Another life di DA_translations (/viewuser.php?uid=185766)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chronic Dreaming ***
Capitolo 2: *** Previous Nightmares ***
Capitolo 3: *** Bittersweet Hands of Destiny ***
Capitolo 4: *** Is it Acceptance? ***
Capitolo 5: *** Coincidence or Fate ***
Capitolo 1 *** Chronic Dreaming ***
Per
favore, fermatevi a leggere le note in fondo al capitolo, quando
l’avrete finito. Grazie.
AXEL
POV
Fui
attraversato da un dolore atroce. Abbassai lo sguardo verso il mio
stomaco, fonte di quella pena, accorgendomi che la tunica di pelle nera
che indossavo aveva un largo strappo su un lato, all’altezza
di petto e addome.
Guardai
alternativamente le mie mani, per nulla sorpreso di vedere che
reggevano debolmente quelli che sembravano due dischi spinati.
Di
nuovo quel sogno…
- Axel…
-
Quella
voce mi fece sollevare lo sguardo, come aveva sempre fatto. Davanti a
me uno sconosciuto, il familiare sconosciuto che qui e solo qui io
conoscevo, il ragazzo che mi tormentava sin da quando ero un bambino.
Il sogno era sempre lo stesso, cambiava molto di rado, ma lui era
sempre presente.
Sapevo
esattamente cosa avrei detto di lì a poco e anche
l’esatto tono di voce con cui avrei parlato. Non avevo nessun
controllo su questo, niente di quanto avrei potuto tentare avrebbe
cambiato quel momento.
- Ci
rivedremo nella prossima vita –
- Sì.
Aspetterò –
- Sciocco.
Solo perché tu hai una prossima vita –
Balzai
a sedere, gli occhi spalancati. Mi guardai attorno, il petto che si
alzava e abbassava al ritmo veloce del mio respiro affannato. Artigliai
con una mano le lenzuola e mi mordicchiai ansioso il labbro inferiore,
sentendo una strana solitudine fluirmi in tutto il corpo.
Ricordavo
benissimo la prima volta che avevo fatto quel sogno. Mi ero precipitato
in lacrime nella camera dei miei genitori, dicendo disperato che il mio
migliore amico, il mio amico del cuore era scomparso. Che anche se
aveva promesso che ci saremmo rivisti io non gli credevo.
Fu
in quel periodo che quel sogno divenne un’ossessione e
iniziai a parlare insistentemente di questo “Roxas”
come del mio unico amico, l’unico che mi piacesse; fu in quel
periodo che i miei genitori iniziarono seriamente a preoccuparsi per la
mia salute mentale. Mi portarono da dottori e psichiatri, mi furono
prescritti un sacco di psicofarmaci che avrebbero dovuto far scomparire
gli incubi e offrirmi un sonno ristoratore. Tuttavia il loro unico
effetto fu di peggiorare ulteriormente la situazione: i sogni divennero
più vividi. Iniziai a descrivere com’ero, cosa
indossavo; dissi che potevo controllare il fuoco.
Fu
quando compii 15 anni che cominciai seriamente a diventare la persona
che ero nei miei sogni. I miei genitori si arresero
all’evidenza. Lasciarono che tingessi i miei capelli corvini
del colore delle fiamme e mi firmarono il permesso che serviva per
tatuarmi una lacrima capovolta sotto entrambi gli occhi. Tuttavia
all’inizio si rifiutarono di chiamarmi Axel, nonostante io
insistessi tanto, anche con violenza a volte. Ma poi fallirono anche in
questo. Dimenticarono di continuare a chiamarmi Brannan, visto che
tutti si rivolgevano a me usando l’altro nome.
Spinsi
via lentamente le coperte, spostando lo sguardo sulla finestra. Adesso
avevo 18 anni, ero uno studente “anziano” nella mia
scuola superiore. Uno studente onorario, candidato a diplomarmi con il
massimo dei voti. Facevo anche parte della squadra di dibattito; niente
di cui andar fieri, in realtà, ma valorizzava la mia
abilità naturale di rigirare le persone come volevo
attraverso le parole. I miei genitori pensavano che il dibattito fosse
migliore, per me, della compagnia dei miei amici. Questo dopo avermi
visto far piangere un bullo con il semplice espediente di ritorcere le
sue stesse parole contro di lui, inducendo tutti gli altri a ridergli
dietro.
Lanciai
un’occhiata all’orologio: un’ora
abbondante prima che cominciassero le lezioni. Era sempre
così quando avevo uno di quei sogni, andava a finire che
arrivavo a scuola con molto anticipo e sedevo sui gradini, cercando di
ignorare il senso di solitudine che mi rimaneva dentro. Il fatto che
l’immagine di quel viso mi aggredisse ogni volta che battevo
le palpebre non mi aiutava.
Indossai
la solita maglia e i jeans consumati e gettai in cartella i libri
necessari per la giornata. Una volta chiusa silenziosamente la porta
della mia camera alle mie spalle, esitai davanti alla stanza di mia
sorella, che parlava al telefono in tono mieloso con qualche amica
– o con il fidanzato. Ancora una volta la sua affollatissima
vita sociale l’aveva tenuta sveglia tutta la notte. A volte
mi comportavo come se non mi importasse di ciò che faceva, a
volte semplicemente la invidiavo.
Non
ero un asociale, non lo ero mai stato, né ero scortese con
gli altri: non scoraggiavo le interazioni sociali. Semplicemente le mie
aspettative per quanto riguardava l’amicizia erano molto
alte. Nessuno sembrava valere nemmeno la metà del ragazzo
che vedevo nei miei sogni, colui che mi aveva fatto quella promessa,
anche se effettivamente non l’avevo ancora incontrato. Quel
che ragazzo era sempre circondato da un alone di innocenza e
gentilezza, colui che mi rendeva felice.
Quello
era probabilmente il motivo per cui aspettavo con ansia quei sogni,
anche se mi facevano sentire solo. Probabilmente mi ero innamorato di
questo Roxas. Forse era per quello che le ragazze della mia scuola non
avevano mai avuto fortuna e io ero felicemente single.
Un
piccolo verso mi sfuggì dalle labbra mentre scendevo al
piano di sotto. Afferrai una mela e uscii di casa.
Volendo
indugiare su quei pensieri un altro po’ mi sedetti sui
gradini della veranda per ammirare il sole nascente. Non pensavo mai di
essere depresso, perché non lo ero. Semplicemente ero avido
della speranza che qualcuno, da qualche parte, mi stesse aspettando,
anche se era un pensiero malinconico. Era una tristezza che mi
infliggevo volontariamente. Chiamatemi masochista, se vi pare.
A
volte pensavo: se mi fossi unito a un gruppo di recupero per casi come
il mio, come diavolo avrei dovuto presentarmi?
“Ciao,
sono Brannan McNeal, ma preferisco essere chiamato Axel, come la
persona che divento nei miei sogni. Sono innamorato di un ragazzo di
nome Roxas, che incontro solo quando dormo”
Lo
dissi ad alta voce, per vedere che effetto avrebbe fatto e non potei
fare a meno di ridere di me stesso, mordendo la mia mela. Di sicuro
sarei stato definito solo come pazzo.
Note
alla traduzione
Alcuni
capitoli potranno sembrare un po’ lenti, ma a mio parere la
storia ne vale la pena. Pubblicherò il prossimo tra pochi di
giorni per il secondo punto di vista. Per il resto dovrei attenermi al
ritmo di un capitolo ogni 5-7 giorni.
Vi
prego di lasciarmi un parere perché è la mia
prima traduzione ufficiale e ho promesso all’autrice della
storia di passarle i vostri commenti (opportunamente tradotti in
inglese).
Sono
disponibile a dare delucidazioni su qualsiasi dubbio possiate avere
sulla storia. Consigli e critiche ai fini del miglioramento della
traduzione sono ben accetti.
Dimenticavo: per chi
volesse leggere la storia in lingua originale vi do il nome
dell'autrice. Seguite questo link Saharen e
cliccate sulla gallery dell'autrice. Purtroppo dovrete aprire i
capitoli uno alla volta perchè non c'è il
collegamento tra uno e l'altro, ma ci si adatta facilmente ;) |
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Capitolo 2 *** Previous Nightmares ***
ROXAS
POV
Era come se un
coltello fosse stato piantato nel mio petto e poi rigirato per sadismo,
come se una persona senza scrupoli avesse appena deciso che la mia vita
non fosse importante.
Frammenti di
una vita che non riuscivo a ricordare, ricordi di persone che, in
qualche modo, da qualche parte, avevo conosciuto e amato.
Mia madre
diceva che avevo un disturbo, qualcosa che sarebbe passato se io avessi
semplicemente ignorato i miei sogni, se li avessi dimenticati. Ma
più ci provavo e più difficile diventava. I sogni
sembravano solo diventare più intensi e laceranti, come se
la persona che mi faceva vedere quelle cose si irritasse e decidesse di
punirmi per aver provato a sbarazzarmene. La sensazione di vuoto e
solitudine iniziava a penetrare nella mia vita al di fuori.
Non riuscivo a
tenere le immagini del rosso che mi dava la caccia al di fuori dei miei
pensieri diurni. I suoi brillanti occhi verdi che scintillavano come di
luce propria. Il modo in cui mi guardava, triste e amorevole al tempo
stesso.
Ogni tanto mi
sorprendevo di non essere rinchiuso in un centro di igiene mentale da
quando avevo cominciato a dire alla gente che non ero Corey Lawrence ma
un ragazzo di nome Roxas. Da quel momento era cominciato un regime di
cure: dei dottori venivano a visitarmi due volte a settimana e mia
madre mi faceva studiare in casa e si rifiutava di farmi
parlare con i miei coetanei. Diceva che quei ragazzi avrebbero
peggiorato i miei problemi, che avrebbero finito per chiamarmi Roxas su
mia insistenza e io avrei continuato a credere alle bugie nascoste
nella mia testa.
I dottori
l’avevano esortata a cambiare idea, dicendo che interagire
con altri ragazzi mi avrebbe aiutato a capire che qualcuno ci teneva a
me e che sarei mancato alle persone che mi volevano bene, se me ne
fossi andato.
Mi misi a
sedere lentamente, lo sguardo che si posava sullo specchio
dall’altra parte della stanza. Anche da quella distanza
potevo vedere che i miei capelli biondo scuro erano appiattiti dalla
notte di sonno. Di solito li sparavo in tutte le direzioni ed era
un’abitudine che le persone non capivano: perché
sprecare mezz’ora per rendere i miei capelli spinosi? Non
potevo dire che erano i miei sogni a spingermi a farlo, mi avrebbero
solo compatito.
Lentamente mi
costrinsi a sorridere, avevo bisogno di essere felice. Finalmente io e
i dottori avevamo convinto mamma ad accettare il fatto che frequentare
una scuola pubblica fosse la cosa più importante per me.
Questo era ciò che mi avrebbe aiutato a
“guarire”.
In
realtà pensavo che mamma si fosse arresa con me; dopotutto
poteva un disturbo sparire dopo essere peggiorato costantemente per
più di dieci anni?
Scuotendo la
testa mi alzai e infilai i vestiti che avevo preparato la sera prima.
Semplice: una maglia bianca e un paio di jeans blu, un po’
consumati sulle gambe e un paio di sneaker nere. Non mi ero mai
sforzato di scegliere come vestirmi e questo non sarebbe cambiato solo
perché dovevo andare da qualche parte. Erano i miei capelli
ad essere davvero importanti. Passai molto tempo in bagno ad
impiastricciarmeli di gel, giusto per essere sicuro che mantenessero la
forma che volevo e il risultato fu di far strillare mia madre,
infastidita. Lei non capiva che era per libera scelta che facevo
questo, che era una cosa che sentivo giusta e naturale.
Sospirando
pesantemente scesi di sotto, trovando mia madre che mi aspettava
battendo nervosamente un piede sul lucidissimo parquet.
- Corey,
farai tardi per il tuo primo giorno –
- No,
invece, ho ancora un’ora di tempo –
- Ma
devi essere lì prima per –
- E
ci sarò! Tra un’ora sarò lì
per incontrare lo studente anziano che mi spiegherà tutto e
mi mostrerà la scuola. Mamma! Non voglio arrivare mica con
due ore d’anticipo! –
Sapevo che non
avrei dovuto urlarle contro in quel modo, era davvero un grande sforzo
per lei lasciarmi fare questo… ma il suo modo di soffocarmi
di premure era davvero esasperante. Presi il mio piatto di uova e
frittelle e mi sedetti, ascoltando le ininterrotte raccomandazioni di
mia madre su cosa fare e cosa evitare, tutte cose che continuava a
ripetermi fin da quando aveva acconsentito al piano.
L’ora
non passava mai, sembrò trascorrere un secolo prima che
arrivasse il momento di arrampicarmi in macchina e allacciare la
cintura. Il tragitto, poi… un altro secolo. Avrei giurato
che mia madre avesse guidato più lentamente di proposito e
che avesse preso la strada più lunga.
Il cuore
sembrava trapassarmi il petto per quanto batteva forte, il mio stomaco
era totalmente annodato, le mani stringevano nervosamente il sedile.
Per qualche ragione quello mi sembrava un passo importante da fare,
come se in quella scuola avrei trovato qualcosa di fondamentale per me
e attendevo con ansia quel momento.
Mamma aveva
chiamato il preside prima di arrivare e l’uomo ci stava
già aspettando. Guardai la scuola per qualche momento, anche
se mia madre era già scesa. Cos’era quella strana
sensazione nel mio petto? Quella specie di gioiosa angoscia? Un brivido
mi percorse e balzai fuori, borsa in spalla.
Sorrisi
all’uomo che parlava con mia madre con la timidezza e la
purezza di un bambino che non aveva fatto niente di male: sapevo di
dovergli dare una buona impressione.
Prima di
accorgermene venni guidato attraverso i corridoi della scuola, senza
più mia madre al mio fianco, solo in quello strano posto
pieno di strane persone che non conoscevo. E mi sembrava giusto e
naturale. Scuotendo la testa provai a concentrarmi sulle parole del
preside.
- …
in classe. Okay? –
- Ehm…
Chiedo scusa? – sussurrai fissando l’uomo dai
grandi occhi, che esitava sull’uscio di una porta da cu
provenivano delle voci.
- Ho
detto che la giornata si divide in tre parti. A quest’ora gli
anziano cominciano le lezioni, ma io ne farò uscire uno. Ti
porterà in giro, parlerà con te di come
funzionano le cose da queste parti e ti porterà in mensa.
Rimarrà con te fino alla fine del pranzo, poi ti
lascerà in classe –
- Oh
– fu tutto quello che riuscii a dire.
L’uomo
bussò in fretta alla porta prima di aprirla e chiamare
qualcuno. Ci fu un silenzioso scambio di battute, poi una persona
parlò con una voce che mi fece balzare il cuore in gola
dalla felicità.
- Ha
deciso di assentarsi e il professore ha stabilito che lo sostituissi
io. Dopotutto sono un onorario –
- Molto
bene, allora, assolvi il tuo compito –
Il preside
uscì dall’aula, seguito da uno studente alto e
magro. I fiammanti capelli rossi, i segni sulle guance e quegli
scintillanti occhi verde smeraldo…
I nostri
sguardi si incontrarono e io seppi che il Destino ci aveva messo il suo
zampino.
Note
alla traduzione
Ecco
il nuovo capitolo, dal punto di vista di Roxas. Il prossimo
aggiornamento sarà venerdì.
Questo
capitolo è stato particolarmente difficile da tradurre a
causa della concordanza verbale inglese-italiano e certo non mi ha
facilitato il compito il fatto che la storia sia interamente narrata in
prima persona. Quindi vi invito a segnalare eventuali errori o
imprecisioni, il che mi aiuterebbe enormemente a migliorare lo stile di
traduzione. Ripeto, alcuni capitoli potranno sembrare un po’
pesanti anche per questo motivo, ma spero che li troverete comunque
interessanti. :) |
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Capitolo 3 *** Bittersweet Hands of Destiny ***
AXEL
POV
A lezione,
quella mattina, sedetti al mio solito banco al centro
dell’aula con il mio gruppo di amici. Parlavamo di tutto e di
niente, cose semplici come l’università o
ciò che c’era in TV la sera prima. Era tutto
normale, ma quell’apparente tranquillità sarebbe
stata smentita completamente nel momento in cui avessi incontrato il
ragazzo nuovo, anche se ancora non ne avevo idea.
Mi
infastidì sentirmi dire che io ero il secondo scelto per
essere il buon esempio del ragazzino precedentemente istruito in casa
che si era appena iscritto. Avevo accettato per la semplice
necessità di mantenere l’immagine dello studente
modello. Ovviamente nella mia testa maledicevo la mia sfortuna.
Probabilmente il ragazzino sarebbe stato un bigotto avvolto nella
bambagia, com’erano di solito i ragazzi di quel genere. Avrei
passato tutta la giornata insieme ad un bimbetto con il moccio al naso
che non aveva mai visto un armadietto a combinazione.
Quando
entrò il preside, cercando il coglione che
l’indomani sarebbe stato preso a calci nel sedere dal
sottoscritto per aver disertato, sentii il mio stomaco farsi pesante.
Ecco che iniziava l’inferno, evviva!
- Ethan
Fields? – chiamò, facendo roteare la testa pelata
e guardandosi intorno come un avvoltoio.
Sospirando
pesantemente mi alzai, agitando la mano verso di lui, che mi
guardò come se avessi cinque teste. Non gli ero mai stato a
genio, diceva che avevo un aspetto oltraggioso. Qualunque cosa volesse
dire.
- Ha
deciso di assentarsi e il professore ha stabilito che lo sostituissi
io. Dopotutto sono un onorario –
- Molto
bene, allora, assolvi il tuo compito –
Seguii
l’uomo fuori dall’aula e mi fermai non appena i
miei occhi si posarono sul ragazzetto che avrei dovuto scortare. Mi
sembrò che il tempo si fosse fermato quando i nostri occhi
si incontrarono.
Quegli stessi
occhi blu dei miei sogni, gli occhi blu che mi tormentavano
da quando ero piccolo. Ovunque guardassi su quel volto era tutto
uguale. I capelli, gli occhi, le labbra, tutto. Fu come se qualcuno
avesse deciso che ci fosse stato abbastanza dolore nella mia vita, che
meritassi una ricompensa.
- Roxas…
- sussurrai dolcemente tra me, un piccolo sorriso che mi incurvava gli
angoli della bocca.
Guardai
nuovamente verso il preside, cercando di nascondere la mia gioia. Avevo
bisogno di liberarmi di quella presenza scomoda. Se davvero era lui, il
ragazzo che avevo aspettato… gli dovevo parlare da solo.
Dovevo chiedergli perché era qui, come ci fosse arrivato. E
dirgli quanto fossi felice di vederlo, finalmente.
- Perfetto,
gli insegnerò le basi, lasci fare a me – liquidai
la testa pelata con un sorriso raggiante che lo fece allontanare
brontolando tra sé.
- Esatto,
Shiney… va’ via – mormorai roteando gli
occhi prima di guardare il biondo di fronte a me.
Gli rivolsi un
larghissimo sorriso, inclinando leggermente la testa da un lato, come
aspettando che dicesse qualcosa che dimostrasse che mi aveva
riconosciuto… niente. Tutto ciò che fece fu
guardarmi con occhi che ricordavano quelli di un daino illuminati dai
fari di un’auto.
- Molto
bene, biondino. Puoi chiamarmi Axel, dato che è
così che mi chiamano gli amici. Io sostituisco il tipo che
avrebbe dovuto mostrarti la scuola, che oggi è assente. Ma
questo va a nostro vantaggio, giusto? –
Il ragazzino
rimase in silenzio per molto tempo, prima di rispondere.
- Che
vuoi dire? – chiese semplicemente.
Sentii il mio
cuore sprofondare. Mi ero… sbagliato? Quel ragazzo
assomigliava soltanto a Roxas? Davvero lui non…?
Il pensiero
che non mi conoscesse mi fece sentire come se qualcuno mi avesse
buttato in acqua dopo avermi legato dei pesi alle caviglie e io stessi
cercando disperatamente di risalire in superficie. Scossi la testa per
quello stupido paragone prima di rispondere.
- Beh,
così possiamo parlare, no? E fammi indovinare… So
il tuo nome. È Roxas, giusto? –
Probabilmente
sorrisi trionfante nel vedere l’espressione di sorpresa sul
viso del ragazzino. Ma il mio sorriso scomparve quando mi rispose.
- Non
so di cosa stai parlando. Io… io non conosco quel nome. Il
mio è Corey, non Roxas. Non ho mai conosciuto nessuno che si
chiamasse così –
Lo
so, questo capitolo è molto breve, ma prometto che il
prossimo darà più soddisfazione. Vi invito ancora
una volta a segnalare eventuali errori o imprecisioni o fare domande se
c’è qualcosa che non vi è chiaro.
Sarò lieta di rispondere. |
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Capitolo 4 *** Is it Acceptance? ***
ROXAS
POV
Cos’avrei
potuto dire? Con lui lì che mi fissava con quegli occhi che
mi avevano perseguitato per anni. Sorrideva in modo lievemente
arrogante perché sapeva chi ero.
Era tutto
ciò che avessi sperato dal momento in cui avevo capito che
non sarei mai stato felice fin quando non avessi incontrato
l’amico dei miei sogni. Stavo per saltar su e dirgli che,
sì!, quello era il mio nome. Io ero Roxas, quello che lui
stava cercando. Io ero lui… io ero…
Dovevo solo
dire quelle parole, dirgli esattamente ciò che avevamo
bisogno di sentire entrambi.
- Non
so di cosa stai parlando. Io… Io non conosco quel nome. Il
mio è Corey, non Roxas. Non ho mai conosciuto nessuno che si
chiamasse così –
Mi morsi
subito il labbro inferiore, la parte della mia mente che si ostinava a
rinnegare i sogni aveva avuto la meglio sulla mia facoltà di
parola. Abbassai lo sguardo appena mi accorsi che l’evidente
gioia di poco prima era sparita da quegli occhi incantevoli.
- Oh…
er-errore mio. Scusa, Corey, mi hai solo ricordato qualcuno che mi sta molto a cuore
–
La sua voce
era così triste che non potei fare a meno di guardarlo di
nuovo. Si grattava nervosamente la nuca. Avvertii il dolore sordo del
senso di colpa nel mio petto. Provai a nascondere il disagio che
traspariva dal mio volto mentre lui cercava di sorridere e sembrare
felice, fallendo miseramente.
Poi iniziammo
a camminare. Fissai la sua schiena, una schiena magra e familiare, che
ero abituato a vedere, anche se non era ricoperta dalla pelle nera di
quella specie di uniforme. Mi aggrappai forte alla mia borsa mentre
giravamo l’angolo, oltrepassando le enormi porte della
biblioteca in cui mi aveva portato.
- Ehi
–
Fui riscosso
dai miei pensieri dalla sua mano che mi stringeva la spalla,
scuotendomi appena. In qualche modo i nostri occhi si incrociarono e,
con la sua mano ancora sulla mia spalla, nuovi pensieri affollarono la
mia mente. Non so se fosse il parto della mia fervida immaginazione o
il ricordo di alcuni miei sogni, ma vidi me stesso fra le sue braccia,
e mi sentivo al sicuro e felice.
Seppi che la
confusione che provavo era evidente dal modo in cui mi sorrise, ma dopo
quello… Il viso di Axel era sicuramente più
vicino e, prima di accorgermi di ciò che stava succedendo,
l’altra sua mano mi aveva preso il mento e lo stava
sollevando gentilmente. Tremai in risposta al dito che accarezzava il
mio labbro inferiore e sentii uno strano calore che mi saliva al viso.
Perché
non mi stavo ribellando? Non aveva importanza che avessi conosciuto
questo ragazzo in un’altra vita, cosa gli dava il diritto di
toccarmi la bocca con tanta confidenza? E perché mi stava
piacendo? Sentii il mio corpo tremare più violentemente e
credo che questo l’avesse fatto uscire dal suo stato di
stordimento, perché si scusò immediatamente.
Perché
lo fece? Non era colpa sua. Non era colpa sua se improvvisamente
sentivo di desiderare quel bacio.
Ero abbastanza
sicuro che le guance mi fossero diventate di un bel rosso pomodoro.
Beh, era stato effettivamente imbarazzante. Così strano e
familiare al tempo stesso.
Sentii solo
vagamente ciò che mi diceva a proposito di come usare la
biblioteca e la sua raccomandazione di chiedere al bibliotecario in
caso di necessità. Il giro della scuola sembrò
richiedere millenni. O millisecondi. Temevo che mi avrebbe di nuovo
sfiorato il viso in quel modo, ma allo stesso tempo volevo che lo
facesse.
Non ero mai
stato baciato da nessuno, la mia vita segregata non l’aveva
mai permesso e, anche se ero sempre stato curioso riguardo alla
meccanica dell’evento, non ero particolarmente interessato al
viverlo. Cosa che, a quanto pareva, era appena cambiata.
Guardai
attentamente Axel mentre parlava con un amico, che l’aveva
avvistato in corridoio e salutato. Osservai come gli occhi gli si
illuminarono di divertimento a una battuta del ragazzo, il modo in cui
rise, poi lo sguardo che mi lanciò e il modo in cui i suoi
bellissimi occhi verdi si addolcirono mentre mi sorrideva.
Forse i sogni
erano il frutto della mia fantasia e non ricordi di un’altra
vita, ma una certezza l’avevo: mi avevano preparato per quel
momento. Mi avevano detto che quel ragazzo era qualcuno che dovevo
trovare, a cui dovevo stare vicino… Qualcuno che mi avrebbe
voluto bene come io desideravo.
Ma come avrei
fatto a dirglielo?
AXEL
POV
Stare seduto
di fronte a Roxas – no, Corey – mentre pranzava
timidamente fu una tortura. Credevo che i miei voti alti e la buona
condotta avrebbero portato il Karma a sorridermi, non a questo.
Speravo di
ricevere una sorta di ricompensa per averlo guardato mangiare un hot
dog senza farmi sfuggire neanche un commento, o per non aver provato a
baciarlo più tardi, mentre gustava un ghiacciolo. Mi sentivo
come se un essere superiore mi stesse testando o qualcosa del genere.
Non potevo
dire di essere casto e puro, anche se non avevo rapporti di quel tipo
da un bel po’. E forse era proprio per quel motivo che trovai
quell’incontro insostenibile. Avevo bramato per
così tanto tempo di stringerlo tra le braccia. O comunque di
stringere la persona a cui lui assomigliava così tanto. Ci
ero andato così vicino, poco prima. Avevo quasi scoperto che
consistenza avessero quelle labbra, se fossero davvero dolci come
sembravano.
Dovevo essermi
estraniato per un po’, perché
all’improvviso Corey stava sporgendo leggermente una mano per
toccarmi e sembrava così confuso… era
così carino.
Risi
nervosamente e non potei fare a meno di pensare che se solo fossi
rimasto perso nei miei pensieri un altro po’ avrei potuto
sentire quella mano toccarmi. Doveva esserci qualcosa di strano, in
me…
- Uhm,
sì, hai finito? Immagino che sia ora di portarti in classe,
giusto? Andiamo –
Alzandomi,
aspettai che raccogliesse la sua roba prima di riattraversare il
cortile in cui eravamo seduti, rispondendo ai cenni delle persone che
mi salutavano.
Mi chiesi cosa
Corey pensasse di me. Conoscevo un sacco di persone, probabilmente
sembravo popolare… mi domandai se pensasse che fossi figo o
forse arrogante, o addirittura superficiale per la mia
popolarità.
Il momento di
separarsi arrivò troppo in fretta e probabilmente sarebbe
stato per non rivedersi più. Sapevo che dovevo procurarmi il
suo numero di telefono, organizzare un incontro. Non potevo perdere
un’occasione di quelle che veramente
capitavano una volta nella vita. Non l’avrei mai lasciato
andar via in quel modo.
Dopo un attimo
di esitazione che probabilmente mi fece sembrare davvero stupido, gli
afferrai una mano e tirai fuori una penna, scrivendo velocemente il mio
numero di telefono sul suo palmo. Alzai lo sguardo e sorrisi alla sua
confusione.
- Potresti
aver bisogno di me per qualche motivo. La scuola superiore
può spaventare, se non conosci nessuno. Ma tu conosci me,
così puoi star certo che andrà tutto bene.
Vediamoci di fronte al cancello principale alla fine delle lezioni,
okay? E se non ci sono aspettami, voglio sapere tutto del tuo primo
giorno. A dopo, Corey –
Gli feci
l’occhiolino, giusto per vedere ancora una volta la
confusione sul suo viso. Era semplicemente la cosa più
perfetta che avessi mai visto. La sua voce era bella come nei miei
sogni, se non addirittura meglio.
Il resto della
giornata sembrò trascinarsi all’infinito. Non
ricordo di cosa si parlò durante le lezioni, né
le conversazioni con gli amici. Tutto ciò che ricordavo era
limitato alla chiacchierata con Corey, al breve contatto con la sua
pelle.
Quando
finalmente suonò l’ultima campanella mi precipitai
fuori dalla classe più in fretta possibile. Arrivai sul
luogo dell’appuntamento almeno dieci minuti prima di Corey,
ma non mi importava. Avrei aspettato per anni pur di parlargli solo per
un momento. Come potevo essere sicuro che il ragazzo non sarebbe
scomparso, l’indomani? Forse quello era solo un altro sogno
da cui mi sarei svegliato…
Il mio stomaco
ebbe un sobbalzo quando lo vidi uscire dall’edificio.
Sembrò esitare leggermente quando uno dei suoi compagni si
avvicinò per scambiare qualche battuta con lui. Vidi le loro
labbra muoversi, le parole perse nel brusio degli altri studenti, che
chiacchieravano allegramente di cosa avrebbero fatto di lì a
poco.
Feci un largo
sorriso quando si congedarono e il biondo mi vide. Mi sorrise e fece un
piccolo cenno. Risposi immediatamente con calore, volevo che sapesse
quanto fossi felice di vederlo.
- Allora,
come torni a casa? –
- Beh…
mia madre… -
- Hai
un cellulare? –
- Non
ancora –
- Ecco,
tieni – gli tesi il mio – Chiamala, dille che un
tuo amico ti porta a mangiare un boccone e poi ti riaccompagna a casa
–
Sapevo che non
avrei dovuto essere troppo intraprendente, ma che altro avrei potuto
fare? Dopotutto avevo bisogno di stabilire un contatto con lui e
assicurarmi che capisse che ero serio nei suoi confronti. Non riuscii a
nascondere un sorriso quando aprì il telefono e
digitò un numero. Immaginai che non avesse trovato nessuno
in casa, dal momento che si limitò a lasciare un messaggio
veloce. Mi restituì il telefono con un sorriso, questa volta
sincero. L’esitazione sembrava svanita.
- Ora,
andiamo via di qui, okay… Roxas? –
- …
sì. Andiamo - |
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Capitolo 5 *** Coincidence or Fate ***
ROXAS
POV
Io…
non sapevo davvero cosa fare. Avevo accettato di uscire con questo
ragazzo sconosciuto ma familiare. No, non uscire. Lo faceva sembrare un
appuntamento. Mi sforzai di non sorridere mentre entravo nella sua
macchina, aggrappandomi alla mia borsa come a un’ancora di
salvezza. Sembrava giusto, per qualche ragione, ma non ero molto a mio
agio all’idea.
Avrei dovuto
davvero godermi così tanto la compagnia di qualcuno appena
conosciuto? Sapevo che a mia madre sarebbe preso un colpo una volta
trovato quel messaggio. Probabilmente avrebbe chiamato sul cellulare di
Axel e gli avrebbe gridato contro per avermi portato via da lei.
L’avrebbe definito una cattiva influenza per via dei capelli
tinti e dei tatuaggi. Si sarebbe chiesta che problemi avesse coi suoi
genitori. Per fortuna non le avevo mai descritto l’Axel dei
miei sogni; non le avevo neanche mai detto quel nome. Beh, almeno non
mi avrebbe trascinato immediatamente via da lui.
Forse ero
rimasto immerso nei miei pensieri troppo a lungo, perché
quando alzai lo sguardo notai che la macchina si stava fermando in un
parcheggio e Axel stava finendo una frase riguardo a come il cibo
avesse abbastanza grasso da bloccare un’arteria nel giro di
mezz’ora, ma fosse comunque squisito. Quando mi
guardò, sorridendo raggiante, mi sentii rispondere al
sorriso e annuire.
- Non
ne ho mai mangiato uno prima, a mamma non è mai
piaciuto… -
Non potei fare
a meno di ridacchiare quando la sua bocca si spalancò per lo
shock. Le sue parole mi fecero ridere ancora di più.
- Non
hai mai vissuto, allora! Oh
santo yoyo!
–
- Uno
yoyo santo? –
Sembrava quasi
scortese ridere di lui in quel modo, ma fu semplicemente esilarante
quando annuì allegramente in risposta alla mia domanda.
Spinse all’indietro i suoi capelli in un modo che era
così femminile e virile al tempo stesso…
semplicemente troppo divertente per essere descritto a parole.
- Sì,
è uno yoyo toccato da Dio! Got
it memorized? –
Vidi la sua
strizzata d’occhi e notai la frase così familiare
per averla sentita tanto spesso nei miei sogni.
L’occhiolino
segnalava forse che sapeva che sapevo dove l’avesse presa? O
era semplicemente una coincidenza? Sbattei le palpebre, ancora
sorridendo come un idiota mentre uscivamo dalla macchina e lui mi
guidava all’interno del locale.
Sembrava che
Axel fosse molto conosciuto lì dentro, dal modo in cui tutti
lo salutarono. Mi sentii un po’ messo da parte,
all’inizio, mentre lui agitava le mani e scherzava col
personale. Ma fu come se mi avesse letto nel pensiero. Si
guardò immediatamente indietro e mi tirò in
avanti. Prima che potessi rendermene conto mi stava già
presentando a cinque persone, ognuna delle quali mi salutò
con calore. In quel modo mi resi conto di quante cose avessi perso,
relegato in quella casa.
Mi sentii
più felice di quanto riuscissi a ricordare di essere mai
stato in vita mia quando ci sedemmo al tavolo. Esaminai il
menù e poi gettai un’occhiata ad Axel, seduto di
fronte a me. C’era l’imbarazzo della scelta, non
sapevo davvero cosa prendere. Mi morsi le labbra quando il cameriere
(che sembrava anche lui in rapporti amichevoli con il rosso) venne da
noi a prendere le ordinazioni per le bevande. Sollevai lo sguardo e
notai una stranissima espressione sul volto di Axel, che non riuscii a
riconoscere. Quando il cameriere, ridendo, gli diede una piccola
gomitata lui sembrò risvegliarsi.
Fui a dir poco
sollevato quando il mio nuovo amico ordinò da bere anche per
me: qualcosa di meno di cui preoccuparmi. Per qualche strana ragione
non volevo sembrare stupido davanti a lui, volevo che mi vedesse
tranquillo e disinvolto, anche se sapevo che ciò era fuori
questione: ero stato tenuto fuori dal mondo per troppo tempo.
- Questo
è quello che mangeremo –
Per
l’ennesima volta fui strappato via dalle mie fantasticherie.
Dovevo davvero darci un taglio…
Sentii le mie
guance farsi bollenti e lui rise del mio imbarazzo. Sentii i miei
battiti accelerare vertiginosamente mentre lui si avvicinava a me e
quasi andai incontro alla sua mano. Volevo davvero che mi toccasse? Non
ne ero proprio sicuro, ma mi sentii piuttosto deluso quando lui si
limitò ad aprire il mio menù su una pagina piena
zeppa di diversi tipi di hamburger.
- Sono
la specialità della casa. Ci sono quelli normali, quelli
vegetali, quelli con pancetta, pollo… Hanno davvero di tutto
e vengono serviti con un’enorme porzione di patatine fritte.
Uno qualsiasi di questi alza i livelli di colesterolo nel corpo in
maniera allarmante. Beh, eccetto quello con le verdure, ma non ho idea
di come facciano i vegetariani –
Il suo viso si
fece pensieroso e tornò a sedersi normalmente con una
piccola scrollata di spalle.
- Uhm…
Penso che prenderò un semplice hamburger –
- Sì?
Niente dentro? Che so… pomodoro, cipolla, lattuga?
– quando scossi la testa annuì e
comunicò le nostre ordinazioni al cameriere con
rapidità ed efficienza, quando questi ritornò con
le nostre bibite.
Fui contento
che se ne occupasse lui, sembrò venirgli naturale; io ero
troppo timido per questo. Assaggiai allegramente il misterioso liquido
scuro, che si rivelò essere una bevanda dolce e
frizzante.
- Comunque…
perché non mi parli un po’ di te? Non sembravi
molto loquace a scuola. Ora che sai che non mordo… non
forte, in ogni caso… perché non mi dici come mai
ti sei iscritto solo ora? –
Battei
rapidamente le palpebre. Aveva mica detto che mi avrebbe morso? O
l’avevo solo preso troppo alla lettera? Scelsi di ignorare
momentaneamente quella parte della conversazione.
- Beh…
i miei dottori hanno detto a mia madre che le interazioni sociali mi
avrebbero fatto bene –
Tenni lo
sguardo sul tavolo mentre dicevo quelle cose. Sapevo che le parole
“i miei dottori” l’avrebbero molto
probabilmente spaventato. Invece udii una risata e sollevai lo sguardo
per osservare la sua espressione divertita.
- Sì,
mi ricordo quando mia madre quasi voleva tenermi alla larga dai ragazzi
della scuola. Pensava che mi avrebbero influenzato negativamente.
Probabilmente si è arresa, visto che i dottori continuavano
a ripeterle che le persone avrebbero portato a un miglioramento del mio
disturbo. Ora mi lascia andare ovunque… -
- Disturbo? – lo
interruppi. Anche lui aveva un disturbo?
- Sì.
Ricordi quando prima ti ho chiamato Roxas? Beh, ho delle allucinazioni.
Possiamo chiamarli dei sogni, se vuoi, nei quali faccio una promessa a
qualcuno con quel nome. Ti assomiglia un sacco. Gli dico che ci
incontreremo di nuovo nella prossima vita. Questo compromette la mia
capacità di stringere relazioni sociali. Io
l’ho… sempre aspettato, sai? –
Quelle parole
erano come un messaggio in codice e giuro che in quel momento il mio
cuore saltò un battito.
Coincidenza? Le
coincidenze non esistono. |
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