosse il capo, non aveva voglia di indagare oltre quel commento.
Afuro si girò e i suoi occhi caddero su uno specchio appeso alla parete. Cacciò un urlo.
Hera sobbalzò. -Che succede?- chiese, sconvolto.
-I miei capelli sono un vero disastro!- si lamentò Afuro.
Hera fu tentato per un attimo di colpirlo con un soprammobile.
-In questo frangente drammatico, tu pensi ai capelli?!-
-E’ sempre il momento di pensare ai capelli!- sbottò Afuro. Si alzò e fuggì di corsa in bagno.
Hera sospirò, appoggiandosi allo stipite della porta.
–Che importanza vuoi che abbia?- commentò, non capiva davvero perché mantenere la propria immagine anche in quella situazione.
Afuro non rispose subito.
- Hera, sai perché mi chiamano Aphrodi?- chiese all’improvviso, e non gli lasciò tempo di rispondere perché lo fece lui stesso:- E’ perché sono il massimo della bellezza, capisci?-
Sorrise e gli fece l’occhiolino.
–E questo che c’entra?- Hera sospirò. –Ascolta... per te è davvero così importante la bellezza?-
Lo sguardo di Afuro s’incupì e le sue labbra si schiusero.
-Certo… è la mia unica ragione di vita.- 
Hera ebbe l’impressione di non aver compreso a pieno quelle parole.
Forse Afuro non se n’era accorto, ma il suo sorriso aveva acquistato una sfumatura di tristezza.
Ed era bellissimo.



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Capitolo 12
*** Capitolo 12 -Nel tuo mondo... ***


Ciaooo! 
Questo capitolo è l'inizio di una nuova avventura -wtf (??)- x'D Cioè, introduce una parte importante della storia: nella casa vacanze di Artemis accadranno moooolte cose!
*ride*
E ci sarà anche tanto amore <3 <3 Sono giusto sei, il che significa tre dolci coppiette che bello, so contare :'DD
Comunque, questo capitolo è più che altro incentrato sul tema dell'amicizia: sono un gruppetto affiatato ormai! E Hikaru ha anche coniato un nuovo soprannome per Arute, che dolce -sì certo come no (?)- 
Spero che troviate piacevole la lettura ^^
Baci, 
Roby






Capitolo 12.

-Tadashi…-
Hera mugugnò e si girò dall’altra parte del letto. Delle mani delicate lo scossero più forte.
-Tadashi! Stanno bussando alla porta!-
-Altri cinque minuti- borbottò, aprendo gli occhi a stento. Quando incrociò lo sguardo di Afuro, però, non poté che svegliarsi completamente e alzarsi di scatto.
-Cosa? La porta…?- disse confuso. Afuro annuì.
–Ho paura- mormorò –che possano essere i media…
“Dannazione, già sono arrivati qui?!” pensò Hera digrignando i denti.
-Afuro, resta qui- ordinò Il ragazzo annuì e s’infilò sotto le coperte. Hera percorse il corridoio, il salotto e infine arrivò all’ingresso. Camminava a piedi scalzi.
Esitante, ma pronto a combattere, guardò dallo spioncino…
Ma ciò che vide non era quello che si aspettava.
Davanti a lui c’erano Kirigakure, Demete, Aporo e Artemis.
-Cosa ci fate voi qui?!- esclamò in un tono di voce molto controllato, aprendo la porta.
-Siamo venuti ad aiutare- disse Demete –Ti pare che potevamo stare così, con le mani in mano?
Hera controllò che la strada fosse vuota, quindi li fece entrare e chiuse la porta a chiave.
-Afuro è di là- disse. Kirigakure fece una smorfia maliziosa.
-Non ne dubitavo… avete anche dormito insieme?- chiese sorridente.
Hera gli pestò un piede, facendogli passare la voglia di scherzare sull’argomento.
Poi li condusse da Afuro. Fece loro segno di aspettare e aprì piano la porta.
-Ehi- sussurrò.
Le coperte si mossero e una testa bionda fece capolino.
-E’ tutto okay. Sono i ragazzi- disse Hera.
Afuro si sedette di scatto sul letto, strappando via le coperte, e quando i suoi occhi videro le quattro sagome dietro Hera, quest’ultimo temette che scoppiasse a piangere.
Dire che il biondino era felice di vederli sarebbe riduttivo, lui era molto più che felice.
Saltò addosso a Demete non appena entrò.
-Meno male che ci siete anche voi! Credevo che mi odiaste!- gridò.
-Non potrei mai odiarti!- rispose Demete, gli prese le mani fra le sue e si fissarono per circa un minuto prima che Kirigakure li separasse a forza lanciando occhiate torve a Demete.
-Siamo qui per te, ora- disse abbracciando il biondino a sua volta.
Hera preparò del tè per tutti e quindi si sedettero in cerchio, a terra nella stanza di Hera.
-Allora… piano di combattimento! Che si fa?- chiese Kirigakure.
Afuro ed Hera scossero il capo.
-Bene, Hecchan non ha un piano e non l’ha mai avuto- tirò ad indovinare Artemis, sapeva essere dannatamente perspicace quel ragazzo.
-I giornalisti hanno capito che Afuro non è più in casa e sembrano davvero inferociti, fanno paura!- commentò Demete incrociando le braccia.
–Questo posto non è sicuro- aggiunse Aporo dubbioso.
Calò il silenzio.
Istintivamente Afuro si strinse ad Hera, che gli passò un braccio intorno alla vita, gesto che non sfuggì ad Artemis.
Il ragazzo sorrise e si stiracchiò.
–Mmm, sapete, in realtà volevo aspettare a dirvelo, ma… visto che la situazione è critica!-
Gli altri si girarono verso di lui.
-Di che parli, Artemaniaco?- domandò Aporo perplesso.
Ignorando il nuovo soprannome che il suo adorato Hikarukun gli aveva coniato, Artemis continuò a parlare:- Ho una villa in montagna, e mi piacerebbe che veniste a trascorrere lì da me qualche settimana. Sarebbe perfetto per far sparire Terumi per un po’, giusto?-
Fece l’occhiolino ad Afuro, il cui volto s’illuminò di sorriso.
-Sei fantastico Artemis! Che bella idea!- esclamò saltando su.
Hera annuì, in effetti poteva andare.
-Uniremo l’utile al dilettevole. Possiamo approfittarne per divertirci e passare un po’ di tempo insieme!- esclamò Kirigakure, che nel frattempo si era seduto praticamente in braccio a Demete.
Artemis guardò Aporo e aggiunse, malizioso:- E sarà anche una buona opportunità di approfondire il nostro rapporto…-
Aporo diventò di mille colori. -Io e te sotto lo stesso tetto?! Giammai!- replicò indignato.
-Allora non verrai?- chiese Demete interrogativo.
Aporo sembrò combattuto fra le due opzioni: non voleva stare troppo a contatto con Artemis, né accettarne l’ospitalità, ma alla fine cedette perché non voleva essere lasciato fuori.
-Verrò, verrò! Ma se osi toccarmi con un solo dito ti ammazzo!- ringhiò rivolto ad Artemis.
Artemis si alzò e si stiracchiò di nuovo.
-Allora è deciso. Domani mattina vi vengo a prendere in auto- dichiarò, e uscì dalla stanza.
I ragazzi cominciarono subito ad interrogarsi su se Artemis avesse davvero un auto o no, e soprattutto se fosse in grado di guidarla (Kirigakure: moriremo tutti… soprattutto se guida con la maschera o.O)(Artemis: *risata sadica*).
-Sì, ci divertiremo un sacco! Parola di ninja!- gridò Kirigakure e fuggì dalla stanza con l’aria di chi ha appena avuto una buona idea.
-Prevedo guai- commentò Demete, e lo seguì insieme ad Aporo.
Afuro si accorse in quel momento del braccio di Hera e avvampò, senza sapere cosa dire.
-Ehm, Tadashi- mormorò.
Hera abbassò lo sguardo su di lui. –Sì?- chiese.
-Grazie… se tu non mi avessi portato nel tuo mondo, non avrei amici. Grazie- sussurrò Afuro e posò la testa sulla sua spalla chiudendo gli occhi.
Hera sospirò e lo strinse a sé.
“Ti sbagli. Non sono io ad averti portato nel mio mondo. Sei tu ad aver portato la tua luce nel mio” pensò e anche lui chiuse gli occhi, cercando di immaginare cosa lo aspettasse. 




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Capitolo 13
*** Capitolo 13 -Truth, Dare, Double Dare, Promise to Repeat & House on Fire. ***


Ciaoooo.
Dunque, che dire? :'DDD
Questo che vi aspetta è un capitolo molto divertente!  
I capitoli che riguardano la "gita" in montagna saranno tutti scritti in questo stile comico, a volte leggermente ironico,  ma
fate attenzione perché ci saranno riferimenti ad eventi futuri e succulente novità fra le tre coppiette! <3
Recensite per dirmi che ne pensate!
Baci, 
Roby



Capitolo 13.

-Aaah, cavolo, ho creduto davvero di morireeee.-
Appena usciti dalla macchina, Demete barcollò e cadde a faccia a terra.
Artemis uscì e si appoggiò allo sportello.
-Oh, andiamo, che esagerato- commentò.
-Esagerato?!- gridò Kirigakure gesticolando –Tu! Potevi ucciderci tutti!-
-Ho fatto solo delle curve un po’ larghe…-
-E il tir che abbiamo quasi preso in faccia dove lo metti?! E il palo della luce che hai cozzato?! E quella vecchina che ci ha inseguito per due chilometri perché hai investito la sua fioriera?!-
-Aveva un gran fiato, però- osservò Hera, che l’aveva trovato un episodio interessante.
Afuro lo guardò scoraggiato e scosse il capo, chiedendosi quale fosse esattamente la concezione di “interessante” che aveva Hera.
Artemis scrollò le spalle. –Non vi credevo così pignoli.-
- Io non sono pignolo- gesticolò Kirigakure - Dico la verità!-
Prima che Artemis potesse replicare, Hera alzò le braccia e si frappose fra i due.
-Okay, calma ora, l’importante è che siamo arrivati no?-
Kirigakure dovette ammettere che era vero, anche se ancora sconvolto dall’accaduto.
Aporo si sedette a terra e cominciò a toccare il corpo di Demete  con un bastoncino per accertarsi che fosse ancora vivo.
-Grazie, Hecchan- Artemis sorrise. Hera scosse il capo.
-Anche tu… potevi dircelo che stai ancora imparando- lo rimproverò, e l’amico ridacchiò nervosamente, obiettando che “non sarebbe stato divertente” (Kirigakure avrebbe tanto voluto staccargli la testa a morsi, e Hera stava quasi pensando di lasciarglielo fare).
-Comunque ora dobbiamo camminare- disse Artemis indicando la punta di una casa che s’intravedeva al di sopra degli alberi. I ragazzi annuirono, Kirigakure e Aporo sollevarono Demete e insieme seguirono Artemis.
Ci vollero solo cinque minuti prima che gli alberi si aprissero in un sentiero selciato di mattoncini rossi, che si snodava sull’erba fino alle scale di una terrazza rialzata, su cui c’era alla porta a vetri, che nascondeva l’interno della casa solo grazie a voluminose tende color carne.
-Eccoci arrivati, è un po’ piccola, ma possiamo starci in piena libertà- annunciò Artemis.
-P-piccola?! Tu questa la chiami piccola?!- obiettò Demete. Anche Hera si mostrò accigliato di fronte a quella villa enorme, che non solo era a due piani ma dava anche l’impressione di avere numerose stanze. E, a quanto Artemis diceva, era anche a loro completa disposizione.
-Beh, questa me l’ha regalata il nonno per il mio compleanno. Quella di mia sorella è molto più grande, e poi è a mare- rispose Artemis stiracchiandosi.
Mentre il ragazzo si frugava nelle tasche in cerca delle chiavi di casa, gli altri si scambiarono occhiate incredule, ad eccezion fatta di Hera.
-Tadashi, tu lo conosci di più, che ci dici?- chiese sottovoce Kirigakure.
-Beh, non c’è molto da dire. Il nonno di Artemis ha fatto un gran fortuna con un mercato di kimono giapponesi, è una famiglia conosciuta per le forti tradizioni e l’arte del tè- spiegò Hera noncurante, come se stesse raccontando di un tipo qualunque e non di un suo amico.
-Ah, quindi Artemis vive sull’eredità del nonno, questo spiega molte cose- disse Demete.
-Per esempio, perché è così arrogante e viziato- sottolineò Aporo sprezzante.
Kirigakure e Demete annuirono convinti. Hera li ignorò e alzò lo sguardo.
-Ah – disse piatto e si allontanò da loro di alcuni passi.
Afuro lo fissò stranito, poi anche lui alzò gli occhi e vide che la porta a vetri era stata aperta, e le tende erano scosse lievemente dal vento.
-Uh? Dov’è andato Artemis?- esclamò sorpreso di non vederlo più.
Una risata sadica fu la risposta. I quattro si girarono lentamente e si trovarono di fronte il ragazzo che indossava la maschera bianca.
-Non sapete che sta male parlare alle spalle degli altri?- Il tono mieloso della sua voce strideva inevitabilmente con lo scrocchiare dei suoi pugni.
Kirigakure, Demete, Afuro e Aporo urlarono di terrore e afferrate le loro borse schizzarono nella casa.
Artemis si tolse la maschera e li seguì, ed Hera immaginò che lo trovasse divertente da un certo punto di vista. “Anche se sono sicuro che gli abbia veramente dato fastidio” pensò osservando la villa distrattamente.
Poi prese la borsa e se la tirò dietro mentre saliva le scale della terrazza e oltrepassava la porta, chiudendola al suo passaggio.
Come aveva previsto, l’interno era molto più grande di qualunque appartamento avesse mai visitato, persino più grande di quello di Afuro.
La prima stanza in cui si trovò era un salotto che conteneva oggetti da collezione di ogni tipo, con un largo tappeto rosso al centro del pavimento in parquet.
Si tolse le scarpe e le lasciò in un angolo, quindi attraversò il salotto; a destra si apriva la cucina collegata ad una saletta in cui c’era il tavolo per mangiare; a sinistra invece, c’era un bagno e una seconda terrazza.
Dalla terrazza, con delle scale esterne, si raggiungeva il piano superiore, dove c’erano presumibilmente le camere da letto.
Si aspettava dei futon, invece nelle stanze c’erano solo letti principeschi a due piazze, con grandi veli che li circondavano dall’alto.
- Artemis, sei davvero ricco sfondato- commentò senza alcuna malizia.
Artemis non rispose, e Hera pensò che forse non era proprio un commento da fare. Se lo appuntò mentalmente, in modo da non ripetere l’errore.
-Allora, prima di posare la roba, decidiamo le stanze- disse Demete –Ho notato che di camere da letto ce ne sono solo tre…
-Io ne ho contate quattro- replicò Kirigakure. Artemis scosse il capo.
-Oh, no. Una non si può usare- spiegò. Gli altri annuirono.
-Dunque… peschiamo a sorte?- chiese Demete. Kirigakure lo abbracciò, o meglio gli saltò addosso.
-Non credo ci sia bisogno! Mamma e papà stanno insieme! Per te va bene, vero Tadashi?- esclamò.
Nessuno ebbe da ridire sulla disposizione, tanto meno Hera che con loro in stanza non ci voleva stare manco morto.
- Io starò con Tadashi!- dichiarò Afuro, capito lo spirito delle coppie, e si attaccò al braccio di Hera, che scrollò le spalle.
Aporo sbatté le palpebre, perplesso, quindi contò i suoi amici sulle dita. Quando finalmente realizzò cosa questo volesse dire, rabbrividì.
-A-Allora io dovrei stare con questo tizio?!- gridò facendo un balzo per allontanarsi da Artemis.
Il padrone di casa lo afferrò per il colletto, da dietro, e il ragazzino cominciò a dimenarsi furiosamente.
-Avanti, Hikaru! Sarà divertente!-
-Col cavolo! E non chiamarmi, mi fai ribrezzo, Artemaniaco!-
-Bello il soprannome, come apprezzo la tua creatività…-
-Non rompere e mollami!!-
-Si vede che si vogliono tanto bene- commentò Afuro ridacchiando.
Aporo avvampò e gridò:- Tadashi! Ti prego, fa a cambio con me! Tu e l’Artemaniaco siete amici dopotutto!-
Hera stava per rispondere, in fondo per lui era uguale, ma Afuro si mise in mezzo.
-Non se ne parla!- disse, e fece la linguaccia. –Tadashi non si tocca chiaro?!-
Demete e Aporo fissarono Afuro increduli.
-M-ma dov'è finito il ragazzo dolce e carino che eri?!- sbottò il ragazzino dai capelli verdi.
-Mai esistito- replicò Hera senza pietà. Afuro fece un sorrisetto e si spostò una ciocca di capelli dal viso reclinando la testa all'indietro.
-Non ho mentito, dopotutto sono le persone che mi etichettano così. E poi è vero che sono bello come Aphrodite- disse, malizioso.
-Ma tu... tu sei così dolce nelle riviste di God Knows!- obiettò Demete scioccato. Afuro scrollò le spalle.
-Non sono io a rispondere, è Atena che s'inventa un mucchio di cavolate.-
E qui Demete cadde in ginocchio, in uno stato di depressione per il crollo del suo mito. Aporo era ancora troppo sconvolto per rispondere, mentre Artemis scoppiò a ridere per via delle facce che facevano i due ragazzi.
-Io me n'ero accorto da un pezzo- disse Kirigakure con noncuranza, incrociando le braccia dietro la nuca. Hera annuì, naturale che se ne fosse accorto visto che fin dal principio non aveva avuto una passione per Afuro: era troppo geloso di papà per apprezzare il fascino del modello.
-Hecchan l'ha sempre saputo, d'altronde- ridacchiò Artemis.
“Vero” pensò Hera, lanciando un sorriso ad Afuro, che distolse lo sguardo irritato: dopotutto, Hera era l'unico a non essere mai stato tratto in inganno, e ancora oggi non l'aveva in suo potere.
Strano, perché proprio Hera, che dagli eventi si lasciava trascinare come un ciottolo dal torrente, mostrava un'inaspettata resistenza contro le persone.
-Allora, Artemis, che programmi ci sono?- chiese Hera cambiando argomento.
-Beh, stasera potremmo ordinare delle pizze e fare qualche gioco da tavola...-
-Giochi da tavola! Forte!- gridò Kirigakure entusiasta -Vero, papà?!
-Fatal destino coglie l'essere umano deluso dal caso!-
-Ma che stai blaterando?-
-Sembra che Demete sia ancora sotto shock- disse Hera interrompendoli.
Kirigakure lo fissò pensieroso, poi gli diede un pugno sull'elmo, facendolo rintronare. Hera lo guardò interrogativo.
-Perché l'hai fatto?-
-Perché sì. -
Hera non trovò nulla da ridire e andò a posare la roba.

xxx

I ragazzi trascorsero la serata a mangiare pizza, cosa che sarebbe risultata abbastanza triste se Kirigakure non avesse dato spettacolo a modo suo, cioè rompendo le scatole a tutti i presenti; in particolare a Demete, dato che con la scusa di risollevargli morale si sentiva autorizzato a fargli di tutto. Anche se, quando tentò di infilargli un trancio di pizza nell’elmo, il ragazzo non fu troppo d’accordo e uscì dalla trance per picchiarlo.
-Bello stare a tavola con persone tanto vivaci- commentò Artemis, continuando a mangiare tranquillamente. Hera, che era sull’orlo di una crisi nervosa, gli lanciò uno sguardo truce.
- Aporo! Dammi una mano!- gridò Demete, e approfittando della distrazione del ragazzino con i capelli verdi, Afuro spostò tutto il prezzemolo sulla sua pizza, visto che a lui faceva schifo.
Hera osservò con interesse tutta la delicata operazione, eseguita con una forchetta in modo da non sporcarsi affatto, e poi ammirò la faccia da poker che Afuro costruì con maestria quando Aporo si accorse che la sua pizza margherita era ora più verde che rossa.
-Che schifo il prezzemolo- si lamentò. Artemis chiuse il cartone vuoto e lo gettò in un angolo.
-Se vuoi, lo mangio io… Tu cosa mi dai in cambio?- chiese con una punta di malizia.
-Dopotutto, penso che lo mangerò- replicò immediatamente Aporo, che pur di non dargliela vinta sarebbe morto mordendosi la lingua.
-La cucina italiana è davvero ottima- commentò Afuro, chiudendo il cartone gettandolo su quello di Artemis, mentre Aporo si costringeva a mangiare la pizza al prezzemolo.
Demete e Kirigakure continuavano a esprimere il loro affetto reciproco a suon di cazzotti.
Almeno finché Hera non perse la calma.
-Ora fatela finita! Mi state facendo venire un’emicrania!- gridò, alzandosi di scatto, afferrò due cuscini e con un gesto incrociato li sbatté in faccia ai due contendenti, che caddero K.O. per alcuni secondi. Poi Hera si drizzò, con le mani sui fianchi che ancora stringevano i cuscini.
- Tadashi! Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tua madre!- strillò Kirigakure, ed Hera lo zittì con un altro paio di cuscinate. Demete si sedette composto e si sistemò l’elmo.
Si schiarì la voce. –Aphrodi?- disse.
Il biondino si voltò e Demete continuò:- Sono arrivato alla conclusione che, nonostante tutto, ti trovo ugualmente carino.-
-Hai pensato un’ora e sei arrivato a questo?- disse Hera scettico. Afuro gli diede una gomitata nello stomaco e sorrise:- Ti ringrazio, significa molto per me. -
Demete annuì, mentre Hera si massaggiava lo stomaco.
Il ninja riprese a mangiare, offeso, ed Hera immaginò fosse la gelosia che ogni tanto tornava a roderlo. In ogni caso, il malumore di Kirigakure non era mai destinato a durare molto, essendo lui un idiota e un idiota solare per di più.
-Ehi, che ne dite di fare qualche gioco divertente?- esclamò.
-Ho paura di quello che tu consideri “divertente”- disse Aporo.
-Ah, ah- Kirigakure rise, sarcastico –Che ne dite di Truth, Dare, Double Dare, Promise to repeat o House on Fire?-
-Wow, più lungo a dirlo che a farlo- rise Artemis –Io ci sto, è interessante.-
-Se lui lo trova interessante, mi fa ancora più paura- commentò Aporo, e fece per alzarsi ma Artemis lo afferrò per un braccio.
-Che c’è? Non vuoi perdere, Hikaru?-
-Ma taci, Artemaniaco.-
-Che gioco è?- chiese Afuro interrogativo.
-Un gioco stupido- rispose Hera, ma Demete lo interruppe:- Davvero non ci hai mai giocato?-
-E con chi avrei dovuto giocarci?- replicò Afuro, con un’espressione triste: non aveva mai avuto amici. Hera sospirò e cominciò a spiegargli il gioco, mentre giocherellava distrattamente con una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi.  
-Con Truth devi rispondere la verità ad una domanda, con Dare devi fare una sfida, Double Dare è la sfida (o sfiga) più terribile che ti possa capitare, con Promise to repeat devi semplicemente ripetere una frase che ti verrà detta e House on Fire… beh, è una cavolata, lo vedrai da te- disse velocemente. Afuro annuì, colto il senso del gioco.
-Chi sbaglia o si rifiuta di fare qualcosa è fuori dal gioco!- esclamò Kirigakure.
Si sedettero a terra al centro del salotto. 
Aporo scosse il capo, rassegnato, e decise di partecipare. Si sedette evitando accuratamente Artemis e si mise fra Hera e Demete.
-Comincio io- disse Kirigakure, entusiasta. Si guardò intorno, indeciso su chi scegliere per primo come sua vittima. –Okay, Afuro!- disse dopo un ponderata riflessione.
Afuro ci pensò un po’, poi disse:- Scelgo Truth.-
-D’accordo allora, non vuoi rischiare- Kirigakure sorrise – Ti piace qualcuno?-
Il biondino ci rifletté sopra alcuni minuti. Poteva veramente dire che gli piaceva Hera? Sarebbe stato come ammettere la sua definitiva sconfitta, non tanto a loro (dopotutto non aveva chiesto nomi, no?) quanto a se stesso. Infine, sospirò e ammise:- Sì.
Hera rimase impassibile. Kirigakure fece un sorrisetto, così come Artemis, gli unici due ad aver già intuito qualcosa.
Demete chiese, sorpreso:- E chi è?!-
-Non te lo dico- disse Afuro e gli fece la linguaccia.   
Demete si rimise a posto, deluso.  
-Allora vado io? Demete?- esclamò Afuro. Demete annuì, poi disse, sicuro di sé:- Dare!
Afuro lo guardò sorpreso, probabilmente Demete lo considerava più scarso nel gioco rispetto a Kirigakure, o agli altri. E questo invogliò la sua parte sadica a venire fuori.
-D’accordo… allora dovrai salire sul tetto della villa...
-Ah… tutto qui? Un gioco da ragazzi!
-Aspetta, non ho finito- Afuro sorrise –Ti ho detto che devi salire sul tetto solo perché da lassù potrai farlo meglio.
-Fare meglio cosa?- chiese Demete perplesso.
-Scagliare il tuo elmo più alto che puoi- cinguettò Afuro con voce angelica.
Ci furono alcuni minuti di silenzio, poi Demete sbiancò e Kirigakure scoppiò a ridere.
-Ah! Te l’ha fatta! Te l’ha fatta alla grande!- esclamò Aporo divertito.
Demete si mise a riflettere, soppesando da un lato il suo elmo, dall’altro la probabilità di essere sfottuto a vita da Saiji. Infine sospirò e obbedì all’ordine ricevuto.
-Mi dispiace, elmo di papà- gridò scagliandolo via, salvo poi gettarsi al suo inseguimento, ritrovarlo in cespuglio di erbe selvatiche e rindossarlo.
Dopo cinque minuti riuscì a tornare.
-Sei stato cattivo con noi- mormorò imbronciato.
-Noi chi?
-Io e il mio elmo.
Lasciando a parte il fatto che Demete personificasse il suo elmo, gli altri ammisero che aveva portato a termine la sfida senza errori, e gli concessero di continuare.
-Artemis?- disse Demete senza scomporsi.
- Sì… credo che sceglierò Double dare- disse il ragazzo senza scomporsi.
-Caspita… sei uno coraggioso- disse Demete, e si mise a riflettere.
-Trovato! Dovrai scrivere dieci mail che contengano il nome della persona che ti piace ed inviarle!- esclamò. Artemis sembrò esitare per un attimo, poi sorrise e si alzò. Demete andò con lui per controllare che lo facesse, Artemis scrisse le mail a computer e le inviò. 
-Bene, allora tocca a me se non erro. Che ne dite del nostro ninja preferito?
Kirigakure guardò Artemis e si rese conto in quel momento di trovarsi di fronte al suo avversario più pericoloso. Annuì, un po’ nervoso. –Promise to repeat- disse dopo un po’.
-Ah…- mormorò Artemis pensoso, quindi gli fece cenno di avvicinarsi e gli sussurrò all’orecchio. Hera osservò curioso il volto di Kirigakure sbiancare e poi diventare paonazzo.
-Ti vergogni? Se non vuoi farlo, non sei costretto, però sei fuori…- sussurrò Artemis.
Kirigakure, si vedeva, non aveva la benché minima voglia di farlo ma non voleva neanche perdere ad un gioco in cui si considerava vincente.
-E va bene- acconsentì, e borbottò qualcosa.
-Non ti sento- disse Artemis malizioso.
-Ho detto che “mi piace stare sotto” okay?!- Kirigakure alzò la voce e avvampò, distogliendo lo sguardo. Artemis ghignò:- Awn, che carino… ma dopotutto tu sei la mamma, no?
-Taci- sibilò Kirigakure arrossendo ancora di più, e gli fece segno di tagliargli la gola con un kunai. Artemis scoppiò a ridere e si ritrasse, poggiando la schiena contro il muro, divertito.
Hera notò che Demete osservava Kirigakure con uno sguardo strano, perso nel vuoto.
- Tadashi!- gridò Kirigakure, come per cambiare rumorosamente argomento.
-Mi hai stonato un timpano, cretino!- replicò Hera.
Kirigakure lo ignorò. –Che scegli?!-
- House on Fire – Nessuno l’aveva ancora scelto, e poi sarebbe stata una buona occasione per far vedere ad Afuro di che si trattava.
-Fantastico. Allora hai me, papà e Afuro-sama in una casa che va a fuoco. Puoi salvare uno solo di noi tre, devi lasciare indietro uno e gettare giù da una finestra il terzo. Cosa fai?-
-Oooh- esclamò Afuro, curioso di sentire la risposta. Con molta probabilità, Hera l’avrebbe scagliato giù da una finestra senza troppi preamboli. Sospirò.
-A te, Saiji, ti getto dalla finestra, tanto con una tecnica ninja te la potrai cavare. E poi… ah, mi sa che dovrò lasciare indietro papà, anche se mi dispiace…- replicò Hera pensoso.
Afuro sussultò e lo fissò ad occhi sgranati. –C-Come?-  balbettò.
-Già! Come?!- esclamò Demete imbronciato. Hera scrollò le spalle. –È solo un gioco- disse.
Afuro distolse lo sguardo, perché si sentiva arrossire.
“Già, è solo un gioco…ma allora perché mi fa battere forte il cuore?!” pensò, sorpreso e imbarazzato.
Hera non sembrò aver notato la sua reazione, né diede peso a quella degli altri due.
-Allora… Aporo - Si rivolse all’unico compagno ancora non interpellato.
-Truth.
-Allora… sei mai stato innamorato di qualcuno?
Aporo sobbalzò, evidentemente non si aspettava quel tipo di domanda da uno come Hera, ed esitò a lungo, incrociando le gambe ad indiano e dondolandosi sul posto.
-Dai, Hikaru, non è una domanda così difficile- Artemis lo stuzzicò.
Aporo lo fulminò con gli occhi, poi borbottò con una smorfia:- Sì, una volta sola.
Hera fu sicuro di aver intravisto il sorriso di Artemis cedere, forse per l’incredulità, forse per la delusione di non poter scoprire chi… e di sapere che probabilmente non si trattava di lui.
 -Davveeeeero? Non ce ne avevi mai parlato!- reclamò Kirigakure saltandogli addosso per farlo parlare, ma Aporo dopo quelle quattro parole si chiuse come un riccio. Anche Demete era sorpreso almeno quanto il ninja, dopotutto lui e Aporo si conoscevano da quattro anni.
Il secondo giro continuò regolarmente, a colpi di bastardate reciproche, finché all’inizio del terzo giro al suo turno Demete non scelse Promise to repeat e Hera gli sussurrò quello che doveva dire all’orecchio.
Inaspettatamente il ragazzo con l’elmo alzò le braccia e si ritrasse.
-Non posso farlo. Mi ritiro.-
Gli altri lo guardarono confusi.
- No, aspetta, fammi capire bene… hai potuto scagliare il tuo amatissimo elmo nel bosco e ora non puoi ripetere quello che ti ho detto di ripetere?- chiese Hera alzando un sopracciglio.
-Hai capito benissimo- replicò Demete incrociando le braccia.
Kirigakure gli lanciò un’occhiata incredula, ma Demete non batté ciglio.
Hera sorrise, divertito. –D’accordo – acconsentì –Sei fuori dal gioco.-
-Non ci credo!- esclamò Aporo sgranando gli occhi, ma per quanto gli amici potessero dire Demete non ritrattò la sua decisione e rimase a guardarli giocare senza fare nulla.
Hera poteva vedere Kirigakure morire dalla curiosità di sapere cosa non volesse dire a tutti i costi, e mordendosi il labbro il ninja lo fissò supplichevole ma Hera in rispetto della decisione di Demete scosse il capo: non avrebbe parlato. Demete gli rivolse un’occhiata grata.
-Allora tocca a me visto che Demete si è ritirato. Scelgo Hecchan- disse Artemis.
- Double dare – rispose l’amico impassibile.
Artemis restò per un attimo perplesso, e Aporo esclamò:- Ma sei impazzito, Tadashi?! Chiedere una cosa del genere proprio a lui, all’Artemaniaco, il Re del Pianeta Sadico, equivale praticamente ad un suicidio!
-Che alta opinione che hai di me, Hikaru, mi commuovi- mormorò Artemis, ma il suo sorriso sbiadito non nascondeva un tono freddo e distaccato.
-Allora, ci muoviamo?- lo esortò impaziente Hera, che aveva notato il malumore appena nato di Artemis e già si aspettava un compito difficile.
-Va bene, se sei così impaziente di essere torturato- ghignò Artemis –Potresti dare un bacio al nostro modello, che ne dici? Ah, ovviamente, sulle labbra...
Tutti gli occhi si puntarono su Afuro, che saltò su imbarazzato.
-Ehi! Posso capire Tadashi, ma io che c’entro?! Non è giusto!-
-E’ solo un bacetto- Artemis scrollò le spalle. Hera rimase impassibile, probabilmente riflettendo sul da farsi. Afuro lo osservò, tentando di decifrarlo.
Passarono alcuni minuti di silenzio.
-Okay, non lo fai, sei fuori- disse Artemis, pronto ad andare oltre, ma proprio in quel momento Hera si mosse dal suo posto, chinandosi leggermente in avanti.
Afuro, sentendosi afferrare per le spalle, alzò lo sguardo stupito e mormorò:- T-Tadashi?-
-Facciamo in fretta.- disse l’altro.
-Cosa?! No, aspetta, tu non capisci, io…!-
Ogni sua protesta fu troncata nell’istante in cui le labbra di Hera, decise, si poggiarono sulle sue, e Afuro sentì chiaramente il viso andare a fuoco.
I suoi occhi sgranati e increduli incrociarono quelli di Hera, socchiusi, profondi, in qualche modo tristi...
Tristi per un motivo che lui non sapeva.
Per qualcosa che, probabilmente, Hera teneva dentro di sé da tanto tempo.
Era una tristezza che sapeva di dolcezza, di nostalgia.
Afuro restò immobile, incantato, finché Hera non lo lasciò andare, e appena questo accadde avvertì una fitta di dolore al petto.
Intorno a loro c’era un silenzio di tomba.
-Wow- soffiò Kirigakure all’improvviso. -Non credevo l’avrebbe fatto davvero…-
Gli altri annuirono, concordando per una volta con il ninja.
Hera si ritrasse e tornò a sedersi.
-Questo gioco mi ha stufato. Perché non andiamo a dormire?- propose, senza battere ciglio.
L’orologio batteva la mezzanotte, e tutti acconsentirono a quella proposta.    



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Capitolo 14
*** Capitolo 14 -La bellezza non è tutto. ***


Buona sera <3
So che sto aggiornando questa fic ad un orario indecente, ma avevo voglia di farlo perciò vi prego di perdonarmi :'D
Questo capitolo è un concentrato di dolcezza, tutto dedicato all'HerAfu...
E c'è anche lei, la donna-canarino, brillante e vistosa come sempre -what the canarino-  ~
Spero che il capitolo vi piaccia :)
Un grazie infinito a Summer38 e Crow Angel per l'assiduità con cui seguono questa storia. Siete fantastiche <3

Baci,        
Roby


 


Capitolo 14

-Nyaaaah!-
Con quest’urlo (che Hera si chiese cosa stesse a significare) Afuro si lanciò letteralmente sul letto a baldacchino, rotolandosi sul materasso.
-E’ morbidissimo! Lo adoro! E guarda, abbiamo anche la tv! Non è fantastico?!-
Hera si limitò ad emettere un suono di approvazione, ma Afuro era troppo allegro per farsi rovinare l’entusiasmo dalla scarsa partecipazione di Hera.
Il biondino saltò giù dal materasso e aprì la sua borsa, tirando fuori un pigiama rosato, a maniche lunghe e pantaloncini corti.
Hera alzò un sopracciglio. –Pigiama rosa?- disse, sforzandosi di restare serio.
Afuro gli fece la linguaccia ed evitò di rispondergli.
-Girati- ordinò.
-Stai scherzando…-
-No! Girati!-
-E va bene- sospirò Hera rassegnato e si voltò perché Afuro si potesse cambiare. Nel frattempo si chinò sulla sua borsa per tirare fuori un pigiama bianco, molto semplice.
Si tolse i pantaloni infilandosi quelli del pigiama, poi tolse la maglietta e la gettò di lato. Si voltò solo quando Afuro cacciò un piccolo urlo.
-Cosa c’è?- chiese perplesso, mentre osservava il compagno arrossire e tapparsi la bocca con le mani.
-N-nulla- balbettò lui, già pronto, e corse ad infilarsi nel bagno. In realtà, a farlo urlare era stata la sorpresa nel vedere Hera senza maglietta (me: biasimatelo XD), ma non l’avrebbe mai ammesso. Ripensò alla sua pelle, più scura della propria, liscia, perfetta, ai muscoli lineari.
Tuffò la faccia nell’acqua per non andare a fuoco. 
“Santissima, Hera mi fa davvero un brutto effetto” pensò. Non andava bene così, si stava facendo coinvolgere troppo… per forza Hera doveva trovarlo strano.
Uscì dal bagno ancora in stato confusionale, ma con suo grande sollievo Hera era già crollato come un sasso, senza neanche entrare sotto al lenzuolo.
Aveva semplicemente tolto il copriletto, che ora giaceva vicino alla tv.
Afuro sospirò e si sedette vicino a lui, con un ginocchio piegato così da poterci appoggiare il viso sopra e restare a fissarlo.
Era davvero bello, niente da dire.
E non un bello artificiale, ma forte e triste al tempo stesso.
Il suo sguardo mente lo baciava non l’avrebbe mai dimenticato, quello sguardo che celava tutte le parole che Hera non gli avrebbe mai confidato.
“Ma che ci faccio qui a fissarlo come un maniaco?!” Si prese a calci mentalmente e si mise nel letto tirandosi le coperte fin sopra i capelli. Non servì. Continuò ad agitarsi per circa mezz’ora, prima di decidere che era troppo nervoso per addormentarsi.
Come invidiava Hera. Ma ancora, il fatto che fosse tanto tranquillo voleva dire che non provava niente di particolare per lui…
Prima di deprimersi troppo scivolò giù dal letto e si sedette davanti alla tv.
Afferrò un lembo del copriletto e se lo tirò sopra come fosse un lenzuolo normale, quindi accese la tv. Restò accecato per un attimo dalla luce dello schermo. Mise il volume al minimo per non svegliare Hera e cominciò a girare i canali.
 
Hera si girò su se stesso, mugugnando.
Era così stanco che si era addormentato di botto, senza preavviso.
Ora gli occhi gli aprivano lentamente, inquadrando un soffitto sfocato da una debole luce.
Nel silenzio, si udivano solo delle voci, molto basse.
Si girò sul fianco e vide un insolito ammasso di lenzuola davanti ad una tv accesa, da ci proveniva luce. Al suo fianco, non c’era nessuno,m e il posto era freddo.
-Ehi… ti pare il caso di andare a dormire così tardi?- chiese alzandosi sui gomiti.
Non venne risposta, allora Hera scese dal letto e lo raggiunse.
Si bloccò vedendo nella tv dei giornalisti che si ammassavano su alcune persone, al momento non identificabili. Sotto, lampeggiava la scritta “Sullo scandalo Terumi”.
-Non ti guardare questa roba. E’ spazzatura- disse Hera con rabbia crescente, e gli tolse il telecomando di mano.
Afuro non oppose alcune resistenza, come fosse ipnotizzato dallo schermo.
Hera stava per spegnere, ma esitò quando identificò le persone assediate dai media.
Non si poteva non riconoscere quella giacca giallo canarino.
Hitomiko, Atena e Saginuma si facevano largo fra i media, in particolare il ragazzo alto con i capelli neri ringhiava a chiunque si avvicinasse al suo capo: la donna camminava disinvoltamente, come se la cosa non la toccasse minimamente.
Atena sorrideva, ma dietro quella cortesia c’era una freddezza sprezzante.
-La prego, ci dica le sue impressioni!-
-Lei lo sapeva vero?!-
-Perché ha tenuto il segreto?-
-Conosce di persona il Mr Terumi?-
Se Hera fosse stato lì li avrebbe strozzati con estremo piacere, e sospettava che anche Atena e Saginuma stessero accarezzando in segreto quell’idea.
-Non sia egoista, ci dica qualcosa!-
A quel punto Hitomiko si voltò e fulminò la massa con un’occhiata glaciale.
Si fermò di colpo e con un gesto deciso strappò il microfono di mano ad un uomo.
-La bellezza non è tutto. Noi ti amiamo per quello che sei, quindi non mollare.- disse, quindi gettò il microfono all’aria (l’uomo lo prese per un soffio) e ravviandosi i capelli voltò loro le spalle con una classe di cui loro erano indegni.
Hera sentì che la sua stima per la donna canarina saliva al 99,9 per cento (non fosse stato per quella dannata giacca!) e con un sorriso spense la tv.
Nessuno di quei porci avrebbe capito a chi si riferiva Hitomiko, ma Hera sapeva che la donna stava mandando un messaggio ad Afuro.
Buttò via il telecomando e si chinò su Afuro dando le spalle alla tv.
-Smettila di piangere- sussurrò, suonava come ordine, ma dolce.
Gli prese il viso fra le mani e glielo sollevò, il copriletto scivolò giù rivelando le lacrime che gli inondavano il volto.
Afuro singhiozzò e chiuse gli occhi, imbarazzato.
-Non azzardarti a ridere o ti uccido- disse fra i singhiozzi.
Hera scosse il capo e avvicinò le braccia alla sua fronte, solo sfiorandola.
Afuro lo sentì sorridere e aprì gli occhi, imbronciato.
-Ti ho detto di non ridere!-
Hera scosse il capo ma non lasciò il sorriso.
-Non rido per te- lo rassicurò.
Afuro si asciugò le lacrime con il dorso della manica e lo fissò interrogativo. 
-Allora che c’hai da ridere, scusa?- chiese accigliandosi.
Hera si alzò, e lo prese in braccio senza preavviso, mettendolo a sedere sul letto; quindi poggiò la fronte contro la sua e rise di nuovo, piano.
-Rido per la fine orribile che faranno quei cretini di giornalisti se si avvicinano di nuovo alla donna canarina!- esclamò, strappando un sorrisino anche al biondo.




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Capitolo 15
*** Capitolo 15 -Febbre da party. ***


Buongiornooo! ~
Stamattina ho deciso di aggiornare questa fic :)
Questo è un capitolo molto divertente e succoso, oltre ad essere uno dei miei preferiti in assoluto xD
Mentre il precedente era molto HerAfu, qui ci sarà spazio per tutte le coppie~
La DemeKiri e l'ArteApo mi piacciono un sacco... è un peccato che siano così poco considerate!
Ringrazierò sempre la santa ninja per avermi inculcato il culto di queste coppie (??)
Spero che vi piaccia ;)

Baci,       
Roby




Capitolo 15.

La mattina dopo, Hera guardò fuori e vide che stava piovendo.
-Dannazione.-
Non che sperasse in una gita in montagna, ma chiusi dentro casa avrebbe dovuto vedere tutto il giorno le stesse facce. Che poi, non erano molto allegre.
Afuro sembrava essere leggermente meteoropatico: la pioggia lo rendeva malinconico, continuava a fissare la finestra e a sospirare.
Ma non era l’unico ad essere teso.
Artemis era probabilmente di cattivo umore, ma poiché indossava la maschera ciò era deducibile solo dal fatto che avesse rinunciato al quotidiano rompere le scatole ad Aporo: anzi, mostrava nei confronti del piccoletto un’insolita freddezza.
Aporo era silenzioso.
Kirigakure, seduto sul divano accanto a Demete, sfogliava febbrilmente una rivista.
Il ninja aveva un’espressione contrita, e ogni volta che la pioggia cominciava a cadere più forte le sue spalle sussultavano; allora, solo il braccio di Demete intorno alla sua vita lo calmava.   
-Se continuate ad avere tutti quell’aria lugubre, mi farete sembrare quasi allegro.-
Tutti si voltarono sorpresi verso Hera, che aveva detto quelle parole gonfie di sarcasmo.
-Awn, il piccolo Tadashi si è spazientito?- lo prese in giro Kirigakure, accennando un sorriso.
Hera incrociò le braccia. –Il piccolo Tadashi ora ti prende a schiaffi- replicò.
Kirigakure ridacchiò e smise definitivamente di fingere di concentrarsi sulla rivista.
-Con questo brutto tempo cosa pretendi?- chiese ironico.
-Okay, il tempo fa schifo, ve lo concedo- ammise Hera alzando gli occhi al cielo.
-Ma il brutto tempo che tira qui dentro non lo batte niente- affermò e lanciò un’occhiata eloquente ad Artemis, che fece finta di non averlo sentito.
-La pioggia è diminuita- osservò Afuro –Credo che per mezzogiorno potremo uscire un po’…-
-Sarebbe bello- aggiunse Aporo, aprendo finalmente bocca.
-Cosa volete mangiare per pranzo?- domandò Artemis.
Hera cercò di inquadrare il tono di voce che proveniva dalle labbra marmoree della maschera.
-Cucini tu? Wow, io non so farmi nemmeno le uova- osservò Afuro.
-Viziato- commentò Hera e Afuro gli fece la linguaccia.
-Ehi, non vorrai mica avvelenarmi, Artemaniaco?- disse Aporo preoccupato.
-Forse dovrei- replicò canzonatorio Artemis, ma Hera fu certo che fosse serio almeno la metà mentre lo diceva per scherzo.
-Io voglio il sukiyaki!- gridò Demete.
-Ma sei scemo? Il sukiyaki d’estate?-
-Ma fa freddo no?! Stai sempre a criticare, scemoninja!-
-Chiamami ancora così e ti farò ingoiare l’elmo!-
-Ecco, ora direi che ci siamo- intervenne Hera soddisfatto, finalmente erano tornati alla normalità. Afuro sorrise:- Allora, sukiyaki sia?- 
-Sukiyaki- confermò Artemis –Appena finisce di piovere, andiamo a fare la spesa.
Ed infatti, quando finì di piovere Artemis li portò nel vicino paesino a fare compere in una piccola salumeria gestita simpatici anziani. E poi in una latteria gestita da simpatici anziani. E poi in un panificio gestito da simpatici anziani. E poi…
-Ma c’è qualcuno di VIVO in questo paesino?!!- sclerò Kirigakure.
-Beh il 70% di questo paese è costituito da persone anziane…- ammise Artemis.
-Sei molto scortese, comunque. Ti ricordo che gli anziani non sono così indifesi- commentò Hera, ripensando con un certo divertimento alla vecchina che li aveva rincorsi durante il viaggio di andata. Afuro sospirò.
-Non ci vuole un genio per capire a cosa pensi. Sei irrecuperabile- commentò, rassegnato.
-Comunque, ora dovremmo avere tutti gli ingredienti necessari- disse Aporo.
–Perché non torniamo indietro…?- Un urletto degno di una fan girl impazzita interruppe la frase di Aporo e sturò le orecchie di tutto il gruppetto. I ragazzi si voltarono, scioccati. Davanti a loro c’erano due ragazze, una bionda e una rossa molto prosperose.
-Non ci credooo! Da quanto tempo che non ci vedevamo, Saneki!- gridò la rossa.
In men che non si dica, entrambe corsero sui tacchi a spillo fino ad Artemis e lo ghermirono, attaccandosi ognuna ad un braccio. -Ehi ragazze- disse lui sfoderando un sorriso seducente.
- Saneki, sei il solito figo! Era da tanto che non venivi qui!- ridacchiò la rossa.
-Hai portato degli amici, che carini, anche se nessuno è paragonabile a te- commentò la bionda.
Kirigakure e Demete sbuffarono, indignati. Aporo distolse lo sguardo, disgustato.
-Anche se… a pensarci bene, il biondino non è male- disse la bionda.
La rossa squadrò Afuro. –Sì, ma sembra un bambino… Guarda invece chi abbiamo qui- aggiunse maliziosamente mentre spogliava Hera con occhi da gatta.   
Afuro si frappose fra loro e ringhiò, determinato a difendere il suo territorio.
Artemis ruppe la tensione con una risata. -Siete sempre più belle- commentò, facendole arrossire. Le due persero ogni interesse per gli altri e gli saltarono nuovamente addosso.
-Saneki, stasera ci sarà una festa a casa mia! Un bel party giovanile!-
-Vieni anche tu, ti prego!-
Artemis ci pensò un po’, poi sorrise:- Certo che verremo.-
Hera sgranò gli occhi, incredulo. Le due ragazze esultarono e corsero via.
-Saneki…- Hera usò apposta il suo nome di battesimo per marcare la frase. -Che significa “certo che verremo”?!! Dove cavolo vorresti portarmi, ebete?!!-
-Ma dai, Hecchan, ci sarà da divertirsi!- esclamò Artemis allegramente.
-Ma non sarà pericoloso andare in un posto così affollato? Potrebbero riconoscermi!- obiettò Afuro. Artemis scosse il capo.
-In questo paesino non c’è nemmeno un giornalaio, e tv al massimo una ogni tre case. Non c’è un gran passaggio d’informazioni, quindi non sanno nemmeno chi sei. Hai visto che quelle due non ti hanno minimamente calcolato?- disse.
Hera pensò che in effetti aveva un senso, anche se l’ego smisurato di Afuro subì un brutto colpo. I ragazzi tornarono a casa, con la prospettiva di una serata senza dubbio movimentata.

xxx 

Movimentata, sì.
Caotica, più che mai.
Ma soprattutto affollata!
Chi avrebbe mai immaginato che in quel paesino minuscolo ci fossero tanti giovani?!
Questi erano più o meno i pensieri di Hera, mentre appoggiato al muro cercava di camaleontizzarsi (??) con l’ambiente circostante. Lui odiava le folle.
Kirigakure, che faceva casino di natura, era a suo agio, e trascinava con sé il povero Demete. Aporo era fermo al bar da un’oretta, Afuro ballava immerso nella musica.  
Beh, ma lui era abituato a stare sotto le luci.
E Artemis… Artemis era nel suo mondo, anche se Hera poteva avvertire quanto in fondo fosse distaccato da quelle persone con cui scherzava amabilmente. Si somigliavano, lui e Artemis, nel fingersi inseriti in un mondo di cui, in fondo, non gliene fregava niente a nessuno dei due.
Forse era per questo che era diventato il suo primo amico, dopotutto.
-Ehi, Tadashi! Scatenati un po’!- esclamò Kirigakure saltandogli addosso.
-Sei totalmente andato, mammina- replicò Hera –Tu lo sapevi, vero, che il succo di frutta non era succo di frutta, ma sakè aromatizzato alla frutta?-
-Un cosa non era cosa, ma cosa aromatizzato a cosa?!- rispose il ninja, gaio.
“No, non lo sapeva…” sospirò Hera, e lo spinse addosso a Demete, che al momento aveva la capacità di ragionamento di un’abat-jour, ma era comunque più lucido di Kirigakure.
Quando Demete trascinò via Kirigakure e finirono inghiottiti dalla folla, Hera se ne disinteressò.
I due ragazzi arrivarono fino ai divanetti, nella stanza subito prima dell’ingresso.
-Che facciamo, papà?- lo prese in giro il ninja, maliziosamente.
-Non lo so- Demete scrollò le spalle –Sento la testa nel pallone…-
-Al massimo nell’elmo- rise Kirigakure, fin troppo allegro.
D’improvviso si zittì di colpo, cupo, e fissò Demete negli occhi. L’amico ricambiò, sorpreso.
-Yutaka… cos’è che Tadashi ti ha detto di ripetere ieri sera?- chiese imbronciato.
-Non posso dirtelo- disse Demete e Kirigakure si morse il labbro per la curiosità.
Poi fu tutto molto rapido.
Demete lo abbracciò, spingendolo indietro finché la schiena del ninja non combaciò con il muro della stanza, e gli posò le labbra nell’incavo del collo, cominciando a baciarlo.
Kirigakure sussultò, poggiandogli le mani sulle spalle nel tentativo di allontanarlo.
-Yutaka…- sussurrò, senza parole. Demete alzò lo sguardo e le loro labbra si trovarono, piene di fuoco e passione repressa. Il ninja gli tolse l’elmo e affondò le dita nei suoi capelli neri, senza fiato, mentre le mani dell’altro gli percorrevano la schiena.
Erano senza controllo, e talmente immersi nel loro mondo che non si accorsero neanche di Hera e Afuro, che pochi minuti dopo gli passarono affianco cercando l’uscita della villa. 

 xxx

Artemis non aveva quasi più fiato.
La villa era affollata e caotica, più di quanto uno potesse immaginare per quel paesino così smorto. Dopotutto, era bello distrarsi un po’ così, ogni tanto.
Aveva perso di vista Hera e gli altri, ma poco importava.
Si passò una mano sulla fronte sudata e cominciò a rovistare nel ripiano bar, in cerca di una birra, o almeno di un Martini. Ma invece di questo, trovò l’unica altra cosa in grado di inebriarlo.
Aporo Hikaru era seduto, o per meglio dire steso, sul bancone del mini bar, apparentemente addormentato. Artemis rimase a fissarlo alquanto perplesso.
Per prima cosa, decise di ignorarlo, ma a lungo andare la visione di Hikaru così fragile e indifeso cominciò ad affondare sempre di più nella sua mente, finché non riuscì più a concentrarsi sul Martini.
-Ma cosa devo fare con te?- sospirò, girandosi e scuotendolo lievemente.
Aporo reagì all’istante, aprendo gli occhi e schiaffeggiandogli la mano.
Artemis si ritrasse sorpreso: il ragazzino aveva il viso rosso e gli occhi languidi.
-Ma cosa cavolo hai bevuto?- esclamò.
-Sta zitto, Artemaniaco. Va a maniacare da qualche altra parte. Sono certo che le ragazze qui farebbero la fila per essere maniacate da te- biascicò Aporo, sbattendo nuovamente la testa sul bancone.
Aveva usato almeno tre parole del campo semantico di “maniaco” e, anche se era abbastanza sicuro che non esistessero davvero, Artemis si sentì talmente irritato che pensò di lasciarlo lì, ma poi il solo pensiero che qualcuno potesse approfittare di lui vedendolo così indifeso lo fece rabbrividire. Sospirò di nuovo.
-Usciamo un po’ fuori- disse, e lo afferrò per un braccio, trascinandolo all’aria aperta.
-Noooooo- si lamentò Aporo, ma non oppose resistenza. Artemis immaginò che non fosse in grado di farlo, perché in una condizione normale gli avrebbe già tirato un pugno.
Quando, usciti dal retro, l’aria fredda entrò nei polmoni di Aporo, il ragazzino cominciò a tossire, e le gambe gli cedettero, tanto che Artemis dovette sorreggerlo.
Lo afferrò da dietro, avvolgendo le braccia all’altezza del suo petto e abbracciandolo.
-Stai bene, Hikaru? Devi vomitare?- chiese preoccupato.
-No- borbottò lui, adorabilmente.
Artemis si ricordò allora che avrebbe dovuto essere arrabbiato con lui, ma non ci riusciva proprio: tutta la gelosia e la frustrazione di non poterlo avere tutto per sé erano stati rimpiazzati dal suo amore. Scosse il capo, dandosi dello stupido.
Improvvisamente Aporo ebbe un momento di lucidità e, rendendosi conto di dove si trovava, cominciò a scalciare per liberarsi dell’abbraccio.
-Hikaru, sta’ tranquillo. Non posso certo lasciarti solo in questo momento- disse Artemis.
-Qualunque scusa è buona, vero, Artemaniaco?- protestò Hikaru, ma si tranquillizzò. –Beh, per stavolta passi- aggiunse con un tono arrogante di accondiscendenza.
Artemis si lasciò sfuggire una risata nervosa.
-Davvero mi odi così tanto, Hikaru?- chiese sforzandosi di sorridere. Non ci fu risposta, e Artemis smise di sorridere.
–Mi hai sempre odiato, vero?
Si aspettava il silenzio, ma stavolta Aporo, dopo un’esitazione, parlò.
-No- mormorò. Reclinò la testa all’indietro poggiandola sulla spalla dell’altro e lo guardò con i suoi occhi vacui, da cui scese una lacrima. –Prima... prima, io… ero innamorato di te.
Artemis rimase a fissarlo, perso nella sua spontanea bellezza, continuò a fissarlo finché la realtà non penetrò nei suoi pensieri, di forza.
-Eh?!- esclamò basito.
Ma Aporo non aveva più voglia di parlare, infatti borbottò la parola “sonno” e si addormentò di botto fra le sue braccia. Artemis restò lì come un idiota.
-Ehi… no aspetta!- gridò –Che significava quello?! Hikaru, non puoi dormire proprio ora!- Quando si rese conto che non avrebbe ottenuto nulla, si fermò a riprendere fiato. Non sapeva perché, ma gli mancava il respiro.
“Ma allora la prima cotta di Hikaru ero io? Ero geloso di me stesso?” si chiese confuso.  “Hikaru… se prima eri innamorato di me… perché all’improvviso hai cominciato ad odiarmi?”
A pensarci, loro due andavano abbastanza d’accordo in seconda media, poi all’inizio della terza Aporo aveva cominciato a detestarlo ed evitarlo il più possibile. Non aveva mai saputo il perché.
Gli veniva anche da ridere, per via di quel groviglio di tensione che gli si era sciolto nel petto.
Una risata debole, sollevata ma anche piena di una nuova angoscia.
-Che carino, Hikaru- sussurrò. Avvicinò le labbra alle sue e sfiorò delicatamente quelle labbra.
E che ingenuo, ad addormentarsi nelle braccia del lupo. Era così indifeso, ora.
-Di questo passo… finirò per divorarti.-

 xxx

“Perfetto, ora dopo Demete e Kirigakure sono spariti anche Aporo e Artemis” si disse Hera, seccato di essere stato abbandonato a se stesso nel bel mezzo della sala, dove peraltro era stato trascinato dai suoi cosiddetti amici: decise che, se la serata non fosse migliorata, avrebbe revocato loro quel titolo e li avrebbe sostituti con dei pastorelli di vetro di Murano.
Non ne poteva più di quel posto, e delle ragazze che venivano di continuo a chiedergli di ballare. Hera Tadashi non ballava e non si metteva in mostra.
Così, quando sentì qualcuno prendergli la mano la prima reazione fu quella di voltarsi, con una faccia molto incazzata, pronto ad urlare un “no” in faccia a qualcuno.
Ma poiché la faccia era quella di un certo idol biondino e angelico, il “no” gli morì in gola.
-Ti stavo cercando…- mormorò lui, abbassando lo sguardo.
Hera si concentrò sulle loro mani unite. Le dita di Afuro riempivano lo spazio vuoto fra le sue, combaciando perfettamente. Inoltre la pelle dell’idol era leggermente più bianca della sua.  
-Tadashi? Mi ascolti?- disse Afuro. Hera alzò il capo e fece segno di no. Afuro sospirò.
-Lo immaginavo. Fa troppa confusione qui dentro. Usciamo.- decise.
Hera strinse la sua mano e si lasciò portare verso l’ingresso, dove fece solo blandamente caso a Demete e Kirigakure che pomiciavano su un divanetto. Lo annotò però mentalmente, visto che i due erano talmente ubriachi che probabilmente avrebbero dimenticato tutto la mattina seguente. Afuro invece era concentrato solo su di lui e non li riconobbe.
Uscirono fuori, e faceva freddo. Hera si tolse la giacca e la mise sulle spalle di Afuro, che era sudato e rischiava di ammalarsi. Il biondino sussurrò:- Grazie- e arrossì.
Continuavano a tenersi per mano mentre camminavano sulle colline erbose.
Si sedettero e alzarono la testa verso il cielo stellato, tranquilli.
-Sai… da piccolo le guardavo spesso perché pensavo che anche mio padre le stesse guardando, e quindi sicuramente saremmo rimasti uniti- sussurrò Afuro.– Tu non guardavi le stelle, Tadashi?-
Hera scosse il capo e rotolò su un fianco per poter appoggiare la testa sulla spalla di Afuro.
Al biondino mancò un attimo il respiro, poi però si rilassò.
-E’ bello anche guardarle con te, comunque- aggiunse sorridendogli.
Hera continuò a fissare il cielo nero e luminoso e pensò che era proprio come loro due.
Vicini, eppure così diversi. Anche molto simili, certo: erano entrambi bambini abbandonati, dopotutto. Ma cosa li rendeva tanto diversi? Hera era sicuro di conoscere la risposta.
Afuro era sfolgorante, una luce calda e luminosa, laddove Hera poteva soltanto essere un’ombra.
-Certo che siamo proprio una bella coppia noi due- esclamò, ridendo fra sé.
Afuro arrossì e chiese:- Cosa intendi dire?-, ma Hera non rispose. Chiuse gli occhi e si accucciò contro il corpo del biondino, stringendolo a sé. Afuro smise di respirare, e parlò dopo un po’.
-Ehi, Tadashi, non avrai intenzione di dormire qui?-
-…forse.- 





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Capitolo 16
*** Capitolo 16 -Inseguendo te... ***


 Duuunque. Ciao :)
Con questo capitolo si conclude la parte della storia riguardante lo "scandalo Terumi".
Ho notato che nelle mie fic i temi familiari sono spesso presenti; ho paura di essere ripetitiva, infatti il rapporto fra Afuro e suo padre qui ricorda un po' quello di Hiroto e suo padre in "Innocent Heart" (altra mia long pubblicata con questo account, non so chi la conosce o meno :'DDD).
Che dire, i rapporti padre-madre-figli mi piacciono molto.
Io credo che ci siano cose che solo una famiglia può dare, e che le cose che un padre e o una madre dicono o fanno non si cancellano facilmente dalle menti dei figli.
Insomma, è tutto molto delicato. Detto tutto ciò, spero solo che il capitolo vi piaccia <3
Ah, immaginate le frasi scritte in corsivo all'inizio come pronunciate da un Afuro bambino. ;) 
Il comportamento di Hera mi piace molto. Ha un ché d'imprevedibile e spiazzante~
Baci,         
       Roby



 
Capitolo 16.

~A me piacciono le cose belle... le cose luminose. Come te, papà.
Inseguendo te, entrerò a fare parte del tuo mondo bello e luminoso. Per te, farò della bellezza la mia forza.

Voglio brillare con tutto me stesso, così anche quando sarò lontano…
…tu potrai trovarmi. ~


 

Aveva ricominciato a piovere.
A tratti era leggera, a tratti invece scoppiava fortissima. E ad ogni lampo, Kirigakure non poteva fare a meno di sobbalzare: quel rumore lo infastidiva più di qualunque altra cosa.
Lo infastidiva e lo spaventava.
Contava giustappunto il dodicesimo sobbalzo quando una mano gli si posò sulla spalla.
-Tutto bene?-
Solitamente la voce di Demete aveva un effetto calmante su di lui, ma quella mattina Kirigakure aveva più d’un motivo per non sentirsi calmo: uno di questi era proprio lui, Demete.
Annuì con vigore e si scostò dal contatto fisico, rannicchiandosi sul divano.
Demete sospirò e si sedette accanto a lui, ma senza toccarlo. Accese la tv.
Kirigakure rimase a fissarlo di nascosto. Il pensiero della notte precedente lo tormentava; si era svegliato fra le braccia del suo amico, ma senza ricordare nulla.
Non sapeva se Demete ricordasse e di certo non gliel’avrebbe chiesto…
-Bleah, tg!- esclamò Demete. In quei tempi, i massmedia facevano abbastanza schifo ad ognuno di loro, perciò il ragazzo cercò subito il telecomando per togliere ma non ricordava dove l’aveva messo.
-Sei un disastro, l’hai usato giusto pochi minuti fa- commentò Kirigakure.
-Invece di darmi addosso, aiutami- sbuffò l’altro, poi i suoi occhi si persero nello schermo.
Kirigakure gli schioccò le dita davanti.
-Ehi, Terra chiama Yutaka! Che ti prende?- chiese perplesso. Demete scosse il capo e indicò lo schermo. Entrambi rimasero a bocca aperta a fissare l’uomo dai capelli platinati che attraversava con classe l’aeroporto, incurante dei giornalisti e delle videocamere.
-Afuro...!- gridò Kirigakure senza muoversi. Nessuno rispose, ovviamente, gli altri quattro dormivano tutti. Allora il ninja saltò su e corse nella stanza di Hera e Afuro.
- Afuro! Afuro!- continuò a gridare, scuotendo il biondino, che lentamente iniziò a svegliarsi.
Per sfortuna di Kirigakure, Hera si svegliò prima, e gli fece volare un cuscino dritto in faccia.
-Sta un po’ zitto, che sono appena le dieci!- brontolò.
Il ninja barcollò, lamentosi per il trattamento scortese, poi però tornò all’attacco.
-Afuro, devi svegliarti! Accendi la tv!- gridò. Afuro si sollevò un po’, spaesato.
-Che c’è?- chiese assonnato.
-C’è tuo padre!-
Afuro e Hera scattarono, di colpo sveglissimi, e fissarono allibiti Kirigakure.
Il ninja strinse i pugni e ripeté:- C’è tuo padre! Minoko Terumi è arrivato in aeroporto oggi!-

 
xxx
 
Si erano riuniti tutti nel salotto, dove la tv era ancora accesa anche se il tg era finito.
Quando scoccarono le dieci e mezza fu evidente quanto pesante fosse il silenzio che regnava.
Nessuno osava parlare, del resto Afuro sembrava fuori dal mondo.
Continuava a fissare con sguardo vitreo lo schermo, tremante.
Hera non sopportava di vederlo in quello stato…
-Basta- sussurrò. Nel silenzio quel sussurro sembrò un urlo.
-Hecchan?- esitò Artemis.
-Basta!- disse Hera a voce più alta, e afferrò Afuro per un braccio: il ragazzo scattò dalla sua trance e lo fissò smarrito.
-Alzati! Muoviti!- gli ordinò Hera trascinandolo. –Andiamo da tuo padre!-
Afuro s’irrigidì all’istante e s’impuntò a terra.
-No! Lasciami! Mio padre sarà di certo arrabbiato a livelli stratosferici con me, con che faccia mi presenterò davanti a lui?!- protestò tirando per liberarsi dalla presa, ma Hera non lo mollò.
-Ma che dici? Non vuoi vederlo?- domandò Aporo incredulo –Di sicuro sarà preoccupato per te!-
-Io voglio vederlo… Ma lui è sempre così distante… temo sia lui a non volermi vedere- sussurrò Afuro, poi diede uno strattone e si liberò dalla presa. I suoi occhi vagarono con rabbia su Hera.
-Smettila di immischiarti! Tu non puoi capire… Il cuore di mio padre mi appare così lontano dal mio… non riesco a raggiungerlo- pianse, con frustrazione, stringendo le braccia al petto.
-L’ho sempre guardato da lontano… non riesco a raggiungerlo…!-
Il dorso della mano di Hera gli colpì il viso e lui si bloccò, incredulo.
-Tadashi!- lo riprese Demete.
Afuro smise di tremare: se Hera avesse voluto dargli uno schiaffo, avrebbe fatto male... ma a fare male non era il gesto che aveva osato fare, quanto piuttosto il suo sguardo triste.
-Non dire stupidaggini. Tuo padre è qui, lo capisci? E’ ancora così vicino. Non ti permetterò di lasciarti sfuggire quest’occasione- Hera sorrise appena, posandogli una mano sul capo.
-Noi possiamo solo starti accanto, ma sei tu a dover parlare. Se non dici le cose, come potrebbero gli altri capirle?- aggiunse.
Afuro lo guardò e scoppiò di nuovo a piangere, ma questa volta si appoggiò a lui.
Hera lo strinse a sé e si rivolse ad Artemis:- Credi di poterci portare alla villa di suo padre prima che scoppi un putiferio?-
Artemis fece un sorrisetto. –Certo che sì.- rispose facendo roteare le chiavi dell’auto fra le dita.
A quella vista Aporo, Demete e Kirigakure sbiancarono.
-Se non vi va di venire, potete restare qui- s’accigliò Artemis.
Demete deglutì. –N-No… per Afuro, affronterò anche questo!- esclamò.
Kirigakure fece un bel respiro profondo e annuì.
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In fondo, la traversata in auto fu meno turbolenta della prima, se si eccettua il fatto che andavano a circa 180 chilometri orari su una strada di campagna e che il termine della corsa fu il cartello stradale “Benvenuti ad Inazuma-cho”, contro cui si schiantarono.
-Siamo arrivati- cinguettò Artemis –D’ora in poi si prosegue a piedi!-
-Beh, per fortuna!- rantolò Aporo passandogli accanto per uscire.
Artemis sorrise e lo aiutò con una tale dolcezza nei gesti che Aporo lo fissò sorpreso e arrossì impercettibilmente: non aveva ricordo della sera precedente, mentre Artemis sì.
Hera, che d’altronde era l’unico ad aver ben impresso nella memoria la serata precedente in tutti i minimi dettagli, era stato troppo occupato a preoccuparsi per Afuro per preoccuparsi di sapere come stavano gli altri.
Arrivarono a piedi davanti alla villa, che quasi non era visibile oltre le teste dei media.
Afuro tremava di terrore, ed Hera gli mise il cappello in testa, infilando i capelli tutti sotto, poi gli mise la sua felpa sulle spalle e lo strinse a sé.
-Mi serve un diversivo per far entrare Afuro- disse guardando uno ad uno i suoi compagni. Kirigakure si puntò il dito al petto.
-Nulla di più facile per un ninja!- esclamò.
-Io gli do una mano… a non cacciarsi nei guai- aggiunse Demete.
-Afuro, c’è un altro ingresso?- chiese Hera.
L’altro annuì e sussurrò:- C’è una porta sul retro. Dobbiamo fare il giro…-
-Allora vi facciamo largo- disse Artemis, e fece l’occhiolino poco prima d’infilarsi la maschera.
Hera e Afuro lo seguirono con lo sguardo mentre lui s’immergeva nella folla con tutta tranquillità.
-Signori! Che ne dite di divertirci un po’ nell’attesa?- esclamò.
Kirigakure fece scrocchiare le mani. –Yahooo!- gridò e saltò fra la folla, lanciando una piccola sfera nera. Quando questa toccò terra scattò un timer di tre secondi e poi fumo nero ovunque.
-Ora vedrete la forza dei ninjaaaaaa!-
-Mi tocca seguirlo! Andiamo, Aporo!- disse Demete e i due s’inoltrarono nel fumo.
Hera prese Afuro per mano e fecero insieme il giro delle mura di cinta.
-Sono alte- constatò Hera, ci pensò un po’ su, quindi prese sulle spalle il biondino, che preso alla sprovvista avvampò e soffiò:- Cosa cavolo fai?!-
-Ti aiuto a scavalcare. Su, muoviti- disse.
-E poi tu come fai?-
-C’è proprio bisogno che venga anche io?-
Afuro abbassò lo sguardo e si morse il labbro.
-Sì… ti vorrei al mio fianco.-
Hera sospirò e annuì, e non appena Afuro si fu arrampicato prese la rincorsa e si aggrappò al muro riuscendo a darsi la forza per saltare su. Insieme, poi, discesero nel giardino.
Dal davanti venivano voci concitate: stavano facendo un bel po’ di confusione, per essere solo in quattro persone.
“Sì, ma che persone!” pensò Hera, quei quattro erano davvero una delle peggiori disgrazie che gli fossero capitate… però era felice che gli fossero capitate.
Afuro aprì la porta sul retro, ma non fece neanche due passi.
-Afuro?-
Si girò verso quella voce profonda, tremante.
-Papà…-
Hera rimase con lo sguardo sospeso fra i due Terumi, padre e figlio . 
Si somigliavano tanto… i capelli di Minoko Terumi erano color platino e nel suo portamento c’era la stessa eleganza e grazia del figlio; anche i tratti del viso erano simili, pur essendoci tuttavia una singolare morbidezza nel viso di Afuro che mancava in Minoko.
E poi, gli occhi di Minoko erano castani, dunque Afuro aveva gli occhi della madre scomparsa.
Ora, quegli occhi, quelli castani e quelli rossi, si fissavano pieni di incredulità.
-…perché…- La voce di Minoko era quasi un sussurro.
-Papà, io…!- cominciò Afuro, ma il padre lo interruppe afferrandogli un braccio.
Hera arretrò, preso alla sprovvista dal gesto brusco dell’uomo, e decise di starsene in disparte, tant’è che l’uomo non l’aveva neanche notato.
-Perché sei venuto qui?!- quasi gridò l’uomo.
La voce destò l’attenzione dei giornalisti più vicini alle finestre, che iniziarono a bussare insistentemente. Di alcuni era udibile la voce.
-Signor Terumi, apra! Vogliamo solo fare qualche domanda!-
-Lei ha avuto tutto dalla vita, come ci si sente?!-
-E’ vero che suo figlio ha fatto carriera solo grazie al suo denaro?!-
-Risponda!-
Afuro cominciò a tremare sotto quella tempesta di domande e grandi lacrima spuntarono all’angolo dei suoi occhi. –Papà… è tutta colpa mia…- singhiozzò.
Il signor Terumi sembrava una persona mite e impassibile: questa era l’impressione che Hera aveva avuto, e tuttavia seppe che stava per accadere qualcosa d’inaspettato.
Infatti Minoko Terumi si voltò di scatto e aprì la porta con un gesto talmente brusco che scoppiò un silenzio basito fra la folla che circondava la casa.
Gli occhi di Afuro erano sgranati su suo padre.
-Io ho avuto tutto dalla vita? Forse sì, ma me lo sono guadagnato!- gridò. Le sue dita erano strette intorno al braccio del figlio, che attirò a sé in un gesto protettivo.
-Se mio figlio ha usufruito di quello che ho guadagnato? Sì! Ma se qualcuno oserà insinuare brutti pensieri su di lui e sul suo talento allora se la dovrà vedere con me!-
La massa di giornalisti era inferocita e superficiale, ma qualcosa nel tono fermo dell’uomo, qualcosa nei tratti duri e rabbiosi, li zittì all’istante. Si poteva avvertire un certo timore e rispetto nei confronti di Terumi, che si ergeva sulla società con tutta la forza del suo animo, e non dei suoi soldi.
-Afuro è il mio unico, adorato figlio! E se avete qualcos’altro da dire, fatevi avanti!- continuò Terumi. Tutto sembrava essersi fermato, persino le lacrime di Afuro, che al suo fianco, lo fissava come perso in un sogno.
Hera si lasciò sfuggire un sorriso: Afuro, che viveva da solo e si atteggiava da persona matura, fra le braccia di suo padre sembrava così piccolo da fare tenerezza.
Poco dopo, al seguito dell’intravedersi della giacca giallo canarino, Hitomiko, Athena e Saginuma apparvero e si schierarono davanti alla famiglia Terumi.
-Fareste meglio ad andare; gestirò io le domande- disse Hitomiko alla folla, con un sorrisetto che lasciava trasparire tutto il suo disprezzo e il suo sentirsi superiore agli altri.
Al vedere quel sorriso tutti i presenti rabbrividirono, compresi Hera, e Kirigakure e gli altri che stavano fra la folla: quanto a brutto carattere, Hitomiko competeva con Artemis.
Così la folla si disperse al seguito di Hitomiko, controllati da Saginuma e Athena, mentre gli altri restavano davanti alla casa. Tutti erano in silenzio.
Afuro esitò, poi abbracciò suo padre, piangendo.
-Papà… per il tuo affetto io… avrei fatto di tutto!-
Minoko s’irrigidì un po’, imbarazzato, ma poi acconsentì al contatto e chiuse gli occhi.
Hera capì in quel momento che non c’era nient’altro da fare per lui lì.
-Andiamo- disse agli altri, fra cui Demete e Kirigakure piangevano come fontane.
Artemis squadrò il suo amico in volto. –Hecchan…- sussurrò, ma Hera gli fece segno di non parlare. I cinque ragazzi iniziarono ad andare per lasciare ai Terumi l’intimità che gli serviva.
Hera si voltò un attimo e sorrise, malinconico: ora finalmente Afuro sarebbe tornato a brillare… e lui, nell’ombra, ad osservare quel fulgore. Ma andava bene così.
Per un attimo gli sembrò che anche lui lo guardasse. Si girò verso la strada e con le mani in tasca s’incamminò per la strada che aveva scelto.
Afuro, fra le braccia di suo padre, si sentiva caldo e al sicuro.
Sì, era felice. Suo padre, per il cui affetto aveva deciso di entrare in quel mondo pieno di luce e ombra, per lui, per raggiungere lui, si era messo duramente alla prova… Ora, finalmente, suo padre l’aveva compreso, ed era bellissimo…
La mano di lui gli si posò sul capo, accarezzandogli i capelli.
-Afuro… rimarrò sempre al tuo fianco. Ma è ora che tu smetta di guardare a me- disse Minoko. Afuro sbatté gli occhi, senza capire, ma suo padre non aggiunse altro.
Allora il giovane idol si accorse di aver già sentito quel calore, quella felicità, nelle braccia di un’altra persona. Si voltò di scatto verso la strada e vide che Hera e gli altri se ne stavano andando. I suoi occhi vagarono sui suoi amici, e si soffermarono sulla schiena di Hera.
“Ora capisco cosa vuole dire mio padre… ora che l’ho superato, c’è solo una persona su cui il mio sguardo indugia… e sei tu, Tadashi…”
Il ragazzo dai capelli rossicci si voltò un attimo a guardarlo, sorrise senza accorgersi di essere ricambiato e tornò a guardare davanti a sé.
“Il tuo sguardo va sempre lontano. Cosa guardi? Cosa cerchi, lontano da qui?” si ritrovò a pensare. “Non guardare lontano, perché io sono vicino a te… Guardami…“
Non appena si rese conto di quello che gli stava accadendo, si portò le mani al volto e sentì le guance bollenti: avrebbe giurato di essere arrossito.
Era successo. Quando? Era successo.
Era rimasto invischiato nella sua stessa trappola… voleva che Hera lo guardasse perché voleva l’attenzione di tutti su di sé, o perché voleva solo la sua attenzione?
I suoi occhi guizzarono di nuovo verso la schiena di Hera, ormai un puntino in fondo alla strada, ma poi si riabbassarono subito. Non doveva guardarlo più, non doveva.
Altrimenti non sarebbe più riuscito a distogliere lo sguardo…
 


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Capitolo 17
*** Capitolo 17 -La tempesta di Febbraio (?). ***


Ciao bella genteH  <3
Il titolo del capitolo si riferisce alla festività di San Valentino: diciamo che, essendo questa una fic romantica a sfondo scolastico,
era banale e scontato che dedicassi qualche capitolo a questa festività xD
Questi capitoli sono abbastanza importanti perché segnano una svolta in tutte e tre le coppie,
quindi spero che vi piacciano! :DDD
Bacioni,
Roby 

 



Capitolo 17.

-Tadashi.-
Il ragazzo non rispose, ma premette a lungo le labbra sulla pelle del suo collo, facendolo gemere. Pronunciava quel nome a voce alta, languida, tante volte.
-Tadashi.-
Tadashi cercò le sue labbra, baciandolo avidamente, mentre le sue mani gli percorrevano il corpo. Le sentì scendere lungo i fianchi e accarezzargli le gambe nude.
-Tadashi- disse di nuovo, soffocando un gemito. Tadashi sorrise e affondò il viso nei lunghi capelli biondi dell’amante, le sue mani diventavano così intime…
E il telefono squillò.


Afuro aprì gli occhi e si alzò di scatto sul letto.
Con aria assopita e confusa si guardò intorno e afferrò il cellulare squillante, la vibrazione gli solleticava le dita dandogli una sensazione di prurito.
-Tadashi?- borbottò assonnato. Dall’altra parte venne una risata.
-Stai ancora sognando?-
Solo in quel momento Afuro si svegliò completamente. –S-Saiji?!- esclamò.
-Ciao, bello addormentato. Ho chiamato per ricordarti di passare da me dopo il lavoro. Dobbiamo fare quella cosa, ricordi?-
-S-Sì, scusami, va bene- disse Afuro. Saiji rise di nuovo.
-Bravo, così mi dici pure cosa hai sognato stanotte- disse e attaccò ridendo.
Afuro rimase a fissare il cellulare come un cretino. Aveva ancora i brividi e arrossiva sempre di più man mano che gli tornavano in mente i particolari bollenti del suo sogno.
Era decisamente grave, fare sogni erotici su Hera Tadashi.
Erano passati tre mesi dalle vacanze estive, e per Afuro il tempo era passato più veloce di quel che si aspettasse. Era anche riuscito a passare finalmente le vacanze di Natale con suo padre, dopo tanto tempo, e per questo doveva ringraziare Hera.
Più cercava di non pensare a lui, più gli era difficile; non ci volle molto perché dovesse ammettere a se stesso di essersi irrimediabilmente innamorato di Hera, soprattutto perché quello non era il primo sogno erotico che faceva su di lui.
Per fortuna o sfortuna, a causa del lavoro lo aveva visto molto poco in quel periodo.
Si alzò, si infilò sotto la doccia per calmare i bollenti spiriti, sperando che l’immagine di Tadashi che lo stuprava scivolasse via con l’acqua, quindi si asciugò e sui vestì per andare a lavoro.
Trovò Saginuma con la macchina ad aspettarlo fuori casa.
-Buongiorno- disse Afuro. Saginuma era insolitamente allegro.
-Che ti prende?- chiese Afuro perplesso.
-Diciamo che oggi l’ambiente si è vivacizzato un po’. Atena, soprattutto, si sta divertendo da morire- rispose Saginuma enigmatico e tornò a ridere sotto i baffi.
Afuro continuò a morire di curiosità finché non arrivarono, e subito si sentirono distintamente voci diverse gridare.
-In fondo cos’ho fatto di male? Ti ho solo seguito fin qui!-
-Questo si chiama stalking! Stalking, capito?!-
-Esagerato… questa è la forza dell’amore!-
-Non ti sopporto, Hepai!-
-Hepai!- esclamò Afuro scendendo dall’auto. Un ragazzo dai capelli ondulati viola e pelle scura si girò verso di lui, ma lo degnò appena di uno sguardo.
-Chi si rivede, il biondino senza cervello- commentò con un ghigno.
-Almeno io non ho la dignità di un cane- replicò Afuro, con semplicità, sapeva come trattare con lui e non si lasciava certo intimidire. Hepai si girò e ringhiò.
-Smettila- lo rimbeccò Atena, avvicinandosi ad Afuro per baciarlo sulle guance.
Hepai gli saltò addosso, atterrandolo, e lo abbracciò con la faccia di un cagnolino bastonato.
-Ma io sono gelosoooo!- piagnucolò –T’importa più di quel biondino scambiato che di me!-
Afuro li ignorò e andò verso Hitomiko.
-Come stai?- chiese la donna squadrandolo. Afuro sorrise. –Tutto bene.-
-E Minoko?-
-Tutto bene, grazie! Mi ha chiamato per dirmi che a Capodanno non ci sarà, ma verrà la settimana dopo per stare un po’ con me- annunciò Afuro allegro.
Un rumore di schiaffo suonò dietro di loro: Atena si era liberato di Hepai.
-Saginuma, invece di ridere, porta Afuro a vestirsi- ordinò Atena, visibilmente irritato. Hitomiko prese Hepai per la collottola e lo legò ad una sedia usando un foulard di piume rosa.
-Basta fare confusione, ora- gli intimò. Hepai, sebbene imbronciato e seccato, non osò contraddirla e rimase fermo dov’era (non che avesse scelta), e finalmente poté iniziare la sessione di scatti, a cui sarebbe seguito un breve filmato.
Afuro si sentiva emozionato, perché da quel lavoro sarebbe dipeso un passo importante della sua carriera; infatti, avrebbe potuto essere lanciato come modello pubblicitario oltre che fotografico. Aveva già ricevuto un’offerta per un profumo e puntava in alto.
Non era proprio il caso di lasciarsi distrarre da Tadashi, ora.
Appena finito il lavoro, Afuro corse per prendere la metro e raggiunse la casa di Kirigakure: si trovava in un quartiere un po’ desolato, con poche persone e nessun ragazzo della loro età. La famiglia non doveva essere molto benestante, perché l’intera villetta era grande quanto solo il salotto della casa in montagna di Artemis.
“Strano che Saiji sia venuto su così allegro” pensò Afuro mentre bussava per annunciarsi.
Pochi secondi dopo, si udì un fracasso che lo fece sobbalzare e Saiji aprì di scatto la porta, con un gran sorriso. –Scusa la confusione- disse, gli aprì il cancelletto e gli fece persino una scherzosa riverenza quando Afuro mise piede in casa.
In effetti, confusione era dire poco; nulla a che vedere con casa sua, o con il maniacale ordine di Tadashi…! Tutto, in quella casa, sapeva di Saiji ed era Saiji.
-I miei genitori sono in viaggio addestramento in Cina- dichiarò Saiji orgoglioso, e Afuro intuì (sarà che la casa brulicava di armi e rotoli ninja) che il culto dei ninja doveva essere una cosa di famiglia.
-Vieni, la cucina è di qua…- disse il padrone di casa, saltando un punto coperto di panni.
-Ah, fa’ attenzione a dove metti i piedi, potrebbero scattare delle trappole.-
Afuro non ebbe tempo di chiedersi come intendeva con “trappole” che mettendo il piede su una mattonella del corridoio dalle pareti schizzarono kunai affilati; il biondino si abbassò a tempo e le armi si conficcarono nei muri opposti, recidendogli alcune ciocche bionde.
-Ti avevo avvisato- disse Saiji sorridendo e aiutandolo ad alzarsi.
-Ah, ma grazie- borbottò Afuro irritato e un po’ spaventato.
Saiji si fece una risata, e il biondino sentì di non poter essere arrabbiato con lui.
“Saiji ha un’aura tanto positiva” pensò lasciandosi sfuggire un sorriso. Saiji lo tenne per mano finché non raggiunsero sicuri la cucina. –Ecco- annunciò.
Afuro si guardò intorno sorpreso, osservando gli attrezzi sulla tavola e lo sporco delle stoviglie.
-Saiji…-
-Sì?-
-Quando mi dicevi “quella” cosa… intendevi fare cioccolata?-
Saiji arrossì leggermente e distolse lo sguardo, unendo le dita delle mani nervosamente.
-Beh, tra poco è San Valentino - disse imbarazzato.
-C’è qualcuno a cui vuoi fare un regalo?- chiese Afuro sorridendo. Già conosceva la risposta, in realtà, e sotto il suo sguardo malizioso Saiji si sentì scoperto e arrossì di brutto.
-Demete sarà molto felice- lo rassicurò Afuro posando la sua borsa su una sedia, si rimboccò le maniche e si lavò le mani. Quando si girò vide che Saiji fissava con espressione dubbiosa il pavimento, con un braccio disteso lungo il fianco, teso, e l’altro appoggiato sulla spalla.
-Afuro… tu ricordi la sera del party in montagna?- chiese senza guardarlo negli occhi.
-Sì- rispose Afuro sorpreso. –Perché? E’ successo qualcosa?-
-Non lo so!- sbottò Kirigakure esasperato. Cominciò a scuotere il capo nervosamente.
-E’ proprio questo il problema! E’ successo qualcosa fra me e Dem, ma non me lo ricordo! Voglio dire, dovevo essere ubriaco fradicio, il mattino dopo avevo un mal di testa atroce ed ero fra le braccia di Dem…-spiegò in modo confuso.
-E lui anche non ricorda niente?-
-Non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo.-
Afuro sospirò. –Allora perché vuoi fargli un regalo per San Valentino?-
Il ninja arrossì di nuovo, e la sua voce calò fino a divenire un sussurro.
-Ho pensato… che dovrei provare a dichiararmi. Da quell’episodio non sono mai riuscito a smettere di pensare a come sarebbe se fossimo davvero “sposati”… Lo so che è stupido. Forse Demete non prova gli stessi sentimenti per me, ma per me lui… è la persona più importante.-
Afuro sorrise e prese un grembiule, alzando i capelli per allacciarselo dietro al collo.
-Non ti preoccupare, andrà bene per voi due- lo rassicurò, era infatti certo che anche Demete provasse più che amicizia per il ninja.
Kirigakure annuì e s’infilò il suo grembiule, quindi parlò di nuovo.
-E tu invece? Non c’è nessuno a cui vuoi fare regali?- chiese malizioso –Nessuno, che magari ti sogni pure?-
Afuro avvampò mentre gli tornavano di nuovo in mente scene del suo sogno.
- Awn, se fai sogni erotici sul mio figliolo, potrei ingelosirmi- lo prese in giro Kirigakure.
- Sta’ zitto- lo rimbeccò subito Afuro. Kirigakure scoppiò a ridere.
- Tadashi ti piace proprio, eh? Perché non ti dichiari anche tu?-  propose.
Afuro rimase immobile a fissarlo e Kirigakure aggiunse:- Che c’è?-
-Nulla, è che non ci avevo affatto pensato- mormorò Afuro sorpreso.
“Tadashi non mi asseconda mai, però è inequivocabile che ha un certo attaccamento per me. Il che significa che le mie possibilità non sono zero” rifletté, e più ci pensava più si convinceva di quest’ipotesi.
Si rivolse all’amico:- Hai ragione! Farò della cioccolata per Tadashi… e mi dichiarerò!-
 

xxx

Stranamente c’era molta agitazione nella strada, e anche nel cortile della scuola.
Le ragazze giravano solo in gruppi, più maliziose del solito, mentre i ragazzi le seguivano con lo sguardo, uno sguardo speranzoso e pieno di desiderio.
L’entusiasmo, insomma, era palpabile.
“Credo di aver dimenticato qualcosa” si disse Hera, scuotendo il capo.
Alcune ragazze ridacchiavano, incoraggiando un’amica.
Hera le guardava, senza reale interesse. Stava cercando di capire che giorno fosse.
Le porte della metro si aprirono e lui uscì insieme alla folla, ma all'improvviso qualcuno lo trattenne. Si voltò, solo per trovare la ragazza di prima aggrappata al suo blazer.
Allora la riconobbe, era una matricola del club di calcio... non si ricordava assolutamente il suo nome perciò preferì tacere, continuando a fissarla.
La ragazza arrossì, e lanciò uno sguardo incerto alle amiche.
Parlavano con sguardi e bisbigli, cosa che irritò non poco Hera, visto che era escluso pur essendo il diretto interessato.
-C’è qualcosa che non va?- chiese spazientito. La ragazza sobbalzò e balbettò un qualcosa d’incomprensibile, poi gli tese un sacchetto di biscotti fatti in casa.
-Ti prego di accettarli!- gridò, eppure la sua voce fiacca si sentì appena nella folla.
Hera provò sincera compassione per lei e li prese.
-Va bene. Grazie…- “…quale era il tuo nome?” cercò di ricordarselo, ma alla fine rinunciò e si limitò ad abbozzare un sorriso.
La ragazza annuì con vigore e tornò di corsa dalle amiche, che l’accolsero con un grande abbraccio. Hera si avviò verso la scuola soppesando il sacchetto di biscotti; dopotutto, che male c’era nell’accettare il regalo di una matricola? E gli capitava pure spesso.
Arrivò davanti al cancello, dove trovò Demete e Aporo. Entrambi guardavano verso le ragazze raggruppate intorno ad Artemis, ma con sentimenti totalmente opposti: Demete con una certa invidia, Aporo con sommo disprezzo e disgusto.
-Buongiorno- disse Hera, cauto.
Aporo non sembrò nemmeno accorgersi di lui, invece Demete accennò un saluto.
-Aaah, come vorrei essere al suo posto! Guarda quanta cioccolata gli regalano!- sospirò, mordendosi il labbro.
-Mi auguro che gli vada di traverso e che si strozzi.- sillabò Aporo. Hera si accigliò.
-Ma che cavolo di giorno è oggi…?- stava dicendo quando arrivò Afuro, subito abbracciandolo.
-Devi per forza farlo tutte le mattine?- chiese Hera torvo.
Afuro sussultò e si staccò immediatamente, rosso di un imbarazzo che Hera non capì.
Dietro il biondino arrivò Kirigakure, con passo assonnato e incerto.
-Non dirmi che tutta quella folla è per Artemis?- commentò come risvegliandosi.
Demete annuì, con un altro sospiro. Aporo quasi ringhiò, poi distolse lo sguardo.
-Attira ragazze come mosche- commentò il gladiatore –Se fossi bello come lui…-
-Ma tu sei bello- borbottò Kirigakure, ma Demete era troppo immerso nelle sue fantasie e non lo sentì. Il ninja si morse il labbro e si mise una mano in tasca, frugando.
Hera non poté fare a meno di considerare che la bizzarra malattia di quella giornata aveva contagiato anche i suoi amici.
-Tadashi…- disse Afuro, poi il suo sguardo si abbassò sulle mani del ragazzo e cacciò un urlo, facendo un salto all’indietro. –C-che cos’è q-quello?!!!-
Demete, Kirigakure e persino Aporo si girarono seguendo il dito di Afuro, puntato sul sacchetto di biscotti che Hera teneva ancora in mano. Il ragazzo sbatté le palpebre perplesso.
-Me l’ha dato una matricola stamattina in stazione- disse con semplicità. Poco ci mancò che Afuro avesse un cardiopalma, ma anche gli altri tre lo fissavano ad occhi sgranati.
-Aaah, lo sapevo! Non avrò mai regali se continuo a stare con Artemis e Tadashi!- protestò Demete incrociando le braccia dietro la nuca. –Non posso reggere il confronto!-
-Perché l’hai accettato? Perché?!- delirava Afuro. Aporo li fissava a bocca aperta, mentre Kirigakure scannerizzava mentalmente il proprio repertorio di battute maliziosi in cerca di una adatta.
-Ma di che parlate?!- si spazientì Hera –Che stramaledetto giorno è oggi?!!-
Non fece altro che guadagnare una nuova ondata di incredulità e shock.
Afuro boccheggiò, poi lo afferrò all’altezza del gomito.
-Tadashi… davvero non lo sai?- disse, serio.
-No, non lo so, e allora?- sbuffò Hera. Era già stufo di quella situazione.
-E allora?! Tu dici allora?! Oggi è San Valentino, figlio degenere!- lo rimproverò Kirigakure.
Hera spostò lo sguardo da lui al sacchetto di biscotti, che di colpo acquistava un significato.
-Oh. Vabbè.– commentò piatto. Afuro si batté il palmo in fronte.
-Ritiro tutto. Tu non sei anormale: sei completamente fuori dal mondo!- gridò.
Hera stava per ribattere, ma alcune ragazze arrivarono di volata e circondarono Afuro per riempirlo di regali. Demete ebbe il forte desiderio di sbattere la testa in un muro.
-Lascia stare, papà, non è cosa per te- cercò di distoglierlo Kirigakure, quindi lo prese per un braccio e lo trascinò in classe. Anche Hera e Aporo approfittarono per lasciarsi alle spalle il cortile e la malefica aurea di San Valentino ed entrarono nella scuola.
Ma appena entrato Hera si rese conto che la situazione era insostenibile.
Le ammiratrici di Aphrodi imperversavano, e i loro urletti gli facevano l’emicrania; inoltre era stato seguito da varie ragazze e il continuo ricevere regali lo metteva in soggezione. “Sarà meglio sparire per un po’ “ pensò. Si mise le mani in tasca e si infilò fra la folla nei corridoi, mischiandosi alla confusione.

xxx

 
-Noooooo!- gridò Kirigakure attaccandosi al vetro della finestra del corridoio.
La pioggia stava cominciando a cadere, leggera.
Il ninja seguì con tristezza il percorso di una goccia sul vetro e sospirò.
-Non promette davvero bene- sospirò.
-Non promette bene per cosa?-
Sussultò. Quando era arrivato Demete?!
-Ehm- balbettò. Si guardò intorno.
Il corridoio era semi deserto, eccetto qualche coppia che passava ogni tanto; la maggior parte degli studenti era in classe a scambi regali, approfittando dell’intervallo.
Poteva essere la sua occasione per dare il suo a Dem…
-Ehm, Dem?- esitò. Il ragazzo aveva lo sguardo perso nella pioggia, ma sentendosi chiamare si voltò. Aveva un’aria pensosa, quasi malinconica.
Kirigakure arrossì. Perché era triste? Anche se appariva ancora più bello…
In un attimo l’espressione seria di Demete fu rimpiazzata da una di sorpresa.
-Cosa c’è? Sei strano oggi.- osservò. I suoi occhi lo squadrarono da capo a piedi, stringendosi come in stato di forte concentrazione.
Kirigakure si sentì in soggezione come se quello sguardo stesse cercando di denudarlo.
-Io… vorrei…- disse, le sue mani si strinsero intorno al pacchetto rosso.
Demete lo intravide e distolse lo sguardo di colpo.
-Senti…- esclamò -Secondo te dovrei un regalo ad Aphrodi?-
Kirigakure si pietrificò, mentre Demete iniziava a parlarne, quasi ingenuamente.
“Già…” pensò il ninja, amaro “Questo qui… è fatto in questo modo…”
Lasciando a metà Demete, si girò e si incamminò. Poi però si fermò.
-Ah, ho dimenticato…- disse, alzò il braccio e...
E scagliò il suo regalo come un proiettile addosso al ragazzo, colpendolo in mezzo agli occhi.
-Ma sei impazzito?! Avresti potuto rendermi cieco!- protestò il ferito.
Il pacchetto cadde a terra, davanti ai suoi piedi.
Demete aprì bocca e la richiuse: Kirigakure tremava, sull’orlo delle lacrime.
-Tu sei già cieco!- gridò –Demete sei uno stupido! Ti odio!- Poi scappò via.


Afuro correva nei corridoio della scuola, guardandosi intorno.
Era l’intervallo e lui stava cercando Hera.
“Come può un essere un essere umano sparire nel nulla? In così poco tempo poi!” pensava sconcertato. Infatti di Hera sembrava non esserci più traccia, da quando l’aveva visto entrare in classe, ma in classe non c’era mai entrato. Chissà perché.
Senza dubbio Hera funzionava in modo strano.
Si fermò, in preda ad un dubbio amletico spuntato dal nulla.
Era Hera il pazzo, o lui era l’unico superstite di un mondo impazzito?
Non ebbe tempo di pensarci, perché davanti a sé intravide Demete e Kirigakure.
-Demete, sei uno stupido! Ti odio!- stava gridando il ninja.
Decisamente qualcosa non era andato bene.
-Saiji!- gridò, ma il ninja era scappato via, troppo velocemente per lui.
Allora si voltò torvo verso Demete.
-Ma che gli hai fatto?- chiese. Demete non rispose.
Afuro rimase in silenzio, poi aggiunse, serio:- A te piace Saiji, vero?-
Demete abbassò lo sguardo verso il pacchetto rosso a terra, lo prese e se lo premette sul viso, con una dolcezza tale da rispondere alla domanda.
-Non posso perderlo. Non posso rischiare…- sussurrò.
Il suo sguardo vagò verso la pioggia.
-Anche il giorno che mi sono innamorato di lui… pioveva così…




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Capitolo 18
*** Capitolo 18 -Il ninja e il gladiatore, un incontro dettato dal destino? ***


Buonasera.
Questo non è un bel periodo per me, anzi diciamo che è un periodo proprio nero...
Però  devo dire che dedicarmi alle mie fic mi tira molto su il morale, per cui stasera  ho deciso di aggiornare AtM.
Ringrazio ancora infinitamente le persone che apprezzano le mie storie e mi recensiscono. Mi siete di sostegno <3
Questo capitolo è dedicato  a Demete e Kirigakure, attraverso le parti in corsivo ho ricostruito il loro primo incontro e il modo in cui si sono innamorati.
La DemeKiri merita più amore ;www;
Bacioni        
Roby



Capitolo 18.

La primavera aveva dato inizio al suo secondo anno di scuola media.
Era quasi doloroso vedere come insieme ai boccioli di ciliegio sbocciassero nuovi amori…
E lui restava solo come sempre.
Fin dalle elementari, non aveva mai avuto un particolare successo con il genere femminile...
-Anche quest’anno passerò il giorno di San Valentino da solo- sospirò.
Il suo migliore amico camminava di fianco a lui, trascinando la cartella.
-Beh, sai, non è che sia proprio una disgrazia.- osservò.
-Parli bene tu, Hikaru! Le ragazze ti trovano adorabile, almeno.-
-Preferirei essere ignorato piuttosto che trattato come un peluche.- borbottò il ragazzino, poi aggiunse:- Sai, forse dipende anche dall’elmo, dovresti toglierlo.-
Demete subito sai toccò l’elmo da gladiatore che portava in testa, sulla difensiva.
-Mai- disse –Solo a vita, ma l’elmo mai.-
Aporo scosse il capo, pensando fra sé e sé che quel ragazzo era un caso perso. Demete sapeva con certezza che lo stava pensando; lo pensava anche la sua famiglia, dopotutto.
L’unico a non averglielo mai fatto notare era Hera Tadashi, un suo compagno di classe con cui andava molto d’accordo. Ma Tadashi era un caso a parte; ragionava a parte.
Demete non avrebbe mai rinunciato al suo elmo… Senza quell’elmo, non si sentiva abbastanza se stesso, ecco. Infatti non voleva che nessuno lo vedesse senza.
Erano davanti al cancello d’entrata orma, ma il cortile era semi vuoto..
Aporo sospirò. –Che palle, quasi quasi torno a casa e mi guardo un film…-
-Guarda che hai già un sacco di assen…-
-Tecnica segreta della scuola ninja! Beccati questo!- Una voce alta e provocatoria riempì l’aria e pochi secondi dopo una palla di fango roteante mancò il bersaglio e colpì invece Demete.
Il ragazzo rimase accecato per qualche istante, poi con il dorso della mano si tolse il fango dalle guance, dove rimase uno strato di sporco, e alzò lo sguardo verso il responsabile.  
Si trattava di un ragazzo alto più o meno quanto lui, con spumosi capelli rosa e occhi dello stesso colore. La sua divisa era stata leggermente modificata, probabilmente da lui stesso: la camicia era smanicata, e le braccia erano coperte da lunghi mezziguanti neri a rete, mentre i pantaloni tagliati al ginocchio e ripiegati scoprivano due lunghe gambe fasciate.
Il misterioso ninja era circondato da ragazzi dell’ultimo anno, e non sembravano proprio amici.
-Mi hai mancato!- stava ridacchiando uno di quelli –Ma quale ninja e ninja! Sei solo un fanatico!- E lo spintonò.
Il ragazzo traballò, ma poi riprese facilmente l’equilibrio.
-Ridi pure finché puoi! Ma te la farò vedere!- gridò, stringendo i denti.
Un altro ragazzo stava per dargli uno spintone, ma questa volta il ninja fu più rapido; si voltò di scatto e gli afferrò il braccio, girandoglielo dietro la schiena e buttandolo a terra, ai suoi piedi. Poi mormorò un’altra tecnica e scomparve, lasciando al suo posto un tronco di legno.
-Codardo! Torna indietro!- ringhiarono i bulli, ma al suono della campanella rinunciarono.
Demete e Aporo, che avevano assistito a tutta la scena, si lanciarono uno sguardo.
Entrambi si chiedevano che fine avesse fatto quel ninja, sempre che ninja fosse davvero…
-Ehilà!- gridò la sua voce.
I due ragazzi i guardarono intorno sorpresi.
-Ooops- disse il ragazzo, poi sentirono un rumore. Demete alzò il volto e vide il ninja scendere da un albero, saltando all’ultimo e atterrando davanti a loro in perfetto equilibrio.
Scrutò Demete in faccia, quindi tirò fuori un fazzoletto e iniziò a strofinargli il viso, togliendo il fango. –Mi dispiace, devo ancora esercitarmi su quella tecnica- si scusò sorridendo.
-Direi- commentò Demete arrossendo. Si ritrasse al fazzoletto e osservò il ninja torvo.
Il ragazzo ricambiò lo sguardo. –Se stai pensando che sono strano, beh, tu sei l’ultimo a potermelo dire- osservò scrollando le spalle.
-E perché di grazia?-
-Perché non mi faccio dire una cosa del genere da uno che tiene l’elmo anche quando dorme.-
-Non ha tutti i torti.- fece notare Aporo. Demete mise il broncio.
-Quando dormo lo tolgo, veramente.- obiettò.
Il ninja rise. –Ah sì. Bravo.- disse, prendendolo in giro.
La campanella suonò di nuovo. Il ninja si stiracchiò e si voltò.
-Che fai?- chiese Demete sorpreso.
-Una così bella giornata mica posso sprecarla in classe, ti pare? Vado ad allenarmi in giro!-
-Ecco, e io vado a casa a vedermi un film. - disse Aporo, ma Demete lo afferrò per il colletto.
-No, tu resti con me a sopportare il martirio.-
Il ninja rise. –Allora ci si vede in giro, ragazzo con l’elmo!-
-Guarda che ho un nome, scemoninja! Mi chiamo Demete Yutaka!-
-Ah sì? Beh, allora anche io ce l’ho: Kirigakure Saiji! Tienilo a mente, perché io sarò il più grande ninja del mondo!- ululò il ragazzo, prima di scomparire fra le fronde dei ciliegi.
Demete scosse il capo ed entrò a scuola.
 
La biblioteca era così immensa e silenziosa, da fargli venire sonno.
Paradossalmente, era più facile concentrarsi sullo studio a casa di Aporo, dove Hikaru non degnava di uno sguardo i libri ma giocava alla playstation.
Demete si abbatté sul libro di letteratura, pensando che tanto valeva dormirci su.
Aveva appena chiuso gli occhi, comunque, che due mani ai lati dell’elmo cercarono di toglierglielo. Il ragazzo si alzò di scatto.
Il rumore dello schiaffo riempì l’aria ancora prima che Demete riconoscesse Kirigakure, che gli scoccò uno sguardo dapprima sorpreso, poi imbronciato.
-Toglilo!- ordinò nervosamente. Demete sospirò e scosse il capo.
Aveva l’impressione che dal giorno in cui si erano incontrati, Kirigakure lo seguisse, e non solo: lo perseguitava in continuazione perché si togliesse l’elmo.
-Perché no?-
-Perché non ti fai gli affari tuoi? Sto studiando.-
Kirigakure alzò un sopracciglio. –A me sembrava che dormissi sui libri, veramente.-
Demete guardò il libro di letteratura e arrossì lievemente. Già. Si sedette di nuovo e appoggiò la testa sulle mani. Kirigakure si sedette di fronte a lui a braccia incrociate.
-Stupido ragazzo con l’elmo- borbottò.
-Scemoninja- replicò Demete noncurante.
il ninja si chinò in avanti, sbattendo le mani sul tavolo.
-Non chiamarmi così! Te l’ho detto mille volte!- gridò arrabbiato.
Si affacciò verso di lui, ben saldo sulle mani, poi chiese a sorpresa:- Perché indossi quell’elmo?-
Demete sussultò trovandoselo improvvisamente così vicino. Arrossì e si allontanò un po’.
-Suppongo, per abitudine…-
-Sì, ma perché allora non vuoi toglierlo? Da quanto mi ricordo ce l’hai da sempre!-
Demete abbassò lo sguardo sul tavolo, pensieroso.
-Quand'ero piccolo ho avuto un incidente. Niente di grave, solo un taglio dietro la nuca- disse lentamente, e istintivamente si toccò sotto l’elmo. –Mio padre mi ha regalato quest’elmo e io lo metto sempre da allora. Cosa c’è di sbagliato?-
Kirigakure non rispose, rifletteva anche lui.
-E poi, come fai a sapere che l’ho sempre avuto scusa?- chiese Demete.
Il ninja arrossì. –In realtà, abitiamo nello stesso quartiere- ammise. –E’ da un po’ che ti vedo in giro. Eravamo nella stessa scuola elementare, e ora alle medie…-
-E te lo sei sempre chiesto? Cioè… mi osservavi?- incalzò Demete, divertito dal fatto di metterlo in imbarazzo. Kirigakure se ne accorse e gli fece la linguaccia.
-Ho solo pensato che tu saresti stato disposto ad essere mio amico, tutto qui.- mormorò.
Demete lo guardò sorpreso, e calò di nuovo il silenzio. Non sapeva che dire; era chiaro che Kirigakure non aveva amici, perché tutti lo consideravano strano.
Beh, consideravano strani anche lui e Tadashi, a dir la verità. Tadashi aveva tutto un altro tipo di fascino però, e lui aveva Aporo.
D’improvviso provò sincera compassione per il ninja e per la prima volta desiderò togliersi l’elmo davanti a qualcuno. Ma non lo fece. Si morse il labbro e voltò lo sguardo.
Non poteva toglierlo, quell’elmo lo aiutava a superare le sue debolezze. Non poteva mostrarsi così fragile, indifeso, neppure davanti a Kirigakure.
Rimasero in silenzio.
 
Pioveva. Pioveva forte e di tanto in tanto brillavano tuoni.
Demete sussultò e guardò fuori. Che tempo di merda, pensò, e non ho neanche l’ombrello.
Beh, almeno l’elmo gli teneva calda e asciutta la testa.
Aporo aveva la febbre e per sua gioia non era venuto a scuola.
Anche Tadashi era assente, per motivi familiari: gli aveva detto che stava traslocando. Lui e Aporo si erano meravigliati che andasse a vivere da solo ancora minorenne, ma non fecero domande perché Tadashi, riservato ed introverso di natura, non sembrava incline a parlarne.
Affacciato alla finestra, stava osservando il campo da calcio.
Un gruppetto di ragazzi lasciava il campo, lamentandosi per il tempo.
Solo uno era rimasto indietro.
Demete sgranò gli occhi e si precipitò giù per le scale, di corsa, finché non raggiunse il campo. Si appoggiò ad uno dei pali della porta, inquadrando il ragazzo rannicchiato su se stesso sotto la panchina. Poi si avvicinò, osservandolo: Kirigakure teneva entrambe le mani sulle orecchie, gli occhi chiusi e le labbra arricciate, come trattenendo un urlo. 
-Ehi, scemoninja- disse, cauto.
Kirigakure alzò lo sguardo di scatto. Demete sentì il cuore accelerare improvvisamente il battito di fronte alla vista di quel ragazzo di solito così energico e ora così fragile.
Gocce d’acqua gli scendevano lungo il viso, ma non poteva dire se era pioggia o lacrime.
-Non chiamarmi così- disse cupo, poi si asciugò gli occhi. Piangeva.
Il cielo tuonò, facendolo sobbalzare.
-I ninja non piangono mai- esclamò cercando di suonare spavaldo, ma tremava. –Non farti strane idee! Non piango certo a causa del temporale!-
Demete lo guardò con un’espressione che diceva “ah è per questo che piangi?”,  e al contempo “ma non hai appena detto che i ninja non piangono?”.
-Non c’è proprio niente da fare con te, eh- sospirò, mentre il ragazzo nascondeva il viso fra le ginocchia. Era così debole, in quel momento, che gli veniva voglia di mostrarsi debole anche lui.
-Guardami, scemoninja- ordinò. Kirigakure scattò in piedi, arrabbiato.
-Ti ho detto di non chiamarmi…- Ma le parole gli morirono in gola quando, davanti ai suoi occhi, Demete si tolse l’elmo e lo lasciò cadere a terra.
-Dicevi?- disse con un leggero sorriso. L’elmo rotolò sui suoi piedi. Kirigakure lo fissava ad occhi e bocca spalancati, incredulo. Il gladiatore disarmato scosse il capo e allargò le braccia.
-Su, vieni. Siamo amici no? E‘ più caldo qui che la sotto non ti pare?- suggerì.
Gli occhi di Kirigakure si riempirono di nuovo di lacrime, mentre il ninja esitante lasciava il suo nascondiglio per rifugiarsi fra le braccia di Demete.

 xxx

-Anche il giorno che mi sono innamorato di lui… pioveva così…-
Demete lanciò uno sguardo vacuo al campo da calcio.
-Saiji ha sempre avuto paura dei temporali. Sarà meglio che vada a cercarlo.- sospirò.
Si voltò e fece per andare, ma Afuro lo fermò.
- Dem, lo so che hai paura. Cambiare fa sempre paura- disse piano. –Anche Saiji ha paura, ma vuole stare al tuo fianco a tutti i costi. Non gettate via questi sentimenti solo per paura.-
Demete lo guardò sorpreso, poi però sorrise. –Grazie- sussurrò, e corse giù per le scale.
Sapeva già cosa fare.
Saiji era tutto solo sotto la pioggia, e lui lo raggiunse e lo spinse fra le sue braccia prima che potesse fare o dire qualcosa.
- Dem?- sussurrò lui, spaventato. –Lasciami. Sei uno stupido, Dem. -
Ma Demete lo strinse a sé: l’unica persona a cui voleva mostrarsi davvero, l’unica di cui desiderava tutto. Si sarebbe giocato tutto in quell’istante: Saiji sarebbe fuggito via da lui?
-Ti amo, Saiji- disse, soffocato dall’emozione, e lo ripeté molte altre volte, sempre stringendolo a sé. Saiji lo sentiva trattenere il respiro, come se avesse paura.
-Sei davvero uno stupido- sussurrò, mentre ricambiava l’abbraccio.
Il rumore della pioggia suonava distante ed etereo.





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Capitolo 19
*** Capitolo 19 -Se mi permetterai di restare al tuo fianco, sarò felice. ***


Buonasera ~
Rispetto a quando ho postato l'ultimo capitolo di questa fic, mi sento molto meglio! Insomma, il peggio è passato.
Sono anche uscita dal periodo degli esami dell'uni, quindi adesso sono libera dai corsi fino all'inizio di marzo! Spero di poter scrivere tanto e aggiornare presto le mie long 

Questo capitolo si incentra molto su Afuro e Hera -finalmente questi due si danno una mossa, lol- ma anche su Artemis e Aporo, ai quali saranno dedicati i prossimi due capitoli per intero :')) Come anche la DemeKiri, l'ArteApo è una coppia pressocché sconosciuta, per cui sono felice se riesco a farla piacere a qualcuno con questa mia fic! Kisses,          
Roby


Capitolo 19.

Afuro gettò un’occhiata ai due ragazzi abbracciati sotto la pioggia e tirò un sospiro di sollievo; almeno a Saiji era andata bene. Ora però toccava lui.
E la prima cosa da fare era trovare Hera, cosa che nelle ultime due ore sembrava essere diventata impossibile: il ragazzo riusciva a sparire in modo perfetto se voleva.
“Come un camaleonte…” si ritrovò a pensare Afuro, mentre riprendeva a correre lungo i corridoi, evitando la gente e cercando di farsi riconoscere il meno possibile per non perdere tempo.
Fino a quel momento, comunque, non c’erano state interferenze.
Ora invece c’era una folla di ragazzine urlanti a sbarrargli la strada.
Afuro si fermò a sistemarsi i capelli, tirandoli su con delle mollette color pesca.
Una volta sistemata questa priorità, si diede da fare per cercare di capire cosa stava succedendo; per un attimo pensò con orrore che il ragazzo al centro della mischia potesse essere Tadashi.
Dopotutto, una matricola gli aveva fatto un regalo no? Quante persone erano innamorate di Tadashi a sua insaputa? Non avrebbe permesso l’esistenza di rivali…
Ma per fortuna il ragazzo non era Tadashi.
Era Artemis.
Afuro rimase immobile, fissando con sorpresa il ragazzo che salutava ogni ragazza con il medesimo sorriso stampato in faccia, tanto che c’era da chiedersi quale fosse la vera maschera che indossava. Non solo sorrideva a tutte, ma le salutava, anche.
Una brunetta si fece avanti e gli tese un pacchetto di biscotti.
Artemis li prese e le sorrise. –Ti ringrazio- disse, seducente.
La ragazza squittì di gioia, e si alzò un coro di risolini e urla (fra cui, Afuro fu certo di averle sentite, “Sposami” e “Vogliamo vederti non solo senza maschera ma anche senza veli!”).
Poi Artemis fece un cenno e le ragazze si diradarono, tessendo le lodi del ragazzo perfetto…
Il quale, subito dopo essersi accertato di non essere visto da nessuno, mutò espressione.
Afuro ebbe un sussulto interiore, neanche lui era mai arrivato a fingere nel modo in cui Arute fingeva: del suo sorriso non c’era più traccia negli occhi gelidi e sprezzanti.
Il ragazzo aprì un cestino e ci gettò il pacchetto di biscotti, quindi si voltò e fece per mettere la maschera. Afuro, che era rimasto dapprima pietrificato da quel gesto così insensibile, gridò.
-Artemis!-
L’interpellato si girò sentendo quella voce arrabbiata.
-Terumikun?- disse sorpreso, evidentemente chiedendosi perché Afuro fosse arrabbiato.
Il biondino non gli lasciò tempo di aprire bocca.
-Perché lo fai?! Cosa ci guadagni ad illuderle così?!- ruggì.
Artemis si accigliò, poi sembrò capire di cosa si parlava e si girò completamente.
Afuro quasi ringhiò: il suo sorrisetto sprezzante e canzonatorio gli dava sui nervi. Non si era mai reso conto che Artemis fosse una persona tanto orribile, in fondo era amico di Tadashi…
-Cosa vorresti dire? Se le rifiutassi, piangerebbero, invece così sono tutti felici.- rispose Arute con la massima tranquillità.
Già, come diavolo faceva Tadashi ad essere amico di quell’essere?!
-Ma non t’importa nulla dei loro sentimenti?!- Aveva detto quella frase con rabbia, con disperazione; ma la risposta di Artemis lo spiazzò del tutto, lasciandolo senza parole.
-No. Non m’importa nulla di loro. Il mio è semplice autocompiacimento e non ho vergogna di ammetterlo- disse seccamente. Distolse lo sguardo, improvvisamente cupo.
–Anche perché l’unica persona da cui vorrei tutto, mi odia…- sussurrò, e la sua voce tremò leggermente. Poi alzò lo sguardo ed era di nuovo strafottente, malizioso, provocatorio.
-Fossi nella tua posizione, comunque, non sarei tanto affrettato nel giudicare, Terumikun. Se io e Hecchan abbiamo qualcosa in comune, è proprio questo tratto del carattere. Possiamo essere “gentili” anche con le persone che non ci piacciono…- cinguettò amabilmente, e mentre gli passava a fianco gli indicò la finestra. Afuro si avvicinò al davanzale, ma visto quello che gli indicava s’irrigidì. Artemis sorrise prima d’infilarsi la maschera e si allontanò indisturbato.
Il biondino non provò neanche a seguirlo: il discorso era finito lì.
“Lui lo sa” si disse Afuro, tremando per la frustrazione. “Sa che sono innamorato di Tadashi, sa che mi dichiarerò. Lo sa perfettamente, quel figlio di puttana!”
A quel punto, doveva andare Hera, che stava lì, sotto una tettoia che solo da quella finestra si poteva vedere. Si voltò e riprese a correre.
Il fatto che Artemis sapesse dov’era Tadashi, il fatto che lui lo conoscesse meglio di chiunque altro gli faceva saltare i nervi, ma era una cosa che sapeva di dover accettare.
Come doveva accettare che era grazie ad Artemis che aveva finalmente trovato…
-…Tadashi!-
Il ragazzo dai capelli rossicci sussultò al sentire il suo nome: era seduto a terra con gli occhi chiusi e sembrava totalmente rilassato, lontano dalla confusione di San Valentino.
Ma a sentire la sua voce, aprì gli occhi violetti e lo fissò, sorpreso.
Afuro avvampò, sentendosi trafitto da quello sguardo.
Hera alzò un sopracciglio. -Qualcosa non va?-
Il biondino scosse il capo e in un quale modo riuscì a tirar fuori la voce.
-T-ti stavo cercando.-
-Mi cercavi.- ripeté Hera, pensieroso. –Perché?-
Afuro distolse lo sguardo e mise la mano in tasca, stringendo lo scatolo di cioccolatini.
Esitò a darglieli, perché le parole di Artemis gli bruciavano ancora.
Hera si alzò, con aria torva. Sembrava preoccupato.
-Afuro…?-
-T-ti ho fatto un regalo per San Valentino, ti prego di accettarlo!- gridò Afuro spingendogli lo scatolino contro il petto, così bruscamente che Hera fu costretto a mettere subito le mani sotto per afferrarlo.
-Ehi- protestò, poi lo osservò e cambiò tono. –Grazie…-
Accennò un sorriso, e questo diede coraggio al biondino, che fece un passo avanti.
-Ecco… io… Tadashi, c’è una cosa che vorrei dirti- disse. Hera lo fissava, in attesa, e lui per il nervosismo cominciò ad attorcigliarsi i capelli intorno alle dita, cosa che non aveva mai fatto prima. Abbassò lo sguardo e cercò di tirar fuori più voce possibile.
-Tu m-mi p-piaci!- esclamò –Mi piaci, Tadashi!-
Calò il silenzio, interrotto solo dal suono della campanella. Era orario d’uscita.
Afuro teneva gli occhi chiusi, esitante. Si morse il labbro inferiore.
Poi Hera lo attirò a sé posandogli un braccio intorno alle spalle e gli baciò dolcemente la fronte, un contatto brevissimo che lo lasciò nuovamente al freddo dopo poco.
Quando Afuro trovò il coraggio di aprire gli occhi, Hera era davanti a lui, a qualche metro di distanza, e scuoteva il capo cupamente.
-Non posso.- sussurrò. –Mi dispiace, Afuro.-
-Perché?- fu la domanda spontanea che salì alla bocca di Afuro. D’improvviso il terrore lo assalì, le parole di Artemis tornarono nuovamente nella sua mente.
Ma Hera non disse quello che più temeva.
-Non posso darti quello che vuoi. Non posso renderti felice, così come sono ora. Non mi sento in grado di dare agli altri ciò che non sento di avere. Mi dispiace.-
La sua risposta non aveva nulla a che fare con il “mi piaci” o “non mi piaci”, fu più articolata e profonda e forse per questo più difficile da comprendere. 
Afuro lo fissò, disorientato.
-Allora perché ti sei avvicinato a me?- chiese, le lacrime gli pizzicavano gli occhi. Avrebbe voluto dire “allora perché mi hai fatto innamorare di te?”, ma non sarebbe stato corretto…
Specialmente visto che gli occhi di Hera erano tanto tristi.
-Dentro di me ho scavato una voragine, fin da quando ero bambino, sono sempre rimasto vuoto. Ma credo… ho sentito che tu puoi riempire questo vuoto. Io mi circondo solo di persone che possano riempirlo. Sono davvero orribile, vero? Un orribile egoista- sussurrò.
Ogni parola che usciva dalle sue stesse labbra sembrava ferirlo come pugnali.
Afuro non poté più trattenere le lacrime, ma non piangeva per se stesso, piangeva per Hera.
-Allora, almeno, permettimi di stare al tuo fianco- singhiozzò mentre cercava di nascondere le lacrime coprendo il viso con le mani. –Se mi permetterai di restare al tuo fianco, sarò felice…-
Hera accennò un sorriso, poi lo spinse fra le sue braccia.
Afuro poteva sentire il suo respiro, il suo battito irregolare.
Ed era meraviglioso.
 
Era semplicemente seccante.
Non avrebbe mai immaginato che qualcuno, oltre se stesso, sarebbe riuscito ad accedere al cuore di Tadashi; ma in fondo era ancora l’unico a capirlo davvero, a sapere davvero chi era…
Questo pensava Artemis mentre osservava dall’alto il suo migliore amico abbracciato all’idol della scuola. Poteva benissimo immaginare cosa fosse successo senza leggere il labiale.
In ogni caso, la sua attenzione fu presto distratta dall’unica altra persona di cui gli importasse veramente qualcosa nel mondo. Un sorriso gli increspò le labbra.
-Ancora a scuola, Hikarukun? La campanella è già suonata…- scherzò.
Il ragazzino dai capelli verdi in fondo al corridoio, intento a mettere a posto la cartella, sobbalzò e lo guardò con evidente astio.
-Ma farti gli affari tuoi non è mai contemplato, eh, Artemaniaco?- sbuffò annoiato. –Dovresti davvero trovarti un passatempo migliore; non hai niente di meglio da fare?-
Artemis rise e si staccò dalla finestra, avanzando verso di lui. Mise una mano contro il muro, chinandosi finché i loro visi non furono ad un’imbarazzante vicinanza, quindi parlò.
-Se anche l’avessi, butterei tutto all’aria solo per te, Hikaru- sussurrò, seducente.
Aporo avvampò e lasciò cadere la cartella. In verità, aveva una mezza idea di prenderlo a calci.
Artemis lo squadrò da capo a piede, poi fece un finto broncio.
-Come? Non mi hai regalato niente per San Valentino?- chiese tristemente.
Ora sì che Aporo aveva voglia di prenderlo a calci.
-No!- replicò arrossendo. –Ma tanto scommetto che le tue fan te ne avranno fatti a milioni di regali, non vedo perché dovresti aver bisogno del mio!-
Il ragazzino fece per sgusciare via e andarsene infuriato, ma Artemis non glielo permise; lo abbracciò all’improvviso, premendo il volto contro la sua spalla.
-Ma io ho bisogno di te, Hikaru, solo di te.-
Si staccò e gli prese il viso fra le mani, avvicinandosi per baciare le tanto agognate labbra.
C’erano un insolito silenzio, un’insolita calma nell’aria.
Tutto troppo tranquillo.
-…anche questo lo trovi divertente…?-
Artemis si fermò pochi centimetri prima di baciarlo, paralizzato dalla sorpresa.
La voce di Aporo era cupa e tremante; grosse lacrime gli cadevano dagli occhi verdi.
Con uno schiaffo si liberò della presa prepotente e afferrò la cartella con uno strappo violento.
-Quante volte ancora…- gridò ferito, la sua voce si spezzò. –Quante volte ancora dovrò umiliarmi perché tu ne sia soddisfatto?!-
E poi scappò via, lasciando Artemis indietro, ma di lui non gli importava.
Non gli importava neanche di averlo ferito, ammesso che quel bastardo conoscesse quel sentimento, e se lo conosceva tanto meglio perché così avrebbe sofferto le stesse pene che Aporo aveva patito a causa sua…
Da quel giorno, in cui l’aveva ferito a morte.
“Ti odio! Ti odio! Ti odio!” pensava Aporo e scappava, scappava, cercando di lasciare Artemis il più indietro possibile.
Uscì fuori sotto la pioggia e continuò a correre finché non scivolò e cadde a terra.
Si rialzò in ginocchio e si guardò le mani sporche di terra e sangue.
-Ti detesto…- sussurrò, soffocato. Perché era dovuta finire così?



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Capitolo 20
*** Capitolo 20 -Aporo e Artemis, una coppia che fa scintille?!! ***


Buon pomeriggio °^°
Come avevo preannunciato (?), questo capitolo ha come protagonisti Aporo e Artemis!
Qui parlerò della relazione che avevano alle medie, e del motivo del risentimento di Aporo nei conftonti di Artemis...
Spero di avervi incuriositi xD
Baci,            
               Roby



Capitolo 20.

-Hikarukun, hai di nuovo preso un voto basso? Certo che devi essere davvero stupido!-
-Bastardo! Cretino! Sta zitto! Sparisci dalla faccia della terra!-
Un ragazzino dai capelli verdi fronteggiava arrabbiato un altro ragazzo alto e strafottente.
-Ah, eccoli di nuovo qui, il nostro Duetto comico!- commentò un loro compagno di classe e a questo seguirono delle risate.
Il ragazzino ringhiò. –Smettetela di chiamarci così!- esclamò.
L’altro gli diede un leggero schiaffetto sulla fronte e sorrise.
-Però è vero che siamo inseparabili, ne, ne, Hikarukun?- disse.
-Non certo per volontà mia!- replicò il ragazzino arrabbiato.
Ma il ragazzo stava già guardando da un’altra parte, verso le sue molte ammiratrici. Le salutava sventolando la mano come un principe, e sorrideva.
Hikaru si toccò la fronte e arrossì, mettendo il broncio. –Scemo.- borbottò.
Era un ragazzo bellissimo e seducente, Arute Saneki detto Artemis.
Peccato che fosse anche un vero bastardo.
Da quando si erano trovati in classe insieme Arute l’aveva preso di mira, bersagliandolo continuamente con battute graffianti e scherzi, o peggio prendendolo in giro per la sua altezza.
In effetti, era innegabile che loro due stavano sempre insieme. Per un motivo o per un altro, Arute era diventato la sua ombra. Ed era davvero fastidioso.
Il ragazzo fece un sorrisetto nella sua direzione, facendogli venire una gran voglia di picchiarlo.
Invece, chissà perché, resto immobile e arrossì.
Perché quel bastardo di Arute gli piaceva da morire.
Non aveva mai provato quei sentimenti verso nessun altro, quella era certamente la sua prima cotta. Una stupida cotta che non l’avrebbe mai portato da nessuna parte.
Sospirò e si voltò, andando verso il suo banco.
-Ne, ne, Hikarukun, oggi siediti vicino a me!- esclamò Arute.
-Non ci penso neanche, non trascorriamo già abbastanza tempo insieme?!-
Arute fece finta di non aver sentito si sedette lo stesso affianco a lui.
Ecco, era esattamente quello l’atteggiamento che Hikaru trovava irritante.
-Diciamoci la verità, Arute, io non ti piaccio, vero?- sospirò, rassegnato.
L’altro ragazzo lo trafisse con lo sguardo.
-Infatti, non mi piaci. Sei l’unico a chiamarmi sempre Arute, quando ho detto chiaramente che preferisco Artemis. Sembri davvero un bambino, e poi sei violen…- rispose piatto, l’ultima parola fu troncata dal libro che Hikaru gli sbatté sulla faccia.
-Ascolta fino in fondo quello che gli altri dicono!- gridò Arute seccato.
I loro compagni di classe ripresero a ridere e a fare battute e commenti sul Duetto comico.
-Io ti chiamo come mi pare, e poi Artemis mi fa senso- ribatté Hikaru incrociando le braccia.
Non avrebbe mai detto che c’era un motivo per cui si rifiutava di usare il suo nome fittizio, Artemis. Quel nome gli dava un senso di vuoto, di distanza. Che brutta sensazione.
Chiamarlo Artemis era come chiamare uno sconosciuto.
Arute non replicò e lo lasciò in pace per il resto della giornata, o meglio lo ignorò.
Dopo la quinta ora, per la pausa pranzo, Hikaru decise di salire sul tetto.
Quella mattina il vento soffiava un po’ piano, un po’ forte.
Hikaru si mise una mano davanti al volto quando una raffica improvvisa gli scagliò un turbine di foglie secche contro. Sperò che non gli fossero entrate anche nel bento.
-Itadakimasu!- esclamò, poi con le bacchette prese un polipetto.
Prima che potesse mangiarlo, però, un’altra persona gli prese la mano e direzionò le bacchette verso la propria bocca.
-Ne, ne, Hikarukun, non è triste mangiare da soli in un posto così freddo?-
Hikaru si sentì avvampare e alzò lo sguardo di scatto verso Arute, come sempre sorridente e provocatorio. Il ragazzo incalzò:- Perché sei da solo?-
-Non sono affari tuoi…- sussurrò Hikaru. Non si sarebbe certo andato a lamentare con Arute che  un certo ninja aveva iniziato a gravitare intorno al suo migliore amico, Demete Yutaka,sottraendoglielo per la maggior parte del tempo. No, sarebbe risultato patetico.
-E tu invece? Le tue fan ti hanno abbandonato?- cercò di suonare sprezzante.
Arute si appoggiò alla ringhiera e sospirò.
-Ti piacerebbe…- disse, seccato. –Mi sono un po’ stufato, ecco tutto.-
La sorpresa illuminò il volto di Hikaru quando lo sentì dire queste parole.
Di cosa si era stufato? Non era forse lui a cercare continue attenzioni?
-Tu sei davvero un libro aperto, Hikaru.- rise Arute, canzonatorio. –Un po’ mi fai invidia.-
Hikaru avvampò. –Smettila di prendermi in giro- replicò, arrabbiato.
Arute abbassò lo sguardo sulla maschera di marmo; se la rigirava di continuo fra le mani, come se fosse nervoso per qualche motivo che a Hikaru sfuggiva completamente.
Arute era una persona indecifrabile.
-Mi cercano, mi vogliono, mi chiamano. Ma in realtà cosa sanno di me?- mormorò il ragazzo senza distogliere lo sguardo dalla maschera. –E io, cosa so di me? Chi sono io in realtà?-
Hikaru non ricordava di averlo mai visto così serio. Era così concentrato su quegli occhi di marmo, come se cercasse in essi il vero se stesso.
Gli fece rabbia, questo improvviso cambiamento.
-Ma sei stupido o cosa?- esclamò Hikaru, con le mani ben sistemate sui propri fianchi. Lo guardò quasi con aria di sufficienza. –Tu sei tu! Non c’è nient’altro da sapere!-
Arute alzò gli occhi di scatto e lo fissò.
Per la prima volta, lo stava guardando in maniera nuova, non più dall’alto in basso ma da pari. Non era irritato, ma semplicemente sorpreso.
Poi il suo sguardo si addolcì, cancellando la solita freddezza che dava luce ai suoi occhi blu.
Hikaru si sentì arrossire nuovamente, quando le labbra di Arute s’incresparono in un sorriso.
-Sai, a volte invidio i tuoi semplici circuiti mentali, Hikarukun- commentò, ridendo.
Hikaru pestò i piedi arrabbiato. –Ti ho detto di non prendermi in giro! Bastardo!- protestò, voleva tanto dargli un pugno sul quel bel faccino che si ritrovava, ma Arute gli mise una mano sul capo.
Che fosse un modo per tenerlo fermo, o una presa in giro, non importava; perché lo sguardo di Arute era dolce e Hikaru non riusciva a smettere di desiderarlo…

  xxx

La scuola era vuota, ovviamente. Tutti erano già andati a casa.
Il vuoto s’interrompeva solo dove Hikaru passava: era rimasto indietro perché aveva dimenticato il dizionarietto d’inglese in classe.
Mentre camminava, pensava ad Arute. Qualcosa era cambiato, Hikaru ne era certo.
Pur continuando a prenderlo in giro come sempre, Arute sembrava essere diventato molto più gentile nei suoi confronti. Era quasi terrificante, gli faceva pensare che avesse qualcosa in mente.
Però, finché durava, non gli dispiaceva affatto quella gentilezza; forse avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di dichiararsi… 
-Arute, non vorresti uscire con me, sabato?-
Il ragazzino si pietrificò davanti all’aula. La porta era socchiusa, e da lì poteva intravedere Arute, circondato da tre ragazze e due ragazzi.
-Ho altri impegni, scusami- Hikaru sospirò di sollievo quando Arute rispose così alla ragazza.
Questa gli mise il broncio e gli si sedette in braccio, giocherellando con la sua cravatta e causando ad Hikaru dolorose fitte di gelosia.
Stava giustappunto pensando di assecondare il suo carattere impulsivo, entrare sbattendo la porta e strappargli di dosso quelle galline e già che c’era prendere il dizionario.
La rabbia e la gelosia ruggivano nella sua gola.
-Arute, ho sentito che stai sempre appiccicato ad un ragazzino- si lamentò la ragazza, imbronciata. Si spostò una ciocca di capelli dal volto. –Ti diverte?-
Hikaru sentì il respiro mozzarglisi in gola. Anche lui era in attesa di una risposta…
-Beh, a dire la verità… lo trovo immensamente divertente quando s’imbarazza, o si arrabbia.-
Sul viso di Arute era stampato un sorriso indecifrabile.
Mentre nei suoi occhi non c’era più traccia di dolcezza, in quelli di Hikaru apparvero le lacrime.
Il ragazzino si voltò e scappò, con la mente in blackout totale.
Era appena stato respinto, senza nemmeno essersi dichiarato, no? Da quel bastardo…
No, quello non era l’Arute Saneki di cui si era innamorato, era soltanto una maschera di apparenze e crudeltà. L’aveva preso in giro per tutto questo tempo?
-Arute… Arute… - continuava a dire, sconvolto. Si fermò, fissando a terra.
Una leggera penombra gli oscurava il viso, dal quale le lacrime scivolavano giù.
-Perché soffro così tanto?- sussurrò.
Perché lo amava così tanto? Anche ora che l’aveva ferito, continuava ad amarlo; anche ora che la certezza di non poter mai essere ricambiato affondava dentro di lui…
-Arute, perché…-
Faceva tanto male. Non poteva continuare così, o quella sofferenza gli avrebbe distrutto il cuore in mille pezzi… in qualche modo doveva pur proteggersi.
-Se non posso averti allora… meglio cancellare tutto di te…- singhiozzò.
-Ti odio, Arute… ti detesto…-






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Capitolo 21
*** Capitolo 21- La dichiarazione di Artemis. ***


Salve ^ ^
Ehm, dunque, anche questo capitolo è su Aporo e Artemis. Beh, il titolo già preannunciava qualcosa, immagino :'D
Mi dispiace che questa coppia sia così sconosciuta, anche ad onor del vero l'unica coppia diciamo "famosa" di questa fic è l'HerAfu lol. Scrivere su personaggi meno popolari, però, mi piace di più, forse perché la mia parte preferita quando scrivo una storia è la caratterizzazione dei personaggi, e ovviamente i personaggi meno conosciuti mi lasciano più libertà di azione.
Credo che dal punto di vista psicologico, Hera e Artemis siano i personaggi più complessi di questa fic. Sono molto contraddittori, ma alla fine entrambi nascondono solo una grande insicurezza, sia nelle scelte sia nelle relazioni con gli altri, laddove Demete, Kirigakure, Aporo e anche Afuro si mostrano più decisi e coraggiosi. 
Ma sto divagango (?), quindi vi lascio al capitolo :')

Grazie a tutte le persone che recensiscono e seguono questa fic! Chiedo scusa se non sono sempre riesco a rispondere alle vostre recensioni, ma comunque vi sono molto grata ;w;
Baci,       
Roby

 


Capitolo 21.


Hera sospirò: era felice che San Valentino fosse passato.
Era scoppiato come una bolla di sapone a mezzanotte, e ora tutto sembrava essere tornato alla normalità…
“Beh, non proprio tutto…” si disse, lanciando un’occhiata verso Demete e Kirigakure, i quali stavano limonando davanti al cancello della scuola.
Tossì, torvo. I due si staccarono e lo guardarono sorpresi.
-Oh, Tadashi, c’eri anche tu?- chiese Kirigakure con il tono instupidito di chi si è appena svegliato da un sogno. Hera ebbe l’istinto di sbattergli la testa a terra, ma si trattenne.
-Com’è che non vi siete neanche degnati di spiegare a vostro figlio cos’è successo?-
Il tono di Hera era volutamente sarcastico, e Demete fece un sorriso nervoso.
-Ecco… è successo all’improvviso.- si giustificò.
Kirigakure arrossì e annuì, stringendo la mano al suo ragazzo.
Hera ridacchiò. –Ce ne avete messo di tempo… E dire che vi siete sempre piaciuti.-
-Era davvero così chiaro?- si accigliò Demete.
-Chiaro come il sole, direi… Ma quanto siete tardi?- ribatté Hera alzando gli occhi al cielo e, visto che entrambi sembravano troppo imbarazzati per rispondere alla provocazione, aggiunse malizioso:- Certo, se Demete avesse ripetuto quella frase quest’estate, avreste perso meno tempo…-
La frase ebbe un effetto immediato: Demete avvampò vistosamente, Kirigakure saltò su sorpreso.
-Quale frase? Cosa? Voglio sapere!- gridò il ninja curioso.
-Glielo dico? Ormai non c’è più motivo di tenerlo nascosto- disse Hera, fece per aprire bocca di nuovo, ma Demete schizzò verso di lui e gli coprì le labbra con le mani.
-No, no, no! Lo dico io!- esclamò imbarazzato. Poi tacque, mordendosi il labbro.
-Demdem, stiamo aspettando- lo incoraggiò Hera. Kirigakure li fissava, morendo di curiosità.
Demete sospirò. –E va bene…- Poi la sua voce si abbassò fino ad un sussurro. -…amo alla follia Saiji, voglio stare con lui per sempre e per me vale anche più del mio elmo…-
Mentre Demete e Kirigakure si facevano di un bel rosso vivo, Hera scosse il capo.
-C’era uno “stupido” prima della parola “elmo”, ma te la darò buona- obiettò con un sorriso.
-Zitto- lo rimbeccò Demete, poi vide Aporo avanzare verso di loro e fu lieto di poter cambiare argomento. Chiamò l’amico, ma si accorse subito che era di umore nero.
-Fammi indovinare, la tua disgrazia porta il nome di “Artemis”.- indovinò Kirigakure.
Aporo lo fulminò con gli occhi. –Non dire mai più quel nome in mia presenz…-
-Hikaru!-
Neanche aveva finito di parlare che Artemis apparve e gli afferrò il braccio.
La reazione del ragazzino fu immediata: gli tirò la cartella nello stomaco.
Artemis lasciò la presa in una fitta di dolore e il ragazzino ne approfittò per mettersi a correre verso i campi sportivi, dove si stavano tenendo gli allenamenti del club di baseball.
-Ma che gli hai fatto?- Demete si rivolse ad Artemis, accigliato e torvo perché non gli andava a genio che ci si prendesse gioco del suo migliore amico.
Ma Artemis lo ignorò e partì all’inseguimento di Hikaru.
Aveva le gambe più lunghe delle sue, perciò lo riprese in pochi passi. Cercò di nuovo di afferrarlo, ma Aporo intuì le sue intenzioni e si ritrasse con uno scatto.
Artemis rimase immobile. -Hikaru, devo parlarti!- esclamò.
-Ma io non voglio ascoltarti…!-
I rumori del baseball coprivano quasi del tutto la voce di Aporo, già debole di per sé.
Hera, Demete e Kirigakure, qualche metro più in là, li fissavano senza intervenire.
-Hikaru… perché…- mormorò Artemis. –Quand’è che hai iniziato… ad odiarmi così?-
-ATTENZIONE! HOME RUN IN ARRIVO!-
L’urlo squarciò l’aria. Aporo si voltò giusto in tempo per vedere la palla venirgli addosso e si coprì il volto con le braccia istintivamente, ma il colpo non lo raggiunse mai.
La palla colpì Artemis sopra l’occhio destro nel momento in cui si gettò davanti ad Aporo per proteggerlo, poi schizzò via; il ragazzo si portò subito una mano alla tempia, barcollante.
Hera, che si era precipitato a sorreggere il suo amico, gli impedì di svenire sul posto.
-Dem! Saiji! Chiamate l’infermiera!- gridò, notando che fra le dita di Artemis scorreva sangue.
I due amici obbedirono, e il capitano del club di baseball si offrì di aiutare a trasportarlo fino all’infermeria. Hera lo ringraziò, osservando l’entità del danno.
Rivolse appena uno sguardo ad Aporo, che era rimasto immobile, sconvolto.
-E tu muoviti- gli intimò. Aporo obbedì senza emettere un suono.
Arrivati all’infermeria, la responsabile fece un impacco freddo e lo mise sulla tempia di Artemis, che nel frattempo era diventata gonfia e livida. Il ragazzo strizzò gli occhi, meramente consapevole di quanto gli era accaduto. Poi la donna li congedò tutti per farlo riposare.
Hera però si oppose. –La prego, lo faccia restare- disse, spingendo in avanti Aporo.
La donna dovette provare compassione dell’espressione avvilita del ragazzino e acconsentì.
-Allora noi andiamo- disse Hera. Demete e Kirigakure uscirono, preoccupati, e lui li seguì, ma prima si rivolse un’ultima volta ad Aporo.
-Ha bisogno di te. Soltanto di te. Per favore.- disse, quasi pregandolo.
E la porta si chiuse.
Aporo restò immobile, le labbra strette per non piangere di nuovo.
Perché Hera aveva ripetuto le parole di Arute? Lo faceva sentire stupido.
-Tadashi…- mormorò Arute, i suoi occhi vagavano verso il soffitto. –Ah, Hikaru.-
Per la sorpresa Hikaru lo guardò dritto in faccia, forse per la prima volta quella mattina: notò con orrore che il livido si era allargato, era una macchia violacea che si estendeva intorno a tutto l’occhio destro di Arute.
-Perché l’hai fatto? Avrei dovuto farmelo io, quel livido- sussurrò, avvilito.
-E se invece non ti avesse lasciato solo un livido? Se invece…- Arute rabbrividì e non completò la frase, ma il resto era abbastanza ovvio, aveva scampato per poco il trauma cranico.
-Non mi sarebbe importato…- continuò Hikaru, non riusciva a sostenere lo sguardo di Arute e perciò si mise a fissare il pavimento, mentre Arute il soffitto.
-Hikaru… tu mi piaci- disse all’improvviso il ragazzo, dal nulla.
Hikaru sbatté di poco le palpebre. –Non ho bisogno di sentirmelo dire, grazie- replicò acido.
-Vorrei sapere cosa ci trovi di tanto divertente- aggiunse poi, in un borbottio imbronciato.
Il viso di Arute rimase inespressivo per alcuni secondi, prima che la consapevolezza lo illuminasse. –Hikaru, ho detto davvero qualcosa del genere?- chiese.
-Cos’è, hai un calo di memoria?- replicò Hikaru arrabbiato, in condizioni normali l’avrebbe picchiato.
-Ti ricordi cose di secoli fa- borbottò Arute, non del tutto convinto, poi sospirò.
Il ragazzo cercò di issarsi sui gomiti, e dopo alcuni sforzi riuscì a mettersi seduto, con la schiena contro la parete. Era arrivato il momento di risolvere quella faccenda una volta per tutte…
Hikaru deglutì, l’impulso di scappare era forte, ma il ricordo delle parole di Hera lo trattenne.
-Hikaru, io ti odiavo.-
Il ragazzino sobbalzò e lo guardò stralunato, ma Artemis aveva il viso rivolto verso la maschera bianca che gli era stata messa ai piedi del letto.
-Provavo invidia nei tuoi confronti… perché tu sei sempre te stesso, in ogni situazione. Perché non hai paura di essere quello che sei…- continuò, amaro. –Invece, io sono una persona falsa, che fugge davanti alle difficoltà. Ti invidiavo al punto che mi eri insopportabile, ed è per questo che mi divertivo a prenderti in giro. Cercavo di ferirti, non lo nascondo.-
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Aporo fu certo che un sorriso stesse comparendo sulle labbra dell’altro ragazzo.
-Ma quella mattina sul tetto della scuola è cambiato tutto. Le tue parole mi hanno portato a pensare che forse c’era una possibilità di cambiare, che potevo desiderare di cambiare. Mi sono innamorato di quelle parole…- Arute alzò lo sguardo e finalmente lo guardò negli occhi.
-…e di te.-
Hikaru sentì il sangue salirgli al volto, sentendosi denudato da quel profondo blu. La mano di Arute aveva cercato la sua, senza prenderla ma solo sfiorandola, accarezzandola.
–Provo sentimenti fortemente contrastanti. Da un lato continuo ad invidiarti, dall’altro voglio proteggerti. Ti amo. Ti desidero a tal punto da farti del male, a volte… dovrei proteggerti anche da me stesso.- disse pensieroso, scuotendo leggermente il capo.
Il movimento gli procurò una fitta alla tempia, che lo costrinse a scivolare lungo il muro per appoggiarsi al cuscino. Gemette e chiuse gli occhi.
Hikaru strinse istintivamente le sue dita, e il gesto strappò un sorriso ad Arute.
Senza aprire gli occhi, attirò il ragazzino verso di sé e con la mano libera cercò il suo volto; le sue dita sfiorarono dolcemente il collo, poi la guancia e il naso e infine trovarono le labbra.
Quando Arute si avvicinò e lo baciò, Hikaru chiuse forte gli occhi e restò fermo.
Non era affatto una sensazione spiacevole, anzi.
Si rese conto che una parte di lui, chissà quale e quanto grande, era ancora attaccata ai suoi sentimenti per Arute. Ma un’altra parte ricordava con dolore le ferite del passato, e lo fece sciogliere in lacrime. –Non posso- sussurrò, staccandosi leggermente.
Arute lo guardò sorpreso e sinceramente addolorato.
-Ti ho ferito così tanto?- disse, ma Hikaru non era in grado di rispondergli.
Allora Arute sospirò e gli toccò il volto con entrambe le mani.
-Hikaru, guardami. Dimmi almeno che non mi odi. -
Dopo alcuni attimi di calma, Hikaru sbatté le palpebre facendo scivolare giù le lacrime.
-Non ti odio. - sussurrò, e Arute lo abbracciò.
Rimasero così per istanti interminabili, in cui entrambi sperarono che il tempo potesse fermarsi.
Ma era al di fuori del loro controllo.
-Vai in classe.- disse Arute, allontanando malvolentieri da sé Hikaru.
Il ragazzino annuì. Si alzò dal letto e raccolse la sua cartella da terra, quindi si avviò alla porta.
-Sicuro di star bene?- chiese, titubante.
Arute tirò un lungo respiro e tirò fuori il suo sorriso malizioso.
-Che carino, Hikaru, ti preoccupi di me, e non del voto rasoterra (alla tua altezza, quindi) che prenderai in matematica se non ascolti la spiegazione del prof?-
Hikaru avvampò di vergogna. - C-Come no! Cretino!- gridò e scappò fuori.
Arute mantenne il sorriso e rise finché i passi del ragazzino non mancarono del tutto nel corridoio.
Poi si rilassò e la sua risata si spense un po’ alla volta, diventando uno spettro.
Con una mano si sfiorò la fronte violacea e gonfia e sussultò di dolore, ma era un dolore a cui era abituato. “Quante volte lei mi ha lasciato questi segni sul volto…” pensò.
Tirò le ginocchia al petto, abbassò il capo e ve lo premette contro.
-…sono patetico.-
La maschera bianca, ora come sempre, rideva silenziosamente di lui.



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Capitolo 22
*** Capitolo Extra -Ai no Hajimari ***


Hellooooo!
Aggiorno ancora questa fic dal momento che ho un po' di tempo libero e capitoli già scritti :3 
Questa volta vi presento un capitolo un po' speciale (?)
È un'extra che parla di Atena (nella fic è lo stilista di Afuro, in IE è questo ragazzo) e Hepai (è apparso nel capitolo 17 di questa fic, in IE è costui) :'D
Sono una coppia molto carina all'interno della Zeus, e come l'ArteApo è decisamente poco valutata! 
Spero che vi piaccia :') L'extra non si inserisce nella storia principale, cioè non influenzerà i capitoli a seguire, è una storia a sé stante!
Baci,        
         Roby



Ai no hajimari

 

~Stay with me, I only want to protect you
We were born in distant worlds
But I say yes
I’ll be by your side forever~


Il primo anno in una scuola nuova era sempre difficile.
Era difficile perché bisognava fare nuove amicizie, abituarsi a nuovi ambienti, fare attenzione al calo dei voti scolastici. Farsi notare, allora, diventava il massimo.
Le scuole medie non facevano eccezione, e a Hepai piaceva molto farsi notare: vestiva sempre bene, aveva capelli ondulati viola fino alle spalle e un sorriso ammiccante che conquistava.
Ma per lui il primo anno di medie era ancora più difficile che per gli altri…
-Atena! Atena! Guarda da questa parte! Atenaaa!-
Hepai distolse lo sguardo dalle ragazzine urlanti e sospirò.
-Ci risiamo- borbottò irritato.
Il suo più grande problema era appena arrivato.
Atena Tomo, della sua stessa età, un ragazzo che eccelleva praticamente in tutto, con lunghi capelli biondo miele tenuti in una coda di cavallo, popolare quanto lui.
Fin dalle elementari, la sua presenza lo aveva tormentato, anche perché Hepai lo sfidava di continuo, ma non aveva mai vinto. E Atena continuava a sorridergli.
Hepai non lo sopportava, era troppo perfetto.
-Oooh, davvero, Atena-senpai, vuoi fare lo stylist?!- esclamò una ragazza.
-Sì, esatto. Ho già un piccolo impiego- rispose lui gentilmente.
-Ma ho sentito dire che il tuo capo, quella Hitomiko, è un vero mostro!- piagnucolò la ragazza.
Atena perse il sorriso e fece un’espressione contrita.
–Ti prego… non parlare mai più male di lei. E’ davvero una persona fantastica, la rispetto moltissimo- disse, piano. Le ragazze si commossero e subito promisero di non farlo più.
Hepai sbuffò, irritato, per richiamare su di sé l’attenzione.
Atena si voltò sorpreso, poi sorrise. –Oh. Buongiorno, Hepai - disse.
-Buongiorno- replicò Hepai. Atena non fece caso al tono seccato e andò in classe.
-Vorrei proprio sapere che ci trovate in lui, è così piatto- commentò Hepai, rivolto ad una delle ragazze. Lei si accigliò.
-Ma scherzi? Atena è così dolce! E poi riesce bene in tutto, nonostante la sua situazione familiare difficile è sempre perfetto!- rispose.
Stavolta fu Hepai ad accigliarsi. –Situazione familiare difficile?-
-Sì… la salute di sua madre è di nuovo peggiorata- disse lei, poi andò via con le amiche.
Hepai si voltò verso il suo armadietto, pensieroso.
E così, era di nuovo peggiorata. Da quando aveva partorito il suo unico figlio, Atena, la donna era sempre stata in condizioni di salute precarie; Hepai ricordava bene i suoi alti e bassi, che alle elementari coincidevano spesso con i periodi di assenza di Atena. Non c’era un padre, in quella casa; erano solo in due, madre e figlio, con l’aggiunta della nonna.
Eppure…
Eppure, Atena sorrideva sempre. Era irritante, che fosse così forte. Davanti alle difficoltà, lui non si abbatteva ma sorrideva ed era questa la sua più grande forza. Dava vita a tutto il suo mondo, e da un po’ di tempo era lui a portare soldi a casa (unica altra fonte era la pensione della nonna): nonostante fosse così piccolo era già maturo.
Atena era forte, e per questo Hepai lo ammirava e lo invidiava al tempo stesso.
“Non lo sopporto proprio” pensò e chiuse di scatto l’armadietto.
In fondo, Atena viveva in un mondo luminoso.
Stava passando di là per puro caso quando l’aveva visto con Hitomiko, sul posto di lavoro. Erano in un parco e Atena sembrava divertirsi, circondato di persone. E poi c’era lui, il biondo modello a cui stava sempre attento, curandolo in ogni minimo particolare.
Era così pieno di luce, quel mondo distante dal suo, che Hepai se ne sentì abbagliato e angosciato al tempo stesso. Atena non aveva bisogno d’aiuto; era forte abbastanza da poter vivere a testa alta in quel mondo.

xxx

Hepai scrutò il cielo scuro.
L’inverno era calato; nonostante fossero appena le cinque, il sole era già basso.
Faceva un considerevole freddo nella scuola, e lui, imbacuccato nel suo giubbino e nella sua sciarpa, si preparava andare a casa, dove lo avrebbero accolto mamma, papà e otto fratellini pestiferi e rumorosi. Se non altro, c’era calore in quella casa.
Aveva dimenticato il flauto in classe. Che se ne andasse alla malora, il flauto. Non sapeva neanche suonarlo, e poi tanto Atena era sempre il più bravo.
Però doveva recuperarlo sennò sua madre l’avrebbe preso a padellate come minimo.
Tornò in aula scocciato, recuperò il flauto e lo ficcò nella borsa, poi si avviò verso l’uscita.
Era tutto spento; solo l’infermeria aveva ancora le luci accese.
Hepai passò nel corridoio e si accorse che un piccolo fascio di luce proveniva dalla biblioteca.
Allora anche la biblioteca aveva ancora le luci accese, chissà perché.
Si avvicinò e aprì del tutto la porta socchiusa, facendola scorrere contro il muro.
Fece un po’ di rumore, ma ciò non sembrò turbare il ragazzo che stava dormendo chino sui suoi libri, completamente abbandonato sul tavolo di castagno.
Hepai s’accigliò, riconoscendo il corpo tremante di Atena.
-Oooh, Mr Perfettino non ha dormito abbastanza stanotte?- lo sfotté, non potendo fare a meno di avvicinarsi. A causa del lavoro, Atena studiava spesso a scuola, ma Hepai non pensava certo che si trattenesse così a lungo. Sospirò, rassegnato.
-Ehi, genio, se ti addormenti così, ti prenderai un malanno- disse ancora, ma Atena dormiva placidamente, senza accorgersi di lui. Hepai scrollò le spalle.
Era indeciso se lasciarlo lì o meno, poi però fu colto da un momento di tenerezza, associando l’immagine di Atena a quella dei suoi fratellini, e decise almeno di coprirlo con la propria sciarpa.
Fece il giro del tavolo e si chinò sulle sue spalle, nell’atto di poggiargli la sciarpa addosso.
-…mi…-
Hepai guardò il ragazzo sorpreso, si era svegliato? No; parlava nel sonno.
Dalle ciglia sofficemente chiuse di Atena scendevano piccole lacrime, che cadevano sul tavolo, formando macchiette scure; le sue labbra erano appena appena schiuse e respirava piano.
-…perdonami…- ripeté, in un sussurro.
Hepai sentì il cuore fermarsi mentre restava rapito da quella bellezza.
E d’un tratto capì molte cose.

-Maestra, perché Atena non è venuto?-
La bambina guardò la maestra con un broncio.
Hepai, aggrappato al grembiule della donna, guardò anche lui verso di lei.
-Beh… è una cosa un po’ complicata. La mamma di Atena non sta bene.-
-Ma non sta mai bene.- obiettò Hepai senza pensarci.
La maestra gli mise una mano sulla spalla.
-Sai, a volte dare alla luce un bambino è doloroso.- disse, con la gentilezza dell’adulto che sa ma non vuole spiegare al bambino, poiché teme di turbarne l’innocenza.
Ma Hepai ebbe la sensazione di capire…
che la mamma di Atena non stava bene perché aveva dato alla luce il suo unico figlio.
 

-Ma guarda che stupido…- sussurrò Hepai.
–Stupidi entrambi, io e te. Non eri forte… facevi semplicemente del tuo meglio.-
Si chinò su di lui e lo baciò sulla fronte, chiedendosi quand’è che tutto il suo risentimento nei confronti di Atena si fosse trasformato in amore. Perché non ci aveva fatto caso? Forse aveva solo finto di non vedere, ma già da un po’ i suoi pensieri erano rivolti a lui. Soltanto a lui.
Sorrise: non sarebbe più scappato.

xxx

{.: Tre anni dopo :.}

Sorrideva. In fondo, non c’era motivo di non farlo; se avesse smesso, la tristezza avrebbe sommerso il suo cuore e questo non andava bene.
Doveva essere forte, per prendersi cura di lei. Sì, così.
-Buongiorno!- gridò una voce allegra.
Si girò pensando di accogliere la solita ragazza, invece Hepai lo avvolse in un abbraccio soffocante. Atena sgranò gli occhi e s’immobilizzò.
- H-Hepai?! Mi hai di nuovo seguito al lavoro?!-
-Buongiorno- ripeté il ragazzo sorridendo, lo lasciò ma mantenne il braccio intorno alle sue spalle. Atena mise le mani sul suo braccio, come per spingerlo via, ma invano.
-Sei proprio un cagnolino fedele eh?- commentò Terumi malizioso.
Hepai lo fulminò con lo sguardo. Terumi rise e tornò da Hitomiko e Saginuma.
-Ti avevo detto di smetterla di seguirmi, razza di stalker!- intervenne Atena irritato.
-Ti amo- dichiarò lui, senza alcun imbarazzo.
Atena lo fissò con stupore e le sue guance s’imporporarono. Hepai sorrise e avvicinò le labbra alle sue. Atena gli tirò un pugno nello sterno e lo fece piegare in due per mancanza di fiato, quindi se ne andò, imbarazzato e offeso.
Ma a Hepai non importava; che lui lo volesse o no, l’avrebbe protetto e seguito per sempre. Si sarebbe ritagliato uno spazio d’ombra nel mondo di luce. Sarebbe rimasto al suo fianco per sempre, ne aveva la certezza fin da quel pomeriggio in biblioteca. Avrebbe vegliato su di lui.
Sorrise, lo raggiunse di nuovo e gridò.
-Ti amo, Atenaaaaaa!-
-Lo so, idiota! S-smettila di ripeterloooo!-






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P.S. La frase iniziale, quella scritta in corsivo-grassetto-grigio (?),  è il testo tradotto della canzone "I say yes!" di ICHIKO. ;)

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Capitolo 23
*** Capitolo 22- La malinconia di Tadashi. ***


Ma saaaalve °^°
Da qui inizio ad introdurre la storia di Tadashi~ Il nome del capitolo si adatta abbastanza a lui, questo ragazzo in effetti ha l'allegria di un istrice in questa fic (?) -cioè, la malinconia è probabilmente uno dei tratti che lo caratterizza di più, e mi piace. Forse non dovrei dirlo perché sono l'autrice della fic, ma Tadashi è il mio preferito. ^w^ 
In questo capitolo compare un mio OC, ovvero la madre di Tadashi; si è già detto che lui vive da solo e qui più o meno inizio a spiegare il perché. 
Baci,
Roby


p.s. Grazie a tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente, è così bello che qualcuno apprezzi Atena e Hepai çwç Poverini, nessuno li calcola (?)




Capitolo 22.

La porta era chiusa.
Il bambino si accostò al muro, barcollando nel buio del corridoio, e si voltò verso il salotto.
La mamma si era addormentata con la testa sul kotatsu; meno male che aveva almeno le gambe al caldo.
Il bambino sospirò e tornò a guardare davanti a sé, lasciando vagare lo sguardo verso la porta d'ingresso, ancora una volta. Erano solo pochi metri, eppure appariva lontanissima...
Non gli sembrava quasi che fosse la stessa porta da cui lui era uscito, due sere prima, per non tornare mai più.



Afuro sbadigliò e si stiracchiò.
I flash delle macchine l’avevano accecato tutta la mattina.
Guardò il cielo e sospirò, chissà se Tadashi stava pensando a lui in quel momento.
Dopo San Valentino, il loro rapporto non era diventato imbarazzante come Afuro temeva, ma non si poteva nemmeno dire che nei mesi successivi il loro legame fosse diventato più stretto; durante l’estate, poi, Afuro era stato così impegnato nel lavoro di modello che aveva potuto soltanto chiamare Hera e gli altri, senza riuscire mai ad organizzarsi per vederli…
E quindi, la scuola era ricominciata da due mesi e Afuro ancora non sapeva precisamente che posto occupava nella mente di Tadashi.  
-Ehi, stai bene? Stai più attento… Se dormi poco la notte, poi dovremo usare il trucco per coprire le occhiaie.- Atena, che era seduto di fianco a lui, interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Scusami, scusami- rispose Afuro, guardandosi subito allo specchio per controllare di non avere occhiaie. Atena sorrise.
-Pensi alla tua cotta anche di notte, adesso?- chiese, malizioso, e Afuro avvampò.
Era già abbastanza il fatto che Atena, chissà come, sapesse della sua cotta; non era certo il caso di raccontargli cosa esattamente sognasse la notte… anche perché non erano cose da raccontare con leggerezza.
-Afuro, vieni un attimo- gridò Hitomiko. Il biondino, lieto di potersi sottrarre a quell’imbarazzante conversazione, si alzò e la raggiunse.
-Ultimamente stai facendo davvero un ottimo lavoro. Ecco perché ti è stata offerta un’ottima possibilità- gli annunciò con solennità.
Afuro fissò incredulo il foglio che gli era stato messo in mano, il programma per un tour.

 
xxx
 

 
-Eh?! Un tour?! Sei serio?!-
Afuro tappò immediatamente la bocca a Kirigakure.
-Ma sei scemo?- sussurrò. –Ti ho detto che è un segreto!-
-Oh, scusa- Kirigakure abbassò la voce. Le chiacchiere intorno a loro li coprivano per quel che bastava, e Afuro indossava i soliti occhiali e cappello per passare inosservato.
Diede un sorso al suo cappuccino caldo e sospirò quando il calore raggiunse lo stomaco.
-Quando lo hai saputo?- chiese il ninja, curioso.
-Due settimane fa, circa.- rispose Afuro e, cogliendo lo sguardo ferito dell’amico, si affrettò ad aggiungere:- Non ne ho parlato perché… non è ancora sicuro.-
Kirigakure si tolse il broncio e si portò le mani guantate dietro la nuca.
Fuori dal bar, s’intravedeva la strada grigia e uno spicchio di cielo scuro delle sette di sera, l’inverno si dava da fare per prolungarsi quasi per tutto Marzo.
Il giorno dopo, già sarebbe stato Capodanno, e poi sarebbe iniziato il nuovo trimestre.
-Beh, se è così… grazie di avermene parlato- disse, grattandosi il naso.
Afuro sorrise leggermente, posò la tazza sul bancone e gli prese la mano, portandolo fuori, in strada. Davanti a loro c’era un grande cartellone di una pubblicità di uno shampoo.
Il biondino a stento si riconosceva, nel testimonial di quello shampoo.
Sembra così maturo, troppo maturo, in quell’immagine. Non era lui.
-Fin da piccolo, ho sempre avuto il terrore di vivere un’esistenza ignota. Volevo farmi vedere e amare da tutti, perciò ho intrapreso la carriera di idol. - mormorò, il suo sorriso era incerto.
Kirigakure se ne accorse. –Non sei felice di partire?- chiese, cautamente.
Afuro lo guardò come se la domanda fosse stupida.
-Ma certo che sono felice. Voglio dire, è una grande opportunità, no? Sapere che, fra tutti gli idol, hanno scelto me…- non terminò la frase.
Kirigakure insisteva nel fissarlo, cercando capire cosa, allora, non andasse.
-E’ quello che ho sempre sognato. Ma prima non avevo nient’altro se non la mia carriera… prima di conoscere voi.- continuò Afuro e distolse lo sguardo, imbarazzato. La frase esprimeva tutto quello che provava in quel momento e non aveva bisogno di essere chiarita.
Il ninja sorrise e lo abbracciò, poggiando il mento sulla sua spalla.
-Non lo dirò a nessuno, finché non lo vorrai- lo rassicurò, poi si staccò e ridacchiò.
-Quando lo dirai però avvertirmi, dovrò portare tanti fazzoletti per Dem, che è emotivamente instabile e piange sempre come una fontana.-
Afuro scoppiò a ridere, ma gli era grato dal profondo del cuore. In realtà, avrebbe voluto rivelare al suo amico anche un’altra cosa, che la sua più grande paura era la reazione di Hera alla notizia che si sarebbero separati; avrebbe voluto confessarlo, ma si vergognava troppo.
Allora, ripiegò su un’altra domanda.
-Ehm, Saiji… sai quali sono i programmi di Hera per domani?- chiese, titubante.
Kirigakure si portò un dito al mento, pensoso.
–Uhm, no- borbottò –Penso che starà semplicemente a casa. Lo fa tutti gli anni…-
Afuro annuì. “E così passi anche il capodanno da solo? Oh, Tadashi…” pensò malinconicamente.
“Come vorrei esserti più vicino. Come vorrei conoscerti meglio.”
La sua mente corse subito ad Artemis. Quel ragazzo, per quanto irritante e odioso che gli fosse, era l’unico vero amico di Hera, l’unico con cui Hera parlava e si confidava con sicurezza. Non era un caso che Artemis sapesse esattamente come trattare con lui.
Il pizzicore della gelosia gli fece stringere i pugni.
Kirigakure sembrò notare la sua improvvisa tristezza, mista ad un’incomprensibile rabbia.
Gli occhi del ninja vagarono un po’ nel vuoto prima di illuminarsi con un guizzo.
-Ho trovato!- esclamò, e tirò fuori il cellulare.
-Non ti preoccupare, Afurochama, il tuo ninja preferito risolverà il tuo problema d’amore!-
Afuro, che al suo urlo era saltato, lo fissava basito, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare.
Il sorrisetto di Kirigakure non lasciava intendere niente di buono.
 

xxx


Non capiva davvero cosa ci fosse da festeggiare, tanto l’anno nuovo sarebbe stato uguale a quello vecchio, con ogni probabilità.
Sempre la stessa vita, sempre la stessa casa, sempre gli stessi volti.
La sua mente corse istintivamente ad Afuro. Beh, forse lui era l’unica cosa buona che l’anno nuovo dell’anno scorso gli aveva portato... Ma ormai anche questo era roba vecchia, passata.
-Sei così cupo, Tadashi. Sei sempre stato così, odi le feste.-
Hera sospirò e si voltò verso la donna dagli ondulati capelli rossicci che sedeva al kotatsu, con le mani appoggiate accanto alla tazza di brodo caldo.
-Non mi dispiacciono le feste- borbottò cupo. In fondo erano le uniche occasioni in cui aveva una scusa per poterla vedere, ma questo lo tenne per sé. Lei sorrideva, specchiandosi nel liquido nella tazza di ceramica.
Quando Hera si alzò, lei tentò di imitarlo, ma lui la trattenne.
-Faccio da solo, tu non affaticarti- disse apprensivamente, quindi si voltò e andò in cucina.
Aveva messo a fare il sukiyaki, con fette di carne, uova, spaghetti udon e verdure; era stato anche ben attento al dado di brodo e al sale. Voleva che tutto fosse buono per lei, perché erano diventate rare le occasioni per godere della sua compagnia, da quando si era trasferito lontano. Era stata una scelta dolorosa per lei, ma necessaria per lui.
Non se n’era pentito. Non poteva permettersi di pentirsi.
-Tadashi, sicuro che non posso darti una mano?-
Hera si affacciò alla porta, con la mani salde contro i fianchi e uno sguardo di rimprovero.
-Non riesci proprio a stare ferma?- esclamò torvo.
Lei rise e le guance le si imporporarono dolcemente.
-Scusa- disse, scherzosa. –Prometto di fare la brava.-
Hera si avvicinò, posò sul kotatsu due piatti e le bacchette, poi le sistemò meglio la coperta calda sulle gambe, e lei ne approfittò per schioccargli un bacio sulla guancia.
Il ragazzo scosse il capo con un sospiro, mentre lei rideva.  
-Torno di là- disse e andò in cucina per assaggiare. Gli sembrò pronto, così lo tolse dal fuoco e con una forchetta separò bene le cose nel brodo, attento a non graffiare il fondo della pentola.
-Tadashi?- La voce di lei arrivò di nuovo, suonava sorpresa. –Hanno bussato alla porta.-
-Cosa?- esclamò lui, posò la pentola col sukiyaki sul kotatsu e si diresse verso la porta, seccato che qualcuno li venisse a disturbare, peraltro all’ora di cena.
Ora sentiva anche lui uno scampanellio insistente.
-Arrivo, arrivo- borbottò. Non appena aprì e vide chi era, il suo fastidio mutò di colpo in sorpresa e irritazione.
-Yo, Hecchan!- esclamò Artemis sorridendogli. Dietro di lui, Aporo e Demete accennarono un saluto con la mano, mentre Afuro e Kirigakure gli sorrisero apertamente.
-Ma mi libererò mai di voi?! Cosa cavolo ci fate tutti qua?!- esclamò Hera interdetto.
-Abbiamo pensato di passare il Capodanno con te, non sei contento?- disse Kirigakure con l’allegria di una bambino che ha appena ricevuto il regalo di Natale.
-Perché?- chiese Hera senza peli sulla lingua.
-Come!- replicò Afuro, imbronciandosi. Si ravviò i capelli con un gesto elegante e aggiunse, con il suo tono da ragazzino viziato:- Pensavo di illuminare la tua fosca vita, tutto qui.-
-Non è triste stare da soli a Capodanno?- intervenne Demete.
Hera li fissò uno ad uno, tutti e cinque, poi fece ciò che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio, ovvero chiudergli la porta in faccia. Purtroppo per lui, però, il più vicino alla porta era Artemis, che intuì la sua intenzione e riuscì prontamente ad intercettare la porta.
Il ragazzo mise il piede in mezzo e sorrise, divertito. –Che maleducazione, Hecchan…-
-Sta zitto- sbuffò Hera. –E cancellati quel sorrisino dalla faccia... lo trovi divertente vero?-
-Sì, molto- ridacchiò Artemis, stranamente di ottimo umore.
- Tadashi, dai, facci entrare!- esclamò Afuro. Anche lui e Kirigakure ora spingevano la porta per impedire ad Hera di chiuderla. Aporo e Demete si erano avvicinati, ma si limitavano a parlare.
-Non dirmi che avevi già dei programmi, non ne hai mai!- esclamò Demete.
-Già, tu odi le feste- commentò Aporo, la voce soffocata dalla sciarpa che teneva fin sopra il naso.
-Ecco, dai, Tadashi - insistette Afuro. –Perché non vuoi farci entrare?-
Hera non smise di fare forza sulla porta, ma sembrò distratto da qualcosa. Si voltò verso l’interno della casa, preoccupato, quindi tornò subito verso di loro.
-Sentite, io…- provò a dire, esasperato, ma una voce lo interruppe.
-Tadashi? C’è qualche problema?-
Afuro trasalì sentendo la voce di una donna, e spinse la porta con più forza di quanto Hera si aspettasse; il ragazzo, già indebolito perché distratto da lei, sussultò e le sue dita scivolarono sul legno, lasciando che la porta venisse aperta.
I cinque ragazzi si trovarono così nell’ingresso della casa, faccia a faccia con la donna che era comparsa alle spalle di Hera. Lei sembrava sorpresa quanto loro.
-Sono i tuoi amici, Tadashi?- esclamò accennando un sorriso. Hera fu costretto ad annuire, anche perché Artemis subito si fece avanti e prese le mani di lei, con un largo sorriso: il riconoscimento fu quasi immediato e anche lei sorrise apertamente.
-Saneki-kun, quasi non ti riconoscevo! Come sei cresciuto... ora sei persino più alto di Tadashi!- esclamò.
Artemis annuì e rise quando Hera gli lanciò un’occhiata torva.
La donna si rivolse agli altri ragazzi. –Oh, ma non restate lì fuori, si gela... Venite dentro e chiudiamo la porta, dai- li esortò. Hera la precedette e superò Afuro e Demete per chiudere.
Il biondino lo fissava interrogativo, e Hera si costrinse a fare uscire le parole.
-Ragazzi, vi presento mia madre, Hera Minori- disse.
Afuro spostava lo sguardo da lui a lei, riconoscendo gli stessi tratti, gli stessi capelli…
Gli stessi occhi.
Quella donna aveva gli occhi di un viola così intenso che solo a guardarli Afuro si sentì mancare il respiro; ma il suo sguardo era in qualche modo più dolce, più paziente di quello del figlio. -Oh- mormorò Afuro, girandosi verso Hera. L'altro scrollò le spalle e si infilò le mani in tasca, imbarazzato.
–Smettila di fissarmi- intimò.
Afuro annuì e con gli altri ragazzi si presentò alla donna, la quale decise che era maleducato cacciarli così, tanto valeva farli restare per cena: a lei Hera non sapeva opporsi, perciò prese altri piatti e bacchette e si sedette al kotatsu con tutti quanti.
Trascorsero la serata in modo allegro, gioviale, e Hera si divertì molto più di quanto avrebbe mai ammesso, anche se per alcune battute avrebbe volentieri strozzato Kirigakure.
Verso mezzanotte, mangiarono una torta fatta dalla madre di Hera e brindarono all’anno nuovo con lo champagne in calici di vetro.
-Ehi, non esagerate- li rimproverò Hera, ma Demete e Kirigakure erano già crollati, abbracciandosi, e Aporo si era accoccolato contro Artemis, anche loro dormienti.
-Cielo, non reggono proprio per niente l’alcol- commentò Afuro, con senso di deja-vu per quello che era successo durante l’estate. Hera annuì, rassegnato.
Minori stava parlando al cellulare in un’altra stanza, per fortuna.
Hera sospirò. Fece per alzarsi ma d’un tratto si sentì afferrare la maglietta.
-Tadashi…- sussurrò Afuro guardandolo intensamente.
-Che c’è?- chiese Hera risedendosi, il biondino sembrava molto serio.
-Sono felice di aver passato questa serata con te, anche se tu non volevi.-
Hera scosse il capo. –Non è che non volevo, però…-
-Lo capisco.- lo interruppe Afuro. –Anch’io provo la stessa cosa quando sono con mio padre, noi due soli, lo vorrei tutto per me, perciò vedi che ti capisco. Mi dispiace…-
-Decidi, ti dispiace o sei felice?-
Afuro sorrise. –Non posso scegliere entrambe?- sussurrò e si appoggiò contro la sua spalla.
Hera pensò che si fosse addormentato anche lui, ma dopo alcuni minuti la voce di Afuro suonò ancora come un sussurro:- Per l’anno nuovo… una sola volta, per favore.-
Il ragazzo dai capelli rossicci lo guardò sorpreso, ma intuì cosa voleva, e chinato il viso verso il suo lo baciò sulle labbra. Afuro rispose alla dolcezza con la dolcezza, aggrappandosi a lui.
Un rumore li fece separare, Minori stava rientrando.
Hera lasciò Afuro e saltò in piedi per accompagnare la madre fuori, dove il suo compagno l’aspettava con la macchina per riportarla a casa.
Potevano intravedere i contorni della macchina nella foschia notturna; che tristezza.
Minori si girò e gli sorrise. –Grazie dell’ospitalità, Tadashi.-
-Ma quanto la fai lunga, sei mia madre, no?- replicò il ragazzo.
Lei rise. –Hai ragione.- convenne. Il suo sguardo vagò verso le luci accese del soggiorno.
-Però sono felice… perché ti ho visto sorridere molte volte, stasera- sospirò, e il freddo condensò il suo respiro. –Eri così a tuo agio, con loro. E’ stato un bene che tu ti sia allontanato da me, dopotutto…-
Hera la abbracciò, istintivamente. –Mamma, niente può rimpiazzarti. Lo sai. –
-Awn, sto bene, sto bene!- lo rassicurò la madre, stringendolo a sé. Hera però si staccò un pochino sfiorandole la pancia gonfia, su cui non si doveva fare pressione.
-Ora devo andare, Tarou mi aspetta- disse la donna riferita al suo compagno.
Nel pronunciare il suo nome si accarezzò la pancia che conteneva il loro figlio, ed Hera non riuscì più a guardarla negli occhi. Lei si avvicinò di nuovo e gli baciò la fronte.
-Vienici a trovare quando vuoi- sussurrò. –Ciao, Tadashi.-
-Ciao, mamma…- disse il ragazzo e rimase a guardarla entrare in macchina, baciare l’uomo che non era suo padre, andare via lontano dal suo unico figlio, dal suo non più unico figlio.
Hera sentì una fitta dolorosa al petto, mentre rientrava in casa, e pensò fosse lo champagne.
Osservando il volto addormentato di Artemis, intuì che era sveglio e che non si era perso una parola, ma in quel momento non aveva proprio la testa di pensare anche a quello.
Si lasciò scivolare sotto al kotatsu, accanto ad Afuro, che subito gli si accoccolò contro, avvolgendolo con le braccia. -Buonanotte- disse e si addormentò a tempo di record.
Hera accennò un sorriso e chiuse gli occhi. 
 

Si era svegliata e aveva iniziato a piangere; poteva sentire i suoi singhiozzi dal corridoio.
Il bambino si alzò e si allontanò dalla porta, tornando da lei.
-Cosa succede, mamma?-
Lei lo guardò, completamente sfatta, con il trucco che le colava dal volto.
-Sono una cattiva madre… Ti rendo infelice, sono un’incapace…- singhiozzò.
Lui sospirò e le sfiorò il viso, dolcemente.
-No, mamma, non è vero, mamma.- la rassicurò. –Tu fai del tuo meglio.-
La donna si asciugò gli occhi, fissandolo sconcertata.
-Se è così, Tadashi, allora perché…- Le mancò la voce, per un attimo. -…perché tu non sorridi mai?-
Il bambino rimase immobile, sorpreso. Non le rispose.


Tadashi riaprì gli occhi e fissò il soffitto.

                                     "Forse quelle parole... io non le avevo neanche capite."



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Capitolo 24
*** Capitolo 23- L'Host Club di Icarus. ***


Buonasera :)
Stasera aggiorno anche Aka to  Murasaki, con un capitolo che praticamente non ha senso (?)
-diciamo che serviva per sciogliere un po' la tensione, visto che si procede verso la parte più triste della fic.
Spero che vi divertirete leggendolo, anche se le parti tristi e un po' ambigue (quella all'inizio e quella alla fine) non mancano!  
Kisses,        
Roby 



Capitolo 23.

Hera si svegliò prestissimo il giorno dopo Capodanno, o sarebbe meglio dire che non dormì affatto. I ricordi della sua infanzia lo perseguitavano.
Afuro, invece, dormiva beato al suo fianco; per non svegliarlo scivolò dolcemente fuori dal suo braccio e lo lasciò al caldo del kotatsu. Il disordine era dio vaste proporzioni e ci mise un po’ per pulire sia il salotto che la cucina, ma non è che avesse di meglio da fare quindi. D’improvviso, guardandosi intorno, e soprattutto osservando i suoi amici, avvertì un forte senso di vuoto. E allora si mise il cappotto e uscì di casa, che tanto era già vestito. La strada era deserta e fredda, ancora tinta del cobalto assonnato della notte. La percorse lentamente, pensando a sua madre, a come avrebbe voluto vederla di nuovo. Ma, per fortuna, sua madre era ancora così vicina… 
                                               …mentre invece lei, che era sempre nei suoi sogni, era ormai irraggiungibile.

 xxx

-Afuro… Afuro! Insomma, vuoi ascoltarmi o no?!- La voce rabbiosa di Hitomiko sferzò insieme ad una rivista sulla sua testa.
-Ouch!- si lamentò il biondino, alzando lo sguardo sulla donna che gli stava di fronte. Saginuma e Athena bevevano il caffè nelle vicinanze, e ora sorridevano.
Afuro li guardò torvo e gli mise il broncio, mentre Hitomiko metteva le mani sui fianchi e con un sospiro lasciava andare la rabbia.
-Che ti prende oggi? Sei stranamente svagato… Sei andato a dormire tardi?- chiese.
Afuro scosse il capo e abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. –Scusa…- mormorò.
Hitomiko gli posò una mano sul capo, scompigliandogli i capelli. -Va bene, ma prendi la cosa più seriamente. Questo tour potrebbe essere la svolta per la tua carriera, lo capisci?- disse severamente e il biondino annuì mogio. -Prenditi la giornata di riposo- concluse la donna, a cui Saginuma porse il caffè.
Era chiaro a tutti che Afuro non era in una giornata positiva.  Il fatto era che la sua mente era totalmente occupata dai ricordi del giorno di Capodanno, quando aveva conosciuto la madre di Hera, che gli era parsa una persona molto affabile. Ma soprattutto aveva notato quanto Hera fosse diverso, quella sera: aveva riempito sua madre d’attenzioni e affetto, anche in minimi gesti,  come non gli aveva mai visto fare con nessuno. “Tadashi sembra amarla tantissimo” pensò Afuro, chiedendosi perché, a questo punto, avesse rinunciato a vivere con lei a metà della scuola media.
Del resto, quella non era certo l’unica cosa inspiegabile che Tadashi aveva fatto, anzi sembrava ormai appurato che fare cose di buonsenso comune non fosse nella sua indole.
Ad esempio, la mattina dopo la sera del Capodanno, quando Afuro si era svegliato, Tadashi non era in casa. La confusione della cucina e del salotto erano stati puliti, segno che si era alzato presto; poi, con una buona probabilità, era uscito lasciandoli in casa propria e si era andato a fare un giro, da cui non era tornato prima che loro se ne fossero andati. Kirigakure si era detto irritato da questo suo atteggiamento, mentre lui, Aporo e Demete erano più che altro stupiti e preoccupati. L’unico a non dire nulla fu Artemis, ma lui aveva una certa attitudine a comprendere la complessa psicologia di Hera.
“Voglio vederlo…” Afuro incrociò le dita, sperando che venisse il giorno dopo a scuola. Non importava che Tadashi l’avesse rifiutato, perché soltanto il poter vederlo lo rendeva felice, stupidamente e irreparabilmente felice.

 xxx

Hera si portò una mano davanti alla bocca, mentre un lungo sbadiglio gliela faceva spalancare. Aveva dormito davvero poco, in quei tre giorni successivi al Capodanno.
Si sentiva stordito come se un tram l’avesse calpestato, in più lievemente a disagio perché era da quando si erano salutati davanti al cancello di scuola che Afuro lo seguiva con lo sguardo.
Sembrava sempre sul punto di dirgli qualcosa, ma poi non lo faceva. Era irritante, ma stranamente non gli dispiaceva che lui lo fissasse.
La cosa veramente irritante, in realtà, era che il suo compagno di banco lo stava assillando con i progetti extracurricolari, che dovevano servire a guadagnare un po’ di fondi per le attività sportive della scuola, e a Hera non gliene fregava nulla. Purtroppo però, a causa di votazioni misteriose, si era ritrovato con suo grande disappunto capitano della squadra di calcio quindi era costretto a sorbirsi quelle seccature. 
-Senti questa: visto che nel club di calcio a detta delle ragazze ci sono ragazzi particolarmente belli, fra cui te ovviamente, è stato proposto una specie di Host Club! Che ne dici?-
Hera alzò lo sguardo, sperando di risultare il più annoiato e infastidito possibile. -Icarus, ma se ti ho detto che non me ne frega niente, cosa vuoi che ne dica?-
Il ragazzo lo guardò interdetto, ma poi scoppiò a ridere. Aveva folti capelli azzurri tenuti su da una fascia, da cui spuntava un grande ciuffo che gli copriva l’occhio sinistro.
-Ma visto che sei il capitano te ne deve fregare per forza- gli fece notare con un largo sorriso.
-Vorrei sapere chi cavolo mi ha votato!- protestò Hera.
-Io, per esempio- esclamò un ben noto ninja, che veniva verso di loro mano nella mano con Demete. Aporo, Artemis e Afuro li seguivano.
-Tutti noi ti abbiamo votato- disse Artemis, alzando la mano per tutti i presenti.
-Maledetti- borbottò il ragazzo dai capelli rossicci.
-Visto? Che bella cosa l’amicizia- commentò Icarus. Hera gli lanciò un’occhiata di sospetto, era sempre difficile quando Icarus era ironico o serio, ma in quel momento gli sembrava che si stesse divertendo un po’ troppo. -Allora, che ne dici? L’Host Club, se ci siete voi sei, decollerà!- continuò Icarus allegramente.
-Che bella idea- osservò Artemis. Kirigakure, Demete e Aporo non furono altrettanto d’accordo, e anche Afuro era piuttosto titubante. Hera pensò che in fondo in fondo gli seccava dover sempre sorridere e fingersi una persona normale. Diede le spalle ad Icarus e s’incamminò.
-Hera! Non andare! Discutiamone!- gridò Icarus rincorrendolo.
-Te lo scordi. E’ una cosa ridicola e non siamo in un manga- rispose Hera.
Icarus si fermò, interdetto. Hera approfittò per definire chiusa la questione e stava già per darsela a gambe, quando Icarus parlò di nuovo. -Allora, che ne dici di una sfida? Se raggiungerete almeno cento clienti, potrete tenere metà degli incassi.- Icarus sorrideva: sapeva di aver toccato il tasto giusto.
-Che importa? Non è che ne abbiamo bisogno- stava dicendo Demete, contrario assolutamente all’idea. Kirigakure, con cui stava ancora tenendosi per mano, annuì.
Ma Hera, tornato rapidamente sui propri passi, intervenne a sorpresa. -Che state dicendo?- esclamò, mettendo loro le braccia intorno alle spalle. –Lo faremo!-
Le parole furono accolte da un boato di stupore e incredulità.
-C-cosa?! Ma se un attimo fa eri contrario! Sei impazzito?!- protestò Aporo.
Icarus non lo calcolò neppure. –Accordato allora, organizzo tutto oggi, così domani già cominciamo! Sapevo di poter contare su di te, Tadashi!- esclamò e corse via.
Afuro, Demete, Kirigakure e Aporo rimasero a fissare a bocca spalancata Hera, mentre Artemis ridacchiava fra sé.
-Davvero, Tadashi, ma che t’è preso?!- esclamò Afuro scuotendo il capo. –Pensavo non ti piacesse stare sotto i riflettori.-
Il ragazzo si grattò la guancia, imbarazzato. -Beh… ma sai quanto potrei guadagnare…?-
Artemis scoppiò a ridere, anticipando la risposta di Afuro. -Lo sapevo, si tratta di soldi vero?- domandò rivolto ad Hera, che annuì con un sospiro.
Afuro sbatté le palpebre perplesso. –Cosa? Hai bisogno di soldi, Tadashi?-
-Non sono mai di troppo no?- replicò Hera, brusco. Afuro capì che se ne vergognava, almeno un po’, ma non poteva farci niente. Comunque, il ragazzo non gli diede tempo di dire altro.
-Bene, diamoci da fare!- esclamò. 
-Scusa scusa? Pure prima hai usato il plurale, ma io non ci tengo!- protestò Demete.
Hera gli scoccò un’occhiata inceneritrice. -Dal momento che qualcuno mi ha eletto capitano, ora quel qualcuno è obbligato ad obbedirmi. Se non l’avete ancora capito siete tutti arruolati per questa sfida, e se non farete del vostro meglio vi prenderò a calci!- minacciò.  
-Sissignore!- balbettarono tutti tranne Artemis, intimoriti dalla sfuriata del ragazzo.

xxx

Icarus si era dato un bel da fare. la stanza del club di calcio non sembrava più la stessa, riempita di sedie e tavolini adornati con fiori e tovaglie colorate. Ma soprattutto Icarus li aveva costretti ad indossare i vestiti da host, dichiarando che dovevano farlo per tenere alto lo spirito di gruppo della scuola -Afuro, a dire la verità, sospettava che il vero motore dell’azione di Icarus fosse lo stesso di Hera: soldi. Altro che spirito di gruppo.
Il biondino indossava una camicia bianca a maniche lunghe, pantaloni larghi neri e un grembiule con pallettes rosse (era solito mettere vestiti appariscenti); poi si era legato i capelli con una coda di cavallo alta, lasciando fuori solo le ciocche vicino alle orecchie. I vestiti degli altri erano più o meno uguali, a parte per piccoli particolari, come il cravattino glitterato di Aporo, o la camicia a mezze maniche di Kirigakure, o la cravatta sfatta di Artemis. -Siamo pronti.- esclamò Kirigakure sistemandosi i capelli, ma tanto sembravano sempre un’immensa nuvola rosa. Demete incrociò le braccia, imbronciato perché aveva dovuto levarsi l’elmo, mentre Artemis si passava una mano fra i capelli.
-Che facce che avete! In fondo cosa sarà mai… è tutta questione di classe.- commentò, facendo l’occhiolino ad alcune ragazze che aspettavano di poter entrare.
Aporo lo fulminò con lo sguardo. –A te solo questo ci mancava per atteggiarti…- sbuffò. Afuro non poté che trovarsi d’accordo con lui. Scosse il capo, rassegnato. Che fosse per lo spirito di gruppo per la scuola, o per soldi, era un favore che dovevano a Tadashi. Non intendevano certo incorrere nella sua ira.  -A proposito, Tadashi non è ancora pronto.- mormorò, un po’ nervoso.
-Beh, vi raggiungerà dopo!- esclamò Icarus con un largo sorriso, troppo largo. -Ora andate!-
Nell’istante in cui Icarus aprì le porte, un’ondata di ragazze invase la stanza, riempiendola. L’idea aveva successo, Icarus ci aveva visto giusto… Beh, del resto, con dei ragazzi come loro.
Afuro sospirò, innegabilmente lui e Artemis attiravano troppa attenzione. “Vabbè, è un lavoro come un altro… Devo essere gentile" pensò Afuro e si costruì un sorriso.
-Benvenute.- esclamò. Due ragazze avvamparono, e un’altra per poco non gli svenne davanti. Non poteva dire di non essere compiaciuto dall’effetto che faceva…
Una ragazza con gli occhiali e i capelli ricci si avvicinò alla porta, esitante in mezzo a tutte quelle ragazze più eleganti e alla moda di lei. Afuro ne ebbe un po’ pena, mentre barcollava cercando di farsi largo. La folla la spingeva da una parte e dall’altra, e all’improvviso inciampò e sarebbe caduta a terra se due braccia forti non l’avessero mantenuta.
La ragazza alzò lo sguardo per ringraziare e si trovò di faccia al volto più bello e armonioso che avesse mai visto. Anche Afuro non poté che arrossire nel vedere Hera Tadashi vestito da host.
-Fa’ più attenzione, non vorrai farti male.- disse Hera con voce mite. La ragazza con gli occhiali annuì, imbarazzatissima, mentre altre ragazze la fissavano con invidia.
-Tadashi ci sa fare, eh…- commentò Kirigakure sorpreso.
-Di più, le ragazze impazziscono letteralmente per lui!- sbottò Demete, che temeva di diventare sordo a causa dei continui urletti delle fan di Hera.
Afuro continuava a fissarlo incantato. Nonostante avesse conosciuto tantissimi idol, tutti bellissimi, ora si rendeva conto che erano delle nullità al confronto. Hera aveva tante imperfezioni, ma proprio per questo era ancora più bello, e il solo posare gli occhi su di lui lo metteva in agitazione. Tentò di calmarsi, occupandosi dei tavoli.
“E’ decisamente scorretto farmi battere il cuore così!” Si prese a calci mentalmente, anche se avrebbe preferito di gran lunga prendere a calci le fan di Hera.
Mmm, forse un’azione del genere avrebbe rovinato la sua reputazione…
“Non va bene! Quel ragazzo mi farà diventare matto!” pensò scuotendo il capo.
-Fai almeno un sorriso di cortesia.- La voce di Hera lo fece sobbalzare. Girandosi, già sapeva di trovargli in viso un sorrisetto divertito e ciò lo seccava ancora di più.
-Sorridi sempre come un cretino e ora che serve non ci riesci?- continuò Hera.
Afuro gli fece la linguaccia. –Tu invece è meglio che non sorridi, fai spavento!- replicò.
Hera ridacchiò e si avvicinò a lui. -Non mi sembra che ti dispiaccia tanto…- sussurrò malizioso, osservò compiaciuto il rossore sul viso dell’altro e lo lasciò lì per andare a mettersi dietro al bancone, dove faceva i conti con Icarus: meglio controllare che quel finto deficiente non imbrogliasse, e poi tanto gli altri se la cavavano benissimo anche senza di lui... Artemis e Aporo attiravano gran parte della folla. Hera sospettava che Artemis si stesse divertendo molto, ma intravedeva anche una certa possessività nello sguardo con cui teneva d’occhio Aporo, strapazzato come un cucciolo dalle ragazze.
-Ma voi due siete il Duetto comico!- esclamò una brunetta, allegramente. –Alle medie siamo stati in classe insieme per un anno!-  
Aporo fece una smorfia, odiava quel nome affibbiatogli, e non gli piacque neanche quello che la ragazza aggiunse dopo.
-Siete ancora insieme, vero? Che carini!- esclamò.
Aporo avvampò e agitò le braccia, protestando ferocemente, ma Artemis lo interruppe sollevandolo di peso da terra e abbracciandolo.
-Sì, proprio così, noi due siamo inseparabili!- esclamò. Fece l’occhiolino e sorrise, in realtà mirando solo ad allontanare il suo Hikaru da tutte quelle oche…
-M-mettimi giù, cretino! Che cavolo combini?!- … e anche un po’ per godersi la reazione di Hikaru. Rise; quel ragazzino non si rendeva neanche lontanamente conto di quanto fosse adorabile.
-Si chiama fan service, Hikaru~ - cinguettò. Aporo arrossì ancora di più quando Artemis gli schioccò un bacio sulla guancia a tradimento. Ignorando le ragazze in delirio, si staccò e gli sorrise maliziosamente. -Posso baciarti…?- domandò.
-Va’ al diavolo, fottuto bastardo.- ringhiò Hikaru in risposta. Artemis fece un’espressione dispiaciuta e lagnosa. 
-Awn~ Sei cattivo, Hikaru~ -
-Schiatta! Crepa! Muori!-
-Hikaru, lo sai che sono tutti sinonimi, vero?-
-Stai zittoooooooo! Non ti sopporto!-
Più in là, Demete osservava la scena dubbioso, chiedendosi chi alla fine avrebbe trionfato. -Danno piuttosto nell’occhio…- commentò scuotendo il capo.
“Ma che speranze ho io?” pensò lui, un ragazzo normalissimo che senza il suo elmo non aveva proprio niente di speciale, soprattutto se messo a confronto con Afuro, Hera, Artemis e Aporo.
Mentre era lì occupato a deprimersi, un ragazzo dai capelli verdi entrò all'improvviso, accompagnato da un altro coi capelli neri a caschetto, e urlò il nome di Kirigakure con una certa lagnosità, allungando tutte le vocali del nome spropositatamente. Demete si girò sorpreso, non poté fare a meno di notare come gli occhi di Saiji s’illuminassero nel vederli.
-Ragazzi!- esclamò correndo loro incontro. -Credevo non sareste passati!-
-Gli allenamenti sono finiti prima del previsto.- replicò tranquillamente quello coi capelli neri, che Demete annotò mentalmente col nome di Caschetto.
L’altro squadrò Saiji da capo a piede, poi esclamò:- Bel vestito! Un po’ diverso dal tuo solito stile, ma comunque bello!-
-Sì, ti sta bene…- disse Caschetto.
-Davvero sexy!- aggiunse quello che Demete denominò Ricciolo Verde.
-Grazie.- disse Saiji e arrossì leggermente. Demete affilò lo guardo quando Ricciolo Verde posò una mano sul braccio del suo ragazzo, continuando a chiacchierare allegramente. Dovevano trattarsi senza dubbio dei nuovi amici di Saiji, quelli che andavano rubando a lui il suo prezioso tempo con Saiji… O almeno lui così la vedeva. Dannazione. Stupidi ninja.
-Scusami…- una ragazza lo chiamò. Santo cielo, non aveva proprio voglia di parlare con nessuno. Ma lo stesso si girò, perché sennò Hera gli faceva la pelle, e sorrise, anche. Ma quanto si sentiva scemo. -Posso aiutarti?- chiese amabilmente.
La ragazza arrossì furiosamente e abbassò lo sguardo, iniziando a balbettare qualcosa. Demete la osservava, incuriosendosi gradualmente. La ragazza aveva in mano una macchinetta fotografica. Forse voleva chiedergli di farle una foto con uno dei ragazzi. -Vuoi una foto?- domandò, venendo incontro alla ragazza in difficoltà. Lei alzò lo sguardo e annuì, timidamente.
Demete si trattenne dal sospirare e si girò verso la sala affollata, in cerca dei suoi amici. -Dunque…- mormorò. –Con chi la vuoi? Immagino con Aphrodi, o…-
S’interruppe quando la ragazza scosse il capo e gli afferrò la manica. 
-Posso farmela con te?- disse con una voce così bassa che lui faticò a sentirla. Peraltro, non è che fosse una cosa semplice per lui da comprendere. 
Demete la fissò instupidito per circa un minuto prima di rendersi veramente conto. Poi si indicò ed esclamò, attonito:- E-eh?! Vuoi una foto con me?! Sei sicura?!-
-Credo che tu sia carino.- mormorò lei arrossendo. Demete quasi si mise a piangere per la felicità, e senza pensarci le prese le mani.
-Grazie! Mi hai migliorato la giornata, anzi la vita! Puoi avere anche mille foto se vuoi!-
Sentirlo gridare così attirò l’attenzione degli altri host, e anche di altre ragazze, che accorsero per approfittare dell’occasione.
-Wow- commentò Aporo. –Allora c’è qualcun altro oltre Saiji a pensare che Yutaka sia carino!-
-Sei davvero senza tatto, Hikaru.- disse Artemis, mentre poggiava due piattini di dolci fra le mani di due signorine e poi si rizzava per osservare l’insolita scena. 
Perché, Demete Yutaka circondato di ragazze era insolito.
-Che confusione…- disse Caschetto, il cui vero nome era Koheita Fuuma.
-Anche quel ragazzo è nel club di calcio? Eh, Saiji? Lo conosci?- esclamò Ricciolo Verde, che in realtà si chiamava Hatsutori Hanzou. –Saiji? Mi ascolti?-
Ma Saiji stava già attraversabdo a gran passi la stanza per raggiungere Demete. 
-Oooh, ecco che arriva la mamma ingelositasi.- osservò Hera mentre Saiji si frapponeva fra Demete e la ragazza con la macchina fotografica.
-Non se ne parla proprio!- gridò. –Dem, te lo vieto assolutamente!-
Demete scoccò al suo ragazzo uno sguardo di sufficienza. -Avanti, Saiji, cosa vuoi che siano un paio di foto? Non ingelosirti per cose stupide. E poi Hera ci ammazza se non gli facciamo vincere la scommessa con Icarus.- sbuffò. Saiji stava per ribattere, quando Hanzou e Fuuma lo chiamarono di nuovo. Demete li fulminò con lo sguardo, poi si portò una mano alla nuca e diede le spalle al ninja.
-Senti, perché non torni dai tuoi amichetti invece di perdere tempo con me?-
Saiji rimase basito di fronte alla domanda, e squadrò incredulo il suo ragazzo, scorgendo un rossore sul suo viso. Ridacchiò.
-Chi sarebbe quello geloso?- lo prese in giro.
-E-ehm- mormorò la ragazza, inserendosi nella conversazione. –S-se non posso avere una foto con lui, p-posso farla a voi due…?-
Saiji colse l’occasione al volo: mise un braccio intorno alle spalle di Demete costringendolo a voltarsi verso di loro e fece un largo sorriso.
–Certo! Come no!- disse alla ragazza, che tirò un sospiro di sollievo. Mentre lei regolava la fotocamera, Saiji si rivolse di nuovo a Demete. -Te l’ho fatta, DemDem. Non lo sai che io vinco sempre?- sussurrò maliziosamente. -E ora fai cheese~!-
Demete sbuffò, seccato dal fatto che l’avesse sempre vinta lui. Stavolta, però, gli aveva fatto davvero girare le scatole. Ride bene chi ride ultimo, pensò.
Prese il viso di Saiji fra le mani, posando le labbra sulle sue nell’esatto momento in cui la ragazza scattò la foto. Quando si staccò osservò con una certa soddisfazione l’espressione stupida di Saiji.
–Com’era… Ah, sì.- disse, sorridendo. -Te l’ho fatta, Saiji.-
Saiji boccheggiò, arrossendo vistosamente. -M-ma-ma… Yuutaku!!!- gridò agitando le braccia come per picchiarlo, irritato dal sorrisetto stampato sulle labbra di Demete. Quel sorriso stava a significare una cosa sola: il gladiatore si era preso la sua rivincita su tutti e tre i ninja.
-Tadashi!!! Di’ qualcosa tu a papà!- si lagnò Saiji. Hera si appoggiò al bancone e scosse il capo.
-Fate sempre un gran casino, mammina, ma per stavolta ve la do buona… solo perché mi state facendo guadagnare di più col vostro spettacolino.- disse.
-Cooosa?! Bastardo! Sei diseredato!- esclamò Saiji imbronciato. Demete salutò la ragazza che avrebbe conservato quella foto come una pietra preziosa, e tornò a servire ai tavoli.
Afuro sorrise. Era felice che Saiji e Yutaka fossero così uniti, e anche vedere Hera allegro era piacevole. Però aveva l’impressione di essere l’unico a lavorare davvero, in quella gabbia di matti.
Consegnò un parfait alle fragole ad una coppietta. Non si aspettava che ci sarebbero state cose così buone.
-Quasi quasi mi prendo una pausa…- mormorò appoggiandosi al bancone. Per un po’ Demete e Saiji se la potevano cavare da soli, no?!
-Poverino, è un guaio essere famosi vero?- disse Icarus ironico, e lui si voltò appena a guardarlo. 
-Sì… ma è anche molto bello.- disse distrattamente. Icarus stava sorridendo. Sbuffò; si sentiva preso in giro, e non gli piaceva affatto. Decise di cambiare argomento.
- Icarus, davvero ti sei occupato di tutto tu? Anche di cucinare? Ho visto che di là è già tutto pronto… c’è solo da tirare fuori la roba dal frigo, ma non sembra confezionata.- disse.
Icarus sembrò leggermente sorpreso, ma il sorriso non gli si cancellò dalla faccia.
-Hai ragione. Non credevo che qualcuno se ne sarebbe accorto.- rispose. –Comunque non sono stato io. Se n’è occupato Arute.-
Afuro sobbalzò. –Vuoi dire Artemis?!- esclamò. Icarus annuì. Afuro si voltò di scatto verso Artemis, annichilito.
Quel ragazzo era un vero mistero. Sapeva anche cucinare, e non era certo l’unica cosa di cui poteva vantarsi. L’unica cosa che non era in grado di fare era guidare decentemente una macchina…
-Ti ho detto di mettermi giù, Artemaniaco!-
Aporo si agitava per niente. Invece, l’espressione di Arute era pacifica, serena.
Sembrava un’altra persona rispetto a quella che aveva visto gettare via dolci fatti in casa e con amore, esibendo un volto più freddo di qualunque maschera.
Davvero un personaggio misterioso… Capace di odiare tanto… e di amare tanto… E odiava ammetterlo, ma Arute somigliava a Tadashi, per quel profilo triste e ombroso.
Afuro sospirò, ormai consapevole di essere per Arute una specie di rivale: il ragazzo teneva troppo a Tadashi per cederlo con facilità. Non aveva così tanto tempo prima del tour, doveva risolvere presto la faccenda… Peccato che Tadashi fosse così irrimediabilmente ottuso
-La smetti di sospirare? Sei fastidioso.- 
Afuro sobbalzò ritrovandosi il diretto interessato ad un metro da sé.
-Tadashi! Che stai facendo? Mi hai spaventato!-
-Tu che stai facendo, piuttosto. Stavi lì imbambolato a fissare il niente.-
Afuro cercò di leggere l’espressione leggermente infastidita di Hera, ma vi rinunciò quasi subito. Quel ragazzo aveva un’orchestra in testa.
-Se continui a fare quell’espressione ingenua, le tue fan potrebbero divorarti.- disse Hera, mite. Afuro si mise le mani sui fianchi, scocciato.
-E tu, se continui ad atteggiarti a figo, ne attirerai molte di più.-
Hera sorrise, malizioso. -Ah sì? E cosa credi che preferiscano, il mio viso o il tuo sedere?-
Afuro si girò di scatto, nascondendo il “corpo del reato”. Hera rise vedendolo arrossire.
-Su, su. Ti nascondo io per un po’.- lo rassicurò. Il ragazzo dai capelli rossicci si guardò intorno, poi afferrò Afuro per la vita e lo sollevò, portandolo al di là del bancone, e si sedette con lui sotto di esso. Il biondino aprì bocca per protestare, ma Hera gliela chiuse con la propria. Quando si staccò, la malizia riapparve sul suo sorriso.
-Non farti strane idee, signorino.- sussurrò. –E’ solo che devi guardare solo me. Considerala come una punizione.-
Afuro avvampò, annichilito. Si sarebbe sciolto, se la chimica l’avesse permesso.
-Ma chi ti credi di ess…- borbottò, ma fu interrotto da Saiji.
-Afuroooooooooo! Insomma dove ti sei cacciato? Non possiamo fare tutto noi!-
-Da non crederci… secondo me si è appartato con Tadashi… è sparito anche lui…-
-Ma che---cos---Tadashiiiiii!-
Afuro e Tadashi ridacchiarono immaginando la faccia del ninja in quel momento.
-Peraltro, quell’Artemaniaco se l’è squagliata…! Dopo avermi rotto le scatole per un’ora finalmente me lo sono tolto dai piedi!- aggiunse Aporo.
Afuro non poté non notare la fretta con cui Hera si alzò e aggirò il bancone non appena sentì quella frase su Artemis.

 xxx

-Allora è tutto pronto per questo weekend?-
Artemis si sforzò di dire un sì, anche se piuttosto avrebbe preferito mordersi la lingua. Non aveva possibilità di ribellarsi. Non l’avrebbero permesso.
Sua sorella era stata chiara a riguardo, ed anche suo nonno non aveva esitato ad allungare il suo artiglio su di lui. Non appena compiuti i sedici anni, sarebbe diventato il prossimo capofamiglia. E sapeva bene cosa ciò significasse. Lo sapeva dalle elementari, qual era il suo destino. Gli sarebbe stato ancora concesso di stare vicino a Hikaru, opo essere entrato a tutti gli effetti in quella famiglia?
-…qualcosa non va?- chiese la voce al telefono.
-Niente. Ci vediamo.- La sua voce suonava strana. Dopotutto, stava mentendo: alla persona all’altro capo del telefono, a Hikaru, a Tadashi.
Ma soprattutto, e da tanto tempo, a se stesso.


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Capitolo 25
*** Capitolo 24- La situazione di Artemis e il fiore abbandonato. ***


Buonasera :)
Questo capitolo affronta -e risolve-  la situazione di Artemis. Finalmente leggerete un po' di cose su di lui, che magari vi aiuteranno a capire meglio la sua personalità contorta e il motivo per cui si è innamorato di Hikaru. Anche Hikaru dovrà fare i conti con i propri sentimenti...
Beh, vi auguro buona lettura ;)
Baci,           
Roby

 


Capitolo 24.

Ogni mattina, sul levarsi del sole, percorreva quel percorso avanti e indietro. Contava i propri passi. 
Uno, due, tre.
Il rumore di un piatto rotto. 
Quattro, cinque, sei. 
La voce di sua sorella che cercava di calmarla.
Sette, otto, no…
-Mamma, ora basta! Smettila!- 
Saneki si fermò e spiò dalla porta. La mamma si era di nuovo arrabbiata, e stava dando di matto. Quando faceva così, lo spaventava davvero; eppure, non poteva fare a meno di volerla consolare, era tanto bella. Non appena lo vide, lei lanciò un urlo roco: -Tu… sporco bambino! Figlio di quella puttana…!- 
Poco dopo Saneki sentì il rumore dello schiaffo e una fitta di freddo dolore sulla guancia. 
Lei gli afferrò i capelli e cominciò a picchiarlo, ma lui non oppose resistenza né gemette. Sapeva che le dava fastidio sentire i suoi lamenti, perciò stava zitto. Sua sorella Ayaka intervenne per fermare la madre, che era sua madre ma non quella di Saneki. -Mamma, lascialo in pace!- gridò, trattenendole le braccia.
-Maledetto…! Figlio di puttana!-

Perdonami mamma, pensò Saneki e chiuse la porta. Perdonami se sono nato…

xxx

-Arute!-
Artemis si voltò di scatto e fissò perplesso la mano stretta intorno al suo polso. Poi alzò lo sguardo.
Il suo migliore amico aveva il fiato corto per aver corso. -Ma… ma che…- ansimò, poi deglutì e alzò la voce.
-Che cavolo ti è preso ieri?! Sei sparito all’improvviso!-
-Ah.- disse Artemis cupo. Sì, non era stato particolarmente corretto da parte sua, ma non aveva avuto il coraggio di rientrare con un volto incapace di sorridere.
Farsi vedere in quello stato da Hikaru era fuori discussione; avrebbe solo aumentato il disgusto che provava verso se stesso.
-Mi rispondi, o no?- disse Hera impaziente. Era stranamente agitato, rispetto a quella che era la sua indole.
Arute si sforzò di sorridere e si portò una mano alla nuca imbarazzato. -Ho avuto una chiamata urgente e sono dovuto andare. Mi dispiace.- Rise.
Tanto lo sapeva che Hera non se la sarebbe bevuta.
-Comunque ho saputo che hai vinto la scommessa. Bravo.- aggiunse.
-Sì, ho guadagnato un bel po’, oltre all’espressione sconfitta di Icarus.- ribatté Hera. 
I suoi occhi violetti cercavano di studiare Arute, che però evitava del tutto il contatto visivo. Rimasero in silenzio per alcuni minuti. 
-Tadashi… mi stai facendo male.- mormorò Arute, lo sguardo coperto dalla frangia.
Hera allentò poco a poco  la stretta intorno al suo braccio, fino a lasciarlo andare. Il braccio di Arute ricadde smorto al lato del corpo, e il ragazzo poggiò una mano sul punto lasciato caldo da Hera. -Scusami, ora devo andare.- disse e si voltò.
Hera non lo seguì; prevedibile. -A volte mi chiedo quale sia la vera maschera che indossi… ma tu cosa vuoi veramente?-
La voce di Hera lo raggiunse quando ormai era al cancello della scuola.
Arute sgranò gli occhi: inutile, Hera in un modo o nell’altro lo spiazzava sempre.
Sorrise. –Chissà…- mormorò, e se ne andò. La verità è che non lo sapeva più nemmeno lui.

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Pioveva.
Era una sera fredda, così come fredda era la sensazione di solitudine che gli attanagliava lo stomaco. Era quasi certo di avere la febbre.
Ma per nulla al mondo sarebbe mancato al funerale della mamma.
Non sembrava neanche lei, avvolta in quell’elegante abito nero; era talmente magra che la sua pelle sembrava solo un velo sulle ossa scarne, così l’aveva ridotta la malattia.
Ayaka piangeva, avvolta in panni di seta nera. Saneki fissava il velo nero che le copriva il volto pallido, cercando di scorgerne l’antica bellezza.
La mamma non l’aveva nemmeno visto compiere dieci anni.
Suo nonno, che l’adorava nonostante fosse un figlio illegittimo, subito dopo che la malattia della nuora era peggiorata l’aveva nominato erede della famiglia, destinandolo così a diventare il prossimo capofamiglia: ruolo che gli sarebbe toccato senza scampo ai suoi sedici anni. Così, Saneki si era ritrovato immensamente ricco; con un minimo cenno poteva avere tutto ciò che desiderava...
Ma in quel momento, fissando il volto velato della sua matrigna, e con un fiore rosso stretto in mano, pensò che quello che voleva davvero non l’avrebbe mai avuto.

E quel fiore rosso sarebbe appassito sulla tomba.

xxx

Pioveva.
Quella pioggia gli lasciava l’amaro in bocca.
Aveva compiuto sedici anni, ora il suo destino era scritto.
Sarebbe diventato il prossimo capofamiglia, diventando disgustosamente ricco… già.
Arute si era sempre chiesto cosa se ne sarebbe fatto della ricchezza che il nonno gli lasciava, mentre cercava di ignorare le pesanti catene che lo legavano.
Sì, perché il bambino Saneki era ancora incatenato da qualche parte dentro la sua mente, prigioniero del suo destino. Non era cresciuto affatto, e ancora oggi desiderava capricciosamente di poter avere tutto ciò che voleva.
Il cuore di sua madre.
Dalla morte di lei, non aveva più provato nessuna ambizione, nessun desiderio. Neanche l’amicizia con Hera gli dava soddisfazione, perché non poteva averlo tutto per sé. Ormai se n’era convinto: lei gli aveva rubato l’anima. Eppure... Eppure le parole di uno stupido ragazzino l’avevano fatta tremare. 
Si infilò le mani nelle tasche fradice, e vi trovò pochi yen, sarebbero bastati. Compose il numero con una certa lentezza, quasi godendosi il contatto con ogni singolo tasto che costituiva il suo numero, come se stesse toccando la sua pelle, e poi si accostò la cornetta all’orecchio e aspettò.

-Pronto? Chi parla?- La voce dall’altra parte suonava incerta.
-Hikaru.-
L’indecisione nell’altro crebbe quando riconobbe Arute, sebbene in quella voce cupa non ci fosse nulla di familiare.
-Hikaru, usciresti con me?- chiese Arute, con tranquillità.
Sorrise; poteva quasi vedere Hikaru arrossire. -Manco morto!!- gridò infatti il ragazzino.
Arute fece finta di non aver sentito. –Domani mattina, verso mezzogiorno, ti aspetterò davanti al cancello di scuola.- disse, non gli lasciò il tempo di rispondere e attaccò.
Lasciò cadere le braccia smorte lungo i fianchi, mentre adocchiava la macchina nera parcheggiata all’angolo. Erano venuti già a prenderlo; che premurosi.
Tanto ormai la pioggia se l’era beccata tutta.

xxx

-Vieni avanti, Saneki.-
La voce di suo nonno, benché debole e secca, risuonò con forza nel buio della sua stanza, dove si era rinchiuso da quando aveva praticamente perso l’uso delle gambe.
Era ormai vecchio, il nonno, eppure aveva ancora una grande forza, una grande volontà.
Era merito suo se la famiglia andava avanti, dalla morte del figlio, che gli aveva lasciato un moglie pazza, una figlia e un figlio illegittimo. E della sua amante, nessuna traccia.
Il nonno aveva pagato la madre di Arute per sparire e lei l’aveva fatto; ecco perché per Saneki c’era stata un’unica mamma, la sua adorata mamma.
Come avrebbe voluto essere davvero suo figlio.
Per lei, da piccolo, era stato pronto ad annullare se stesso. Si era ucciso tante, tante volte, per farla contenta, ma non era bastato. Il pensiero gli strinse il cuore.
-Saneki, vieni.-
Arute si convinse ad avanzare, pur brancolando nel buio. Nonostante fosse mattina presto, la luce non penetrava in quella stanza.
Poteva intravedere a malapena i contorni del futon in cui il nonno era seduto nella posizione del Buddha, perciò seguì più che altro la sua voce.
-Tu sai perché sei qui.-
-Sì.- parlò, con enorme sforzo fece uscire la voce. –Lo so.-
-Siediti.-
-No.-
Arute si concesse alcuni minuti per far vagare lo sguardo nella stanza. Di tanto in tanto la pioggia tornava a battere contro la finestra, un po’ più forte. Sperava che avrebbe finito di piovere per il suo appuntamento con Hikaru… sempre ammesso che sarebbe venuto, cosa assolutamente non prevedibile.
-Saneki.-
-No.- Lo disse a voce così alta che se ne sorprese lui stesso. Non credeva che avrebbe mai trovato la forza di dire quella semplice parola. Con un gesto rapidissimo tese la mano verso l’interruttore della luce. Il buio si dissolse; entrambi dovettero sbattere più volte le palpebre per abituarsi. Da quanto la luce non entrava in quella casa? 
Il nonno lo guardava indecifrabilmente. -Cosa ti succede, Saneki?- disse calmo. -Non hai gli stessi occhi di una volta. Vuoi forse sfidarmi?-
Arute strinse i pugni. Ce l’avrebbe fatta? Le parole di Hikaru risuonavano nella sua testa per dargli coraggio.
Già… era così semplice: bastava essere se stessi.
-Non fuggirò più. Non voglio più fuggire.- disse. 
Chiuse gli occhi, incapace di reggere il confronto con le iridi grigie e penetranti di suo nonno.
Credeva di amarlo… Chissà da quando aveva iniziato a temerlo così. 
In realtà, le sue convinzioni avevano già cominciato a vacillare quando aveva conosciuto Hera, il ragazzo che combatteva contro la sua vita disastrata con la tristezza nello sguardo... E quando si era dichiarato a Hikaru aveva preso una definitiva decisione.
-Decido io della mia vita! Decido io chi sono! Io… voglio diventare più forte.- Non si accorse di star urlando finché non pronunciò l'ultima parola.

Voglio essere libero. Voglio essere libero. Voglio essere libero. Voglio provare a far fiorire di nuovo quel fiore abbandonato. E poi finalmente… sarò libero da lei.

Rimase in silenzio, ad occhi chiusi, tremante.
La risata di suo nonno fu profonda, roca, con una nota di divertimento che non sfuggì al nipote. Arute aprì gli occhi e lo fissò incredulo, ma il nonno non smise per questo di ridere, anzi suonò sempre più rallegrato dalla situazione. -Finalmente ti vedo tirare fuori un po’ di carattere, Saneki.- disse ghignando, il ghigno di un vecchio bastardo.
-Da quando eri piccolo dici sempre di sì, ad occhi bassi. Mi facevi pena. Avevi paura di alzarti contro il mondo, vero, Saneki? Avevi paura che tutti vedessero i lividi che lei ti lasciava…-Arute distolse lo sguardo di scatto, irritato, e un ringhio gli vibrò in gola.
-Non parlare male di lei. Ero io quello in torto.-
Il nonno incrociò le braccia ossute e alzò un folto sopracciglio.
-In torto di essere nato? Ecco, proprio questo tuo atteggiamento mi faceva pena. Eri patetico. Sei patetico. Tu non hai la forza di sfidare il tuo destino.-

-Però, io…- borbottò Arute, mordendosi il labbro inferiore.
-Tuttavia- lo interruppe il nonno. –Tuttavia, lo stai facendo lo stesso.- Arute lo guardò sorpreso, e lui sorrise di nuovo. 
-Oggi, quando sei entrato, per la prima volta mi hai guardato negli occhi, persino con sfida. Il tuo rifiuto verso di me significa guerra.- disse serio. -Ora hai qualcosa che vuoi a tutti i costi, vero? Lo leggo nei tuoi occhi. Hai di nuovo qualcosa per cui sei disposto a lottare, qualcosa che ti ha dato la forza che ti manca.-
Le sue iridi grigie lo scrutavano, cercando di leggergli dentro.
Arute rabbrividì, ma non si mosse né abbassò il proprio sguardo.
-Hai ragione.- ammise, accennando un sorriso. –E stavolta mi prenderò quel che voglio.-
Quel vecchio bastardo, affezionato a suo nipote... L’aveva sempre protetto e anche ora che erano in guerra lo trattava con rispetto.
-La mia porta è sempre aperta, Saneki.- Il nonno sorrise e le rughe sulla sua fronte si distesero. Arute si sedette sul suo futon e lo abbracciò forte, sentendosi tornare bambino.
-Sono felice che tu sia nato, Saneki.-
-Grazie.- rispose lui. Si sentiva più fragile di quel vecchietto. –Grazie.-
Il nonno lo staccò da sé, ricomponendosi. -Ora vattene. E spegni la luce, che ti è saltato in testa?-  disse torvo.
Arute sorrise e gli obbedì, uscendo dalla stanza tornata nel buio. Ma lui non era più costretto a tornare nel buio, perché ormai apparteneva al mondo di fuori.
Si era liberato delle catene, ma sapeva che il suo cuore era ancora prigioniero di lei, ancora coperto da un velo nero. Non era riuscito neanche a versare lacrime, il giorno del funerale. Non era mai riuscito a farsi perdonare da lei. Lo sconforto lo prese di nuovo; come poteva ottenere l’amore di Hikaru se non aveva prima quello di lei?
-Saneki.-
Si voltò, e per un momento gli sembrò di vedere lei. Capelli sciolti e bruni, occhi distanti... le somigliava tantissimo.
-Ayaka…- La figlia di lei. Sua sorella.
-Saneki… non vuoi conoscere le ultime parole della mamma?-

 xxx

I divani sono davvero un dono del cielo, questo pensava Hikaru mentre si rannicchiava su di esso. Schiacciato fra i cuscini, al caldo, fissava la tv in cerca di programmi decenti. In realtà, qualunque programma non gli sarebbe interessato, fosse stato sulla fisica quantistica o su Corto Maltese, perché la sua mente era distratta. Sua madre l’aveva definito “svagato” un bel po’ di volte, quella mattina.
Ed era vero, si sentiva svagato.
Nella sua testa c’era solo la telefonata di Arute, risalente alla sera prima. Non l’aveva riconosciuto subito, aveva una voce strana, e poi di sottofondo si sentiva lo scrosciare forte della pioggia. Per un momento l’immagine di Arute, in piedi sotto l’acqua, gli era balenata in testa. Non poteva fare a meno di essere preoccupato per quella testa di rapa, specie dopo che gli aveva dichiarato il suo amore tanto appassionatamente. No, no, non ci doveva pensare, sennò sarebbe arrossito di nuovo... Dannato Arute, era veramente scorretto da parte sua fargli una telefonata del genere, e poi inventarsi un appuntamento dal nulla e pretendere che lui ci andasse…!
“Non ci vado. Non mi interessa. Non ci vado.” Pensò testardo, stringendo a sé un cuscino. “Quello poi magari è capace di non venire. E poi mi prende in giro a vita. Ma io tanto non ci vado...”
Aveva preso una decisione, allora perché si sentiva tremendamente in colpa?
-Hikaru!- Sua madre urlò, facendolo sobbalzare.
-Che c’èèèèèè?-
-La posta elettronica si è bloccataaaaa!-
Sua madre e la tecnologia: roba da non mettere mai insieme. 
Si alzò e andò nella camera dove sua madre stava litigando con il computer. 
Una vasta schermata bianca ricopriva gran parte dello schermo, e in basso ogni tanto lampeggiava la scritta “Cancellare mail.”
-Tranquilla, ma’, è solo intasata.- disse. La donna gli cedette il posto davanti allo schermo e si mise le mani sui fianchi.
-Te ne occupi tu, okay? Ora devo andare a prendere la tua sorellina a danza.-
Hikaru annuì. -Sì, ma’, vai a prendere Hime, qui ci penso io.- la rassicurò. Mentre lei usciva, trafelata, Hikaru tornò a guardare lo schermo. Cliccò due volte sulla casella mail e capì subito perché si era intasata: c’erano circa cinquecento mail non aperte, in attesa di essere cancellate. Le selezionò tutte e le cancellò dalla memoria, e il computer ripartì regolarmente.
-Semplice.- disse soddisfatto. Ora che ci pensava era da un po’ che non apriva la propria mail. Cliccò di nuovo sull’icona, selezionò il cambio di utente e inserì la propria password; dopo alcuni secondi la sua casella mail si aprì, e trovò la casella piena di pubblicità di vari siti. Con un sospiro cancellò tutto, ma anche così segnava ancora dieci mail restanti.
“Wow, sono di un botto di tempo fa.” Si sorprese leggendo le date, poi i suoi occhi corsero sull’indirizzo mittente, che non conosceva.
Il cuore cominciò a battergli forte, senza che sapesse il perché.
Le dieci mail erano tutte uguali, tutte con lo stesso oggetto, tutte dallo stesso mittente…
E tutte contenevano solo una scritta, il suo nome.
Fu allora che Hikaru ricordò la sfida che Demete aveva proposto ad Arute, durante lo stupido gioco fatto durante l'estate.
-.. le ha inviate tutte a me…?-
Cazzo, meno male che non c’era nessuno in casa a parte lui… perché era arrossito di brutto e stava anche piangendo.
Spense il computer, si vestì in fretta e uscì di casa correndo.
Il “ti amo” di Arute gli rimbombava in testa, con sempre maggiore prepotenza; tanto che ormai Hikaru sapeva di non poter più mentire a se stesso: i sentimenti che provava per Arute, rinchiusi da qualche parte dentro di lui fin dal giorno in cui aveva deciso di odiarlo a vita, traboccavano. Pensava di essere l’unico a soffrire, prima, perciò non voleva interessarsi; invece, ora che si rendeva conto che Arute l’aveva sempre protetto, cominciava a farsi sempre più domande su di lui: quanto forte era il dolore di Arute? Perché stava nella pioggia tutto solo? Stava piangendo, e per cosa? Perché si era innamorato di lui a tal punto, perché le sue stupide e infantili parole l’avevano colpito tanto?
Il cancello della scuola era desolato, il cortile vuoto. La scuola era così triste di domenica quando non c’era nessuno.
Hikaru si fermò per riprendere fiato, e si guardò intorno. 
Era quasi mezzogiorno.
Arute stava appoggiato vicino al muro di fronte, con le braccia incrociate dietro la schiena, e la maschera sul volto. Hikaru rimase un attimo senza fiato, soffocato dal battito del proprio cuore, quindi deglutì e con coraggio si avvicinò. -Arute!- esclamò.
Il ragazzo si mosse lievemente. -Oh, Hikaru.- disse sorpreso. –Credevo che non saresti venuto. Invece sei addirittura puntuale!-
Hikaru arrossì, ma decise di ignorare la provocazione. Sbirciò di sottecchi il ragazzo e domandò:- È… è tutto a posto?-
Arute non rispose subito.
-Sì- disse, infine. Ma Hikaru non gli credette; forse fu l'esitazione prima della risposta, a farlo dubitare che fosse la verità. O forse era quella dannata maschera dietro cui Arute si stava nascondendo.
-Togli la maschera.- ordinò serio.
Arute esitò di nuovo. -…no.-
- Ho detto, toglila!- insistette Hikaru, tendendo le mani verso il suo volto per sfilargliela. Arute arretrò, ma si trovava letteralmente spalle al muro.
-No!- ribatté, a voce più alta, ma cupa. Hikaru s’irritò, e saltando riuscì ad afferrare la maschera bianca e gliela tolse con un unico, fluido movimento. Non appena lo fece, gocce d’acqua gli caddero sul viso. Hikaru alzò lo sguardo, e per le sorpresa lasciò cadere a terra la maschera.
Arute non cercò neanche di coprirsi il volto solcato dalle lacrime; era la prima volta che piangeva davanti a qualcuno, che qualcuno lo vedeva davvero superando la maschera.
-Avevo deciso… di non piangere mai.- disse, con un leggero sorriso. –Che stupido…-
Si abbassò e le sue braccia cercarono il minuto corpo di Hikaru, per nascondersi nel suo calore. Il ragazzino lo lasciò fare, anzi lo strinse a sé.
-Già… sei proprio stupido.-
E poi Arute gli raccontò tutto.
Raccontò a Hikaru del suo passato, della mamma e del nonno e di Ayaka, e del suo destino già scritto, e dell’incontro con il suo unico vero amico, e di come si sentiva solo e vuoto.
-Ayaka mi ha detto che lei mi voleva bene, ma fino alla fine non è riuscita a dirmelo- confessò, mentre si torturava i capelli con le dita, un po' felice e un po' imbarazzato e innocente come un bambino.
Hikaru lo ascoltava in silenzio, con la mano stretta nella sua mentre camminavano avanti e indietro lungo il viale; nonostante avvertisse il sangue accalorargli le guance ogni volta che Arute gli sorrideva dolcemente, Hikaru non distolse mai lo sguardo. Quando Arute smise di parlare, era passata ora di pranzo e soffiava un vento leggero, che con la sua voce riempiva il silenzio.
-Hikaru...- mormorò Arute, si chinò verso di lui e lo baciò. Il calore delle labbra che si posavano sulle sue, pensò Hikaru, non era nulla in confronto alla dolcezza con cui Arute pronunciava il suo nome. Non se ne era mai reso conto, ma era come una carezza leggera. 
Poi Arute si staccò e posò la fronte contro la sua, respirando piano.
-Hikaru, lo dirò un'altra volta... Io ti amo- sussurrò. -Questo è ciò che voglio... Ti resterò sempre accanto, se lo vorrai anche tu.-
Hikaru sentì qualcosa scoppiargli dentro e serrargli la gola e d'un tratto non ce la faceva più. Non aveva mai voluto niente come voleva Arute, possibile che quell'idiota ancora non lo capiva?
-Oh, stai un po’ zitto- bofonchiò, nervoso. Gli prese il viso tra le mani e gli diede un altro bacio, dal quale riemersero senza fiato. Arute lo guardava adorante, quasi con venerazione: per una volta era lui ad essere arrossito.
-Hikaru?-
-Zitto e baciami, stupido.-




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Capitolo 26
*** Capitolo 25 -Parole seccatesi in gola. ***


Buonasera c:
Era da un po' che non aggiornavo eh? xD
Bene, allora parto dicendovi che questo capitolo è cruciale -finalmente si inizia a parlare del passato di Hera!  Dovrei risolvere in un paio di capitoli .u.
Bacioni,     
Roby



Capitolo 25.

Il freddo della sera non era neanche lontanamente paragonabile al gelo che gli scorreva nelle vene, paralizzandogli il cuore.
Il vento gli portò via la sciarpa, e l’unica cosa che restò a fargli calore sulla nuca furono i suoi capelli rossicci.

Il bambino si portò le mani chiuse in pugni tremanti al viso, sfregando gli occhi fino a farli diventare rossi nel tentativo di asciugarsi le lacrime.
Ma queste continuavano a cadere e, guardando quel piccolo cumulo di terra che faceva da coperta ad un altrettanto piccolo corpo, ne caddero altre.
Non andare, pensò, Non lasciarmi solo anche tu…
Non andare… }

xxx

 
-Finirò per congelarmi! Non dovrebbe fare così freddo!-
Hera alzò un sopracciglio e guardò scettico Kirigakure.
-Credevo che i ninja dovessero sopportare stoicamente ogni cosa. - commentò.
Kirigakure ammutolì e mise il broncio, preso alla sprovvista.
Demete sospirò e si tolse la sciarpa per avvolgerla intorno al collo del suo ragazzo.
-Ecco; va bene?- disse. Kirigakure arrossì e gli prese la mano.
-Così è anche meglio…- rispose, facendo arrossire anche Demete.
Hera roteò gli occhi. Fantastico. Adesso doveva fare anche il terzo incomodo.
Il suo sguardo corse lungo il viale.
Il cortile era piuttosto sfollato, dal momento che molte classi erano andate in viaggio, e la sua attenzione fu subito catturata da una testa bionda.
Guardò la coppietta felice e poi il biondo, e proclamò quest’ultimo sua salvezza.
-Afuro!- esclamò accelerando il passo per scartare mamma e papà.
Si diresse dritto verso il biondino, aspettandosi che Afuro gli saltasse addosso come al solito; invece con suo grande disappunto il biondo era talmente immerso nei suoi pensieri da non notarlo nemmeno.
Hera lo squadrò bene: non ci voleva un genio per capire che qualcosa lo turbava.
Rimase in silenzio per un po’, in attesa di essere visto, ma si stancò presto di essere ignorato.
-Afuro.- disse impaziente, si chinò velocemente e gli diede un bacio sulla guancia.
Parve funzionare; Afuro alzò gli occhi di scatto, arrossendo vistosamente, sorpreso del bacio a tradimento.
-C-cosa?-
Hera si mise le mani sui fianchi, seccato. –Non ti permetto di ignorarmi dopo avermi dichiarato il tuo amore in modo tanto appassionato, biondino.- disse.
Afuro distolse lo sguardo, accennando un sorriso. –Sì, scusami, ma io…- replicò.
Hera notò una leggera esitazione nella fine della frase:-…devo dirti una cosa importante.-
-Dimmi.- rispose sorpreso, e curioso di sapere cosa turbasse tanto l’idol. Che fosse di nuovo successo qualcosa a suo padre?
-Io…- Afuro cominciò, ma Kirigakure e Demete lo interruppero con delle grida.
-Ommioddio! Ommioddio! Cosa vedono i miei occhi innocenti!- strillò Kirigakure.
Hera e Afuro spostarono perplessi lo sguardo da lui (occhi innocenti?, si chiese Hera) a Demete, il quale fissava con una faccia da pesce lesso qualcosa di fronte a lui.
Entrambi seguirono il suo sguardo, solo per trovarsi davanti Artemis e Aporo insolitamente attaccati l’uno all’altro; le braccia di Aporo erano avvinghiate al collo di Artemis, costringendolo a scendere alla sua altezza, le mani di Artemis sparivano sotto la maglietta dell’altro, e le loro labbra erano unite in un bacio tutt’altro che casto.
L’urlo di Kirigakure, comunque, sembrò disturbarli. Non appena Aporo aprì gli occhi e li vide, si staccò precipitosamente da Artemis, rosso in volto per l’imbarazzo, ma anche per la mancanza di fiato. Il suo partner si limitò a sbuffare, scocciato dell’interruzione.
–E così, c’è stata qualche novità interessante nel weekend?- esclamò Kirigakure con malizia.
-No!- gridò Aporo di riflesso. Artemis lo abbracciò da dietro.
-Sei il solito cattivone, Hikaru. Allora non siamo fidanzati? Credevo fosse ufficiale ormai.-
-Z-zitto, scemo.- replicò il ragazzino, e Artemis lo baciò di nuovo nonostante lui si divincolasse.
-Io e Hikaru ci siamo messi insieme.- annunciò Artemis una volta staccatosi.
-Wow! Congratulazioni!- esclamò Kirigakure.
Demete sospirò. -Se sta bene a Hikaru, sta bene anche a me.- dichiarò tranquillamente, e Aporo gli lanciò un’occhiata grata.
-Non me lo sarei aspettato… e tu, Tadashi?- commentò Afuro a bassa voce, e si girò verso Hera per cercare conferma, ma ciò che vide lo sorprese.
Il ragazzo fissava Artemis, silenzioso.
La notizia sembrava averlo sconvolto non poco, aveva cancellato la sua solita aurea di irraggiungibilità… Tadashi appariva fragile come un bambino. 
-Artemaniaco del cavolo! Non mettermi le mani addosso in pubblico!- strillò Hikaru.
–Quando non siamo in pubblico invece posso…?- disse Artemis malizioso.
Mentre Hikaru boccheggiava (ma non era mai stato di battuta pronta) Artemis rise.
-E’ suonata la campanella, entriamo, entriamo.- canticchiò allegro.
-Vado da solo! Anzi, andiamo, Yutaka!- esclamò Hikaru.
-Fanno anche più casino del solito.- commentò Demete seguendolo.
-Aspettateci!- Kirigakure prese per un braccio Afuro e cominciò a trascinarlo con sé.
-Saiji… aspetta un attimo, io…- balbettò il biondo, con lo sguardo fisso su Hera, l’unico a non essersi mosso da dov’era.
- Hikaru, ti raggiungo!- esclamò Artemis, decidendo finalmente di muoversi.
Fece un paio di passi, poi fu trattenuto e la risata gli morì in gola.
Sia lui che Afuro sgranarono gli occhi, sorpresi.
-Arute.- disse Hera con voce insolitamente insicura. Le sue braccia erano tese verso Arute, le sue mani strette intorno al suo braccio, lo sguardo rivolto verso il basso.
Artemis si girò, incerto. –Hecchan? Cos’hai?- chiese preoccupato.
Il ragazzo dai capelli rossicci esitò, e tacque.
-Hecchan?- insistette Artemis.
-Arute… anche se adesso stai con Hikaru…- Hera si morse il labbro e la sua voce divenne un sussurro. -…resterai il mio migliore amico…?-
Artemis sussultò, guardando Hera con un’espressione incredula e commossa.
-Sì.- sussurrò. –Certo.-
Hera alzò lo sguardo, guardandolo finalmente negli occhi, e sorrise.
Afuro arrossì, anche se quel sorriso non era rivolto a lui era così pieno di dolcezza e tristezza da fargli amare Tadashi ancora di più; era così bello…
Chissà se avrebbe rivolto un sorriso così anche lui, dopo quello che aveva da dirgli?
Artemis ricambiò il sorriso, mentre lentamente le mani di Hera lo lasciavano andare. 

xxx

Certo non si poteva dire che non contribuissero alla confusione che animava il locale, anche perché da soli Hikaru e Kirigakure urlavano più delle fan di Artemis in gruppo.
Hera si premette le dita sulle tempie.
-Mi state facendo venire il mal di testa.- disse Demete al posto suo.
-Dev’essere perché il rumore rimbomba, nel tuo stupido elmo.- fece notare Kirigakure.
Demete gli fece la linguaccia e gli rubò le patatine fritte dal piatto, sotto il suo sguardo torvo.
Hera sperava vivamente che non li cacciassero dal pub.
Da quando quei quattro si erano “accoppiati” sembravano ancora più esuberanti.
L’unico che non stava urlando era Afuro. Hera gli rivolse uno sguardo di sottecchi: il biondino era insolitamente tranquillo da quella mattina, non faceva che mugugnare fra sé e sé e sospirare.
-Ehi.- mormorò avvicinandosi di un paio di spanne. –Tu non dovevi dirmi qualcosa stamattina…?-
Lasciò cadere la domanda quando vide che Afuro era impallidito: dunque aveva centrato il punto.
-Hai ragione…- disse il ragazzino. Dopo alcuni attimi di esitazione si alzò in piedi, sbattendo le mani sul tavolo e facendo saltare di conseguenza la bibita di Hera.
-Devo dirvi una cosa importante…!- annunciò.
Tutti i volti si girarono verso di lui sorpresi meno Kirigakure, notò Hera. Che il ninja già sapesse cosa stava per dire? Alzò un sopracciglio e incrociò le braccia, in attesa.
-Hitomiko…- disse Afuro, e si fermò. Il suo sguardo vagò su Hera per un istante, poi strizzò gli occhi e disse tutto d’un fiato:- Hitomiko mi ha organizzato un tour che partirà dal prossimo mese e io forse vorrei partire! Potrebbe essere importante per il mio futuro di idol!-
Un silenzio di sorpresa accolse queste parole.
-Wow.- Artemis fu il primo a parlare. –Beh, congratulazioni.-
-Sì, infatti. Hai lavorato sodo vero? Te lo meriti!- esclamò Aporo raggiante.
Kirigakure annuì e abbracciò il biondino. –Sai che io appoggerò ogni tua scelta.-
-M-ma… è meraviglioso, però… questo vuol dire che non ci vedremo per un sacco di tempo!- boccheggiò Demete, già con le lacrime agli occhi.
Afuro accennò un sorriso di assenso e Saiji scosse il capo.
-Ti avevo detto che piange come una fontana. Tiè, Dem.- disse il ninja porgendogli un fazzoletto, con cui l’altro si soffiò rumorosamente il naso.
-Aphrodi! Pensami spesso mi raccomando, mi mancherai tanto!- gridò il gladiatore in lacrime.
-Come sarebbe “pensami spesso”?! Mi stai forse tradendo, Yutaka?!- si lamentò Kirigakure.
Afuro accennò un risata, ma si vedeva che era nervoso.
La cosa che più lo turbava era la reazione di Tadashi… ma essa non ci fu.
Il biondino cercò in lui anche solo un minimo sussulto, ma Hera rimase impassibile, con lo sguardo distratto dal paesaggio fuori dalla finestra. E allora, come molte altre volte, il suo sguardo distante lo ferì più di ogni altra cosa.
“Io sono qui, Tadashi…” pensò con gli occhi velati di lacrime. “Perché tu guardi sempre oltre? Guardami, dannazione… perché non guardi me per una volta?!”
Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, invece gli uscirono parole molto più amare.
-Perché non mi dici nulla?- disse arrabbiato. Hera si girò, senza mutare espressione.
-Non ho il diritto di dirti nulla.- rispose tranquillamente. –E’ una tua scelta.-
Negli attimi di silenzio che seguirono la tensione era palpabile. Demete e Kirigakure smisero di litigare per osservarli, e anche Aporo e Artemis li fissavano sorpresi.
Afuro iniziò a tremare, a pugni chiusi, e gli uscì un sorriso cattivo.
-E’ sempre stato così, vero? A te non importa niente di me!- lo accusò, sperando che Hera negasse, o almeno assentisse. Ma il ragazzo non disse nulla e questo lo fece arrabbiare di più.
-Non merito neanche una risposta? Ma chi ti credi di essere?- gridò Afuro furioso.
Le lacrime ormai gli scorrevano lungo le guance, infrenabili.
-Sei uno stupido, Tadashi… solo uno stupido!- concluse, quindi si voltò e scappò fuori dal locale.
-Afuro! Aspetta!- esclamarono Aporo e Demete mentre si alzavano e lo inseguivano.
Kirigakure li imitò, ma prima di andarsene fulminò Hera con lo sguardo in un chiaro segno di rimprovero. –Ti odio quando sei così debole.- commentò, e uscì anche lui.
Solo Artemis rimase a fare compagnia ad Hera… solo Artemis, il suo compagno di sempre.
-Hecchan…- disse, incerto. –Sicuro di volerlo lasciar andare?-
Hera scosse il capo e con una mano si coprì il volto, fra le sue dita s’intravedeva il fantasma di una risata. -“Non andare”… parole significative vero? Non le ho mai dette nemmeno ai miei genitori…-
Artemis conosceva troppo bene Hera per non sapere che il sorriso impresso sulle sue labbra smorte era un sorriso costruito, comprimendo lacrima dopo lacrima.
-Hecchan…- mormorò, ma si fermò, incapace di dire altro.
Hera continuava a ridere, e a ridere di se stesso.
-Quelle parole… le ho dette solo ad una persona… - mormorò. -Le ho dette ad una bambina, tanto tempo fa… e non voglio dirle… mai più.-

xxx 

{ Non andare… queste parole avrebbe voluto dirgliele prima.
Ma ormai era tardi, e allora le avrebbe rinchiuse dentro se stesso.
Non doveva mai più dirle, si ripromise, erano solo per lei.
Non andare significava addio. }




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Capitolo 27
*** Capitolo 26 -Il rumore della porta che sbatte. ***


Buongiorno.
Oggi mi è venuta voglia di aggiornare questa long \(*u*)/
Anche questo capitolo è incentrato su Hera -anche se io amo Arute, ahaha-
Buona lettura :3
Roby



Capitolo 26.
Si sentiva così debole che allacciarsi le scarpe si stava rivelando un'impresa.
Le dita si muovevano frenetiche, ansiose.
Ci riuscì e si alzò in piedi, andando verso la porta.
-Sai, potresti almeno salutare...- disse Arute alle sue spalle.
Hera mise la mano sulla maniglia della porta.
-Credevo che stessi dormendo.- rispose senza voltarsi.
-Ho un appuntamento con Hikaru.- spiegò Arute con una scrollata di spalle.
Osservava il suo amico di spalle, gli sembrava così curvo e cupo.
Sospirò e si portò una mano alla nuca, scuotendo il capo.
-Sei veramente incredibile. Prima mi inviti a casa tua a dormire, e poi cerchi di abbandonarmi qui alle sei di mattina. Cos'hai in mente?- chiese.
Hera chiuse gli occhi, la testa gli doleva per colpa delle parole di Afuro che continuavano ad ingombrargli la mente. Non lasciò la maniglia ma si girò.
-Devo fare una cosa molto importante... avrei dovuto farla molto tempo fa, ma non ne avevo il coraggio.-
-Non riuscirai ad andare avanti se non la farai, vero?- La voce di Arute si abbassò.
Hera annuì. Lo sguardo di Arute si addolcì.
-Okay. Per ora di pranzo ti aspetto qui allora.- disse.
-...no. Aspettami alla scuola... Sì, alla scuola elementare. Ci vediamo lì.-
Arute alzò lo sguardo sorpreso, ma Hera se n'era già andato.
Allora tornò nell'altra stanza, si vestì e accese la tv per fare qualcosa prima dell'appuntamento, che era verso le dieci. Cosa avrebbe fatto per quattro ore? Cielo.

xxx

Avrebbe dovuto farlo molto prima...
Già. Hera si odiava per la sua vigliaccheria, ma era più forte di lui.
Il domani gli aveva sempre fatto paura...
Il mondo dietro la porta di casa sua, la porta da cui suo padre se n'era andato, c'era dolore oltre quella porta, per questo da piccolo la guardava con timore e curiosità.
Ora quella porta apparteneva solo ad un vecchio appartamento che era stato venduto ad altri anni prima. Non l'avrebbe mai più vista, se non nei suoi ricordi.
Camminava a passo svelto sulla banchina della stazione.
Estrasse dalla tasca il foglietto stropicciato e lo fissò per lunghi minuti.
Riconosceva la propria inconfondibile calligrafia di qualche anno prima, che stupido, l'aveva scritto allora e nascosto finché non aveva capito che era il momento di aprirlo.
Lo rificcò nella tasca dei jeans e prese il primo treno.
Trovò subito posto, era quasi vuoto, e l'unico rumore era il cigolio delle rotaie. Al finestrino passavano veloci case, strade, fili del telefono. Oggetti insignificanti.
Mancavano sei fermate.
Socchiuse gli occhi, stringendo i pugni nelle tasche.
Non voleva pensare... voleva fare il vuoto nella mente.
Mancavano quattro fermate...
Kirigakure aveva detto di odiarlo perché era un debole, e non aveva poi tutti i torti.
Lui aveva preferito un silenzio vigliacco, invece di dire una qualunque cosa. Il ricordo di lei gli era tornato tanto prepotentemente in testa che non aveva potuto dire nulla.
Mancavano due fermate.
Si riscosse, tirandosi un po' su sul sedile. Il petto gli faceva male, ma era sicuro che anche Afuro stesse male. Sapeva bene cosa prova qualcuno che ferisce senza volerlo, o semplicemente uno che dice ciò che non pensa davvero.
“L'ho fatto piangere di nuovo. Sono un vero bastardo.” pensò, sospirando.
Si alzò, la sua fermata era la prossima.
Quando scese faceva freddo, più freddo che da dove veniva lui.
Tirò di nuovo fuori il foglietto e chiese informazioni ad un vigile per strada su come raggiungere la via che si era segnato: andava a trovare una persona.

xxx

Nonostante il parco fosse affollato, e soprattutto nonostante la bassa altezza del suo partner, Arute riuscì ad intravedere Hikaru e lo chiamò per farsi vedere.
Il ragazzino si voltò e Arute corse verso di lui, ma si fermò di botto a mezza strada.
Hikaru non era da solo: con lui c'erano anche Demete, Kirigakure, e Afuro.
Arute rimase paralizzato dalla sorpresa.
-Il vostro appuntamento è rimandato.- dichiarò Kirigakure.
-Scusa?- Arute alzò un sopracciglio. -Chi l'avrebbe deciso?-
-Io!- esclamò il ninja con orgoglio, salvo poi ripararsi dietro Demete perché lo sguardo di Arute mostrava chiare intenzioni omicide (mai mettersi fra lui e Hikaru).
-Crediamo che ci siano questioni più importanti da risolvere...- disse Demete alzando le mani in segno di resa. Arute sbatté un paio di volte le palpebre, poi distolse lo sguardo e sospirò.
-Cos'è, vi improvvisate anche terapisti di coppia ora?- commentò sarcastico.
Aporo lo guardò torvo. -Afuro e Hera sono nostri amici. Vogliamo che facciano pace, non è ovvio? Potresti essere un po' più collaborativo!- esclamò, aggrappandosi alla sua felpa.
Arute non rispose, Aporo era l’unico che non avrebbe mai mandato a quel paese.
Afuro, che lo stava fissando da quando era arrivato, si alzò dal muretto su cui era seduto e fece un passo avanti, infilandosi fra Demete e Kirigakure.
-Artemis... tu sei amico di Tadashi da molti anni vero?- disse con voce ferma.
Arute continuò a fissare a terra ostinatamente.
-Tu sai sempre cosa gli passa per la testa! Ti prego, parlami di lui! Sei l'unico a conoscerlo così bene...!- Afuro scattò e nella sua voce si accentuò una nota disperata.
Più il silenzio incombeva fra di loro, più sentiva Hera allontanarsi.
-Ti prego, Arute... ti prego...- mormorò. -Non voglio più... essere un estraneo per lui.-
Avrebbe voluto che fosse Hera a dirgli cosa non andava, ma sapeva che lui non l'avrebbe fatto. Non per orgoglio, né per testardaggine: semplicemente perché non era da lui.
Se aveva capito qualcosa di Hera, era che avrebbe preferito mordersi la lingua pur di non dover esprimere i propri sentimenti.
-Ti capisco perfettamente. Sai, lui non mi dice mai quello che pensa. Non so neanche dove sia adesso.- La voce di Arute lo sorprese, era molto seria. Aporo cercò i suoi occhi, vedeva che era combattuto.
-Arute.- sussurrò, stringendogli le mani fra le sue.
Il suo ragazzo gli sorrise e lo prese in giro debolmente:- Cos'è quella faccia? Non sto mica morendo.-
Aporo non smise di fissarlo negli occhi, con lo stesso sguardo forte che lo aveva salvato.
Ora era Tadashi, ad dover essere salvato.
-Ho deciso.- disse. Per la prima volta, guardò Afuro dritto in faccia.
-Vi racconterò tutto... vi dirò tutto quello che so su Tadashi.-

xxx

Aveva seguito alla lettera le istruzioni ricevute, aveva trovato la via e la casa.
Ora, restava solo la parte più difficile: suonare il campanello.
Hera lanciò un altro guardo, l'ennesimo, al cognome inciso sulla porta: era proprio il suo.
“Forza.” si disse. Sembrava la cosa più semplice del mondo, alzare il dito e premere quello stupido campanello, ma la paura gli paralizzava il corpo.
Improvvisamente provò il forte impulso di fuggire.
Si morse forte il labbro, facendolo sanguinare. Doveva resistere...
La luce nella finestra di fronte si accese, facendolo sobbalzare.
Nella luce si stagliarono delle figure.
Una bambina dai lunghi capelli ricci, che correva imitando un aeroplano per la stanza. Rideva, aveva le guance rosse.
Dietro di lei c'era una donna sulla quarantina, che le somigliava in tutto e per tutto.
E poi c'era lui, un uomo sulla cinquantina il cui volto si aprì in un sorriso non appena le sue braccia forti trovarono la bambina e la sollevarono da terra, facendola girare in aria.
Hera sentì il respiro mozzarglisi in gola, mentre ogni paura, ogni sensazione, scivolava via lasciando posto ad un'insolita mollezza.
Sembravano così immensamente felici.
Forse, molto tempo prima, quell'uomo si era sentito felice anche stringendo lui fra le braccia, o forse no. Non se lo ricordava più.
-Addio, papà.- Il suo mormorio si perse nel vento che soffiava nella strada.
Si voltò e tornò sui suoi passi, senza suonare il campanello.
Il ronzio nelle orecchie sembrava assomigliare al rumore di una porta che sbatte...




---

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 -Il sorriso più bello del mondo. ***


Salve °^° 
Questo capitolo comprende l'ultima parte della storia di Tadashi: finalmente saprete cosa ha passato questo povero ragazzo!
Ci vediamo più giù, ho delle piccole note da fare a fine capitolo (so che non lo faccio mai, ma stavolta è necessario, lol). 
Baci,        

   Roby
Capitolo 27.

-I genitori di Tadashi hanno divorziato quando lui era in terza elementare. Non so se abbia più visto suo padre... lui non ne parlava mai. Viveva con sua madre, che lavorava molto per mantenerli... Si è risposata quando Tadashi stava in seconda media, e hanno lasciato la vecchia casa. La signora Hera abita nel distretto di Osaka. Tadashi non ha mai voluto trasferirsi in un'altra città... per questo abita da solo qui.-
Arute parlava senza fermarsi, perché temeva che se si fosse fermato anche un solo istante non avrebbe più trovato il coraggio di parlare.

Senza dover alzare lo sguardo, sapeva che tutti lo ascoltavano attentamente.
-Ricordo quando si è trasferito...- mormorò Demete pensieroso. -Mi era sembrato strano.-
Aporo annuì, anche lui se lo ricordava bene: il fatto che un ragazzino delle medie andasse ad abitare da solo, anche se in una piccola città, non era cosa da poco.
Arute continuava a stringere le sue mani, con lo sguardo basso.
-Per Tadashi è difficile spezzare i legami col passato, perché il suo passato l'ha reso ciò che è adesso. Voglio dire, è sempre stato un bambino introverso, ma da allora si è chiuso molto di più in se stesso… In realtà, pensavo che con voi si fosse aperto un po', credevo davvero che avesse smesso di pensare cose tristi... ma 
lo sguardo di Tadashi è sempre triste.-
Arute scosse il capo. Un rumore gli fece alzare di scatto il volto: Afuro era scoppiato a piangere.

-lo so che com’è tenersi tutto dentro, e se Tadashi non ha detto nulla è di certo perché non voleva ferire nessuno- esclamò. Con le dita si strofinò gli occhi, imbarazzato. -Ma se... se per tutto questo tempo è stato in silenzio per questo motivo, ormai... il cuore di Tadashi deve essere in pezzi!-
Nessuno osò replicare. Il silenzio era attonito e sofferente.
“Cosa pensavi quando mi hai portato da mio padre? Cosa pensavi quando ti ho gridato addosso? Cosa pensavi, tu che pensi sempre agli altri e mai a te stesso?” pensava Afuro.
Senza volerlo, senza saperlo, aveva allargato la ferita di Tadashi... e questa consapevolezza faceva più male di ogni altra cosa.
“A chi pensi, quando il tuo sguardo si perde lontano, Tadashi...?”
All'improvviso Arute s'inchinò e gridò:- Ti prego, Afuro! Vai a cercare Hecchan!-
-Io... cosa?- chiese Afuro, incredulo, reprimendo un singhiozzo.
-Mi ha dato appuntamento alla nostra scuola elementare... Ma io non posso andarci, devi farlo tu- prosegui Arute, serio. -Devi essere tu!-
Aporo lo fissò, basito, era raro anche per lui vedere Arute così disperato: stava addirittura calpestando il proprio orgoglio, supplicando Afuro a q
uel modo.
-Ma io... non posso vedere Tadashi adesso, non dopo ciò che gli ho...- balbettò Afuro arrossendo.
-Tu sei l'unico che può salvarlo!- Arute lo interruppe alzando di nuovo la voce.
Afuro sgranò gli occhi.

-Ma di che parli?!- esclamò Kirigakure smarrito.
L'altro si fermò, riprese fiato e si rivolse ad Afuro in tono più mite. -Ascolta, è vero che non mi stai molto simpatico. In realtà, ti invidio... Conosco Hecchan da tanto tempo, ma non sono riuscito comunque a fare niente per lui...- ammise, nervoso. -Però tu... tu puoi salvarlo. Se sarai tu, sono certo che andrà bene!-

-Come fai a dirlo?- chiese Afuro, ancora dubbioso.
-Lo so- Arute sorrise –perché conosco Hecchan.-
Sentendo quelle parole, il biondino non poté fare a meno di mettersi di nuovo a piangere. Annuì, poi Arute gli spiegò come raggiungere la scuola.
-Ti accompagniamo noi.- si offrì Demete, e lui e Kirigakure seguirono Afuro lungo la strada. Hikaru aspettò che se ne fossero andati prima di rivolgersi al ragazzo di fianco a lui.
-Ma dai... Stai di nuovo piangendo?- disse e sospirò, mettendosi le mani sui fianchi. Arute rise, consapevole di non poter nascondere a Hikaru le proprie lacrime.
-L'ho sempre saputo... io e lui siamo troppo simili. Non posso fare più di così per lui- mormorò. -Però io... volevo stargli vicino lo stesso.-
Hikaru annuì e, alzandosi in punta di piedi, lo abbracciò.
-Sei proprio scemo... Se Hera è rimasto tuo amico finora, è perché anche lui la pensa così, no?Tu pensi troppo! - esclamò.
Altre lacrime scivolarono lungo il viso di Arute, poi la sua sorpresa lasciò spazio alla tenerezza.
-Sì... Grazie, Hikaru- sussurrò, lo strinse forte a sé.
xxx 
Il cielo si era leggermente annuvolato... Ah, non voleva proprio che si mettesse a piovere: di certo, seduto sulla panchina davanti alla scuola all’angolo della strada, si sarebbe inzuppato. Però non aveva alcuna voglia di spostarsi da lì.
Ma quanto ci metteva Artemis?
Sospirò. Era molto scorretto da parte sua volerlo lì con sé, perché sapeva benissimo che se lui gliele avesse chiesto Arute sarebbe corso da lui abbandonando persino Hikaru… ma quello stupido egoismo non avrebbe fatto felice né lui né Arute.
Il rumore della porta continuava a fare interferenza nei suoi pensieri…
Fu allora, quando stava per sprofondare di nuovo nel baratro d’infelicità, che due lunghe gambe apparvero nella sua visuale e si fermarono proprio davanti a lui.

-Ti ho trovato…- disse una voce senza fiato.
Hera alzò lo sguardo instupidito sul viso di Afuro.
Il biondino si piegò in due, cercando di riprendere fiato, mentre i capelli in disordine gli scivolavano sul viso imporporato e sulle spalle.
-Che ci fai qui?- disse Hera sorpreso. Per una volta, qualcuno era riuscito davvero a stupirlo…
“Cos’è… quest’improvvisa sensazione? Questa luce… potrebbe essere…” pensò, titubante.
Afuro si raddrizzò un po’ a fatica, e premendosi una mano sul petto rispose.

-Artemis mi ha detto di venire, e Saiji e Yuutaka mi hanno accompagnato. Ora se ne sono andati…-
-Artemis ti ha detto di venire?- ripeté Hera ancora più sorpreso.
Afuro annuì, poi si avvicinò a lui e si sedette al suo fianco. Rimasero lì seduti in silenzio a fissare il vuoto, come fosse la cosa più normale del mondo.
-Tadashi… perché non hai voluto dirmi di non andare?-
La domanda lo colse alla sprovvista.
Il suo cuore, ne fu certo, sobbalzò e perse la regolarità dei battiti.
Aveva già sentito quelle parole, allora non le aveva capite, ma forse ora aveva una risposta.
-Quando ero piccolo, nel mio quartiere viveva una bambina…- cominciò a dire, con immenso sforzo. –Non ho mai saputo come si chiamava, e non ricordo 
neanche bene il suo volto… Però ricordo che lei piangeva spesso, e aveva sempre dei lividi.- 
Afuro non disse nulla. La tensione nell’aria era palpabile.
Hera non aveva mai, mai fatto parola con nessuno di quella vicenda…
-Era un segreto… Io avrei voluto parlarle, ma al tempo stesso avevo paura. Lei mi appariva tanto coraggiosa, da farmi sentire in colpa…- parlava con voce infantile, quasi fosse tornato a quel tempo. –Non le ho mai parlato. Ma la guardavo, la guardavo tanto, mentre li stava seduta qui, da sola, non aveva amici e io avevo solo Arute…-
Il discorso s’interruppe, e non continuò.
Afuro alzò gli occhi verso di lui e poggiò una mano sulle sue.

Si sentiva lacerato dalla curiosità, ma non voleva intromettersi, e poi aveva paura, perché Hera sembrava tranquillo ma dietro quel ricordo felice c’era un’ombra di dolore e rimpianto.
Ed era indeciso. Se avesse affrontato quel dolore, non ci sarebbe stata via di ritorno.
Ma, ecco, lui non voleva tornare indietro.

Voleva solo stare con Hera, per sempre, e vederlo sorridere sempre di più, e perciò il dolore andava affrontato, affrontato insieme.
Strinse le mani fra le sue e sussurrò:- E poi?-
Hera lo fissò, esasperato, come per supplicarlo di non farlo andare avanti.
Afuro non disse nulla, ma continuò a fissarlo negli occhi, senza battere ciglio.
Infine Hera cedette, e il ragazzo indifferente a tutto proruppe in una confessione di roco dolore.
-“Non andare” significa addio. E’ andata via, in una notte! Non ha mai visto la luce del mattino!- disse a voce alta, disperata. Poi abbassò il tono e strinse i pugni, 
tremando.
-I suoi genitori l’avevano uccisa, uccisa dopo averle dato la vita! La picchiavano. Sono finiti in prigione dopo cinque anni d’inchiesta. E lei invece… stava su quella collina, tutta sola, di nuovo sola! Quando mia madre mi portò al funerale, fuggii da lei e piansi… Piansi per ore, piansi come non ho mai più fatto per una bambina di cui nemmeno sapevo il nome…!-
Sembrò voler aggiungere altro, ma la voce gli morì in gola; un pianto troppo a lungo represso soffocava le parole. Afuro lo abbracciò forte, le sue braccia esili e tremanti lo strinsero forte al suo petto, dandogli calore.
-Tadashi… mi dispiace! Mi dispiace tanto!- esclamò, singhiozzando.

Hera sgranò gli occhi, sorpreso; poi però avvolse le braccia intorno alla sua vita e nascose il viso nel suo petto: non avrebbe versato lacrime, perché Afuro stava piangendo al suo posto, e tanto.
Il suo cuore riprese a battere regolarmente.
Si sentiva più leggero, non c’era più quel peso opprimente sul petto…
Quel vuoto si stava lentamente riempendo di nuovi sentimenti, così luminosi da traboccare.
Niente gli annebbiava più la mente, niente gli offuscava la vista.
Ora il suo dolore era libero, e il ricordo di lei finalmente gli avrebbe portato solo tenerezza.

-Afuro… vorresti rimanere al mio fianco per sempre?- chiese piano.
Afuro si paralizzò.
Hera lo staccò da sé con delicatezza per poterlo guardare negli occhi; gli sfuggì un sorriso nel vedere quanto era diventato rosso.
Con il pollice gli accarezzò la guancia, asciugando le lacrime.
-Ti voglio.- disse, serio.
-Davvero?- pigolò Afuro, a disagio.

Sì. Lo voleva.
L’aveva sempre saputo, ma il momento in cui aveva smesso di temere quel desiderio era stato quando lui gli era apparso davanti, proprio dieci minuti prima, bellissimo anche con i capelli tutti in disordine.
E poi, lo amava.
Non credeva che fosse possibile per la sua anima indurita ammettere quel sentimento, invece...
-Ti amo. Diventa mio per sempre.- insistette. –Stavolta non ho alcuna intenzione di lasciarmi scivolare le cose addosso… Anche quando sarai lontano io ti amerò,
 anche quando vorrai qualcun altro io ti amerò…-
-Come se fosse mai possibile.- lo zittì Afuro, e lo baciò.
Hera assaporò ogni centimetro delle sue labbra, era già il loro terzo bacio ma a lui sembrò il primo, perché era nuovo e fresco e rigenerante. -Ti amo…- ripeté piano, lo baciò ancora e ancora e ancora.
Ora che conosceva quel sentimento, voleva urlarlo il più possibile, per non dimenticarlo più.
Afuro era bellissimo.

Aveva tantissimo coraggio, come lei. Magari avrebbe potuto prestargliene un po’.
E magari un giorno sarebbe andato a trovare sua madre e il suo fratellastro appena nato, e il padre che non era suo padre e anche il suo padre vero con la sua nuova famiglia, e magari sarebbe tornato sulla collina e stavolta invece di piangere le avrebbe sorriso.
 
Il bambino con i capelli rossicci e gli occhi violetti si avvicinò alla bambina nel vestito di raso logoro che dondolava le gambe sulla panchina.
Parlò piano, con voce tenera e infantile.
-Non stare da sola. Posso stare un po’ qui con te? Non piangere. Come ti chiami?-
E lei lo guardò sorpresa, ma poi sorrise.
Era il sorriso più bello del mondo.
 
Eccomi qui!
Ricordo che scriverlo non è stato facile, perché dovevo concentrarmi moltissimo sui sentimenti di Tadashi, ma non volevo trascurare quelli di Arute e Afuro. Finora questi due personaggi non sono andati troppo d'accordo, anzi sembrano i più distanti fra loro; in realtà sono più simili di quanto si creda. Entrambi provano un profondissimo affetto per Tadashi, anche se alla fine quello di Arute non si trasforma in amore. Arute ha sempre saputo che Tadashi avrebbe scelto Afuro, ma sembra in grado di accettarlo veramente solo in questo capitolo. Da qui in poi lui e Afuro si avvicineranno un po' di più, credo xD 
Ah, vorrei anche specificare che l'ultima parte, quella scritta in corsivo, è tutta nella testa di Tadashi -cioè, non è accaduto realmente, ma è ciò che lui avrebbe voluto che accadesse. Forse, se avesse avuto un po' più di coraggio, sarebbe successo davvero. Non ho voluto dare un nome né un volto alla bambina, ma per Tadashi è stata comunque una persona importante.
Mancano solo due capitoli alla fine di questa storia, spero che la seguirete fino alla fine! c:

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 -Il rosso e il viola. ***


Buonasera c:
Questo capitolo, che è piuttosto breve, è l'ultimo della fic; a questo seguiranno solo l'epilogo e uno o due capitoli extra.
Non è un caso che il capitolo abbia lo stesso nome, tradotto, della fic: infatti qui verrà spiegato perché ho scelto il titolo "Aka to Murasaki".
Il rosso e il viola (basandosi sul colore degli occhi) rappresentano Afuro e Hera, i due protagonisti. 
Baci e buona lettura!     
   Roby
 
Capitolo 28.

Quando a scuola girò la notizia del tour di Afuro, vi furono reazioni contrastanti: alcune ragazze giurarono di incatenarsi al suo banco fino al suo ritorno, in lacrime; ma la maggior parte iniziò a farsi le valigie e formare comitive-camper per poterlo seguire anche in capo al mondo (stalking?).
Spesso Demete, Kirigakure e Aporo si trovarono impegnati a proteggere Afuro nei corridoi per evitare che ragazze a caso gli si lanciassero addosso o roba simile.
-Quella peggiore finora è stata la tipa di terza che ha giurato di volerlo sposare. Sembrava terribilmente seria! E se non ci fossi stato io, gli sarebbe saltata addosso là, in mezzo al corridoio- esclamò Demete.
-Beh, una ieri ha cercato di picchiarmi… Se non fosse che sono un abilissimo ninja, non l’avrei scampata- replicò Kirigakure con un sospiro.
Afuro ridacchiò nervosamente. –Mi dispiace causarvi tanti problemi…-
-Ma figurati!- rispose Aporo allegramente. –E poi a me nessuno ha dato fastidio!-
-Chissà perché, eh?- borbottò Demete, cupo, e lanciò uno sguardo di sbieco ad Artemis, che seguiva Hikaru ovunque e comunque. Demete era pronto a scommettere che se qualcuno avesse anche solo toccato il ragazzino non ne sarebbe uscito vivo: possessività e sadismo erano ormai caratteristiche note di Arute.
-La vera domanda è: perché noi siamo qui a fare questo lavoro mentre il caro fidanzato dell’idol se ne sta tranquillo a farsi i fatti suoi?- commentò Arute, mentre si girava verso il ragazzo appoggiato contro la porta dell'aula. -Vuoi dircelo tu, Hecchan?- aggiunse, sorridendo sornione.
-Non ho intenzione di buttarmi nella mischia. Voi fate già un ottimo lavoro, mi pare- dichiarò con semplicità Hera.
Arute non poté trattenere un risolino sommesso. Gli altri guardarono Hera senza parole.
-Ma… ma! Tadashi, la mamma non ti ha insegnato nulla?! Dovresti essere più protettivo nei confronti del tuo ragazzo!- esclamò Kirigakure agitando le braccia.
-Già, se non stai attento questo bel bocconcino di biondo ti verrà portato via- soggiunse Arute scherzoso, si divertiva a punzecchiarlo.
Hera si mise le mani in tasca e si raddrizzò; Afuro lo fissò accigliato mentre il ragazzo si avvicinava a lui.
-Bah, io sto tranquillo per intanto… perché tanto questo biondino mi ama da impazzire, giusto?- commentò Hera. Con nonchalance cinse le spalle di Afuro con un braccio, affondando la destra nei suoi capelli, e lo baciò sulle labbra.
-Cos… Tadashi?!- esclamò Afuro avvampando, ma Hera lo anticipò:- Ragazzi, fate il vostro dovere e tenete lontane le fan, okay? Io e il diletto Aphrodi-sama ci facciamo un giro!- E, prima che gli altri potessero replicare, lo trascinò via con sé.
Afuro era rimasto senza parole, come spesso -troppo spesso- gli succedeva con Hera, quel ragazzo che sapeva sempre come spiazzarlo.
A volte, non lo faceva nemmeno apposta, e questo era il dettaglio più irritante.
Di tutte le persone al mondo, si era innamorato di un tipo impossibile e complicato, e fin dal primo giorno si era trovato a chiedersi perché avesse scelto una persona tanto “sbagliata”.
Se lo chiedeva ancora, ma 
per trovare una risposta bastava rendersi conto dell’immensa felicità che provava quando lui gli prendeva la mano: un dolce tepore che lo colmava, riempiva il suo cuore fino a traboccare.
xxx

Il vento soffiava appena, e poteva sentire le onde del mare.
Tadashi si fermò e gli indicò la spiaggia.
-Scendiamo?- propose.
Afuro si accigliò. Hera sorrise e gli lasciò la mano per scavalcare il muretto, e poi scendere dal lato opposto. Poi tese le braccia verso di lui.
-Dai, lo sai che ti prendo. Ti ho preso persino la prima volta, quando in realtà avrei voluto vederti spiaccicato sulla sabbia…-
-Uh, sì, confortante.-
Tadashi rise. Afuro arrossì, imbronciato.
-D’accordo.- concesse, scendendo. –Ti concedo l’onore di prendermi in braccio, cretino.-
-Oooh, ma grazie. Non so come ho potuto vivere prima di questa gentile concessione.-
Afuro gli fece la linguaccia, ma nel contempo appoggiò le mani sulle sue spalle, e le braccia di Hera gli avvolsero la vita e lo portarono giù dolcemente.
Afuro si guardò intorno, riconoscendo la stessa spiaggia del loro appuntamento…
Beh, forse non proprio la stessa, ma sicuramente somigliante.
-Tadashi, perché mi hai portato qui…?- Si girò a chiedere, ma con sua sorpresa si trovò zittito da altre labbra sopra le sue.
Il bacio durò poco. Hera si staccò un pochino per assicurarsi che andasse tutto bene e poi lo baciò di nuovo, questa volta a lungo.
Afuro lo attirò a sé, cercando di non dare a vedere quanto fosse stupidamente felice.
Senza che se ne rendesse conto, una lacrima gli scivolò lungo la guancia.
-Tadashi…!- disse, soffocato. –Se tu mi dirai di non andare, io resterò per sempre qui con te!-
Hera lo guardò sorpreso, poi il suo sguardo si addolcì. -Quanto sei scemo.- sussurrò, asciugandogli le lacrime con il dorso delle dita. –Non posso dirti una cosa del genere.
Afuro lo strinse a sé, e nessuno dei due disse più nulla.
Solo il vento soffiava ancora, un po’ più freddo.
 xxx
 
-Mi mancherai da morireee!- I piagnistei di Demete facevano voltare chiunque fosse nell’aeroporto. Non aveva fatto altro da quando erano arrivati.
-Ora basta, papà, così lo deprimi! Ti imbarco l’elmo, se non la finisci!- minacciò Kirigakure.
Demete scosse il capo e rimase abbracciato ad Afuro, che sorrise nervosamente e gli diede delle pacche amichevoli sulla schiena.
-Su, Dem, resterò fuori solo per un annetto e mezzo, e poi così farai ingelosire Saiji…- disse.
Questo parve convincere Demete, che annuì asciugandosi parzialmente le lacrime. -Ti aspetterò con impazienza!- esclamò, solo per essere zittito da Kirigakure, il quale corresse la frase pronunciandola a voce più alta:- Noi  ti aspetteremo con impazienza!-
-Yutaka, sei ridicolo.- commentò Hikaru con un sospiro. Hera fu immediatamente d’accordo con lui.
Si guardò intorno e catturò con lo sguardo un lampo di giallo canarino.
-Quanto tempo hai ancora prima dell’imbarco?- chiese, nascondendo con disinvoltura un certo senso di disagio.
-Uhm, una decina di minuti, direi… Hitomiko e gli altri sono laggiù, vedi?-
Hera si voltò e stavolta focalizzò per bene l'orribile giacca gialla; Hitomiko gli sorrise, stava prendendo un caffè con Saginuma, Athena e un ragazzo dalla pelle scura e i capelli viola che lui non conosceva -ma dal modo in cui era saltato addosso ad Athena (piangeva persino più forte di Demete)
 poteva intuire che fosse un loro amico stretto. Per fortuna, escluso il rumoroso sconosciuto, Afuro sembrava essere in buone mani.
Hera si voltò di nuovo e seguì con lo sguardo il biondino mentre questi salutava uno per uno gli altri quattro ragazzi, trattenendosi con augurii e abbracci.
-Buona fortuna.- disse Arute, non sorrideva in modo largo, ma il suo tono era sincero. Hera sospirò, sollevato dal fatto che, nonostante l’iniziale rivalità e gelosia reciproca, i due avessero appianato i loro conflitti. 
Poi prese Afuro per mano.
-Posso averti tutto per me in questi ultimi minuti?- chiese.
Afuro abbassò lo sguardo. –Non dirlo così…- mormorò cupo. –Sembra che non ci vediamo più…-
Hera scosse il capo e lo tirò verso le enormi finestre a pannelli di vetro, da cui si vedevano le pista d’atterraggio e una vasta fetta di cielo azzurro.
Le nubi erano dense e fumose, durante la notte avevano strizzato fuori tutta l’acqua.
-Devo farti vedere una cosa.- disse Tadashi, e gli indicò il cielo.
Afuro fissò prima lui e poi il punto indicatogli, perplesso: gli occorsero alcuni secondi per riuscire ad individuare, attraverso l’opaco pannello di vetro, le bande colorate di...
-...un arcobaleno?- mormorò dubbioso. Guardò meglio; sebbene la luce fosse poca e i colori già andassero sfumandosi flebilmente nel fumo delle nuvole, era una bella vista. Solo che non capiva perché Tadashi volesse farglielo vedere proprio in quel momento.
-Il rosso e il viola sono così lontani...-
Afuro rimase spiazzato da quel commento improvviso e, all'apparenza, insensato. Tipico di Tadashi; ma quando si voltò a cercare spiegazioni, vide che l'altro era intento a fissare i colori. 
-Sono lontani… sembra che non si possano incontrare mai- proseguì, serio. –Eppure, se fai attenzione, puoi notare che anche il rosso e il viola finiscono per incontrarsi, per sfumarsi insieme, e confondersi poco prima di scomparire...-
Un sorriso gli increspò le labbra mentre si voltava finalmente verso Afuro.
-Io e te sembravamo così lontani, eppure ci siamo avvicinati- affermò. -Non c’è bisogno di stare vicini per stare insieme.-
Afuro non aveva parole; sentì che stava per piangere di nuovo. Anche Hera dovette intuirlo, allora lo attirò a sé e lo baciò a fior di labbra
-Ciao...- bisbigliò, poggiò la fronte contro la sua per un breve istante.
Anche se percepiva un nodo in gola, Afuro sorrise. –Sì… ciao- rispose. Si allontanò lentamente, lasciando le dita dell'altro una alla volta finché le loro mani non si separarono del tutto. 
Hera e gli altri rimasero fermi a fissare il gruppo di Hitomiko finché esso non scomparve al di sopra delle scale mobili, e sia la giacca gialla sia la chioma platino di Afuro non furono più visibili.
-Andiamo. Non abbiamo più nulla da fare qui- annunciò Hera, incamminandosi verso l’uscita dell’aeroporto. –Chi vuole un gelato? Offro io.-
Tutti i ragazzi lo seguirono, lanciando di tanto in tanto occhiate alle piste per beccare l’aereo sul quale Afuro doveva salire; solo Arute si avvicinò a Hera: continuava ad avanzare al suo fianco fino alla fine. 
-Mi sembri molto tranquillo. Sicuro di non essere un po’ triste?- G
gli rivolse la parola, titubante.
Hera chiuse gli occhi, e sorrise.
-E perché? Questo non è un addio.-
 
Perché in ogni momento, il rosso e il viola sanno sempre trovarsi. 
 
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Capitolo 30
*** Capitolo 29 -Epilogo. ***


Epilogo.

Le prime stelle già erano visibili su una fascia di cielo scuro.
Hera osservava come quel colore sfumava gradualmente nell’azzurro chiaro, macchiandosi di rosa e arancione non appena sfiorava il sole che tramontava.
A Hera era sempre piaviuto osservare il cielo, quando era solo; adesso ancora di più, perché sapeva che anche Afuro, ovunque si trovasse, lo stava guardando.
 
xxx
 
-Tadashi, Tadashi! Cosa fai per il tuo compleanno?- chiese Kirigakure saltandogli sulle spalle.
Hera gli rivolse un’occhiata esasperata: gli aveva ripetuto già sette volte che non aveva intenzione di festeggiare in alcun modo, ma Kirigakure proprio non voleva afferrare il concetto.  
Quello stupido ninja era molto “selettivo” riguardo alle cose che sentiva, recepiva subito solo quello che voleva e il resto era come se non fosse stato detto.
Hera decise di chiudere il discorso una volta e per tutte.
-Non farò nulla per il mio compleanno, e questa è la mia risposta definitiva- disse, brusco. Kirigakure lo si ammutolì, interdetto. Hera, approfittando dell’attimo di distrazione, se lo scrollò di dosso, poi si alzò dal suo banco e s’incamminò verso il cortile esterno della scuola, sperando che il ninja capisse l’antifona e si arrendesse...
-Tadashi! La mamma è molto arrabbiata!- No, il grido dietro di lui gli fece intuire che Kirigakure, naturalmente, non si era affatto arreso. –Vedrai, un ninja non si dà mai per vinto!- Ecco, appunto.
-“Che palle!”- disse qualcuno, dando voce ai suoi pensieri. –“Che devo fare per avere un po’ di pace?”
Hera alzò lo sguardo e incrociò gli occhi blu di Artemis, che scrollò le spalle e sorrise.
-Ce l’hai scritto in faccia, Hecchan.
Kirigakure sembrò pensieroso per un momento, poi rispose alla domanda posta da Arute:- Ascolta, Tadashi, ti lascio in pace, ma solo se mi lasci organizzare la tua festa di…
-Se dici un’altra volta quella parola, commetterò un matricidio- sibilò Hera guardandolo torvo.
-Okay, non lo dico- acconsentì Kirigakure, per niente intimidito. –Ma posso sapere perché sei così contrario?
Hera sospirò e rilassò i muscoli tesi per l’irritazione. -Non festeggio il mio compleanno da quando ero in seconda elementare. Non vedo perché dovrei ricominciare ora- replicò, controllandosi il più possibile per non gridare.
-In seconda elementare? E perché?- insistette Kirigakure.
Hera tacque e distolse lo sguardo, chiaramente cercando un modo per evadere la domanda. Dopo una manciata di secondi, Artemis intervenne in suo aiuto, afferrando Kirigakure per un braccio e trascinandolo via con la scusa di cercare Demete e Aporo per “un impegno improrogabile”. Kirigakure parve molto confuso, ma si lasciò portare via, e così Hera rimase da solo nel corridoio.
Avrebbe ringraziato Arute più tardi, per avergli dato un po’ di pace.
Lo sentì rimproverare sotto voce Saiji per una sua evidente mancanza di tatto, ma Hera non si sentiva di colpevolizzare Saiji. Aveva festeggiato l’ultima volta in seconda, perché in terza i suoi genitori avevano divorziato proprio nel periodo precedente alla venuta del suo compleanno, ma di questo il ragazzo non dava la colpa a nessuno.
Aveva finito addirittura col dimenticarsene; quindi che senso aveva festeggiare il sedicesimo compleanno, se ufficialmente non aveva compiuto nemmeno nove anni? Il tempo per lui era trascorso senza numeri e non gli importava. Negli anni passati, non aveva mai avuto nessuno con cui festeggiarlo, a parte Arute, che ogni anno ignorava le sue proteste e gli comprava un regalo, a costo di infilarglielo di nascosto in casa. Sua madre gli mandava sempre un pensierino, ma a Hera non piaceva che spendesse soldi per lui da quando aveva il bambino di cui occuparsi.
Perciò, decise Hera, non avrebbe festeggiato nemmeno il sedicesimo compleanno.
Peccato che Saiji non fosse per niente d’accordo: da quando aveva scoperto che il suo “figliolo” era nato il quattro ottobre, data che si avvicinava rapidamente, non gli aveva dato tregua. Sembrava che ci tenesse più lui che non il festeggiato stesso.
“No… non è così” pensò. Odiava mentire a se stesso, ma ormai si era rassegnato al fatto di farlo automaticamente, spesso senza volerlo. L’aveva sviluppata come tecnica di autodifesa.
“Io avrei voluto festeggiarlo. Ma dall’anno in cui i miei hanno divorziato, il mio compleanno mi è sempre sembrato un giorno così…”
…vuoto.
 
xxx
 
Era arrivato alla fine, il quattro ottobre.
Hera osservava le fasce di cielo che si tingevano di vari colori: blu scuro, azzurro, rosa, arancio. Era così bello che non riusciva a distogliere lo sguardo; non si sarebbe meravigliato di finire in un tombino aperto mentre teneva la testa in aria, come un filosofo. Gli piaceva pensare che il cielo lo connettesse con ogni altra persona che lo stesse guardando, anche quelle più lontane.
Era un modo di sentirsi meno solo, ecco.
Stranamente, Saiji aveva smesso di perseguitarlo da quando Arute era intervenuto a zittirlo una settimana prima, a scuola, forse proprio perché Arute glielo aveva impedito. Ma per Hera la cosa più bizzarra era che Arute stesso non gli aveva detto più nulla da allora: a differenza degli altri anni, non gli aveva nemmeno chiesto che regalo voleva. Neanche Demete e Aporo si erano fatti vivi. Tutti i suoi amici sembravano improvvisamente scomparsi…
Sentiva un po’ la loro mancanza, ma era consapevole che fosse colpa sua. Aveva passato molto tempo a mettere distanza fra sé e gli altri, ora non poteva aspettarsi altro che questo: era il giorno del suo compleanno e lui era di nuovo solo.
“No.” si disse. “Devo smetterla di ripetermelo. È un giorno come gli altri.” Non voleva pensarci, in un certo senso… faceva male.
Il sole era sparito dietro gli edifici, lasciando dietro di sé un alone luminoso, un’aureola dorata che incoronava i tetti delle case, e le stelle della notte; il rosa e l’arancio e l’azzurro stavano scomparendo, inghiottiti da un blu scuro e denso come vernice. Peccato.
Hera sospirò e infilò la chiave nella serratura, ma non dovette fare giri perché la porta era già aperta. Accigliato, la spinse e la vide scivolare contro il muro senza rumore. Era evidente che qualcuno fosse entrato prima di lui. Ladri? Oppure sua madre?
Intravide delle luci in salotto e capì: peggio.
Amici che vogliono farti una sorpresa.
-Tadashi, buon compleannooo!- Kirigakure fu il primo a gridare, sparando in aria dei coriandoli colorati. Hera non ebbe neanche il tempo di commentare prima che il ninja gli circondasse la vita con le braccia e lo stringesse forte a sé.
Gli posò una mano sul capo e sbirciò intorno: a parte la torta con candeline, non c’era nessun’altra decorazione. Meno male. Arute gli sorrise, probabilmente l’assenza di pompose decorazioni era merito suo, di contro a ciò che Kirigakure avrebbe potuto inventarsi.
-Tadashi?- chiese Kirigakure alzando la testa. –Non sei arrabbiato vero?-
Hera lo guardò, poi notò che la stessa preoccupazione che affliggeva il ninja attraversava anche i volti di Demete, Aporo e Arute.
Allora scosse il capo, solo per il piacere di vedere quei volti amici illuminarsi.
-No. Grazie a tutti- disse piano. –Mi dispiace di essere stato freddo, prima- aggiunse, abbassando lo sguardo su Kirigakure, il quale gli sorrise e lo abbracciò di nuovo.
-Ehm- Demete si schiarì la voce, seccato. –Saiji caro, mammina adorata… Non vorrai monopolizzare Tadashi? Lasciane un po’ anche a noi!
-Sì invece! L’idea è stata mia, dopotutto!- replicò Saiji facendogli la linguaccia.
Le sue parole causarono la reazione degli altri tre, che subito si avvicinarono; Aporo e Demete afferrarono Kirigakure per le braccia e glielo staccarono di dosso, mentre Arute prendeva il suo posto.
-Hecchan, sei felice?- sussurrò Arute. Hera annuì, lasciando che il suo migliore amico lo abbracciasse, ma Arute si scostò non appena lo sentì rispondere.
-Bene, perché la sorpresa non è ancora finita- esclamò Arute con un sorrisetto.
Proprio mentre Tadashi si chiedeva se non fosse il caso di preoccuparsi, un rumore lo fece voltare: fuochi d’artificio di svariati colori e forme riempivano il cielo a sprazzi, abbagliando i loro occhi con una luce intensissima. Hera restò ad osservare rapito l’alone argenteo  che le scintille lasciavano dopo essersi spente nel blu per almeno cinque minuti, poi una voce lo fece riscuotere.
-Ti piacciono? Li ho scelti io.-
Era una voce che non sentiva da tempo.
Hera si voltò lentamente verso la porta aperta e sgranò gli occhi, perché era passato un anno da quando aveva salutato all’aeroporto Afuro Terumi.
L’idol era vestito esattamente come il giorno del loro primo “appuntamento”, ma sembrava proprio che fosse diventato ancora più bello. I capelli biondi erano più lunghi, legati in una treccia laterale, ed era più alto, anche se li separavano ancora una decina di centimetri.
-Oh, cavolo. Ma riuscirò mai a raggiungerti in altezza?!- si lamentò il biondino. –Ti arrivo ancora alle spalle… Non resta lì con quella faccia stupita, non sei contento di vedermi?- S’imbronciò, incrociando le braccia al petto, e sbuffò.
Evidentemente aspettava che Hera dicesse qualcosa, ma il ragazzo non aveva parole, perciò rimase immobile, in silenzio, a fissarlo.
–Allora, vuoi dire qualcosa?- insisté Afuro, torvo. -Non ci vediamo da un anno, e tu…- Il rimprovero gli morì in gola per la sorpresa.
-Hecchan?- provò Arute, ma poi anche lui come gli altri sprofondò in un silenzio attonito.
Nessuno di loro aveva mai veramente visto Hera piangere e, ora che le lacrime gli scorrevano senza freni sul viso, lui stesso non riusciva a credere che stesse accadendo.
Per un momento, davanti ai fuochi d’artificio, si era sentito tornare bambino. Era tornato con la memoria al compleanno dei suoi nove anni, che aveva trascorso in casa da solo, ed improvvisamente l’ambiente buio e squallido dell’appartamento in vendita si era illuminato di mille colori… Hera non credeva che avrebbe mai assistito a niente di più emozionante: era davvero un buon motivo per piangere.
-Tadashi!- Afuro lo richiamò alla realtà, prendendogli il volto fra le mani, e Hera lo abbracciò istintivamente, stringendolo forte al petto.
Gli altri presenti assistevano alla scena commossi; Hera avrebbe potuto giurare di aver visto Arute asciugarsi una lacrima, mentre gli altri tre piangevano, senza dignità, come fontane. Ma, del resto, lui era il primo ad aver deciso di mettere da parte l’orgoglio, per un giorno. Era troppo felice per avere il tempo di vergognarsi.
Hera sollevò il viso, guardando oltre Afuro pur senza sciogliere l’abbraccio, e si rivolse a tutti.
-Grazie- disse, e davvero non avrebbe potuto essere più grato.
-Scommetto che è stato il compleanno più bello della tua vita!- esclamò Kirigakure, soffiandosi rumorosamente il naso. –Tutto merito della mamma!- aggiunse, e poi scoppiò in singhiozzi. Arute alzò gli occhi al cielo, rassegnato al fatto che Saiji volesse prendersi tutto il merito.
Hera scosse il capo. –Non dicevo grazie per quello- replicò.
Tutti si voltarono a guardarlo, sorpresi.
–Che vuoi dire, Hecchan?- chiese Arute, confuso.
Hera sorrise, forse il sorriso più dolce che gli avessero mai visto fare.
“Grazie a voi questo compleanno riempirà anche tutti gli altri anni che sono rimasti vuoti” pensò. Avrebbe voluto dire tante cose, ma sapeva che non avrebbe mai trovato le parole giuste. “Grazie perché il quattro ottobre non è più vuoto.
-Spero che mi sopporterete ancora per qualche anno, perché non potrò più fare a meno delle feste organizzate dalla “mamma”- disse invece, ridacchiando.
Kirigakure si illuminò e si erse sui suoi compagni, fiero.
-Oh, perché gliel’hai detto? Adesso diventerà insopportabile!- commentò Aporo.
-Capirai, sai la differenza! Lui è sempre insopportabile- ghignò Demete.
Kirigakure gli fece la linguaccia, ma i due stavano già ridendo. Arute lanciò un’occhiata eloquente a Hera e Afuro, come per dirgli che potevano appartarsi un po’ mentre gli altri erano impegnati a battibeccare fra loro. Afuro ringraziò Arute sotto voce e poi trascinò Hera fuori al balcone con lui.
-Allora, dov’eravamo rimasti?- chiese malizioso.
Hera alzò gli occhi al cielo. –Cliché- borbottò.
Afuro stava per replicare, ma Hera lo zittì con un bacio; poi, compiaciuto del rossore che spiccava sul viso del biondino, Hera lo attirò a sé e, con il mento poggiato delicatamente sul suo capo, levò ancora una volta gli occhi verso il cielo.
Gli piaceva pensare che il cielo lo connettesse con ogni altra persona che lo stesse guardando, anche quelle più lontane; però era decisamente più bello osservarlo con Afuro.


 
E così "Aka to Murasaki" finisce qui ♥ 
Se la fic non è ancora segnata come conclusa, questo dipende dal fatto che ho intenzione di inserire ancora una storia extra, quando e se ci riesco - non posso dirvi ancora molto a riguardo, ma sarà incentrata su Aporo e Artemis e sarà cronologicamente situata prima di questo epilogo.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno seguito questa fic fin qui, e un saluto particolare a chi l'ha recensita~
A presto (spero),
                   Roby

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Capitolo 31
*** Capitolo Extra - Ai no Fukuzatsuna. ***


Buonasera c:
Il titolo di questo capitolo extra significa "The Complex of Love". Gli avvenimenti di cui leggerete vanno posti cronologicamente tra i capitoli 28 e 29 (ovvero dopo la partenza di Afuro, ma prima dell'epilogo e del compleanno di Hera). Anche se l'ho scritto solo recentemente, la verità è che da tempo pensavo ad un capitolo del genere, perché volevo approfondire meglio quali siano i sentimenti di Artemis verso Hera, da un lato, e dall'altro dare più spazio a Artemis e Aporo.
La HerAfu come pair principale prende molto spazio nella storia e nell'epilogo, mi dispiace per le secondarie un po' trascurate... sulla DemeKiri ho ripreso a scrivere con la raccolta pubblicata sull'altro account, ma sull'ArteApo ho scritto davvero troppo poco, quindi ecco qua ;)
Buona lettura~


Ai no fukuzatsuna
 
 
Tre ragazzi stavano attraversando il corridoio del secondo piano.
-Spiegami ancora perché dobbiamo venire qui ogni giorno durante la pausa pranzo, invece di andare a mangiare sul tetto?- domandò Demete, sperando di avere, una volta tanto, una risposta decente a quella domanda.
Naturalmente, invece, Kirigakure gli ripeté la solita solfa.
-Papà, devi essere più sensibile!- lo rimbrottò. –Il nostro Tadashi è in una fase delicata dell’adolescenza, inoltre il suo ragazzo è all’estero, quindi è ovvio che sia in un momento di crisi! Noi abbiamo il dovere di fargli compagnia e sostenerlo ogni giorno.-
-A me pare che Hera stia benissimo- osservò Aporo.
Kirigakure ignorò il suo commento, e anzi accelerò il passo. Aporo e Demete si scambiarono un’occhiata rassegnata e stavano per affrettarsi anche loro, quando videro Kirigakure fermarsi di colpo davanti alla porta dell’aula di Hera.
-Ah!! Siamo stati preceduti!!- esclamò.
-Cosa?- disse Demete, avvicinandosi. Gettò un’occhiata dentro alla classe e fece un leggero fischio. –Uh, è vero. Avremmo dovuto immaginare che anche Artemis si sarebbe fatto vivo.-
-Arute?- Sentendo il nome del suo ragazzo, Aporo si fece largo tra gli altri due.
Seguì gli sguardi di Demete e Kirigakure e si soffermò su Arute e Hera, che stavano ancora parlando serenamente proprio nell’aula di fronte. Nonostante non fossero capitati di nuovo in classe insieme, Arute sembrava terribilmente a suo agio seduto al banco di Hera, come se per lui fosse una cosa normale andare a trovarlo.
-Certo che Artemis capisce proprio bene Tadashi- commentò Kirigakure.
-Forse perché sono amici d’infanzia?- aggiunse Demete. Kiragakure scosse il capo e si portò una mano al mento con aria pensierosa.
-Mmm, non è proprio quello che volevo dire, sembrano più… come dire… - D’un tratto s’illuminò come se avesse avuto un’idea ed esclamò:- Ecco! Sembrano come una coppia di vecchietti sposati da anni!-
Demete guardò per un momento Aporo, poi si accostò a Kirigakure e gli diede una gomitata nel fianco.
-Ehi, ma cosa…- protestò Kirigakure imbronciato, ma s’interruppe quando Demete gli indicò Hikaru senza che quest’ultimo se ne accorgesse.
Per qualche secondo Kirigakure sbatté le palpebre, perplesso, poi parve capire.
-Oh, m-ma naturalmente Artemis è così fissato con Hikaru…! Il rapporto che ha con Tadashi non è assolutamente la stessa cosa, è ovvio!- aggiunse in tutta fretta.
Hikaru si voltò a guardarlo con aria accigliata e chiese:- Cosa stai cercando di dire?-
-Ah, uhm, vedi…- Kirigakure inciampò nelle parole, Demete sospirò passandosi una mano sul viso, esasperato, e Hikaru si accigliò ancora di più, ma prima che il ninja riuscisse a spiegarsi Artemis intervenne nella conversazione.
-Di che parlate? Posso partecipare anch’io?- disse, con la stessa nonchalance con cui mise un braccio sulle spalle di Hikaru e lo attirò a sé, un gesto che Kirigakure e Demete interpretarono subito come possessivo, perché Artemis non era Artemis se non era geloso di Hikaru. Era incredibile come non si fossero neppure accorti che si fosse avvicinato.
-Non ti appoggiare su di me, mi fai sembrare ancora più basso!- protestò Hikaru cercando di scrollarsi Artemis di dosso, ma questo ovviamente non fece che aumentare il suo divertimento.
-Oh? Cosa c’è, hai paura che sul bus ti faranno pagare il biglietto ridotto per i bambini?- replicò infatti Artemis, con un sorriso e un tono così dolci da mascherare quasi la presa in giro. E Hikaru ci cascava sempre.
-N-non succede quasi mai, stupido!-
-Ah, quindi succede davvero?-
-Vaffanculo!-
Kirigakure e Demete li osservavano senza tentare di intromettersi. Erano talmente abituati a scene come quella che ormai non se ne preoccupavano nemmeno più: dopotutto, quello era il modo in cui Artemis e Aporo dimostravano l’affetto reciproco quando erano in pubblico, da molto prima che si mettessero insieme.
-Sei davvero un borioso del cavolo- borbottò Aporo, gonfiando le guance in un broncio. –Non capisco come puoi trattarmi così quando… quando noi…- Si fermò e diventò rosso fino alla punta delle orecchie sentendo Artemis ridacchiare.
-Quando noi due cosa, Hikaru?- domandò il ragazzo, divertito. Inchinò la testa di lato, fingendosi pensieroso, poi il suo sorriso si allargò in modo poco rassicurante. –Aaah, parli del nostro felice idillio d’amore? Hai qualche lamentela a riguardo, Hikaru? Perché onestamente penso di poterti dare molto di più, soprattutto a letto…- Artemis s’interruppe e rise vedendo Aporo coprirsi le orecchie e scuotere la testa, rifiutandosi di ascoltare ciò che lui stava dicendo.
-Hikaru~ Se non mi ascolti, come faccio a scusarmi?-
-Scusarti, come no! Sicuramente vuoi dirmi altre cose strane, no grazie, Artemaniaco!- si lamentò Hikaru, senza alzare lo sguardo, ma abbassando leggermente le mani.
-Wow, che nostalgia, da quando non mi chiamavi così!- Artemis rise di nuovo.
“Dannazione” pensò Hikaru. “In qualunque modo si metta, finisco sempre per essere preso in giro!” Ma, per qualche motivo, l’atteggiamento di Arute non gli dava più fastidio come un tempo. C’era stato un periodo della sua vita in cui Hikaru avrebbe voluto davvero liberarsi di Arute una volta e per tutte; era strano pensare che fosse passato appena un anno da allora.
-Hikaru, a cosa stai pensando?- La voce di Arute, di colpo un sussurro al suo orecchio destro, fece sussultare Aporo. Colto alla sprovvista dalla vicinanza improvvisa, Aporo sentì la propria mente svuotarsi e quando aprì la bocca per rispondere non ne uscì alcun suono. Arute socchiuse gli occhi e Aporo notò ancora una volta quanto fossero lunghe le sue sopracciglia, cosa stupida da pensare in un momento come quello, quando la persona di cui era innamorato stava per…
All’ultimo istante, Arute parve cambiare idea e gli baciò la fronte invece che le labbra. Aporo aprì gli occhi che aveva inconsciamente chiuso e scoccò un’occhiata perplessa ad Arute, il quale ricambiò con un mezzo sorriso.
-Siamo a scuola- ricordò, rialzandosi e stiracchiandosi. –Magari continuiamo dopo, mh?-
Hikaru avvampò. –Senti un po’, tu…!!-
-Cosa state facendo qui fuori all’aula?-
I due ragazzi si voltarono nello stesso tempo verso Hera, che stava in piedi all’uscio della porta scorrevole, con le mani nelle tasche dei pantaloni e un’espressione annoiata in volto.
-Non avete niente di meglio da fare che fare casino qui?- aggiunse con un sospiro.
-Ah, scusa, Hecchan. Adesso ce ne andiamo, okay?- replicò Artemis serenamente, poi si avvicinò al suo migliore amico e gli posò una mano sulla spalla. –Non stare troppo da solo, ricorda che se ti serve sono sempre qui- disse, affettuoso.
Hera lo guardò per un istante, poi scosse il capo.
-Non potrei mai “stare troppo da solo”, con voi rompiscatole in giro. Saiji passa a trovarmi almeno tre volte al giorno e a volte insiste anche per venire a casa mia- replicò. –A proposito, strano che non siano qua in giro anche loro. Sei venuto da solo, Aporo?-
-Cosa? No, io…- Hikaru si guardò intorno e solo in quel momento si accorse che Demete e Kirigakure se n’erano andati, lasciandolo a se stesso. –Ma erano qui fino a pochi minuti fa!!-
-Forse mamma e papà si sono ricordati di una commissione urgente. Da non credere, trascurare così il loro figlioletto- commentò Artemis sarcastico.
-Beh, io vado in bagno, ci si vede.- Hera alzò gli occhi al cielo, poi li salutò con un cenno della mano e, sempre con le mani in tasca, si incamminò verso i bagni del piano.
Artemis lo osservò andare via finché non sparì dietro un angolo, quindi rivolse nuovamente la sua attenzione verso Aporo.
-Oggi torniamo a casa insieme- stabilì. –Ci vediamo più tardi, Hikaru, non essere troppo triste in mia assenza~- lo salutò, e Hikaru aveva genuinamente voglia di dargli un pugno.
-Stanne certo- sibilò, gli diede le spalle e si allontanò impettito, cercando di ignorare il fastidioso rossore che gli accendeva tutto il viso. Era sicurissimo che Artemis lo stesse guardando con un sorriso divertito, non voleva dargli ulteriore soddisfazione, tuttavia non poté fare a meno di girarsi e lanciargli un’ultima occhiata una volta arrivato alla fine del corridoio.
Artemis non si era mosso, solo che invece di seguire lui con lo sguardo, stava guardando nella direzione in cui se n’era andato Hera; Hikaru non riuscì ad ignorare una puntura di gelosia nel petto e si diede subito dello stupido, tornando a guardare avanti.
 
xxx
 
All’uscita da scuola, Aporo scoprì con orrore che Demete e Kirigakure si erano avviati con una scusa, senza aspettarli, e probabilmente avevano trascinato con loro anche Hera, ragion per cui lui e Artemis si trovarono a tornare a casa insieme completamente da soli.
Se Artemis era consapevole del fatto che gli altri li avessero lasciati soli apposta, non ne diede segno; non fece commenti e, quando Hikaru arrivò, gli propose di andare con un sorriso, intrecciando la mano nella sua e tirandolo al proprio fianco.
Nonostante fosse l’inizio di maggio e facesse caldo, la mano di Hikaru era fredda per il nervosismo. Il ragazzino sperava intensamente che Arute non facesse caso a quanto era sudato il suo palmo o quanto erano rigide le sue dita: non doveva essere piacevole tenergli la mano così, ma Arute non disse nulla.
Parlarono un po’ del tempo, degli esami e dei programmi estivi.
L’estate precedente Afuro aveva dovuto lavorare e non era riuscito a stare con loro neppure un giorno, ricordò Hikaru pensieroso. Loro invece erano andati spesso a mare insieme. Tadashi non gli era parso particolarmente triste o solo senza Afuro.
“Però non stavano ancora insieme” si disse Hikaru. Afuro e Hera si erano messi insieme molto più tardi, dopo Capodanno (il primo Capodanno che avessero trascorso tutti insieme), forse si erano messi insieme proprio il giorno in cui Arute aveva detto ad Afuro di andare da lui, da Tadashi. Quel giorno Arute aveva pianto… aveva pianto per Tadashi.
-Hikaru? Sono felice che tu non voglia staccarti da me, ma non siamo arrivati a casa tua?-
La voce dello stesso Arute lo strappò ai suoi pensieri.
Aporo alzò il volto e si rese conto che l’altro aveva ragione, la sua casa era proprio là di fronte.
-Oh, sì, giusto- borbottò. Iniziò a sfilare la mano dalla presa di Arute, ma l’altro pareva restio a lasciarlo: nonostante la presa in giro, era proprio lui a non volersi staccare.
Hikaru non rimase neppure troppo sorpreso quando Arute si chinò verso di lui e lo baciò velocemente all’angolo della bocca, stringendolo tra le proprie braccia e il proprio petto.
-S-scemo- soffiò Hikaru contro le sue labbra. –Mia madre e mia sorella sono in casa! E poi se ci vedono i vicini…- protestò debolmente, perché anche lui aveva voglia di baciare Arute. Da quando si erano messi insieme, si era reso conto di avere sempre tantissima voglia di baciarlo, come aveva potuto resistere alla tentazione fino ad allora?
-Oggi sei pensieroso- commentò Arute con una nota di curiosità. –È una cosa così rara, mi stavo chiedendo come mai.-
-C-cosa vuoi dire con “rara”?!-
-Beh, tu non sei uno che pensa troppo, no?-
-Razza di…!- Hikaru gli pizzicò il dorso del braccio, irritato, e Arute borbottò un “ahi”, ma in tono divertito.
-Era un complimento, era un complimento! Te l’ho detto, mi piaci perché sei onesto!- ribatté ridacchiando. -E quindi… non vuoi dirmi a cosa pensi?-
Hikaru considerò la domanda per un momento, ma la verità era che non aveva ancora idea del perché si sentisse inquieto. Scosse il capo, e Arute lo lasciò andare con un sospiro.
-Allora ci vediamo domani- disse.
-A domani- rispose Hikaru, si voltò e s’incamminò nel vialetto del proprio giardino. Arrivato alla porta, lanciò un’occhiata alle proprie spalle e vide che Arute era ancora lì ad osservarlo: il ragazzo alzò una mano in cenno di saluto e sorrise, senza muoversi né sorprendersi del fatto che Hikaru si fosse voltato di nuovo. 
-Idiota!- urlò Hikaru, cercando di nascondere un sorriso dietro il dorso della mano.
 
Appena entrato in casa, Hikaru si trovò assaltato dalla sua sorellina che reclamava la sua dose di attenzione giornaliera e che lo tenne occupato fino a metà pomeriggio, quando la madre decise che entrambi dovevano fare i compiti.
Fu così che solo dopo cena, dopo il bagno serale, mentre si strofinava i capelli con l’asciugamano, la mente di Hikaru si liberò abbastanza da poter tornare a riempirsi di pensieri su Arute.
Probabilmente Arute era rimasto deluso, ma Hikaru ignorava davvero i propri sentimenti in quel momento: non era mai stato bravo a capire queste cose da solo, e comunque non aveva alcun senso. L’amicizia tra Hera e Arute durava da anni e a lui non aveva mai dato fastidio, quindi non capiva perché proprio adesso dovesse provare una qualche forma di gelosia. Quando erano soli, Arute si comportava in modo normale; non c’era motivo di dubitare di lui, no? E non aveva senso nemmeno prendersela con Hera, perché lui stava con Afuro…
Solo che Afuro ora non c’era.
Hikaru spalancò gli occhi e, “Oh” pensò, stupefatto.
Ecco dove era il problema.
Ora che Afuro non c’era, era come se Arute avesse preso il suo posto. Certo, non nello stesso modo, e probabilmente neppure Arute e Hera se ne rendevano conto perché per loro era normale stare costantemente assieme, ma Hikaru la vedeva con una prospettiva diversa.
Ripensò a come Arute avesse seguito con lo sguardo Hera anziché lui, quella mattina a scuola, e poi al momento in cui l’aveva salutato dopo averlo accompagnato a casa.
Quando c’era Hera, Arute era lievemente diverso e il fatto che Hera potesse influenzare Arute in quel modo irritava Hikaru più di quanto gli facesse piacere ammettere.
Il ragazzino sentì il volto andare a fuoco per l’imbarazzo, si lasciò cadere all’indietro sul letto con un lamento e si coprì la faccia con le mani. Era una gelosia così stupida ed insensata, e accorgersene era anche peggio, perché ora non sapeva proprio con che faccia guardare Arute il giorno successivo.
 
xxx
 
Se Hikaru aveva un pregio, quello era la sua onestà; ma, a ben pensarci, poteva anche essere un’arma a doppio taglio. La verità era che lui non era capace di tenere segreti e, siccome nascondere ciò che provava ad Arute era impossibile, il piano che scelse di adottare era semplice: evitare (preferibilmente del tutto) Arute.
Sì, non c’era altra scelta, se l’avesse incontrato gli avrebbe di certo detto tutta la verità e sarebbe stato così mortalmente imbarazzante. “Mi prenderebbe in giro per il resto della vita” si disse Hikaru mentre aggirava la schiera di armadietti addossato al muro, silenzioso e attento ad ogni movimento umano nelle vicinanze. In momenti come quelli quasi rimpiangeva di non essersi mai interessato davvero alle tecniche ninja di Saiji.
Dopo alcuni minuti, Hikaru vide comparire Demete e Kirigakure davanti agli armadietti. Il suo sguardo e quello di Demete s’incrociarono per un attimo, poi l’amico gli si avvicinò.
-Cosa stai facendo?- domandò, sorpreso.
-Niente di particolare- mentì Hikaru, poi gli venne in mente che avrebbe dovuto essere arrabbiato con lui e con Kirigakure. –Ehi, ieri mi avete lasciato solo! Begli amici!-
-Oh, beh, scusa, ma non volevamo intrometterci nel tuo tempo con Arute… anche perché onestamente Arute è spaventoso quando… Tutto bene?- Demete interruppe il monologo quando si accorse che Hikaru si era paralizzato per la tensione.
-Non dire quel nome!- sibilò. –Ogni volta che lo diciamo, lui sembra comparire dal nulla!- Un po’ come i demoni, a ben pensarci. Questo avrebbe dovuto dire molte cose su Arute.
-Uhm, per caso tu e…- Demete non riuscì mai a completare la domanda, perché in quel momento Arute entrò dalla porta insieme a Hera e Hikaru ebbe uno scatto improvviso.
-Ecco, lo dicevo io! Non dirgli che mi hai visto!- furono le ultime cose che Demete sentì, prima che l’altro si girasse e sparisse nella folla, cosa che gli riusciva abbastanza facile grazie al fisico minuto. Demete rimase immobile a fissare con uno sguardo perplesso il punto in cui prima c’era il suo migliore amico, finché Kirigakure non gli venne vicino e gli posò una mano sulla spalla strappandolo al suo shock.
-Mi hai lasciato solo mentre parlavo!- protestò Saiji con un broncio.
-Mm, dovresti trattare meglio tua moglie- commentò Hera con nonchalance, ma chiunque lo conoscesse abbastanza bene poteva dire che era divertito.
-Ecco, diglielo tu, Tadashi!- Saiji gli si attaccò immediatamente al braccio.
Arute rise ai loro battibecchi, ma quando si guardò attorno e notò l’assenza di Aporo il suo sorriso si trasformò in un’espressione accigliata.
-Hikaru non è con voi?- chiese, stranito. In effetti, Aporo era solito venire a scuola con Demete e Kirigakure ormai da anni. Saiji sembrò accorgersene anche lui solo dopo la domanda.
-Uh, ora che ci penso, stamattina non l’abbiamo incontrato per strada. Dem, tu l’hai sentito per caso? Ti ha mandato messaggi?-
Demete iniziò a sudare freddo sotto gli sguardi dei suoi compagni.
-No! Per niente!- disse in fretta, stringendo convulsamente la tracolla della borsa.
-Mm… sei sicuro?- ribatté Arute, sospettoso, stringendo gli occhi, e Demete sentì l’immediato bisogno di evacuare il più presto possibile.
-Sicurissimo! Ora scusatemi, ma devo ripetere inglese per la prima lezione perciò, uh, devo proprio andare! Ciao!- esclamò, poi si girò e imitò Hikaru nella fuga tra la folla, solo che lui fu seguito subito da Kirigakure, che gli gridava anche di non lasciarlo indietro.
Ci fu un attimo di pausa, come se Hera stesse aspettando che la confusione si placasse. Quando il corridoio si fece più tranquillo, il ragazzo si voltò verso Arute.
-Hai problemi relazionali?- chiese.
-Scusa, ma non mi va proprio di sentirmelo dire da te, Hecchan.-
-Che scortesia.- Hera scrollò le spalle, fece un cenno di saluto e si avviò a lezione. Arute scosse il capo, mise le mani in tasca e s’incamminò dal lato opposto con aria irrequieta.
 
xxx
 
Il suono della campanella dell’ultima ora fece scattare Hikaru in piedi: aveva probabilmente pochissimi minuti per evadere da scuola prima che Arute venisse a cercarlo.
Era una vera fortuna che quell’anno non fossero finiti in classe insieme, o quella giornata sarebbe stata un vero inferno. In ogni caso, Arute doveva aver intuito che qualcosa non andava, perché Aporo l’aveva intravisto gironzolare attorno alla sua aula per tutta l’ora di pranzo. Aporo aveva optato di nascondersi sotto il banco di un compagno, saltando il pranzo, e ora il suo stomaco brontolava e i suoi nervi erano letteralmente sul punto di spezzarsi.
Infilò le proprie cose alla rinfusa nello zaino e si fiondò fuori senza salutare nessuno, correndo dritto verso l’uscita della scuola.
Demete lo stava aspettando davanti agli armadietti.
-Ehi!- esclamò, bloccandolo per un braccio mentre passava. –Ti ho mandato un messaggio, perché non mi hai risposto?- lo rimproverò. Hikaru lo guardò, mortificato.
-Mi dispiace, ho spento il cellulare per non ricevere messaggi o chiamate da Arute- ammise.
-Lo stai evitando? Potresti farlo in modo un po’ meno palese?!-
-Non gli hai mica detto qualcosa, stamattina?- chiese Hikaru allarmato.
-No! Ma Artemis fa paura, lo sai? Potrebbe uccidermi, lo so!- ribatté Demete, ebbe un brivido ripensando a quanto fosse spaventoso un Arute arrabbiato o geloso.
Aporo abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe. –Scusami, so che è difficile- mormorò.
Demete gli lanciò un’occhiata sconfortata e sospirò.
–Allora, dimmi… Avete litigato? Cosa ti ha fatto questa volta?-
-Uh… nulla… credo?- L’esitazione di Hikaru non fece che preoccupare ancora di più Demete.
-E quindi cosa è successo?- insistette il ragazzo, accigliandosi. Aporo si morse l’interno della guancia, indeciso se confidarsi o no con l’amico, ma quando alzò lo sguardo vide l’espressione paralizzata dalla paura dell’amico e un brivido percorse anche la sua schiena.
-Una domanda interessante- disse Arute, che era appena arrivato alle loro spalle. –È successo qualcosa, Hikaru?- aggiunse con un tono apparentemente gentile, che però Aporo conosceva fin troppo bene. Arute era pericoloso quando usava quel tono.
-Non è successo niente!- gridò Aporo, si liberò bruscamente della presa di Demete e si mise a correre senza perdere un battito. Arute rimase per un attimo immobile, scioccato, poi borbottò un “Dannazione” e partì all’inseguimento, spostando Demete senza riguardo.
Era una strana sensazione, un orribile déjà-vu, notò Hikaru.
-Smettila di seguirmi!- urlò continuando a guardare avanti. –Sto andando a casa!-
-La tua casa non è nemmeno in quella direzione, stupido!-
Ah, no? Aporo era così impegnato a urlare e correre che non sapeva neppure dove stava andando con precisione, probabilmente aveva davvero sbagliato strada, ma non era questo ad innervosirlo. Il problema era piuttosto sapere che Arute non si sarebbe fermato finché non l’avesse preso, il solo pensiero bastava a fargli martellare il cuore nel petto… o forse era colpa della corsa a perdifiato?
–Non ho niente da dirti in questo momento, quindi lasciami in pace…!- Aporo si sentì mancare il fiato e il terreno da sotto i piedi mentre gridava le ultime parole: non sapeva in cosa fosse inciampato, ma era chiaro che sarebbe caduto di faccia. In pochi secondi, Arute coprì la distanza che c’era tra loro con uno scatto e riuscì ad afferrare il suo zaino, gli diede uno strattone e lo fece cadere all’indietro anziché in avanti.
Hikaru sbatté con la nuca e il corpo in qualcosa di morbido e, quando alzò lo sguardo, scoprì di essere finito proprio nelle braccia di Arute, vanificando così tutti gli sforzi della mattinata.
-Hikaru…- soffiò Arute tra un respiro affannato e l’altro. –Stai… Stai bene…?-
Il ragazzino annuì a malapena, in stato di shock, mentre rifletteva rapidamente su come sfuggire a quella situazione. Sfortunatamente per lui, Arute aveva già intuito da un pezzo le sue intenzioni e gli teneva ferme le spalle con le mani; osservò l’espressione di Hikaru per qualche istante, poi sospirò.
-Come posso credere che tu non abbia niente da dirmi, quando fai un’espressione così affranta? Faresti meglio ad essere sincero come al solito- sussurrò.
Hikaru avvampò e abbassò subito lo sguardo.
-Non costringermi a dirlo.-
-Hikaru, voglio sentire cosa hai da dirmi, okay?- Arute gli scosse le spalle, impaziente. Sembrava che cercasse di essere gentile, a modo proprio, ma non riusciva a celare la propria agitazione.
-Per caso…- borbottò Hikaru, la sua voce si abbassò fino a perdersi del tutto. Arute lo guardò accigliato e gli diede un’altra piccola scrollata. Hikaru si schiarì la voce.
-Arute, a te piace Tadashi?- chiese, riluttante.
Arute si ammutolì per la sorpresa: di tutte le possibili lamentele che si era immaginato, di certo non si aspettava quella domanda.
-È il mio migliore amico- rispose, confuso.
-Non ti ho chiesto questo- ribatté Hikaru senza sollevare lo sguardo.
-Dov’è che vuoi andare a finire con questa domanda, esattamente? A me piaci tu, Hikaru. Non so quante volte te l’ho…-
-Non stai rispondendo alla domanda!- sbottò Hikaru, spazientito. –Volevi sapere cos’avevo da dire, ed io ti ho chiesto se ti piace Tadashi!-
Arute rimase di nuovo in silenzio, riflettendo. Aporo era convinto che i suoi nervi stessero per cedere, quando finalmente Arute parlò.
-Non lo so. Forse?- disse. La sua voce suonava stanca e dubbiosa. –Penso proprio che mi piacesse… che mi sia sempre piaciuto, intendo. Ma ormai non conta più niente, perché mi sono innamorato di te e Tadashi ora sta con Terumi.- Aporo gli lanciò un’occhiata di sbieco. Era la prima volta, forse, che sentiva Arute chiamare Hera per nome e non con il familiare “Hecchan”.
-Penso che forse i miei sentimenti avrebbero potuto diventare amore… se non ci fossi stato tu. Se noi due non ci fossimo mai incontrati, se io non mi fossi innamorato di te, allora probabilmente mi sarei innamorato di Tadashi. Ma non è andata così, quindi…-
Hikaru sentì la tensione scivolargli da dosso in un attimo. Si sentiva mortalmente imbarazzato, ma anche più leggero, quindi magari avrebbe dovuto affrontare la questione fin dal principio.
Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo e, in quel momento, si sentì abbracciare da dietro: Arute gli avvolse la vita con le braccia, lo attirò a sé e lo strinse forte.
-Non mi avevi detto tu stesso che è inutile pensare troppo?- mugugnò, con la bocca premuta nei suoi capelli. –Come ti sono venute queste idee?-
-Uh… ultimamente passi molto tempo con Tadashi… ho pensato che fosse perché Afuro non c’è ed io… beh…- rispose Hikaru, imbarazzatissimo.
-Ah, capisco, capisco.- Arute tacque un momento. –Passo davvero così tanto tempo con Hecchan? Non è che voglia prendere il posto di Terumi, o che so io. È solo che non mi va di vederlo solo, lui tende ad isolarsi troppo facilmente…-
-Lo so. Anche io, e Dem, e Saiji, tutti vogliamo fargli compagnia!- lo interruppe Hikaru. -Ma per te è diverso! Saiji dice che tu e Tadashi sembrate una coppia di anziani sposati!-
-Saiji ha detto questo? Che simpatico- commentò Arute con un mezzo sorriso. –Beh, non so come sembri da fuori, ma io e Hecchan siamo solo amici, davvero. Ah, eri geloso, Hikaru~? Ma dovresti sapere che da anni, ormai, il mio unico pensiero sei tu... Devo piacerti proprio tanto se ti preoccupi così…-
-Perché lo dici con quel tono scherzoso? Certo che mi piaci, idiota- lo interruppe Hikaru con un’espressione seria. Arute lo fissò, stupito della confessione, ed il suo viso si tinse con un vivace rossore; era talmente incredibile vedere Arute arrossire che Hikaru temette per un momento di avere le traveggole per mancanza di fiato, ma poi il ragazzo lo strinse ancora di più, chinandosi in avanti e nascondendo il volto nella sua nuca e Hikaru si rese conto che Arute scottava letteralmente. Al contrario di lui, la sua temperatura si alzava quando era nervoso o imbarazzato. Hikaru sorrise, intenerito in qualche modo dalla scoperta.
-Mi piaci proprio tanto… Saneki- disse.
-Non provocarmi- sussurrò Arute in risposta. –Mi sto già trattenendo per non saltarti addosso qui e ora.-
-P-pervertito!-
 
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La mattina successiva, quando Hikaru arrivò al cancello della scuola, la prima cosa che vide fu Hera appoggiato al muretto, con il telefonino schiacciato tra spalla e orecchio e un’espressione tranquilla in volto, se non persino divertita.
Hikaru si avvicinò a Kirigakure e Demete, che stavano confabulando là vicino, e chiese:- C’è qualche novità? Sta parlando con chi penso?-
Kirigakure si girò e gli rivolse un gran sorriso.
-Eh già! Sembra che Afuro si sia svegliato prestissimo stamattina solo per chiamare Hera. Quando siamo arrivati, parlavano già da parecchio tempo, secondo me! Ah, mi scalda l’animo vedere il loro amore sbocciare!-
-Il loro amore è già sbocciato tempo fa- obiettò Demete, ma anche lui sorrideva. D’un tratto parve ricordarsi di qualcosa e si girò verso Aporo con aria preoccupata.
-A te tutto bene? Hai risolto… il tuo problema?- s’informò con cautela, guardandosi attorno per assicurarsi che Artemis non gli comparisse alle spalle.
-Certo, è tutto a posto ora- lo rassicurò Hikaru. Si sentiva davvero più tranquillo dopo aver risolto i suoi dubbi, anche se poi Arute l’aveva tenuto sveglio tutta la notte, insistendo perché lui lo chiamasse di nuovo per nome (Hikaru aveva deciso che una volta ogni tanto era più che sufficiente, perché quello sì che era imbarazzante).
-Bene, così Artemis non ci ammazzerà nel sonno- sospirò Demete.
-Questo non è ancora detto.- Una voce li fece sobbalzare, poi qualcuno afferrò Kirigakure per la collottola della camicia. Il ragazzo stava per protestare, ma quando alzò il viso e si trovò faccia a faccia con una maschera bianca le parole gli morirono in gola.
-Saiji, mi è stato riferito che hai detto una stupidaggine l’altro giorno, vorrei proprio discuterne con te- disse Arute in tono allegro, notò che Demete stava cercando di defilarsi e afferrò anche lui per il collo della maglia. –E tu, Demete, non hai forse cercato di nascondere il fatto che Hikaru mi stesse evitando? Penso che dovremmo fare tutti e tre una bella chiacchierata- aggiunse, trascinandoli via con sé.
-No! No, aspetta, è tutto un equivoco!- provò a giustificarsi Demete, terrorizzato come un personaggio di un film dell’orrore, mentre Kirigakure lottava per liberarsi dalla presa. Hikaru si chiese se non avrebbe dovuto salvarli. Hera continuava a parlare con Afuro senza preoccupazioni.
In fondo, era una bella giornata.
 


 
**Note Finali**
È passata un'eternità da quando è nata questa fic, creata su un forum anni or sono e poi postata anche qui su efp. Sul forum l'avevo conclusa senza questo capitolo extra e ora mi sembra incredibile averla finita per davvero! Devo ammettere che riprendere i personaggi di Aka to Murasaki per scrivere questo extra è stato strano, ma anche bello. Mi mancherà questa combriccola di disagiati c':
Ringrazio tutte le persone che hanno seguito e recensito questa fic, ma anche chi l'ha inserita nei preferiiti/seguiti/ricordati. Se la fic vi è piaciuta e vi ha appassionati, non posso che esserne contenta!
Un ringraziamento particolare va a AliCChan, che mi ha betato questo extra (sopportando pazientamente la mia fissa con le virgole, ahah ♥) e a Gaia a.k.a ninjagirl, la ragazza a cui è dedicata la fic e che mi ha fatto amare questi personaggi.
Buonasera a tutti~

Roby

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