Another life

di DA_translations
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chronic Dreaming ***
Capitolo 2: *** Previous Nightmares ***
Capitolo 3: *** Bittersweet Hands of Destiny ***
Capitolo 4: *** Is it Acceptance? ***
Capitolo 5: *** Coincidence or Fate ***



Capitolo 1
*** Chronic Dreaming ***


Per favore, fermatevi a leggere le note in fondo al capitolo, quando l’avrete finito. Grazie.

AXEL POV
Fui attraversato da un dolore atroce. Abbassai lo sguardo verso il mio stomaco, fonte di quella pena, accorgendomi che la tunica di pelle nera che indossavo aveva un largo strappo su un lato, all’altezza di petto e addome. 
Guardai alternativamente le mie mani, per nulla sorpreso di vedere che reggevano debolmente quelli che sembravano due dischi spinati. 
Di nuovo quel sogno… 
- Axel… - 
Quella voce mi fece sollevare lo sguardo, come aveva sempre fatto. Davanti a me uno sconosciuto, il familiare sconosciuto che qui e solo qui io conoscevo, il ragazzo che mi tormentava sin da quando ero un bambino. Il sogno era sempre lo stesso, cambiava molto di rado, ma lui era sempre presente.
Sapevo esattamente cosa avrei detto di lì a poco e anche l’esatto tono di voce con cui avrei parlato. Non avevo nessun controllo su questo, niente di quanto avrei potuto tentare avrebbe cambiato quel momento.
- Ci rivedremo nella prossima vita – 
- Sì. Aspetterò – 
- Sciocco. Solo perché tu hai una prossima vita – 

Balzai a sedere, gli occhi spalancati. Mi guardai attorno, il petto che si alzava e abbassava al ritmo veloce del mio respiro affannato. Artigliai con una mano le lenzuola e mi mordicchiai ansioso il labbro inferiore, sentendo una strana solitudine fluirmi in tutto il corpo.
Ricordavo benissimo la prima volta che avevo fatto quel sogno. Mi ero precipitato in lacrime nella camera dei miei genitori, dicendo disperato che il mio migliore amico, il mio amico del cuore era scomparso. Che anche se aveva promesso che ci saremmo rivisti io non gli credevo.
Fu in quel periodo che quel sogno divenne un’ossessione e iniziai a parlare insistentemente di questo “Roxas” come del mio unico amico, l’unico che mi piacesse; fu in quel periodo che i miei genitori iniziarono seriamente a preoccuparsi per la mia salute mentale. Mi portarono da dottori e psichiatri, mi furono prescritti un sacco di psicofarmaci che avrebbero dovuto far scomparire gli incubi e offrirmi un sonno ristoratore. Tuttavia il loro unico effetto fu di peggiorare ulteriormente la situazione: i sogni divennero più vividi. Iniziai a descrivere com’ero, cosa indossavo; dissi che potevo controllare il fuoco.
Fu quando compii 15 anni che cominciai seriamente a diventare la persona che ero nei miei sogni. I miei genitori si arresero all’evidenza. Lasciarono che tingessi i miei capelli corvini del colore delle fiamme e mi firmarono il permesso che serviva per tatuarmi una lacrima capovolta sotto entrambi gli occhi. Tuttavia all’inizio si rifiutarono di chiamarmi Axel, nonostante io insistessi tanto, anche con violenza a volte. Ma poi fallirono anche in questo. Dimenticarono di continuare a chiamarmi Brannan, visto che tutti si rivolgevano a me usando l’altro nome.
Spinsi via lentamente le coperte, spostando lo sguardo sulla finestra. Adesso avevo 18 anni, ero uno studente “anziano” nella mia scuola superiore. Uno studente onorario, candidato a diplomarmi con il massimo dei voti. Facevo anche parte della squadra di dibattito; niente di cui andar fieri, in realtà, ma valorizzava la mia abilità naturale di rigirare le persone come volevo attraverso le parole. I miei genitori pensavano che il dibattito fosse migliore, per me, della compagnia dei miei amici. Questo dopo avermi visto far piangere un bullo con il semplice espediente di ritorcere le sue stesse parole contro di lui, inducendo tutti gli altri a ridergli dietro.
Lanciai un’occhiata all’orologio: un’ora abbondante prima che cominciassero le lezioni. Era sempre così quando avevo uno di quei sogni, andava a finire che arrivavo a scuola con molto anticipo e sedevo sui gradini, cercando di ignorare il senso di solitudine che mi rimaneva dentro. Il fatto che l’immagine di quel viso mi aggredisse ogni volta che battevo le palpebre non mi aiutava.
Indossai la solita maglia e i jeans consumati e gettai in cartella i libri necessari per la giornata. Una volta chiusa silenziosamente la porta della mia camera alle mie spalle, esitai davanti alla stanza di mia sorella, che parlava al telefono in tono mieloso con qualche amica – o con il fidanzato. Ancora una volta la sua affollatissima vita sociale l’aveva tenuta sveglia tutta la notte. A volte mi comportavo come se non mi importasse di ciò che faceva, a volte semplicemente la invidiavo. 
Non ero un asociale, non lo ero mai stato, né ero scortese con gli altri: non scoraggiavo le interazioni sociali. Semplicemente le mie aspettative per quanto riguardava l’amicizia erano molto alte. Nessuno sembrava valere nemmeno la metà del ragazzo che vedevo nei miei sogni, colui che mi aveva fatto quella promessa, anche se effettivamente non l’avevo ancora incontrato. Quel che ragazzo era sempre circondato da un alone di innocenza e gentilezza, colui che mi rendeva felice.
Quello era probabilmente il motivo per cui aspettavo con ansia quei sogni, anche se mi facevano sentire solo. Probabilmente mi ero innamorato di questo Roxas. Forse era per quello che le ragazze della mia scuola non avevano mai avuto fortuna e io ero felicemente single.
Un piccolo verso mi sfuggì dalle labbra mentre scendevo al piano di sotto. Afferrai una mela e uscii di casa.
Volendo indugiare su quei pensieri un altro po’ mi sedetti sui gradini della veranda per ammirare il sole nascente. Non pensavo mai di essere depresso, perché non lo ero. Semplicemente ero avido della speranza che qualcuno, da qualche parte, mi stesse aspettando, anche se era un pensiero malinconico. Era una tristezza che mi infliggevo volontariamente. Chiamatemi masochista, se vi pare. 
A volte pensavo: se mi fossi unito a un gruppo di recupero per casi come il mio, come diavolo avrei dovuto presentarmi?
“Ciao, sono Brannan McNeal, ma preferisco essere chiamato Axel, come la persona che divento nei miei sogni. Sono innamorato di un ragazzo di nome Roxas, che incontro solo quando dormo”
Lo dissi ad alta voce, per vedere che effetto avrebbe fatto e non potei fare a meno di ridere di me stesso, mordendo la mia mela. Di sicuro sarei stato definito solo come pazzo.

Note alla traduzione
Alcuni capitoli potranno sembrare un po’ lenti, ma a mio parere la storia ne vale la pena. Pubblicherò il prossimo tra pochi di giorni per il secondo punto di vista. Per il resto dovrei attenermi al ritmo di un capitolo ogni 5-7 giorni.
Vi prego di lasciarmi un parere perché è la mia prima traduzione ufficiale e ho promesso all’autrice della storia di passarle i vostri commenti (opportunamente tradotti in inglese). 
Sono disponibile a dare delucidazioni su qualsiasi dubbio possiate avere sulla storia. Consigli e critiche ai fini del miglioramento della traduzione sono ben accetti.
Dimenticavo: per chi volesse leggere la storia in lingua originale vi do il nome dell'autrice. Seguite questo link Saharen e cliccate sulla gallery dell'autrice. Purtroppo dovrete aprire i capitoli uno alla volta perchè non c'è il collegamento tra uno e l'altro, ma ci si adatta facilmente ;)

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Capitolo 2
*** Previous Nightmares ***


ROXAS POV
Era come se un coltello fosse stato piantato nel mio petto e poi rigirato per sadismo, come se una persona senza scrupoli avesse appena deciso che la mia vita non fosse importante.
Frammenti di una vita che non riuscivo a ricordare, ricordi di persone che, in qualche modo, da qualche parte, avevo conosciuto e amato.
Mia madre diceva che avevo un disturbo, qualcosa che sarebbe passato se io avessi semplicemente ignorato i miei sogni, se li avessi dimenticati. Ma più ci provavo e più difficile diventava. I sogni sembravano solo diventare più intensi e laceranti, come se la persona che mi faceva vedere quelle cose si irritasse e decidesse di punirmi per aver provato a sbarazzarmene. La sensazione di vuoto e solitudine iniziava a penetrare nella mia vita al di fuori.
Non riuscivo a tenere le immagini del rosso che mi dava la caccia al di fuori dei miei pensieri diurni. I suoi brillanti occhi verdi che scintillavano come di luce propria. Il modo in cui mi guardava, triste e amorevole al tempo stesso.
Ogni tanto mi sorprendevo di non essere rinchiuso in un centro di igiene mentale da quando avevo cominciato a dire alla gente che non ero Corey Lawrence ma un ragazzo di nome Roxas. Da quel momento era cominciato un regime di cure: dei dottori venivano a visitarmi due volte a settimana e mia madre mi faceva studiare in casa  e si rifiutava di farmi parlare con i miei coetanei. Diceva che quei ragazzi avrebbero peggiorato i miei problemi, che avrebbero finito per chiamarmi Roxas su mia insistenza e io avrei continuato a credere alle bugie nascoste nella mia testa.
I dottori l’avevano esortata a cambiare idea, dicendo che interagire con altri ragazzi mi avrebbe aiutato a capire che qualcuno ci teneva a me e che sarei mancato alle persone che mi volevano bene, se me ne fossi andato.
Mi misi a sedere lentamente, lo sguardo che si posava sullo specchio dall’altra parte della stanza. Anche da quella distanza potevo vedere che i miei capelli biondo scuro erano appiattiti dalla notte di sonno. Di solito li sparavo in tutte le direzioni ed era un’abitudine che le persone non capivano: perché sprecare mezz’ora per rendere i miei capelli spinosi? Non potevo dire che erano i miei sogni a spingermi a farlo, mi avrebbero solo compatito.
Lentamente mi costrinsi a sorridere, avevo bisogno di essere felice. Finalmente io e i dottori avevamo convinto mamma ad accettare il fatto che frequentare una scuola pubblica fosse la cosa più importante per me. Questo era ciò che mi avrebbe aiutato a “guarire”.
In realtà pensavo che mamma si fosse arresa con me; dopotutto poteva un disturbo sparire dopo essere peggiorato costantemente per più di dieci anni?
Scuotendo la testa mi alzai e infilai i vestiti che avevo preparato la sera prima. Semplice: una maglia bianca e un paio di jeans blu, un po’ consumati sulle gambe e un paio di sneaker nere. Non mi ero mai sforzato di scegliere come vestirmi e questo non sarebbe cambiato solo perché dovevo andare da qualche parte. Erano i miei capelli ad essere davvero importanti. Passai molto tempo in bagno ad impiastricciarmeli di gel, giusto per essere sicuro che mantenessero la forma che volevo e il risultato fu di far strillare mia madre, infastidita. Lei non capiva che era per libera scelta che facevo questo, che era una cosa che sentivo giusta e naturale.
Sospirando pesantemente scesi di sotto, trovando mia madre che mi aspettava battendo nervosamente un piede sul lucidissimo parquet.
- Corey, farai tardi per il tuo primo giorno –
- No, invece, ho ancora un’ora di tempo –
- Ma devi essere lì prima per –
- E ci sarò! Tra un’ora sarò lì per incontrare lo studente anziano che mi spiegherà tutto e mi mostrerà la scuola. Mamma! Non voglio arrivare mica con due ore d’anticipo! –
Sapevo che non avrei dovuto urlarle contro in quel modo, era davvero un grande sforzo per lei lasciarmi fare questo… ma il suo modo di soffocarmi di premure era davvero esasperante. Presi il mio piatto di uova e frittelle e mi sedetti, ascoltando le ininterrotte raccomandazioni di mia madre su cosa fare e cosa evitare, tutte cose che continuava a ripetermi fin da quando aveva acconsentito al piano.
L’ora non passava mai, sembrò trascorrere un secolo prima che arrivasse il momento di arrampicarmi in macchina e allacciare la cintura. Il tragitto, poi… un altro secolo. Avrei giurato che mia madre avesse guidato più lentamente di proposito e che avesse preso la strada più lunga.
Il cuore sembrava trapassarmi il petto per quanto batteva forte, il mio stomaco era totalmente annodato, le mani stringevano nervosamente il sedile. Per qualche ragione quello mi sembrava un passo importante da fare, come se in quella scuola avrei trovato qualcosa di fondamentale per me e attendevo con ansia quel momento.
Mamma aveva chiamato il preside prima di arrivare e l’uomo ci stava già aspettando. Guardai la scuola per qualche momento, anche se mia madre era già scesa. Cos’era quella strana sensazione nel mio petto? Quella specie di gioiosa angoscia? Un brivido mi percorse e balzai fuori, borsa in spalla.
Sorrisi all’uomo che parlava con mia madre con la timidezza e la purezza di un bambino che non aveva fatto niente di male: sapevo di dovergli dare una buona impressione.
Prima di accorgermene venni guidato attraverso i corridoi della scuola, senza più mia madre al mio fianco, solo in quello strano posto pieno di strane persone che non conoscevo. E mi sembrava giusto e naturale. Scuotendo la testa provai a concentrarmi sulle parole del preside.
- … in classe. Okay? –
- Ehm… Chiedo scusa? – sussurrai fissando l’uomo dai grandi occhi, che esitava sull’uscio di una porta da cu provenivano delle voci.
- Ho detto che la giornata si divide in tre parti. A quest’ora gli anziano cominciano le lezioni, ma io ne farò uscire uno. Ti porterà in giro, parlerà con te di come funzionano le cose da queste parti e ti porterà in mensa. Rimarrà con te fino alla fine del pranzo, poi ti lascerà in classe –
- Oh – fu tutto quello che riuscii a dire.
L’uomo bussò in fretta alla porta prima di aprirla e chiamare qualcuno. Ci fu un silenzioso scambio di battute, poi una persona parlò con una voce che mi fece balzare il cuore in gola dalla felicità.
- Ha deciso di assentarsi e il professore ha stabilito che lo sostituissi io. Dopotutto sono un onorario –
- Molto bene, allora, assolvi il tuo compito –
Il preside uscì dall’aula, seguito da uno studente alto e magro. I fiammanti capelli rossi, i segni sulle guance e quegli scintillanti occhi verde smeraldo…
I nostri sguardi si incontrarono e io seppi che il Destino ci aveva messo il suo zampino.

Note alla traduzione
Ecco il nuovo capitolo, dal punto di vista di Roxas. Il prossimo aggiornamento sarà venerdì.
Questo capitolo è stato particolarmente difficile da tradurre a causa della concordanza verbale inglese-italiano e certo non mi ha facilitato il compito il fatto che la storia sia interamente narrata in prima persona. Quindi vi invito a segnalare eventuali errori o imprecisioni, il che mi aiuterebbe enormemente a migliorare lo stile di traduzione. Ripeto, alcuni capitoli potranno sembrare un po’ pesanti anche per questo motivo, ma spero che li troverete comunque interessanti. :) 

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Capitolo 3
*** Bittersweet Hands of Destiny ***


AXEL POV
A lezione, quella mattina, sedetti al mio solito banco al centro dell’aula con il mio gruppo di amici. Parlavamo di tutto e di niente, cose semplici come l’università o ciò che c’era in TV la sera prima. Era tutto normale, ma quell’apparente tranquillità sarebbe stata smentita completamente nel momento in cui avessi incontrato il ragazzo nuovo, anche se ancora non ne avevo idea.
Mi infastidì sentirmi dire che io ero il secondo scelto per essere il buon esempio del ragazzino precedentemente istruito in casa che si era appena iscritto. Avevo accettato per la semplice necessità di mantenere l’immagine dello studente modello. Ovviamente nella mia testa maledicevo la mia sfortuna. Probabilmente il ragazzino sarebbe stato un bigotto avvolto nella bambagia, com’erano di solito i ragazzi di quel genere. Avrei passato tutta la giornata insieme ad un bimbetto con il moccio al naso che non aveva mai visto un armadietto a combinazione.
Quando entrò il preside, cercando il coglione che l’indomani sarebbe stato preso a calci nel sedere dal sottoscritto per aver disertato, sentii il mio stomaco farsi pesante. Ecco che iniziava l’inferno, evviva!
- Ethan Fields? – chiamò, facendo roteare la testa pelata e guardandosi intorno come un avvoltoio.
Sospirando pesantemente mi alzai, agitando la mano verso di lui, che mi guardò come se avessi cinque teste. Non gli ero mai stato a genio, diceva che avevo un aspetto oltraggioso. Qualunque cosa volesse dire.
- Ha deciso di assentarsi e il professore ha stabilito che lo sostituissi io. Dopotutto sono un onorario –
- Molto bene, allora, assolvi il tuo compito –
Seguii l’uomo fuori dall’aula e mi fermai non appena i miei occhi si posarono sul ragazzetto che avrei dovuto scortare. Mi sembrò che il tempo si fosse fermato quando i nostri occhi si incontrarono.
Quegli stessi occhi blu dei miei sogni, gli occhi blu che mi tormentavano  da quando ero piccolo. Ovunque guardassi su quel volto era tutto uguale. I capelli, gli occhi, le labbra, tutto. Fu come se qualcuno avesse deciso che ci fosse stato abbastanza dolore nella mia vita, che meritassi una ricompensa.
- Roxas… - sussurrai dolcemente tra me, un piccolo sorriso che mi incurvava gli angoli della bocca.
Guardai nuovamente verso il preside, cercando di nascondere la mia gioia. Avevo bisogno di liberarmi di quella presenza scomoda. Se davvero era lui, il ragazzo che avevo aspettato… gli dovevo parlare da solo. Dovevo chiedergli perché era qui, come ci fosse arrivato. E dirgli quanto fossi felice di vederlo, finalmente.
- Perfetto, gli insegnerò le basi, lasci fare a me – liquidai la testa pelata con un sorriso raggiante che lo fece allontanare brontolando tra sé.
- Esatto, Shiney… va’ via – mormorai roteando gli occhi prima di guardare il biondo di fronte a me.
Gli rivolsi un larghissimo sorriso, inclinando leggermente la testa da un lato, come aspettando che dicesse qualcosa che dimostrasse che mi aveva riconosciuto… niente. Tutto ciò che fece fu guardarmi con occhi che ricordavano quelli di un daino illuminati dai fari di un’auto.
- Molto bene, biondino. Puoi chiamarmi Axel, dato che è così che mi chiamano gli amici. Io sostituisco il tipo che avrebbe dovuto mostrarti la scuola, che oggi è assente. Ma questo va a nostro vantaggio, giusto? –
Il ragazzino rimase in silenzio per molto tempo, prima di rispondere.
- Che vuoi dire? – chiese semplicemente.
Sentii il mio cuore sprofondare. Mi ero… sbagliato? Quel ragazzo assomigliava soltanto a Roxas? Davvero lui non…?
Il pensiero che non mi conoscesse mi fece sentire come se qualcuno mi avesse buttato in acqua dopo avermi legato dei pesi alle caviglie e io stessi cercando disperatamente di risalire in superficie. Scossi la testa per quello stupido paragone prima di rispondere.
- Beh, così possiamo parlare, no? E fammi indovinare… So il tuo nome. È Roxas, giusto? –
Probabilmente sorrisi trionfante nel vedere l’espressione di sorpresa sul viso del ragazzino. Ma il mio sorriso scomparve quando mi rispose.
- Non so di cosa stai parlando. Io… io non conosco quel nome. Il mio è Corey, non Roxas. Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse così –


Lo so, questo capitolo è molto breve, ma prometto che il prossimo darà più soddisfazione. Vi invito ancora una volta a segnalare eventuali errori o imprecisioni o fare domande se c’è qualcosa che non vi è chiaro. Sarò lieta di rispondere.

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Capitolo 4
*** Is it Acceptance? ***


ROXAS POV
Cos’avrei potuto dire? Con lui lì che mi fissava con quegli occhi che mi avevano perseguitato per anni. Sorrideva in modo lievemente arrogante perché sapeva chi ero.
Era tutto ciò che avessi sperato dal momento in cui avevo capito che non sarei mai stato felice fin quando non avessi incontrato l’amico dei miei sogni. Stavo per saltar su e dirgli che, sì!, quello era il mio nome. Io ero Roxas, quello che lui stava cercando. Io ero lui… io ero…
Dovevo solo dire quelle parole, dirgli esattamente ciò che avevamo bisogno di sentire entrambi.
- Non so di cosa stai parlando. Io… Io non conosco quel nome. Il mio è Corey, non Roxas. Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse così –
Mi morsi subito il labbro inferiore, la parte della mia mente che si ostinava a rinnegare i sogni aveva avuto la meglio sulla mia facoltà di parola. Abbassai lo sguardo appena mi accorsi che l’evidente gioia di poco prima era sparita da quegli occhi incantevoli.
- Oh… er-errore mio. Scusa, Corey, mi hai solo ricordato qualcuno che mi sta molto a cuore
La sua voce era così triste che non potei fare a meno di guardarlo di nuovo. Si grattava nervosamente la nuca. Avvertii il dolore sordo del senso di colpa nel mio petto. Provai a nascondere il disagio che traspariva dal mio volto mentre lui cercava di sorridere e sembrare felice, fallendo miseramente.
Poi iniziammo a camminare. Fissai la sua schiena, una schiena magra e familiare, che ero abituato a vedere, anche se non era ricoperta dalla pelle nera di quella specie di uniforme. Mi aggrappai forte alla mia borsa mentre giravamo l’angolo, oltrepassando le enormi porte della biblioteca in cui mi aveva portato.
- Ehi –
Fui riscosso dai miei pensieri dalla sua mano che mi stringeva la spalla, scuotendomi appena. In qualche modo i nostri occhi si incrociarono e, con la sua mano ancora sulla mia spalla, nuovi pensieri affollarono la mia mente. Non so se fosse il parto della mia fervida immaginazione o il ricordo di alcuni miei sogni, ma vidi me stesso fra le sue braccia, e mi sentivo al sicuro e felice.
Seppi che la confusione che provavo era evidente dal modo in cui mi sorrise, ma dopo quello… Il viso di Axel era sicuramente più vicino e, prima di accorgermi di ciò che stava succedendo, l’altra sua mano mi aveva preso il mento e lo stava sollevando gentilmente. Tremai in risposta al dito che accarezzava il mio labbro inferiore e sentii uno strano calore che mi saliva al viso.
Perché non mi stavo ribellando? Non aveva importanza che avessi conosciuto questo ragazzo in un’altra vita, cosa gli dava il diritto di toccarmi la bocca con tanta confidenza? E perché mi stava piacendo? Sentii il mio corpo tremare più violentemente e credo che questo l’avesse fatto uscire dal suo stato di stordimento, perché si scusò immediatamente.
Perché lo fece? Non era colpa sua. Non era colpa sua se improvvisamente sentivo di desiderare quel bacio.
Ero abbastanza sicuro che le guance mi fossero diventate di un bel rosso pomodoro. Beh, era stato effettivamente imbarazzante. Così strano e familiare al tempo stesso.
Sentii solo vagamente ciò che mi diceva a proposito di come usare la biblioteca e la sua raccomandazione di chiedere al bibliotecario in caso di necessità. Il giro della scuola sembrò richiedere millenni. O millisecondi. Temevo che mi avrebbe di nuovo sfiorato il viso in quel modo, ma allo stesso tempo volevo che lo facesse.
Non ero mai stato baciato da nessuno, la mia vita segregata non l’aveva mai permesso e, anche se ero sempre stato curioso riguardo alla meccanica dell’evento, non ero particolarmente interessato al viverlo. Cosa che, a quanto pareva, era appena cambiata.
Guardai attentamente Axel mentre parlava con un amico, che l’aveva avvistato in corridoio e salutato. Osservai come gli occhi gli si illuminarono di divertimento a una battuta del ragazzo, il modo in cui rise, poi lo sguardo che mi lanciò e il modo in cui i suoi bellissimi occhi verdi si addolcirono mentre mi sorrideva.
Forse i sogni erano il frutto della mia fantasia e non ricordi di un’altra vita, ma una certezza l’avevo: mi avevano preparato per quel momento. Mi avevano detto che quel ragazzo era qualcuno che dovevo trovare, a cui dovevo stare vicino… Qualcuno che mi avrebbe voluto bene come io desideravo.
Ma come avrei fatto a dirglielo?

AXEL POV
Stare seduto di fronte a Roxas – no, Corey – mentre pranzava timidamente fu una tortura. Credevo che i miei voti alti e la buona condotta avrebbero portato il Karma a sorridermi, non a questo.
Speravo di ricevere una sorta di ricompensa per averlo guardato mangiare un hot dog senza farmi sfuggire neanche un commento, o per non aver provato a baciarlo più tardi, mentre gustava un ghiacciolo. Mi sentivo come se un essere superiore mi stesse testando o qualcosa del genere.
Non potevo dire di essere casto e puro, anche se non avevo rapporti di quel tipo da un bel po’. E forse era proprio per quel motivo che trovai quell’incontro insostenibile. Avevo bramato per così tanto tempo di stringerlo tra le braccia. O comunque di stringere la persona a cui lui assomigliava così tanto. Ci ero andato così vicino, poco prima. Avevo quasi scoperto che consistenza avessero quelle labbra, se fossero davvero dolci come sembravano.
Dovevo essermi estraniato per un po’, perché all’improvviso Corey stava sporgendo leggermente una mano per toccarmi e sembrava così confuso… era così carino.
Risi nervosamente e non potei fare a meno di pensare che se solo fossi rimasto perso nei miei pensieri un altro po’ avrei potuto sentire quella mano toccarmi. Doveva esserci qualcosa di strano, in me…
- Uhm, sì, hai finito? Immagino che sia ora di portarti in classe, giusto? Andiamo –
Alzandomi, aspettai che raccogliesse la sua roba prima di riattraversare il cortile in cui eravamo seduti, rispondendo ai cenni delle persone che mi salutavano.
Mi chiesi cosa Corey pensasse di me. Conoscevo un sacco di persone, probabilmente sembravo popolare… mi domandai se pensasse che fossi figo o forse arrogante, o addirittura superficiale per la mia popolarità.
Il momento di separarsi arrivò troppo in fretta e probabilmente sarebbe stato per non rivedersi più. Sapevo che dovevo procurarmi il suo numero di telefono, organizzare un incontro. Non potevo perdere un’occasione di quelle che veramente capitavano una volta nella vita. Non l’avrei mai lasciato andar via in quel modo.
Dopo un attimo di esitazione che probabilmente mi fece sembrare davvero stupido, gli afferrai una mano e tirai fuori una penna, scrivendo velocemente il mio numero di telefono sul suo palmo. Alzai lo sguardo e sorrisi alla sua confusione.
- Potresti aver bisogno di me per qualche motivo. La scuola superiore può spaventare, se non conosci nessuno. Ma tu conosci me, così puoi star certo che andrà tutto bene. Vediamoci di fronte al cancello principale alla fine delle lezioni, okay? E se non ci sono aspettami, voglio sapere tutto del tuo primo giorno. A dopo, Corey –
Gli feci l’occhiolino, giusto per vedere ancora una volta la confusione sul suo viso. Era semplicemente la cosa più perfetta che avessi mai visto. La sua voce era bella come nei miei sogni, se non addirittura meglio.
Il resto della giornata sembrò trascinarsi all’infinito. Non ricordo di cosa si parlò durante le lezioni, né le conversazioni con gli amici. Tutto ciò che ricordavo era limitato alla chiacchierata con Corey, al breve contatto con la sua pelle.
Quando finalmente suonò l’ultima campanella mi precipitai fuori dalla classe più in fretta possibile. Arrivai sul luogo dell’appuntamento almeno dieci minuti prima di Corey, ma non mi importava. Avrei aspettato per anni pur di parlargli solo per un momento. Come potevo essere sicuro che il ragazzo non sarebbe scomparso, l’indomani? Forse quello era solo un altro sogno da cui mi sarei svegliato…
Il mio stomaco ebbe un sobbalzo quando lo vidi uscire dall’edificio. Sembrò esitare leggermente quando uno dei suoi compagni si avvicinò per scambiare qualche battuta con lui. Vidi le loro labbra muoversi, le parole perse nel brusio degli altri studenti, che chiacchieravano allegramente di cosa avrebbero fatto di lì a poco.
Feci un largo sorriso quando si congedarono e il biondo mi vide. Mi sorrise e fece un piccolo cenno. Risposi immediatamente con calore, volevo che sapesse quanto fossi felice di vederlo.
- Allora, come torni a casa? –
- Beh… mia madre… -
- Hai un cellulare? –
- Non ancora –
- Ecco, tieni – gli tesi il mio – Chiamala, dille che un tuo amico ti porta a mangiare un boccone e poi ti riaccompagna a casa –
Sapevo che non avrei dovuto essere troppo intraprendente, ma che altro avrei potuto fare? Dopotutto avevo bisogno di stabilire un contatto con lui e assicurarmi che capisse che ero serio nei suoi confronti. Non riuscii a nascondere un sorriso quando aprì il telefono e digitò un numero. Immaginai che non avesse trovato nessuno in casa, dal momento che si limitò a lasciare un messaggio veloce. Mi restituì il telefono con un sorriso, questa volta sincero. L’esitazione sembrava svanita.
- Ora, andiamo via di qui, okay… Roxas? –
- … sì. Andiamo - 

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Capitolo 5
*** Coincidence or Fate ***


ROXAS POV
Io… non sapevo davvero cosa fare. Avevo accettato di uscire con questo ragazzo sconosciuto ma familiare. No, non uscire. Lo faceva sembrare un appuntamento. Mi sforzai di non sorridere mentre entravo nella sua macchina, aggrappandomi alla mia borsa come a un’ancora di salvezza. Sembrava giusto, per qualche ragione, ma non ero molto a mio agio all’idea.
Avrei dovuto davvero godermi così tanto la compagnia di qualcuno appena conosciuto? Sapevo che a mia madre sarebbe preso un colpo una volta trovato quel messaggio. Probabilmente avrebbe chiamato sul cellulare di Axel e gli avrebbe gridato contro per avermi portato via da lei. L’avrebbe definito una cattiva influenza per via dei capelli tinti e dei tatuaggi. Si sarebbe chiesta che problemi avesse coi suoi genitori. Per fortuna non le avevo mai descritto l’Axel dei miei sogni; non le avevo neanche mai detto quel nome. Beh, almeno non mi avrebbe trascinato immediatamente via da lui.
Forse ero rimasto immerso nei miei pensieri troppo a lungo, perché quando alzai lo sguardo notai che la macchina si stava fermando in un parcheggio e Axel stava finendo una frase riguardo a come il cibo avesse abbastanza grasso da bloccare un’arteria nel giro di mezz’ora, ma fosse comunque squisito. Quando mi guardò, sorridendo raggiante, mi sentii rispondere al sorriso e annuire.
 - Non ne ho mai mangiato uno prima, a mamma non è mai piaciuto… -
Non potei fare a meno di ridacchiare quando la sua bocca si spalancò per lo shock. Le sue parole mi fecero ridere ancora di più.
- Non hai mai vissuto, allora! Oh santo yoyo!
- Uno yoyo santo? –
Sembrava quasi scortese ridere di lui in quel modo, ma fu semplicemente esilarante quando annuì allegramente in risposta alla mia domanda. Spinse all’indietro i suoi capelli in un modo che era così femminile e virile al tempo stesso… semplicemente troppo divertente per essere descritto a parole.
- Sì, è uno yoyo toccato da Dio! Got it memorized?
Vidi la sua strizzata d’occhi e notai la frase così familiare per averla sentita tanto spesso nei miei sogni.
L’occhiolino segnalava forse che sapeva che sapevo dove l’avesse presa? O era semplicemente una coincidenza? Sbattei le palpebre, ancora sorridendo come un idiota mentre uscivamo dalla macchina e lui mi guidava all’interno del locale.
Sembrava che Axel fosse molto conosciuto lì dentro, dal modo in cui tutti lo salutarono. Mi sentii un po’ messo da parte, all’inizio, mentre lui agitava le mani e scherzava col personale. Ma fu come se mi avesse letto nel pensiero. Si guardò immediatamente indietro e mi tirò in avanti. Prima che potessi rendermene conto mi stava già presentando a cinque persone, ognuna delle quali mi salutò con calore. In quel modo mi resi conto di quante cose avessi perso, relegato in quella casa.
Mi sentii più felice di quanto riuscissi a ricordare di essere mai stato in vita mia quando ci sedemmo al tavolo. Esaminai il menù e poi gettai un’occhiata ad Axel, seduto di fronte a me. C’era l’imbarazzo della scelta, non sapevo davvero cosa prendere. Mi morsi le labbra quando il cameriere (che sembrava anche lui in rapporti amichevoli con il rosso) venne da noi a prendere le ordinazioni per le bevande. Sollevai lo sguardo e notai una stranissima espressione sul volto di Axel, che non riuscii a riconoscere. Quando il cameriere, ridendo, gli diede una piccola gomitata lui sembrò risvegliarsi.
Fui a dir poco sollevato quando il mio nuovo amico ordinò da bere anche per me: qualcosa di meno di cui preoccuparmi. Per qualche strana ragione non volevo sembrare stupido davanti a lui, volevo che mi vedesse tranquillo e disinvolto, anche se sapevo che ciò era fuori questione: ero stato tenuto fuori dal mondo per troppo tempo.
- Questo è quello che mangeremo –
Per l’ennesima volta fui strappato via dalle mie fantasticherie. Dovevo davvero darci un taglio…
Sentii le mie guance farsi bollenti e lui rise del mio imbarazzo. Sentii i miei battiti accelerare vertiginosamente mentre lui si avvicinava a me e quasi andai incontro alla sua mano. Volevo davvero che mi toccasse? Non ne ero proprio sicuro, ma mi sentii piuttosto deluso quando lui si limitò ad aprire il mio menù su una pagina piena zeppa di diversi tipi di hamburger.
- Sono la specialità della casa. Ci sono quelli normali, quelli vegetali, quelli con pancetta, pollo… Hanno davvero di tutto e vengono serviti con un’enorme porzione di patatine fritte. Uno qualsiasi di questi alza i livelli di colesterolo nel corpo in maniera allarmante. Beh, eccetto quello con le verdure, ma non ho idea di come facciano i vegetariani –
Il suo viso si fece pensieroso e tornò a sedersi normalmente con una piccola scrollata di spalle.
- Uhm… Penso che prenderò un semplice hamburger –
- Sì? Niente dentro? Che so… pomodoro, cipolla, lattuga? – quando scossi la testa annuì e comunicò le nostre ordinazioni al cameriere con rapidità ed efficienza, quando questi ritornò con le nostre bibite.
Fui contento che se ne occupasse lui, sembrò venirgli naturale; io ero troppo timido per questo. Assaggiai allegramente il misterioso liquido scuro, che si rivelò essere una bevanda dolce e  frizzante.
- Comunque… perché non mi parli un po’ di te? Non sembravi molto loquace a scuola. Ora che sai che non mordo… non forte, in ogni caso… perché non mi dici come mai ti sei iscritto solo ora? –
Battei rapidamente le palpebre. Aveva mica detto che mi avrebbe morso? O l’avevo solo preso troppo alla lettera? Scelsi di ignorare momentaneamente quella parte della conversazione.
- Beh… i miei dottori hanno detto a mia madre che le interazioni sociali mi avrebbero fatto bene –
Tenni lo sguardo sul tavolo mentre dicevo quelle cose. Sapevo che le parole “i miei dottori” l’avrebbero molto probabilmente spaventato. Invece udii una risata e sollevai lo sguardo per osservare la sua espressione divertita.
- Sì, mi ricordo quando mia madre quasi voleva tenermi alla larga dai ragazzi della scuola. Pensava che mi avrebbero influenzato negativamente. Probabilmente si è arresa, visto che i dottori continuavano a ripeterle che le persone avrebbero portato a un miglioramento del mio disturbo. Ora mi lascia andare ovunque… -
- Disturbo? – lo interruppi. Anche lui aveva un disturbo?
- Sì. Ricordi quando prima ti ho chiamato Roxas? Beh, ho delle allucinazioni. Possiamo chiamarli dei sogni, se vuoi, nei quali faccio una promessa a qualcuno con quel nome. Ti assomiglia un sacco. Gli dico che ci incontreremo di nuovo nella prossima vita. Questo compromette la mia capacità di stringere relazioni sociali. Io l’ho… sempre aspettato, sai? –
Quelle parole erano come un messaggio in codice e giuro che in quel momento il mio cuore saltò un battito.
Coincidenza? Le coincidenze non esistono.

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