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di giuls_lol
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


prologo

"Papà, ho sentito alla televisione che un uomo ha tentato di spararti…Dio, stai bene?”, chiese Kurt, la voce che gli tremava dallo spavento.

"Sì figliolo, sto bene. Non mi sono fatto neanche un graffio", rispose il padre, cercando di tranquillizzare il figlio.

"Chi è stato? Perché  lo ha fatto? Santo cielo, se penso che avrebbe potuto…che avrebbe potuto…", rispose Kurt, e iniziò a singhiozzare al solo pensiero. 

Sarebbe stato troppo, davvero troppo doloroso perdere il padre.

"Lo so, Kurt, lo so. Ma non è successo, grazie al cielo. Voi come state, è tutto a posto a scuola? Carole e Finn? Stanno bene?", chiese Burt, mettendosi una mano sul fianco.

"Sì, qui è tutto a posto. Stiamo tutti benissimo, e a scuola…beh, va come sempre. Finn tiene alla larga Karofsky. Al Glee ci stiamo preparando per le regionali e…mi manchi tanto. Manchi a tutti", disse Kurt, sospirando pesantemente.

"Già…anche voi…anche voi mi mancate molto. Ma non sarà ancora per tanto, te lo prometto. Appena finisce questo mandato mollo tutto. Non ne posso davvero più, troppo stress tutto insieme…", disse Burt, sospirando per la stanchezza. 

Non lo disse al figlio, ma in realàtà si sentiva terribilmente in colpa nei confronti della sua famiglia. 

Si sentiva come se li avesse abbandonati.

"Stai attento alla pressione, ti prego. L’ultima cosa che voglio è che ti venga un altro infarto. Mancherebbe giusto quello”, disse Kurt.

"La controllo tutti i giorni, non ti preoccupare. Va tutto bene, tutto benissimo!", gli ripeté Burt. 

"Mmm…va bene, mi fido…Carole vuole parlarti. Te la passo…ti voglio bene, papà", disse Kurt, vedendo la donna avvicinarsi a lui, la tensione e la preoccupazione stampate in volto.

"Anch’io, figliolo, anch’io. Stammi bene", disse.

A queste parole Kurt passò il telefono a Carole.

Con il sottofondo della voce ansiosa di Carole, si avviò vero le scale per andare in camera sua, trascinando i piedi sul pavimento.

Chiuse silenziosamente la porta, poi si avvicinò alla sua finestra.

Si appoggiò con l’avambraccio allo stipite della vetrata che dava sul giardino di casa sua e guardò fuori, la sua mente piena di brutti pensieri. 

Se a suo padre fosse successo qualcosa...qualunque cosa...lui non sarebbe sopravvissuto. 

La perdita di un genitore in una vita basta e avanza.

Le lacrime fecero capolino nei suoi occhi.

No. Basta. 

Si impedì di lasciarle scendere, prendendo con le dita sottili il cellulare dalla tasca dei jeans. 

Cercò un contatto, il più recente, e premette il pulsante di chiamata. 

Attese, trattenendo il respiro, che la persona che tava chiamando rispondesse.

“Rachel…ho bisogno di un po’ di compagnia. Ti andrebbe di venire a dormire da me?”, chiese in un soffio alla sua migliore amica.

 

 

 

“Deputato Hummel. Ho il capo dell’ FBI sulla linea 1, come mi aveva richiesto”, disse un ometto, facendo irruzione nello studio di Burt.

“Grazie, John”, disse Burt, rivolgendo un sorriso veloce all’ometto e liquidandolo con un gentile gesto della mano.

“Carole, adesso devo andare. Sì, devo organizzare quella cosa di cui ti ho parlato. Ti chiamo più tardi. Ti amo”, disse.

Premette un piccolo pulsante che stava lampeggiando di luce rossa.

“Signor Hummel, è un piacere avere a che fare con lei. Sono Robert Muller. Voleva parlarmi?”, domandò il capo dell’FBI dall’altra parte del telefono.

Burt sbuffò sonoramente.

“Io…dopo quello che è successo questo pomeriggio…è ovvio che qualcuno vuole ferirmi. E sono convinto che se questa persona mi odia tanto sa perfettamente che l’unica cosa che potrebbe distruggermi è fare male ai membri della mia famiglia. A mio figlio, in particolare. Lui è così…è così innocente”, disse Burt, sinceramente preoccupato e sconvolto.

“Capisco cosa vuole chiedermi. Penso che si possa fare, sì. Mi lasci qualche ora per parlare con qualcuno dei miei ragazzi e sarà fatto”, disse Robert Muller.

“Perfetto, grazie. Buona giornata, signor Muller”, disse Burt.

“Anche a lei”, fece l’altro, e poi riattaccò.

 

 

Robert Muller percorse il corridoio che conduceva alla sala riunioni. Aprii di slancio la porta, non curandosi minimamente di farsi annunciare.

Era abituato così. Lì, lui era il capo.

“Agente Anderson”, disse, facendo un cenno all’uomo seduto sulla sedia.

“Buongiorno, signore”, disse l’uomo, alzandosi compostamente.

“Il deputato Hummel poche ore fa mi ha chiamato per chiedere un programma di protezione per suo figlio”, disse, sedendosi alla sedia all’estremità del tavolo.

“Dopo l’attentato che c’è stato oggi, teme per la sua salute. Il tuo compito è quello di non mollare quel ragazzo neanche per un secondo. Questo è il fascicolo contenente tutte le informazioni utili che possono influire sul caso. Studialo durante il viaggio”, disse, facendo scivolare sul tavolo di legno laccato una busta.

“Domattina atterrerai all’aeroporto e ti dirigerai subito a Lima, Ohio. Entrerai discretamente nella vita del ragazzo e lo proteggerai. Questo è tutto. Conto su di te, non deludermi. Buon viaggio, agente Anderson”.  

 

 

L’agente Anderson tornò a casa in poco tempo dalla sede dell’FBI.

Quando la segretaria lo aveva contattato dicendogli che era urgente, si era portato avanti e aveva già infilato tutto ciò che aveva in valigia, preparandole poi all’ingresso.

Così, tutto ciò che dovette fare fu scendere in strada con la valigia stretta in una mano e una borsa a tracolla, chiamare un taxi, caricare i suoi bagagli, salire sul taxi e dire all’autista la sua destinazione.

Arrivato all’aeroporto e pagato l’autista, scese con i suoi bagagli stretti fra le mani e si avviò all’ingresso.

Depositò la sua valigia sul nastro trasportatore, tenendo invece la borsa come bagaglio a mano, e si avviò verso il check-in.

Salì sull’aereo praticamente per primo, così scelse il posto che più preferiva e estrasse dalla sua borsa il fascicolo che parlava del figlio del deputato Hummel. 

"Kurt e Burt. Burt e Kurt. Si assomigliano terribilmente", pensò divertito tra sé, dopo aver letto il nome del figlio del deputato Hummel. 

L'aereo decollò.

Durante il viaggio lesse tutte le informazioni su quel ragazzo, tante delle quali trovò inutili. 

Cosa serviva sapere per esempio il suo cibo preferito? 

Assolutamente a niente.

Dopo quello che sembrò un tempo infinitamente breve sentii la voce del capitano proveniente dall'altoparlante annunciare l'imminente atterraggio. 

Sceso dall'aereo, davanti al nastro trasportatore, si sistemò il nodo della cravatta nera, un classico per gli agenti dell'FBI. 

Ritirati i suoi bagagli, uscì dall'aeroporto e chiamò un taxi. 

L'aeroporto distava circa un'ora dalla cittadina di Lima, e l'agente Anderson sfruttò questo tempo per prepararsi all'incontro con la famiglia del deputato e in particolare con il suo protetto. 

Era sempre difficile rapportarsi con i protetti. 

Le tre esprienze di protezione testimoni che l'agente Anderson aveva avuto non erano state un granché positive. 

Certo, i protetti non erano stati uccisi, e quindi le missioni erano state portate a termine. 

Chissà se sarebbe andata diversamente questa volta. 

Questi e simili pensieri gli affollarono la mente durante il viaggio in taxi. 

Quando il taxi parcheggiò di fronte ad una bella villetta, l'agente Anderson entrò in modalità professionale. 

Si guardò attentamente intorno per inquadrare la zona, e rendersi conto degli eventuali interventi da fare per renderla più sicura. 

Scese dalla macchina, prese i suoi bagagli, pagò il tassista e si avviò verso la porta. 

Si sistemò nuovamente la cravatta, fece un respiro profondo, alzò il braccio e suonò il campanello.

 

 

 

NDA

salve a tutti!  beh, da dove cominciare? mmm...dunque...questa è la prima fan fiction che pubblico, ne ho scritte tante ma le ho sempre tenute per me...
solo che l'idea di questa mi ha coinvolto talmente che ho deciso di pubblicarla...ho già scritto tutta la storia nella mia testa, ora devo solo trovare il tempo
di scriverla a computer u.u
il titolo tradotto significa protezione della porcellana (chissà perchè poi porcellana) e spiegherò meglio nel prossimo capitolo perchè è proprio questo il titolo.
per chi sta leggendo questo capitolo e ha intenzione di recensirlo *elemosinarecensioni*, vorrei sapere oltre a cosa ne pensate, anche se preferite capitoli
più lunghi o se così vanno bene, e se avete consigli in generale...
per gli aggiornamenti ho pensato che dovrei riuscire a fissarmi 2 giorni alla settimana...ci devo ancora pensare però...vi farò sapere nel prossimo capitolo ;)
dopo tutte queste inutili informazioni che vi sto dando perchè spero che qualquno legga questa storia, credo di aver finito...
ringrazio di cuore la mia beta betucciola Adelina, che mi sta sempre vicina e mi supporta...tantoammore a te, adels <3
beh, che dire, ringrazio chi è arrivato a leggere fino a qui...grazie mille e al prossimo capitolo!

Giuls

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1

“Oh…ehm, mamma! C’è un tizio alla porta…sembra un poliziotto. Però ti giuro che io non ho fatto niente…magari è stato Kurt…”, disse il ragazzo che aveva aperto la porta all’agente Anderson.

“Non ti preoccupare, non ha fatto niente nessuno. Vai a chiamare tuo fratello, vi devo parlare”, disse una donna, comparendo alle spalle del ragazzo.

“Ma c’è Rachel con lui…”, disse il ragazzo, guardando interdetto la madre.

“Prego, si accomodi”, disse Carole, facendo segno all’agente di entrare.

“Chiedi a Rachel di tornare più tardi”, disse Carole sbrigativa, guardando il ragazzo.

“Ma come faccio, scusa? Mi mangerà vivo”, disse il ragazzo, avviandosi con aria sconsolata al piano di sopra.

“Piacere, Carole”, disse Carole, stringendo la mano dell’agente che aveva di fronte.

“Agente Anderson. Il piacere è tutto mio”, rispose lui gentilmente.

“Posso offrirle qualcosa intanto che aspettiamo? Sa, è domenica mattina, Kurt ci metterà tanto a scendere”, disse Carole, facendolo accomodare su una sedia in cucina.

“Se non le è troppo di disturbo, gradirei una tazza di caffè”, disse l’agente Anderson, sorridendo appena.

“Assolutamente! Sarà stravolto, chissà per quanto ha viaggiato!”, esclamò Carole, affaccendandosi per preparagli ciò che aveva chiesto.

“Suo marito le ha parlato di ciò che succederà da qui fino a che il problema si sarà risolto?”, chiese l’agente Anderson.

“Sì, mi ha spiegato tutto. E proprio perché lei si fermerà qui per tanto vorrei chiederle per prima cosa come si chiama di nome. E poi vorrei che mi desse del tu”, disse Carole, mettendo a scaldare un po’ di acqua.

“Mi chiamo Blaine. Solitamente non è una cosa positiva essere così in confidenza con le famiglie dei protetti”, disse l’agente Anderson, Blaine.

“Oh, suvvia, lo faccia per me. Vivrà qui per molto tempo, e nella nostra famiglia siamo molto calorosi”, disse, posizionando una tazza sul tavolo davanti a Blaine.

“Se la mette così…beh, a condizione che anche tu non mi dai del lei”, disse, tentennando come spesso succede nelle imbarazzanti occasioni in cui ti trovi a passare dal lei al tu, e non sai bene in che modo farlo.

“Affare fatto”, disse Carole, sorridendo gentile.

Si sentirono dei passi scendere le scale, poi una ragazza comparve alla porta della cucina.

“Arrivederci, signora Hummel. Grazie per l’ospitalità”, disse la ragazza, sorridendo.

“Sei sempre la benvenuta, Rachel. Torna presto e saluta i tuoi papà”, disse Carole, salutando la ragazza con un sorriso materno.

“Kurt, ci vediamo domani a scuola, su con la vita”, disse Rachel a qualcuno che non si era ancora presentato.

“Finn, io e te invece ci vediamo dopo. Non fare tardi, non ho intenzione di aspettarti come al solito”, disse la ragazza in tono pungente.

“Che caratterino”, pensò Blaine.

“Arrivederci a tutti!”, disse, e poi se ne andò chiudendosi la porta d’ingresso alle sue spalle.

“Io te l’avevo detto che si arrabbiava con me poi”, disse Finn, entrando in cucina e lasciando cadere di peso su una sedia, abbattuto.

Blaine si concentrò sul caffè fumante che Carole gli aveva appena versato.

“Carole, perchè ci devi parlare? E perchè Finn ha detto che c'è un poliziotto in casa? Se è successo qualcosa, è stato lui”, disse qualcuno entrando in cucina. 

Blaine alzò lo sguardo e quasi si strozzò con il sorso di caffè bollente.

Quello doveva essere Kurt Hummel, non c'era dubbio. 

Ogni suo dettaglio era chiaramente riconducibile alle informazioni contenute nel fascicolo che aveva letto poco prima.

“Non me lo sarei mai immaginato così...così”,  pensò Blaine, riuscendo a inghiottire il caffè senza procurarsi un ustione. 

“Kurt, tesoro, siediti”, disse Carole, indicandogli la sedia accanto a dove si era seduto Finn.

“Lui è l’agente Anderson. Ma potete chiamarlo Blaine. Tuo padre era preoccupato per la tua sicurezza e ha chiesto di mandare un agente per proteggerti”, disse Carole.

“Sono sempre stato capace di difendermi da Karofsky. Non c’è bisogno di qualcuno che mi protegga. Finn è già abbastanza. Non mi parla da una settimana e…”, disse Kurt a raffica, senza nemmeno respirare.

Era palese che stava mentendo.

Blaine pensò che avrebbe dovuto sapere presto chi era questo Karofsky.

“Kurt, Kurt, ascoltami. Tuo padre non vuole difenderti da Karofsky, ma dalla persona che ha tentato di ucciderlo ieri pomeriggio. Dopo che ha visto che tuo padre è inavvicinabile, c’è la possibilità che ci provi con te”, disse Carole, appoggiando una mano su quella di Kurt.

“Non è possibile…insomma, solo un malato di mente potrebbe pensare di…”, disse Kurt, sconcertato.

“Kurt, come credi che sia una persona che tenta di ucciderne un’altra?”, chiese Blaine, rompendo il rispettoso silenzio in cui era rimasto fino a quel momento.

“No, aspettate, perché qualcuno dovrebbe voler uccidere Kurt?”, chiese Finn, l’espressione perplessa.

“Per far soffrire Burt. Pensaci, Finn. Se non riesci a colpire una persona cosa fai? Colpisci le persone che gli stanno care. Anche noi avremo una pattuglia della polizia che rimarrà fuori casa, e Blaine terrà d’occhio anche te a scuola, ma Kurt è il più in pericolo”, spiegò Carole guardando il figlio.

“E cosa dovrai fare?”, chiese Finn, rivolgendosi a Blaine.

“Semplicemente proteggerlo. E per farlo, dovrò stargli vicino sempre”, spiegò l’agente, bevendo un altro sorso di caffè.

“Potrebbe non essere una brutta idea…guarda che occhi…”, pensò Kurt, elettrizzato all’idea di essere seguito costantemente da un uomo così bello.

“Per questo, vorrei parlare un attimo da solo con Kurt…per organizzarci su alcune questioni pratiche”, disse Blaine, schiarendo il tono di voce e bevendo un po’ di caffè.

“Certo…Finn, vai a sistemare camera tua, forza”, disse Carole, uscendo dalla cucina e dando da fare qualcosa che avrebbe impegnato il figlio per molto, in modo da lasciar parlare Kurt e Blaine senza essere disturbati.

“Allora, Kurt…so che non è facile accettare l’idea che mi avrai alle costole tutto il giorno, ma questo è il mio incarico, e sue questo non transigo”, iniziò Blaine, guardando dritto in faccia Kurt.

“Ci farò l’abitudine. Mi so adattare facilmente”, rispose Kurt, alzando le spalle.

“Bene. Adesso ho bisogno di sapere le tue abitudini. Nei minimi dettagli. Per pianificare meglio la sorveglianza”, disse Blaine.

 "Ti racconto la mia giornata tipo, allora…mi alzo abbastanza presto, faccio la doccia, mi preparo per andare a scuola, Finn mi accompagna a scuola, vengo spintonato contro gli armadietti da due ragazzi della squadra di football intanto che sto andando in classe, vado alla seconda lezione, alla terza, e alla quarta. In pausa pranzo mangio con le mie amiche, poi ho le prove con il Glee Club. Poi faccio quello che ho voglia di fare, dipende”, spiegò il ragazzo riassumendo ciò che succedeva in una sua giornata normale.

“Perfetto. Allora da domani io sarò un tuo amico di vecchissima data che si è trasferito qui. Mi dai la lista dei tuoi corsi, per favore?”, chiese Blaine.

“Certo…”, rispose Kurt, alzandosi per prendere un foglio appeso al frigorifero.

“Grazie”, rispose Blaine, dando una veloce lettura al foglio.

“Quanti anni hai?”, gli chiese Kurt all’improvviso, curioso.

Appoggiò il mento sulla mano destra.

“Sono in classe con te, e non sono mai stato bocciato. Diciotto”, rispose Blaine, con tono ovvio.

Kurt lo guardò male.

“Non intendevo quanti anni avrai a scuola. Quanti anni hai davvero? Il tuo vero te?”, chiese Kurt, alzando gli occhi al cielo.

“Ventidue”, rispose, Blaine.

“Questa informazione non deve uscire da questa cucina”, aggiunse Blaine, alzando un indice davanti a sé e fissando Kurt negli occhi, cercando di fargli capire che non stava scherzando.

“Sissignore”, disse Kurt, storcendo il naso per la poca fiducia che quel ragazzo riponeva in lui.

“Kurt…chi è Karofsky?”, chiese Blaine, guardando Kurt con aria seria.

“Un ragazzo…è uno della squadra di football…lui mi…mi spinge contro gli armadietti, mi lancia granite in faccia e mi insulta…niente di cui tu debba preoccuparti, non feriscono più queste cose e di sicuro non mi ucciderà”, disse Kurt velocemente, non volendo dare troppe spiegazioni.

“Questo lo dici tu. Sono qui per proteggerti da tutto, non solo dal pazzo che potrebbe ucciderti. Perché fa tutte queste cose?”, chiese Blaine.

“Perché io…beh, mi sembra ovvio, no? Io sono gay, Blaine, e questo a loro non piace. Non ho idea del perché, ma è così. E ci ho fatto l’abitudine, ormai”, disse Kurt, alzando le spalle.

“Oh, è gay…no, Blaine! È solo una persona che devo proteggere. Solo quello. Non facciamoci venire in mente strane idee”, si disse silenziosamente.

“Non ti preoccupare che da domani non ti daranno più fastidio”, disse Blaine, cercando di rincuorarlo.

“Vuoi che ti porto a fare un giro di Lima? Non è molto grande, a dire il vero, ma se dovrai vivere qui per un po’…”, disse Kurt.

“Sì, almeno mi guardo un po’ intorno”, rispose Blaine.

“Prima ti porto in camera tua, così sistemi le tue cose. E magari ti cambi anche. Dai un po’ troppo nell’occhio”, disse Kurt, squadrando da cima a fondo la figura che poteva vedere di Blaine. 

“A questo proposito, se mi accompagni a fare un po’ di shopping…sai, ho pochi vestiti ‘normali’ ormai”, disse Blaine, finendo il caffè, che ormai si era raffreddato.

“Va bene”, rispose Kurt, lasciando trasparire l’entusiasmo che quella parola gli metteva.

Kurt si alzò dalla sedia, e Blaine lo imitò.

“Bene, allora…vieni”, disse Kurt, strofinandosi le mani sui fianchi, e uscendo poi dalla cucina.

Blaine prese i suoi bagagli in mano e lo seguii su per le scale.

 

 

 

 

“Questo è un bel negozio…si trovano tante cose…c’è un reparto intero di papillon, da quella parte”, disse Kurt, indicando una zona del negozio, ridendo divertito.

Per uscire Blaine aveva indossato l’unico completo che si era portato diverso dalla divisa dell’FBI.

E questo completo comprendeva un terribile papillon di vari colori e trame. (*)

"Iniziamo dai pantaloni", disse Kurt, avviandosi verso un lato del negozio. 

Passarono circa un'ora e mezza nel negozio di vestiti, uscendo con una decina di sacchetti tra le mani. 

"Per shopping tu intendi proprio...shopping!", esclamò Blaine intanto che attraversavano la strada, scoppiando a ridere. 

"Come mai sei così amichevole con me?", chiese Kurt di botto, fermandosi sul marciapiede e guardando Blaine intensamente.

"Cosa intendi per amichevole?", chiese Blaine, l'espressione perplessa. 

"Dai, lo sai...non prendermi in giro...gli agenti dell'FBI sono quegli uomini altissimi e muscolosi che si vestono tutti uguali, con gli occhiali neri, che sono più freddi del ghiaccio al polo nord", spiegò Kurt.

"Cavolo, ha ragione...mi viene così naturale, però...una scusa, devo trovare una scusa", pensò Blaine tra sé. 

"Sto solo cercando di entrare nel personaggio", disse Blaine, ed era la prima cosa che gli era venuta in mente. 

Quella che aveva detto era decisamente una crudeltà.

Come gli era uscita una cattiveria simile? 

Avrebbe potuto dire qualsiasi altra cosa... ad esempio, avrebbe potuto dirgli che...boh, non ne aveva idea...

"Beh, certo, è ovvio", rispose Kurt, con aria perplessa. 

No, non gliela dava a bere. 

Kurt evitò di insistere per sapere la verità. 

Era certo però che quello che gli aveva detto Blaine non era la verità.

Se lo sentiva nelle ossa. 

"E questo è il Breadstick. Credo che sia il ristorante migliore di Lima. Diciamo che non c'è molta competizione", considerò Kurt, davanti ad un ristorante.

Blaine guardò all'interno. 

Sembrava accogliente, un po' piccolo forse. 

Ma era meglio che gli ambienti di quella cittadina fossero piccoli. 

Sarebbe stato più facile tenere Kurt al sicuro.

 

 

 

 
(*) mi riferisco al papillon che Blaine ha nella 3x14, quando canta cough syrup...trovo che sia davvero mostruoso, soprattutto con la camicia a quadretti! D:

NDA

Salve a tutti!
Per prima cosa ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito, aggiunto a  ricordate, seguite e preferita la mia storia. grazie!
Sinceramente non mi aspettavo che vi piacesse così tanto....me super felice!!!!
In questo capitolo abbiamo trovato un po' di Hummelberry (sappiate che ci sarà SEMPRE, perchè io adoro il loro rapporto u.u ), un po' di Finnocenza (in fondo durante il capitolo ha fatto domande che avevano anche senso), un po' di affetto materno da parte di Carole e ovviamente....KLAINE!!  
Il modo di comportarsi di Blaine è decesimente del tutto diverso dagli stereotipi che abbiamo riguardo al comportamento di un agente dell'FBI.
Kurt ovviamente se ne accorge e gli chiede spiegazioni...e Blaine si inventa una balla. Perchè anche gli agenti dell'FBI hanno un cuore, ma non è il caso di mostrarlo troppo...
Cooomunque....Kurt sembra aver accettato bene l'idea di avere Blaine che lo segue 24 ore su 24...vedremo come si evolveranno le cose...
A proposito, sia chiaro che io adoro i papillon di Blaine, ma quello della 3x14 era davvero troppo....mi vengono ancora i brividi a ripensarci...
Bene, credo di aver finito....
Ringrazio la mia beta betucciola Adelina...Adels, come farei senza di te? <3
e vi ringrazio per aver letto questo capitolo...fatemi sapere cosa ne pensate!
Baci

Giuls





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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


capitolo 2

Arrivati nel parcheggio del McKinley, Finn spense il motore della macchina.

Kurt prese la sua borsa in mano e scese, seguito a ruota dal fratellastro.

L’agente Anderson, Blaine, li imitò, guardandosi intorno.

Era tutto tranquillo, sembrava proprio il caotico cortile di un liceo prima dell’inizio delle lezione.

E in effetti lo era.

“Finn, stamattina mi sono messo il completo di Alexander McQueen. Possiamo passare dall’ingresso della mensa? Ti prego”, lo implorò Kurt.

“Certo, andiamo”, disse, avviandosi verso l’entrata secondaria della scuola.

Blaine affiancò subito Kurt.

“L’ingresso principale non è di là?”, chiese Blaine, confuso.

Sapeva perfettamente che c’era un’altra entrata, che dava sulla sala mensa della scuola, da cui poi si poteva arrivare al corridoio principale e quindi a tutte le classi.

La pianta dell’intero McKinley era stampata indelebilmente nella sua memoria.

In caso di necessità, avrebbe dovuto trovare velocemente una strada per portare Kurt al sicuro.

Per questo doveva conoscere perfettamente la dislocazione di ogni aula, ogni finestra, ogni porta, ogni corridoio.

Aveva passato buona parte della serata precedente, chiuso nella sua camera, a studiarla.

“Sì, ma stamattina non entriamo per di là”, disse Kurt, rispose Kurt, proseguendo il suo cammino, in mezzo tra Finn e Blaine.

“Posso sapere il motivo?”, chiese Blaine, sistemandosi la tracolla sulla spalla.

Erano quasi cinque anni che non andava più a scuola, e si era dimenticato di quanto fosse scomodo portare una borsa piena di libri su una spalla.

Finn spinse la porta dell’entrata con un braccio, e la tenne aperta anche per gli altri due ragazzi.

“Stamattina non mi va di fare un’altra doccia”, rispose Kurt in un sussurrò.

“Continuo a non capire…”, disse Blaine, seguendo Kurt che si stava avventurando nella massa di studenti nei corridoi.

“Kurt…fermati un secondo!”, esclamò Blaine, prendendolo per un polso e facendolo fermare in mezzo al corridoio.

Kurt si voltò a guardarlo con aria spazientita.

“Senti, Kurt…”, iniziò Blaine, ma fu interrotto da una ragazza sorridente che si avvicinò.

L’aveva già vista…ah, già, era la ragazza che si trovava a casa Hummel-Hudson la sera precedente.

Il suo nome…il suo nome…mmm…Rachel, giusto.

“Buongiorno amore! E buongiorno anche a te, Kurt!”, esclamò Rachel ai due fratellastri, sprizzando vitalità da ogni poro.

“Oh, ehm…e buongiorno anche a te sconosciuto!”, disse, salutando anche Blaine, che in risposta fece un piccolo cenno col capo.

Doveva parlare con Kurt, e lei li aveva interrotti.

“Chi diavolo è?”, sussurrò Rachel a Kurt, incrociando le braccia al petto.

“Blaine. È un mio vecchio amico, ci siamo conosciuti da piccoli e…”, iniziò Kurt, partendo a raccontare diligentemente la storia che si era inventato Blaine come sua copertura.

“Ok, me lo racconti in classe, ora devo andare. Finn, vieni con me?”, chiese Rachel, inclinando notevolmente la testa per guardare negli occhi il suo altissimo ragazzo.

“Certo. Kurt, ci vediamo dopo…beh, insomma, sei in buone mani”, disse Finn, abbozzando un sorriso e seguendo poi Rachel nel corridoio.

“Allora, cosa c’è?”, chiese Kurt, guardandosi intorno circospetto.

“Senti, Kurt. Io sono qui per proteggerti. Da qualunque cosa o persona. Perciò ho bisogno di sapere ogni cosa. Nei dettagli”, disse Blaine, cercando di non fissare troppo il suo sguardo nei bellissimi occhi di Kurt, per non rimanerne ipnotizzato.

Kurt prese fiato e aprì la bocca, ma fu interrotto da qualcosa.

Anzi, da qualcuno.

Un ragazzo, che Blaine suppose essere Karofsky, era appena passato accanto a Kurt.

“Frocetti”, aveva detto con disprezzo, e poi aveva preso la borsa a tracolla di Kurt dalla sua spalla e l’aveva portata con sé, lasciandola andare in mezzo al corridoio.

“Ti presento Karofsky”, disse Kurt, percorrendo la breve distanza che lo separava dalla sua borsa e rimettendosela in spalla.

“Lo fa spesso?”, chiese Blaine, raggiungendo Kurt.

“Almeno una volta al giorno. E con doccia, prima, intendevo doccia fredda, di granita. In questo periodo predilige quella al mirtillo. È difficilissima da pulire”, sbuffò Kurt, avviandosi verso la classe della loro prima lezione.

Kurt non sapeva come, ma Blaine era davvero riuscito a ottenere di frequentare tutti i suoi stessi corsi, senza nemmeno passare una volta per la segreteria.

“Trucchi da FBI”, aveva concluso Kurt tra sé, dopo averci pensato un po’ su.

“Aspetta…ti tira le granite?”, chiese Blaine.

Quella non l’aveva mai sentita.

“Sì, in faccia. E ti assicuro, non è una sensazione piacevole. Quando poi i pezzi di ghiaccio sono particolarmente grandi fa anche abbastanza male”, considerò Kurt, parlando più a sé stesso che a Blaine.

Entrarono in classe.

“Quanto spesso succede?”, chiese Blaine, sedendosi accanto a Kurt.

“Dipende. In media tre, quattro volte a settimana”, rispose Kurt, prendendo dalla borsa il suo quaderno di letteratura inglese.

“Ti fa qualcos’altro, Kurt?”, chiese Blaine.

“A parte spintonarmi contro gli armadietti, scrivere cose oscene sul mio armadietto e tirarmi qualche pugno se mi ribello no, nient’altro”, rispose, sospirando.

“Alt, alt, alt. Spintoni? Pugni?”, gli chiese Blaine.

Blaine avrebbe potuto, secondo il suo lavoro, lasciar perdere tutto, se non ci fossero stati spintoni e pugni.

Ma era suo dovere fermare qualsiasi tipo di violenza fisica fatta a quel ragazzo.

“E”, pensò, “anche se non fossi pagato per quello, lo farei comunque”.

“Già. Basta ignorarli”, disse Kurt, alzando le spalle e dedicando attenzione all’insegnante che era appena entrato in classe.

Blaine lasciò cadere il discorso.

Non avrebbe più dovuto ignorarli.

Non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che avrebbero smesso.

 

La mattinata passò velocemente.

Kurt e Blaine si sedettero ad un tavolo in mensa.

A cui si sedettero altre undici persone.

Di queste undici persone, Blaine ne conosceva due: Finn e Rachel.

Kurt procedette a fare le presentazioni e a raccontare a tutti la storia inventata di Blaine.

Così Blaine seppe dare un nome a ognuno: Quinn, Puck, Santana, Brittany, Mercedes, Sam, Artie, Mike e Tina.

Erano i membri del glee club del McKinley.

A cui da quel pomeriggio anche lui avrebbe partecipato.

Grazie al cielo aveva qualche dote canora, perché doveva stare con Kurt, e quest’ultimo non voleva assolutamente saperne di lasciare il glee.

Glielo aveva proposto il pomeriggio precedente, parlando della scuola, spiegandogli che passare poco tempo fuori di casa sarebbe stato molto più sicuro.

E Kurt era inorridito.

“Preferisco morire per mano di un killer che rinunciare al glee”, queste erano state le sue parole a riguardo.

“E glee club sia”, aveva allora risposto Blaine, strofinandosi il collo con una mano.

In fondo, l’idea di ricominciare a cantare non era poi così male per lui.

Amava cantare da quando era piccolo, alcuni dicevano fosse nato per farlo, ma da quando era diventato agente dell’FBI non ne aveva avuto più l’occasione.

Se non nell’intimità di casa sua. 

“Siamo molto felici che hai deciso di unirti a noi!”, disse Rachel, sorridendo esageratamente.

“Già, così puoi unirti al coretto per la Berry”, borbottò Santana, guardandosi le unghie.

“Guarda che ti ho sentito Santana!”, esclamò Rachel, stizzita.

“Dai, San, lasciala stare”, disse Mercedes a Santana, cercando di tranquillizzarla.

“E tu Finnocenza, non fare quella faccia”, disse Santana, lanciando uno sguardo che avrebbe potuto incenerire a Finn.

“San, stamattina ho visto un unicorno!”, esclamò Brittany estasiata.

Blaine non riusciva più a seguire quel contorto discorso che gli amici di Kurt stavano facendo.

E cosa c’entravano, poi, gli unicorni?

“Ma è sempre così?”, chiese Blaine a Kurt, distraendolo da ciò che stava facendo, cioè leggere con Rachel un articolo del nuovo numero di Vogue.

“Sì, abituatici”, disse Kurt, senza nemmeno alzare lo sguardo dalla rivista.

 

Finito di pranzare, chi prima chi dopo, si spostarono tutti nell’aula dove si tenevano le lezioni del glee.

Kurt si sedette in ultima fila e Blaine si accomodò accanto a lui.

Appena il professor Schuester entrò accolse calorosamente Blaine.

“Un nuovo membro! Cresciamo sempre di più, che meraviglia!”, aveva commentato, appoggiando degli spartiti sul pianoforte davanti a lui.

Poi Rachel si era alzata e aveva preso il controllo della lezione.

Preso il controllo nel vero senso della parola.

Aveva iniziato a parlare ad una velocità inaudita, e in più i suoi discorsi sembravano senza senso.

Dopo aver deliziato tutti i presenti con la sua performance giornaliera, aveva iniziato a proporre canzoni su canzoni per le regionali.

“È brava”, aveva commentato a mezza voce Blaine.

“Sì, decisamente. Però Santana aveva ragione quando ha detto che farai parte del suo coretto…insomma, tutti ne facciamo parte. Tranne Finn che canta le ballad con lei. Se ti fossi davvero unito al glee ti consiglierei di non tentare nemmeno di proporre canzoni. Men che meno di chiedere umilmente un assolo. Non te lo permetterebbe”, gli rispose Kurt, che lo aveva sentito.

“Ma tanto non ti sei unito davvero al glee”, aggiunse, sospirando.

“Quando torniamo a casa voglio parlarti”, fu la risposta di Blaine.

“Ah, e scusa la curiosità, ma non hai niente in contrario con questo suo modo di fare?”, chiese Blaine, curioso.

“Sì, a volte sì. Ma egoisticamente. Perché lei è una star, e si merita tutte le attenzioni che cerca”, rispose Kurt, guardando con affetto l’amica che ancora stava straparlando in mezzo alla stanza.

“Okay, Rachel, è abbastanza per oggi”, disse Schuester, interrompendola per salvare i suoi studenti dalla parlantina della ragazza

O per salvare lei dai loro istinti omicidi.

“Ah, ragazzi. Il tema di questa settimana è l’adolescenza. Le migliori canzoni legate al vostro mondo. E ovviamente saremo ansiosi di sentire anche il nuovo arrivato. Vero, Blaine?”, chiese Schuester, intanto che cerchiava la parola scritta con pennarello nero alla lavagna.

La campanella suonò e i ragazzi uscirono dalla classe salutando il professore.

Intanto che Kurt e Blaine si dirigevano affiancati verso la macchina, preceduti da Finn e Rachel, Kurt stava pensando tanto da farsi venire il mal di testa.

“Come diavolo farai per il compito del glee?”, chiese Kurt ad un certo punto a Blaine, coinvolgendo l’altro per trovare una soluzione più veloce.

“Semplice. Canterò”, rispose Blaine, entrando in macchina e mettendosi comodo sul sedile posteriore.

NDA

Salve a tutti!
Per prima cosa ringrazio tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui, che hanno letto e recensito lo scorso capitolo, e tutti quelli che hanno aggiunto a ricordate, seguite e preferite....grazie :')
Bene, da dove partire? Oh, già....PERDONATE IL MIO LEGGERO RITARDO! Ma ho avuto qualche problema e non trovavo mai il tempo di concludere il capitolo. Giuro non lo faccio più!
Tornando al capitolo...dunque, è un capitolo di passaggio, in cui Blaine conosce i nostri dolciosi e pazzi membri del glee...e capisce che non sono del tutto normali xD
E all'inizio del capitolo viene presentata la situazione con Karofsky....
Poi arriva Blaine con i suoi soliti pensieri che ti lasciano un po'...ma WTF?!
Bene....oh, già, una cosa che volevo dire...il tema della settimana che Will da al glee è un po' banale ma.......nel prossimo capitolo capirete perchè!...(se non l'avete già fatto)
Detto questo, vi volevo far sapere che dovrei riuscire a stare nei due aggiornamenti alla settimana...penso il martedì e il venerdì...ma non lo assicuro :)
Ringrazio come sempre la mia beta betucciola Adelina e per questo capitolo in particolare Christian, che mi ha sbloccato il blocco dell'autore....grazie ragazzi, vi amo :') <3
Vi auguro una superbuonapasqua e fantastiche dormite fino a mezzogiorno durante le vacanze...
Un bacio e alla prossima!


Giuls


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


capitolo 3




“Ciao a tutti”, disse Kurt, facendo il suo ingresso nella classe di canto, seguito a ruota da Blaine.

“Ciao”, salutò anche Blaine, sorridendo appena.

“Buongiorno ragazzi!”, esclamò il professor Schuester entrando a sua volta e poggiando come suo solito la sua borsa di pelle sul pianoforte.

“Ehm, Blaine, so che sei nel glee club solo da una settimana, ma è molto importante svolgere i compiti, per imparare ad adattarsi a qualsiasi situazione. E mancherebbe solo la tua esibizione…”, disse Schuester, guardando Blaine, intanto che distribuiva degli spartiti ai suoi alunni.

“Sì, professore. Sono pronto”, disse Blaine, alzandosi dalla sua sedia e andando al centro della classe.

Si prese qualche secondo di silenzio, aspettando che i suoi compagni gli rivolgessero l’attenzione, e scuotendo le braccia per scaricare la tensione.

Before you met me I was a wreck but things were kinda heavy, you brought me to life, now every February you'll be my Valentine, Valentine”, iniziò a cantare Blaine, lo sguardo a terra, e il battito cardiaco leggermente accelerato.

Anche lui era un essere umano, no?

Poteva permettersi di provare agitazione.

Certo, era strano che non avesse nessun problema ad essere chiuso in una stanza per interrogatori davanti ad un pluriomicida, e che lo fosse per cantare davanti a una decina di liceali.

Fece un respiro profondo, e continuò.

Let’s go all the way tonight, no regrets, just love. We can dance, until we die, you and I, we’ll be young forever”, cantò.

Ma, senza quasi neanche accorgersene, i suoi occhi si erano spostati dal pavimento al viso di Kurt.

Blaine si trovò piuttosto spiazzato da quel suo comportamento, e non sapeva spiegarsi perché l’aveva fatto.

Kurt, invece, quasi non se ne accorse.

Nel senso che sì, ovviamente si accorse che Blaine lo stava guardando, ma semplicemente perché Blaine lo guardava sempre.

Per proteggerlo, diceva sempre Blaine.

E Kurt ci credeva, non aveva dubbi sul fatto che lo facesse semplicemente per quello.

You make me feel like I’m living a teenage dream, the way you turn me on, I can’t sleep. Let’s runaway and don’t ever look back, don’t ever look back”, cantò Blaine, gli occhi ancora fissi sul viso di Kurt.

My heart stops when you look at me just one touch, now baby I believe this is real, so take a chance and don't ever look back, don't ever look back”, proseguì Blaine con la canzone.

Perché diavolo non riusciva a distogliere lo sguardo da Kurt?!

You make me feel like I’m living a teenage dream, the way you turn me on, I can’t sleep. Let’s runaway and don’t ever look back, don’t ever look back”, cantò.

E grazie a quella frase capì.

Capì che, proprio come diceva la canzone, Kurt lo faceva sentire come un’adolescente.

I’ma get your heart racing in my skin-tight jeans, be you’re teenage dream tonight. Let you put your hands on me in my skin-tight jeans, be you’re teenage dream tonight”, concluse Blaine, interrompendosi abbastanza bruscamente, e rimanendo senza fiato qualche secondo.

Aveva ancora gli occhi fissi su Kurt, e con un immenso sforzò riuscì a distogliere lo sguardo.

“Complimenti, Blaine. Ottima scelta, e hai davvero una bella voce”, disse il professor Schuester, applaudendo insieme ai suoi studenti.

“Grazie”, disse Blaine in un soffio, tornando a sedersi al suo posto.

Rachel si agitava tutta sulla sedia, felice che un talento come quello di Blaine fosse entrato a far parte delle Nuove Direzioni.

Kurt applaudiva, sorpreso che Blaine fosse così bravo.

E Blaine invece…beh, Blaine pensava.

Pensava a tutte le volte che si trovava nel letto la sera, a ricordarsi di tutti i comportamenti di Kurt durante la giornata, del suo modo di fare, del suo modo di agire.

Perché, si rese conto in quel momento, cercava di capire.

Cosa ancora non lo sapeva.

Era confuso.

E non è forse così che si sentono tutti gli adolescenti?

“Ma santo cielo, non sono un’adolescente io!”, scoppiò nella sua testa Blaine, agitandosi leggermente sulla sedia.

Poi si alzò e si avviò verso la porta dell’aula di canto.

“Devo andare un attimo in bagno”, disse al professor Schuester, uscendo dall’aula.

Sapeva perfettamente di non dover lasciare Kurt da solo, ma aveva davvero bisogno di schiarirsi un poco le idee.

 

 

 

Entrò nel bagno più vicino, appoggiandosi ad un lavandino.

Sospirò rumorosamente.

“Cosa sto cercando di capire?”, sussurrò, guardando il riflesso dei suoi occhi nello specchio, per scavarsi dentro.

Rimase così qualche decina di secondo, poi vide con la coda dell’occhio la porta aprirsi.

Voltò la testa di lato e vide entrare Kurt.

“Il professore Schuester mi ha mandato per vedere se stavi bene…”, disse Kurt, chiudendo la porta del bagno e appoggiandocisi.

I loro sguardi si incrociarono qualche secondo, poi entrambi si concentrarono su altro.

Blaine sulle sue mani, ancora appoggiate al lavandino, Kurt su un punto indefinito per terra.

“Sì, sto bene”, disse Blaine, cercando di darsi un contegno, e tirandosi su.

“Hai fatto preoccupare anche me…”, disse Kurt, a bassa voce.

“Sai, mi hai lasciato da solo…”, aggiunse velocemente, non voleva che Blaine fraintendesse.

“Non avrei dovuto, mi spiace”, disse Blaine, sorridendo appena.

Kurt alzò le spalle, ricambiando il sorriso.

“Torniamo di là?”, chiese Kurt, aprendo la porta.

Blaine annuì, seguendo Kurt fuori dal bagno.

“Sei davvero bravo, sai”, disse Kurt, camminando verso l’aula di canto, qualche passo davanti a Blaine.

“Grazie”, rispose Blaine, sorridendo appena.

 

 

 

 

Durante la lezione rimanente, circa mezz’ora, il professor Schuester iniziò a parlare delle regionali, che si sarebbero tenute di lì ad una settimana.

Comunicò la scaletta definitiva e annunciò che la competizione si sarebbe svolta nell’auditorium della loro scuola.

Alla fine della lezione, i ragazzi uscirono confabulando tra loro sulle regionali, eccitati ed emozionati.

Fuori aveva iniziato a diluviare e, sia Finn, che Kurt che Blaine non avevano l’ombrello.

Così i tre iniziarono a correre, attraversando il cortile del McKinley, verso la loro macchina.

Poi Blaine si fermò, senza un apparente motivo, ad una ventina di metri dall’auto.

Perché aveva capito.

“Voglio solo capire se posso essere suo amico”, sussurrò, colpito da quella consapevolezza.

Diamine, non avrebbe dovuto esserci quel pensiero in lui.

L’unica cosa che doveva fare era proteggerlo.

Ma così non riusciva ad andare avanti.

Perché voleva che quel ragazzo fosse suo amico.

E sarebbe stato sicuramente peggio se non lo fossero diventati.

“Blaine! Cosa diavolo stai facendo?”, chiese Kurt, seduto in macchina, il finestrino abbassato.

“Muoviti a salire, se no ti prendi una polmonite!”, esclamò di nuovo il ragazzo.

Blaine si ridestò dai suoi pensieri, scuotendo la testa, e ricominciò a correre verso la macchina.

Sì, quella situazione doveva assolutamente cambiare.

E Blaine avrebbe dovuto parlarne il più presto possibile anche con Kurt.














NDA
Salve a tutti!
Per prima cosa ringrazio come sempre tutti quelli che hanno letto e recensito lo scorso capitolo (a proposito, non ho ancora risposto alle recensioni perchè ho avuto dei problemi con la connessione...farò del mio meglio per rispondervi il prima possibile!) e tutti quelli che hanno inserito la storia in ricordate, seguite e preferite....tutte le volte che vedo il numero salire, mi viene tipo un infarto xD

Ho aggiornato così tardi fondamentalmente per due motivi: i problemi di connessione che vi ho già accennato e il mio computer idiota che mi ha cancellato il capitolo quasi finito...-.-''
Ho dovuto riscriverlo da capo...
BTW, questo capitolo mi è uscito un po' cortino, fondamentalmente perchè è un capitolo di passaggio, in cui il cervellino di Blaine ha un miliardo circa di intuizioni geniali, e di cui rimane abbastanza sconvolto.......e la canzone di cui parlavo nell'altro capitolo è ovviamente Teenage Dream....e dato che avevo già deciso il comportamento di Blaine durante la canzone, ho dovuto modificare e adattare alla scena il testo della canzone...e sono davvero diventata matta per farlo, anche perchè non volevo che uscisse troppo lunga e poi diventasse noiosa....
Il prossimo capitolo è già praticamente pronto....non vi assicuro niente, ma diciamo che tra domani e martedì dovrei riuscire ad aggiornare....a meno che non mi si blocchi di nuovo internet -.-''''''
Ringrazio la mia beta betucciola (scusate, sono fissata con questo nomignolo :D) Adelina, che ha evitato che mi venisse un esaurimento nervoso quando ho visto cancellato il capitolo.....
Un bacio a tutti e grazie per aver letto il capitolo....alla prossima! ;)

P.S. Glee is back, bitches! <3

Giuls



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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


capitolo 4

Rachel, appena finiti i suoi rituali notturni, si sedette sul letto di Kurt, attendendo che anche l’amico terminasse i suoi.

Qualcuno bussò alla porta, e Rachel si alzò per aprire.

“Dov’è Kurt?”, chiese Blaine, facendo irruzione nella stanza, e spostando un po’ bruscamente Rachel da una parte.

“Sono qui, che c’è?”, chiese Kurt, che si stava asciugando il viso con una morbida salvietta.

“Ti ho detto che devi fare rumore, quando sei in camera!”, gli sussurrò Blaine, per non farsi sentire da Rachel.

“Rach, vado a dare la buonanotte a Carole”, disse Kurt, alzandosi dalla sedia su cui era seduto e facendo segno a Blaine di seguirlo.

Passando accanto al ragazzo, Kurt lo fulminò con uno sguardo.

“Se gli sguardi potessero uccidere”, pensò Blaine, seguendo Kurt fuori dalla stanza.

“Okay, io sono da Finn intanto”, disse Rachel, imitando i due ragazzi, uscendo dalla camera, e chiudendosi la porta alle spalle.

Kurt scese velocemente le scale arrivando in soggiorno dove Carole, seduta sul divano e con la televisione accesa, stava lavorando ad una copertina per il figlio neonato dei vicini.

“Buonanotte, Carole”, disse Kurt, chinandosi per darle un bacio sulla guancia.

“Buonanotte, tesoro”, rispose Carole, abbracciando Kurt e sorridendogli dolcemente.

Blaine intanto era rimasto alle loro spalle sull’ultimo gradino delle scale.

Kurt tornò verso di lui, lanciandogli un altro sguardo inceneritore, superandolo e salendo al piano superiore.

In corridoio si sentivano le risate di Rachel e Finn provenire dalla stanza di quest’ultimo, così Kurt andò ad aprire la porta della sua stanza, sapendo che l’avrebbe trovata vuota.

Rimanendo sulla soglia della porta, Kurt guardò con sguardo eloquente Blaine, sollevando un sopracciglio.

Blaine entrò in camera di Kurt, e il ragazzo chiuse la porta.

 

 

 

Blaine si sentiva come se i ruoli si fossero invertiti.

Come se lui fosse il protetto e Kurt il protettore.

Odiava quella situazione, e doveva, doveva assolutamente trovare un modo per sistemare quella situazione.

“Senti, Blaine. Lo so che è il tuo lavoro, ma questa è la mia vita. E io qualcosa posso fare per aiutarti e facilitarti, posso cambiare qualche mia abitudine, ma non tutte e non in modo così radicale. E non puoi fare irruzione in camera mia quando ti pare!”, esclamò Kurt, mettendosi le mani suoi fianchi come se stesse sgridando un bambino piccolo.

“Te l’ho già detto, Kurt. Se sento silenzio voglio controllare che tu stia bene, che non ti sia successo niente!”, rispose Blaine.

“Se mi rapiscono mi metto a urlare, te lo prometto!”, esclamò Kurt, esasperato.

“Non capisci, Kurt. Tu non sai quanto possono essere spietati i killer, i rapitori, o chiunque lavori per chi vuole che tuo padre se ne vada. E non sto dicendo per metterti paura. Però tu, davvero, non ne hai idea”, disse Blaine, cercando di farlo ragionare e di fargli capire che se gli stava così addosso, oltre che per lavoro, era per il suo bene.

Kurt ammutolì, interdetto, non sapendo come rispondere.

Si sedette sul letto accanto a Blaine, le spalle ricurve, le mani appoggiate sulle ginocchia, pensieroso.

Poi sospirò rumorosamente.

“Penso di doverlo accettare. Insomma, non mi piacerà, ma ti prometto che non ti intralcerò più. Non farò più scenate da bambino isterico di cinque anni, promesso”, ripeté.

“Kurt, ascoltami. Io ho sempre cercato di avere un rapporto amichevole con chi devo proteggere. È un ottimo metodo per aiutare il protetto ad accettare la presenza costante di una persona nella sua vita, e rende le cose molto più facili anche al protettore”, iniziò Blaine.

“Ma per un motivo o per l’altro tu sei il primo con cui ci sto più o meno riuscendo. E se tu sorvolassi sul fatto che sono un po’ assillante, potremmo diventare amici, e sarebbe tutto più facile per entrambi”, concluse.

“Tu diventeresti mio amico. Ma non si potrebbe dire lo stesso di me nei tuoi confronti”, disse Kurt, dopo averci pensato qualche secondo.

Blaine lo guardò perplesso.

“Tu conosci molti, moltissimi dettagli della mia vita, proprio come una persona che posso considerare un amico. Io di te so poco o nulla”, spiegò Kurt.

Blaine guardò un punto fisso appena sopra la spalla di Kurt.

“Ti racconterò tutto quello che vuoi sapere”, disse Blaine in tono serio, come se fosse una dichiarazione firmata con il sangue.

Kurt accennò un sorriso.

“Grazie”, disse, e si sporse ad abbracciare Blaine.

 

 

Rachel entrò in camera di Kurt, senza bussare.

“Oh, scusate…pensavo che Kurt fosse solo”, disse la ragazza, imbarazzata, facendo per uscire.

“No…no, no, Rachel…Blaine stava per andarsene”, disse Kurt, alzandosi di scatto dal letto.

Rachel rientrò in camera, intanto che Blaine si avviava alla porta.

“Buonanotte”, disse Blaine, sorridendo leggermente.

“Ciao, Blaine”, disse Rachel con un sorrisino che iniziava a spuntarle su viso.

“Buonanotte”, disse Kurt, il tono leggermente più acuto del solito, essendosi accorto dell’espressione dell’amica.

Blaine uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

“Allora?”, chiese Rachel, tuffandosi praticamente sul letto, mettendosi seduta a gambe incrociate e abbracciando un cuscino.

“Allora cosa?”, chiese Kurt, fingendosi confuso.

Si sdraiò nel letto e spense la luce, sperando che Rachel demordesse.

Ovviamente lei rimase imperterrita nella sua posizione, saltellando qualche volta sul letto per incitare Kurt a parlare.

Il ragazzo sbuffò sonoramente, tirandosi a sedere e riaccendendo la luce sul comodino.

“Siamo solo amici”, disse Kurt, cercando di avere la voce il più autoritaria possibile per non farla replicare.

“Kurt, ti prego. Ci conosciamo da due anni. Non prendermi in giro, ti prego”, ripeté Rachel, alzando gli occhi al cielo.

“E non dirmi che non ci hai pensato almeno una volta. Non ti chiedo quante, ma almeno una sicuramente”, aggiunse.

“No, non ci ho mai pensato. Anche perché Blaine non è gay”, disse Kurt, la voce leggermente tremolante.

Le fantastiche doti recitative di Kurt andavano in vacanza nei momenti meno opportuni.

“È la tua coscienza che le fa andare in vacanza, Kurt. Le bugie assolutamente false non riesci a dirle”, pensò Kurt,

“Se lui non è gay, non lo sono nemmeno i miei papà”, disse Rachel, sicura che quell’affermazione fosse perfetta.

Kurt la guardò storto.

“Hai visto quei papillon? E quei pantaloni? Non che non siano carini e non gli stiano molto bene, ma non c’è niente di più gay di quelli”, spiegò Rachel, ancora più convinta della sua tesi.

Kurt sbuffò.

“Sì. Li ho visti”, dissi, arrendendosi.

Era inutile cercare di convincere Rachel Berry di qualcosa su cui non voleva farsi convincere.

Soprattutto perché ci aveva visto giusto.

Blaine era gay.

Era una delle poche cose che Kurt sapeva di lui e che Blaine gli aveva detto su di lui.

“E quindi ci hai mai pensato?”, chiese Rachel, girando il cuscino dall’altro lato, giusto perché per più di un minuto non riusciva a stare ferma.

“Sì, ci ho pensato una volta. Okay? Basta adesso con questo terzo grado”, disse Kurt, sbuffando.

Lo aveva detto solo per farla contenta.

“O forse no?”, pensò Kurt. 

“Perché non poteva essere, no?”, pensò nuovamente.

“Kurt? Ehi?”, disse Rachel, sventolando una mano davanti agli occhi dell’amico.

Kurt scosse la testa per scacciare quel folle pensiero.

“Scusa. Dicevi?”, chiese, rivolgendo lo sguardo all’amica.

“Dicevo che sono sicura che anche lui ci ha pensato. E anche più di una volta”, disse, sorridendo.

“Ne dubito…”, rispose Kurt, scuotendo la testa.

“Perché mai? Santo cielo, dov’è finita tutta la tua autostima? Eri convinto di piacere a Finn, per la miseria!”, esclamò Rachel, agitandosi sul letto.

“E con questo cosa vuoi dire, scusa?”, chiese Kurt, fingendosi offeso.

“Andiamo, non fare quella faccia! Intendevo che se eri convinto di piacere ad uno etero, perché mai non sei convinto di piacere ad un ragazzo gay?”, chiese Rachel.

“Perché di no. Perché non c’è niente che potrebbe farmi pensare di piacergli. Nessuno sguardo, nessuna attenzione particolare…”, disse Kurt.

“Non ti sei reso conto che passa tutto il santo giorno a due centimetri da te? E che anche quando non riesce a sederti vicino a te in classe passa tutta l’ora a guardarti?”, chiese Rachel.

“Sì, ma lo fa perché…”, iniziò Kurt, e fortunatamente riuscì a non dire ciò che stava pensando.

E cioè che Blaine lo faceva solo perché era il suo lavoro, perché doveva farlo.

“Perché…?”, chiese Rachel.

“Perché sono quello che conosce meglio di tutti a scuola, e quindi sono il suo punto di riferimento”, si inventò Kurt, sperando di risultare credibile.

“Se anche così fosse, non ti lancerebbe sguardi adoranti tutte le volte. E ti assicuro, lo fa”, disse Rachel, interrompendo Kurt che stava per controbattere.

Kurt sbuffò sonoramente.

“E anche Teenage Dream, tre giorni fa…sono sicura che l’ha cantata per te. Ha passato tutta l’esibizione a guardarti”, aggiunse Rachel.

“Su questo Rachel ha sicuramente ragione. Perché non è che intanto che gli stavo di fronte se non mi guardava rischiavo di morire”, pensò Kurt.

E involontariamente un piccolo sorriso gli comparve sul viso.

“Visto, visto? Avevo ragione! Ci hai pensato, e continui a pensarci. E sicuramente lo sta facendo anche lui”, esclamò Rachel, facendo la sua espressione vittoriosa e applaudendo leggermente.

“Sì, Rach, avevi ragione. Dormiamo adesso, se no domani avremo delle terribile borse sotto gli occhi”, disse Kurt, sdraiandosi di nuovo.

Rachel si sistemò sotto le coperte accanto a Kurt.

“E sicuramente adesso che hai un corteggiatore sarebbe un vero disastro avere le borse sotto gli occhi”, disse Rachel, la voce emozionata.

“Buonanotte, Rach”, disse Kurt all’amica.

“Buonanotte a te, Kurt”, rispose lei.

 

 

Nella stanza regnava finalmente il silenzio da un po’.

Rachel si era addormentata pochi minuti prima.

Kurt, invece, non riusciva a prendere sonno, tormentato dai tarli che l’amica gli aveva messo in testa.

“E se davvero fosse come dice Rachel? Se Blaine si comportasse nel modo in cui si comporta non solo perché è il suo lavoro?”, si domandò Kurt.

Chiuse gli occhi, e riportò alla mente l’esibizione di Blaine tre giorni prima, cercando di ricordarsi ogni singolo dettaglio.

E poi analizzò i suoi ricordi il più oggettivamente possibile.

Tutti gli sguardi che Blaine gli aveva lanciato durante l’esibizione…anzi, il fatto che avesse tenuto lo sguardo praticamente sempre su di lui…l’intensità con cui aveva cantato quella canzone…

“E poi”, si trovò a domandarsi Kurt, “perché diavolo è scappato via in quel modo appena finito?”.

“Non era pallido, e non aveva assolutamente l’aria di uno che stesse per svenire, o vomitare, quando l’ho trovato. Sembrava solo estremamente teso…e pensieroso…”, considerò Kurt.

“E decisamente confuso”, aggiunse mentalmente Kurt, ricordandosi di quando i loro occhi si erano incrociati per qualche istante, e aveva potuto leggervi una gran confusione.

“Dio, impazzirò”, sussurrò, tirandosi a sedere nel letto, e prendendo dal comodino un blocco di fogli e una matita.

Le informazioni iniziavano a diventare davvero troppe per il cervello di Kurt, stanco dopo una lunga giornata di estenuanti prove delle esibizioni per le regionali.

E per capirci, o almeno tentare di capirci, qualcosa, aveva bisogno di scrivere.

Iniziò a far scorrere la matita veloce sul foglio, illuminato solo dalla luce del suo cellulare, non avendo acceso quella sul comodino per non disturbare l’amica che gli dormiva accanto.

Gli bastò scrivere le parole chiave di tutti i pensieri che aveva fatto, riempiendo il foglio di scritte grigie connesse tra di loro, sottolineate, ricalcate, cerchiate…

Non arrivando a nessuna conclusione logica.

Solo a ipotesi vaneggianti.

Sbuffò sonoramente, riponendo il foglio, la matita e il cellulare sul comodino, e tornando a sdraiarsi.

Rimase al buio un paio di minuti, cercando di prendere sonno.

Poi si alzò dal letto lentamente e delicatamente, per non svegliare Rachel, e si avviò verso la porta di camera sua.

Scese le scale silenziosamente per non disturbare nessuno nella casa e si rintanò in cucina.

 

 

 

 

 

Blaine si svegliò di soprassalto.

Alzò la testa e controllò l’ora: mezzanotte e mezza.

Ricadde pesantemente sul letto, sbuffando e passandosi una mano nei capelli sudati.

I pensieri che sperava di poter scacciare dormendo lo avevano tormentato anche nel sonno.

E ovviamente, appena sveglio, tornarono ad affollargli la testa.

Certo, era felice di aver parlato con Kurt.

Ma si sentiva di non aver risolto definitivamente la questione.

E non riusciva a capire perché.

Si sentiva un emerito imbecille.

Era la seconda volta in un giorno in cui non riusciva a capire qualcosa.

E se fosse stato come risolvere un problema di matematica, che tanto odiava quando frequentava davvero il liceo, pazienza.

Ma era qualcosa di più importante.

Ne andava della sicurezza di Kurt.

“E del rapporto che hai e che potrai avere con lui”, pensò Blaine.

Si girò nel letto, tentando di riprendere sonno.

Passò dieci minuti con gli occhi spalancati neanche fossero incollati e senza fare uno sbadiglio che fosse uno.

Decise quindi che la soluzione migliore fosse quella di sgranchirsi un po’ le gambe e andare a bere un po’ d’acqua.

Si alzò dal letto, e in punta di piedi uscì dalla sua stanza, e scese le scale verso la cucina.

 

 

 

 

Solo quando arrivò sulla soglia della porta, Blaine si accorse che c’era qualcun altro nella stanza.

Kurt.

Che, di spalle alla porta della cucina, stava versando del latte in un bicchiere.

Blaine fece per avvicinarsi, ma si bloccò.

“Come diavolo faccio a non spaventarlo? Se rimango qui, quando si gira si spaventa. E magari pensa che lo stavo spiando. Se mi avvicino è anche peggio”, pensò Blaine, irrazionalmente agitato da quella sua preoccupazione.

Decise di uscire dalla cucina, e aspettare qualche decina di secondo, per essere sicuro che Kurt si fosse girato.

Quando pensò di aver aspettato abbastanza, fece il suo ingresso in cucina, strusciando un po’ i piedi per avvisare Kurt della sua presenza.

E si ritrovò davanti una scena che lo fece bloccare all’istante.

Kurt, con il bicchiere di latte stretto tra una mano, appollaiato sul bancone della cucina, il labbro superiore sporco di latte.

“Blaine!…Cosa ci fai sveglio a quest’ora?”, chiese Kurt, vedendo comparire l’altro in cucina.

Involontariamente, Kurt fece una cosa che congelò ancora di più il sangue nelle vene a Blaine.

Si leccò via il latte dal labbro.

Con un espressione da gatto che si lecca i baffi.

“Dio. Santo”, fu il pensiero che affollò la mente di Blaine.

“Blaine?”, chiese Kurt, scendendo dal bancone e sventolandogli una mano davanti al naso.

Blaine si riscosse, sospirando profondamente e utilizzando tutta la sua buona volontà.

“Non riuscivo a dormire”, disse Blaine, la voce bassa, allontanandosi da Kurt e andando a sedersi su una sedia.

“Neanche io”, rispose Kurt, tornando nella sua posizione iniziale.

“Vuoi un po’ di latte?”, chiese Kurt, dopo qualche decina di secondo di silenzio abbastanza imbarazzante.

“No, grazie. Prendo solo un po’ di acqua”, disse, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la credenza per prendere un bicchiere.  

Lo riempì e poi tornò a sedersi.

Kurt lo osservò per qualche secondo.

“Tutto bene?”, chiese, facendo penzolare le gambe

“Sì…perché?”, chiese Blaine, sorridendo appena.

“Hai una faccia…”, rispose Kurt.

“Cioè, sembri un po’ sconvolto, e stanco, non che…”, disse Kurt, temendo che l’altro potesse mal interpretare la sua frase.

“Kurt…ho capito cosa intendevi”, rispose Blaine, ridacchiando divertito.

Dopo che aveva bevuto metà del suo bicchiere di acqua gelata, era riuscito a calmarsi.

“Comunque sto benissimo, grazie”, aggiunse, sorridendo.

“Mi fa piacere”, rispose Kurt, restituendo il sorriso.

Poi sbadigliò. 

“Torniamo a letto?”, chiese Blaine, vedendo che Kurt si stava praticamente addormentando sul bancone.

Kurt annuì, scendendo e avviandosi verso la porta della cucina.

Blaine lo seguì, e spense la luce uscendo.

“Buonanotte”, disse a Kurt per la seconda volta quella sera, quando furono arrivati davanti alle loro stanze.

“Dormi bene”, fece Kurt.

Poi, probabilmente nei fumi del sonno, si chinò per dargli un bacio sulla guancia.

Subito dopo sparì dentro camera sua.

Blaine entrò a sua volta nella sua stanza.

“Dio, Blaine. Sei una vera testa di cazzo”, si disse da solo, sentendo il suo battito cardiaco accelerato.


NDA
Salve a tutti! Come promesso, oggi è martedì e io ho aggiornato! *balla la conga*
Sinceramente ho ADORATO  scrivere questo capitolo, davvero....mi ha preso tantissimo....proprio come il prossimo capitolo, che ho già iniziato a scrivere....e da cui inizieranno a movimentarsi un po' le cose...quindi gioite con me!
Sappiate che però ho avuto un piccolo problema a scuola...pregate che mio padre non mi porti via il computer, io farò di tutto per evitarlo, ma potrebbe essere che non potrò più usarlo per un po', una settimana, forse...
Comunque, in questo capitolo abbiamo tanta Hummelberry, che come vi ho già detto adoro profondamente...quei due sono l'ideale di amicizia che tutti desiderano, secondo me....
BTW, in questo capitolo tocca principalmente al nostro Kurt farsi mille pensieri, grazie alla cara e tenera Rachel.......e, signore e signori, la prima volta in cui c'è tensione sessuale tra di loro.....dai, santo cielo, ve lo immaginate Kurt che si lecca del latte dal labbro, appollaiato su un bancone?!
Beh, credo di sì.....:D
Credo di aver finito, vi ricordo che il prossimo aggiornamento potrebbe arrivare un po' tardi, ma vi prometto che sarà un bel capitolo, un po' di angst e un po' (un bel po') di fluff.......
Basta, non vi dico più niente se no vi rovino la sorpresa!
Ringrazio tutti quelli che hanno letto lo scorso capitolo, hanno recensito, aggiunto a ricordate, seguite e preferite.....siete il mio cibo, ricevo l'energia di scrivere da voi (tipo goku xD).....grazie mille, davvero....
Ringrazio la mia beta betucciola Adelina, e vi saluto tutti......
Un bacio!

Giuls

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5






Quando i ragazzi del glee entrarono nel loro liceo, c’era il silenzio più assoluto.

Erano le otto di sabato mattina, e di lì a poche ore si sarebbero tenute le regionali di canto coreografato.

La competizione sarebbe iniziate alle undici, e le Nuove Direzioni si sarebbero esibite per terze, quindi verso mezzogiorno.

Ma Rachel li aveva costretti ad essere a scuola per le otto, sostenendo che fossero assolutamente indispensabili almeno due ore per il riscaldamento della voce e la concentrazione e un’ora per vestirsi.

Quindi Finn, Kurt e Blaine a venti alle otto erano usciti da casa Hummel-Hudson ed erano saliti in macchina.

Erano passati a prendere Rachel e Mercedes, e ora stavano girando per i corridoi bui della scuola.

“Dio, sembra un film dell’orrore”, commentò Kurt, un po’ spaventato da quel silenzio spettrale.

Si avvicinò di riflesso a Blaine, quasi a sfiorargli la mano, e si sentì subito più protetto.

Rachel entrò nell’aula, seguita da Finn che posò la valigia –perché definirla borsa era decisamente riduttivo- della fidanzata accanto al piano.

Intanto, Mercedes era crollata su una sedia, cadendo in uno stato di dormiveglia, e Kurt e Blaine si erano seduti ai loro soliti posti.

Kurt era piuttosto agitato, come sempre prima di una esibizione, e anche Blaine lo era un poco.

E in più, era piuttosto preoccupato, dato che alla competizione ci sarebbero state parecchie persone, e l’ingresso all’auditorium non sarebbe stato particolarmente controllato.

Il suo sesto senso, quella mattina, appena sveglio, lo aveva messo in allarme.

Ma non aveva riportato le sue preoccupazioni a Kurt, non voleva metterlo in agitazione più di quanto già fosse.

“Forza, ragazzi, dobbiamo prepararci!”, esclamò Rachel, che nel frattempo aveva tirato fuori dalla valigia ogni tipo possibile di trucco, crema o accessorio per rendere perfetta qualsiasi parte del corpo.

“Mettiamoci al lavoro!”, esclamò Kurt, saltando dalla sedia e dimenticandosi dell’agitazione.

 

 

“Ragazzi, cinque minuti!”, esclamò il professor Schuester, richiamando all’ordine i suoi studenti.

“Bene. Non è il momento di farvi lunghi discorsi commoventi, perché non ne ho il tempo. Vi dico solo in bocca in lupo, date il meglio di voi stessi, lasciateli con la bocca aperta, perché siete capaci di questo e altro”, disse, appena tutti i ragazzi si erano messi in cerchio attorno a lui.

Poi uscirono tutti velocemente, dirigendosi verso l’ingresso posteriore, che conduceva alle quinte del palco.

I componenti del glee club che si era esibito prima di loro lasciarono il palco esultando per l’ottima riuscita della loro performance.  

Le luci si spensero. Era il segnale.

Tutti i componenti delle Nuove Direzioni presero posto sul palco, aspettando che la musica partisse e la luce si accendesse.

In quel momento, Blaine era agitatissimo.

Muoveva ritmicamente la lingua, cercando di scaricare la tensione in questo modo, non potendo mettersi a saltare o a urlare.

Diavolo, era la sua prima competizione con quel glee club, e quei ragazzi gli avevano già affidato una parte di assolo.

Aveva il terrore di dimenticarsi le parole, o ritrovarsi ad un certo punto la lingua attorcigliata a sé stessa, e di non riuscire più a parlare.

Kurt, invece, in quel momento aveva accantonato l’ansia di qualche ora prima, ed era totalmente rilassato, con un lieve sorriso sulle labbra.

Poi le luci si accesero, e Rachel iniziò a cantare.

 

“Wow, veloce e indolore”, pensò Blaine nell’istante in cui la musica finì e le Nuove Direzioni si fermarono sul palco per prendere gli applausi del pubblico.

Blaine si voltò a guardare Kurt, sorridendo come uno stupido e pensando che fosse stato bravissimo durante l’esibizione.

Quando si voltò di nuovo a guardare il pubblico, il suo occhio scappò verso la porta dell’auditorium a destra.

Appoggiato allo stipite di quella porta c’era un uomo, che fingeva di essersi molto emozionato dalla loro performance, applaudendo calorosamente.

Ma non fu questo a colpire Blaine.

Fu la pistola che gli vide infilata nella tasca dei jeans, lasciata intravedere dalla giacca appena sollevata.

Nell’esatto istante in cui si spense la luce, Blaine allungò un braccio alla ricerca di Kurt.

Il ragazzo si trovava esattamente davanti a lui, e non fu difficile afferrare il suo polso e trascinarlo via dal palco il più velocemente possibile.

Appena dietro le quinte, Kurt si impuntò, costringendo Blaine a fermarsi.

“Cosa diavolo stai combinando?”, gli chiese Kurt, non urlando per non farsi sentire dagli altri.

“Ti fidi di me?”, gli chiese Blaine, non avendo tempo di spiegargli la situazione.

“Sì, ma questo adesso cosa…?”, stava per chiedere Kurt, ma Blaine lo interruppe.

“Allora corri”, gli rispose Blaine, prendendolo saldamente per mano e trascinandolo con sé all’esterno dell’auditorium.

Appena furono nei corridoi, Blaine si fermò qualche istante, guardandosi intorno e assicurandosi che fossero vuoti.

Poi ricominciò a correre a perdifiato, la mano di Kurt sempre stretta alla sua.

Passarono velocemente nell’aula di canto, per prendere le chiavi della macchina dalla tasca del giubbotto di Finn, e i loro cellulari, poi ricominciarono a correre.

Appena furono nell’abitacolo della macchina, Blaine compose rapidamente un numero sulla schermata del suo cellulare.

“Avvisa Rachel che siamo a casa tua. E che non vogliamo essere disturbati”, disse Blaine, portando il telefono all’orecchio e attendendo nervosamente che dall’altra parte rispondessero.

“Cosa?”, chiese Kurt, strabuzzando gli occhi.

“Fidati”, gli sussurrò Blaine, la voce e lo sguardo imploranti.

Poi cambiò subito tono, quando la persona che aveva chiamato aveva risposto.

“Rach, io e Blaine siamo a casa mia. Ci spiace di non essere lì per l’ultima canzone, ma vogliamo rimanere da soli. Completamente soli, mi spiego?”, scrisse Kurt, e quella fu l’unica scusa plausibile che gli saltò in mente e che sarebbe forse riuscita a tenere chiunque lontano da casa sua.

Nel frattempo, Blaine aveva riattaccato e stava mettendo in moto.

Per farlo però, le mani di Blaine e Kurt, che fino a quel momento erano rimaste febbrilmente attaccate, furono costrette a staccarsi.

“Io mi fido, ma Blaine, cosa diavolo sta succedendo?”, chiese Kurt, intanto che Blaine usciva dal parcheggio del McKinley.

“In auditorium c’era un tizio…con una pistola. Ho appena chiamato l’FBI, stanno già arrivando per cercare di catturarlo. Intanto ti porto a casa, quello è il luogo più sicuro dove posso portarti”, gli spiegò velocemente Blaine, che adesso stava guidando ad una velocità folle per le strade di Lima.

“Ehm, Blaine, forse è il caso che rallenti. In questo momento sei tu quello che sta tentando ti uccidermi…”, azzardò Kurt.

Fu piuttosto difficile per Blaine dargli retta.

Voleva Kurt il più lontano possibile da quell’uomo.

Lo voleva il più lontano possibile da qualunque pericolo.

Ma in quel momento, la cosa che all’apparenza risultava più pericolosa era la velocità della loro macchina, per cui premette delicatamente il freno, rallentando un poco.

In meno di dieci minuti parcheggiarono la macchina di Finn in garage, al posto di quella di Carole.

Solitamente l’auto del ragazzo stava parcheggiata nel vialetto, mentre quella della madre in garage.

Ma Carole era a scuola a seguire la competizione, e la sua macchina con lei, e Blaine e Kurt avevano bisogno di non far sapere a nessuno che ci fosse qualcuno in casa.  

Blaine chiuse il garage dall’interno, controllando che non ci fosse nessuno nei dintorni che li avesse visti.

Entrarono in casa dalla porta interna al garage, e si assicurarono che fosse ben chiusa.

Esattamente come Blaine si assicurò che le porte d’ingresso frontale e posteriore fossero chiuse a chiave.

Dopo aver controllato questi piccoli ma fondamentali particolari, Blaine si voltò verso Kurt.

Il ragazzo, dopo essere entrato in casa, aveva seguito Blaine con lo sguardo, rimanendo però con le mani in mano.

E iniziava ad essere seriamente preoccupato, e abbastanza impaurito, dalla situazione, anche se non voleva darlo a vedere.

Però Blaine se ne accorse, e gli si avvicinò con un sorriso dolce, sporcato da qualche ombra di preoccupazione.  

“Adesso sei al sicuro, la casa è perfettamente sicura…ho apportato qualche modifica qua e là qualche giorno fa…per stare più tranquillo…poi ci sono io a proteggerti”, gli disse Blaine.

Kurt si avvicinò e, con sorpresa di Blaine, lo abbracciò.

Blaine ricambiò l’abbraccio, cercando di infondergli coraggio.

Anche se sapeva che non era necessario, Kurt era già decisamente coraggioso.

“Andiamo di sopra, ti faccio vedere una cosa”, gli disse Blaine, e fece passare davanti Kurt, per averlo sempre sott’occhio.

Arrivati sul pianerottolo, Blaine superò Kurt e aprì la porta di camera sua.

Fece entrare Kurt, poi la richiuse.

“Mettiti pure comodo”, gli disse Blaine, intanto che si sfilava le scarpe e le buttava disordinatamente in un angolo.

Fece lo stesso con la cravattina oro che faceva parte del costume per le regionali.

Cercava di dimostrarsi il più tranquillo possibile, come a voler dimostrare a Kurt che era tutto sotto controllo.

Blaine però era un po’ agitato.

Non che non fosse tutto sotto controllo, perché era così, ma c’era comunque in gioco la sicurezza di Kurt.

Che sicuramente non era più da un pezzo solo il suo protetto, ma era un suo amico.

“E probabilmente, non più solo amico”, pensò Blaine, che si era fermato qualche istante in mezzo alla stanza, guardando Kurt, impegnato a slacciarsi la cravatta.

Si ridestò in pochi secondi, e chiamò Kurt, perché gli rivolgesse lo sguardo.

Appena il ragazzo alzò la testa, Blaine aprì soddisfatto il suo armadio.

E Kurt rimase letteralmente a bocca aperta.

Si sentiva come in uno di quei film di spionaggio.

Perché all’interno di quell’armadio, sul fondo, nascosti dai vestiti, c’erano cinque piccoli schermi che mostravano immagini in bianco e nero.

“E queste…cosa sono? Quando le hai messe?”, chiese Kurt, indicandole.

“Ho installato queste telecamere l’altro giorno, quando Finn e Carole erano a fare la spesa e tu eri sotto la doccia. Beh, a dire il vero, io ne ho installate solo tre, queste”, disse, indicando tre schermi.

“Sono l’ingresso al garage, l’ingresso davanti, e l’ingresso posteriore. Queste due sono all’inizio della via, da una parte e dall’altra. Così posso controllare anche chi arriva”, gli spiego Blaine.

Kurt annuì, rapito.

“Quanti altri aggeggi da spia hai installato in casa?”, chiese Kurt, ricordandosi che Blaine gli aveva detto di aver ‘apportato qualche modifica qua e là’.

Blaine ridacchiò divertito. “Ho fatto mettere dei vetri antisfondamento al piano di sotto, e di sopra vetri antiproiettile. Poi ho fatto installare un sistema di allarme perimetrale esterno, che inserisco solo la notte quando sono tutti a letto. Praticamente se qualcuno arriva alla distanza di cinque metri da un qualsiasi muro della casa, un piccolo aggeggio lì dentro inizia a suonare, così mi sveglio e controllo che sia tutto a posto. E nient’altro, mi sembra”, concluse, sedendosi poi accanto a Kurt.

“Mi sento molto, molto più al sicuro adesso”, commentò Kurt, sorridendo.

Rimasero qualche decina di secondo in un amichevole silenzio, poi Blaine si sdraiò sul letto.

“Vuoi che ti racconti qualcosa di me?”, gli chiese Blaine.

A quella domanda, Kurt si voltò quasi di scatto verso Blaine.

“Mi farebbe molto piacere”, rispose, cercando una posizione un po’ più comoda per ascoltare meglio.

“C’è qualcosa in particolare che vuoi sapere?”, gli chiese Blaine.

“No, raccontami quello che vuoi”, gli disse Kurt.

Voleva che ci fosse un rapporto di amicizia vero e spontaneo.

Anche se sentiva che, per lui, probabilmente stava diventando qualcosa più che amicizia.

“Allora…mmm…partiamo dall’inizio. Sono nato a Westerville, è abbastanza vicino a qui. Ho sempre vissuto lì, fino a quando mi sono trasferito a New York per entrare nell’FBI. Dal secondo anno di liceo ho frequentato la Dalton, una scuola privata, e lì ero…”, iniziò a raccontare.

“E il primo anno?”, lo interruppe Kurt, curioso.

“Frequentavo un liceo pubblico”, rispose Blaine.

“E perché ti sei spostato alla Dalton?”, chiese Kurt, visto che Blaine ancora non gliel’aveva detto.

“Io…è successa una cosa, e…”, disse, non trovando le parole.

“Se non vuoi raccontarmelo fa niente, sentiti libero di passare oltre”, gli disse Kurt.

“No, voglio raccontartelo…era il ballo di fine anno, io avevo appena fatto coming out e avevo invitato un mio amico gay. Quando siamo usciti dalla palestra, dei ragazzi della squadra di football ci hanno…picchiato…siamo quasi morti entrambi…dopo che mi sono rimesso, i miei hanno deciso di mandarmi alla Dalton, dove ogni tipo di bullismo era punito molto severamente, così mi hanno lasciato in pace”, gli raccontò Blaine.

Kurt rimase colpito da quel racconto, e dal mondo in quei Blaine gli aveva affidato senza remore quei suoi ricordi così dolorosi.

Gli strinse una mano.

“Dai, chiedimi qualcosa che vuoi assolutamente sapere”, gli disse Blaine, sorridendogli.

Kurt finse di pensarci su, anche se aveva la domanda pronta già da un po’.

“Dopo questo ragazzo…ce ne sono stati altri?”, chiese Kurt, cercando di nascondere il suo imbarazzo.

“Sì…c’è stato un ragazzo ancora al liceo, era un commesso di Gap…siamo usciti qualche volta, ma niente di che…la mia prima vera relazione l’ho avuta il mio primo anno a New York. Io stavo studiando per entrare nell’FBI, lui per diventare uno stilista. Il problema nella nostra relazione era la trasparenza. Io non potevo raccontargli niente di quello che facevo durante la giornata, e questo lui lo prendeva come un segno che lo stavo tradendo…quindi mi ha lasciato. È stato un brutto colpo all’inizio, era stato il primo per tante cose, però poi mi sono reso conto che non lo amavo davvero. E da quel giorno sono single”, riassunse Blaine.

“Che stronzo”, borbottò Kurt.

Blaine ridacchiò. “Sì, abbastanza”, rispose.

Rimasero in un silenzio amichevole per un po’.

“Sai che Carole non è mia madre, vero?”, chiese Kurt ad un certo punto.

“Sì”, rispose confuso Blaine.

“Mia madre si chiamava Elizabeth. Era una persona fantastica, la persona che più amavo al mondo. Mi ricordo che, quando ero piccolo, giocava sempre con me con le Barbie. Lei sapeva già come sono. E mi accettava, mi amava. Grazie al cielo, io e mio padre abbiamo un rapporto molto simile a quello che avevo con mia madre. Insomma, non giochiamo con le Barbie, però fa lo stesso…e ho trovato in Carole una figura materna…”, disse Kurt.

Blaine strinse le labbra, poi si tirò su e abbracciò Kurt.

“Grazie di esserti fidato, prima”, disse ad un certo punto Blaine, mettendo fine all’abbraccio e tirandosi indietro per guardarlo negli occhi.

Kurt sorrise, alzando appena le spalle.

“Io mi fido degli amici e delle persone a cui voglio bene”, sussurrò.

Blaine chinò il capo; quella frase lo colpì molto più di quanto avrebbe dovuto fare.

“E sono felice che tu ti fidi abbastanza di me da raccontarti del tuo vero te”, aggiunse Kurt, sorridendo appena.

Blaine alzò gli occhi e restituii il sorriso.

Stava per parlare, quando il cellulare di Kurt vibrò.

Il ragazzo lo prese e lesse velocemente il messaggio, un piccolo sorriso che gli comparve sulle labbra.

“È Rachel. Non verrà nessuno a casa per le prossime sei ore”, annunciò, riponendo il cellulare nella tasca dei jeans, senza rispondere, al messaggio.

“E come hai fatto a convincerla?”, chiese Blaine, curioso.

Kurt alzò le spalle, arrossendo improvvisamente e guardando interessato il muro della stanza.

“Le ho fatto capire che non vogliamo essere disturbati perché stiamo festeggiando da soli per la vittoria…”, disse in un sussurro.

“Oh, che bello che abbiamo vinto…aspetta, festeggiare da soli?”, chiese Blaine, e al solo pensiero un sorrisino malizioso gli comparve sulle labbra.

Si tolse quelle immagini vivide di lui e Kurt che festeggiavano da soli la vittoria dalla testa, maledicendosi mentalmente.

“Già…era l’unico modo per tenere lontani tutti”, rispose Kurt, voltandosi di nuovo verso Blaine.

“Quindi adesso stiamo…insieme?”, chiese Blaine.

“Credo qualcosa del genere, sì…non sono tipo da una botta e via, quindi non ci crederebbe mai nessuno…”, rispose Kurt, decisamente imbarazzato dalla direzione che aveva preso il discorso.

Blaine si alzò con un salto dal letto.

“Bene, fidanzato”, disse Blaine, facendo un inchino decisamente forzato e ridicolo.

“Per dichiarare ufficialmente la nostra unione propongo un duetto”, continuò.

Kurt alzò le sopracciglia, perplesso.

Poi ci rifletté; effettivamente, non c’era modo migliore di convincere su qualcosa persone abituate a cantare che con una canzone.

“A cosa stai pensando?”, chiese quindi Kurt, incrociando le gambe e voltandosi per guardarlo.

“Non saprei…a te cosa piacerebbe cantare?”, chiese Blaine.

“Ti farò sapere”, rispose Kurt, sorridendogli.

Blaine ricambiò il sorriso, tornando poi a sedersi accanto a lui.

“Sai, pensavo una cosa”, disse a un tratto Kurt.

Blaine lo guardò incuriosito.

“Voglio un nome in codice”, continuò, e poi si voltò verso Blaine per vedere la sua reazione.

Scoppiò a ridere, e Kurt si imbronciò.

“Kurt, non c’è nessun bisogno di un nome in codice, non siamo mica coinvolti in una missione di spionaggio!”, esclamò Blaine, cercando di farlo ragionare.

“Fa niente, voglio comunque un nome in codice”, ripeté l’altro, incrociando le braccia al petto.

“Va bene, allora…ti accontento…che nome vorresti?”, chiese Blaine, ancora ridacchiando.

“Mmm…fammi pensare…oh, sì, trovato! Porcellana!”, esclamò Kurt, sorridendo soddisfatto di sé stesso.

“Porcellana?”, chiese Blaine, dubbioso, un sopracciglio alzato.

“Sì, porcellana, come mi chiama…oh, ma tu ancora non l’hai conosciuta!”, esclamò Kurt, rendendosene conto solo in quel momento.

“Conosciuta chi?”, chiese Blaine.

“La coach dei Cheerios, Sue Sylvester…come fai a non averla ancora conosciuta, diamine?”, chiese Kurt, stupito.

Blaine alzò le spalle.

Stava per rispondere, quando il suo cellulare iniziò a suonare.

Lesse il numero e subito si fece serio, alzandosi dal letto, accettando la chiamata e portando il ricevitore all’orecchio.

“Agente Anderson”, rispose, voltandosi verso l’armadio, dando le spalle a Kurt.

La telefonata durò meno di un minuto, durante il quale Kurt rimase seduto sul letto, guardando Blaine ansiosamente.

Quando Blaine riattaccò, si voltò verso Kurt.

“L’hanno preso. E stanno cercando di fargli confessare chi l’ha mandato ma…non vuole aprire bocca. Comunque è tutto a posto adesso, è in prigione e non ne uscirà probabilmente”, gli dissi, guardandolo dall’alto verso il basso.

“Comunque ora dovremo stare molto più attenti. Fino a oggi non eravamo certi che i sospetti di tuo padre fossero fondati, la mia presenza era solo una precauzione. Ma adesso…”, sussurrò Blaine, inginocchiatosi davanti a Kurt.

Il più piccolo si lasciò sfuggire una piccola smorfia di paura, e poi si abbassò e si rifugiò tra le braccia di Blaine.





NDA
Salve a tutti! Come purtroppo vi avevo avvisato nel capitolo precedente, l'aggiornamento è arrivato un po' tardi...però ce l'ho fatta!
Che dire su questo capitolo...mmm...la trama è piuttosto piena, succedono parecchie cose...prima le regionali, poi la fuga di Blaine e Kurt, e poi il pomeriggio passato a casa Hummel-Hudson....a proposito di questi momenti, ho inserito un po' di fluff, però con moderazione, perchè dobbiamo sempre ricordarci che Blaine è un agente dell'FBI, e sta lavorando teoricamente, quindi si fa un po' di scrupoli...ma le cose ovviamente cambieranno....:D...in questo capitolo c'è anche la spiegazione del titolo, che proseguirà più dettagliatamente nel prossimo o fra al massimo 2 capitoli...
A proposito dei prossimi capitoli, vorrei chiedervi un consiglio, è una cosa su cui sono ancora un po' indecisa...come avrete capito (?) la storia è ambientata nella terza stagione, quindi mi viene spontaneo chiedermi...preferite che gli altri personaggi abbiano la stessa storyline di glee, o preferite che cambi tutto? in poche parole, preferite che Quinn abbia l'incidente o no? Potrebbe essere carino far girare la Klaine attorno a Quinn nel prossimo capitolo...però non so, ditemi voi...
Bene, fatte queste inutili fondamentali precisazioni, ringrazio tutti quellio che hanno aggiunto a ricordate, seguite e preferite la storia, tutti quelli che hanno letto lo scorso capitolo e questo, e tutti quelli che si prendono due minuti per recensire...grazie mille, davvero <3
Un bacio alla mia beta betucciola Adelina, che ho tirato scema ieri sera per farle betare, e vi saluto tutti al prossimo capitolo!
Un bacio!


Giuls

 


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