Les choix

di indiceindaco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Still here, still us ***
Capitolo 2: *** Pubblicità alla sfiga ***
Capitolo 3: *** Auspicabile? Per niente di buon auspicio ***
Capitolo 4: *** Linguaggio del corpo ***
Capitolo 5: *** Dicotomia ***
Capitolo 6: *** Impossibile ***
Capitolo 7: *** Silenzio ***
Capitolo 8: *** Pugno di mosche ***
Capitolo 9: *** Qualunque cosa accada ***
Capitolo 10: *** Felice ***
Capitolo 11: *** L'ambizione dell'Axolotl ***
Capitolo 12: *** Binario ***
Capitolo 13: *** A metà strada ***
Capitolo 14: *** Flowers never bend with the Rainfall ***
Capitolo 15: *** A piedi nudi ***
Capitolo 16: *** Non si muore tutte le mattine ***
Capitolo 17: *** Un uragano in un bicchiere ***
Capitolo 18: *** Attraverso una porta ***
Capitolo 19: *** Giunse silenziosamente ***
Capitolo 20: *** Inizio ***
Capitolo 21: *** Respira ***
Capitolo 22: *** Whiskey ***
Capitolo 23: *** Spezzato ***
Capitolo 24: *** Giusto ***
Capitolo 25: *** In.Finito ***
Capitolo 26: *** Paura ***
Capitolo 27: *** Costruire ***
Capitolo 28: *** L'isola ***
Capitolo 29: *** Farewell ***
Capitolo 30: *** Ad un passo ***
Capitolo 31: *** Sotto pelle ***
Capitolo 32: *** Il settimo piano ***
Capitolo 33: *** Tregua ***
Capitolo 34: *** Pronti ***
Capitolo 35: *** A casa ***
Capitolo 36: *** Sottile ***



Capitolo 1
*** Still here, still us ***


Titolo:  Les choix 

Beta: ??? 

Pairings: Draco/Harry

Personaggi: Un po' tutti.

Trama: Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.

Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi. 

 

Note: Sì, è la mia prima long. Non mi sarei mai aspettato di riuscire a buttar giù qualcosa, e invece, oggi ho avuto l'idea fulminante. Mi sono detto: perché non ignorare deliberatamente l'epilogo della Row? Non per mancanza di rispetto, attenzione…solo per un, forse indecente, gusto personale. In oltre qualche cosa verrà modificata, avrete modo di scoprire cosa. Un esempio su tutti? Dichiarazioni della Row, affermavano che soltanto Hermione avesse finito la scuola, frequentando il settimo anno…Beh, io ho voluto dar lustro all'importanza dell'istruzione, date anche le statistiche da brivido circa il reale abbandono scolastico. Quindi il trio ha effettivamente frequentato il settimo anno, così come tutti i miei personaggi. Credo che non sia per nulla facile scrivere una long, e dirvi che la sto scrivendo man mano, non aiuterebbe. Sono sicuro che non carpirò il consenso di molti, per cui le recensioni a cui rispondere saranno esigue, se non pari alla farina doppio zero. Ma insomma, io mi sto divertendo a buttar giù delle righe, che per una volta superino le cento parole, ed onestamente, me la sto godendo parecchio. Sono in cerca di un beta, per la verità ne ho già ingaggiata una, ed aspetto solo il suo benestare, la benedizione "editoriale", per così dire. Non ho nulla di programmato in mente, non so se riuscirò ad aggiornare a scadenza fissa, ma sarebbe una bella sfida riuscirci, e si sa…Indice adora le sfide! Ebbene mi lancio senza troppe pretese. Nulla è definitivo, né la trama né il titolo, anzi sarebbero ben accetti suggerimenti :) 

Con la speranza di non urtare nessuno, dichiarando apertamente che i personaggi ed i relativi riferimenti al fandom non mi appartengono, abbandono tutto nelle mani dei lettori (?)…

Buona lettura!

 

 

I. Still here, still us.

"In un'altra vita ti dissi che a volte il vero coraggio è quello di restare e non quello di andare. 

Quando te ne vai, però, anche se non lo sai, senza sprecare inutili parole, 

fai una promessa silenziosa, la promessa che siccome hai scelto di andartene, non tornerai."

M. Bisotti

 

 

4:17, ticchettava l'orologio.

In quell'istante dominava il silenzio assoluto, interrotto giusto dall'intermittente ronzare di qualche zanzara. Harry sentiva le palpebre pesanti, un torpore tiepido si accovacciava sul suo stomaco, e gli sembrava già di sentire le carezze gentili di Morfeo sulla propria nuca.

Il respiro leggero al suo fianco gli ricordò terribilmente quello di Ginny, lo cullava silenzioso. Si disse che avrebbe chiuso gli occhi solo per un momento, solo un battito di ciglia. La saracinesca della propria vigile coscienza lo stava già abbandonando quando…

-Potter, sei sveglio?

No, decisamente la voce accanto a lui non era quella di Ginny.

-Sì, sveglissimo. Ti posso aiutare in qualche modo?- rispose per riflesso Harry, la voce già mezza impastata e l'inconsapevolezza delle proprie parole gli suggerirono che, no, non era per nulla sveglio.

-Ma com'è che per te, Sfregiato, si tratti sempre di aiutare qualcuno? Per una volta non si potrebbe solo parlare?! Senza cavalieri dalla lucente armatura, né principesse, in cima ad una torre, da salvare?

Ogni tassello tornò al proprio posto: quella voce melliflua e strascicata lo strappò definitivamente dalle confortanti braccia di Morfeo.

-Quello era un riferimento fiabesco, Malfoy, o che?

Harry riuscì persino a sentire gli occhi dell'altro alzarsi al cielo. Decisamente, ora tutti i suoi sensi erano svegli ed allerta.

-Oh, mia madre raccontava di quelle favole…meravigliose!- disse l'altro, accanto a lui, con tono sognante. Tono che portava Harry a desiderare ardentemente di non aver risposto, quel dannato "Sì, sveglissimo.".

-Per la serie: anche il cinismo ha un istinto materno…-  rispose colui-il-cui-sonno-era-stato-turbato, e per di più prima che potesse addormentarsi sul serio.

-Potter! Non ti permetto di…

-Oh, d'accordo, d'accordo. Insomma, Malfoy, siamo accampati, con meno di dodici ore di sonno a testa, nel bel mezzo di una palude che sembra un allevamento di zanzare, incastrati in una spedizione assurda. Il tutto per cercare di superare un maledetto esame per il dannato corso d'Auror, e tu? Vuoi che ti racconti una favoletta?

Harry era dannatamente acido appena sveglio, figuriamoci quando lo s'interrompeva nell'attimo prima del sonno!

-Oh, Salazar, assistimi! Come la fai lunga, Potter. Questa tua voce da anima in pena m'ha già irritato abbastanza da arricchire d'incubi la mia vita per il resto dei miei giorni! Buonanotte, dannato Potter.

-Lieto di poterti sempre essere di disturbo, Malfoy.

 

***

 

Quella storia era cominciata in modo surreale.

 Come ogni membro della comunità magica s'aspettasse, presi i M.A.G.O, con sorprendenti ed ottimi voti, Harry Potter s'era presentato di fronte al Ministero. Aveva affrontato un esame, più che formale, che attestasse che avesse "ogni capacità ed inclinazione" per poter entrare a far parte degli Auror. Lo stesso avevano fatto Ron ed Hermione, come da prassi, ma per Harry era stato diverso.

Il fatto che anche lui, come tutti, dovesse affrontare il test d'ammissione, aveva fatto indignare, e non poco, tutti i membri della famiglia Weasley, compresi quelli acquisiti.

Molly, su tutti, era andata in escandescenze.

-Arthur! Ma per l'amor del cielo…stiamo parlando di Harry! Il nostro Harry! Quei viscidi hanno già dimenticato cosa Harry Potter abbia fatto per tutti noi?

Ma le regole erano regole, e i tempi di Hogwarts erano ormai finiti. I trio, nell'estate successiva al settimo anno trascorsa alla Tana, s'era dedicato anima e corpo per centrare il nuovo obiettivo.

E se per Harry fosse più che assicurato, a detta di tutti, l'ingresso in Accademia, per Ron ed Hermione non si poteva dire lo stesso.

Sì, si trattava pur sempre di Hermione, che aveva imparato, già a luglio, ogni regolamento e protocollo possibile ed immaginabile.

In realtà, quello più in ansia era senz'altro Ron.

Vuoi perché Hermione, una volta dato l'esame da Auror, aveva il suo bel piano B spianato davanti.

Vuoi perché Harry, se non fosse passato, avrebbe campato di rendita. Il che aveva davvero dell'improbabile.

La prima aveva già affrontato, i primi di settembre, i test per Medimagia. Era risultata prima in graduatoria, e aveva ricevuto una di quelle buste pesanti tutte paroloni ed ossequi, oltre che sguardi orgogliosi da parte di Molly ed Arthur.

Harry, di contro, aveva finito per cullarsi nelle parole dei propri cari: "Vuoi che non ti prendano, Harry?", "Sarebbero degli idioti, a non prendere proprio te.", "Il Ministero ci perderebbe eccome, e non solo in immagine!".

In definitiva, quello che faceva l'equilibrista sulle fauci spalancate di uno Spinato, era proprio il povero Ronald.

Il giorno dell'esame, quel 14 settembre aveva lasciato gusti diversi, sul palato di ognuno dei tre.

Ad Harry, tutto sapeva di ovvietà, non che non fosse contento, per carità. Ma poteva già vedere l'attestato da Auror, che di lì a tre anni, avrebbe fatto capolino sulle pareti del proprio ufficio. Era così che doveva andare, e comunque non avrebbe mai escogitato un piano B, sebbene non fosse tanto sicuro delle proprie capacità. S'era chiesto più di una volta se a passare l'ammissione fossero state le sue capacità o quel nome che si portava addosso, con tutti i sinonimi che stava a significare.

Ron era la felicità in persona. Lo avevano dapprima criticato duramente, facendogli desiderare di essere in una ragnatela, piuttosto che lì. Poi, una frase:

-Siamo, comunque, lieti di poterle concedere la possibilità di seguire il nostro addestramento, signor Weasley, fiduciosi nelle sue capacità. 

Non l'aveva capito subito, il povero Ronald. Era rimasto un po' inebetito.

-Sveglia, Weasley, sei dei nostri!

Aveva tuonato un tipo, fra i dieci, nella commissione. E sul palato di Ron s'era scatenato un sapore dolce e allegro, frizzante, come la miglior Burrobirra mai bevuta in tutta Hogsmade.

Il gusto più amaro dovette assaggiarlo Hermione.

S'era preparata all'inverosimile, rispondendo ad ogni domanda con dovizia di particolari, efficiente come solo la sua dinamica intelligenza poteva e sapeva essere. Aveva snocciolato formule, ingredienti, regolamenti, date e quant'altro.

Non a torto gli occhi cominciarono a bruciarle e pizzicarle, quando il presidente della commissione disse:

-Signorina Granger, lei è un'ottima strega. La sua cultura magica è sconfinata. Dev'essere tra le streghe più brillanti della sua età e sono sicuro che sentiremo spesso parlare di lei. Ma siamo spiacenti, nell'informarla, che lei non adempie perfettamente alle caratteristiche che un Auror necessita di avere. Caratteristiche senza le quali, ne converrà, non si può svolgere al meglio un lavoro di tale importanza.

Quali fossero quelle caratteristiche, Hermione non se lo chiese mai. Sospettò ardentemente che l'avessero discriminata, in quanto donna, ma non lo disse. Si limitò piuttosto ad inghiottire le lacrime e a dire con estrema dignità:

-Sono sicura che potrei colmare le mie mancanze, ma preferirei impiegare al meglio le mie capacità, piuttosto che dover cominciare da capo.

Il presidente della commissione sorrise, non di un sorriso di circostanza però.

-Ciascun mago è diverso dall'altro, signorina Granger. Lei è eccellente, in tutto. Ma le manca quel qualcosa in più. Non ho dubbi in riguardo: lei potrà rendere un ottimo servizio alla comunità magica, in un altro ambito.

-Sono risultata prima all'esame per l'ammissione in Medimagia.- disse allora Hermione in un moto d'orgoglio.

-Non pensa allora che sia quella la sua strada, Medimago Granger?

Le parole del presidente di commissione, nonché Capo Auror da quando Shacklebolt era diventato Ministro della Magia, lasciarono nel palato d'Hermione un po' di bruciante delusione, ma al contempo la fragrante pastosità di una vittoria diversa.

Il surreale, in quella storia, risiedeva in ben altro in realtà.

Quando Harry e Ron tornarono al Ministero, solo una settimana dopo, per ritirare uniformi e liste utili per i corsi, quello che videro diede loro la nausea.

I nomi degli ammessi all'anno accademico erano magicamente attaccati alla porta d'ingresso dell'Amministrazione dell'Ufficio Auror.

Non fu vedere i loro nomi che li scombussolò, in una graduatoria che attestava Harry al primo posto e Ron fra i primi cinque.

L'irrealtà della cosa risiedeva tutta nel nome alla posizione sei: Draco Lucius Malfoy.

 

***

 

I corsi d'addestramento sarebbero iniziati solo agli inizi d'ottobre, almeno per Harry e Ron.

Hermione aveva già iniziato a metà settembre, e aveva a malapena il tempo di respirare, fra le lezioni in aula al Centro di Medimagia e quelle interattive al San Mungo.

Mentre la ragazza si addentrava in quel nuovo mondo, gli altri due invece si godevano gli ultimi istanti da nullafacenti, in una Tana ormai quasi deserta.

Arthur era tutto il giorno in ufficio. George portava avanti il negozio a Diagon Alley, aiutato da due o tre assistenti che, a detta del proprietario, mancavano di qualsiasi senso dell'umorismo. 

Non di rado a George scappavano sospiri che sembravano dire: "Quando c'era Fred…". 

Il primo di settembre era stata Ginny a lasciare la Tana, per ritornare a Natale, pronta per il suo settimo anno. Percy era invece l'ombra del Ministro, come se quel ruolo fosse stato assegnato al ragazzo stesso.

Charlie era tornato già a metà agosto in Romania, ciarlando circa la riproduzione di un Norvegese, lasciando in tutti il dubbio che non si trattasse di una collega norvegese, piuttosto.

Mentre Bill e Fleur erano nel bel mezzo di un apocalisse, a Villa Conchiglia: si erano visti costretti ad allargare la casa, dato il nuovo piccolo Weasley in arrivo.

Anche la signora Weasley aveva il suo bel gran da fare: faceva tutto il giorno da spola tra la Tana e casa degli sposini. D'altronde, come mamma era stata iperpresente, bisognava proprio immaginarsela nei preparativi da nonna.

Ciò che aveva commosso tutti loro era stato salutarsi.

Un salutarsi ben diverso da quello che ormai avevano assunto come normalità.

Durante la guerra ogni saluto poteva essere l'ultimo, poteva essere un addio, sebbene non si dicesse apertamente.

Adesso, il salutarsi sottintendeva il vedersi presto, un arrivederci, e quello lo si diceva, apertamente e con grandi sorrisi e sollievo di tutti.

Era stato Harry a sperimentarlo per primo, quando lui e Ron avevano accompagnato Ginny al binario 9 e 3/4.

-Ci rivediamo a Natale, ragazzi. Fate i bravi e…Harry, sta attento a Ron. Tende ad inciampare.- disse la più piccola dei Weasley, dopo aver soffiato un bacio sulle labbra di Harry.

-Sarò lì a tendergli la mano per rialzarsi, come sempre.- rispose Harry, stringendole la vita, ed ignorando gli sbuffi di Ron, più che dell'Hogwarts Express.

-Oh, miseriaccia, Ginny! Muoviti a partire, ti abbiamo fatto da balie abbastanza, non credi?

I tre risero e dopo un ultimo bacio ad Harry, un buffetto al fratello, ed una raccomandazione di salutarle Hermione, che quel giorno stava sostenendo l'esame di Medimagia, Ginny salì sul treno, sventolando ancora la mano.

In un attimo l'Express era già partito e lontano.

-Strano, eh?- disse Ron, interrompendo il silenzio fra loro e intercettando lo sguardo assorto di Harry, che si perdeva verso l'orizzonte.

Potter mugugnò qualcosa e Ron poggiò una mano sulla sua spalla.

-Non fare l'innamorato sofferente, fratello, vi scriverete tutti i giorni o roba del genere e poi Natale è vicino!

Harry rise, perché a tutto pensava meno che alla partenza di Ginny.

Non era la lontananza da Ginny a spaventarlo, piuttosto sentiva la malinconia stratificarsi sotto la pelle. Sapere che su quel treno, per lui, Ron ed Hermione, non ci sarebbe più stato un posto, o che il dormitorio Grifondoro era ormai occupato da altri che non fossero lui, Ron, Neville e Seamus.

Scrollò le spalle e disse:

-Andiamo Ron, prima che tua madre vada in iperventilazione.

Con un pop e qualche risata i due sparirono insieme.

Ed Harry pensò: sette anni, e siamo ancora insieme.

Quel pensiero esorcizzò tutta quella malinconia, lì sotto la pelle.

 

***

 

Ottobre arrivò, veloce come il vento di quei giorni.

E a Ron ed Harry sembrava ancora tutto troppo irreale.

Hermione andava a trovarli, durante la pausa pranzo, alla Tana, tutta allegra e squillante. 

Parlava di quello, o di questo. Di come fossero avvincenti le lezioni, preparati gli insegnati, simpatici i nuovi compagni e…

-Dovevate vederlo, primo banco, prima lezione. Io non credevo ai miei occhi! Sembrava di stare ad Hogwarts!

La notizia aveva fatto sbellicare i due amici ancora in vacanza.

-Ma Hermione, sei sicura?

-Era Zabini, vi dico. Mancava poco che avesse anche la cravatta Serpeverde. Era lui, sempre uguale, composto, preciso! Con la mano dritta sempre alzata, nemmeno avesse un generatore elettrico al braccio!

-Hermione…cos'è un generatore elettrico?- chiese Ron strabuzzando gli occhi.

La ragazza lo guardò, ma non come un tempo avrebbe fatto, come a volerlo rimproverare…no, lo guardava con tenerezza, Harry ne era sicuro.

I rapporto fra i suoi migliori amici era mutato, maturato, cresciuto. Come loro, ed adesso nessuno doveva più aver paura dei propri sentimenti.

Sebbene nessuno dei due, cocciuto ed orgoglioso in modo indicibile, si decidesse a fare il primo passo.

Harry continuò ad ascoltare Hermione, che stava raccontando di come aveva zittito e messo al proprio posto "quel damerino di Zabini"

Non gli sfuggivano gli occhi adoranti con cui Ron guardava la ragazza.

Sembrava che per il ragazzo non esistesse che Hermione, ed Harry giurò di scorgere gli stessi bagliori d'adorazione nello sguardo della ragazza di tanto in tanto, molto più accorta e razionale, nel palesare cosa si celasse nella sua macchinosa testolina.

-Ma cos'è si sono dati tutti alle buone azioni?- sbottò Ron, ad un certo punto, forse anche per la gelosia scaturita dalle parole di Hermione, che stava finalmente ammettendo quanto Zabini fosse dotato ed un ottimo studente.

-Che intendi, scusa?- rispose Hermione con disappunto.

-Beh, non dirmi che non è strano: Zabini che fa Medimagia? E Malfoy, Auror? Avanti, parliamone...

La consapevolezza di quelle parole franò su tutti loro. 

Quella guerra aveva cambiato più di una persona.

Aveva sconvolto più di un'esistenza.

-Le persone cambiano, Ronald!- disse Hermione, guardandolo con affetto.

Harry annuì grave, prima di mormorare:

-Non resta che star a vedere...

 

 

Note, a volte ritornano:

 

Se siete in ascolto, o lettura, che dirsi voglia, potrete notare che laggiù, sisi, proprio a due scorrimenti di mouse, c'è uno spazietto. Ecco, lì potete dirmi che ne pensate, giusto se ne avete voglia, eh!

Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Pubblicità alla sfiga ***


II. Pubblicità alla sfiga

 

"Ad ogni sorpresa siamo preparati.

Sono le cose quotidiane che ci cascano addosso come calamità naturali."

S.J. Lec

7.30, secondo più, secondo meno.

Si sentiva un adolescente al primo giorno di scuola.

Non faceva altro che misurare il salotto a grandi passi. Un orologio Babbano, fissato sopra il caminetto, segnava l'avvicinarsi dell'inesorabile ora. Quella che mancava al vero e proprio inzio dei corsi in Accademia.

Quasi non inciampò nel tappeto, per l'agitazione. 

Ron sarebbe stato da lui alle otto in punto.

Ed Harry era convito che la cosa non lo avrebbe tranquillizzato affatto. Si ritrovò a maledire mentalmente la commissione per aver bocciato Hermione.

Ci fosse stata lei, avrebbe sparso serenità e pace.

Harry aveva passato tutta l'estate alla Tana, trascorrendo le giornate sempre in compagnia. 

Solo verso la fine di settembre aveva deciso di tornare in quella che legalmente era casa propria: Grimmauld Place, numero 12.

Una casa troppo grande, per lui, tutto solo ed agitato in quella mattina così importante.

Poteva sentire quasi la voce di Ginny, che lo rassicurava, dicendogli che: "Finito il settimo anno verrò a vivere laggiù con te."

Harry non era sicuro fosse la scelta migliore per la sua, ormai ufficiale, ragazza. A ben pensarci, però, in quel momento sarebbe stata una grande idea avere uno straccio di qualcuno accanto.

Ebbe, d'improvviso, l'impressione che il pavimento si fosse incuneato un po', come se il suo percorrere per la centesima volta il medesimo percorso stesse creando un solco.

Dalla base delle scale al divano. Dal divano alla base delle scale.

Harry non sapeva dire quante volte avesse percorso quella breve distanza. Decise di abbandonarsi su una delle grosse poltrone di pelle.

Guardò la punta delle proprie consumate scarpe da tennis, i jeans scuri che per una volta tanto sembravano essere della misura giusta, la maglia banalmente rossa che indossava.

Non aveva mai fatto caso a cosa indossasse, o più in generale al proprio aspetto esteriore. Ed anche quella volta non aveva fatto eccezione.

Riprese in mano la pergamena che Ginny gli aveva mandato quella mattina stessa: una lettera piena di incoraggiamenti, di certezze, che nemmeno lui credeva potessero esistere.

Con uno sbuffo abbandonò la testa all'indietro, gli occhi serrati.

Poi si guardò intorno, nervosamente. 

Quanto quella casa fosse cambiata, dopo la "pulizia" degli Auror, era sorprendente.

L'Agosto passato, il Ministro della Magia aveva ordinato che la casa di Harry fosse ripulita, da cima a fondo, da ogni aggeggio oscuro, dalle barriere che alcuni dei membri più illustri dell'Ordine avevano posto, e sopratutto dall'orrendo ritratto urlante della signora Black.

Anche se, tutto sommato, in quel momento, Harry considerò che qualche strilletto sarebbe tornato confortante, in quell'assordante silenzio.

Ok, magari non proprio confortante, ma almeno lo avrebbe distratto dai mille pensieri e dubbi che svolazzavano nella sua mente.

Tutto era cambiato, eccetto una stanza. Quella, Harry voleva fosse lasciata com'era: la stanza di Sirius. 

Via tutto il resto: mobili e soprammobili grotteschi ed inquietanti, via i preziosi arazzi, i baldacchini, i tappeti consunti, i libri di dubbio argomento, via persino Fierobecco. Ma non la stanza di Sirius.

Harry la teneva chiusa a chiave, doppia mandata, perché non aveva il coraggio di violarne l'intimità. Come avrebbe potuto permettere che lo facessero degli estranei?

Sospirò e si aggiustò gli occhiali sul naso.

Puntò lo sguardo sul caminetto, sicuro che Ron avrebbe usato la metropolvere, pur di scongiurare l'incidente di spezzarsi proprio al primo giorno.

Notò come fosse l'unico punto davvero pulito della casa, mentre negli altri la polvere la faceva da padrona.

Si ripromise di farsi suggerire qualche incantesimo da Molly, anche se non disdegnava l'eventuale servigio di un elfo domestico…

Rabbrividì al pensiero delle urla di Hermione se solo avesse intavolato l'argomento alla lontana.

Si ritrovò a sorridere da solo.

-Amico, due giorni da solo in questa casa, e già ti trovo a ridere da solo? Te l'avevo detto che avresti dato fuori di matto a star qui!

Ron era piombato nel bel mezzo della stanza, mandando al diavolo i pronostici di Harry circa la sua smaterializzazione.

Harry, assorto com'era, non si era nemmeno accorto del pop tipico, e l'arrivo di Ron poteva significare solo una cosa: mancava davvero molto poco al nuovo inizio.

 

***

 

-Se siete qui, vuol dire che ve lo siete meritato. Ma non finisce tutto con l'esame d'ammissione, Signori e Signore. Ogni tassello, ve lo dovete sudare, non solo meritare.- la voce vigorosa ed autoritaria, di quella donnina alta poco più di un metro e mezzo, metteva i brividi.

-Sono il Comandante Chappels e mi occuperò del vostro addestramento durante il primo semestre. Sarò un vero tormento, ve lo assicuro, e non illudetevi che io non sappia chi siate. Ho letto il curriculum di ognuno di voi e non vi consiglierei di mettere alla prova la mia memoria. Con me imparerete cosa significhi duellare, gestire gli scontri magici quanto quelli corpo a corpo. Vi chiedo costanza, dedizione, precisione. In cambio vi offro fatica, sudore e successi per i vostri percorsi futuri. Insieme a me, i Comandanti Wang e Berth vi seguiranno costantemente. Il primo vi guiderà ed insegnerà i fondamentali del primo soccorso. Il secondo invece vi formerà per ciò che riguarda i rudimenti della Strategia di Contrattacco, ovvero Occlumazia e Legimanzia. Gli esami si terranno a Gennaio e riguarderanno esclusivamente questa parte del corso. Le lezioni si terranno dal lunedì al giovedì, tutte qui in Arena, salvo qualche allenamento al venerdì con me, ai quali vi consiglio vivamente di partecipare. 

Si trovavano in una specie di grande aula, come un anfiteatro coperto, non a caso il Comandante lo aveva chiamata "Arena". Harry e Ron erano seduti fra le ultime file, si guardavano intorno un po' spaesati. Dovevano essere una cinquantina, ma tra quei ragazzi, Harry non riconosceva nessuno di già noto, ad eccezione di qualche Corvonero o Tassorosso che come lui s'era diplomato lo scorso giugno. Non era sconfortato dalla cosa, non quanto Ron almeno. Ma sentì prudere le mani quando riconobbe, tra la folla, un bagliore biondo. Decise di non indagare oltre, ma era quasi sicuro si trattasse di Malfoy.

 Il Comandante Chappels, aveva fatto una pausa, e aveva lanciato uno sguardo d'intesa ai propri colleghi.

Era piuttosto bassina, magra come un fuscello. Aveva una trentina d'anni, ad occhio e croce. Ma poteva benissimo contrastare l'austera McGranitt. Ad Harry sembrava quasi la figlia illegittima della stessa nuova Preside di Hogwarts, con tanto di spilletta luccicante da Auror.

Aveva i capelli scuri raccolti nello stesso chignon, le mani nodose si muovevano a scatti, la bocca aveva una piega severa e gli occhi scuri erano fiammeggianti e determinati.

Non ne avessero già abbastanza paura, Harry e Ron l'avrebbero sicuramente stimata. 

-Bene, andiamo alle cose pratiche e abbandoniamo qualsiasi convenevole. Per quanto riguarda le mie lezioni, al fine di rendere proficue le stesse, sarete divisi in ordine alfabetico in alcuni sottogruppi. Badate bene, lo faccio nel vostro e nel mio interesse, i sottogruppi di otto persone, sono più facili da gestire, sopratutto durante gli allenamenti. Io stessa affiggerò in bacheca i nominativi con relativi orari di lezione ed allenamento, e vi sarà mandato un gufo oggi stesso. Una volta mandato il gufo, noi saremo sicuri che gli studenti abbiano preso visione degli orari, un'assenza inciderà sulla vostra media, quindi sappiatevi regolare. Intanto ringrazio i Comandati Wang e Berth per la loro presenza e…

Harry perse il resto della frase, non perché si fosse volontariamente distratto, ma perché Ron aveva appena piantato una gomitata fra le sue costole.

-Ehi! Hai sentito? Ci separano…

-Sì, Ron, in ordine alfabetico e…oh.

Harry, disperso nel nuovo ambiente quanto nelle nuove informazioni d'assimilare, non aveva prestato troppa attenzione a quel particolare.

-Cavolo, le possibilità di essere nello stesso gruppo sono praticamente nulle!- disse Harry, palesando i pensieri che trapelavano dagli occhi di Ron.

-Miseriaccia!

-Dai, Ron, sarà solo per le lezioni di Duello.

Ron abbandonò il mento sul collo, mestamente.

Ad Harry vorticava nel sangue la stessa eccitazione, ma c'era qualcos'altro che si faceva sentire, sul fondo dello stomaco.

-…Benvenuti in Accademia, Signori e Signore. Buona permanenza e…dimenticate Hogwarts, qui è tutta un'altra storia. Non mi importa di che casa abbiate fatto parte, non mi importano quanto Eccezionali fossero i vostri voti in Difesa Contro le Arti Oscure, né tanto meno come vi chiamiate, neanche doveste essere i Salvatori del Mondo Magico in persona. Da domani, si comincia. Sul serio.

Era paura, sul fondo dello stomaco, ora poteva sentirlo indistintamente, alcuni sguardi erano scattati su di lui, alle ultime parole del Comandante.

Harry riusciva soltanto a sentire l'inquietante eco di quel: "sul serio".

 

***

 

Harry e Ron, subito dopo esser stati congedati dal Comandate Chappels, decisero di squagliarsela dal ministero e rifugiarsi a Diagon Alley.

Arthur s'era tanto raccomandato di passare da lui, ma i due avevano sentito il bisogno di un gelato da Fortebaccio.

Entrambi erano ancora scombussolati. Fu Ron il primo a parlare, dopo una veloce e generosa leccata al proprio gelato:

-Che ne dici?

Harry deglutì rumorosamente, lasciando che lo sguardo vagasse distrattamente tra la folla di maghi che scalpicciava per le vie della Londra Magica. Era l'ora di pranzo e tutta quella confusione sembrava proprio irreale.

-Dico che sarà dura. Non terribile, ma dura…

Ron strabuzzò gli occhi e per poco non si spalmò il CioccogelatoRana sulla maglia azzurra.

-Non terribile? Amico, che razza di gelato hai preso, alla Sporallegra?

Harry lo guardò confuso, cos'era mai la Sporallegra?

Non fece in tempo a chiederlo che due gufi planarono in loro direzione, abbandonando, con poca grazia, due buste identiche.

Harry la soppesò prima con la mano, poi la voltò e riconobbe subito il timbro del Ministero. Al centro della spessa busta troneggiava in inchiostro blu:

 

Alla cortese attenzione del

Signor Harry J. Potter

I due si scambiarono uno sguardo d'intesa. 

Finirono i loro gelati in contemporanea. Ed in contemporanea aprirono la lettera.

-Ron, prima tu, dai!

Ron annuì, più alla busta che al suo migliore amico e cominciò a leggere ad alta voce:

-Egregio Signor Weasley, siamo lieti di informarla...blablabla. Il piano di studi prevede…blablabla. Sarà sua premura…blablabla- disse Ron, con fare solenne, saltando un paio di righe, per arrivare al punto in cui si parlava dei gruppi di studio.

-Ah, per la miseria! Eccolo qua: Vilnius, Warrington, Weasley, Wimson, Woodfrey, Xing, Zefford e Zakaris. Bene, non ne conosco nemmeno uno.- disse con aria affranta, dopo aver letto i nomi di quegli illustri sconosciuti.

-Ehi, Ron, ma Zakaris non è quel tipo… quello che ha frequentato qualche lezione dell'ES con noi ad Hogwarts, no?- cercò di rabbonirlo Harry.

Nulla da fare, di quel Zakaris, Ron non aveva memoria, e tanto meno aveva voglia di credere alla palese balla di Harry.

-Tocca a te, vediamo se a te è capitato qualcuno che conosciamo.

Harry annuì con vigore, dicendo:

-Vai, dimmi tu! Fai con calma però…preparami psicologicamente- disse Harry ridendo, porgeva la pergamena a Ron, con fare melodrammatico.

-Uhm, d'accordo…Vediamo un po'. Oh, ecco ci siamo!- tossì un po' per schiarirsi la voce e sgranò gli occhi.

Harry intanto mimava un'espressione concentrata, occhi chiusi e dita sulle tempie.

-Mirrinton, Montox, Nisson, Nemson, O'Brian, Petch, Potter…- disse Ron con voce tremante.

-Non è possibile Ron! Il gruppi sono da otto! Rileggi!- ordinò, il mimo, ancora in posa da pensatore concentrato.

-Harry, fratello, sei sicuro di volerlo sapere?

La voce di Ron si era fatta seria.

Harry lo guardò, confuso per un istante, poi afferrò la spessa pergamena:

 

Componenti del gruppo Delta sono:

Malfoy

Mirrinton

Montox

Nisson

Nemson

O'Brian

Petch

Potter

 

Harry strabuzzò gli occhi, non credeva a quello che gli stava scritto sotto il naso. Lesse di nuovo:

…sono:

Malfoy

Potter.

 

 

-Non sarà terribile eh? Quasi quasi sono contento di non conoscere nessuno.- disse Ron.

Harry non reagì, rimaneva a fissare quella manciata di nomi. Non si mosse nemmeno quando Ron poggiò una mano sulla sua spalla e disse:

-Amico, tu potresti fare pubblicità alla sfiga.

 

 

Note, a volte ritornano:

Ho una beta, meravigliosa beta…^^ TINAX86. Non so ancora come ringraziarla, magari con un bel regalo di compleanno?

Ma andiamo a noi...

Via con la fantasia! Si viaggia! Ehm, spero che non troviate nulla di incoerente o di incongruente, in caso contrario vi prego di farmelo notare. Vorrei anche sapere che ne pensate della nuova "prof". E mi scuso con tutto me stesso per la banalità dei cognomi che ho inventato. Giusto roba fittizia, vi assicuro. Beh, lo spazietto è sempre lì, sapete? ;P

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Capitolo 3
*** Auspicabile? Per niente di buon auspicio ***


III. Auspicabile? Per niente di buon auspicio. 

 

""E anche se il vento ci soffia contro,

abbiamo sempre mangiato pane e tempesta,

e passeremo anche questa."

S. Benni

 

23.45, l'orologio babbano sul caminetto non mentiva.

-Te l'ho già detto, Gin. Non posso chiedere di cambiare gruppo.

-Oh, ma insomma…sei Harry Potter! Se ci tengono alla tua istruzione dovranno pure accettare qualche compromesso, no? Come pretendono di farti lavorare al meglio delle tue capacità, in queste condizioni?

La comunicazione con Ginny non era mai stata semplice, via camino poi, sembrava ancora più cocciuta.

Era stata una giornata intensa. Dopo aver assistito alla presentazione dei corsi, aveva pranzato con Ron, Hermione e il loro disappunto circa il problema "sottogruppi", poi lui e Ron avevano dato la buona novella a Molly ed Arthur, soffermandosi sull'impressione che avevano avuto della Chappels, Molly li aveva spediti a fare delle commissioni e avevano cenato lì, tutti insieme come una volta.

Arrivato a casa, Harry s'era premurato di contattare Ginny.

Parlare della giornata e della presentazione era d'obbligo, ma dirle di essere in gruppo con Malfoy era stata una tragedia. Ginny era indignata e sospettosa. Sembrava far apparire la cosa come un affare da Ministero, e sopratutto come se fosse colpa di Harry.

Harry credeva che, una volta sconfitto Voldemort, avrebbe smesso di odiare il proprio cognome. Va da sé che non era stato così, ma la divisione in ordine alfabetico era veramente troppo.

Ginny la faceva facile, ma ad Harry risuonavano ancora le parole della Chappels nella mente, e quelle parole dicevano chiaro e tondo:

-Niente favoritismi.

Anche se Harry aveva qualche dubbio in riguardo. Come spiegarsi altrimenti l'ammissione di Malfoy, e non in un posto qualunque al Ministero, ma proprio nel Corpo dell'Accademia Auror?

Certo era che, con Lucius Malfoy ad Azkaban, le raccomandazioni ed i favoritismi dovevano essere calati di molto.

Ginny parlava da un quarto d'ora buono, e solo quando la ragazza attirò l'attenzione con insistenza, Harry si rese conto che non aveva sentito una sola parola.

-Harry? Harry! Ok, va bene, scusami ma adesso devo andare. 

Harry annuì e disse:

-Sì, Gin, scusami, ero soprappensiero. 

-Certo, certo…vedi di risolvere questa situazione.- rispose la più giovane e determinata fra i Weasley, sparendo in un soffio di fumo e scoppiettare di legna bruciata.

Harry sospirò, passandosi una mano sul viso.

Si tolse la maglia, lanciandola da qualche parte e si sgranchì la schiena.

Riprese fra le mani la lettera dell'Accademia, recuperandola dalla tasca posteriore dei jeans.

 

Egregio Signor Potter, 

siamo lieti di informarla che, da oggi, Lei fa a tutti gli effetti parte del Corpo D'Addestramento della sezione Auror del Ministero.

Il piano di studi, di durata anni tre, prevede un attenta e minuziosa preparazione al fine di renderla, come da noi auspicato, un dipendente del Ministero che abbia a cuore la Difesa dell'Intero Mondo Magico.

Sarà preparato nel Duello, nel Primo Soccorso e nelle Strategie di Cotrattacco, durante il primo semestre. Seguiranno corsi sulle Manovre in Casi Eccezionali, Pozionistica Avanzata e Dinamiche d'indagine.

Questo per ciò che riguarda il primo anno.

Converrà anche Lei che partecipare, interagendo, alle lezioni, limitando a casi sporadici le assenze, è di fondamentale e non trascurabile importanza.

Sarà Sua premura procurarsi tutte le attrezzature necessarie e gli esigui tomi teorici, dopo aver ricevuto istruzioni dal Comandante in Capo al suo corso, la Signorina Ermilia F. Chappels.

Le alleghiamo l'orario delle lezioni, che tuttavia risulta flessibile e non definitivo, saranno gli stessi docenti a darLe coordinate più precise.

Inoltre, per garantire un migliore livello di preparazione nel Duello e quindi l'eccellente svolgimento delle lezioni, l'Accademia ha recentemente preferito suddividere i quarantotto neocadetti in otto sottogruppi, divisi in base al solo criterio anagrafico/alfabetico. In particolare, Lei, risulta facente parte della Divisione Delta, e seguirà le lezioni con i seguenti cadetti:

 

Componenti del gruppo Delta sono:

Malfoy

Mirrinton

Montox

Nisson

Nemson

O'Brian

Petch

Potter

 

In onor di chiarezza, Le comunichiamo che i gruppi non possono essere modificati, ed a rigor di logica rimarranno tali fino alla fine dell'anno accademico. Questo perché si instaurino rapporti di collaborazione assidua ed efficace, che sarebbe pregiudicata nel caso in cui vi fosse precarietà nel sottogruppo stesso. 

Augurandole un ottimo inizio d'anno ed una buona permanenza all'interno dell'Accademia.

Cordiali Saluti.

 

Livius E. Thompson.

 

Harry scosse la testa per la quinta volta: era una reazione spontanea. Leggeva l'epilogo della lettera e la testa, sconsolata, ciondolava meccanicamente.

E la firma, autentica, posta in calce, attestava che non si trattasse di uno scherzo, per quanto ci avesse sperato.

Si ricordava ancora di quel Thompson. Tonks lo chiamava "Auror da tavolino", perché in effetti se ne stava rintanato in ufficio tutto il giorno, anche durante la Guerra.

Harry lo aveva intravisto di sfuggita, quel giorno ad Hogwarts, quando tutto sembrava essere perduto. 

Era un brav'uomo, non un cuor di Grifondoro, ma onesto. Era stato premiato con un Ordine di Merlino, perché era riuscito a far evacuare gli studenti più giovani durante l'ultima battaglia.

E da quando  Shacklebolt era stato eletto Ministro, aveva anche ricevuto la carica di Capo Auror.

Ricordava il sorriso paterno che gli aveva regalato, il giorno del test d'ammissione.

E tutto sommato, Harry si disse, Thompson non gli dispiaceva.

Era quella dannata storia del sottogruppo con Malfoy a dispiacergli. 

Lo faceva letteralmente imbestialire. Era sicuro che dopo quei sette anni passati a farsi la guerra, avrebbe salutato quel pallone gonfiato di Malfoy per sempre, sull'Hogwarts Express, in ritorno a Londra.

E invece eccolo rispuntare. Malfoy, il disastro nella Difesa Contro le Arti Oscure, mancato Mangiamorte, a fare l'Auror. 

C'era più di una cosa a non quadrargli. 

A nulla valeva l'ottimismo di Hermione che dipingeva Malfoy come il figliol prodigo.

Anche dopo avergli salvato la vita, anche dopo il suo volta faccia ai Mangiamorte, anche durante l'ultimo anno, Malfoy era rimasto lo stesso stronzo con lui.

Non che Harry si aspettasse un grazie, o chissà che.

Semplicemente sperava sparisse nel nulla e non tormentasse più la sua esistenza, ostinandosi a credersi il suo nemico numero uno, o meglio: ostinandosi a palesarlo ad Harry in ogni occasione possibile.

Harry si riscosse da quei pensieri, quando rintoccò la mezzanotte.

Lo aspettava una lezione di Duello alle otto, l'indomani, ed arrivare in ritardo con la Chappels non era per nulla "auspicabile", avrebbe detto Thompson.

 

***

 

Hermione si lisciò il camice con premura, prima di uscire dallo spogliatoio, come facesse quelle operazioni da anni.

Tastò la tasca destra accertandosi, così, di avere con sé la bacchetta.

Ripassò mentalmente ogni regola del "buon tirocinante"…

-Rinvigorente? C'è. Rimpolpasangue? C'è. Antidolorifica? C'è.- disse passando in rassegna i flaconcini che avrebbe dovuto tener nelle tasche del camice.

Eppure le sfuggiva qualcosa!

Non si spiegava come, dopo un mese, far tirocinio le mettesse ancora tutta quell'ansia addosso.

Voleva essere preparata ad ogni evenienza, ma fra le corsie del San Mungo non si può esser preparati a tutto.

Ed Hermione sperava solo di non farne esperienza diretta.

- Ossofast?- tentò la ragazza, parlando a se stessa. Ricontrollò le tasche. Niente da fare, non era l'Ossofast a mancare all'appello.

Era già in ritardo, dannazione, non poteva permettersi di avere un vuoto di memoria in quel momento!

-Dittamo.- disse una voce alle sue spalle.

-Devi sempre portare il Dittamo, Granger. Uno degli ingredienti fondamentali, per qualsiasi emorragia, abrasione o taglio accidentale. 

Hermione si voltò e si ritrovò immersa in un profondo paio d'occhi dal taglio obliquo.

-Z-Zabini…- disse la ragazza, in un sussurro.

Blaise Zabini le stava di fronte, perfetto in quel suo camice, e gli tendeva, sul palmo della mano, un flacone con l'inequivocabile essenza di Dittamo.

Hermione lo raccolse e accennò ad un sorriso per poi dire timidamente:

-Grazie...

Blaise sorrise luminoso e chinò la testa in un cenno, a mo' di saluto prima di voltarsi ed uscire.

-A buon rendere, Granger.

 

***

 

Harry, nonostante i buoni propositi, era arrivato in ritardo, quella mattina. 

La tabellina oraria, inviatagli dal dipartimento Auror, pretendeva che il Cadetto Potter si trovasse in Arena, ovvero l'aula semicircolare del giorno prima, alle 8.00 in punto.

Il Cadetto Potter, con sua somma disperazione, si trovò in aula solo due minuti più tardi, trafelato e col fiatone.

Quella dipinta sul volto della Chappels non era disperazione, invece.

-Signor Potter. Noto con piacere che è arrivato anche Lei! Non si preoccupi, non è l'unico ritardatario, questa mattina.

Grande accoglienza e ottimo biglietto da visita, per il povero Harry.

Il quale non osò proferir parola nei riguardi del suo Comandante, ma si limitò a chinare il capo, al limite dell'affranto.

Decise allora che sarebbe stato saggio accomodarsi su una sedia, poco distante dai nuovi compagni.

E notò con una punta di orgoglio che l'altro ritardatario, oltre a lui, cui si riferiva la Chappels poco prima, era Malfoy.

Del viscido snob, per fortuna, nemmeno l'ombra. Ed Harry non poté trattenere un pallido ghigno.

Mentre la Chappels trascriveva qualcosa su una specie di carteletta blu, su cui era incisa una grande delta argentata, Harry si decise a guardarsi attorno.

Quelli che dovevano essere Mirrinton, Montox, Nisson, Nemson, O'Brian e Petch, stavano tutti seduti, ben ritti, distanti da lui.

Due ragazzi, erano seduti vicino ad un'ampia finestra, infondo all'aula: l'uno di costituzione robusta, l'altro mingherlino e col naso a punta.

Un ragazzo dai capelli ricciuti  invece stava mordicchiando con passione la pellicina del proprio indice, al primo banco.

Un altro, smilzo e allampanato, teneva lo sguardo fisso a terra.

Infine, con somma sorpresa di Harry, una ragazza era seduta lungo la sua stessa fila, tutta concentrata nello spiare l'espressione della Chappels. 

Stava chiaramente studiando la donna, senza timori o remore.

Un altro era in disparte, come se si trovasse lì per sbaglio. Ricordava tanto Seamus, per quei suoi capelli color sabbia.

-Bene, mentre attendiamo il Signor Malfoy, direi che possiamo anche iniziare le presentazioni, che ne dite?- disse d'improvviso il Comandante, abbandonando la cartelletta sul tavolo, con premura, quasi ad accarezzarla.

La risposta fu il silenzio, e un deglutire rumoroso, probabilmente del ragazzo che stava tormentando le proprie dita.

-Lo prendo come un assenso. Mirrinton?

-Eccomi…- rispose il ragazzo robusto, con un sorriso smagliante ed una nonchalance che non avrebbe mai più adottato.

Era alto, poco più di Ron, valutò Harry. Di muscoli non mancava di certo, aveva la carnagione scura ed i tratti di un ispanico.

Dopo un poco rassicurante sguardo d'esortazione della Chappels, il ragazzo continuò dicendo:

-Mi chiamo Anthony Mirrinton, sono del Galles, ed ho frequentato la scuola di Magia di Hogwarts, facendo parte della casata di Corvonero- disse il ragazzone, per darsi un tono.

-Andavano bene anche solo il nome ed il cognome, Cadetto Mirrinton.- rispose il Comandante, con un sarcasmo tutto suo. -Bene, Anthony, vorrei che lei venisse qui.

La donna indicò un punto, di fronte alla propria scrivania, dove si era accomodata. Doveva essere ad una distanza di tre metri, dal momento che il centro dell'aula era veramente spazioso.

Una volta che Mirrinton ebbe raggiunto il punto indicatole, apparve un tavolino basso.

-Sul quel tavolo sono disposte la due uniformi, due spille da Cadetto e le protezioni, anche queste doppie.- spiegò la donna, notando l'espressione perplessa dello sciagurato Mirrinton.

-Sono due, Anthony, perché le sto per assegnare un partner. Con il quale lei si allenerà ed eseguirà ogni istruzione, durante le lezioni.- continuò con lo stesso cipiglio deciso la Chappels.

-Montox?

Una volta chiamato, il ragazzo allampanato scattò in piedi.

-Benjamin Montox, Comandante!- la voce del ragazzo era squillante e argentina, dal leggero accento straniero, anche se Harry non seppe riconoscerne l'origine.

-Ottimo spirito, signor Montox. Lei sarà il partner del signor Mirrin…

Il rumore della porta, richiusa non molto silenziosamente, attirò l'attenzione dei presenti, oltre ad irritare la donna più autoritaria, poiché era stata interrotta.

Draco Malfoy, braccia conserte, mento alzato, non degnò nessuno di un solo sguardo, se non il Comandante.

-Lei dev'essere il Signor Malfoy. Non mancherà a Lei di notare il suo indicibile ritardo. Si accomodi, prego…- disse la donna, senza scomporsi, e dedicando lo stesso sguardo gelido, che poco prima aveva lanciato ad Harry, anche a Malfoy, continuò:

-Dicevo? Sì, Mirrinton, Montox. Sarete partner, almeno per quanto riguarda la mia materia, starà a voi, eventualmente, trovar congeniale mantenere questo legame anche durante le altre lezioni. Signor Montox, la invito a raggiungere il suo collega. Proseguiamo: Nisson?

-Richard Nisson, Comandante- rispose il tipo col naso a punta che prima stava in fondo, a parlare con Mirrinton.

Intanto Harry stava pregando la buona sorte ed evitando di guardare Malfoy, spavaldamente seduto in prima fila. 

-Bene, e…signorina Nemson?- disse il Comandante.

La ragazza si alzò elegantemente.

-Jaqueline Nemson, Comandante- aveva una voce dolce, melodiosa, a Harry ricordò quasi la voce di Fleur.

-Va da sé che Lei e Nisson siete partner. Accostatevi al tavolo sul quale sono disposti i vostri effetti personali- disse la Chappels, e nello stesso instante, a circa due metri da Montox e Mirrinton, si materializzò un tavolino identico al primo.

-O'Brian?- continuò autoritaria.

-Patrick O'Brian, Signor Comandante!- disse il ragazzo biondiccio, che Harry aveva etichettato come la brutta copia di Seamus.

-O'Brian, il suo partner sarà Petch…- rispose la donna, raggiungendo con lo sguardo il ragazzo ricciuto che si alzò con indolenza e disse:

-Jack Petch, Comandante.

Solo in quel momento Harry realizzò che la sorte nemmeno quella volta gli era stata amica.

-Malfoy, Potter…mi sembra logico, che per esclusione, voi sarete partner. Magari in due sarete capaci di arrivare in orario, eliminando l'uno il ritardo dell'altro.- disse il Comandante, ed Harry decise che l'impiccagione sarebbe stato un buon modo di morire.

-Mi vedo costretto a manifestare il mio rifiuto, Comandante.- proruppe Malfoy.

Harry sgranò gli occhi, un po' per la sicura aerofagia che lo avrebbe colto di lì a poco, sempre che non fosse colto dall'infarto, prima.

Lui rifiuta?!, avrebbe voluto urlare.

Il Comandante parve avere la stessa reazione, dal momento che non era incline al trovarsi contraddetta.

-Non collaborerò con Potter, né tanto meno ho intenzione di essere il suo partner. Non vedo come possa essere produttivo questo binomio.

Harry non lo disse, ma per una volta si trovò d'accordo con Malfoy.

 

***

 

-Alle volte sei davvero infantile, sai?

-Affatto...

-Dovresti smetterla di raccogliere accozzaglia inutile, per farcire quella roba!

-Quest'accozzaglia inutile, mio caro, io la chiamo "ricordi", ed io ho scelto di conservare i migliori!

Una risata, come un latrato.

-I nostri? Decisamente infantile, mi correggo.

-Ah, e questa roba farcita, come la definisci tu, si chiama diario.

-Infantile ed in piena crisi adolescenziale!

-Oh, ma da che pulpito...

 

***

-Non sprizzo gioia dai tutti i pori neanch'io, Malfoy.

Avevano indossato le uniformi, corredate da spillette, parastinchi e paragonati, seguendo le istruzioni del Comandante Chappels. 

-Volenti o nolenti, collaborerete eccome.- li aveva liquidati la donna, ignorando abbondantemente gli sguardi disperati di Harry.

Nello spogliatoio maschile nessuno dei ragazzi aveva fiatato, figuriamoci osservare qualcos'altro che non fosse il pavimento.

Si erano cambiati velocemente, seguendo gesti meccanici, forse dettati dal buon senso che urlava loro di non far attendere il Comandante.

Quando la donnetta isterica ed autoritaria aveva intimato loro di mettersi l'uno di fronte all'altro, bacchette alla mano, parlare era diventato indispensabile.

-Sai, Potter? Mi ricorda una vecchia scena, questa qui. Solo che adesso, ahimè, non posso ucciderti.- sussurrò Malfoy, strascicando ogni vocale.

Harry alzò gli occhi al cielo e si morse la lingua, dal momento che il Comandante era proprio accanto a loro.

-Inizieremo con una cosa semplicissima: disarmare l'avversario.- disse, con quel suo tono a metà fra l'affare di Stato e il divertimento cinico.

-Punto primo: non opponete resistenza, né rispondete ad attacchi o simili, quando il vostro partner farà la propria mossa. Punto secondo: scaglierete gli incantesimi se, e solo se, IO vi avrò autorizzati. Punto terzo, sul quale mi aspetto lavoriate con impegno: dovete fidarvi del vostro compagno e lavorare affinché anche lui si fidi di voi.

-Ah, allora siamo a cavallo…Quasi come montare un Unicorno.- sfuggì dalle strafottenti labbra di Malfoy.

Lo sguardo che Harry non mancò di lanciargli sembrava desiderare che il ragazzo ardesse lentamente, fino a ridursi ad un mucchietto di cenere.

La donna non sembrò sentirlo.

-Punto quarto: qualsiasi sconsiderato errore commesso dal vostro partner, sarà il vostro. Funziona un po' come la simbiosi. Se O'Brian fa esplodere l'aula, ed ha la sfortuna di sopravvivere, le conseguenze ricadranno non solo su di lui, ma anche sul Petch. 

-Di bene in meglio.- mormorò Harry sarcastico, facendosi scappare un mezzo sorriso in direzione di O'Brian, che ricambiò timidamente.

-Punto quinto: ogni coppia è in competizione con l'altra. Ai due più meritevoli sarà data la possibilità di un'esperienza diretta sul campo. Dovrete meritarvi anche quella. Ed ovviamente inciderebbe positivamente sul rendimento e sulla valutazione finale. Non vi inibiamo in rapporti di cameratismo, quanto piuttosto vi voglio ricordare, che fra i quarantotto neocadetti, soltanto venti diventeranno Auror. Per il resto, tempo al tempo. Adesso si comincia…

-Comandante?

Gli occhi di tutti si poggiarono su Malfoy, che a guardarlo con tutto quel bianco dell'uniforme, della carnagione e dei capelli sembrava un fantasma, compresi quelli spazientiti della Chappels.

-Signor Malfoy?

-Pensavo, potremmo dare una dimostrazione pratica dell'Expelliarmus. Io e Potter, intendo.- disse il ragazzo, candidamente.

-Cadetto Malfoy, è questo lo spirito giusto, maledizione!- giubilò la donna.

Harry non ne era poi tanto sicuro, anzi, era certo che non promettesse niente di buono.

 

 

***

 

Harry tornò a casa, quella sera, che stava ancora cercando un sinonimo per "sfinito".

Dopo la lezione di Duello, gli era toccato volare da Ron, per rassicurarlo circa la prima lezione, che lui avrebbe frequentato solo nel pomeriggio. Aveva fatto delle commissioni per la Signora Weasley. Poi era stato il turno della polverosa burocrazia: aveva, infatti, consegnato dei documenti al Ministero al posto di Hermione, che non aveva un attimo di respiro al martedì, perché troppo impegnata col tirocinio. 

Considerato che era stato a lezione tutta la mattina, tiranneggiato fra il Comandante che non faceva altro che fargli ripetere all'infinito l'incantesimo di disarmo per plasmare la loro postura- solo per il gusto di farli soffrire, a parer di Harry-, e Malfoy che impietoso non lo lasciava respirare.

Per lo meno non era in punizione con il suo "nuovo partner", rabbrividì al pensiero, per il ritardo di entrambi.

Malfoy, d'altro canto, non aveva fatto nulla in realtà, nulla di anormale, almeno.

S'era limitato ad eseguire le istruzioni della Chappels, gettare qualche battutina velenosa ai danni di Harry, e s'era addirittura lasciato disarmare più d'una volta.

Decisamente c'era più di qualcosa che non quadrava.

Harry aveva sperato che il rivale opponesse un po' più di resistenza, invece sembrava rassegnato quanto lui, al dover collaborare.

Non gli piaceva quella storia.

Che Malfoy fosse cambiato, non ci credeva neanche un po'.

Ma si sentiva davvero troppo stanco anche solo per arrovellarsi il cervello circa un problema senza soluzione.

Si appisolò sul divano, senza nemmeno prendersi la briga di lanciar lontano le scarpe.

Quando il gufo abbandonò la lettera scarlatta, Harry dormiva profondamente.

 

 

 

Note: 

Più che note, sarebbe corretto dire, ringraziamenti. Ebbene ringrazio chiunque abbia letto, aggiunto la storia fra le seguite e/o preferite. Il mio amore è tutto per TINAX86, beta meravigliosa, Astrasi, Wing e Furere, che hanno speso il loro tempo nel lasciarmi il proprio parere. Non immaginate neanche quanto possa essere importante il vostro sostegno, per me. Quindi, grazie! Vi lascio per questo una piccola chicca, che io trovo geniale: Harry Potter spiegato in 99 secondi, impossibile dite? State a vedere! http://www.youtube.com/watch?v=u3Ar48FAVkQ

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Capitolo 4
*** Linguaggio del corpo ***


IV. Il linguaggio del corpo

""Life is too important

to be taken seriously"

O. Wilde

 

Il luccichìo al suo polso non mentiva: erano le 21.35, quando Blaise varcò la soglia di Malfoy Manor.

Attraversò a passo sicuro il ballatoio, lasciando l'ampia scalinata alla propria sinistra, ed entrando nel salone.

Blaise si stupì di quanto quel posto fosse rimasto sempre uguale: i tappeti che trasudavano lusso, il parquet lucido, i commodes adornati d'intarsiature in bronzo*, addossati alle pareti ricoperte di arazzi e quadri.

Riconobbe la console* con le rifiniture in argento, nell'angolo, dallo specchio infranto e dal marmo spaccato, mai riparati, retaggio di una discussione accesa di molti anni prima.

Le ampie poltrone di pelle, rigorosamente capitonné*, i cuscini troppe volte smacchiati dal sangue, la duchesse*, postazione favorita di Blaise ed il caminetto sempre acceso.

Un focolare freddo per un posto così grande e vuoto.

I soffitti alti e le candele, tremuli astri, che fluttuavano intorno a scintillanti cristalli fissati al soffitto, distribuendo una luce soffusa e familiare.

Era come essere a casa.

-A che devo la visita?

Draco, abbandonato sulla poltrona, gambe accavallate, il dito indice della mano destra fra le pagine di un polveroso libro appena socchiuso, la mano sinistra arrampicata su un calice, lo guardò.

Non si poteva scorgere stupore sul suo viso, né piacevole sorpresa, sebbene la voce l'avesse tradito.

In lui, Blaise, non riconosceva nulla di quel bimbo vivace e spavaldo che aveva conosciuto tredici anni prima.

-Solite storie, Draco…- rispose Blaise, neutro.

-Ah, quindi: pour parler!- disse Malfoy, sfoderando uno dei suoi sorrisi in tralice. -Accomodati, no?

Blaise lo raggiunse e si stravaccò sulla duchesse, che occupava una posizione centrale.

-Sono stanco morto. Oggi al San Mungo ho dovuto assistere un Guaritore che era alle prese con una vecchietta spezzata durante una smaterializzazione, poi un bambino pestifero che si divertiva con la magia involontaria, poi un tipo con ustione e…

-Blaise, non sarai venuto per annoiarmi a morte!

Blaise rise, perché non aveva voglia di raccontare la propria giornata e perché, come sempre, Draco lo sapeva bene.

-100 punti, Signor Malfoy.- disse sorridendo.

Draco alzò un sopracciglio, stringendo le labbra, lasciò scivolare il libro sul dumb waiter* accanto alla poltrona, e recuperando la bacchetta richiamò un gemello del proprio calice.

-Fire Whiskey, comme d'habitude.- disse porgendogli il liquido ambrato.

A Blaise faceva sorridere quel modo di Draco, di rispolverare quel francese sgangherato, solo perché era con lui che stava parlando, quasi a prenderlo in giro per le sue origini.

-Immagino tu sia qui per parlare di me…

-Abbiamo mai parlato d'altro?- ironizzò Blaise.

-Mi ferisci così!- finse Draco, portando una mano sul petto con fare melodrammatico.

-Quindi oggi…prima lezione.- disse vago Blaise, per prenderla alla larga, nonostante sapesse quanto Draco non morisse dalla voglia di raccontare.

-Blaise, sintetizziamo il tutto: sono arrivato in ritardo, Thompson non aveva alzato troppo il gomito ieri e quindi sì, sono nello stesso gruppo di Potter…

A quelle parole, mentre perdeva lo sguardo nel whiskey, a Blaise venne da ridere: la faccia di Draco, una volta letta la comunicazione del Capo Auror del giorno prima, non l'avrebbe dimenticata.

-E sono in coppia con quell'inetto.- concluse Draco.

Deglutire era diventato particolarmente difficile, dal momento che Blaise stava ridendo sul serio, e dopo una lunga sorsata.

-Nel senso che…- disse, una volta ch'ebbe portato a termine l'impossibile impresa.

-Nel senso che Harry, Sfregiato, Smidollato, Potter, sarà il mio partner…per tutto l'anno.- concluse mestamente Draco.

-Ah, si spiegano tante cose…- rifletté Blaise. -Tipo il tuo malumore, quel vecchio libro e il Fire Whiskey. 

Draco roteò gli occhi.

-Ho forse delle alternative?

Blaise si tirò su, puntellandosi su un gomito.

-Hai sempre avuto delle alternative- disse serio, fissando i propri occhi in quelli di Draco.

Draco si rabbuiò e  disse:

-Intendi l'eliminazione fisica? Eh ma sarebbe omicidio colposo preterintenzionale…

-Sono serio, Draco.

All'affermazione di Blaise, con un ghigno, il più giovane dei Malfoy vuotò il bicchiere.

-Oh già, come ho fatto ad essere così sconsiderato…avrei potuto fare Medimagia!- disse con una punta di veleno, una volta che il bruciore del whiskey appena tracannato si placò. 

Lo sguardo di Blaise non s'era perso neppure una sfumatura del volto di Draco.

-Avresti potuto fare quello che volevi, ad esempio. Una volta parlavi di diventare un pozionista, ricordi?

L'altro si alzò, felino, e Blaise non si lasciò sfuggire il movimento delle sue mani, ora libere e serrate a pugno.

Con due falcate, il ragazzo, fu vicino al camino.

-Sai benissimo che non ho avuto scelta.- dice infine, con un sospiro.

-Non mentire a te stesso. Non ti sei mai fatto problemi, in tal senso. Se un'occasione non si presentava, eri tu a crearla.

Draco sollevò lo sguardo, sui tizzoni ardenti, e Blaise studiò il suo profilo.

-Ti rendi conto che hai barattato il tuo futuro? Per cosa? Cinque anni!- disse duro Zabini, con un tono che mai avrebbe rivolto a quello che per lui era un fratello.

-Sarebbe rimasto ad Azkaban per trent'anni.- rispose quieto Draco. -Al Ministro non interessano i galeoni, e dire che sono stato anche generoso. 

Fece una pausa.

-Quando sono andato in quel sudicio ufficio, ho fatto la mia offerta. Shacklebolt non è stupido, Blaise. Ed alla fine è stato lui a comprarmi: una carriera da Auror, in cambio di una riduzione della pena per mio padre. 

-Ti sei venduto per cinque anni, è questo che non mi torna. E per Lucius, che non è mai stato un padre. Scusami se sono davvero perplesso, Draco!

L'interessato si voltò, lo guardò intensamente.

-Mio padre merita di marcire ad Azkaban, se non altro per le sue mancanze.- disse, con una serietà che non gli apparteneva. 

Blaise strabuzzò gli occhi incredulo. Aveva temuto di aver colto il filo conduttore di tutto, già da quando Draco gli aveva dato la notizia del test d'ammissione, ma quell'amara ed aperta critica al padre, tra l'altro una delle poche che Draco avesse mai fatto, confermò qualsiasi dubbio.

-Non è per lui che l'ho fatto, Blaise. Ma per mia madre.

Di quel bimbo di tredici anni prima, in quell'istante Blaise ne fu sicuro, non era rimasta che una cosa: l'amore morboso per la madre.

Ora come allora, Draco avrebbe fatto di tutto per vedere gli occhi di Narcissa su di sé, per un sorriso della donna, per una carezza, per renderla fiera, orgogliosa…felice.

-Non è facile vederla in quello stato. L'esaurimento magico, il rifiuto per il cibo, le cure e poi l'incidente... E solo perché le manca.- continuò Draco.

-Sì, ma…- tentò con convinzione Zabini, scacciando le immagini di quella notte tremenda. La notte dell'incidente.

-Niente ma. Non ho avuto le carte giuste, Blaise. Mi rifarò alla prossima mano. Te l'ho detto: non ho avuto scelta.

Calò un profondo silenzio fra i due, Draco tornò a sedersi, mentre l'altro beveva l'ultimo sorso rimastogli.

-Con Potter come la metti?- disse infine Blaise, dopo quella che gli parve mezz'ora.

Il ghigno di Draco rispose per lui, e fu molto eloquente.

 

***

 

-ERO PREOCCUPATA A MORTE! E SE TI FOSSE SUCCESSO QUALCOSA A LEZIONE?! COSTA TANTO UN GUFO?!

Era decisamente troppo per i cinque minuti dopo il risveglio.

Harry incenerì la strilettera che Ginny gli aveva mandato prima che potesse proseguire oltre.

Una volta aperti gli occhi, s'era subito reso conto d'essere crollato sul divano, la sera prima. Se non altro perché il mondo era troppo nitido e definito, dal momento che inforcava ancora gli occhiali.

Ancora aggrappato all'onirico Harry non s'era reso  conto del colore della lettera sul tavolino di fianco al letto occasionale.

Grosso errore aprirla prima di essere realmente capace d'intendere e di volere. 

La voce di Ginny, isterica e squillante come non mai, gli era esplosa nella testa con la stessa intensità di un gruppo di Centauri al trotto. 

Il risultato era un'emicrania fulminante ed una fidanzata inferocita più di un drago.

Per lo meno non era in ritardo.

Avrebbe avuto lezione solo nel pomeriggio e per sua fortuna era ancora mattina, sebbene inoltrata.

Con uno sbadiglio si trascinò fino in cucina, preparò un caffè alla Babbana Maniera, come avrebbe detto Arthur, e recuperò una pozione antidolorifica per arginare i danni, gentilmente concessigli da quella che doveva essere la donna della sua vita. Decise che a Ginny avrebbe risposto dopo, anche perché non era in condizione di poter affrontare una discussione.

-Alla salute!- si disse, mandando giù la poltiglia grigiastra tutto d'un fiato.

Sentì in quel momento un martello, dritto sul proprio cervello, novella incudine.

Passarono cinque minuti prima che si accorgesse che era solo un barbagianni spennacchiato che picchiettava alla finestra.

Aperta quest'ultima, il volatile, abbandonò un'altra lettera sul davanzale, volandosene via in un battito di ciglia.

-Oh, per lo meno non è stato invadente!- disse Harry alla propria tazza fumante.

La busta non recava né mittente né destinatario.

Harry si accomodò su una sedia traballante, sorseggiando caffè, sgranocchiando un biscotto al cioccolato, ed aprì la lettera.

Le sopracciglia si sollevano fin sopra all'attaccatura dei capelli, gradualmente, a mano a mano che leggeva.

Quando arrivò alla firma, erano già sparite.

 

***

-Non è malaccio, voglio dire, ho avuto ieri la prima lezione e…

-Harry, Ron mi ha detto di Malfoy, ieri.- disse Hermione, dopo aver mandato giù un boccone.

Ron in quel momento era a lezione, la seconda, quella che lui avrebbe affrontato solo nel pomeriggio.

Così, piuttosto che mangiare da solo al numero dodici, Harry aveva preferito raggiungere Hermione al San Mungo, durante la pausa pranzo.

Si erano accampati in un magazzino in disuso, al reparto Magie accidentali del secondo piano.

-Oh, già quello…- disse mestamente Harry, cercando di infilzare una patata, senza successo.

-Insomma, com'è andata? 

-Bene, immagino. Sai, non ci siamo uccisi. Non dico che non sia strano, è sempre il solito stronzo, solo che sembra quasi non vedermi. Come se non si trattasse dell'Harry Potter che ama tormentare.- rispose Harry.

-Non sai perché abbia deciso di fare l'Auror, allora!- ribatté Hermione, quasi fosse delusa.

-Non siamo andati ad un pigiama party, Herm! Abbiamo solo frequentato la stessa lezione!

-Certo, certo…avete solo frequentato la stessa lezione e sarete solo partner per tutto l'anno, da quello che mi hai detto. Effettivamente interagire è del tutto superfluo!- disse la ragazza gettando gli occhi al cielo.

Harry sospirò, era veramente avvilito.

Insomma: Ginny era arrabbiata, lui e Ron avevano orari agli antipodi e vedersi era impossibile, Hermione sembrava un membro della Santa Inquisizione, Malfoy era il suo partner e lui non riusciva ad infilzare quella dannata patata.

-Ne hai parlato a Ginny?- Hermione aveva fatto l'ennesimo bingo, la bocca piena consentì ad Harry di liquidare la cosa con un suono gutturale.

-Allora cosa ti preoccupa, Harry?

Deglutì con vigore e mandò giù un sorso di succa di zucca, poi disse:

-Stamattina mi è arrivato un gufo, era Nemson, una mia compagna. Mi ha invitato, questa sera, ad una specie di incontro fra i membri del mio gruppo. Una sorta di bevuta tutti insieme per socializzare…

-Ma tu non vuoi socializzare con Malfoy- finì per lui, Hermione.

Harry annuì con uno sbuffo.

-Non credo che lui vada, sai Harry? Quindi, per me, dovresti andare. Anche perché non puoi rimanere sempre in quella casa, da solo. Né tanto meno vorrai farti condizionare dalla presenza di Malfoy, voglio sperare!- disse Hermione, con decisione.

-Dici che non andrà? Potremmo sempre uscire io, te e Ron!- propose Harry, quasi illuminandosi.

Era da un po' che loro tre non passavano un po' di tempo insieme, ognuno aveva i propri impegni ed era più che normale non condividere sempre e tutto, come una volta.

Quanto all'uscita con i nuovi compagni, Harry non era sicuro di voler correre il rischio di ritrovarsi allo stesso tavolo con Malfoy.

Passi la condivisione del gruppo, passi -e mica tanto- essere partner di Malfoy, ma di lì ad uscire insieme!

-Oh, Merlino, Harry, mi piacerebbe tanto. Ma stasera io e Ron avevamo in programma di cenare insieme…beh, sai…

Harry sorrise, trattenendosi dall'esclamare il fatidico "finalmente".

-Ehi, Herm…non c'è problema!- disse Harry, mentendo anche un po'.

-Mi dispiace, Harry. Ron dice di dovermi parlare di chissà cosa…Ma tu esci con i tuoi compagni, cavolo! Sarà divertente!- tentò Hermione.

-Non lo so. Io, credo…devo anche sistemare le ultime cose in casa, quindi…

-Harry, promettimi che uscirai questa sera…Ti farebbe bene, frequentare altra gente e…- Hermione si trovò costretta ad interrompersi, una specie di targhetta, col suo cognome sopra, stava scintillando.

-Oddio, mi chiamano in reparto! Harry perdonami, devo proprio scappare. Fammi sapere cosa farai…

Detto questo la ragazza gli diede un bacio sulla guancia e scappò a tutta velocità verso le proprie incombenze.

In un secondo, ad Harry, i tempi di Hogwarts sembrarono lontanissimi.

 

***

 

-"Ne parliamo meglio a lezione". Oh si, J.N, contaci.- disse Draco con disprezzo ad una Nemson che non era fisicamente presente davanti a lui.

Accartocciò la pergamena scempiata da quella ridicola calligrafia tutta ghirigori e fece centro nel cestino della carta straccia.

Gli venne quasi da ridere al pensiero di uscire con quegli imbecilli, capitanati dal re degli sfigati: Potter.

-Cos'è parli da solo, adesso?

Quella voce schernitrice, Draco l'avrebbe riconosciuta fra mille.

Aveva appena fatto il suo ingresso nell'immenso studio di Malfoy Manor e già, a causa di quel profumo zuccherino, a Draco mancava l'aria.

E dire che una volta gli piaceva anche il profumo di Pansy!

Col tempo Draco aveva imputato gli errori madornali fatti fra i quattordici ed i quindici anni alla tempesta ormonale.

Più semplicemente, dopo, aveva capito che non poteva essere eterosessuale, non se le donne si ostinavano a portare quei profumi da allergia fulminante.

O quei tacchi sui quali non sapevano camminare, ma che si ostinavano a portare, ignare d'indossare il cilicio dell'estetica.

-Ciao Pans...

Pansy si avvicinò alla scrivania dove Draco stava seduto a firmare documenti, la posta e sorseggiare caffè.

-Sembri un uomo d'affari, sai caro?- disse la ragazza, scuotendo il capo e facendo tintinnare i pesanti orecchini improbabili.

Draco alzò infine lo sguardo, storcendo il naso: un tailleur lilla ed una borsetta verde acido erano veramente troppo, alle undici di mattina,  per il suo stomaco delicato.

-Come ti sei conciata?!- disse indignato per il cacofonico abbinamento cromatico.

-Ti piace?- rispose entusiasta Pansy facendo una giravolta su se stessa.-Sarebbe la mia tenuta da lavoro!

Draco scosse la testa rassegnato, certe cose non sarebbero mai cambiate.

-Giù in redazione mi hanno riempita di complimenti e dovevi vedere il ragazzo delle consegne, questa mattina presto!

-Incantato, immagino. Pansy, star laggiù ti fa male.- ironizzò il ragazzo.

-Oh no, mi farebbe molto male non trovar un buon argomento per un articolo, piuttosto!- disse la ragazza accomodandosi su una delle sedie di fronte alla scrivania.

Draco sorrise, non poteva farne a meno se pensava che Pansy lavorava, da poco più di un mese, alla Gazzetta del Profeta e redigeva montagne su montagne di articoli di cronaca rosa.

-E quindi vuoi che ti dia lo scoop. Sfruttare uno dei tuoi migliori amici per ottenere del sano gossip, Pansy sei più spietata della Skeeter, sai?

-Oh, tesoro, non potevi farmi complimento migliore!- rispose la ragazza, sinceramente grata a quello che voleva essere un insulto.

Prima che Draco potesse dire altro, Pansy tirò fuori, dall'orribile borsetta di vernice inacidita, un taccuino ed una piuma.

-Mi hanno detto che sei in gruppo con Potter! Cosa ci può essere di meglio che uno scoop sul GoldenBoy? Si accompagna ancora a quella sciatta rossa, come si chiamava? Ha già rubato il cuore di qualche Auror?

Pansy non demorderà facilmente, pensò Draco, testimone dell'entusiasmo della ragazza.

Il viso, sapientemente truccato, sembrava quello di un bimbo al primo Natale, gli occhi le brillavano, pronti a cogliere qualsiasi segnale.

-Frena, frena! Essere in gruppo con quello là, non significa mica essere suo amico!

Un po' dell'entusiasmo si dileguò cedendo il posto ad un piccolo broncio.

Solitamente gli uomini non resistevano a quella smorfia infantile, e Pansy col tempo aveva affinato l'"arte del cucchiaino", così come l'aveva ribattezzata, e finiva per ottenere sempre quello che voleva.

Non quando aveva a che fare con Draco, però.

-Oh, andiamo Draco! Ho bisogno di quell'articolo o Godburey mi fa la pelle! Vuoi forse che la tua migliore amica diventi una, chic di certo, borsetta da donna?- disse Pansy con una punta di delusione.

-Pans, io e Potter non parliamo. Essere partner non implica il fare conversazione, confidarsi i segreti e brindare con succo di zucca!- sbuffò Draco, manifestando il fastidio per quell'insistenza.

-Cosa? Cosa? Partner?

S'era bruciato ogni possibilità, lasciandosi sfuggire quel particolare. Seppellì lo sguardo fra le carte sulla scrivania.

-Draco Malfoy, ora tu mi aiuterai a scrivere un articolo, o dirò all'Intero Mondo Magico che lo Scapolo d'Oro per eccellenza non ha alcuna intenzione di avere una scodellata di marmocchi!- disse Pansy puntandogli contro la piuma d'oca con fare minaccioso .

Dire, in un articolo, che lui, Draco Malfoy, era gay? Oh, sì, Pansy l'avrebbe fatto. Le voleva bene, era come una sorella per lui, e la conosceva come le proprie tasche. Sì l'avrebbe fatto eccome…se non avesse avuto di meglio da scrivere. Per un attimo il panico gli spezzò il fiato.

-D'accordo, d'accordo, Pansy, tormentatrice ad honorem dei miei piani bassi! Cosa vuoi che faccia? Invitarlo a cena?!- disse allora il ragazzo, passandosi una mano sul viso.

-No, tesoro, nemmeno tu meriteresti una punizione simile. Giusto scambiarci qualche parola, chiedergli della pezzente che ama appendersi al suo braccio, ad esempio, ottenere dettagli piccanti. Lei dovrebbe essere ad Hogwarts, no? Chiedigli come vivono questa relazione a distanza! O magari…

-Sì, certo. Mi vedo già la conversazione: Ciao, Potter, è insopportabile come dicono, avere il letto freddo?- la interruppe Draco alzando gli occhi al cielo.

-Allora chiedigli se mi concede un'intervista!- proruppe la ragazza, afferrandogli una mano.

-Non lo farebbe mai, ricordi dopo la guerra? Pans, non so come aiutarti.

In effetti, da quello che entrambi poterono ricordare, il Perfetto Potter, non aveva un buon rapporto con giornali e giornalisti. Eccetto il Calvillo dello strampalato Lovegood, ma quello non faceva testo, perché semplicemente non era un giornale.

Pansy mollò la presa e portò il mento sul petto, dicendo con fare melodrammatico:

-Sono rovinata…Stroncata sul nascere della mia brillante carriera giornalistica! Immagina i titoli sul Profeta, sembra di leggerlo l'articolo di quella Patil! O era Kamil? Oh, la vedo già brindare sul mio cadavere!

Draco rise e si alzò, attirando l'attenzione della ragazza.

-E va bene, va bene, reginetta del dramma…- disse Draco arrendendosi. -Si dà il caso che una tizia del gruppo abbia organizzato una uscita fra colleghi. Non avevo alcuna intenzione di andare, ma se è per la tua carriera giornalistica, farò un'eccezione. Potter non si perderà l'occasione di conoscere qualche buon cuore come il suo. Ti prometto che cercherò di ottenere qualcosa, ok?- disse Draco, ormai accanto a Pansy.

Pansy scattò in piedi e lo abbracciò di slancio, lasciandolo interdetto.

-Oh, sei il migliore. Il migliore Draco Malfoy di sempre!- disse con una voce da bimba, nemmeno fosse appena entrata da Mielandia, stringendolo sempre di più.

-Nonché l'unico, mi pare. Ora Pansy, mi faresti respirare?

 

***

 

Le mani affusolate scorrevano veloci sulla carta ingiallita. Gli occhi di mercurio non si perdevano nemmeno una pausa, un incidere più deciso, un puntellare leggero sulla testa delle "i".

La mano lasciava scivolare con dolcezza la piuma, interrompendo il bacio sulla pergamena, giusto per intingerla nell'inchiostro.

Un lavoro quieto, silenzioso, preciso.

-Cosa stai scrivendo, adesso?- chiese la voce curiosa.

-Una storia…- rispose con calma, l'altro.

-La conosco?

-Eccome!- replicò lapidaria la voce più dolce, melodiosa.

-Leggimela!

L'imperativo interruppe soltanto per un secondo il flusso delle parole.

Una lieve cicatrice, si tese in una strana smorfia, che tanto ricordò un sorriso.

-Non posso, la stiamo vivendo.

 

***

La lezione di quel giorno, ancora con la Chappels, si sarebbe tenuta alle 16.30.

E quella volta Harry arrivò persino in anticipo.

In Arena non c'erano ancora né il Comandante, né i suoi compagni, eccezion fatta per la Nemson e per Nisson, seduti su un banco, al centro dell'aula.

Harry entrò con passo sicuro, facendo un cenno di saluto ai due.

-'Giorno Potter!- lo salutò con entusiasmo la ragazza.

-Nemson, Nisson.- ricambiò Harry.

-Chiamami Jay, Jay come Jaqueline, Potter…- riprese la ragazza scendendo dal banco e dirigendosi verso di lui.

Era una ragazza alta, dai capelli corti scuri e mossi. Aveva un paio d'occhi nocciola grandi e sinceri. Stringendo la sua mano, Harry, non poté non notare la presa salda e decisa.

Gli ricordò Tonks, per un attimo, facendogli per quello scappare un sorriso nostalgico.

.Chiamami Harry, Jay.- disse lui, riportando la mano in tasca.

Anche Nisson si era avvicinato, sebbene con diffidenza.

-D'accordo, Harry. Hai ricevuto la mia lettera?- riprese Jay, sorridendo.

Harry annuì, era sicuro che l'argomento sarebbe ben presto venuto fuori, e lui non aveva ancora deciso in merito.

-Allora, Potter, sarai dei nostri questa sera?- disse Nisson, che li aveva raggiunti, alzando il mento, quasi stesse parlando di una sfida.

-Ehm, io…- iniziò il moro, ma fu interrotto dall'ingresso di O'Brian:

-Ciao, ragazzi! Jay, ho ricevuto il gufo. Stasera, otto e mezza, al Gatto Nero?

-Ottimo, Patrick!- rispose la Nemson, sollevando il pollice nella sua direzione.

Sembravano già in confidenza, Harry suppose si fossero fermati a parlare il giorno prima.

-Ho anche parlato con Jack, e anche lui verrà, ma ci raggiunge dopo. Sarà lui a dirvelo, ovviamente!- continuò O'Brian.

Jay sorrise e Nisson tornò a sedersi sul banco, portando le ginocchia al petto.

O'Brian sorrise nella sua direzione, liberandosi del mantello.

-Harry, che mi dici?

Ecco, cosa si sarebbe inventato adesso? Jay lo guardava con aspettativa.

D'improvviso la voce di Hermione rimbombò nella sua testa, e senza porsi tante domande disse:

-Gatto Nero, alle otto e mezza. Ci sarò.

Si sorprese della propria voce, ma non quanto la domanda che ne seguì.

-Bene! E Malfoy?- chiese O'Brian.

Quella sì che era buona! Come se lui parlasse con Malfoy. Si chiese perché tutti, intorno a lui, dessero per scontato che loro due fossero ora in confidenza.

Lo infastidiva e non poco.

-Malfoy?- chiese, ancora soprappensiero. -Non saprei proprio. Piuttosto, dov'è che lo trovo questo Gatto Nero?

-Diagon Alley, seconda traversa a sinistra del Paiolo Magico, giusto prima di Olivander.- rispose lapidario Nisson, sistemandosi l'uniforme.

Harry stava per ringraziarlo, quando la porta si spalancò.

La Chappels entrò come un lampo, chiudendo la porta alle proprie spalle e gettando uno sguardo distratto ai presenti.

Nel frattempo anche gli altri erano entrati.

Con sommo dispiacere di Harry, anche il suo partner aveva fatto il suo ingresso.

Si disposero in fila, di fronte alla scrivania, ad una distanza di un paio di metri, ognuno accanto al proprio compagno.

Malfoy lo guardò dall'altro verso il basso, senza proferir parola, ma Harry riusciva quasi a leggere le battutine taglienti che formicolavano fra i suoi neuroni, amesso ne fosse provvisto.

-Buon giorno, Cadetti. Prego, accomodatevi pure dove preferite. Niente pratica oggi, solo lezione teorica.- disse il Comandante, sedendosi alla propria scrivania.

Si sentì qualche sbuffo, poi ognuno di loro prese posto e tirò fuori pergamene, piume e calamai.

Harry scivolò in terza fila, ritrovandosi O'Brian e Montox accanto. 

Gli altri sedevano al primo banco, sulla sinistra.

Malfoy era invece in fondo ed Harry poté sentire i suoi occhi sulla propria schiena.

-Oggi, potrà sembrare banale, impareremo a conoscere il linguaggio del corpo, per poter così comprendere l'avversario e prevederne le mosse, contrattaccando in modo efficace.

Harry non aveva davvero ancora preso in considerazione quella parte del corso, che risultava essere tutto tranne che emozionante.

 

***

 

La lezione era filata liscia, due ore di intense mimiche facciali da parte della Chappels, e posture.

-Vediamo un po'…O'Brian, vorrebbe gentilmente analizzare la postura del Signor Malfoy?- disse la donna, ravvivando gli ultimi cinque minuti di lezione.

Fra i presenti si sparse il panico, O'Brian allargò il colletto della camicia, con fare nervoso e disse balbettando:

-C-certo, Comandante!

Dopodiché si voltò verso Malfoy, fra le ultime file, così come tutti, del resto.

Harry non poté far a meno di imitare gli altri.

Malfoy teneva gli occhi fissi sul foglio, estraneo a quella situazione, come se non si stesse parlando di lui. Poi, quando gli sguardi di tutti si fecero talmente intensi da trapassarlo, alzò i gelidi occhi.

Harry rabbrividì: l'occhiata di Malfoy, che sembrava tatuarsi su O'Brian, era agghiacciante.

Non ricordò di aver mai visto quell'espressione, nemmeno pescando fra i ricordi dei loro innumerevoli scontri, verbali e non.

-O'Brian? Sto aspettando.

-Ehm, ecco…Malfoy, g-guarda l'interlocutore in viso, negli occhi…questo m-mostra apertura ed, ehm…

O'Brian era visibilmente a disagio, da quanto aveva appena appreso Harry, quel passarsi i palmi sulle ginocchia ne era la palese dimostrazione.

-La invito a rileggere i suoi appunti, O'Brian, dato la più che errata analisi. In un duello, Malfoy, l'avrebbe già tramortita!- lo liquidò la Chappels, liberandolo da un bell'impiccio.

Nonostante ciò, Malfoy, non aveva ancora distolto lo sguardo dal malcapitato. 

-Potter?

La voce della donna giunse come una maledizione, ed Harry rimpianse davvero di non aver scelto un altro corso, magari qualcosa che non attentasse alla propria vita, per una volta. 

Suo malgrado rispose, non senza esitazione.

-Ehm, dunque…Malfoy ha le gambe accavallate, un chiaro segno di chiusura, piuttosto che di diffidenza.- lo sguardo di Harry vagava sull'altro, mentre Malfoy, disinteressato al massimo, lo guardava di rimando. - Anche le braccia conserte possono portarci alla medesima ipotesi. La mano sulla gola, invece è indice di disagio…ehm, le labbra contratte e le sopracciglia inarcate indicano invece aggressività.

Malfoy fece scattare in alto le sopracitate sopracciglia. Con un ultimo sguardo Harry si voltò, verso la Chappels, che con indice e medio appoggiati al mento lo guardava.

-Possiamo dire, in sintesi, che l'avversario è pronto ad attaccare. Attende la nostra mossa, e sta valutando l'intensità del contrattacco.- concluse Harry.

La Chappels sorrise.

-Ottima analisi, Potter! Lei è stato particolarmente acuto e ricettivo!- disse entusiasta, interrogando poi Malfoy, -Signor Malfoy, data l'analisi più che corretta, voglio sperare che non uccida il suo compagno, adesso!

-Au contrarie, Comandante. Vorrei semplicemente far presente che, con molta probabilità, l'avversario può anche star dissimulando le proprie intenzioni.- rispose tagliente l'interessato.

-Prego, si spieghi…

-Stavo semplicemente pensando ai fatti miei, ho voluto lasciar intendere al mio compagno, ciò che si aspettava di leggere nel mio atteggiamento.

Harry rabbrividì ancora una volta, nel sentire l'enfasi alla parola "compagno", in cui Malfoy aveva volontariamente strascicato ogni vocale. Decise che nulla al mondo lo avrebbe convinto a riportare occhi e lenti su Malfoy.

Non lo stava guardando, ma era sicuro dello sguardo di disprezzo a lui rivolto, dopo quella parola.

-Ottimo, Malfoy!- disse la donna applaudendo. -Per l'appunto lei ha anticipato l'argomento della prossima lezione! Ci vediamo la settimana prossima, ragazzi! Grazie a tutti!

E senza dar il tempo di replicare alcunché la donna sparì con un pop.

-Quella donna, è terribile!- proruppe O'Brian, seppellendo la testa fra le braccia, sul banco.

-Non t'abbattere, O'Brian, poteva andarti peggio!- buttò lì ridendo Nisson, contagiando anche Nemson.

Mirrinton era già in piedi, seguito da Montox.

-Ragazzi, ci vediamo per le otto e mezza, allora.- disse il primo, raccogliendo la propria roba, ed uscendo senza salutare. Montox, dietro di lui sorrise e salutò con la mano Jay che annuiva, facendo spallucce.

-Mirrinton è sempre così socievole?- chiese sarcastico Nisson.

Harry rise sommessamente, guadagnandosi uno sguardo complice dal ragazzo.

Avevano quasi tutti raccolto la propria roba, e dopo un saluto da parte di Petch ed O'Brian -a quanto pare grandi amici, ormai- in aula rimasero solo Harry, Jay, Nisson ed un Malfoy estremamente concentrato nel ricomporre e radunare i propri appunti.

Nisson, da bravo cavaliere, appellò il mantello di Jay e lo porse con un mezzo inchino alla ragazza.

-Andiamo anche noi, Jay?- le chiese subito dopo.

-Sì, certo…allora per stasera, voi ci sarete?

Harry fu preso in contropiede, tanto che la zip della sua felpa si inceppò.

A Malfoy non era andata meglio, lo si poteva sentire tossire, quasi soffocato, perché aveva appena bevuto dell'acqua da una fiaschetta d'argento.

Jay rise, portandosi una mano al petto, Harry si limitò ad annuire.

Nisson, gli fece un mezzo sorriso, poi infilò la porta, seguito dalla Nemson.

Harry rimpicciolì pergamena e calamaio e li mise in tasca, cercando di scacciare il pensiero di essere da solo con Malfoy, e pensando di darsi il più presto possibile alla fuga.

Un leggero colpo di tosse, sicuramente simulata, attirò la sua attenzione. Alzò lo sguardo, Malfoy era ormai quasi vicino alla sua postazione.

-E così noi ci saremo, eh?

Harry non capì subito, anzi non capì affatto, Malfoy al contrario colse l'interrogativo degli occhi verdi ed alzò i propri al cielo.

-Per questa sera, hai risposto al posto mio, quando quella là ha chiesto se…noi ci saremmo stati.- disse freddo e distaccato, come se stesse parlando del tempo nel prossimo weekend.

-Oh…

Harry era disorientato, frastornato e…

-Oh cosa, per Salazar, Potter?

Ecco la voce sprezzante ed irritante, quella Harry sapeva gestirla.

-Ho solo annuito, e risposto per me. Quello che fai tu, Malfoy, non è di mia competenza. Né interesse. E comunque Malfoy, dovresti rassegnarti al fatto che dovremo comunicare.

-Qualcuno, qui, sembra pensarla in modo diverso. A dire la verità, più di qualcuno. Sbaglio?- ribatté l'altro, aggiustando la borsa sulla propria spalla ed incrociando le braccia.

Harry lo guardò, cercando di decifrare la sua espressione, ma quella volta, Malfoy non sembrava intenzionato a lasciar percepire alcunché.

-A stasera, Malfoy.- disse Harry, dirigendosi verso l'uscita, dal momento che quella conversazione gli sembrava fine a se stessa.

Più semplicemente si era imposto di avere poche interazioni con Malfoy, giusto quelle indispensabili.

-Potter?

Harry poggiò una mano sullo stipite della porta e si voltò, avvilito.

Malfoy gli stava sorridendo, non poteva crederci. Ok, era più un angolo della sua bocca un po' più in alto, le labbra un po' meno arricciate rispetto ai suoi ghigni, ma ehi! Era un sorriso, o una sua imitazione!

-Leggi il linguaggio del mio corpo, adesso...

Malfoy alzò il dito medio in sua direzione, beffardo, poi si smaterializzò.

 

 

Note, a volte ritornano:

*1.Commode

Mobile francese, nato alla fine del XVII secolo. Mediamente alta 80 cm, a due o più cassetti, con alti sostegni, bombata, con gambe a serpentina e una decorazione frontale dissimulante la divisione dei cassetti nello stile Luigi XV. Gli esemplari di maggior pregio sono impreziositi da impiallacciature, intarsi, decorazioni laccate e applicazioni in bronzo. [Fonte: Mia mamma]

*2.Console

Tavolo fissato a una parete, in genere al di sotto di uno specchio, con scopo più ornamentale che funzionale. Nata durante il regno di Luigi XIV, si sviluppò tipologicamente secondo i diversi stili, conservando sempre forme eleganti. E' generalmente priva dei sostegni posteriori, ma può anche presentare un unico supporto figurato; il piano, poco sporgente, è spesso realizzato in marmo.[Fonte: Mia mamma]

*3.Capitonné

Tipo di imbottitura largamente usata nel Settecento e nell'Ottocento per trapuntare poltrone, sedie e testiere di letti. In origine era costituita da capiton, una sorta di cascame di seta, e fissata con del filo fermato da un bioccolo del medesimo materiale.[Fonte: Mia mamma]

*4. Duchesse

 Di gran moda sotto Luigi XV, si configurò secondo diversi modelli: tra i più noti vi erano la duchesse en gondole, una specie di sofà con le due estremità arrotondate e rialzate ad altezze differenti, e la duchesse brisèe, costituita da tre (più raramente due) elementi staccabili, solitamente due bergères e uno sgabello centrale. Veniva utilizzata dalle dame dell'alta società per il riposo pomeridiano e per ricevere visite.[Fonte: Mia mamma]

*5.Dumb Waiter

Espressione inglese che, alla lettera, significa "servo muto". Indica un particolare tavolino che si diffonde soprattutto nel XVIII secolo, articolato a più piani sovrapposti, di grandezza decrescente dal basso verso l'alto, facente perno su un unico asse e terminante su una base a tre piedi.[Fonte: Mia mamma]

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Capitolo 5
*** Dicotomia ***


V. Dicotomia

"Il più grande ostacolo nel comunicare ce lo portiamo dentro, è il nostro orgoglio."

A. Gasparino

20.15, notò avvilito Harry. Sarebbe arrivato ancora una volta in ritardo.

 

Cara Ginny,

 

So di essere imperdonabile. So anche che non mi crederai, se ti dirò che non ho avuto il tempo di tirare il fiato.

Ho ricevuto la tua strilettera, ti scrivo per dirti che sto bene, e che non sono ancora morto.

Scusami se non ti ho fatto avere mie notizie.

 

La lettera continuava, giusto un paio di righe di altri supplizi, con la buona novella: Malfoy non era più in gruppo con lui. Harry odiava mentire, ma sapeva che se non l'avesse fatto, Ginny sarebbe diventata una vera e propria piaga.

Non gli piaceva nemmeno doversi mostrare così sottomesso e remissivo, ma litigare a distanza, o peggio, ricevere un'altra missiva scarlatta, non era fra i suoi desideri, al momento.

A dirla tutta, Harry era abbastanza nervoso per quella sera.

Non aveva idea di come comportarsi, né tanto meno di cosa aspettarsi.

Affidò al gufo le poche righe per Ginny, pregando fosse ancora troppo arrabbiata per contattarlo via camino, una volta ricevute le sue scuse, che tutto sembravano tranne che sincere.

-Non ho assolutamente voglia di pensarci!

Disse al suo riflesso nello specchio.

La voce di Hermione, da quando aveva detto di sì a Jay, sembrava non volerlo abbandonare, ed aveva fatto un'eccellente opera di convincimento.

Meritava di svagarsi un po', no?

E, se Godric lo avesse assistito, non doveva sorbirsi Malfoy, quella sera, dato l'atteggiamento del Principino di quel pomeriggio.

Harry si chinò a sistemare la svolta dei jeans chiari, su un paio di All Stars blu.

La voce di Hermione, ormai al limite dello stalking, lo aveva guidato verso una camicia bianca, quel paio di jeans -un po' troppo stretti, per la verità-, ed un golf blu.

-Molto sobrio, Harry…Non male!- si disse, imitando la voce dell'amica.

Ovviamente non si sforzò neanche nel sistemare i capelli, sarebbe stata una causa persa, ed Harry si era ormai rassegnato a quello svolazzare scomposto.

Si gettò il mantello sulle spalle, per ripararsi dal fresco autunno ormai sopraggiunto.

Si concentrò sul negozio di Olivander, tanto da vederlo far capolino nella propria mente e si smaterializzò.

Il familiare strappo all'ombelico ed il senso di vuoto, ormai, iniziavano anche a piacergli. La nausea lo prendeva sempre un po', ma poco male.

-Ben arrivato, Harry! Aspettavamo giusto te!- disse O'Brian, afferrandolo per la spalla, per evitargli una brutta caduta, una volta arrivato a destinazione.

 

***

 

-Sono solo preoccupata, Ronald!

Hermione tormentava una ciocca di capelli da più di un'ora, tanto che le stavano tornando crespi.

Ma era troppo nervosa per rendersi conto di star vanificando venti minuti di incantesimo RiccioCapriccio.

Ron giocherellava con le posate.

Maledizione, aveva scelto uno dei migliori locali di Godric's Hollow, tra l'altro lussuosissimo, aveva dovuto chiedere un prestito a George per portarla lì.

Uno di quei locali dove si doveva prenotare ed i camerieri avevano un accento francese talmente finto da rendere Fleur accettabile.

Ed Hermione, che faceva?

Si preoccupava per Harry. Miseriaccia, avrebbe dovuto considerare la dicotomia Harry-Godric's Hollow.

Anche se non era tanto sicuro del significato di dicotomia…

-Ronald? Potresti anche solo fingere di starmi a sentire?

Ron si riscosse, sorridendole timidamente.

-Hermione, vedrai che Harry se la caverà benissimo! Deve solo prenderci la mano, credo…- disse il mal capitato.

-Sì, ma…

-Nemmeno per me è facile! Però è pur vero che non devo avere a che fare con Malfoy!

Tanto valeva assecondarla, magari la discussione si sarebbe esaurita presto.

-Appunto, Ronald. Io temo che quel bambino viziato possa…Merlino!- disse Hermione, sbuffando.

Era sinceramente in ansia. Non ci voleva un Cercatore per veder i suoi neuroni sballottati a destra e sinistra, che neanche un Boccino.

Ron allungò la propria mano, per poggiarla su quella della ragazza.

-Tu sai che stasera usciranno insieme?- gettò lì, lei.

-Loro cosa?!

-Sì, tutti i membri della squadra…Non sono per niente tranquilla.

Ron ricominciò a respirare. Ma non credeva di sentirsi granché bene: perché Harry non gli aveva nemmeno accennato di quell'uscita?

-Sai, per socializzare…anche da te propongono queste cose?- chiese curiosa Hermione.

Ron annuì dicendo:

-Beh, sì, la mia partner, Wimson, aveva proposto qualcosa, ma quelli là sono troppo…

Non ebbe il tempo di concludere la frase perché Hermione scostò bruscamente la mano dalla sua, spezzando una sorta di equilibrio.

-Quando pensavi di dirmi che il tuo partner è una donna?- disse scandalizzata lei.

Adesso Ron era veramente confuso. Cos'era quella reazione di Hermione?

-Io…non pensavo fosse, ehm, importante?- tentò il ragazzo, ritirando il braccio e facendo tintinnare i bicchieri.

Hermione arrossì violentemente.

-Oh, sì certo…non è importante!- sembrò far marcia indietro, con quella affermazione.

Ron era sicuro di sentirsi sedotto e abbandonato, avrebbe scommesso fosse gelosia quella fra le labbra di Hermione, e invece s'era immaginato tutto un'altra volta.

Se non altro non parlavano più di Harry, si disse.

- Perché, tu e Zabini non pranzate ogni giorno insieme?- disse indispettito.

Hermione aprì la bocca come a voler dire qualcosa ma la richiuse immediatamente.

Quello geloso, senza dubbio, fra i due era lui, e non poté far a meno di darsi dello stupido, stupido Ronald!

-Non è questo il punto!- riprese Hermione dopo qualche istante d'imbarazzato silenzio.

-Ah, è qual è?- rispose lui, con gli occhi al tovagliolo stropicciato sulle sue gambe.

-Il punto è che mi dovevi parlare di qualcosa, Ronald…Quindi, su, ti ascolto!

 

***

 

Il Gatto Nero era un posto allegro, a dispetto del tetro nome. All'interno capeggiava una carta da parati d'un bel verde acceso, con tanti quadrifogli sparsi di qua e di là, come a sfidare il locale stesso.

E di fortuna ne aveva eccome, dato che era mezzo pieno.

I tavoli sembravano essere quasi accatastati a casaccio, lo stile trasudava semplicità, senza però far risultare l'ambiente nudo di decorazioni.

Il tavolo che Jay aveva prenotato era addossato ad una finestra, su una specie di soppalco, e si guadagnava una posizione privilegiata, perché vicino al bancone ma più in alto rispetto agli altri.

Non vi erano candele fluttuanti, ma banali portacandele su ogni tavolino. La luce era scoppiettante nei quattro camini, disposti nei punti cardinali.

Dietro al bancone capeggiavano foto di ospiti famosi, tra cui Harry non poté far a meno di riconoscere Allock.

O'Brian ciarlava senza sosta, mentre Mirrinton sembrava sinceramente interessato.

Jay era in testa, e apriva loro la strada.

Montox e Nisson le giravano attorno, azzardando voli pindarici e complimenti per colpirla.

Harry, senza rendersene conto, affiancava Malfoy, come se non ci fosse altro modo per star lì quella sera.

-Che razza di…

-Malfoy, non sarà chic, ma è un posto carino.- commentò a mezza voce Harry.

-Carino? Parla per te…A me ricorda un Vespasiano.- ghignò l'altro.

-Spartano, si dice Spartano…

-No, Potter. Intendevo proprio Vespasiano, come latrina!

Harry alzò gli occhi al cielo, sarebbe stata una lunga serata.

Anche quando presero posto, non seppe spiegarsi come Malfoy fosse finito alla sua sinistra.

Magari aveva qualche difficoltà ad integrarsi, del tutto legittimo, pensò Harry.

Ma di certo, quello, non sarebbe stato un suo problema!

-Un'ottima scuola, ti dico…sono solo dicerie!- stava dicendo Montox, seduto di fronte a lui.

-Di certo Durmstrang fornisce un'educazione non comune.- rispose Malfoy, col suo tono mellifluo.

Harry non credeva ai propri occhi, dal momento che le orecchie dovevano averlo ingannato: Malfoy stava davvero discutendo con Montox, che a quanto pareva s'era diplomato nella famosa scuola di Krum.

-Identica alle altre scuole…- ribatté Montox.

Malfoy alzò un sopracciglio, interdetto, stava per ribattere qualcosa, ma Jay si intromise.

-Oh, i cliché non si contano neanche per Beauxbatons! Figuratevi che O'Brian è ancora convito che facessi anche Cucito Magico! 

Una risata alleggerì l'atmosfera, Harry guardò di sottecchi Malfoy, il ragazzo scrutava Montox, mentre questi batteva una pacca sulla spalla di O'Brian, visibilmente imbarazzato.

Il chiacchiericcio continuava, ma Malfoy sembrava essersi incupito. Harry lo imputò alla conversazione avuta prima, dai toni piuttosto delicati.

Non si sorprendeva della vergogna provata da Montox, non dopo la fine della guerra, non quando il ragazzo che sedeva davanti a lui era Harry Potter.

Era l'insistenza di Malfoy ad averlo sorpreso.

Fu subito distratto da Nisson che contava le Burrobirre da ordinare, mentre parlava con quello che doveva essere un cameriere, quando Malfoy lo interruppe:

-Per me un Whiskey Incendiario.- disse stranamente gentile, guardando il cameriere.

Questi sorrise e gli fece l'occhiolino.

-Perfetto allora sei Burrobirre ed un Incendiario!- ripeté il ragazzo, segnando l'ordinazione su un foglietto di carta che volò al bancone.

Scrisse un secondo biglietto che volò fra le mani di Malfoy e poi si dileguò verso un altro tavolo.

Harry sbirciò il biglietto, con la coda dell'occhio, che era stato poggiato sul legno, senza essere degnato di uno sguardo.

Sgranò gli occhi quando si rese conto che il cameriere aveva lasciato il proprio indirizzo al ragazzo seduto al suo fianco.

 

***

 

Blaise si cambiò, con un sospiro stanco. Aprì l'armadio che era contrassegnato dalla targhetta col suo cognome, e depositò dentro il proprio camice candido.

Si ravviò i capelli con una mano e ne approfittò per sbirciare l'orologio al suo polso e controllare l'orario.

Non era ancora eccessivamente tardi, ma il suo stomaco brontolava in modo indecente.

Era stato tutto il pomeriggio al San Mungo, sballottato fra un reparto e l'altro, seguendo i professori e cercando di evitare l'ammasso di incapaci che si ritrovava come compagni.

Non poteva farci nulla: chiedersi come potessero essere lì, a respirare la sua stessa aria, era più forte di lui.

Gentaglia che non sapeva riconoscere un indigestione da un morso di acromantula.

Scosse la testa e sistemò i gemelli ai suoi polsi, gettò il mantello sulle spalle.

Andare da Draco, dopo una lunga giornata, a bere whiskey e chiacchierare, gli sembrava la soluzione migliore.

Anche perché l'unica alternativa sarebbe stata fare il ToyBoy di Pansy a chissà quale dannata serata mondana, e Blaise non era decisamente in vena.

Uscì dalla saletta riservata agli studenti del primo anno, che era una via di mezzo fra un'aula, uno spogliatoio ed una sala relax.

Blaise non era sicuro rispondesse ai parametri di nessuna delle tre tipologie di ubicazioni.

Agitò la mano sinistra rivolto ad un'infermiera che spingeva un carrello con delle pozioni, quella sorrise con fare materno.

Poi, svoltato l'angolo si smaterializzò, ritrovandosi nell'ingresso di Malfoy Manor.

Abbandonò il mantello su un grottesco attaccapanni, più che ingombro di quelli che Blaise riconosceva come i soprabiti di Draco.

L'enorme casa era immersa nell'oscurità, ma al sussurro di Blaise, le candele si illuminarono. Percorse il corridoio, il rumore dei suoi passi soffocato dai soffici tappeti.

Non sentiva alcun rumore, nemmeno quello familiare del camino che scoppiettava, il che era strano.

Di solito, a quell'ora, Draco sedeva in salotto a leggere qualcosa e a bere un paio di bicchieri.

Ma il salone era buio e anche il cammino sembrava essere spoglio e gelido. Che Draco si fosse addormentato lì?

Blaise si avvicinò ad una delle poltrone, facendo scaturire una flebile luce dalla punta della sua bacchetta.

Quello che vide gli fece mancare il respiro.

Narcissa Malfoy era stesa sulla duchesse, pallida come un lenzuolo, due ombre violacee sotto gli occhi, morbidamente chiusi.

Bella come non aveva mai ricordato fosse, stringeva nella mano sul petto una boccetta: essenza di Yuctan.*

 

***

 

Non sapeva quanti bicchieri di Incendiario avesse ordinato, aveva perso il conto al terzo.

Il Gatto Nero si era svuotato, erano rimasti solo un paio di tavoli ancora occupati, tra cui il loro. Due streghe in là con gli anni mandavano ogni tanto occhiate verso il loro tavolo, guardando senza ombra di dubbio Potter.

D'altra parte, non che ci fosse molto da guardare nella loro direzione.

Di otto, solo quattro della squadra delta occupavano ora il tavolo.

La Nemson, Nisson, Potter e lui.

Nisson e Potter discutevano di Quidditch, Jay cercava di contrastare il singhiozzo da Burrobirra e lui si stava chiedendo cosa facesse ancora lì.

Odiava ammetterlo ma il Whiskey gli creava dipendenza, tanto da non fargli neppure considerare la più che disdicevole compagnia.

Semplicemente se ne stava seduto lì, ancora al fianco di Potter, col suo bicchiere, ed il resto non contava.

No, non era ubriaco, sebbene i quadrifogli della tappezzeria vorticassero un po' davanti ai suoi occhi.

Tutt'al più poteva considerarsi brillo, ecco. Ed uno degli spiacevoli inconvenienti poteva essere che cominciasse ad essere più loquace, ma finché continuavano a non rivolgergli parola andava a meraviglia.

-Malfoy? Dovremmo andare anche noi…

Come non detto, ecco Potter guastargli la festa.

-Mmh?

Mugugnò Draco interrogativo alzando lo sguardo.

La Nemson era poco elegantemente poggiata su Nisson e rideva forsennatamente.

-Jay, credo sia ubriaca…I-io, la porterò a casa, credo sia meglio.- disse il ragazzo, mentre Potter annuiva e la ragazza protestava.

Nisson le mise il mantello sulle spalle, con una premura degna di un maritino ai primi giorni di nozze. Draco poté sentire distintamente la banalità di quella loro esistenza e la nausea per come Nisson facesse tutto con fare così…smielato.

-Patetico…- mormorò, guadagnandosi un'occhiataccia di Potter.

-Ragazzi, venite anche voi?- disse la Nemson con una tonalità alcolica e sbilenca nella voce.

-Sì.

-No.

Lui e Potter, come sempre agli antipodi.

Potter si era bloccato a metà strada, dopo aver annuito verbalmente, aveva guardato in faccia Malfoy, interrogativo.

Draco invece era interdetto. Alzò il bicchiere,ancora pieno, palesando la propria intenzione di vuotarlo del tutto.

Aveva pensato che Potter si sarebbe alzato e lo avrebbe lasciato lì, lui avrebbe fatto così. E invece aveva fatto male i conti: si trattava di un Grifondoro, dopo tutto.

Poco male, avrebbe approfittato dell'occasione per far felice Pansy.

 

***

 

Nisson alzò le spalle in sua direzione. Harry lo salutò con un cenno, accomodandosi di nuovo.

-Non dovevi andartene, tu?- disse Malfoy, mandando giù un sorso.

Harry lo ignorò e mandò giù l'ultimo sorso di Burrobirra rimastogli.

L'Hermione nella sua testa s'era ormai spenta, ed Harry considerò che era un vero peccato, perché era in quel momento che ne aveva più bisogno.

Cosa gli era saltato in mente? Rimanere in quel locale, con Malfoy.

Non se lo sapeva spiegare.

Forse era la paura della fredda solitudine che lo avrebbe atteso a Grimmauld Place, forse la consapevolezza che non ci sarebbe stato nessun Ron al quale raccontare la propria serata, forse era stato qualche bicchiere di troppo, forse voleva solo evadere un po', forse temeva la lettera che Ginny gli aveva già mandato.

Ma non se lo chiese neppure, in realtà.

Stava solo seduto lì, che Malfoy fosse al suo fianco era una casualità, magari dovuta all'alcool.

Ordinò un Incendiario anche lui, ancora avvolto in quella fumosa inconsapevolezza.

-Potter, hai mai bevuto Whiskey prima d'ora?- disse in tono di scherno il suo commensale.

Harry lo guardò di sbieco, poi sorrise, abbassando lo sguardo sul sottobicchiere di cartone, davanti a lui.

-Non sei l'unico ad annegare i propri problemi nell'alcool.- rispose, neutro.

Non voleva intendere nulla in particolare, solo che le parole erano aggrovigliate sulla lingua, ed erano venute fuori così.

-Potter, alcuni problemi nuotano meglio delle Sirene.- rispose Malfoy lapalissiano.

Harry alzò lo sguardo e sbirciò la sua espressione.

Le sottili labbra di Malfoy erano strette, le une contro le altre. Gli occhi, schegge di vetro, seguivano il moto circolare del liquore nel suo bicchiere, che dondolava al moto della sua mano sinistra.

La destra era poggiata sul tavolo, mollemente, eppure sembrava non ci fosse altro posto per lei.

La schiena era abbandonata alla sedia, le gambe divaricate.

Ci fosse stata la Chappels, Harry avrebbe detto che l'alcool aveva una buona influenza sulla dialettica del corpo di Malfoy.

Il Whiskey di Harry fu abbandonato sul legno dalle mani poco accorte di una cameriera sorridente.

-E poi, non ti sei ancora stancato di recitare il Dramma della tua vita?- aggiunse Malfoy, dopo una sorsata.

Fosse stato lucido, Harry, gli sarebbe saltato alla gola. Non fossero stati lì l'avrebbe fatto, ma semplicemente Harry pensò fosse opportuno scrollare le spalle.

-Non ho mai recitato.

-Oh, certo…e quali problemi avrebbe il grande Harry Potter?- disse Malfoy, portando il proprio sguardo su quello di Harry.

-Ti mando la lista via gufo, Malfoy…contaci.- ridacchiò Harry.

-Siamo partner, no? Dovresti fidarti, sai, tutte quelle baggianate. Dov'è finita la storia della comunicazione, Potter? Comunica!

Ad Harry, Malfoy, sembrava davvero divertito da quella situazione.

Si ritrovò a ridere, di nuovo, senza un perché.

-Una domanda a testa.- disse allora, col tono di chi voleva fare una proposta, ma che in realtà imponeva una condizione.

Malfoy alzò un sopracciglio e ghignò. Harry interpretò quel modo di fare con un "Andata!".

Erano decisamente ubriachi, decretò in fine.

-Perché sei qui stasera?- chiese Harry, bevendo un sorso di Incendiario che, per Merlino, ardeva sul serio.

-Studiare da vicino il comportamento degli individui mentalmente poco dotati.- biascicò Malfoy.

Harry lo guardò di sbieco, deglutendo l'ennesimo sorso.

-Perché Potter mi degna della sua presenza?- lo rimbeccò.

-Si chiama comunicare, Malfoy, credevo di avertelo già spiegato.- disse Harry stancamente, aggiungendo la propria domanda.- Il cameriere ti ha lasciato il suo indirizzo?

-Che grande intuito investigativo, Cadetto Potter! Sì, è una cosa che mi capita di frequente.

Harry boccheggiò, era davvero incredibile. Perché avrebbero dovuto lasciare il proprio indirizzo ad una persona così viscida come Malfoy?

-Com'è essere il partner di una persona che vorresti uccidere?- chiese sibillino Malfoy, guardandolo negli occhi.

-Un buon modo per allenare l'autocontrollo.- disse Harry alzando gli occhi al cielo - Per te, invece? Com'è?- chiese, dopo.

-Patetico.- Malfoy bevve un sorso, lentamente, chiedendo dopo:

-Perché non hai chiesto di cambiare compagno? Nessuno l'avrebbe mai negato, non a te.

-Non sarebbe possibile. Non fanno favoritismi. Nemmeno a me.- rispose Harry risoluto, distogliendo lo sguardo.

-Infatti non mi spiego come tu sia entrato in accademia.- continuò, sistemandosi gli occhiali sul naso.

Malfoy ghignò, sbuffando.

-Perché hai scelto di diventare Auror, Malfoy? Sul serio.- la voce di Harry era adesso seria, non lasciava scampo a nessun tipo di controbattuta.

-Non l'ho scelto. M'è capitato.- rispose Malfoy, abbassando gli occhi sul bicchiere, ormai mezzo vuoto.

-Non credo che questo sia il genere di cose che possano capitare, sai?

-Una domanda a testa, Potter. Comprese le tue insulse insinuazioni retoriche. Stai con la Weasley?- disse Malfoy, con un gesto stizzito della mano, come fosse infastidito da qualcosa.

-M'è capitato…- ribatté l'interessato. -E tu e la Parkinson?

-Mai stati nient'altro che buoni amici.- rispose Malfoy divertito.

Harry sgranò gli occhi, scioccato da quella rivelazione. Lui, e tutti gli altri, avrebbero dato per scontato che il binomio Malfoy-Parkinson fosse inscindibile.

Eppure non vi era scherno nella voce di Malfoy, anzi sembrava sincero, per quanto potesse avere l'ardire di esserlo.

-Sai, Pansy lavora al Profeta. Le concederesti un'intervista?- gettò lì Malfoy, quasi con noncuranza, ma Harry vide il labbro inferiore fremere, e la mano scattare all'orecchio.

Come il comandante gli aveva insegnato, quello era un palese gesto di chi ha qualcosa da nascondere. Harry mandò al diavolo la presunta sincerità.

-Perché no?- rispose, come stesse accettando una sfida.

Malfoy tornò a rilassarsi, sciogliendo la postura e riportando la mano sul bicchiere, abbozzando un mezzo sorriso.

-Non è poi così male, comunicare, Potter…- disse, subito dopo.

Harry rise di gusto, come non si sarebbe mai aspettato, poi bevve l'ultimo sorso nel bicchiere, e si accorse che anche quello di Malfoy era vuoto.

-Sei stato obbligato a diventare Auror, non è così?- disse dopo quasi un minuto di silenzio, passato a studiare le goccioline che scivolavano sul fondo del vetro.

Vide Malfoy sbarrare gli occhi, poi dischiudere le labbra e infine ingoiare a vuoto qualcosa, come un sorso di Polisucco di una persona disgustosa.

Harry immaginò fosse la Polisucco di Goyle, non seppe perché.

-T'ho già detto che è successo e basta.- rispose, infine, Malfoy, con una punta di veleno sull'ultima parola.

Harry alzò le spalle e lo guardò negli occhi quando disse:

-D'accordo, chiudiamola qui. 

-Semplicemente alle volte non si ha scelta.

La voce di Malfoy s'era fatta amara, lo sguardo annunciava tempesta ed era fisso sul numero del tavolo al quale erano seduti.

Harry non ci pensò poi troppo quando gli disse che sapeva come ci si sentiva, non chiese nulla, perché intuiva ci fosse qualcosa di poco piacevole dietro, e non aveva la minima intenzione di arrivare ad un livello tale di confidenza con Malfoy. Semplicemente disse che lo sapeva, con una voce carica di risentimenti troppo spesso spinti giù, nascosti chissà sotto quale tappeto.

Disse che sapeva come ci si sentiva a non aver scelta e Malfoy lo guardò come fosse la prima volta, tra l'attonito ed il meravigliato, ed in quello sguardo Harry lesse lo stesso risentimento che bruciava dentro di lui.

-Siamo più simili di quanto non crediamo.- disse Harry, lasciando scivolare lo sguardo sulla sala.

Poi Malfoy fece schioccare la lingua e alzò le barriere dicendo al massimo della propria ironia:

-Credici, Potter…

Trovava assurdo quel suo trincerarsi dietro al sarcasmo, soprattutto dopo aver lasciato il proprio fianco scoperto. Che Malfoy avesse paura, era indubbio.

Il silenzio calò di nuovo fra loro, ed Harry sentì il disagio pungergli la bocca dello stomaco, finché Malfoy non si alzò e disse:

-Prima che l'alcool bruci quegli ultimi due neuroni che ti sono rimasti, credo sia meglio uscire a fare due passi.

Si mise il mantello sulle spalle e lasciò che Harry lo seguisse, mentre ghignava e scuoteva il capo divertito dall'accondiscendenza di Potter.

 

***

 

Blaise riposava sulla poltrona. 

Il respiro di Narcissa era tornato regolare.

Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere, solo un mese prima, era stato il suo migliore amico ad assistere a quella scena.

Blaise ricordava ancora il volto di Draco, appena smaterializzato nel suo appartamento, che farneticava circa il Bezoar.

Da quel momento, Blaise, portava ogni settimana scorte della pietra a Malfoy Manor, come stesse portando una torta ad un pranzo al quale era stato invitato.

Guardò Narcissa, placidamente addormentata sulla duchesse.

Era dimagrita, a causa del rifiuto che aveva ormai radicato per qualsiasi forma di cibo. Sembrava anche invecchiata, smunta, appassita.

Blaise sapeva che era dovuto all'Esaurimento Magico.

Il dottor Flinch, guaritore rigorosamente purosangue e a domicilio, lo aveva detto sia a lui che a Draco, tre settimane dopo l'arresto di Lucius.

La linfa magica di Narcissa si stava affievolendo, pian piano, fin quando di lei non sarebbe rimasta ché un'ombra, lasciando alla Signora Malfoy il disonore d'essere una Maganò.

Erano pochi i casi di Esaurimento magico, dovuti perlopiù a traumi di ingente gravità, ma potevano essere fatali.

A nulla erano valse le cure, l'affetto del figlio. Narcissa era come dietro ad uno specchio, si lasciava morire, poco a poco.

Era sempre stata una donna combattiva, decisa, da quanto Blaise riusciva a ricordare, una donna da ammirare ed ammirata da tutti.

Dopo la guerra, a dispetto di tutto, sembrava rinvigorita.

Poi i processi, le testimonianze, i silenzi e l'arresto.

S'era distaccata da terra, poco a poco, sciolta come neve, in una notte.

Blaise ricordava le mani di Draco, tremanti come la sua voce.

Forse per la mancanza di Lucius, forse per il silenzio dell'enorme casa, forse per i dispiaceri o per i timori per il futuro del figlio, Narcissa sembrava aver deciso di diventare spettatrice della propria esistenza, estraniandosi da se stessa.

Dal non mangiare, al non tener in mano la bacchetta, al non curarsi del proprio aspetto, il non proferir parola era stato quasi un passo obbligato.

S'era chiusa nel suo mutismo, nella sua piccola teca di vetro, su un piedistallo dove nulla avrebbe potuto ferirla.

Blaise provava una profonda tenerezza, quando si rendeva conto che negli occhi di Narcissa avrebbe potuto specchiarsi, senza ricevere alcun riflesso.

E non colpevolizzava Draco, perché aveva personalmente assistito alle premure del suo migliore amico nei confronti della madre.

All'inizio le pettinava i capelli, le accarezzava le mani e le sussurrava "Madre".

Ma la voce di Draco non arrivava alle orecchie di Narcissa, le mani erano sempre più fredde e la spazzola era stata dimenticata, col tempo.

Anche Draco sembrava essersi rassegnato, e come una belva in gabbia percorreva sempre la stessa decina di metri, prigioniero di una disperazione alla quale non gli era stato concesso di partecipare.

Non era dato loro sapere il perché di quello stato mentale, prima ancora che fisico.

Blaise temeva solo che anche Draco potesse assumere la stessa glaciale indifferenza verso il mondo.

Ma ciò che più faceva rabbrividire Blaise, era la fredda lucidità che animava la Signora Malfoy in quei saltuari istanti, quella lucidità e chiarezza d'intenti, quando metteva tutta se stessa nel porre fine alla propria esistenza.

 

***

 

Camminavano in silenzio, l'uno di fianco all'altro.

Gliel'avessero raccontato, una settimana prima, Draco sarebbe scoppiato a ridere fino alle lacrime.

Invece, per quanto irreale fosse, lui e Potter camminavano in una Londra ancora deserta e silenziosa, poco prima dell'alba.

Ed erano in silenzio, puzzavano di whiskey e camminavano, come fosse l'unico obiettivo della loro vita.

Potter, usciti dal locale, aveva detto che non se la sentiva di smaterializzarsi, perché aveva bevuto troppo e non era tanto sicuro di riuscire a concentrarsi a sufficienza.

Dal canto suo, Draco, non aveva replicato nulla.

Ma a pensarci, adesso, camminare accanto ad una persona, una qualsiasi, seguendone i passi, il tragitto e prefiggendosi inconsciamente la stessa meta, gli sembrava una cosa anche troppo intima.

Si trovarono in una piazzetta, poco illuminata, o meglio mal illuminata da un solo lampione, di quelli antichi.

A Draco parve di leggere, all'angolo della strada, la targhetta con il nome della piazza.

Grimmauld Place.

-Ehm, io sono arrivato…- biascicò Potter, il tono alticcio, il mento all'insù rivolto verso un'edificio.

Draco non disse nulla, ma guardò nella stessa direzione di Potter, facendo incrociare così  la propria traiettoria visiva con una casa diroccata.

Ottimo, sapeva che Potter abitava davvero in una bettola, e che quindi non era per nulla originale.

Alzò le spalle, guardandolo negli occhi.

-A domani, immagino.- disse Draco, per riempire il silenzio.

Potter era leggermente in imbarazzo, anche con la poca luce del lampione, poteva scorgere il rossore sulle sue guance.

-Abbiamo lezione alle 17.30…- disse in un bisbiglio.

-Occlumanzia.- concluse Draco, poi si voltò, per andarsene, magari ritirarsi in un cono d'ombra e smaterializzarsi lontano da occhi indiscreti.

-Malfoy?- lo chiamò con voce incerta.

Draco gettò uno sguardo dietro la propria spalla, e vide Potter passarsi una mano fra i capelli.

Sapeva che stava per dire qualcosa di assolutamente fuori luogo, come c'era da aspettarsi da ogni Grifondoro, così troncò la cosa sul nascere dicendo:

-Va a dormire, Potter. 

Poi si smaterializzò.

 

 

 

 

 

*Yuctan, pianta grassa sudamericana che se ingerita e non contrastata con specifico antidodo, porta alla morte. L'antidodo ideale è il Bezoar.[Fonte: Potterpedia]

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Capitolo 6
*** Impossibile ***


VI. Impossibile

 

*Alice sorrise: "Ma è inutile tentare," disse;

"Uno non può credere alle cose impossibili."

"Io oserei dire che non hai fatto molta pratica," disse la Regina.

"Quand'ero giovane, lo facevo sempre per mezz'ora al giorno.

Ebbene, una volta, ho creduto ad addirittura sei cose impossibili prima di

colazione.*

L. Carroll

 

Quando, alle 5.35 di quella notte ombrosa d'ottobre, Draco entrò nel salone di Malfoy Manor, convinto che ormai fosse inutile andare a dormire, gli mancò un battito.

L'alcool evaporò dalla sua mente, lasciandogli esplodere un incendio di pensieri nella testa: Narcissa era stesa sulla sua poltrona preferita.

Draco sentì la bocca farsi amara, gli occhi bruciare, le mani tremare e un'insensata voglia di singhiozzare.

Paralizzato sul posto, senza alcuna voglia di razionalizzare, sentì mancare le proprie ginocchia.

Sapeva che ormai di rado, la madre, abbandonava le proprie stanze, ma era capitato che l'avesse trovata sempre lì in quella poltrona, in quei momenti.

Non aveva il coraggio e la forza necessari per assicurarsi che la donna stesse respirando, sentiva solo la gravità mozzargli il fiato e farlo cadere giù, infrangendosi. 

Un lento fuoco consumava tutto in lui, si portò una mano sul petto muto, cercando di inspirare.

Poi, una mano sulla sua spalla, lo tirò fuori dall'inferno.

-Sta bene, sta solo riposando. Sta bene, Draco. Va tutto bene.- la voce profonda e calda di Blaise lo riscosse e finalmente Draco riuscì a far battere il proprio cuore.

Ancora con lo sguardo sul volto di sua madre, abbandonò la propria schiena contro il corpo del suo migliore amico.

Blaise lo abbracciò da dietro e disse:

-Ero venuto a salutarti, ieri sera, erano appena le dodici. Ha bevuto lo Yuctan. Ricordi, lo avevamo nascosto nello studio. Non so come abbia fatto a trovarlo. Ho controllato la bacchetta, l'ultimo incantesimo non era un incantesimo d'appello.- la calma e la dolcezza di Blaise gli accarezzavano il collo, Draco si sentì improvvisamente vuoto. Blaise continuava ad essere un solido appiglio, come temesse che lui potesse sprofondare da un momento all'altro. Forse, si disse Draco, era davvero così.

-Avevo portato del Bezoar, per fortuna. La settimana scorsa mi avevi detto che quelle due pietre rimaste erano ormai quasi marce. L'ho trovata lì, con la boccetta in mano. Ora sta bene. Ho distrutto il veleno e riempito la boccetta con un ricostituente, non si sa mai, ci provi di nuovo. Draco, questa volta dobbiamo svuotare tutta la dispensa dello studio. Sa come arrivarci, e non si fermerà se ci limitiamo a nascondere le cose.

Quelle ondate di parole arrivavano a tratti. Draco si discostò da Blaise, barcollando arrivò fino alla duchesse, si accovacciò ed accarezzò il viso della madre, ancora profondamente addormentata.

-Cosa devo fare?

Sentì la propria voce metallica, amara. Non la riconobbe neppure, se non per il fatto che aveva appena pensato ciò che la sua voce aveva sputato fuori.

-Flinch…- tentò Blaise, ma gli occhi taglienti di Draco tremarono in sua direzione.

-Quel bastardo…- sussurrò distogliendo subito lo sguardo da Blaise.

-Draco, lasciamola riposare, andiamo di là.- disse allora, poggiando una mano sul suo avambraccio, non fece alcuna pressione, ma automaticamente Draco si alzò e lo seguì verso lo studio.

Dopo una decina di metri, Blaise si richiuse la porta alle spalle e cercò gli occhi dell'altro.

Occhi fissi a terra, lucidi e stracolmi di rivoli salati che non volevano lasciarsi andare.

-Non cedere adesso.- sussurrava a se stesso, il ragazzo, sfiorandosi i capelli biondi.

Blaise gli fu accanto, tirandolo in un abbraccio, sebbene sapesse quanto Draco detestasse il contatto fisico non richiesto.

Sapeva che il suo migliore amico era assolutamente anaffettivo, ma sapeva anche che non avrebbe avuto altro modo per rassicurarlo.

Dopo un istante Draco si divincolò di nuovo, gli occhi ora asciugati da un velo di rassegnazione.

-Draco, questa storia ti sta consumando.- disse Blaise dentro quegli occhi, in un sussurro, continuando, poco dopo:- Flinch ha ragione, non giova a nessuno tenerla ancora qui. I ricordi sono i suoi carnefici, Draco. E non puoi tenerla sempre con te, le fa del male stare al Manor. Lascia che Flinch la porti nella sua clinica, alla Salsmory ci sono i migliori Psicomaghi…

-E la stampa?- disse flebilmente Draco, abbassando lo sguardo.

-Non trovare scuse che non esistono. La stampa nemmeno sa dell'esistenza della Salsmory e tutti sanno che tua madre è molto occupata con gli affari di Lucius, al momento, nessuno potrebbe immaginare che…

-Che sia pazza?- tuonò Draco interrompendolo, l'ira che pulsava nella giugulare.

Blaise non si lasciò intimorire, non era la prima volta che affrontavano l'argomento, gli bloccò i polsi con le mani e lo costrinse a fissare i suoi occhi.

-Che soffra! Che soffra talmente tanto da non voler soffrire mai più. Non puoi salvarla Draco, non tenendola sotto una campana di vetro. Lascia che la aiutino, lascia che qualcuno con la corretta competenza si prenda cura di lei.- disse docilmente, il suo migliore amico lo guardò con un'espressione disperata. Poi mormorò:

-Sono solo così…stanco.

 

***

 

Un cuscino gli arrivò dritto in faccia, nel suo sogno in realtà Harry era caduto dalla scopa.

Mugugnò qualcosa, come un lamento, più per essere stato disturbato che per il dolore.

-Sveglia pigrone!

Harry aprì gli occhi lentamente per richiuderli nello stesso istante, dal momento che era rimasto abbagliato da un molesto raggio di sole.

Passarono cinque minuti buoni prima che, ancora con gli occhi ben nascosti dalle palpebre, Harry si sedesse al centro del letto.

Dopo essere ben ritto, portò una mano davanti a sé, facendo un gesto imperioso con la mano, come a voler dire di socchiudere le tende. Quando sentì il rumore metallico degli anelli che scorrevano, e fu quindi sicuro della penombra della stanza, agguantò con la mano destra gli occhiali, sul comodino lì affianco. Inforcò le lenti e mise a fuoco.

Ron, braccia conserte, gli stava davanti, con un largo ed allampanato sorriso.

-Buongiorno!- riprese con entusiasmo l'amico.

Tutto quel frastuono mattutino, dopo giorni di risvegli quieti e silenziosi, oltre che solitari, lo disturbò e non poco.

-Mmmh…che ore sono?- la sua voce giunse impastata, pregna di whiskey e roca.

-Un quarto alle dodici! Ho lezione alle due, pensavo potessimo pranzare insieme!

A quanto pareva i membri della famiglia Weasley erano pagati per tormentarlo. Harry scostò di lato le coperte e prese contatto con il mondo, una volta che il fresco pavimento aggredì i suoi piedi nudi.

Tirò via la t-shirt grigia che usava come pigiama e, rimanendo in boxer, si fiondò in bagno.

-Faccio una doccia e arrivo. Tu arrangiati con quello che trovi in cucina.- urlò a Ron prima di chiudersi nel calore ovattato del getto d'acqua.

Svuotò la mente, lasciandosi svegliare dolcemente dalla carezza liquida sulla sua pelle, insaponò in un attimo il proprio corpo e frizionò i capelli.

Quando ogni parte di lui fu risvegliata, portò una mano su di sé, in una carezza tangibile. Sospirò debolmente.

Riportò alla mente l'immagine di Ginny e cominciò a prendersi cura dell'abituale erezione mattutina.

Lo scroscio dell'acqua adesso era quasi impercettibile, ed Harry si estraniò da tutto il resto, abbandonando la schiena alle piastrelle umide, continuando a gestire la propria eccitazione.

La Ginny nella sua testa alzò lo sguardo, per scavare nei suoi occhi, come sempre aveva fatto anche durante i loro rapporti.

-Hai intenzione di annegarci in quella doccia? Muoviti!

La voce di Ron gli arrivò vicina, quasi dentro l'orecchio.

Harry morì di vergogna. No, non perché avesse perso tempo con la propria sega mattutina, Ron sapeva persino quanto durasse di solito.

Morì di vergogna perché, nella sua fantasia, Ginny aveva gli occhi grigi.

E da quello che ricordava, quelli non erano i suoi occhi, non potevano esserlo...

Ruotò completamente la manopola verso l'azzurro.

Due minuti più tardi stava indossando un paio di boxer neri e la fantasia s'era esaurita in se stessa, scomparsa come il vapore nello specchio del bagno.

Recuperò una felpa dall'armadio, un paio di calzini e di pantaloncini dalla cassettiera e raggiunse il rumore di padelle e cucchiai.

-Era ora, ho un Bolide al posto dello stomaco, dal rumore che fa!- brontolò Ron, che stava sistemando due uova bruciacchiate in uno dei piatti.

-'Giorno, Ron…come va?- rispose Harry sorridendo al suo migliore amico e sedendosi al solito posto, davanti al lavello.

-Uova, bacon e caffè, dato che per te è ora di colazione.- disse Ron tutto contento.

Quelli nel piatto erano uova deformi e annerite, bacon striminzito, nella tazza fumava invece una sorta di intruglio marroncino che odorava di bruciato.

-A volte mi chiedo come tu possa essere figlio di tua madre, sai, Ron?

Ron rise e si grattò il naso, com'era suo solito fare.

Poi fece scivolare padella e cucchiaio nel lavello e aprì il rubinetto, non prima di aver detto:

-Herm mi ha detto che sei uscito con la squadra, ieri!

Harry annuì, era sicuro che Ron gli avrebbe chiesto qualcosa, quasi quanto lo era di Hermione e della sua bocca larga.

-Sì, è stata una di quelle serate per socializzare, credo. Non è andata male…

-Fantastico! Racconta un po', come sono i tuoi compagni?- lo interrogò Ron, prendendo posto di fronte a lui.

-Tutta gente a posto, simpatica, cordiale…- disse Harry mantenendosi sul vago, soprattutto perché non aveva poi molto da dire.

-Oh, beh certo! Anche da me, sembrano tutti seri e tranquilli…E di Malfoy che mi dici, Harry? Sai, Herm è preoccupata e...

Harry deglutì a fatica e mormorò:

-Più o meno come a scuola. Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Solo…Ron, Ginny non sa che io e Malfoy siamo partner…

Ron annuì grave, poi gli sorrise.

-Tranquillo amico, non dirò nulla. Ginny si agita sempre senza motivo, come la mamma. Per non parlare di Hermione che...

Harry lo interruppe inconsapevolmente alzando gli occhi di scatto dal piatto e fissandolo. Ron cadde nel solito mutismo isterico di quando si toccava quell'argomento

-Ehi! A proposito…Com'è andata l'appuntamento con Herm?

Ron deglutì fragorosamente, e le sue orecchie erano già rosse.

-Ehm, tecnicamente, n-non era un appuntamento e…comunque, b-bene direi…

-Di cosa dovevi parlarle?- chiese Harry fingendo di non averne assolutamente idea.

-Oh, nulla di importante…Fleur vuole che sia lei a farla partorire, o comunque ad assisterla durante quel momento…- disse Ron abbassando lo sguardo sul piatto.

Ad Harry venne da ridere ancora, possibile che Ron fosse talmente timido circa la scottante questione Hermione?

-Capisco…E tra voi, invece?

Ron quasi soffocò, infatti innaffiò il proprio imbarazzo con un generoso sorso di succo di zucca.

-Che intendi, amico?- riuscì infine a dire, la voce ancora provata.

-Dovresti proprio ammetterlo con te stesso, Ron. Sai benissimo cosa intendo.- disse Harry, portando la tazza alle labbra.- Siete gli unici che non se ne siano ancora accorti.

Ron abbandonò la forchetta arreso, e sospirò mestamente, poi s'ammutolì, la testa ciondolante sul petto.

-Non ce l'ho fatta a dirle la verità, d'accordo? Io…non lo so, entro in panico, balbetto e...

Harry gli sorrise per rassicurarlo.

-Sono proprio impedito, eh?- chiese allora Ron, senza voler però né conferme né dinieghi.

-Vedrai che senza rendertene conto le dirai tutto, quando verrà il momento. Sarà spontaneo…- cercò di rassicurarlo Harry distendendo gli angoli delle labbra carnose.

-Ma fra te e Ginny, com'è andata?

Harry strinse il mento fra le mani, cercando di riportare indietro i ricordi, a più o meno un anno prima.

Lo sgomento gli serrò la bocca dello stomaco: era normale non ricordarlo? Eppure era una cosa di fondamentale importanza, fosse stata Ginny a chiederglielo, non voleva nemmeno immaginare l'apriti cielo.

Alzò le spalle e mormorò qualcosa di poco importante e d'improvviso si ricordò di due cose. La prima: doveva assicurarsi che non avesse posta, soprattutto dalla sua ragazza, se teneva alla propria vita.

La seconda…

-Ron, di che colore sono gli occhi di tua sorella?- chiese a bruciapelo.

Ron strabuzzò gli occhi, spaesato, poi serrò le labbra concentrato, portando lo sguardo al soffitto, socchiudendo leggermente l'occhio sinistro. Sembrava quasi di vederlo seduto nella Comune di Grifondoro, intento a scrivere un tema di Pozioni, quando si dipingeva la stessa espressione sul suo viso lentigginoso.

Harry lo guardò con ansia, ma sapeva che non avrebbe avuto la risposta che si aspettava.

-Ma certo! Sono uguali uguali a quelli di mamma…Marroni, perchè?

Ennesima morsa allo stomaco.

Aveva cominciato giornate in modi decisamente migliori, sebbene gli sembrasse impossibile.

 

***

 

Si stiracchiò dolcemente, ancora preda del calore soffuso delle coperte.

Portò una mano accanto a sé, con timore quasi reverenza, tremando d'emozione.

Sentì il familiare corpo, il palpitare concentrato del sonno, in un silenzioso respiro sommesso.

Lui era ancora lì, come sempre, addormentato al tuo fianco.

Andava tutto bene, per quanto irreale fosse.

Scostando la mano, non senza sforzo, agguantò il diario e scrisse:

 

Ancora qui. Ancora noi. Nonostante tutto, esistiamo.

 

Poi rilesse la frase, impugnò la piuma con decisione e tagliò via l'ultima parola, per correggerla in: resistiamo.

 

***

 

Draco lasciò scivolare il coltello sul pane, sempre rigorosamente dal basso verso l'alto, creando strani disegni di marmellata, di un rosso sangue, sul burro candido.

Era di cattivo umore, come c'era d'aspettarsi. Chi lo conosceva, sapeva benissimo che ogni mattina Malfoy sceglieva il piede sbagliato per scender dal letto.

Non che lo facesse apposta, semplicemente il sorgere del sole e l'inizio di un nuovo giorno lo disturbavano, innervosivano.

Blaise versò il thé con gesti misurati, nelle porcellane bianche e blu, aggiungendo il limone per Draco e richiamando il latte per se stesso.

In religioso silenzio lo allungò sull'ampio tavolo, in direzione dell'isterismo da mancanza di sonno.

Draco lasciò riposare la fetta di pane su un piattino e agguantò la tazza, bevendone un sorso.

-Ho inviato un gufo a Flinch, questa mattina. Spero di non aver sbagliato. Verrà nel pomeriggio.- disse cautamente Blaise, senza guardarlo.

La smorfia che ne seguì era imputabile a quell'affermazione, invece Draco disse:

-Lo zucchero…

Blaise non si scompose e si limitò a chiedere:

-Due zollette?

L'altro annuì.

Rimasero muti, con la compagnia del tintinnare del cucchiaino che rimestava nella tazza, finché Draco non disturbò quell'armonia mattutina.

-Ho lezione, alle cinque e mezza. Potresti occuparti tu della cosa?- disse con fare distaccato.

-Non ci sarebbe problema ma Flich…

Ma Blaise non ebbe il tempo di finire la frase, perché Draco fece un gesto stizzito con la mano e disse:

-Non voglio aver a che fare con quell'idiota. Solo, vorrei esserci, quando succederà. Vorrei salutarla.

C'era un che di risoluto, di rassegnato, di aspro in quelle parole. Blaise non ebbe il coraggio di dire altro se non:

-Potrai andare a trovarla, non sta andando via per sempre.

-Non metterò piede in quel posto. Non andrò a trovarla. Che vada o meno, per lei, non fa differenza. Non mi vede nemmeno. Ma voglio salutarla. 

Nessuno dei due seppe dire all'altro quanto potessero far male quelle parole, più che reali, più che taglienti.

Draco sapeva che Narcissa non sarebbe tornata, ne aveva la certezza assoluta. Diceva che sua madre se n'era andata con quell'ultimo sorriso, dopo la Guerra.

Sapeva che non vi erano che sguardi ciechi per lui, e ne aveva sofferto, fino a graffiarsi con quella consapevolezza, ma era un Malfoy.

E come tutti i Malfoy, semplicemente, era andato avanti. Parlava con voce incolore, diceva parole senza sapore e senza compassione.

Blaise trattenne lo sgomento e si limitò ad annuire, intuendo quanto quello fosse il momento di assecondare piuttosto che di comprendere.

Non aveva forse anche lui perso la madre? Certo, era ancora un bambino. Certo, la sua mamma non aveva deciso di andarsene.

Blaise vedeva negli occhi di Draco, adesso, la stessa fermezza di Narcissa, la stessa fierezza ed indolente austerità.

Se Lucius avesse visto il figlio non avrebbe avuto, per una volta, nulla da rimproverargli, di questo Blaise era convinto.

Draco probabilmente non se ne rendeva conto, per lui doveva essere naturale.

Sentiva di imboccare vicoli ciechi su vicoli ciechi, vittima dell'incertezza della razionalità. Aveva pensato di far ridurre la pena di Lucius solo per un sorriso di Narcissa.

Non aveva capito che certe strade sono a senso unico, e lo realizzava pian piano, accettando e mai recriminando nulla a se stesso.

All'improvviso si alzò, con un guizzo di seta.

-Vado a prepararmi, ho delle faccende da sbrigare. Fai con comodo.

Blaise annuì concedendosi un morso ad una brioche ancora calda.

Quando Draco uscì dalla stanza gettò un ultimo sguardo al suo migliore amico e disse:

-A più tardi.

Blaise seppe leggere tutto quello che le parole nascondevano. Era il muto "grazie" di quel bambino fragile, del ragazzo insicuro, di quell'uomo deciso, che aveva imparato a conoscere e riconoscere in lui.

Quando poi fu rimasto da solo, in quell'enorme sala da pranzo, inevitabilmente lo sguardo cadde sul piattino di Draco: la fetta di pane era stata abbandonata sulla fredda porcellana e grondava di marmellata alle ciliegie, impreziosita da strani ghirigori di burro.

Non sapeva perché Draco passasse tutta la propria colazione nel prepararla, da quello che poteva ricordare, era un'abitudine che aveva anche a scuola. Prendeva la fetta di pane tostato, quella più dorata e croccante, la stringeva delicatamente tra pollice ed anulare della mano destra e con la sinistra, quella di cui aveva miglior controllo, cominciava a stendere delicatamente il burro. 

Lo distribuiva equamente, con precisione, dal centro fino ai bordi abbrustoliti. Passava il coltello sul pane, rubando un altro sottile strato di burro, e la sua espressione era seria e concentrata.

Poi era la volta della marmellata, la parte più difficile. Non poche volte gli erano tremate le mani, nel creare qualche increspatura. Concentrava tratti decisi di rosso sul bianco, come a creare disegni tutti propri.

Quando poi la fetta era pronta, la abbandonava sulla porcellana.

Non capiva, Blaise, perché Draco mettesse tutto se stesso in quel piccolo rituale. Che bisogno c'era di creare una colazione perfetta, se non la si mangiava neanche?

Anche quella mattina il pane era rimasto lì, sul piattino candido.

Perfetto e intonso.

 

***

 

Harry si passò una mano fra i capelli, abbandonando poi la testa sul bracciolo del divano.

La lettera di Ginny era arrivata eccome. Piena di recriminazioni, rammarichi e dubbi.

Aveva aspettato che Ron lo salutasse per sedersi al tavolo della cucina e buttar giù quattro righe che potessero calmarla.

E non era riuscito affatto nell'intento, infatti si ritrovava circondato da pergamene appallottolate.

Al quarto tentativo, qualcuno bussò alla porta.

Harry sobbalzò, pregando non si trattasse di Hermione, venuta a trovarlo a braccetto con la propria preoccupazione.

Abbandonò sul tavolino del salone le pergamene maltrattate e la lettera di Ginny e, infilate le ciabatte rosse, si trascinò all'ingresso.

Si chiese chi poteva essere alle tre di pomeriggio, quando sistemò gli occhiali sul naso ed aprì la porta.

-Potter…

Harry rimase più che sorpreso, tanto da formare una piccola "o" con le labbra carnose.

Sullo zerbino di casa sua stavano un paio di costose scarpe italiane tirate a lucido. 

Harry le riconobbe perché Fleur aveva costretto Bill ad indossarne un paio simile per il loro matrimonio.

Ma quello che lo sorprese non era la scarpa che batteva nervosa sullo zerbino consumato, piuttosto il proprietario del piede.

-Non si usa far entrare?

Dritto di fronte alla porta di ingresso, Harry vide l'ultima persona che si aspettava di vedere:

-Malfoy?

Aveva dell'impossibile.

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Capitolo 7
*** Silenzio ***


 

VII. Silenzio

 

"Nel mondo ci sono persone che amano sapere tutto sulle tabelle orarie, e passano interi giorni a confrontarle. 

O gente a cui piace costruire navi di un metro fatte tutte di fiammiferi. 

Allora cosa c'è di strano se nel mondo c'è uno che è interessato a capire te?

-Come una specie di hobby?- disse Naoko perplessa.

-Se vuoi chiamarlo così. Persone meno fantasiose lo chiamerebbero affetto, amicizia. 

Però se tu vuoi chiamarlo hobby, non c'è niente di male."

 

H. Murakami

 

16.00.

Draco gettò una rapida occhiata all'orologio. 

Non era mai stato un tipo molto deciso, meno che mai impulsivo.

Ritrovarsi lì, in quella stessa piazzetta, con qualche goccia di pioggia a far capolino dai nuvoloni d'ottobre, lo aveva sorpreso.

S'era smaterializzato a Diagon Alley, con l'intenzione di andare alla Gringott. Ma s'era detto che di faccende da sbrigare, non c'era nemmeno l'ombra.

Che avesse bisogno di stare un po' da solo per pensare non c'era dubbio.

Era stato al Ghirigoro, a smozzicare frasi a metà da qualche libro. Ne aveva persino comprato uno, senza leggerne il titolo, solo perché la cassiera lo guardava truce, con l'aria di chi non vedesse un cliente dall'ultimo espresso per Hogwarts.

E aveva camminato, immerso in una Londra Babbana umida, che gli sembrava di averla appiccicata addosso. 

Con il suo libro sotto il braccio, aveva camminato, s'era bagnato un po' sotto la pioggerella autunnale, ma non si era fermato.

Non fino ad ancorarsi accanto a quel lampione.

Sapeva benissimo dove si trovava. Il numero dodici annerito e diroccato era di fronte a lui.

Un po' come uno sberleffo del destino: la casa di uno dei suoi tanti nobili prozii, abbandonata e in mesta rovina.

Sospirò, passando in rassegna gli ultimi avvenimenti di una discendenza avvizzita.

Ciò che gli sfuggiva era il perché del suo stare abbandonato contro il lampione, come in attesa di qualcosa.

Razionalizzando, ciondolava in Grimmauld Place, di fronte alla casa di Potter, e non sapeva perché.

Pansy gli avrebbe detto che era anche lui sull'orlo di un esaurimento: quello nervoso.

Poi si decise, scalciò via una piccola pietra e si diresse verso l'ingresso, certo che la mente lo avrebbe aiutato ad elaborare una scusa decente non appena l'uscio si fosse dischiuso.

Gli parve di poter abbattere la porta solo pensandolo, così bussò cautamente.

Forse aveva solo bisogno di maltrattare qualcuno, e come a scuola, la scelta non poteva che ricadere su Potter.

Quando il mal capitato aprì la porta, Draco ebbe un motivo in più per soprendersi.

Non lo diede a vedere, ma l'espressione di Potter era lo specchio del suo stesso stato mentale.

Si trovava sul pianerottolo, inconsapevolmente, come se non fossero stati i suoi piedi a guidarlo fin lì. Come se qualcuno gli avesse dato una Passaporta fra le mani, di cui non conosceva la meta.

-Potter…- gli riuscì di dire.

E si diede dello stupido.

-Non si usa far entrare?

Potter lo guardava sbattendo le palpebre, neanche avesse visto un unicorno parlante.

-Malfoy?- chiese, a dimostrazione dell'ipotesi di Draco.

-Credo di rispondere a quel nome, Potter, sì…

La voce di Draco uscì tagliente e velenosa, sebbene non intenzionalmente.

Forse era più forte di lui, si disse, Potter scatenava istinti omicidi in lui e Draco avrebbe fatto meglio ad assecondarli senza tirarla troppo per le lunghe.

-Sei tu? Cioè…che ci fai qui?!- disse Potter, assumendo una postura rigida e fronteggiandolo.

D'altra parte era quello che Draco voleva, qualcuno che lo sfidasse apertamente, che evitasse pessime compassioni e pacche sulle spalle. Aveva bisogno di sfogarsi, e lo realizzò solo in quel momento, solo dopo che il tono inquisitorio di Potter lo trafisse.

-Pensavo di prendere un thé prima di andare a lezione, magari spettegolando un po'…- disse Draco mellifluo, alzando gli occhi al cielo.

Potter alzò il sopracciglio destro, e Draco sperò ardentemente non prendesse sul serio ciò che aveva appena detto.

-Oh, certo, avevo proprio la teiera sul fuoco…entra.- disse Potter con lo stesso tono, ma serio in volto.

Draco avrebbe scommesso tutto il Manor che Potter stava cercando di ricordare dove avesse dimenticato la bacchetta.

Poi il ragazzo si fece da parte per lasciarlo entrare, così Draco varcò l'ingresso ed entrò nella fossa del leone.

Gli scappò un ghigno a guardar l'arredamento, tutto in verde cupo ed argento.

Sistemò il proprio mantello su un agghiacciante appendi abiti, non osando nemmeno sperare che Potter l'avrebbe fatto al suo posto.

Poi si inoltrò oltre l'ingresso, con l'ex Grifondoro al seguito. Draco gli dava le spalle, ma sentiva il disappunto farsi strada sul viso del padrone di casa.

Entrato in salotto, dopo aver esaminato il caos dell'antro dell'eroe del Mondo Magico, si stravaccò su una poltrona, vicina al caminetto acceso.

-Accomodati pure, Malfoy.- disse Potter acidamente.

-Certo che sei proprio un padrone di casa a modo, Potter.- ribatté Draco, guardandolo divertito.

Potter fece una piccola smorfia, sedendosi sul divano, poco distante da lui.

La situazione era veramente irreale, ma era questo che divertiva Draco, che faceva scorrere i propri occhi in lungo e in largo.

L'arredamento era curioso: i divani di pelle nera, il caminetto con rifiniture in ottone, i tappeti dai colori caldi, il parquet consumato, la tappezzeria dello stesso verde cupo, gli arazzi alle pareti, le cornici vuote dai nomi altisonanti. Un ottimo sfondo Serpeverde, stracolmo di accozzaglia Grifondoro. Draco arricciò il naso quando vide l'albero genealogico dei Black.

-Malfoy, cosa vuoi?- fortuna che Potter lo avesse distratto prima che potesse controllare d'essere stato contemplato nella discendenza.

-Fare due chiacchiere con il mio partner preferito?- lo schernì Draco con un ghigno, non distogliendo lo sguardo dalle decorazioni grottesche della casa.

-Malfoy, onestamente, non vedo perché dovremmo fare due chiacchiere.- disse Potter con un tono che non ammetteva repliche, attirando finalmente l'attenzione.

Draco portò il proprio sguardo sdegnoso su di lui, fissandolo negli occhi.

Se c'era una cosa che gli riusciva bene era celare la propria interiorità mantenendo il contatto visivo, forse era uno dei pochi trucchi che gli erano rimasti di Lucius, chissà…

-Oh, via, Potter! Come sei scortese!- protestò fintamente dispiaciuto, portandosi una mano alle labbra, per poi rivelare un mezzo sorriso.

-Cos'è sei venuto a prenderti gioco di me? A constatare con i tuoi occhi che vivo in una topaia come le tue rosee aspettative, sì…

Draco interruppe l'attacco di vittimismo alla Potter con un profondo sbuffo di disappunto, inarcando un sopracciglio e dicendo:

-Sono venuto per prendere il thé, Potter. Per cui bando ai convenevoli lacrimosi: molto limone, due zollette di zucchero. Risparmiami i pasticcini, grazie.

Potter scattò in piedi, in una perfetta posa da primadonna, mani sui fianchi esclamò:

-Sei veramente incredibile!

Draco rise di gusto per poi ribattere:

-Ah, lo so bene Potter…me lo dicono in molti, ed in più di una circostanza.

 

***

 

Era visibilmente a disagio. Si passò nervosamente indice e pollice alla radice del naso costringendosi a regolarizzare il respiro.

Non gli riusciva proprio di capire cosa diavolo ci facesse Malfoy nel suo salotto, sulla sua poltrona preferita per di più!

Aveva deciso di assecondarlo, così con un'ultima occhiata, s'era ritirato in cucina. Riempì la teiera con un aguamenti e con un altro netto colpo di bacchetta scaldò l'ottone, fino a far sbuffare di vapore il contenitore.

Agguantò due tra le poche tazze non sbeccate e versò dell'infuso di thé verde, regalo di Molly dalla sua ben fornita dispensa, aggiungendo in una succo di limone e zucchero.

Una volta sistemate le tazze e la teiera in un piccolo vassoio d'argento, decorato dall'immancabile stemma dei Black, fece levitare il tutto e tornò in salone, da poco ribattezzato il nido della serpe, nel suo inconscio.

Malfoy era in piedi, accanto al caminetto, di spalle.

Aveva il capo chino, la nuca scoperta, le spalle leggermente ricurve. 

Ad Harry parve veramente inoffensivo, in quel momento. Fece atterrare dolcemente il vassoio e tossicchiò più per richiamare l'attenzione che per schiarirsi la gola.

Quando Malfoy si voltò, con corredo di ghigno incluso, Harry annichilì i pensieri di un istante prima:

-Oh Salazar, la Weasley dev'essere una piaga, eh?

Malfoy stringeva, nella mano sinistra, la lettera di Ginny, incautamente dimenticata sul tavolino di fronte alla poltrona.

-Come ti permetti?! Quella posta è privata…Io…Malfoy!- esplose Harry, furibondo.

Malfoy sorrise sfacciato, poggiando la lettera accuratamente ripiegata sulla mensola che sovrastava il camino.

-Se fosse privata ti cureresti di metterla via se aspetti ospiti, Potter! Ti manca proprio l'ABC del buon padrone di casa!- rise Malfoy.

Harry ardeva di rabbia, le mani avevano cominciato a tremare, inspirò profondamente prima di tuonare:

-Non aspettavo nessun cazzo di ospite, Malfoy!

L'interessato alzò le spalle e si riaccomodò sulla poltrona, prendendo delicatamente la teiera e versando l'acqua bollente in entrambe le tazze.

Harry ribollì nel constatare che l'altro non faceva altro che ignorarlo deliberatamente.

-Siedi, Potter, e bevi il tuo thé, anche se a guardarti si direbbe che hai bisogno di una forte dose di camomilla…- disse divertito Malfoy.

Harry chiuse le braccia al petto, mandando quasi fumo dalle narici.

-Scusati!- sbottò rivolto all'indesiderato ospite.

Malfoy quasi non soffocò. Il thé doveva essergli andato di traverso a quell'imperativo.

-Scordatelo…- sibilò, dopo un leggero attacco di tosse, che ad Harry sembrò più che simulato.

-Ho detto…

Ma fu interrotto di nuovo da un gesto spiccio di Malfoy, che lo guardò intensamente.

-Non fare il bambino, Potter. E siediti.

Non ricordava l'ultima volta che Malfoy gli era parso così serio. C'era qualcosa che non andava, si disse Harry, e scuotendo la testa riprese posto sul divano, trincerandosi dietro alla propria tazza fumante.

Un silenzio denso calò improvvisamente fra loro, ma non era fastidioso, anzi ad Harry non dispiaceva particolarmente, finché qualcuno non decise di infrangerlo…

-Ci sono anch'io?

La voce di Malfoy gli arrivò sommessa, forse amara, forse semplicemente stanca. Harry alzò gli occhi dalle proprie ginocchia, non cogliendo subito la domanda, quando puoi seguì lo sguardo di Malfoy comprese: gli occhi sottili e affilati erano fissi sull'arazzo raffigurante l'albero genealogico dei Black.

-Sì…- si limitò a sussurrare Harry.

-Dovresti toglierlo da lì.- mormorò Malfoy, alzandosi e raggiungendo l'arazzo.

Harry lo affiancò immediatamente, dimenticando la tazza ormai tiepida sul tavolino.

Le lunghe e pallide dita di Malfoy scorrevano sui nomi in rilievo, indugiando sulle bruciature circolari: accarezzò l'orlo di Andromeda, distrattamente, per poi sfiorare Sirius, con cura, tracciandone ogni tratto.

Poi, seguendo un percorso tutto suo, raggiunse la venatura che portava al suo nome. Giunto sulla "D" scostò bruscamente la mano, sdegnato.

-Non lo toglierò.- disse solo Harry, al suo fianco.

Gli occhi di Malfoy sembrarono studiare le sue labbra, per poi conficcarsi nei suoi.

Lo sgomento s'impadronì della bocca dello stomaco di Harry quando riconobbe quell'argento.

In un attimo fu preso dal panico, gli sembrò di aver dimenticato come si respirasse e si scostò bruscamente.

Poi Malfoy sorrise, ed Harry sperò non si fosse reso conto della sua reazione.

-Forse la Weasley non ha tutti i torti, e cito testualmente, "stare in quella casa ti allontana dalla realtà".- disse con divertimento , dandogli le spalle per tornare a sedersi.

Harry dapprima sospirò di sollievo, poi rinchiuse in un angolino quel "problema" sicuro sarebbe stato meglio affrontarlo in assenza di Malfoy, e lo fissò accigliato.

-Non ti permetto di…- cominciò Harry, per poi bloccarsi immediatamente e scuotere la testa: -Certo, come se mi dessi retta, in ogni caso…

A Malfoy, il cui sguardo continuava a vagare curioso, scappò un risolino divertito, gettò la testa all'indietro, lo guardò di sottecchi per poi scoppiargli a ridere in faccia.

-Cosa c'è adesso?- sbottò Harry infastidito.

-C'è che arriveremo in ritardo anche questa volta…

Harry portò lo sguardo sull'orologio a cucù che troneggiava sul camino.

Detestava ammetterlo, ma Malfoy aveva dannatamente ragione.

 

***

 

La pioggia cullava il respiro.

I capelli corvini sembravano fiammeggiare della stessa luce del camino.

Il rosso caldo ed accogliente li abbracciava, come non avrebbe più fatto.

-Finisci quel tema di Pozioni e andiamo a letto, o domani farai storie…come sempre.

La voce saggia si arrampicò sull'orecchio distratto.

Si voltò, sorrise.

-Il tuo l'hai già finito, eh? Mi faresti dare un'occhiata?

Il mercurio guizzò svelto, padrone di un termometro di curiosità.

Il diario venne richiuso di scatto.

-Questo non è Pozioni!- sussurrò indignata l'altra voce.

-Oh, faresti bene a tenerlo lontano da occhi indiscreti allora!

-Dove?

La stessa curiosità incendiò guance diverse.

-Io un'idea l'avrei...

 

***

 

-Benvenuti alla vostra prima lezione, ragazzi! Vedo che i superstiti della prima parte della settimana, appena trascorsa con la vostra Coordinatrice, sono pimpanti e desiderosi di iniziare!- disse un ometto baffuto, dietro la cattedra, congiungendo le dita come in preghiera, i gomiti ancorati al tavolo.

-Io sono Binzuru* Wang, il vostro insegnate di medimagia per il primo soccorso. Insieme a me, in questa prima parte di corso, imparerete i fondamentali delle tecniche di guarigione: che siano incantesimi, pratiche fisiche o uso di unguenti e pozioni. Vi sarà richiesto l'uso di un manuale che mi auguro abbiate già comprato, nonché di fornirvi dei principali ingredienti per le pozioni basilari.- continuò l'uomo, dagli evidenti tratti orientali.

Detto questo, si alzò. Non era molto alto, dal fisico asciutto e flessibile, sembrava la calma fatta a persona. Aveva un naso piccolo ed occhi obliqui, i baffetti erano ritti sulle sue labbra sottili ed i capelli nerissimi gli ricadevano sugli occhi. Non doveva essere più giovane della Chappels, ma sembrava quasi uno studente del primo anno accademico. Si sollevò sui i talloni tossendo e guardando i quarantotto studenti seduti di fronte a lui.

Poi fece un rapido sorriso e tornò a sedersi.

Harry tirò un sospiro di sollievo, quando lo vide concentrarsi su un paio di fogli, raccoglierli ordinatamente fra le mani, voltarsi e iniziare a scribacchiare qualcosa alla lavagna dando loro le spalle.

-Com'è che sei arrivato con Malfoy?- sussurò Ron, al suo fianco.

Sventando prodigiosamente l'ennesimo ritardo, Harry s'era smaterializzato un quarto d'ora prima al fianco di Ron, proprio nell'aula di Wang. A quanto pareva Malfoy aveva avuto la brillante idea di materializzarsi fra i banchi, come lui d'altronde, Harry immaginò fosse per non dare nell'occhio. Ron, forse preso dalla sindrome Granger, s'era però accorto di quella strana dinamica, ed avere i capelli rossi non significava non saper fare due più due, no?

-Ron, comincio a pensare che stare con Herm ti faccia male…

-Amico, non cercare di non rispondermi! Che succede?- ribatté Ron sventolando l'indice sotto al naso di Harry, che in risposta si sentì per l'ennesima volta sott'accusa e si irrigidì.

-Ma cosa vuoi che succeda! Sarà una coincidenza, Ron…chissà quanti altri si sono materializzati nello stesso momento!

Ron portò l'indice inquisitorio al mento, grattandosi un po'. Non ebbe tempo di elaborare un'altra attenta indagine perché Wang si voltò sorridente:

-Insomma, ragazzi, non sento le vostre piume prender appunti!- li ammonì bonariamente. -Ah, quasi dimenticavo! Immagino sia superfluo dirvi che è caldamente consigliata la collaborazione fra i partner stabiliti dalla Chappels. Ordini superiori mi dicono che questo potrebbe incidere sulla valutazione. Ma siete liberi di adottare il metodo che preferite, non sono rigido su quest'aspetto, non quanto lo sono nella valutazione, dicono…

Harry prese nota: sebbene il prof dicesse tutto con un'apparente ingenuità mista a dolce accondiscendenza, era un bastardo, quanto e come la Chappels.

Vide Malfoy guardarlo con sdegno e veemenza.

-No, anche qui no, però!

 

***

 

-Signor Zabini, sono lieto abbiate infine seguito il mio consiglio. La mia linea di pensiero è l'unica che può giovare sia alla Signora Malfoy che al Signorino.

Quel viscido strinse la mano di un schifato Blaise.

Nell'ingresso di Malfoy Manor, l'odore del temporale in arrivo era inconfondibile.

Blaise respirò a pieni polmoni prima di sorridere forzatamente.

-Grazie di essere qui, medimago Flich.- riuscì a sputar fuori.

-La paziente dov'è? I miei assistenti se ne occuperanno in mia vece. No, non si preoccupi, useremo la metropolvere, il mezzo meno rischioso! Sa in caso volesse spezzarsi volontariamente.- continuò lo psicomago con voce melliflua.

Non più alto del metro e cinquanta, dai capelli unticci e la mandibola squadrata, Herold Flich fronteggiava Blaise.

I due si scostarono per far entrare i cinque assistenti, camici bianchi dell'anoressia emozionale, che seguirono la muta indicazione data dal capo di Zabini.

-Ho sentito dire che frequenta Medimagia, Signor Zabini. Sono lieto che menti brillanti come la sua possano prosperare nel nostro campo!

La voce gelatinosa fece rabbrividire Blaise.

-Grazie, medimago Flich.

Sembrava non riuscisse a dire altro, mentre cercava di trattenere i conati di vomito per quell'acqua di colonia dozzinale e dolciastra che gli penetrava le narici.

-Ma va, si figuri, Signor Zabini, sappiamo riconoscere un promettente allievo!- continuò Flich posseduto da un'insana libidine professionale. -Quando giungerà il tempo, saremmo contenti di poter contribuire al suo apprendistato!

Uno degli assistenti fece capolino nell'ingresso, lanciando un cenno a Flich. Operazione conclusa. 

-Sono lusingato dalla proposta, ma credo che i tempi siano fin troppo acerbi.- rispose fintamente riconoscente Blaise. 

Flich annuì grave, poi sorrise di un arricciarsi di labbra, come in una smorfia.

-Arrivederla Zabini, e tenga in considerazione la nostra proposta, quando i tempi saranno maturi.

Blaise annuì pregando non arrivasse la primavera.

Chiuse la porta e infine lo sentì pugnalarlo alle spalle: il silenzio.

Narcissa era andata via. Operazione conclusa, nel più assoluto e sconcertante silenzio.

 

 

 

 

Note:

*Binzuru-Sonja:

Il dio giapponese della guarigione e della vista acuta. Dato che lui non è capace di evitare le sofferenze, aiuta gli altri a farlo. [Fonte: la mia passione per la cultura nipponica.]

 

Mi scuso per l'enorme ritardo ma sono stato a spassarmela a Torino! ;P Tutta colpa dei Coldplay e di Chris Martin che ha tanto insistito nel battermi il cinque…per la serie: Indice, sgasati. La mia beta, di contro è stata iperveloce e sempre impeccabile.

Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia fra le seguite -siete 13, proprio 13…ed io non sono superstizioso!- e tutti coloro che hanno commentato.

Un abbraccio particolare ad Astrasi, con la speranza di non averla delusa, e che possa apprezzare Murakami almeno quanto io apprezzo i suoi commenti. Ti adoro. <3

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Capitolo 8
*** Pugno di mosche ***


 

VIII. Pugno di mosche

 

"Le foglie ingiallite rappresentano l'autunno

con tutta l'incertezza e la malinconia

delle creature che ci abbandonano per sempre."

 R. Battaglia

 

 

17.15, i minuti si rincorrevano veloci, arrivando mestamente all'ergastolo del povero Potter.

Suo malgrado, Harry, si ritrovò per l'ennesima volta gomito a gomito con Malfoy. Dopo la baraonda iniziale, di gente a destra e sinistra che cercava il proprio partner, ed un rapido saluto a Ron, Harry non aveva nemmeno fatto fatica ad individuare la testa vuota e bionda del proprio compagno. Scese un paio di gradini, desiderando ardentemente fossero imparentati, anche se solo alla lontana, con le scale di Hogwarts, semplicemente perché se invece di avvicinarsi si fosse allontanato da Malfoy, non avrebbe dovuto assumersi alcuna responsabilità.

Ma purtroppo le sue speranze furono vane: raggiunse l'altro senza intoppi, tre banchi più giù, e si lasciò cadere sulla panca.

Malfoy, per quel che lo riguardasse, non lo degnò di uno sguardo ma appellò un calderone e l'attrezzatura più sofisticata, ed obsoleta, che Harry avesse mai visto.

Aveva appuntato qualcosa su un pezzo di pergamena, e con una rapida occhiata Harry comprese si trattasse delle direttive che il prof aveva scritto alla lavagna.

-Chi non muore si rivede…- disse Harry sarcastico.

Malfoy non lo guardò neppure, e per tutta risposta disse:

-Come siamo scontati. 

Non scambiarono più nessuna sillaba, finché Wang non attirò l'attenzione, togliendo Harry da un malcelato disagio.

-Direi che possiamo anche cominciare: oggi avrete la possibilità di realizzare, tramite processi davvero elementari, un unguento fondamentale: dalla ricetta del monaco Nikko*. Si tratta di un olio giapponese, con basi prettamente naturali,  dalle proprietà coadiuvanti per il mal di testa, le ferite lievi ed i traumi da eccessiva esposizione magica. Viene ricavato da un preciso composto di oli essenziali di Eucalipto, Arancio Dolce, Melissa e Lavanda, piante officinali  dalle capacità anti dolorifiche, con l'apporto magico del Dictamnus Albus. Come saprete, quest'erba contiene un olio dalle proprietà antinfiammatorie. In alternativa, io consiglio il Meliloto, più raro ma anche più blando e ottimo per cercare di contenere i danni. Ricordate che sarete Auror, e non Medimaghi, per cui il vostro compito non è di curare, ma di alleviare. Tutto chiaro?- dopo la rapida spiegazione, davanti ad ogni coppia di studenti si materializzarono quattro sacchettini di seta di diversi colori: uno verde smeraldo, uno arancio acceso, uno bianco e l'ultimo violetto. Ciascuno era corredato di targhetta con il nome, ed Harry comprese si trattava degli ingredienti.

-Vi ho scritto i procedimenti alla lavagna, assicuratevi di seguirli con cura. E vorrei inoltre vi occupaste di svolgere approfondimenti sulle proprietà delle erbe utilizzate in classe. Tenete presente che la Melissa, ad esempio, è un ottimo sedativo…Non apprezzo studenti appisolati fra i banchi, quindi gestitela con cautela.- Wang fece un ampio sorriso e un cenno col capo.

Harry immaginò si trattasse dell'inizio della vera lezione.

 

***

 

Non c'erano stati particolari incidenti. Quando Ron mise la mano sul suo avambraccio, Harry sembrò svegliarsi. Aveva semplicemente passato gli ingredienti a Malfoy, non proferendo parola. Dall'altra parte del tavolo tutto aveva mantenuto un silenzio tombale, anche se per Harry il tormento di quegli occhi grigi era stato più che loquace, ma per ben altri motivi. Si era appena incamminato su una tortuosa elucubrazione mentale che vedeva protagonisti proprio quegli occhi, che la lezione era già finita.

-Io vado a bere qualcosa con i membri del mio gruppo, ti va di venire con noi?- una voce familiare a sommessa sembrò riportarlo in vita.

La lingua tagliente di Malfoy sembrò ridestarsi dopo quella domanda di Ron, chiaramente non riferita a lui.

-Buongiorno anche a te, Weasley.

Harry fece slittare lo sguardo dalla mano lentigginosa poggiata sul suo braccio al ghigno di Malfoy, poi si alzò velocemente.

-Mi piacerebbe, Ron. Ma ho delle cose da sbrigare. Magari ti raggiungo, ok?

Ron lo guardò perplesso, poi annuì non nascondendo un pizzico di delusione.

-Uhm, d'accordo…ehm domani sera…

-Sì, lo so.- tagliò corto Harry, gettando un'occhiata a Malfoy, in piedi anche lui adesso, stava rimettendo la propria roba in una cartelletta in pelle.

Ron parve intuire che Harry non volesse lasciar intendere i propri programmi, così alzò il pollice e scese le scale dopo un rapido "ciao".

Ad Harry semplicemente bastava non far sapere a Malfoy delle sue serate passate esclusivamente con i Weasley.

-Buona tattica passare la propria esistenza dai suoceri, se vuoi portarti a letto l'unica figliola femmina, Potter.- disse beffardo Malfoy, senza guardarlo.

-Io non…insomma…- cominciò Harry, mettendo via i libri e le pergamene.

-Potter, Potter...

Poi rise, d'una risata cristallina, prendendosi gioco di lui.

-Non devo certo dare spiegazioni a te, Malfoy!- sbottò irritato Harry, nascondendo il proprio disagio.

-Andiamo a bere qualcosa anche noi, vah…- disse Malfoy, sistemandosi il mantello e impugnando la cartelletta per porla alle proprie spalle, braccio ricurvo all'indietro.

-Non hai sentito? Ho delle cose da sbrigare!- ribatté Harry, infilando i suoi effetti personali in una delle tasche dei jeans, una volta rimpiccioliti.

-Se si tratta delle faccende domestiche, hai perso tanto di quel tempo a far proliferare la polvere, aspettare un po' non può farti male. Muoviti, Potter! Il ciarlare di Weasley m'ha aperto un buco nello stomaco.

Ode al libero arbitrio, si ritrovò a pensare Harry, sbuffando.

 

***

 

-Era questa l'idea di cui mi avevi parlato?

-Ok, è stato un secolo fa, e le cose non dovevano andare così, ma era questa...

Disappunto e timore.

-Non entra mai nessuno qui. Puoi star tranquillo.

-Ma…

-Li vedi quei poster? E i colori del piumone?

-Ok, ma…

-Non entra nessuno. Gli fa schifo. Credo sia il posto più sicuro al mondo.

Dei rumori, al piano inferiore.

-Faremmo bene a smaterializzarci prima che…

-Che l'allegra famiglia si accorga che sono stato qui. Andiamo.

 

***

 

Blaise si smaterializzò nello stanzino delle matricole di Medimagia. Anche se era più corretto definirlo "sala relax".

Non era in ritardo, ma aveva addosso una frenesia che non voleva e non sapeva spiegarsi.

Il suo turno da tirocinante iniziava fra mezz'ora.

Si sfilò il lupetto nero quasi con rabbia, come volesse spogliarsi del suo senso di colpa allo stesso tempo.

Niente da fare, mentre infilava la camicia nei pantaloni scuri, niente da fare nemmeno quando ebbe indossato il camice candido.

Il senso di colpa pesava come un macigno sul suo stomaco.

Aveva lasciato andar via Narcissa, senza avvisare Draco, lasciando che la donna andasse via senza che il figlio l'avesse salutata.

Nonostante il suo migliore amico avesse esplicitamente espresso il desiderio, o il bisogno, di salutare la madre.

Blaise ci aveva pensato, aveva rimuginato tutta la mattina, così dopo pranzo s'era deciso: aveva chiamato la clinica per sbrigare la faccenda.

Conosceva Draco, sapeva che quel saluto sarebbe solo stato sale in più su una ferita già in putrefazione.

Sapeva che l'aveva fatto per il suo bene, ma quel macigno non voleva sciogliersi.

Il metallo dell'armadietto cigolò, le cerniere sembravano voler cedere.

Poi Blaise si accorse che quel cigolio proveniva dalla porta.

-Buongiorno, Zabini.

Hermione Granger gli dava le spalle, il capo chino, si sfilò il golf per indossare subito il camice sulla sua improbabile t-shirt color cachi.

Blaise appoggiò le spalle al suo armadietto già richiuso, mentre la Granger trafficava con il lucchetto del proprio.

-Granger, cosa diresti ad un amico se lo avessi volontariamente ferito?

Hermione si voltò di scatto e i suoi occhi si smarrirono in quelli magnetici di Blaise.

Il ragazzo la vide deglutire a vuoto, riusciva quasi a vedere i meccanismi del suo cervello incepparsi.

-Io…- disse, la voce sottile.

-Voglio dire, se avessi fatto qualcosa per il suo bene. Se avessi fatto qualcosa di lungimirante, ma se questo lo facesse soffrire?- tentò di spiegarsi meglio.

Non sapeva nemmeno perché ne stesse parlando con quella lì, cosa poteva saperne una come la Granger?

Finalmente la ragazza abbassò lo sguardo, si tirò una ciocca di capelli arrotolandola all'indice.

-Se io avessi fatto una cosa così ad Harry cercherei di spiegargli le mie intenzioni, lui mi terrebbe il muso, e gli direi che mi dispiace. Lo ripeterei all'infinito. E poi gli passerebbe.

Un sorriso, debole, da quegli occhi color miele.

-Ma passerebbe davvero, o è solo perché si tratta di Potter?

Hermione scoppiò a ridere.

-Passa sempre, e non solo ad Harry, te lo assicuro.

Blaise chinò il capo, poi le rivolse un mezzo sorriso.

-Grazie, Granger.

Hermione sorrise ancora, poi si avviò ed una volta incrociata la porta si voltò:

-A buon rendere, Zabini.

 

***

 

Harry poggiò il cucchiaino sul tovagliolo. Il muffin già bello che deglutito fino all'ultimo boccone.

Si sorprese d'essere sopravvissuto, bevendo l'ultimo sorso di cioccolata calda dalla sua tazza.

Aveva passato il primo pomeriggio con Malfoy, in religioso silenzio, ed era sopravvissuto.

-Sei molto di compagnia, Malfoy, eh…

-Non amo mangiare e fare conversazione allo stesso tempo, Potter, è antiestetico.- ribatté Draco, tamponandosi le labbra col tovagliolo sulle sue gambe.

Harry ghignò e si spinse indietro con la sedia.

Non conosceva quel locale, molto raffinato e appena fuori Diagon Alley. Troppe cerimonie, per un semplice pub, si disse Harry.

Invece i camerieri sembravano conoscere molto bene Malfoy.

-Signor Malfoy, gradisce dell'altro sidro?

-No, ma le sarei grato se mi portasse il conto, Gregory.- disse Draco, scostando li sguardo dal proprio calice, di fronte a lui, per portarlo sul cameriere tutto impettito.

Harry non conosceva neppure quello stiracchiarsi, si sarebbe detto gentile, delle labbra di Malfoy. Non conosceva il suo cenno del capo, impercettibile.

-Le porto il solito, insieme al conto, signor Malfoy?- disse ancora l'impomatato ed attempato Gregory.

Inaudito: Malfoy sorrise. Perché Harry era sicuro, come lo era della bontà della torta di mele della Signora Weasley, di quell'inequivocabile e per nulla nascosto sorriso.

-Non oggi, Gregory. Grazie.

Il cameriere fece una sorta d'inchino non esageratamente profondo, mentre Harry continuava a fissare il sorriso di Malfoy.

Non durò molto, ma Potter ebbe la netta impressione che quel sorriso gli sarebbe rimasto impresso sulle lenti degli occhialetti rotondi, se non altro perché quella sembrava essere l'unica prova dell'umanità del ragazzo di fronte a lui.

Si riscosse quando vide Malfoy piegare il tovagliolo e riporlo nella stessa identica posizione in cui l'aveva trovato.

-Cos'è "il solito", Malfoy?- chiese curioso.

-Ah, gli interrogativi di Potter. Sai come si dice? La curiosità uccise il gatto.*

Il tono acido di Malfoy gli fece intuire che i ricordi legati a quel "solito" non dovevano essere piacevoli.

-Ma la soddisfazione lo riportò in vita.*- ribatté Harry, con un mezzo sorriso.

-E di cosa dovresti essere soddisfatto?

Quella era una domanda scomoda per lui, ed adesso erano pari. Gregory lo salvò in extremis, portando il conto, nella sua bella custodia di pelle nera.

Ma Harry non poté far a meno d'interrogarsi. Era soddisfatto? Sì. Che fosse merito del muffin al cioccolato? Non solo.

Era quel pensiero a scombussolarlo, quel non solo.

-Grazie Gregory.- disse Malfoy, dopo aver riposto fra le mani del cameriere una piuma, materializzatasi chissà da dove.

Harry s'era distratto facilmente e a quanto pare Malfoy doveva aver già pagato per entrambi.

-Malfoy, aspetta…io…devo pagare!

Fece per alzarsi, come per inseguire Gregory ed il conto fra le sue mani, ma all'ultimo ci ripensò e così rimase a mezz'aria, boccheggiando e strabuzzando gli occhi.

-Non preoccuparti, Potter. Ho un credito qui. Ti farò avere la fattura a fine mese, ovviamente maggiorata degli interessi.- disse Malfoy con una pacatezza nella voce che non gli apparteneva, soppesando ogni parola e nascondendo alla buona il tono ilare.

Lo guardò, lui ancora a metà tra la sedia ed il bordo del tavolo, in una posizione innaturale, poi inclinò la testa e scoppiò a ridere. Come senza motivo, d'una risata argentea eppure sommessa. Una di quelle risate che sembrano non voler far rumore, come a non disturbare, come di quei visi che sentono di non meritarsela, quella risata. Rideva per lo sguardo di Potter, per quella sua postura così goffa e buffa. 

Ed Harry pensò che fosse la risata più spontanea che avesse mai sentito.

Ne era sicuro adesso, Malfoy era umano.

 

***

 

Era strano camminare accanto a Malfoy, mani in tasca, nell'aria frizzante degli ultimi strascichi di ottobre. 

Era innaturale il rumore dei loro passi sui ciottoli pallidi delle strade di Diagon Alley, ormai tutt'altro che gremita dalle urla dei mercanti e dei clienti.

-Dovremmo…- disse all'improvviso Malfoy, per interrompersi subito dopo.

Agli occhi di Harry non sfuggì il mordersi del labbro inferiore, né lo sbirciare l'orologio.

-Salutarci.- completò per lui, con la voce piatta.

D'improvviso Malfoy sembrò incupirsi, aggrottò le sopracciglia, strinse le mani a pugno dentro le tasche e mormorò qualcosa di impercettibile.

Poi la sua espressione si distese, ritornando il solito muro invalicabile, lasciandosi modellare dal ghigno sul suo viso affilato.

-Dì un po', Potter…Hai intenzione di preparare l'antidoto di Wang, per domani? 

Harry si voltò di scatto rivolgendo tutta la propria attenzione a Malfoy, ora dritto di fronte a lui.

-Cosa?!

Malfoy inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto.

-Non dirmi che non stavi ascoltando, oggi. Ultima parte della lezione, hai presente? Compiti per domani, ti dice niente?- continuò Malfoy come in uno sberleffo contro la sua persona.

-Ehm…a dire la verità…

-Sei irrecuperabile, Harry Potter.- disse Malfoy, con tono di rimprovero.

Harry rabbrividì nel pensare quanto Malfoy potesse ricordargli Hermione in quel momento.

-Ci vediamo stasera per lavorarci su, mmh? Dobbiamo consegnarlo domani, Signor Disastro.- disse Malfoy, con il solito scherno nella voce.

-Cosa? Io stasera dovrei…- Harry non riuscì ad accampare nessuna scusa credibile, così passò al contrattacco: 

-Insomma, Malfoy, vuoi finirla di autoinvitarti? Inventeremo qualcosa domani, semmai…

Ma Harry non ebbe tempo di concludere la frase, perché Malfoy puntò l'indice sulla sua cicatrice, spingendogli la testa indietro e smaterializzandosi.

-Maledizione a te, Malfoy! Maledizione!- quelle parole non giunsero a nessun orecchio, ed Harry si ritrovò da solo, tra le strade di Diagon Alley, con un pugno di mosche.

 

***

 

Quando Draco varcò l'imponente soglia di Malfoy Manor ebbe una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.

Gettando il mantello autunnale sul grottesco attaccapanni che troneggiava all'ingresso, un odore innaturale gli colpì le narici.

A grandi passi si affrettò verso l'ampia sala da pranzo.

Solo quando strinse nella mano sinistra la pergamena che Blaise aveva abbandonato sul tavolo cominciò a realizzare la cosa.

Due righe e tutto andò in pezzi.

Narcissa non c'era più, l'avevano portata via, strappandola dalle sue braccia.

Non pianse, nemmeno quando col pugno chiuso si accanì contro il grande tavolo di marmo.

Fuori, gli alberi tinti di rosso della tenuta lasciavano cadere le foglie, separandole per sempre dai loro rami.

 

Note:

 

Devo delle scuse a tutti voi, soprattutto alla mia Beta, che ho abbandonato sparendo senza nemmeno una parola.

Scusarsi non credo valga a molto. Ho avuto un blocco in questo fandom, come se avessi speso tutte le parole che avrei potuto spendere.

Non assicuro che questo blocco si sia estinto, ma posso solo ringraziare Danae Luce Dwayne, che mi ha spinto a rimettere le mani e gli occhi su questa storia.

Detto questo, non voglio tediarvi oltre.

Per quel che può valere: mi spiace, per chi ha commentato/seguito questa storia. Mi spiace per la mia prolungata assenza dal fandom.

Mi spiace se ho pensato di poter essere migliore di quel che sono.

Buona giornata a tutti/e voi.

Indice.

 

*Nikko: http://it.wikipedia.org/wiki/Nikkō_(monaco_buddhista_giapponese)#La_vita_e_le_opere

*Proverbio inglese, con annessa prosecuzione.

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Capitolo 9
*** Qualunque cosa accada ***


IX. Qualunque cosa accada

 

"Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, 

ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto 

se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque.

Lo vede il destino?

Tutto è già scritto eppure niente si può leggere."

 

 A. Baricco

 

18.45, il tempo ticchettava inconsistente, sembrava non raggiungesse l'udito di Draco.

Era seduto, adesso, nella sua giacca da camera scura, le gambe accavallate.

Il suo sguardo perso nel bicchiere ambrato di Fire Whiskey, che oscillava docilmente, cullato dai movimenti della sua mano.

Il camino crepitava come fosse l'unico rumore concessogli.

Non sentì il rumore incerto dei passi, né l'esitare degli occhi sulle sue mani, non sentì il tremare delle labbra di Blaise, prima ancora che parlasse.

Il ragazzo si avvicinò, silenziosamente, fino ad accovacciarsi ad un lato della duchesse. Poggiò una mano sul bracciolo.

Ma ancora Draco non lo sentiva.

-Mi dispiace…

Nessuna reazione, nessun movimento, neppure un impercettibile cambiamento nel ritmo del respiro.

Blaise sapeva che quello significava ciò che s'era aspettato nel momento stesso in cui Narcissa aveva varcato la soglia di Malfoy Manor per l'ultima volta.

Draco non si sarebbe infuriato, non gli avrebbe lanciato contro maledizioni o oggetti contundenti, non avrebbe urlato.

-Penserai che sono un essere orribile, ad aver lasciato che la portassero via. Penserai che sono un amico spregevole, nemmeno degno di questo nome. Penserai che non dovrei essere qui, che non avrei mai dovuto esserci, ma vedi, Draco…Potrai urlarmi contro, potrai pestarmi a sangue, potrai anche non parlarmi mai più, ed io lo capirei. Capirei qualsiasi reazione da parte tua, la accetterei, e rimarrei. 

Ti ho ferito, deluso e tradito. Ma confido nel fatto che tu capisca, un giorno, che il mio agire era volto a non farti soffrire più di quanto tu non abbia già sofferto.- Blaise fece una pausa, mentre Draco poggiava il bicchiere ormai vuoto sul tavolino, poi riprese:

-Narcissa era malata, peggiorava di giorno in giorno, e stava trascinando anche te nel baratro. Hai sacrificato il tuo futuro per lei, e questo è ammirevole. Sei stato disposto a rinunciare ai tuoi progetti accettando una proposta assurda, solo per permetterle di rivedere Lucius, fra cinque anni. Ripeto, è ammirevole ma…è sbagliato. È malsano, Draco. Come malsana era l'aria che respiravi qui dentro. Io l'ho fatto per il tuo bene, nient'altro m'avrebbe spinto ad un'azione del genere. So che non è facile per te accettare il fatto che non sia più qui, so che ti sentirai tremendamente solo e so, anche se non me lo dici, che hai paura. Ed è per questo che resterò al tuo fianco, sempre, anche se mi caccerai. 

Draco lo guardò finalmente. Il mercurio tagliente, solido di mille lame ghiacciate.

Blaise tentò di definire quell'espressione, nella sua mente, ma senza successo.

Il silenzio annacquò i polmoni di entrambi, condensandosi in quello sguardo di tempesta mansueta, avrebbero potuto annegarci dentro se Draco non lo avesse trafitto:

-Non parlare di lei come se fosse morta. Volevo solo salutarla, Blaise. Salutare mia madre. L'unica persona al mondo che si sia mai curata davvero di me. Ma cosa puoi sapere tu, di cosa sia una madre?

Le parole velenose fecero tremare le labbra di Blaise, di nuovo.

Questo si alzò come un animale ferito, salvo poi accomodarsi sulla poltrona di fronte all'amico.

-Non è ferendo me che starai meglio. È vero, io ho perso mia madre quando ero ancora piccolo, tanto da non ricordarne la voce. Ma non per questo ignoro cosa sia l'amore di una madre. L'ho visto tante volte negli occhi di Narcissa, quando il suo sguardo si posava su di te. E non sai quante volte ti ho invidiato, per questo. Ma quello sguardo non c'era più, da tre mesi a questa parte, e tu non sembravi accorgertene. Hai continuato a far finta di niente, hai continuato ad essere il figlio che aveva bisogno di quello sguardo, anche quando lei aveva smesso di essere la madre sempre pronta a donartelo.

Io sono qui per aiutarti, Draco. Sei stato tu a concedermi di farlo, ho raccolto la tua debolezza e l'ho trasformata in forza, tante di quelle volte da non riuscire più a contarle. Sono stato la tua spalla, il tuo migliore amico, nonostante tutto. E ti ho sempre accettato, con i tuoi sbalzi d'umore, il tuo sarcasmo urticante e la tua noncuranza verso gli altri, anche verso di me. Ho sopportato il tuo orgoglio, i tuoi capricci ed i tuoi sberleffi, quando ancora eravamo bambini. Poi siamo cresciuti, ed ero ancora lì. Anche quando ti chiudevi a riccio e sbattevi la porta in faccia al mondo. Anche quando nessuno ti accettava, anche quando Lucius voleva cambiarti e ne soffrivi. 

Gli occhi di Draco tornarono ad essere ciechi, persi sul pavimento, viscosi. Le labbra di strinsero in una smorfia amara.

-Ed in cambio ho ricevuto l'affetto, la lealtà di un amico come ce ne sono pochi. In cambio mi è stato concesso di conoscere una persona straordinaria, che si nasconde dal mondo, ma che si è aperta a me. E ringrazio ogni giorno per questa tua concessione. Perché se non avessi avuto te, non so cos'avrei fatto. Guardami, Draco.- Blaise prese il mento dell'amico fra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi.

-Mio padre è in prigione, molto probabilmente nella cella accanto a quella di Lucius. Mia madre è morta, quando avevo cinque anni. Dei miei parenti nemmeno l'ombra. Se non ci fossi stato tu, anch'io mi sarei abbandonato a me stesso, avrei rinunciato ai miei sogni, alla vita. Invece tu, subito dopo il diploma, mi hai sbattuto sul tavolo un libro di test per Medimagia e mi hai risollevato. Ora tocca a me risollevarti, e ti prego di credermi quando ti dico che l'ho fatto per il tuo bene. Posso aver sbagliato, averti ferito, decidendo al tuo posto e non concedendoti di salutarla. Può essere sbagliato il modo, ma l'intenzione era sincera, buona e volta al vederti, una volta tanto, felice. Per cui, no…non me ne andrò, nemmeno se mi costringessi a farlo.

Draco chiuse gli occhi, mentre la mano di Blaise abbandonava il suo viso. Poi sospirò e la sua espressione si distese.

Quando dischiuse le palpebre Blaise era ancora lì a guardarlo, a sperare non si fosse infranto tutto fra loro, e Draco sapeva che sarebbe rimasto, a prescindere dalla durata dell'oscurità nei propri occhi grigi. Con un sorriso di gratitudine, tutta la rabbia ormai evaporata chissà dove, chinò il capo, come a voler nascondere quella commozione.

Blaise lo affiancò sulla duchesse, una mano sul suo ginocchio. 

-Vedrai che da adesso tutto andrà meglio.- disse, con un sorriso.

 

***

 

Harry diede un colpo di bacchetta al lavello, svogliato. Per tutta risposta quello gorgogliò sgangherato, lasciando scorrere l'acqua, nello stesso istante una spugna marrone si sollevò a mezz'aria e iniziò a sfregare le stoviglie.

Benedì mentalmente la signora Weasley per le lezioni estive di magia domestica.

Seduto al tavolo ascoltava assorto quell'insolita orchestra di tintinnii, spumeggi e sgocciolii, che avevano un che di magnetico ed ipnotico.

Ultimamente lasciava la mente in stand-by un po' troppo spesso per i suoi gusti, lui che era un abitué dei pruriti al cervello.

C'erano tanti interrogativi che fluttuavano e piroettavano di fronte a lui, ed Harry, mano sul mento e gomito scivolato sul legno screpolato del tavolo, non faceva che sbuffare e lasciare che si dissolvessero, come le bolle di sapone che s'innalzavano dal suo lavandino in quel momento.

Eppure qualcosa di pungente c'era, proprio lì, nella tempia sinistra.

Per sua sfortuna quel qualcosa aveva un nome ed un cognome. Ronzava e sibilava fastidioso, pur di farsi notare. D'altronde era sempre stato così dispettosamente presente:

Draco Malfoy.

Per l'esattezza le domande di Harry si limitavano a due, secondo una sua attenta analisi:

Uno, perché Malfoy avesse scelto di intraprendere la carriera da Auror. Due, cosa diavolo voleva da lui?

Per quanto ci rimuginasse sopra Harry non si risolveva a trovar risposta.

E dire che di cose a cui pensare ne aveva eccome! Avrebbe dovuto contattare Ginny, per parlarle un po', chiederle come se la stesse cavando tutta sola ad Hogwarts, raccontarle delle sue giornate. Avrebbe dovuto andar a trovare i Weasley, chiacchierare un po' con Ron, vedere Hermione per chiederle della sua serata con il migliore amico, sapere se fra quei due fosse finalmente scoccata la tanto attesa -da tutti, nessuno escluso- scintilla.

E invece? Bhe, invece se ne stava seduto al tavolo della cucina, in un Grimmauld Place che era ormai albergo a cinque stelle per gli acari, a rimuginare su Malfoy. Sulla totale mancanza di senso delle sue parole, azioni, espressioni. Sullo sconclusionato comportamento che aveva nei suoi confronti. Sul quell'essere lunatico fino alla nausea. Sull'essersi intrufolato nella sua vita senza aver neppure bussato, né -figuriamoci- aver chiesto il permesso. 

Su quei dannati occhi grigi che senza motivo avevano deciso di incollarsi ai suoi. E su quella risata che, a volersi concentrare solo un po', riusciva ancora a sentire.

Pensò alla sfida accettata: concedere un'intervista a quell'arpia smaltata della Parkinson. In quel momento non seppe neanche perché avesse detto di sì. Malfoy aveva la naturale capacità di scollegarlo alla razionalità. Era irrimediabilmente irritante.

Si grattò la testa con forza, quasi a voler scacciare quei pensieri che si arrotolavano su se stessi, senza motivo.

Poi suonarono alla porta.

 

***

 

-Mi piacerebbe recuperarlo un giorno…

Le labbra guizzarono su un sorriso timido.

-Giura che lo lascerai lì e non leggerai nemmeno una riga!

Lo sguardo aggrottato, tremendamente serio per quell'età.

-Giuro solennemente…

-Conosco perfettamente l'ultima parte, grazie. 

Un broncio infantile, che sapeva farlo impazzire.

I capelli corvini solleticarono le guance dell'altro, forse bambino, ma già cresciuto troppo in fretta.

-Lo lasceremo lì, il tuo prezioso diario. E tra dieci anni lo rileggeremo, insieme, d'accordo?

Gli occhi luminosi sulla tempesta.

-Dieci anni, allora.

-Dieci anni.- confermò la voce più forte fra le due.

Uno sciocco, poi un sospiro.

Leggero come la bruma di quella notte, quel bacio.

-Qualunque cosa accada?

-Qualunque cosa accada.

Si fanno promesse, guardandosi negli occhi, anche se si è troppo ciechi per indovinare il domani. 

Si giura per sempre, anche se è già passato.

 

***

 

Blaise agguantò il bicchiere, gli occhi che pizzicavano.

Per poco non si strozzava, e l'acqua fresca gli parve più che una benedizione.

-Ora ricordo perché, da quando non ci sono più gli elfi, non ho più cenato qui…- disse con un filo di voce.

Draco alzò gli occhi dal piatto, stizzito.

-"Resterò al tuo fianco"…- lo rimbeccò Draco, scimmiottando la sua voce. 

-Avrei dovuto specificare: non durante i pasti, se a cucinare sei tu.- disse Blaise tradendo il divertimento nella propria voce.

Draco lo guardò risentito. Se c'era una cosa che odiava era cucinare, ed essere criticato per l'odio che riusciva a infondere nelle costolette di maiale, lo irritava a dismisura.

-Potresti impugnare il mestolo tu qualche volta, eh, grande chef!- disse, infilzando le verdure, più che crude.

Blaise rise, con la sua voce profonda e scura.

-Oh, il mio migliore amico gay, specifico, che mi chiede di impugnare il mestolo…Cos'è una proposta indecente?

Draco sollevò il sopracciglio sinistro, poi gli tirò una mollica di pane, con sdegno.

-Oh, il mio migliore amico etero, specifico, che trova il doppiosenso ad ogni angolo…Salvo poi imbastire discorsetti strappalacrime da Tassorosso.- disse Draco mestamente.

Blaise sorrise, poi mandò giù un altro sorso d'acqua.

-Mi chiedo come tu possa essere un genio in pozioni e poi cucinare tali, salatissime, prelibatezze!- disse allontanando il piatto da sé.

-Magari sto solo cercando di avvelenarti…- rispose serio Draco.

Blaise scoppiò a ridere di nuovo.

-Ah, come sei poco credibile, signor Malfoy!

Anche Draco sorrise.

Era grato a Blaise, d'essere rimasto con lui quella sera, ovviamente non lo avrebbe detto neanche sotto tortura, s'intende. Cenare da solo lo avrebbe sconfortato, invece quell'aria leggera ed ilare che l'amico aveva saputo creare lo rincuorava. Forse più dei tanti pasti consumati con la madre sì, ma in silenzio. Era ormai quasi disabituato alla conversazione a tavola. Lui che durante i lauti pranzi e cene a scuola, si dilettava nell'ars oratoria, aveva preso ad evitare qualsiasi rumore. D'altronde persino il deglutire poteva disturbare l'appetito di Narcissa, nell'ultimo periodo, persino il tintinnare della forchetta contro la ceramica del piatto. Vero era che gli bastava alzare gli occhi, in quel silenzio irreale e innaturale, per sentirsi al sicuro.

Ora molte cose sarebbero state diverse. 

-No, sul serio, permalosone. Non sarà la migliore cena della mia vita ma non è di sicuro la peggiore cosa ch'io abbia mangiato. Quel ruolo spetta ai dolci che Pansy ci rifila quando è depressa.

Ancora uno scroscio di risa s'infranse su quelle mura aride di vita.

-Ti ringrazio, Blaise, per avermi concesso il secondo posto. Ne sono lusingato!- disse Draco, sgombrando il tavolo con un elegante colpo di bacchetta.

Blaise si alzò e raggiunto il camino, nel salotto antistante la sala da pranzo, lo alimentò con un piccolo ceppo di legno.

Nel frattempo, come era loro consuetudine, Draco riempì due bicchieri di cristallo di Whiskey. 

S'accomodarono sulle poltrone, ed entrambi ebbero come l'impressione d'esser sazi di quell'aria leggera e familiare, più che della magra cena.

-Dimmi un po', genio, come va al San Mungo?- chiese Draco, curioso.

Blaise, almeno quanto lui, era solito essere sfuggente. Non amava parlare di sé, tanto da non lasciar intendere praticamente nulla.

Molto meno impulsivo di lui, l'amico sapeva essere freddo e distaccato, ma allo stesso tempo si lasciava coinvolgere quando si rendeva conto della gravità della situazione.

Non che Draco l'avesse completamente perdonato, solo capiva quanto Blaise poteva essersi sentito minacciato da quel precario equilibro che l'amico aveva finito per ritagliarsi.

Si sentiva sempre più estromesso e Draco sospettava fosse lui stesso la causa di tutto. Non era da lui, e Blaise lo sapeva bene. 

Così Draco immaginava si fosse ristabilito un certo ordine nella loro amicizia, almeno così doveva pensarla Blaise, data la conversazione affabile appena avuta.

-Nulla di emozionante. Si lavora duro, i turni sono impossibili e a fine giornata, varcare la soglia del mio appartamento mi sembra un miracolo…- disse Blaise, sorseggiando il Whiskey. 

Draco alzò le spalle, aspettando un seguito che non sarebbe giunto.

-Ah, a proposito…- continuò Blaise, facendo presagire un brusco cambio d'argomento -Hai intenzione di rimanere qui?

La domanda, molto più che una casuale curiosità gettata lì, giunse a Draco come una secchiate d'acqua gelata.

I loro sguardi s'incontrarono, poi vagarono sulle fiamme.

Rimanere al Manor, valutò Draco, da solo. La sola presunta possibilità, solo un mese fa, lo avrebbe oppresso all'inverosimile.

Rendersi conto di quanto quella possibilità fosse ormai più che reale, quasi la potesse veder passeggiare fra le ampie stanze della tenuta, fu come una rovinosa caduta dalla scopa. 

Una casa così grande, per una cassa toracica minuscola al confronto, il fiato si smarrì nel petto.

Acqua nei polmoni, gli sembrò di non respirare da più di un'ora. Anzi, di non aver mai imparato a respirare.

Che stesse maturando una terribile agorafobia, mentre il suo cuore si riscopriva claustrofobico?

-Potresti trovare un appartamento, come ho fatto io…Risolveresti gran parte dei problemi finanziari.- continuò suadente Blaise, fissando l'enorme arazzo sul camino. 

La voce di Blaise sembrò sussurrargli un nuovo ritmo, così Draco placò il proprio respiro. Ossigeno nelle vene, finalmente. 

-Il ministero mi sta col fiato sul collo, credo avessero minacciato il pignoramento, se non avessi ceduto una percentuale delle mie risorse.- disse Draco più a se stesso che all'amico.

-Posso darti una mano. Magari il tizio che mi ha venduto l'appartamento ha qualche aggancio…- propose Blaise.

-Sì, è decisamente una buona idea.- si ritrovò a dire Draco, prima ancora che ci avesse seriamente pensato.

-Ottimo! Hai qualche preferenza in particolare? Per la zona della Londra Babbana, intendo.

Oh, troppe cose sarebbero state diverse. Ma Draco non voleva più sentirsi con le spalle al muro, era stanco di essere braccato quanto dal mondo, tanto più da se stesso.

Non seppe nemmeno come ma gli sfuggì dalle labbra:

-Whitechapel*

 

***

 

Hermione sedeva sul suo divano, la fronte aggrottata.

-Harry, siamo preoccupati per te.

Gli aveva detto, e lui sapeva bene che l'uso del pluralis maiestatis, da parte della sua migliore amica, non era mai una buona cosa.

Ora erano di fronte ed Herm parlava ininterrottamente da più di mezz'ora.

Gli aveva spiegato delle ansie della signora Weasley nel saperlo lontano e tutto solo in quella casa, di Ron che si sentiva un po' trascurato, di Ginny infuriata all'inverosimile per l'atteggiamento del suo presunto ragazzo. Mai come in quel momento Harry aveva desiderato di essere sotto il Mantello dell'Invisibilità, almeno Hermione avrebbe preso fiato, vedendolo sparire nel nulla.

Improbabile, avrebbe subito fiutato il trucco. 

-Ma mi stai a sentire?- sbottò all'improvviso.

-Sì, Herm…cioè…No, Herm.- disse Harry sfregandosi gli occhi dopo aver sollevato gli occhiali. -Io, sono solo stanco oggi è stata una…

-Oh no, caro mio! Non venirmi a raccontare di quanto tu possa essere stanco perché forse non mi hai guardata bene!- urlò la ragazza, gli occhi appannati da un pianto prepotente.

Harry fissò Hermione, come se la vedesse per la prima volta: le occhiaie scure premevano sotto gli occhi, il viso smunto e pallido, ad Harry sembrò persino dimagrita. Indossava ancora il camice del tirocinio, macchiato di chissà cosa in più punti, stringeva convulsamente la spilletta, gettandole sguardi ansiosi ogni due per tre. 

In un attimo gli fece tenerezza, pensando a quanto stesse lavorando sodo, dando tutta se stessa. Eppure era lì da lui, e stava seduta sul suo divano, con le gambe tremanti per la giornata passata a correre da un reparto all'altro, e stava lì per lui. Perché nonostante tutto aveva, ancora una volta, trovato il tempo anche per preoccuparsi di lui.

Harry si sentì profondamente egoista e meschino.

-Scusami Harry, è s-solo che…non dormo da più di ventiquattro ore. S-sono un po' nervosa e…- disse la ragazza, asciugando lacrime non ancora versate.

Le fu accanto, abbracciandola, come se fosse bastato. Sperò ardentemente potesse bastare.

-Herm, devi star tranquilla. Davvero. Io sto bene.- le disse tenendo le mani sulle sue spalle minute.

-Mi sto solo, ehm, ambientando. Sono cambiate tante cose, e non è facile abituarsi subito…Mi sto adattando. C'è bisogno di…pratica, ecco. Vedrai che risolverò con Ginny, basterà vedersi. E con Ron va tutto bene, davvero. Riusciremo a far combaciare gli orari e a passare un po' più di tempo insieme, ok? Te lo prometto.- disse come a rassicurarla.

Hermione lo abbracciò di nuovo.

-Oh, Harry, grazie, grazie, grazie!

Sentì che Hermione stava per commuoversi un'altra volta. Decisamente non sapeva come gestire i pianti isterici così la scostò bruscamente e le disse:

-Sì, Herm, sì. Non piangere però, ok?

Lei sorrise, annuendo.

-Merlino, mi sento così stupida! 

Harry le diede qualche pacca sulla spalla, certo che finalmente il peggio, per entrambi fosse passato.

Aveva cantato vittoria troppo presto.

-Harry, hai intenzione di rimanere a vivere qui? Tutto solo? Perché non vai a stare dai Weasley loro…- ripartì alla carica Hermione.

Harry si diede uno schiaffo mentale, per la frustrazione.

Voleva bene ai Weasley, li considerava la famiglia che non aveva mai avuto ma andare a vivere da loro? 

Sotto lo stesso tetto di Ginny e dei suoceri? La voce di Malfoy si intromise nella sua testa, in maniera insolita e agghiacciante.

-Herm, questa casa è casa mia. Sirius voleva venir a vivere qui con me, ricordi?- disse Harry, incrociando le braccia al petto.

Lo sguardo di Hermione si fece limpido, un'espressione sorpresa si dipinse sul suo volto.

-L'ha lasciata a me ed io rimarrò qui. Quindi la tua proposta è fuori discussione. 

Si sorprese della decisione nella sua voce, quasi quanto dell'annuire grave di Hermione.

-Ti capisco Harry. Hai perfettamente ragione, sarebbe disonorare il volere di Sirius. Sono stata sconsiderata a chiederti una cosa del genere. Ma vedi, saperti qui, da solo, non ci piace per niente! - rieccola con il pluralis, pensò Harry.

-Potresti organizzare qualcosa qui, ogni tanto, no? Che ne so, una serata settimanale, tutti insieme! Io, te e Ron, come ai vecchi tempi, che ne dici? E magari invitare qualche nostro collega.

La voce di Hermione era tra l'entusiasta e l'esaltato, gli ricordò vagamente lo stesso tono avuto al secondo anno, quando la ragazza aveva annunciato che la Polisucco era pronta.

-Certo, dovresti prima dar una sistemata e una ripulita, profonda aggiungerei. Poi potremmo inaugurare decentemente questa casa!

Harry sospirò, ormai afflitto, così pur di darle vinta almeno quella, e rassicurarla un po', disse:

-Mi sembra una buona idea, Herm. 

-Ottimo! Mi occupo io di tutto, Harry! Non devi preoccuparti di nulla!

Quante volte aveva sentito quelle frasi? E, lo sapeva bene, potevano solo annunciare guai in vista.

Hermione partì come un fiume in piena, esaltata dalla prospettiva dei preparativi. Harry scollegò il cervello più o meno quando la ragazza pronunciò la parola "festoni", no…forse un po' prima. Sì, alla parola "piatti colorati".

-Ti spiacerebbe se invitassimo anche Zabini, d'altronde lui e Malfoy stavano sempre insieme a scuola, no? Così né il mio collega, né il tuo partner si sentirebbero a disagio.

Improvvisamente l'attenzione di Harry fu calamitata di nuovo sulle parole di Hermione.

Zabini, certo. Malfoy…dannato Malfoy, sempre lui, costantemente lui.

-Invita un po' chi ti pare, Herm.- disse Harry, suonando un po' più scontroso del solito.

Herm, troppo febbricitante per accorgersene continuò a parlare di questo o quell'antipasto da poter servire, certo, con l'aiuto di Molly.

"Il tuo partner".

D'improvviso l'ansia s'impossessò di lui. 

-Hermione…- bloccò il torrente inarticolato su palloncini e altri obbrobri. -Vorrei chiederti un favore…

Herm ammutolì all'istante, guardandolo seria.

-Ho, per così dire, omesso di dire a Ginny che Malfoy è mio partner. Sai, per non preoccuparla senza motivo. 

Herm sorrise debolmente.

-Non dirò nulla, Harry. E dirò anche a Ron di non lasciarsi sfuggire nulla. Anche se non approvo.

Harry, per farla star buona, per evitare un mal di testa fulminante, le sorrise e disse:

-Allora, questa…- esitò, deglutendo: -Festa?

 

 

 

 

Note:

*Whitechapel, è un quartiere di Londra che dopo una piccola ricerca su google maps, rinomato motore di ricerca, è venuto fuori sotto la voce Grimmauld Place. Per chi fosse curioso, mi sono riferito alla lettera A, data dal motore di ricerca. Solo perché ho degli ottimi ricordi proprio in Whitechapel. :)

 

Detto questo, aggiornamento più che veloce, direi lampo.

Ho aumentato il carattere della storia, dato che ho riscontrato parecchi reclami a riguardo.

Risponderò alle recensioni fra poco.

Grazie per il vostro sostegno!

Alla prossima!

 

 

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Capitolo 10
*** Felice ***


X. Felice.

 

"Ci sono momenti come questo in cui riesco a sentirmi felice. 

Voglio che rimanga tutto così per sempre. 

Anche se so che per sempre non esiste. "

Saturno Contro.

 

 

Harry gettò uno sguardo all'orologio sul caminetto, mancavano pochi ticchettii alla mezzanotte.

Hermione era appena andata via, baciandolo su una guancia, e ripromettendogli che avrebbe organizzato tutto lei.

Una festa, aveva dell'incredibile. No, impensabile era che lui avesse accettato.

Tutto per darla vinta alla sua migliore amica. Quello sarebbe stato un contentino che avrebbe comportato non pochi problemi, si disse pensieroso.

Mentre, ormai spostatosi in cucina, sistemava le tazze nel lavello, sentì un lieve picchiettare sul vetro. 

Strabuzzò gli occhi nel vedere un enorme gufo, sul proprio davanzale, ed una busta color crema ben stretta dal suo becco lucido.

Aprì la finestra e inclinò la testa, cercando di ricordare dove avesse visto quel paio di occhi ambrati. 

Per tutta risposta il gufo imitò il suo gesto, facendolo sentire incredibilmente stupido, mentre i lunghi ciuffi di penne erettili ondeggiavano elegantemente. 

Avvicinò la mano per recuperare la busta, poi fece per chiudere la finestra, ma venne dolorosamente beccato sull'indice.

-Ehi! Che male! Ma che diavolo ti prende?- esclamò indignato.

Il gufo emise un cupo suono baritonale, tutto fuorché rassicurante.

Harry cercò di ricordare il lieve verso di Edvige. Un moto d'amarezza lo prese alla gola, accarezzando quel ricordo. Poi fu fulminato da una sorta di rivelazione.

Allungò la mano verso una terrina, ne tirò fuori un biscotto burroso, una delle tante premure di Molly. Come ogni mamma che si rispetti non mancava mai di fargli arrivare qualche prelibatezza, ogni settimana.

Il gufo arruffò le penne, il che fece presumere ad Harry di aver centrato il punto. Il ragazzo non fece in tempo di congratularsi con se stesso per quel colpo di genio, perché il gufo gli strappò di mano il biscotto ed aprendo le ali, volò via.

Un Harry ancora perplesso richiuse la finestra, osservando la busta. Si accomodò su uno sgabello sgangherato, cercando di lacerare la spessa pergamena. 

 

Potter, tra mezz'ora sono lì. 

Mi rendo conto della richiesta sconsiderata, ma

ti spiacerebbe, se mai ti sia possibile, essere presentabile?

 

Nessuna firma, nessun mittente. Non ce n'era bisogno: solo una persona sarebbe stata in grado di scrivere una roba del genere, con quel tono, quella grafia impeccabile e quella pergamena da 50 galeoni. Solo una persona gli sarebbe piombata in casa a mezzanotte inoltrata. Almeno lo aveva avvisato, cercò di consolarsi Harry, scuotendo la testa e recuperando la bacchetta, la ripose nella tasca posteriore dei jeans. Averla a portata di mano non poteva che giovargli, si disse.

Si mise a lavar le stoviglie, aprendo il rubinetto e fischiettando. Gli piaceva il sapone, la consistenza della spugna mentre strofinava piatti e tazze, lo scrosciare dell'acqua sulla porcellana candida. Non sapeva perché ma lo rilassava, ogni volta che sentiva il bisogno di staccar il filo dei pensieri, si metteva al lavello a lasciarsi cullare dal gorgoglio e dall'odore della schiuma. Lo faceva fin dai tempi in Privet Drive. Erano di quelle cose insolite, che a nessuno veniva in mente di raccontare parlando di sé, di quelle cose che non si stava lì a pensarci tanto. 

Con le maniche tirate su fino ai gomiti, l'espressione concentrata, la testa china e quel fischiettare sommesso: così lo trovò Malfoy, appena smaterializzatosi in quella malmessa cucina.   

 

***

 

Ancora un ultimo sforzo ed avrebbe finito quel lunghissimo quanto noioso tema di Storia della Magia.

La sala comune s'era svuotata già da un po'. Rimanevano solo lei, la sua amica Ellis e due ragazzi del quinto anno, immersi in quella che sembrava tanto la temuta e famigerata dissertazione sulla pozione rigenerante, quella che stava tanto a cuore a Lumacorno. 

Ellis, di fronte a lei, sfogliava distrattamente il tomo di Storia della Magia, alla ricerca di qualche informazione che potesse "allungare il brodo". 

Ginny nascose uno sbadiglio, poi intinse la piuma nel calamaio e poggiò la punta sulla pergamena porosa.

-Gin, ma dici che la roba a pagina 658 è essenziale?

La piccola Weasley alzò lo sguardo, sulla pagina mostratale dall'amica.

-No.- disse soltanto, rituffandosi sulla pergamena riempita per metà.

-Mmh, grazie a Godric. E tutta questa solfa sull'accordo dei Goblin, alla fine della Seconda Rivolta?- chiese di nuovo Ellis, scrutando l'amica. Questa non alzò nemmeno lo sguardo quando annuì distrattamente.

-Ginny, c'è qualcosa che non va?

Quella domanda fu un fulmine a ciel sereno. L'inchiostro sulla pergamena sbavò un poco, quando Ginny trasalì e puntò lo sguardo negli occhi scuri di Ellis.

Era una di quelle domande semplici, quelle che si liquidano con un "sì, va tutto bene", eppure Ginny ebbe un fremito. Qualcosa dentro di lei si rimescolò, si infranse impercettibilmente, le annodò la bocca dello stomaco ed infine si sedimentò sul fondo del suo palato e poco dietro gli occhi, che adesso pizzicavano. Simulò uno sbadiglio annoiato, per dissimulare, in un moto d'orgoglio per se stessa.

-Sì, sono solo molto stanca.- disse poco dopo, con un sorriso tirato, per nulla naturale.

Ellis la osservava, pensierosa. Da quando Ron, Hermione ed Harry avevano lasciato Hogwarts, la piccola Ginny s'era un po' ritrovata da sola. Sì, c'era ancora Luna, con le sue stranezze a tenerle compagnia e Neville, assunto come assistente della professoressa Sprite. Ma entrambi non condividevano con Ginny i piovosi pomeriggi nella sala comune, né le lezioni, né i pasti in quella lunga tavolata rosso-oro. Entrambi erano molto presi dalle loro occupazioni. Luna sapeva essere una grande amica, ma in un modo un po' tutto suo, per cui Ginny aveva imparato a non aspettarsi granché. Neville lavorava a tutte le ore del giorno, spesso e volentieri addormentandosi fra le sue amate piantine, cosa per lui del tutto normale. Ginny sospettava che un giorno lo avrebbe trovato inginocchiato di fronte ad un Grinzafico, intento a dichiararsi e a chiederne la mano, anzi no… la foglia.

In sintesi, Ginny, stava molto sulle sue, spesso era distaccata ed aveva perso un po' di quella sua aria sbarazzina. Sembrava essere molto insoddisfatta, salvo quando non era a metri da terra, sulla sua scopa.

L'unica a ronzarle sempre intorno era proprio Ellis Hutton, una ragazza sveglia e frizzante, molto sopra le righe. Ellis non amava attirare l'attenzione ma riusciva a strappar a Ginny più di una risata. Una di quelle ragazze che ascoltavano tanto, non amavano leggere lo squallido gossip né agghindarsi solo per andare a lezione o ai Tre Manici di Scopa. Era di origini babbane, la maggiore di tre fratelli, ed aveva uno spiccato istinto materno. Ginny l'aveva subito presa in simpatia: quando, al primo anno sull'Hogwarts Express, la piccola Ellis s'era messa a gridare che la sua cioccorana aveva tutta l'intenzione di muoversi, e che odiava i rospi e tutti gli animali viscidi. Le aveva fatto sempre una gran tenerezza, ora però i ruoli sembravano essersi ribaltati. Perché Ellis aveva scorto un lato di Ginny di cui lei stessa non aveva ancora la piena consapevolezza.

Di cose che non andavano ce n'erano, eccome. Prima di tutto odiava Hogwarts: le stava stretta quell'enorme struttura, quei suoi corridoi così immensi, così vuoti. La angosciava rendersi conto d'esser da sola, perché priva di quelli che erano stati i suoi punti di riferimento, come i fratelli. Poi sentiva Hermione sempre più lontana, sebbene la sua migliore amica le scrivesse, periodicamente, fitte lettere. La pressione della madre e del padre, circa il suo futuro, non aiutavano di certo, in più si sentiva perennemente sotto esame, in classe, e sempre più incerta. Non a caso, s'era resa conto di deviare bruscamente qualsiasi discorso a proposito dei suoi futuri progetti, ad esempio quando i professori lodavano le sue capacità e le ponevano la fatidica domanda:

-Weasley, cosa intende fare dopo il suo settimo anno?

Oh, e come se non bastasse: il suo ragazzo s'era dimenticato d'essere il suo ragazzo. Se Hermione si premurava di scriverle, e nonostante tutto le sembrava lontana, Harry era proprio assente, nella sua vita. Non era da lui, ma Ginny non poteva che giustificarlo e darsi della stupida anche solo per aver spinto troppo in là la sua fantasia. Si annidava dentro di lei la delusione, goccia dopo goccia, ogni mattina, quando planavano i gufi in Sala Grande. Mai una lettera, che fosse una spontanea iniziativa di Harry. All'inizio Ginny s'era infuriata, era arrivata a ricorrere ad una strilettera, odiandosi subito dopo. Adesso era come rassegnata. Possibile che la distanza avesse un tale effetto?

Ma la piccola Ginny ignorava tutte le domande che le ronzavano intorno, mandava giù i bocconi amari e spingeva oltre gli occhi le lacrime, nascondendosi dietro uno sbadiglio tattico ed un sorriso di plastica. 

-Sì, sono solo molto stanca.

Ellis si fece scappare un sorriso.

-Eh, certo…vivere sotto lo stesso tetto, per tutta l'estate, e poi doversi allontanare bruscamente dev'essere dura.- disse Ellis, poggiando la mano sul mento, come per riflettere e gettando lì quella frase, con fare casuale.

Ginny la osservò con disappunto pensando: pluffa dritta nell'anello, 100 punti ad Ellis. La voce nella sua testa era incredibilmente simile a quella di Lee, osservò poco dopo.

-Vedrai che a Natale recupererete, come Godric comanda! Amen, Gin, non farti troppe paranoie!- sentenziò la ragazza, chiudendo lo spesso tomo di Storia della Magia e usandolo a mo' di cuscino.

Con le braccia incrociate sul tomo e la testa sull'avambraccio, gli occhi scuri di Ellis la osservavano maliziosi.

-Non ti seguo…- borbottò Ginny, arrossendo un po' sulle orecchie, tipica prerogativa Weasley.

Ellis le fece l'occhiolino. Probabilmente aveva capito quanto la domanda di prima avesse turbato l'amica, così aveva deviato, con dolcezza la discussione, su argomenti molto più piacevoli. Era una ragazza ancora capace di quelle piccole premure.

-Susu, signorina Weasley, non mi faccia quell'espressione innocente…- sussurrò Ellis, ammiccando.

Ginny assunse  sulle guance una sfumatura da far invidia ad un pomodoro maturo.

-Ma che vai dicendo, Ellis! Davvero, non capisco a cosa alludi.- disse abbassando lo sguardo.

-Su, Gin, per chi mi hai preso? Non sono mica una Tassorosso! Tutti qui ricordiamo quel famoso bacio appassionato, dopo la altrettanto famosa partita…proprio qui, in questa sala comune!- esclamò Ellis arricciando le labbra in un sorrisetto sornione.

Ginny deglutì, vistosamente a disagio.

Ellis lesse quel rumoroso imbarazzo negli occhi dell'amica, che guizzavano da una cosa all'altra, alla ricerca di un pretesto per lasciar cadere la discussione.

-Gin…- sussurrò seria Ellis a quel punto, catturando così l'attenzione di Ginny, che se fosse stato possibile sarebbe sprofondata nella sedia. Bastò guardarsi negli occhi un'istante. Poi le rosee labbra della mora formarono una piccola "o", subito coperta dalle dita affusolate.

-Non vorrai dirmi che tu ed Harry…Cioè non avete ancora…?

Poi la voce di Lee Jordan, fra i pensieri di Ginny: 

Il cercatore ha acchiappato il dannato boccino! Hutton si aggiudica la vittoria!!!

 

***

 

-Dannazione, Malfoy! Mi hai fatto prendere un colpo!

Harry per puro caso aveva alzato lo sguardo dalle stoviglie, alla ricerca della spugna abbandonata alla sua sinistra e notata la figura appoggiata allo stipite della porta della sua cucina, aveva fatto un balzo di almeno venti centimetri. Con uno scatto fulmineo aveva portato la mano alla bacchetta, nella tasca posteriore dei suoi jeans, schizzando acqua e saponata un po' dovunque. Il tutto perché con la coda dell'occhio, non mettendo a fuoco, data la sua vista d'aquila all'inverso, non aveva subito riconosciuto Malfoy.

-Potter, non ti farebbe una buona pubblicità se la stampa dovesse riportare di un omicidio, da te compiuto, in casa tua. Oltretutto ai danni di un onesto cittadino della comunità magica.- disse Malfoy, alludendo alla bacchetta di Harry puntata ancora contro di lui.

Harry, avendo messo a fuoco la più che irritante figura, storse le labbra e abbassò la bacchetta.

Senza alcun invito Malfoy si accomodò su una sedia scricchiolante, con sommo disappunto di Harry.

-Cosa diavolo ci fai qui?- sbuffò infastidito il padrone di casa, mentre con un rapido incantesimo asciugava la pozza ai suoi piedi, nonché rimediava agli schizzi d'acqua sui suoi vestiti.

-Potter, la tua memoria a breve termine è desolante.- disse Malfoy, per tutta risposta, poggiando elegantemente una guancia sulla mano sinistra, ed inclinando la testa, di conseguenza.

-Non vorrai dirmi che intendi preparare l'antidoto per domani…adesso!- sbottò Harry, i cui nervi già sfrigolavano rumorosamente.

Malfoy si concesse uno dei suoi soliti ghigni, poi infilò una mano nella tasca del mantello, premurosamente abbandonato sullo schienale della sedia.

Abbandonò una boccetta da pochi centilitri sul tavolo, con un lievissimo rumore, accompagnandola ad un rotolo di pergamena.

-Ecco l'antidoto, con tanto di spiegazione per la preparazione.- disse mellifluo.

Harry strabuzzò gli occhi, aprendo la bocca ma incapace di formulare una qualsiasi frase sensata.

Passarono alcuni secondi in silenzio, poi Draco tossicchiò, mentre Potter sembrava ipnotizzato dal liquido scuro sul suo tavolo.

-Si dice "Grazie", in questi casi…non che ci voglia chissà quale lezione di bon ton, Potter.

Harry portò lo sguardo sul viso del biondo, che tradiva divertimento.

-Malfoy…dovevamo prepararlo, non comprarlo chissà dove.- sbottò Harry prendendo la boccetta fra le mani.

-Sorvolando circa la tua scandalosa mancanza d'attenzione durante le lezioni…Per tua informazione non l'ho comprato, Potter, dal momento che è fuori commercio da circa tre secoli, poiché giudicato obsoleto. Ma lo sapresti, se avessi ascoltato Wang.- disse Malfoy, con un cipiglio indispettito.

Harry si passò una mano fra i capelli, rassegnato.

-E allora dove l'hai trovata? E comunque avresti potuto portarla domani.- disse, alzando il sopracciglio.

Malfoy scosse la testa, spingendo la piccola pergamena arrotolata verso di lui.

-L'ho preparato io, Potter, ferma quelle rotelline sospettose nella tua testa, il rumore si sente da qui.- disse Malfoy, indisponendosi ed incrociando le braccia al petto, stravaccandosi sulla sedia come avesse dimenticato le buone maniere.

Harry rimase interdetto: perché Malfoy avrebbe dovuto fare una cosa così poco da lui? Che avesse accettato fin nel profondo il significato di quella loro collaborazione forzata? Vederlo lì, nella sua cucina, completamente a suo agio, su quella sedia sgangherata, era tra l'inverosimile e l'orrido. Non era ancora riuscito a realizzare la cosa.

-Preparare un antidoto del genere, se avessi prestato attenzione, è banale. Non occorre nemmeno distillarlo. Servono giusto tre ingredienti e un calderone standard. Non devi nemmeno misurare le dosi degli ingredienti, perché…- Malfoy si bloccò di colpo, rendendosi conto che Potter non lo stava realmente ascoltando. L'ex-grifondoro aveva gli occhi fissi sulle sue mani che gesticolavano lievemente.

-Potter? Dovresti far qualcosa per questo disastroso calo d'attenzione.- disse alzando il tono di voce.

Harry sembrò riscuotersi e, portando il proprio sguardo su quello di Malfoy, sbatté le palpebre più volte.

-Mi chiedo come uno così tonto sia riuscito a salvare il culo della comunità magica…- considerò Malfoy, soppesando le parole.

Harry lo guardò malevolo, pronto a rispondere velenoso, ma Malfoy lo colse in contropiede:

-Sono venuto a spiegarti come si prepara, Potter. Quindi presta un po' d'attenzione, sì?- disse quasi accondiscendente, proprio lontano dalla sua natura pensò per riflesso Harry. Ma cosa ne sapeva, lui, della natura di Malfoy? 

-Prendi due bicchieri ed un Incendiario, Potter…ho bisogno di qualcosa di forte.- ironizzò Malfoy.

Harry sospirò e si alzò, evocò due bicchieri e una bottiglia polverosa. Poi si abbandonò mestamente sulla sedia di fronte al suo sgradito ospite.

Malfoy prese la bottiglia, soffiò per eliminare la polvere e la studiò per un po'.

-Wow, Potter…che alzata di stile: un Incendiario del 1889!- disse Draco, illuminandosi e sorridendo, non di scherno però.

-Fa parte della…ehm…della riserva dei Black.- rispose Harry lievemente a disagio.

Draco alzò le sopracciglia e annuì senza rendersene conto, scacciando via chissà quale cattivo pensiero. Harry non seppe spiegarsi quell'incupirsi, lo attribuì a quel sottile filo di parentela che legava il suo padrino alla famiglia di Malfoy, magari al suo sentirsi spodestato in quella casa sconclusionata, ma non ne era affatto sicuro. Era una supposizione traballante, sotto molti punti di vista. E allora cos'era quell'espressione gelida?

Harry sfilò la bottiglia dalle sue mani, in un gesto fin troppo confidenziale, ma che non venne contestato. Versò il liquido ambrato in silenzio e avvicinò il bicchiere a Malfoy, che bevve avidamente.

-Ottimo…- disse rigidamente il biondo, perdendo lo sguardo nell'ondeggiare del bicchiere, ormai quasi vuoto.

-Dovresti andarci piano con l'alcool…- sfuggì dalle labbra ad Harry, mentre riempiva di nuovo il bicchiere.

Malfoy assottigliò lo sguardo e fece schioccare la lingua, pronto a sputar veleno ed inveire contro il buonismo di Potter ma…

-Sì, non sono affari miei. Allora quest'antidoto? 

 

***

 

Era la guerra. Ti entrava negli occhi, sotto la pelle e non perdonava. 

L'angoscia, la paura, il terrore, e la morte.

Il sangue, le mosche, la polvere ed il buio.

Dovunque, ti si appiccicava addosso, e non serviva a nulla sfregarsi sotto la doccia.

Non serviva niente, stringersi a lui, amarsi come non ci fosse un domani.

Ti entrava dentro. Ti restava sotto le palpebre e non ti lasciava.

Era la guerra.

E mentre andavi avanti, un piede dietro l'altro, riuscivi solo a pensare che dovevi respirare.

Respirare.

E baciare la sua fronte, quando si addormentava.

Recuperare il diario e scrivere:

Non voglio che muoia. Non voglio che soffra. Non voglio mi perda.

Ed aspettare domani.

 

***

 

 

Hermione e Ron erano gli unici rimasti svegli nella calda ed accogliente cucina della Tana. Quella sera, dopo essere stata da Harry, era passata a far un saluto alla famiglia più rumorosa d'Inghilterra.

Molly l'aveva rimpinzata di dolci, trovandola sciupata, mentre Arthur le chiedeva del corso di Medimagia. Nel frattempo anche George era rientrato, col suo solito buon umore contagioso li aveva deliziati con qualche aneddoto stravagante, esclusiva del negozio di scherzi. Fra una risata e l'altra, nuove idee per clamorosi scherzi e una piccola dose di malinconia celata e taciuta: tutti pensavano a Fred, era automatico guardando i ridenti occhi di George. Ma nessuno osava pronunciarne il nome. Infine anche Percy fece la sua comparsa, attraverso il camino, spargendo un po' di fuliggine sul pavimento candido della cucina.

Dopo una lunga chiacchierata e piccole indiscrezioni sulle ultime politiche del Ministero, il capofamiglia lanciò un impercettibile cenno agli altri membri e chissà come la sonnolenza si sparse su tutti, meno che su Ron ed Hermione.

Così i due amici si ritrovarono da soli.

-Allora…come sta?- chiese Ron, cercando di nascondere la preoccupazione.

-Lui dice di star bene Ron, ma sai com'è fatto, no? Harry non ha mai voluto pesare sugli altri, e non lo fa perché ha bisogno di sentirsi indipendente. Ma vivere lì non gli fa bene!- disse concitata Hermione.

-Hai assolutamente ragione, come sempre, del resto…- disse Ron con un sorriso timido. -Lo sento molto distante, non so, come mi avesse messo da parte…ok che gli orari non coincidono però…

Hermione lo interruppe, poggiando una mano sul suo braccio.

-Ti farà piacere sapere che siamo arrivati ad un compromesso.

Ron si illuminò a quella notizia. Hermione sorrise dolcemente. Capiva perfettamente come si sentiva Ron: loro tre erano cresciuti insieme, e sebbene avessero dato per scontato l'uno la presenza degli altri, forse questa non era proprio scontata. Certo, avevano preso strade diverse, ma questo pensavano non avrebbe inciso. Ron senza Harry si sentiva un po' meno di se stesso. Come gli mancasse un ingrediente. Hermione era sempre presente per entrambi, per carità. Ma il trio sembrava sfaldandosi sempre di più, e la cosa angosciava terribilmente sia Ron che la ragazza. Harry, per quel che pareva, non aveva nemmeno dato peso alla questione, come non se ne fosse accorto. Di certo, non era stato fatto intenzionalmente, amava ripetersi Hermione, mentre Ron tendeva a colpevolizzare l'amico un po' di più.

-Organizzeremo una festa…- disse Hermione con un piccolo giubilo.

Ron la guardò stupito, come non credesse alle sue stesse orecchie. 

-Ha bisogno di stare con altre persone, Ronald. Stare da solo lì non gli fa bene. Vedrai che questa è la strategia giusta, Ronald, fidati di me!

Ron alzò le spalle e annuì poco convinto.

-Altre persone chi, scusami?- chiese titubante Ron.

-Mah…non saprei, i suoi compagni di corso, magari qualcuno dei tuoi. Ho pensato di chiederlo anche a Zabini…

A sentir quel nome, Ron improvvisamente si rabbuiò e si irrigidì sulla sedia, come fosse sulle spine. Cercò di contenere quella che ormai aveva imparato sapientemente a riconoscere come gelosia. Hermione, ricettiva come sempre, notò subito quel cambiamento in Ron e si premurò di chiedergli se fosse tutto apposto.

-Herm…Zabini non mi piace, non mi piace per niente…- disse Ron, trovando le proprie dita particolarmente interessanti, e cercando di contenere l'imbarazzo all'altezza delle orecchie, senza successo. Lo sguardo di Hermione si indurì e la ragazza, sbuffando, rispose a tono:

-Ronald, ancora con questa storia? Zabini è un bravo ragazzo, mi ha anche dato una mano una volta, in maniera disinteressata. Ho pensato di invitarlo per via di Malfoy, e perché lo vedo sempre sulle sue. Non ha uno straccio di amico, giù al San Mungo. E poi dovresti davvero vederlo: è premuroso e gentile con ogni singolo paziente e…

-N-non è questo Hermione! Miseriaccia…fammi almeno finire di parlare!- la interruppe Ron, scaldandosi e lasciando straripare il proprio buonsenso. 

-I-io voglio dire…non mi piace, ecco. Ma se a te insomma…se…- le parole cominciavano ad ingarbugliarsi, a confondersi. Hermione lo stava ad ascoltare, trattenendo il respiro, ancora un po' interdetta dalla reazione di prima.

-Ecco…non è a me che deve piacere. S-se pensi che Zabini possa…insomma…S-se è lui la persona che vuoi sia…- le orecchie di Ron minacciarono l'autocombustione, in quel momento, tanto erano rosse. 

Hermione, accanto a lui scoppiò a ridere. Poi lo guardò con una dolcezza sconfinata, così rara da parte della tenace ex-grifondoro. Ron nel frattempo era tra l'indispettito e l'incredulo.

-Oh, Ronald…- disse solo la ragazza poi si sporse verso di lui, gli carezzò la guancia lentigginosa e sorrise sulle sue labbra.

Ron, occhi aperti, sopracciglia scomparse sotto i capelli rossi e scompigliati, non realizzò subito che quello doveva essere un bacio.

Mentre Hermione ruppe quel lieve contatto, tremulo come le ali di una farfalla e zuccherino come la più stuzzicante delle caramelle.

-Come fai a incasinare sempre tutto?- disse Hermione sorridendo.

Era quella la felicità, senza dubbio, si disse Ron, baciandola di nuovo e con slancio.

 

***

 

-Ed infine, mescoli quattro volte. In senso orario, con dolcezza.

La spiegazione di Draco s'era risolta con una lezione pratica, dal momento che Potter si distraeva con una facilità imbarazzante.

S'erano ritrovati a pasticciare con gli ingredienti, in piedi, chinati su un calderone in ottone, evocato da Draco.

-Sembrava molto più complicato, in effetti…- mormorò Harry, grattandosi la nuca e riempiendo l'ennesimo bicchiere di Incendiario, ad entrambi.

Erano quasi a metà della bottiglia ed i toni erano molto più rilassati, confidenziali, quasi.

Harry impugnò il cucchiaio di legno e un po' troppo energicamente compì un mezzo giro all'interno del calderone.

-Potter…con dolcezza, per Salazar!- disse Malfoy, prendendo la mano di Harry fra le sue, mostrandogli come mescolare l'antidoto.

La mano di Malfoy era morbida, contro la sua, aveva una presa salda e si muoveva quasi con inconsistenza, una calma rassicurante.

Harry sentì qualcosa all'altezza del petto, come se il tempo stesse scivolando in qualcuno degli altri mondi in cui del tempo non c'era bisogno. Come se quel calore fosse qualcosa mai provata prima, una sensazione troppo forte, che una volta provata l'avrebbe cambiato per sempre. Non riusciva a pensare a nulla, se non a quella mano contro la sua. Una parte di lui sperò che il quarto giro non dovesse arrivare mai. Invece arrivò e quella pace si infranse.

-Sei proprio una frana eh?- disse Malfoy, accanto a lui, vicino. Troppo vicino.

Harry abbassò lo sguardo, sentì le guance imporporarsi.

-Bene, adesso basta lasciarlo sul fuoco, a fiamma bassa per una decina di minuti.- disse suadente Draco, portando il bicchiere alle labbra.

Una volta bevuto poggiò il bicchiere sul tavolo, sedendosi nuovamente.

Harry lo imitò, poi bevve un sorso anche lui. Improvvisamente si ricordò della discussione con Hermione, guardò l'orologio: l'una e mezza passata.

Malfoy non si fece sfuggire quello sguardo, ed inevitabilmente fraintese.

-Me ne vado, Potter…non disturbarti a mandarmi via.- disse con cattiveria.

Harry riportò lo sguardo su di lui, e forse per l'alcool, forse per quel modo di fare così permaloso, si permise di sorridere.

-Malfoy, rilassati…stavo solo pensando a domani.- disse affabilmente il padrone di casa.

Malfoy si sorprese per quella risposta. Lo scrutò e non seppe trovare risposta.

Harry trovò affascinante quel suo saper leggere Malfoy, quand'era ubriaco, certo.

-Avremo una giornataccia. E forse, per la prima volta, potrò evitare una magra figura con questa roba di pozioni.  In più nel pomeriggio devo dare una sistemata alla casa…- disse Harry, parlando più a se stesso che al biondo.

Malfoy faceva fatica a seguirlo, e lo palesò inclinando di lato la testa. Chissà come ad Harry scappò un altro sorriso.

-Hermione…- sussurrò Harry, -Ha intenzione di organizzare una festa qui. Dice che sto troppo da solo e…beh. Verrai?

Adesso Draco lo guardava visibilmente stupido. Come fosse stato rapito dagli alieni, o spettatore di chissà quale acrobazia da circo.

Harry scoppiò a ridere, guadagnandosi uno sguardo ancora più stupito.

-Herm vuole invitare anche Zabini. Non sarai in un covo di Grifondoro pronti a farti la pelle, giuro!- disse Harry, portandosi una mano al petto, risultando molto comico.

-Aggiungi: lo giuro su Godric Grifondoro! Solo allora potrò crederti.- disse Draco, facendosi contagiare dal momento d'ilarità.

Harry lo guardò intensamente, improvvisamente serio.

-Malfoy, davvero…verrai?

Draco ricambiò lo sguardo ed alzò le spalle.

-Se non avrò di meglio da fare…- disse liquidando la questione.

-Per una volta, Malfoy. Potresti darmi una riposta? Per una volta.- rispose irritato Harry, ancora una volta senza un apparente motivo.

Forse lo infastidiva sentire il suo ospite così altalenate: un momento prima erano così vicini, così in confidenza da sembrare amici da secoli e adesso? Malfoy era sfuggente come l'acqua.

Malfoy bevve l'ultimo sorso, sul fondo del bicchiere, poi si leccò le labbra e sussurrò con una serietà ed una calma mai vista prima:

-Verrò.

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Capitolo 11
*** L'ambizione dell'Axolotl ***


XI L’ambizione dell’Axolotl

 

 

"L’axolotl è un tipo di salamandra
Con una straordinaria capacità di rigenerarsi.
Se perde una zampa, ne fa
Crescere immediatamente un’altra.
È in grado persino di rigenerare i suoi organi,
Compresi occhi, cervello e cuore.
Il suo potere di autoguarigione è in pratica,
Perfetto.
Ma alla fine poi muore.”

 
 
Erano le tre di pomeriggio e Draco non ne poteva già più. Quel giorno la lezione di Wang sembrava essersi cristallizzata in un non-tempo: come se tra i granelli di sabbia, quelli della clessidra tra le mani di Kronos, si fosse formato un grumo. Quel groviglio di eventi incombeva al centro della clessidra, e Kronos sembrava non essersene accorto.

Draco si carezzava col pollice quel filo di barba che aveva sorpreso sul suo viso, pensando palesemente ai fatti suoi. Non era da lui distrarsi durante una lezione, ma la storia evolutiva delle cure magiche era davvero troppo per lui. Aveva così improvvisamente notato quanto fossero affascinanti le venature del tavolo a cui era seduto. Non che quell’insolita passione l’avesse travolto per più di un minuto netto, ma aveva già perso il filo del discorso, tanto valeva continuare a rincorrere unicorni. Accanto a lui, Potter scarabocchiava geroglifici degni di Nefertiti. Draco si trovò ad osservarlo, e chissà come a far il punto della situazione. Era da sempre stato una persona riflessiva, che tendeva a rimuginare sulle cose, a mettersi in pari col destino, guardando al passato. Inutile dire che, purtroppo, era sua abitudine ripercorrere gli eventi nei momenti meno indicati.
Impugnò la piuma e scrisse elegantemente a margine della pergamena:

28 ottobre

 
Da quella data, quella che stava vivendo, avrebbe ripercorso tutto all’indietro, identificando problemi e possibili soluzioni. Sì, avrebbe funzionato. Funzionava sempre.
Poggiò il mento sul dorso della mano e guardò nel vuoto, mentre i ricordi si assemblavano nella sua mente, oltre ciò che sembrava star fissando.

Narcissa che lo lasciava, la casa vuota, il silenzio di quella sera, Blaise che poggiava la sua mano sul bracciolo della duchesse. Un brivido gli percorse la spina dorsale, ma Draco lo scacciò inspirando profondamente. Ecco il primo guaio, si disse, trovare casa, fare il trasloco.
Il Ministero, membri del Wizengamot tra i libri della biblioteca al Manor, le loro mani intruse fra le sue cose, i loro numeri e le vocette stridule, gli occhiali che scivolavano sul naso di quel tipo grassoccio, ed una pergamena fitta fitta di conti. Ecco il secondo impiccio, il pignoramento, i debiti.
L’addestramento Auror, gli esercizi, le lezioni, gli allenamenti che sarebbero cominciati di lì a pochi giorni, il primo mese trascorso inesorabile, il sentirsi inadeguato, il trovarsi invischiato in quella situazione, la voce di Shacklebolt, lui che barattava il suo futuro con la libertà di suo padre. Ecco qui, la frittata era fatta.
Tutti i pezzi al loro dannatissimo posto, incastrati come in un puzzle. Incastrati come lui.

Poi c’erano delle contingenze che rendevano il puzzle grottesco e nauseante, tipo il paesaggio del puzzle che Draco si sforzava di ricreare. Tipo Potter accanto a lui, Potter che faceva il bravo partner, che gli stava col fiato sul collo e che sembrava essere l’unica sua valvola di sfogo. L’unico con cui poter mantenere la facciata, nonostante il palazzo fosse stato raso al suolo. Potter con quella sua faccia da schiaffi e quel suo trasalire in continuazione, o quel disagio tra loro che Potter si ostinava a nascondere, senza il minimo successo. Potter che…

-Vuoi mettere radici, Malfoy?
Potter che gli metteva la mano sul braccio, in quel momento, facendogli perdere il filo del discorso e strappandolo alla sua sanità mentale.
-La lezione è finita.- diceva Potter, per l’appunto, sventolandogli con poca grazia la mano davanti agli occhi. L’aula era ormai deserta, a parte per gli ultimi studenti che chiacchieravano poco fuori dalla porta.
Draco alzò gli occhi al cielo, poi raccolse le sue cose e le mise ordinatamente nella borsa di pelle nera lucida. Poi si alzò, sistemò il mantello sulle spalle e fece per uscire.
Dannato, dannatissimo Potter che adesso gli strattonava l’orlo del mantello, per trattenerlo.
Poi Draco fece una cosa stupida, si voltò.
Gli occhi di Potter gli scavavano dentro: come quel brivido di quella sera, come quelle mani intruse fra le sue cose, come quel sentirsi fuori posto.
-Che diavolo ti prende, adesso?- ringhiò Potter fra i denti, con un smorfia di…risentimento?
Draco alzò le spalle, mettendo su la maschera, di nuovo, dopo un attimo d’esitazione. Rigenerando quel ghigno beffardo, dove prima sembrava esserci un taglio amaro.

Non rispose, si limitò ad avvicinarsi a Potter, che aveva lasciato sul suo mantello delle sgradevoli pieghe. Ecco cosa faceva Potter alla sua vita, la afferrava e la spiegazzava qui e lì, di modo che fosse ben visibile. E Draco si sorprese a fissare le pieghe sulla stoffa, e a dirsi che non gli dispiaceva quell’ondina che dava movimento all’orlo argentato del suo mantello.
-Sei schifosamente lunatico, Malfoy. Mi stai facendo impazzire. Io non so come mai comportarmi, cosa dire. Voglio dire io…-Potter era un fiume in piena, gesticolava, le guance congestionate, sembrava quasi in apnea.
-Io ci sto provando. Non sono la persona più felice al mondo ma…Ci sto provando ad andarti a genio, a tollerare le tue stravaganze e a cercare di dimenticare il passato, di convincermi che ho un’altra persona davanti ma…Malfoy, diavolo, fa’ qualche sforzo anche tu perché…-
Le dita di Draco raggiunsero quelle labbra, zittendole. Non sapeva quale strano impulso l’avesse portato a zittire Potter a quel modo, invece che con le sue solite battute acide. Non sapeva cosa trovasse di piacevole in quel calore sui suoi polpastrelli, non sapeva cosa fosse quell’energia tra le sue dita e le labbra di Potter.
Gli occhi dell’altro non scavavano più, erano persi e interrogativi.
-Ho mal di testa, Potter. Ed ho fame, andiamo a pranzo.
Quasi non riconobbe la sua voce, ma si complimentò con se stesso, per essere riuscito a salvarsi la pelle, ancora una volta.
 
***

Hermione, in anticipo rispetto al proprio turno, fissava i cartoncini color crema comprati quella mattina e riempiti da un'elegante calligrafia. Era sicura di aver dimenticato qualcosa eppure gli inviti erano in bella mostra fra le sue mani. La lista della roba da comprare era affissa sull’anta dell’armadietto metallico, c’erano già bicchieri e piatti colorati e rimpiccioliti fra gli scaffali. Tutto sembrava al proprio posto, così annuì decisa e chiuse magicamente l’armadietto. Zabini era seduto sulla panca di fronte gli armadietti ed Hermione trasalì per la sorpresa.

-Buon pomeriggio, Granger.- disse Blaise nascondendo un sorriso. Hermione fece un cenno col capo e sorrise apertamente. Nell’ultimo periodo aveva rivalutato Zabini e sospettava che anche il ragazzo avesse formulato un simile giudizio nei suoi confronti.
-A te, Zabini. Che reparto oggi?
-Terzo piano, un gioioso pomeriggio di avvelenamenti da pozioni. A te cosa tocca?- rispose Zabini, abbottonandosi il camice meticolosamente.
-Oh, sublimi le lesioni da manufatti: ritorni di fiamma di bacchette, esplosioni di calderoni, scontri tra scope e quei divertenti imprevisti magici…

Zabini fece un mezzo sorriso annuendo, poi la guardò accigliandosi. Hermione inclinò il volto da una parte, sorpresa da quella reazione. Poi Zabini allungò la mano verso il suo camice e con un movimento impercettibile, perfettamente calcolato, lasciò scivolare qualcosa nel suo taschino, proprio sul seno. Per un attimo ad Hermione si spezzò il respiro.
Poi Zabini tornò a sorridere, cristallino.
-Avevi dimenticato il ricostituente.- disse Zabini alzando le spalle.
Hermione arrossì lievemente e tolse abilmente le castagne dal fuoco:
-Oh, non solo quello! Aspetta un secondo…

Aprì velocemente l’armadietto e ne tirò fuori uno di quei cartoncini, tendendolo a Zabini, con poche cerimonie.
-Harry ha organizzato una serata a casa sua, sarà tra un paio di giorni. Niente di sfarzoso, cioè non è una festa in grande. Giusto un paio d’amici…Ecco, Harry inviterà Malfoy, e pensavo fosse corretto invitarti così…- come sempre, quando s’agitava cominciava a mettere mille parole una dietro l’altra e tendeva a diventare logorroica.
-Granger, stai per andare in iperventilazione, e dobbiamo farci trovare in reparto, praticamente…adesso. Ne parliamo dopo, sì?- disse Zabini lasciando scivolare l’invito in una delle tasche laterali del camice. Hermione deglutì ed annuendo guardò l’orologio da polso:
-Sì, in effetti…tra una cosa e l’altra s’è fatto tardi ed arriveremo in ritardo se non…- alzò lo sguardo, quando sentì la porta dello spogliatoio richiudersi. Zabini era già uscito.
 
***

-Cosa credi di fare?
-Credo di proteggerli, credo di proteggere te…è l’unica idea che abbiamo, è la migliore ed è mia, mi piacerebbe la rispettassi.
-Beh, la tua idea fa schifo.
La barba scura sfrega sulla cicatrice di quella guancia, stringendo quel corpo stanco.
-Non fare l’eroe, non farlo. Io…- il singhiozzo si perde sulla clavicola dell’altro.
-Shhhh…Tornerò, te lo prometto. Non faccio l’eroe, faccio ciò che è giusto. Li depisteremo, funzionerà.
Gli occhi d’argento schivano le lacrime, accarezzando quella schiena curva.
-Farà male, ma tornerò. Tieni il mio diario. Leggilo, farà meno male.
-È questo che ci rimane? Delle righe scritte su una pagina?- la voce si incrina di nuovo, coperta dal crepitio del camino.
Una mano artiglia delle dita, se le porta sul petto. Un battito impetuoso, vivo e caldo:
-No, è questo che ci rimane, e dobbiamo lottare per mantenerlo.
 
***
 
Si trovarono su quella panchina, quella che durante tutta l’estate aveva diviso con Ron, ed era strano non provare nessuna stranezza in quel quadretto, che solo un mese prima sarebbe stato esilarante. Avevano mangiato un tramezzino al volo, camminando per Diagon Alley, sotto un cielo carico di una pioggia che si faceva attendere. Erano stati per lo più in silenzio, il ronzare dei pensieri di Malfoy sembrava parlare per entrambi. Poi Harry si stiracchiò, attirando l’attenzione dell’altro, fino ad allora concentrato sul cielo cupo e denso di nubi.

-Non sono lunatico…- smozzicò Malfoy, guardandolo circospetto.
Harry inarcò un sopracciglio, fissando l’espressione cauta del ragazzo di fronte a lui.
-Sono un milione di cose, Potter, ma non contemplo l’essere lunatico.
-Ah no? Oggi non mi hai rivolto parola, mi fissi come se potessi guardarmi attraverso, neanche fossi Nick-quasi-senza-testa. Ieri sera eri a casa mia e non hai fatto che parlare, aiutarmi perfino…Io non ti capisco, Malfoy.- sbottò Harry, sulla difensiva.
Malfoy tornò a guardare il cielo, mentre un gelido vento di tramontana faceva rabbrividire entrambi sulla panchina.
-Non è un buon periodo, Potter. Ho solo troppa roba per la testa, per preoccuparmi delle mie relazioni col mondo o di come questo possa percepirmi.- disse Malfoy, come parlando a se stesso.

Harry fu inchiodato da quella risposta. Non aveva mai pensato che Malfoy potesse davvero fregarsene del mondo, cioè…era Malfoy. Le sue prerogative si riducevano a due obiettivi: che tutti gli occhi fossero su di lui e che ci fossero per ammirarlo. Di lì ad essere talmente disinteressato da riuscire persino a dirlo ad alta voce, ed a lui…Proprio non se l’aspettava. Rimase senza parole, mentre Malfoy continuò a parlare, sebbene nessuno glielo avesse chiesto.

-So che siamo partner, che è una situazione scomoda per entrambi e che dobbiamo collaborare. Che questa cosa non piaccia né a me né a te, non sembra essere rilevante. Dobbiamo andare d’accordo. E per farlo dobbiamo darci degli obiettivi e concentrarci su quelli, almeno non ci daremo addosso.
Malfoy sembrava improvvisamente ragionevole, amichevole forse. Ed aveva assolutamente senso quello che stava dicendo, era giusto ed Harry, seppur con fatica, annuì trovandosi d’accordo.
-Io non voglio sapere dei tuoi problemi con la tua ragazza, o con la sua famiglia. Non voglio sapere dei tuoi incubi, delle tue certezze, né dei tuoi amici. Non voglio conoscerti, Potter.- disse Malfoy, neutro e senza scherno. –E non voglio che tu sappia nulla di me, non voglio che tu voglia conoscermi, se mi spiego. Ma purtroppo, neanche ciò che vogliamo sembra essere rilevante. Ed il conoscersi sarà inevitabile, dato che lavoreremo insieme. Non per questo dobbiamo stabilire un giorno della settimana da dedicare alle confidenze, o a tutto quel genere di roba da dementi.

La sensatezza di Malfoy assumeva sempre più una logica schiacciante. Harry annuì di nuovo, cercando di non rimanere a bocca aperta.
-Dunque, Potter, queste sono le regole. Mi aspetto che tu le rispetti, e che tu mi lasci i miei spazi, evitando exploits come il precedente sul mio essere lunatico.
-D’accordo. Hai ragione, Malfoy.- disse Harry, troppo frastornato da quella valanga di razionalità, che gli opprimeva la mente, impedendogli di ribattere a tono.
-Ottimo…quanto a quegli obiettivi. Ricordi cosa disse la Chappels, alla prima lezione di duello?- chiese Malfoy, guardandolo con una luce diversa negli occhi.
-Volenti o nolenti collaborerete?- rispose Harry incerto, mentre cercava di identificare quel bagliore nel mercurio che lo scrutava guardingo.
- Ai due più meritevoli sarà data la possibilità di un'esperienza diretta sul campo- citò Malfoy, con un’esattezza inquietante.
Harry capì cos’era quel guizzo negli occhi di Malfoy esattamente in quell’istante: ambizione, tutta Serpeverde.
-Saremo noi a fare quell’esperienza sul campo. Saremo i migliori, Potter. Ecco il nostro obiettivo.
 

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Capitolo 12
*** Binario ***


XII Binario.

 
"Magari qualcosa,
una moneta che cade,
un piccolo braccialetto che si impiglia alla maglia di qualcuno,
uno scontrino che scivola via,
cambia il destino di una persona.
E quella persona, per un piccolo, banalissimo gesto,
non farà più le stesse cose che
avrebbe fatto invece se quel gesto non si fosse verificato.
E la sua vita prende un altro binario.
Magari per sempre. Magari per un po’ soltanto. Chissà.”
 
Stefano Benni.
 
 
Ad Harry non era mai piaciuta la domenica. La domenica, quand’era piccolo, significava avere tutto il giorno zio Vernon sul divano a sbraitargli insulti intervallati ad ordini perentori, dal momento che la domenica non si doveva lavorare. Significava far da pungiball a Dudley per gran parte della mattinata, oltre che per tutto il pomeriggio, dal momento che la domenica non si doveva andare a scuola. Significava sorbire le occhiate malevole di zia Petunia in cucina per tutta la benedetta giornata, dal momento che le amiche del bridge dovevano preparare i loro pranzetti borghesi la domenica.
Harry riusciva a tirare il fiato solo per due ore al massimo: quelle della Messa, alla quale i Dursley non mancavano mai di andare, da bravissime persone quali erano. Ma purtroppo per lui, i suoi cari parenti spesso sceglievano il sabato per andar a sciacquarsi la coscienza. E Amen.
 
 
Harry aveva cominciato a rivalutare la domenica solo ad Hogwarts, come per la maggior parte delle cose, per la verità, tipo il Natale, o il suo compleanno. Ed Halloween, ovviamente.
Prima non gli era permesso festeggiare Halloween, mentre ad Hogwarts, beh…era tutta un’altra storia.
Ma quel giorno, il 31 di ottobre, già dalle 8.15, Harry ebbe proprio l’impressione che le abitudini dell’infanzia erano dure a morire. La domenica, ed Halloween, erano tornati accettabilmente detestabili.
 
Hermione, dopo avergli scritto la sera prima, era arrivata alle otto in punto come da programma, trascinando Ron per la sciarpa. Aveva fatto uno dei suoi ingressi in pompa magna, come era sua abitudine: irrompeva nella stanza con le fatidiche parole, e neanche questa volta si sarebbe smentita, Harry lo sapeva già.
-Ho un ottimo piano!- esclamò, infatti, prima ancora di dare il buon giorno al malcapitato padrone di casa.
Harry, ancora in pigiama, in cima alle scale, la guardava come si guarda il boia appena dopo una sentenza di morte.
E Amen.
 
***
 
Blaise tamburellava con le dita sul tovagliato color crema, spazientito dal prevedibilissimo ritardo dei suoi migliori amici. Per la quarta volta gettò un’occhiata all’orologio da polso. Erano già le 11, ovvero i due screanzati avevano già accumulato ben un’ora e mezza di ritardo.
Il cameriere continuava a elargire grandi sorrisi, e lui continuava a scusarsi e a farsi riempire la teiera di acqua che puntualmente si raffreddava senza che nessuno la bevesse.
Blaise riprese a leggere il grosso tomo di anatomagia, quando il cameriere attirò la sua attenzione schiarendosi la gola:
-Signor Zabini, mi voglia scusare. Il Signor Malfoy e la Signorina Parkinson sono appena arrivati. Li faccio accomodare subito, Signore.
-La ringrazio infinitamente, Gregory.
L’anziano cameriere fece un elegante inchino e si allontanò con un sorriso bonario. Blaise rimpicciolì il libro tra le sue mani e lo ripose nella tasca del suo mantello, mollemente appoggiato allo schienale della sedia, giusto in tempo per sobbalzare:
-Blaise, tesoro, che piacere vederti!- squillò la vivace voce della sua migliore amica, avvolta in uno sgargiante tailleur viola, che poco lasciava all’immaginazione.
-Pansy…- rispose il ragazzo, alzandosi e baciandola sulle guance: -Tanti auguri!
Draco, poco dietro la ragazza, stava abbandonando il suo mantello sulla sedia di fronte quella sulla quale era seduto Blaise un attimo prima.
-Oh, grazie…Spero di non averti fatto aspettare troppo, caro!- continuò la ragazza sfarfallando le ciglia e mettendo il suo tipico broncio, che per l’occasione era di un brillante porpora.
-Non meno del solito, comunque.- disse Draco con un ghigno, accomodandosi.
-Guarda che sei in ritardo anche tu, eh! E poi io posso permettermelo, sono la festeggiata!- disse la ragazza dedicandogli una linguaccia infantile.
-Gli anni passano, mia cara Pansy, ma non per te, pare!- esclamò Blaise divertito.
Seguì una risata dei due ragazzi, che si meritarono un’altra rispettabilissima linguaccia.
 
***
Hermione aveva messo due scatoloni enormi rispettivamente tra le mani di Harry e Ron, raccomandandosi di “fare del loro meglio”, e poi era sparita in cucina.
-Credo che la mamma le abbia dato qualche dritta…- aveva detto Ron affranto quasi quanto il padrone di casa.
Una volta aperti gli scatoloni il loro morale era sceso ben al disotto del livello del mare: lugubri festoni, finte ragnatele, enormi ragni –qui Ron aveva emesso un ululato poco virile-, e tutta una serie di cianfrusaglie che Hermione aveva diligentemente etichettato come “decorazioni”. C’erano addirittura dei palloncini a forma di teschio, o dei teschi resi palloncini dalla magia, Harry preferiva non indagare oltre.
Le originalissime decorazioni di Herm avevano un’altra brillante peculiarità, che fece rabbrividire gli auror in erba: si muovevano, come avessero vita propria.
-Li ho incantati, sapete? Per renderli verosimili e…ho un’altra sorpresa!- disse Hermione, con le braccia ingombre di candele dalla dubbia provenienza.
Le gettò per terra di fronte al camino e tirò fuori la bacchetta. Ron esplose di meraviglia quando queste, all’improvviso, si accesero proprio lì, sul tappeto. Mentre nella mente di Harry s’era già dipinto il titolo della prima pagina del Profeta, che piangeva le loro morti.
Invece, inaspettatamente, una volta accese, le candele vorticarono ed ordinatamente andarono a disporsi a qualche centimetro dal soffitto, fluttuando leggiadre.
-Proprio come nella Sala Grande, ricordate? Solo che queste non si muovono, dato che il salotto è meno ampio e rischieremmo di…
Ron interruppe Hermione, a bocca aperta:
-Miseriaccia! Per Merlino è stupefacente!
Harry era altrettanto meravigliato, ma il pensiero dei teschi-palloncini lo disturbava ancora troppo per poterlo dar a vedere.
-Ho già provveduto alla cena: di là in cucina, è tutto all’opera. Ho incantato le pentole e non dovrebbero esserci problemi, anche se andrò a controllare di tanto in tanto. Adesso, andiamo a noi: decoriamo come si deve questa casa. Dovrà avere un’atmosfera sinistrissima!- disse Hermione entusiasta e battendo le mani.
-Herm, questa casa ha già un’aria inquietante…- tentò di protestare Harry.
Ma l’amica, arrotolandosi una ragnatela al collo e acchiappando quanti più festoni potesse, aveva già evocato scale a pioli e s’era arrampicata. Harry cercò l’appoggio di Ron, ma quello con aria adorante continuava a ripetere:
-Stupefacente…stupefacente…Merlino è…
-Stupefacente, Ronald, abbiamo capito! Muoviti e aiuta Harry a metter le ragnatele sui mobili! Anche sulle poltrone e sui divani, mi raccomando!!
Harry era afflitto. Decise formalmente che detestava Halloween, soprattutto se era di domenica.
 
***
A conti fatti, pensò Draco, era da più di un mese che non si vedevano tutti insieme, come ai vecchi tempi, e non riusciva a dire quanto la compagnia di Blaise e Pansy gli fosse mancata. Davanti alle tazze fumanti di thé, magistralmente corretto dal buon vecchio Gregory, si raccontarono le ultime novità: oltre al gossip di rito sui loro ex-compagni, parlarono anche del lavoro di Pansy, che volle “assolutamente sapere” del tirocinio di Blaise, e delle lezioni di Draco.
A Blaise sfuggì inavvertitamente del trasloco, del quale Draco non s’era ancora minimamente preoccupato, e come al solito Pansy partì in quarta. Passò una buona mezz’ora a decantare le doti degli appartamenti in Diagon Alley, dove lei aveva preso una camera in affitto. Da più di tre mesi, disse, viveva in un bilocale che divideva con una strega attempata, la quale era talmente stordita da parlare solo col gatto, quando non era impegnata a dormire o a far esplodere le cose, dal momento che non ricordava neppure gli incantesimi di base.
-Non ricorda neppure come si chiami, credetemi. E a volte dimentica pure ch’io abiti lì. L’ultima volta l’ho trovata a far sparire i mobili della mia camera, perché svecchiare la stanza per Mr. Shey, il suo gattaccio. Crede che sia il figlio animagus, la vecchia babbiona!- concluse Pansy ridendo.
Blaise si ripropose di passare da lei per una visita d’accertamento e riportò il discorso sul trasloco, cosa che irritò non poco Draco.
-Dovresti far un giro per la Londra Babbana. Gli affitti sono meno dispendiosi della Londra Magica, e si trovano appartamenti lussuosi a prezzi bassissimi.- disse Blaise accomodante.
-Oh, potremmo accompagnarti in giro a cercare casa! Sarebbe favoloso!- esclamò tutta eccitata Pansy.
Draco sospirò prima di smozzicare un poco comprensibile “si vedrà…”.
-Dite un po’, invece…avete programmi per questa sera? Voglio festeggiare degnamente il mio sfavillante diciannovesimo compleanno!- disse Pansy, cambiando nuovamente e bruscamente discorso.
Draco e Blaise si scambiarono uno sguardo colpevole.
-Abbiamo un party in programma, e avrei proprio bisogno di un’accompagnatrice. Non reggerei una delle imbecilli del corso di medimagia…- disse Blaise con fare casuale.
-Blaise, sciocco! La tua amica Pansy deve sempre tirarti fuori dai guai eh? Ah, che triste destino, il mio!- sbottò la ragazza, in una delle sue migliori interpretazioni melodrammatiche.
Draco sorrise, guardando Blaise negli occhi con riconoscenza.
S’era completamente dimenticato del compleanno di Pansy, ed era stato Blaise, il giorno prima, a proporre l’incontro per farle gli auguri. In più si era anche occupato del regalo.
-Non era già abbastanza triste per una giovane strega esser nata il giorno di Halloween? No, eh? Pure un amico impedito dovevo trovarmi? Ah, Morgana, abbi pietà di quest’anima!
Pansy, una mano sul cuore ed una sulla fronte, continuava con il dramma della sua vita, attirando le risate dei camerieri che riempivano il vassoio di pasticcini.
Non si accorse di Draco che bisbigliava:
-Portare Pansy da Potter?
Né di Blaise che annuiva furtivamente e rispondeva in un sussurro:
-La Granger mi ha concesso di portare qualcuno.
Quando Pansy giunse all’epilogo della propria personalissima tragedia, li guardò sorridendo e disse:
-E chi ha avuto la brillante idea di questo party?
A Draco morì il sorriso sulle labbra.
 
***
Avevano lavorato per più di quattro ore, per rendere quella casa già orribile una vera e propria casa degli orrori. Harry era sfinito e non poteva nemmeno gettarsi sul divano, o Hermione lo avrebbe ammonito per aver rovinato le ragnatele.
-Ottimo lavoro, ragazzi!- disse Hermione, uscendo dalla cucina e dalla quale scappò una scia succulenta di pasticcio di rognone.
-Anche la cena dovrebbe essere pronta, con gli antipasti e il primo ci siamo, d’altronde sarà un buffet disimpegnato. I tuoi colleghi, Ronald, porteranno da bere, giusto?- disse Herm camminando avanti e indietro, senza attendere risposta dal suo ragazzo continuò: -Del dolce se n’è occupata Molly, devo assolutamente ricordarmi di ringraziarla ancora una volta…
Hermione era un fiume in piena e niente sembrava arrestarla.
Ron la guardava estasiato, rapito persino, ma fortunatamente aveva smesso di ripetere aggettivi a casaccio.
-Hermione, non credi di aver un po’ esagerato?- disse Harry, guardandosi intorno inorridito.
-Harry, saremmo una ventina di persone, non vorrai farci digiunare!- disse scandalizzata Hermione, il ché gli ricordò molto la signora Weasley.
-Una ventina di persone?- chiese Ronald, appoggiandosi ad uno degli scaffali della libreria sulla quale troneggiava una grossa zucca arancione.
-Un paio dei colleghi di Ronald, mi pare abbiano accettato l’invito in quattro. Dean, Neville, Seamus, Calì, sua sorella e Lavanda. Poi c’è Blaise, e un’eventuale accompagnatrice…Uhm, dimentico sicuramente qualcuno. Oh, Harry, chi dei tuoi colleghi ha accettato?
Harry s’incupì, improvvisamente. Hermione s’era occupata di tutto, dalla cena, alle decorazioni e persino degli inviti.
-Oh, sì ora ricordo! Quella ragazza, molto simpatica: Nemson? Poi Nisson. Oh è anche O’Brian, che è venuto a ringraziarmi dell’invito di persona, mi ricorda tanto Neville, credo diventeranno ottimi amici, sapete? E poi…
A Ron cominciava a girare la testa con tutto quel chiacchierare di Hermione, e scoppiò a ridere, mettendole una mano sulla bocca con tenerezza.
-Malfoy.- disse lapidario Harry, guardando quei due battibeccare come una vecchia coppia sposata.
Sarebbe stata la fine.
 
***
Pansy non aveva preso poi tanto male la notizia del party organizzato da niente meno che la combriccola dei Grifondoro. Forse perché l’informazione era giunta mentre scartava il suo regalo: un abitino molto elegante color malva, che disse avrebbe indossato la sera stessa.
-Oh, sarà l’occasione giusta per far girare la testa a qualcuno!- disse enigmatica, prima che Draco le facesse notare della possibilità di fare la famosa intervista a Potter.
-Oh no, caro il mio principino! Questa sera niente lavoro, per nessuno di noi, chiaro?- disse autorevole la festeggiata: - E quando mi ubriacherò, perché mi ubriaco sempre ad una festa, Signor Zabini, non mi faccia da medimago, ma alzi il calice con me!
Blaise alzò le spalle sorridendo.
Restarono ancora un po’ a chiacchierare, finché Pansy non agguantò il polso di Draco per rendersi conto che era in “scandaloso ritardo!”.
-Ragazzacci, dite pure che il piano era farmi tardare alla mia cura di bellezza settimanale!- disse alzandosi in tutta fretta.
Blaise l’aiutò con il mantello e le diede un bacio sulla guancia:
-Vengo a prenderti per le sette e trenta.- disse sorridendole.
Poi Pansy salutò con una carezza Draco, infastidendolo, come a lei piaceva tanto fare, e guadagnandosi un mugugno.
-Allora a più tardi, tesori!- disse, e prima di smaterializzarsi fece un occhiolino ad uno dei camerieri più giovani.
-Pansy…è sempre la solita!- disse Blaise con affetto.
Draco annuì, mescolando il suo thé.
Era stato per lo più in disparte, ed in silenzio, come assente, cosa che l’amico non aveva potuto far a meno di notare.
-Dì un po’…va tutto bene?
-Bien sur, Blaise!- rispose Draco sarcastico e rispolverando il suo francese.
-Dovresti venire a star da me per un po’, che ne dici? Certo l’appartamento non è una reggia, ma possiamo adattarci…
-Blaise, ça suffit. Non mi va di parlare di appartamenti, di traslochi e quant’altro, ok? S’è già detto con Pansy che andremo a dare un’occhiata, in questi giorni…- lo interruppe il biondo, ma senza rabbia o cattiveria.
Aveva un’aria pensierosa e forse un po’ stanca.
-D’accordo. Di che vuoi parlare allora, mmh?
Blaise suonò leggermente risentito, sebbene non fosse sua intenzione, e questo portò Draco ad alzare lo sguardo e a rivolgergli un sorriso, come a sottolineare che tutto andava bene.
-Non di me, mon chèr. Anzi, vorrei chiederti come procedono le cose con la nostra Pansy!
Blaise rimase sorpreso da quella brusca virata. Le cose tra lui e Pansy erano sempre state un po’ contorte, e Draco era stato di certo il primo ad accorgersene, ma ben presto avevano raggiunto un punto morto.
-Si potrebbe dire che non procedono, affatto. Si vede con qualcuno. Ma non chiedermi chi è, non me lo direbbe, si è limitata a dirmi che esce con qualcuno della redazione.
Draco alzò le sopracciglia, sorpreso e comprendendo quanto l’amico potesse essere rimasto interdetto. Dire che Pansy lo avesse ferito era qualcosa di troppo, di certo Blaise ne era deluso, ma ben conosceva la superficialità della ragazza, quindi non aveva dato peso alla cosa…all’inizio.
-Tu, invece? Potter?- chiese Blaise, ribaltando la situazione per non dover parlare di Pansy e del loro rapporto.
-Mah…Sembra che abbiamo trovato un compromesso. Ho dato ad entrambi un obiettivo, così non ci staremo addosso né troppo tra i piedi. Credo sia la cosa più giusta, dato che ora come ora non si possono cambiare le carte in tavola.- rispose sommariamente Draco, con noncuranza.
-Un obiettivo, eh? Mmh, è molto da te, in effetti. Anche con Theodore avevi adottato la stessa strategia, no? E poi com’è finita?- disse divertito Blaise.
Draco gli lanciò un’occhiataccia, che fece raggelare il ragazzo di fronte a lui. La sua voce suonò dura e glaciale quando chiese:
-Cosa stai insinuando, esattamente?
Blaise portò le mani avanti e sorrise amichevolmente, come a scusarsi. Non era il caso di scherzare su Potter, Zabini lo aveva recepito.
-Niente, dicevo per dire, non ti scaldare.
-Potter non è Theo.- chiuse il discorso Draco.
 
***
Quando suonò il campanello, Harry seppe che era l’inizio della fine. Erano le sette e mezza in punto, ed Hermione lo trascinò all’ingresso ad accogliere i primi invitati, mentre Ronald con un colpo di bacchetta sistemò gli antipasti di zucca sulla tavolata imbandita al centro della sala da pranzo.
Una volta aperta la porta, Harry si ritrovò sommerso da una serie di abbracci e di pacche sulle spalle: Dean, Seamus, Calì, Padma, Lavanda…Non sapeva chi lo avesse baciato sulla guancia e chi lo avesse stritolato. Ebbe l’impressione di avere il viso impiastricciato dei più vari lucidalabbra. Si passò una mano sulla parte appiccicosamente lesa e cercò di ripulirsi, sforzandosi di sorridere. Non fece in tempo a liberarsi di quella sgradevole sostanza che le ragazze si ostinavano a schiaffare sulle loro labbra che bussarono di nuovo. Era la volta di Jay, che fortunatamente non usava rossetti o roba varia, di Nisson e di O’Brian. Hermione intanto stava scortando gli altri in salotto, dove avrebbe servito un ponce di zucca e delle tartine. Prima ancora che Harry si fosse abituato a quella baraonda accompagnando i colleghi, il campanello lo fece sobbalzare di nuovo. Visibilmente trafelato corse Ron in suo soccorso, anche lui doveva essere sfuggito alle grinfie delle arpie col rossetto! Harry si sentì sollevato nel vederlo affrettarsi verso di lui, quasi si dimenticò del campanello che tintinnava con insistenza alle sue spalle, immaginando Ron che lo supplicava di scappare e di elaborare un brillante piano per farlo. No, non andò così.
-Harry, miseriaccia, apri la porta! Devono essere i miei colleghi!- disse Ron contrariato.
Non sbagliava infatti. Quattro ragazzi entrarono in casa, eccedendo in sorrisi e accatastando nomi e cognomi che Harry ebbe dimenticato nel momento stesso in cui uno di loro disse:
-Merlino, il grandissimo Harry Potter!
Era stata una pessima, pessima, pessima idea.
Ron rise e indicò loro la strada per il salotto, mentre costringeva Harry a sorridere e a seguirlo.
Quello che seguì fu un chiacchiericcio terrificante alle orecchie di Harry, fatto di presentazioni, frasi di circostanza su quanto fosse accogliente casa sua, un masticare incessante di tartine e un gorgogliare di gole che trangugiavano succo di zucca e ponce.
L’unica via di fuga era la cucina, nella quale Harry si ritirò ben volentieri, mentre Hermione parlava con Calì o con Padma, non le aveva mai distinte.
Una volta in cucina, Harry si versò una burrobirra e sospirò affranto. Guardò il vecchio orologio, domandandosi quando sarebbe finita tutta quella messa in scena, e quanto avrebbe ancora dovuto sopportare.
Non gli era mai piaciuto stare in mezzo alla gente, e poco tollerava il chiasso delle feste, a dispetto di quel che si potesse pensare. Ma era stato costretto da Hermione, forse per darle un contentino, dato che non passavano più molto tempo insieme loro tre. Di certo Harry avrebbe preferito una serata tranquilla solo con i suoi amici di sempre, invece sembrava di chiedere troppo.
-Harry! La porta! Herm dice che dovresti andare tu ad accogliere gli ospiti!- gli urlò Ron, come se lo stesse chiamando da un po’.Harry si riscosse, guardando l’amico, come se non lo vedesse ed annuì poco convinto.
Arrivare all’ingresso non fu facile, dovendo salutare ancora una volta, fare le ennesime presentazioni, sorbirsi qualche battuta di Dean e Seamus, e salvare Neville dall’inciampare in qualsiasi cosa.
Quando aprì la porta si ritrovò faccia a faccia con un elegantissimo Zabini, in un completo scuro, e con una sfavillante Parkinson, avvolta da un vestito che poco lasciava all’imaginazione.
-Ehm…benvenuti, credo…Io…- si rese conto di non aver niente da dire, e rimase imbabolato a guardare Zabini negli occhi, come se lo incontrasse per la prima volta.
-Ti ringraziamo per l’invito, Potter. Molto carino da parte tua, organizzare una festa per il mio compleanno!- disse Pansy, civettuola e con una voce di velluto. Poi gli mise una mano smaltata sul petto e lo spostò dall’uscio gentilmente, per riuscire ad entrare.
-A-auguri…- disse Harry, che come estraniato da suo corpo si fece manovrare dalla ragazza. Poco dopo anche Zabini varcò la stessa soglia con un cenno del capo.
-Zabini! Ce l’hai fatta! Oh, è fantastico!
La voce entusiasta di Hermione, appena arrivata all’ingresso, fece rinvenire Harry dalla situazione irreale a cui aveva assistito.
Richiuse la porta e seguì gli altri tre in salotto.
Una vocina nella sua testa, intanto, continuava a propinargli interrogativi che lui voleva fingere di non sentire.
 
***
 
Harry non ricordava di avere tutti quei calici, né tanto meno quelle strane brocche di quel verde smeraldo, il cui manico era a forma di serpente. Era convinto di aver buttato tutto ciò che ricordasse anche alla lontana il passato fin troppo Serpeverde di quella casa. Se ne stava addossato alla parete, sorseggiando burrobirra e scambiando ogni tanto qualche battuta con qualche ospite che saliva per le scale in cerca del bagno.
Aveva fatto giurare ad Hermione di sigillare tutte le porte, soprattutto quelle delle camere da letto e della biblioteca. Non gli piaceva che la gente curiosasse fra la sua roba. Con la coda dell’occhio vide Dean addentare una tartina e poi porgerla alla Parkinson perché la assaggiasse. Dall’altra parte della sala da pranzo, Ron cingeva possessivamente la vita di Hermione, mentre quest’ultima chiacchierava amichevolmente con Zabini. Il mondo stava decisamente andando a rotoli. L’unica cosa lontanamente “normale” erano Neville e O’Brian, pronti ad evitarsi a vicenda magre figure, date dal loro essere irriducibilmente goffi, e familiarizzare l’uno con l’altro.
Harry sospirò mandando giù l’ultimo goccio di burrobirra rimasta, e dirigendosi al tavolo per agguantarne furtivamente una terza bottiglia.
Non fece in tempo, però…il funesto campanello trillò di nuovo, ed Hermione lo ammonì con un’occhiataccia prima ancora che potesse fingere di non aver sentito.
Con un altro profondo sospiro, Harry si avviò mestamente verso l’ingresso.
Una parte di lui sapeva già cosa lo aspettasse, un’altra era tra l’incosciente e il rassegnato.
Aprì la porta e rimase a bocca aperta.
Malfoy, con un mantello blu notte sull’avrambraccio stava all’ingresso in un abito grigio fumo. I capelli gli solleticavano il viso, per una volta in disordine ed aveva lasciato sulla mandibola quel filo di barba che mai si concedeva. Sembrava capitato lì per caso, infatti non guardava all’interno dell’appartamento, ma stava guardando in strada, quasi desse le spalle ad Harry. Così di profilo, Harry non riuscì a indovinare cosa stesse esattamente osservando.
Guardò la giacca accarezzare le spalle di Malfoy, e un profumo frizzante gli arrivò alle narici, portato dal leggero vento che spirava di fuori. Harry si sentì intontito, più di quanto lo fosse stato fin ora. Poi all’improvviso Malfoy si decise a rivolgergli la sua attenzione, lo guardò inclinando il capo da una parte e con il migliore dei suoi ghigni lo scrutò con i suoi occhi di ghiaccio.
Harry, ancora inebetito rimase immobile, come inchiodato lì, a metà strada fra la porta e i gradini dell’ingresso.
-Buon Halloween, Potter.
La sua voce biascicata lo colpì dritto in faccia, quasi risvegliandolo.
-Malfoy…- disse, con una voce impastata, come se avesse la bocca asciutta e non parlasse da secoli.
Draco si avvicinò, e lo guardò negli occhi come non aveva mai fatto. All’improvviso Harry si sentì incredibilmente esposto, nudo persino, sotto quello sguardo indagatore. Artigliò la maniglia più forte che poteva, come ad ancorarsi lì, temendo di poter liquefarsi. Draco fece scivolare il suo sguardo sulla t-shirt di Harry, soffermandosi un po’ troppo sul collo proprio sotto all’orecchio.
Ad Harry mancò un battito, e non seppe spiegarsi perché, quando vide gli occhi di Draco concentrarsi sulle sue labbra, in quella lenta scalata fino alle proprie iridi. Quando poi si sentì risucchiare nuovamente in quei laghi ghiacciati, Harry si disse che qualcosa, decisamente, stava andando a rotoli.
-Forza, Potter, filiamocela…

 
Note:
Ehilà!
Ehm…chi non muore si rivede, eh. Ahaha…
Sì, ok, non c’è assolutamente niente da ridere.
Magari, prima di uccidermi, mi concedete il tempo per redigere le mie ultime volontà, eh?
Non so quale sia il sacro in put che mi abbia portato a scrivere, se non erro 12 pagine per questo capitolo. Lunghezza record, lo ammetto.
Beh, che dire, l’ispirazione ti coglie quando meno te lo aspetti, o magari è l’incombere della sessione invernale che mi tira brutti scherzi.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, che non abbiate rimosso la storia dalla vostra memoria (come sembra invece aver fatto il suo autore) e che mi facciate sapere cosa ne pensate…
Alla prossima (?).
Chissà.
Ah, e…Buon Anno! 

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Capitolo 13
*** A metà strada ***


XIII. A metà strada
 
"Mi hanno piantato dentro così tanti coltelli
che quando mi regalano un fiore, all’inizio,
non capisco neanche che cos’è.
Ci vuole tempo.”
 
Charles Bukowski
 
 -Forza, Potter, filiamocela…- disse Draco con scherno, indovinando lo stato d’animo del ragazzo di fronte a lui.
Dirigendosi verso quella vecchia casa, che sembrava frequentare anche troppo spesso ultimamente, Draco s’era immaginato perfettamente la scena: Potter, anima della festa, a ridere e scherzare con tutti quei suoi zimbelli Grifondoro. S’era figurato Blaise e Pansy a sghignazzare alle loro spalle, mentre familiarizzavano con la fossa dei Leoni. E s’era detto: chi altri, se non il guastafeste per eccellenza, avrebbe strappato Potter dai festeggiamenti?
Così si era intrufolato in casa propria, furtivamente, come si sentisse un ladro, in mezzo a quella solitudine. Come stesse rubando un po’ di tutto quell’angosciante silenzio, era salito in camera sua e s’era vestito in fretta e furia, senza neppure passar per lo specchio. Aveva accostato la porta, evitando accuratamente qualsiasi rumore e se n’era andato, scappando dal Manor.
Gli succedeva ormai da un po’, si sentiva mancar l’aria in quella casa così enorme e spogliata da qualsiasi colore, sentiva il grigio appiccicarglisi addosso. Il silenzio gli faceva esplodere la testa e neanche il calore dei numerosi caminetti sembrava raggiungerlo. Così, ben presto, si era ritrovato a rincasare solo per andare a dormire ed alzarsi in tutta fretta al mattino, per uscire da lì. Aveva a cominciato a passare le giornate fuori casa, a vagare senza una meta, prima solo per due orette al massimo, poi per lassi di tempo sempre maggiori. E aveva deliberatamente ignorato quel disturbo che lo prendeva alla bocca dello stomaco, subito dopo essersi smaterializzato all’ingresso del Manor.
Solo quando fu arrivato al numero 12 di Grimmauld Place, s’era concesso di fare un profondo respiro e di dirsi che tutto andava bene, mentendo spudoratamente a se stesso.
Così aveva bussato e s’era ritrovato Potter di fronte, inebetito e più stralunato del solito. Lo aveva studiato a lungo, per cercare di indovinare quanto si stesse divertendo a quella sua stupida festa, per cercare anche solo un brandello del suo essere da poter odiare e calpestare, per accanirsi contro quella sua unica valvola di sfogo e mentire ancora a se stesso, senza rimpianti.
Non aveva trovato nient’altro che stanchezza e rassegnazione, nella posa mollemente abbandonata contro i battenti dell’ingresso. Non aveva scorto nessuna scintilla di divertimento, né l’ombra di qualcosa che assomigliasse ad un sorriso. Draco si disse che avrebbe dovuto odiare Potter, per quello: aveva la casa stracolma di gente che lo ammirava, che gli voleva bene, che lo adulava persino, eppure la sua espressione sembrava…infastidita?
Avrebbe decisamente dovuto odiarlo più di quanto già non facesse, ma quando lo guardò negli occhi, una violenta consapevolezza lo colpì allo stomaco, e lo spinse a dire:
-Forza, Potter, filiamocela…
Potter lo guardò stordito, come se non avesse capito. D’altronde neanche il legittimo proprietario di quelle parole sembrava aver capito cosa intendesse. Draco si rese conto che quella che voleva essere un’allettante proposta, suonava invece come un disperato tentativo di fuga. E si maledì per quello.
Potter lo guardò per un tempo che parve infinito, poi spostò il proprio peso da una gamba all’altra e questo sembrò aiutarlo a formulare una frase decente:
-Oh, come se potessi…- disse, con quello che sembrava rammarico nella voce piatta.
Draco alzò le spalle e tornò a guardarlo negli occhi, cercando di mantenere la sua abituale aria beffarda, poi fece un passo avanti. Potter ora era di fronte a lui, e sembrava il più rassegnato dei due. Draco non poteva giurarlo, ma aveva visto i suoi occhi illuminarsi quando aveva sentito la parola “filiamocela”. Era stato un attimo, ma gli era parso che Potter odiasse trovarsi lì, quasi quanto lui.
-Non credevo venissi…- aveva mormorato Potter, facendo un impercettibile passo indietro, come intimorito.
-O forse lo speravi?
Aveva cercato di suonare beffardo, ma con scarso successo.
Quando Potter si scostò per lasciarlo entrare, Draco arricciò le labbra in uno dei suoi soliti ghigni molesti. Poi Potter chiuse la porta, e si ritrovarono di nuovo l’uno di fronte all’altro, all’ingresso, in silenzio.
Non seppe spiegarsi perché, ma non appena Potter gli concesse un timidissimo e ben mascherato sorrisetto, a Draco sembrò di sentire un inspiegabile calore ai polpastrelli. 
Lo stesso che aveva catturato, giorni prima, da quello stesso sorriso.
 
***
 
Il bicchiere di cristallo tintinnò piacevolmente, scontrandosi con la brocca che Hermione, con evidente sforzo, reggeva con entrambe le mani, e si riempì troppo velocemente di quel liquido aranciato, così senza un motivo apparente a Blaise scappò un sorriso.
-Basta così, Granger, grazie…- disse il ragazzo mascherando il divertimento per la difficoltà della ragazza.
Lei abbandonò velocemente la brocca sul tavolo lì vicino, liberandosi di quell’ingombro e gli sorrise sincera.
-Sai dovremmo finirla con tutti questi grazie e prego. Sembra che non facciamo altro che ringraziarci in continuazione…- disse lei nascondendo dietro al palmo una risata.
Blaise annuì lasciandosi contagiare dall’espressione della ragazza.
-Sono assolutamente d’accordo…Hermione.- rispose dal canto suo, Zabini, ponendo una calcolatissima enfasi sul suo nome.
La Granger, di fronte a lui, rimase per un attimo stupita da quell’intraprendenza, che mai gli avrebbe attribuito, salvo poi sorridergli ancora una volta.
Prima che la Granger potesse rispondergli, però, l’attenzione di Blaise fu catturata da qualcos’altro: Pansy, poco distante da loro, rideva a crepapelle.
Era elegantemente seduta su una grossa poltrona, affiancata da Thomas e Finnigan che dovevano averle propinato chissà quale brillante battuta o esilarante complimento. Blaise decise di ignorare quel punzecchiare fastidioso nei suoi pensieri, ma non in tempo per sfuggire all’acuto intuito della sua compagna di corso.
-Blaise?- lo chiamò Hermione, usando il suo nome per la prima volta. Quando la guardò, al ragazzo non sfuggì l’espressione da “so-tutto-io” per cui la Granger era famosa a scuola. Ma la ignorò cercando di riportare la conversazione dove era stata interrotta.
-Sì, scusami…dicevamo?
-Oh, nulla, nulla…ti chiedevo di Malfoy. Sai sono preoccupata per Harry…- disse allora la ragazza, leggermente in imbarazzo.
-Preoccupata, dici? Come mai?- scherzò Blaise per metterla a suo agio.
-Beh, sai…ultimamente è un po’, beh come dire…schivo. Insomma, è comprensibile che le cose siano difficili per lui, voglio dire…non era certo quel che si aspettava e…
Hermione notò che il suo interlocutore s’era lasciato distrarre un’altra volta, e se ne risentì un po’, troncò il discorso dicendo seccamente:
-Forse non è il caso di parlarne.
Blaise riportò lo sguardo su di lei, dedicandole un altro dei suoi sorrisi disarmanti ed enigmatici.
-No, direi di no…- disse lui senza smettere di sorridere, e con un cenno del capo, le indicò qualcuno alle sue spalle.
In un angolo, accanto agli alcolici Hermione scorse Harry che, con un’aria divertita, porgeva una burrobirra a Malfoy.
Fu felice di accorgersi di come l’umore del suo migliore amico fosse visibilmente migliorato.
 
***
-Burrobirra? C’era da aspettarselo!- sbottò Draco fintamente petulante. Harry lo ignorò e gli porse una bottiglia, divertito dal modo di fare del ragazzo accanto a lui.
Quando Draco la prese, sfiorò inavvertitamente la mano di Potter. Si trattò di un attimo, ma poté sentire quel fastidioso calore riaffacciarsi alla sua mente, così ritrasse la mano, il più velocemente possibile.
Harry rimase interdetto e lo guardò inarcando un sopracciglio, prima che quegli occhi gelidi raggiungessero i suoi e lo spiazzassero ancora. Poi recuperò una bottiglia di burrobirra anche per sé e la fece scontrare con quella di Malfoy, bevendo come se niente fosse, mentre Draco stava ancora fissando la sua mano.
-Ben arrivato, alla fine…
Harry sentì la voce profonda di Zabini raggiungerli di soppiatto.
-Blaise…- smozzicò Draco prima di poggiare le labbra alla bottiglia.
Hermione, tutta sorridente, si sforzava di non sentirsi fuori posto, mentre affiancava Harry, che la guardava stranito.
-Devi assolutamente assaggiare il ponce e le tartine che Hermione ha preparato.- disse Blaise richiamando con un colpo di bacchetta un vassoio.
A sentire il suo migliore amico chiamare per nome la Granger, Draco quasi non si strozzò con la burrobirra. E non era l’unico, accanto a lui Hermione rideva e dava dei colpetti sulle spalle a Potter.
E mentre Blaise e la Granger andavano d’amore e d’accordo, l’uno spendendosi in complimenti verso l’altra, Harry e Malfoy si guardarono negli occhi per trovare il momento giusto per sgattaiolare via.
Con un cenno del capo Harry indicò la porta della cucina, ma raggiungerla fu un impresa per entrambi. Prima Pansy agguantò Draco, e lo costrinse ad ascoltare una squallidissima battuta su un accampamento di troll che “Finnigan racconta così bene!”, aveva detto civettuola la sua amica. Poi Neville chiese ad Harry dove fosse il bagno, di cui aveva urgenza, dato che O’Brian doveva aver bevuto troppo ponce.  Infine Ron decise di incastrare il suo migliore amico, chiamandolo ad appoggiare una teoria secondo la quale i prof del corso di Auror fossero in realtà criminali riabilitati.
Quando entrarono in cucina, ad entrambi scappò un sospiro di sollievo e non poterono far a meno di guardarsi sorpresi, e riderne.
 
***
 
Quando è tornato, la pagina è rimasta bianca.
Le lenzuola, invece, non sono più candide.
Sono sporche di ombre rossastre, e d’amore.
Di tutto l’amore possibile.  
 
***
 
Il chiacchiericcio, le risate ed una sommessa musica, arrivavano come ovattate nella malandata cucina.
Draco perse lo sguardo nel liquido ambrato che rimaneva placido nel bicchiere, mentre Potter glielo porgeva.
-Hermione ha esagerato…ho cercato di dirle che stava esagerando ma…
La frase di Harry vibrò a mezz’aria, interrotta dalla voce glaciale di Malfoy.
-Devi concedere quella famosa intervista a Pansy.
Sembrava che si fosse ricordato all’improvviso di quella storia, e che ne parlasse come se fosse una cosa di estrema importanza, ma non lo guardava neanche, il suo sguardo restava fisso nella vacuità del bicchiere. I suoi occhi grigi inseguivano i riflessi dorati del Whiskey Incendiario, ed Harry provò una fitta di disagio nello scoprirsi improvvisamente assetato di quello sguardo. Non riusciva a capire da dove venisse quel bisogno disperato di guardare di nuovo Malfoy negli occhi, era inspiegabilmente inquietante e lo disturbava pensare di aver già visto quelle due profondità gelate sciogliersi, anche se non gli veniva proprio in mente quando, né se lo avesse semplicemente immaginato.
-Devo?- si decise a dire, con un leggero tono di sfida.
Era stato infantile, inconsapevole e del tutto non voluto, si sarebbe detto più tardi. Ma Harry sapeva benissimo che quello da lui appena usato era il tono giusto: il tono che avrebbe incatenato gli occhi di Malfoy ai suoi. E come un riflesso incondizionato aveva sfoderato quel tono con l’esatta ignara intenzione di riavere quegli occhi nei suoi.
Si ritrovò inebetito, ancora e sempre, disarmato sotto quello sguardo che adesso era tempestoso.
-Devi. Io ho rispettato la mia promessa. Tu rispetterai la tua. Perché è quello che fanno i Grifondoro.
La voce era ferma, determinata, assoluta, ma non per questo meno calda, Harry avrebbe detto quasi avvolgente, se il solo pensiero non l’avesse raggelato.
-Di cosa stai parlando, Malfoy?- disse riavviandosi i capelli, tentando di nascondere il disagio dietro ad uno dei suoi gesti casuali.
-Sono venuto alla tua stupida festa, non è quello che volevi?
Le labbra di Malfoy si appoggiarono al bordo del bicchiere, mentre il ragazzo abbassava lo sguardo e si stiracchiava sulla sedia.
A quella affermazione Harry si scaldò e sbottò infastidito:
-Non è la mia stupida festa. E se proprio lo vuoi sapere, non era di vitale importanza venissi. Quindi no, non lo volevo.- disse stringendo le braccia al petto, sulla difensiva: - Ti ho invitato per pura e semplice cortesia…
Malfoy sogghignò sornione.
-Su, sta’ calmo, Potter. Non vorrai farti esplodere la giugulare!- disse prima di abbandonare uno sguardo sul suo collo, ancora.
Harry arrossì violentemente, sotto quello sguardo indiscreto, e si portò una mano al collo, a disagio. Non riusciva proprio a spiegarsi cosa gli stesse prendendo. Era senz’altro colpa di quei dannati occhi grigi, che continuavano a fissarlo e a farlo sentire esposto, aperto. Era come se avessero una loro familiarità con il suo corpo, ma nessuno gli aveva dato il permesso. Malfoy non lo aveva mai guardato così, e doveva divertirsi un mondo nel metterlo in difficoltà a quel modo.
A quel pensiero, Harry si sentì ridicolo, e lasciò che la rabbia ribollisse fino a farlo scattare definitivamente:
-Smettila di guardarmi così!
Malfoy strabuzzò gli occhi e alzò le sopracciglia sorpreso, prima di leccarsi le labbra e dire, con voce innocente:
-Così come?
Potter aveva le guance arrossate d’imbarazzo, continuava a stringere le mani sugli avambracci nervosamente, e a mordersi le labbra come a frenarsi dal dire qualcosa di spiacevole. Qualcosa che Draco era molto curioso di sentire, per la verità, perché era sicuro fosse qualcosa di tremendamente divertente. Non si era reso conto di quanto Potter fosse a disagio sotto al suo sguardo, non fino a quando non aveva sbottato in malo modo, lasciandosi scappare quella frase insensata. Draco non lo stava guardando in nessun modo, ne era certo, e Potter aveva una fervida immaginazione, anche di quello era più che sicuro. Quindi decise di infastidirlo ancora un po’, divertendosi a modo suo.
-Non ha neanche bevuto e già delira…- disse fintamente affranto per poi scoppiare a ridere: - Da ubriaco devi essere un gran bello spettacolo, Potter.
Harry non si lasciò sfuggire la provocazione e con un’espressione di chi la sapeva lunga rispose a tono:
-Oh, non del genere che ami dar tu!
Draco se possibile rise ancora più di gusto, e strappò un sorriso a Potter, che ormai aveva abbandonato quella sua posa risentita e stava bevendo, soddisfatto della sua risposta.
-“Siamo più simili di quel che crediamo”- scimmiottò Draco, deridendo una frase detta da Potter tempo prima, poi scoppiò a ridere per la sua riuscitissima imitazione.
Harry alzò gli occhi al cielo aspettando che l’altro smettesse di deriderlo.
-Ah, Potter…sei uno spasso davvero, dovresti vederti.
Harry si armò del suo più ardito coraggio Grifondoro e incatenò lo sguardo di Malfoy al proprio e poi disse risoluto:
-Smettila.
D’improvviso qualsiasi ilarità scivolò via dal volto di Malfoy, che lo guardò interdetto. Di nuovo quell’intenso sguardo disarmò Harry, il coraggio che lo aveva animato poco prima traballò come una fiammella. Poi Malfoy lo prese di nuovo in contropiede, alzandosi.
Harry rimase ad osservarlo attentamente, mentre con gesti misurati recuperava la bottiglia di Incendiario dal piano cottura e tornava al tavolo, sedendosi. Si riempì il bicchiere, con movimenti meticolosi, per poi sporgersi e raggiungere il bicchiere di Harry.
Nel momento stesso in cui stava per toccarlo, la mano di Potter raggiunse quella di Draco e si strinse al suo polso, per bloccarlo.
La mano di Potter era calda, la sua carnagione ambrata contro la pelle diafana stonava un po’, Draco sobbalzò a quel contatto. Quel gesto casuale, banale, fece tremare entrambi.
Harry rimase spiazzato a sentire nella propria mano il battito di Malfoy che, non avrebbe potuto giurarlo, sembrava accelerare. Era confuso e in imbarazzo, detestava quel disagio sul fondo della sua gola. Harry cercò di parlare prima che gli occhi di Draco lo raggiungessero interrogativi, ma le sue corde vocali sembravano essersi raggrinzite. Si beò del calore della pelle di Malfoy, e se ne vergognò come un ladro. Si diceva quanto fosse stupido, quanto sarebbe stato giusto lasciar andare il suo polso, ma era come pietrificato ed immobile. Il battito di Malfoy sembrava averlo ipnotizzato.
Poi arrivarono gli occhi di Malfoy, a mordere i suoi, ad aggredirli. Ma non erano gelidi, non erano occhi di pietra, non come sempre. Sembrava rifulgere qualcosa, come d’argento che brilla, qualcosa di liquido.
Harry si sentì sconvolgere e rivoltare da quello sguardo elettrico, e anche il suo battito accelerò.
Malfoy, in bilico sul bordo del tavolo, con la mano piena della bottiglia di Incendiario e bloccata nella morsa di Potter, lasciò scivolare lo sguardo su quella mano, per poi tornare agli occhi di Potter, che sembravano lontani e offuscati. Potter stava inseguendo pensieri sconosciuti e insensati, ne era sicuro. Quel contatto non era poi così spiacevole, si ritrovò ad ammettere Draco, suo malgrado. Era quasi rassicurante, a dispetto di tutto. Era come risentire quel calore, quello che Draco aveva cercato, senza rendersene conto. Come la falena che si affanna per raggiungere la luce. Si rituffò negli occhi di Potter, ignorando cosa portasse nei propri.
Harry deglutì a vuoto e poi dischiuse le labbra, disorientato, in attesa, sperò che Malfoy dicesse qualcosa. Qualcosa di sensato, che potesse spiegargli quella sensazione così attonita che sentiva sorgere in lui, che leggeva negli occhi di fronte a lui.
Ma nella mente di Draco, tutto aveva cessato di vorticare, e restava placido, come la superficie di un lago.
Rimasero così per un tempo infinito, ognuno con le proprie domande, con una sensazione indefinibile e con la sopraffacente impressione di essere a metà strada, una strada che nessuno di loro conosceva.
Finché Harry non allentò la presa, docilmente. Finché Draco non riempì il suo bicchiere, come s’era prefissato di fare.
I loro occhi continuavano a scavare gli uni negli altri, interrogativi.
Draco, turbato, aveva una gran voglia di scappare, mentre Potter lo guardava con un’intensità che gli era sconosciuta.
Dal canto suo Harry non riusciva a capacitarsi di quel calore, ancora annidato nel palmo della sua mano.
 
La porta si richiuse, mentre lo spettatore silenzioso l’accompagnò per non destare ulteriori imbarazzi. Blaise ricordò le parole del suo migliore amico, quella stessa mattina:
-Potter non è Theo.
Un angolo delle sue labbra piene si piegò verso l’alto, poi lasciatosi la cucina alle spalle, Zabini scivolò nell’altra stanza, come se niente fosse.
 
 

Note:
Questo capitolo è stato un parto plurigemellare, e per noi maschietti non è una robina da poco, eh! Ahahah
Beh, che dire, per adesso la Monna Ispirazione ha detto “Sì”…sarebbe da idioti non approfittarne.
Spero che il 13 sia all’altezza degli altri capitoli, e che mi facciate sapere che ne pensate ;)
Alla prossima!
 

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Capitolo 14
*** Flowers never bend with the Rainfall ***


XIV. Flowers Never Bend With the Rainfall.
 
"I treni ci piacciono tanto,
ci porteranno al capolinea,
poi non sapremo più dove andare.
Tienimi la mano che mi manchi,
non a volte,
non raramente.”
 
Le Luci della Centrale Elettrica
 
Draco guardò il vecchio orologio sulla parete scrostata davanti a lui. Le lancette scorrevano stanche, sonnolente, come cercassero di ricordare quale fosse il loro scopo. Ancora qualche minuto e sarebbe scoccata la mezza notte, solo una manciata di attimi e quel giorno sarebbe svanito, insieme a tutti gli altri giorni della sua vita. Venuti per andarsene.
Se ne stava seduto lì, rivestito di una calma apparente, sul bordo della sedia, a fissare il bicchiere, ma senza guardarlo. Era come estraniato da se stesso, cercava di riavvolgere il nastro dei suoi pensieri per trovare qualcosa da dire, e infrangere quel silenzio di cristallo. Ma ogni volta, allo stesso punto, s’inceppava: Potter che gli afferrava il polso, che spiegazzava la sua vita, le sue convinzioni, e lui che non era infastidito. Lui che sembrava aver aspettato quel momento, senza aver il cuore di ammetterlo. Lui che era trasalito, come una ragazzina, per quel calore troppo intenso, per quella presa che –lo sapeva- avrebbe potuto salvarlo, o condannarlo per sempre.
Lui che con affanno cercava di addensare l’emozione che gli fioriva in petto, e la spingeva giù, come una bustina da thé che non vuole saperne di colorare l’acqua nella quale è immersa.
Potter che lo lasciava e lo stridere doloroso dell’ambiente intorno che rubava il calore alla sua pelle. E la fitta dolorosa che lo aveva colto, quando sincero come non mai, s’era seduto e ne aveva desiderato ancora. Aveva sperato che Potter, a dispetto di ogni logica, trovasse un pretesto per toccarlo ancora.
Dal canto suo, il Grinfondoro, seduto di fronte a lui sembrava altrettanto turbato, e non faceva nulla per mascherarlo.
Draco portò il bicchiere alle labbra, per deglutire via quella strana sensazione, insieme al Whiskey.
Era stato come se Potter gli avesse spifferato una verità assoluta, come se quel contatto avesse squarciato qualcosa che, fino ad allora, se n’era stato quieto nell’ombra. Draco aveva sentito un brivido nell’autorità di quella stretta, in quella ostinata supremazia, aveva letto negli occhi di Potter prima forza e dopo…Si decise a non pensarci, deglutendo, e a rompere quel silenzio imbarazzante:
-Dovremmo tornare di là…- propose, con voce flebile.
Potter non alzò lo sguardo, non prestò neppure attenzione a quelle parole, alzò il bicchiere mezzo vuoto e bevve avidamente. Una goccia di Whiskey gli restò sulla bocca, come a rassicurarlo, a umettare quel labbro inferiore tanto martoriato. Draco cercò di ignorarla, maledicendo se stesso per aver anche solo sfiorato il pensiero di toccare le labbra di Potter. Di nuovo. La luce creava strani riflessi su quella gocciolina ambrata, e Draco pregò che Potter la leccasse via e la facesse finita. Almeno così non avrebbe dovuto domandarsi il perché di quei pensieri sul quel Grifondoro da strapazzo, almeno così sarebbe riuscito a guardarlo negli occhi e infastidirlo, dandogli l’impressione di poter leggere i suoi pensieri.
Il bastardo però non sembrava essersene accorto, non finché, schiudendo le labbra, disse:
-Ancora un altro bicchiere.
Poi la goccia venne leccata via e Draco, nonostante ogni previsione, non si sentì sollevato… affatto.
 
***
Pansy si avvicinò, storcendo il naso, a Blaise interrompendo il discorso dell’amico con quei due sciocchi Grifondoro, del quale aveva carpito solo “sangue di drago” e “abrasioni”.
-Blaise, tesoro, sai dove s’è cacciato Draco?- chiese prendendo il ragazzo sottobraccio.
Lo sguardo della Granger sembrò fulminarla, mentre Weasley cercava di trattenersi dal guardarle la scollatura e di mantenere lo sguardo su Zabini.
-Temo si sia rifugiato da qualche parte, Pans.- disse Blaise accondiscendente, mentre con grazia si divincolava dalla sua stretta.
-Oh, ma così si perderà tutto il divertimento!- protestò la ragazza mettendo su il broncio.
-Ora che ci penso, Ronald…sai dov’è finito Harry?- disse all’improvviso Hermione, voltandosi di scatto verso il suo ragazzo, e guadagnandosi solo un cenno di diniego.
Pansy osservò la scena e con un cipiglio sospettoso rivolse, finalmente, la parola ad Hermione:
-Non è che il vostro caro Potty…- cominciò, per poi tornare su Blaise allarmata: -Blaise, quel bruto starà circuendo il nostro Draco!
Blaise scoppiò a ridere, mentre Hermione indignata rimaneva scandalizzava a bocca a perta, un Ron più che allibito ripeteva perplesso:
-Circuendo?
Weasley si guadagnò un’occhiata disperata di Hermione, che gli ricordò tanto quando le chiedeva aiuto per i temi di Pozioni, mentre Zabini continuava a ridere carezzando i capelli di una Pansy sdegnata.
-Significa che Potter sta cercando di…
-Harry non ha nessuna intenzione di “circuire” Malfoy!- esplose Hermione interrompendo la spiegazione di Pansy.
Blaise si frappose fra le due ragazze e con parole bonarie cercò di placare l’atmosfera incandescente:
-Siamo sicuri di no, Hermione! Pansy, tesoro, perché non andiamo a cercarlo per assicurarcene?
-Blaise, ho visto come lo guardava, povero tesoro! Urge un salvataggio in extremis!- ululava Pansy proprio mentre Hermione ribatteva sempre più indignata e malevola:
-Vaneggi Parkinson! Harry è felicemente fidanzato, con una ragazza!- e pose l’accento sull’ultima vocale prima di concludere:- E non sarebbe comunque interessato alle attenzioni di un ragazzo…se poi si tratta di Malfoy!
Fu Ron a sorprendere tutti e a zittire la piccola baraonda che si era creata:
-Circuire! Ma certo, ora ho capito! Grazie mille Herm…oh.
Si bloccò all’improvviso portandosi una mano alla bocca.
-Oh…Per le vecchie mutande stregate di Merlino!
 
***
Il silenzio s’era fatto ancora più pesante, e il disagio era palpabile, eppure Malfoy non sembrava dispiacersene. Forse era quello che intendeva con mantenere le distanze: starsene zitti, insieme, seduti al tavolo della sua cucina.
Harry ancora non riusciva a spiegarsi le conseguenze di quel suo banalissimo movimento. Aveva afferrato il polso di Malfoy per impedirgli di riempirgli il bicchiere, sospettando che il ragazzo volesse farlo ubriacare per poi gettarlo in pasto alle imbarazzanti domande della Parkinson.
Ed in quel momento Harry avrebbe davvero preferito essere ubriaco e in imbarazzo per delle stupide domande, piuttosto che inchiodato lì sul bordo del precipizio. E per cosa, poi? Non riusciva nemmeno a spiegarsi cosa potesse essere successo. Cercò di essere oggettivo, ma non c’era nulla di logico in quel formicolare nella sua mano. In quel rendersi conto, all’improvviso, che non aveva quasi mai toccato Malfoy. Non senza la precisa intensione di fargli del male, ovvio. Non aveva mai toccato Malfoy da quando erano partner, da quando avevano messo – più o meno- i vecchi rancori da parte.
Jay e Nisson si toccavano in continuazione, e persino O’Brian e Petch non facevano altro che darsi amichevoli pacche sulle spalle e vigorosi cinque sui palmi.
Forse il problema era tutto lì: lui e Malfoy non erano amici, ed essendo due estranei non c’era stato motivo di toccarsi. Inoltre, dal momento che si conoscevano già, non era stato necessario stringersi la mano. Aveva una sua logica, ed Harry avrebbe voluto strizzare gli occhi al ricordo di qualcosa che era stato più di una pacca sulla spalla: Malfoy che, per zittirlo, abbandonava le dita sulle sue labbra. Lì per lì Harry non ci aveva fatto caso. Aveva ignorato quella leggera scossa, e mascherato il suo trasalire immotivato, dimenticando quella sensazione durata un attimo. Ma quella era tornata a bussare alla sua porta, proprio quando la sua mano s’era chiusa intorno al polso di Malfoy.
Ed Harry non riusciva ad ammettere quanto avesse desiderato quella sensazione, anche mentre sotto la doccia…Fermò i pensieri, sentendo le guance arrossarsi.
Non erano gli occhi di Malfoy, ne era certo. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, ci aveva pensato e li aveva richiamati alla memoria ogni volta che il ragazzo lo guardava. Non potevano esserlo, erano troppo sprezzanti, gelidi, distaccati, per esserlo. Oppure no?
Harry cercò di scacciare quell’opprimente disagio dalla sua mente, insieme a tutti quei pensieri, in tempo per accorgersi che Malfoy lo stava spiando di sottecchi.
-Ancora un altro?- propose con quella sua voce di velluto, quella che usava docilmente quando provava a spingere qualcuno a far esattamente ciò che voleva.
Harry strabuzzò gli occhi, smarrito. Quella voce, le labbra distese di Malfoy e i suoi occhi che, scordando l’imbarazzo e i timori di un attimo prima, erano tornati a conficcarsi nei suoi…tutto suonò ad Harry come un’allusione, anche se non ne era sicuro. In quel momento non era sicuro di niente.
-Un altro…c-cosa?- chiese con voce tremante, cercando di trasformare il proprio imbarazzo in qualcos’altro di poco definito. Non era mai stato una cima in Trasfigurazione, però.
-Whiskey…
Senza aspettare risposta, Draco gli riempì il bicchiere, sta volta senza sporgersi da tavolo, ma allungando il braccio. Poi lo guardò dipingendo un ghigno sibilino sulle proprie labbra.
Malfoy doveva aver intuito qualcosa, ed Harry si sentì sprofondare.
 
***
 
Una canzone scarabocchiata su una pagina, chissà quanto tempo prima. Quelle note tornano alla tua mente, all’improvviso, e sembrano volerti cullare, in quella stanzetta grigia e fredda.
Lui alza il suo sguardo tempestoso, in quel viso incavato e dice:
-Esistono cinque fasi per il dolore… Negazione, rabbia, auto-recriminazione, depressione.
La sua voce è un ringhiare sommesso.
La pagina sul diario, sotto quella frase iniziale, è stata ferita da un profondo taglio scuro: “No”. Chissà quanto tempo prima.
Lui è arrabbiato, puoi sentirlo dalla sua voce. Ed è colpa tua, lo sai. Se solo gli fossi stato accanto. Sai che tutto sarebbe potuto essere diverso, avrebbe dovuto esserlo.
Una lacrima sfugge alle tue ciglia, quando mormori:
-Hai detto che ce ne sono cinque…- deglutisci, un groppo in gola, prima di continuare: -Qual è l’ultima?
-L’accettazione.
Il ricordo di quella pagina del tuo diario ti colpisce solo quando ti chiudi la porta alle spalle.
Ed è in quel momento: capisci che nessuno sfoglierà più quel diario, che quella promessa verrà dispersa in quel luogo di vento, e che dovrai fare lo stesso.
Per andare avanti.
 
***
 
So I'll continue to continue to pretend
My life will never end,
And flowers never bend
With the rainfall.”*
 
 
No.
 
***
 
Quando Draco portò il bicchiere alle labbra e mandò giù l’ennesimo sorso di Incendiario, per poco non soffocò.
Pansy, trafelata aveva fatto irruzione in cucina, come si aspettasse di trovare un esercito di schiopodi sparacoda, trattenuta per un braccio da Blaise che frenava con scarso successo la sua irruenza. Al fianco di Pansy, la Granger con un sorriso trionfante e le mani sui fianchi e, dietro di lei, Weasley che si teneva una mano sugli, occhi sbirciando solo un po’.
-Ecco! Io lo sapev…- le parole morirono in gola a Pansy, mentre Hermione giubilava:
-Lo sapevo, Parkinson!
Blaise, scuotendo la testa, alzò le spalle in segno di scusa verso il suo migliore amico.
Poi Potter si alzò di scatto e incrociando le braccia al petto sbottò:
-Ma si può sapere che avete tutti quanti?
Ne seguì un sospiro sollevato di Ron:
-Godric sia ringraziato, a quanto pare nessuno circotisce nessuno qui!
Malfoy alzò un sopracciglio e cambiò improvvisamente espressione, indirizzando quella che i presenti conoscevano come furia verso Blaise:
-Circotisce, eh?
Pansy, raggiungendolo, e poggiando le mani al suo petto disse con fare innocente:
-Draco, tesoro mio preziosissimo…possiamo spiegarti! 

Note:
 
*Flowers Never Bend With the Rainfall, di Simon&Garfunkel. Potete trovarla qui: http://www.youtube.com/watch?v=Fd-DvSTBq1o.
 
Lo so, sono sadico, malvagio, crudele e tutto ciò che di simpatico vorrete appiopparmi. Ma qualcuno ha acceso un cero in mio favore, e a quanto pare le sue preghiere sono state ascoltate. Dunque eccoci con il capitolo 14…wow, non ci credo neanche io!
Spero che non sia troppo azzardato, ma mi sono davvero divertito con il nostro Ron, quasi al punto di rivalutarlo.
Ho detto quasi, eh.
In più siamo ad una svolta con gli amatissimi intermezzi, e anche qualcosa tra i nostri due protagonisti sembra rimestarsi, o no?
Beh, non posso dir altro se non: alla prossima :) 

 

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Capitolo 15
*** A piedi nudi ***


XV. A piedi nudi
"E la cosa più sfortunata e pericolosa che m’è capitata
è la vita.
Che n’a vorta che nasci, giri, conosci, intrallazzi
Ma dalla vita, vivo nun ne esci. Uno solo ce l’ha fatta…
Ma era raccomandato.”
Mannarino
 
Il suo abito turchese la stava uccidendo.
Continuava a chiedersi come fosse riuscita ad entrarci, ed ad ogni respiro temeva di rovinare per sempre la sua reputazione, guadagnandosi una magrissima figura. Era stata tutta colpa di Ellis, le aveva dato il tormento per quel costume, praticamente costringendola a travestirsi da ninfa del lago. Ancora le risuonavano alle orecchie le parole dell’amica:
-Gin, il turchese è assolutamente il tuo colore! Si sposa benissimo con la tua carnagione!
Così l’aveva trascinata ad Hogsmade, ad affittare quel dannato costume che tentava –e con buonissime probabilità di successo- di soffocarla. La sua idea era di riciclare un vecchio costume da zucca della madre, ma non aveva nemmeno osato proporre l’idea a quella che era diventata la sua migliore amica.
Con il corpetto a comprimerle la cassa toracica e la gonna a palloncino in tulle che non ne voleva sapere di star giù, la più giovane tra i Weasley, quella sera, si era rassegnata a far il suo ingresso in Sala Grande. A nulla era valso il suo cattivo umore, né il morale sotto i piedi. Ad Ellis non si poteva dir di no.
La verità era che Ginny trovava stupido partecipare alla festa di Halloween, era una completa idiozia dover indossare un costume, e divertirsi, quando i suoi più cari amici non erano lì. Avrebbe di gran lunga preferito rimanere in dormitorio per tutta la sera, ma prima ancora che potesse proferir parola, Ellis l’aveva travolta con mille proposte, strappandole una promessa:
-Ginny Weasley! Ad Halloween tu farai vedere a tutti cosa voglia dire divertimento, è chiaro?
Inutile dire che Ginny non avrebbe rispettato quella promessa, neanche se l’avesse voluto davvero. I tacchi alti erano un attentato in piena regola al suo equilibrio, e si trovava davvero a disagio a camminarci sopra. In più non amava gli sguardi che, di tanto in tanto, erano lanciati alle sue gambe, e le sembrava che persino le sue ginocchia potessero arrossire. Così era rimasta, per tutta la sera, seduta ad uno dei numerosi tavoli sparsi ai lati della Sala Grande, mentre Ellis non faceva che scatenarsi al centro dell’enorme stanza, ballando.
All’inizio, Ginny, per disperazione, aveva cercato Neville con lo sguardo, ma dell’amico non c’era l’ombra. Aveva intravisto di sfuggita Luna, ma la ragazza sembrava troppo assorta e concentrata sui festoni, o su qualunque cosa lei potesse vederci sopra.
E mentre tutti gli studenti di Hogwarts si godevano la festa organizzata per quell’Halloween, la piccola Ginny tormentava una ciocca di capelli sfuggita al suo chignon.
Si chiedeva cosa stesse facendo il suo Harry, se fosse con suo fratello ed Hermione. Ripensava alla lettera che l’amica le aveva mandato, in cui la informava del suo tanto aspettato fidanzamento con Ron, e le faceva riportava notizie di Harry, dato che lui non sembrava prendersi la briga di farlo. Dentro di lei, Ginny, sapeva che qualcosa non andava, e lo stava lentamente ammettendo anche a se stessa. Senza però rinunciare alla convinzione che, una volta rivisto Harry durante le vacanze di Natale, tutto si sarebbe sistemato. S’era confidata con Herm, e  aveva ricevuto solo rassicurazioni, ma poco convincenti. Sospettava che la ragazza non le dicesse tutto, ma l’unica possibilità di sapere qualcosa in più era parlarle faccia a faccia, il che era veramente impossibile. Ginny, inavvertitamente, sospirò affranta. Non era una stupida, anzi era perfettamente consapevole della difficoltà di una relazione a distanza, ma finché aveva avuto Harry al suo fianco non ci aveva dato peso. Nessuno le aveva detto che sarebbe stato così difficile.
Con lo sguardo perso nel vuoto ed una mano sulla guancia, Ginny non si accorse della persona che prese posto accanto a lei, immersa in quei suoi sospiri.
-Guarda un po’…che spreco!
Ginny trasalì sentendo quella voce suadente a pochi centimetri dal suo orecchio. Si voltò di scatto e si ritrovò di fronte un ragazzo alto, travestito da…
Lo sconosciuto doveva aver letto il disappunto negli occhi di Ginny, quando rispose:
-Niente paura! Sono solo un vampiro!- disse il ragazzo mettendo le mani guantate avanti, per poi aggiungere: -Ma bevo solo succo di zucca, giuro!
A Ginny scappò un sorriso, spontaneo.
Era alto, dai capelli scuri che incorniciavano un volto dalla carnagione resa quasi lattea per via del travestimento. Aveva labbra esangui, anche quelle un artificio scenico, che sorridevano sincere, ed occhi scuri e penetranti che per un attimo disorientarono Ginny.
-Ehm…scusami ero d-distratta. Cosa dicevi?- disse Ginny con voce tremula. Il ragazzo per tutta risposta fece un mezzo inchino e si accomodò sulla sedia accanto a lei.
-Dicevo, signorina, che è un vero spreco.- disse, sfilandosi i guanti bianchi dalle mani, con fare indignato.
-Non ti seguo, mi sa…
Il ragazzo non smetteva di sorriderle, forse per metterla a suo agio, e a guardarla in viso, ma da quello che le disse poco dopo, Ginny ebbe tutt’altra impressione:
-Veder una così bella ninfa, seduta qui da sola. Non trovi anche tu sia uno spreco?
Ginny arrossì violentemente, ma per fortuna l’interlocutore, date le luci soffuse della Sala non se ne accorse. Ma il suo desistere dal rispondere nell’immediato la tradì ugualmente.
-Spero non ti diano fastidio i complimenti degli sconosciuti. In tal caso, piacere, Robert! Settimo anno, Corvonero.
Ginny si decise a porgergli la mano, contagiata dalla spontaneità del ragazzo, e sorridendo a sua volta, disse:
-Piacere mio. Io sono Ginny, settimo anno, Grifondoro.
Peccato che si ritrovò ancora una volta nell’imbarazzo più assoluto: invece di stringerle il palmo, infatti, quel Robert, aveva deciso di farle un elegantissimo baciamano.
Ginny non avrebbe mai pensato che l’espressione “andare a fuoco” potesse essere più che una semplice metafora.
 
***
 
-Già, Parkinson, perché non ci spieghi, mmh?- disse Hermione, portando le braccia al petto e alzando il mento, con aria di sfida.
Harry colse l’antifona e si preparò ad affiancare l’amica, mentre la Parkinson continuava a sorridere innocente, di fronte a Draco.
-Ehm…veramente io preferirei di no, se fosse possibile sapete, io…- cercò di dire Ron.
Hermione per poco non lo incenerì con lo sguardo, salvo poi dipingere sul proprio viso un’espressione di puro stupore, una volta sentite le parole di Zabini:
-Mi trovo d’accordo con Weasley. Perché non torniamo di là?- disse il ragazzo, con tono pacato : -Gli ospiti di Potter si staranno chiedendo dove siamo finiti…
-Si fottano gli ospiti di Potter!- sbottò malamente Malfoy.
Pansy di scatto venne oltrepassata dall’ex-Serpeverde, che adesso fronteggiava Blaise.
-Non si potrebbe evitare che qualcuno fotta chiunque altro?- disse piagnucolando Ron. Hermione, impressionata dalla diplomazia di Blaise, alzò gli occhi al cielo, sperando che il suo ragazzo mostrasse un briciolo di maturità, mentre Pansy tornava alla carica, affiancando Malfoy, nel disperato tentativo di calmarlo.
Harry, impassibile, assisteva alla surreale scena, incapace di proferir parola. Non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo, e soprattutto cosa avesse spinto quei quattro a irrompere in cucina. Si trattava sicuramente di un’insinuazione malevola della Parkinson, ma non era da Hermione raccogliere una provocazione gratuita e, per quel poco che sapeva di lui, non sembrava nello stile di Zabini spettegolare. Su cosa poi? Si ridestò solo quando si sentì chiamare in causa:
-Qualsiasi cosa stiate tramando, voi due…- stava dicendo Malfoy, -sappiate che io con quello là non voglio averci niente a che fare. E fareste bene a piantarla prima che…
Malfoy non poté concludere la sua minaccia, perché Harry infastidito esplose:
-“Quello là” ha un nome.
Malfoy lo fulminò con lo sguardo, facendogli intendere che non sarebbe sorto nessuno scrupolo alla propria coscienza se, per caso, ad Harry fosse successo qualcosa di spiacevole.
-Nessuno ti ha interpellato, mi pare.- rispose velenoso.
-Sei stato tu a tirarmi in ballo, Malfoy, mi pare!
Prima che quel battibecco potesse sfociare in qualcosa di doloroso per entrambi, Blaise si sentì d’intervenire.
-Ragazzi, non mi sembra il caso di saltarsi addosso, forza…- disse accondiscendente.
-Sono d’accordo con Zabini, eviterei volentieri questo spettacolo anch’io!- proruppe Ron, rabbrividendo e con un’espressione orripilata negli occhi. La sua infelice uscita gli fece guadagnare un risolino soffocato di Pansy ed una sonora gomitata da parte di Hermione.
- Weasley, giuro su Morgana…- incominciò Malfoy.
-Oh, per l’amor di Salazar, smettiamola con insulse insinuazioni e stupide minacce. Pansy ha semplicemente dato voce ad un proprio pensiero.- s’intromise perentorio Blaise – Ci siamo lasciati coinvolgere dalle sue parole. È evidente che non si tratta di nulla di fondato.
Malfoy, sentito il tono dell’amico sembrò calmarsi un po’, mentre Harry lo guardava con rabbia, non capacitandosi della sua reazione e delle sue risposte. Lo irritava all’inverosimile quel suo modo di fare altalenante, quella sua faccia da schiaffi e quell’espressione così diversa rispetto a prima…Prima, ad Harry era parso di vedere un altro Malfoy, anzi ne era sicuro. Ma adesso sembrava essere tornato lo stronzo che da sempre conosceva. E in quel momento, il calore che ancora tormentava la sua mano, avrebbe voluto scaraventarglielo in faccia, dandogli un pugno.
-Esatto…è tutta colpa mia. Mi sono lasciata provocare come una stupida.- disse Hermione, mettendo una mano sul braccio di Harry, accanto a lei, cercando di tranquillizzarlo.
- Sì, Draco. È colpa della Granger! Il mio voleva solo essere uno scherzo innocente!- disse Pansy, gettandosi tra le braccia di Draco, non senza aver colto lo sguardo allibito di Hermione.
Blaise finalmente si permise di sorridere e rivolgendosi ad Harry disse:
-Potter, dal momento che tutto sembra essersi chiarito, proprorrei di…
Ma Harry non lo lasciò finire, e sgarbatamente, prima di abbandonare la cucina sbattendo la porta, disse:
-Tornare da quei fottuti ospiti, certo.
 
***
 
-Mi chiedo perché voi donne vi ostiniate a torturarvi così, sai?- le stava dicendo Robert, mentre lei non poteva far a meno di ridere.
-O, forse, si tratta un astuto modo di farmi intendere che non accetteresti di ballare con me, per nulla al mondo!
Ginny si lasciò prendere dall’ennesima risata, ed asciugandosi una lacrima sfuggita alle sue ciglia disse:
-No, no! Ho male a i piedi sul serio!
Fu il turno di Robert di ridacchiare.
-Togliti le scarpe, no?- propose il ragazzo con un occhiolino.
A Ginny faceva male la pancia per il troppo ridere. Non erano tanto le parole di Robert a divertirla, ma quel suo tono particolare, fuori dagli schemi, il modo di scegliere le parole. Sembrava non preoccuparsi minimamente di ciò che la gente pensasse di lui, né tanto meno delle apparenze. La sua spontaneità era fuori dal comune, ed aveva dei modi affabili, caratteristiche che contagiarono Ginny. La ragazza non s’era stancata un attimo di sentirlo parlare, anzi più gli argomenti diventavano assurdi e astratti, più Ginny sarebbe stata ad ascoltare le sue battute. Più di una volta aveva spiato il profilo del ragazzo al suo fianco, che con una faccia buffissima si guardava intorno mentre parlava e analizzava l’ambiente circostante. Ginny non aveva potuto far a meno di notare quanto fossero profondi ed intensi i suoi occhi, quando guardandola, avanzava l’ennesima e assurda teoria o proposta.
-Ma ti pare? Non posso togliermi le scarpe e ballare scalza!- disse lei, portandosi una mano alle labbra, mentre con l’altra si teneva l’addome, ormai dimentica dell’eventuale esplosione del suo abito.
-No? E chi l’ha detto?- disse Robert, come fosse sorpreso dalla rivelazione, -Mai sentito niente del genere! Anzi, semmai il contrario: non ci sono feste senza ballerini scalzi, oggigiorno! 
Ginny nascose il viso fra le mani, ridendo a più non posso. Poi, d’improvviso, le mani del ragazzo raggiunsero le sue, per scostarle. Ginny vide il suo interlocutore spiare il proprio viso, adesso libero dalle mani.
-Non nascondere la tua risata! È così bella!- aveva detto lui, le mani di Ginny ancora tra le sue.
La ragazza sentì una fitta alla bocca dello stomaco e il sorriso non poté far a meno di rifiorire sulle sue labbra, cancellando l’istante di disappunto.
Un pensiero fulmineo la colse, doloroso: quand’era stata l’ultima volta che Harry l’aveva sentita ridere?
 
***
 
Harry cercò di tornar padrone di se stesso, sorridendo forzatamente a Dean e Seamus che gli fecero un cenno, mentre chiacchieravano con Jay e Nisson.
Senza fermarsi a parlare con loro, Harry si diresse verso il tavolo e addentò con rabbia una delle tartine. Aveva i nervi a fior di pelle, e sapeva di dover darsi una calmata, ma più pensava all’accaduto, più gli veniva voglia di buttar fuori di lì tutta quella gente, compresa Hermione che lo aveva messo in quel casino, e che gli aveva dato il tormento per quella dannata festa. Ripensò al tono di Malfoy e sentì la rabbia montare: quando era da solo con lui, sfoderava quella sua voce di velluto, faceva il simpatico e sembrava quasi sopportabile. Gli aveva persino proposto, tempo prima, di collaborare, di essere i migliori…insieme! Ma era bastato che Zabini e la Parkinson mettessero piede in cucina, per assistere alla sua trasformazione in principino spocchioso.
Sua Eccellenza il Re degli Stronzi, pensò imperioso Harry, mandando giù un bicchiere di ponce.
-Harry, amico…t-tutto bene?- disse Ron mettendogli una mano sulla spalla.
Harry avrebbe volentieri sbraitato contro anche a lui, ma sapeva che Ron non c’entrava assolutamente nulla, anzi sembrava essere il più estraneo alla situazione, quasi ne fosse stato nauseato. A quel punto Harry, facendo mente locale, si chiese come mai Ron non avesse preso le sue difese. Sembrava piuttosto che fosse stato in un angolo a pregare che quella storia si concludesse in fretta.
-Si può sapere che diavolo vi è preso?- sbottò Harry.
-Oh, Harry…quella stupida della Parkinson, s’è messa a dire delle robe…io non ci volevo credere!- stava gesticolando animatamente Ron. Harry intuì che, se voleva capirci qualcosa, avrebbe fatto meglio a non interromperlo.
-Ma cerca di capire…Quella lì ha detto qualcosa su… Insomma Hermione sembrava talmente indignata, come se si sentisse una scema. Aveva la stessa faccia, giuro, uguale. Sai no? Quella che le veniva quando qualcuno otteneva un voto più alto del suo in qualcosa. E sembrava proprio che la Parkinson avesse avuto un voto più alto in…in…Beh, come se la Parkinson sapesse e lei no. E quindi Herm, sai com’è fatta, è come impaz…-
-Sapesse cosa, Ron? Cosa cazzo ha detto quell’idiota?- sbottò Harry, stanco dell’arrotolarsi dell’amico in quel vortice di parole.
-No, Harry, non hai capito! Hermione non è idiota…ho detto che deve essersi sentita idiota…- stava cominciando Ron, difendendo a spada tratta la sua ragazza.
-La Parkinson, Ron!- sbraitò Harry, fuori di sé: -Cosa diavolo ha detto la Parkinson!
-Aaaah, quell’idiota, sì!- sembrò illuminarsi Ron, per poi seppellire il proprio sguardo nelle scarpe. Harry picchiettò con le dita sul bicchiere, nervosamente.
-Ha detto che tra te e Malfoy…- cominciò Ron, incapace di continuare.
Harry inarcò un sopracciglio, fissando il suo migliore amico, e sperando che Ron non lo portasse a renderlo il suo ex-migliore amico.
-Tra me e Malfoy, COSA?- lo incalzò furiosamente Harry.
-Oh, ti prego…non farmelo dire. È stato già abbastanza orribile, sai?- piagnucolò Ron.
-Ha detto che tra te e Malfoy c’è qualcosa. E non alludeva a due amici per la pelle.
La voce di Hermione giunse alle sue orecchie, pietrificandolo.
 
***
E così aveva ballato, scalza, perché forse Robert un po’ di ragione l’aveva. Per una volta, una volta sola, Ginny decise di fregarsene degli sguardi di disappunto, del rossore delle sue guance. Persino della voce di Ellis che poco distante la incitava.
Robert s’era chinato a prenderle la mano e l’aveva trascinata al centro della sala, non appena lei aveva dato segno di un minimo cedimento.
Aveva ballato una canzone, così come aveva detto:
-Ok, un solo ballo però…
E poi ce n’era stata un altro ed un altro ancora.
Robert sembrava farla volteggiare, leggera, attirando gli sguardi invidiosi di più di una ragazza, e quelli sognanti di qualche ragazzo. Certe volte lui si avvicinava e le sussurrava all’orecchio, con referenza:
-Sei bellissima.
Ginny ne era lusingata. Si era lasciata andare, tra le braccia del ragazzo, ridendo senza più nascondersi, divertendosi come non ricordava di aver mai fatto, dimenticando qualsiasi schema precostituito, lasciandosi cullare dalla spontaneità di quel Corvonero brillante, che sembrava anticipare ogni suo passo. Ogni tanto, quando il suo sguardo incontrava quello intenso del ragazzo, e quella piacevole morsa alla bocca dello stomaco tornava a farsi sentire, indugiava timidamente. Ma la voce profonda e sicura di Robert la raggiungeva:
-Non pensare, lasciati andare. Non c’è nessuno. Ci siamo solo io e te.
E Ginny seguiva quella voce, dimenticando tutto quello che non fosse tra lei e quel ragazzo, distaccando per una volta dal mondo che la circondava.
Si sentiva leggera, svuotata da ogni pensiero come per magia, una di quelle che non avrebbe mai imparato e che risiedeva tutta in quel vorticare e inseguirsi, dietro alle note. Non le sembrava nemmeno di sentir cambiare la musica, aveva l’impressione di poter continuare all’infinito senza stancarsene. Desiderava non far ritorno al mondo in cui si trovava solo un attimo prima, o forse erano anni prima? Non importava. Nemmeno il tempo riusciva ad intaccare quell’attimo di perfezione. Guardava Robert, che le sorrideva con gli occhi, e le pareva di non aver mai sognato altro che qualcuno che le insegnasse un esistenza che non esistesse. Era come se, improvvisamente, si fosse trasformata nella creatura che il suo costume aveva forgiato in lei: una ninfa delle acque, sinuosa e leggiadra, che come acqua scorreva al tatto, che guizzava argentea. Bramò di sentirsi esattamente a quel modo, in ogni istante della sua vita, sperò ardentemente che potesse davvero essere così: intensa, vibrante, piacevolmente sfiancante. Chiuse gli occhi e lasciò che anche l’ultimo refilo di razionalità fluisse al di fuori di lei, abbandonò il proprio corpo e la propria coscienza e abbracciò con tutta se stessa quella sensazione di assoluta ed inebriante libertà.
Poi, all’improvviso… sentì qualcosa di soffice sulle labbra.
Il sorriso di Robert, radioso, s’era poggiato al suo.
Tutto s’infranse: lei tornò ad essere dolorosamente Ginny.  
Il freddo del pavimento sembrò per un attimo più freddo, sotto ai suoi piedi nudi.

 
Note:
 
Buonsalve, viandanti!
Intanto, prima di perdermi in chiacchiere, voglio ufficialmente ringraziare chiunque mi stia ancora seguendo in questo azzardatissimo percorso! Una su tutti, la mia pazientissima Tassorosso del <3: Wing.
Se un vecchio e malvagio serpentello come me torna a farsi vivo, temo sia proprio merito/colpa sua! Detto ciò ringrazio anche chiunque si limiti a leggere, chi ha aggiunto la storia alle seguite (38 anime pie) e chi invece la ritiene degna di stare tra le preferite!
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e…ok, lo so. C’è Ginny. Ragazzi, su…non fate quelle facce, non è morto nessuno!
Mi dicono dalla regia che è il caso di defilarsi e di concludere con un appello:
Tu, sì. Tu che stai leggendo, so che ci sei. Sìsì, furbacchione…guarda che laggiù a due scorrimenti di mouse c’è uno spazietto rettangolare. Non serve che ti spieghi qual è la sua funzione, vero?
Ecco bravo, ero sicuro che avresti capito.
Bye!
Alla prossima ;)
PS: auguri alle nostre befan…streghette! Volevo dire streghette! ;)
 

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Capitolo 16
*** Non si muore tutte le mattine ***


XVI. Non si muore tutte le mattine
 
"Per gli altri semplicemente spariva.
Quando c’era, c’era del tutto,
Quando non c’era, non c’era per nessuno”

 
Vinicio Capossela
 
Hermione sbuffò nervosamente, passandosi una mano sugli occhi. Era un gesto naturale per lei, come se poggiare le dita sulle palpebre riuscisse ad estraniarla per un momento dal mondo. Quel mondo imperfetto dove lei, da buona amica, non riceveva dei grazie ma solo assurde farse e rimbrotti scontrosi. S’era fatta in quattro per organizzare quella festa, per rendere memorabile quell’Halloween. Non lo aveva certo fatto perché pretendesse dei ringraziamenti, non era quel genere di persona, certo! La sua intenzione era quella di passare una bella serata, come ai vecchi tempi. Lei, Ron ed Harry, il suo migliore amico. Lo stesso migliore amico che Hermione aveva percepito distante, distaccato, quasi assente. Il suo era forse un malpensato tentativo di riavvicinarlo, o un mal congegnato piano per vederlo sorridere. Harry le era parso infastidito mentre addobbavano casa sua, ma lo aveva deliberatamente ignorato, certa che fosse una fase passeggiera, che quella sera si sarebbe divertito come non faceva da tempo. La sua idea era di ricreare un po’, giusto un po’, quella calda atmosfera di Hogwarts, nei loro momenti più spensierati. E si ritrovava i cocci di un sonoro fallimento tra le mani. Harry non aveva fatto altro che rincantucciarsi negli angoli più silenziosi, schivo, aveva scambiato con gli ospiti sì e no mezza parola. Con lei e Ron neanche quella, ed Hermione non riusciva a capacitarsene. Era come se avesse deciso di escluderli dalla sua vita. E pensare che aveva persino temuto che il suo fidanzamento con Ron potesse averlo ferito, si era chiesta se Harry non si fosse sentito escluso, dopo quella rivelazione. Quello che più feriva Hermione era che il suo migliore amico non sembrava essere stato toccato dalla notizia. Era impenetrabile e non voleva farsi raggiungere, anche se Hermione non voleva credere fosse intenzionale. Le sue supposizioni l’avevano convinta che si trattasse della compagnia di Malfoy. Ma ogni volta che toccava l’argomento, Harry sembrava eluderlo a tutti i costi. Ciò che la spaventava era vederlo cambiare, non che il cambiamento in sé fosse un male, ma era il cambiare di Harry senza di loro a scaraventarle un macigno sullo stomaco. Hermione avrebbe tanto desiderato che, senza un motivo, Harry la abbracciasse e le dicesse che andava tutto bene, che niente tra loro tre sarebbe cambiato. Ma non era successo, e semplicemente i giorni scivolavano, ed Harry sembrava erigere mura sempre più alte e più inespugnabili.
Così quando la Parkinson aveva fatto una velata allusione sui rapporti di Harry con Malfoy, cosa di cui Hermione era stata lasciata all’oscuro, non aveva potuto far a meno di sentirsi tradita, ferita, delusa. Normalmente non avrebbe dato adito ad una pettegola come la Parkinson, s’era detta la Hermione pragmatica, ma le era bastato osservare Zabini, che mascherava un sorrisetto, per fuorviare qualsiasi dubbio. Harry le aveva nascosto qualcosa, qualsiasi cosa fosse. E tanto bastava per annodarle lo stomaco con il risentimento e la delusione.
Ma adesso Harry era di fronte a loro, e le parlava, livido di rabbia. Hermione, nervosa, sarebbe voluta tornare indietro: non aver mai organizzato la festa, aver pensato piuttosto ad una serata fra loro tre.
-Qualcosa.- aveva ripetuto Harry, meccanicamente e troppo sconvolto per la rivelazione. –E voi, giustamente, avete immaginato che io e Malfoy fossimo amiconi, che passassimo ogni giorno insieme allegramente…magari giocando a scacchi o scambiandoci confidenze?!
Ron tossicchiò a disagio:
-Magari avessi immaginato solo quello…Non dormirò mai più sonni tranquilli.- aveva mormorato, ma fortunatamente Hermione attirò l’attenzione prima che Harry potesse sentirlo.
-Cosa avremmo dovuto immaginarci invece?! Tu non ci racconti niente, Harry! NIENTE! Ci hai buttati fuori dalla tua vita e…- era partita all’attacco la ragazza, nascondendo più che poteva tutto il risentimento di quelle parole.
-Forse perché non c’è NIENTE da raccontare? E poi…Buttati fuori?! Hermione sei impazzita? Chi diamine ha organizzato questa festa?- sbottò Harry alzando la voce.
-Oh, così il problema è la festa? Sai cosa, Harry? Potevi dirmi che non avevi nessuna intenzione di dare questa maledettissima festa, dato che te ne sei stato tutta la sera per i fatti tuoi, come se io e Ronald non esistessimo! Certo, se te ne fregasse qualcosa di noi!
Ron assisteva ammutolito alla scena. Quella storia non sarebbe finita bene, lo sapeva. Harry era uno stupido orgoglioso ed Hermione era troppo sensibile su determinati argomenti, soprattutto quelli che erano frutto delle sue mille paranoie.
Stava zittò lì, tra i due amici, sperando che la bufera passasse. Sperò ardentemente di non dover prendere le parti di nessuno, ed in definitiva che non lo interpellassero affatto.
Harry fece un passo avanti a fronteggiare Hermione con furore:
-Come può fregarmi di voi? Ormai per me esiste solo Malfoy, no?
Ad Hermione vennero gli occhi lucidi, aprì la bocca per parlare, ma fu travolta da Harry.
-Avete dato per scontato che le parole di quell’idiota fossero vere. Siete entrati lì credendo di trovare la fottuta Camera dei Segreti o di aver scovato la dannata Pietra Filosofale! Non vi è neanche venuto in mente di chiedermelo.
Hermione lottava con se stessa per non cedere a quella lacrima che pizzicava le sue ciglia per uscire. Poi alzò lo sguardo, in un attimo della sua disarmante lucidità e disse, la voce atona e senza colore:
-Avresti risposto, Harry? Se te lo avessimo chiesto, avresti risposto?
Harry indietreggiò, disorientato. Sapeva che avrebbe dovuto rispondere di sì, sapeva di doverle rispondere subito, nell’immediato, come se non ci avesse neanche pensato sopra. Leggeva quel “sì” aspettato con speranza dall’espressione di Hermione. Solo che quella sillaba sembrava essersi bloccata nella sua gola, a metà fra il coraggio e l’intenzione. Harry, razionalmente, sapeva che in realtà avrebbe evitato l’argomento. Non perché non coinvolgere i suoi amici nella sua vita, ma perché non aveva davvero nulla da dire. Non sapeva definire il suo rapporto con Malfoy, e non voleva fermarsi a rifletterci sopra per poterlo fare. Così restò bloccato lì, le braccia che prima gesticolavano frenetiche, adesso abbandonate lungo i fianchi.
Le parole di Hermione giunsero come una frusta, e bruciarono indicibilmente:
-Ecco…Infatti.
 
***
 
Dapprima restò imbambolata, come se stesse ancora decidendo se era stato uno scherzo della sua fantasia o un terribile incubo.
Poi sentì il sogno infrangersi in mille pezzi e tornò dolorosamente alla realtà.
Quel ragazzo l’aveva proprio baciata e adesso Ginny, irrigidita, era ancora tra le sue braccia immobile, mentre la sala intorno a lei continuava a danzare.
Robert la guardò, smarrito. Ginny sentì le mani bruciare, strette tra quelle del ragazzo, e si allontanò bruscamente.
-C’è qualcosa che non va?- le disse Robert, ignorando quanto fosse difficile che le proprie parole potessero raggiungerla.
Ginny si mise una mano sul petto, odiando quel battito che non voleva placarsi. Odiò se stessa per aver lasciato che tutto quello accadesse. Tutto il calore che l’aveva avvolta fino a quel momento sembrò abbandonarla, come se qualcuno che non avesse mai smesso di abbracciarla adesso avesse mollato la presa.
Chissà perché ma Ginny, con disperazione, immaginò fosse l’abbraccio di Harry.
Cosa aveva fatto?
Robert poggiò una mano sulla sua spalla nuda e a quel calore lei si ritrasse, come avesse paura di scottarsi.
-Ginny? Va tutto bene? Oddio, scusami non avrei dovuto…
Ma Ginny non voleva ascoltare quella voce, una voce che sembrava accordarle il cuore, tararlo su uno spartito diverso e farlo battere seguendo una musica che non conosceva. Non voleva e indietreggiò.
Non seppe mai da dove le venne la forza di dire:
-I-io…è meglio che vada. È tutto apposto, ma devo andare.
Sorrise ma era una smorfia di disgusto, verso se stessa.
 
***
 
Draco, immobile stava seduto sulla poltrona datata del salotto di Grimmauld Place. A guardarlo ci si sarebbe chiesti se stesse respirando o fosse semplicemente una statua di marmo. Il suo sguardo era perso nel vuoto. Nemmeno un muscolo, sul suo viso, sembrava potersi muovere, pareva piuttosto non si fosse mai mosso affatto. Intorno a lui le persone, quelle vere, ridevano, scherzavano…si poteva persino dire fossero divertite. Facce di cera, intorno a lui, immerso nel suo personalissimo silenzio. Ogni tanto reprimeva un fremito, dissimulando qualsiasi parvenza di umanità.
Blaise si avvicinò, cercando di far meno rumore possibile. Si accomodò con cautela, come un bimbo che avvicina un famelico felino, scambiandolo per un micetto randagio, con il deliberato intento di accarezzarlo.
Draco non lo degnò di uno sguardo. Sapeva che Blaise non avrebbe detto nulla, che non avrebbe avuto il coraggio d’infrangere il silenzio. Era sempre così, aspettava che sbollisse, che fosse lui il primo a parlare. Come una partita a scacchi: la prima mossa spettava ai bianchi. E proprio come negli scacchi, la vittoria sarebbe stata ottenuta solo fruttando gli errori e le mosse inaccurate dell’avversario.
Sentiva la fissità dello sguardo denso di Blaise su di lui, non lo guardava ma riusciva a indovinarne la figura, compostamente seduta al suo fianco, intangibile e imperturbabile.
Passarono una manciata di minuti o forse ore, poi Draco si decise a parlare:
-Odio chi ficca il naso negli affari miei.- la sua voce di ghiaccio non venne smorzata dall’atmosfera intorno a lui, niente avrebbe potuto eliminare quella freddezza tagliente.
Blaise con un gesto calcolato lasciò scivolare un bicchiere di Whisky sul tavolino basso di fronte a loro.
-Ho letto da qualche parte che la rabbia è un cubo di ghiaccio. E a quanto pare il Whisky riesce a scioglierlo*.
Draco avrebbe riso, se non fosse stato un maledetto bastardo che adorava fare il sostenuto. Non riusciva a rimaner arrabbiato con Blaise, almeno non molto a lungo.
-Ci vorrà più di mezzo bicchiere, allora.- rispose asciutto.
Blaise sorrise, in quel suo modo discreto che lasciava tutti in dubbio: era un sorriso o la sua ombra?
-Ti avevo detto come la pensavo in proposito. Scoprire che Pansy condivide ed esterna con tanta naturalezza il mio stesso pensiero, ne converrai, mi lascia a bocca aperta…
-Quindi tu sei venuto ad accertartene di persona.- voce di aguzzo vento di tramontana investì Blaise.
-Che dire a mia discolpa? Ho una mente empirica.
Draco, chissà per quale miracolo, o maledizione, fissò i suoi occhi in quelli del suo migliore amico.
-Procedere per prove ed errori.- ribatté con disprezzo.
-Non avremmo dovuto invadere i tuoi spazi.
Era un’ammissione di colpa quella? Senz’altro. Draco detestava apertamente chiunque violasse, senza il suo permesso, quelli che Blaise aveva definito come i “suoi spazi”. Chiunque avesse tentato, in passato, di intromettersi nelle sue questioni personali, aveva guadagnato più di sguardi appuntiti e parole stizzite. Ma era pur sempre di Blaise che si stava parlando, e Draco era certo della non intenzionalità del suo comportamento. Conosceva Blaise, avrebbe fatto di tutto, pur di scoprire di aver ragione.  E immaginò i numerosi scrupoli dell’amico nell’aprire quella porta. Non era un tipo impulsivo, aveva sicuramente vagliato qualsiasi ipotesi, e non lo avrebbe esposto così davanti a tutti.
-Così sei convinto che tra me e Potter ci sia qualcosa.
Prima mossa inaccurata: l’alfiere nero sbaraglia la torre bianca.
-Penso possiate essere buoni amici.
Draco inarcò un sopracciglio, con la sua tipica espressione di disappunto. Non ci fu nemmeno bisogno di dire che sapeva che Blaise stesse indorando la pillola.
-Ti ho già detto cosa penso o sbaglio?- rincarò Blaise.
-E io ti ho già detto che Potter non è…- ma Draco non poté concludere la frase, perché Blaise, con una pacatezza sovrumana disse accondiscendente:
-Potter è Potter e basta.
La naturalezza con cui disse quella semplice frase colpì Draco dritto allo stomaco.
-Appunto!- si sforzò di ribattere, prima di mandar giù un sorso di Whisky.
Seconda mossa inaccurata: via anche il cavallo bianco dalla scacchiera.
-Convieni con me quindi, nel dire, che sarebbe un paragone inappropriato quello con Theodore.- disse Blaise, distogliendo casualmente lo sguardo, e portando il proprio bicchiere alle labbra.
-Anche il paragonare le situazioni è inappropriato, Blaise.- ribatté Draco con forza, parafrasando l’amico per dispetto.
-Sono assolutamente d’accordo. Per ora…- disse Blaise, per poi fare una pausa e svuotare il bicchiere: - Ricordi cosa ti dissi sull’accettazione, tempo fa, Draco?
Blaise si alzò con eleganza, pose una mano sulla spalla di Draco, che sembrò finalmente rilassarsi al suo tocco, e prima di allontanarsi riportò le sue stesse parole alla memoria dell’amico:
-Non si può tornare mai allo stesso punto da cui si è partiti, perché nel frattempo si cambia. Da se stessi non si può fuggire.*
 
***
 
Harry odiò se stesso. Per non aver risposto ad Hermione, per non essersi sforzato di fingere essere almeno un po’ grato per quella festa, per aver inavvertitamente allontanato i suoi amici. Hermione lo aveva lasciato lì, e sull’orlo del pianto si era allontanata il più velocemente possibile, attirando sguardi interrogativi da parte delle sue ex-compagne Grifondoro, messi a tacere da Ron che alzava le spalle e a voce abbastanza alta da farsi sentire diceva:
-Oh, che idiota, come avrò fatto a non farle i complimenti! Vado a consolarla…!
Mossa che gli fece guadagnare un’occhiataccia da Lavanda e sguardi maliziosi dalle altre, mentre Harry sospirò di sollievo per quel barlume di genialità del suo migliore amico.
Prima che Ron lo lasciasse lì, per raggiungere Hermione, Harry cercò di smozzicare un “grazie” ma l’amico gli diede una pacca sulla spalla e disse con un sorriso bonario:
-Andrà tutto bene, vedrai, le passerà.
Ed eccolo di nuovo lì, da solo, defilato da una festa che si supponeva fosse stato lui ad organizzare.
-Sai, questo è stato meglio di qualsiasi intervista.
Una voce zuccherosa lo raggiunse, ed Harry pregò Godric, Merlino, Morgana e tutti i grandi maghi che gli venissero in mente. Si dimenticò di supplicare Salazar, evidentemente, perché la voce apparteneva proprio ad una delle streghe che affollavano le sue schiere.
Pansy Parkinson, in quell’assurdo vestito color malva, lo guardava di sottecchi, seduta a pochi passi da lui. Harry sospettò fosse stata lì per tutto il tempo, il ché gli dava la certezza assoluta che avesse ascoltato la sua poco piacevole conversazione.
Harry si chiese perché il cosmo avesse deciso di accanirsi contro di lui, e dire che avrebbe dovuto ricevere fortune a pacchi, e con gli interessi, ormai e soprattutto dopo quello che aveva passato.
-Non ho potuto far a meno di ascoltare, mi spiace.- disse la ragazza facendo spallucce, poi strizzò un occhio dalle lunghe ciglia scure ai suoi danni.  
-Sembra tu non ne faccia mai a meno…- rispose Harry malevolo.
-Beh, tesoro…è il mio mestiere!
Pansy si alzò con grazia e lo affiancò, porgendogli un bicchiere che fino a un momento prima giaceva intonso sul tavolo.
-Direi che ne hai proprio bisogno…- disse dolcemente.
Harry accettò il bicchiere meccanicamente, ma non bevve.
Pansy continuò a fissarlo, così Harry, per l’ennesima volta a disagio, abbassò lo sguardo e deglutì a vuoto.
-Draco sa essere una persona veramente difficile.- esordì la ragazza, con un sospiro: - Impossibile, per la verità. È permaloso, introverso, suscettibile, testardo, orgoglioso e incredibilmente irascibile. Ma è anche brillante, spiritoso, intelligente. Ti verrebbe voglia di passarci una giornata intera, ma subito dopo arriva la sera e cambia radicalmente. Fa così: è come il giorno e la notte, in mezz’ora. E ti porta a desiderare di ucciderlo, quando fa lo scorbutico… Ma come si dice? Non si muore mica tutte le mattine!*
Harry riportò d’impulso lo sguardo su di lei. In religioso silenzio l’ascoltò stranito, e non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello d’interromperla.
-Alle volte è così schifosamente riservato e sulle sue…ti porta a chiederti se davvero gli importa di te o se invece ti considera una delle tante comparse nella sua vita. Sì, perché è anche pieno di sé. Ma sa essere generoso, anche se si taglierebbe le appendici più utili pur di ammetterlo. È una brava persona, Potter. Lo è davvero.
Harry stava lì, immobile, ripetendo nella sua testa le parole della Parkinson, che sembrava essere riuscita ad inchiodarlo lì. Non capiva cosa si aspettasse quella ragazza, perché gli avesse detto tutte quelle cose su Malfoy.
-E tutto questo dovrebbe interessarmi…perché?- chiese Harry, intontito da tutte quelle parole.
-Perché il mio sesto senso pensa possa interessarti.- disse la Parkinson con un sorrisetto malizioso. Harry rimase senza parole ma prima che potesse ribattere, Zabini pose una mano sulla spalla della ragazza.
-Pansy, temo sia ora di andare…- disse il ragazzo e poi fece un cenno rispettoso verso Harry.
Quel ragazzo lo stupiva ogni volta. Non sapeva mai cosa aspettarsi. Era come se aleggiasse sempre un’aura di mistero intorno a lui, un enorme enigmatico punto interrogativo. Harry aveva la netta impressione che ogni parola, ogni gesto, persino ogni espressione, usata da Zabini fosse scelta e selezionata con cura, misurata in ogni occasione. Come se l’ex-Serpeverde detestasse generare il minimo rumore al di fuori della smaniosa armonia che lo attorniava.
Pansy in silenzio annuì, senza non sfoderare il suo solito broncio infantile:
-Oh, che peccato! Beh, Potter, caro…grazie per la festa allora e a presto!
Un altro occhiolino ed Harry avrebbe agognato la morte. Zabini si congedò con un altro silenzioso cenno del capo.
Harry li seguì con lo sguardo, mentre da soli, si avviavano verso l’uscita, non senza una piccola sosta vicino alla libreria, dove Zabini salutò educatamente Hermione, che col trucco sbavato continuava a trangugiare bicchieri di ponce.
Harry sentì una fitta di senso di colpa colpirlo, nel ritrovare l’amica nella stanza che si guardava bene dall’avvicinarlo, affiancata da Ron che le teneva la mano. Hermione si sfregò gli occhi e Harry da lontano immaginò stesse proponendo di accompagnare gli ospiti all’uscita. Guardò di nuovo Zabini e Pansy e si perse a pensare come fossero agli antipodi: lei rumorosa e sfavillante, non passava certo inosservata, lui era silenzioso e cauto, placido. Proprio gli opposti, eppure ad Harry scappò un sorriso, quando Zabini le prese la mano e teneramente la scortò fuori dal salotto. Si ritrovò a pensare che, sebbene agli antipodi, quei due non fossero poi così mal assortiti.
Ad Harry, chissà come, ritornarono alla mente le parole della Parkinson:
Come il giorno e la notte, in mezz’ora.
Troppo preso da quei pensieri, Harry non notò che quei due stavano lasciando la festa senza Malfoy.

 
 
Note:
  • Il titolo del capitolo: è il titolo del libro da cui ho tratto la citazione numero 16, ed è di quel genio di Vinicio, amore a frotte per lui.
  • La prima frase di Blaise: è tratta da un’intervista fatta ad Alessandro Mannarino sul suo album “Bar della Rabbia”.
  • La seconda frase di Blaise: è di Andrej Tarkovskij, non ricordo il titolo del libro però, non me ne vogliate.
 
Buonsalve, viandanti!
Ho una notizia buona ed una cattiva. Quella buona e che sono molto molto molto contento di come procedano le cose: la storia è seguita e dagli esigui commenti deduco che è anche apprezzata! Ringrazio tutti coloro che fin ora mi hanno fatto sapere cosa ne pensano e hanno evidenziato eventuali incongruità o errori. Sono sembre ben accetti i vostri preziosissimi pareri, senza i quali mi perderei, ogni tanto :)
Andiamo alla notizia cattiva…da domani inizia la sessione d’esame e sarò un po’ più assente. Purtroppo non penso di riuscire a mantenere il ritmo di un capitolo al giorno…Ma non credo neppure di sparire dalla circolazione –ehm, di nuovo-. Gli aggiornamenti ci saranno, promesso, ma un po’ a rilento. Vogliate scusarmi.
Detto ciò vi lascio e scappo a studiare :’(
Spero che il capitolo non vi abbia deluso, e che mi facciate sapere cosa ne pensate!
A presto,
Indice. 

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Capitolo 17
*** Un uragano in un bicchiere ***


 
XVII. Un uragano in un bicchiere
 
“Confusion never stops,
Closing walls and ticking clocks.
[…]
Am I a part of the cure?
Or am I part of the disease?”
Clocks,
Coldplay.
 
 
Harry guardò la pendola che rintoccava la mezzanotte, lì nel suo salotto. Cercò di non badarci tentando senza successo di seguire il monologo di Neville sulle numerose qualità del Bubotubero.
-Sto cercando di usare il pus di un giovanissimo esemplare per ricavarne un unguento che…
L’appassionato discorso di Neville non arrivava però alle orecchie di Harry, che stava per l’ennesima volta inseguendo i propri pensieri.
Il litigio con Hermione, lo aveva infastidito. Avrebbe dovuto provare dispiacere, sentirsi in colpa, immaginò. Ma proprio non gli riusciva, e si era anzi insinuato in lui quel fastidio sonnolento, per l’ostinazione dell’amica nel cercare risposte che Harry avrebbe preferito non porsi.
D’altra parte non aveva smesso di pensare alle parole della Parkinson, che senza un perché sembrava avergli regalato un ritratto dettagliato di Malfoy e di quel suo caratteraccio.
E come sempre, costante sgradita della sua mente, Malfoy.
Quell’impossibile lunatico arrogante. Ad Harry prudevano le mani nel riportare agli occhi quel suo modo di fare, eccessivamente distaccato ad ogni costo, superiore, sprezzante. Eppure non dimenticava come riuscisse a cambiare completamente, quando in torno non erano presenti altri spettatori. Sembrava che Malfoy si ostinasse a mantenere le distanze fra loro, sottolineando questa sua necessita anche a parole, per poi far tutto l’opposto. Harry se lo vedeva ronzare intorno continuamente, ma non credeva fosse intenzionale, così come era consapevole di comportarsi alla stessa maniera. Certo, lui non aveva bisogno di indossare nessuna maschera, e si era sforzato di essere sincero con lui. Non sapeva bene da quando il detestare cordialmente Malfoy si fosse trasformato in un andarsi tacitamente a genio. Forse era aver scorto qualcosa d’inaspettato in lui, che sembrava essere così bravo a sorprenderlo. Come quella volta che era piombato a casa di Harry per insegnargli a preparare l’antidoto, o come quando lo aveva invitato a pranzo, o persino quando erano rientrati quella sera dal Gatto Nero, passeggiando come amici di vecchia data. Malfoy gli riservava sempre le sue battutine acide, ma non c’era traccia del colossale stronzo che Harry aveva avuto il dispiacere di conoscere, non in quelle occasioni. Proprio non sapeva spiegarselo. Malfoy era senza dubbio in lotta con se stesso: da una parte sembrava voler istaurare un rapporto con lui, dall’altra dava l’impressione di desiderare tutto il contrario. Di certo la coerenza non era tra le sue prerogative. Il fatto che ci fosse di mezzo proprio lui, Harry Potter, non doveva avergli facilitato le cose. Ma pur di annichilire quel groviglio di confusione nella sua testa, Harry, sarebbe stato ben di sposto a mettere una pietra sopra al passato ed anche ai recenti avvenimenti. Non se ne parlava neanche, si disse, con Malfoy non funzionava così. Un’ammissione del genere avrebbe potuto farlo risentire ancora di più.
Harry si massaggiò la nuca, annuendo a Neville, ma non avendo la minima idea di ciò che stesse dicendo.
E in ultimo, ma non meno importante, stava pensando il padrone di casa, c’era una questione ancora più ingarbugliata. Cercò di affrontarla alla lontana, analizzando se stesso e l’atteggiamento dell’altro.
La sensazione di toccare Malfoy era stata per lui disorientante, per non dire sconvolgente. Harry aveva sentito una certa familiarità, accompagnata dall’imbarazzata intimità di un gesto più che semplice. Quante volte gli era capitato di stringere il braccio a Ron? Quante volte aveva toccato Hermione?
Cosa poteva esserci di diverso?
La sensazione s’insinuò prepotentemente in lui. Era stato un fulmine a ciel sereno, una scossa elettrica, un’iniezione di adrenalina e l’inciampo di qualsiasi forma di ragionamento logico. Non aveva mai provato niente di simile, niente che fosse riuscito a turbarlo così in profondità. E non era rabbia, non era paura, non era neppure temerarietà. Per quanto si sforzasse, Harry, un nome a quello spillo caldo nello stomaco, non sapeva darlo.
Si era sentito talmente dissestato da quell’attimo di lucida e piacevole impressione che il contatto aveva generato, da non riuscire a dargli un nome. Poteva solo accostare quella a situazione ad una sensazione che aveva generato in lui la stessa emozione intensamente disconnessa dal mondo che lo circondava. Era il ricordo del vento che gli sussurrava sulla pelle, mentre volava sulla sua scopa. Era l’ebrezza di trovarsi a metri da terra, libero di vagare. Erano i polmoni pieni di aria rarefatta. Ed era l’entusiasmo di sfrecciare a tutta velocità, che scompigliando ancora di più quei suoi capelli impossibili, riscriveva l’ordine dei suoi organi interni e che gli cacciava il cuore sulle labbra e la mente sotto le suole.
-Harry, amico. Hermione non si sente molto bene…- la voce di Ron lo raggiunse, titubante.
-Io credo che…Insomma, il fatto è che ha bevuto troppo, è meglio se l’accompagno a casa.
Harry si riscosse dai propri pensieri, guardando l’espressione preoccupata del suo migliore amico, che adesso affiancava Neville.
Hermione ubriaca, fantastico, si disse Harry. Adesso il senso di colpa iniziava a punzecchiarlo, repentino.
-Cavolo Ron…- disse, con un sincero dispiacere nella voce :- Posso fare, non so, qualcosa…?
Ron gli sorrise timidamente e mettendogli una mano sulla spalla disse:
-Non preoccuparti, Harry. È la mia ragazza, ci penso io…
Le parole di Ron gli lasciarono intendere quanto fosse poco utile il suo aiuto in quel momento, dato che Hermione si trovava in quelle condizioni proprio a causa sua. Harry maledì quel suo essere stato così superficiale ed insensibile verso Hermione.
-Potresti, ehm…accompagnarci alla porta, che ne dici?
Era evidente che Ron non sapeva bene come comportarsi, mentre dissimulava la sua apprensione.
Harry si limitò ad annuire e facendo un cenno a Neville, che per tutto il tempo li aveva guardati con aria grave, seguì Ron fino alla base delle scale.
Lì, i capelli scompigliati e l’ombra del trucco sbavato, Hermione si appoggiava a Dean e Seamus, proferendo scuse biascicate e sconnesse.
-Va tutto bene, Hermione! Seamus si è trovato in condizioni peggiori di queste, sai? Lui è irlandese, potrai ben immaginare,- stava dicendo Dean reggendo la ragazza per un braccio, mentre Seamus se la rideva gaio, -Guarda Herm! Arrivano Ron ed Harry!
-Mandatelo via! Non voglio neanche guardarlo in faccia!- esplose Hermione, trattenendo un singhiozzo.
-Ehi, dì un po’ Ron…sei stato precipitoso, eh?- scherzò Seamus, allusivo, ma fraintendendo completamente .
Ron arrossì violentemente, prima di passare un braccio intorno alla vita di Hermione.
-Seamus, sarà meglio dare una mano al vecchio Ron-Ron, eh?- rincarò Dean, passandosi un braccio della ragazza sulle spalle, mentre Seamus continuava a ridere, probabilmente ubriaco quanto Hermione.
-G-grazie ragazzi…- balbettava Ron.
Harry, nel frattempo, guardava colpevole la sua migliore amica, incapace di proferir parola. Ad un cenno di Ron si decise a muoversi ed ad accompagnarli verso la porta.
Una volta lì salutò Seamus e Dean sforzandosi di fare un sorriso, e mentre Hermione sembrava stesse per liberarsi di tutto l’alcool ingerito, Ron velocemente spinse tutti fuori, liquidando Harry con un:
-Ci vediamo presto, eh, scusami Harry ma…
Harry si limitò ad annuire, afflitto, ma leggendo sulle labbra dell’amico un sorriso accomodante.
Quando chiuse la porta, vi si abbandonò contro, e si disse ad alta voce:
-Potter, sei un’idiota.
La sua voce gli ricordò tremendamente quella di qualcun altro.
 
***
“How was I so blind to miss you clumbling inside?
Is it too late how to fix you? […]
‘Cause there’ll be no sun on sunday
No reason for words to rhyme.”
Sun on Sunday,
James Blunt
 
Le sembrava di essere ferma allo stesso punto, nonostante stesse correndo via dalla calca della Sala Grande. I piedi scalzi, i capelli scarmigliati, il corsetto e il tulle della gonna in disordine, ma quella sensazione di bruciore all’altezza del cuore che non la lasciava. Le pareva di correre e di non riuscire a raggiungere gli enormi battenti che l’avrebbero salvata da tutto quello.
Ginny tirò il fiato solo quando riuscì ad abbandonarsi contro il legno antico e spesso della porta. Si accorse solo in quel momento di aver lasciato le scarpe all’interno, e le mancò la forza d’immergersi di nuovo in quell’atmosfera che tanto l’aveva allontanata da se stessa.
Incolpò prima quell’aria frizzante e leggera tipica delle feste, poi la musica che da ritmata era inspiegabilmente passata a qualcosa di intimo, infine ebbe il coraggio di dare la colpa a se stessa.
E qualcosa sembrò spezzarsi dentro di lei, riconoscendo il riflesso della lenta disfatta: in nessun altro posto avrebbe trovato il colpevole, se non allo specchio.
Sentì le lacrime bussare dietro agli occhi, ma non si permise di aprire. Corse ancora, trattenendo il fiato, come a punirsi, fino alle scale.
Mai prima di allora queste ultime sembravano essere state talmente placide e imperturbabili, mai prima di allora le avevano permesso di arrivare esattamente dove stava andando, non senza averla costretta in vicoli ciechi, mai le avevano consentito di andare dritto, senza guardarsi indietro, senza fermarsi.
Così Ginny non si accorse della ragazza, che preoccupata, la stava seguendo, proprio fino alla loro sala comune.
Di sotto, tutto continuava a scorrere impassibile: la musica continuava a suonare, gli studenti a ballare, ridere, divertirsi. E mentre il giovane Corvonero del settimo anno, smarrito, cercava le scarpe della ragazza che poco prima ballava con lui, tutto il resto del mondo continuava a ruotare.
Il novello principe di una Cenerentola, a suo dire, più che volubile, si ritrovò senza accorgersene affiancato da una sua compagna di casa, e non poté far a meno di inorridire. Lunatica Lovegood dava proprio l’impressione d’esser decisa a parlare con lui.
-Ginny non fa sempre così, sai? È tanto dolce e simpatica.
Robert provò a non guardarla come venisse da un altro pianeta, ci provò sul serio, ma quei suoi orecchini arancioni vorticanti erano un vero e proprio attentato.
-Io so cos’ha. Non ha ancora capito.- stava asserendo la ragazza con fare saputo.
-Capito cosa, scusa?- chiese il ragazzo, educatamente.
-Che siamo liberi, adesso. Ognuno di noi lo è. Non c’è più la guerra. Non ci sono più piani da seguire.- disse enigmatica Luna.
Robert strabuzzò gli occhi e inarcò un sopracciglio, il ché fece sentire in obbligo la ragazza, che disse con naturalezza:
-Io l’ho capito subito, sai? Non ci vuole poi molto…basta averle parlato una volta.- poi Luna fece una pausa e abbozzò un sorriso,–Ginevra Weasley crede di vivere in una favola. Ma l’eroe, adesso è una persona come tutti noi. Mentre lei è rimasta la principessa di sempre, e vuole vivere un sogno.
Qualcosa di quel discorso continuava nettamente a sfuggire al brillante Corvonero, che cominciò ad indispettirsi.
-Luna, guarda…non so di cosa tu stia parlando…- provò a dire, ma la frase che la ragazza, con un’alzata di spalle, disse subito dopo, lo colpì in faccia, con la stessa forza di uno schiantesimo.
-Harry si è svegliato. Lei dorme ancora.
Harry, pensò Robert, Harry Potter.
 
***
“You may be lost in more ways than one
But I have a feeling that it's more fun
Than knowing exactly where you are”
 
Keep On Walking,
Passenger.
 
Quando tornò in salotto, Harry scoprì piacevolmente come anche gli ultimi ospiti si stessero congedando, e dopo i saluti di rito e una pacca sulla spalla da parte di Jay che sorridendo gli disse:
-Domani si ricomincia, eh!
Fece per l’ennesima volta da spola tra il salone e l’ingresso, dove richiusa la porta, si permise di tirare un sospiro di sollievo.
Contrariamente a qualsiasi previsione pareva essere sopravvissuto anche a quella, certo non senza danni, mentre raccattava bicchieri e piatti sporchi e vuoti, non poté far a meno di sentirsi un po’ come loro.
La sua insensibilità aveva ferito Hermione, portandola a eccedere e a sentirsi male. E non aveva neppure tentato di trovare le parole per rassicurarla, per dirle che no, non voleva allontanarsi da loro, o che loro si allontanassero. Le parole di Hermione erano ancora più plausibili adesso che le riportava alla mente. Era stato un’idiota, vuoto insensibile e sporco bugiardo. Non era riuscito ad ammettere, con se stesso e con i suoi migliori amici, la verità: aveva eretto un muro, di modo che loro non l’oltrepassassero. Ma il perché, quello sfuggiva pure a lui.
Eppure, invece di rincorrere Ron ed Hermione e dirgli che gli dispiaceva, stava lì a far lievitare piatti e bicchieri, e stoffa per radunarli e portarli in cucina. Sistemare quel campo di battaglia lo avrebbe calmato, lo avrebbe rilassato. Ricomporre i pezzi, ritornare all’inizio, far sparire le macchie, scrostare i residui di cibo e lucidare i fondi dei bicchieri, quello gli avrebbe dato una parvenza di stabilità. Avrebbe continuato a prendersi in giro, certo, ma era sempre meglio di sentirsi incapaci di andare fino in fondo, e di trovare risposte a domande che non sembravano neppure essere state poste.
Cosa era successo? Perché aveva allontanato Ron ed Herm?
Cosa ne era di Ginny e delle lettere che avevano promesso di scriversi? Neppure lei, dopo quella strilettera, gli aveva più scritto.
E poi, le parole della Parkinson e quel modo di fare, amichevole, di Zabini, cosa significavano?
Troppe domande, punti interrogativi, nella sua mente, che desiderava più di ogni altra cosa dei punti fermi.
E Malfoy, dannatissimo Malfoy. Perché i duelli rancorosi, l’odio palese aveva dovuto evaporare e lasciare posto a quella piattezza della superficie, e cosa ribolliva sotto a quest’ultima?
Da quando il toccare Malfoy era per lui sinonimo di confusione e turbamento profondo, e perché?
Impilare i bicchieri e i piatti, l’uno dentro l’altro, meccanicamente, con la bacchetta e lo sguardo perso nel vuoto, quello poteva farlo. Trovare risposte no, avrebbe significato infrangere le stoviglie, strappare la stoffa, sporcare il pavimento. Ed Harry non lo avrebbe sopportato, non in quel momento, non mentre si sentiva soffocare dalla frustrazione e dalla costrizione alla staticità. Da qualsiasi punto la guardasse, si trovava sempre immobile, incapace di compiere qualsiasi passo, che fosse avanti, che fosse indietro.
Allora facendo vibrare la bacchetta a mezz’aria e seguito da un tintinnare di porcellana, vetro ed argento si diresse in cucina, ancora turbato da quella sgradevole sensazione.
Una morsa gli chiuse lo stomaco, la gola e il cuore, quando si ritrovò di fronte ad un paio d’occhi d’argento, con un’espressione di vetro, su della pelle di porcellana.
Tutto andò in pezzi.
-E tu che ci fai ancora qui?
 
***
“I came home
Like a stone
And I fell heavy into your arms.
These days of dust,
Which we've known,
Will blow away with this new sun”
 
Nothing is written,
Mumford&Sons.
 
-Eccoci, qui!- disse Ron dolcemente, richiudendo la porta dell’appartamento dietro di sé.
Hermione, con un sospiro si sfilò le scarpe e si lasciò cadere sul divano color crema, poi si distese scompostamente, mugugnando.
-T-ti senti meglio?- chiese Ron guardandola apprensivo.
La sua ragazza aveva i capelli scarmigliati, le guance arrossate, una mano abbandonata sullo stomaco ed un braccio a coprirsi gli occhi.
Il suo bel vestito blu era tutto stropicciato e nel gettarsi senza riguardo sul divano, le era risalito fino a metà coscia, e anche qualche bottoncino era scappato alla propria asola.
Ron deglutì rumorosamente e distolse lo sguardo, prima di poter aver il tempo arrossire.
-Mi gira un po’ la testa…ma credo sia normale. Basterà prendere una pozione anti-sbornia, vedrai…- disse la ragazza, dopo dieci minuti buoni, con la bocca impastata e un tono sommesso.
Ron con un incantesimo d’appello richiamò a sé una coperta e la pozione. Poi coprì Hermione amorevolmente, sorridendo, e lasciò la boccetta sul tavolino in noce accanto al divano.
L’appartamento della sua ragazza era raccolto ed accogliente, ovunque erano sparsi quadri di pittori babbani e tappeti dai colori decisi che contrastavano con il tenue candore delle pareti. Ron ricordò con calore quando, solo qualche mese prima, lui ed Harry avevano aiutato Hermione con il trasloco. La giovane apprendista medimago pensava fosse necessario “uscire dal nido” ed iniziare ad essere più indipendente. I genitori, conoscendo la figlia, avevano accolto la decisone come il segno del grande senso di responsabilità che permeava quella che per loro sarebbe sempre rimasta la loro bambina.
A quel ricordo, Ron, si rattristò un poco, pensando a quanto le cose fossero ormai cambiate. Hermione sembrò leggergli nella mente, perché, non senza qualche tentennamento, riuscì a dire:
-Pensi anche tu che Harry si sia allontanato.
Non era una domanda, si accorse subito dopo Ron. Hermione affermava con certezza ciò che diceva, era sempre stata così. Se ci fosse stato qualcosa di cui era anche solo incerta, subito lavorava sodo per rimediare, piuttosto che dirlo senza averne fondamento. Sì, Ron lo aveva pensato, ma aveva relegato quell’impressione ad un momento passeggero. Forse, pensò, non lo era.
-Credo che sia anche colpa nostra…- aveva bisbigliato debolmente la ragazza, come temesse di dirlo. Ron si accoccolò ai piedi del divano e le carezzò dolcemente la fronte, supponendo che fosse l’alcool a parlare e deciso a lasciarla fare.
-Io e te…da quando, insomma, beh…da quando stiamo insieme, lo abbiamo escluso. Deve essersi sentito ferito…Io…- ma la sua voce venne spezzata da un singhiozzo.
Ron trasalì. Hermione ubriaca era già un bel problema. Hermione sbronza e in lacrime era un’altra storia. Ron si ritrovò accucciato lì, una mano sulla sua guancia, a raccogliere una goccia salata e senza riflettere la prese tra le braccia e la strinse, incapace di far qualsiasi cosa che non fosse abbracciarla e farle sentire che era lì per lei.
-Io ti amo tanto Ronald.- sussurrò la ragazza sul suo cuore.
-Ma voglio bene ad Harry e… sento che lo stiamo perdendo…
Ron la strinse più forte e dandole un bacio sulla fronte arrivò a dire soltanto:
-Sistemeremo tutto. Vedrai…tornerà tutto a posto.
 
***
“Amore un corno.
I panni s'asciugano soli,
E sto freddo non viene da fori,
Io ce l'ho dentro.
[…]
Solo me chiedo perché
Sto così bene co’ te.
Io che non ho paura,
Nella notte scura,
A’ fa’ risse, guerre, scommesse,
mille schifezze.
Tremo, tremo forte
Fra le tue carezze.”
 
Statte zitta,
Mannarino.
 
-E tu che ci fai ancora qui?
La voce di Theodore lo colpì alle spalle, mentre guardava dove solo poche ore prima c’era il baule di Blaise.
Alzando lo sguardo incontrò il suo, come sempre inflessibile, imperscrutabile.
-Pensavo tornassi a casa per Natale.- proseguì quella sua voce atona e profonda.
Come sempre un brivido gli corse lungo la colonna vertebrale e abbassando lo sguardo sussurrò:
-Preferisco non tornare.
La voce di Draco era incolore, incolore come quelle sue notti, passate fuori dal letto, chissà dove. Theodore non glielo chiese mai, sapeva di non dover chiedere con lui. Sapeva che Draco gli avrebbe dato ciò che poteva. Si avvicinò con cautela, e gli poggiò una mano sulla spalla.
Non servirono parole, Theo immaginava ciò che l’altro non osava dirgli. Anche la sua pelle era stata deturpata, nello stesso identico punto, quell’estate. Ma mentre Nott aveva accolto di buon grado quel segno che lo identificava come la nuda proprietà di un essere terrificante, Draco era stato costretto. Dal caso, dagli sbagli dei padri che come sempre ricadono sui figli, da quell’insidioso combinarsi di eventi.
-E tu?- aveva chiesto subito dopo Malfoy, voltandosi verso di lui.
-Preferisco rimanere.
Theodore aveva poggiato le labbra su quelle di Draco, in una carezza ormai familiare.
Draco si sforzò di fare un sorriso, ma ne scaturì una smorfia di stanchezza.
-Devo tornare a…lavorare.- aveva sussurrato su quelle labbra che abbandonavano la loro piega marmorea solo per lui.
-Certo…
Theodore non chiedeva, prendeva ciò che Draco era disposto a dargli. E dava ciò che l’altro era disposto ad accogliere. C’era quel tacito accordo, tra loro. La prima regola era stata quella di non pretendere, poi di non domandare.
E Malfoy amava quel rapporto: niente complicazioni, niente frenesie. Theodore sapeva essere quello di cui aveva bisogno: non ostentava ciò che provava, non lasciava trapelare la sua preoccupazione da quegli occhi intensi e magnetici. Non come Blaise, che si lamentava delle sue occhiaie. Non come Pansy, che guardandogli il piatto scuoteva la testa.
Theodore restava lì, al suo fianco, in silenzio. Ed in silenzio lo spogliava, lo amava e gli faceva dimenticare dove fosse. Tutto in lui era ombra, desiderio e silenzio.
E mentre Draco si tormentava le labbra e si torceva le mani, mentre sulla sua scrivania si accumulavano tomi della sezione proibita della biblioteca, Theo continuava a star in silenzio. Ed osservandolo otteneva più risposte che con degli interrogativi.
Riusciva a leggergli dentro, e ciò che Draco non si spiegava era come non ne avesse paura.
Ignorava che il baratro nel cuore di Theodore fosse più profondo e viscoso del suo, impregnato di vendetta e di rabbia.
E se Draco si avvicinava lentamente verso il baratro, Theodore invece era seduto sul ciglio dello stesso abisso, da sempre.
 
***
“There's a lot I've not forgotten,

But I let go of other things.

If I tried they'd probably be

Hard to find.


 
They can all

Just kiss off into the air.
 


Don't know why we had to lose

The ones who took so little space.

They're still waiting for the ease

To cover what we can't erase.


 
I'm not holding out for you,

I'm still watching for the signs.

If I tried you'd probably be

Hard to find.”
Hard To Find,
The National.
 
Il Mayfair era silenzioso a quell’ora della notte, come lo era a qualsiasi ora, d’altronde. Sulla Bond Street, tra edifici eleganti e club esclusivi, due figure camminavano nella notte, avvolte da lunghi mantelli scuri. Non avrebbero destato la curiosità di nessun passante, poiché ad Halloween tutto era concesso, sebbene fosse già scoccata la mezzanotte. Solo i loro sussurri sembravano però fargli compagnia, per le strade deserte. Svoltarono a sinistra, per ritrovarsi finalmente in Grosvenor Square.
-Mi chiedo perché ti ostini a voler camminare, dato che potremmo smaterializzarci tranquillamente.
-Camminare mi aiuta a pensare.- rispose Blaise, tenendo sottobraccio Pansy, -E poi siamo quasi arrivati…vedi?
Al numero 25 si bloccarono, il ragazzo bisbigliò qualcosa avvolgendo un braccio intorno alle spalle della ragazza, e poi svanirono nel nulla.
Una volta all’interno, Pansy sbuffò sonoramente:
-Pensare. Che gran brutto modo di sprecare il proprio tempo!
Blaise sorrise scuotendo il capo, mentre sfilatole il soprabito, la fece accomodare con un gesto cortese della mano.
Non era la prima volta che Pansy metteva piede nell’appartamento, ma i modi galanti di Blaise gli intimavano quell’atteggiamento formale.
-E sentiamo un po’…a che pensavi, mmh?- disse la ragazza, dalla cucina, dove sembrava star armeggiando con la credenza.
Blaise si tolse la giacca e la poggiò con cura sullo schienale della sedia, mentre faceva scorrere le dita fra i suoi capelli scuri.
Non ebbe il tempo di rispondere, perché Pansy con due calici in una mano ed una bottiglia d’idromele nell’altra, lo raggiunse in sala da pranzo dicendo:
-Scommetto che si tratta di Draco.
Blaise le scostò la sedia con un cenno affermativo, e infine entrambi sederono al grande tavolo rotondo.
-Di chi altri potrebbe mai trattarsi?- rispose Blaise, facendo un profondo respiro, –Non ti nascondo che sono stato molto preoccupato per lui. Come ti avevo detto la partenza di Narcissa, Lucius ad Azkaban e questa storia di far l’Auror per ridurgli la pena…insomma, credo che Draco si debba sentire, per così dire, smarrito. Per quanto ne so, il Manor è abbandonato a se stesso, e sembra che il padrone di casa non sia in una condizione migliore…
Pansy lo ascoltava assorta, annuendo di tanto in tanto, mentre riempiva i calici, facendone tintinnare i bordi, a contatto con il collo della bottiglia.
-E poi, dal nulla, viene fuori Potter. Il salvatore per eccellenza, eh!- disse con una punta di sarcasmo.
Blaise annuì, le labbra contratte e la mano stretta attorno al calice.
-Trovo che Potter sia la sua valvola di sfogo. Ma non escludo che Draco stia, in quel suo modo particolare, soppesando la situazione…
La voce di Blaise era misurata, melodiosa e supponente, e nell’appartamento silenzioso, pareva rimbalzare sulle pareti ed esserne assorbita, come se queste fossero avide delle sue parole.
Pansy passò una mano sul legno scuro, come accarezzandolo, formulando una risposta coerente.
-Più di una volta, al mio accennare ad un rapporto tra lui e Potter, s’è messo sulla difensiva. Non ho fatto allusioni esplicite, ma sembra che la sola eventualità lo spaventi a morte.- continuò pacatamente Blaise, –E liquida il discorso sempre con la stessa frase.
Pansy alzò un sopracciglio, come se avesse già inteso, eppure non parlò ancora, certa che l’amico avesse bisogno di dar voce alle sue preoccupazioni.
-Potter non è Theo.
La ragazza con un cenno del capo alzò il bicchiere, in un brindisi silenzioso, e bevve, invitando Blaise a fare lo stesso.
-Ovvio che Potter non è Theo!- disse dopo quelli che parvero secoli.– Potter è un Grifondoro. Che dico! È il portabandiera dei Grifondoro! E da grifone che si rispetti, è ovvio che sia di tutt’altra pasta.
Blaise la guardò sorpreso, di una sorpresa divertita.
-Oh, non guardarmi così! Hai capito cosa intendo!- disse Pansy burbera, continuando il suo discorso, –Per Draco, Theo era facile, semplice, come un libro che hai già letto e sai come va a finire. Credo fosse confortante, per certi versi. Sai loro erano così…Erano simili, e si capivano, sapevano come prendersi a vicenda. Sapevano cosa volevano, perché erano quasi l’uno il riflesso dell’altro. Ma un rapporto del genere non può che deteriorarsi. “Si sono attratti fatalmente, per distruggersi a vicenda”, sono parole tue, tesoro.
Blaise osservava la ragazza in religioso silenzio, non un muscolo si muoveva nella sua espressione, i suoi occhi, soltanto, erano sporadicamente rapiti dai movimenti ampi delle mani abilmente laccate, e dal tintinnare dei braccialetti ai suoi polsi.
-Mentre Potter…beh, Potter è l’incognita, la sfida, il lanciarsi verso l’ignoto, la puntata più assurda che tu abbia mai fatto in vita tua, è una scommessa che sai di perdere, ma giochi lo stesso…che non si sa mai. Potter è travolgente, è tempesta, pronto a incasinarti la vita. È uno che ti mette sottosopra, perché così è lui: scombussolato. E Draco ne ha paura, paura di essere contaminato. Ma ne è anche irrimediabilmente attratto, soprattutto perché quell’idiota non si rende conto di ciò che è.- disse Pansy tutto d’un fiato, stupendo anche se stessa.
Blaise bevve di nuovo, certo che ci fosse dell’altro, che non si fece attendere:
-Da quel che ho potuto vedere, è come se Draco tentasse in tutti i modi di mostrare a Potter cio che è. E Potter, invece, vorrebbe che lui si accorgesse di ciò che non è mai stato, che Draco gettasse una volta e per tutte la maschera. Insomma è…complicato. Un vero casino.
Pansy fece spallucce dopo il lungo monologo e indossò uno dei suoi migliori sorrisi innocenti, prima di annaffiarlo d’idromele.
Blaise la guardò colpito, stupito e disorientato da tutte quelle parole. Si trovava assolutamente d’accordo, con tutto ciò che la sua migliore amica aveva appena detto, e persino del modo in cui l’aveva detto. Era inspiegabilmente riuscita a dare voce ai suoi pensieri. Poi decise di sdrammatizzare un po’, alleggerendo l’atmosfera, e disse divertito:
-E lei, signorina Parkinson, ha capito tutto questo in una sera, eh? Mi perdonerà se le chiedo come ha fatto!
Pansy fece tintinnare il bicchiere contro quello di Blaise, poi sfoderò uno dei suoi tattici occhiolini e disse, tutta soddisfatta:
-Tesoro, è il mio mestiere! Sono o no un’ottima giornalista?
 
***
“Tu che m'ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria”
Cantico dei drogati,
Fabrizio De André.
 
-E tu che ci fai ancora qui?
Quelle parole e quel tono ebbero uno sgradevole effetto su di lui.
Cosa ci facesse lì, che domanda idiota. Sperava che un baratro squarciasse la terra e che lui ne fosse risucchiato, o magari sperava che un fulmine, contro ogni logica, superasse la finestra di fronte a lui e lo colpisse in fronte…chissà, magari anche lui avrebbe così ottenuto una buffa cicatrice.
Draco aveva alzato lo sguardo, nel momento stesso in cui Potter aveva varcato la soglia della cucina, incontrando inevitabilmente quello dell’ex grifone, che con il volto traboccante di stupore lo aveva fissato come se vedesse un fantasma.
Si era rintanato in cucina, subito dopo la conversazione sostenuta con Blaise, perché aveva bisogno di riflettere, ma non aveva fatto altro che inseguire ombre e riflessi fuggiaschi. Si ostinava a fuggire da se stesso, senza allontanarsi d’un passo.
Non si era accorto del tempo che scorreva, lì nella sua bolla densa di frasi in sospeso e domande mal poste, in quel deserto che gli chiedeva tutto senza donare mai un attimo per placare la sete.
Sete di chiarezza, sete di certezze. Tra le sue mani sono parole a mezz’aria, gesti abbozzati, espressioni sfumate. Si era seduto al tavolo, aveva poggiato il pugno chiuso alla fronte e non sapeva da quanto aveva preso a stringerlo così forte da farsi sbiancar le nocche, da infilzarsi le unghie sul palmo. Più di ogni altra cosa Draco odiava sentirsi in trappola, incastrato in emozioni che non sapeva affrontare, a metà strada su binari paralleli, tra ciò che doveva e ciò che avrebbe desiderato. Doveva essere freddo, misurato, meticoloso, nel delimitare il perimetro entro il quale a Potter era precluso l’ingresso. Avrebbe desiderato smettere di tracciare confini, poter respirare, senza preoccuparsi degli agguati di Potter.
Potter che sgualciva la sua vita, Potter che scavava con lo sguardo, Potter che all’improvviso lo toccava e a proprio piacimento scatenava tempeste di primavera. Così era a metà, era mai stato altrove? Non sapeva nemmeno quello.
Potter che non era Theo. Ma non era neanche Potter, non quello che Draco aveva imparato a detestare, a disprezzare, ad invidiare persino. Qualcosa, da qualche parte, sembrava suggerirgli che esisteva una barriera, oltre la quale Potter cessava di essere Potter, ed era un altro da sé, una persona che non a tutti era dato di vedere. Forse Harry, solo Harry. Con quel suo nome pieno, che poteva essere un energico sussurro o un fragile uragano. Avevano indossato maschere, talmente a lungo, da non riconoscere più il confine tra trucco e genuina espressione.
Potter non era Theo. Più se lo ripeteva, più debole diventava la voce nella sua testa, più netta la differenza. La verità era che Draco, da sempre, era un grandissimo codardo. Era più forte di lui, rimaneva paralizzato, inerte, incapace di divincolarsi. Avrebbe preferito un tono glaciale, che non ammetteva repliche, come quello di Theo. Avrebbe preferito che Potter gli urlasse contro, a quello avrebbe saputo reagire, quello era il Potter che conosceva e che sapeva gestire. Ma il suo tono era irrequieto, brillava di una luce particolare, e di stupore. Era un tono imprevedibile, indomito, non vacillava neppure per un istante.
Gli mancavano le parole, gli mancavano i pensieri, gli manca persino il senso di gravità che lo facesse sentire ancorato a terra e non in balìa di correnti senza nome, né vento.
Poi Potter si mosse e con un colpo di bacchetta lasciò ricadere le stoviglie nel lavello, un sussurro e quelli cominciarono a lavarsi da soli. Non aveva smesso di guardarlo, non aveva abbassato lo sguardo neppure per un istante. E ogni secondo che passava pesava sul petto di Draco, comprimendogli i polmoni, facendolo sentire braccato.
Poi quando il silenzio fu talmente denso da imprimersi sulla loro pelle, finalmente, Potter parlò di nuovo.
–Senti, io non so quale sia il tuo problema. E non dovrei interessarmene, perché come hai detto tu, non dobbiamo conoscerci per forza…
Ancora quella voce ferma e vigorosa, potente, mentre gli occhi erano vibranti lanterne incerte e le labbra tremule pieghe d’insicurezza.
–Però è evidente che qualcosa non va. E io non ho idea di cosa sia…quindi se tu lo sai, per favore, sarebbe corretto dirmelo.
Draco, avvolto nel suo mutismo, continuò a guardarlo, cercando di trovare una coerenza tra quel suo tono deciso e l’incertezza negli occhi dell’altro. Potter pensò di dover dire qualcos’altro, perché aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo. Lo fissò a lungo, studiando quella sua espressione vuota, cercando di indovinare cosa potesse passare per la testa di Draco, ma era sempre più smarrito e la disperazione era lampante in quegli occhi di primavera.
Anche Potter doveva sentirsi come lui, frustrato per i dubbi, a disagio per quella inspiegabile situazione.
Non seppe da dove venissero quelle parole, né dove volessero andare, quando disse:
-Io non lo so.
Potter, dietro alle sue lenti, abbassò le palpebre, concedendosi un respiro profondo. Era evidente il suo disagio, sebbene non ne fosse consapevole, come non doveva essersi accorto del rossore che si arrampicava alle sue guance.
A Draco venne da sorridere, nel pensare a quanto fosse assurdo, che al mondo ci fosse ancora qualcuno capace di arrossire ad un pensiero.
Prima che la primavera tornasse, Potter disse:
-Ho bisogno di sapere.
Lo disse ad occhi chiusi, la testa bassa, come se se ne vergognasse. Quel suo modo di fare lo spiazzava, nella sua genuinità, nella sua semplice e diretta armonia. Un momento prima Potter gli faceva credere di essere pronto a scatenare l’inferno e poi invece deponeva le armi, e scopriva il fianco, pronto a lasciarsi ferire, senza remore.
Fu il turno di Draco di abbassare lo sguardo e di sussurrare:
-Anche io.
Potter fissò il proprio sguardo in quello di Draco, sorpreso dall’ammissione, dalla sincerità in quella voce argentea. Quel dialogo era surreale, sconclusionato, privo di qualsiasi significato. Erano entrambi smarriti sullo stesso sentiero e non se n’erano accorti? Draco non avrebbe saputo dirlo.
Così Potter si gettò a capofitto, sedendosi di fronte a lui, e senza troppi preamboli, esordì:
-Bene…cosa è stato?
Di certo pensare prima di parlare non sembrava essere di fondamentale importanza per lui. Draco si ritrasse impercettibilmente, tirandosi indietro, colto in contro piede da quella domanda repentina. Potter era visibilmente in imbarazzo, ma tutto di lui lasciava trasparire la necessità di sapere. Nelle sue mani poggiate al tavolo, che si muovevano seguendo ritmi nervosi, Draco poteva leggere l’impazienza di Potter, e nei suoi occhi fluidi si leggeva invece quello smarrimento e quell’imbarazzo che anche Draco sentiva dentro di sé in quel momento.
-Cosa?- disse semplicemente.
Potter sembrò irritarsi, e si morse il labbro inferiore prima di controllarsi e dire:
-Cosa è stata quella scena di fronte ai tuoi amici? Cosa è stato…quello che c’è stato prima? Cosa sta succedendo, adesso? Io…non ti seguo, Malfoy.
Neanche Draco si seguiva, per la verità, ma questo non lo disse, perché lui pensava prima di parlare, e ponderava a lungo le sue risposte.
-Stiamo avendo una discussione civile…
Di nuovo l’irrequietezza di Potter, che si mosse sulla sedia, e si sporse sul tavolo.
-Una discussione su…cosa?!- disse imperioso.
E rieccolo lì, catapultato su un campo minato dalle domande di Potter, con un disperato bisogno di fuggire, mentre si faceva strada in lui la netta consapevolezza che bastasse un semplicissimo passo per esplodere. La sua unica risposta, ancora una volta, era il silenzio, e l’abbassare lo sguardo, incapace di sostenere quello limpido di Potter.
-Perché sei rimasto, Malfoy?
Quella era una domanda semplice, a quella avrebbe potuto rispondere, e lo fece:
-Perché ho bisogno di sapere, te l’ho detto.
Potter contrasse le labbra, in una smorfia di fastidio, mentre Draco lasciava scorrere il proprio sguardo sul suo viso.
-Se non mi aiuti, però, non arriviamo da nessuna parte…- disse lui, trattenendosi dall’eccedere all’ira, e con evidente sforzo.
Avrebbe preferito che esplodesse di rabbia, che gli sputasse addosso tutta la sua cattiveria. Almeno così non sarebbero arrivati a delle risposte che Draco non sapeva dare.
Potter emise un altro respiro, flebile di rassegnazione e tremulo d’imbarazzo malcelato.
-Ok, ti dico come la penso, mmh? Penso che…Merlino, perché dev’essere così difficile?- Potter si passò una mano sul viso, trattenendola un po’ più a lungo sulle labbra, cosa che non sfuggì allo sguardo attento di Malfoy. A Draco sembrava di star osservando un animale in gabbia, lui si sentiva solo in una placida cattività, e il limite era talmente sottile eppure nettamente diverso.
-Credo che non pensi la metà delle cose che mi hai detto fin ora. Penso che tu sia troppo orgoglioso per ammettere che la mia compagnia non ti disturba poi tanto, non come credevi. Penso che moriresti pur di ammettere una cosa simile. Penso sia così, perché anche io, insomma, voglio dire che…Penso che io stia cercando di istaurare un rapporto con te. Ma tu non me lo permetti. E non so perché.- disse Potter tutto d’un fiato e senza una singola pausa continuò, come un’alluvione: – Penso che tu mi voglia tenere a debita distanza, per non doverti scoprire, per non doverti rivelare. Ma non ci riesci. Come non ci riesco neanche io. Penso che siamo confusi e che non sappiamo bene dove stiamo andando. E penso anche che dobbiamo ripartire da zero, se vogliamo trovare un equilibrio.
Draco venne travolto da tutte quelle parole, incapace di contenerle tutte, disorientato dal fiume in piena. Non una frase sembrava stonare, e si chiedeva da quando Potter fosse in grado di cogliere tutti quegli aspetti.
-E poi…penso che ci sia qualcos’altro. Che non so spiegare…quando ti ho toccato, per sbaglio, o quando succede che sia tu a toccarmi per sbaglio…I-io…- la voce di Potter tremò, quando nel sentire quelle parole Draco trafisse il suo sguardo, smarrito e sorpreso insieme. Avrebbe voluto alzarsi, alzarsi e scappare, le ginocchia ebbero un fremito. Sperò con tutto il cuore che Potter non stesse davvero affrontando quell’argomento, quell’incidente imbarazzante.
Draco aveva sentito abbondantemente parlare del coraggio Grifondoro, spesso aveva ritenuto fosse da imbecilli. La temerarietà di Potter, in quegli occhi improvvisamente decisi e assoluti, gli sembrò inquietantemente folle.
-I-io mi sento come se…- aveva continuato Potter, la voce incerta in quegli occhi che saettavano, –Come se fosse giusto, naturale…familiare. Come se fosse una cosa che faccio da sempre. Eppure allo stesso tempo è come…un brivido. Mi ricorda…è come andare sulla scopa, ma senza nessun boccino da prendere prima dell’avversario, solo andare sulla scopa.
Draco deglutì, e con un movimento brusco appoggiò la schiena alla sedia, allontanandosi dal tavolo. Intontito da quelle parole riuscì a ripetere solo:
-Nessun boccino da prendere.
Una breccia fece capolino sul suo petto, lì dove immaginava dovesse esserci un cuore, desiderò infilarsi le dita in gola per vedere se davvero ci fosse quel maledetto cuore che adesso batteva furioso, o se fosse solo la sua immaginazione.
-Come se fossimo…nella stessa squadra. Non uno contro l’altro, ma uno con l’altro.- aveva detto Potter annuendo, sempre più convinto delle sue parole.
E mentre Draco sentiva un sudore freddo prendergli la nuca e il panico impadronirsi della sua gola, prima che potesse accorgersene, dalle sue labbra rotolò fuori una frase piccola piccola, talmente piccola da poter sparire subito dopo:
-Come se fossimo…amici?
Potter alzò le sopracciglia, sorpreso e alla fine, come se l’avesse trattenuto da tempo, sorrise:
-Sì, più o meno. Che ne dici? Sei d’accordo?
-Sì, più o meno.
Ma Draco non sorrise, quel rumore dentro al petto non voleva saperne di affievolirsi.
 
***
“Chiaro di luna scendi
 In fondo al mare
E arriva dove il vento non può arrivare.
E trova le parole per calmare,
Quest'acqua che si mescola col sale,
Quest'onda sulla riva della ciglia”
Le Lacrime di Nemo,
Francesco De Gregori.
 
Ellis sapeva che ci sono momenti in cui non bisogna far rumore. Ellis sapeva riconoscere quei momenti, sedersi sul letto di Ginny ed in silenzio passarle una mano sui capelli, lieve. I singhiozzi soffocati dalla stoffa rossa erano l’unica compagnia concessa alle due ragazze, al sicuro del buio della loro stanza.
Ellis sapeva essere paziente e docile, quando occorreva.
La tormentava vedere l’amica in quelle condizioni, e sentirsi impotente, sapere di non poter fare nulla per farla sentire meglio, per alleviare quel suo pianto sincopato.
Parlò solo quando sentì il pianto di Ginny scemare, stremato.
-Va tutto bene Gin.
I singhiozzi ebbero di nuovo la meglio, rompendo la voce attutita contro il cuscino, che disse:
-Niente. Niente va bene.
Di nuovo la mano di Ellis elargì tenerezza ai capelli di fuoco.
Di nuovo cercò di cullarla.
-Non è nulla, Ginny. Non è successo nulla.
La ragazza affondò ancora di più la testa sul cuscino, stringendo forte le lenzuola nel suo piccolo pugno, come se cercasse disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi.
-Ho lasciato che mi baciasse.- disse dopo un tempo che parve infinito, la voce fioca e spezzata dalle lacrime, –Per un attimo è stato come se Harry…non esistesse.
Ellis strinse forte la sua spalla, cercando di esserle di conforto, un solido appiglio mentre Ginny annegava nella sua disperazione.
-Come ho potuto, Ellis? Come è successo?
La ragazza sospirò, certa che la risposta alla domanda di Ginny, avrebbe fatto ancora più male, ma non potendo esimersi dal formulare quelle parole:
-Non è colpa tua. Sono settimane che Harry non ti risponde. Sei tu che hai smesso di esistere, per lui, Gin. Ma questo non significa che non puoi continuare ad esistere per te stessa…
Ginny riprese a piangere, disperata e silenziosa.
Quella notte si addormentò con rivoli d’acqua salata secchi fra le lentiggini delle sue guance.
Ellis sarebbe rimasta lì, accanto a lei, per tutto il tempo che fosse stato necessario.
 
***
“So come to me,
Come to me now,
Lay your arms around me.
This is why…
This is why we fight.”
This is Why We Fight,
The Decemberists.
 
Potter gli aveva sorriso ed aveva richiamato a sé due bicchieri e quello che era ormai diventato l’abituale Incendiario. Draco lo guardò dubbioso, così Potter disse prontamente:
-Bisogna brindare, a questa tregua, no?
Draco scosse la testa, allibito, e si ritrovò a sorridere come per riflesso.
Mentre Potter riempiva i bicchieri, Draco si ritrovò ipnotizzato dai movimenti delle sue mani, e quando gli porse il suo, evitò con cautela di toccarle.
Potter lo guardò smarrito per un attimo, come non si fosse aspettato quel freddo distacco, come se sperasse di sfiorarlo, ma fu solo un’ombra perché poi scrollò le spalle e con disarmante semplicità disse:
-Amici?
Draco strinse tra le mani il vetro colorato dal liquido ambrato e lo alzò in silenzio.
Quella sua esitazione, quel suo essersi ritratto, mossero qualcosa in fondo al sereno buon umore di Potter che, incupendosi disse:
-Cosa c’è che non va, adesso?
Draco alzò lo sguardo, confuso da quell’ennesima uscita. Eppure avrebbe dovuto smettere di sorprendersi già da un pezzo.
Potter aveva fatto scorrere il suo sguardo, con estrema lentezza, dagli occhi di Draco alle sue labbra, distogliendolo subito, imbarazzato, ma non si capiva bene da cosa.
-Amici. Credi davvero possa funzionare?- aveva detto Draco, per il gusto di riavere quegli occhi nei suoi, quegli occhi che si erano illuminati di nuovo.
-Continueremo a mandarci a quel paese, a prenderci in giro e magari a darcele di santa ragione. Ma è diverso da una guerra aperta, senza vincitori né vinti, no?- aveva detto, in un lampo di razionalità Potter.
Draco continuava a non spiegarsi quella sua cieca fiducia.
-E poi…per essere i migliori, dobbiamo essere migliori insieme, non uno migliore dell’altro!- aveva detto Potter, inciampando sulle proprie parole.
Draco aveva alzato le spalle, come a dire che gli stava bene. E Potter s’era stampato in faccia un altro sorriso, come se fosse…felice.
A Draco salì un calore alle guance, e desiderando che l’altro non notasse il suo rossore, disse alzando il bicchiere:
-Insieme, allora.

 
 
 
 
Note:
Buonsalve, viandanti!
Capitolo denso, eh…corposo, direi! Il 17 è un numero al quale sono legato, nel bene e nel male. Scritto in numeri romani, 17, sarebbe come ho riportato in apertura: XVII, il cui anagramma è VIXI. Quei simpaticoni dei romani usavano porre sui sarcofagi funerari proprio quest’anagramma, che significa “ho vissuto”, ergo sono deceduto. Ecco perché si dice che il 17 sia sfortunato. Ma dato che ritengo che aver vissuto sia una fortuna, più che il contrario, da augurare a tutti, ho voluto rendere omaggio a questo numerino un po’ bistrattato.
Beh direi che non è il caso di divulgarmi oltre.
Il capitolo dice già tutto da solo…un urgano, in un bicchiere ;)
A presto,
Indice. 

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Capitolo 18
*** Attraverso una porta ***


XVIII. Attraverso una porta
 
La felicità spesso s’insinua
Attraverso una porta
Che non sapevate
Di aver lasciato aperta.
John Barrymore
 
Harry abbandonò la presa sul bicchiere, facendolo tintinnare rumorosamente contro la superficie ruvida del tavolo della sua cucina.
Di fronte a lui, Malfoy, aveva la testa inclinata e spiava il liquido all’interno del proprio calice. Harry lo guardò di sottecchi.
Non poteva negare di essere sorpreso dalle reazioni del ragazzo di fronte a lui. S’era aspettato battute acide e cattiverie gratuite dopo quel suo discorso traballante, s’era aspettato risolute porte sbattute in faccia e rancore lasciato a decantare, invecchiato di anni. Invece Malfoy era stato docile, accondiscendente persino. Non c’era traccia del ragazzo che pochi giorni prima aveva con determinazione piantato paletti a delimitare confini tra loro due.
Forse Harry era stato precipitoso, troppo impulsivo, sfruttando un effetto sorpresa di cui lui stesso era vittima. Il suo modo di fare lasciava di stucco anche lui. Non che non avesse rimuginato sulla questione, ma non riusciva a capacitarsi della propria temerarietà. Era stata la necessità di ricevere risposte a portarlo a quel punto? Certo era che avrebbe preferito una sfuriata, un Malfoy fuori di sé, piuttosto che il silenzio o l’essere ignorato, ancora. E invece ne aveva guadagnato timidi sorrisi e sguardi interrogativi, una tiepida accettazione e quasi un’espressione di gratitudine per aver trovato delle parole che l’altro sembrava cercare da tempo. Si era sentito meglio, sollevato, in pace con se stesso e lasciandosi trascinare dall’euforia del momento, dall’essere riuscito a raccattare i pezzi e a metterli insieme nel modo giusto. Aveva fatto breccia nella corazza di Malfoy, lo sapeva. Quell’istante, quello sguardo, avrebbe segnato una rivoluzione nel loro rapporto, e qualsiasi piega avesse preso, Harry era sicuro che non potesse essere niente di negativo. Non si aspettava sicuramente di diventare il migliore amico di Malfoy, quello era certo. Ma almeno sarebbe finito quell’infantile e inutile astio tra loro, che si ostinavano a portare avanti come se fossero incapaci di qualsiasi altra emozione.
Sapeva che c’era ancora qualche tassello mancante, che quella sensazione di liberazione, di contentezza persino, era un po’ troppo intensa e vibrante. Era ben consapevole che lì, nel doppio fondo della propria coscienza, qualcosa continuava a turbarlo, e non lo lasciava stare, rimescolando le carte, rimestando le sensazioni. Ma si decise a non pensarci, costruendosi un alibi più che plausibile: Malfoy lo stava fissando, spoglio della maschera, con una sincera smorfia d’interesse sulle labbra.
Qualcosa dentro Harry tremò, ma non di paura, non di curiosità. Non sapeva spiegarsi cosa in quello sguardo potesse dargli quella sensazione impetuosa, vivida ed inafferrabile, talmente effimera da non poter essere colta.
-Qualcosa non va?- chiese, deglutendo e dissimulando quel sapore in fondo alla gola.
Malfoy sobbalzò impercettibilmente, come se fosse appena stato colto in flagrante. Poi scosse lentamente la testa, abbassando lo sguardo, colpevole. Il suo viso parlava più del necessario in quel momento, o almeno così parve ad Harry, e mormorava di vergogna, chiedeva scusa per un errore che non aveva causa, che non generava effetti.
Harry si sentì ancora una volta chiuso fuori e dentro di lui qualcosa pizzicò di rammarico. Non riusciva a credere fosse possibile essere nella stessa stanza con una persona eppure sentirsi talmente lontani. Non si capacitava di come Malfoy riuscisse repentinamente a cambiare, nemmeno dopo le parole della Parkinson. Era frustrante e lo faceva sentire impotente. Avrebbe voluto alzarsi, prenderlo per le spalle e scuoterlo. Scuoterlo finché Malfoy non gli avesse urlato contro, o l’avesse preso a pugni, o si fosse finalmente deciso a parlare, o magari finché quelle mani eleganti non avessero raggiunto le sue e lo avessero fermato. Ma nel momento in cui nella sua mente si dipinsero quelle immagini, Harry percepì lo stesso identico e disorientante calore alla bocca dello stomaco.
-Stavo pensando…
La sua voce suadente, strascicata e titubante lo raggiunse illuminandolo e gli sembrò che quel nodo dentro di sé potesse sciogliersi, con quelle due semplici parole di Malfoy. Non disse una parola, per paura che qualsiasi cosa potesse infrangere quel momento.
-Stavo pensando che tutto questo è assurdo.- i suoi occhi erano fissi sulle nervature del legno, ne seguivano i percorsi, l’argento vacuo del suo sguardo sembrava voler imprimere quei sottili filamenti sconnessi in profondità.
-Ho fatto una scelta, due mesi fa. Una scelta che mi avrebbe portato a brancolare nel buio, a farmi sentire inadeguato. Una scelta che potesse punirmi, per tutto quello che ho fatto, e soprattutto per quello che non ho fatto.
Le parole di Malfoy scivolavano solenni e ovattate, pacate come mai lo erano state, ed Harry desiderava raccoglierle e proteggerle, perché aveva la sensazione che fossero parole di vetro. Parole che a contatto con l’aria sarebbero scomparse e non sarebbero più state udibili, come non fossero mai esistite. Harry lo guardava assorto, come si guarda qualcuno che stia per confessare un terribile segreto, l’atmosfera era densa di attesa e di qualcosa che aveva il sapore delle lande sommerse dalla neve.
-Una scelta che mi ha inchiodato qui, su questa sedia, a parlare con la persona che più ho creduto di odiare in questi anni. In sette lunghi anni.
Eppure ho l’impressione che tutte le strade percorse, ogni singolo passo, sia stato per arrivare qui. Come non ci fosse mai stata altra meta possibile.
Poi Malfoy alzò gli occhi, ed erano occhi che Harry non gli aveva visto mai. Erano lucidi, brillanti, magnetici e perturbanti. Erano gli occhi di un animale ferito, braccato, che si lasciava cedere alla stanchezza dopo la fuga. Lo sguardo di un assetato che rifiutava l’acqua per orgoglio, per amor di se stesso e della propria dignità. Occhi che chiedevano aiuto in silenzio e sembravano rassegnati a non ricever perdono. Quegli occhi s’impressero a fuoco dentro di lui. Poi vennero le parole, parole che Harry mai aveva immaginato di sentire. Parole che fremevano di rimpianto e di quel qualcosa, che ormai aveva imparato a riconoscere, sebbene fosse ancora indefinibile.
-Quando ho fatto questa scelta, pensavo di sapere cosa mi aspettasse. Sapevo che ci saremmo incontrati di nuovo. Ero sicuro di ritrovare il mio nemico di sempre, il suo sguardo di disprezzo, i suoi insulti, e il suo odio velenoso. E in mezzo a tutte le incertezze, quel pensiero era rassicurante. Rendeva quella scelta più sopportabile…
Malfoy fece una pausa, sollevò il bicchiere come per bere, ma sembrava essersi dimenticato che fosse già stato svuotato. Harry si mosse, come per prendere la bottiglia e riempirlo ma gli occhi di Malfoy tornarono su di lui, languidi, e sembravano dirgli che non c’era bisogno di quel suo gesto, sembravano intimargli di ascoltare e basta, di non dover far altro che stare lì a raccogliere ciò che lui avrebbe detto.
-E poi arrivi tu. E non sei come ti ricordavo. Non sei più pieno di te, non sei più in alto che osservi tutti, non fai più l’eroe. Non sei inarrivabile. Sei come non immaginavo potessi essere e mi confondi. Prendi ciò che mi è rimasto e lo sconvolgi.
Ad Harry si spezzò il respiro in gola. Incapace di qualsiasi pensiero razionale, rimase ipnotizzato dalla voce di Malfoy, da quel suo sussurro imbarazzato, dalla sua vergogna in quelle parole. Sbatté le palpebre, mettendolo a fuoco, chiedendosi solo come Malfoy potesse sviscerarsi così, di fronte a lui.
-Entri senza chiedere il permesso, e reclami risposte, pretendi in silenzio. E mi disarmi, mi spiazzi e mi lasci senza parole. E tutto questo è…- questa volta abbassò lo sguardo e mormorò impercettibilmente dei suoni piccolissimi. Tre parole che trafissero Harry per la loro intensità:
-Mi sta bene.
Disse solamente quello, e ad Harry sembrò la cosa più sconvolgente di tutto, più di tutte quelle parole spese fino ad allora. Quella voce flebile, come mai avrebbe potuto immaginarla, lo colpì dritto in faccia. Quelle parole sembravano aver materializzato qualcosa di tacito, violando ciò che non doveva essere svelato. Lo intossicarono e lasciarono inerme, incastrato lì.
-Ed è completamente folle. Fuori da qualsiasi logica.- ruppe il silenzio, con la stessa risolutezza, con lo stesso tono colpevole, come se non avesse avuto il diritto di dirlo.
-Voglio dire, dovrei detestarti, per quello che fai. Per come pretendi di entrare nella mia vita, reclami la mia amicizia e per cosa, poi?- fece una pausa, come se cercasse anche lui le parole, –Ma mi sta bene. Nonostante tutto ciò che c’è di razionale sembri indicarmi il contrario, è…rassicurante. Ti ho lasciato entrare io. L’ho fatto senza pensarci, d’impulso. Io non faccio mai cose del genere solo che tu…tu mi fai smettere di pensare. E…- si bloccò di nuovo.
Harry pensò che non doveva essere per niente facile, essere lì, sotto il proprio sguardo, dopo aver assorbito le proprie parole, a mordersi le labbra e a rigirare un bicchiere vuoto nella mano. Non era semplice non sapere dove nascondere gli occhi e come dissimulare il fremito nella propria voce.
-Non sono bravo in queste cose.- disse Malfoy repentino, come avvilito dalla sua stessa incapacità d’esprimere qualcosa che Harry non aveva voluto affrontare. In quel momento si sentiva molto poco Grifondoro, ed era impressionato da Malfoy. Poteva indovinare l’urgenza nella sua voce, ma non riusciva ad immaginare dove quel discorso potesse condurli. Malfoy lo guardò, come supplicandolo, sperando che lui capisse, graziandolo così dal dover esprimersi a parole. Ma Harry brancolava nel buio e riuscì solo ad abbozzare l’ombra di un sorriso, cercando di essere rassicurante e di spingerlo a continuare.
Malfoy alzò le spalle, sconfitto. Sospirò abbattuto e rituffò il suo sguardo nel vuoto, come a pugnalarlo e a farsi strada per fuggire, lontano dagli occhi di Harry, che come per riflesso si misero a studiare la bottiglia di Incendiario di fronte a lui.
Il disagio era nuovamente palpabile, indesiderato ospite seduto di nuovo a quel tavolo. Harry desiderò scacciarlo, desiderò che tutto fosse semplice, che potessero semplicemente brindare di nuovo e magari ridere. Gli rimbombò alle orecchie la parola usata da Malfoy, “insieme”. Sembrava provenire da un’altra vita. Sembrava lontana chilometri, nascosta chissà dove.
Quando finalmente Malfoy parlò di nuovo, la sua voce era disperata, bruciante di vergogna, come se volesse seppellirsi da solo. Quando finalmente Malfoy mise un punto a quel suo discorso, quando gettò la maschera, Harry capì che l’aveva gettata per sempre. Che da quel momento niente di Malfoy sarebbe stato come lo conosceva, che in quell’istante s’era aperta una porta, attraverso la quale ad Harry era concesso di entrare.
La sua voce lo colpì al centro del petto, artigliò qualcosa dentro di lui e lo rivoltò, lasciandolo lì, sottosopra. Si sentì spogliato da quelle parole che, così bene, gli stavano svelando qualcosa che di se stesso non era riuscito a cogliere. Il tassello mancante, luccicava sotto ai suoi occhi, come il boccino che tanto s’era affannato ad acchiappare:
-E l’unica cosa che riesco a pensare è che sono…felice?
 
***
 
Non fu facile scegliere le parole. Non fu facile costringersi a farle scivolare oltre la barriera delle labbra. Non fu decisamente come bere un bicchiere di Incendiario, imporsi di dar voce a quel pensiero. Ma sebbene la gola bruciasse e sul fondo del suo stomaco sembravano essersi aperte le fauci dell’inferno, Draco si constrinse a scendere a patti con se stesso. Prima di soffocare, prima di dover scappare di nuovo. Aveva corso per troppo tempo, chiuso talmente tante porte da confondere le chiavi. Aveva perso tutto e lo aveva riconquistato, lottando contro il peggior nemico che si potesse avere…se stesso. Come un gioco di cattivo gusto, nella sua mente, si affollavano le parole di Blaise. Non fu facile ignorare l’imbarazzo, mentre scopriva quella parte di sé, quella parte coperta da strati e strati di diffidenza, indifferenza, di timori.
Eppure sentiva di essersi liberato di un peso, sentiva la pace pervadergli i polmoni, annegati da tutta quella sincerità. Non era mai stato onesto, nemmeno con se stesso. Un pensiero flebile lo prese alla bocca dello stomaco, un baluginare assorto: era bello, giusto, che potesse finalmente dirsi come stavano le cose. Aveva sopito così a lungo quella sua parte di sé, quella istintiva, quella impulsiva. Solo l’idea di poter essere di nuovo ciò che s’era sforzato di sotterrare gli diede un brivido.
Non alzò lo sguardo, non ne avrebbe avuto la forza. Non avrebbe avuto il coraggio di affrontare gli occhi di Potter, magari disgustati, magari stupiti o peggio…derisori. Non alzò gli occhi, ma lasciò che scorressero sul pavimento tirato a lucido. Dopo quelle parole si sentì svuotato, stanco, terribilmente spossato. Non sapeva dirsi la fatica che quel mettere in fila i suoi pensieri avesse generato. Aveva spinto quella possibilità talmente in fondo, dentro di sé, fino a farla annegare, e adesso gli sembrava impossibile che fosse riemersa e con tanta prepotenza gli fosse sfuggita dalle mani.
Avrebbe voluto saper maledire Potter, che lo aveva spinto a tanto. Ma si stagliava dentro di lui una sensazione di benessere indomito, una scalpitante sensazione di esattezza.
Capì da subito cosa avrebbe significato liberare quelle parole, capì che quella era un’altra delle tante scelte che aveva fatto, inevitabile quanto tutte le altre, una scelta in cui si sarebbe perso. Ma era giusto. Aveva imboccato quella strada senza neppure valutarla, senza studiarla, senza guardar alla fine del sentiero, per vedere se una fine c’era davvero o se si trattasse dell’ennesimo vicolo cieco.
Semplicemente aveva smesso di preoccuparsene. Assistere a Potter, al suo exploit, a quel suo dire ciò che pensava senza remore, aveva avuto un effetto devastante su di lui. S’era lasciato trasportare, senza preoccuparsi di ascoltarsi, di capirsi. Aveva lasciato che quelle parole prendessero forma tra le sue labbra, prima che nella sua testa. E ne aveva riconosciuto la schiettezza, la disarmante verità, solo dopo averle pronunciate.
Solo allora si rese conto di quanto, con disperazione, stesse aspettando un nuovo contatto. Di quanto doloroso fosse il desiderio di risentire quel calore, di quanto gli potesse essere necessario. Ne ebbe paura.
Poi Potter lo strappò ai suoi pensieri, calamitando la sua attenzione, il suo sguardo disarmato:
-Lo capisco. I-io credo che sia…non lo so. Magari è perché ci siamo sempre detestati, quindi sembra strano…non farsi del male.  
Candido. Puro. Semplice.
Con quella sua voce chiara, cristallina, priva di qualsiasi timore, imbarazzo. Libera.
Sentì crescere un nudo calore in fondo al petto, un battito distratto, contorsionismo del suo cuore, che adesso sembrava volergli balzare sulle mani ed imbrattare tutto.
Alzò lo sguardo, per trovare quello di Potter che lo guardava con una luce che lo fece rabbrividire. Come se non ci fosse altro posto per i suoi occhi se non quello lì, immobili ed incatenati ai suoi. Come se fosse una promessa che Draco non aveva mai fatto, e che sentiva il bisogno di mantenere.
Razionalmente non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo. Si chiedeva se Potter avesse consapevolezza delle sue parole, di quel suo sguardo. Stava lì, immobile, le labbra dischiuse e smarrite, gli occhi luminosi e per una volta svuotati da inutili domande. Dentro di sé sentì zampillare l’ombra di qualcosa che luccicava come ricordi smarriti nella neve di dicembre. No, non era possibile.
Potter brancolava nel buio, Draco ne era assolutamente certo, e poteva dirsi ancora più sicuro dopo aver sentito quelle parole. Era naturale, neanche lui d’altronde immaginava cosa si celasse dietro a quelle sensazioni. Draco tremava al pensiero di poter dargli una definizione, di riuscire ad intrappolarle e incasellarle.
Si rincantucciò nel suo silenzio, rimboccando le coperte del silenzio, e mettendo a tacere quell’impulso che gli intimava di spingersi oltre, di indagare se stesso, di trovare risposte. Le parole di Potter sembravano aver gettato luce ed ombre nella sua mente, così si ritrovava di nuovo spaccato a metà. Quella parte di lui, alla quale aveva amputato le gambe, muoveva i primi passi verso Potter, l’altra nel pieno della razionalità lo supplicava di andare via da lì, il più lontano possibile e di scappare velocemente.
-Forse dobbiamo solo abituarci…- aveva tentato Potter.
Draco riportò lo sguardo su di lui. Abituarsi? Pensò che Potter dovesse credere davvero a quello che diceva, perché quella sua espressione accomodante, non poteva significare nient’altro. Draco non ricordò di avergli mai visto un sorriso del genere, sembrava uno di quei sorrisi che si riservano solo a persone ben precise, che si regalano lontano da sguardi indiscreti.
Guardò le sue labbra piene, distese e placide in quel timido sorriso, e rabbrividì di nuovo, senza riuscire a trattenersi.
-Dev’essere così.- si sforzò di dire.
Poi Potter allungò una mano, sul tavolo. Il palmo aperto, in attesa, lì a mezz’aria, come se la cosa più naturale da fare fosse stringerlo, in un gesto formale. A Draco venne da sorridere, ma non lo fece, al pensiero della mano di Potter nella sua. Non sorrise, semplicemente perché sapeva che quella mano, che aspettava la propria, avrebbe significato un altro contatto, avrebbe significato un essersi ricercati e trovati e avrebbe avuto freddo, quando finalmente Potter lo avesse lasciato.
-Non essere ridicolo, Potter!- sbottò, sforzandosi di apparire sprezzante e cinico, come d’abitudine. Subito strinse le braccia al petto, curandosi di nascondere le mani tra le pieghe degli avambracci e alzò il mento, con fare altezzoso.
Potter scoppiò a ridere e ritirò la mano alzando le spalle.
-Un passo alla volta, Malfoy, certo…- disse ancora ridendo per l’atteggiamento infantile di Draco, che per tutta risposta lo guardò, inarcando un sopracciglio, e smorzando la tensione disse con sarcasmo:
-Potter, ci stiamo prendendo un po’ troppe libertà, non ti pare?
Questa volta la risata di Potter, prima trattenuta tra le labbra con uno sbuffo, e poi lasciata correre libera, lo travolse, finendo per contagiarlo.
-Comincia ad abituarti, Malfoy.
 
***
 
Harry sobbalzò, svegliato da tre possenti rintocchi della pendola del suo salotto. Si passò una mano sul viso, ricostruendo gli ultimi avvenimenti: Malfoy che si lamentava del freddo della sua cucina, che si alzava e andava in salotto, accedeva il fuoco e si metteva a curiosare in una delle tante vecchie e polverose librerie di Grimmauld Place, lui che lo seguiva e che si accasciava sulla sua poltrona preferita. Poi Malfoy agguantava un libro, dalla copertina scrostata e tremolante, e si sedeva elegantemente sul divano di fronte al camino.
Harry fece mente locale e si ricordò di essersi addormentato come un bambino, senza tante cerimonie, accoccolandosi sulla poltrona.
Cercò di mettere a fuoco ciò che lo circondava, rendendosi conto che la cosa sembrava più difficoltosa del solito. Indicibilmente intontito dal sonno, si ritrovò a doversi tastare il viso ancora una volta. I suoi occhiali…dov’erano? Non ricordava di averli tolti per lasciarli da qualche parte.
Mentre il mondo tremolava incerto di fronte a lui, si fece strada con le mani, per scontrarsi con il tavolino e, andando a tentoni, li ritrovò proprio lì.
Li inforcò rapidamente e finalmente le figure indistinte sembrarono poter riprendere il loro nome.
Erano quasi le tre di notte e Malfoy sembrava essersene andato da un pezzo. Non c’era traccia di lui, se non una pergamena spiegazzata proprio sul tavolino, accanto a dove dovevano essersi trovati i suoi occhiali:
 
Niente mi impedirà di ucciderti
Se domani arriverai in ritardo a lezione.
Tienilo a mente, Potter.
 
Scosse il capo, divertito: Malfoy rimaneva pur sempre Malfoy. La cosa non poteva che rassicurarlo e farlo sorridere.
Alzando le spalle spense il fuoco, riuscendo ad immaginare solo il proprio letto, che due piani più su, lo attendeva.
 
Harry gettò uno sguardo in giro. Tutto sembrava in ordine e perfettamente normale, per quanto fosse possibile in quella casa. I piatti e le stoviglie, insieme alle stoviglie, erano riposti ordinatamente nella cigolante cassettiera della sala da pranzo. Le bottiglie vuote erano state rimpicciolite e gettate nella pattumiera e gli avanzi lo avrebbero sfamato per un mese.  I festoni e le decorazioni erano sigillati negli ingombranti scatoloni e non un granello di polvere fluttuava nell’aria.
Poteva decisamente ritenersi soddisfatto, dal momento che non erano neanche le dieci e che, miracolosamente, non sarebbe arrivato in ritardo.
Fischiettando salì al piano superiore, agognando ardentemente una doccia e fu allora che capì che anche una giornata iniziata meravigliosamente bene poteva trasformarsi in un disastro.
Con la coda dell’occhio, salendo, s’era accorto di un baluginare discreto, quasi uno scherzo della sua immaginazione. Stava per imboccare la rampa di scale che lo avrebbe portato al bagno e poi alla sua stanza, quando un inquietante cigolio materializzò nella sua mente una certezza: non s’era immaginato proprio nulla.
Ma fu solo quando si voltò che ne ebbe la matematica certezza…
 
***
 
-Sveglia principino!
Decisamente quella non sarebbe stata una buona giornata, non se iniziava con quella voce squillante e invadente. Draco fece appello a tutta la sua buona volontà per aprire un occhio e spiare oltre la coltre di coperte.
Pansy, mani sui fianchi, un sorriso raggiante e un paio di orecchini sbrilluccicanti stava ai piedi del suo letto.
-Su, su…Draco! Vorrai mica stare tutto il giorno a poltrire!
Non valse a nulla il suo lamentoso mugugno, anzi peggiorò le cose, dal momento che la figlia del Cattivo Risveglio tirò via le coperte.
-Abbiamo un sacco di cose da fare! Quindi…in piedi, Draco Malfoy!
Il freddo di novembre attaccò Draco senza pietà, facendolo rabbrividire in uno spasmo di disperazione.
-Parkinson…ti odio!- disse, la voce ancora impastata dal sonno.
La ragazza proruppe in una risatina sadica e poi, con quel suo passo cadenzato dagli immancabili tacchi, si avvicinò alle vetrate e ne spostò le pesanti tende, ferendo irrimediabilmente la vista di Draco.
-Paaansy!- si lamentò il ragazzo, nascondendo il viso sul cuscino.
-Su, tesoro, tirati su! Ti ho persino portato la colazione a letto! Il tuo thé si raffredderà…Un vero peccato!- disse lei avvicinandosi al baldacchino. Poi gli rimboccò le coperte fino allo stomaco, ottenendo uno schiocco soddisfatto da parte del bell’addormentato. Draco, nel dormiveglia, pensò che quella donna molesta avesse rinunciato e lo stesse lasciando dormire. Ma Pansy non sembrava essere dello stesso avviso, quando con poca grazia fece scontrare un pesante vassoio da letto con le costole di Draco.
-Prince of Wales, due zollette di zucchero, molto limone! Proprio come piace a te, Signor Malfoy. E adesso…- Pansy si avventò sul suo cuscino, artigliandolo e costringendolo ad alzare la testa, non senza un impropero abbastanza colorito.
-Fammi il piacere di fare colazione e di metterti qualcosa di decente addosso.
Draco la guardò con un’espressione assassina e sbuffò sonoramente, prima che uno sbadiglio lo cogliesse alla sprovvista.
-Abbiamo fatto le ore piccole con il piccolo Potter?- disse Pansy zuccherosa, sedendosi accanto a lui e mettendogli tra le mani il thé caldo.
Draco mugugnò qualcosa e portò la tazza alle labbra.
-Niente ore piccole. E…Potter non è piccolo…- disse Draco, ancora intontito e con la voce assonnata.
-Oh, ma è meraviglioso! Non ne avevo idea, dicevo tanto per dire! Ma sono sicura mi racconterai tutto nei dettagli, caro!- disse maliziosamente Pansy, lisciandogli i capelli all’indietro. A Draco per poco non andò il thé di traverso.
-Suvvia, non c’è bisogno di essere così plateali…Manda giù, da bravo! 
Il primo pensiero coerente di Draco aveva a che fare con l’inizio di una giornata, una pessima giornata, che non avrebbe potuto far altro che peggiorare.
 
***
 
La porta.
Quella porta.
Aveva cigolato e lui sperava con tutto se stesso di averlo semplicemente immaginato.
Harry inspirò profondamente avvicinandosi con cautela. Non era possibile. Hermione l’aveva sigillata, di modo che nessuno potesse accedervi, usando un antico incantesimo sconosciuto a tutti, meno che a lei. Ne era sicuro, nessuno avrebbe potuto aprire quella porta. Voleva esserne disperatamente sicuro.
Mise la mano sul pomello, pregando tutti i maghi del mondo che fosse solo uno scherzo della sua immaginazione, che quella porta fosse inamovibile, inapribile, bloccata e una marea di altri aggettivi supplicanti in merito a “porte che non si schiudono” che gli venissero in mente.
La porta cigolò di nuovo e lui trasalì quando, ruotando il pomello, a dispetto di ogni preghiera, quella si aprì sfacciatamente.
 
***
 
-Si può sapere dove mi stai trascinando?- sbottò Draco spazientito, mentre Pansy lo tirava per la manica, con fare entusiasta.
Tra le vie della Londra babbana c’era un chiacchiericcio allegro, sfuggente, che odorava velatamente di caldarroste e di autunno inoltrato. L’aria frizzante pizzicava le guance di Draco, biricchina, e lui arrancava dietro a Pansy che a passo spedito sembrava non volerlo degnare nemmeno di una risposta.
La ragazza lo spiò da sopra la propria spalla con i suoi profondi occhi neri, incorniciati da lunghe ciglia scure che non mancò di sfarfallare.
-Ma, tesoro, è una sorpresa, no?
-Pansy, io odio le sorprese. E sai cos’altro odio?- aveva cominciato a dire seccatamente, salvo poi essere interrotto dalla sua migliore amica.
-Eh no! Questo non è lo spirito giusto! Bisogna scacciare tutta questa negatività!
-Odio la gente che mi sveglia bruscamente, tirandomi via le coperte. E odio il thé bollente che mi ustiona la lingua. Odio chi fa insinuazioni insulse e chi mi sistema il colletto della camicia. Odio chi trascina e sballottola in giro come avessi due anni e…Pansy! Mi stai ascoltando?
Draco era mortalmente avvilito da quella situazione. Ma sapeva fin troppo bene quanto fosse difficile dibattersi contro l’accanimento di Pansy.
La ragazza si bloccò di colpo davanti a lui, rischiando di farlo cadere rovinosamente a terra.
-No tesoro, non ti stavo ascoltando. E so a memoria cosa odi, come e perché.- disse lei dolcemente, liberandolo finalmente dalle unghie laccate che stringevano la manica del suo cappotto.
-Ho immaginato fossi arrabbiato per ieri sera…sai, no? L’interruzione del tuo tête-à-tête romantico con Potter…
Draco sbuffò spazientito e tentò di dire col suo miglior tono risoluto e vagamente indignato:
-Non c’è stato nessun tête-à-tête con Potter! Men che meno uno che fosse lontanamente romantico…perché non potrà mai esserci nulla di…
Di nuovo Pansy lo interruppe, con l’ennesimo sfarfallio delle ciglia, mettendogli una mano sulle labbra.
-Sì, certo, adoratissimo tesoro della tua Pansy! Niente di romantico, assolutamente…Ma vedi, caro, non ho potuto far a meno di notare quanto la nostra interruzione potesse averti turbato. Non potevo esimermi dal farmi perdonare!- disse sorridendogli teneramente, ottenendo uno schiocco di disapprovazione da parte delle labbra di Draco,–Quindi, eccoci qui!
Fece un ampio gesto col braccio di fronte a lei, portando l’attenzione di Draco su un ampio portone, alto un paio di metri e dall’aria signorile.
-Qui, dove, di grazia?- borbottò Draco, portandosi le braccia al petto.
-Al primo degli appartamenti che visiteremo oggi!
Draco non si sforzò neanche di non alzare gli occhi al cielo, sospirando affranto. Non solo sarebbe stata una pessima giornata, ma aveva anche tutta l’aria di essere irrimediabilmente lunga.
 
***
 
L’odore di chiuso, stantio e di polvere lo colpì alle narici prima ancora che potesse varcare la soglia della stanza. Si trattava di uno spazio ampio, poco illuminato, se non dal timido sole autunnale che sfidava le spesse coltri bordeaux. Facendosi coraggio mise un piede all’interno, tastando un pavimento polveroso e scricchiolante con le soffici pantofole consumate. Si guardò intorno, non sorprendendosi affatto di trovare, sotto al suo sguardo circospetto, tutto come lo ricordava: l’enorme letto a baldacchino, al centro della stanza, addossato alla parete, coperto da quello che era stato un soffice piumone, il cui colore sembrava più cupo per via della polvere. La scrivania in legno, attaccata da una colonia di tarli, sgombra e con qualche pergamena lasciata lì ad imputridire. L’imponente libreria, ingombra di vecchi libri scolastici, probabilmente consumati dall’umido e dalle termiti. E poi le pareti, scrostate in più punti da quella che doveva essere un’orrida carta da parati, ed adornate di poster dalla dubbia provenienza di vecchie band babbane, squadre di Quidditch un tempo vincenti, e uno stendardo che richiamava i colori dominanti dell’intera stanza: rosso ed oro.
Harry ebbe l’abituale tuffo al cuore, soffermandosi sul vecchio vessillo che rappresentava quella che era stata anche la sua casata. Preso dai ricordi, si avvicinò alla scrivania. Una foto capeggiava sul piano impolverato: un ragazzo dai capelli ribelli, un paio di occhiali scivolati sul suo naso, con un largo sorriso gli faceva l’occhiolino, accanto a lui, con un sorriso sornione, un altro ragazzo dai capelli lunghi e scomposti gli faceva la linguaccia di tanto in tanto, tenendo un braccio sulla spalla di un altro soggetto, dal sorriso timido ed impacciato, il volto segnato da una lunga e spessa cicatrice, sulla guancia.
Un sorriso triste gli salì sulle labbra, lasciandogli il gusto salato di lacrime che aveva versato molto tempo prima. Nella foto, i ragazzi, sembravano avere meno di diciassette anni. Sembravano felici, spensierati ed ignari.
Harry non riuscì a soffocare la sensazione che, da sempre, gli attorcigliava lo stomaco e lo portava a sentir il cuore rimpicciolirsi.
Suo padre, Sirius e Remus, continuavano a sorridere tra le sue mani, e lui si accorse di quanto la cornice  fosse meno impolverata di tutto il resto.
 
***
 
Draco aveva perso qualsiasi speranza, stringendo la mano unticcia dell’ometto di fronte a lui. Pensò con disgusto a quei baffi altrettanto unticci e a quegli occhietti infossati che squadravano come affamati l’esile figura di Pansy, mentre lei dubbiosa si guardava intorno.
Si trattava di un vecchio e polveroso lucernaio, tenuto in piedi chissà per quale miracolo. Tutto aveva un’aria sbilenca e consumata, puzzava di acquitrino e persino il legno delle porte, le travi a vivo del soffitto, sembravano essere gonfie per l’umidità. Draco ebbe una sgradevole sensazione claustrofobica quando vide la misera cucina, dalle sudice mattonelle bianche. E proprio mentre l’unticcio padrone di casa apriva la microscopica finestra accanto al lavabo, una delle mattonelle incriminate decise di porre fine alla sua esistenza, frantumandosi sulla lurida moquette, sollevando una nuvoletta di polvere e generando, Draco lo avrebbe potuto giurare, il fuggi-fuggi di una colonia di scarafaggi.
Ebbe l’impellente bisogno di vomitare, ma poi pensò ad una poco rosea visione del bagno che dall’altra parte dell’appartamento avrebbe potuto accoglierlo. Non doveva aver un bel colorito, perché Pansy lo guardò lievemente allarmata.
L’omino continuava a far l’acrobata sulle discutibili qualità dell’appartamento, e Draco pensò dovesse essere una specie di sport a lui sconosciuto quello lì: trovare gli attributi meno adatti per roba che non avesse la minima possibilità di avere altri aggettivi se non “vomitevole”.
Proprio mentre l’omino stava per appiattirsi al muro e passare, per condurli al bagno, Pansy mise fine ai malesseri di Draco, dicendo:
-Senz’altro sarebbe un’ottima sistemazione per un single la sua, Mr. Powell. Ma vede, temo non sia l’ideale per una giovane coppia…
-Oh, Signorina! Non avevo idea…non vi avrei portato via tutto questo tempo!- persino la voce dell’ometto sembrava essere untuosa, un conato salì alle labbra di Draco.
-Ci scusiamo immensamente per il disturbo, Signore.- disse Pansy, prendendo Draco a braccetto, più per sostenerlo che per un gesto d’affetto.
-Temo che questa soluzione non soddisfi le nostre richieste.- disse la ragazza, con un sorriso tirato.
-Beh, è comprensibile…una giovane coppia, immagino, abbia bisogno di più…disponibilità. Beh, congratulazioni!
Pansy annuì vigorosamente e mormorò quello che doveva essere un ringraziamento rispettoso, poi l’omino li accompagnò all’ingresso.
Fu solo allora che Draco prese a respirare dal naso e riconquistò le sue capacità oratorie, ma prima ancora che potesse riversare su Pansy tutte le imprecazioni conosciute al mondo magico, la ragazza gli sorrise e disse serenamente:
-Non era poi così male, non se ti piace quel genere di cose. Almeno, con tutti quegli esserini repellenti che vivono sul pavimento, non avresti sofferto la solitudine! Ma non abbatterti, tesoro, questo è solo il primo dei numerosi appartamenti che ho sapientemente selezionato!
Draco meditò seriamente la resa, solo in quel momento.
 
***
 
Harry poggiò con reverenza la foto sulla scrivania e finalmente si accorse che qualcosa non quadrava: non era impolverata. Né la cornice, né il ripiano. Decisamente qualcosa non tornava!
Subito i suoi occhi andarono al pavimento. Oltre alle sue impronte, poteva scorgere nitide sul parquet consumato delle sagome più minute, le osservò attentamente, chinandosi: erano vistosamente più strette e corte delle sue e sembrava esserci il segno di un tacco. Erano impronte di donna, senza alcun dubbio. Subito le sole donne presenti la sera prima fecero capolino nella sua mente. Harry notò che anche la sedia doveva essere stata spostata, perché vi erano due lunghi segni sul pavimento. Spostò la sedia ridisegnando gli stessi contorni e si accomodò, le ginocchia toccavano completamente la cassettiera in quella posizione che sarebbe stata scomoda per chiunque sopra il metro e settanta. Doveva trattarsi senz’altro di una donna, allora.
La porta era blindata da un incantesimo che solo Hermione conosceva, le impronte appartenevano sicuramente ad una donna e persino la posizione della sedia sembrava confermarlo.
Harry tirò un sospiro di sollievo quando la prima ipotesi plausibile si affacciò alla sua mente: Hermione, la sera prima, sconvolta per il loro litigio, s’era rintanata dove nessuno avesse potuto trovarla. Aveva aperto la porta, con quel suo vecchio incantesimo, abbattendo la barriera protettiva, ed era entrata. Harry guardò le impronte e immaginò la scena: era andata alla libreria, sicuramente per cercare qualcosa da leggere che potesse calmarla, com’era solita fare. Poi, preso un libro, s’era seduta alla scrivania e aveva cominciato a rilassarsi. Magari aveva alzato lo sguardo e aveva anche lei preso tra le mani la foto, pulendola. Sicuramente Ron l’aveva trovata, o magari chiamata, e lei era subito uscita di lì, dimenticandosi di richiudere magicamente la porta della stanza di Sirius.
Harry poteva dirsi certo dell’accaduto, ma questo non rendeva la cosa accettabile, era come se qualcuno avesse violato la privacy di quel luogo, avesse violato una parte di se stesso. Si sorprese di quei pensieri, vergognandosene come un ladro, un momento dopo. Era di Hermione che si trattava! Immaginò cosa avesse portato l’amica a prender la cornice con la foto, a tenerla tra le dita e a soffiarci su per liberarla dalla polvere della memoria. Hermione, le sue parole e il loro litigio…aveva paura di perderlo. Quella consapevolezza lo fece sentire profondamente in colpa. Poggiò la fronte sul pugno chiuso, e inspirò quell’aria satura di ricordi impolverati e di anguste malinconie.
Fu quando aprì gli occhi che lo vide: un libricino, dalla copertina in pelle opaca, sicuramente del cuoio, poggiato sulla scrivania, poco dietro alla foto. Anche quello privo di qualsiasi traccia di polvere.
Inclinando la testa, Harry inarcò un sopracciglio. La curiosità lo spinse a prendere tra le mani quel libro senza titolo, immagino fosse stato lo stesso sentimento a portare Hermione a recuperarlo dalla libreria.
Aprì la copertina, aspettandosi di trovare dei caratteri noiosi e pomposi che recitassero l’intestazione del libro scelto da Hermione come anestetico.
Ma sorprendentemente, del titolo non c’era traccia. Harry, stranito, passò alla pagina successiva…vuota anche quella.
Si scostò bruscamente, colto da una brutta sensazione, e poi fece frusciare le pagine bianche tra le dita, velocemente. La sensazione si tramutò ben presto in un pessimo presentimento.
Non trovò nemmeno una pagina il cui colore fosse diverso dal bianco.
 
***
 
Raccolse distrattamente i folti capelli in una coda alta, ancora sovrappensiero.
Infilò il camice, indugiando sui bottoni.
Il silenzio la feriva con la stessa intensità della sera prima. Il silenzio del suo migliore amico sembrava sferrarle dei colpi a tradimento allo stomaco, o forse erano solo i postumi della sbornia, quelli che la pozione non riusciva a tener a bada. Ripensò a Ronald, accoccolato accanto a lei, che russava rumorosamente, quando uscendo lo aveva lasciato nel suo appartamento. Voleva che quello fosse un pensiero confortante, dolce e felice. Ma inspiegabilmente la tangibile presenza di Ron, al suo fianco tutta la notte, non faceva che aumentare l’intensità del vuoto lasciato da Harry.
Hermione sospirò, trattenendo un singhiozzo poco dignitoso. Non poteva assolutamente permettersi di scoppiare in lacrime davanti alla receptionist dell’ospedale, nel bel mezzo dell’ingresso del San Mungo.
Trasalì quando una mano raggiunse la sua spalla.
-Buongiorno, Hermione.
La voce profonda e pacata di Blaise sembrò ancorarla a terra e ricacciare indietro le sue lacrime, prima ancora che potessero sgorgare. Hermione sperò ardentemente di non aver gli occhi lucidi, e di non sembrare sull’orlo di una crisi di nervi.
Zabini porgeva educatamente il proprio tesserino da studente alla silenziosa receptionist, una delle infermiere anziane.
Quando poi la donna restituì i tesserini ai legittimi proprietari, Hermione si sforzò di sorridere e di rispondere:
-Giorno, Blaise.
Il sorriso del ragazzo sembrò rassicurarla e tranquillizzarla.
A passo svelto, condividendo la stessa meta, si diressero verso la saletta degli apprendisti, chiacchierando del più e del meno. Finché Blaise non disse:
-Sai, una persona una volta mi ha detto che, spesso, basta spiegare le proprie intenzioni e dire che si è dispiaciuti. Ripeterlo all’infinito. Perché poi, alla fine, passa. Passa sempre, mi hanno detto.
Hermione fu profondamente grata al ragazzo discreto al suo fianco. Fu grata perché non chiese e non volle sapere. Lo guardò con un sorriso timido.
-Ma passerebbe davvero, o è solo perché non si tratta di Harry?
Blaise le aprì la porta, con il suo solito fare galante, e arricciò le labbra spontaneamente, prima di dirle con la sua voce melodiosa:
-Passa sempre, soprattutto se si tratta di Potter!
Hermione entrò e si accasciò sulla panca, il morale rinfrancato, ma i dubbi a punzecchiarla fastidiosi.
-Io credo…credo di essere gelosa.
Blaise le sorrise ancora, accomodante, poggiandosi ad uno dei tanti armadietti ordinatamente disposti nella piccola saletta.
-Di Draco, dico bene?
Hermione deglutì rumorosamente annuendo gravemente.
-Voglio dire…ultimamente, passano un sacco di tempo insieme. Sembra quasi…Tu non hai l’impressione che vadano molto, troppo, d’accordo. Sembrano…amici.
Blaise non poté fare a meno di soffocare la risata che stava per far vibrare il suo petto. Hermione lo guardò con disappunto.
-Hermione, noi ci chiamiamo per nome.- disse, come a sottolineare l’ovvio, cosa che lasciò senza parole la ragazza.
-Non hai nulla da temere. Draco non ti sostituirà, non ti priverà del tuo ruolo nella vita di Potter. Ma mi permetto di darti un consiglio, comincia ad accettarlo. Sarà più facile, dopo…
Hermione alzò le sopracciglia, disorientata dalle parole enigmatiche.
-Accettare cosa? Dopo? B-Blaise…non credo di seguirti.
Blaise alzò le spalle ed allargò le braccia, suggerendole di non poter dire altro.
-Confido che tu sia abbastanza intelligente da ricordare e comprendere le mie parole, quando il momento sarà opportuno. 
 
***
 
Non aveva potuto far a meno di sottrarre quello strano cimelio dalla stanza. Lo aveva tenuto stretto tra le mani, mentre richiudeva la porta, sigillandola con un incantesimo sicuramente meno complesso di quello usato da Hermione.
Con la stanza di Sirius alle spalle, ed i ricordi già più lontani, ma con un cuore più pesante del solito, Harry aveva finito di prepararsi giusto in tempo per non arrivare in ritardo.
Si era smaterializzato direttamente in aula, e stringendo la tracolla consumata e macchiata d’inchiostro, s’era seduto fra i banchi, solo cinque minuti prima che la lezione iniziasse.
Wang era entrato, dando il buon giorno, mentre la classe cominciava a riempirsi.
Harry, immerso totalmente nei propri pensieri, non si rese esattamente conto della presenza di Ron al suo fianco, finché quello non tossicchiò rumorosamente.
-‘Giorno, amico…
Quasi trasalì, sentendo la voce del suo migliore amico. Si sentì come se una forza sconosciuta lo avesse riportato indietro di anni, come se la voce di Ron fosse esattamente stridula e acerba, come prima della pubertà. Pensò intensamente al libro nascosto nella sua borsa. Dissimulò un fremito.
-Ehi? Harry, è tutto ok?
Wang iniziò la lezione, ma ad Harry non sembrava giungere nessun suono se non quello del suo cuore che batteva come impazzito.
-Ron…hai parlato con Hermione?- sussurrò, fissando un punto imprecisato della lavagna.
Ron sospirò mestamente e scribacchiò qualcosa di poco comprensibile sulla pergamena stropicciata.
-Era beh, sconvolta, ieri ma…penso che dobbiate parlare e…
Harry tamburellò nervosamente con le dita sul banco, interrompendolo.
-Ti ha detto niente di…è entrata nella stanza di Sirius…
Dirlo ebbe un altro effetto, la sua voce risuonava dolorosa, ferita, come se avesse qualcosa di appuntito incastrato nell’esofago.
-Sì, l’ho trovata lì e…insomma, non doveva entrare, lo so. Non quando ci avevi chiesto di non farlo, perché insomma…i ricordi, e tutto il resto, sono ancora…troppo. Ma lei era sconvolta e aveva bisogno di calmarsi e…
Harry spezzò il farfugliare di Ron, spazientito.
-Non è questo il punto.- sussurrò risoluto, facendo rabbrividire persino se stesso, –Hermione ha trovato qualcosa lì…Io, non credo di voler sapere di che si tratta, ma…dai un’occhiata.
Si fece forza e con la mano tremante aprì la borsa, il più silenziosamente possibile e ne fece fuoriuscire il libro misterioso, poggiandolo sul tavolo. Ron parve dubbioso e poi all’improvviso s’illuminò dicendo:
-Oh, sì…aveva proprio questo libro fra le mani, lo stava leggendo per calmarsi, ieri sera. Ricordo la copertina. M’era sembrata strana, non aveva un titolo…Hai trovato qualcosa di interessante lì dentro, eh? Qualcosa di tipo incomprensibile e di tipo…molto da Hermione?
Harry lo guardò finalmente negli occhi. Vide l’espressione di Ron cambiare, in peggio, allarmarsi e lasciarsi prendere da un’ansia cieca. Poi, ispirando profondamente, disse:
-Ron…Hermione non poteva leggere né trovare niente qui dentro. Perché questo…- deglutì rumorosamente, non riuscendo a formulare le parole giuste, –è bianco. Completamente bianco…
Ron improvvisamente impallidì. Un libricino dello stesso spessore di un almanacco, di un’agenda o magari di un diario... Bianco.
-Non dirmi che…- sussurrò Ron gravemente.
-Ho avuto la stessa identica sensazione…Come se avessi già visto qualcosa di simile.
Ron sapeva che quel qualcosa non era una cosa generica, ma purtroppo era certo che si trattasse di qualcosa di terribilmente specifico.
-Non può essere vero…
 

 
 
 
 
Note:
Buonsalve, viandanti!
E bentrovati! Come promesso, non vi ho abbandonati! Certo, gli esami attentano alla mia creatività, ma non potevo non cedere alle minacce di molti (?) di voi xD
Beh, un capitoletto travagliato, non c’è che dire. Scritto a più riprese.
Spero possiate apprezzarlo, perché mi sono mortalmente divertito a scriverlo! 
Intanto voglio ringraziare le 45 persone che seguono la storia, colei/colui che l’ha selezionata fra le ricordate, le 6 persone che l’hanno inserita alle preferite e chiunque abbia fin ora recensito. Siamo alla soglia delle 50 e la cosa mi emoziona parecchio.
In ultimo, ma non meno importante un ringraziamento particolarmente sentito va a Wing –e che lo dico a fare- e ad ale93, che da una parte spero stia leggendo, e dall’altra prego non lo faccia.
Augurandomi di trovarvi alla prossima,
vi ringrazio nuovamente per il sostegno sia esplicito che implicito!
Alla prossima,
Indice. 

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Capitolo 19
*** Giunse silenziosamente ***


IXX. Giunse silenziosamente
 
Si dice che ogni persona è un'isola,
E non è vero,
 
Ogni persona è un silenzio,
Questo sì,
Un silenzio.
 
Ciascuna con il proprio silenzio,
Ciascuna con il silenzio che è.
 
José Saramago
 
Un quarto alle undici. E lui era irriducibilmente in ritardo.
Alzò gli occhi al cielo, per l’ennesima volta, lasciandosi trascinare da Pansy, compiangendo il triste destino che lo attendeva. Almeno fino ad ora di pranzo, aveva detto la sua migliore amica, avrebbero visto un altro paio di appartamenti. Il che, nel linguaggio di Pansy, equivaleva a dire che avrebbero rivoltato Londra da cima a fondo, finché non avessero trovato uno straccio di appartamento.
Draco aveva rinunciato in partenza a far valere ragioni come: “Pansy, non posso assolutamente assentarmi a lezione!”.
Ormai non sapeva più dire quanti monolocali avessero visto, nella sua mente si accavallavano salotti, cucine, bagni, numeri civici, vie, piazze…il tutto in un ammasso confusionario.
Ma quando finalmente giunsero al numero 21 di Whiteleys, Draco ebbe una sensazione di calore allo stomaco. Forse fu colpa del porticato bianco, con le due colonne, e lo scintillare placido del due accostato all’uno, di quella facciata candida, o della porta di un profondo verde scuro. O forse fu perché, quando Pansy bussò dolcemente, il campanello tintinnò dolcemente, riecheggiando con fare discreto nella sua testa. Sebbene fosse contrario a quella specie di spedizione, Draco non riuscì a non rimanere incantato da quell’ingresso, che si affacciava come per caso su una via silenziosa, pacifica, circondata dal verde. Quell’edificio sobrio, elegante, con le colonne candide, sembrava averlo rapito, inspiegabilmente.
Una vecchietta, avvolta in uno scialle di lana spesso, giunse alla porta e sorrise timidamente, prima di essere travolta dalle parole di Pansy. I suoi occhi velati dall’età si soffermarono su Draco, ed indugiarono un po’ più a lungo nei suoi. Era lo sguardo amorevole di quella che doveva essere stata una madre, sebbene il corpo gracile non lo desse a vedere. Quello sguardo comprensivo, docile e attento che sconvolse Draco e innescò in lui un’altra sensazione piacevole.
La vecchina li lasciò entrare, reclinando dolcemente il capo, e increspando le rughe attorno alle labbra in un sorriso. Poi, senza ancora aver proferito parola, poggiò una mano sul braccio di Pansy.
Ogni suo gesto sembrava essere misurato, vellutato, quasi poetico: temeva come di lasciare segni evidenti del suo passaggio e di disturbare persino l’aria che con ogni movimento avrebbe potuto spostare. Era leggiadra, tanto che i suoi piedi sembravano non fare alcun rumore sul parquet scuro, come se avessero paura di consumarlo. Li condusse in silenzio, poggiandosi di tanto in tanto su un mobile, per fiaccare la stanchezza che sembrava coglierla ad ogni contrazione del cuore. Ma anche quando cercava un valido appiglio, per riprendere fiato, non c’era disperazione o necessità nelle sue mani: semplicemente, nel più confortante silenzio, si poggiava come farfalla su un fiore. Draco pensò che se lui o Pansy avessero respirato un po’ più forte, quella figura minuta sarebbe sparita nel nulla.
Oltrepassarono l’ingresso ed imboccarono un ampio corridoio, adornato di quadri, per lo più fotografie in bianco e nero della Londra Babbana. Infine Pansy mise piede in salotto e cominciò a guardarsi intorno. Nulla sembrava essere superfluo: i divani in pelle, di un brillante marrone; la poltrona in noce; i candelabri posti su diversi tavolini decorati in madreperla, che luccicava al bagliore di un vivace caminetto acceso, sebbene fosse mattina. Un’ampia finestra dava su un verdeggiante giardinetto interno, molto curato. Draco si soffermò a lungo sulle cornici d’argento e su vari utensili in Sheffield, posti su una raffinata credenzina rialzata. Non una cornice riportava una foto, sembravano essere state tutte tirate a lucido, ma erano desolatemene vuote.
La voce di Pansy lo strappò ai suoi pensieri, e lo esortò a continuare la visita dell’appartamento. Si diressero così al piano superiore, imboccando delle scale in legno incapaci di scricchiolare. Tutto, in quella casa, sembrava immerso nel silenzio, ed era impossibile arrivare a pensare che proprio fuori dalla porta d’ingresso potesse esserci davvero il mondo.
La camera da letto era ampia, incorniciata da tre grandi finestre e una vetrata che dava su un balcone adornato d’edera fin sul davanzale. Anche quella stanza sembrava dover contenere solo l’essenziale: uno scrittorio, un letto matrimoniale addossato alla parete e proprio accanto alla finestra, un armadio ad angolo e una piccola cassettiera. Le pareti erano spoglie, fatto salvo per due piccoli lampadari ai lati del letto. Era una stanza luminosa, ariosa, e arredata con gusto.
Prima che Pansy potesse trascinarlo via, Draco aprì la finestra e uscì sul balcone, che dava sull’interno, in quel giardinetto magnificamente curato. Quando si affacciò scorse una piccola fontana, candida. Si voltò e cercò lo sguardo della vecchietta che indugiava sull’uscio.
-Quanto al mese?- disse infine.
La vecchietta sorrise, come volesse stiracchiare il volto, mentre Pansy guardò radiosa il suo migliore amico.
-Milleduecento cinquanta.- la voce flebile della donna vibrò dolcemente, come fosse uno strumento che non suonasse da tempo, –Non trattabili.
-Milleduecento cinquanta sterline?! Signora, io trovo che…- cominciò a dire Pansy, ma Draco la zittì con un gesto secco della mano, poggiandosi al davanzale.
-Così com’è?- chiese, pacatamente.
-Così com’è.- rispose la signora, annuendo, e senza mai smettere di increspare le labbra raggrinzite.
-La prendo.
Pansy strabuzzò gli occhi e scusandosi dolcemente con la signora, lo raggiunse poggiandogli una mano sul braccio, con fare stucchevolmente amorevole:
-Tesoro, non credi che dovremmo parlarne?
La signora inclinò il capo e guardò in basso, mascherando un’espressione malinconica, per poi dire dolcemente:
-Vado a prepararvi un thè, mentre voi ne parlate.- e così dicendo li lasciò soli, sul balcone timidamente inondato dal freddo sole di ottobre.
-Draco, milleduecento cinquanta sterline!- proruppe Pansy gesticolando, –Sono praticamente seimila duecento cinquanta galeoni!
Il ragazzo la guardò negli occhi scuri, senza lasciar trasparire nessuna espressione.
-Non credi che dovremmo prima passare alla Gringotts? Fare un paio di stime…che ne so. Seimila duecento cinquanta galeoni! Sono una fortuna! Ogni mese poi…
Draco arricciò il naso, il disappunto si fece largo sul suo viso.
-Pansy, mi hai trascinato in giro per tutta Londra, nel disperato tentativo di trovarmi un appartamento, cosa che, per inciso, non ti ho chiesto di fare. Bene, lo abbiamo trovato. Questo è l’unico appartamento che mi sia piaciuto. Non vedo perché farsi tanti problemi…
Pansy strinse la presa sul suo braccio e scosse categoricamente la testa.
-Da bravo, Draco. Puoi prendere questo appartamento, non te lo sto negando, se ti piace così tanto. Ma sii ragionevole. Io credo sia opportuno fare una visitina alla tua camera blindata prima di mettere la firma su un documento babbano, non credi?
La vecchietta, sulla porta, richiamò dolcemente l’attenzione.
-Non mi occorre nessuna firma.- disse in quel suo tono ovattato, ­–Nessun agente immobiliare è fin ora riuscito ad affittare questa casa, e avevo rinunciato. Poi mi ha telefonato Lei, Signorina…Non ho nessun contratto da farvi firmare, purtroppo.
Pansy improvvisamente sembrò illuminarsi e si voltò, per fronteggiare la donna.
-Mi sta dicendo che lei è disposta ad affittare la casa senza alcuna garanzia?
La vecchietta annuì, gravemente, per poi dire:
-Avviare la pratica, abbozzare contratti, richiedere consulenze e valutazioni sull’immobile, e infine pagare l’agenzia immobiliare non sarebbe stato sostenibile, Signorina. Le mie risorse sono limitate e, detto francamente, necessito del canone d’affitto. Quindi sono disposta a dei compromessi, sebbene non sia esattamente conforme alle politiche fiscali del governo.- disse con fare affabile per poi concludere il suo discorso con un tremulo sorriso divertito: -Confido che il nostro governo non abbia il cuore di intentare una causa ai danni di una povera ottantacinquenne.
Draco la guardò negli occhi, che per un momento sembravano aver riacquisito un vigore e una fermezza dimenticati da tempo, per poi dire:
-Non abbiamo intenzione di negoziare. Ma, come ho appena fatto notare al mio amico, siamo costretti a fare delle valutazioni, per essere sicuri di riuscire a corrisponderLe quanto dovuto, nei tempi richiesti. Immagino ne converrà con me… milleduecento cinquanta sterline sono una somma importante.- disse Pansy con dolcezza, quasi con deferenza.
La vecchietta annuì accondiscendente.
-Passeremo in banca questo pomeriggio, mia cara Signora. E entro domani la richiamerò per darle la risposta definitiva, se Lei è d’accordo.
Ancora una volta la vecchietta annuì, senza aggiungere altro.
Draco, in silenzio, assisteva alla conversazione, rapito ancora una volta dai modi della padrona di casa.
Poi la vecchietta lo guardò con uno sguardo che s’incastrò nel suo cuore.
Improvvisamente capì cosa in quella donna gli era familiare, cosa lo aveva spinto a quel moto d’affetto che non aveva manifestato, cosa fosse quel calore all’altezza del petto.
Quella figura fragile, minuta, di cristallo, gli ricordava intensamente un’altra donna, meno anziana, forse più bella, ma dall’identico sguardo: Narcissa.
 
***
 
-Harry, amico, questa storia non mi piace per niente…E scommetto che non piacesse neanche ad Herm. Ho una strana sensazione…- stava dicendo Ron, cercando di inseguire i pensieri di Harry.
Il ragazzo al suo fianco lo guardò di sbieco, dicendo:
-Che sensazione?
Ron si strinse nelle spalle, raccogliendo la propria roba. Wang li aveva lasciati liberi per cinque minuti, dato che aveva concluso la spiegazione prima del previsto.
-Non so…è qualcosa di intenso, come una fitta o qualcosa più come... Come quando lasci qualcosa sul fuoco, e te ne dimentichi, ma poi ti arriva al naso la puzza di bruciato e improvvisamente ti ricordi…
Harry lo interruppe, sempre più stranito:
-Che vai farneticando, Ron?
Il ragazzo si grattò energicamente la nuca, in cerca di parole che avessero un senso.
-Beh, ho avuto quella sensazione lì quando l’ho toccato. È qualcosa che non si può spiegare a parole, Harry. È la magia. Quella roba ha della magia dentro, ma non saprei davvero dire se si tratta di magia oscura o no…capisci? Non so riconoscerla.
Harry era sempre più stranito dalle parole del suo migliore amico.
-Vedi, quando un mago tocca qualcosa di magico, ecco…è come se qualcosa dentro di me mi dicesse che quel libretto insignificante è stato immerso in un incantesimo. Ma non sono in grado di dire con certezza se si tratti di un incantesimo buono o…Miseriaccia, com’è complicato. Senti, non lo so…
Harry annuì gravemente, aggrottando le sopracciglia. Ripensò alle parole di Ron, trovando bizzarro il non essere d’accordo. Non aveva avuto nessuna di quelle sensazioni, scarsamente descritte dall’amico.
-Dev’essere qualcosa, beh…sai, magari è una capacità dei purosangue. Non sto dicendo che…
Ma certo! Si disse Harry. Era sicuramente legato a qualcosa che avesse a che fare col sangue. Altrimenti non riusciva davvero a spiegarsi come Hermione avesse abbandonato il libro nella stanza, senza portarlo immediatamente a lui. E soprattutto era l’unica spiegazione logica alle sensazioni di Ron. Ad Harry quel libro era sembrato niente di più che un brutto ricordo dei suoi dodici anni.
Ron invece parlava di una sensazione che non riusciva descrivere.
Era sempre stato così, d’altronde, no? Ron arrivava a percepire, quasi ad annusare la magia, molto prima di quanto potesse farlo Hermione.
Harry riportò alla mente il loro primo anno: come avrebbe fatto Ron a sapere della scacchiera incantata, se non ne avesse percepito la magia?
Era qualcosa d’istintivo, d’innato. Hermione avrebbe potuto ingoiare l’intera biblioteca senza riuscire mai ad acquisire quella particolare capacità percettiva. E sebbene Ron non ne fosse totalmente consapevole, più di una volta aveva preferito affidarsi all’istinto, piuttosto che alla razionalità. Forse perché quell’istinto era molto più razionale di tutte le conoscenze memorizzate da Hermione.
Ma ovviamente Ron non avrebbe potuto condurlo oltre, riconosceva la magia, certo, ma ignorava di cosa si trattasse, incapace di distinguere qualcosa di sgradevole da qualcosa di innocuo. Ed era comprensibile: se mai aveva davvero avuto a che fare con la magia oscura, come poteva riconoscerla?
-Una capacità dei purosangue, eh?- disse Harry, seguendo il filo dei propri pensieri. Ron sorrise timidamente, aprendo la bocca per dire qualcosa, ma fu prontamente bloccato da un gesto di Harry.
-Hermione, se avesse percepito qualcosa, avrebbe senz’altro pensato di comunicarcelo. Avrebbe cominciato a fare una delle sue infinite ricerche. Ma non l’ha fatto…Perché non ha sentito niente. Anch’io, se non avessi mai visto il diario di Riddle, avrei lasciato lì questo libretto. E tu, con questa tua capacità, non sai proprio dirmi di che genere di cosa possa essere, giusto?
Mentre uscivano dall’aula, Ron continuava ad annuire incessantemente, seguendo passo passo il discorso di Harry.
-Allora siamo di fronte a un vicolo cieco.- concluse Ron, per lui.
Harry sospirò profondamente, fermandosi un attimo.
-Ne parlerò con Herm, amico. Sicuramente avrà un’idea su questa storia…sai com’è fatta. Nel frattempo tu non fare niente di stupido, tipo scrivere su quella roba e andare a spasso fra ricordi di persone che non conosci.- disse Ron divertito, per smorzare la tensione.
-Una capacità dei purosangue…- Harry ripeté assorto quella frase.
Per venirne a capo aveva bisogno di un purosangue, ma non di uno qualsiasi. Uno che conoscesse e che sapesse riconoscere gli incantesimi oscuri. Peccato, o per fortuna, che di maghi così non ne erano rimasti molti in circolazione, e di certo Harry non aveva nessuna intenzione di far un giro turistico ad Azkaban. Ma se quella fosse stata la sua unica opzione?
Poi improvvisamente ebbe l’illuminazione e disse, con entusiasmo:
-Malfoy!
Ron trasalì e lo guardò come se Harry fosse appena sbarcato sulla Luna.
-Ron! Malfoy è un purosangue, Merlino solo sa quanto ne abbia ciarlato e quanto lo abbia sbandierato. E conosce la magia oscura! Devo far in modo che tocchi questo libro così…
Ron mise le mani avanti, interrompendolo:
-Frena, frena, fratello! È di Malfoy che stai parlando! Chi ti dice che ti aiuterà?
Harry sogghignò mettendo una mano sulla spalla di Ron:
-Lo farà, Ron, fidati.
-Questa storia mi piace sempre meno…
Harry si voltò, preso dalla frenesia dell’intuizione che lo aveva appena colto, e ad ampie falcate tornò indietro in aula, seguito da un Ron sempre più perplesso.
-Devo andare immediatamente da Malfoy!- disse Harry risoluto.
Fu quando Ron lo agguantò per il mantello che finalmente si fermò e prese consapevolezza delle parole del suo migliore amico:
-Harry…Malfoy non è venuto, oggi!
 
***
 
Quando la pesante porta della camera blindata, la quattrocento sette, si schiuse, quasi l’intera galleria minacciò di crollare. Il folletto spinse Draco all’interno, senza grazia.
-Camera Blindata quattrocento sette.- gracchiò per la milionesima volta il folletto, con stizza.
Draco mise piede nella sua camera blindata personale facendo scorrere lo sguardo sul pavimento di marmo scuro. Agli angoli della stanza erano ammonticchiate piccole collinette dorate, mentre al centro un enorme baule troneggiava imponente.
Draco fece scivolare una mano in tasca e strinse nel palmo una piccola chiave d’argento. Si avvicinò al baule e si chinò per aprirlo.
-E della camera blindata cinquantacinque cosa mi dici?- disse Draco, senza guardare il folletto alle proprie spalle.
-Confiscata dal Ministero.- disse lapidario l’altro.
Il baule si aprì con uno schiocco e Draco cominciò a cercare al suo interno, infilando la mano con circospezione, affidandosi completamente al tatto.
-Certo, davvero gentili quelli del Ministero- sbottò, –Confiscare i patrimoni senza prendersi la briga di notificarlo ai legittimi proprietari.
-Non sono tenuti a farlo, non sei i proprietari sono sovversivi…- gracidò il folletto, irritato, come ripetendo delle istruzioni.
Draco alzò gli occhi al cielo, poi strinse le dita su ciò che stava cercando.
Non erano tenuti a farlo, era legalmente esatto, e Draco aveva smesso di pestare i piedi ed infuriarsi. Qualcuno doveva pagare, era quella la politica del Ministero. Spogliare dei propri averi le famiglie dei Mangiamorte, che guarda caso erano tra le più facoltose della comunità magica, era stata una manovra fiscale eccellente, più che un perseguire la giustizia. I funzionari del Ministero svuotavano camere blindate, manieri e prosciugavano patrimoni, ogni giorno, e tutto nel più assoluto silenzio. Poco importava se famiglie intere versassero in condizioni pietose, private della loro unica fonte di reddito. Poco importava se nessuno avrebbe potuto provvedere a quelle famiglie, private dei propri cari, perché rinchiusi ad Azkaban. Il confine tra giusto e sbagliato si faceva sempre più labile e sottile, nella mente di Draco. Era giusto che i Mangiamorte pagassero, scontando l’ergastolo in un posto che li avrebbe svuotati dell’anima. Era sbagliato che le famiglie dei Mangiamorte fossero ridotte allo spettro di quello che erano state un tempo. Era giusto che i figli degli Auror caduti avessero dei finanziamenti per i loro studi, adesso che nessuno avrebbe potuto sostentarli. Era sbagliato che i figli dei Mangiamorte dovessero essere abbandonati a loro stessi. Ma chi aveva torto? Chi ragione? I vincitori, ovviamente, il Ministero. No, non era così, si ritrovava a pensare Draco. La Guerra non faceva vincitori, ma solo vinti. Tutti erano vittime e carnefici, alla stessa maniera. E così i ruoli si confondevano, si mescolavano ed il confine tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato sembrava essersi annichilito.
Si raddrizzò, spolverandosi i pantaloni, e poi aprì il taccuino.
Prima di riporlo nel baule con furia, quasi sperando che si disintegrasse, Draco non poté far a meno di inorridire.
 
***
 
-Non hai toccato cibo…- la voce frizzante sembrava essersi rattrappita un po’, quando la raggiunse. Come se non riuscisse ad oltrepassare quel muro d’invalicabile silenzio che la ragazza aveva costruito intorno a sé.
Ellis spinse cautamente un piatto di arrosto di fronte a sé. Ginny era di nuovo assorta nei propri pensieri, gli occhi castani lucidi e smarriti nel vuoto del cucchiaio sotto al suo sguardo.
-Ginny?
La ragazza sembrò riscuotersi al sentire quella voce.
Alzò gli occhi, seguendo la voce, e vide di fianco a sé i colori della casa di Corvonero. Si agitò leggermente sulla panca di legno, mentre Ellis drizzava il capo.
Luna Lovegood, in uno dei più enigmatici e disarmanti sorrisi, stava lì di fronte a loro, con l’aria di chi sta per svelare un segreto di stato, con quel cipiglio solenne e assoluto che la caratterizzava. Ellis rabbrividì, suo malgrado. Non era mai riuscita a comprendere quella loro compagna tanto sfuggente, così misteriosa e strampalata. Ma aveva la netta impressione che in lei si annidasse la stessa innocenza e schiettezza di una bambina, come se non fosse mai cresciuta. Qualità apprezzabili, certo, ma a volte indiscrete e moleste persino.
-Il prossimo fine settimana, Robert e gli altri andranno ad Hogsmade. Vi unirete a noi…
Ellis suppose che quella frase dovesse essere una domanda, una proposta o qualcosa di simile, ma chissà perché non c’era un tono dubbioso, nessun punto interrogativo a concludere la frase, come se Luna stesse facendo una semplicissima costatazione.
Ginny la guardò smarrita, ripiombando nello stesso sguardo che fin dal risveglio l’aveva accompagnata: disfatta.
-Ehm…- disse Ellis attirando due paia di occhi su di sé, il primo continuava ad essere smarrito e a cercare come un appiglio, l’altro era curioso e profondo.
-Non sappiamo ancora se avremo degli impegni per il week-end, Luna. Ma ti faremo sapere, senz’altro.
Luna annuì sorridendo e poi, canticchiando fra le labbra, si diresse al proprio tavolo, come saltellando, al ritmo di una musica che esisteva solo nella sua testa.
Quando Ellis riportò lo sguardo su Ginny, le sembrò di riconoscere, nel rosso delle sue guance tempestate di lentiggini, dell’imbarazzo.
Poi fece scorrere lo sguardo oltre la sua spalla: Robert le stava fissando, senza curarsi d’esser notato o meno.
“Gran bella faccia tosta!” fu tutto quello che Ellis riuscì a pensare.
 
***
 
Il turno del lunedì era quanto di più magnanimo potesse essere concesso ad un apprendista medimago del primo anno: cinque ore al mattino e poi venivano spediti a casa, a far il pieno di energie, dal momento che al martedì ed al mercoledì i turni erano massacranti oltre ad essere esclusivamente notturni.
Blaise rigirò la chiave nella toppa ed entrò in casa propria, non senza un educatissimo cenno del capo rivolto alla dirimpettaia sospettosa, la signora Flickerman.
Sorridendo per l’ennesima occhiataccia malevola della vicina, Blaise richiuse silenziosamente la porta e si sfilò il cappotto babbano.
Se fosse stato ancora in grado di sorprendersi, di fronte all’imprevedibile, Blaise lo avrebbe senz’altro fatto. Ma erano più di dieci anni che conviveva con l’imprevedibilità in persona, con multiple personalità e instabilità annesse. Draco Malfoy, comodamente stravaccato sul divano, nel suo salotto, stringeva fra le mani un tomo di istomagia, con un’espressione perplessa dipinta sul volto.
-Davvero ti piace questa roba?- disse, senza guardarlo.
Blaise lo ignorò deliberatamente e puntò alla cucina, dicendo:
-Ti fermi a pranzo, immagino.
Draco scattò in piedi, abbandonando il grosso libro fra i cuscini del divano, seguendo immediatamente Blaise nell’ampia stanza.
-A pranzo, sì. A cena, anche. A tempo indeterminato? Così pare.- disse, accomodandosi su uno sgabello alto, accostato alla penisola.
Blaise si mise da subito ad armeggiare con i fornelli, aprendo una specie di grosso armadio candido e tirandone fuori degli ingredienti che Draco non si prese la briga di ispezionare.
-Curioso…Credevo che Pansy ti avesse trovato, com’è che aveva detto? Ah, sì: “L’appartamento dei sogni”.- disse il ragazzo, dandogli le spalle.
-C’est tout à fait vrai.- biascicò Draco divertito.
Blaise recuperò un coltello da un cassetto e cominciò a sezionare sottili straccetti di carne, probabilmente pollo, ipotizzò Draco.
-Però, perché c’è sempre un però, il Ministero ha voluto ricordarmi quanto mi vuol bene…- continuò Draco, mentre Blaise gli porgeva un bicchiere di vino bianco.
-Hanno congelato il conto dei miei, definitivamente. La camera blindata non è più accessibile. Il mio conto, invece, basterebbe a pagare solo tre mesi d’affitto.- disse Draco con non curanza, ma mascherando l’amarezza.
Blaise non si voltò a guardarlo, ma si limitò ad oliare la padella e a stringere un pugno di farina bianca.
-Oh, e pensa…sono stati talmente gentili da comunicarmi, con largo anticipo, che fra un mese confischeranno il Manor.- l’amarezza nella voce tagliente di Draco fece irrigidire Blaise per un momento. –Buon Natale, Malfoy!- concluse il ragazzo, come parlando a se stesso, facendo tintinnare il bicchiere sul tavolo, dopo una lunga sorsata.
Blaise si voltò, finalmente, inespressivo lo guardò negli occhi, poi con gesti misurati tirò fuori dal buffo armadio una bottiglia di latte.
Sapeva di dover scegliere con cura quelle parole, di dover dar loro un’intonazione priva di qualsiasi emozione che potesse anche solo avvicinarsi alla commiserazione o alla pena, così optò per:
-Rimani quanto vuoi.
Draco alzò la testa di scatto, osservandolo con attenzione, come a voler scavare nel suo sguardo.
-No.- disse secco, dopo un paio di minuti.
Blaise si voltò e versò qualche goccia di latte sul pollo dorato nella padella, e poi disse:
-Hai altre alternative, forse?
Draco si alzò quietamente e lo affiancò, fingendosi curioso dello sfrigolare nella padella.
-Un paio di settimane, al massimo un mese, Blaise.- disse, poggiandosi contro il mobile.
Blaise impugnò un cucchiaio di legno e prese a mescolare il pollo. La sua mente, intanto, vorticava incessantemente, alla ricerca di una soluzione ad un problema che prima o poi si sarebbe presentato. Fin dai primi pignoramenti, ai danni delle varie famiglie coinvolte nella fazione meno onorevole della guerra, Blaise aveva intuito cosa sarebbe accaduto. Di certo era stato lungimirante: aveva prematuramente venduto casa propria, ricavandone un’ingente somma, poi si era disfatto anche dei vari investimenti del padre, vendendo le sue quote partecipative ed infine aveva acconsentito a vivere nella Londra Babbana, dove il costo della vita era praticamente irrisorio. Non che non avesse tentato di convincere anche Draco, ma per lui la situazione era diversa e sicuramente meno gestibile. Doveva pensare per sé ma anche per Narcissa, e quando ormai la situazione era degenerata, il Ministero aveva già avviato le pratiche per le confische. 
-Potresti intentare una causa…- tentò di dire Blaise, ma non ne era convinto neppure lui. Una causa ai danni del ministero? Era un suicidio.  
Draco lo fulminò con lo sguardo, come a voler sottolineare la stupidità della sua affermazione.
Blaise spense il fuoco, recuperò due piatti e ripartì il pollo in due porzioni speculari. Infine Draco sospirò, e prendendo posto a tavola, disse:
-Da qualunque punto di vista la si guardi, Blaise, mi rimane una sola alternativa.
 
***
 
Harry continuava a percorrere avanti e indietro lo stesso tragitto, da quando era tornato a casa, circa un’ora prima.
Nella sua testa si accavallavano domande, supposizioni, sospetti e soprattutto ansie che aveva creduto di poter dimenticare.
Malfoy non era andato a lezione, e non aveva fatto mai un’assenza, nemmeno a scuola. Il ché era strano.
Hermione aveva trovato un libro inquietante e non ne aveva fatto parola, non era da lei. Altra stranezza.
Ron farneticava circa sensazioni ambigue legate a quel libro, e di solito l’istinto del suo migliore amico non aveva mai avuto grosse falle.
Harry gettò uno sguardo intenso sulla copertina del libro, poi, come da sua abitudine, si decise a fare l’unica cosa che gli fosse venuta in mente. D’altronde aveva funzionato una volta, no?
Si avvicinò allo scrittoio, con un incantesimo d’appello richiamò piuma d’oca e calamaio e poi aprì il libro di scatto, su una pagina qualsiasi, ma bianca come le altre.
La mano gli tremò quando la punta della piuma si increspò contro la carta, poi l’inchiostro fluì normalmente:
 
Cosa sei?
 
Harry fissò intensamente la sua grafia un po’ tremolante, nel bel mezzo della candida pagina bianca.
Il silenzio, intorno a lui, era talmente consistente da angosciarlo.
Poi le parole, lentamente, andarono scolorendosi ed Harry, malgrado lo sgomento, non poté non esultare.
Ma al posto dell’inchiostro assorbito della pagina, Harry non ricevette altro che il bianco candido.
Nessuna risposta.
Passò un dito lì dove prima aveva inciso con la piuma: era bagnato.
 
***
 
Tra le mani quel diario.
Lacrime dietro agli occhi.
Silenzio fra l’aorta e il mondo.
 
La sconfitta brucia tra le labbra.
La delusione morde lo stomaco.
La rabbia guida la mano, la spinge a gettare quelle pagine tra le fauci del camino.
Eppure è un attimo, un’impressione o forse un’emozione, sai solo che vuoi dimenticare, ma ti blocchi.
Una domanda si affaccia alla tua mente annegata da acqua salata:
 
Era questo Per sempre?
Un attimo.
Un’emozione.
Una scelta.
La mano trema, per l’ultima volta, sulla pagina:
 
Macerie, resti.
Ma c’eri e resti.
 
Una frase mormorata, uno schiocco.
Poi nulla.
 
Bianco.
Silenzio.
 

 
Note:
Buonsalve, viandanti!
Ed ecco il 19! Spero di non avervi snervato con questa interminabile attesa, mi scuso immensamente, ma la sessione invernale è veramente infinita ed inclemente!
Come sempre ci tengo a ringraziare chiunque abbia letto, ma un ringraziamento particolare va alle 50 persone che seguono la storia…50?! Non ci credo! Grazie, davvero. Non so che altro dire!
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento!
Fatemi sapere cosa ne pensate, eh ;)
Un bacione,
Indice.

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Capitolo 20
*** Inizio ***


XX. Inizio.
 
È una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto,
abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato,
 rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito.
 
È una follia condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito,
non credere in nessun amore solo perché uno di loro è stato infedele,
buttare via tutte le possibilità di essere felici solo perché qualcosa non è andato per il verso giusto.
 
Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza.
Per ogni fine c’è un nuovo inizio.

 
Antoine de Saint-Exupèry, Il Piccolo Principe
 
 
Quando bussarono alla porta, Hermione sobbalzò, finendo per rovesciare il suo the sul libro di istomagia, e non potendo far a meno di imprecare. Con una mano imperiosa agguantò un paio di tovagliolini di carta, cercando di contenere i danni.
Il campanello tintinnava insistente, mentre l’acqua dispettosa si disperdeva sulla pagina e ne impregnava la superficie. Accartocciando uno dei tovaglioli dall’inesistente capacità assorbente, Hermione sbottò:
-Oh ma insomma! Arrivo!
E lanciato un fazzoletto zuppo sul tavolo, con veemenza, si trascinò fino all’ingresso, continuando ad inveire mentalmente contro le visite inaspettate e gli sconosciuti insistenti il cui unico scopo sembrava quello di imprimere i polpastrelli sul suo campanello.
Quando aprì finalmente la porta, Hermione si sforzò di rimangiarsi le innumerevoli maledizioni ai danni del malcapitato: il suo ragazzo, una busta scura tra le mani ed un ampio sorriso stava dritto dinnanzi a lei.
-Ehm, scusami ma…I-Io, ho pensato di portarti del fish&chips, pensando che non avessi pranzato e beh…si fredda, insomma io…
Ad Hermione scappò un sorriso nel vedere la busta impregnata d’olio, nell’immaginare il suo ragazzo che cercava di avere un dialogo con un Babbano, nel trovarselo lì senza preavviso, pieno di tenerezza e premura. Si sentì tremendamente fortunata, ed arrossendo disse:
-In effetti ho proprio dimenticato di pranzare, Ronald, sai con gli esami vicini e tutto il resto…
Poi si fece da parte, prendendo la busta e lasciandolo passare. Prima di richiudere la porta, si sporse sulle punte, proprio mentre Ron cercava goffamente di sfilarsi il soprabito, e lo baciò a fior di labbra.
Sì, era decisamente molto fortunata.
-Ho fatto lezione con Harry, sta mattina…- disse Ron con fare casuale.
Hermione, agitò la bacchetta richiamando a sé due piatti, poi poggiò la busta sul tavolo e, messi i libri da parte, cominciò a spacchettare quello che era il loro pranzo.
Le parole di Ron la pizzicarono tra le scapole e una strana sensazione le affiorò alla mente, mentre il suo ragazzo diceva:
-Se n’è accorto.
Mentre tirava fuori le due porzioni di fish&chips, la ragazza disse con innocenza:
-Accorto di cosa?
Mentre entrambi prendevano posto, l’uno di fronte all’altra, Ron le raccontò della discussione avuta con Harry quella mattina, nei minimi dettagli, ma omettendo dell’intenzione del loro migliore amico di chiedere una mano a Malfoy. D’altra parte era proprio a causa dell’ex-Serpeverde se quei due avevano litigato, e Ron proprio non se la sentiva di rivangare l’argomento, non dopo aver visto Hermione perdere le staffe fino a piangere. Sapeva che la ferita era ancora aperta e che la sua ragazza aveva bisogno di metabolizzare l’accaduto, di rifletterci e di farlo con calma e tranquillità, senza ulteriori implicazioni.
-Devo ammettere che mi era sembrato strano quel libro. Credo di averlo preso senza rifletterci, magari proprio perché era senza titolo. O forse perché era l’unico ad essere sullo scrittoio…Non saprei.- disse Hermione, infilzando una patatina.
-Il fatto è che…è assurdo, no? Ha della magia dentro, si percepisce chiaramente. Ma si tratta di qualcosa di oscuro? E se così fosse, perché stava nella stanza di Sirius? Non ha senso.
Hermione deglutì un sorso di succo di zucca e rimase in silenzio per un attimo, cercando di riportare alla mente le sensazioni che aveva provato nel tener in mano il libro misterioso.
Ricordava di essere entrata nella vecchia stanza, mossa da una rabbia cieca, offuscata dalle lacrime. Aveva avuto una sibillina intenzione di ferire Harry, proprio come lei si era sentita ferita, ed entrare nella camera di Sirius le era sembrata l’alternativa più plausibile. Se n’era pentita subito dopo, certo, ma era già troppo tardi: sullo scrittoio, giaceva abbandonato, un libro senza titolo. La curiosità aveva prevalso ed Hermione aveva finito per rimanere nella stanza, sfogliando pagine vuote, finché Ron non l’aveva chiamata.
Ma dall’anonimo libro, Hermione, non aveva cavato nulla. E quanto alle sensazioni descritte da Ron, lì di fronte a lei, non ne aveva provata nessuna. Le era semplicemente sembrato un libro, come tutti gli altri, solo vuoto.
-Magari è uno degli scherzi di Sirius e James, no? Come la mappa del malandrino…potrebbe essere, no?- tentò Hermione.
Ron arricciò le labbra ed alzò le spalle.
-Harry ne è molto preoccupato…anche perché le mie impressioni non sono state positive. Forse dovremmo parlarne tutti insieme e cercare di capirne qualcosa…
Hermione alzò la testa di scatto, fissando i suoi occhi in quelli del ragazzo di fronte a lei.
-Forse dovremmo parlarne, dici?- disse con un velo di indignazione nella voce.
Ron mise le mani avanti e sorrise dolcemente, come a scusarsi. Sperò ardentemente che il suo malcelato tentativo di ristabilire la pace non avesse urtato la ragazza.
Seguì un silenzio imbarazzante che fu interrotto da Hermione, con la sua razionalità e la sua risolutezza:
-Dobbiamo assolutamente parlarne. E non solo del libro. Credo di meritarmi delle risposte e delle scuse, che penso di essere disposta ad accettare.
Le labbra di Ron si distesero in un ampio sorriso, poi la sua mano corse su quella di Hermione, e la strinse teneramente.
-Potremmo andare da lui, stasera!
 
***
 
L’umida sensazione non sembrava riuscire ad abbandonare i suoi polpastrelli.
Harry sfregò le dita contro le maniche della felpa, ma niente. Era qualcosa di intenso, di gelido e di disperato. Passò di nuovo le dita sulla carta, che apparentemente non risultava rovinata da dell’acqua, ma la ritrovò bagnata. Era inspiegabile: a guardarla, quella pagina, era identica a tutte le altre, ma in quel punto, proprio dove Harry aveva scritto, sembrava essere stata ferita, e grondare acqua.
Harry passò il pollice sull’indice, tastando la consistenza del liquido. Poi avvicinò cautamente le dita al naso, per rintracciarne un qualche odore. Ancora niente: il liquido sembrava proprio acqua, incolore ed inodore.
Molte volte, in vita sua, non aveva potuto far a meno di sorprendersi, tanto che era ormai diventata un’abitudine per lui. Ma adesso non era la sorpresa ad accelerare il suo battito, ma una sorta di inquietudine angosciante. Qualcosa dentro di lui lo spinse a portare le dita alle labbra, e come sempre, senza riflettere, Harry fece esattamente quello che il suo istinto gli dettava.
La punta della sua lingua, indagatrice, guizzò fuori e leccò una piccolissima porzione del polpastrello. Poi si ritrasse immediatamente, allontanando la mano, come per metterla a fuoco.
Il liquido, inodore e incolore, sgorgato da quella pagina non era semplice acqua. 
Il salato sulla punta della sua lingua era perfettamente distinguibile, ma prima che Harry potesse vagliare una qualsiasi ipotesi plausibile, si ritrovò di nuovo a sobbalzare.
-Dio, Potter, non farlo. Odio chi si lecca le dita per cambiare pagina. Lo trovo disgustoso!
 
***
 
-Posso sapere il motivo della sua visita, signor Zabini?
Blaise, seduto su un’imponente poltrona, accavallò elegantemente le gambe, facendo scorrere lo sguardo sul pregiato intarsio della scrivania.
-Mi trovo qui perché spero di ricevere delle risposte da parte sua, Signor Hockmere.
L’uomo si lisciò la candida barba, annuendo per spingerlo a proseguire.
Blaise lo osservò a lungo, come ricordando particolari ormai dimenticati: la strana forma del naso, lo sporgere degli zigomi. Quella sua aria grave e sempre corrucciata, come gli fosse di peso dover condividere il mondo con gli altri esseri umani. Certo, Blaise trovava un uomo che era quasi l’ombra di se stesso, pallido e smunto, ben lontano da quello che ricordava. Erano passati più di dieci anni dall’ultima volta in cui Blaise lo aveva scorto per caso, al Malfoy Manor. Ma quei dieci anni sembravano pesare sul volto dell’uomo, e la vecchiaia fosse stata una sfida, allora Blaise avrebbe sicuramente scommesso a favore della gravità, che incedeva agli angoli degli occhi e sulle guance, senza grazia né pietà.
La segretaria di Hockmere lo aveva fatto entrare, senza opporre resistenza, senza moine né pretesti che avrebbero potuto dissuaderlo. L’uomo, seduto alla sua scrivania, sembrava stesse aspettando qualcosa o qualcuno, ma Blaise aveva scorto un’agenda completamente candida, tra le mani della segretaria.
-Spero che le mie risposte possano soddisfarla, allora, Signor Zabini. Ma non garantisco.
La sua voce era arrochita, gracchiante, come lo sfregare di unghia su una lavagna vuota, era solo l’eco lontana della voce che un tempo Blaise aveva sentito tra i corridoi del Manor.
-Vede, il mio amico Draco Malfoy, si trova in una pessima situazione finanziaria, a causa delle nuove politiche adottate dal Ministero…
Prima che Blaise potesse concludere il discorso, l’uomo sollevò una mano grinzosa, come ad ammonirlo.
-Se sta avanzando qualche proposta, Signor Zabini, mi duole interromperla. Le dico da subito che sono impossibilitato a procedere. Inoltre, confido che Lei capisca che nessuno, in possesso delle proprie facoltà, attaccherebbe frontalmente il Ministero.- disse l’uomo, congiungendo le mani di fronte al suo strano naso.
Blaise inarcò un sopracciglio, intuendo fosse meglio tacere.
-Le deprecabili decisioni politiche del Ministero non sono un valido pretesto per poter procedere. Si tratterebbe di tenacia, intelletto e fatiche mal riposte, oltre che inconcludenti. La ragione è dei giusti, ma la giustizia è dei potenti, Signor Zabini.
Blaise si agitò leggermente sulla poltrona, preparando una risposta altrettanto tagliente, per nulla intimorito dalla dialettica dell’anziano di fronte a lui.
-Malauguratamente, il Signor Malfoy non è più né tra i giusti, né tanto meno fra i potenti. Oltretutto, si rivolge alla persona sbagliata, temo. Io non mi occupo più degli affari dei Malfoy, da tempo ormai.- concluse l’uomo.
-Sarebbe a dire? Lei non gestisce più il patrimonio dei Malfoy, nonostante la sua famiglia sia legata alla loro da secoli?- disse scettico Blaise.
Il vecchietto annuì cautamente, prima di alzarsi, non senza sforzo.
-Lucius Malfoy mi disse che potevo considerare revocato il mio incarico, fin dall’inizio della guerra. Una scelta sconsiderata, sotto molti punti di vista. E comunque sia, mi lasci dire Signor Zabini, che dubito troverà qualcuno disposto a portare una causa del genere in Wizengamot.- l’uomo con un gesto invitò Blaise ad alzarsi, poi pose una mano rattrappita sul suo braccio.
-Agli avvocati piace vincere, Signor Zabini. E vincere senza rischio, se capisce cosa intendo. Nessuno prenderebbe una causa del genere, anche se non fosse ai danni del Ministero.
Blaise sospirò sconfitto. Sapeva già che quella sua idea si sarebbe rivelata un buco nell’acqua, ma valeva la pena tentare, magari il vecchio avvocato avrebbe trovato un cavillo, una scorciatoia, quindi non era ancora disposto ad arrendersi:
-Chi ha detto di portare la causa in Wizengamot, Signor Hockmere? Non sarebbe sufficiente patteggiare? Fare ricorso, ad esempio, con il sostengo di prove che documentino l’insostenibilità dell’autosostentamento da parte di Malfoy!
L’avvocato rise profondamente, scuotendo la testa.
-Lei, Signor Zabini, avrebbe dovuto fare legge, sa?- l’uomo sorrise, stringendo la presa sul suo braccio, poi abbassò il tono della sua voce, che divenne straordinariamente sommesso quando disse:
-Perderebbe, in ogni caso. Questo stratagemma porterebbe i dipendenti del Ministero a fare delle ricerche. Significherebbe metter sotto il naso dei loro segugi ciò che di più nascosto il Signor Malfoy dovrebbe tenere.
Blaise si allontanò repentinamente, sorpreso dalla rivelazione che sarebbe seguita:
-Lucius Malfoy aveva pensato ad ogni evenienza. Il suo amico non conosce dell’esistenza del fondo per le emergenze? Fui io stesso a predisporre i documenti. Ma Lucius mi licenziò a transazione ultimata e purtroppo temo di non saperle indicare l’ubicazione di quel fondo. Vede, Lucius credeva che affidare ad un avvocato un’informazione del genere, avrebbe significato legare un vecchio amico al vincolo del Custode Segreto.- disse Hockmere, e traballando raggiunse la libreria, prendendo fra le mani una cornice di legno.
- Quando Abraxas morì, mi fece promettere di tener d’occhio quel suo figlio sconsiderato. Oh, m’aveva avvertito di quel suo carattere irascibile e della sua inespugnabilità. Era come se già avesse indovinato l’uomo che sarebbe diventato, con le scelte che avrebbero fatto le sue fortune e la sua rovina. Lucius era come un figlio, per me. Aveva innumerevoli difetti, ma la lealtà nei confronti degli amici era forse il suo unico pregio. Mi licenziò tanto come avvocato quanto come amico, tenendomi fuori dai loschi affari in cui la guerra lo avrebbe invischiato, e se posso ancora esercitare la mia professione e godere di una firma all’albo, è merito suo.- l’affetto, nella voce dell’uomo, colpì Blaise strappandogli un timido sorriso, che svanì quando una nuova possibilità di successo si affacciò alla sua mente. 
-Lei è sicuro dell’esistenza di questo fondo?
Il vecchietto ridacchiò, poi rimise nella stessa identica posizione la cornice che prima aveva stretto con affetto.
-Signor Zabini, sono vecchio, ma ho buona memoria. Io stesso posi la firma e il sigillo. Era il 5 di giugno, e come predisposto da Lucius, al compimento dei diciassette anni del figlio, il fondo venne ad esistenza. Ma non saprei dirle di più, poiché subito dopo l’apposizione della mia firma, venni prosciolto dal mio incarico legale, sono spiacente. Immagino che dovrà parlarne direttamente con il donante, ovvero il Signor Lucius Malfoy.
Blaise annuì e fece un mezzo inchino per ringraziare l’anziano avvocato.
-La ringrazio, Signor Hockmere. E mi scuso per il disturbo.
Mentre Blaise lasciava l’ampia stanza, non poté far a meno di cogliere, con la coda dell’occhio, il movimento del vecchietto, che riprendeva quella vecchia cornice fra le mani.
Fu solo quando si voltò per chiudere la porta dietro di sé, che Blaise vide il soggetti della foto.
Un giovane Hockmere, affiancato da quello che Blaise riconosceva come Abraxas Malfoy, teneva sulle ginocchia un bambino biondo che somigliava terribilmente tanto ad Abraxas quanto a Draco.
Blaise non poté far a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso amareggiato.
 
***
 
Si liberò elegantemente del mantello, abbandonandolo sullo schienale della poltrona, con non curanza. Poi si accomodò, con uno dei suoi migliori ghigni stampato sulle labbra. Immaginò che Potter, che pochi istanti prima era sobbalzato e lo aveva fronteggiato con aria indignata, si fosse ormai arreso a quei suoi ingressi ad effetto. Draco palesò il proprio abituale divertimento per l’espressione del ragazzo di fronte a lui, evidentemente indeciso tra l’infuriarsi e il lasciar correre, facendo risuonare la sua risatina velenosa. Ma nell’espressione del padrone di casa, si celava qualcos’altro. Un sorta di apprensione era acquattata negli occhi di Potter, Draco poteva indovinarla, sebbene ci fossero quelle orribili lenti a schermare lo sguardo dell’altro. Prima che Potter potesse assalirlo con domande sulla sua assenza a lezione, Draco pose le mani avanti e disse:
-Pansy mi ha incastrato oggi. Spero di non essermi perso nulla di importante.
Potter scosse la testa, arricciando le labbra, ed inspiegabilmente gli occhi di Draco si calamitarono su quel movimento, su quella delicata smorfia di disapprovazione. Dandosi mentalmente dell’idiota, distolse lo sguardo immediatamente, prima che Potter potesse rendersene conto.
-Un thé?- propose Potter, quasi rassegnato. Sì, doveva proprio aver fatto il callo a quel genere di situazione. Draco inclinò la testa di lato, fingendosi sorpreso, e come a sottolineare la cosa disse:
-Facciamo decisamente progressi, Potter! Mi raccomando…- ma non poté finire la frase, perché il ragazzo gli diede le spalle per dirigersi in cucina, borbottando:
-Sì, sì: due zollette di zucchero, molto limone. Lo so.- poi, arrivato sulla porta, si voltò e lo guardò come stizzito: -Malfoy, non sono il tuo elfo domestico. Muovi il culo e vieni a prendere il tuo maledetto thé.
-Siamo nervosi oggi, eh?- ribatté a tono Draco, alzandosi di scatto e raggiungendolo: -Dì, sarà mica che ti sono mancato a lezione?
Potter lo guardò scioccato poi, quando sulle labbra di Draco si aprì un sorriso divertito, per riflesso l’espressione dell’ex-Grifondoro si distese e imitò lo stiracchiarsi delle labbra.
-Da morire, Malfoy, guarda.
Una volta entrati in cucina, Potter cominciò ad armeggiare con la teiera, mentre Draco si sedeva al solito posto.
-Perché non sei venuto?- disse Potter, cercando di suonare casuale, ma con un riconoscibilissimo tono indagatore.
-Te l’ho detto. Pansy mi ha incastrato.
Potter gli gettò uno sguardo oltre la propria spalla, poi con un gesto della bacchetta accese un fuocherello scoppiettante e vi sistemò sopra la teiera. Aprì una credenza e ne tirò fuori le solite due tazze, i soliti due piattini e i soliti cucchiaini, poi si voltò e sistemò il tutto sul tavolo.
-Incastrato.- ripeté Potter, senza guardarlo, poi voltatosi nuovamente per recuperare lo zucchero e il succo di limone, chiese: -In che senso, esattamente?
-Ha fissato una serie di appuntamenti a mio nome. Non potevo non andare.- rispose Draco, rigirando tra le dita il cucchiaino d’argento.
Potter sembrò rizzare le orecchie, e proseguì con un’altra domanda, mentre si voltava e si sedeva di fronte a lui, in quello che era un quadretto fin troppo familiare per entrambi.
-Che genere di appuntamenti?
Draco alzò gli occhi al cielo e sbuffò annoiato. Alzò lo sguardo per fissarlo in quello di Potter, ma non lo trovò. Avrebbe giurato di averlo sentito sul proprio viso, poco prima di ricambiarlo, ma adesso Potter sembrava stesse studiando il decoro della tazza da thè.
Le domande di Potter, talmente dirette da impedirgli di non rispondere lo stavano innervosendo. Ridefinire i confini di un rapporto, a suo parere, non voleva necessariamente dire sovvertirlo. Per la prima volta, guardando Potter con le guance arrossate e lo sguardo perso nel vuoto, Draco si domandò cosa ci facesse lì. Cosa ci faceva, davvero, nella cucina di Potter?
Per la prima volta, la risposta più ovvia e immediata, tintinnò come una scusa dentro di lui, e lo fece trasalire. Andare lì era stata una sciocca idea, e se ne rendeva conto in quel momento. Cosa avrebbe mai potuto fare Potter per tirarlo fuori dai casini? E perché poi avrebbe voluto farlo? Perché erano amici. Draco chiuse gli occhi per un attimo. Amici, sul serio? Quasi non gli scappò da ridere.
Aldilà delle palpebre abbassate, i pensieri di Draco continuavano a vorticare febbrili, mentre Potter alzava il proprio sguardo sul viso del ragazzo di fronte a lui, inclinando la testa di lato e sporgendosi verso di lui.
Quando, dopo pranzo, aveva lasciato casa di Blaise, era sicuro della buona riuscita del piano, era più che persuaso dall’esattezza dell’idea che gli si era affacciata alla mente. Ma appena s’era smaterializzato e aveva fronteggiato  Potter, aveva cominciato a vacillare.
Chiedergli di intercedere per lui, con il Ministro della Magia. Avrebbe anche potuto funzionare, ma di certo avrebbe implicato troppe domande con altrettante risposte scomode.
Poi Potter aveva cominciato a porgli degli interrogativi innocui, e lui s’era già sentito messo all’angolo, schiacciato da quelle curiosità che lo soffocavano. Non aveva mai amato dover dare spiegazioni, dover rispondere alla curiosità degli altri. Lo faceva sentire in trappola, come se gli altri potessero scorgere di lui più del dovuto. Lo metteva a disagio, stare lì, di fronte a Potter, incapace di reagire e poi per un nonnulla. In definitiva aveva avuto una pessima idea, ed il suo problema rimaneva senza soluzione, e senza possibilità d’appello.
-D’accordo…non sono affari miei.- disse infine Potter, trincerando lo sguardo dietro ai decori delle porcellane. Nella sua voce Draco sentì una nota di amarezza, di risentimento. Come se Potter fosse amareggiato.
Draco aveva costruito muri per anni. Sempre più alti, sempre più spessi, sempre più invalicabili. A pochi era concesso di oltrepassarli, e mai per più di qualche istante. Ma la verità era che Draco aveva smesso di credere che, da qualche parte, potesse ancora esserci qualcuno disposto a scavalcare quelle barriere. Il bruciante dispiacere, così celato e lieve, nella voce di Potter, lo colpì inaspettatamente.
Non riusciva a immaginare un nome per quella sensazione. Ne era lusingato?
Potter che gli tendeva una mano, la stessa che anni prima gli aveva negato, proprio a lui?
No. Non si trattava di una mano. Potter stava dando tutto se stesso: si mostrava amichevole, apprezzava la sua compagnia, notava la sua assenza e si preoccupava. Perché Draco, per quanto fosse dissimulata, l’aveva percepita perfettamente quella fitta di apprensione in quella sua voce.
Premeva per avere delle risposte, ma ritirandosi subito dopo, come avesse paura che Draco potesse scappare chissà dove. Potter lo trattava come se fosse un pacco con su scritto “fragile”. Come se avesse di fronte un gatto randagio: piccoli passi, la mano tesa, ma pronto a tirarsi indietro e rimanere semplicemente a guardare, ad un minimo accenno di panico nelle iridi feline.
Se solo fosse stato capace di riprendere quella mano, di fargli capire che apprezzava tutti i suoi tentativi, di dire che ogni suo gesto era piacevolmente inatteso, di dimostrargli che era riuscito a innescare qualcosa che, Draco lo sapeva, avrebbe potuto annientarli entrambi. Se solo fosse stato onesto con se stesso, fin dall’inizio, avrebbe annusato il pericolo nell’aria e sarebbe fuggito quando ancora c’era una possibilità di salvezza. Ma era tardi adesso, o forse lo era sempre stato, fatalmente. Se fosse stato sincero, anche solo con se stesso, avrebbe ammesso che Potter era quel genere di persona da cui non si sfugge, da cui non si vuole fuggire, di cui si ha bisogno.
Una persona che travolge tutto ciò con cui viene  a contatto, che lo plasma e lo cementifica, come lava. Draco s’era tenuto sempre a distanza di sicurezza da persone così.
Non da Potter. Non quando sembrava essere ciò che la luce è per la falena. Fin da quando aveva solo undici anni, il ché suonava davvero bizzarro. 
E cosa ancora più sconcertante era l’inconsapevolezza di Potter, di ogni suo movimento, di ogni sua parola, persino del tono con cui vibravano le sue corde vocali. Draco non credeva potesse essere davvero possibile emanare quel calore, quelle emozioni, e non rendersene conto. Ogni singolo gesto di Potter riecheggiava fino a scontrarsi con le sue barriere, le faceva vacillare, si abbatteva per distruggere e il tutto senza alcuna intenzionalità.
Se solo non fosse stato così maledettamente orgoglioso, forse Draco avrebbe cominciato a credere alle parole di Blaise.
-Che sei venuto a fare, qui, Malfoy?- la voce di Potter era piatta, atona.
Draco alzò lo sguardo su di lui, sperando di incontrare il verde disarmante di quegli occhi. Non ebbe successo: Potter continuava a fissare il decoro floreale della tazza, come se fosse estraneo alla domanda appena posta, come se si sentisse di troppo.
Si sforzò di rispondere con una battutina sarcastica, di risultare fastidioso e brillante come suo solito, ma tutto quello che riuscì a dire fu:
-Non lo so.
Potter alzò lo sguardo repentinamente e subito si legò al suo, ancora una volta imbrigliandolo e travolgendolo. Draco si maledì, non tentando nemmeno di abbassare gli occhi, perché sapeva che Potter non si sarebbe mai lasciato sfuggire ciò che si celava dietro alle sue iridi. Erano di nuovo passante e randagio: l’uno di fronte all’altro. Timori e movimenti spezzati.
Draco immaginò che Potter avrebbe sbottato qualcosa tipo “non puoi piombare qui…”, o che avrebbe borbottato o magari si sarebbe lamentato della sua presenza. Quello Draco avrebbe saputo gestirlo, a quello avrebbe saputo rispondere a tono, smorzando la tensione ormai palpabile.
-Vorrei mi dicessi ciò che devi. So che c’è qualcosa.- disse allora Potter pacatamente, senza distogliere lo sguardo, e con una tenace sicurezza nel suo tono: - Se fossi venuto qui a perder tempo, non te ne staresti lì a rimuginare. Quindi parla, qualsiasi cosa sia.
Draco schiuse le labbra e gli occhi di Potter s’illuminarono per un’istante. Era bizzarro e affascinante osservare come, sorprendentemente, ad ogni suo movimento ne corrispondeva un altro, un riflesso nel volto dell’altro, senza alcuna eccezione. Si chiese come potesse un viso essere talmente espressivo, degli occhi così incisivi, delle labbra così piene. Il battito di Draco accelerò, per dispetto, quando, infine, la sua voce disse:
-Ho bisogno di te.
 
***
 
Chissà com’era inciampata, poi. Lì accovacciata sul pavimento, raccoglieva la propria roba in silenzio, in mezzo al corridoio, mentre tutti gli altri studenti scorrazzavano e scalpicciavano per non arrivare in ritardo all’ultima lezione della giornata. D’improvviso le risalì la voglia di piangere, e le tremarono le labbra. Sembrava fosse incapace di altro, e odiava se stessa anche per questo.
Odiò se stessa anche quando afferrò la mano che le si porgeva. Odiò riconoscere quel sorriso, quella sfumatura tenue e calda dello sguardo, luminoso e rassicurante. Odiò rimanere inebetita, quando la sua roba fu riposta ordinatamente nella sua borsa. E poi detestò le dita che sfioravano il suo ginocchio sbocciato, la figura accovacciata di fronte a lei, la reverenza con cui i polpastrelli vagavano sulla sua pelle, e persino quel tono confortante della voce.
Avrebbe voluto piangere, urlare, spingerlo via. Invece si rifugiò in un abbraccio e rabbrividì quando accolse nel suo orecchio un:
-Scusami, ti prego.
Poi quegli occhi tornarono dentro ai suoi e il mondo sembrò rallentare di nuovo, e lei odiò anche quello.
-Non volevo ferirti, sconvolgerti o fare qualsiasi cosa che…beh, che possa averti dato fastidio.
Odiò se stessa, e desiderò punirsi e farsi male da sé, cadere all’infinito e infierire sul ginocchio sbocciato. Odiò così intensamente il suo gesto, che l’infelicità le opprimeva il petto. Ma si sporse comunque, in punta di piedi, strinse le mani sui polsi larghi del ragazzo di fronte a lei.
Si sporse comunque e accarezzò di nuovo quelle labbra che le avevano reinsegnato a respirare.
Si odiò tremendamente, per quel secondo di felicità.
Quando corse via, sconvolta, il ragazzo mormorò qualcosa, ma lei non riuscì a sentirlo, mentre soffocava un singhiozzo.
 
***
 
Potter strabuzzò gli occhi e scosse la testa. Solo l’espressione tremendamente seria di Draco lo convinse che non si trattava di uno scherzo. 
Poi sorrise timidamente e si grattò la nuca, visibilmente in imbarazzo.
-Ehm…anch’io avrei bisogno di te, in realtà.
Draco inarcò un sopracciglio. Quella conversazione era tutto un enorme malinteso, lo era, no? Doveva esserlo. Che diavolo significava che Potter aveva bisogno di lui. Di nuovo la sua mente prese a vorticare frenetica, arrovellandosi e inviluppandosi su pensieri sempre più assurdi e lontani dalla razionalità, ma il ragazzo non aveva materialmente la possibilità di soffermarsi su ognuno di loro, perché questi continuavano ad accavallarsi, scalmanati.
Lui era riuscito ad ammettere di aver bisogno di Potter.
Potter gli aveva detto che aveva bisogno di lui.
Cosa era tutto quello? Che discussione ne stava venendo fuori?
Certo, Draco aveva ben in mente il proprio obiettivo. Ma perché usare quelle parole? Perché non aveva piuttosto detto: “devo chiederti un favore”? Che quella piccola parte di sé, sulla quale aveva deciso deliberatamente di non soffermarsi, avesse preso il sopravvento?
E che dire di Potter! Non si era neppure reso conto delle proprie parole, non poteva essere altrimenti. Di certo Potter aveva qualcosa da chiedergli, un favore magari, o una mano con pozioni guaritrici e simili. Era per forza così.
Draco cercò di tornare presente a se stesso, cestinando le parole di prima come prive di significato. Risuonava ancora però la parola “bisogno”, ed aleggiava sulle loro teste, come una dichiarazione non richiesta.
Ancora sconvolto per la piega presa da quel loro parlare pacatamente, studiandosi come prima di un match finale, ognuno sulla propria linea, Draco non si rese conto di risultare un po’ brusco quando disse:
-Devi parlare con Shacklebolt, rivoglio tutto indietro.
Potter lo guardò stranito, ma non sembrava indignato per l’imperativo o sul punto di andare su tutte le furie.
-Shacklebolt? Tutto indietro? Di che stai parlando?
Draco si alzò di scatto, sentendo l’ira traboccargli dal petto e mentre questa giungeva alle labbra, prese a camminare freneticamente, avanti e indietro, sempre evitando lo sguardo di Potter. Non era mai stato più impulsivo in vita sua, e si rese conto di quello che aveva detto, solo dopo essersi completamente esposto:
-Il Ministero. Mi ha lasciato a secco. Si sono presi tutto: la camera blindata, i mobili più antichi, l’eredità, i corredi, gli arazzi, i gioielli di mia madre…tutto. Si prenderanno il Manor. E io non ho niente. Non ho più niente. Avevamo un patto, e io lo sto rispettando.- parlava a scatti, senza prendere fiato, troppo sconvolto per ricordarsi dell’ossigeno. Dire tutto ad alta voce era diverso, tremendamente diverso. Blaise lo avrebbe interrotto, non sarebbe entrato nei dettagli, lui sapeva come ci si sentiva, cosa si passava. Avrebbe cercato una soluzione. Ma con Blaise, Draco non avrebbe mai affrontato la propria rabbia, non l’avrebbe fronteggiata, né ne avrebbe conosciuto la vera entità.
Potter in silenzio lo seguiva con lo sguardo, assorbendo le sue parole, accogliendole con un’espressione assorta.
-Mi sbatteranno fuori da casa mia a Natale. Non ho abbastanza da parte per permettermi un appartamento in affitto. Non avrei neanche il tempo di lavorare, dato che Shacklebolt mi ha incastrato con questa cazzata dell’Auror. Che non è valsa a nulla, perché… l’ho persa comunque e non mi è mai importato di ridurre quella dannata pena, se non per lei. L’ho persa…
Draco si fermò di colpo, bloccandosi in piedi, chinando il capo. Qualcosa pizzicava agli angoli degli occhi, le labbra gli tremavano, brandelli del suo cuore erano sparpagliati sul suo viso, e lo arrossavano. I capelli gli schermarono gli occhi, proteggendolo dallo sguardo tagliente di Potter, che sconvolto da quel fiume in piena, stava seduto senza proferir parola.
-Sapevo quale fosse il prezzo. Ma…quanto ancora devo pagare? Quanto ancora, perché sia abbastanza?
Non era bravo con le emozioni, non lo era mai stato. Tendeva a chiudersi tutto dentro e a dimenticare, per quanto fosse possibile, ad ignorare. Ma Potter era lì, e sembrava che la sua presenza fosse destinata a raccogliere ciò che Draco s’era lasciato indietro, troppo vigliacco per affrontarlo. Poi, proprio prima che la sua voce s’incrinasse, giurando a se stesso di non cedere, disse:
-Non è finita. Quella maledetta guerra, non è mai finita. 
Si sentì ridicolo, umiliato, bruciava di rabbia e si diceva di dover odiare Potter, perché lui era dall’altra parte, dalla loro parte, ma non ci riusciva, non in quel momento. Poi respirò profondamente, cercando di calmarsi. Che diavolo gli prendeva? 
Un paio di mani, calde, avvolgenti, ferme, sicure, si posarono sulle sue spalle. Draco non trovò la forza di alzare lo sguardo, sapeva che si sarebbe disfatto, frantumato in mille pezzi, se avesse trovato il coraggio di annegare in quel verde. Tentò di dominarsi, di far prevalere l’autocontrollo su quel fiume in piena che premeva oltre le ciglie. Non poteva permettersi di cedere così, davanti a Potter, che lo avrebbe deriso, umiliato più di quanto non fosse, che avrebbe etichettato la sua reazione come un dolore più che meritato, date le conseguenze delle sue azioni.
A dispetto di tutto, Potter, stava in silenzio di fronte a lui, tenendolo per le spalle, come a volerlo ancorare a terra. Poi parlò, ma era poco più di un sussurro:
-Non finirà mai.
Draco strinse gli occhi, ricacciando alla fonte la disperazione, deglutì rumorosamente.
-Ho creduto anch’io che fosse finita. L’ho creduto quando, come se niente fosse, abbiamo cominciato a ricostruire. L’ho creduto durante l’ultimo anno ad Hogwarts. Lo credo anche adesso, a volte. Lo credo quando vedo Ron abbracciare Hermione.- la voce di Potter era profonda ma traballante, come se stesse spargendo del sale su una vecchia ferita, che non si era mai rimarginata.
-Ma poi ci sono gli incubi. C’è il posto vuoto alla tavola dei Weasley e una lancetta che non si muove mai. Una lapide bianca, con il nome di un uomo che non sono mai riuscito a conoscere davvero. C’è un bambino che vivrà esattamente quello che ho vissuto io, desiderando di conoscere le uniche persone che gli mancheranno davvero e per sempre. C’è una camera di sopra, chiusa a chiave, e c’è lo sguardo di un uomo che muore, implorandomi di guardarlo negli occhi.- Potter tirò il fiato per un secondo, senza mai lasciare la presa sulle sue spalle.
-Allora mi dico che non è finita. Che non finirà mai. Perché nessuno ci restituirà quello che ci è stato tolto. Possiamo solo andare avanti, con quello che ci resta.
Finalmente Draco alzò lo sguardo, e lo fissò su quello di Potter, nessuna traccia del suo cedimento di poco prima, ma come se le parole fino ad allora ascoltate avessero alimentato di nuovo la sua rabbia, come benzina sul fuoco.
-E cosa ci resta, esattamente?- disse, con la rabbia a far vibrare la sua voce.
Potter lo guardò con amarezza, abbassando subito dopo lo sguardo, allentò la presa sulle sue spalle, ma non ritirò ancora le mani. C’era nel suo volto il colore della disfatta. Lui, che era il vincitore di quella guerra che era la costante della sua vita, era forse il più vinto di tutti. Aver vissuto diciassette anni solo per arrivare ad un punto, alla resa dei conti, ed essere sopravvissuti a dispetto di tutto, vedendo le persone a lui care scivolare dalle sue mani…Lui, il vincitore. Anche Potter aveva perso tutto, anche lui era stato abbandonato, usato e gettato via.
In quell’istante Draco ebbe l’impressione che Potter fosse stanco, incredibilmente stanco, come se non dormisse da secoli, o come se non avesse mai riposato in vita sua. E che fosse solo, terribilmente solo, l’unico sopravvissuto che non voleva lasciar andare i ricordi. In quel momento, si ritrovò nell’espressione di Potter. Era stato talmente lontano da se stesso, dalle sue sensazioni, da non riconoscersi nemmeno più, e da sorprendersi nel riuscire a vedersi finalmente, ma solo dentro gli occhi di un altro.
Non seppe cosa lo spinse a farlo, non voleva nemmeno chiederselo, per la verità. Voleva solo che qualcosa placasse la sua rabbia, rassicurasse lo sguardo smarrito di Potter, potesse far sembrare tutto migliore, più luminoso, voleva sciogliere quel blocco alla gola, il gelo della solitudine, il silenzio tetro del Manor.
Aveva bisogno di farlo, di incasinare un po’ di più le cose, ma con un casino buono, con qualcosa di buono, con qualcosa che finalmente era lui a decidere, a determinare…Voleva essere lui a lanciare i dadi e stare a guardare che sarebbe successo, senza temere del risultato.
Catturò tra le dita il mento di Potter, con un gesto fulmineo, inaspettato, a se stesso quanto all’altro. Per un secondo, uno soltanto, esitò. Ma prima ancora che gli occhi di Potter potessero raggiungere i suoi, e infrangere quella cieca determinazione, si sporse bruciandolo sul tempo.
Quelle labbra piene si plasmarono sotto le sue, con un’arrendevolezza inaspettata. Sembravano aspettarlo da sempre, essere state immaginate perché combaciassero con quelle sottili di Draco. Potter, occhi spalancati sul suo viso, era di pietra, ma emanava un calore febbricitante.
Il contatto fece sobbalzare entrambi, le mani di Potter strinsero nuovamente la presa sulle sue spalle, mentre Draco veniva investito dall’odore e dal calore di quella pelle. Temeva che se avesse aperto gli occhi non avrebbe retto. Sentiva il battito del cuore di Potter, e si chiese se non gli fosse arrivato proprio sulle labbra. O magari si trattava del suo, di cuore.
Non era niente di più di un abbandonare le labbra sul viso di qualcun altro, non era niente di più dell’ennesimo contatto, ma qualcosa prese Draco allo stomaco e lo rivoltò. Sfregò dolcemente la bocca su quella di Potter e infine levò l’ancora della razionalità e si disse che se aveva osato, tanto valeva osare fino in fondo. Per la prima volta ringraziò mentalmente Potter, per quella porzione di pelle calda e accogliente, per l’effetto che gli faceva, per quelle mani che invece di spingerlo lontano sembravano trattenerlo.
Quando Draco percorse il contorno del labbro inferiore con la lingua, Potter sobbalzò e, come spaventato, si ritrasse. Solo allora Draco aprì gli occhi e lo guardò dritto in faccia, senza timori, come se avesse dimenticato tutto circa il suo modo di essere, come se fosse un’altra persona, ed un altro fosse anche Potter. Draco realizzò che Potter avrebbe potuto spingerlo via, in qualsiasi momento. Non lo aveva fatto, limitandosi a tirarsi indietro, bruscamente certo. C’era un’enorme differenza, sentì una dolorosa contrazione del cuore, nel realizzarlo. Potter pareva dirgli che non avrebbe potuto spingersi oltre, e quindi tornava dietro alla barricata perché aveva…paura. Sebbene non ne sembrasse del tutto consapevole, mentre strabuzzava gli occhi e tastava le labbra con le dita, incapace di proferir parola.
Era visibilmente sconvolto, turbato persino, ed il rossore sulle sue guance non accennava a ritrarsi. Draco avrebbe potuto indovinare i suoi pensieri, solo guardandolo negli occhi, in quel momento. Potter continuava a toccarsi le labbra, a guardarsi le dita e a ritoccare il labbro inferiore. Draco stava di fronte a lui, lontano di un passo. Qualcosa gli diceva che se avesse colmato quella distanza, non sarebbe più potuto tornare indietro.
La razionalità innescò i propri ingranaggi e Draco fu ferito al ventricolo sinistro quando, brusca, irruppe la consapevolezza che… non voleva affatto tornare indietro.

 
 
Note:
Buonsalve, viandanti!
La sessione d’esame è finita. Finita. Lo so, non ci credo nemmeno io. Mi devo ancora un attimo abituare :)
Beh, lo so, vi ho snervato, per ben 20 capitoli, e vi lascio così? Eddai, mi conoscete ormai, no? Mi diverto con poco! Ahhaah
Ok, non sono nella posizione di poter infierire, dato l’enormissimo ritardo.
Ragazzi/e siete in 50 a seguire la storia, ed anche a voler essere ottimisti, le speranze di sopravvivenza sarebbero di sicuro ad disotto dello 0,0001%. Quindi vi ringrazio, faccio il bravo bambino, vi ringrazio ancora, mando un bacio enorme a chiunque abbia commentato, prometto che risponderò al più presto, metto un’aureola sulla mia testa, ringrazio le 11 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, offro boccaloni di birra a tutti, spero mi perdoniate e…
Ci vediamo alla prossima! ;)
Un bacione a tutti e grazie ancora!
 
Ps: sono molto molto incerto sul capitolo, quindi sbizzarritevi con le critiche e con i consigli, io ve lo lascio qui, altrimenti lo cambierei altre 787 volte e finirei per detestare ogni singola parola e non aggiornare, cosa che immagino non vogliate ;)
Ok, la smetto.
 
 
 
 

 
 

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Capitolo 21
*** Respira ***


XXI. Respira
 
- Dai, nonna, racconta…Com’è un bacio?
- Gioia mia, quello che so è che cerchiamo la vita. Il nostro respiro non ci basta e vogliamo il respiro di un altro. Vogliamo respirare di più, vogliamo tutto il fiato di tutta la vita. Si dice che la persona giusta respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare un respiro più grande.
 
Alessandro D’Avenia,
Cose Che Nessuno Sa.
 
Harry si passò le dita sulle labbra, tenendo gli occhi bassi. Bruciavano, i polpastrelli, la superficie screpolata della sua bocca, le sue guance, qualcosa in mezzo al petto…bruciava tutto.
La sua mente non riusciva a depositarsi su un pensiero, come un liquido in bicchiere che fosse stato mescolato con una brutale energia, tutto vorticava e si accavallava. Bruciava.
Malfoy s’era sporto e per caso era inciampato sul suo viso? Per caso, sporgendosi, aveva incastrato le labbra sulle sue. Era successo questo?
Harry cercava di respirare, cercava di annullare quella confusione infernale, concentrandosi sulle piccole cose: la prima ricevere ossigeno, la seconda tranquillizzarsi. Placare quel crepitio in fondo alla gola, attenuare il rossore delle sue guance, riuscire ad alzare lo sguardo dalle proprie dita, doveva almeno provarci. Razionalizzare, quello era il suo obiettivo. Invece restava inebetito, travolto da un’emozione che stava prendendo forma e valicando l’imbarazzo. Per quanto si fosse sfregato le labbra con le dita, sentiva ancora la forma di quelle di Malfoy, imprimersi a fuoco, senza pietà. E tutto bruciava, senza estinguersi, senza distruggere.
Era sconvolto, incapace di reagire, come si fosse riempito troppo in fretta di qualcosa di intenso, che adesso non riusciva a scacciare. Tutto era stato spazzato via da un istante, da un gesto. E nella sua testa, tra le sue corde vocali, riuscì solo a formarsi una parola:
-Perché?
Era un sussurro, poco più di un battito di ciglia, ma sfuggì da quelle labbra che ancora gli sembravano ardere come cera bollente, plasmate da un sorriso a lui sconosciuto. Quando la voce di Malfoy lo raggiunse, Harry sentì nelle proprie orecchie un battito frenetico, e gli ci volle un po’ per capire che si trattava del suo cuore.
-Sembravi averne bisogno.- disse Malfoy, senza intonazione, senza scherno, ma con una semplicità che era inusuale per entrambi.
Aveva bisogno di un bacio? Harry, se fosse stato possibile, si sentì ancora più confuso.
Mentre il thé si freddava nella porcellana scompagnata, Harry alzò lo sguardo, cercando degli occhi di vetro. Malfoy era impenetrabile, una maschera di ghiaccio, ma non c’era traccia di astio. Anche le sue guance erano tinte di rosso, ma era una sfumatura tenue, quasi impercettibile, sotto le ciglia chiare del suo sguardo schivo.
-Forse è meglio che vada.- disse dopo quello che ad Harry parve un secolo.
Stavano l’uno di fronte all’altro, divisi da una voragine di silenzio, ognuno frugando nel proprio imbarazzo, cercando una via di fuga che nessuno voleva imboccare.
-No.- disse Harry d’istinto, senza rendersene neppure conto, e forse con troppa convinzione, tanto che sobbalzò al suono della sua stessa determinazione. Malfoy, di riflesso, portò finalmente lo sguardo su di lui, trafiggendo quello di Harry.
-V-va tutto bene, credo…- disse Harry, mentre osservava, di fronte a lui, le mani di Malfoy aggrapparsi allo schienale della sedia. –Non è niente…cioè, è stato…ok.
Malfoy strabuzzò gli occhi e quando schiuse le labbra, Harry non poté far a meno di trattenere un brivido, e di risentire sulle sue, la carezza del fiato di Malfoy. No, non era per nulla ok. Era strano, era assurdo, era…
-Non so perché l’abbia fatto…Sembrava che ne avessi bisogno, voglio dire eri tipo…Lascia stare. Vado.
Malfoy fece un passo, in direzione della porta, ma non sembrava aver considerato che proprio tra se stesso e l’uscita stava Harry, a metà strada.
-Forse è così…magari, è vero, no? Ne avevo bisogno.- sussurrò Harry, abbassando lo sguardo, –Ma va bene, davvero. Facciamo finta di niente, ok? Non è stato niente, no? Cioè…nel senso, è stato un…qualcosa. Ma era un momento strano e…-
Harry s’ingarbugliò nelle proprie parole e si lasciò prendere dal panico, spostando lo sguardo per terra, fissando le mattonelle della cucina, incapace di trovare delle parole che potessero anche solo lontanamente suonare sensate.
-Potter.- lo richiamò Malfoy.
Quando Harry alzò lo sguardo, gli sembrò di dover respirare nel bel mezzo della tempesta. Malfoy era di fronte a lui, di nuovo, ad una vicinanza più che pericolosa. Si sentì come di dover gravitare verso un punto troppo vicino al viso di Malfoy e la cosa lo scioccò ancora di più. Sentì il ritmo del suo cuore cambiare di nuovo, assestarsi e prendersi una pausa, per poi contrarsi più velocemente, contro i polmoni.
-Respira…
La voce di Malfoy sembrava calda, suadente, docile persino. Harry chiuse gli occhi e la sentì riecheggiare dentro di sé, come un balsamo, capace di rassicurarlo. Doveva indagare quella situazione, quelle sensazioni, ma l’imperativo di Malfoy sembrava averlo calmato sul serio, e non aveva intenzione di sentire di nuovo dentro di sé quel calore, temeva di esserne consumato.
Sapeva di dover trovare una spiegazione a quell’intricato ingorgo che ristagnava nella sua testa, sapeva di dover svicolare e scappare dall’angusto imbuto in cui si era cacciato, ma seguire l’ordine di Malfoy sembrava molto più confortevole, più corretto.
-Adesso io andrò via, e tutto questo non sarà mai successo.
La voce di Malfoy era di nuovo senza colore, di nuovo meccanica, eccessivamente formale, razionale…sterile.
Harry aprì gli occhi, sorprendendosi a specchiarsi in quelli di Malfoy, glaciali come sempre. Nei suoi, invece, non poteva saperlo, portava lo stesso calore che minacciava di consumarlo.
C’era dentro di lui qualcosa che gli urlava di trattenerlo, di non lasciarlo andare, qualcosa che gli diceva che una volta richiusa la porta, si sarebbe infranto tutto. Harry razionalmente pensava fosse la cosa più ovvia e più giusta da fare, ma in quel momento sembrava che una parte di lui fosse tutto meno che razionale. E fu quella parte di lui a spingerlo ad aggrapparsi al polso di Malfoy, sconvolgendolo ancora una volta. Nel suo palmo parve accendersi lo stesso bruciore di prima.
Malfoy non oppose resistenza, e cercò di dissimulare il suo stupore, mentre Harry, freneticamente, cercava delle parole per fermarlo, per non farlo sgattaiolare via.
-Rimani. Non serve che tu te ne vada. Va tutto bene, davvero…- disse debolmente, poi gli lasciò il polso, senza che la sensazione di quella pelle liscia lo abbandonasse.
Malfoy contrasse le labbra ed Harry sentì come uno spasmo sulle proprie, e mentre l’espressione dell’ex-Serpeverde pareva rasserenarsi, sul petto di Harry gravava il tumulto.
Malfoy si allontanò repentinamente, come si fosse scottato, sotto lo sguardo di Harry, e con un mezzo sorriso si accomodò di nuovo al suo posto. Harry non poté far a meno di notare il lieve tremore delle sue mani, mentre prendeva la tazza di thé, e ne beveva un sorso. Dal canto suo, Harry rimase immobile, guardando i gesti calcolati dell’altro, in preda alla cieca confusione e ai dubbi che non sembravano poter essere scacciati.
Poi, come un fulmine nel cuore della notte, un pensierò squarciò la sua mente e senza riflettere, come se ne fosse ricordato solo in quel momento, disse:
-Shacklebolt…
Cosa che attirò lo sguardo di Malfoy, e colorò inevitabilmente le guance di Harry.
-Proverò a parlargli…- disse subito dopo, lievemente, e nascondendo i propri occhi, sulla punta delle proprie pantofole.
Malfoy non proferì parola, ma bevve un altro sorso di thé, trattenendo una smorfia.
-Volevo intercedessi per me, Potter…ma forse non è una buona idea.- disse infine, come parlando a se stesso.
Harry si trascinò fino al proprio posto e si sedé ai bordi della sedia, chiedendosi cosa avesse fatto cambiare idea al suo ospite. Se davvero Malfoy era venuto lì per chiedergli un favore, cosa che si addiceva poco alla persona che Harry credeva di conoscere, allora perché cambiare idea? Perché ammetterlo, persino?
Di certo non era il momento di trovare risposte a quelle domande, dal momento che continuava deliberatamente ad ignorarne altre. Harry si disse che forse sarebbe stato meglio lasciarlo andare, ma ancora, dentro di lui, rimaneva qualcosa di irrisolto, qualcosa che avrebbe perduto per sempre se non avesse costretto l’altro a rimanere.
Aveva imparato a fidarsi del proprio istinto, anche quando tutto sembrava assolutamente illogico e da incoscienti, cosa poteva esserci di diverso, in quell’occasione?
-Lo farò.- disse semplicemente e senza riflettere, ma questa volta, il suo tono risoluto, non attirò lo sguardo di Malfoy, che vagava sul fondo della tazzina.
Harry sentì una piccola fitta, quando si rese conto di aver bisogno degli occhi dell’altro, e testardamente, con l’unico fine di attrarre il ghiaccio su di sé, parlò di nuovo, raccontandosi di non sopportare quel silenzio irreale.
-C’è una cosa che devo chiederti, però…
 
***
 
Per primo arrivò il freddo, ma non fu quello a farlo rabbrividire. Era il silenzio. Il silenzio era palpabile, materiale e plastico. A Blaise sembrava di star attraversando tonnellate di sacro silenzio, come potesse nuotarci dentro. Gli sembrava di esserne invischiato e quando improvvisamente quel simulacro veniva squarciato da urla disperate, Blaise sobbalzava, tentando di mantenere un contegno di cui nessuno, a parte l’oscurità, poteva essere spettatore.
L’odore di muffa, di chiuso e di legno fradicio gli aggrediva le narici, mentre i sensi sembravano farsi sempre più ovattati.
-Il Resort a cinque stelle, qui, ammette le visite fino alle 19.30. L’ora della cena.- disse la voce profonda di fronte a lui.
Il carceriere, ricurvo su se stesso, si concesse una risata grottesca, guadagnandosi lo sdegno di Blaise.
I corridoi umidi di Azkaban sembravano ingoiare quella figura deforme, eletta a suo accompagnatore, mentre persino alla luce mancava il coraggio di illuminare i loro passi.
-Ragazzo, che cella hai detto di voler visitare?
A quanto pareva quel magonò aveva proprio voglia di chiacchierare con lui, pensò Blaise, alzando gli occhi al cielo.
-La sette zero nove. Lucius Malfoy.
La risata, immotivata che ne seguì, gli sembrò ancora più sguaiata della precedente.
-Oh, sette zero nove. Bel tipetto, quello lì. Simpatico davvero.- disse il carceriere, con quella sua voce che era quanto di più simile ad un grugnito.
Un altro urlo profondo squarciò l’aria stagnante, ed a Blaise parve di sentirlo vibrare direttamente fino al suo stomaco. Era una sensazione ripugnante e angosciante insieme.
Quando infine il carceriere si fermò e con un maldestro inchino di scherno gli fece segno di passare, Blaise si trovò di fronte ad una porta scrostata, il cui legno sembrava essersi gonfiato d’acqua. Il carceriere fece scorrere un pannello sulla porta, con la sua mano maleodorante e colma di bozzi e poi disse solenne:
-A voi, signore…cella sette zero nove. Godetevi la compagnia!
Poi sgusciò via, zoppicando, e avanzando al buio, come conoscesse a memoria quei luoghi viscidi e inquietanti. Blaise con un colpo di bacchetta fece levitare la lanterna prima soffocata dalle rivoltanti mani del carceriere, e con una smorfia disgustata si avvicinò alla fessura nella porta.
La cella era mal illuminata da una piccola feritoia in alto, che lasciava trapelare un fascio di luce fredda e metallica. Non si riusciva a scorgere neppure un angolo del cielo grigio di novembre. In un angolo della cella Blaise poté indovinare il chiarore dei capelli dell’uomo, rincantucciato lì dentro a scontare la propria prigionia.
A Blaise si strinse il cuore nel vedere un ammasso di stracci, poco più di un cencio, avvolto su se stesso: Lucius Malfoy, le ginocchia strette al petto, gli dava le spalle.
-Signor Malfoy?- tentennò Blaise. L’uomo non si mosse di un millimetro, come se non potesse essere raggiunto, lì nella sicurezza fangosa della propria cella.
Blaise si fece coraggio e lottando contro il disgusto si avvicinò ancora un po’ alla porta lurida:
-Signor Malfoy, sono Blaise. Blaise Zabini…- disse ancora, alzando il tono della propria voce, e mascherando tutte le sensazioni, cercando di risultare il più neutro possibile.
Una risata roca, agghiacciante, scosse quel corpo fragile e scarno, che addossandosi alla parete, si trascinò in piedi.
Il volto di Lucius era una maschera di cera, magro e insultato da una barba incolta. Niente era rimasto dell’uomo che Blaise aveva conosciuto, ed un tempo stimato. Gli occhi erano privi di qualsiasi espressione, vuoti e vacui, sembravano trapassare quelli di profondi di Blaise, che venivano fuori dalla fessura della porta, come se non lo vedessero nemmeno. L’uomo fece un passo tremante, verso l’apertura della cella, ma non sembrava avere la forza di avvicinarsi ancora.
Blaise deglutì rumorosamente, prima di riuscire a parlare di nuovo.
-Signor Malfoy. Ho bisogno di un’informazione molto importante. Si tratta di Draco.
Improvvisamente gli sembrò di scorgere un luccichio inconsistente in quello sguardo glaciale, così simile a quello del suo migliore amico, eppure profondamente diverso, martoriato, sfinito.
Ancora Lucius non parlò, ma fece una risatina sommessa, tagliente e inespressiva, troppo simile a quella di chi avesse perso la ragione.
Blaise si aspettava una reazione simile, sapeva cosa si celava tra le mura di Azkaban, tutti ne avevano sentito parlare, e nessuno aveva mai creduto alle dichiarazioni del ministero. I Dissenatori, per quanto non fossero palesemente visibili, continuavano ad aleggiare tra le celle, ingozzandosi di quei pochi ricordi felici rimasti ai carcerati. Blaise pensò che dovessero aver divorato qualsiasi umanità dal corpo di Lucius. Non poteva essere altrimenti. Draco non era mai andato a trovarlo. E adesso Blaise si spiegava il perché.
Solo che non c’era altra scelta: poteva garantire al suo migliore amico un minimo di stabilità, e poteva farlo solo in quel modo, non c’erano scorciatoie. Parlarne direttamente con Draco, Blaise l’aveva escluso a priori, mentre gli era sembrato un buon compromesso recarsi ad Azkaban di persona. Sebbene, in quel momento, s’insinuasse in lui la certezza di aver fatto l’ennesimo buco nell’acqua.
-Signor Malfoy…il fondo delle emergenze. Ho bisogno di sapere dove si trova.- tentò Blaise, abbandonando qualsiasi speranza.
Lucius si aggrappò con tutte le proprie forze al muro scivoloso alla sua sinistra, abbassò il capo, facendo un verso profondo e sofferente. Poi, in un improvviso attimo di lucidità, alzò di scatto il volto, fissando il proprio sguardo in quello di Blaise. Sembrò mancargli la forza, però, come se quell’istante di sanità mentale avesse potuto compromettere l’intero organismo, e le ginocchia cedettero, mentre bisbigliava:
-Non devono trovarlo, Blaise. Non devono. Nello studio. Draco deve cercare…nello studio.
Poi Lucius crollò, rincantucciandosi di nuovo sul sudicio pavimento polveroso, incavando la testa tra le spalle, scosso dai singulti. Blaise serrò la mascella, sentendosi impotente e sperando che l’uomo non scoppiasse in lacrime, lì di fronte a lui. Non avrebbe retto, a sovrapporre quest’immagine ai ricordi gloriosi del Lucius che conosceva, a quel cipiglio fiero.
Proprio mentre si allontanava, incapace di sopportare oltre quella visione, una risata sommessa, come lo stridere di catene, come lo strappo della carne, si liberò da quelle ossa, ancora tenute insieme dalla pazzia.
Lucius Malfoy, avvolto su se stesso, rideva, in preda ad un’ilarità inquietante e sofferente insieme.
Blaise desiderò soltanto allontanarsi il più possibile da lì.
 
***
 
Le sue mani non volevano saperne di smettere di tremare, mentre senza scopo né meta vagavano sui vecchi volumi polverosi della biblioteca.
Non c’era quasi nessuno a quell’ora del pomeriggio, Ginny lo sapeva bene, e un po’ per evitare qualsiasi altra compagnia molesta, un po’ per riordinare i propri pensieri, s’era rintanata lì. Come una ladra che aveva bisogno di nascondere la refurtiva. Una refurtiva ingombrante e preziosa: luccicava sulle sue guance, in fondo al suo cuore e le mozzava il respiro.
Prese un libro qualsiasi, pregando che poggiandolo sul leggio, su una pagina qualsiasi quello sarebbe riuscito ad allontanarla dai suoi pensieri. Ma poteva solo fingere di conoscersi. Sapeva che non sarebbe valso a nulla. Si abbandonò su una sedia scricchiolante, passando le mani sugli occhi, ad asciugare le lacrime, ad attenuare il tremore.
Si comportava come una bambina, e non poteva far a meno di detestarsi anche per quello.
Non era mai stata debole. Era una persona concreta, determinata, che sapeva quello che voleva e riusciva sempre ad ottenerlo. Era stato così per il suo ruolo nella squadra di Grifondoro, era stata più stabile e decisa dei suoi numerosi fratelli durante la guerra, aveva sempre consolato le lacrime altrui, e non aveva mai vacillato. Aveva ottenuto l’attenzione e poi l’amore di Harry. Si era dedicata alla cura di quel loro rapporto con costanza, fiducia, ostinazione. Ma era bastata la distanza a mettere in discussione tutto, erano bastate un paio di labbra, un modo di fare inconsueto, per farla crollare.
Non era da lei.
Forse, si disse, era perché, per una volta, era stata richiesta, e non aveva dovuto richiedere nulla. Per una volta era stata conquistata e non aveva dovuto conquistare. Per la prima volta s’era sentita davvero una donna, non un’amica, non una confidente, non una sorella. Doveva essere così.
Robert l’aveva sconvolta, perché era riuscito a prenderla in contropiede, perché l’aveva sorpresa. Ginny era convinta che si dovesse solo lottare, che si dovesse essere dei combattenti, per meritare la felicità. Adesso, invece, non ne era più sicura. Non si doveva combattere e vincere, per essere felici, quanto piuttosto bisognava essere vinti da quell’emozione che le aveva sopraffatto il cuore, facendo traballare tutto, fino alla punta delle sue dita.
-Ginny?
La voce di Neville le giunse ovattata, lontana chilometri, come proveniente da un mondo che lei aveva abbandonato.
-Ginny? Va tutto bene?
La ragazza si sfregò gli occhi scuri, annuendo vigorosamente:
-Sì, Nev. Dev’essere tutta questa polvere…mi bruciano gli occhi.
Una mano le si poggiò dolcemente sulla spalla, e quel contatto sembrò  bastarle per sentirsi un po’ meglio.
-Oh, la polvere…roba antipatica. Posso esserti d’aiuto?
Ginny finalmente guardò l’amico, con gli occhi pieni di lacrime e si alzò di scatto, abbracciando Neville, smettendo di mentire a se stessa ed agli altri, abbattendo i muri che aveva alzato, per essere irraggiungibile ed impenetrabile.
-Ho fatto una cosa orribile, Neville. Orribile.- disse soffocando i singhiozzi sul petto di Neville.
Il ragazzo ricambiò l’abbraccio goffamente, visibilmente a disagio, battendo dolcemente una mano fra le scapole della ragazza, scosse dai singhiozzi.
-Via Ginny…non faresti mai niente di così orribile. Io ti conosco…
Ginny cominciò a piangere copiosamente, senza più curarsi di trattenersi, poi con voce rotta disse:
-Ho tradito Harry. L’ho dimenticato. Ho tradito la sua fiducia. Il nostro rapporto. Come ho potuto, Neville? Come posso aver detto di amarlo e poi fare una cosa così orribile…così meschina? Come potrò guardarlo negli occhi?
Neville la cullò delicatamente, cercando di tranquillizzarla, poi le mise le mani sulle spalle minute, allontanandola da sé quel tanto che bastava per guardarla negli occhi:
-Ssssh, Gin. Va tutto bene. Shhh, calmati.- bisbigliò il ragazzo.
Lasciò che la ragazza si sfogasse ancora, che piangesse liberamente, immaginando quanto avesse trattenuto le lacrime, durante la lunga giornata.
-Ginny, tu pensi che Harry ti ami? E tu, Gin, lo ami?- chiese candidamente dopo un poco.
Ginny lo guardò negli occhi, prima che le lacrime continuassero a scorrere inclementi, sulle sue efelidi.
-I-io…n-non lo so più, Neville. Merlino è…orribile, vero? Non saper rispondere a questa domanda. M-ma non lo so…
Neville le asciugò le lacrime, con fare fraterno, prima di dire, con una sicurezza a lui estranea:
-Sai cosa mi diceva sempre mia nonna, Ginny?- fece una pausa, carezzandole una guancia:
-Diceva che nel momento stesso in cui ti soffermi a pensare se ami o no qualcuno, beh…vuol dire che la risposta, la conosci già.
A Ginny si fermò il cuore, sentite quelle parole, e trovata la risposta che cercava.
 
***
 
Il rumore dei suoi passi sembrava essere l’unico suono rassicurante a fargli compagnia, intermezzato da urla che di umane avevano ben poco. Ogni passo, in quei lerci corridoi che sapevano di muffa, gli sembrava già un peso in meno, un respiro d’aria un po’ più pura. E mentre in silenzio, con la lanterna ben stretta in una mano, ripercorreva a ritroso il cammino già compiuto, Blaise non poté che maledire quel losco carceriere, che lo aveva abbandonato di fronte alla cella di Lucius, e che non s’era nemmeno preoccupato di indicargli la strada per trovare l’uscita.
Azkaban era un labirinto di tormento, ben lontano dalla prigione d’oro e d’etica dipinta dal Ministero. Ad ogni corridoio, Blaise scorgeva porte blindate, dietro le quali si celavano ombre, parvenze di uomini che una volta aveva conosciuto. Ringraziò l’Auror che aveva spezzato la vita di suo padre, con referenza. Molto meglio morire in battaglia, che scontare una pena tanto impietosa.
E sebbene di Dissennatori non ci fosse l’ombra, Blaise sentiva un freddo pungente stringergli il cuore e un profondo sconforto artigliarlo senza possibilità di scampo.
Imboccò l’ennesimo corridoio e subito notò che l’aria era meno rarefatta, più leggera, quasi respirabile. Le celle, lì erano meno numerose, e pareva esserci più luce, ma quando vide le pareti, composte da grate arrugginite, capì di trovarsi in una sezione particolare.
La maggior parte delle celle, delimitate dalle grate, erano vuote e pulite. Aveva sentito parlare di quella sezione, dove tanti suoi amici avevano rischiato di scontare il resto dei loro giorni, in primis lui e Draco.
Si trattava della zona per i reati minori, che minori non erano affatto, se non per l’età dei condannati. Lì i Dissennatori erano liberi di andare e venire, senza sforzo potevano varcare l’uscio delle celle, al contrario delle stanzette di isolamento, tre corridoi più giù. Stanzette anguste e buie, come quella in cui era rinchiuso Lucius. Fu per caso che spinse verso una cella, la meno illuminata, una delle più cupe, forse anche peggiore di quella appena vista da Blaise, la sette zero nove pareva risplendere a confronto.
Si avvicinò cautamente, cercando di non far rumore, ma non passò di certo inosservato.
-Blaise, quale onore.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. La conosceva da quando erano bambini, l’aveva sentita cambiare, da squillante a profonda e dura. L’aveva sentita crescere insieme alla propria, fare progetti per il futuro, dare consigli opportuni e sempre corretti, difendere la persona che diceva di aver amato, giurare vendetta e urlare la maledizione che uccide. Non avrebbe mai potuto dimenticare quella voce, quella notte, né ciò che ne era seguito. Chiudendo una mano sulla grata gelida, sussurrò:
-Theodore…
 
***


Draco sentiva l’impellente bisogno di scappare, di riempire un bicchiere di Incendiario e di bere finché le stanze del Manor non avessero cominciato a vorticare sotto al suo sguardo. Il candore di Potter lo disarmava, e non poteva che innescare tutta una serie di rimpianti e di maledizioni verso se stesso. Non riusciva davvero a giustificare il proprio gesto, e voleva semplicemente andare via da lì, sfuggire allo sguardo di Potter che sembrava reclamare la sua attenzione. Se fosse rimasto un minuto di più, Draco lo sapeva, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
Era certo che Potter non si rendesse conto delle sue azioni, non poteva essere altrimenti. Aveva preso a sporgere le labbra, ad avvicinare le mani, come se inconsciamente stesse palesando il suo bisogno di essere toccato, il suo bisogno di stabilire l’ennesimo contatto. E anche tra le sue parole, Draco, poteva scorgere un’urgenza inaspettata. Lo aveva trattenuto lì, sbarrandogli la strada, impedendogli di scappare e costringendolo ad affrontare l’accaduto. Mentre lui, inafferrabile come l’acqua, voleva scorrere via e dimenticare quell’improvvisa audacia che lo aveva portato a baciare il suo nemico di sempre.
Come gli fosse saltato in mente, poi era un mistero. Qualcosa sembrava averlo misteriosamente spinto sul volto dell’altro, qualcosa che aveva ben poco a che fare con la pietà. Non poteva prendersi in giro. Lo aveva voluto, lo aveva cercato, quella era la verità, per quanto potesse essere scomoda o dolorosa.
Quando Potter avvicinò la mano, per stringere le sue dita, Draco si ritrasse velocemente, come scottato.
-Malfoy, insomma! Mi stai ascoltando?- sbottò spazientito il ragazzo di fronte a lui.
Si comportava come nulla fosse, usava il suo solito tono, ma Draco, oltre le lenti che gli schermavano gli occhi, poteva vederlo sussultare, fremere persino. E ne era atterrito, stupefatto e compiaciuto persino. La confusione si stagliava nella sua mente sempre più compatta e meschina.
Non era un mistero la sua preferenza per il proprio stesso sesso, ma non avrebbe mai e poi mai provato attrazione per una persona come Potter…o sì? D’altronde tutto sembrava dire il contrario, e non poteva negare, nemmeno razionalmente, di aver apprezzato quel bacio infantile. Mai avrebbe dato la soddisfazione a Blaise, di aver ragione, neppure se si trattava di ammettere la sconfitta solo nella sua testa.
Eppure, anche quel innocuo gesto delle dita di Potter, lo aveva scosso terribilmente. C’era una familiarità, quasi un’allarmante quotidianità, in quel suo modo di fare, che spiazzava Draco.
-Un libro, Potter?- disse meccanicamente.
-Un libro, esatto. Hermione l’ha trovato per caso e…Ron dice di aver sentito qualcosa di strano, quando l’ha toccato. Insomma, a sfogliarlo sembrerebbe assolutamente vuoto ma…io ci ho scritto sopra e poi…era bagnato.
Draco si sforzò di concentrarsi, allontanando la mano dal tavolo, di modo che l’altro non potesse raggiungerla.
-Un libro bianco? E tu ci hai scritto sopra? Potter, ti hanno mai detto che in una casa di maghi si suppone che vi siano oggetti magici?- sbottò infastidito.
Potter ritirò le braccia al petto e fece un broncio inconsapevolmente buffo.
-Lo so che è un oggetto incantato, tante grazie, Malfoy.- disse sbuffando
-Allora perché diavolo ci hai scritto sopra?! Avresti potuto comprometterlo!- rimbeccò Draco, inarcando un sopracciglio.
-Volevo saperne di più…per esperienza, so che un libro vuoto non è una cosa perfettamente normale!
Draco alzò gli occhi al cielo e disse:
-Da quando qualsiasi cosa che ti riguardi può anche solo sembrare “perfettamente normale”?
Potter lo fissò come risentito da quelle parole, e schiuse le labbra come per rispondergli a tono, ma poi le sigillò, in una piega adirata. Draco alzò le spalle, ignaro di aver punto sul vivo l’altro e poi disse:
-Vorrei darci un’occhiata.
Potter si alzò e guardandolo di traverso gli fece cenno di seguirlo nell’altra stanza, e precedendolo, lasciò la cucina.
Prima di chiudersi la porta alle spalle, Draco si passò una mano sul viso, stancamente. Quella situazione era quanto di più improbabile si fosse aspettato.
La realtà di ciò che era successo nella stanza dietro di lui, gli piombò addosso scatenando in lui il panico. Stare accanto a Potter lo portava a comportarsi in maniera del tutto sconsiderata, cosa che non doveva assolutamente permettersi. Cercò di tenersi presente a se stesso, quando raggiunse l’altro e lo fronteggiò, per l’ennesima volta. Senza una parola, Potter gli porse il famoso libro, e nel prenderlo, Draco sfiorò le sue dita. Non poté far a meno di sobbalzare, quasi spaventato, dal calore dei polpastrelli tesi di fronte a lui, ma cercò di dissimulare, concentrandosi sul volume misterioso.
Sfogliò le pagine meticolosamente, ma non vi scorse nulla, poi sentì qualcosa di intenso, di vibrante. Una sensazione di benessere gli invase i palmi, ma c’era anche qualcosa di pungente, di doloroso. Per un attimo gli sembrò di respirare con i polmoni di qualcun altro, gli sembrò che il cuore gli si fosse raggrinzito nel petto, e che quel libro lo stesse risucchiando verso un baratro profondo. Sentì sulla lingua un sapore dolceamaro, e poi sulle dita che stringevano il bordo di una pagina percepì qualcosa di umido e di bollente. Di scattò, terrorizzato, richiuse il libro e lo poggiò con forza contro la superficie del tavolo, facendo due passi indietro.
Non s’era reso conto di aver il fiatone. Qualcosa non andava.
Potter, dietro di lui, poggiò una mano sulla spalla, come a sorreggerlo, e Draco finalmente riprese a respirare normalmente. Poi la vista gli si annebbiò, e fu occupata da un bagliore intenso, bruciante. Gli sembrò di svenire, di cadere all’indietro, risucchiato ancora una volta dalla stessa voragine di poco prima, ma non aveva paura adesso, si sentiva come estraniato da se stesso, era una sensazione pacifica, mollemente docile.
-Malfoy!
La voce di Potter era vicinissima, la sentiva sul proprio orecchio, nel chiamarlo, con quella suo tono allarmato, inavvertitamente, sfiorò il lobo del suo orecchio con le labbra…Draco rabbrividì. Poi sentì una mano forte e vigorosa stringergli un fianco, sorreggerlo, ed il battito di un cuore contro la sua scapola sinistra.
Chiuse gli occhi per un istante, poi, quando li riaprì, si rese conto di aver abbandonato il proprio corpo contro quello di Potter. Era stato travolto dalla magia contenuta in quel libro e ne era ancora sconvolto. Potter continuava a cingergli il fianco, per impedirgli di cadere, e a Draco sembrò che tutte le proprie forze, persino quelle che gli urlavano di scappare via dalla morsa di Potter, fossero state prosciugate.
Quando infine parlò, disse tremante:
-Quello non è un libro.
Potter gli mise una mano sulla schiena, per aiutarlo a rimettersi in sesto e a raddrizzarsi. Poi Draco si voltò e guardando l’altro negli occhi, umettandosi le labbra secche disse:
-Quella è la vita di qualcuno. È un diario, Potter.
 

Note:
Buonsalve, viandanti!
Io non ho parole.
Per le bellissime recensioni, alle quali risponderò al più presto.
Per l’affetto che riponete in questa storia, che molto spesso è silenzioso.
Per la vostra pazienza, che deve assolutamente essere premiata.
E soprattutto per la fiducia che avete nei miei confronti.
Io non mi merito tutto questo, davvero. Non mi merito Ale, più di tutto. Lei sa perché, ed io sto ancora cercando di capire come io possa essere inciampato in una persona così meravigliosa. Non posso neanche ringraziarla, perché mi beccherei una ramanzina che nemmeno Remus se la sognerebbe.
Insomma, spero di non avervi deluso, con questo capitolo 21.
Il prossimo, miei prodi, non arriverà presto, devo far ammenda…tra qualche giorno parto, poi ci sarà il mio detestabilissimo compleanno, e sarà un periodo di grande fermento tra application per la specialistica e tesi di laurea in corso. Ma non vi abbandonerò, promesso, e vi giuro che il 22 sarà degno di nota :D Ne vedrete delle belle, quindi:
Stay Tuned! ;) 

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Capitolo 22
*** Whiskey ***


XXII Whiskey.
 
 
 
“Bevo a una casa distrutta,
Alla mia vita sciagurata,
A solitudini vissute in due
E bevo anche a te:
All'inganno di labbra che tradirono,
Al morto gelo dei tuoi occhi,
Ad un mondo crudele e rozzo,
Ad un Dio che non ci ha salvato.”
 
Ultimo brindisi,
Anna Achmatova.
 
 
L’incedere insistente dei passi, con quel rumore cupo e profondo, accanto a lui sembrava ricordargli che non era da solo, sebbene l’oscurità gli impedisse la vista. Il silenzio intorno a lui era violato solo da quel costante e ritmico andare. Camminava nel buio, forse per quella ragione non aveva alcuna ombra di dubbio sulla direzione. Gli pareva come di aver già percorso quel sentiero, di aver già sentito lo scricchiolio delle foglie sotto le suole, di esser già rabbrividito al suono ovattato del vento, leggero come un sibilo. Un sibilo che portava con sé la memoria di un imperativo, un ordine inflessibile e spoglio di alcuna umanità. Non vedeva nulla ma sapeva dove era diretto. E quando, sul ciglio della foresta, dove finalmente la luna poteva illuminare una strada, vide la piccola casa in legno, il bianco dello steccato gli ferì lo sguardo. Una mano si poggiò sul suo braccio, e gli sembrò di conoscere da sempre quella sensazione: quella morsa alla bocca dello stomaco, quell’urgenza di voltarsi e tornare indietro che si mescolava al dovere, all’amarezza. Lì sulla strada, sentì ancora una volta di non aver via d’uscita, di non poter tracciare un percorso differente.
Abbandonò la coscienza sfiorando il porta ombrelli all’ingresso, spingendo la pesante porta e calpestando un ‘Benvenuto’ mai stato più inopportuno.
La casa era immersa nella penombra greve dei raggi lunari, e quando finalmente ci fu luce, un odore acre e pungente si impossessò delle sue narici. Il crepitio disperato ed il calore lo spinsero ad inoltrarsi lungo lo stretto corridoio, per imboccare le scale e salire al piano di sopra. Qualcuno gli dava le spalle adesso, e poteva sentire urlare, ma non coglieva alcuna parola. Solo fiamme, dalla sua bacchetta. Quella era l’unica cosa che distingueva chiaramente, ma era come se l’incantesimo fosse stato scagliato da qualcun altro, come se lui si trovasse altrove, estraniato da se stesso. Continuava a camminare, meccanicamente e freneticamente, sbattendo le porte, rovesciando mobili, increspando il bordo naturale delle cose con cui entrava in contatto, rovinandole per sempre. Contaminava ciò che entrava in contatto col suo tocco. L’aria era satura di cenere e di fumo, acre ed urticante, gli mancava il respiro. Di lì a poco l’incendio avrebbe profanato quella che doveva essere stata una piccola oasi felice. Qualcosa attirò la sua attenzione, all’interno di una delle camere in fondo al corridoio. Tra le fiamme, un paio di occhi, colmi di lacrime e un lamento acuto, come una nenia disperata. Le manine tremanti si tendevano verso la porta, un grido d’aiuto di una piccola creaturina ancora incapace di articolare alcuna parola. Per un attimo, uno soltanto, esitò. Bastava tendere la propria mano e raccogliere quella del bambino che sembrava implorarlo, bastava tener salda la presa sul proprio cuore e decidere di rischiare.
 
-Dobbiamo andarcene …
 
Quella voce, lo raggiunse, glaciale e tagliente, a dispetto delle fiamme che cercavano di artigliargli la pelle.
-C’è un bambino.
Dubitò di aver realmente articolato a voce alta quel pensiero. Quello sguardo annegato fra le lacrime continuava a richiamare la sua attenzione, luccicando speranzoso, implorando pietà. Chiuse gli occhi, combattuto, sul ciglio della porta, ad un passo dalle fiamme. Da quelle manine pallide. Prima ancora di poter compiere una scelta, di poter razionalizzare sulle possibili conseguenze, si sentì trascinare indietro, di nuovo sulla strada.
Quando ebbe il coraggio di guardare, l’unica cosa che vide fu un’esplosione, e in quell’esplosione gli occhi del neonato che non aveva avuto il coraggio di salvare.
 
Si svegliò di soprassalto, ritrovandosi seduto sulle lenzuola aggrovigliate, ansimando, con il terrore cieco di chiudere gli occhi e rivedere quelli della piccola vittima che aveva condannato a morte. Cercò di calmarsi, di regolare il respiro, artigliando le coperte.
-Era solo un incubo. Il solito incubo. Non è niente. Adesso passa. Passa sempre…Passa.- si disse con voce flebile, guardando con orrore le proprie mani davanti a sé, che non accennavano a smettere di tremare.
Quando ebbe il coraggio di chiudere gli occhi, indovinò attraverso le palpebre chiuse, i colori rosati dell’alba che stava arrivando.
No, non sarebbe passato.
 
***
 
-Oh ma insomma! Un attimo, no? Sto arrivando!
La voce irritata di Harry, dalle scale, non era minimamente paragonabile al suo malumore quando, aprendo la porta, si ritrovò di fronte al motivo di tutto quel frastuono mattutino. Era da quindici minuti buoni che la mano di qualcuno stava incollata al campanello di casa sua, e quello non era esattamente il genere di risveglio che Harry amava. Niente, in confronto al sorriso imbarazzato che gli stava davanti.
-Ehm…b-buongiorno. Scusa, è molto presto, e magari stavi dormendo ma…
Ron, visibilmente a disagio, lo guardava come fosse un raro animale, incapace di continuare a proferir parola. 
-Sì, stavo dormendo e sì, mi hai svegliato e…sì, entra- disse Harry stancamente, passandosi una mano tra i capelli. Poi si scostò dalla porta e fece per andare verso la cucina, ma Ron richiamò nuovamente la sua attenzione:
-Credo che…insomma, magari…Sai, non sono solo e…- il ragazzo deglutì a vuoto quando Harry, voltatosi verso di lui, lo guardò con un sopracciglio inarcato ed un’aria interrogativa.
-B-beh, sei in mutande, amico…Non credo sia il caso…Magari…Ecco, noi entriamo e mettiamo su l’acqua per il thé, tu puoi magari…vestirti? Nel senso…Miseriaccia!- disse Ron in un fiume sconnesso di balbettii imbarazzati, per poi bloccarsi e guardare oltre la sua spalla dicendo: -Te lo avevo detto che non sono bravo con queste cose!
Harry lo guardò sempre più perplesso, finché da dietro Ron, Hermione non fece capolino, tenendo gli occhi bassi.
-Oh…- fu tutto quello che Harry fu in grado di dire.
-Scusaci se siamo qui a quest’ora…ma sai, sono di turno al mattino questa settimana e non volevo rimandare oltre. Ti spiace se entriamo? 
Harry annuì di riflesso e inebetito da quella situazione del tutto inaspettata, fece un passo indietro. Sapeva quanto Hermione fosse orgogliosa, per cui non avrebbe mai preso in considerazione l’idea che potesse essere proprio lei a buttarlo giù dal letto per chiarire la discussione avuta la sera di Halloween. Perché era sicuro fosse quello il motivo della visita dei suoi migliori amici, non poteva essere altrimenti eppure, nonostante l’ovvietà dei fatti, Harry non riusciva a credere che proprio Hermione potesse fare il primo passo. Sapeva che avrebbero chiarito, che si trattava solo di un paio di giorni, ma aveva inconsciamente immaginato che fosse Ron a far da tramite, per sistemare le cose e far in modo che i due amici si riappacificassero. Lo aveva dato quasi per scontato.
Mentre infilava una maglietta raccattata a caso dall’armadio, Harry si chiese il perché di quella formalità nel tono dei suoi due migliori amici, considerando strana anche la richiesta di Ron. Doveva essere il suo sesto senso, ma c’era qualcosa che non quadrava, qualcosa di diverso. Scese in fretta le scale, dopo essersi vestito, e raggiunta la cucina si bloccò sullo stipite della porta, sorprendendosi ad osservare i suoi amici indaffarati con la teiera. Fu allora che notò la mano di Ron sul fianco di Hermione e gli sfuggì un sorriso soddisfatto.
-Ehi…- disse semplicemente, attirando l’attenzione.
Ron lo guardò, sorridendo, sempre con un’ombra di disagio ed incertezza, ed Hermione volle finalmente alzare lo sguardo, rivelando inconsapevolmente quanto le fosse mancato Harry. C’era ancora dell’imbarazzo, palpabile: loro due in cucina, che armeggiavano con tazze e acqua bollente, e lui sulla soglia, a guardarli da lontano, ma non troppo. Così Harry decise di rompere il ghiaccio:
-Herm, credo che Ron cerchi di avvelenarci…O ha un modo alternativo di zuccherare il thé. Per me niente pepe, grazie, amico!
Ron portò l’attenzione sulla propria mano, che maldestramente stringeva il piccolo contenitore del pepe, e riguardando Harry, scoppiò a ridere, contagiando tutti. Poi, senza troppe parole o spiegazioni, semplicemente e spontaneamente, tutti e tre si ritrovarono a condividere lo stesso sorriso divertito. Come se nulla fosse mai successo.
 
***
 
Il ghiaccio tintinnava nel bicchiere, mentre le dita affusolate ne stringevano la superficie levigata e trasparente, e la mano, con movimenti assorti, faceva vorticare docilmente il contenuto.
-Incendiario alle nove del mattino?
La domanda di Blaise gli giunse come ovattata, distante.
Draco alzò lo sguardo davanti a sé, sfoderando il migliore dei suoi ghigni.
-Incendiario alle nove del mattino.- rispose lapidario.
Blaise si accomodò sulla poltrona in pelle, poco lontano da lui, e lo squadrò, dissimulando quella nota di preoccupazione che per un attimo era sfuggita dai suoi occhi scuri.
-Immagino tu abbia già stabilito la data del trasloco.- disse cautamente l’apprendista medimago, -Il Ministero ha prorogato il pignoramento e l’offerta pubblica fino alla fine di novembre, no? Dovresti cominciare a predisporre tutte le faccende…Sai, far le valigie ad esempio. Con un po’ di fortuna riusciremmo a sbrigare il tutto in un paio di giorni al massimo e…-
D’improvviso si interruppe bruscamente, rendendosi conto che Draco non lo stava minimamente ascoltando. Blaise odiava dover riportargli alla mente la realtà dei fatti, odiava dover fare la parte dell’amico coscienzioso e sempre controllato, ma sapeva che era sempre stato l’unico a poter esercitare quel ruolo, a tener Draco ancorato alla realtà. Adesso non era più tanto sicuro. Solitamente Draco liquidava il discorso, lasciandogli intendere che avrebbe riflettuto sulla questione, o al massimo si lasciava sfuggire qualche frase rancorosa e sarcastica. Adesso sembrava non considerarlo nemmeno, come se Blaise non fosse lì, al suo fianco.
-Cosa c’è che non va?- disse, dopo un profondo sospiro, passandosi una mano sul viso.
Draco lo guardò negli occhi, come se fosse trasparente, cercando qualcosa attraverso lo sguardo del suo migliore amico. Blaise si sporse e gentilmente sfilò il bicchiere dalla mano dell’amico, abbandonandolo sul tavolino, per poi richiamare la sua attenzione:
-Ci può essere una soluzione. Io, ci sto ancora lavorando, ma credo di avere buone possibilità di trovare un finanziamento, per così dire…Draco, ricordi il fondo per le emergenze? Sono quasi sicuro di sapere dove si trovi, ora devo solo capire come poter attingervi e, secondo le mie stime, dovrebbe esserci abbastanza per permetterti di affittare quell’appartamento che avevi visto con Pansy e…-
-Ricordi quella notte?
La voce di Draco era incrinata, graffiante, quando interruppe le parole rassicuranti del suo migliore amico, era assorta, impermeabile. Blaise lo guardò interrogativo per un attimo e poi rabbrividì.
-Quale notte?- sussurrò, e come inconsciamente, Blaise sentì la mano bruciare: il ricordo dello schiaffo scappato alle sue mani, il primo e l’unico. E suo malgrado si ritrovò a conoscere la risposta alla sua stessa domanda.
Si alzò, per sedersi accanto al suo migliore amico e poggiare quella stessa mano sul suo braccio.
-Sono passati due anni, Draco. Pensavo l’avessimo superata. Pensavo…-
Di nuovo Draco lo interruppe, guardandolo finalmente negli occhi, ancora atono e imperturbabile:
-Gli incubi sono tornati.
Poi il ragazzo si allungò, stiracchiandosi come un gatto, per raggiungere il bicchiere che gli era stato sottratto, bevve una lunga sorsata e poi fece posto sul suo viso ad un sorriso amaro, che troppo somigliava ad una smorfia di dolore.
-Era più vivido delle altre volte, era come rivivere tutto da capo. Ho sognato quegli occhi, ancora. Dettagli che credevo di aver sepolto e dimenticato. La sua voce, per esempio. Non l’avevo mai sognata prima, forse l’avevo dimenticata. E invece, per tutto questo tempo, era dentro di me, come in attesa di essere ascoltata di nuovo. E mi sembra di sentirla ancora adesso: “Dobbiamo andarcene”, mi dice. Ma la verità è che io sono rimasto lì, che rimarrò per sempre lì, intrappolato in una scelta che avrei dovuto fare, che mi è stata negata. Che ho, a mia volta, negato. “Dobbiamo andarcene”, mi ripete la sua voce, ma io so che l’unico a lasciare davvero quella casa è stato lui. Mi ha abbandonato lì. Mi ha dilaniato e massacrato, ed ha lasciato il cadavere di quello che ero lì…a bruciare, insieme a quel neonato.-
Quando Draco rialzò finalmente lo sguardo, voltandosi verso di lui, i suoi occhi tradirono l’ombra di una lacrima troppo orgogliosa per abbandonare l’orlo delle ciglia chiare. Ma fu solo un’instante, perché poi il ragazzo portò il bicchiere alle labbra, dicendo beffardo:
-Alla mia salute.
 
***
 
-E così, ho pensato che magari si tratta di un diario. Anche se non ho ancora ben chiaro di che genere di diario sia o se fosse di Sirius o meno.- disse Harry, abbandonandosi sullo schienale della sedia, sotto lo sguardo curioso di Hermione. Ron stava riempiendo per la terza volta le tazze, e facendole levitare fino al tavolo, si accomodò nuovamente dicendo:
-Pensate ci sia modo di scoprire se beh…se è malvagio?
Harry alzò le spalle mentre gli sguardi interrogativi di Ron vagavano da lui ad Hermione. La ragazza sembrava assorta, come quando stesse per condividere una delle sue idee brillanti, che questa volta si fecero attendere.
-Io ho provato a scriverci sopra ma…- tentò di dire Harry, che fu prontamente interrotto da un’Hermione più che indignata:
-Tu COSA?
-Sì, lo so…Mai scrivere sopra ad un oggetto magico. Lo si potrebbe compromettere…Ho già subito una ramanzina in merito. Il punto è che non ne ho tirato fuori niente. Voglio dire se fosse malvagio, lo avrei già percepito, no? Invece, non so come spiegarlo a parole, ma sembra quasi che questo diario sia un punto di contatto, come se fosse il mezzo per arrivare ai ricordi della vita di qualcuno. E se si trattasse di qualcosa che Sirius mi ha lasciato perché lo trovassi?
-Ricordi della vita di qualcuno?- disse Hermione dubbiosa, -In quel caso dovresti poter liberamente aver accesso, anche senza scriverci. Come un pensatoio, no? Basta aprire e leggere!
-Beh, ma è completamente vuoto. Voglio dire, anche volendo, non c’è niente da leggere!- sottolineò Ron con naturalezza.
Harry annuì sovrappensiero, incapace di trovare qualcosa di logico in quella storia.
-A meno che…- disse Hermione portandosi la tazza fumante sulle labbra, parlando più a se stessa che ai suoi amici.
Harry e Ron si guardarono a vicenda, dubbiosi, mentre la ragazza annuiva senza degnarli di uno sguardo, come se il miglior interlocutore in quella cucina fosse il bordo della tazza da thé.
-A meno che…?- la spronò Ron, incalzandola nell’esprimere il ragionamento che prendeva forma nella sua mente.
-Pensateci. Se sono ricordi, ed Harry dice di aver percepito chiaramente che lo siano, allora dovrebbe funzionare come un pensatoio, no? Eppure, esattamente come in un pensatoio, solo più protetto, non tutti possono avere accesso. Senza dimenticare che si tratta quasi sicuramente di un oggetto appartenuto a Sirius. Quindi, potrebbe benissimo funzionare un po’ come la mappa del malandrino! Deve esserci una specie di parola d’ordine da scrivere per poterlo leggere. Ecco perché le pagine sono bianche e non reagiscono se vi si scrive qualcosa. Il diario è protetto.- disse Hermione concitata e tutto d’un fiato.
-Ma protetto da cosa?- chiese, dubbioso, Ron.
-Da occhi indiscreti, ovviamente.- rispose Harry convinto dall’idea di Hermione, che fin ora gli sembrava la più plausibile. I due si scambiarono un’occhiata vittoriosa e gli sarebbe scappata anche un’espressione d’esultanza, se Ron non avesse detto:
-Quindi come facciamo ad essere sicuri che non sia malvagio?
Hermione aprì la bocca, come per ribattere con un argomento che avvalorasse la sua tesi, ma si rese conto di non aver alcuna certezza in merito alla natura del manufatto. Fu Harry a proporre la soluzione, quando disse:
-Troviamo la parola d’ordine.
 
***
 
Al quarto bicchiere di Incendiario, Draco faceva fatica a mettere a fuoco la bottiglia tra le sue mani, e aveva perso il filo del discorso di Blaise.
Doveva aver a che fare col passato, col fatto che non fosse colpa sua, di come non avesse avuto altre scelte, di come l’alternativa fosse una sola, la peggiore. Tutte cose che Draco s’era sentito ripetere un milione di volte, senza che la sua coscienza fosse stata minimamente ripulita, o la sua colpa scalfita. Eppure Blaise sembrava essere la persona più ostinata del mondo, instancabile nel ripetere quelle inutili rassicurazioni. L’alcool aveva finalmente cominciato a far effetto, ingarbugliando i suoi pensieri e annacquando quell’amarezza sul fondo dello stomaco. Lo infastidiva lo sguardo preoccupato che di tanto in tanto Blaise gli lanciava, lo irritava quella sua voce grave e confortante, quella mano sulla sua spalla. Sapeva che non sarebbe mai stato in grado di capire davvero, quante volte gli aveva sputato in faccia quella verità? Lui che era così nobile, così innocente. Lui che aveva osservato senza prendere parte, che si era trovato nell’occhio del ciclone, e ne era uscito indenne. Pulito. E Draco detestava quella pulizia, quel giglio bianco che l’amico poteva portare al petto senza vergogna. Il buonismo di Blaise, si rese conto, lo punzecchiava malevolo, insieme alle sue morali e al conforto che non avrebbe voluto ricevere. Era colpevole, senza via di scampo, senza riduzioni di pena, senza sconti o scuse. Lui voleva essere colpevole, riconosciuto come tale. Forse solo in quel momento le fiamme avrebbero smesso di bruciare, e la casa sarebbe tornata un luogo sicuro, familiare, e non ci sarebbero stati orfani lasciati a bruciare vivi. Draco avrebbe voluto pagare, pagare davvero. O forse era solo l’alcool. Perché tutto doveva tornare a galla, adesso?
Il Whiskey evaporò di colpo, diluendosi nel flusso sanguigno, congelato, dopo la frase di Blaise:
-Lui, solo lui è il colpevole. Lo è sempre stato… e lo è anche adesso. Theodore merita di marcire nella squallida cella in cui si trova!
L’unica volta in cui Draco aveva sentito quell’odio nella voce di Blaise era stata quella notte, e come allora, il pronunciare quel nome con tutto quel disprezzo, riuscì a riattrare la sua attenzione.
-Tu lo hai rivisto.
Non era una domanda. Draco ne era sicuro, non sapeva perché, ma poteva percepirlo, nel rancore fresco, come ferita aperta e ricoperta di sale, delle parole dell’altro. Blaise assottigliò lo sguardo, abbassandolo. Ironica ammissione di colpa, pensò amaramente Draco, prima di stringere la mano sull’avambraccio del suo migliore amico, incredulo.
-Tu hai rivisto Theodore?
-Sì.
 
***
 
 
Hermione, nel bel mezzo dell’elucubrazione che tipicamente precedeva l’ organizzazione di un piano geniale, che li avrebbe senz’altro cacciati nei guai, aveva gettato uno sguardo nervoso all’orologio fissato sulla parete scrostata della cucina.
-Herm…- disse Harry, richiamando la ragazza e sorprendendo persino se stesso con quell’osservazione coscienziosa: -Non vorrai arrivare in ritardo al San Mungo?
-Devo esser lì tra una decina di minuti in effetti…Ma avrei voluto stilare una tabella di marcia, per trovare quella parola d’ordine, sempre ammesso che le nostre supposizioni siano esatte. E magari volevo analizzare con più calma il libro, se tu sei d’accordo, Harry…
-Herm…non dovevamo parlare di qualcos’altro?- disse Ron dolcemente, prendendo la mano della ragazza tra le sue. Harry li guardava curioso, e non gli sfuggì lo spontaneo moto d’affetto che gli strinse il cuore nel vedere con quanta premura Ron si curasse di Hermione. Era una complicità così naturale. Pensò per un attimo a Ginny, e con malinconia si domandò se anche tra loro ci fosse quella complicità. Sibillina s’intrufolò nei suoi pensieri la sensazione di due labbra sottili sulle sue…Malfoy, pensò. Ma si allontanò immediatamente da quel conturbante ricordo, grazie ad Hermione:
-Sì, c’è qualcos’altro. Harry, mi spiace per quella sera. Mi spiace se ho violato la privacy della stanza di Sirius…Non ho giustificazioni. E ad essere sincera l’unica cosa che sono in grado di dire è che sento di averti perso negli ultimi tempi, ti ho sentito più distante…come se fossimo due estranei. E sono stata così arrabbiata. Ma forse…forse, non importa, ecco. Voglio solo che tu faccia parte della mia vita. Perché sei il mio migliore amico e…
Le mani di Harry andarono ad unirsi a quelle di Ron ed Hermione, in un gesto repentino. Poi sorrise, senza il timore di nascondere la commozione che le parole dell’amica avevano suscitato in lui.
-Anch’io devo scusarmi. Diciamo che è stato un periodo difficile…Non volevo assolutamente portarti a pensare che volessi allontanarti. Solo che, insomma…
Ron strinse la mano di entrambi, per poi ritirare la sua e guardarli con un sorriso finalmente più rilassato e dalla sfumatura un po’ buffa.
-Ah, Merlino! Ce l’avete fatta, testoni che non siete altro!- sbottò contento, scatenando le risate degli altri due.
Dopo un abbraccio ed un bacio veloce, sciolto anche quell’ultimo nodo che la loro discussione era stato, Hermione li lasciò in fretta e furia, timorosa di arrivare davvero in ritardo e di ricevere una qualsiasi nota di demerito. Ron scuoteva ancora la testa, chiusa la porta di ingresso.
-Oh, è così precisa…in ogni cosa che fa. Non che non me ne fossi mai accorto prima, eh. Solo che…davvero in ogni cosa. Non so come sia possibile. Dovevamo venire da te ieri sera solo che…- d’improvviso Ron si interruppe, concentrandosi sulla punta delle sue scarpe, e diventando rosso come un peperone, guadagnandosi un’espressione allarmata del suo migliore amico.
-Solo che…? Non dirmi che avete litigato!- disse Harry, con una nota di dispiacere nella voce, magari la discussione tra lui ed Hermione poteva aver ripercussioni anche nel rapporto tra la ragazza e Ron. Non lo aveva minimamente tenuto in considerazione, egoisticamente, e si sentii in colpa per questo.
Ron ridacchiò imbarazzato, facendo evaporare quelle preoccupazioni, mentre Harry continuava a fissarlo stupito.
-No, non litigato.- disse con un filo di voce, cercando di rassicurare Harry. –Cioè, abbiamo discusso, sì. Ma abbiamo fatto pace…poi…in un…- Ron deglutì visibilmente a disagio, mentre Harry cercò di contenere una risata, capendo benissimo dove quel discorso andasse a parare, e divertito da quell’imbarazzo così genuino.
-Abbiamo fatto pace in un modo…particolare, ecco.
-Avete fatto sesso. Si dice così, Ron.- disse Harry infine, scoppiando a ridere, mentre le orecchie di Ron andavano a fuoco.
-Sì…quello. Ed è stato…
Harry lo interruppe, mettendo le mani avanti e non riuscendo a smettere di ridere.
-Ron, amico…non credo di voler sapere di Hermione in quel senso!
Ron lo guardò ancora più imbarazzato, e annuì vistosamente, prima di dire:
-No, neanch’io vorrei sapere…O mio Dio…Ginny…!
A Harry scappò da ridere fragorosamente un’altra volta, scuotendo la testa riuscì a contenersi e a guadagnarsi un debole ‘oh’ stupito da parte dell’altro.
Per un attimo Harry s’immaginò, seduto accanto a Ron, sul divano di casa propria, proprio come in quel momento, a raccontare al suo migliore amico quello che era accaduto solo qualche giorno prima.
Al pensiero gli bruciarono le labbra.
No, sicuramente l’ultima cosa al mondo che Ron volesse sapere era qualsiasi cosa a proposito di Malfoy.
In qualsiasi senso.
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Spezzato ***


XXIII Spezzato
 
 
 
“Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
Dicendo che è un mio emissario,
Non credergli, anche se sono io;
 
Ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
Neanche che si bussi
Alla porta irreale del cielo.
 
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
Bussare, vai ad aprire la porta
E trovi qualcuno come in attesa
Di bussare, medita un poco.
Quello è
Il mio emissario e me e ciò che
Di disperato il mio orgoglio ammette.
 

Apri a chi non bussa alla tua porta.”
 
Se Qualcuno,
Fernando Pessoa.  
 
 
 
-Perché, Blaise? Non hai ancora capito, vero?
-Non ho idea di cosa tu stia parlando e, onestamente, non ho la minima intenzione di passare un minuto di più qui dentro.
Sembrava come inciampato in quella cella, per errore, un orribile errore. Ed adesso era incapace di rialzarsi. Sapeva di dover allontanarsi il più in fretta possibile. Ma ancora la vista di Lucius, e quell’odore putrido, gli impregnava la mente, impedendogli di respirare, di pensare lucidamente. Ed il tormento della voce di Theodore, non cessava:
-Qualcuno potrebbe pensare che tu sia qui per farmi visita, un vecchio e caro amico venuto a trovarmi…
-Qualcuno, in tal caso, si sbaglierebbe di grosso.
-Oh certo, io e te lo sappiamo.
Blaise fece un passo indietro, ma troppo lentamente, una mano riuscì ad agguantare il suo mantello ed attirarlo fatalmente verso le sbarre.
-Sei qui a risolvere un altro dei suoi casini, non è così? Non dirmelo, fammi indovinare. Sai quanto mi piaccia indovinare…Ah, Blaise, Blaise. Non imparerai mai, vero? Quando ti stancherai di far l’angelo custode?
La mano di Blaise si chiuse ferrea sul polso scarno che lo tratteneva, troppo vicino alla cella mal illuminata. Poteva percepire il luccichio folle in quello sguardo, sebbene il volto fosse schermato dal buio.
-Credo tu abbia di meglio di cui preoccuparti. Ne sono quasi sicuro.- rispose tagliente.
-Certamente. Ma è come più forte di me, sai? Preoccuparsi dei propri amici, persino se questi si trovano in condizioni migliori delle tue…D’altronde è una tua specialità, no? Una brutta malattia, devo ammetterlo. Devi avermi contagiato…
Il sussurro prepotente di quella voce, malsana, lo faceva rabbrividire, ma sebbene fosse terrorizzato, Blaise riusciva perfettamente a celare qualsiasi cenno espressivo, consapevole di aver il volto illuminato dalla lanterna posta sul muro sudicio di fianco alle grate.
-Soffri di qualcosa di ben più grave, Theodore, te lo assicuro.
La risata che seguì quell’affermazione gli fece tremare le mani, era priva di calore, spoglia di emozioni. Uno scherzo della memoria lo portò a paragonarla a quella del bambino che una volta aveva conosciuto, chiamato fratello, e che ormai era scomparso da anni.
-E così il nostro Draco è di nuovo sull’orlo dell’abisso, non è così? Chissà che non decida di saltar giù…come l’ultima volta.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mosso da una rabbia sconosciuta, lontana da ogni fibra del suo essere, Blaise fece scattare il braccio all’interno della cella e strinse alla cieca, facendo pressione sulla giugulare, con una precisione degna di uno degli ospiti della prigione.
-Non osare.- ringhiò, -Non osare pronunciare il suo nome. Sei stato tu. Tu, Theodore. Tu lo hai spinto giù dal tuo fottuto abisso. Ed è stata colpa tua, non dipingerla diversamente.
-Oh, certo, io posso avergli dato una mano. Ma quel che certo, è che tu non eri lì. Quando ha avuto veramente bisogno di te, tu non c’eri. E questo, anche se continuerai a ripulirti la coscienza, non potrai mai cambiarlo, Zabini. Rimarrà il tuo più grande rimpianto.- la voce strozzata di Theodore, vibrava sul palmo della sua mano, tagliente e velenosa. A Blaise mancò un battito.
Ritrasse di scatto la mano, allontanandosi il più possibile dalla cella con il fiato corto, accompagnato dalla risata cupa del prigioniero.
-La verità fa male, non è così, Blaise? Oh certo, io e te lo sappiamo.
 
***
 
Draco teneva la testa fra le mani. Tutto vorticava vertiginosamente, senza un filo logico, senza scopo, come una pozione satura. Era così che si sentiva: saturo. Aveva sopportato troppo, non riusciva ad assorbire più nulla. Tutto era inconsistente, diluito, slargato. Non era arrabbiato, non deluso. Non sentiva nulla. Pochi minuti prima aveva mormorato, con un filo di voce, una semplice parola: Vattene.
E suo malgrado, Blaise lo aveva lasciato lì. Da solo.
Dopo avergli spiegato il perché delle sue azioni, delle sue decisioni, di quel suo agire senza metterlo a parte di quello che accadeva. Sì, lo aveva fatto per il suo bene, e Draco gli era infinitamente grato ma era solo….Troppo. Si sentiva spezzato, infranto in mille pezzi. E sapeva che niente lo avrebbe aiutato a raccogliersi, quella volta. I problemi con il Ministero, sua madre, Blaise che cercava di proteggerlo dal mondo esterno e da se stesso, e gli incubi, il fondo per le emergenze, il trasloco e il corso per diventare Auror e…Potter.
Draco si alzò di scatto, le iridi che bruciavano, si aggrappò alla bottiglia di Incendiario, portandola alle labbra. Sciolse il groppo che aveva in gola, bevendo, mentre calde lacrime gli ferivano le guance, lasciando le ennesime cicatrici salate e invisibili.
Poi, quando un conato di vomito cercò di soffocarlo, seppe che doveva smaterializzarsi immediatamente, prima di essere troppo ubriaco per arrivare senza spezzarsi davvero.
 
***
 
C’era silenzio, finalmente. I risolini civettuoli e i sussurri eccitati avevano ormai lasciato il posto a placidi respiri ed al regolare ronfare notturno. Scostò lentamente le spesse tende rosse e prese la bacchetta dal comodino, poi a piedi nudi raggiunse il piccolo scrittoio, e grazie alla flebile luce recuperò pergamena, piuma e calamaio. A piccoli passi si avvicinò alla porta, e sgattaiolò fuori dalla sua stanza, avendo cura di non emettere il minimo rumore, per non svegliare le sue compagne. Scese nella sala comune deserta e accomodatasi su una delle panche di legno, disponendo ordinatamente gli oggetti sul tavolo. Si concesse un profondo respiro, per riorganizzare le idee e annuì a se stessa.
Separò due rotoli di pergamena, e intingendo la piuma, fece appello a tutto il suo coraggio Grifondoro. Non sarebbero state due lettere facili, così decise di cominciare dalla più difficile.
 
Caro Harry…
 
***
 
Un pugno chiuso si abbatté sull’anta di metallo indifesa, deformandola seppur impercettibilmente. Come se il suo rancore e la sua impotenza fossero rimasti intrappolati per sempre nell’ombra dell’increspatura della lega metallica, che beffardamente lucida riportava l’etichetta con il suo nome. Una fitta alle nocche gli fece sfuggire un debole lamento dalle labbra piene. Poi si abbandonò sulla panca, stropicciando il camice, e prendendosi la testa fra le mani. Non sapeva perché ma sembrava che ultimamente fosse diventata sua abitudine quella di perdere il controllo alla minima difficoltà. Lui che entrava in contatto col mondo senza deturparlo, senza lasciar segno del suo passaggio, sembrava adesso essersi specializzato nel marchiare a fuoco il paesaggio, contaminandolo inevitabilmente.
Ripensò allo sguardo ferito di Draco, alla sua delusione, e alla voce tremante che lo aveva supplicato di andarsene. Stentava a riconoscere il suo migliore amico, come stentava a riconoscere se stesso. Sapeva che Draco non lo avrebbe colpevolizzato, perché era più che consapevole che Blaise aveva agito nel suo interesse. Ma nonostante questo, il crampo al cuore non era meno doloroso.
Aver raccontato di Theodore, aver perso il controllo, solo una volta, aveva fatto crollare tutto: castello di sabbia smarrito nel culmine della tempesta.
E ancora le parole velenose di Theodore gli giungevano ovattate.
-Tu non c’eri.
Non se la sarebbe mai perdonata, quella mancanza. Lui non c’era, era al sicuro con Pansy, ai margini di una guerra alla quale nessuno di loro avrebbe dovuto partecipare. E fu quando Theodore, glaciale, entrò nel Manor della sua famiglia, trascinando un Draco tremante, che Blaise capì che non ci sarebbe più stato modo di tornare indietro.
I ricordi furiosi premevano sul suo palato, mentre sentiva ancora tra le braccia il peso inconsistente del suo migliore amico, quella notte, che biascicava parole confuse e terribili.
 
-L’ho ucciso. L’ho ucciso. Sono un assassino.  
E poi Pansy, pallida e smunta, con le labbra secche e sussultanti, gli occhi che si ribellavano cercando di non lacrimare:
-Di che sta parlando, Theo? Cosa è successo?
-Niente. Abbiamo portato a termine una missione. Dovevamo pulire una casa Babbana. Ma c’era un bambino.- la voce incolore, nel corpo freddo, abbandonato contro lo schienale di una poltrona. Che ne era stato del loro amico Theo? Mentre Blaise stringeva ancora Draco, incapace di smettere di tremare e sussurrare maledizioni contro se stesso, Theodore li osservava placidamente assorto. Un’ombra di divertimento negli occhi.
-Avete lasciato morire tra le fiamme un bambino innocente.- Pansy si portò una mano alla bocca, dette quelle parole, come a voler ricacciare sul fondo dello stomaco quell’orrore.
-Draco l’ha lasciato morire tra le fiamme.- disse Theodore, riempiendosi un bicchiere di Incendiario, con una calma ed una vacuità che stentavano a riconoscere. Draco sussultò a sentire quelle parole, sbarrando gli occhi, per un attimo fissi in quelli di Blaise. –Io, almeno, avrei avuto la decenza di usare l’Avada Kedavra.
E fu semplicemente troppo: Blaise si alzò, fronteggiò Nott e lo agguantò per il colletto. Per un attimo gli sembrò di scorgere l’ombra del bambino che era, negli occhi profondi dell’amico, ma fu prima di rendersi conto che quello era solo l’ennesimo sprazzo di follia. La follia di un omicida.
Lo schiaffeggiò talmente forte che la mano continuava a bruciargli, mentre urlava:
-Vattene.
 
Annaspò riemergendo dai ricordi di quella notte, le mani sulle tempie, ancora tremavano. Ancora quel bruciore sul palmo destro. Il dolore della delusione, del tradimento, dell’abbandono, della verità che aveva troppo a lungo ignorato. Mille volte Blaise era tornato a quella notte, passata troppo velocemente, senza un’alba a farle compagnia. Mille ipotesi, congetture, percorsi. Poteva andare diversamente. Poteva salvarsi, salvare Draco e Pansy e Theodore…No. Non avrebbe potuto, razionalmente, lo sapeva. Il pensiero delle possibilità lo dilaniava, lacerandolo lentamente, e sebbene i ricordi potessero nascondersi di tanto in tanto, alla fine tornavano comunque a sfondare la porta della sua mente. E non riusciva a perdonarsi. Forse Nott su una cosa aveva ragione: sarebbe rimasto il suo più grande rimpianto.
-Vattene.
Quella parola gli uncinava l’animo, strappandogli piccoli stracci di pelle, torturandolo. La stessa parola che aveva usato Draco. La parola del rifiuto, di una porta chiusa in faccia. Aveva abbandonato Draco quella notte, e continuava a maledirsi. Avrebbe potuto essere al suo fianco. Aveva abbandonato Theodore, con quella stessa parola, lasciandolo con le mani sporche di sangue rappreso, non barattando la sua innocenza per un’amicizia, per proteggere quel che rimaneva dei suoi migliori amici. E adesso, cosa gli era rimasto?
Un’anta di metallo deformata.
Tutte le scelte sbagliate, davanti a lui.
 
***
 
Erano le otto di sera quando Harry, esasperato, aveva lasciato scivolare per terra l’ennesimo libro inviatogli da Hermione in quella ricerca assurda. Persino il titolo, canzonatorio, sembrava prendersi gioco di lui: “Crittomagia”.
Con la consapevolezza di essere lontano dalla soluzione quanto dalla cena, aveva miseramente costatato di aver il frigo vuoto, così avvilito s’era vestito in fretta e aveva optato per raggiungere il primo take away a portata di mano. Infilato il cappotto e aperta la porta, però, s’era bloccato.
Malfoy, con gli occhi bassi e senza il coraggio di bussare, stava sul pianerottolo, con l’aria di chi non avesse la minima idea di come fosse arrivato lì.
-Malfoy? Che ci…Un’altra visita a sorpresa, eh?
-Stai uscendo.
La voce del ragazzo era roca, Harry quasi fece fatica a riconoscerla. Era stranamente flebile nel porre quella che doveva essere una domanda, ma suonava più come un’affermazione rassegnata. Strabuzzò gli occhi, inclinando la testa di lato, come per concedersi una diversa prospettiva per riuscire a scrutare il volto dell’altro, ben sepolto nel bavero del cappotto scuro. In un gesto assolutamente spontaneo, la mano di Harry si adagiò sul braccio di Malfoy, ponendo una leggerissima pressione, come ad intimargli di alzare lo sguardo.
-Posso entrare?
Sembrava più una supplica, e dal tono Harry fu sicuro che qualcosa non andasse, allarmato si fece da parte, per lasciarlo passare. Quando si voltò, una volta richiusa la porta, si trovò schiacciato contro il legno massiccio.
Accadde tutto così velocemente che per un attimo Harry si sentì scaraventato in un’altra dimensione, come dopo aver preso una passaporta, sentì uno strappo all’ombelico.
Le labbra di Malfoy, con un’urgenza sfregavano sulle sue, in un contatto feroce, ingordo, come mosse da una sete millenaria. Harry si sentì avvampare, quando la lingua di Malfoy esercitò la pressione necessaria affinché, arrendevole, non schiudesse la bocca.
Fu un’intrusione, istintiva, illogica e trascinante. Harry ne era impregnato, incapace di reagire, completamente inebriato e rapito dal sapore leggermente aspro ed alcolico della lingua di Malfoy che prepotente accarezzava la propria. Sentì le mani del ragazzo sul suo petto, che lo tenevano inchiodato alla porta, inamovibili.
Fissava le palpebre pallide dell’altro, troppo sorpreso per essere in grado di fare qualsiasi cosa. Percepiva il respiro spezzato sulla sua pelle e poi, quando la punta della lingua di Malfoy sfiorò imperiosa il suo palato, Harry chiuse gli occhi, abbandonandosi senza riserve a quel contatto che, fino a quel momento, non sapeva di aver bramato. 

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Capitolo 24
*** Giusto ***


XXIV Giusto
 
 “The great moments of your life won’t necessarily be the things You do. They’ll also be the things that happen to you.
Now, I’m not saying you can’t take action to affect the outcome of Your life, you have to take action, and you will.
 
But never forget that on any day, you can step out the front door And your whole life can change forever.
You see, the Universe has a plan, Kids.
And that plan is always in motion.
 A butterfly flaps its wings, and it starts to rain.
 
It’s a scary thought but it’s also kind of wonderful.
All these little parts of the machine constantly working,
Making sure that you end up exactly where you’re supposed to be, Exactly when you’re supposed to be there.
 

The right place
At
The right time
.
 
T.Mosby,
How I Met Your Mother.
 
Dietro alle palpebre serrate, vedeva il vorticare sommesso di fluorescenti puntini luminosi, che si inseguivano ad un ritmo sconnesso e predatorio, si scontravano in leggeri scintillii. Sentiva mancarsi la terra sotto i piedi, in quel campo gravitazionale illogico, scosceso, sospeso. Si aggrappava all’addome di Potter come fosse l’ultimo sprazzo di salvezza al quale potersi appellare. Scavava fra le sue labbra, dissetandosi di un sapore che credeva di conoscere da sempre, come un vizio dimenticato, ma che latente reclamava di essere soddisfatto. Dopo un attimo di confusa esitazione, anche Potter aveva approfondito il contatto, ribellandosi al possesso di Draco, solo per marcare il proprio territorio, facendo scivolare la lingua sul suo palato, succhiando le sottili labbra screpolate, come volesse trascinarlo con sé verso un baratro di placido nulla. E l’alcool era immediatamente evaporato, come spazzato via dall’irruenza con cui Potter rispondeva al bacio. Era più una lotta per la sopravvivenza, una sfida in apnea, dove a dominare era istinto e desiderio, che continuava a giocare a rimpiattino, a crescere, impetuoso come il fiume che dirompe, violando gli argini. Le mani di Potter erano serrate sui suoi polsi, in una morsa quasi dolorosa, possessiva. Quelle labbra soffici lo avevano magneticamente attratto e Draco non aveva intenzione di lasciarle andare. Una mano di Potter corse sulla sua nuca, nell’imperativo viscerale di approfondire il contatto. Draco si trovò a far combaciare il proprio petto su quello del ragazzo bloccato contro la porta, lasciando scivolare le mani sui suoi fianchi. Era come fatalmente attratto dal calore che emanava il torace di Potter, da quel cuore che batteva rassicurante, proprio sotto al proprio, ad un ritmo convulso ed esasperato.
Non aveva il minimo controllo delle proprie azioni e non sembrava preoccuparsene, quando, come nave che ritira l’ultima ancora, fece aderire il proprio bacino a quello di Potter, stando ben attento a non mostrarsi troppo entusiasta. Al minimo cenno di movimento, però Potter, altrettanto dimentico di se stesso, sembrò scattare automaticamente, imprimendogli come a fuoco il contorno della sua erezione sulla coscia.
Per l’ennesima volta Draco, vittima dell’eccitazione, si trovò ad un bivio, a compiere un’altra dannata scelta: la sua mano, dimenticata sul fianco di Potter, era così vicina. La disperazione di sentir il proprio palmo riempirsi con quel calore pulsante di desiderio, mentre baciava Potter in quella frenesia priva di qualsiasi autocontrollo, lo dilaniava, eppure…
-P-Potter…- ansimò, staccandosi a fatica da quelle labbra così invitanti. Ma il suo interlocutore era troppo concentrato sul un punto imprecisato del suo collo. La vistosa e prepotente erezione, lì contro la coscia di Draco, non rendeva il distacco più facile. Le mani di Potter cercavano di trattenerlo, strattonandogli la candida camicia ormai stropicciata, di attirarlo ancora di più a sé, mentre le sue labbra erano tornate su quelle di Draco, come a reclamare qualcosa che appartenesse loro di diritto.
Non sarebbe stato affatto indolore far esplodere la bolla di perfezione che si era creata intorno a loro, ma doveva farlo. Si scostò bruscamente, lasciando le labbra di Potter gonfie e dischiuse. Poi gli occhi del ragazzo lo investirono e dando il permesso a Draco di leggere un cameo sconnesso di emozioni travolgenti: imbarazzo, desiderio, frustrazione, vergogna.
-Potter, se non…se non mi fermo adesso...- tentò di dire, facendo fatica a riconoscere la sua voce.
Il ragazzo serrò la mascella abbassando lo sguardo sul cavallo dei propri pantaloni, e si lasciò sfuggire un’imprecazione a mezza voce, avvampando all’inverosimile, troppo confuso per poter realizzare di doversi scostare. Draco, per quanto paradossale e patetica fosse quella situazione, chissà per quale assurdo motivo, lo trovò ancora più eccitante e fuori controllo si avventò di nuovo su quelle labbra che erano diventate la sua personale benedizione.
Potter era rigido però, come paralizzato, a disagio. Mise le mani sul petto di Draco, esercitando una pressione irrisoria, ma adeguata a farlo retrocedere. Draco frugò ancora negli occhi di Potter, adesso velatamente lucidi, e di scatto, come terrorizzato si scostò, compiendo qualche repentino passo all’indietro. Trasse un profondo sospiro, il cuore non voleva saperne di rallentare la folle corsa contro se stesso. Poi Potter alzò di nuovo lo sguardo, imbarazzato come mai avrebbe potuto immaginarlo. E Draco ebbe improvvisamente freddo al petto.
La bolla s’era irrimediabilemente infranta.
 
***
 
Ginny osservava le due buste ingiallite tra le sue mani, circondata dagli sguardi curiosi degli ospiti della Guferia. Poteva sentire il peso delle due buste, l’ineluttabile differenza della consistenza delle pergamene. Ginny aveva sempre amato le lettere. Ricordava quando da piccola, seduta al tavolo della accogliente cucina, stava per ore a scarabbocchiare disegni colorati, da inviare a Charlie, in Romania, quel fratellone che le mancava. Era stata Molly a spingerla verso quella confortante abitudine: Quando ti manca qualcuno, prova a scrivergli una lettera, ti mancherà di meno poi! E così, sebbene la piccola Ginevra sapesse scrivere poco più del suo nome, rimaneva inchiodata al tavolo, a riempire fogli su fogli, che avrebbe poi inviato al fratello lontano. All’inizio si trattava di disegni, poi qualche riga, ma pian piano aveva preso a riempire rotoli e rotoli di pergamena. Racconti di quello che succedeva a casa, storie, sogni e preoccupazioni, tutti affidati alle mani di quel fratello lontano, che era il suo miglior confidente. Durante i suoi primi anni ad Hogwarts, più che mai. Ripensò al diario di Riddle e si diede ancora una volta della stupida. Era stato più forte di lei, scrivere la rassicurava, era un modo di non sentire la mancanza di qualcuno, le aveva insegnato Molly, era l’unico modo per non mancarsi. E così, fluidamente, come se fosse un’estensione del suo corpo, riusciva a mettersi a nudo di fronte alla pergamena. E nel penso di quelle due buste, nelle sue mani, Ginny poteva dolorosamente percepire il peso di se stessa, delle decisioni difficili ma necessarie che aveva dovuto prendere e incastrare tra l’inchiostro e la carta. Le riaprì, in cerca di rassicurazioni, di conferme, solo per riappropriarsi delle parole che aveva lasciato andare.
 
Caro Harry,
 
Questa è la lettera più difficile che io abbia mai scritto, ma sento che non avrei potuto far a meno di scriverla. Credo anche che molto di quello che voglio dirti rimarrà in sospeso, e forse è meglio così.
Non ho idea di cosa sia accaduto, di quando sia successo, ma so di averti perso. Non ce ne accorgiamo mai, vero? Quando qualcosa cambia, inevitabilmente, siamo investiti dal processo, troppo ciechi per rendercene conto. E quando finalmente sembriamo riacquistare coscienza è ormai troppo tardi. Quando due persone si allontanano, non si tratta di trovare un colpevole ed una vittima. Semplicemente succede: un momento prima senti di essere legato a quella persona da un filo indissolubile, il momento dopo quel filo si spezza, lasciandoti il dubbio sia mai esistito. Forse me lo sono immaginato, forse doveva solo andare così. So cosa stai pensando. No, non è un periodo. Ma non voglio pensare ai perché, ai come, ai quando. E non voglio che sia tu a farlo.
Sento che questa è la decisione giusta, e so che in fondo anche tu lo pensi. Mi hanno insegnato che l’amore è più forte di tutto, tu stesso ne sei la prova vivente, che è la luce che illumina i tuoi passi quando ormai non credi più a nulla, che nessuna prova può farlo vacillare. Allora perché al primo soffio di vento quella fiamma sembra essersi irrimediabilmente spenta? Sono solo una ragazzina, e la risposta è nelle parole che non dico, Harry. Ma confido che lo sapessimo già. Ho deciso semplicemente di smettere di ignorarlo.
 
Ti voglio bene Harry, forse non sai neanche quanto. Ma adesso è tempo di voler bene anche a me stessa, è tempo di smettere di mancarmi.
Con affetto,
Ginny.

Le parole sotto ai suoi occhi scorrevano talmente velocemente da non lasciare spazio a delle lacrime che Ginny si sentiva in dovere di versare. Risoluta ripose la pergamena nella busta, e sorpresa da se stessa, senza alcuno sforzo la abbandonò tra le zampe di un gufo grigio, che la guardava con i suoi profondi occhi gialli.
Poi aprì la seconda busta, le mani leggermente tremanti:
 
Cara Hermione,
 
Ho lasciato Harry.
Per favore, non fare domande. Non sono ancora in grado di parlarne, ma sto bene, perché ti assicuro che non è stata una scelta sofferta. Harry non mi ha ferito, sono io che ho finalmente capito. Quindi Herm, sul serio, non preoccuparti e non dar in escandescenze. Non piombare a casa di Harry, ti assicuro che anche lui starà bene. Vedila come se fosse una decisione comune, solo che… uno di noi doveva trovare il coraggio di dire come stavano davvero le cose. E quel coraggio l’ho trovato io per prima, come sempre. Credimi quando ti dico che è giusto così e cerca, se puoi, di farlo entrare anche nella testaccia dura di mio fratello.
 
Spero che voi due piccioncini stiate bene, e che passiate il vostro tempo in modi migliori che battibeccare.
Ti scrivo presto, promesso.
Con affetto,
Ginny.
 
Quando anche la seconda lettera, impigliata nel becco di un barbagianni bianco, si allontanò, Ginny si concesse un sospiro di sollievo. Si appoggiò ai margini della grande finestra e indugiò nell’osservare il grigio cielo di novembre.
Improvvisa, come la più inattesa delle primavere, sbocciò dentro di lei una pacifica sensazione di esattezza. E così sorrise. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva di aver fatto la cosa giusta per se stessa: sentiva di mancarsi già un po’ di meno.
 
***
 
Erano l’uno di fronte all’altro adesso, entrambi alla ricerca di uno scampolo di lucidità che li portasse a regolarizzare il respiro spezzato, quel fiatone dopo la folle corsa che li aveva fatalmente investiti e travolti, l’uno sull’altro, a divorarsi.
Harry era confuso, smarrito, incapace di rialzare lo sguardo, sentiva l’eccitazione invaderlo intermittente, troppo imbarazzato per riuscire a scacciarla, troppo colpevole per far i conti con l’evidenza pulsante di un desiderio che non voleva neanche riconoscere come proprio. Sapeva che Malfoy era lì di fronte a lui, invaso da pensieri non poi tanto diversi, a combattere la stessa battaglia. Harry sentì di detestarlo, per essere piombato in casa sua, sulle sue labbra, sul suo corpo e aver reclamato qualcosa che razionalmente Harry sapeva di dover disprezzare. Lo detestava, perché stava fermo lì, come inceppato, senza dire una parola, con il fiato corto. Lo detestava per aver lasciato spazio alla razionalità, per essersi fermato. Il pensiero gli dava i brividi. Eppure, allo stesso tempo, sentiva di aver bisogno di quel suo tocco così aggressivo, per calmarsi, per sentirsi al sicuro. Harry combattuto, finalmente, sembrò ritrovare la temerarietà per parlare, ma dalla sua gola uscì solo una voce roca ed incerta:
-Malfoy…
E percepì chiaramente quanto il bisogno di scappare dell’altro stesse impregnando l’aria. Per un attimo pensò di lasciarlo fare, di nuovo, di lasciare che se ne andasse, di ignorare l’accaduto. Una morsa allo stomaco reclamava spiegazioni, reclamava risposte: era la parte di lui che voleva tornare ad un attimo prima, quella che desiderava che Malfoy non si fosse fermato. Una parte che Harry non conosceva, di cui ebbe paura. Così alzò lo sguardo, cercando quella stessa paura in quegli occhi grigi, che erano diventati la sua persecuzione. Malfoy guardava per terra, in un punto imprecisato, ma Harry poteva percepire i suoi pensieri che giravano a vuoto, aggrovigliandosi su loro stessi. Lo chiamò di nuovo, con più convinzione questa volta, e portò quegli occhi dentro i suoi. Senza un’apparente motivazione logica gli mancò il respiro.
-Non dovrei essere qui. Io non…- il sussurro era flebile, colmo di senzo di colpa, come parlasse a se stesso, rimproverandosi.
Cosa lo portò a mettere una mano sulla spalla di Malfoy, Harry non se lo chiese, ma in quel momento sapeva di doverlo fare, per sistemare quell’assurdo mescolarsi di eventi, per rassicurare l’altro. Sentiva di dover calmare l’altro più di se stesso. Finalmente Malfoy lo guardò in viso, sconvolto quasi quanto lui. Harry commise l’errore di scappare al contatto visivo, lasciando scivolare lo sguardo sulle labbra di Malfoy, e di nuovo, più forte di prima, se ne sentì attratto, in un disperato bisogno.
Vide la mano di Malfoy tremare, mentre raggiungeva la bacchetta, nella tasca interna della giacca. Il tremito si fece più intenso quando, sotto lo sguardo smarrito di Harry, il ragazzo fece poggiare la punta della bacchetta contro la propria tempia. Per un attimo gli prese il panico, un’angoscia silenziosa.
-Malfoy…c-che hai intenzione di fare?- disse a pochi centimetri dal viso dell’altro, la bacchetta di Malfoy puntata ancora addosso. Non aveva dubitato nemmeno un’istante, non temeva potesse fargli del male, ma l’incertezza lo lacerava. Non capiva davvero cosa stesse succedendo, forse perché tutto sembrava così irreale da essere impossibile.
-Obliviazione.- disse Malfoy, piatto, col tono di chi avesse trovato una soluzione a tutti i propri problemi. Ad Harry mancò un battito quando capì l’intento dell’altro: voleva dimenticasse. Scappava ancora una volta. Fece scivolare la mano dalla spalla di Malfoy, solo per serrarla sul suo polso, facendo appello a tutto il coraggio e la convinzione di cui era a disposizione. No, non gli avrebbe permesso di voltare le spalle a quello che aveva, che avevano, fatto.
-Un incantesimo di memoria?- disse Harry dissimulando la tensione, cercando di suonare divertito, -Seriamente, Malfoy. Un incantesimo di memoria per un…- gli mancarono per un attimo le parole, ma sapeva di non dover esitare, di dover tranquillizzare l’altro, prima che la cosa degenerasse.
-Cancellerò fino a prima del mio arrivo, Potter. È meglio così.- disse Malfoy, sfuggendo ancora una volta al suo sguardo, abbassando il capo.
Harry, impulsivamente gli prese il mento tra l’indice ed il pollice, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-No, che non è meglio Malfoy. Dio, mi faresti un incantesimo di memoria per un fottuto bacio?- sbottò Harry, in preda ad una rabbia cieca, ignorando da dove venisse né contro chi era diretta. Si sentiva frustrato per quell’atteggiamento infantile, e forse scuotere Malfoy sarebbe servito ad alleggerire il peso che sentiva, e l’erezione ancora insistente nei suoi pantaloni. Si odiava, in quel momento, stentava quasi a riconoscersi, ma sapeva di dover agire in fretta, di dover aggredire Malfoy con le parole, per portarlo a ragionare. Era quello di cui entrambi avevano bisogno, Harry lo sapeva. Parlarne avrebbe aiutato, ne era certo.
-Potter, senti…- cercò di dire stancamente Malfoy.
-No, Malfoy, senti tu per una volta. E ascoltami bene.- con il dorso della mano, Harry scostò la bacchetta di Malfoy, facendola cadere rovinosamente a terra. – Era un bacio. Non voglio spiegazioni che non puoi o non sai darmi. È successo e…Neanche io, in questo momento, saprei spiegarmi molto. Ma, quel che voglio dirti è che… Era solo un bacio e va bene! Non è il caso di colpevolizzarsi, di lanciare fottuti incantesimi a casaccio, o di farsi prendere dal panico. È evidentemente stata una cosa…ehm, condivisa. Se non avessi voluto…insomma sei ancora qui no? Sei stato tu ad allontanarti e... voglio dire, io non ti avrei allontanato e…Ok, non è quello il punto, il punto è che va tutto bene. Era un bacio. Solo un bacio! Non hai ucciso nessuno!
Ed Harry proprio non capì cosa di sbagliato avesse detto, perché era convinto stesse andando così bene con quel suo discorso sconclusionato, ma Malfoy fece una smorfia di dolore, e gli occhi si fecero lucidi. Prima ancora che realizzasse che Malfoy stava per piangere, Harry si ritrovò a stringerlo a sé. Malfoy fece resistenza, per un attimo, per poi abbandonarsi e nascondere il viso, contratto per trattenere le lacrime.
-Ehi…Ehi, va tutto bene, davvero. Malfoy, va tutto bene.- sussurrò Harry dolcemente. L’altro senza far rumore, con un movimento fluido e privo di sbavature, avvolse le sue braccia intorno al corpo di Harry, stringendoselo addosso, come a voler ricevere un po’ di calore, in una richiesta disperata. E Harry smise di farsi domande, e di cercare risposte, stando immobile, lì ad abbracciarlo.
-Va tutto bene…- ripeteva, di tanto in tanto.
 
***
 
-Dimmi che quello è il primo bicchiere, perché sono solo le tre del pomeriggio.
-Quinto…
Blaise, seduto nel piccolo salotto di casa propria, non poté fare a meno di sorridere amaramente, sentita la voce della sua migliore amica.
-Non sei andato a lezione.- constatò Pansy, affiancandolo, in piedi accanto alla poltrona, le mani sui fianchi, in una posa che cercava di sottolineare quanto fosse contrariata, ma che Blaise sapeva tradisse la sua preoccupazione.
-No.- disse semplicemente, con una voce incolore.
-Riassumendo: non sei andato a lezione, che per inciso, era di tirocinio. Sei al quinto bicchiere di Incendiario, alle tre del pomeriggio. Le alternative sono due: o finalmente la cattiva influenza di Draco ha sortito i suoi effetti o c’è qualcosa che non va.
Pansy si accovacciò, reggendosi sul bracciolo della poltrona in cui era sprofondato, guardandolo con un’espressione tesa. Blaise non amava parlare dei suoi problemi, ancor di meno rispondere alle domande, o trovarsi in situazioni in cui era costretto a chiedere aiuto. Così Pansy non chiese nulla, limitandosi a condividere il silenzio dell’amico, finché le gambe non le formicolarono e non fu costretta ad inginocchiarsi.
-Ho trovato una soluzione ai problemi finanziari di Draco. So dove si trova il fondo per le emergenze.- disse il ragazzo, portando lo sguardo su di lei. Pansy si limitò a guardarlo incuriosita, tenendo a freno la lingua, facendosi violenza per non investirlo con le sue solite mille domande curiose. Quando Blaise non proseguì nella spiegazione di quel suo stato d’animo, Pansy gentilmente lo spronò a continuare.
-E questo come ti ha portato a litigare con quella testa calda?- disse, cercando di sdrammatizzare, senza successo.
-Sono andato ad Azkaban, per parlare con Lucius, dato che l’avvocato non ha saputo dirmi molto.
Pansy, se possibile, era ancora più perplessa. Sì, sapeva quanto delicato fosse risolvere i problemi di una persona riservata come Draco, senza innervosire il ragazzo dal temperamento più suscettibile che conoscesse. Ma che quello fosse il motivo scatenante della lite, Pansy non lo credeva possibile. Non era la prima volta che Blaise lo tirava fuori dai guai, e che venisse a conoscenza di informazioni personali per farlo.
-Era l’unica soluzione. E l’ho trovata. Solo che…- Blaise si fermò, distogliendo lo sguardo, per fissarlo davanti a sé, verso il camino spento.
-Ho rivisto Theodore.
Pansy scosse lentamente la testa. Era più grave del previsto. Poi si alzò, richiamò a sé un bicchiere, recuperò quello dalle mani di Blaise, e versò quattro dita di Incendiario per entrambi.
-Cinque sono decisamente pochi.- disse asciutta porgendo il bicchiere.
-Sono le tre del pomeriggio.- rispose Blaise, sforzandosi di suonare divertito.
-Appunto…
 
***
 
-Granger, posta!
L’anziana signora alla reception la guardava torva, mentre la mano rugosa e volgarmente smaltata le porgeva sgarbatamente la lettera. Hermione, una volta firmato per il ritiro del tesserino, si affrettò a prenderla, con un sorriso timido e l’istinto di sopravvivenza che le intimava di scappare dalle grinfie della donna.
-Quante volte dobbiamo ancora dirvelo, eh? Niente posta sul lavoro!
La voce acida della vecchia receptionist che le urlava dietro, era più alta di un’ottava, mentre Hermione si apprestava ad allontanarsi il più velocemente possibile, con ampi cenni del capo e flebili “Mi scusi”, “Non succederà più”, “Deve essere un’emergenza”.
Svoltato il corridoio, Hermione poteva ancora sentirla sbraitare, ma non le prestava più attenzione: la lettera di Ginny, un po’ spiegazzata era stato un pugno allo stomaco.
 
Cara Hermione,
Ho lasciato Harry.

Appoggiata contro il muro candido del reparto al quale era stata assegnata quel giorno Hermione lottava contro il bisogno di smaterializzarsi immediatamente da Harry, e il dovere di studentessa.
Quel “Non fare domande” la avrebbe perseguitata per il resto della giornata.
 
***
 
Era stato aggrappato al corpo di Potter talmente a lungo da non saper stabilire un preciso arco temporale. Sapeva di aver combinato l’ennesimo casino, sapeva di aver ingarbugliato ancora di più quel disastro di vita che si sforzava di far sembrare normale. Quel che peggio era che aveva trascinato Potter con sé, e che non sapeva nemmeno spiegarsi perché. Ma si sentiva al sicuro, si sentiva ripulito da qualsiasi senso di colpa, e sapeva che era merito di quell’abbraccio in cui Potter lo tratteneva, forse temendo di farlo andare in pezzi se lo avesse lasciato solo per un attimo. Forse era davvero così. Quando suo malgrado si scostò, fu perché si sentiva in dovere di spiegare, era così doloroso sapere di aver sottratto a Potter qualcosa, anche se non sapeva cosa o perché dovesse farlo sentire così inadeguato.
-Potter…puoi lasciarmi adesso.- disse, contro la spalla dell’altro.
-Giuri che non cercherai di uccidermi?- scherzò Potter, stringendolo solo un po’ più forte, come a mo’ di avvertimento. Poi senza attendere risposta sciolse l’abbraccio e cercò i suoi occhi, come non avesse nulla di meglio su cui poggiare lo sguardo.
-Non so cosa mi sia preso, io…
Potter sospirò profondamente, alzando gli occhi al cielo, con un’espressione un po’ buffa. Sembrava volerlo mettere a tutti i costi a suo agio, sdrammatizzando, e facendogli intendere che era tutto sotto controllo. Ma vedeva, sul fondo di quegli occhi verdi, rimestarsi il dubbio, la confusione, e qualcosa di molto simile all’angoscia. Per un attimo gli sembrò di leggere la paura di Potter, paura che quell’intenso momento non sarebbe più tornato. Paura di non aver più la possibilità di sentirlo di nuovo. Ma forse, si disse, lo stava solo immaginando. Pensò a che misero spettacolo dovesse essere, lì sotto gli occhi di Potter, pensò a quanto si fosse sconsideratamente esposto.
-Malfoy.- lo richiamò Potter, -Non lo so neanche io. So solo che va bene. Credo che…una parte di me lo aspettasse.
Quella ammissione così candida, senza sotterfugi, lo spiazzò ancora una volta. Perché diavolo Potter doveva essere sempre così sincero?
-Voglio dire…non è la prima volta e…ok, è stato diverso ma…Credo che da qualche parte, lo volessi. Volevo che succedesse. Non mi sono tirato indietro, Malfoy. E non so spiegarmelo diversamente.- stava dicendo Potter, distogliendo lo sguardo imbarazzato. Draco fece un passo indietro, schiaffeggiato da quella consapevolezza, talmente ben nascosta da poter essere facilmente aggirata.
Era stato lui a desiderare quel contatto, a innescare quel meccanismo, quasi senza averne coscienza e quella sera, in un momento puramente istintivo, in preda all’alcool ed alle debolezze, la prima persona ad aver cercato era stata Potter. Si era avventato su di lui, senza riflettere, senza pensar ad altro che a sentire il corpo ed il cuore di Potter contro di sé. Voleva dirsi che era stato solo per sentirsi meglio, per sfogare tutta la sua rabbia, per alleviare il dolore. Ma non era solo quello. Draco lo aveva ignorato, ma lo sapeva, e adesso era Potter a costringerlo a scendere a patti con se stesso, a parlarsi.
-Ero…curioso, immagino- disse il ragazzo di fronte a lui, rompendo il silenzio, ancora una volta, come a sentirsi in dovere di alleviare quell’imbarazzo che aleggiava tra loro.
-Dopo quella volta, intendo…Ho cercato di non pensarci, ma alla fine…Ne avevo bisogno, ricordi? Sono stato anch’io ad ammetterlo. E forse si tratta solo di ricevere conforto o forse si tratta di un altro genere di bisogno insomma…Non lo so, mi sono talmente impegnato a non pensarci, che alla fine…Credo che se non fossi venuto qui, stasera, sarebbe comunque successo prima o poi. Come se fosse inevitabile…Voglio dire…-
Potter continuava a blaterare cose senza senso, come cercasse di pensare ad alta voce, per convincerlo che non c’era niente di sbagliato, che non Draco non aveva nessuna colpa.
-Potter, di che stai parlando?- lo interruppe Draco, ormai spazientito da quel chiacchierare frenetico.
Il ragazzo si zittì, guardandolo smarrito. Non aveva la minima idea di quello che stava dicendo, era evidente, era solo un modo per non lasciare che il silenzio li allontanasse, ognuno aggrovigliato nei propri pensieri. Era come se Potter cercasse di trattenerlo, come nell’abbraccio.
-Sto dicendo che…le cose succedono. E non c’è sempre un perché. A volte succedono e basta. A volte non possiamo controllarle. A volte sono indipendenti da noi, inevitabili.
-Niente di questo era inevitabile, Potter!- disse Draco, la voce carica di un rancore che non aveva potuto far a meno di celare, sebbene non sapesse spiegarsi da dove arrivasse.
-È successo. Fine della storia.- rispose Potter con un tono amaro, come in un’ammissione senza repliche. Draco lo guardò smarrito per un attimo, poi rivide negli occhi di Potter quel luccichio speranzoso e inarcò un sopracciglio. Sentiva di aver commesso l’ennesimo sbaglio, di aver oltrepassato l’ennesimo limite, di essersi macchiato dell’ennesima colpa. Aveva rimesso in discussione le certezze di Potter, senza rendersene conto, senza preoccuparsi delle conseguenze, magari giocando con la sua vita. E per cosa? Perché si sentiva troppo in colpa, perché voleva sentirsi meglio, credere di poter essere una persona migliore. Sapeva che se avesse dato voce ai suoi pensieri, in quel momento Potter lo avrebbe ascoltato senza riserve.
-Le cose succedono, eh? Senza un perché. Senza condizioni. Solo…succedono.- disse, nella voce l’ombra del solito scherno beffardo. Potter finalmente si concesse un timido sorriso.
-Beh, certo…bisogna trovarsi al posto giusto, nel momento giusto.- rispose Potter, senza guardarlo negli occhi.
-Cosa ti fa pensare che questo sia giusto?
La domanda, Draco ne era sicuro, si era conficcata in profondità, perché Potter spalancò gli occhi, schiudendo le labbra, mentre fingeva di trovare interessanti le assi di legno del pavimento. Draco sospirò e fece un passo avanti, per oltrepassarlo e raggiungere la porta, uscendo da quella casa, allontanandosi e scappando da quella situazione scomoda.
La mano di Potter si strinse sul suo braccio, bloccandolo, trattenendolo, e Draco fu investito dalle parole di Potter, inconsapevolmente intense ed esatte:
-Lo volevo quanto lo volevi tu. Come può non essere giusto? 

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Capitolo 25
*** In.Finito ***


XXV. In.Finito
 
- Perché io e quelli che amo scegliamo persone che ci trattano come se fossimo nulla?
- Perché accettiamo l’amore che pensiamo di meritarci.  
Noi siamo infinito.
 
Draco era immobile, incapace di compiere quel passo necessario che ci consentisse di lasciarsi tutto alle spalle, incapace di riavvolgere il filo delle proprie azioni, e tornare indietro. Dava le spalle a Potter, che ancora stringeva la presa sul suo braccio, e credeva che quello fosse davvero l’unico punto di contatto con il mondo esterno. L’unico appiglio per non lasciarsi scivolare a terra, per non cedere alla disfatta, allo sgretolarsi dei mille pezzi che aveva senza successo rimesso insieme. Paradossale che quel sostegno non l’avesse nemmeno richiesto: era stato Potter a fermarlo, ancora una volta, a metterlo di fronte all’evidenza, costringendolo a trovare il coraggio di affrontarsi. Avrebbe potuto divincolarsi, sfuggire. Ma per andare dove? Come avrebbe potuto anche solo immaginare un percorso da seguire, una porzione d’asfalto sulla quale abbandonare i propri passi?
-Lo volevo quanto lo volevi tu. Come può non essere giusto?
Le parole di Potter erano così semplici, essenziali, riempivano il silenzio con quell’ineluttabile esattezza tipica della verità, incontestabile.
Draco chinò il capo, chiudendo gli occhi, desiderando di smettere di pensare, di scansare i ricordi che si facevano spazio nella sua mente. La promessa che si era fatto, prepotente, premeva sulla sua coscienza, ricordandogli quello che aveva sofferto e superato, sebbene non del tutto. La razionalità spargeva sale, su quella ferita non ancora rimarginata, come a ricordargli gli sbagli compiuti, e tutti avevano lo stesso nome: Theodore.
Credeva a quel sentimento che lo aveva legato a Theo, ci aveva creduto fino a ferirsene, fino a non accettare la realtà, a giustificarlo, proteggerlo, mettendolo prima di se stesso… fino alla notte dell’incendio. La notte in cui si era spinto troppo oltre, in cui tornare indietro sarebbe stato impossibile. No, non lo era stato. Blaise lo aveva trattenuto, mille volte, dal cedere, ed era principalmente grazie al suo migliore amico che aveva riacquistato una propria specie di equilibrio, e Draco non avrebbe mai trovato le parole adeguate per ringraziarlo, lo sapeva. Eppure al primo accenno di tempesta tutto si era nuovamente sgretolato fra le sue mani, sabbia tagliente, che infettava ogni sua cellula. Fallimento, sentiva sussurrare da una voce sconosciuta, nella sua testa. Ciò che più lo terrorizzava era ricommettere gli stessi errori, era quella la verità che era stato talmente bravo nel celare a se stesso. Tremava al pensiero di poter abbandonarsi di nuovo ad un’emozione. Per tutto quel tempo non aveva fatto altro che recuperare i detriti di quella stessa sabbia che dilaniava le sue ferite, per costruire un muro invalicabile attorno a sé, una barriera che impedisse alle emozioni di raggiungerlo, sconvolgerlo. Si era negato così ostinatamente persino a ste stesso che adesso non era facile trovare una risposta alle parole di Potter, che ancora non lo lasciava andare, che sembrava non voler minimamente arrendersi.
-Ho fatto talmente tante scelte sbagliate, Potter, da non saper più distinguere quelle giuste.- disse, con un filo di voce, il capo ancora chino, e sul viso l’espressione di chi non sente più il bisogno di nascondersi, sebbene Potter non potesse vederla.
Potter allentò la presa, lentamente, come avesse capito che Draco non sarebbe scappato via, come se quelle parole fossero un tacito accordo.
-Quanto a lungo dovrai ancora condannarti, Malfoy? Tutti sbagliamo, ogni giorno. È così che funziona la vita: prove ed errori. E se ogni tanto si compie una scelta sbagliata beh…basta saper rimediare. E andare avanti. Perché è questa l’unica cosa che possiamo fare: andare avanti.- disse Potter, con la voce ferma, calda e rassicurante. E Draco si sentì in un attimo assolto, perdonato. Sentì che anche per lui poteva esserci una vera possibilità. Sapeva che quelle parole, seppur diverse, erano le stesse di Blaise, ma la voce di Potter le rendeva diverse…vere. Si voltò, per fronteggiare l’altro, quasi avesse trovato la forza di rispondergli, di spiegargli, quasi si sentisse adeguato, autorizzato a guardarlo finalmente negli occhi.
-Ho avuto un incubo, l’altra notte, che mi ha ricordato delle cose che avrei voluto dimenticare.- Draco non riusciva nemmeno a spiegare a se stesso perché stesse dicendo quelle parole, da quale parte di sé provenissero, o come fossero state articolare, - Ho sognato della notte in cui ho fatto una scelta a cui non potrò mai rimediare. La notte in cui ho perso la persona che amavo. E in cui ho capito, accettato, chi questa persona fosse in realtà. In cui ho toccato il fondo, e perso me stesso.
Fece una pausa, abbassando lo sguardo, Potter di fronte a lui lo osservava assorto, in silenzio, forse quasi in apnea.
-Sognarlo e…ricordarlo è stato doloroso, difficile. E così ho bevuto. Ho cacciato Blaise e ho bevuto. Ho continuato a bere. Ma i ricordi restavano lì…
La voce gli tremava adesso ma Draco era troppo determinato, troppo risoluto per fermarsi, per smettere di parlare e per lasciare che gli occhi straripassero.
-E sono venuto qui…forse perché volevo mandarti a quel paese, insultarti, e sputarti addosso la mia rabbia, il mio odio. Pensavo mi avrebbe aiutato. Ferire qualcuno…Ferire te. Per allontanare i ricordi. Per smettere di sentire quanto faccia male…ancora. Ma poi…Hai aperto la porta, prima ancora che bussassi, e stavi lì, e senza farmi domande mi hai fatto entrare…Senza neanche chiedermi cosa diavolo fossi venuto a fare, senza neanche guardarmi negli occhi. Semplicemente hai aperto la porta e…Poi non so cosa mi sia preso. Solo avevo bisogno di…
Potter gli mise un dito sulle labbra, riportando gli occhi di Draco, adesso sorpresi, nei suoi.
-Basta…- disse l’ex-Grifondoro, semplicemente. E sorrise. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e a Draco quel sorriso sembrò una benedizione.
 
***
 
Hermione, seduta sul divano, osservava le mille sfumature sfilare sul volto del suo ragazzo. La lettera di Ginny era ormai accartocciata nelle sue mani, mentre Ron continuava a riprodurre suoni composti metà da sillabe metà da grugniti. La ragazza non osava proferir parola, e in silenzio ascoltava tutta una serie di improperi e rimproveri rivolti ad un’interlocutrice assente:
-Miseriaccia, Ginny! Ma cos’ha che non va quella ragazza? Insomma, che le passa per la testa? Lasciare Harry! Hermione, dico…ti rendi conto? Ha lasciato Harry! Dev’essere impazzita. Dove lo trova, dico io?! Dove lo trova uno migliore di Harry! Miseriaccia! Gli va dietro da quando aveva dieci anni, Herm! Dieci anni, per Merlino!
Ron, sbraitando, aveva preso a camminare avanti e dietro furiosamente, sotto lo sguardo vigile di un’Hermione sempre più senza parole.
-Ma…perché, dannazione, Ginny! Perché? Stava andando tutto così bene… Oh Godric, chissà come l’ha presa Harry! Vedrai è solo un brutto periodo…Devo farla rinsavire! Hermione, noi…Noi dobbiamo fare qualcosa! Andremo ad Hogwarts, ecco che faremo. Ma prima da Harry…E poi…
Ormai il discorso di Ron aveva perso qualsiasi filo logico, la sua voce rincorreva frasi smozzicate, in preda al panico. Succedeva sempre, quando Ron sentiva di non avere il controllo della situazione, quando si sentiva impotente e cercava di cambiare il corso di eventi assolutamente indipendenti da lui. Ogni volta, Hermione, lo osservava in silenzio, lasciando che il suo ragazzo si sfogasse, per poi affiancarlo, poggiargli una mano sulla spalla e dirgli che tutto sarebbe andato bene. Non questa volta. Hermione non aveva risposte, punti fermi, per poterlo rassicurare. Sapeva che le cose tra Ginny ed Harry non andassero meravigliosamente, ma ancora faceva fatica ad accettare il contenuto irreversibile di quella lettera. Ginny stava crescendo, era comprensibile le sorgessero dei dubbi su ciò che fino a quel momento aveva dato per scontato. Ma da lì a compiere quella scelta così radicale…Hermione avrebbe voluto riempire chilometri e chilometri di pergamena, porgere a Ginny delle domande, portarla a ragionare, convincerla che fosse solo un periodo buio della relazione con Harry. Ma aveva come l’ammutolita certezza che non una parola avrebbe smosso quella che sembrava essere una decisione inamovibile, definitiva.
-Noi non faremo proprio niente, Ronald. Tua sorella è abbastanza grande da sapere cosa è giusto e cosa non lo è, per se stessa ed anche per Harry.- disse Hermione con voce piatta, mentre, sotto lo sguardo attonito di Ron, si sentiva sprofondare tra i cuscini soffici del proprio divano.
-Grande abbastanza? Ha diciassette anni! Cosa può capirne? Bisogna che qualcuno stia…
-Ron!- esplose Hermione, interrompendolo, - Questa scelta non ci compete. Spetta solo a Ginny e… no, non possiamo farci niente. Non ha lasciato Harry perché quell’idiota non le dedica attenzioni, non l’ha lasciato perché la distanza ha affievolito quello che prova, e neanche perché qualcun altro le fa il filo! Maledizione, Ron…Ginny non lo ama più. E niente…NIENTE, cambierà questa cosa. Quindi… accettala! Possiamo solo star accanto ad Harry.
Ron, improvvisamente rassegnato all’evidenza, si lasciò cadere sul divano al fianco di Hermione, ancora con le guance arrossate e gli occhi fiammeggianti dalla sfuriata.
Il ragazzo fissò il vuoto per un po’, chinando il capo, avvilito, poi in un gesto fulmineo abbracciò Hermione e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo sussurrò:
-Non farmi mai una cosa del genere.
Hermione lo strinse un po’ più forte.
 
***
 
-E così la Granger crede ci sia una parola d’ordine a proteggere questa roba, eh?
Malfoy lo osservava leggermente perplesso, oltre il bordo della tazza di thé fumante.
-La fai sembrare una cosa del tutto priva di senso.
-Perché è del tutto priva di senso, Potter!
Erano in cucina, seduti l’uno di fronte all’altro, protetti dalle rispettive tazze, come immersi in un’atmosfera senza spazio e senza tempo, dove non esisteva nient’altro che le pareti della cucina, senza un prima né un dopo, solo quell’istante, a parlare normalmente, di nuovo Potter e Malfoy, come se nulla fosse successo. Non che ad Harry dispiacesse, lo trovava quasi confortante, non dover far i conti con quello che era successo, non ostinarsi a trovare spiegazioni. Eppure ogni volta che Malfoy portava la porcellana alle labbra, Harry non poteva far a meno di risentire quel tocco sulle proprie, quella sensazione famelica talmente familiare da sconvolgerlo, da farlo vergognare come un ladro. E non poteva far altro che concentrarsi su quel momento, su quella ingenua farsa che stavano portando avanti, cercando di scacciare quell’emozione conturbante.
-Sentiamo allora, quale sarebbe la tua teoria?- disse Harry deglutendo. Si disse che se concentrarsi su qualcosa di concreto avrebbe aiutato. Malfoy inarcò un sopracciglio, ponderando un po’ la risposta, poi si sporse sul tavolo, incrociando le braccia al petto.
-Ci hai scritto sopra, no? E non ne hai ottenuto nulla. Punto numero uno: esistono degli appositi incantesimi di dissimulazione per oggetti di questo genere, per eludere qualsiasi intrusione diversa da quelle legittime. Punto numero due: quando l’ho toccato, ho avuto la netta impressione che si trattasse di un diario, perché ho percepito dei ricordi rinchiusi lì dentro, ma non ho assistito a nessuno di quei ricordi, perché non erano destinati a me. Il che ci porta al punto numero tre: quando un oggetto magico è protetto respinge chiunque cerchi di violarlo, tranne il proprietario ed il destinatario. A rigor di logica, date le considerazioni precedenti, Potter, converrai con me nel dire che…
-Il diario vuole essere letto!- proruppe Harry, quasi illuminato, interrompendo bruscamente Malfoy, che lo guardò leggermente infastidito.
-Io avrei detto piuttosto che il proprietario voleva che qualcuno lo leggesse, ma l’idea è quella, sì.- disse il ragazzo, riagguantando la tazza da thé, con aria soddisfatta.
-Un momento però…- riprese Harry dubbioso, -Come spieghi il fatto ch’io non sia in grado di leggerlo? Ammesso che il diario sia appartenuto a Sirius, dato che si trovava nella sua stanza, allora… deve averlo lasciato per me, come un messaggio nascosto. Eppure solo tu e Ron avete percepito qualcosa. E ancora: il diario non ha reagito in nessun modo quando sono stato io a scrivere! Ma secondo il tuo ragionamento…
Malfoy si lasciò sfuggire un ghigno divertito:
-Dai troppe cose per scontate, Potter. Chi ha mai detto che il destinatario fossi tu?
 
***
 
 
La sua mano vagava pigramente tra quei capelli scuri morbidi, seguendo percorsi astratti e un passo più in là alla rassicurazione. Pansy, in silenzio, accarezzava i capelli di Blaise, adesso finalmente libero da quella facciata di calma e freddezza, adesso finalmente accoccolato sulle sue gambe come un gatto. Avevano perso il conto dei bicchieri, e dei ricordi che quella situazione aveva riportato a galla. All’inizio era stato doloroso, il racconto dell’incontro con Theodore, la reazione di Draco, il freddo di quelle notti che nessuno avrebbe potuto dimenticare. Pansy, come tutti del resto, aveva finto di rimuovere quella parte di una vita che sembrava non esserle mai appartenuta, aveva messo su ampi sorrisi di circostanza e aveva tirato avanti. Ma l’orrore stava lì, nascosto da qualche parte, sempre in agguato. Sapeva che anche per i suoi migliori amici fosse così, l’incubo di Draco ne era la prova. Eppure Pansy, con quel suo fare superficiale, era riuscita a scacciarlo un’altra volta, quella sera, sul divano di Blaise, dopo qualche bicchiere e racconto divertente, di quelli al tempo della scuola, quando bastava star seduti in Sala Comune per sentirsi al sicuro, a casa, amata dalla propria famiglia. Era sempre così per lei: Draco era l’amico problematico, complicato e troppo spesso confuso. Blaise era l’ancora, il porto sicuro in cui approdare quando la tempesta imperversava, sempre confortante. Theodore, per quanto facesse male, era la certezza, la risoluzione, l’assoluto. Era sempre stato il più inamovibile di loro, quello con un obiettivo: vendetta. E lei? A lei era stato riservato il ruolo dell’amica un po’ matta, sempre frivola, dalla risata facile. Le andava bene, perché sapeva che ne andava dell’equilibrio del gruppo, ed aveva finito per piacerle quel ruolo, un po’ da clown. Non che potesse fare altrimenti, i suoi amici avevano bisogno di quella Pansy. Ma poi il destino aveva rimescolato le carte in tavola, fregandosene di equilibri, di bisogni e di progetti per il futuro. Li aveva investiti in pieno, senza riguardi, senza chieder permesso o scusarsi. E Draco era diventato tormento, Blaise impotenza, Theodore morte…di lei che ne era stato? Trucco sbavato e occhi serrati, aspettando che il peggio passasse, perché ad ogni tempesta c’è una fine. E quando il miracolo di essere sopravvissuti li investì, ognuno era solo a rimettere insieme i pezzi della propria vita, ognuno lontano da se stesso e dagli altri. Solo.
Pansy sapeva che nulla sarebbe tornato come prima, ma c’erano momenti, come quello, che riusciva quasi a risentire il calore del camino della Sala Comune, a risentire di avere un posto da chiamare casa.
Blaise, lì con la testa sulle sue gambe, si era finalmente addormentato, abbassando le sue difese, come sempre era stato capace di fare in presenza di Pansy, e la ragazza finalmente si concesse una lacrima silenziosa. Una sola.
I tempi del trucco sbavato erano finiti, sebbene si ostinassero a tornare. Pansy sapeva che era tempo di riprendere il proprio ruolo, così senza far rumore agguantò un cuscino e sgattaiolò via, concedendo a Blaise un meritato riposo. 
 
***
 
Draco guardava la fronte aggrottata di Potter e la trovava divertente, senza una reale motivazione logica, solo buffa. Era tutto così irreale e ovattato, da portarlo a chiedersi se si trovasse ancora nella stessa dimensione, se non ci fosse uno strano sortilegio che lo avesse purificato una volta varcata la soglia della casa di Potter. Come una catarsi, solo più violenta: aveva imboccato la porta, si era avventato sulle labbra piene di Potter, e adesso era pulito. In grado di pensare che un’espressione potesse essere buffa. Aveva dell’incredibile. Il tempo sembrava essersi ridotto ai minimi termini: qui ed ora. E Draco ne era grato, non sapeva perché, ma non poteva che esserne grato.
Certo, l’astuto pretesto di Potter di concentrarsi sul concreto, su mistero irrisolto del diario, era stato un buon deterrente, una trovata molto Grifondoro, eppure molto geniale. Faceva fatica ad ammetterlo, ovvio, ma era stato furbo da parte dell’altro, focalizzarsi su quell’oggetto, piuttosto che su quello che era successo. Ma qualcosa di inquieto suggeriva sibillino al suo orecchio che c’era ancora bisogno di parlare, di spiegare. Una parte maliziosa di Draco continuava a spingerlo oltre il bordo del tavolo, solo per scoprire cosa sarebbe successo. Potter, di fronte a lui, continuava a sfogliare quelle pagine bianche, sempre più perplesso. Draco lo osservava in silenzio, cercando di decifrare quell’espressione assorta, guardandola sfumare e riadattarsi ad ogni pagina, scrutando ogni singola piega delle labbra, sconvolgendosi nel rendersi conto di quanto lontano potesse vagare la mente di Potter, sebbene si ostinasse a rimanere legato all’irriducibile. Non sapeva come, ma era sicuro che i pensieri di Potter fossero costantemente rivolti al salone, all’ingresso di casa propria, alla porta di legno.
-Stavo pensando…- disse improvvisamente l’ex-Grifondoro, -Se solo tu e Ron siete riusciti a percepire qualcosa…forse il destinatario può essere…sì, insomma: né io né Herm ne abbiamo cavato nulla. Quindi mi chiedevo…se il destinatario fosse un…
-Un purosangue? Non è da escludere.- lo interruppe Draco, lasciandosi scivolare sulla sedia, con fare del tutto casuale, cosa che fece sobbalzare lievemente Potter.
- Ricapitolando: il diario può essere letto solo dal legittimo destinatario, che con buone probabilità è un purosangue…pensi ci sia modo di capire chi fosse questo destinatario, chi il proprietario? E, in sintesi, di capire se questo diario può in qualche modo essere pericoloso?
Draco lo guardava come affascinato. Non riusciva a credere quanto Potter potesse essere ostinato, nell’eludere persino se stesso, spendendo tutta la propria attenzione su quegli obiettivi così lontani da un bisogno che gli si poteva chiaramente leggere in faccia. Era così risoluto a risolvere quelle domande, forse proprio per sfuggire a l’unico interrogativo che in quel momento punzecchiava entrambi. Draco ne era ammirato: con quanta determinazione si può sfuggire da se stessi?
-Potter è solo un diario, che con buona probabilità contiene dei ricordi importanti. Ovvio che può essere pericoloso. In più è protetto, il che significa che quei ricordi non devono essere condivisi con nessuno, se non il destinatario.
-Ma c’è un modo, giusto? Malfoy, dimmi che c’è…
La veemenza nel suo tono gli era completamente estranea, gli dava sui nervi quell’ossessione, e Draco non riusciva proprio a giustificarla.
-Perché è così importante, Potter?- disse automaticamente, senza riuscire a trattenersi, come avesse relegato ancora una volta la razionalità nel più remoto angolo della propria coscienza. E non poté far a meno di prendersela anche con se stesso, perché Potter aveva quell’inconsapevole bravura nel farlo smettere di pensare, di agire coerentemente?
Potter lo guardò come risentito, ma con quello sguardo limpido, senza accuse, come di un bambino deluso dal gusto della propria TuttiGusti+1 preferita.
-Perché qualcosa mi dice che è di Sirius. Qualcosa mi fa pensare che il destinatario fosse lui e…è un modo per sentirlo vicino, come di riaverlo qui, capisci? Magari si tratta di una delle solite idiozie tra lui e mio padre e… Lo so che è idiota e che non te ne può fregare di meno ma…Era il mio padrino. E se questo oggetto può ridarmi qualcosa che mi è stato tolto, allora…
Draco alzò una mano, per interromperlo. Poi sospirò, sotto quello sguardo speranzoso, chiedendosi cosa lo portava a farlo…
-C’è, Potter. Il modo c’è…- disse riluttante.
Quegli occhi primaverili si illuminarono, provocando a Draco un’inspiegabile sensazione di benessere, di esattezza. E per una volta decise che non era il caso di ignorarla, di inorridire. Per l’ennesima volta, trasse un profondo respiro, osservando Potter completamente in silenzio, in attesa del seguito della sua proposta:
-Se le mie intuizioni sono esatte, credo di aver capito di cosa si tratta…Avevo qualcosa di simile una volta, un regalo che mi è stato fatto…ma si trattava di un ricordo solo, ed il destinatario ero io, quindi è stato facile. Basta un incantesimo, che non credo sia di quelli che tu e i tuoi amichetti apprezzereste.- Draco fece una pausa, guardando l’espressione di Potter farsi solo un po’ più grave, -Serve il sangue del destinatario.- sputò fuori, prima che Potter potesse anche solo immaginare di ribattere.
-Malfoy…
-No, prima che tu lo chieda, non lo definirei un incantesimo propriamente oscuro. Certo, richiede un minimo spargimento di sangue, Potter, ma non sto parlando di un’ecatombe. Il sangue del destinatario è la chiave d’accesso, per così dire. Poi bisogna pronunciare una banalissima formula. E il gioco è fatto…
Concluso cautamente il discorso, Draco era preparato alla sfuriata di Potter sulla magia oscura, sulle conseguenze dell’uso di determinati incantesimi, era persino preparato a ricevere degli insulti, di certo non era pronto a quello che seguì:
-E se il destinatario fosse morto?
Draco strabuzzò gli occhi, piacevolmente sorpreso da quella reazione controllata, che sembrava naturale, spontanea. Aveva appena ammesso di conoscere, e di aver addirittura praticato, un incantesimo oscuro, e Potter non aveva battuto ciglio. Degno del peggiore dei Serpeverde, Draco doveva ammetterlo. Si chiese se ci fosse una minima parte di Potter che potesse essere sicuro di conoscere. No, quel ragazzo era una continua scoperta, e questo, Draco lo sapeva, continuava ad attrarlo fatalmente.
-Immagino si possa trovare una soluzione…Non sono sicuro della riuscita però.
Potter sembrò illuminarsi di nuovo, come colto da una folle consapevolezza, come si fosse sintonizzato sulla stessa frequenza dei pensieri di Draco, ed euforico lo guardava quasi avesse scoperto la pietra filosofale.
-Tu! Tu sei un Black…un Black a metà…voglio dire…
A Draco per poco non scappò una risata mentre si chiedeva se Potter fosse in grado di articolare una frase compiuta. Trovava quell'esaltazione tremendamente divertente, ma cercò comunque di placare l’animo di un Potter ormai definitivamente partito per la tangente.
-Ho detto che non sono sicuro che funzioni, Potter, sei sordo? E poi…cosa ti fa credere che ti aiuterò?
Per un attimo, uno soltanto, il viso di Potter lasciò trasparire l’ombra della delusione, per poi aprirsi in un ampio sorriso. L’espressione di Draco doveva averlo tradito, specialmente quando l’ex-Serpeverde, s’era reso conto che inconsciamente aveva dato per scontato di aiutare Potter. La cosa lo atterrì, come un pugno allo stomaco, e lo portò ancora una volta ad interrogarsi sulla propria sanità mentale. Ma ancora una volta fu Potter a ridestarlo:
-Ottimo! Quando si comincia?
 
 
 
 
 
 
Non possiamo scegliere da dove arriviamo,
ma possiamo scegliere dove andare da lì in poi.
 

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Capitolo 26
*** Paura ***


XXVI. Paura.
 
Viveva una volta un giovane innamorato di una stella.
In riva al mare tendeva le braccia e adorava la stella.
La sognava e le rivolgeva i suoi pensieri.
 
Ma sapeva, o credeva di sapere, che le stelle non possono essere abbracciate dall’uomo.

 
Considerava il suo destino amaro senza speranza un astro.
Su questo pensiero costruì un poema di rinunce e di mute sofferenze che dovevano purificarlo e renderlo migliore.
Tutti i suoi sogni però continuavano a essere rivolti alla stella. Una notte si trovava su un alto scoglio in riva al mare e stava guardando la stella ardendo d’amore. Nel momento di maggior desiderio, spiccò un balzo nel vuoto per andare incontro alla stella. Ma nell’attimo stesso in cui si librava nel balzo, un pensiero gli attraversò la mente: no, impossibile che la raggiunga!
E così cadde, perché non sapeva amare.

 
Se mentre si trovava nel vuoto avesse avuto la forza di credere fortemente nel suo amore, sarebbe di certo volato in alto.
 

L’amore non deve contemplare e nemmeno pretendere.

L’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé.”
 
Demian,
Hermann Hesse
 
Dieci ore e trentacinque minuti erano trascorsi, indisturbati e imperturbabili, da quella sensazione di completezza, di benessere, che Harry poteva ancora percepire sulle labbra. Non si era mosso dalla sua cucina, era rimasto seduto lì, a lasciarsi scorrere addosso la notte, immerso in un placido nulla. Ad un passo dalle risposte che cercava, a chilometri di distanza da domande troppo codarde perché facessero capolino.
Malfoy.
Le labbra di Malfoy. Le sue parole. Il suo aiuto. E ancora il suo respiro. L’espressione smarrita nei suoi occhi. Il tremito delle sue dita. La sua voce.
Harry continuava a ripercorrere ogni frammento della sera precedente, concedendosi di tanto in tanto uno sguardo all’orologio attaccato alla parete, giusto per rassicurarsi tutto fluisse normalmente.
E ancora martellava dolcemente quell’emozione fragile, tenera e calda, come fosse un battito leggero. Gli mancava il coraggio di ammettere che, forse, si trattava semplicemente del suo cuore.
Ogni volta che Harry cercava di riportare alla mente l’obiettivo, il diario, quella –dispettosa- prendeva a vorticare e a riportarlo contro il legno compatto della porta di ingresso. Non negava di esserne inquieto, dopo tutto era stata l’ennesima prepotenza di Malfoy, invasiva e irrispettosa…no?
No.
Credeva a quello che aveva detto. Sapeva quanta verità ci fosse nella sua voce, quando aveva dichiarato quanto anche lui lo volesse. Non ne era ancora consapevole, no, quando lo aveva detto, ma la frase aveva violato il silenzio, come dotata di volontà propria, e lo aveva tradito, tagliente come solo la verità poteva essere. Sì, lo aveva voluto, lo voleva da un po’, sebbene non lo avesse mai ammesso a se stesso. Voleva che Malfoy abbattesse quella barriera e lo trascinasse in quel vortice illogico. Trovarne il perché, però, lo gettava nel panico. Si trattava di un uomo, e già la cosa lo turbava non poco, e non uno qualunque: Malfoy.  
L’irrazionale prendeva il sopravvento non appena cercava di capacitarsi dell’accaduto, ed artigliava la coscienza di Harry riportandolo esattamente a quel momento, costringendolo piacevolmente ad assaporarlo ogni volta. Ma via via la sensazione si faceva più sbiadita, ed Harry percepiva una frustrazione crescente mentre anche i più insignificanti dettagli scivolavano via. Quella sensazione, sarebbe diventata flebile, impalpabile, fino a svanire. E qualcosa dentro di lui, lo spingeva tenacemente a trattenere quel ricordo, a non lasciarlo andare. Desiderava conservarne avidamente ogni frammento, anche se non sapeva perché, e quasi trasalì quando si scoprì a desiderare succedesse ancora, ed ancora, ed ancora. Solo… Per non dimenticare.
Era stata una battaglia, un ferirsi, un cercare la supremazia. Era l’essenza di ciò che sempre c’era stato tra lui e Malfoy, Harry lo sapeva. Ma gli sembrava di percepire dell’altro, qualcosa di intossicante, di corrosivo, qualcosa che avrebbe potuto farlo impazzire di gioia o ucciderlo per sempre. Era qualcosa di coinvolgente, aldilà di ogni certezza, eppure già definito, certo. Inspiegabile.
E mentre si arrovellava, Harry si costringeva a riportare l’attenzione sul diario e su interrogativi meno intricati e pericolosi. La possibilità di sapere cosa si celasse tra quelle pagine, di poter riappropriarsi anche solo di pochi attimi della vita di Sirius, e magari dei suoi genitori, quella remota eventualità di riuscire a trattenerli ancora un po’ con sé…lo esaltava, piantando in lui il seme della speranza.
Quando un grosso gufo grigio tamburellò contro il vetro della finestra della cucina, Harry sobbalzò stupito, riconoscendo quel gufo come uno di quelli di Hogwarts.
 
***
 
Draco, sbuffando, tirò fin sulla testa le lenzuola scure, mentre un raggio di sole lo punzecchiava fastidioso, facendogli notare con dispetto che non aveva chiuso occhio quella notte. Come avrebbe potuto? Aveva passato metà di quella stessa notte ad ingarbugliare ancora di più la propria vita, prima sulle labbra di Potter, poi tra le pagine di un diario candido. L’altra metà l’aveva passata a maledirsi. E all’alba, era già troppo tardi per dormire, troppo presto per gettarsi giù dal letto e riempire la giornata per poter così scappare dai pensieri. Lo rassicurò l’idea che quel giorno sarebbero ricominciate le lezioni, ma finse di trascurare il fatto che avrebbe, di lì a poche ore, rivisto Potter.
-Draco…Sei sveglio?
Il cigolio della porta che si richiudeva, non gli concesse di non riconoscere quella voce. Il suo orgoglio gli intimava di non rispondere, ma il senso di colpa sembrava aver la meglio in quel momento, e così mugugnò qualcosa in risposta, fingendo di essere appena sveglio.
-Sono venuto ieri sera, ma non c’eri. Io…
Poche volte aveva percepito tracce di titubanza nella voce di Blaise, e la cosa non mancava mai di sorprenderlo. Si tirò a sedere sul letto, cercando gli occhi dell’amico, fissi per terra, troppo in imbarazzo per sollevarsi.
-Sì, lo so…non dovrei essere qui, ma sentivo il bisogno di…
-Blaise, ho combinato un casino.- disse Draco, interrompendolo, e attirando finalmente lo sguardo, sebbene allarmato, del suo migliore amico su di sé. Blaise non fece domande, si accomodò al suo fianco, sul letto, e guardandolo intensamente, ebbe un altro attimo di esitazione. Per un attimo, Draco, rimase interdetto, quando sentì le braccia dell’amico stringerlo, in quello che doveva essere uno dei rari abbracci che Blaise gli avesse mai dedicato.
E non ci fu bisogno di scuse, di sensi di colpa, di altre parole, semplicemente tutto si dissolse, in quel legame un po’ imbarazzato, e quando l’abbraccio si sciolse, così s’era sciolta anche l’ombra del rancore che li aveva portati ad un litigio che adesso non sembrava neanche più così rilevante. Blaise gli sorrideva adesso, guardandolo negli occhi, e per lui quello era l’importante. Sapere che, qualunque cosa fosse accaduta, lui sarebbe rimasto al suo fianco, faceva sentire Draco tremendamente grato, nonostante tutto il male avesse provato.
-Non importa. Anch’io ultimamente ho fatto qualche casino, ma non importa. È tutto sistemato.- disse Blaise, rassicurante e fraterno, come sempre.
A Draco quasi non scappò una risata, prima di dire:
-No, Blaise, sul serio…ho fatto davvero un grosso casino.- si passò la mano sul viso, poi sospirò, sentendo il respiro di Blaise trattenersi, come temesse il peggio, -Ho baciato Potter.
 
***
 
La lettera si accartocciava mogia tra le braci del camino, acceso esclusivamente per quello scopo, mentre Harry fissava intensamente il nome di Ginny sbiadirsi, l’inchiostro dilatarsi e spegnersi, tra le fiamme. Gli sembrava di star guardando negli occhi il fallimento, qualcosa che era stato, che poteva intensamente essere e che non c’era più. Per quanto ogni parola di Ginny suonasse esatta, razionale, e vera, Harry non poteva far a meno di recriminarsi, colpevolizzarsi: per quel che non aveva fatto, più che per la materialità dei suoi gesti. Finì per dirsi che era meglio così, che probabilmente non sarebbe mai stato in grado di dar a Ginny quel che desiderava, la normalità di un sentimento che si era consumato tanto velocemente come le parole di quella lettera, tra le fiamme tremule. Lui, portatore sano di emozioni, incapace di infonderle nella ragazza che era stata per lui un conforto, un confronto, un’amica, l’ebrezza della scoperta, ed anche una sorella.
Ma per quanto potesse arrovellarsi, non trovava errori nel suo comportamento. Harry aveva come inconsapevolmente scelto di non esserci, frenato dalla paura di sbagliare, piuttosto che esserci e rovinare tutto. E aveva finito per lasciare Ginny alla deriva. Avrebbe voluto riuscire a vestirsi d’indifferenza, ma quella verità continuava furiosa a sbattergli contro. Si era tirato indietro, e non aveva scuse. E ciò che lo feriva ancor di più era l’assenza di un dispiacere, di una disperazione, di uno stimolo a lottare per ciò che aveva perso. Era come se una parte di lui sospettasse quell’epilogo già da tempo, una parte che aveva accuratamente evitato.  
Avrebbe voluto maledirsi, accorarsi contro la sua scarsa accortezza, dilaniarsi, ma non c’era niente, se non la glaciale consapevolezza che fosse giusto così. Avrebbe finito per accettare quell’assenza di emozione, lo sapeva, ma non poteva far a meno di chiedersene il perché.
Quando la pergamena si sbiancò fino ad ingrigirsi, Harry sollevò lo sguardo in cerca del battito del tempo, nella speranza fosse già in ritardo, per poter correre a lezione, e lasciarsi alle spalle il muto richiamo della propria coscienza.
 
***
 
-Concludendo, il ripasso delle tecniche per un buon incantesimo non verbale, vorrei introdurre un nuovo argomento del programma, in quest’ultima parte della lezione. E mi aspetto la massima attenzione, data la delicatezza del tema. Come molti di voi già sapranno, o così mi auguro, l’Occlumanzia e il suo opposto, la Legimanzia, sono arti magiche raffinate e potenti. Immagino che molti di voi le riterranno tecniche inerti e poco utili sul campo di battaglia. Temo, Cadetti, che vi sbagliate.
La voce della Chappels, severa e sostenuta, aveva un che di rassicurante, in quel momento. Draco, seduto in ultima fila, stava distrattamente seguendo il monologo della donna, perso in altri pensieri, grato gli fosse stata concessa una lezione teorica. Ripensò a Blaise, al suo essere un fuori classe nel risolvere i casini che combinava. Non solo aveva trovato un modo per sventare la miseria della sua situazione finanziaria, ma aveva, seppur in parte, risolto completamente il problema, assumendosi responsabilità cui lui stesso era scappato. Ed era rimasto al suo fianco, nonostante i suoi stessi rifiuti, consigliandolo e tenendolo ancorato a terra. Si disse che, una volta trovato il fondo per le emergenze, avrebbe dovuto sdebitarsi in qualche modo. Blaise si era speso per lui, in un modo che non sarebbe mai stato in grado di eguagliare, ricevendo in cambio solo la possibilità di essergli accanto. Gli scappò un sorriso, riportando alla mente le parole di quella mattina:
 
-Hai baciato Potter? Buon per lui. Tardo com’è si starà ancora chiedendo cosa sia successo. Il che, Draco, ci da’ il vantaggio necessario per occuparci di questioni più urgenti.
 
Istintivamente lo sguardo di Draco vagò per la classe, alla ricerca di Potter, per poi abbandonarsi pigramente sulla sua figura, di spalle, quattro banchi distante. Era arrivato in ritardo, come suo solito, con la faccia di chi non avesse dormito per nulla, e gli occhi bassi, troppo vigliacchi per cercare quelli di Draco. Eppure, sembrava esserci qualcos’altro, una leggera inquietudine, nei movimenti di Potter, Draco non aveva potuto far a meno di notarla.
-L’Occlumanzia, Cadetti, in battaglia può darvi un enorme vantaggio, è una difesa ferrea e vi consentirà un attacco indiretto. La Legimanzia, di contro, può essere la chiave del vostro successo. Non c’è niente di più potente che poter sviscerare i pensieri più nascosti del nemico che vi sta difronte. L’insieme di queste due tecniche vi permetterà di prevedere un attacco e allo stesso tempo di agire nella piena inconsapevolezza dell’avversario. Ma veniamo all’ultima parte della lezione di oggi, che purtroppo risulterà abbastanza noiosa, per la maggioranza di voi.
La Chappels aveva preso a muoversi fra i banchi, procedendo con passo lento e deciso, fino ad affiancare Draco.
-Cadetto Potter, cosa sa dirmi di queste due tecniche?
Draco vide Potter sobbalzare e raddrizzarsi sulla sedia, come fosse stato pungolato improvvisamente, e capì che Potter non avesse la minima idea di quello che stava accadendo in torno a lui, perso ad inseguire i propri pensieri fino ad un attimo prima. Draco non poté far a meno di chiedersi su cosa l’attenzione Potter fosse così dedita, e nascose un ghigno soddisfatto, alzando la mano.
-Sì, Cadetto Malfoy?- disse la Chappels lievemente irritata.
La schiena di Potter, si tese come una corda di violino, Draco lo vide chiaramente, mentre diceva:
-Comandante, mi chiedevo se si potesse rendere la lezione più interessante…Magari con una dimostrazione pratica.
 
***
 
-Proprio un’ottima idea Malfoy, non c’è che dire.- stava borbottando Harry tra sé e sé, in piedi, tra i banchi in cui sedevano i suoi compagni e la cattedra, sulla quale s’era appollaiata la Chappels, che stava dando delle direttive a Malfoy, di fronte a lei. Quando il suo peggiore incubo lo fronteggiò, Harry si morse istintivamente il labbro. Non aveva mai avuto successo con l’Occlumanzia, e sospettava che persino Malfoy lo sapesse, e avesse architettato quella scenetta al solo fine di umiliarlo. Proprio non trovava spiegazione per quell’idea malsana, che il ragazzo fosse annoiato dalla lezione? Che si trattasse di un altro subdolo giochetto alla Malfoy? Per un attimo Harry andò in panico, vagliando l’angosciante possibilità che…
-Lo trovi divertente, non è così?- aveva detto a denti stretti, udibile solo a Malfoy, adesso al suo fianco, senza però guardarlo negli occhi.
-La Legimanzia è divertente, Potter.- sussurrò quello di rimando, contro la sua schiena, mentre a Harry sfuggiva un sussulto per quel contatto. La Chappels cominciò a contare, imponendo ad Harry un passo in avanti ad ogni numero scandito dalla limpida ed autoritaria voce del Comandante.
Harry si sforzò di svuotare la mente, abbandonare le emozioni ai bordi della coscienza, fece un respiro profondo, ma di nuovo il panico gli fece bruciare i polmoni, di nuovo quella sensazione di inesattezza, di impotenza. Si voltò, fronteggiando Malfoy, quando la voce della Chappels sfumò, incapace di guardarlo negli occhi, sentendo la vergogna imporporargli le guance.
Non si accorse nemmeno dell’intrusione, di un’elegante presenza nella sua mente, cauta e quasi inconsistente.
 
***
 
Da prima vide le braci di un camino, una lettera che bruciava. Ed aggrottò la fronte, curioso. Quando lesse il nome del mittente, cercò lo sguardo di Potter, interrogativo, ma ancora quello guardava le fiamme e sfuggiva al suo sguardo. Poi lo scenario cambiò, repentinamente, disordinatamente. La stanza era vuota, solo una porta, che Draco non poté far a meno di riconoscere. Si sentì travolgere dall’attrazione, da un desiderio istintivo e bruciante. Sentiva la confusione, l’eccitazione e il rumore umido di un contatto, l’impellente bisogno di appartenere a quella sensazione, di placare quel bruciore. Percepiva una presa salda, soffocante, sul cuore. Poi un peso lancinante, doloroso, come un singhiozzo, una frase che riecheggiava, in una stanza vuota, buia: Si diverte a fare così, a farmi questo, si prende gioco di me…Mi ha usato. E rabbia, rabbia cieca, vergogna. Draco era travolto da quelle emozioni, percepiva uno sforzo immane, necessario, carico di ira, imbarazzo, timore, disagio. Gli sembrava di implodere.
Fu allora che riemerse, e capì che Potter non aveva neppure cercato di occludere la propria mente, che addirittura non s’era nemmeno reso conto del suo incantesimo non verbale. Avrebbe voluto raggiungerlo e scuoterlo, picchiarlo magari. Per tutti quei pensieri che aveva lasciato gli piovessero addosso. Tirò il fiato, quando la Chappels richiamò la loro attenzione.
-Cadetto Malfoy, ha avuto pieno accesso alla mente del suo partner. Ottimo lavoro! Cadetto Potter, non posso dire lo stesso di Lei. Malfoy è stato in grado di dare una dimostrazione pratica eccellente, unendo i due argomenti di questa lezione: incantesimi non verbali e Legimanzia. Sono sinceramente ammirata. Mi aspetto che vi prepariate, nessuno escluso, per la prossima lezione. Continueremo con la pratica, splendido spunto, Cadetto Malfoy! Vi rivedrò Mercoledì, potete andare!
Potter tremava, la testa sotterrata nelle spalle, e scattò febbricitante, dopo il congedo della Chappels, fuggendo verso la porta, non curandosi di raccogliere le proprie cose.
 
***
 
Harry continuava a gettarsi acqua gelata sul viso, maledicendosi, tormentandosi e allo stesso tempo imponendosi di calmarsi, di dominarsi. Si guardò allo specchio, stringendo i bordi del lavandino fino a farsi sbiancare le nocche, quando riconobbe il riflesso della figura oltre la sua spalla.
-Non ne avevi il diritto.- disse, la voce incolore, preda di una rabbia che aveva inutilmente cercato di soffocare.
Malfoy, appoggiato allo stipite della porta del bagno del primo piano, lo guardava negli occhi. Tese il braccio davanti a sé, aprendo il palmo e lasciando rovinare per terra la sua roba, che si era curato di radunare dopo la lezione, dopo che lui era scappato via, furente. Harry lo studiò tra il perplesso ed il furibondo. Malfoy con un colpo di bacchetta chiuse la porta, ed Harry distinse chiaramente lo scatto della serratura. Di nuovo non poté far a meno di chiedersi a che gioco stesse giocando l’ex-Serpeverde.
-Pensavo fossi capace in Occlumanzia.- disse Malfoy, candidamente, con un tono solo leggermente colpevole, frugando nelle iridi di Harry. Poi lo fronteggiò, un sopracciglio inarcato, e con un gesto repentino si aggrappò al lavandino, bloccandolo in quel preciso punto, impedendogli di sfuggirgli. Harry si allarmò, cercando di non darlo a vedere, strinse le braccia al petto, cercando di guadagnare spazio tra se stesso e la figura di Malfoy, che sembrava averlo inchiodato contro al lavandino. Alzò lo sguardo, dopo un istante che sembrò infinito, e si soprese nell’incontrare quello di Malfoy. Cercò il fiato per ribattere, le sillabe per rispondergli, ferirlo, insultarlo. Ma il ragazzo, si era sporto verso di lui, aveva catturato le sue labbra, portando la mano sul suo fianco, stringendo dolosamente. Sentì Malfoy mordergli il labbro inferiore, affinché Harry lo lasciasse entrare. Per un attimo, Harry si disse che era di nuovo sull’orlo di quella sensazione che non avrebbe voluto dover dimenticare, per un attimo quasi non si abbandonò alle attenzioni di Malfoy. Poi si riscosse, l’umiliazione che aveva la meglio e raccolse tutte le sue forze per divincolarsi, mettere le mani sul petto di Malfoy e spingerlo via. Ma il ragazzo sembrava inamovibile, come aggrappato alle sue labbra, una mano ancorata sul suo fianco, l’altra a bloccargli la testa. La lingua di Malfoy si era fatta strada tra le sue labbra, intrusa prepotente, come l’ultima volta ed Harry cercò di divincolarsi con maggior convinzione, mugugnando contro il respiro veloce di Malfoy.
-Non fare l’idiota, Potter!- sbottò malamente Malfoy, aprendo gli occhi su quelli di Harry, che si immobilizzò, disarmato da quel mercurio così liquido adesso. Percepì in quel momento il calore che emanava quella mano sul suo fianco, la presa docile ma salda tra i suoi capelli, il petto dell’altro contro il proprio, il cedere dei propri avambracci, che gli aveva consentito di avvicinare il cuore di Malfoy al suo. Le labbra erano ancora sulle sue, gonfie e tremanti, ma non sembravano disposte a compiere nessun successivo passo, Harry sentiva il fiato di Malfoy sfiorarlo, e mescolarsi al proprio. Poi Malfoy, lentamente, mosse lievemente il bacino contro il suo corpo ed Harry sobbalzò, percependo di nuovo quella sensazione, quell’eccitazione che lo riempiva di vergogna.
-Non mi sono divertito. Sono spaventato a morte…da quello che mi fai, Potter. Non sono divertito.- sussurrò Malfoy, ancora sulla sua bocca, rude e quasi indignato. Fu allora che si diede un ultimo slancio e impresse la propria erezione sull’inguine di Harry.
Harry strabuzzò gli occhi, deglutì a vuoto, e sentì l’eccitazione crescere, l’adrenalina scorrergli nelle vene, tutta quella rabbia e la vergogna evaporare in un solo istante. Si scostò dal viso di Malfoy, solo per poterlo guardare negli occhi, e conquistare quell’ultima incertezza circa la sincerità di quelle parole. E non poté far a meno di avventarsi su quelle labbra, desiderando di morirne, quasi.
 
***
 
Draco si scostò, di scatto, facendo due passi indietro, come si fosse scottato. Paralizzato dal timore di perdere il controllo. Potter, col fiato corto, le guance scarlatte, e le labbra dischiuse lo guardò interrogativo. Draco trasse un profondo respiro e si passò una mano tra i capelli, cercando di rasserenarsi, di zittire il terrore cieco che all’improvviso gli aveva gelato il battito. Aveva agito ancora una volta senza riflettere, preda di un bisogno inconfessabile, e solo adesso, sull’orlo del precipizio, si ridestava, sonnambulo di un desiderio che doveva placare. Non poteva lasciarsi andare, non poteva permetterselo. Potter continuava a guardarlo come perso, in cerca di un ago che puntasse il nord. Dopo un silenzio che parve infinito, scandito solo dal gocciolare di una perdita del lavandino in quello squallido bagno, Potter parlò:
-Cosa stiamo facendo, Malfoy?
Con tutta l’innocenza, il candore di cui fosse capace, Potter lo aveva per l’ennesima volta tramortito.
-Non chiedermelo, per favore. Non farlo.
-Non puoi venire qui, baciarmi in quel modo e poi…perché ti sei fermato, di nuovo? Cosa diavolo vuoi da me, Malfoy?
La voce di Potter era di nuovo elettrica, tinta di rabbia, irruenza, frustrazione. Draco lo guardò, colpevole, indugiando troppo a lungo su quelle labbra che lo richiamavano, ipnotiche. Con un incantesimo non verbale fece scattare la serratura, all’inverso quella volta, guadagnandosi la possibilità di fuga. Potter doveva averlo intuito, perché lo aveva raggiunto, serrandogli una mano sul braccio, risoluto.
-Ho diritto a delle risposte.- sussurrò, determinato.
Draco annuì, incapace di trovare delle parole che potessero sembrargli minimamente adeguate. Cosa avrebbe dovuto dire, che spiegazione avrebbe potuto darsi e soprattutto dare a Potter, che adesso, impetuoso come sempre lo travolgeva?
-Non adesso, Potter. Non qui.
-E che cazzo vorrebbe dire?
Draco avvilito lo guardò negli occhi, e quasi ringhiandogli contro, disse:
-Io non posso. Non so darti delle spiegazioni. So solo che…hai visto che effetto mi fai e se non mi fossi fermato…Io…Non posso permettermelo.
Potter strinse le labbra, poi la sua mano scivolò lungo il braccio di Draco, aggrappandosi al suo palmo, lo sguardo docile, intimo, rassicurante.
-Di cosa hai così tanta paura, Malfoy?
 
 
 

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Capitolo 27
*** Costruire ***


XXVII. Costruire
 
“Ah si vivesse solo di inizi,
Di eccitazioni da prima volta,
Quando tutto ti sorprende e
Nulla ti appartiene ancora […]
 
Ma tra la partenza e il traguardo,
Nel mezzo c'è tutto il resto.
 
E tutto il resto è giorno dopo giorno.
E giorno dopo giorno è
Silenziosamente costruire.
E costruire è potere e sapere
Rinunciare alla perfezione
 
Costruire, Nicolò Fabi.
 
 
Camminavano silenziosamente, l’uno di fianco all’altro, ognuno ingarbugliato nel filo dei propri pensieri. Harry di tanto in tanto lanciava un’occhiata veloce verso Malfoy, ma non riusciva mai a catturare la sua espressione. Erano intrappolati in quella situazione, sebbene fossero entrambi a zonzo per la Londra Babbana da più di mezz’ora, in religioso e timoroso silenzio. La domanda di Harry fendeva ancora l’aria, e s’era fatta come nebulosa e minacciosa allo stesso tempo, pendendo sulle loro teste, irrisolta. Di cosa Malfoy aveva così tanta paura? Perché tuffarsi di testa in quella situazione, coinvolgerlo in qualcosa di così tremendamente inadeguato, innaturale, solo per poi ritirarsi, in fretta e tremante. Harry non riusciva a darsi uno straccio di motivazione logica, ed era fin troppo consapevole di dover rivolgere delle domande a se stesso, prima ancora di indagare le intenzioni dell’altro. Perché se da una parte, remota quanto assurda, Harry aveva cominciato a prendere in considerazione le inusuali inclinazioni di Malfoy, a ritenerle legittime persino, dall’altra sapeva quanto da parte sua fosse estraneo a determinati argomenti. Nello stesso momento in cui aveva posto quella domanda, si era inconsciamente ritrovato a chiedersi perché invece lui, Harry, di paura non aveva nemmeno il minimo sentore. Non sarebbe stato normale essere spaventati da una cosa del genere? Era totalmente succube di quella situazione, ed aveva persino iniziato ad accettarlo, a conviverci pacificamente, evitando caparbiamente di interrogarsi, di riflettere. Non avrebbero dovuto spaventarlo a morte quelle sue reazioni, quelle sensazioni trascinanti, quel desiderio tiranno?
Così, dopo aver posto la domanda, non aveva potuto far a meno di sospirare e abbassare lo sguardo. Malfoy aveva malamente scostato la mano dalla sua ed era riuscito a guadagnare qualche metro verso l’uscita. Harry aveva pensato fosse la conclusione perfetta a quella tempesta di confusione che aleggiava nell’aria. Ma poi Malfoy s’era bloccato, di spalle, e aveva mormorato un fioco “andiamo”. Ecco perché adesso stavano l’uno accanto all’altro, le mani chiuse a pugno nelle tasche, i baveri delle giacche a difenderli dal vento freddo di novembre e dagli sguardi dell’altro, ognuno trincerato dietro la propria barriera. Se avessero una meta, Harry non se l’era chiesto, come non si chiedeva che ora fosse. Poi Malfoy si bloccò, sul ciglio del marciapiede, ed alzò il viso, assottigliando lo sguardo. Harry si fermò automaticamente, preso alla sprovvista, e fece scattare la testa di lato, per indovinare l’ombra di una qualsiasi espressione negli occhi di Malfoy, che lo guardò di rimando, indecifrabile, per poi abbozzare un cenno del capo di fronte a sé.
Erano di fronte ad una palazzina, dal porticato bianco, sul quale margine sinistro troneggiava un numero 21 nero, lucido ed Harry non poté far a meno di torturarsi con le altre mille domande che quella piega d’eventi stava generando.
-Un paio di settimane fa, Pansy mi ha portato a vedere questo appartamento. Volevo affittarlo, entro fine mese. Perché il Ministero mi darà lo sfratto prima di Natale. Con quel che ho rivenduto dal patrimonio di famiglia, però, non sarei riuscito a pagare nemmeno metà del primo canone.- disse Malfoy, senza mai distogliere lo sguardo dalla porta d’ingresso. Lentamente iniziò a piovere, una pioggerellina leggera e dispettosa, quasi impercettibile, ed Harry capì che esattamente come quelle gocce d’acqua, non avrebbe dovuto far il minimo rumore, o Malfoy si sarebbe allarmato, sarebbe scappato via, come minacciato.
-Questa casa. Con quelle colonne bianche, ed i gradini bianchi. E tutto è così bianco, persino il nome della via: Whiteleys. Può suonare stupido, lo so. Ma ero convinto fosse ciò che serviva, sai, per andare avanti. Per ricominciare. Bianco, come un foglio su cui puoi scrivere tutto daccapo. Era un modo per avere una speranza, forse per quello mi era piaciuta così tanto.- Malfoy fece una pausa, ancora assorto nell’osservare la palazzina, dall’altro lato della strada. – A volte, tante volte negli ultimi tempi, mi veniva voglia di venire qui, dove sono adesso, ed osservarla, come adesso. Guardare la possibilità di migliorare dritta negli occhi, con il dubbio di potercela fare sul serio, quando è ancora perfetta, incontaminata. Quando può potenzialmente essere perfetta. E mi sentivo…Come se, un giorno, varcando quella porta, io potessi essere in grado di entrare in una nuova vita. Invece, questa è solo la seconda volta che vengo qui. Un po’ perché avevo abbandonato l’idea di affittarla…non me la sarei potuta permettere. Un po’ perché mi ero rassegnato. Prima ancora di provarci, mi ero arreso.
Harry continuava ad ascoltarlo in silenzio, seguendo quel discorso di Malfoy, così sommesso e astratto, eppure così doloroso e graffiante. Non avrebbe mai potuto immaginare nulla di tutto ciò, Harry ne era certo, mai avrebbe anche solo supposto che dietro alla facciata beffarda di Malfoy si celasse quel lieve tono disperato.
-Invece…Invece traslocherò qui la settimana prossima.
Finalmente Malfoy lo guardò negli occhi, fronteggiandolo, con quella sua espressione enigmatica, indecifrabile, come aspettandosi una reazione da parte di Harry, che dal canto suo, continuava a capirci poco o niente. Perché lo aveva portato lì, perché aveva fatto quel discorso così strano? Harry ricambiò lo sguardo, aggrottando la fronte, sperando non fosse tutto lì quello che Malfoy avesse da dirgli. E l’altro sembrò intuire il disagio che Harry provava, perché sospirò profondamente, scuotendo leggermente il capo divertito, forse rendendosi conto di quanto fosse stato incomprensibile.
-Quello che voglio dire, Potter, è che sono uno a cui non vanno a genio i cambiamenti. Sono un codardo. Uno che scappa quando le cose si fanno difficili. Vorrei davvero essere aperto al mutare delle cose, delle situazioni, lo desidero persino, come desideravo venire a vivere in questa casa. Ma alla minima difficoltà, scappo. Mi arrendo.
Lo sguardo di Malfoy era perso dentro una pozzanghera, che velocemente si allargava e espandeva i propri confini. Harry non si era reso conto avesse iniziato a piovere sempre più forte, non si era accorto di aver i capelli appiccicati alla fronte e gli occhiali lievemente appannati e che, come Malfoy d’altronde, era ormai bagnato fradicio. Non che importasse, non in quel momento.
-Però alla fine… verrai a vivere qui, no?- disse Harry, in un soffio.
Malfoy annuì lentamente, senza guardarlo. Un tuono squarciò il silenzio fra loro ed Harry, prima ancora di poterci riflettere sul serio, si aggrappò al braccio di Malfoy e Smaterializzò entrambi.
 
***
 
Blaise sobbalzò, nel sentire il ruggire della tempesta contro i vetri imponenti dello studio di Lucius Malfoy. Fin da piccolo aveva trovato il Manor particolarmente inquietante durante i temporali, forse perché l’eco mesta e cupa del ribollire del mondo sembrava rimbalzare su quelle mura, fino a farsi sussurro, fino a suggerire bisbigli inumani e minacciosi. Si stiracchiò pigramente, liberandosi da quella sgradevole sensazione di angoscia per il suono dell’invadenza violenta dell’autunno, e riprese da dove aveva interrotto. Quella mattina Draco lo aveva lasciato lì, a spendere il proprio giorno libero a frugare da cima a fondo nello studio, lì dove Lucius aveva espressamente chiesto di guardare. Blaise aveva insistito fin quasi allo sfinimento perché il suo migliore amico non saltasse la lezione, perché lo lasciasse lì a sbrigare quella scomoda faccenda, dicendogli di aver già avuto un’idea sul dove cercare, sebbene brancolasse nel buio. Come sempre, la previdenza di Blaise, lo aveva spinto ad affidarsi all’istinto di proteggere Draco. Non che avesse la certezza di trovare necessariamente qualcosa di sgradevole, ma essere cauto era per Blaise un obbligo, soprattutto in quei giorni già abbastanza turbolenti per Draco. Prima l’impotenza e la totale decadenza in cui versava, lo sconforto per quei ricordi che non accennavano a cedere, e persino l’esserci gettato fra le braccia di Potter senza riflettere. Decisamente, qualsiasi cosa si nascondesse alla fine della ricerca di Blaise, non era assolutamente il caso di rischiare ulteriori turbamenti per Draco. Aveva visto il proprio migliore amico abbandonarsi a se stesso, arrendersi, persino lasciar scivolare Narcissa dalle proprie mani, senza nemmeno protestare. Lo aveva visto cercare di lottare, alla ricerca di uno scampolo di lucidità, di normalità, impegnarsi nel trovare un nuovo posto da chiamare casa, nel quale ricominciare, raccogliendo i cocci dei propri fallimenti, così taglienti. Lo aveva sentito un po’ più distante, il loro legame andava assottigliandosi e sfilacciandosi, fino ad essersi infranto, contro la lama affilata di ricordi che avevano cercato di seppellire. Theodore. Blaise non riusciva nemmeno ad immaginare quanto Draco potesse essere stato distrutto da quella loro storia. Lo aveva visto, certo, vissuto anche. Aveva visto quella storia accendersi e bruciare in fretta, consumata come tutto ciò che entrava a contatto con Theodore. Aveva visto Draco regalarsi anima e corpo, e aveva sperato fosse giusto così. Il suo istinto lo aveva tradito però, perché Theo non aveva fatto altro che privare Draco di quel sentimento così semplice, così puro, nuovo. Aveva sigillato il cuore di Draco, impedendo a chiunque di accedervi, pietrificandolo con la paura di lasciarsi andare di nuovo, lasciarsi amare. E Blaise lo sapeva, lo aveva molto spesso deliberatamente ignorato, ma sapeva che dietro alla facciata canzonatoria di Draco, la stessa dopo ogni tentativo di contatto da parte sua, quella paura era costante. Ciò che ancora non si spiegava, era dove Draco avesse trovato lo slancio necessario per tendere verso Potter. Non che non lo avesse sospettato, ma avrebbe mentito nel dire che non credeva che il suo migliore amico ne fosse in grado, non di nuovo. Blaise ne ignorava i motivi, e sapeva che qualche pezzo del puzzle ancora mancava, ma si sentiva in debito con Potter. Era convinto che il merito dei sorrisi imbarazzati, sovrappensiero di Draco fosse proprio il Salvatore del Mondo Magico. Aveva dimenticato le sfumature di quei sorrisi che Draco si curava tanto di mascherare e nascondere, e non poteva non essere grato a Potter per quello. Draco, che lo volesse o meno, si stava lentamente lasciando andare, stava diventando più leggero. Persino il tono di quella mattina, somigliava tanto ad una tonalità di voce che Blaise aveva dimenticato…Alle orecchie di Blaise quel “ho baciato Potter” era suonato come eccitazione, imbarazzo, vitalità. Gli sembrò di ricordare la voce di un Draco bambino, quando dopo la notte di Natale, via camino, lo informava, tutto elettrizzato di quale meraviglioso regalo avesse ricevuto quell’anno. 
E fu mentre riportava alla mente quei ricordi che, ben nascosto oltre la parete di tomi polverosi, sul quarto scaffale della libreria, Blaise tastò qualcosa di cartaceo. Arricciò le dita per afferrarlo e lo portò immediatamente sotto gli occhi indagatori: la busta recava, in alto a sinistra, il nome di Draco.
 
***
 
Aveva creduto fosse una buona idea, ne era convinto fino a quel momento. Non era mai stato bravo con le parole, finiva per rattrappirsi e svilire ciò che pensava, ogni volta, per cui l’unico modo che gli era venuto in mente per rispondere alla domanda di Potter, era stato di mostrargli cosa provasse. Non era sicuro che funzionasse, ma sapeva di dovergli delle risposte, e questa volta non si poteva dire avesse agito senza pensarci accuratamente. No, si era trascinato dietro un Potter silenzioso in giro per Londra, per ritrovarsi in quel punto. Guardare la porta della sua futura casa, e sbiancare di meraviglia per le proprie parole, era stato un ottimo piano. Era un codardo, almeno quanto era sicuro che Potter lo pensasse già. E l’unico modo per spiegarsi che gli fosse venuto in mente era far toccare con mano a Potter la superficie della propria vigliaccheria. Lo stesso Potter che, adesso, li aveva messi al riparo dalla tempesta, ironicamente sia in senso metaforico che letterale. Si era aggrappato al suo braccio e li aveva Smaterializzati a casa propria, a gocciolare sul pavimento, immobili, l’uno di fronte a l’altro. Draco non avrebbe mai finito di farci l’abitudine. Potter lo guardava, come in attesa, poi si sfilò il cappotto e lo invitò a fare lo stesso. Solo una volta che gli ebbe dato le spalle si azzardò a dire qualcosa.
-Così è…così è di questo che hai paura, Malfoy?
Draco lo osservava, mentre l’altro incastrava i cappotti tra gli uncini dell’appendiabiti dell’ingresso, quello stesso ingresso che solo una manciata di ore prima, quasi un giorno ormai, era stato testimone del rimestarsi di tutte le certezze di entrambi. Potter si stringeva nelle spalle, le mani vuote dei cappotti, ancora incapace di guardarlo in viso.
Come spiegargli di cosa avesse realmente paura? Come dirgli di non essere in grado di lasciarsi andare, di essere stato talmente ferito, sanguinante per così a lungo, da non riuscire più a mettere nient’altro che distanze, interminabili distanze, tra sé e gli altri?
-Sai com’è, no? I traslochi sono terrificanti.- tentò di sdrammatizzare Draco, la voce un po’ troppo forzata.
Potter si voltò, un sopracciglio inarcato, guardandolo con disappunto, fece per superarlo e nell’intento scosse la testa dicendo:
-Dobbiamo asciugarci, prima di prenderci un malanno.
Draco lo agguantò per l’avambraccio, costringendolo a bloccarsi, per poi allentare repentinamente la presa, come se quel gesto istintivo fosse dispettosamente sfuggito a qualsiasi sequenza logica.
-Ho solo bisogno di tempo.- disse Draco, estraneo persino a se stesso, -Ne hai bisogno anche tu.
Potter mosse qualche passo incerto, e si ritrovò a guardare la cenere nel camino spento. Raggiunse la bacchetta, nella tasca posteriore dei jeans, e diede un colpetto deciso sferzando l’aria, di modo che le fiamme scoppiettassero accoglienti nel focolare.
Draco lo osservava, come stesse assistendo ad una scena mistica, quasi rituale, immerso nei propri pensieri. Sentiva di star sbagliando nei confronti di Potter, ma allo stesso tempo lottava con la propria impotenza nell’esprimersi e la necessità dettata dal proprio istinto di sopravvivenza nel cautelarsi.
-Ginny mi ha lasciato.- disse Potter, senza mai scostare lo sguardo dal camino, -So che lo sai, lo hai visto oggi, a lezione. Mi ha lasciato. Ed io non so perché non riesca ad importarmi, a farmi male. E questa è solo l’ultima delle cose che non so. Non so per esempio perché, per Godric, io continui a passare del tempo con te. Non so perché…perché non riesco a starti lontano. Perché sento di aver bisogno di qualcosa di più. Non so nemmeno perché ti abbia portato qui, ancora.- d’improvviso Potter si voltò, e Draco non poté far a meno di notare l’infiammarsi nelle guance dell’altro, quello sguardo fermo e determinato, e quella voce travolgerlo, assoluta:
-Io…io non sono così.
Draco fece un passo avanti, affiancando il divano, e reclinando la testa di lato. Sì, decisamente Potter aveva bisogno di almeno un paio di risposte, ed era lui a dovergliele, senza ombra di dubbio.
-Così…come?
-Io non sono…- Potter deglutì a vuoto, a disagio, incapace di trovare le parole che stava cercando disperatamente, - Io ecco…non mi piacciono gli uomini!- concluse, portando Draco a lasciarsi sfuggire un sorrisetto di scherno.
-Non si direbbe proprio, Potter. E non sono l’unico a pensarla così, qui dentro.- ribatté, ammiccando verso il basso ventre di Potter, che se possibile arrossì ancora di più, aggiudicandosi una tonalità in perfetto stile Weasley. Draco compì ancora un passo, verso Potter, come in trance, sentendo di non riuscire a sopportare oltre la distanza fisica che li separava.
-Non c’è niente di sbagliato, Potter. Non stai facendo del male a nessuno. Hai risposto ad uno stimolo, tutto qui.
-Tutto qui? Malfoy, non è tutto qui.
Draco finalmente lo fronteggiò, a pochi centimetri dalle sue labbra e poté a percepire distintamente il bisogno di abbandonarvisi ancora una volta, riuscendo a dominarsi, perché sapeva quanto importante potesse essere per Potter trovare un significato a tutto quello.
-Lo hai detto anche tu, no? Solo un bacio, tutto qui.- disse Draco, con una voce sommessa e vellutata, impedendosi di lasciar sconfinare il proprio sguardo sotto le iridi di Potter, che lo soffocavano con il proprio verde.
-Non è più solo quello Malfoy, cazzo.
Poteva percepire l’avvilimento nella voce di Potter, l’imbarazzo nel dover esprimere quello che pensava. Sembravano essere due facce della stessa medaglia, in quel momento.
-Non mi sono mai…ridotto a quel modo, per un bacio.- scappò dalle corde vocali di Potter, subito dopo, a bruciapelo, come avesse dovuto dirlo prima che la razionalità prendesse il sopravvento.
Avrebbe potuto smettere di pensare, impossessarsi delle sue labbra di nuovo, così vicine alle sue, spingersi oltre, placare l’eccitazione ed il desiderio che Potter nemmeno immaginava di suscitare in lui. Invece fece un passo indietro. E lo guardò, come per la prima volta: lì di fronte a lui, i capelli ancora umidi di pioggia, le labbra screpolate e dischiuse, le guance arrossate, e gli occhi persi, nei suoi.
-Potter…come ho già detto, abbiamo bisogno di tempo. Tu per capire cos’è che vuoi esattamente. Ed io per…abituarmi a questa cosa.
-Abituarti a cosa, Malfoy? Ma sentiti! Capire cosa voglio. Io lo so cosa è che voglio. È solo che…è tremendamente sbagliato ecco cos’è.
Draco lo raggiunse di nuovo, e serrò le mani sulle sue spalle, come temesse potesse sfuggirgli da un momento all’altro. Non poté far a meno di notare che Potter avesse trattenuto il respiro per un attimo, come in segno d’aspettativa.
-Non eri tu a dire che se si vuole qualcosa non può che essere giusta, Potter?! Insomma, vuoi farmi impazzire o che?- disse Draco infiammato, come innervosito da quell’uscita di Potter, quasi al limite della propria pazienza. Fu la volta di Potter nel compiere un verso di lui, fissarlo negli occhi e sussurrare:
-Se solo tu non scappassi ogni dannata volta, Malfoy.
-Sono qui, adesso.
Draco sentiva che quegli istanti, tanto fragili da essere di vetro, erano tremendamente pericolosi: potevano salvarlo o annientarlo definitivamente.
Potter si sporse debolmente, poco convinto, verso le labbra di Draco, tastandole lievemente con le proprie. Non era più che un flebile strofinare di due lembi di pelle fino a poco tempo prima estranei gli uni agli altri. Ma l’estenuante lentezza e inconsistenza del gesto, sembrò a Draco dolorosamente familiare ed intimo. Il morso della paura, che mai lo abbandonava, affondava le zanne più docilmente in quel momento.
-Devi darmi tempo, Potter. Io…io non sono come te. Non posso buttarmi a capofitto nelle cose così, alla cieca. Devo abituarmi, accettare il cambiamento. Te l’ho detto, non è facile per me.- sussurrò sulle labbra di Potter, odiandosi per aver svilito quell’attimo di perfezione che stava per sbocciare. Potter si scostò, delicatamente, guardandolo negli occhi.
-Non lo è neanche per me, Malfoy. E so che lo sai. Non sono mai stato tipo da grandi riflessioni filosofiche, e sai anche questo. Se mi fermo a riflettere, tutto mi sembrerà assurdo e dubiterò anche del mio intuito, del mio sesto senso che mi dice che c’è qualcosa di buono in…questa cosa
Draco compì un passo indietro, irrefrenabile, terrorizzato. L’eventualità delle possibili conclusioni di quel discorso sconclusionato di Potter, lo aveva spinto a rifugiarsi dentro se stesso, ancora una volta.
-Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno.- disse Potter, infine, con un sospiro, -Solo…non scappare, di nuovo.
E Draco, per la prima volta dopo quasi tre anni, seppe di non aver assolutamente intenzione di andar da nessun’altra parte, di non aver bisogno di fuggire via. E lo scoprì negli occhi di Potter.
 

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Capitolo 28
*** L'isola ***


XXVIII L’isola
 
“Calipso:  Immortale è chi accetta l'istante.
Chi non conosce più un domani. Ma se ti piace la parola, dilla. Tu sei davvero a questo punto?
 
Odisseo: Io credevo immortale chi non teme la morte.
 
Calipso: Chi non spera di vivere. [...] Qualcuna di noi resisté ai nuovi dèi; lasciai che i nomi sprofondassero nel tempo; tutto mutò e rimase uguale; non valeva la pena di contendere ai nuovi il destino. Ormai sapevo il mio orizzonte e perché i vecchi non avevano contesto con noialtri. [...] Non c'è vero silenzio se non condiviso. [...] Non vale la pena, Odisseo. Chi non si ferma adesso, subito, non si ferma mai più. Quello che fai, lo farai sempre. Devi rompere una volta il destino. Devi uscire di strada, e lasciarti affondare nel tempo... [...] Che cos'è vita eterna se non questo accettare l'istante che viene e l'istante che va? L'ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Cos'è stato finora il tuo errare inquieto?
 
Odisseo: Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.
 
Calipso: Dimmi.
 
Odisseo: Quello che cerco l'ho nel cuore, come te.”
 
 
Cesare Pavese,
Dialoghi con Leucò.
 
 
Draco giocherellava nervosamente, badando bene di non darlo a vedere, con la manica destra della sua camicia, in silenzio, abbandonato contro lo schienale di una delle cigolanti sedie della cucina di Potter. Quel silenzio lo metteva a disagio, sebbene non ne trovasse il reale motivo. Potter gli dava le spalle, armeggiando con la teiera e sembrava ben intenzionato a non compiere il minimo rumore, cosa decisamente non da lui, non poté far a meno di notare. Era come se temesse di produrre il più tremulo dei tintinnii, come temesse che una volta infranto quel silenzio, il suo ospite potesse evaporare in una nuvoletta di fumo. Draco si chiese quando aveva smesso di desiderare di avere quella capacità che a pensarci poteva essere straordinaria se non provvidenziale alle volte. Non quella volta lì, però. Non sapeva dirsi perché, ma quella porzione di mondo gli sembrava accogliente, l’esatto angolo sul quale lasciare arenare la propria esistenza, in quel silenzio impermeabile.
Era strano, eppure poteva dirsi quasi naturale, condividere quell’istante: trovarsi con qualcun altro, un altro io, e non sentirsi costretti a scambiare neppur un accenno di dialogo. Era quanto di più lontano avesse mai imparato. Da piccolo, Narcissa non mancava mai di fargli notare quanto le buone maniere, le basi della civile conversazione, fossero una priorità. Quasi non gli scappò un sorriso, nel pensare che, a causa di Potter, quelle stesse priorità erano state rimestate da cima a fondo.
Le barriere, le facciate, le maschere, le sfaccettature delle circostanze, persino i paraurti invisibili, infrangibili, della propria coscienza, vacillavano, alla presenza di quello che era stato il suo personalissimo incubo adolescenziale. Dove fosse evaporata tutta quella rivalità, quella voglia di rivalsa, il senso di competizione, nei confronti di Potter, Draco non sapeva davvero dirselo. Forse, come la nuvoletta di fumo, che tanto aveva agognato, con uno sbuffo, era scomparsa. Chissà…Scrutò le spalle leggermente incurvate di Potter, quella massa di capelli scarmigliata che accarezzava la nuca leggermente scoperta, quella maglia azzurra sbiadita e troppo larga. Qualcosa gli diceva di allungare la mano, di assicurarsi fosse lì, fosse vero. Qualcosa che gli intimava di ricercare il calore di quella nuca scoperta sul palmo, di incasinare ancora di più la pece deforme che Potter si ostinava a spacciare per dei capelli, giusto per il gusto di sapere che effetto facesse avere quel buio tra le proprie dita candide. Quelle stesse dita che non cessavano di tormentare il polsino della camicia, come avessero saggiamente deciso, di propria spontanea volontà, di tenersi occupate con qualcosa di meno imprevedibile e più rassicurante. Non gli sarebbe bastato a lungo, lo sapeva, e senza intuire come, sapeva anche di aver smesso di mentire a se stesso.
Quando Potter si voltò lo sguardo di Draco non fece in tempo concentrarsi in un altro punto, se non su quelle labbra, che sfregavano le une sulle altre, combaciando docilmente, complici di parole che Draco non riusciva a percepire.
-Malfoy? Oi…cos’è sei anche sordo, adesso?
Draco scosse di scatto la testa, come a scacciare un pensiero invadente, parassita.
-Anche sordo?- ripeté Draco inarcando un sopracciglio, e strascicando involontariamente le vocali. Vide le pupille di Potter tremolare appena al suono della sua voce, come in risposta ad una domanda diversa da quella posta.
-Oltre a scemo, intendo. Due zollette, giusto?
-Qui quello tardo non sono io, a quanto pare. Sempre due, Potter. Quando cambierò la dose, t’assicuro, sarai il primo ad esserne informato. Ah…E il limone, più del solito, di grazia.- rispose cercando di suonare acido, ma mascherando poco efficacemente il proprio divertimento.
-Che poi, che senso ha metterci due zollette di zucchero se poi ci vuoi praticamente tre limoni?- disse Potter alzando gli occhi al cielo, e porgendogli la tazza sbeccata, oltre al bordo del tavolo.
-È una questione di equilibrio dei sapori, Potter. Ma immagino che tu, di equilibri non t’intenda affatto…
-Squilibrato come sei. Ah. Ah. Ah. Questa è vecchia, Malfoy.
Lo interruppe Potter, incrociando le braccia al petto, con fare fintamente risentito. Draco non poté far a meno di ridere di gusto, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’artefice di quella stessa ilarità. Un pensiero, più rapido di un battito di ciglia, sfiorò la mente di Draco. Quando se ne rese conto, era già sfuggito, sebbene non potesse ignorarlo: gli era mancato quel punzecchiarsi.
-Mi appello alla Vostra indulgenza, Potter. M’impegnerò ad ampliare il repertorio, d’ora in avanti.
Fu il turno di Potter di ridere, lasciandosi contagiare dal tono volutamente formale ed al contempo divertito di Draco.
-È il minimo, Malfoy. I tuoi, odio ammetterlo, ma sono sempre stati gli insulti migliori.
-Questo perché il mio sarcasmo non è solo acuto, ma estremamente sottile.- disse Draco, con fare saputo, mentre si portava la tazza alle labbra, palesemente rientrato nel detestabile ruolo adolescenziale che aveva diligentemente svolto durante gli anni della scuola. Lo trovava divertente, poter tornare quello che era una volta, anche se solo attraverso qualche stupida battutina. Era come camminare su un sentiero sicuro, già battuto. Ritrovare la strada di casa.
-A differenza del tuo ego, si direbbe!
-Oh, Potter, fammi il piacere. Qui il megalomane sei tu.
-Disse il sociopatico schizoide…
-E questa chi te l’ha scritta? La Granger?
Di nuovo, come se fosse la cosa più naturale delle mondo, scoppiarono a ridere entrambi, senza riuscire a smettere, per una volta liberi di non prendersi sul serio, consapevoli che non ci fosse altra intenzionalità che quella di divertire l’altro, come due ubriachi che si dessero il cambio nell’interpretare la parte del clown. Avesse potuto guardarsi dall’esterno, Draco avrebbe trovato un nome a quella situazione: catarsi.
 
***
Guardava la busta e sembrava che quella lo guardasse di rimando. Come se lo chiamasse. Il nome del suo migliore amico, rappreso nelle sinuose curve dell’inchiostro sparso con una calligrafia meticolosa, lo osservava placidamente, quasi complice.
No, non l’avrebbe aperta. Ma non avrebbe neanche lasciato che Draco la trovasse lì, sul tavolino di marmo, accanto ad una bottiglia di Incendiario ormai vuota. Il camino acceso, scintillava attraverso il cristallo della bottiglia, e mandava bagliori pigri sulla pergamena ingiallita, disegnando percorsi di luce imperscrutabili. Da dove veniva la luce, dov’era diretta? Se ne stava lì, pigramente aggrappata alla busta sigillata con lo stemma dei Malfoy impresso nella cera scura, smeraldina. E così anche Blaise, seduto sulla duchesse, lasciava che lo sguardo ozioso vagasse sulla carta, inseguendo la luce. Da dove veniva, dove era diretto? Anche lui, come quel bagliore, era destinato a manifestarsi solo dopo essersi infranto su qualcosa di fragile come il cristallo? Come Draco? Anche lui, come quella sfumatura scintillante, era destinato a dissiparsi, all’esaurirsi della legna nel camino?
No, non l’avrebbe aperta. Avrebbe aspettato lì, il ritorno di Draco, si sarebbe abbandonato sulla duchesse, come le fiamme sulla legna, crepitando impercettibilmente.
Avrebbe atteso e teso l’orecchio al rumore dei pesanti battenti dell’ingresso.
Aveva forse mai fatto altro?
Da dove veniva, dove era diretto, che importanza poteva avere.
Finché ci sarebbe stato il cristallo, avrebbe atteso.
 
***
 
-Io lo so cosa stai rimuginando, appollaiato lì, Ronald Weasley.
Ron sobbalzò, sulla poltrona nel salotto della sua ragazza, come un bambino sorpreso a intingere le mani nel vasetto di marmellata, nel cuore della notte. Quel tono, l’uso del suo nome completo, gli ricordava in maniera inquietante la voce della madre, alle volte.
Hermione, appena rientrata dal turno al San Mungo, chiuse la porta alle sue spalle, si sfilò il cappotto, e raccolse i capelli in una coda alta, non curandosi di trattenere le ciocche che sfuggivano all’elastico.
-Ne abbiamo già parlato, mi pare.
-Ma…Herm…
Hermione si accovacciò di fronte ad un Ron dall’espressione preoccupata, mise le mani sulle sue ginocchia, e sorrise con fare rassicurante.
-Se Harry avesse avuto bisogno di noi, ci avrebbe già scritto, sarebbe venuto qui, ci avrebbe chiesto una mano.
-Sì, ma sai com’è fatto…io…mia sorella…Quella lettera, qualsiasi cosa Ginny ci abbia scritto sopra, deve averlo sconvolto! E lo sai, che non verrebbe a chiederci aiuto, lui e i suoi complessi…sai quella storia di… di affrontare le cose da solo…!
La mano di Hermione corse a stringere quella di Ron, mentre la ragazza piegava il capo di lato.
-Ti assicuro, che qualsiasi cosa tua sorella abbia scritto, Harry sarà in grado di sopravvivergli.
-Ma Herm…da solo, in quella casa. Anche tu pensavi fosse tremendamente sbagliato…
Hermione, in un moto di tenerezza, si sporse e baciò Ron dolcemente, con fare quasi materno, sulla fronte.
-Ronald Weasley, piantala di rimuginare e borbottare, e dammi una mano a preparare la cena, piuttosto…Muoio di fame.
Poi si alzò, raccogliendo la fatica della giornata passata in reparto. Prima ancora che Ron potesse controbattere, Hermione si sporse oltre la propria spalla e, con un sorriso enigmatico, disse semplicemente:
-Harry non è da solo.
Poi camminò a passo deciso verso la cucina, lasciando a Ron la medesima familiare sensazione, di quando, sull’Espresso per Hogwarts, Hermione avesse fatto tutti i compiti per le vacanze e lui no.
Prima di chiamarlo a gran voce, in un angolo della sua mente, Hermione si appuntò di dover ringraziare Zabini.
 
***
 
La tazza vuota si stava ormai raffreddando tra le sue mani, strette sulla porcellana, eppure il thè era ancora al suo interno. Harry si sentiva come sospeso, lasciato lì a raccogliere l’eco della risata cristallina, libera e autentica di Malfoy, che seduto lì di fronte a lui, aveva una mano sulle labbra, come a nasconderne la piega giocosa. Il ragazzo, al lato opposto del tavolo, sorseggiava il proprio thè, in religioso silenzio, con gli occhi socchiusi sul bordo della tazza, ed un’espressione pacifica, quasi purificata. Da cosa, Harry non riusciva a capirlo.
-Se stai lì, muto come una statua, ad aspettare che mi scusi per quello che è successo oggi a lezione, sappi che non ho intenzione di farlo, Potter. Dovresti saper usare l’Occlumanzia da un pezzo, ormai.
Harry, senza nascondere la sorpresa per quelle parole, fece per ribattere, ma non trovò nulla di sensato da dire, e si limitò ad annuire poco convinto.
-Ma immagino, ci toccherà metterla nella lista “Cose Che Potter Deve Imparare”.- disse Malfoy, con una sfumatura di divertimento nella voce. Harry lo guardò non si lasciò sfuggire quel tono, e alzando un sopracciglio lo scrutò attraverso le lenti.
-E dimmi un po’…è lunga questa lista, Malfoy?
-Molto, sì. Per cui ci conviene metterci all’opera. Ricorda l’obiettivo, Potter.
Harry lo guardò perplesso, per un attimo smarrito, indeciso sul come interpretare quelle parole. Non che mancasse di obiettivi, quello no, anzi ne aveva a bizzeffe: risolvere la questione del diario, ad esempio. Semplicemente, da sempre, ad Harry riusciva di ignorarli e riporli in un angolo della sua mente, troppo concentrato o distratto da altre cose. Di solito era Hermione a rimettergli sotto gli occhi le incombenze essenziali, tipo scrivere i temi di Trasfigurazione, mentre lui era impegnato a non rimanere ucciso. La sua mente era incline a non depositarsi mai su qualcosa di ben preciso, non per più di cinque minuti almeno, ed Harry non la trovava particolarmente fastidiosa. Eppure, in quel momento, non poteva non maledirsi, perché aveva l’impressione che la parola “obiettivo” pronunciata da Malfoy poteva essere molto pericolosa. Niente a che fare con Hermione, di certo.
-Sveglia, Cadetto Potter! L’esperienza sul campo!
Illuminazione. Si riferiva al corso Auror, Harry quasi non tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo, anche se solo per un attimo, aveva avuto come la remota impressione che quell’obiettivo al quale Malfoy si riferiva, avesse a che fare con il loro rapporto. Forse, lo aveva anche un po’ sperato, solo per un attimo, niente di fondamentale sul quale focalizzarsi, si disse. E finì, per l’ennesima volta, a relegare quel pensiero nella scatola dei dati non analizzabili, lì nella sua testa, tentando di soffocare quella sensazione di…aspettativa?
-Ma prima di quello, mi pare, bisogna occuparsi di qualcos’altro.
Malfoy doveva divertirsi un mondo, con quelle frasi ambigue, o altrimenti Harry davvero non sapeva darsi altra spiegazione. Cercò di controllarsi e di non lasciare trasparire il riaffiorare di quella stessa percezione, solo un attimo prima archiviata. Si mosse sulla sedia, a disagio, e cercò di essere reattivo, mormorando un fragile:
-E sarebbe?
Malfoy non aveva smesso un attimo di osservarlo, in religioso silenzio, e aveva quell’espressione di quando si stia osservando il paesaggio, come se riuscisse esattamente a cogliere ogni singola sfumatura dell’espressione di Harry, che dal canto suo, si malediceva di nuovo. Gli occhi di Malfoy corsero all’orologio attaccato alla parete, poi si posarono sul tavolo. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia chiare, mentre sembrava soppesare la situazione. Harry ancora una volta lo guardava smarrito, quasi in ansia.
-Mi servono, nell’ordine: il tuo salotto, credo sia una stanza abbastanza ampia, diciamo che ce lo faremo andar bene…Poi del sale e della cannella. Infine: un coltello, preferibilmente d’argento. Uno specchio ed una piuma di Jobberknoll.
-Frena, frena, frena, Malfoy! Di che diavolo stai parlando, adesso?
Gli occhi grigi dell’altro tornarono nei suoi, all’improvviso, ma avevano un luccichio diverso questa volta, uno che Harry non avrebbe saputo riconoscere, forse perché gli era del tutto estraneo.
-Vuoi scoprire cosa c’è in quel diario o no, Potter?
Harry non poteva credere a quello che aveva appena sentito, si drizzò sulla sedia, concedendo a Malfoy la sua più acuta attenzione.
-Beh, certo che voglio! Ma se per il sale, la cannella, il coltello e lo specchio posso aiutarti…ti spiacerebbe spiegarmi cos’è uno Jobberknoll?
Vide Malfoy alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa.
-Potter, sembra di parlare con uno che non abbia mai studiato Pozioni. E sono sempre più convinto sia davvero così. Lo Jobberknoll è un piccolo uccello, le cui piume risultano particolarmente utili per la preparazione di pozioni che mnemoniche. Come ad esempio, il Veritaserum, ti dice niente?
Harry, se possibile, era ancora più confuso. Cosa aveva a che fare la memoria con quella storia, ed il siero della verità?
-D’accordo su tutto, Malfoy, ma cosa ti fa pensare che io abbia della roba del genere in casa?
-Lascia fare a me, Mister Disastro.- disse Malfoy, alzandosi, con un ghigno che non lasciava presagire niente di buono.
 
***
 
La luce del camino era soffusa, adesso che il divano era stato addossato verso quella porzione della stanza, che sembrava incredibilmente più grande.
-Ok, ripetimi perché lo stai facendo.
Draco, con le maniche della camicia tirate fin sui gomiti e i capelli stranamente in disordine, stava spingendo la poltrona per addossarla alla parete, mentre il suo interlocutore, in ginocchio sul pavimento, arrotolava il pesante tappeto e lo tormentava.
-Perché finché non l’avrai scoperto, non ti darai pace. E poi sei stato tu a chiedermelo.
Potter sbuffò come infastidito, forse dal fatto che Draco aveva colto in pieno l’ostinazione che il ragazzo aveva riposto nel rispondere all’interrogativo nascosto nel diario.
-Lo so che sono stato io a chiedertelo! Intendevo…perché qui? E perché ci siamo messi a spostare i mobili, senza magia, soprattutto!
Potter si alzò, battendosi le mani sulle gambe, per rimuovere senza successo la polvere.
-Ti ho già spiegato, Potter, che non possiamo usare la magia in questa stanza, se vogliamo che la cosa, con già pochissime possibilità di riuscita, funzioni.
Incurante dello sguardo perplesso di Potter, dandogli le spalle, Draco continuava a spingere la pesante poltrona verso un angolo della stanza.
-D’accordo…d’accordo…- stava brontolando a mezza voce Potter. Poi Draco percepì il fiato sottile e caldo del ragazzo sulla nuca, lo sentì chinarsi lievemente, alle sue spalle. Si sforzò di non trasalire quando le mani di Potter si accostarono alle sue, contro la spalliera della poltrona. Quell’improvvisa vicinanza, così intima, lo stupì profondamente, soprattutto quando sentì il petto di Potter appoggiarsi sulle proprie scapole. Potter del tutto inconsapevole dei propri gesti, spingeva contro di lui per aiutarlo a spostare il mobile, ma gli occhi di Draco non poterono far a meno di spiare oltre la propria spalla. Potter aveva un’espressione concentrata, gli occhi chiusi e le labbra serrate, nello sforzo. Draco sentì che da un momento all’altro avrebbe potuto perdere il controllo sul filo logico dei propri pensieri. Quando, nella spinta, anche il bacino di Potter si scontrò con il suo corpo, Draco non controllò il lieve singulto emesso a tradimento dalla propria gola.
-C-che stai…?- gli sfuggì dalle labbra.
-T-ti sto aiutando. Non l’hai spostata di un centimetro!
La voce di Potter, così vicina al suo orecchio, suonava tremendamente imbarazzata, mentre il proprietario sembrava lentamente rendendosi conto della situazione in cui si era messo da solo. Draco, incredulo, gli dedicò una mezza risata, mentre cercava di riprendere controllo di se stesso, e sopprimere l’eccitazione che il corpo di Potter innescava.
-Insomma, vuoi muoverti, Malfoy?- disse l’altro, ormai letteralmente annegato nel disagio, sebbene tentasse di suonare scocciato. La voce di Potter gli accarezzava l’orecchio, adesso impercettibilmente più roca, insieme a quel suo respiro rovente, e la cosa non lo aiutava di certo a pensare lucidamente. Cercò di respirare profondamente, per inalare quanto più ossigeno possibile e schiarirsi le idee, ma persino l’aria sapeva di Potter, in quel momento. Chiuse gli occhi, di fronte a sé, cercando di dipingersi sulle palpebre, un’immagine disgustosa, ma sapeva che sarebbe servito a ben poco: il calore alle sue spalle era troppo avvolgente, e Draco non voleva sfuggirne, neppure razionalmente.
-Ok, al tre, spingi…d’accordo?
-Non parlarmi nell’orecchio, Potter! È fastidioso…- disse, quasi esasperato, espirando pesantemente, e ricominciando a premere sulla spalliera, risoluto. Repentinamente, il corpo di Potter lo seguì, ma con meno convinzione del suo respiro, sempre lì ad sfiorargli il lobo, insistente.
-E non respirare così…- disse Draco, facendo finalmente scorrere il mobile sul pavimento, grazie all’aiuto di Potter.
-Cos’è, devo stare in apnea fin quando non avremo spostato questa dannata poltrona?!
Draco sbuffò, serrando gli occhi per non lasciarsi trascinare dal vortice di quell’emozione che sembrava immobilizzarlo e chiedere di più a quel corpo contro al suo. Qualcosa, dentro di lui, gli suggeriva di voltarsi, di dimenticare la poltrona, di invertire il senso delle spinte, di avventarsi sulle labbra di Potter, senza pietà. Ma il suo autocontrollo gli imponeva di spostare l’attenzione su qualcos’altro e sperare di assolvere quel compito ingrato senza ulteriori digressioni. Quando sentì il rumore del bracciolo, che cozzava contro la parete, si disse che la tortura era finita, senza particolari danni. Peccato che Potter continuasse ad esistere alle sue spalle e che, ai suoi danni, sembrava aver deciso di muoversi maldestramente contro di lui. In quel momento Draco, seppe di non essere l’unico ad aver gestito quella situazione in una condizione più che difficile. Che Potter lo avesse fatto intenzionalmente, Draco lo escludeva a priori, eppure non poteva esserne assolutamente certo. L’unica certezza, in quel momento, era la sensazione che il profilo dell’erezione dell’altro fosse ancora contro la sua natica destra. E Draco, tentando di regolare il respiro, voltandosi, trovò gli occhi di Potter fissi sul pavimento, le guance indicibilmente arrossate.
-Alle volte hai delle idee davvero brillanti, Potter.- disse Draco, sottovoce e suonando eccessivamente sarcastico. Il ragazzo, di fronte a lui, adesso a debita distanza di sicurezza, non sollevò lo sguardo, affogando nel proprio imbarazzo. Draco, per un attimo, sospettò che Potter, di lì a poco, avrebbe preso a darsi botte sulla testa da solo. Così, finalmente lucido, colmò quella distanza e, titubante, posò la mano sulla spalla del ragazzo che sembrava cercare la propria dignità tra gli acari sparsi sul pavimento.
-Va tutto bene.- disse, in un soffio, -Guarda che è normale…
Potter, le braccia strette al petto, non proferì parola, e scostò il capo, come a volersi nascondere, come si vergognasse di qualcosa che aveva pensato, temendo glielo si potesse leggere in faccia.
Draco gli prese il mento in una mano, per cercare di costringerlo a guardarlo negli occhi, cercando di rassicurarlo con un lieve sorriso. Potter lo guardava apertamente adesso, gli occhi velati, sebbene Draco non cogliesse da cosa. Scelse attentamente le parole, per evitare di peggiorare la situazione e al tempo stesso di sdrammatizzare, sebbene dubitasse Potter gli avrebbe dato retta, come al suo solito.
-Potter, non c’è niente di male. Non vorrai farmi fare uno di quei discorsetti sulle disfunzioni sessuali ed il senso di colpa, vero? No perché, ti assicuro che non sono per niente divertenti e alla fine ti sembrerà di avere molti più problemi di quanti tu non ne abbia già.
Di nuovo gli occhi di Potter sfuggirono ai suoi, mentre le dita di Draco avevano cominciato, di loro spontanea volontà, ad accarezzare debolmente la mandibola dell’altro, nell’ennesima espressione di un gesto complice e rassicurante insieme. A quel tocco, Potter sembrò rilassarsi, ma quell’espressione contrita non era per nulla sbiadita sul suo viso.
-Potter…
Poi l’altro alzò lo sguardo su quello di Draco, e cercò di sorridere forzatamente.
-Puoi solo non dire niente, per favore? Non ho voglia di parlarne. È già stato abbastanza imbarazzante così.
Draco annuì un po’ risentito, e ritrasse di scatto la mano, come scottato, dal tono perentorio di Potter, quasi gli avesse ricordato quale fosse il suo posto.
-Dicevo solo che non c’è motivo di essere imbarazzati.- rispose asciutto, dandogli le spalle, e dirigendosi verso il ripiano sul quale aveva poggiato gli altri oggetti, per poi riprendere ad armeggiare con questi ultimi.
Potter alzò le spalle ed emise un profondo sospiro, per poi seguirlo ed affiancarlo.
-E adesso, che si fa?- disse poco convinto.
-Prima devo tracciare il pentacolo sul pavimento con il sale. Reggimelo.- rispose Draco, con una voce incolore.
Poi abbandonò malamente tra le mani di Potter il vasetto del sale, recuperato poco prima alla cucina, e ne sottrasse un pugno, dirigendosi al centro della stanza. Accovacciato per terra, lasciando scorrere solo pochi granelli alla volta tra le dita, Draco prese a tracciare il pentacolo, con fare infastidito. Non si spiegava il perché di quelle imprevedibili reazioni di Potter, e detestava non trovare motivazioni valide almeno quanto detestasse non riuscire a predire le intenzioni dell’altro. Potter si accoccolò sul pavimento, poco distante, studiando i suoi movimenti, e stringendo le gambe al petto. Ogni tanto Draco con un cenno gli faceva intendere di passargli il sale, per definire meglio il contorno della figura.
Quando il pentacolo fu pronto, Draco, con un’accortezza estrema si rialzò, e senza scontrarsi con i limiti candidi, si diresse verso l’improvvisato piano di lavoro.
-Perché hai usato il sale?- chiese Potter, ancora lì sul pavimento, e Draco sospettò avesse fatto la domanda solo per alleggerire quel silenzio scomodo.
-Perché il sale è una sostanza pura, e come tale serve a purificare la zona dove si svolgerà l’incantesimo. In più, protegge da eventuali energie non proprio facili da gestire, e ci servirà a controllare meglio il rituale.- rispose Draco, senza mai voltarsi, e cominciando ad armeggiare con un altro vasetto, svitandone il coperchio. Si mise sul palmo di una mano dei bastoncini dall’intenso profumo e ritornò all’interno del pentacolo. Pose ogni stecca di cannella sull’estremità di ciascuna punta della stella, dicendo:
-E prima che tu lo chieda, la cannella corrisponde al successo, oltre che alla protezione.
-Dove hai imparato tutte queste cose, Malfoy?- chiese Potter, suonando visibilmente incuriosito dall’esperienza di Draco. Draco ricordò con trasporto il proprio mentore, riportandone alla mente le parole, che ai suoi occhi di bambino suonavano colme di fascino e di promesse di gloria. Severus aveva quel particolare modo di trasmetterhli anche le più assurde banalità, da fargli credere fossero segreti dall’inestimabile valore.
-Queste sono nozioni base. Ogni mago dovrebbe sapere quanto possa essere importante la natura degli elementi che usa nei propri incantesimi, e ancora di più nelle proprie pozioni. Per fare un buon mago, Potter, la magia non è tutto.- disse finalmente ricercando quegli occhi di smeraldo. Potter lo guardò come affascinato da quel lato di lui che, Draco lo sapeva, non avrebbe mai saputo indovinare.
-Andiamo di là.- disse risoluto.
 
***
 
Una volta in cucina, Malfoy impugnò la bacchetta, e chiuse gli occhi, sotto lo sguardo incredulo di Harry, ancora sulla porta della cucina. Il ragazzo aveva assunto una posizione d’attacco, di fronte al tavolo, ed era concentrato come Harry mai lo aveva visto. Doveva aver eseguito un incantesimo non verbale, perché dal nulla apparve una boccetta dal contenuto trasparente, sul tavolo. Harry non fece nemmeno in tempo a sospettare fosse Veritaserum, che ne ebbe la matematica certezza.
-Non voglio neanche sapere da dove viene quella roba.- disse, quasi afflitto, affiancando Malfoy.
-Bene, perché non te lo avrei detto. Appella un calderone.- disse Malfoy, tagliando corto. Harry incuriosito si limitò ad eseguire l’ordine senza fiatare e rimase a guardare i gesti armonici di Malfoy.
Dapprima svuotò il contenuto della boccetta nel calderone, poi, puntò la bacchetta al suo interno, il tutto nel più religioso silenzio.
-Che…?- sfuggì dalle labbra di Harry. Non era mai stato un genio in Pozioni, di certo, ma stranirsi nel vedere qualcuno agire su una pozione già pronta, non credeva avesse a che fare con le sue lacune in materia. Aveva semplicemente dell’assurdo.
- Per ottenere le piume, ingrediente del Veritaserum, bisogna scindere il composto per ottenere gli ingredienti primordiali. Se riesci a star zitto abbastanza a lungo, forse posso riuscirci.
-Scusa, eh. Non pensavo si potesse fare.
-Perché, vedi sopra, a quanto pare, non hai mai studiato Pozioni. Fosse stato per me, Potter, saresti marcito sui calderoni di Hogwarts, per sempre.
Prima che Harry potesse ribattere, Malfoy alzò una mano, per zittirlo. Poi chiuse gli occhi di nuovo, concentrandosi anche più di prima.
Non appena un lieve scintillio ambrato scaturì dall’interno del calderone, Malfoy si ritrasse fulmineo, tirandosi dietro anche Harry, che curioso si era sporto a studiare il contenuto del paiolo.
Dolcemente, da quello, scaturì una polvere bianca quasi evanescente, che si sparse sul tavolo ammonticchiandosi ordinatamente. Ne seguirono, ordinatamente, una serie di erbe tagliuzzate finemente, prima verde scuro, poi più rigogliose, che andarono ad accostarsi alla minuscola montagna candida, e dei minuscoli fiori rinsecchiti, dai colori rossastri.
-Come vedi, è riuscito: quelle sono zanne di serpente, aconito, artemisia e mandragola. Adesso è il momento…
Malfoy, con un tono sommesso, trattenne il fiato, quando dal calderone fuoriuscì una polvere azzurrata, che si posizionò accanto agli altri ingredienti. Gli occhi di Malfoy seguivano attentamente ogni granello di polvere che, ordinatamente andavano a depositarsi sul tavolo. Harry non capì bene perché fosse così concentrato in quel momento, ma penso che quella polvere dovesse avere a che fare con le piume di Jobberknoll. Poi, Malfoy sollevò la bacchetta, sussurrando, ai danni del calderone:
-Finitem incatatem.
E con uno schiocco ed un gorgoglio poco rassicurante, quella minuscola baraonda di ingredienti fluttuanti cessò. Harry strabuzzò gli occhi, intontito.
-Se avessi aspettato un attimo in più, sarebbe stato inutile: lo sciroppo di elleboro avrebbe rovinato tutto.- disse Malfoy soddisfatto, quasi raggiante.
-Ehm…Malfoy? Spiegheresti anche a me?- disse Harry divertito da quel comportamento, che ormai aveva quasi dimenticato, quella tipica espressione sulla faccia di Malfoy, era la stessa di quando, architettato il peggiore degli scherzi ai suoi danni, si godeva quel tenere Harry sulle spine. Doveva essere al quarto anno, l’ultima volta che l’aveva vista, sì.
-L’incantesimo che ho usato, scinde la pozione e riporta gli ingredienti al loro stato primordiale, ovvero prima che venissero usati, sebbene ovviamente deteriorati. Come vedi infatti piante come l’aconito, sarebbero inutilizzabili per una seconda pozione. La cosa sorprendente è che, se l’incantesimo è abbastanza equilibrato, gli ingredienti vengono rigenerati nell’ordine inverso in cui sono stati usati. Conoscendo il processo, sono riuscito a bloccare l’incantesimo prima che lo sciroppo, in forma liquida, potesse rovinare gli altri ingredienti.
Harry, senza parole, guardava Malfoy che concitato gli spiegava il funzionamento dell’incantesimo, mentre con le mani sulle sue spalle sembrava trattenerlo e dimostrargli quanta bellezza ci fosse in quel procedimento bislacco.
-Oh, wow…- disse Harry sarcastico.
-Sì, Potter. Wow.- la voce di Malfoy suonò parecchio risentita, quando disse: - Non è semplice come sembra. Ed in più, è la prima volta che mi riesca. Grazie tante.
Harry sorrise apertamente, mentre Malfoy si scostava con fare offeso. Sembrava essere tornato il Malfoy di sempre: permaloso ed orgoglioso. E se solo non si fosse trattenuto, date le sue scarse capacità di controllare ben altri e più imbarazzanti istinti, Harry lo avrebbe quasi abbracciato.
-Beh, che dovrei dire: complimenti, Malfoy, sei un genio?
Malfoy lo guardò, inarcando un sopracciglio e ghignando beffardamente.
-Vedi, anche un’idiota come te riesce ad accorgersene!
Harry scosse la testa, e scoppiò a ridere, di una risata liberatoria, senza freni, mentre Malfoy raccoglieva su un tovagliolo, appena appellato, la polvere delle piume.
-Piantala di ridere, sei inquietante e…Muoviti, Potter. Siamo solo all’inizio.
 
***
 
“Avete capito? La poesia non è fuori, è dentro! Cos'è la poesia? Non chiedermelo più, guardati nello specchio: la poesia sei tu! E vestitele bene le poesie! Cercate bene le parole! Dovete sceglierle! A volte ci vogliono 8 mesi per trovare una parola! Sceglietele, che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere! […] Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto! Morto, tutto è... Vi dovete innamorare e diventa tutto vivo, si muove tutto, dilapidate la gioia! Sperperate l'allegria! Siate tristi e taciturni con esuberanza! Fate soffiare in faccia alla gente la felicità! E come si fa? […] Per trasmettere la felicità bisogna essere felici. E per trasmettere il dolore bisogna essere felici. Siate felici! Dovete patire, stare male, soffrire, non abbiate paura a soffrire, tutto il mondo soffre! Eh? E se non avete i mezzi non vi preoccupate, tanto per fare poesia una sola cosa è necessaria: tutto! Avete capito? […]... buttatevi in terra! Mettetevi così! Eccolo qua... Oh! È da distesi che si vede il cielo! Guarda che bellezza, perché non mi ci sono messo prima!?”
La Tigre e La Neve,
Roberto Benigni
 
 
 
Sempre sotto gli occhi vigili di Potter, che lo osservavano tra il morbosamente curioso e l’irritantemente angosciato, Draco pose il diario al centro del pentacolo, cospargendolo delle piume tritate, mentre continuava a spiegare:
-Le piume, servono a rievocare i ricordi, e sono usate in altre pozioni che hanno a che fare con la memoria, oltre che nel Veritaserum. Si dice che il Jobberknoll non emetta nessun verso, nemmeno uno. Fino in punto di morte, in cui, in un indebito canto del cigno, si esibisce riproducendo, alla rovescia, tutti i suoi che ha udito nel corso della sua vita.
Draco batté le mani le une contro le altre, sul diario, per recuperare fino all’ultimo granello di polvere azzurra, per poi uscire dal pentacolo e dirigersi verso il piano di lavoro.
-Lo trovo molto triste…- smozzicò Potter, addossato alla spalliera del divano, al lato opposto della stanza, con le braccia conserte.
-Io non direi sia triste. Non è quest’allegria, per carità. Ma in qualche modo è… bello.- rispose Draco, dando voce ai suoi pensieri, senza neanche soffermarsi nello schermarsi, come avrebbe di norma dovuto fare, nell’esprimere un’opinione. Senza arrovellarsi troppo sui come ed i perché avesse parlato così liberamente, ritornò al centro del pentacolo, stringendo lo specchio ed il coltello in entrambe le mani. Prima di dar il tempo a Potter di poter proferire parola disse:
-Lo specchio serve a riflettere quel che è nascosto nel diario, visibile solo attraverso questa superficie. Inutile spiegarti che qualsiasi ricordo, apparirà lì. Per quello ne ho chiesto uno che fosse abbastanza grande.
Potter annuì indeciso, spostando lo sguardo allarmato sulla lama, e di nuovo, Draco intuendo si mise a spiegare:
-Il coltello, serve per il sangue, ovviamente. Ultimo ingrediente del rituale. È preferibile sia d’argento, perché anche questo essendo una sostanza pura, è estremamente ricettivo: influenza la mente, condiziona le emozioni. Veicolare il sangue del destinatario, attraverso l’argento, riesce a rendere il ricordo più nitido, esatto.
Potter non sembrava del tutto convinto, e continuava a guardarlo come spiazzato, dando l’impressione che potesse inorridire alla sola vista del proprio sangue.
-Ti spiego, Potter: si annuisce se si è capito, e si scuote la testa se invece non si è capito.- disse Draco punzecchiandolo con il suo sarcasmo acido e suonando, volontariamente, scocciato.
-Malfoy, ho capito, ho capito. Non faccio che annuire da mezzora ed eseguire i tuoi ordini. Solo, questa storia del sangue, non mi fa stare tranquillo, d’accordo?
Draco non poté far a meno di lasciarsi scappare una risata, ripensando a quante volte il proprio sangue avesse macchiato proprio i vestiti di Potter, in una delle tante volte in cui, a scuola, avevano finito per fare a botte.
-Potter, rilassati. Sarà uguale alle altre volte: rosso, liquido e schifosamente normale. Pensavo che dopo il Sectumsempra, l’avessi superata.
Non avrebbe dovuto dirlo, se ne rese conto solo dopo che gli fu sfuggito dalle labbra. Potter sgranò gli occhi, si morse furiosamente il labbro inferiore, e distolse lo sguardo, incupendosi irriducibilmente. La piega delle labbra adesso aveva qualcosa che ricordava a Draco l’amarezza, il senso di colpa. Non avrebbe dovuto scherzarci sopra, come non avrebbe dovuto pensare di poter parlare così liberamente, senza veli, come faceva con Blaise. Ebbe la sensazione di averlo ferito profondamente, eppure non si mosse, lì nella sezione aurea del pentacolo. Forse non avrebbe dovuto nemmeno trovarsi lì, invischiato in quella sensazione. Cosa lo aveva spinto a farlo, poi? Aiutare Potter, così senza nulla in cambio, certo. Eppure aveva già ricevuto talmente tanto, in cambio, sebbene fingesse la cosa non lo avesse mai interessato: la compagnia di Potter, quell’intimità docile e rassicurante, la complicità che mai pensava di poter ritrovare negli occhi di qualcuno. Ma di certo, in quel momento, non voleva essere spettatore dell’anima tormentata di Potter per un ricordo che lui aveva riportato a galla, non voleva sentire delle scuse, non voleva nient’altro che ripetere a Potter che era passato, che non importava. Così come Potter era stato lì, a ripetergli che andava tutto bene. Voleva esserci, per Potter. Si rese conto, esserci davvero. E quella consapevolezza lo colpì allo stomaco, talmente forte che, quando Potter alzò lo sguardo e fece per dire qualcosa, Draco distolse il proprio e risoluto, con una voce carica di sentimenti inespressi, disse:
-Cominciamo.
 

 
Note:

 
La prima citazione, ve lo giuro, l’ho (ri)trovata nella mia mente, ma solo alla fine della stesura del capitolo. Che il mio subconscio abbia cercato di dirmi qualcosa? Mah chissà.
La seconda, è affiorata a causa di tutto quel ciarlare di Malfoy e degli specchi, quindi, prendetevela con lui. Non c’entra neanche con il capitolo, e per quello non sono riuscito ad usarla come citazione d’apertura, eppure non non riuscivo ad ignorarla, quindi, mi sono giocato il jolly e le ho usate entrambe.
Detto ciò, il “rituale” protagonista assoluto del capitolo è tutto un parto della mia mente, se qualcuno si prendesse la briga di cercare, ogni elemento esiste davvero (in opere altrui o in natura), con le sue caratteristiche chimiche/fisiche/magiche…non faccio la lista dei link dai quali ho tirato giù tutto, perché sennò, veramente, mi mandate a quel paese –dove tra l’altro sono già-.
Passiamo alle cose importanti:
 
Volevo dire 66 volte grazie a tutti i lettori –silenziosi e non- che seguono questa storia.
Per 23 volte, mi tocca invece ringraziare coloro i quali l’hanno piazzata tra i preferiti.
6 sono i grazie per chi ha pensato valesse la pena ricordarla.
 
E 97, sono i motivi che mi spingono a continuare, ai quali vanno i ringraziamenti più grandi e sentiti. Ciascuno di quei 97 motivi mi ha portato a questa pagina numero 400, a distanza di ormai ben 2 anni e mezzo (quasi). Ed il merito è soprattutto vostro.

Grazie. 

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Capitolo 29
*** Farewell ***


XXIX. Farewell
 
“Il tuo nome ignoro. Il tuo profilo non ricordo.
Le tue parole dimenticai.
Era mattina, nebbia, era Dicembre,
Quando ti trovai e ti persi.
Sogno o rammento?
 
Non so. Era mattina e la nebbia
Nascondeva quello che c'era e quello che pensavo
Come un falso estremo rifugio
In nessuna parte del quale io stavo.
Sogno, prolisso e intero,
 
Ma, se tra i tasti la tua mano vagasse,
Così, spogliata dell'esser tua, io so
Che forse potrei trovare
Tra quello che non ho potuto incontrare
Quello che non troverò.”
 
Fernando Pessoa
 
 
Un paio di gocce sfuggivano al palmo chiuso attorno ad una lama d’argento, imbrattando lievemente con quel colore feroce, l’oggetto casualmente adagiato sul pavimento, o così poteva sembrare.
Non seppe dire cosa innescò il processo, ma qualcosa gli fece intuire che doveva essere il contatto tra il proprio sangue e quell’oggettino minuto ai suoi pedi: improvvisamente, una musica sommessa, si sprigionò nella stanza, come il profumo di un tempo ormai dimenticato. Alzò lo sguardo, interrogativo, verso la presenza rassicurante al suo fianco. L’altro si limitò a poggiare una mano sulla sua spalla ed alzare il mento, in direzione dello specchio.
C’era un pianoforte, delle mani bambine, ossute e candide, che stridevano col nero delle alterazioni dei tasti, che sembravano invisibili sui tasti pallidi. Lì tra un si bemolle ed un do diesis, il movimento di quelle piccole dita tenaci si disperdeva, divenendo appendice stessa delle corde del piano che venivano pizzicate, tormentate, in quel momento, mentre raccontavano una storia di cui non si poteva indovinare una fine. La musica si faceva più distinguibile, una melodia placida, lenta, docile, aveva il retrogusto di braccia materne che cullano dopo un incubo nella notte, eppure l’odore della solitudine, il rumore del silenzio. Sullo specchio, le mani di un bambino, su quei tasti, a suonare qualcosa di così intenso, così adulto: la colonna sonora dell’assenza. Agli angoli degli suoi stessi occhi, non sapeva dirsi come potesse essere successo, si abbandonarono rivoli salati. Era la più bella e straziante melodia avesse mai sentito, e trovava ingiusto che tutto quel dolore potesse essere trasposto su un pentagramma, e che quell’insieme di note potesse essere letto ed eseguito da un bambino. Era ingiusto non riuscire a cogliere lo sguardo del piccolo pianista, riuscire almeno ad indovinare la sua concentrazione nella perfetta esecuzione, poter almeno sperare non stesse a sua volta piangendo. Non poteva vederlo, ma sapeva che quel bambino sarebbe diventato l’uomo che amava, sembrava riuscirne a riconoscere le manine, giovani e decise su quei tasti. Un uomo ruvido, scontroso, figlio del niente, colmo di concavità e convessità taglienti, svezzato dal seno materno per essere nutrito da una vendetta che bruciava sotto la pelle, un uomo con un obiettivo che faceva rabbrividire. Eppure Draco, finalmente, lo vedeva per ciò che era stato: un bambino abbandonato, al quale era stata rinnegata la possibilità di un’infanzia felice, di una qualsiasi infanzia. Sapeva che in quel ragazzo era seppellita quell’armonia di suoni, proprio quella che era udibile adesso, quella che era diventata il suo regalo, una parte che lui non aveva osato mostrare a nessuno. Lasciò scivolare le lacrime, poi si voltò e strinse quel ragazzo a sé, prima che diventasse definitivamente uomo, che abbandonasse il sogno di quella melodia, prima che il ricordo svanisse, racchiuso di nuovo nel suo regalo.
Quando poi la melodia sfumò, e l’aria si fece statica di silenzio, Draco frugò nei suoi occhi, e non poté far a meno di ammutolire la sua richiesta:
-Vorrei la suonassi ancora, adesso.
Theodore si scostò bruscamente, guardandolo senza vederlo, lo sguardo oltre la sua spalla, alla sua immagine riflessa, alla superficie che poco prima aveva spolverato la sua infanzia.
- Non posso. Non suono da allora. Non suonerò più.
 
***
 
“Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla [...] L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. [...] L'importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa!”
 
Fëdor Dostoevskij
 
 
Perché quel ricordo lo inchiodasse lì, in quel momento, Draco non cercò neanche di chiederselo. Guardò la lama del coltello d’argento, che gli restituì il riflesso del suo sguardo, nel quale riuscì ad indovinare un’ombra, lacerata e ridotta a brandelli, un’ombra impossibile da non riconoscere, almeno per lui. Era l’ombra di qualcosa che era stato, che aveva ardentemente cercato di odiare, che portava con sé la sfumatura di ciò che poteva essere, se solo le cose fossero andate diversamente. Una volta, Theodore gli aveva detto che in un'altra vita, probabilmente ci sarebbe stato posto per tutto quello. Ma loro avevano avuto solo quella, e niente avrebbe potuto cambiarlo. Il ricordo di Theodore, conficcato lì da qualche parte, riusciva ancora a torturarlo. Quello che era stato, l’abbozzo di qualcosa di umano, Draco lo aveva scorto pienamente, non poteva essersi ingannato, se lo era ripetuto mille volte. Eppure, guardandolo negli occhi, spesso aveva finito per dirsi che doveva essersi immaginato tutto, che nel corpo di Theodore non c’era posto per nient’altro, null’altro che il sangue versato da vendicare, il sangue di quell’Auror da versare, per poter ripagare tutto ciò che gli era stato rubato. Draco aveva sperato con tutto se stesso, aveva pregato e si era illuso, che potesse finire lì, che una volta vendicata la morte dei propri genitori Theodore sarebbe ritornato quello di sempre. Non lo avrebbe ammesso mai, ma dopo aver ricevuto in dono quello scorcio dell’infanzia di Theo, Draco aveva persino immaginato che, una volta evaporato quell’odio, una volta stroncata la vita dell’assassino della sua esistenza, le mani di quel bambino ormai uomo potessero ancora una volta sfiorare i tasti di un pianoforte ormai contaminato dalla polvere dell'abbandono.
-Malfoy, guarda che possiamo lasciar perdere, sul serio. Non devi…
Come riscosso dal suono di quella voce, Draco alzò lo sguardo, e si ritrovò negli occhi di Potter. Era come se per tutto quel tempo si fosse sentito smarrito, di nuovo e da sempre smarrito, nient’altro che un cieco vagabondo, su una strada che non sapeva neppure di star percorrendo. Ed adesso, improvvisamente vedeva, fin dove lo sguardo riusciva ad arrivare, ma anche oltre, alle spalle dell’orizzonte. Ed era tramite gli occhi di Potter. Non aveva ben chiaro da dove venisse quella consapevolezza, ma sapeva di essersi ritrovato lungo lo sguardo sincero di quel ragazzo, dietro a quelle lenti, e non c’erano ombre dilaniate, ma solo battiti pulsanti nel petto, a ribadirgli la strada da seguire. Non aveva bisogno di alcuna mappa, si rese conto, quella strada poteva arrivare in un unico posto. E quel posto era sulle labbra di Potter, adesso dalla piega preoccupata.
Draco sorrise brevemente, padrone di quell’istante, come non lo era stato di nulla prima d’ora, e impugnò saldamente il coltello, aprì il palmo destro e vi appoggiò la lama fredda, imprimendola con una lieve pressione della mano sinistra. Si ferì, non per farsi del male questa volta, lui che tante volte aveva fatto a pugni con se stesso, lui che si era lasciato sanguinare graffiandosi con i vetri taglienti di sentimenti infranti, si ferì e lo fece cercandosi negli occhi di Potter, ancora una volta, senza esitazioni, perché era giusto.
Un paio di gocce di sangue sfuggivano al bordo della lama, adesso nascosta nel suo palmo chiuso, come una pioggia stanca, Draco lasciò che scivolassero sulla copertina di quel libro senza titolo ai suoi piedi, poi flebile mormorò qualcosa, un frammento di un ricordo anche quello.
Quelle gocce rossastre sulla copertina sfrigolarono per un attimo, fiammelle tremule, fino a scolorirsi, illuminarsi e dissolversi, poi dopo un attimo, in cui sentì distintamente Potter trattenere il fiato, lo specchio, posto poco aldilà del libro, infranse la sua superficie, colorandosi dei ricordi della vita di qualcun altro.
 
***
 
“L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale.
Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.
Nomi e parole sono questo.
Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.”
 
Cesare Pavese
 
 
Il diario era aperto adesso, colmo di una grafia minuta ed ordinata, a tratti elegante, qua e là si vedevano tremule sbavature d’inchiostro. Harry, incerto, si avvicinò al pentacolo, dal quale Malfoy era uscito, scostandosi, come concedendogli la possibilità di scrutare lo specchio. Aveva occupato una porzione di spazio e cercava di fingere di non essere lì, con quel suo essere riservato spettatore attonito di qualcosa che non gli apparteneva. Harry inspirò profondamente, facendosi coraggio, e lanciando un ultimo sguardo a Malfoy, che non ricambiò, fissando il proprio sul palmo e sulla piccola ferita ancora aperta. E mentre Malfoy silenzioso se ne stava lì, con tutta la delicatezza di cui fosse capace, Harry si inginocchiò per terra, vicino a quelle pagine adesso fitte di parole, cercando di leggere, ma senza comprendere neppure una parola, troppo distratto dall’aspettativa, dalla trepidazione di quello che avrebbe scoperto. Quando poi la curiosità vinse sulla paura di ciò che avrebbe trovato, Harry alzò lo sguardo sullo specchio, e gli occhi gli vennero lucidi, mentre si apriva in un tremulo sorriso di sollievo:
-Non è niente di malvagio.- gli riuscì di dire, con una voce ancora vacillante,  poi i ricordi su quella superficie, sembrarono rapirlo, facendogli aggrottare le sopracciglia.
Doveva sicuramente trattarsi del dormitorio Grifondoro, eppure c’era qualcosa che non quadrava, la disposizione dei letti era diversa, persino il mobilio sembrava più vissuto. Il comodino a destra del letto accanto alla finestra, ad esempio, sembrava star insieme per miracolo, l’anta quasi penzolante. Ed anche il tappeto a prima vista sembrava bruciacchiato in più punti. Ad un certo punto, qualcosa catturò lo sguardo di Harry, una figura, aveva appena fatto il proprio ingresso nella stanza, provenendo dalla parte destra dello specchio. Poteva essere non più alto di quanto non fosse Harry, i capelli lunghi e scuri, scarmigliati. Ma non riusciva a distinguerne il viso, poiché gli dava le spalle. Il cuore di Harry accelerò impazzito, e non fece in tempo a sperare si potesse trattare di suo padre. Quando poi quella figura si accostò ad uno dei letti per strattonare le tende del baldacchino, sempre dandogli le spalle, Harry vide un giovane Grifondoro seduto nel bel mezzo del letto, il capo chino su un libricino. Ad occhio e croce poteva trattarsi di un sedicenne, ipotizzò Harry, sempre più perplesso.
 
-Che fai rintanato quassù, Moony?
 
Harry non fece in tempo a riconoscere il suono di quella voce, di quell’appellativo, lo scherno, quella nota leggermente indolente, non fece in tempo a sentir gli occhi inumidirsi. Si sentì sprofondare, incurante di essere sotto lo sguardo attento di Malfoy, mentre le proprie labbra sussurravano: Sirius. Il ragazzo seduto sul letto, alzò il capo, e sembrò quasi percorresse spazio e tempo, attraverso lo specchio, e fissasse i suoi occhi in quelli di Harry, come tante volte aveva fatto, come non avrebbe mai più potuto fare.
E fu solo allora, come se non riuscisse a crederci prima di quell’esatto momento, che Harry riconobbe Remus Lupin.
 
 
***
 
“Nella voce, come pure nello sguardo c’erano una dolcezza e una serietà simili a quelli che hanno le persone continuamente concentrate in un’unica opera amata.”
Lev Tolstoj
 
-Fa vedere, dai!
-È roba privata, Pad!
-Alle volte sei davvero infantile…
-Affatto…
-Dovresti smetterla di raccogliere accozzaglia inutile, per farcire quella roba!
 
Le parole rimbombarono nel salotto, mentre Draco percepiva il respiro di Potter spezzarsi e infrangersi, come in attesa. Con la coda dell’occhio poté distinguere la superficie dello specchio incresparsi nuovamente, e sebbene non credeva fosse possibile, sentì il cuore di Potter compiere una capriola, mentre trasaliva, come risentito, perché privato di quell’istante.
 
-Cosa stai scrivendo, adesso?
 
Il tono, che si imprimeva tra le pareti, era quello della curiosità istintiva, adolescente, essenziale. Draco non aveva mai immaginato che la voce del cugino potesse essere così diversa, così sconsiderata, allegra, leggera. Se si fosse sporto un poco, se si fosse avvicinato a Potter, adesso completamente dedito alle immagini che si rincorrevano nello specchio, anche lui avrebbe potuto conoscere il volto di quella spensieratezza, quel sapore gioviale e allo stesso sempre sacro, avrebbe potuto spiare le immagini di un giovane Sirius che cercava di sfilare il diario dalle mani di un giovane Remus, che a sua volta si dibatteva per impedirglielo, ma senza provarci neppure.  
 
-Una storia…
-La conosco?
-Eccome!
-Leggimela!
-Non posso, la stiamo vivendo.
 
Finalmente Draco guardò apertamente il viso di Potter, rapito da quelle parole, che entrambi avevano appena ascoltato. L’espressione dell’altro era contratta nell’amarezza, gli occhi erano lucidi, screziati da una malinconia immemore. Draco non ebbe il tempo di assorbire quel lato, così ben celato, di Potter, che l’espressione si rifece limpida, specchio della superficie che cambiava di nuovo. Come il riflesso cambiava, così i colori negli occhi di Potter, come fosse lui adesso la superficie riflettente.
Le sopracciglia scure di Potter si aggrottarono per un istante, per poi distendersi dolcemente, come riconoscendo qualcosa, qualcuno.
Draco fece un passo avanti, prima ancora di potersi rendere conto di averla data vinta alla propria curiosità, quel tanto che bastasse a fargli sbirciare dentro a quel ricordo, prima che svanisse.
Quattro ragazzi erano placidamente addormentati, erano talmente diversi l’uno dall’altro eppure sembravano sognare tutti la medesima cosa, in un enorme letto sgangherato, dalle lenzuola scure di polvere e di umidità. Solo i volti di Lupin e Black erano visibili, alla luce di un camino che non faceva parte della scena, ma che si percepiva crepitare. Lungo la guancia di Lupin vi era una ferita obliqua, ancora fresca, sporca di sangue rappreso, che fece rabbrividire Draco osservandola. Poi Lupin aprì gli occhi, pigramente, e guardò oltre la propria spalla, sbirciando dietro di sé un Black profondamente addormentato, con la bocca semi aperta. Draco lo vide sorridere di una dolcezza estenuante, che faceva male. Poi Lupin si sporse, tendendosi lentamente, raggiungendo la bacchetta, sul pavimento poco distante. Appellò il diario e una piuma, scrisse qualcosa, velocemente. Rilesse ciò che aveva scritto, con poca convinzione, poi impugnò saldamente la piuma, e ferì la carta, con un sorriso radioso. Sbirciò di nuovo Black, dietro di sé, scrisse qualcosa, e poi ripose tutto sotto al letto, immergendo quell’istante nella polvere. Prima che Draco portasse lo sguardo sulle pagine del diario, quello lasciato sul pavimento di Potter di fronte allo specchio, vide distintamente un braccio di Black allacciarsi alla vita di Lupin, nel sonno.
La pagina corrispondente a quel ricordo, Draco lo vide chiaramente, subito dopo, riportava, al centro:
 
Ancora qui. Ancora noi. Nonostante tutto, resistiamo.
 
***
 
“Riuscire a sorridere di tutti i piccoli fastidi e inconvenienti quotidiani sarebbe già l’anticamera della felicità.”
 
Giovanni Soriano
 
-Finisci quel tema di Pozioni e andiamo a letto, o domani farai storie…come sempre.
-Tu l’hai già finito, eh? Mi faresti dare un’occhiata?
-Questo non è Pozioni!
 
 
Harry sorrideva leggermente divertito da quel quadretto, così diverso dai precedenti, così simile a come aveva sempre immaginato dovesse essere allora. Non capiva ancora dove potassero quei ricordi, ma non sembrava importargli, mentre sentiva le pagine del diario scorrere spontaneamente ogni volta che l’immagine nello specchio variava, riusciva solo a sperare non finisse troppo presto. Vide Malfoy leggermente più vicino, incuriosito da quello che stava accadendo, lo guardò in viso e gli dedicò un sorriso conciliante.
-Mio padre, Remus, Sirius e Minus erano molto uniti ai tempi della scuola. Stavano sempre insieme.- ricordò con calore, la voce come un sussurro, tremante vittima dell’emozione. Fece un cenno impercettibile verso Malfoy, facendogli intendere di avvicinarsi, di star concedendogli il permesso di partecipare a quella stessa intimità, condividendola con lui.
Malfoy, silenziosamente, lo raggiunse, all’interno della sezione aurea del pentacolo, cercando di non invadere più del dovuto quello spazio talmente ridotto che riuscivano a starci con difficoltà. Harry riportò lo sguardo sullo specchio, giusto in tempo, prima che l’immagine cambiasse di nuovo. Erano spalla contro spalla adesso e non seppe spiegarsi perché, ma sentire la presenza di Malfoy, la sua esistenza così addossata alla sua, lo rassicurava. Forse perché, sebbene cercasse di ignorarlo, conosceva già l’epilogo di quella storia.
Vide un Sirius giusto un po’ più adulto, un accenno di barba sulla sua faccia un po’ più spigolosa, la solita espressione incurante, mentre faceva spallucce nella sua maglia scura, leggera. Si trovava nella sua stanza, lì a Grimmauld Place 12, adesso, ed il naso era leggermente arricciato. Remus, accanto a lui, come non potesse trovarsi altrove, faceva vagare lo sguardo lungo le pareti, perplesso.
 
-Era questa l’idea di cui mi avevi parlato?
 
Harry vide tra le mani di Remus il diario, e schiuse le labbra, alzando le sopracciglia, colto da un’illuminazione. Sirius doveva aver proposto a Remus di nascondere il diario lì, lì dove poi Hermione lo aveva ritrovato. Doveva sicuramente essere così. Ma quel che Harry non si spiegava era il perché. Remus abbandonò il diario tra gli scaffali della libreria. Sirius si portò l’indice alle labbra, mentre si sentivano dei rumori, provenire dal piano inferiore.
 
-Faremmo bene a smaterializzarci prima che…
-Che l’allegra famiglia si accorga che sono stato qui. Andiamo.
-E dovremmo anche trovare una scusa decente…sai, per James.
 
Il cuore di Harry si rattrappì, e dimenticò di pulsare per un attimo. Ebbe come l’impressione che per tutto quel tempo, non avrebbe dovuto intrufolarsi in quei ricordi, scavare così a fondo. Sirius e Remus avevano nascosto qualcosa al loro migliore amico, a James, Prongs, suo padre. La verità era qualcosa che non era appartenuta neanche a suo padre, forse nemmeno lui aveva il diritto di andare oltre. Forse sarebbe stato meglio non sapere. Chiuse gli occhi per un istante, e quando sentì improvvisamente la mano di Malfoy sulla sua, trasalì. Si aspettò che l’altro dicesse qualcosa, ma non lo fece, semplicemente, lasciò il palmo sul dorso della sua mano, e in silenzio sembrò sussurrargli che andava tutto bene.
Poi l’immagine cambiò di nuovo, repentina questa volta.
 
***
 
“Questa è la cosa peggiore, secondo me.
Quando il segreto rimane chiuso dentro non per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare.”
Stephen King
 
-Lo lasceremo lì, il tuo prezioso diario. E tra dieci anni lo rileggeremo, insieme, d’accordo?
-Dieci anni, allora.
-Dieci anni.
-Qualunque cosa accada?
-Qualunque cosa accada.
 
Draco vide i due ragazzi, adesso diciottenni, ipotizzò, in un bel giardino curato, colmo di rose. Sbirciò Potter, che aveva nuovamente aggrottato le sopracciglia, l’ombra di un timore sconosciuto sul fondo delle pupille.
Sirius, nello specchio, sorrise e si allontanò, dirigendosi come verso i muti spettatori, ma una mano di Remus lo trattenne, agguantandolo per il bordo della maglia.
 
-Vorrei parlarne a James.
-Non è il momento, Moony. Ma lo faremo, te lo prometto.
-Ti ha detto il perché di questo incontro, così all’improvviso?
-No, ha solo detto che era urgente. E che Silente aveva bisogno di parlargli.
-Sbrighiamoci, allora.
 
Draco si accigliò, perplesso, come se gli mancasse un pezzo per risolvere i puzzle. Sapeva ben poco di Lupin e Black, certo, eppure gli sembrava dal loro tono, che la serietà richiesta dalla situazione fosse immotivata, come se non appartenesse a nessuno dei due. Cosa poteva essere successo? C’era qualcosa che non tornava. Guardò Potter e sentì un dolore sordo alla bocca dello stomaco. Il verde di quegli occhi era nuovamente lucido, e Draco sapeva che stava per liquefarsi, lo percepiva chiaramente. Qualcosa, come un ingranaggio, tornò al suo posto e Draco capì. Così, incapace di dire qualsiasi cosa, strinse la propria presa sulla mano di Potter.
 
***
“Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.”
Wislawa Szymborska
 
C’era sangue, e corpi, pesanti, senza vita, nella scena seguente. Harry deglutì a vuoto, sentendo salire la nausea. Si sentivano urla, angoscianti, disperate, che rimbombavano come un’eco. Lampi di luce si susseguivano dentro lo specchio. Harry riconobbe i volti di persone che aveva conosciuto e conosceva, ed altri che odiava riconoscere: Moody, i genitori di Neville, Bellatrix Lestrange, Molly. Alcuni erano volti di uomini che erano stati dimenticati, altri erano volti familiari, nomi che si susseguivano nella sua mente. E si susseguivano immagini grottesche, macabre, le maschere dei Mangiamorte, Dissennatori, Licantropi, turbini di polvere, macchie scure di sangue rappreso, mosche su cadaveri senza volto, la guerra. Morte.
Distolse lo sguardo, incapace di sopportare oltre, e chinò il capo, stringendo le dita fino a farsi sbiancare le nocche. Malfoy, inginocchiato accanto a lui, aveva smesso di respirare e sembrava tremare impercettibilmente. Harry guardò la mano di Malfoy stretta sulla propria, e immaginò non potesse essere da nessun’altra parte, si chiese persino dove fosse stata per tutto quel tempo. Quando Harry si arrampicò sul suo volto, per studiarne l’espressione, vide le labbra contratte, gli occhi socchiusi, una rabbia rassegnata impregnava le sue ciglia chiare. Sullo specchio, un paio di occhi gemelli di quelli del Malfoy al suo fianco, li scrutava, senza vederli, come impassibili, nascosti oltre una maschera candida.
Era la guerra, Harry aveva finto di dimenticare cosa significasse, ma quelle immagini, quei ricordi erano feroci, artigliavano dolori sopiti, traumi nascosti, con impeto spazzavano via quella sorta di normalità. Era brutale. Ma proprio quando la scena stava per inasprirsi, poco prima di sentir rimbombare tra quelle mura l’ennesima maledizione senza perdono, lo specchio si increspò di nuovo.
 
-Shhh…Tornerò, te lo prometto. Non faccio l’eroe, faccio ciò che è giusto. Li depisteremo, funzionerà. Farà male, ma tornerò. Tieni il mio diario. Leggilo, farà meno male.
-È questo che ci rimane? Delle righe scritte su una pagina?
-No, è questo che ci rimane, e dobbiamo lottare per mantenerlo.
 
Harry sentiva il dolore nella voce rotta di Sirius, sentiva la preoccupazione di Remus, quella sua incertezza sempre mal celata dietro all’autorevolezza delle proprie parole. Poi vide la trasparenza di una lacrima solcare la guancia del suo padrino. E assisté incredulo a quello che seguì: Remus, trattenendo la mano dell’altro sul proprio cuore, si sporse. Poggiò le labbra su quelle di Sirius, in silenzio, in un gesto che suonava familiare, rassicurante, pacifico.
E Harry, incredulo, non riuscì nemmeno a stranirsi, come lo avesse saputo da sempre, come da sempre avesse indovinato quell’ombra negli occhi del proprio padrino, del suo professore di Difesa. Harry lo trovò straziante, ed ingiusto. Era la guerra ed aveva rovinato anche quello. Non riusciva a spiegarsi perché lo riuscisse a trovare naturale persino. Sentì Malfoy lasciarsi sfuggire un verso di disappunto, come non capisse cosa fosse successo, tutto un tratto. Ma Harry, improvvisamente capiva. Sapeva dove aveva già visto quello che stava accadendo, dove avrebbe potuto ritrovare quello sguardo d’intesa tra i due uomini nello specchio, e istintivamente riportò alla mente la foto dei suoi genitori, che sorridenti lo tenevano in braccio, in un pomeriggio di autunno. Sapeva cosa stava succedendo in quella scena. Stava succedendo l’amore. Ecco cosa Sirius e Remus avevano nascosto a James. Ecco il perché di quel diario. Ed Harry si lasciò sfuggire una lacrima, mentre il tempo rallentava e si fermava, cristallizzandosi.
 
***
“Some of us think holding on makes us strong;
But sometimes it is letting go.”
 
Hermann Hesse.
 
Il vetro era buio adesso, vuoto. Si sentiva, il lontananza, il pianto di un bambino. Poi tutto si colorò, ma lievemente, continuando a rimanere in ombra.
 
-Esistono cinque fasi per il dolore… Negazione, rabbia, auto-recriminazione, depressione.
-Hai detto che ce ne sono cinque…Qual è l’ultima?
-L’accettazione.
 
Draco vide Black chinare le spalle, come sconfitto prima ancora di essersi battuto, all’interno di quella stanza angusta. La fiaccola, appesa alla parete, ma non visibile, mandava bagliori sui polsi bloccati da pensanti catene. La voce di Lupin era quanto di più lontano all’umano si potesse immaginare, era rabbia cieca, animalesca e c’era dell’altro, come un retrogusto, forse delusione, rancore.
 
-Cinque fasi del dolore, Sirius. Qualcuno dice siano le cinque fasi per l’elaborazione di un lutto.
 
Draco non aveva mai immaginato una voce potesse suonare così quieta eppure allo stesso tempo avere il colore dell’uragano, non poteva immaginare si potesse essere così freddi e metodici, mentre si andava in pezzi. Lupin, invece, stava seduto compostamente, dando loro le spalle, di fronte a Black. Draco non poteva vedere la sua espressione, ma era abbastanza sicuro che in quel momento remoto, Lupin dovesse aver indossato una maschera d’inconsistenza. Vuoto.
 
-Per primo ho negato, cercando di ignorare l’evidenza: Non Sirius, non può essere stato lui, non l’avrebbe mai fatto.
Poi mi sono arrabbiato. Avrei voluto trovarti, massacrarti… ho persino pensato di ucciderti, sai?
Ma poi mi sono detto che forse, sì, forse era stata colpa mia…mi sono colpevolizzato, anche, pensa, mi sono detto che avrei dovuto fare di più.
E alla fine, mi sono torturato a tal punto da aver perso tutte le lacrime che potevo ancora avere, quelle che mi erano rimaste, quelle che non mi avevi ancora portato via.
E adesso, vengo qui, prima del processo, per dirti… Per dirti che l’ho accettato.   
 
Draco, abbassò lo sguardo sul diario. Un “no” maiuscolo troneggiava al centro della pagina. Potter aveva chiuso gli occhi.
 
-Ho accettato il lutto, Sirius. Tu sei morto.
 
***
 
E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent' anni portati così,
Come si porta un maglione sformato su un paio di jeans;
Come si sente la voglia di vivere
Che scoppia un giorno e non spieghi il perché:
Un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos'è.
 
Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani,
Giorni a chiedersi tutto cos' era, vedersi ogni sera; […]
Quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore. […]
Era tanto potere parlarci, giocare a guardarci, […]
Era facile vivere allora ogni ora,
Chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci,
E ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell' epoca nuova,
Ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova.
Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
Ci sembrava d'avere trovato la chiave segreta del mondo.
 
Non fu facile volersi bene, restare assieme
O pensare d' avere un domani e stare lontani; […]
Un ricordo lucente e durissimo come il diamante
E a ogni passo lasciare portarci via da un'emozione non piena, non colta:
Rivedersi era come rinascere ancora una volta.
 
Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione,
E il peccato fu creder speciale una storia normale.
Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo,
Sembra quasi che ironico scruti e ci guardi ridendo.
E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa;
Siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.
 
"The triangle tingles and the trumpet plays slow"...
 
Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate
Con qualcosa di fragile come le storie passate:
Forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile credo, perché
Ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me...”
 
Francesco Guccini
 
 
Gli sfuggì un singhiozzo dalle labbra, mentre la scena cambiava di nuovo, per rimanere statica. Harry, cacciando via una lacrima col palmo, indolente e libero dalla presa di Malfoy, fece per sfiorare il diario, confuso e turbato dalla mole di quei ricordi, dall’insieme di emozioni che racchiudevano. Avrebbe voluto chiuderlo, nasconderlo, rimetterlo a posto, dimenticarlo. Malfoy, in silenzio, stava ancora al suo fianco, incapace di muovere un muscolo. Ma proprio mentre Harry stava per allontanarsi da lì, le pagine frusciarono ancora, indomite, con forza, fin quasi a ribaltare il diario verso la fine. Lo specchio s’incrinò, quasi infrangendosi, ma prima di esplodere in mille pezzi, Harry distinse due figure adulte, impallidite, sbiadite quasi. Remus e Sirius erano stesi l’uno accanto all’altro, coperti da un lenzuolo immacolato, su un vecchio letto cigolante. Harry lo riconobbe, era quello della soffitta, lì al numero 12, quello in cui Sirius dormiva da quando era tornato laggiù. I due, ignari del tempo che incedeva e passava impietoso sulle loro rispettive cicatrici, stavano abbracciati, come nel ricordo della Stramberga Strillante. Come se nulla fosse mai cambiato o potesse mai anche solo osare di farlo. Harry vide Sirius baciare la spalla di Remus e sussurrare qualcosa al suo orecchio, con l’ombra di quel sorriso da ragazzo incosciente qual era stato, Remus chiuse gli occhi e inspirò profondamente, per poi sorridere, come mai aveva fatto prima di allora, come mai Harry aveva immaginato potesse fare.  
Quando lo specchio infine esplose, Harry non si soffermò nemmeno per un attimo a pensare cosa fosse giusto o sbagliato di quella storia. Riusciva semplicemente a sentirsi grato per aver avuto la possibilità di conoscerla, grato che finalmente, e nonostante tutto, Remus e Sirius avessero trovato anche solo un attimo di pace.
 
 
 
“Ben oltre le idee
Di giusto e di sbagliato
C’è un campo.
 
Ti aspetterò laggiù.”
 
Jalaluddin Rumi.
 
 
 
 
Note:
Calma, Calma e ancora Calma.
Andiamo con ordine: la melodia in cui parlo nel primo “paragrafo” è il Notturno di Chopin, opera 9, numero 2 (https://www.youtube.com/watch?v=9E6b3swbnWg&spfreload=10).
 
Ehm, ebbene, tante care cose! Ok, no… giuro, la tentazione di andar via senza dir nulla è forte,  ma credo di aver  -finalmente- risposto a tante domande ed anche al mistero dei famosi intermezzi. Non sono soddisfatto di ciò che è venuto fuori, ma non ho intenzione di cambiare una virgola, perché questo capitolo è nato prima ancora di tutta la storia. E tale deve rimanere. Amen. Spero apprezziate.
Infine mi scuso se il capitolo è pieno zeppo di citazioni, ma ne avevo bisogno e credo anche voi. Il titolo è preso in prestito da una canzone di Guccini, che ho riportato quasi per intero, e che mi piacerebbe ascoltaste. Detto ciò, grazie come sempre per i commenti, per aver aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate e…abbiate pietà di me.
Buon Natale! 

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Capitolo 30
*** Ad un passo ***


XXX. Ad un passo.
 
“He loved her, of course, but better than that,
he chose her, day after day.
Choice: that was the thing.”
 
“Lui l’amava, certo, ma meglio di questo,
 lui l’ha scelta, giorno dopo giorno.
Scelta: di questo si tratta.”
 
A. Sherman
 
 
 
Harry, assorto, inseguiva con gli occhi il pulviscolo fluttuante in pressoché invisibili vortici, nell’aria che gli pareva adesso incredibilmente rarefatta.
Il diario era stato il fulcro di tutta quella situazione, non che lo avesse tormentato fino a quel momento, ma aveva in un qualche modo occupato un angolo materiale della sua mente, come se contenesse una promessa. Harry aveva sperato di poter ricavarne più di ricordi, qualcosa di più consistente, concreto, qualcosa che potesse riportare, anche se per un breve istante, in vita i suoi genitori, il suo padrino. Avrebbe voluto poter stringere quell’interrogativo, quella fragile bellezza, ancora un poco: era così promettente l’aspettativa, pensava, che aveva finito per rovinarla, scoprendo il mistero celato da quelle pagine. Non che ne fosse deluso, quello no. Era confuso, in bilico come sempre. Non sembrava esser buono ad altro, in quell’ultimo periodo, che ad avere un piede nel vuoto e l’altro ancorato a terra. A metà, ma né qua né là. Non osava alzare lo sguardo, non osava respirare più profondamente del dovuto.
Il rapporto tra Sirius e Remus, l’intensità dei loro sguardi d’intesa, quei sorrisi affabili e quei piccoli gesti, leggere attenzioni, impercettibili segni, muti ed incompiuti il più delle volte. Quante volte aveva avuto quel rapporto sotto gli occhi, eppure non si era accorto di nulla, non prima del diario. Quante volte non aveva prestato veramente attenzione? Quanto si era perso? Gli sembrava di non aver mai conosciuto quei due uomini, che gli erano stati accanto nei momenti più difficili, quando i suoi genitori non avrebbero potuto. Era come sentirsi doppiamente orfano, gli disse una parte di lui. Quanto si era lasciato portar via?
Scosse la testa lentamente, stringendo gli occhi, impedendo loro di diventare lucidi, cercando di nascondere a se stesso e al mondo quella sua debolezza.
Si ritrovò a chiedersi perché né Sirius né Remus gli avessero mai accennato nulla. Forse perché non lo ritenevano importante, o magari non avevano mai trovato il momento giusto, o forse non volevano turbarlo. Poi Harry pensò a Tonks, e al piccolo Teddy. Continuava a sfuggirgli qualcosa, nonostante tutto, sentiva che piccoli frammenti dei propri ricordi, qui e lì, andavano facendosi sempre più lievi, evanescenti, e finivano per sparire, in una nuvola di polvere, che vorticava incessante tra le sue dita, adesso vuote.
Si sentiva tradito quasi, ma non aveva la forza per essere arrabbiato o deluso persino. Sapeva che, se le cose fossero andate diversamente, tutto avrebbe avuto un senso, sarebbe stato chiaro e semplice: Sirius e Remus avrebbero potuto vivere il loro rapporto serenamente, senza sotterfugi, recriminazioni.
Harry sentì qualcosa bruciare nel petto al pensiero che avevano sacrificato tutto quello, ogni attimo tra loro, per dedicarlo prima a James e poi a lui. Sentiva che, sebbene solo in parte e non intenzionalmente, aveva rovinato quel sentimento, lo aveva contaminato ed estirpato, senza neppure sapere della sua esistenza. Si disse che era stata una scelta presa dai due uomini, avevano sicuramente scelto di mettere quello che c’era tra loro da parte, avevano scelto di porre agli argini i loro cuori, il calore nei loro petti, a favore di qualcosa di più importante. Si erano amati e persi, per dovere, amicizia, senso di giustizia. Avevano scelto di non vivere ciò che li legava, eppure non lo avevano rinnegato. Harry seppe, come improvvisamente, che quella era stata una scelta ponderata, equilibrata, e condivisa da entrambi. Neppure lui, da spettatore, riusciva a trovare una valida alternativa. Doveva aver fatto male, doveva averli dilaniati, ridotti a brandelli, quasi uccisi, ma avevano scelto di soffrire, per non aggiungere ulteriori ferite alle persone che li circondavano ed amavano a loro modo: James e Lily. Harry non riusciva a non immaginare gli occhi di Sirius, la maturità di Remus. Non riusciva a togliersi dalla mente la mano di Remus su quella di Sirius, sul proprio petto. Avevano rinunciato. Avevano scelto di rinunciare. Ed era stato tremendamente sbagliato, questa era l’unica cosa di cui Harry poteva dirsi sicuro.
Alzò infine lo sguardo, timidamente, e non si sorprese neanche nel trovare quello di Malfoy, con un velo di apprensione, che aspettava solo di incontrare gli occhi di Harry.
 
***
 
-Sarebbe meglio andar di là, mettere dell’acqua sul fuoco…credo tu ne abbia bisogno.
-Ho bisogno di qualcosa di più forte di un thé.- rispose Potter, sospirando brevemente, e rimettendosi in piedi.
Per tutto il tempo, dall’implosione dello specchio, Potter non aveva mosso un muscolo, e non sembrava essersi accorto di ciò che gli accadeva intorno. Draco si era alzato, era uscito dal pentacolo, e con un colpo di bacchetta aveva fatto sparire gli ingredienti del rituale, facendoli dissolvere, tutto intorno a Potter, ancora accovacciato dentro una sezione aurea che aveva cessato di esistere. Eppure Potter sembrava essere rimasto intrappolato lì, come in una dimensione senza tempo e senza spazio. Draco poteva vederlo, persino sentirlo, rimuginare, mentre stringeva le mani tremanti sulla copertina del diario, eppure sentiva di non poter dire nulla, di non potere neppure toccarlo, sfiorarlo. Come se, intrappolato in quella dimensione, Potter non potesse essere turbato, scosso, o persino raggiunto.
Quando poi gli occhi verdi si erano sollevati, Draco aveva avuto paura. Paura di veder gli occhi di Potter annegare, e non poter dire o fare nulla per fermare le lacrime, perché nella sua mente, Potter era in quell’altra dimensione, dove a lui non era dato aver accesso.
Fin dall’inizio dei ricordi, Draco aveva sospettato, quasi lo avesse fiutato, del rapporto fin troppo intimo che legava Black e Lupin. Non che lo recriminasse, o avesse qualcosa da ridire, sarebbe stato il colmo. Era omosessuale e per di più la cosa non lo riguardava neppure alla lontana, neppure tenendo conto del grado di parentela. Eppure non aveva potuto far a meno di sentir una lieve preoccupazione crescergli nel petto: Potter non sapeva del rapporto tra i due uomini e, a quanto si poteva osservare, non ne aveva mai avuto il minimo sospetto. E quella consapevolezza aveva portato Draco a spingersi dentro il pentacolo, a poggiare la mano su quella di Potter, cercando di ancorarlo alla realtà, evitando andasse in pezzi. Sapeva che venir a conoscenza della cosa in quel modo lo avrebbe fatto soffrire, per quel che lo conosceva, Draco aveva persino immaginato che Potter potesse sentirsi come escluso, tradito persino. Ma Potter non aveva emesso un singolo suono, oltre a quel flebile respiro di vetro, neanche dopo che gli ingredienti furono spariti. Che cosa pensasse Potter, Draco evitò di chiederselo,
doveva sentirsi smarrito, forse incredibilmente triste, o magari sinceramente disgustato. Non riusciva proprio ad indovinarlo.
Ma quando Potter alzò lo sguardo, Draco, cercando di reprimere con tutto se stesso l’angoscia che sembrava sussurrargli una malevola disfatta, vide i colori della determinazione, della sicurezza. Li riconosceva, li aveva visti tante volte, in quelle iridi verdi, come quando Potter puntava il boccino e si gettava in picchiata, incurante e sprezzante di qualsiasi pericolo, per afferrarlo. E tra lo sbigottito e il sollevato vide Potter alzarsi in piedi, più saldo di prima, come se neppure per un istante lo avesse tramortito quella mole di ricordi taglienti su carta. Draco lo seguì in silenzio, in cucina, mentre Potter appellava una bottiglia impolverata: ennesimo Incendiario di annata. Poi Potter si voltò, recuperando due bicchieri, e gli fece cenno di sedersi, per poi aggiungere a mezza voce:
-Sono già le undici, s’è fatto tardi. Se devi andare…
Draco non gli diede il tempo di finir la frase, e a bruciapelo, sorprendendo anche se stesso, disse:
-Resto.
 
***
 
Harry dapprima non aveva protestato, vedendo Malfoy sfilargli i bicchieri di mano e riempirli. Poi, lentamente, la sua mente cominciò a tessere l’ennesima tela. Malfoy lo aveva aiutato a metter in piedi quel piano strampalato, gli era stato vicino mentre si era ritrovato ad annaspare tra quei ricordi, ed adesso, nonostante la “missione” si fosse conclusa, rimaneva lì, di fronte a lui, in silenzio. Sembrava fosse uno schema abituale ormai, destinato a ripetersi infinite volte: loro due, nella sua cucina, bevendo Incendiario, in silenzio, ognuno a rincorrere chissà quali pensieri. Soli tra loro, ed ognuno solo con se stesso, ma per questo insieme. Ad Harry tremò la mano che teneva il bicchiere, al di sopra della superficie scheggiata del tavolo. Un movimento impercettibile che però non mancò di attirare lo sguardo di Malfoy. Harry non poteva fare a meno di torturarsi, di chiedersi il perché della presenza dell’altro, di quel suo muto esserci. Che lo commiserasse? O forse, si aspettava qualcosa in cambio. Certo, rifletté Harry, avrebbe dovuto intercedere per lui con Shacklebolt, ma per come la vedeva, non si trattava di far un favore che l’altro avrebbe dovuto ricambiare. Harry lo avrebbe fatto perché era la cosa giusta, eppure non riusciva a credere che la presenza di Malfoy lì, fosse del tutto disinteressata.
-Perché…?- gli sfuggì dalle labbra.
Malfoy portò lo sguardo nei suoi occhi, gelido e distante, come sapesse che fosse solo questione di tempo, e quell’esatta parola sarebbe pesata tra loro ancora una volta. Harry si lasciò investire da quel ghignetto risaputo, da quell’arricciare le labbra sottili, senza riuscire a completare o plasmare in alcun modo quella domanda rimasta a mezz’aria. Poi Malfoy si alzò, cautamente, evitando lo sguardo di Harry, mosse qualche passo e lo raggiunse, finalmente scontrandosi con l’esistere dell’altro, con gli occhi di smeraldo, adesso, se possibile, ancora più smarriti.
Harry fece per alzarsi, ma ancora una volta Malfoy lo prese in contropiede, piegandosi sulle gambe, accovacciato accanto alla sua sedia, lo studiava dal basso. Quel ghignetto ancora sulle sue labbra, adesso più vicine allo sguardo di Harry, ma ancora così dolorosamente distanti, si sorprese a pensare…
-Perché. Perché. Perché.- cantilenò Malfoy, sommessamente.
-Non ci deve essere sempre un perché, Potter. Nella maggior parte dei casi non c’è ragione, non c’è motivo. Le cose che succedono, nella maggior parte dei casi, sono incidenti, frutti della casualità. Ho smesso di chiedermi il perché delle cose da qualche tempo o, almeno, ho provato a smettere. Dovresti farlo anche tu, dato che questo consiglio tra le righe, viene proprio da te.
Gli occhi di Malfoy lo disarmarono, fissi nei suoi, dal basso, limpidi, quasi vinti e immobili. La mano di Malfoy si poggiò lievemente sul suo ginocchio, rassicurante.
-Ed ecco cosa dovresti fare adesso: vuota quel bicchiere, buttami fuori da qui dicendomi che va tutto bene, va a farti una doccia, e va a dormire. Smetti di pensare a Black, a Lupin, a quello che c’era tra di loro, al loro non dirti nulla, alle loro scelte. Pensarci non cambierà quello che è stato, pensarci non lo migliorerà. Puoi solo accettarlo. Smetti di rimuginare sul perché io sia ancora qui, sul perché ti abbia aiutato. Smetti di chiederti cosa voglio in cambio.
Il silenzio, improvvisamente, si fece denso, pesante, insostenibile, Harry lo sentiva colare su di sé, maligno. Aveva bisogno, se ne rendeva conto, che Malfoy non smettesse di parlare, di rassicurarlo, che non togliesse la sua mano da lì, che non battesse le palpebre, perché senza che avesse detto nulla, era riuscito a indovinare tutto, a leggerlo con un’esattezza disarmante, e avrebbe voluto che quell’istante durasse per sempre.
Eppure gli fece cenno di alzarsi, e si alzò anche lui, lentamente, poggiandosi al bordo del tavolo, quasi come fosse stremato.
Malfoy inclinò la testa di lato, inarcando interrogativo un sopracciglio. Quando Harry riportò lo sguardo su di lui, di fronte a quella buffa ed apprensiva espressione, sorrise trattenendo una punta di amarezza agli angoli delle labbra. Poi con un gesto fluido vuotò il bicchiere, e come gli era stato poco prima prescritto, disse:
-Va tutto bene.
Dopo un lieve cenno di assenso, Malfoy fece per voltarsi, ed incrociare la porta della cucina, per uscire da lì, ed andar via, ma una presa salda, automaticamente, si strinse al suo polso, trattenendolo. D’altronde Harry non era mai stato particolarmente bravo nel seguire le istruzioni.
 
***
 
Draco si sentì quasi trascinare, risucchiare in un vortice, il cui centro era Potter, che lo tratteneva con la mano sul suo polso candido. Poi l’altro diede uno strattone, avvicinandolo a sé, e in una frazione di secondo, Draco si trovò tra le braccia dell’altro, il petto contro il cuore di Potter, che batteva all’impazzata. Una mano di Potter era ancora aggrappata al suo polso, l’altra abbandonata sul suo fianco, lo tratteneva, mentre l’altro poggiava la fronte contro la sua clavicola. Draco non riusciva a spiare il volto di Potter, arreso contro l’incavo del suo collo. Sentiva il respiro irregolare contro la propria pelle, e non poté far a meno di irrigidirsi, colto alla sprovvista da quella repentina invasione dello spazio che li separava. Potter era immobile ma Draco poteva percepire la lotta interiore che lo dilaniava, e dal suo canto sapeva che se si fosse mosso o avesse detto qualsiasi cosa, tutto poteva andare nuovamente in pezzi. Portò una mano, con calcolata lentezza e meticolosità, sulla nuca di Potter, mentre il panico si impossessava della sua mente, all’idea che qualche lacrima potesse inumidirgli la porzione di pelle sulla quale Potter aveva deciso di nascondersi. Che cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe potuto dire? Poi percepì uno straziante calore, un umido respiro, sulla propria pelle, e seppe che stava di nuovo per impazzire, che avrebbe dovuto fare qualcosa, qualsiasi cosa. Un brivido gli percorse la schiena, e Potter doveva averlo percepito, perché lo strinse a sé con più convinzione, serrandogli la vita con un braccio, mentre seppelliva il viso contro la sua giugulare. Draco sentì di nuovo quel calore atrocemente delicato, sulla mandibola questa volta. Il tocco delle labbra di Potter, ora leggermente più umide, così pericolosamente vicine alle proprie, così tremendamente raggiungibili. Qualcosa dentro di lui gli diceva di andar loro incontro, di accoglierle, di cullarle, eppure allo stesso tempo era come paralizzato. Poi Potter lasciò la presa sul suo polso, per portare la mano sul suo viso, accostandolo al proprio con quella che doveva essere una carezza gentile ma decisa. Potter, con gli occhi chiusi, poggiò la fronte contro la sua, lasciandosi sfuggire un sottile sospiro, contro le sue labbra, poi lo intrappolò definitivamente.
Erano occhi negli occhi adesso, persi l’uno nell’altro, e gli occhi di Potter sembravano vibrare di un bagliore nuovo, quasi ridessero. Draco percepì un’emozione indescrivibile, e non ebbe neppure il tempo di categorizzarla, perché sentì le labbra di Potter sulle proprie e poi tutto esplose in minuscoli frammenti di luce.
Potter, per la prima volta, aveva fatto la prima mossa… lo stava baciando, con una dolcezza e un’intimità sconosciuta, ma allo stesso tempo rassicurante, familiare. Draco sentì di essere tornato a casa, dopo un vagare di nulla, finalmente a casa. Aveva inconsciamente chiuso gli occhi, come non fosse, di colpo, in grado di sostenere nessun’altra immagine del mondo esterno, come se improvvisamente tutto fosse troppo reale, e tagliente. Nient’altro poteva importare, né gli importava, ora che la bocca di Potter era calda sulle proprie, e quelle labbra lo intrappolavano, intimandogli mute di non spostarsi d’un centimetro. Potter percorse il contorno del suo labbro inferiore con la lingua, per poi esercitare un’impercettibile pressione, e Draco non poté far a meno di accogliere quella richiesta esigente, andandogli incontro.
Di scatto tutto si fece frenetico, e Potter che aveva mosso il primo passo verso di lui, adesso si ritrovò investito, sospinto contro il bordo del tavolo, senza che neppure Draco si fosse accorto dell’accaduto. Le mani di Potter avevano raggiunto i bordi del suo maglione scuro, e strattonavano, cercando di tirarsi Draco quanto più addosso possibile. Di contro il bacio languido s’era fatto famelico, e Draco si accorse di come avevano preso a divorarsi, e che solo i sospiri soffocati di Potter riuscivano a raggiungerlo. Sentì la pelle accaldata dell’addome di Potter solo quando si accorse di aver insinuato le dita sotto alla maglia dal rosso sbiadito e slavato dell’altro. Potter divaricò le gambe, seguendo chissà quale istinto, per concedergli più spazio, per sentirlo più vicino, e una delle sue mani andò a poggiarsi sulla schiena di Draco esercitando una pressione salda, come ad impedirgli di tirarsi indietro, questa volta.
Continuò ad accarezzare il palato di Potter con la lingua, come se da quello dipendesse la sua sopravvivenza, mentre l’altro rispondeva deciso, mentre maturava in lui la ferma ed assoluta convinzione di aver bisogno di reclamare di più, di doversi concedere di più. Potter era lì, gli si era offerto, non poteva che andare in un modo. Ma improvvisamente, proprio quando la sua mano raggiunse i jeans dell’altro, Draco percepì una flebile esitazione, sulle labbra dell’altro, che tremarono contro le proprie. Era poco più di un nulla, in altre circostanze, forse, non gli avrebbe neppure dato peso. No, fosse stato qualcun altro, quello contro di lui, in quel momento, Draco avrebbe deliberatamente ignorato quella sommessa titubanza, quel cigolio di panico. A malincuore interruppe il contatto, scostando di poco il viso, e si costrinse a cercare gli occhi Potter, che dimenticata la inconsistente incertezza di poco prima, fece per catturare di nuovo le sue labbra, senza successo. Draco assottigliò lo sguardo, studiandolo, a pochi millimetri dalle ciglia di Potter, sotterrato da quello sguardo appannato, da quelle guance imporporate, da quel respiro ansante, sulla propria pelle. Per un attimo ebbe paura, e sentì quasi il bisogno di smaterializzarsi, all’istante…tratteneva il fiato, come in apnea. Fu Potter a interrompere il silenzio, con una nota di disappunto nella voce:
-Non dirmi che…non di nuovo, Malfoy.- disse in un sussurro –Ricordi? Non si scappa più.
A Draco quasi non scappò un sorriso divertito. Non si scappa più. E lui non voleva affatto scappare, ne aveva la certezza cieca ed esatta. Non voleva scappare, ma sentiva che quello non era il momento, non era…non era giusto.
-Non sto scappando.- disse contro le labbra di Potter, tenendo gli occhi fissi nei suoi, di quel verde brillante, quasi soffocante. –Non sto scappando.- ripeté con più convinzione, e accarezzando le labbra dell’altro con le proprie, lievemente, senza mai perdersi un battito di quelle iridi così determinate. Potter lo strinse ancora di più a sé, sporgendosi per baciarlo di nuovo, ma Draco sfuggì di qualche centimetro…giusto lo spazio per lasciargli scoprire la delusione dipinta sulle labbra dell’altro.
-Non voglio scappare, Potter. Voglio essere esattamente dove sono adesso. E voglio restarci, ma…
Potter si irrigidì, come gelato da quella semplice sillaba. Draco poggiò le mani sui suoi fianchi, rassicurante, carezzandoli docilmente con le dita.
-…Ma?- lo incalzò Potter, con un retrogusto amaro incastrato in gola.
Non seppe come, né perché fu in grado di percepire quel profondo senso di abbandono, sul fondo dello sguardo di Potter. Non seppe come fece a riconoscerlo, ma sapeva si trattasse di quello: Potter gli stava tendendo la mano, chiedendogli aiuto, supplicandolo di aiutarlo a non pensare, di distrarlo…non era forse la stessa espressione che Draco aveva con orrore scoperto agitarsi nel suo sguardo dopo…Theodore?
Decise di concedere a se stesso e all’altro un mezzo sorriso, sperando che potesse tranquillizzarlo, che potesse dirgli che non gli stava rifiutando niente. Lo baciò di nuovo, di un bacio casto, e rapidissimo, in un gesto quasi quotidiano, che poco si addiceva alla situazione creatasi un attimo prima, ma che sembrava poter riassumere esattamente quello che Draco voleva dire in quel momento, senza averne le parole. Potter sembrò sollevato, e sorrise, nell’inseguirlo per un altro semplice schiocco di labbra, come fosse un nuovo misterioso gioco fra loro.
-Ho capito…- disse infine Potter, contro il suo orecchio, una nota docile nella sua voce. Draco lo guardò smarrito solo per un instante, prima di stupirsi di nuovo, nel sentire le labbra dell’altro sulle proprie.
-È ancora troppo presto per te, non è così? È questo Malfoy, non è vero? È solo… troppo?
Draco istintivamente si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. Come avrebbe potuto spiegargli quanto in quel momento sentisse il bisogno di affogare tra le sue labbra, quanto desiderasse esplorare e possedere il suo corpo, conoscere anche il più piccolo e insignificante dei nei, ed adorare ogni porzione di pelle? Come avrebbe potuto dire che no, non era troppo presto per lui, che non aveva nessun dubbio, che senza sapere come era riuscito ad ammettere quanto fosse essenziale la sua presenza, che aveva bisogno di morire tra le sue braccia, e che sapeva che solo in quel modo sarebbe finalmente potuto rinascere, ricominciare da zero? Come avrebbe potuto spiegargli che aveva smesso di essere se stesso, ed era diventato un altro, era diventato uno, e solo grazie alla gioia del primo passo compiuto da lui?
-No…non lo è.- disse infine, cercando le parole che, lo sapeva, non sarebbero mai state giuste. Di nuovo quello sguardo smarrito, l’ansia di un eventuale abbandono, dipinti ed incastonati sul volto di Potter.
-Io so cos’è che voglio, adesso.- continuò, prendendogli il viso tra le mani, in un gesto per lui inusuale, ma che adesso suonava tremendamente simile alla perfezione. –E non voglio sia così. Non voglio sia perché hai avuto una brutta giornata, o perché hai bisogno di mettere in pausa tutto il resto e non pensare. Non…non voglio sprecarla.
Potter sgranò gli occhi, incapace di trattenere Draco, e le sue inarrestabili parole.
-Questa…questa cosa è…è la prima cosa buona che mi sia capitata da…- nella sua mente una voce straordinariamente simile a quella di Blaise, sussurrò: Theodore. Ma Draco la ignorò, e cercò di dare forma ai suoi pensieri, senza ingarbugliarli più di quanto già non fossero. – Da un po’ di tempo. E non voglio mandare tutto a puttane, un’altra volta. Non ho mai fatto altro che rovinare tutto. Non questa volta, Potter. Non così…
Potter aggrottò la fronte, come aspettando un colpo di grazia, alla fine di quel discorso, come fosse di nuovo preda dei dubbi, delle incertezze. Draco raccolse la propria convinzione, che non s’era accorto di avere fino a quel momento, percorse con il dito il contorno della saetta sulla fronte dell’altro, in un gesto docile e caldo.
-Io credo sia troppo presto per te, Potter.- disse risoluto.
-Come fai a dirlo…?- ribatté con poca forza, l’altro, più per il gusto di contraddirlo che per difendere una propria idea. Draco sapeva quanto Potter potesse essere ostinato, ma non era stupido, e aveva senz’altro accusato il colpo, sul quale avrebbe sicuramente rimuginato, poi.
-Tu cos’è che vuoi da me, Potter? Se lo chiedessi a me, io ti risponderei, nel modo più sincero possibile. Forse le rispettive risposte ti farebbero capire di cosa parlo?- lo sfidò, accondiscendente, Draco.
Potter lo guardò per un lungo instante, poi abbassò lo sguardo, e portò le braccia al petto, imponendo dello spazio tra loro, chiudendosi, ma senza respingerlo via.
-Mi hai baciato…e non credo tu lo abbia fatto perché ti sei sentito sopraffatto dalla solitudine, o tremendamente frustrato. Non solo per quello, voglio sperare.- disse Draco, con la voce ferma, e facendo un passo indietro.
-Ti avevo detto che avevo bisogno di tempo. E mi sbagliavo. Non è di tempo che ho bisogno, perché io ho già fatto la mia scelta. Oggi, quando hai preso l’iniziativa, mi hai portato a compiere quella scelta, Potter.
Non sapeva da dove venissero quelle parole, si rese conto, ma se davvero un muscolo potesse esprimere dei sentimenti, si disse, Draco era già a conoscenza della risposta. Non era mai stato così onesto neppure con se stesso…eppure eccolo lì, a scoprire tutte le sue carte, dimentico di qualsiasi timore, lì di fronte a quegli occhi di primavera, unici spettatori del suo –finalmente- cessato letargo d’emozioni. Quale incantesimo non verbale avrebbe mai potuto avere un effetto simile? Quale formula magica, quale pozione?
Draco stava tra le macerie di quel muro, quella barriera, che lui stesso aveva creato tra sé e il mondo circostante. Quella barriera abbattuta da Potter, che adesso incredulo gli stava di fronte, ignaro di essere stato distruttore ed architetto insieme.
-Adesso sei tu che hai bisogno di prenderti del tempo. Ti sono piombate addosso un bel po’ di cose, ultimamente e… Sei ad un passo, ma hai ancora delle questioni da risolvere, hai bisogno di elaborare tutto, di farti un’idea precisa su quello che vuoi. Devi ritagliarti i tuoi spazi, porti le giuste domande, ed arrivare alla tue conclusioni. La scelta adesso è tua…. Da parte mia, io ti aspetterò.
Detto questo, Draco non gli diede il tempo di replicare, conscio di aver indotto anche fin troppi pensieri, e temendo di dire qualsiasi altra cosa in grado di inficiare la decisione dell’altro. Si sporse ancora una volta, a catturare le labbra di Potter con le proprie, e proprio quando aderirono sparì con uno sciocco, smaterializzandosi.
Le sue parole, però erano ancora lì…
Io ti aspetterò.

 
Note:
 
Dopo mesi di silenzio, devo delle scuse un po’ a tutti. Soprattutto a me stesso, perché mi sono mancato. Tra esami, lavoro e incombenze inutili, avevo per un po’ accantonato una delle mie passioni, e da questo genere di dimenticanze non viene fuori mai niente di buono. Spero di non essermi troppo arrugginito e che questo capitolo sia quanto meno accettabile. Detto ciò mi scuso per la pessima traduzione della citazione di apertura, ma non avevo cuore per lasciarla solo in inglese.
Pace e bene, liberissimi di mandarmi a quel paese, come sempre. Tanto ci sono già, e giusto per dovere di cronaca, intendo restarci.
Indice.
P.S: Ringraziamenti sparsi, come al solito. 

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Capitolo 31
*** Sotto pelle ***


XXXI. Sotto pelle.
 
 
“Tornare è un'abitudine
Per quelli come te
Fedeli ancorati, all'ovile di sempre
[…]
Ma lui non deve piangere
E' vergogna piangere
Sarai tu a rispondere
Se saprai
[…]
Ma io non posso chiedere
Io non devo chiedere
Sarai tu a rispondere se vorrai
[…]
Sarai tu a rispondere
Sai sempre rispondere.”
 
L’abitudine di Tornare, Carmen Consoli.
 
 
Quando Draco varcò la soglia del Malfoy Manor, ebbe per un istante, uno soltanto, la sensazione che la porta che si chiudeva alle sue spalle non fosse semplicemente la porta di casa propria. Aveva come la sensazione di aver chiuso la porta su un tempo deviato, lontano, un tempo imperfetto, qualcosa che avesse smesso di appartenergli. Era curioso gli accadesse solo in quel momento, ma seppe, sfilandosi il mantello, che da quell’istante nulla sarebbe più stato com’era dietro quella porta. Tutto stava per cambiare, e solo una manciata di mesi prima questa constatazione lo avrebbe mandato nel panico, in un’iperventilazione emotiva incontrastabile. Adesso era diverso: tutto aveva il retrogusto dell’esattezza, e qualcosa gli diceva che non spettasse a lui opporsi alla corrente, a quel flusso inarrestabile, che prima o poi lo avrebbe travolto. Si sentiva in pace con se stesso, per la prima volta dopo tanto tempo. E che fosse merito di Potter, non riusciva ad ignorarlo, sebbene sapesse non fosse tutto lì. Qualcosa, dentro di lui, lo aveva spinto a reclamare il proprio posto sul palcoscenico di una vita alla quale aveva fino a poco prima assistito, attonito spettatore anonimo.
Lasciandosi scappare un sorriso, una volta entrato nel grande e poco illuminato salone, indovinò la figura di Blaise, sul divano. E si ritrovò a chiedersi quanta tenacia il suo migliore amico dovesse avere. Erano le due di notte, probabilmente Blaise avrebbe di lì a qualche ora cominciato il turno al San Mungo, eppure era lì: silenziosamente seduto nel suo salone, con un bicchiere di Incendiario in una mano, ed un tomo di Medimagia nell’altra, ad attendere paziente il suo ritorno. Draco si avvicinò, cautamente, e prima ancora che potesse anche solo concedersi di articolare un saluto, Blaise voltò leggermente il capo e lo guardò negli occhi, senza dire nulla. Poi il suo sguardo sembrò voler guidare quello di Draco verso il tavolino di vetro, quello di fronte al divano scuro. Draco seguì quell’impalpabile percorso, e poi la vide. Era una busta stropicciata, ingiallita dagli anni che le erano passati addosso, in alto a sinistra recava il suo nome scritto elegantemente, come solo la grafia di Narcissa poteva essere.
-L’hai trovata…- disse solo, con voce piatta.
Blaise si raddrizzò sul divano, e si scansò leggermente, di modo che Draco potesse sedersi.
-Dovresti aprirla.
-Avresti potuto farlo tu…
Blaise lo guardò inarcando un sopracciglio, sembrando alquanto divertito dall’affermazione dell’amico, che adesso gli sedeva accanto, rigirandosi la busta fra le mani.
-Ho già fatto abbastanza, ti pare?
Draco mugugnò qualcosa di rimando, troppo preso dalla busta, per poter aggiungere qualcosa.
-Sai, puoi ringraziarmi prima o dopo averla aperta, non ho preferenze. Ho già riscosso la mia ricompensa – disse Blaise, facendo un cenno verso la bottiglia di Incendiario vuota, facendo scappare un sorrisetto all’altro: - Però adesso dovresti proprio aprirla.
Draco annuì brevemente, prima di stringere tra le dita la spessa pergamena. Un attimo prima che quest’ultima si lacerasse, mormorò sommessamente:
-Grazie, Blaise.
 
***
 
“Cambiano le correnti, cambiano gli umori
cambiano i desideri, mutano i colori
c'è da qualche parte una mano che ne afferra un'altra
c'è da qualche parte una vita che ne salva un'altra.
[…]
E correremo forte, chissà per quanto tempo
ma ci resta quel punto lontano da guardare
per non perderci del tutto
per riscoprire tutto,
per non dimenticare tutto quello
che ci ha portato salvi fino a qui.
Cambiano le correnti, cambiano gli umori
cambiano i desideri, mutano i colori
e c'è da qualche parte un amore che uccide gli inverni.”
 
La rotazione, Nicolò Carnesi.
 
Intorno a lui c’era solo un assoluto ed opprimente silenzio. Harry sedeva di fronte al fuoco, poteva percepirne il vago calore rassicurante, e riusciva ad immaginarlo scoppiettare, ma non riusciva a sentirlo. Non sentiva nulla, in realtà. Tutto aveva cominciato a vorticare, prima si trattava solo di brevi fotogrammi che avevano preso a traballare proprio nella sua mente, per poi scomporsi, disfarsi, accavallarsi. E più cercava di venirne a capo, più la matassa si ingarbugliava, si infittiva, e la confusione aumentava meschina, e spudorata. E tutto quello che riusciva a sentire davvero era quell’ammasso di pensieri disordinati: Ginny. Sirius e Remus. Poi ancora Sirius, e suo padre, sua madre, e Remus, e Tonks, il piccolo Teddy. Hermione, Ron, i Weasley. E di nuovo Ginny. E Malfoy, se ne stava un po’ in disparte, con quel suo ghigno enigmatico, ma era sempre lì, costantemente lì…sotto pelle, come una spina che non vuol andare via. Ed Harry era stanco, confuso, e terribilmente ubriaco, mentre portava alle labbra un bicchiere mezzo vuoto.
Ripensò alla lettera di Ginny, e portandosi l’indice ed il medio alla tempia, si sforzò di scoprire se almeno da qualche parte facesse male. Andava alla ricerca di un pizzico, anche il più lieve, purché potesse giustificarsi, e non sentirsi tremendamente in colpa per non aver provato nulla. Non lo trovava, ed era inutile continuare a cercare di immaginarselo. Non era stato doloroso, per nulla, ed Harry era quasi certo di poter dire che, se anche le cose fossero andate diversamente, non avrebbe comunque fatto male. La decisione di Ginny doveva essere stata sofferta, e senz’altro innescata dalla profonda ed inconcludente apatia che Harry aveva infuso in quel rapporto. Non c’era mai stato altro che quel calore, quello di un’intimità docile, confidenziale, fraterna, fra loro. Ed Harry era sicuro di non aver perso la sua Ginny, e che non l’avrebbe persa mai, perché Ginny era come una sorella per lui. Perché era prima di tutto stata sua amica, e forse non era mai stato più di quello, nonostante lo avesse travolto con il proprio sentimento, ed Harry aveva finito per convincersi di ricambiare. Tra loro era stato così, qualcosa di estremamente scontato, pilotato, come se non potesse essere diversamente. Eppure, a lungo andare, dopo un anno e un paio di mesi, dopo i primi chilometri posti fra loro, quel tanto millantato sentimento s’era svilito, sfilacciato, ed aveva finito per arenarsi, senza che nessuno dei due potesse farci nulla. Quella consapevolezza lo colpì allo stomaco, provocandogli uno sconcerto disarmante: quello che mancava fra lui e Ginny era esattamente dipinto negli sguardi che Sirius lanciava a Remus. Mancava quella scintilla, quell’istinto inspiegabile, indescrivibile. Harry l’aveva visto, l’aveva percepito distintamente, nei ricordi. Quei ricordi che tanto lo avevano sconvolto. Sirius aveva accettato Remus, senza pretendere di cambiare neppure una virgola in lui, e lo aveva accolto, nonostante i difetti, le mancanze, nonostante tutto lo aveva perdonato. Remus aveva dal canto proprio fatto altrettanto con Sirius, spendendosi senza riserve, regalandogli tutto, anche dopo la loro separazione. Remus aveva conservato quel diario, diario inaccessibile di un legame negato agli occhi di tutti, diario ermetico. Un diario che avrebbe potuto essere letto solo tramite il sangue dei Black. Perché il sangue, poi? Non aveva potuto far a meno di chiederselo, Harry. Perché Remus avrebbe dovuto usare un incantesimo antico e oscuro, che sottendeva una parte della vita di Sirius, qualcosa che nel bene e nel male faceva di lui quello che più detestava di se stesso: un Black? Forse era solo un altro dei muti gesti di Remus, un voler dimostrare che per lui non c’era nulla di sbagliato in Sirius, che nulla avrebbe potuto impedirgli di amarlo, per com’era. Ognuno con i propri demoni, ognuno con lo sfacelo che era. Come per riflesso, gli occhi di Harry tornarono lucidi. Poi pensò a Tonks ed al piccolo Teddy. Remus era andato avanti, ancora una volta facendosi del male, imponendosi di essere forte, perché era quello che Sirius avrebbe voluto. Remus s’era regalato un instante di pace, perché sapeva che Sirius non avrebbe chiesto altro per lui. S’erano amati, e persi, e odiati, e amati ancora, fino al punto di sorpassare qualsiasi regola, legge, gelosia, convenzione, rancore…da sorpassare ognuno l’esistenza dell’altro, avevano vissuto l’uno per l’altro, ed entrambi erano l’anima di uno stesso cuore. E tutto nel più rispettoso e sommesso silenzio, lontano dagli sguardi del mondo, lontano da tutto. Harry pensò ai suoi genitori, al sentimento che li legava, e non poteva immaginare che qualcosa di diverso potesse aver legato Sirius a Remus. Era qualcosa che andava aldilà dell’affetto, del mero desiderio. Era quel distruttivo bisogno di completezza, quel sapere di non poter essere se non negli occhi di un altro. Una lacrima scappò alle sue ciglia, mentre si chiedeva se per tutti dovesse esistere un amore così, alla fine. Pensò a Ron ed Hermione, a quanto fossero diversi, a quanto si dessero sui nervi a vicenda alle volte, a quanto spesso litigassero. Eppure, Harry aveva la sensazione che non ci fosse altro posto al mondo, dove Hermione avrebbe potuto appoggiare la testa se non sulla spalla di Ron.
E poi, puntuali come le lancette di un orologio, ad Harry tornarono alla vista un paio di occhi grigi, cristallini, e la voce sommessa e strascicata di Malfoy, che lo insultava bonariamente, che lo aggrediva severa, che gli sbraitava contro, che lo rassicurava. Una voce che semplicemente stava in silenzio, quando aveva esaurito le cose da dire, perché non aveva la smania di colmare quel vuoto con parole insensate. Una presenza laconica e burrascosa allo stesso tempo, un presenza effimera ma straordinariamente ostinata, tangibile. Ad Harry tornarono alla mente le parole di Pansy, e non poteva che trovarsi d’accordo, adesso. Malfoy nascondeva dietro quella sua aria superiore, un vastità di sfaccettature accecanti, impossibili da indovinare a causa di quel muro che aveva eretto intorno a sé, per proteggersi dalle bruttezze del mondo. Giocava ad essere infrangibile, ma era estremamente fragile, ed aveva finito per infrangersi. Proprio come lui.
Eppure, nonostante la paura gli chiudesse la gola, nonostante dovesse aver chiaramente sentito le crepe stridere dentro di sé, aveva abbattuto la barriera, s’era spogliato di quella corazza rassicurante, della scatola che lo faceva sentire al sicuro, ed era uscito allo scoperto. Si era raccolto e messo tra le mani di Harry, come si fidasse ciecamente, per la prima volta, di qualcuno in vita propria. E qualcosa diceva ad Harry che se da una parte avesse mollato la presa, Malfoy avrebbe finito per rovinare sul fondo della propria esistenza, chiudendosi per sempre. Dall’altra parte, se Harry avesse stretto troppo forte, Malfoy sarebbe avvizzito, estinguendosi. In quell’instante, complice l’Incendiario, non poté far a meno di negarlo, avrebbe solo desiderato raggiungere Malfoy, e sentirlo vicino. Gli sarebbe bastato per capire, per intrecciare le dita nel modo giusto…quello per non lasciarlo cadere, senza però soffocarlo.
 
***
“Sarebbe bello non lasciarsi mai,
Ma abbandonarsi ogni tanto è utile,
O necessario alla sopravvivenza
 Di animali in estinzione come noi,
Che non siamo gli alberi.
 Non siamo gli alberi,
Che stanno fermi li.
 
E tutto quello che voglio da te è illegale,
Niente che si può cercare,
 Che si può trovare,
In questa parte di universo disponibile.
Niente che si può comprare
 Con i soldi di mio padre.”
 
Non siamo gli alberi, Dimartino.
 
 
Draco rilesse velocemente quelle poche frasi, soffermandosi più del dovuto sulla firma di sua madre. Per quanto le rileggesse, non riusciva ancora a credere alla veridicità di quelle parole. Guardò Blaise, che in silenzio lo studiava, con un’espressione lievemente preoccupata.
-Sono buone notizie…- smozzicò a mezza voce.
-E allora perché hai quella faccia?
Draco si sforzò di immaginarsi che faccia potesse avere. Doveva sembrare sorpreso, indicibilmente esterrefatto persino, e turbato ovviamente. Era stato un’idiota, s’era arreso senza lottare, e come sempre aveva lasciato che fossero gli altri a preoccuparsene, recitando la parte del povero erede in rovina. Non immaginava  potesse esserci altra posa da assumere, non immaginava la lungimiranza della madre, né l’accortezza del padre. Era stato più facile e più comodo adagiarsi nella tragica incompiutezza della sua situazione, piangersi addosso, maledicendo quella guerra, e le scelte che i suoi genitori avevano fatto. Era stato sconsiderato, infantile e tremendamente egoista, nel dubitare di suo padre. Lo aveva etichettato, relegandolo al ruolo del padre menefreghista e incapace del più semplice atto di apprensione nei confronti del figlio. Era stato spietato anche con la madre, considerandola una debole, una docile anima in pena per l’amore della sua vita, che le era stato strappato. No, Lucius e Narcissa erano più di quello, valevano più della condanna che Draco aveva scagliato sopra le loro teste, sebbene senza cattiveria. S’era rassegnato nel vedere un padre innamorato dei propri ideali più che del proprio figlio, s’era rassegnato nell’accettare una madre glaciale e stoica, che pendeva dalle labbra di quell’uomo, al quale mai Draco avrebbe voluto assomigliare. E nonostante Draco, fin da bambino, avesse vissuto il rapporto con i suoi genitori con distacco e apatia emozionale, come si addice ad un Malfoy, ecco che scopriva adesso come loro fossero sempre stati lì. Scopriva che l’affetto non poteva misurarsi con il numero di carezze, scopriva che preoccuparsi di un figlio non significa tenerlo sotto una campana di vetro, al riparo dalle intemperie. Lucius e Narcissa avevano capito quale sarebbe stato l’epilogo della guerra, sapevano cosa li aspettasse, ma non avevano tradito i propri ideali, e Draco s’era spesso chiesto se nel farlo avessero considerato il proprio figlio, il suo futuro. Adesso aveva la risposta. Suo padre e sua madre lo avevano fatto, perché a dispetto di qualsiasi ideale, per un Malfoy la famiglia veniva prima di tutto.
Lucius sapeva, prima ancora che la guerra fosse finita, che il Wizengamot non lo avrebbe assolto e Narcissa sapeva che, senza Lucius, trovare una ragione per resistere, ed essere forte per se stessa e per suo figlio, gli sarebbe stato impossibile. Entrambi erano ben consapevoli dei propri limiti, eppure non avevano scrollato le spalle, accettandoli, no. Avevano trovato una soluzione, ponderandola, per aiutare Draco, anche quando non avrebbero fisicamente potuto.
-Avevano previsto tutto.- disse, abbassando la testa, sentendosi incredibilmente colpevole, gli sembrò di non conoscere affatto i propri genitori… Per tutti quegli anni, s’era limitato a guardare la superficie, specchiandovisi, senza preoccuparsi di andare fino in fondo. Era convinto fossero pozzanghere, e adesso scopriva degli oceani. Quante volte ancora avrebbe scoperto di aver riposto male il proprio affetto?
-Il fondo per le emergenze, non è altro che l’eredità dei Black. Mia madre è una Black, l’ultima con questo cognome. L’eredità sarebbe dovuta passare al figlio maschio, dunque mio cugino Sirius all’inizio, prima che fosse diseredato. Poi mio cugino Regulus. Alla morte di Regulus, l’eredità è passata a mia zia Bellatrix, senza considerare mia zia Andromeda, dato che lei aveva perso il diritto, avendo sposato un Babbano. Quando zia Bella è morta, l’eredità è passata a mia madre.- spiegò Draco ad alta voce, più parlando a se stesso che a Blaise.
-Ok, d’accordo…ma quindi…?
-Mia madre, durante la guerra, ha firmato la rinuncia all’eredità, in mio favore. Stabilendo che, al compimento dei diciassette anni, io avrei avuto il diritto di riscossione sull’intera eredità dei Black. In qualsiasi momento, quando ne avessi avuto bisogno, avrei potuto far valere tale diritto, e appropriarmi dell’eredità alla quale mia madre ha rinunciato. Lucius sapeva che il patrimonio dei Malfoy sarebbe stato razziato, qualora la guerra, com’è stato, non avesse avuto esiti a nostro favore. In questo modo, si hanno tutelato la mia sicurezza economica, sfruttando il diritto di successione magico, e garantendomi l’accesso ai fondi della famiglia Black.
-Sta a vedere che alla fine tuo padre ha sempre avuto ragione…- mormorò Blaise divertito, e abbondantemente sollevato
-Già…Com’è che diceva sempre? ”Il sangue non si lava via”. Immagino si riferisse anche a questo.- concedendosi un sorriso amaro, Draco rialzò il capo, quel tanto che gli consentisse di spiare l’espressione di Blaise.
-C’è solo un piccolo problema…
Blaise si lasciò sfuggire una mezza risata, prima di poggiare una mano sulla sua spalla.
-Ma non mi dire! Per caso questo piccolo problema si chiama Potter?
 
***
 
 
“Mostrarti i ricordi di quello che io sono stato
Mostrarti la statua di quello che io sono adesso
[…]
Vorrei conoscerti, ma non so come chiamarti
Vorrei seguirti, ma la gente ti sommerge
Io ti aspettavo quando di fuori pioveva
E la mia stanza era piena di silenzio per te
 
Vorrei incontrarti proprio sul punto di cadere
Tra mille volti, il tuo riconoscerei
[…]
Vorrei incontrarti ma non so cosa farei
Forse di gioia, io di colpo, piangerei”
 
Vorrei incontrarti, Colapesce.
 
 
Harry si svegliò di soprassalto, e la prima cosa che raggiunse la sua coscienza fu un forte dolore alla testa, unito ad un indolenza nel non sentire il tipico peso sul naso, costatando di aver perso gli occhiali, scivolati chissà dove.
-Sei proprio un disastro.
Per un attimo era quasi convinto si fosse immaginato quella voce, la sua voce. La sua mente, ancora intorpidita, doveva avergli giocato uno scherzo. Scosse la testa, passandosi una mano sul viso, come per costringersi a svegliarsi, per poi aprire finalmente gli occhi e mettere a fuoco la scena davanti a sé. Poi una mano, docilmente, gli poggiò gli occhiali sul naso, spingendoli perché fossero inforcati per bene, picchiettando. Abbassò le palpebre per riaprirle subito dopo, questa volta riuscendo, grazie alle lenti, a mettere a fuoco. Malfoy era accovacciato lì accanto a lui, e lo guardava con un’espressione a metà tra il divertimento e la disapprovazione. L’ex Serpeverde si fece sfuggire una risatina, mentre Harry cercava di raddrizzarsi, con la schiena contro la poltrona, e di ricostruire la notte precedente.
La sera prima Malfoy se n’era andato, no? Sì, Harry lo ricordava. Come ricordava di aver appellato una nuova bottiglia di Incendiario, esser tornato in salotto, aver preso il diario tra le mani, aver acceso il camino, e…s’era messo a bere, inseguendo i pensieri, forse cercando di scacciarli, ed aveva finito per ubriacarsi, come un’idiota. Poi doveva essersi addormentato, senza neanche rendersene conto, lì per terra. Sì, doveva essere andata così. E si spiegava tutto: il mal di testa, gli occhiali che non erano al loro posto, e quel vago senso di nausea. Non si spiegava però che diavolo ci facesse Malfoy lì.
-Sembri anche meno intelligente del solito appena sveglio, lo sai Potter? Non credevo fosse possibile.
Stava piegato sulle ginocchia, a pochi centimetri da lui, la testa reclinata di lato, e la faccia di chi s’è fatto una dormita colossale e pacifica. Harry cercò di ribattere qualcosa, maledicendolo mentalmente, ma ne venne fuori una frase sconnessa e priva di senso:
-Cosa…Chi ti ha aperto? Perché…ho bisogno di un caffè.
-Questo lo vedo.- disse Malfoy con quel suo tono beffardo, per poi porgergli una tazza fumante: -Bevi, Potter, e vedi di ristabilire un contatto col mondo esterno.
Harry prese tra le mani la tazza, e la portò alle labbra, senza un attimo d’esitazione, per poi rendersi conto che Malfoy aveva architettato tutto al solo scopo di avvelenarlo. Il liquido scuro e aromatico gli andò di traverso, trafiggendogli il palato senza pietà, ed Harry prese a tossicchiare, respirando a fatica.
-E adesso che ti prende?
Malfoy, preso alla sprovvista, s’era avvicinato ancora di più, mettendogli una mano sulla spalla, e sembrava sinceramente preoccupato, mentre Harry si copriva la bocca e cominciava a respirare normalmente. 
-Disgustoso…è disgustoso! Bleah…- disse Harry, trattenendo un poco raccomandabile conato di vomito. Malfoy sembrò risentirsi, e si alzò stizzito, sbuffando.
-Un grazie era più che sufficiente, davvero….- borbottò.
-Avresti potuto zuccherarlo, almeno!- si lamentò Harry, mettendosi in piedi, mentre continuava a deglutire per scacciare via quel saporaccio.
-Dico, ti sembro un elfo domestico?
Harry sospirò, prima di portarsi una mano ai capelli, più incasinati del solito, e per un attimo ponderò la risposta, decidendo poi di rinunciare. Era decisamente troppo provato per riuscire ad affrontare qualsiasi tipo di discussione, non senza un caffè almeno. Optò quindi per dirigersi verso la cucina, seguito silenziosamente da un Malfoy ancora fintamente offeso.
Quando poi ebbe agguantato una zolletta di zucchero dalla credenza, e mescolato il caffè, si voltò di nuovo. Dopo una fugace occhiata all’orologio, che gli notificava fosse mezzogiorno passato, prese ad osservare Malfoy, che s’era accomodato sulla sedia che era ormai solito occupare. Ad Harry quella scena diede il solito retrogusto di quotidianità, come se quella sedia e quella porzione di tavolo, non potessero essere mai appartenute a qualcun altro se non a Malfoy. Dopo quella considerazione, portò di nuovo la tazza alle labbra, risoluto nel mettere fine a quei deliri sconnessi. Malfoy lo osservava quieto, studiandolo pazientemente. Quando Harry svuotò la tazza e la abbandonò sul tavolo, l’altro ruppe il silenzio.
-Adesso sarebbe troppo ambire ad avere una conversazione normale?
Harry schioccò la lingua, per poi sedersi di fronte a lui.
-Non dirmi che è una morale sul non venire a lezione. 
-Potter è domenica.- disse Malfoy, e con il tono di chi stesse rimarcando l’ovvio continuò: -E sai cosa significa…?
-Che non c’è posta la domenica?- disse Harry titubante.
-Sai, non credo che questa fosse la cosa più stupida che tu potessi dire. So che puoi fare di peggio, e ti sono grato per avermi risparmiato.- rispose Malfoy, annoiato, poi si alzò, avvicinandosi al piano cottura. Mentre armeggiava con la teiera, completamente a proprio agio, continuò:
-Significa che non c’è lezione, la domenica. Quindi non ci saranno morali su assenze non fatte. Sono venuto a parlarti di altro.
Harry guardò oltre la propria spalla, vedendo Malfoy dare un colpo di bacchetta alla teiera appena riempita d’acqua, poi il ragazzo si voltò, verso di lui, e poggiò i fianchi contro la superficie di marmo, incrociando le braccia al petto.
-Altro…?- disse Harry titubante. Pensava che Malfoy gli avesse detto ciò che doveva la sera prima, ma percepiva che ci fosse qualcosa di diverso nel tono dell’altro, quella mattina.
-Ricordi quando ti ho chiesto di parlare con Shackebolt?- Malfoy attese che Harry annuisse prima di continuare: -Non occorre. Come non occorre tentare di chiedere un prestito a quei maledetti folletti. Come non occorre affittare quella casa che ti ho mostrato.
Harry strabuzzò gli occhi, aggrottando la fronte.
-Malfoy, credimi…non ti seguo.
-Io una casa ce l’ho. L’ho sempre avuta, ma ne sono venuto a conoscenza solo ieri notte. E questo risolve quasi tutti i miei problemi. C’è solo un dettaglio.- disse l’altro, voltandogli le spalle, per agguantare una tazza e riempirla con il contenuto della fischiettante teiera. Harry non sapeva come spiegarlo, ma aveva come il sentore che qualcosa di poco positivo sarebbe stato detto di lì a poco.
-In quella casa ci vive già qualcuno…- continuò Malfoy, voltandosi nuovamente, e fronteggiandolo, mentre portava la tazza alle labbra. Harry non poté far a meno di notare che questa volta Malfoy non aveva aggiunto né zucchero né limone al proprio thé.
-E di chi si tratta…?- chiese Harry, nonostante non fosse sicuro di voler sapere la risposta. Malfoy deglutì, poggiando poi la tazza di fianco a sé, sul marmo consumato del piano cottura. Poi lo guardò negli occhi, fece uno dei suoi tipici ghigni, che non presagivano nulla di buono, e si sporse un poco verso di lui. Per un attimo, ma solo per un attimo, Harry pensò che lo avrebbe raggiunto, si sarebbe chinato sulla sedia e lo avrebbe baciato di nuovo. Forse fu quella posa predatoria, o forse il fatto che lo sguardo di Malfoy fosse scivolato sulle sue labbra, o forse Harry si stava ingannando di nuovo, reprimendo quel desiderio inconscio. L’altro restò dov’era, fissandolo ancora intensamente negli occhi, con uno sguardo che sapeva di una nuova sfida, che Malfoy lanciò non appena disse:
-Si tratta di te.
 

 
 
Note:
 
Ed eccomi di ritorno, meglio tardi che mai, no?
Spero che il capitolo sia valsa la vostra attesa, e che non abbia ancora una volta combinato un disastro! Detto ciò, è mio dovere farvi notare che le citazioni di questo capitolo hanno ben 3 cose in comune:
  1. sono canzoni;
  2. sono cantautoriali;
  3. gli autori sono tutti siciliani.
 
Così, per ricordarmi della mia bella terra, sempre più lontana, e un po’ così per omaggiare il genio conterraneo, che è molto spesso sottovalutato. Per cui, se tra di voi ci sono dei siciliani, sentitevi liberi di ritenere un po’ vostro questo capitolo, perché l’ho inconsciamente dedicato proprio a voi.
Detto ciò, non me ne vogliano tutti gli altri, e adesso siete veramente tanti a seguire questa storiella (76? Siamo proprio sicuri?). Ringrazio come sempre chi legge, chi legge e mi fa arrivare il proprio parere, e soprattutto le 32 persone che hanno pensato valesse la pena considerare “Les Choix” come storia preferita.
 
Se qualcuno avesse tempo e voglia di prendersi la briga di ascoltare le canzoni, e volesse approfondire, ne approfitto anche per dire che i DiMartino hanno (ad aprile) lanciato il nuovo album, che è un capolavoro –purtroppo non disponibile su youtube-. Ad ogni modo, smetto di divagare, e mi dileguo prima di fare promesse che non posso mantenere circa gli eventuali prossimi aggiornamenti.
May the 4th be with you all! (Anche se lievemente in ritardo.)
 

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Capitolo 32
*** Il settimo piano ***


XXXII. Il settimo piano.
 
“Quella che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.”
Lao Tse
 
 
Harry, seduto svogliatamente su una delle due grandi poltrone, osservava in silenzio Malfoy, che faceva quietamente roteare il cucchiaino all’interno della tazza candida, rimestando il proprio thé ormai tiepido, come si rimestassero dei pensieri troppo torbidi.
-Quello che mi stai dicendo, fammi capire bene, è che questa casa dovrebbe essere tua?
Malfoy, senza sollevare lo sguardo dalla superficie ambrata del thé annuì lievemente. Harry si portò una mano alle tempie e, data una lunga sorsata alla pozione antidolorifica, continuò:
-E quindi che l’eredità di Sirius è nulla?
-Black è stato diseredato, per cui non aveva più alcun diritto sul patrimonio. Questo è chiaro. Perché l’eredità sia comunque passata a te, così come i vincoli magici che ti legano all’Elfo Domestico, rimane un mistero.- disse Malfoy, portando la tazza alle labbra: -A proposito, dov’è?
Harry svuotò la boccetta di pozione, pregando facesse effetto presto sul mastodontico scalpitare nella sua testa, ed alzò le spalle.
-L’ho liberato e mandato ad Hogwarts, nelle cucine.- disse lapidario, incrociando le braccia al petto.
-Potter, questa storia non piace neanche a me, ma parliamoci chiaro, vuoi? Prima di Natale, ovvero tra poco meno di un mese, il Ministero mi darà lo sfratto dal Manor. Pensavo avessi a disposizione un fondo per le emergenze, prontamente predisposto dai miei genitori, che potesse consentirmi un iniziale sostentamento, quindi di affittare un appartamento. Questo fondo s’è rivelato essere un’eredità.- Malfoy fece una pausa, portando finalmente lo sguardo su Harry. Nei suoi occhi c’era come un velo di disagio e inadeguatezza, ben nascosto dietro al suono determinato della sua voce.
-Cosa mi stai chiedendo esattamente, Malfoy?
-Il patrimonio dei Black, e tutti i loro fondi, sono a tuo nome, adesso. Ciò mi porta a credere tu sia il proprietario della loro camera blindata alla Gringotts. Se trasferissimo l’eredità su un fondo a mio nome, il Ministero risalirebbe alla cosa molto facilmente, e non solo requisirebbe il denaro, ma si rivarrebbe anche su questa casa.
Harry spalancò gli occhi, incredulo. Requisire Grimmauld Place? Non aveva idea di come funzionassero i diritti di successione nel mondo Babbano, figurarsi in quello magico, ma che Sirius avesse combinato uno dei suoi casini con quelle intricate mansioni burocratiche non era da escludere. Dopo tutto, Malfoy poteva anche avere ragione.
-Ma se l’eredità è sempre stata tua, come ti spieghi che tutto sia passato a me?
-Non ho spiegazioni certe, solo supposizioni. Black ha disposto di un patrimonio che pensava essere proprio, intestandolo a te, con effetto immediato alla sua morte. Il mio diritto d’accesso è sorto al compimento dei diciassette anni. Ciò significa che tu hai raccolto l’eredità prima che il mio diritto sorgesse.- disse Malfoy, ravviandosi i capelli, con fare pensieroso: - E avendola raccolta, ne sei diventato proprietario, dato che nessun diritto era venuto ad esistere in quel momento.
Harry sospirò profondamente, sprofondando ancora di più nella poltrona, prima di dire:
-Tipo la storia del trovare una roba per strada, no?
-Esattamente: possesso vale titolo, dato che il diritto non era ancora sorto.
-Ma adesso puoi rivendicarlo.- disse Harry titubante.
Malfoy riportò lo sguardo nei suoi occhi, e lo scrutò serio. Abbandonò la tazza ormai vuota sul tavolino di fronte al divano, e si sporse solo un po’ verso la poltrona alla sua sinistra, dove sedeva Harry.
-Se lo rivendicassi il Ministero me ne priverebbe, Potter. Per questo è di vitale importanza che tu rimanga il proprietario, perché solo così potrò averne accesso.
-Quindi è questo che mi stai chiedendo?- disse Harry perplesso. Non aveva idea di cosa stesse succedendo in quel momento tra loro, sembrava esserci un’aria spessa e grave, quasi solenne, e la cosa lo confondeva e spaventava allo stesso tempo.
-Potter, non credevo di poter mai dire una cosa del genere, ma…so che di te ci si può fidare. So che non denuncerai la cosa al Ministero, e so che manterrai il patrimonio a tuo nome, garantendomi ciò che mi spetta. Non ho avuto dubbi su questo, nemmeno per un attimo. Sei un Grifondoro, ed è esattamente quello che mi aspetto tu faccia.- disse Malfoy, sporgendosi lievemente verso di lui ancora di qualche centimetro, in un gesto estremamente misurato. La sua voce era ferma, e accomodante, quasi docile, ed Harry ne era ipnotizzato, a tal punto da sollevarsi dallo schienale della poltrona e raggiungere quel punto astratto che lo avrebbe avvicinato a Malfoy. Rimase in silenzio, mentre l’altro alzava il sopracciglio e lo scrutava curioso, di nuovo con quell’espressione d’aspettativa. Quando Malfoy si umettò brevemente le labbra, ad Harry mancò un battito. Non aveva potuto far a meno di lasciar scivolare lo sguardo sulla bocca dell’altro, in un gesto istintivo, seguendo un richiamo che gli intimava adesso di agire, di smettere di girarci intorno, di prendersi quello che dolorosamente gli infuriava nel petto.
-Allora cos’è che vuoi da me, Malfoy?- la voce di Harry suonò solo lievemente roca, mentre le parole gli si impastavano in bocca, frementi di frustrazione.
Malfoy lo guardava adesso con quel suo ghigno beffardo, seguendo attentamente ogni più lieve espressione del viso di Harry, ogni sfumatura nei suoi occhi, in quelle pupille appena un po’ più dilatate. Poi, con un’estenuante lentezza, allungò una mano, portandola sul ginocchio di Harry, che al contatto bruciò piacevolmente.
-Solo ciò che mi spetta, Potter. Nient’altro che non sia già mio.
 
***
 
Hermione, sorridendo, controllò la spessa cartella ai piedi del lettino candido.
-Buongiorno, signora Bennet. Come andiamo oggi?
La vecchina esile le sorrise dolcemente e stringendo gli occhietti vispi, le rispose con la sua vocina stridula e traballante:
-Hermione! Che felicità vederti, cara! Fai il turno tu oggi?
-Sì, signora, i pazienti del Medimago Dixon sono affidati a me oggi. Sono venuta a controllarla.
-Ma non siete sempre in due, cara? Dov’è quel bel giovanotto, oggi? Come si chiama…?
Hermione si lasciò sfuggire una leggera risata, affiancando il lettino della donna, per controllare le dosi delle pozioni sul comodino, e porgendole una boccetta rispose:
-Zabini arriverà a breve, signora.
-Oh, sia ringraziata Morgana. È un ragazzo così a modo, e di bell’aspetto anche. Una gioia per questi occhi stanchi, mia cara. Una gioia.
Hermione annuì sempre sorridendo, e lasciò scivolare lo sguardo verso l’orologio sulla parete. Blaise non era mai in ritardo durante i suoi turni, ma d’altra parte era domenica, e quello era solo un turno straordinario, che non incideva sul progetto formativo. Quando il loro capo reparto aveva proposto il volontariato, travestendolo da turni extra, tutti i suoi compagni s’erano velocemente defilati, eccetto Blaise, che aveva accettato di buon grado. Che fosse in ritardo di per sé era insolito, che il ritardo fosse ormai di due ore, cominciava a preoccuparla. Non poté far a meno di chiedersi se fosse successo qualcosa, ma cercava di nascondere la proprie preoccupazioni, come ogni buon Medimago dovrebbe fare: mai lasciare che il privato si mescoli con il lavoro, era uno dei primi avvertimenti di Dixon.
Il Medimago la raggiunse che Hermione stava ancora somministrando le diverse pozioni all’arzilla paziente, tra cui diverse con effetti tranquillanti, che l’avrebbero addormentata, sollevandola dai dolori del trattamento. Dixon la guardava con approvazione, mentre lavorava, e una volta finito le fece cenno di seguirla fuori dalla stanza, con aria grave.
-Granger, ottimo lavoro con la signora Bennet. Adesso devo chiederLe di raggiungere il settimo piano.
Hermione strabuzzò gli occhi, stranita, il settimo piano era un reparto al quale nessuno di loro tirocinanti aveva accesso. Tra i tirocinanti correvano voci su quel particolare reparto, nessuna delle quali rassicurante. Alcuni dicevano fosse dedicato alle malattie infettive, altri che fosse solo un intero piano vuoto e mai utilizzato, altri ancora che fosse il regno delle più ardite e amorali sperimentazioni.
-Il settimo piano, Signore?- sussurrò, tentando di non suonare troppo allarmata.
-Sì, Granger. Temo ci sia bisogno di Lei laggiù…
-Ma, Signore, devo ancora finire il giro dei Suoi pazienti, vede…Zabini è in ritardo oggi, e da sola ci ho messo più tempo del dovuto e…
-Zabini non è in ritardo, Signorina Granger. Per oggi, Lei ha finito il turno. Vada al settimo piano, e lo raggiunga. Il suo amico ha bisogno di Lei.
Detto questo Dixon le voltò le spalle e se ne andò, lasciandola con l’apprensione a corroderle la bocca dello stomaco.
 
***
 
Gli occhi di Potter erano spalancati e smarriti, Draco poteva vedere la paura agitarsi in fondo a quello sguardo, mista a qualcos’altro, come un desiderio impronunciabile. Gli sarebbe bastato sporgersi un po’, catturare di nuovo quelle labbra piene fra le sue, concedersi lo spazio di un respiro, e voleva farlo, tanto da star male, ma sapeva di non potere. Non poteva reclamare nulla da Potter, non quando la confusione dell’altro era così palpabile, quando aveva giurato ad entrambi che avrebbe avuto pazienza, che avrebbe aspettato e concesso il tempo necessario. Eppure Potter stava lì, inerte, facile preda con una spiccata sindrome di Stoccolma, con le labbra socchiuse, che mute gli sussurravano parole accoglienti. E sentiva un calore frustrante ed intimo che si irradiava nel suo palmo, che involontariamente aveva raggiunto la gamba di Potter, in un gesto che a Draco voleva suggerire rassicurazione, ma che aveva adesso solo il gusto dello spasmodico bisogno di toccarlo.
S’era ripromesso d’essere cauto, di non fare nulla di avventato, e di lasciare a Potter i propri spazi, ma inspiegabilmente aveva rinnegato quella promessa. Come se fatalmente non riuscisse a tenersi lontano dall’altro, come ci fosse un eterno richiamo famelico che lo spingesse sempre più vicino all’epicentro dell’entropia. Potter gli faceva quell’effetto, e in fondo, da qualche parte, Draco sapeva che quella dell’eredità e tutto il resto non erano stati che l’ennesimo pretesto per riportarlo lì, in bilico, a quel momento di pura ed esatta bellezza. Il momento prima del contatto, quando le labbra di Potter fremevano ancora lontane dalle proprie, e negli occhi dell’altro si poteva cogliere indistinto il desiderio, la curiosità e l’attesa. Era inebriante, e Draco ne era inconsapevolmente ed irrimediabilmente succube.
-Solo ciò che mi spetta, Potter. Nient’altro che non sia già mio.- disse infine, con un enorme sforzo, per mantener salda la propria voce. Potter si avvicinò impercettibilmente, come ipnotizzato, senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Sembrava non aver sentito le sue parole, sembrava distante, concentrato su nient’altro che non fossero gli occhi di Draco.
-Ciò che ti spetta…- mormorò Potter assorto, portando gli occhi sulle labbra di Draco, con una sfumatura diversa nello sguardo, più cupo, sebbene ancora smarrito. Se non lo avesse baciato subito, Draco ne era certo, gli sarebbe mancato il fiato, e avrebbe finito per smettere di respirare, ma qualcosa dentro di lui gli sussurrava di ritrarsi, prima che fosse troppo tardi. Poi Potter si sporse appena un altro po’, seguendo un impulso sconosciuto, e senza che Draco avesse il tempo di accorgersene, successe. Potter, gli occhi aperti sui suoi, aveva fatto combaciare i loro respiri, in una carezza quasi invisibile, e con una lieve pressione aveva impresso le sue labbra su quelle di Draco, che a quel contatto s’era arreso, chiudendo gli occhi. Prima ancora che potesse bearsi della perfezione di quel tocco, e che potesse domandare e concedersi di più, Potter si era ritratto in fretta, come ustionato, portandosi una mano alle labbra, gli occhi nel panico. Draco sobbalzò contrariato a quel repentino dietro front, aggrottando la fronte: che diavolo gli prendeva, adesso?
-I-io…non avrei…scusami…
Potter era tornato a sprofondare nella poltrona, la mano tremante sulla bocca, gli occhi sbarrati, fuggiti dai suoi, come a cercare una qualche rassicurazione. A Draco ci volle parecchio autocontrollo per non tirarselo addosso, e invaderlo senza ritegno, in quel momento. Spostò la mano dal ginocchio dell’altro, ritirandosi a sua volta, sempre debolmente. Potter era come un animale selvatico, in quel momento agli occhi di Draco. Uno di quegli animali schivi, che non appena venivano accarezzati si ritraevano, spaventati dall’infrangersi naturale delle cose, ma che subito dopo si sporgevano di nuovo, titubanti, per cercare la stessa mano, e lo stesso piacevole contatto. E con gli animali selvatici, Draco lo sapeva, bisognava essere estremamente cauti e non fare movimenti troppo bruschi, o si rischiava di metterli in fuga.
-Non hai niente di cui scusarti, Potter.
Potter lo guardò, corrucciato. Sembrava quasi un bambino colto in fragrante mentre affondava le dita nel vasetto di marmellata, imbrattato fino al gomito. Uno slancio di tenerezza portò Draco a sorridere e a reclinare il capo di lato, comprensivo. Decise di lasciar passare sotto silenzio l’accaduto, senza aggiungere altro, per non mettere a disagio Potter, ancora lì con quell’aria colpevole.
-Non era esattamente quel che intendevo. Non fraintendermi, non mi è dispiaciuto, ma…Con “quel che mi spetta” non intendevo…- Draco si passò una mano sul viso, avvilito, e Potter distolse di nuovo lo sguardo.
-Non so che mi abbia preso, Malfoy io…
-Maledizione, Potter, piantala!- sbottò Draco alterato. Odiava quella situazione, quel temere di fare un passo troppo azzardato, quella confusione negli occhi dell’altro, e quel timore immotivato. Odiava non poter raggiungerlo ed inchiodarlo a quella poltrona, odiava non poter fare ciò che desiderava. Aveva vissuto tutta la propria vita così, e con Potter, per la prima volta, pensava di potersi finalmente permettersi di non seguire altro che il proprio istinto, così come aveva sempre fatto l’altro. Non era così, e lo odiava.
-Non devi scusarti, né giustificarti. Fa pure finta che non sia successo, se ti fa sentire meglio.
Potter lo guardò contrariato, stringendo i pugni sulle proprie gambe, come cercasse di contenere una rabbia inspiegabile. Poi scattò in piedi, sbottando:
-Fare finta di niente, Malfoy? Sentirmi meglio? Di che diavolo parli, per Godric. Non capisci…non capisci com’è che mi sento? Vieni qui, mi dici tutte quelle…cose. Dici che aspetterai. E il giorno dopo mi piombi in casa, chiedendomi Merlino sa cosa, e mi guardi a quel modo e…Fare finta di niente!
Potter aveva alzato all’improvviso la voce, e aveva preso a camminare avanti e indietro, febbricitante, senza riuscire a guardarlo, completamente preda di quella furia inspiegabile, di quell’incapacità comunicativa che sembrava frustrarlo ancora di più.
-Io non so…Non so come affrontare questa cosa, va bene? Non sono in grado di gestirla perché è…troppo. E prima vieni qui e mi dici di prendermi il tempo che mi serve. Poi mi coinvolgi in questo casino col l’eredità, poi vuoi quello che ti spetta. Insomma io…Quando sei qui non riesco a pensare a nient’altro che…e non riesco a starti lontano e…
Draco si alzò di scatto e lo raggiunse, mettendogli le mani sulle spalle, per fermarlo, mosso da un’inspiegabile volontà, che tutto quello sbraitare finisse, che non ci fosse più quella accozzaglia di parole a mezz’aria e quelle recriminazioni, quel reprimersi a vicenda. Fissò i propri occhi in quelli di Potter, avvicinando i loro visi con foga, e repentinamente portò le proprie labbra su quelle dell’altro, che lo fissava ancora sbigottito. Impresse con forza, chiudendogli rudemente la bocca, tutti quei sentimenti che le parole di Potter avevano portato a galla: l’inadeguatezza, i dubbi, le paure, i cambiamenti impietosi, e le regole da seguire, tutta quella rabbia, e il desiderio di allungare la mano e toccare quella dell’altro, di appartenersi, di meritare qualcosa di buono, e il bisogno ignorabile di sentire che l’altro era la migliore parte di se stesso. Potter, dapprima rigido a quel contatto improvviso, cominciò a rilassarsi, docile, contro quel bacio inaspettato quanto salvifico. Era come imparare a respirare di nuovo, rinascere un’altra volta, con quel suo effetto tranquillizzante e pacifico. Quando sentì la lingua di Potter, fremente, accarezzargli il labbro inferiore, reclamando di più, Draco si scostò bruscamente, poggiando la fronte contro quella dell’altro. Potter cercò di contenere il sommesso lamento di disappunto che gli sfuggì, facendolo sospirare. Quel maledetto Grifondoro aveva uno straordinario talento nel fargli dimenticare qualsiasi buon proposito, facendolo smettere di pensare, portandolo ad agire in maniera sconsiderata. Senza aprire gli occhi, rimase immobile, ancora troppo vicino a quelle labbra che tanto sembravano attirarlo, tramortirlo e affogarlo, talmente vicino che quando le sfiorò di nuovo quando mormorò:
-Non ci riesco neanche io, Potter. A pensare, a starti lontano, a resistere…- poi si scostò, dolcemente, prima di essere trattenuto dalle mani di Potter, che gli artigliavano i lembi del maglione scuro. Potter aveva abbassato il volto, e teneva gli occhi bassi, le guance imporporate e il respiro sospeso, come temesse di infrangere qualcosa. Draco mise le proprie mani su quelle dell’altro, stringendo solo un po’.
-Continuo a dirmi di doverti stare lontano, di lasciarti del tempo, i tuoi spazi, ma…ma non ci riesco. Sono stanco di negarmi quello che voglio.
Potter portò lo sguardo su di lui, sorpreso, un vago ed inconsapevole luccichio negli occhi che, Draco ne era sicuro, scaturiva solo dall’ennesima rassicurazione ricevuta.
-Voglio che tu sappia che da questo momento in poi ti renderò le cose più facili, Potter.
 
***
 
Hermione, raggiunse il settimo piano di corsa, poggiando la targhetta col proprio nome sulla maniglia della pesante porta, così come faceva per tutti gli altri reparti, ma quella non volle saperne di aprirsi. In preda al panico, e ignorando cosa potesse essere successo, preoccupata a morte per Blaise, prese a battere il pugno sul legno chiaro.
-Ehi! C’è nessuno? Aprite!
Dopo qualche istante, prima che si arrendesse accasciandosi contro i battenti, la porta si aprì, cigolando e un omone massiccio fece capolino. Indossava una divisa da Auror logora, e la guardava con circospezione. Non non era molto alto più alto di Ron, constatò la ragazza, aveva il viso coperto da una barba ispida e una lunga cicatrice, ben visibile, sullo zigomo destro. Ad occhio e croce poteva avere una quarantina d’anni.
-Identificarsi, prego.- disse l’uomo, con una voce baritonale.
-Sono Hermione Granger, Signore. Il Medimago Dixon mi ha detto…dov’è Blaise? Cosa gli è successo?
L’uomo alzò una mano con stizza, come ad intimargli il silenzio.
-Non sono autorizzato a dare informazioni. Zabini sta bene, signorina Granger. La prego di seguirmi e di lasciare qui qualsiasi manufatto che le consenta di comunicare col mondo esterno, compreso il suo cartellino da tirocinante e la bacchetta.
-Ma…cosa diavolo?
L’Auror la ammonì con lo sguardo, incrociando le robuste braccia al petto e divaricando le gambe, come fosse pronto ad estrarre la propria bacchetta e ad attaccare.
-Segua le istruzioni, signorina Granger.
Hermione sbuffando si sfilò il camice e lo porse all’uomo, guardandolo sospettosa. Nella sua mente si accavallavano intanto le più disparate supposizioni, nessuna delle quali le risultava essere particolarmente credibile. L’uomo raccolse bruscamente il camice portogli, e lo ispezionò, requisendo un paio di pozioni, la bacchetta di Hermione, la targhetta e della pergamena. Poi si scostò per lasciarla passare, e subito dopo aver chiuso la porta con un incantesimo di sicurezza, le fece cenno di seguirlo.
Il corridoio era poco illuminato, se non per qualche raggio di luce che freddamente trafiggeva le pesanti tende alle finestre. Hermione notò che al contrario di qualsiasi reparto, il corridoio del settimo piano era spoglio di sedie, quadri o piante. Persino i muri non erano del solito verde pastello, ma completamente bianchi. C’erano delle porte, distanti pochi passi le une dalle altre, tutte chiuse, e tra una porta e l’altra c’erano delle vetrate, oscurate anche quelle da pesanti tende scure. Hermione suppose fossero stanze esattamente uguali a quelle del reparto nursery, e che quelle vetrate fossero come quelle che consentivano ai genitori di guardare i piccoli appena nati. Ma c’era qualcosa di sinistro, di irrequieto, nel tenere quelle vetrate coperte da quei teli neri, come a volerne nascondere il reale contenuto. C’era qualcosa di angoscioso in quel reparto, poteva percepirlo chiaramente, che sembrava essere uno dei più grandi. Hermione e l’Auror svoltarono prima a destra, poi a sinistra, e poi ancora a destra, seguiti solo dal rumore cupo e tormentoso dei loro passi.
Poi Hermione lo vide, la testa incavata tra le spalle, e lo sguardo assorto, perso aldilà di una delle spesse vetrate che inquadravano l’interno di una stanza.
-Blaise!
Senza badare né all’Auror che l’aveva accompagnata, ed ai suoi improperi, né all’altro Auror che affiancava Blaise e la osservava con disappunto, Hermione lo raggiunse concitata.
-Blaise, che diavolo sta succedendo! Ero spaventata a morte…
Zabini non distolse lo sguardo dal vetro quando con voce incolore mormorò:
-Quando sono arrivato, stamattina, gli Auror mi hanno scortato qui. Sono sempre rimasto nella lista delle persone da contattare. Una bella coincidenza che fossi di turno… Ha cercato di impiccarsi. Lo hanno portato stanotte.
Prima che Hermione potesse proferire una delle mille domande che le affollavano la mente, Blaise fece un piccolo cenno di fronte a sé, come ad invitarla a guardare attraverso il vetro, all’interno della stanza.
Incatenato su un letto candido, pallida come la neve di febbraio, e avvolta in un ammasso di stracci scuri, l’ombra di quello che doveva essere stato un uomo, una figura smunta che strideva con il contesto che la circondava.
Quando Hermione lo riconobbe, Blaise sussurrò:
-Theodore Nott.
 
 
 
 
 
 




Note:
 
Come qualcuno ha già indovinato, questo è un periodo un po’ denso di impegni, molti dei quali universitari. Ma nonostante questo, eccovi un nuovo capitolo, che spero possiate apprezzare!
A breve risponderò alle recensioni, ma mi sento in dovere di ringraziarvi, e dirvi che vi abbraccerei uno per uno, per i vostri commenti, che come sempre mi rassicurano molto. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le seguite, preferite o ricordate, grazie molte!
Come sempre alla prossima,
Indice.
 
PS: Ancora auguri Wing!
 
 
 

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Capitolo 33
*** Tregua ***


XXXIII. Tregua.
 
“L’unica ossessione che vogliono tutti: l’ “amore”.
 Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi?
 La platonica unione delle anime?
Io la penso diversamente.
Io credo che tu sia completo prima di cominciare.

E l’amore ti spezza.
Tu sei intero, e poi ti apri in due.”

 
P. Roth, L’animale morente.
 
 
-Voglio che tu sappia che da questo momento in poi ti renderò le cose più facili, Potter.
La voce di Malfoy risuonava particolarmente grave e solenne alle orecchie di Harry, che adesso si sentiva sperso e confuso tra quelle sillabe. Lo guardò interrogativo, sperando di riuscire a decifrare qualcosa dello sguardo dell’altro, qualsiasi cosa. Gli occhi di Malfoy erano tornati d’improvviso duri e glaciali, come schermati, a proteggere i suoi pensieri, ed Harry sentì una morsa stringergli la bocca dello stomaco, riconoscendo il retrogusto del panico. Cosa stava succedendo, cosa era cambiato in una manciata di secondi? Le mani di Malfoy erano ancora sulle sue, e le dita di Harry sembravano aver acquisito volontà propria, riscoprendosi disperate nell’artigliare il maglione dell’altro. Alle parole dell’altro Harry aveva alzato di scatto il volto, ritrovandosi catturato dalle pupille vigili di Malfoy. Quelle parole erano per un attimo sembrate una benedizione, ma stonavano se affiancate al volto del ragazzo di fronte a lui. Harry non sapeva definirlo, ma era come ritrovarsi su un piano inclinato, una superficie scoscesa e friabile, stava avanzando a tentoni su un terreno accidentato, poteva persino percepire delle macerie, intorno a sé. Deglutì a vuoto, ancora con gli occhi in quelli di Malfoy, incapace di proferire alcun suono. E poi l’altro lo disse, lo mise di fronte al fatto compiuto, facendolo sprofondare, come solo Malfoy era sempre riuscito a fare, quando beffardo gli sputava in faccia la cruda e malevola verità.
-Ci sono due alternative, e non spetta a me decidere.
Prima che potesse continuare, Harry annuì incerto, e finalmente mollò la presa dal maglione. Malfoy lo stava mettendo di fronte ad una scelta, lo sapeva, come sapeva di non sentirsi pronto a compierla. Liberò le proprie mani dalla debole stretta di Malfoy, e fece un passo indietro, senza mai smettere di guardarlo.
-Mi stai chiedendo di scegliere per tutti e due, non è così, Malfoy?
-Sono un codardo, Potter, quando smetterai di sorprendertene? Spetta a te. Posso uscire da quella porta adesso, e ridurre al minimo qualsiasi interazione. Certo, c’è la storia dell’eredità, che converrai debba rimanere a tuo nome, ma non occorre discuterne oltre: ogni mese verseresti ciò che mi spetta, senza dover avere a che fare con me. Mollerei l’addestramento e tutte quelle stronzate, perché sai meglio di me che non mi è mai importato nulla di essere un Auror dalla splendente armatura e dalle nobili intenzioni. Sarebbe come se niente di tutto questo sia mai accaduto. Tornerei il solito detestabile Malfoy che hai conosciuto ai tempi di Hogwarts.
Harry si lasciò sfuggire un suono sbigottito dalle labbra, ritraendosi di nuovo, di un altro passo. Adesso gli sembrava tutto un tremendo errore, un dispetto doloroso. Non si spiegava da dove venissero quelle parole, come Malfoy potesse avanzare anche solo quella possibilità, adesso. Adesso che aveva imparato a conoscerlo, ad apprezzare il fatto di averlo intorno, a smettere di ignorare quella forza inspiegabile che lo spingeva verso di lui, adesso che la nebbia aveva cominciato a diradarsi…perché? Un brivido gli percorse la spina dorsale quando una metallica consapevolezza lo colpì al costato: lo avrebbe perso.
Puntuale e calcolato come sempre, Malfoy doveva aver letto il panico nei suoi occhi, perché proseguì cautamente, soppesando ogni parola:
-Oppure, potresti concederci una possibilità. E bada, credo la cosa faccia più paura a me che a te. Potresti lasciare che le cose vadano come devono, potresti decidere di avermi come partner all’Accademia. Potresti accettare di volermi dare una mano con il Ministero e quella storia dell’eredità, più che con un semplice versamento mensile, che magari non mi basterebbe neanche per affittare quell’appartamento. Potresti persino decidere di stringere quella mano che nove anni fa hai rifiutato, concedermi la tua amicizia, oppure decidere di andare oltre…- Malfoy fece una pausa, studiando attentamente l’espressione di Harry, che adesso aveva sgranato gli occhi e lo guardava trattenendo il fiato, in bilico tra l’aspettativa e il bisogno di sentire quelle uniche parole in grado di rassicurarlo, ancora una volta. Ad Harry la scelta non era sembrata più nitida e ovvia, eppure aveva ancora il bisogno di sentirsi al sicuro: se Malfoy poneva l’eventualità di sparire dalla sua vita, quanto desiderava in realtà farne parte? In quel momento il tarlo di Harry lo consumava proprio su quell’interrogativo: e se per l’altro fosse del tutto indifferente andare via o restare? Perché dargli quell’ultimatum, perché non lottare? Il panico gli stringeva la gola, e Harry quasi stentò a riconoscersi.
Malfoy fece un passo verso di lui, titubante, e allungò una mano verso il suo viso, come in un moto di tenerezza, come a voler sfiorare la guancia di Harry. Il braccio di Malfoy ricadde lungo il suo fianco quasi immediatamente, come se l’altro si fosse ancora una volta costretto, represso, in quella sua barriera di ghiaccio.
-Non vorrei dovertelo chiedere, ma lo sappiamo entrambi: sono un codardo, ed ho paura.- disse in un sussurro, quasi vergognandosi: -Ho paura tu non abbia la possibilità di scegliere, solo perché sono un egoista ed ho costretto entrambi in questa situazione. Ho paura tu possa rifiutarmi, di nuovo. Ed ho bisogno di sapere…
Malfoy aveva abbassato lo sguardo, il mento sul petto, come a voler nascondere la sua espressione. Aveva incrociato le braccia, come a proteggersi, ed Harry poteva vedere con quanto sforzo si ostinasse a rimanere lì, immobile e lontano da lui, a stringere le labbra le une sulle altre, come ad impedirsi di dire qualcosa che potesse comprometterlo. Non voleva condizionarlo nella sua scelta, ecco cos’era, si rese conto Harry. Era immobile, statico e lontano, perché non voleva influenzarlo. Ed era vera, ogni parola, aveva paura. Non di perderlo, o di imbarcarsi in qualcosa di avventato. Aveva semplicemente paura: qualsiasi scelta Harry avesse compiuto, Malfoy ne sarebbe stato comunque spaventato. Aveva paura di essere rifiutato, di dover rinunciare a quel presente che con fatica cercava di ricostruire, demolendo il passato, perdendo la possibilità di diventare una persona migliore. Aveva paura di ferirsi lasciandosi conoscere, spogliandosi delle sue maschere. In qualunque caso, Malfoy avrebbe rischiato: tornare alla vita di sempre sarebbe stato un fallimento, un riconoscersi colpevole. Voltare definitivamente pagina, di contro, era un rischio ben maggiore. Harry sentì il palmo della mano bruciargli, mentre un istinto sconosciuto gli intimava di raggiungere l’altro, di toccarlo e rassicurarlo.
-Quindi ecco, Potter…la cosa è semplice.- disse con voce sottile, quasi sommessa, e carica di una quantità indefinita di emozioni volutamente represse. E quelle parole furono decisamente troppo. Harry sentì una rabbia cieca montargli alla gola, e desiderò soltanto schiaffeggiare l’altro, per farlo smettere di recitare la parte dell’insensibile, per farlo reagire. Voleva che Malfoy lottasse, che gliene importasse, che smettesse di avere paura.
Così lo raggiunse e gli strinse le mani sulle spalle, costringendolo a guardarlo:
-Stronzate, Malfoy. Questo non è rendermi le cose facili. Io non posso decidere per tutti e due. Non so neanche se…- Harry si bloccò, rendendosi conto del tono accusatorio, e dello sguardo di Malfoy, che aveva assunto un’espressione colpevole. Adesso Malfoy era tornato a sembrare estremamente fragile, e ad Harry si strinse il cuore.
-Io sono… confuso, Malfoy. Non c’è bisogno di ricordartelo ma…neanche un paio di mesi fa stavo con Ginny, e credevo potesse funzionare sul serio con lei. In poco tempo ho capito di non aver mai provato nient’altro che affetto nei suoi confronti…ho realizzato talmente tante cose che…la guerra non mi ha lasciato il tempo di farmi delle domande, Malfoy. E anche dopo…tutti si aspettavano determinate cose da me e io…Non voglio giustificarmi, è colpa mia, sono stato io a lasciare che certe cose andassero in un modo. Ho avuto paura anch’io…e ho ancora paura, qui di fronte a te. Ho a che fare con qualcosa che non conosco, qualcosa che inspiegabilmente mi spinge verso di te, e non riesco ad ignorarlo. Per la miseria, Malfoy, non chiedermi di decidere quando non so neanche se te ne importa sul serio!- Harry tirò il fiato, come rendendosi conto solo all’improvviso dell’impeto delle proprie parole, parole che erano venute chissà da dove, e che adesso stavano sparse fra loro, forse a dividerli per sempre.
-Se non me ne importasse credi che starei qui?- ribatté Malfoy amaro: -Se non me ne importasse, Potter, ti avrei già scopato e me ne sarei andato, mentre ancora dormivi, e senza una parola.
Harry sussultò a quelle parole, sentendo qualcosa accendersi in fondo al suo stomaco, qualcosa che non era il momento di identificare, ma che era ormai diventata una sensazione familiare, una risposta inconscia alle allusioni velate e non di Malfoy.
-Se non me ne importasse sarei sparito dalla tua vita, non senza averti fatto quanto più male possibile. Se non me ne importasse non ti chiederei di scegliere, te ne rendi conto, Potter? Me ne importa, Potter, e mi odio per questo, credimi. Odio persino doverlo dire, e ammetterlo. Qualunque cosa tu mi abbia fatto, mi tiene ancora qui. Non sono il tipo di persona che segue l’istinto. Ho sempre dato ascolto al mio buon senso, e quello mi suggerisce di tenermi alla larga da te, perché finirò per farmi del male. Ma chissà come, chissà cosa diavolo mi hai fatto, Potter ma…mi trovo sempre qui di fronte a te, alla fine, come fai a non vederlo?
Harry lo guardò sbigottito: non poteva essere vero, ma percepiva una nitida e ineccepibile sincerità nelle parole dell’altro. Quella era una confessione bella e buona, e Malfoy stava ammettendo candidamente la sua colpa. Harry ne fu tremendamente spaventato, eppure una parte di lui, poteva percepirlo chiaramente, stava inspiegabilmente esultando. Si accorse di quanto fosse delicato quel momento, di quanto richiedesse la massima attenzione. Ma quella parte di lui che si sentiva raggiante, quella parte di lui inebriata da una sconosciuta Felix Felicis, quella parte… ebbe il sopravvento.
Si avventò sulle labbra di Malfoy con trasporto, catturando con una mano la nuca dell’altro, per impedirgli di sfuggire, e con l’altra il fianco, inchiodandolo lì dov’era. Ed Harry, incontrate quelle labbra, si sentì finalmente al proprio posto, di nuovo. Mentre invadeva la bocca dell’altro con la lingua, aprì lievemente gli occhi, ancora una volta in un gesto istintivo. Malfoy aveva chiuso gli occhi, e sembrava star ricevendo una benedizione troppo a lungo aspettata. Quando Harry incontrò la lingua dell’altro, e ne risentì il sapore, chiuse di nuovo gli occhi, godendosi quel momento fragile e perfetto. Le mani di Malfoy gli artigliarono i fianchi e se lo tirarono addosso, facendo aderire il loro corpi adesso frementi. Harry pregò che Malfoy non interrompesse quel bacio, questa volta, perché sapeva quanto entrambi avessero bisogno di sentirlo, di sentirsi l’uno contro l’altro. Percepire, in ogni fibra del proprio essere, quel bisogno innato, quel desiderio di scoprirsi completi e spezzati allo stesso tempo. Quella necessità di essere in due, di sentirsi due entità distinte e separate, solo per potersi avvicinare, toccarsi e stabilire quell’equilibrio rovente, che li portava a fondersi insieme, senza una logica, senza più regole né limiti, senza confini.
Poi Malfoy gemette sommessamente, quando Harry gli morse il labbro inferiore, ormai dimentico di qualsiasi razionalità. A quel suono, Harry sembrò riacquistare la lucidità e si scostò lievemente, preoccupato di aver frainteso il gemito, e che in realtà fosse come un lamento. Harry si ritrovò apprensivamente preoccupato di avergli fatto male, di aver ferito, con la sua foga, quel ragazzo fragile tra le sue braccia, e riuscì per la prima volta a distinguere quanto il bisogno di proteggerlo gli bruciasse in petto, quanto quell’istinto fosse parte dello stesso desiderio che gli intimava di possederlo. Per un attimo fu tentato di chiedere se andasse tutto bene, ma poi Malfoy aprì gli occhi con disappunto, assumendo un espressione buffissima che gli fece sfuggire una mezza risata: sembrava un bambino contrariato, aveva persino assunto un piccolo broncio, che subito aveva lasciato il posto alla sua smorfia beffarda, quando Harry aveva preso a ridere.
-Potter, sapevo che fossi svitato…ma non così fuori di…
Harry gli schioccò un altro bacio, interrompendolo, ancora con la risata sulle labbra.
-Lo sai che è maleducato interrompere le persone mentre parlano?- disse Malfoy, divincolandosi per dispetto, mentre Harry lo tratteneva, ancora preda dell’adrenalina che quel bacio aveva innescato.
-Sei un bastardo, prepotente, egoista, manipolatore, arrogante, viziato, codardo Serpeverde! Dovrei schiantarti sul posto ogni volta che ti trovo a portata di bacchetta, Malfoy.- disse Harry, prima di poggiare di nuovo le labbra su quelle dell’altro, e ritraendosi abbastanza in fretta, prima che Malfoy lo inebriasse di nuovo. –E lo so che te la fai sotto dalla paura, adesso che devo scegliere. Ma credo di aver già scelto, prima ancora tu mi presentassi le alternative. Certo, sarebbe facile, fare finta di niente, sarebbe la strada più semplice. Ma sfortunatamente per te, Malfoy, hai a che fare con un Grifondoro.
-E neanche con un Grifondoro qualunque, misero me…- scherzò Malfoy, con voce fintamente tragica, in quel suo tipico modo di smorzare la tensione. Dietro quelle parole, però, Harry percepiva sollievo, e tutto uno spettro d’emozioni che erano specchio delle proprie.
-Puoi dirlo forte. Sarò anche confuso, e svitato come dici tu, ma non ancora fino al punto di lasciarmi sfuggire una cosa del genere…- disse Harry, ancora con tono scherzoso. Poi nella sua mente si delinearono, forse per la prima volta nella propria vita, le parole esatte, ed Harry seppe che erano quelle le parole che stava aspettando, che quella era la voce da dare quei pensieri sconnessi che lo tormentavano in presenza di Malfoy:
-Non ti lascerò andare. Non chiedermi perché, ma sento che c’è qualcosa di buono, e ne abbiamo bisogno entrambi. Non so ancora come affrontarla, o come definirla ma non significa che debba rinunciare a…a noi.
-Attento, Potter. Suona tanto come una dichiarazione…
Harry sorrise sulle labbra dell’altro, mordicchiandogli di nuovo il labbro inferiore, per dispetto, come era sempre stato tra loro.
-Che fine ha fatto il “concederci una possibilità”, mh? Non mi pare fossero parole mie quelle, Malfoy.
-Quanto la fai lunga, Potter…sempre lì a puntualizzare.
Harry rise di nuovo, senza un vero motivo questa volta, e gli diede un debole pugno sulla spalla, beccandosi un’occhiata malevola e guadagnandosi l’ennesimo, finto, tentativo di divincolarsi.
-D’accordo, d’accordo…tregua?- disse, cingendogli la vita con un braccio, per portarlo più vicino. Malfoy non fece neppure resistenza, questa volta, e mormorò ad un soffio dalla bocca di Harry:
-Tregua.
Harry lo strinse a sé, prima di avventarsi di nuovo su quelle labbra, in quel piccolo e incommensurabile traguardo appena raggiunto. Un passo dopo l’altro, in una serie infinita di un cammino iniziato chissà quanto tempo prima, pensò Harry, e forse avevano finito per incontrarsi a metà strada, finalmente.
 
***
 
-Va tutto bene?- chiese Hermione, preoccupata, porgendo una tazza fumante al ragazzo seduto di fronte a lei. Blaise alzò lo sguardo, fissando la tazza con aria sospettosa.
-Caffè… Solo caffè.- disse Hermione abbozzando un sorriso.
-Bisognerebbe correggerlo, in effetti.- rispose l’altro, accettando la tazza.
-Potrei metterci qualcosa per distendere i nervi…
-Mi riferivo all’Incendiario, Hermione.
Hermione si accomodò accanto a lui, in silenzio, stringendo i pugni sulle ginocchia, visibilmente a disagio, mentre Blaise dava una lunga sorsata al caffè bollente.
-È davvero buono, Hermione, grazie.
-È quello dell’infermiera Roger. Il migliore dell’ospedale…ho pensato ne avessi bisogno.
Blaise annuì gravemente, lo sguardo ancora fisso sul pavimento, ad inseguire chissà quali pensieri.
-Chissà perché si consumi così tanto caffè, negli ospedali.- disse Blaise, con un tono come inasprito dal liquido scuro sulla propria lingua.
Hermione rimase in silenzio, respirando profondamente. Sentiva che se, da una parte, fosse rimasta avrebbe invaso lo spazio personale del suo collega, eppure dall’altra non riusciva ad alzarsi e tornare alle sue incombenze. Non conosceva la natura del rapporto tra Blaise e Nott. A dirla tutta, non conosceva affatto Nott. Ma lui e Blaise dovevano essere molto amici, non era raro vederli discutere bonariamente ai tempi di Hogwarts, e per quanto Hermione ricordasse, i due sembravano molto affiatati. Se Malfoy girovagava per il castello in compagnia di Tiger e Goyle, inspiegabilmente sedeva sempre accanto a Nott e Zabini durante i pasti, o in biblioteca. In effetti Zabini e Nott condividevano la maggior parte del tempo insieme, per quanto Hermione ne sapesse. Non s’era mai interrogata sulle dinamiche relazionali dei Serpeverde, ma in quel momento pensò a come si sarebbe sentita se, al posto di Nott, su quel letto ci fosse stato uno qualunque dei suoi amici: Harry, o Neville magari, Luna o Ginny, persino.
-I medimaghi…?- chiese titubante.
-Lo stanno visitando adesso. Non ha ancora ripreso conoscenza. Gli Auror hanno già il secondino che era di guardia…- rispose lapidario l’altro.
Hermione si trattenne dal chiedere cosa fosse successo esattamente, ma la sua mente insistentemente continuava a girare a vuoto, su interrogativi che si sovrapponevano e si incatenavano. Fu Blaise, spontaneamente, come avesse percepito la lotta interiore della ragazza a parlare:
-Il secondino dice di non aver notato nulla di strano. Theodore aveva chiesto una coperta, due o tre giorni fa. Sebbene il Ministero lo tenga nascosto, ci sono ancora dei Dissennatori laggiù. Il secondino avrà pensato semplicemente avesse più freddo del solito, dice che capita spesso ai prigionieri.- Blaise fece una pausa, passandosi una mano sul viso, stancamente: - Non poteva immaginare. La maggior parte di loro, dei prigionieri intendo, ha perso la lucidità. Quel genere di lucidità che ti porta a pianificare qualcosa del genere. Deve aver sfilacciato la coperta, ed intrecciandola ha creato un cappio, legandolo ad uno dei portanti delle catene. Aveva tutta l’intenzione di…quello che non capisco è perché. Il Theodore che conoscevo non lo avrebbe mai fatto…
Hermione, d’istinto, gli poggiò una mano sul braccio, rimanendo il silenzio.
-Blaise, stare a contatto con i Dissennatori…
-No, Hermione. Non Theodore. Ci deve essere un’altra spiegazione. – la interruppe l’altro. Poi sospirò, alla ricerca di quella spiegazione che sembrava stesse cercando disperatamente. Hermione riusciva a capirlo, non doveva essere facile poter pensare ad un proprio amico, ed alla volontà di porre fine alla propria vita.
-Un paio di settimane fa, un mese forse, sono stato ad Azkaban.- disse infine Blaise, portando finalmente lo sguardo su di lei. – Per caso mi sono ritrovato di fronte alla sua cella, Hermione, e ti posso assicurare che era più che lucido. Mi aveva persino spaventato. Non perché non lo riconoscessi, al contrario. Era Theodore, più che mai: freddo, distaccato. Era lo stesso Theodore di quando eravamo dei ragazzini, lo stesso capace di scavarti dentro con lo sguardo, e trafiggerti con una manciata di frasi. Come se stare rinchiuso lì non lo avesse intaccato minimamente, ed avesse invece accentuato la sua personalità. Non so spiegarmelo, e so che sembra impossibile ma…Io so che non ha cercato di togliersi la vita.
Hermione si allarmò, intuendo suo malgrado quello che l’altro stava cercando di dire. Si sentì di nuovo un’intrusa, e stringendo la presa sul braccio dell’altro disse:
-Vuoi che chiami qualcuno? Non so…Pansy o Malfoy?
Blaise si divincolò, innalzando delle difese invisibili, e fissando Hermione dritto negli occhi:
-Draco non deve saperlo. Non deve assolutamente saperlo.
Hermione lo guardò interrogativa, non capedo il perché di quella determinazione in quell’affermazione così assoluta e inconfutabile.
-Io…è anche loro amico, Blaise, dovrebbero saperlo…- disse titubante la ragazza, - Se Harry o Ron fossero al suo posto, non importa cosa possa essere successo tra di noi, io lo vorrei sapere.
Blaise la guardò, con quella dolcezza indolente che caratterizzava il suo sguardo, dando ad Hermione l’impressione ci fosse qualcos’altro sotto.
-Credimi, Hermione, è diverso. Questa è l’ultima cosa di cui Draco ha bisogno adesso. Adesso, deve essere esattamente dov’è. Sapere di Theodore, o persino rivederlo, non gli arrecherebbe nessun bene.
-Blaise, cos’è che non mi dici?- disse Hermione, trasportata dalla sua impulsività, incapace di tener a freno quella curiosità benevola che mirava solo ad aiutare il suo collega.
Blaise trasse un profondo respiro, poi le fece cenno di seguirla, per spostarsi dalle poltrone poste dagli Auror di fronte alla stanza dove Theodore veniva visitato. Quando furono distanti di un paio di metri, Blaise bevve un altro sorso di caffè, ormai tiepido, prima di iniziare a parlare.
-Niente di quello che sto per dirti è facile, Hermione. Ma so che vuoi aiutarmi e che lo terrai per te, per cui non vedo perché non mettertene a parte. In fondo, si tratta anche di Potter, ad un certo punto, ed è giusto che tu sappia.
A quelle parole Hermione, sgranò gli occhi, ed in silenzio prese a seguire Blaise lungo il corridoio del settimo piano con la propria tipica, alacre e meticolosa attenzione.
 
***
 
Harry, prima ancora che se ne rendesse conto, si trovò addossato allo stipite della porta della cucina, mentre Malfoy gli baciava e mordeva avidamente il collo. La razionalità aveva levato l’ancora esattamente quando Malfoy aveva ricominciato a baciarlo, eliminando qualsiasi traccia di delicatezza e di titubanza, questa volta. Semplicemente s’era impossessato delle sue labbra, come gli appartenessero da sempre, e gli si era spinto addosso, come abbandonandosi, finalmente, a quello che entrambi avevano spasmodicamente cercato per tutti quei giorni, settimane, mesi…anni perfino.
Era stata una lotta, all’inizio. L’uno che cercava di sopraffare l’altro, di guadagnarsi la vittoria, ma ben presto Harry aveva finito per arrendersi, comprendendo quanto fossero entrambi vinti e vincitori in quell’ennesima gara fra loro. No, era più di quello, Harry lo sentiva in ogni proprio gemito, nelle mani di Malfoy che adesso gli sfioravano docilmente l’addome, nelle labbra che marchiavano la giugulare e inseguivano i sussulti del suo pomo d’Adamo. Ed Harry non sapeva dire se fosse stato Malfoy a spingerlo contro il muro o se invece fosse stato lui a tirarselo dietro. Sentiva una gamba di Malfoy tra le proprie, farsi strada premendo sulla propria erezione. Harry si sentiva come incapace di muovere un muscolo, e desiderava solo lasciarsi trascinare da quelle emozioni, così vivide e pulsanti. Aveva gettato la testa all’indietro, lasciando la propria gola preda di quelle labbra fameliche, di quel respiro bollente, che lo plasmava come fosse creta. Le sue mani, senza che se ne accorgesse, avevano finito per artigliarsi alle natiche di Malfoy, per spingere l’altro ancora più contro di sé, e facendogli guadagnare un gemito soddisfatto.  
Cercò le labbra di Malfoy come cercasse ossigeno per respirare, e l’altro senza farsi pregare prese a baciarlo di nuovo, con foga, mentre le sue mani raggiungevano la cintura dei pantaloni di Harry. Tutto si fece assurdamente frenetico, mentre la lingua di Malfoy si avviluppava alla propria, Harry percepì la mano dell’altro sulla propria biancheria e seppe che sarebbe bastata solo una frazione di secondo per poter finalmente placare quel desiderio pulsante, per sentirsi finalmente pieno ed appagato. Rabbrividì al tocco della punta delle dita di Malfoy che lo accarezzavano attraverso la stoffa, mentre si lasciava trasportare da quel bacio travolgente, da quelle labbra di fuoco che si imprimevano sulle proprie. Malfoy si scostò dalle sue labbra, e lo guardò negli occhi, con uno sguardo che non gli aveva mai visto: era appannato, liquido. Il palmo della mano di Malfoy aderì perfettamente alla sua erezione, ed Harry sentì il corpo dell’altro che aderiva al proprio, perfettamente, eccetto che per quello scarto di pochi centimetri al quale erano obbligati, dalla posizione della mano di Malfoy. Harry sentì tutto il suo sangue defluire verso il centro di quella mano, mentre anche l’erezione di Malfoy aderiva al proprio inguine, così vicina e pulsante alla propria. Il respiro di Malfoy, che aveva adesso poggiato la guancia su quella di Harry, tentava di regolarizzarsi accarezzando il lobo del suo orecchio. Malfoy contrasse leggermente le dita, come involontariamente, strappando ad Harry una nuova emozione, frustrazione mista ad un’eccitazione ancora più veemente.
-Dobbiamo fermarci…- sussurrò Malfoy, con voce roca, quasi irriconoscibile.
Ad Harry sfuggì un gemito, incapace perfino di protestare con convinzione, spinse il bacino contro quella mano, come in una muta esortazione.
-Potter…
Poi Malfoy ritrasse la mano, mentre Harry mugugnava di disappunto, e affondò il viso nell’incavo tra la spalla e il collo poco prima martoriato. Malfoy lo colse di sorpresa, quando poi, abbracciandolo, finì per far scontrare le loro erezioni, ed entrambi non poterono far a meno di gemere, quasi all’unisono, per il fastidio di tutti quegli strati di stoffa a dividerli.
-Perché…- disse Harry, a fatica, quasi sul viso dell’altro.
-Non così…non adesso.- mormorò Malfoy contro la sua pelle. Harry lo strinse con forza a sé, serrandogli le braccia intorno al corpo, poi gli baciò dolcemente l’orecchio, prima di sussurrare:
-Smettila di proteggerti.
Malfoy alzò lievemente il capo, per guardarlo negli occhi e arrossendo vistosamente, come mai Harry avrebbe potuto immaginarlo, disse:
-Non mi sto proteggendo. Non voglio rovinare…questo.
Harry lo baciò con impeto, in un moto d’affetto istintivo, separandosi da lui subito dopo.
-Ho capito ma…come pensi di…beh, abbiamo entrambi un problema…laggiù.
A Malfoy sorse un ghignetto soddisfatto sulle labbra, uno di quelli con il suo personalissimo marchio di fabbrica.
-Non so come facessi con la Weasley ed i suoi fantomatici mal di testa ma…
-Mal di testa? Di che stai parlando? E poi, potresti non farmi pensare a Ginny in un momento del genere?
-Touché. Beh, non sta a me spiegartelo ma…non risolvevi in solitaria quando a lei non andava?
Harry strabuzzò gli occhi, quasi lievemente divertito dalle parole di Malfoy.
-Io ho sempre risolto in solitaria, Malfoy.
E fu allora che Draco si ritrasse, come fosse di nuovo preso dal panico, questa volta però le braccia di Harry non lo lasciarono andare.
-Mi stai dicendo che…
Harry annuì, arrossendo un poco, mentre sentiva ancora la propria erezione quasi vibrare accanto a quella dell’altro.
-Oh Salazar, questa è davvero buona…Harry Sfigato Potter è…vergine?!
-Oh sta zitto, idiota!
Prima che Harry distogliesse lo sguardo, visibilmente imbarazzato e leggermente infastidito, Malfoy gli catturò di nuovo le labbra, in un bacio docile e intimo.
-Dovevi dirmelo…
-Te lo sto dicendo adesso.- ribatté Harry contrariato.
-Non che questo cambi qualcosa…Significa solo che dovremo fare le cose per bene.
La voce di Malfoy era tornata suadente, accondiscendente, priva di quella sfumatura di scherno acquistata poco prima, quasi protettiva. Lo baciò di nuovo, con reverenza, e poi senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, riportò la mano all’altezza del bacino di Harry, e riabbottonò i suoi pantaloni, guadagnandosi uno sguardo deluso.
-Fidati di me, Potter.
Lo baciò di nuovo, etereo e quasi impercettibile, strofinando le labbra su quelle di Harry, prima di scostarsi cautamente.
-Malfoy, non giocare con me…- disse Harry cercando di trattenerlo, artigliandogli il maglione.
-Non sto giocando. Niente giochi, niente trucchi. Basta cazzate, credevo fosse chiaro. Adesso fila in bagno e fatti una doccia fredda. Sono quasi le sette.
Harry lo lasciò andare, malvolentieri, e Malfoy fece un solo passo indietro, sorridendogli apertamente.
-E allora?- chiese Harry, imbronciandosi suo malgrado
-E allora è quasi ora di cena. Ti porto fuori.
-Non dirmi che intendi questo con “fare le cose per bene”.
Malfoy gli concesse un altro ghigno, prima di inarcare un sopracciglio e dire con fare allusivo:
-Se ti rassicura pensarla così…
 
***
 
-Non ne sono sicuro, ma credo sia iniziato tutto al quinto anno. Draco aveva sviluppato una sorta di ossessione per Theodore. E, col senno di poi, posso sicuramente dire sia stata colpa mia. Io l’ho spinto verso Theodore, ma non potevo immaginare….Insomma, non che io sappia esattamente come sia andata, ma sono finiti con lo stare insieme. Pensavo fosse la persona giusta per lui, conoscevo entrambi. Draco non aveva mai avuto uno spiccato interesse per le ragazze, non che ci fosse stato bisogno di dirmelo esplicitamente. Theodore non aveva mai espresso interesse per nulla. Era un ragazzo schivo, riservato, non passava mai le giornate con noi, anche in sala comune. Preferiva starsene da solo, e avvicinarlo non era facile. Ma chissà per quale motivo, tollerava senza particolari proteste la mia compagnia. Ho imparato a conoscerlo, senza che lui mi abbia mai lasciato nulla di sé, mi sono aperto con lui, sperando potesse fare altrettanto. In tutti questi anni, pian piano, ho imparato alla fine ad interpretare quello che non diceva in quello che diceva e viceversa. Te la farò breve…Theodore vide qualcosa in Draco, qualcosa che considerava prezioso, la possibilità di salvarsi, forse. Non conosco quella parte della storia, purtroppo. So solo quello che vidi, quello che finì per diventare uno dei miei rimpianti. Draco cominciò a cambiare sotto ai miei occhi, divenne anche lui più schivo, smise di comunicare apertamente con me. L’influenza di Theodore lo stava consumando. E poi venne la guerra, e fummo tutti costretti a prendere delle decisioni che mai nessuno dovrebbe essere costretto a prendere. Pansy non faceva altro che piangere, Draco finì per chiudersi in se stesso, mettendo tutte le energie che gli rimanevano nel nutrire quel rapporto malsano, e Theodore…mi sono chiesto molte volte se io l’abbia mai conosciuto sul serio…
Blaise fece una pausa, più per dare il tempo ad Hermione di assimilare tutte quelle informazioni, che per riflettere, sapeva bene di non avere alcuna possibilità di trovare una risposta a uno tra i grandi interrogativi che da anni lo attanagliavano.
-Theodore spinse Draco verso l’oscurità, risucchiando qualsiasi sentimento da lui, lo portò a diventare ciò che da sempre Draco aveva disprezzato. Fino a quella notte. Eravamo solo dei ragazzi, non eravamo e non saremo mai degli assassini. Draco non era un assassino, e ha finito per accorgersene quando forse era troppo tardi. Theodore no. Theodore era diverso. Lui aveva un solo obiettivo. Viveva per la vendetta, e l’ha raggiunta, condannandosi per sempre. Mentre io ho cercato di mettere insieme i pezzi, di rimarginare le ferite di Draco. E credimi, Hermione, come mago non mi sono mai sentito più inutile. Non ti insegnano incantesimi in grado di curare quel genere di dolore. Quel che è stato peggio era sentirsi inutile anche come amico. Poi la guerra è finita, e qualcosa dentro di me continuava a dirmi che sarebbe andata meglio. Draco ha affrontato il processo, Potter ha testimoniato in suo favore, e lì ancora una volta ho visto una possibilità, ho visto un modo per rimediare a tutti i miei errori. Ma questa volta, invece di agire, di spingere Draco verso qualcun altro, ho lasciato che le cose facessero il loro corso, imparando dai miei errori. Non spettava a me decidere cosa era meglio per lui, per quanto bene io possa volergli. Theodore è stato dichiarato colpevole, e questo ha fatto soffrire tutti noi, ma sarei un’ipocrita se ti dicessi che non mi sono sentito sollevato. Pansy è tornata a fare il giullare e a farci scappare qualche risata, di tanto in tanto. Abbiamo affrontato il settimo anno, tenendoci in disparte, ma non c’era momento in cui non speravo, spesso inconsciamente, che Draco potesse tornare a punzecchiare Potter, che potesse tornare quello di una volta, e che così potesse avvicinarsi al tuo amico, Hermione. Non nego che, quando Potter bighellonava in giro con la piccola Weasley, io non abbia accarezzato l’idea di parlargli chiaramente. Ma ancora una volta, imparando dai miei errori, mi sono tenuto in disparte. Fino al diploma, e all’ingresso in questa nuova vita da adulti. Draco, sebbene dichiarato innocente durante il processo, s’è trovato a pagare per le colpe di suo padre. Narcissa è sfiorita, per il dispiacere, abbandonandolo a se stesso. Eravamo sull’orlo dello stesso baratro, ed ho creduto di perderlo, che scivolasse via, di nuovo. Ma poi, inaspettato, il destino ha ascoltato le mie mute preghiere. Draco s’è trovato invischiato in un patto col Ministro, ed ha accettato di diventare un Auror. Lì, questo già lo sai, è stato messo in coppia con Potter, e senza ch’io abbia dovuto muovere un solo muscolo, sono finiti esattamente dove dovevano essere, esattamente quando dovevano esserci.
Hermione lo guardò a bocca aperta, incapace di dire una sola parola, persa nei meandri di quel racconto, incredula e scettica.
-So cosa stai pensando. Potter e Malfoy, eh? Io mi sono limitato ad osservare, e ti invito a fare lo stesso. Non dire nulla, neppure a Weasley. Avrai osservato Potter, in questi mesi, no? Continua a farlo, e vedrai ciò che ho visto io in Draco….
Hermione annuì, finalmente illuminandosi:
-Ecco cos’era…Harry è…diverso.
Blaise sorrise di rimando, prima di poggiare una mano sulla spalla della ragazza:
-Hanno la possibilità di essere felici, e la stanno costruendo tutta da soli. Probabilmente si feriranno, cadranno, e finiranno quasi per uccidersi. Ma so anche che si cureranno a vicenda, che si tenderanno sempre la mano, e che si proteggeranno. Quello che vedo, quando li guardo interagire, è ancora acerbo e fragile, ma col tempo…Per questo, quello che sto per chiederti è fondamentale…Non dovrai dire una parola di tutto questo ad Harry, Hermione. Ascolta il mio consiglio, io mi sono intromesso una volta, e non ha portato a niente di buono.
Hermione annuì, gli occhi ormai inspiegabilmente lucidi, di nuovo sprovvista di parole, mise la mano su quella di Blaise e la strinse, in un silenzioso gesto d’intesa.
-Grazie, Hermione.
 

 
 
 
Note:
 
E quando ormai non ci speravate più…eccomi tornato! Qualcosa mi dice che questo capitolo –forse- non vi deluderà. Adesso però viene il bello: alzare il rating oppure no? Non saprei, vi dirò…questo capitolo si è praticamente scritto da solo, e dopo mille peripezie forse sarebbe proprio il caso di concedere a quei due una meritata ricompensa…Mah, ci penserò. Intanto, per i fan del mio caro Blaise, ecco qui, tutte le carte sono in tavola, adesso.
E Theo…? Lui, a dispetto di tutto, è uno dei personaggi dei quali amo più scrivere –Non s’è notato, no…-. E odiato o meno, mi spiace dirvelo, ma non finisce qua.
Siamo già ai ringraziamenti? Eh sì.
Ringrazio le 40 persone che hanno messo questa storia tra le preferite, le 8 persone che l’hanno piazzata tra le ricordate e le 91 persone che invece la seguono!
Attendo, come sempre, i vostri pareri!
Alla prossima,
Indice. 

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Capitolo 34
*** Pronti ***


XXXIV. Pronti.
 
“In the midst of winter,
I finally learned that there was in me
an invincible summer.”
Albert Camus
 
-Non so che intenzioni tu abbia, ma tutto questo mi sembra una pessima idea - esordì Harry, quando Draco gli porse il suo braccio, in un’evidente e tacita richiesta. Gli chiedeva di fidarsi di lui, senza porre alcuna domanda, senza neppure aver la minima idea delle intenzioni dell’altro.
-E io che pensavo tu fossi il principe delle pessime idee- ribatté Draco nel suo tipico tono sarcastico, solo lievemente intriso di scherno.
-Sarebbe da idioti chiederti dove siamo diretti?
-Beh, non che mi aspettassi qualcosa di diverso da te, Potter.
Harry, senza fare altre domande allungò la mano verso l’avambraccio di Draco, e tanto gli bastò per sentire una sorta di metaforica scossa elettrica, al contatto con il tessuto della camicia dell’altro.
-Niente trucchi, Potter, sul serio.
Ma, prima ancora che Harry potesse sentire l’intera frase, sentì il familiare strappo all’ombelico, e Grimmauld Place rimase deserta, come non lo era dai tempi della guerra.
 
***
 
Blaise era troppo concentrato sulla fiala di sangue di salamandra, saggiandone le proprietà ricostituenti, per accorgersi di ciò che stava accadendo. Il suo obbligo da Medimago, avendo prestato giuramento, gli imponeva di curare il proprio paziente. In nessun manuale Blaise avrebbe trovato le istruzioni adatte per quell’occasione: da una parte era tentato di infrangere la fragile fiala di vetro, contenente un farmaco abbastanza comune, contro lo spigolo del comodino. Dall’altra, sapeva che se il suo supervisore lo aveva assegnato a quel compito c’era un motivo ben preciso. E quello, fra le righe, era non tanto testare le sue competenze come Medimago sul fronte teorico, ma esaminarlo sul fronte etico. Garantire a quello che era un criminale, prima ancora che un suo amico, le cure necessarie, a discapito del tempo che poteva essere dedicato a degli innocenti. Un Medimago, Blaise lo sapeva bene, non doveva far di quelle distinzioni, quelle che il senso comune avrebbe definito nettamente e senza alcuna ombra di esitazione. Il compito di un Medimago era quello di alleviare o porre fine alle sofferenze di un altro mago. La vita andrebbe salvaguardata in ogni caso, no?
E così Blaise si trovava a titubare, a incedere in quella cupa incertezza, lì di fronte al letto di quello che era stato un suo compagno di casa, un suo amico, un suo –seppur sofferto- commilitone. La sola differenza, questa volta, era che Blaise non si trovava da solo, lì in bilico tra quella che era la scelta giusta da compiere.
Hermione, al suo fianco, stava esaminando uno spesso fascicolo di pergamena, borbottando fra sé e sé di tanto in tanto, e lanciando fugaci sguardi apprensivi a Blaise, senza che l’altro se ne accorgesse. All’interno della stanza spoglia, i due Auror, vigili, seguivano tutte le loro mosse con fare disinteressato, compostamente poggiati ai lati della pesante porta blindata. Blaise registrò inconsciamente le loro espressioni attente e indifferenti. Che il prigioniero morisse, fosse destinato per sempre a quello stato d’incoscienza, o aprisse gli occhi, per loro non doveva fare tutta questa differenza. Per entrambi i maghi in servizio, quella esile figura, inchiodata sul letto, non era altro che un altro caso da archiviare il prima possibile, per tornare alle loro incombenze quotidiane giù al dipartimento di sicurezza del Ministero. Quella prospettiva, però, non poteva essere condivisa dall’altro individuo, accomodato su uno sgabello a tre piedi, all’angolo della stanza.
 
Esattamente venti minuti prima, Il Medimago Dixon, assegnato al caso, li aveva raggiunti al settimo piano, con quel suo proverbiale cipiglio analitico e con fare sbrigativo, aveva informato i propri tirocinanti che il paziente sarebbe stato affidato alle loro cure.
-Trovo questa possa essere un’ottima occasione per testare le vostre conoscenze. Per di più, Zabini, mi par di capire che il paziente…
-Il prigioniero, signore. – lo rimbeccò impulsivamente l’Auror, con tono lievemente aspro
- Al di fuori di questo ospedale, signor Lewis – rispose Dixon, calandosi lievemente gli occhiali sul naso, per leggere il nome sulla targhetta azzurra dei visitatori assegnata all’Auror, - quando il signor Nott si ritroverà nuovamente sotto la sua giurisdizione, e quando verrà affidato nuovamente alla giustizia, potrà appellarsi a lui come meglio crede. Ma finché si troverà in questa stanza, affidato alle cure dei miei tirocinanti, e sotto la responsabilità del San Mungo, per me il signor Nott, è un mago che necessita del nostro intervento. E ne converrà, non posso che riferirmi a lui con l’appellativo di “paziente”.
L’Auror, al tono pratico ed asettico del Medimago, inasprì la propria espressione e fece per controbattere, ma il collega, mettendogli una mano sull’avambraccio lo zittì prontamente, aggiungendo:
-Si capisce, dottore. Resteremo qui sulla porta, per qualsiasi evenienza. Non le impediremo di fare il suo lavoro, se lei ci lascerà fare il nostro.
Dixon scoccò la lingua, quasi scocciato, e si rivolse ai tirocinanti.
-Stavo dicendo, Zabini, prima di questa breve disquisizione terminologica, che mi par di capire che il paziente sia stato fra le tue conoscenze. E questo, ci da’ un bel vantaggio, non trovate?
-Un…vantaggio, signore? – disse Hermione, dubbiosa e corrugando la fronte.
-Naturalmente, Granger. Conoscere i precedenti di un paziente ci risparmierà molto tempo, soprattutto perché data l’attuale situazione, non possiamo porre lui direttamente le solite domande di routine. Cosa sappiamo fino ad ora?
- Il paziente, intorno alle 4.30 di questa notte, ha tentato di impiccarsi, con una cappio rudimentale ricavato da una corda da lui prodotta. – lesse Hermione, dal fascicolo consegnatole da uno degli Auror.
- La morte per soffocamento, si ha in media tra i 5 e i 7 minuti. Il paziente è stato rinvenuto alle 4.57, nella propria cella. Vivo. Dunque, ben oltre i 7 minuti di media  - continuò la ragazza.
-Questo cosa ci indica, Granger?
-Nott era allenato a trattenere il respiro, signore? – rispose titubante, Hermione.
Blaise, in disparte, stava esaminando i campioni di sangue raccolti, prima che fosse convocato, dal Medimago Dixon.
-Ottima supposizione, Granger. Proseguendo, con questa ipotesi, e tenendo conto delle doti d’apnea, possiamo azzardare un’ipotesi in merito a quale stadio dell’asfissia si trovasse il paziente quando è stato rinvenuto?
Dixon, con un cenno d’incoraggiamento ad Hermione, affiancò Blaise, appropriandosi delle provette, e sedendosi sullo sgabello all’angolo della stanza, armeggiando con una fiala recuperata dal taschino del proprio camice.
-Il terzo stadio, signore: la fase apnoica. Come osservato da Hermione, il paziente era allenato a trattenere il respiro, fino agli 8 minuti, che io sappia. Considerate le condizioni in cui verteva al momento della scoperta, gli orari citati nel rapporto, e il normale decorso temporale dell’asfissia, il paziente era entrato nel terzo stadio del trauma, signore.- rispose prontamente Blaise.
-Esattamente, Zabini. Da appena 17 secondi, stando ai miei calcoli. Ed è qui che arriviamo alla nostra domanda: perché il paziente non ha ancora ripreso conoscenza?
- Durante il terzo stadio, si ha la perdita assoluta di conoscenza, il rilasciamento muscolare e un conseguente deterioramento delle attività cerebrali, signore. – disse Hermione, con ovvietà.
Blaise inarcò un sopracciglio, facendo scorrere lo sguardo da Dixon ad Hermione, che adesso aveva incrociato le braccia al petto. La ragazza sembrava adesso aver assunto una posizione difensiva, probabilmente perché l’eccessiva praticità del loro supervisore stava mancando di tenere in considerazione lo stato d’animo di Blaise. Quest’ultimo, per tutto il tempo dell’indagine, aveva volutamente evitato di soffermarsi sulla figura stesa inerte sul letto, ed Hermione non aveva mancato di accorgersene.
-E questo, Granger, ci porta a desumere che…?- disse Dixon, accompagnando le proprie parole con un gesto d’incoraggiamento della mano, nella quale stringeva ben salda una tra le provette.
Finalmente, Blaise, guardò il volto candido e disteso di Theodore, che inerme e scheletrico occupava nemmeno la metà del lettino ospedaliero. Gli sembrò così fragile, indifeso, innocuo. Nella sua mente si dipinse il ricordo della primavera dei suoi dodici anni, quando nel cortile della scuola, Blaise aveva trovato Theodore accovacciato ai piedi di un albero, con un’espressione attenta e concentrata.
-Vi è stata una insufficienza nell’afflusso di sangue al cervello. Ischemia cerebrale, signore. – disse Blaise, meccanicamente, ormai perso ad inseguire quel ricordo: si era avvicinato al ragazzino, chiamandolo, senza però sortire alcun effetto. Affiancatolo, con disappunto, si ritrovava a condividere quella strana aria intorno a lui. Come sempre, Theodore, era freddo e distaccato, con uno sguardo indagatore ed impersonale. Blaise non era neppure riuscito a chiedergli cosa stesse osservando, gli si era semplicemente accovacciato accanto, prima di scorgere l’oggetto di una così meticolosa attenzione. Ai loro piedi, stava un uccello, che Blaise immaginò fosse una rondine, che si muoveva appena, l’ala sinistra in una posizione innaturale, probabilmente spezzata, e si udiva un pigolare sommesso. Theodore sembrava completamente assorbito nell’osservare gli occhietti della creatura, il cui pigolio andava spegnendosi.
- E quindi cosa ne deduci, Zabini?
La voce di Dixon arrivò a Blaise come ovattata, mentre mettendo a fuoco il volto di quello che era stato un dodicenne attento, Blaise non poté far a meno di pensare a quella rondine, che Theo avrebbe senz’altro potuto salvare. Si era invece limitato ad osservarla, ad ascoltare il suo ultimo cinguettio, senza far nulla. E adesso stava steso su un letto candido, l’espressione distesa, che non tradiva alcuna emozione, e un cuore dentro al petto che si rifiutava di arrestarsi, flebile come il pigolio della rondine.
-Il paziente è in coma, signore.- rispose Zabini, senza distogliere lo sguardo dalla figura scura che macchiava il lettino.
La mano al fianco di Blaise serrò la presa sulla provetta nel suo palmo, in un inspiegabile rabbia che gli stava montando in corpo: perché avrebbe dovuto decidere di uccidersi? Fra tutte le domande, quella era la più angosciante per Blaise. Forse perché non avrebbe mai ricevuto risposta. Quando le parole di Dixon lo raggiunsero, Blaise si ritrovò la mano insanguinata, la provetta spaccata ai suoi piedi. Doveva aver esercitato una pressione tale da averla rotta senza rendersene conto. Quando le parole di Dixon riecheggiarono per la stanza, fu lo stupore a dipingersi nei volti dei presenti, meno che in quello di Blaise, dove aleggiava un misto tra ira e speranza:
-Ed è qui che ti sbagli, Zabini.
 
 
***
 
-Signor Malfoy, è sempre un piacere rivederla. Le faccio preparare subito il solito tavolo?
Si erano smateriallizzati proprio all’ingresso di quel locale non lontano da Diagon Alley, di cui settimane prima Harry era venuto a conoscenza. Varcata la soglia, era stato il vecchio cameriere impettito ad accoglierli. Harry era rimasto dapprima interdetto: si aspettava quello fosse un pub, ma a quanto pareva i servizi erano estesi anche alla caffetteria ed alla ristorazione. Un po’ come il Paiolo Magico, rifletté assorto.
-Potter?
La voce di Malfoy lo raggiunse ridestandolo, mentre ancora si guardava in giro,
-Per quanto l’espressione da troll di montagna ti si addica, Potter, Gregory qui gradirebbe sapere se hai preferenze sul tavolo…
Harry arrossì d’imbarazzo, e scosse velocemente la testa senza proferire parola, ancora stranito dalla scelta di Malfoy di portarlo lì. Il locale era semideserto, e solo un paio dei numerosi tavoli sembravano occupati. Harry non mancò di registrare che nessuno degli ospiti sembrava aver prestato loro attenzione. Continuando a guardarsi intorno, mentre seguiva Malfoy ed il cameriere attempato, notò che il mobilio sembrava del tutto diverso questa volta. I tavoli erano più ampi, e apparecchiati di tutto punto in maniera sobria, con un tovagliato color crema, mentre Harry ricordava perfettamente che la prima volta aveva avuto l’impressione di entrare in una sala da thé di fine Ottocento. Mentre prendeva posto, di fronte a Malfoy, e raccoglieva il menu che Gregory, con un sorriso affabile, gli porgeva, Harry lanciò un ultimo sguardo alla sala. Il loro tavolo si trovava esattamente all’opposto dell’ingresso, e si affacciava su un ampia vetrata, che Harry non aveva notato l’ultima volta che era stato lì. Era, considerò, senz’altro una posizione strategica, perché da lì poteva osservare tutto il locale, senza essere necessariamente visto. Non lo sorprese quello fosse il solito posto riservato a Malfoy, pensò mentre un sorriso gli si affacciava sulle labbra.
-Pensavo di averti già portato qui…- disse Malfoy, cauto, mentre studiava il menù, alludendo all’atteggiamento guardingo di Harry.
-Sì, ma…era diverso.
-Oh, quello. Diciamo che ai proprietari piace variare in base alla clientela.- rispose Malfoy divertito, portando lo sguardo negli occhi dell’altro.
Harry deglutì a vuoto, sentendo una familiare stretta alla bocca dello stomaco, quando le iridi dell’altro lo raggiunsero. Non era nelle parole di Malfoy il segnale che implorava ad Harry di mettersi in allerta: la conversazione era stata lapidaria, innocua. No, forse era più lo sguardo di Malfoy che, inspiegabilmente, sembrava più argenteo e limpido del solito, come fosse velato di aspettativa. Quel pensiero gli fece correre un brivido lungo la schiena, ed Harry riconobbe subito quel sussulto: adrenalina.
-Signori, siete pronti per ordinare o avete bisogno di qualche altro minuto?- la voce di Gregory, sempre composto e garbato, li raggiunse, quasi sedando il ribollire dei pensieri di Harry.
-Siamo entrambi pronti…- rispose Malfoy quasi con urgenza, quando era chiaro che Harry non si era nemmeno preoccupato di leggere il menù, e senza distogliere lo sguardo da quello dell’ex-Grifondoro. Di nuovo Harry sentì una scossa, e capì che quella sarebbe stata la cena più breve della storia.
 
***
 
Blaise si passò stancamente una mano sul viso, rilasciando l’ennesimo sospiro, mentre, seduto sulla panca della saletta dei tirocinanti, ripercorreva le ultime ore passate al settimo piano. Il suo turno era finito da un pezzo, ma Dixon gli aveva “caldamente consigliato” di rimanere al San Mungo, quella notte. Il consiglio, ovviamente, si estendeva anche alla Granger, che al momento si trovava in piedi a pochi passi da lui, intenta a fissare all’interno del proprio armadietto.
-A meno che tu non abbia una sfera di cristallo nascosta lì dentro, ed ottimi poteri divinatori, Hermione, non credo che fissare l’armadietto ci aiuti a risolvere il caso…- disse sarcastico Blaise, gettando la testa all’indietro e fissando il soffitto.
-Non sono mai stata granché con Divinazione. Ho mollato il corso della Cooman dopo un paio di lezioni – rispose la ragazza, chiudendo l’armadietto, e prendendo posto accanto a lui.
- Ricapitoliamo…- cominciò la ragazza, ottenendo solo un mugugno da parte dell’altro – Nott, è stato ritrovato nella sua cella, durante il terzo stadio dell’asfissia, e questo ci porta ad ipotizzare che sia rimasto incosciente per più di due minuti, secondo i calcoli di Dixon, e che le sue attività cerebrali abbiano accusato uno scompenso. Naturalmente, questo ci portava a desumere che fosse in coma, spiegando anche come mai non abbia ancora ripreso conoscenza. Ma Dixon è stato chiaro. Nott non è in coma, e la causa dell’incoscienza è un’altra.
-Controllando tutti i parametri, Dixon ha ragione di credere non sia in coma, Hermione. Tutti i valori magici sono assolutamente nella norma. Sta persino meglio della metà dei pazienti qua dentro! Quelli biologici, di contro, sembrano essere rallentati: il battito, e la respirazione, sono quelli di un bradicardico. Ma dovrebbe comunque rispondere agli stimoli magici…e allora perché non si sveglia, dannazione?!- esplose esasperato l’altro.  
Hermione poggiò una mano sulla sua spalla, come a rassicurarlo, e sospirò prima di aggiungere:
-Preparo un altro caffè, e poi torniamo a studiare la casistica in materia. Prima o poi salterà qualcosa…
-Prima troviamo la soluzione, prima potrà tornarsene ad Azkaban, nel pieno delle sue facoltà metali, si spera. Hai sentito gli Auror, se non troviamo una causa, non avranno motivo di trattenerlo né di riportarlo in cella. Perché non è più un pericolo per sé e per gli altri, hanno detto. Sai cosa significa? Significa che lo appiopperanno all’assistenza magica. Ovvero rimarrebbe in quella stanza al settimo piano, senza o con minima sorveglianza.
Hermione annuì grave, prima di rivolgergli un sorriso conciliante:
-Vedrai che ce la faremo. 

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Capitolo 35
*** A casa ***


XXXV. A casa.
 
“Non sai bene se la vita è un viaggio, se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno dopo giorno e non te ne accorgi, se non guardando all’indietro. In certi momenti il senso non conta. Contano i legami.”
Jorge Luis Borges
 
Draco, ancora una volta, si ritrovò per le vie di una Diagon Alley deserta, con Potter al suo fianco. La cosa però, aveva ormai smesso di sorprenderlo. Aveva ormai un che di familiare, sentire l’eco dei propri passi, accompagnato da quelli più decisi e meno ovattati. Che quei passi appartenessero ad Harry Potter, Draco aveva smesso di dirselo. Aveva smesso di pensare a quante volte quegli stessi passi erano stati assordanti, magari mentre lo fronteggiavano in un duello senza vincitori né vinti. A quante volte erano stati invadenti, indiscreti, insistenti, nel seguirlo per i corridoi di Hogwarts, o nel battere ritmicamente il tempo durante le lezioni. Quei passi erano ormai entrati a far parte di una routine alla quale Draco non era più in grado di rinunciare. Nel realizzarlo, per un istante, si spaventò. Ma, sorridendo automaticamente, si rese conto che non potesse turbarlo più di aver appena passato una serata fuori, che era stata più che semplicemente gradevole, con quella che era ormai diventata una costante quotidiana nella sua vita. Potter stava in silenzio, accanto a lui, seguendo dei passi senza meta, senza fare domande, come stesse affidandosi completamente a lui, ancora una volta. Quel pensiero accese qualcosa di piacevolmente tiepido da qualche parte nella sua cassa toracica, che cominciò a bruciare quando infine Potter interruppe il silenzio:
- Si sta facendo tardi, e domani abbiamo lezione in Arena. Dovremmo tornare a casa…
Tornare a casa”. Draco annuì velocemente, mentre senza che potesse farne a meno, rimuginava su quella frase. Potter, come al suo solito, era stato candido, senza filtri, e quasi ingenuamente s’era lasciato scappare quel plurale. Tornare a casa, cosa aveva sottointeso Potter? Probabilmente nulla, con buona probabilità non aveva neanche riflettuto sulla scelta di quelle parole. Probabilmente quelle parole s’erano formate nella sua mente e Potter le deliberatamente aveva lasciate sfuggire dalle proprie labbra. Draco si arrestò, percependo un repentino cambio di atmosfera fra loro. Che Potter avesse iniziato a realizzare quello che aveva detto e adesso stesse per ritrattare? In quel caso, Draco realizzò, era pronto ad accettarlo. In quel momento, Draco avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di non infrangere quella serata passata con l’altro, in quell’equilibrio fragile e perfetto che erano riusciti a costruire, non diventando estranei a se stessi. C’erano state le solite battutine sarcastiche, volte a divertire anziché ferire. C’erano stati aneddoti buffi provenienti dalla vecchia torre Grifondoro, o dalle stanze della Tana. C’erano state informazioni sull’infanzia di Draco, che erano scivolate fuori spontaneamente, senza che potesse trattenerle. C’era stato questo provenire da due rive opposte e percorrere lo stesso ponte, fermandosi a metà strada. Avevano istintivamente costruito un terreno comune, un posto da chiamare casa. Che intendesse quello, Potter, con la sua frase? No, Draco stava rimuginando troppo.
Adesso Potter lo fronteggiava, con uno sguardo un po’ perplesso, cercava di spiare l’espressione di Draco, i cui occhi erano fissi sui ciottoli sotto le proprie scarpe, il mento sul petto, assorto.
-Malfoy…? – la voce quasi tremante di Potter lo ridestò. Risuonò nelle sue orecchie come un richiamo docile, spaventato. Di nuovo, Potter temeva di aver detto qualcosa di sbagliato, qualcosa che avesse infranto il loro equilibrio, qualcosa che avrebbe potuto allontanare Draco. E adesso lo chiamava, come a chiedergli conferma che la loro speciale bolla non si fosse infranta intorno a loro. Draco alzò lo sguardo, e vide in quello di Potter una caotica confusione che quasi faceva tenerezza. Lo agguantò per l’orlo di quella vecchia t-shirt, e lo baciò, per fermare quell’ondata di pensieri, di interrogativi, che affollavano entrambe le loro menti. Lo baciò per lenire quell’attimo in cui si erano ritrovati smarriti, a non saper gestire l’uno i silenzi dell’altro, per dirgli che tutto andava bene, lo baciò perché non avrebbe saputo trovare le parole adatte per dirlo. E Potter lo accolse con un sorriso, quasi liberatorio, ed una mano si aggrappò al suo fianco, poggiandosi lì come per caso. Prima che Potter potesse, sorprendentemente, lasciar scivolare la lingua sulle sue labbra, Draco smaterializzò entrambi.
 
***
 
Hermione sosprirò pesantemente, tormentando una ciocca di capelli, mentre voltava una pagina del pesante tomo polveroso. Studiava i referti dei guaritori  ininterrottamente da cinque ore buone, senza quasi rendersi conto di ciò che accadeva intorno a lei. Di tanto in tanto un’infermiera entrava nella sala relax degli inservienti, si avvicinava al tavolo dove sedeva la ragazza, e senza proferire parola le riempiva la tazza di caffè. Ma Hermione era troppo assorta nel proprio lavoro per accorgersene. Erano ormai le undici passate, ma né lei né Blaise avevano degnato di uno sguardo l’anonimo orologio appeso alla parete. Da quando avevano iniziato, Zabini non aveva proferito parola, e lo si poteva sentire a mala pena respirare. Per qualche secondo, e solo di sfuggita, Hermione si lasciava sfuggire uno sguardo, per spiare di sottecchi il volto dell’altro. Blaise era il ritratto della concentrazione, le iridi scorrevano veloci tra le pagine, quasi frenetiche, quasi impedendosi di battere ciglio. Il suo collega sembrava quanto mai risoluto a trovare la soluzione. Dixon aveva promesso a chi avesse trovato la risposta, facendogli l’occhiolino, la possibilità di assisterlo durante un’operazione, in via del tutto straordinaria, dal momento che solo i tirocinanti del secondo anno erano ammessi in sala. Ma Hermione sapeva bene che non era lo spirito competitivo né l’ambizione, che pure erano decisamente pronunciati nell’ex-Serpeverde, ad alimentare la forza di volontà dell’altro. Sembrava la sua urgenza fosse puramente personale, e per un attimo Hermione si ritrovò a contestare la decisione di Dixon di coinvolgere Blaise. Se da una parte, avendo un paziente in stato d’incoscienza apparentemente permanente ed essendo privi di qualsiasi precedente medico, poter ricorrere alle informazioni fornite da Blaise poteva essere vantaggioso. Dall’altra, era parte del codice etico e morale dei medimaghi il totale divieto di esercitare la professione di guaritori nel caso si fossero trovati ad essere coinvolti con il paziente. Hermione registrò mentalmente di dover chiedere a Dixon il perché di quella decisione. Sospirò di nuovo, questa volta alzando apertamente lo sguardo verso Blaise.
-Vado ad avvisare Ron che farò tardi questa sera, e magari ne approfitto per prender su qualcosa da mangiare. Vuoi che avvisi qualcuno o che ti porti qualcosa?- disse, alzandosi in piedi e stiracchiandosi leggermente.
Blaise non alzò neppure lo sguardo dagli appunti che stava consultando, quando rispose bruscamente e con voce cupa:
-No, grazie.
Hermione fece per avvicinarsi, ma prima che potesse poggiare la mano sull’avambraccio dell’altro, vide Zabini ritrarsi.
-Blaise, credo che una pausa possa farci bene…
Finalmente l’altro alzò lo sguardo, e scosse la testa come in segno di ammenda:
-Scusami, Hermione. Non riesco a prendermi delle pause quando sono immerso in un caso. Finirei per pensarci comunque…ma tu va.
-Ti porto qualcosa da mettere sotto i denti però – rispose la ragazza, conciliante.
Mentre chiudeva la porta della saletta, Hermione si ritrovò a chiedersi come avrebbe reagito se, su al settimo piano, ci fosse stato qualcuno di sua conoscenza in quel lettino. Magari qualcuno che in passato aveva fatto del male ad Harry o a Ron. Era sicura che la determinazione di Blaise fosse esclusivamente dettata dall’impellente desiderio di vedere Nott di ritorno ad Azkban, senza che Draco sapesse nulla di tutta quella storia. Che Blaise temesse la notizia avrebbe destabilizzato Draco? Per un attimo, Hermione considerò di avvisare Harry, ma subito dopo, si ricordò dell’ammonimento che Blaise le aveva dato tempo addietro: mai intromettersi.
Mentre rimuginava, Hermione era giunta al piano terra, e avvicinandosi alla reception, chiese di poter contattare Ron via camino. Mentre aspettava che l’infermiera all’accoglienza le consentisse l’accesso, Hermione vide uno dei due Auror assegnati al caso Nott, dirigersi in tutta fretta verso il punto di smaterializzazione.
-Mi scusi? – chiamò cercando di ricordare il nome dell’Auror più alto fra i due
-Auror L-Lewis?
Quello, sentendosi chiamare, si voltò, ed Hermione si ritrovò a benedire la propria memoria.
-Signorina Granger, ancora di turno?- rispose quello, chiudendosi il mantello dell’uniforme sul petto. Hermione lo raggiunse dopo qualche passo, annuendo perplessa. L’Auror aveva tutta l’aria di star per lasciare il San Mungo, ed Hermione proprio non si spiegava come fosse possibile che, dopo tutte le misure di sicurezza, la segretezza, e la discrezione richiestale per gestire il caso, uno dei due Auror di guardia avesse abbandonato il settimo piano. Che stesse andando anche lui ad avvisare la famiglia o a prender da mangiare? Perché allora preoccuparsi di rimetter a posto l’uniforme?
-Non la invidio, sa? Pensi, anche mio figlio vorrebbe diventare guaritore, un giorno…Io gliel’ho detto: Sam, un Medimago non ha una vita al di fuori del San Mungo. Ma ad appena 10 anni cosa vuole che possa saperne…- prima che l’Auror potesse terminare la frase, Hermione lo interruppe, mentre assisteva incredula a quella che per il mago sembrava una routine: aveva persino messo i guanti, e tirato a lucido gli stivali, con un colpo di bacchetta.
-Mi scusi la domanda ma…sta andando via?
-Affermativo, signorina! Il mio turno è finito due ore fa, e adesso devo far ritorno al Ministero per compilare il rapporto. Ma non si preoccupi, il mio collega di sopra è perfettamente in grado di gestire la situazione da solo. È tutto sotto controllo- disse l’altro facendole l’occhiolino, e poi abbassando il tono della voce: -Non sembra che quello lì abbia intenzione di andare da nessuna parte, comunque.
E prima che Hermione potesse controbattere, l’Auror si era già smaterializzato.
 
***
 
Harry non fece in tempo a realizzare dove fossero, e non se ne preoccupò, perché Malfoy si era nuovamente avventato sulle sue labbra. Una parte di lui era ben consapevole, e fremeva di aspettativa persino, che la serata si sarebbe conclusa in quel modo. Era tutto esattamente come Harry aveva sperato fosse. Durante la cena, sebbene dapprima gli era sembrato tutto decisamente irreale e sconnesso, ad un certo punto aveva cominciato a prendere familiarità con l’ambiente e con quel Malfoy sempre pungente ma meno schivo, aperto e docile. Vedendolo deglutire era rimasto ipnotizzato dal suo pomo d’Adamo, dalla concentrazione nei movimenti calcolati mentre tagliava la bistecca, nella premura che aveva nel non fare il minimo rumore. Quando poi si era leccato le labbra, avendo finito il dessert al cioccolato, Harry aveva dovuto addirittura trattenersi dallo sporgersi e facilitargli il compito. Era stata una serata rilassante, piacevole ed Harry si era divertito a sentire le storie d’infanzia di Malfoy, cresciuto al Manor come un vero mago in erba. Aveva fatto delle domande, e l’altro aveva risposto con sincerità e schiettezza, come se ricevere una scopa per il proprio ottavo compleanno fosse assolutamente naturale. Poi era stata la volta di Harry di raccontare delle bizzarre serate nella sala comune di Grifondoro, delle ramanzine di Hermione, delle partite a Quidditch e della caccia agli gnomi alla Tana. Malfoy lo aveva ascoltato assorto, il mento abbandonato sul dorso della mano, lasciandosi sfuggire qualche risata spontanea di tanto in tanto, o qualche battuta spiritosa che aveva finito per far ridere a crepapelle entrambi. Harry si era sorpreso nel trovare non solo piacevole, ma addirittura essenziale la compagnia di Malfoy. E mentre l’altro gli accarezzava la schiena e scendeva a baciargli il collo, Harry sentì il bisogno di comunicargli quanto si fosse sentito a proprio agio, e quanto fosse stato felice di passare quel paio d’ore insieme. Gettò uno sguardo aldilà della propria spalla, realizzando finalmente che Malfoy li aveva smaterializzati in Grimmauld Place, e proprio sul pianerottolo del numero 12.  
-Sono stato davvero bene, stasera – sussurrò all’orecchio dell’altro, guadagnandosi un mugugno soddisfatto sulla propria giugulare, -Non credevo…voglio dire…Credo che per la prima volta nella mia vita io abbia fatto qualcosa di normale.
Malfoy gli depositò delicatamente un bacio sulla mandibola, prima di guardarlo negli occhi, serio, come per spronarlo ad andare avanti con quel suo discorso assurdo, e a rassicurarlo insieme: non sarebbe scappato. Qualsiasi cosa Harry avesse detto, Malfoy sarebbe rimasto lì.
-Non che io abbia chissà quale esperienza con questo genere di cose ma…voglio dire, non so nemmeno com’è che dovrebbe essere un appuntamento però…- Harry si bloccò un attimo, rendendosi conto di essere troppo distratto dallo sguardo di Malfoy che continuava a scivolare, quasi famelico, dai suoi occhi alle sue labbra -Io sì, insomma, sono stato bene e…- di nuovo si interruppe, vedendo il viso di Malfoy assumere una sfumatura divertita, e desiderando solo di togliergli quel ghignetto saccente, Harry lo baciò velocemente, serrandogli le mani sui fianchi. Malfoy si scostò poggiando la fronte alla sua, allontanandosi dispettoso se Harry si sporgeva per cercare di baciarlo, mentre sussurrava:
-E…?
Harry roteò gli occhi, sporgendosi di nuovo per baciarlo, mentre con una mano sulla nuca dell’altro cercava di trattenerlo, senza successo, dal momento che, sibillino, Malfoy era riuscito a distrarlo, cominciando ad accarezzargli il fianco, giocando con l’orlo della sua maglia e sfiorandogli la pelle di sfuggita.
-E…beh, insomma…grazie, Draco
Harry si congratulò mentalmente per quel colpo di genio, che non sapeva in realtà ben identificare. Perché prima di allora non aveva mai potuto immaginare che un semplice “grazie” potesse portare a Malfoy che lo travolgeva, baciandolo con impeto, e attirandolo a sé come a voler scomparire sul corpo di Harry. La lingua di Malfoy era tornata esattamente dove doveva essere, contro quella di Harry, a stuzzicarla e tormentarla, mentre le mani dell’altro non si facevano più attendere sulla pelle nuda dei suoi fianchi. Harry lasciò scorrere le dita fra i sottili capelli biondi, raccogliendo con più fermezza la nuca dell’altro nella propria mano destra. Malfoy prese a mordicchiargli il labbro inferiore, ed Harry sentì il suo sguardo aldilà delle palpebre chiuse, come se lo stesse studiando.
-Draco…- gli sfuggì dalle labbra come in un singhiozzo, quando una mano gli accarezzò il cavallo dei pantaloni, che cominciavano già a farsi incredibilmente fastidiosi. Malfoy si scostò, non premurandosi di interrompere quella carezza, anzi, quasi raccogliendolo in una presa più salda, poi, guardandolo negli occhi disse con fermezza:
-Punto primo, ho bisogno che tu apra la porta di casa tua. Punto secondo, non chiamarmi così.
Harry spinse arrendevolmente i fianchi contro la mano dell’altro, e mentre il proprio respiro si faceva più corto, assunse un’espressione interrogativa e cercò di sussurrare qualcosa. Malfoy poggiò nuovamente le labbra sulle sue, parlandogli contro il labbro superiore:
-Se apri la porta puoi entrare e mandarmi via, se ti riesce – iniziò con aria di sfida l’altro, - E, se mi chiami per nome, potrei non preoccuparmi né che la porta sia aperta, né che qualcuno stia guardando. Quindi…
Il resto della frase fu prima soffocato da una mezza risata che Harry registrò come propria, e poi dal sorriso famelico di Malfoy su quella stessa risata.
 
***
 
-Miseriaccia, Herm, ma possono tenerti rinchiusa lì dentro per più di 12 ore?!
- Te l’ho già detto, Ron. Stiamo lavorando su un paziente che si trova in una condizione delicata. Queste sono ore cruciali, e non è il mio supervisore ad obbligarmi a stare qui ma…
-Sì, lo so…lo so. Cerca solo di non strafare. Vuoi che ti mandi un gufo con qualcosa da mangiare e che ne so…dei vestiti puliti?
Hermione sorrise, mentre il Ron tra le fiamme del camino assumeva un’espressione ed un tono che assomigliavano pericolosamente a quelli di Molly. Tutte quelle premure la facevano sentire coccolata e protetta, e sebbene Ron lo dicesse con leggerezza e come fosse quasi scontato, era rassicurante pensare che il suo ragazzo sentiva il bisogno di occuparsi di lei. Per Ron era sempre stato così, d’altra parte. Hermione sapeva che lo aspettava una giornataccia, con l’addestramento e le lezioni già alle otto del mattino, eppure eccolo lì: a mezzanotte passata, nella casa vuota della sua ragazza, subito pronto ad arrangiare qualcosa che potesse semplificarle il lavoro.
-Ho la mia roba qui, e le inservienti avranno messo qualcosa da parte giù alla mensa dell’ospedale. Sul serio, Ron, non preoccuparti!
-Ho controllato nel frigerifelo, quando sono arrivato, sai…così domani posso prender qualcosa, perché non avrai tempo di far la spesa e…tutto. E mia madre mi ha dato anche un cesto di roba per te…Insomma, ti mando qualcosa.
Hermione annuì arrendevolmente, ben consapevole che non l’avrebbe spuntata, mentre Ron passava ad aggiornarla su altre incombenze, come una “feletonata” dei signori Granger, la posta ricevuta o altre piccole premure.
-Ah, e ho anche dato una pulita all’appartamento. Sarai sfinita dopo questo turno interminabile…così…
Hermione lo interruppe, semplicemente alzando il palmo della mano, come per zittirlo. Nelle ultime settimane, si rese conto, aveva passato la maggior parte del suo tempo tra l’ospedale e quel monolocale nella Londra babbana. Troppo stremata durante la settimana per aver il tempo di far altro, e troppo bisognosa di un po’ di relax durante i weekend in cui era libera dai turni di tirocinio. Si era concessa la compagnia di qualche buon libro, ma raramente riusciva a occuparsi di altre faccende. Si dava dei rigidi programmi da rispettare, certo, ma si sentiva un po’ come durante il terzo anno, ma questa volta, sembrava che la sua Giratempo fosse Ron.
-Ron, ti andrebbe di trasferirti da me?
Il ragazzo alzò le sopracciglia, assumendo un espressione di puro stupore, ed Hermione constatò di averlo assolutamente preso in contropiede e, come se quella proposta fosse totalmente assurda, Ron cercò di articolare un pensiero coerente:
-Trasferirmi…vuoi dire che dormo qui, mangio qui, vivo…a casa tua. Con te. Qui, insieme. Intendi come…come…
-Sì, Ronald – disse divertita Hermione, - Come vivere insieme.
Il Ron dall’altra parte del camino doveva aver fatto un salto di gioia, perché per un attimo Hermione perse la connessione e si preoccupò di dover correre in fretta e furia al proprio appartamento per rianimare il suo ragazzo.
-Beh…praticamente vivo già qui, eh? Voglio dire…sì. Sì, Herm.
Hermione gli sorrise raggiante, sentendo un calore riempirle il petto:
-Adesso devo andare, Ron- disse dispiaciuta, mentre il proprio sguardo sembrava scusarsi al posto suo.
-Certo, certo. Ma non sperare che io abbia dimenticato del gufo, eh! Ti mando l’arrosto di mamma e dei vestiti puliti fra poco!- rispose l’altro con fare solenne ma canzonatorio, facendo sfuggire una risata ad Hermione. Decisamente, Ron andava somigliando a sua madre sempre di più, pensò la ragazza con affetto, mentre arresa rispondeva:
-D’accordo, d’accordo…
Fece un veloce saluto con la mano, e poi quando stava per alzarsi e interrompere la conversazione via camino, Ron la chiamò di nuovo:
-Ah e…Hermione? Ci sei ancora?
La ragazza annuì, percependo subito che il tono di Ron era tornato serio e sembrava si stesse stropicciando le mani:
-Sì, Ron…dimmi!
-Ti amo, Hermione Granger. 

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Capitolo 36
*** Sottile ***


XXXVI. Sottile  
 
“A volte non hai il tempo di accorgertene, le cose cambiano in pochi secondi. Tutto cambia.
Sei vivo.
Sei morto.
E il mondo va avanti.
Siamo sottili come carta.”
Charles Bukowski
 
Harry, seduto al fianco di Malfoy nel salotto di casa sua, stava riempiendo due capienti bicchieri di Incendiario, sotto lo sguardo attento ed argenteo dell’altro. Quando gli porse uno dei due, le loro mani si sfiorarono, in un gesto casuale ma decisamente calcolato dell’ex-Serpeverde, che adesso lo guardava apertamente in volto. L’atmosfera era surreale, avevano continuato a cercarsi febbrilmente da quando avevano messo piede nell’appartamento, e mentre Harry si adoperava per accendere il camino, Malfoy aveva mollemente proposto di bere qualcosa. C’era fra loro come un sottile strato di irrequietezza, oltre il quale la mente di Harry vorticava confusa, preda di dubbi e domande. L’altro, dal canto suo, sembrava stesse cercando di metterlo a proprio agio a tutti i costi. Harry prese a studiare il volto di Malfoy, mentre quello mandava giù una generosa sorsata di Incendiario, cercando le parole adatte a quella situazione che gli risultava tutto fuorché reale.
-Cerca di rilassarti, Potter.- lo sentì biascicare, mentre una mano candida si poggiava sulla sua coscia, e le dita prendevano a tracciare percorsi invisibili sulla stoffa dei suoi pantaloni scuri. Bastò quel piccolo contatto per prenderlo in contro piede e gettarlo nel panico. Harry si sentiva come spezzato, guardando davanti a sé, a metà fra quello che voleva smaniosamente accadesse e un groviglio confuso di emozioni, tra le quali riconobbe il morso furioso dell’imbarazzo. Lentamente, con gesti misurati, come se stesse per avvicinare una creatura selvatica, Malfoy spostò il proprio palmo sull’avambraccio di Harry, esercitando una leggera pressione, come a rassicurarlo.
-Non c’è motivo di essere così agit…
-Scusami, non è quello, è che…- gli sfuggì dalle labbra, interrompendo quella voce suadente, nonostante non fosse in grado di articolare i propri pensieri.
Draco poggiò il proprio bicchiere sul tavolino di fronte a loro, e poi, con una calma sorprendente, sfilò l’altro dalle mani di Harry portandogli, in quello che sembrò un lasso di tempo infinito una mano sul viso, come in un preludio di una carezza rassicurante. Automaticamente Harry si ritrovò a guardarlo negli occhi, scoprendo lungo il languido sguardo dell’altro una tenerezza infinita. E senza sapere come, si sentì immediatamente più calmo, come Draco avesse sedato quel ribollire spasmodico, con un balsamo invisibile che sgorgando dalle proprie iridi potesse colare in quelle di Harry, e mettere a tacere le malignità delle domande, fermare il mondo che sembrava star girando troppo velocemente.
-Possiamo starcene seduti qui, e tu puoi raccontarmi ancora aneddoti imbarazzanti su Weasley, che io fingerò di non voler usare contro di lui…- sussurrò Draco, ghignando dispettoso e facendo affiorare anche sulle labbra di Harry l’ombra di un sorriso.
La mano sulla sua guancia era tiepida e confortante, e mentre Harry si perdeva tra le sfaccettature degli occhi di Draco, che adesso brillavano come di divertimento, sentì come una scossa al proprio baricentro, che lo spinse a sporgersi un poco. Harry cambiò posizione, adesso seduto sul proprio ginocchio piegato, a contatto con la coscia di Malfoy, che sentiva bruciante sotto gli strati di stoffa che li separavano. Senza che se ne fosse reso conto, la mano di Malfoy adesso gli accarezzava lievemente la mandibola, spingendo i polpastrelli su quel lieve accenno di barba, e poi lungo la sua giugulare. Harry lo guardava ancora negli occhi, le labbra dischiuse, e sussultò impercettibilmente, quando l’altra mano di Malfoy gli si poggiò sul fianco, e lo vide sporgersi verso di lui.
-Sta diventando sempre più difficile cercare di controllarmi, sai?- sussurrò, il fiato docile che tormentava il lobo di Harry, mentre se ne stava lì immobile, la mano destra sul suo fianco, e la sinistra che aveva preso ad accarezzargli la nuca. Harry si voltò lievemente, la guancia contro le labbra dell’altro, e chiudendo gli occhi disse a sua volta:
-Allora non farlo…
Non seppe cosa lo spinse a formulare quelle parole, forse quella sete che sentiva sul fondo della gola, quel bisogno cieco di sentirsi di nuovo preda di quelle emozioni, quel tumulto tra i polmoni, e la certezza di poter sentirsi in equilibrio, follemente euforico, solo sulle labbra dell’altro. Gli era bastato il sussurro di Malfoy, velato di desiderio, e le lunghe dita sul fianco, che sembravano voler ancorare Harry a terra, impedirgli di sfuggire. Sentiva come l’altro fosse combattuto quanto lui: da una parte, Harry ne era sicuro, Malfoy avrebbe voluto travolgerlo, dall’altra aveva quella delicatezza, come se non volesse rovinarlo, stropicciare la sua vita. Era una premura che Harry non conosceva, ma si rese conto che erano veramente poche le cose che conosceva davvero dell’altro. Sì, conosceva la sua fierezza, la testardaggine, l’ardore dello spirito competitivo, il sarcasmo sardonico e tagliente, li aveva imparati in sette lunghi anni. Sì, aveva sbirciato tra le sue insicurezze, tra le sue paure e debolezze che erano così ben seppellite dentro di lui, aveva scoperto l’arrendevolezza, e il suo spirito di sacrificio, li stava ancora imparando in quei mesi. Ma mai, prima di allora, aveva avuto modo di rendersi conto di quella cura, di quell’attenzione che Malfoy sembrava mettere in ogni istante fra loro, anche quando ne era lui stesso spaventato. Harry conosceva a memoria, ed aveva imparato a gestire, il Malfoy che volutamente e beffardamente cercava di ferire la persona di fronte a lui, in maniera più o meno fatale. Ma quel Malfoy, che era quasi timoroso di infrangere un oggetto dal valore inestimabile, lo scopriva adesso, in quel momento statico, che galleggiava in una bolla di aspettative inespresse. Ed era stato in quel momento che Harry aveva formulato, in maniera del tutto indipendente dalla sua razionalità, quelle parole che erano come una supplica. Sembrava dargli il permesso di travolgerlo, di trascinarlo con sé, pregandolo di farlo, perché quelle parole erano un’ammissione di colpa: a lui mancava il coraggio. Malfoy fece scivolare i propri occhi in quelli di Harry, in una muta richiesta.
“Sei sicuro?” sembrava dirgli, quasi apprensivamente, sembrava volerlo mettere in guardia, mentre Harry riusciva a leggere tra le sfumature argentee “Da qui non si torna indietro”. Harry sospirò arrendevole, chiudendo gli occhi e annuendo lievemente. Poi, finalmente, tutto tornò al proprio posto, senza più alcuna esitazione.
 
***
 
Quando Hermione entrò nella saletta dei tirocinanti, trovò Blaise intento a camminare avanti e indietro, agitato e con una risma di fogli tra le mani, mentre borbottava concitato. La ragazza richiuse la porta di sé, poggiando due piatti stracolmi dell’arrosto di Molly sul tavolo insieme ad una brocca d’acqua che aveva fatto lievitare fino a lì, notando come Ron potesse ancora una volta somigliare alla madre, nella generosità delle porzioni, questa volta. Blaise si voltò a guardarla, e una smorfia apprensiva gli increspò le labbra.
-Ron mi ha mandato l’arrosto di sua mamma. Ne ha preparato anche per te, sai…gli ho detto che eravamo incastrati qui e impelagati in un caso complicato.
Blaise sorrise affabile, finalmente, e passandosi una mano sul viso disse stancamente:
-È stato molto gentile da parte sua, considerato che non sembro andargli a genio. Lo ringrazierò via gufo quanto prima.
Hermione gli sorrise, sedendosi al tavolo candido e allungandogli le posate, mentre Blaise appellava due bicchieri e li riempiva entrambi attingendo alla brocca d’acqua fresca.
-Io credo di essere giunto ad una qualche conclusione, che mi sembra abbastanza inverosimile, ma mi piacerebbe ripercorrerla con te – disse, il ragazzo, porgendole il bicchiere.
Hermione annuì raggiante, finalmente sollevata. Vagavano in un vicolo cieco da almeno cinque ore ormai, circondati da scartoffie, e con i campioni raccolti che li guardavano beffardi.
-Dixon ha detto che Theodore non è in coma. Eppure i parametri sembravano essere quelli di un paziente in stato terminale: battito rallentato, respirazione in progressivo decadimento, pressione sanguigna pressoché impercettibile, eccetera. Ma dalle analisi non si rilevava nulla di anomalo, e sembrava non esserci traccia di nulla nel sangue, eppure qualcosa non mi tornava. Così ho analizzato il primo campione raccolto, quello risalente alle 12, quando il paziente è stato portato qui. Credo che Dixon sospettasse già l’uso di una qualche pozione, per quello la prima cosa che ha fatto è stato raccogliere un campione di sangue. Temo però, che dall’elaborazione gli sia sfuggita una cosa inusuale…- Blaise fece una pausa, mandando giù un boccone di arrosto, mentre Hermione lo guardava attenta, annuendo di tanto in tanto.
-Allora ho esaminato nuovamente il campione, con un liquido di contrasto, come si fa quando si cerca di rilevare la presenza di tossine e indovina un po’?
-Non hai trovato nulla?
-Esattamente. Ora, se la causa del trauma fosse l’asfissia il risultato del test sarebbe conforme all’ipotesi, ed il paziente non potrebbe che trovarsi in coma. C’è solo un piccolo neo: l’energia magica, stando a svariate ricerche, nei casi di stato di incoscienza e di coma, dovrebbe essere in progressivo esaurimento. Dixon s’è premurato di svolgere il test intorno alle 14 di oggi, e non c’erano segni di deterioramento delle capacità magiche del paziente, come ha riportato nel rapporto. Ecco perché ha escluso quella diagnosi.
Hermione annuì pensierosa. In fondo, Blaise non stava che comprovando ciò che Dixon aveva loro fatto velatamente intendere. Certo, probabilmente il loro supervisore voleva testarli sulle proprie procedure, ma quello che premeva ad Hermione era risolvere il caso, così che Blaise potesse concedersi un sospiro di sollievo.
-Adesso seguimi, perché credo di aver capito quale trucco ci sia dietro a questa storia, e se lo confermiamo possiamo ancora fare qualcosa. Se ho ragione abbiamo ancora un paio d’ore…- disse Blaise sporgendosi verso Hermione, e mettendo da parte il piatto d’arrosto, per congiungere le dita insieme, di fronte al proprio viso.
- Sono le 12 in punto, quando Theodore viene trasferito d’urgenza al San Mungo. La squadra di guaritori che lo porta qui ha cercato di fornirgli assistenza in cella, dal momento che ai prigionieri non è concesso di lasciare Azkaban se non per cause di vita o di morte. Alle 4.30 hanno rinvenuto il corpo, e praticato, nel corso di 8 ore, i primi accertamenti e le prime terapie d’urgenza. Non sono stati in grado di rianimarlo, né di indurre il risveglio con le più comuni pratiche. Gli Auror sono stati i primi ad arrivare, e io stimo abbiano atteso tra le due e le tre ore, stilando i loro rapporti e cavandosela alla meglio con il primo soccorso, prima di richiedere una squadra di guaritori. Al turno notturno ieri, c’era solo Dixon, che dopo un primo sopralluogo, ha pensato bene di richiedere un permesso speciale per trasferire Theodore tempestivamente al settimo piano. Dalle 12 alle 16, Dixon svolge tutti i test, e ci mette a conoscenza della situazione. Ha già un sospetto, ma è sicuro non si corrano dei rischi nel lasciarci studiare il caso e formulare una diagnosi. Dai test non emerge nulla, e se non fosse per il dettaglio della quantità d’energia magica in circolo, ci sarebbero tutti i presupposti per trattenere qui Theodore a tempo indeterminato. Ciò nonostante, io ritengo che sia fondamentale ripetere tutti i test adesso.
Prima che Hermione potesse chiedergli perché e tempestarlo di altre mille domande, Blaise alzò una mano cautamente, come a zittirla e a consentirgli di continuare:
-Distillato della morte vivente. Getta coloro che lo assumono in un sonno simile alla morte, durante il quale le funzioni vitali rallentano, simulando uno stato di profonda incoscienza, e all’apparenza la vita della persona stessa sembra appesa ad un filo. L’unico modo tramite il quale Theodore abbia potuto assumerne una dose massiccia è attraverso la coperta che ha usato per impiccarsi. Per questo il primo test da svolgere avrebbe dovuto essere la raccolta di un campione di tessuto dal collo e dalle dita del paziente. In qualche modo, il distillato è entrato in circolo a contatto con l’epidermide, anche se credo ci sia un incantesimo non verbale e praticato senza bacchetta alla base dell’assunzione. Theodore era molto versato in pozioni e nella pratica di incantesimi non verbali che non prevedono l’uso della bacchetta.
Hermione aprì la bocca, visibilmente sconvolta ed allo stesso tempo ammirata dal ragionamento di Blaise, e fece per dire qualcosa ma l’altro la dissuase di nuovo, scuotendo la testa, come a pregarla di avere ancora un altro po’ di pazienza:
-Svolgendo appositi test fin dall’inizio avremmo avuto l’opportunità di trovare tracce di asfodelo o d’infuso di artemisia, sia nei campioni di sangue che sulla pelle. Ma Theodore ha deliberatamente calcolato tutto, e riuscire a identificare il distillato è nella maggior parte dei casi pressoché impossibile. Credo che anche Dixon non abbia ancora valutato l’idea. Ora, stando ai miei calcoli, e sapendo che gli effetti del distillato della morte vivente si esauriscono in 18 ore…
-Blaise…- esplose concitata Hermione, - questo significa che…
Entrambi gettarono uno sguardo agitato all’orologio bianco sulla parete. E scambiandosi un’occhiata d’intesa, prima ancora che Hermione potesse comprovare l’ipotesi di Blaise, scattarono in piedi e lasciarono, correndo, la saletta dei tirocinanti.
Erano le due di notte.
 
***
 
A quell’ora della notte il dipartimento Auror era completamente deserto. L’Auror Lewis, con aria stanca ed annoiata, si diresse verso l’archivio, con un fascicolo striminzito fra le mani. Aprendo la porta cigolante, ricontrollò ancora una volta il rapporto compilato pochi minuti prima, ripercorrendolo l’ultima parte ad alta voce, mentre trafficava con la bacchetta per aprire uno dei cassetti metallici dell’archivio:
-Versando in condizioni d’incoscienza, l’Auror Lewis e l’Auror Meadow hanno ragione di credere che il prigioniero non rappresenti un pericolo, e che le circostanze che ne hanno richiesto il temporaneo trasferimento e ricovero presso il San Mungo sono da ritenersi un incidente fortuito. Lasciando il prigioniero sotto la responsabilità della struttura ospedaliera, e non ritenendo prioritario né necessario dover procedere con le indagini, il caso del prigioniero 277, l’ex-Mangiamorte Theodre Nott, viene quindi archiviato.
Richiudendo così il fascicolo, soddisfatto della stesura del rapporto, Lewis lo sigillò apponendo la propria firma magica, e lasciandolo all’interno del cassetto mormorando tra sé e sé:
-Ed in ogni caso, Merlino ci assista, quello lì schiatterà presto.
Poi richiuse la porta e pregustandosi il rientro a casa, si avviò verso uno dei camini nell’atrio principale del Ministero, pronunciando il proprio indirizzo, prima di sparire in un crepitio danzante di fiamme verdi.
 
***
 
Blaise procedeva a grandi falcate, tra i corridoi silenziosi e quieti del San Mungo, con Hermione che cercava di tenere il passo dietro di lui, e che con il fiato corto smozzicava delle frasi più rivolte a se stessa che all’altro:
-Se sono le 2.15 di notte, e se Theodore ha ingerito il distillato tra le 3 e le 4 di ieri notte, ciò significa che gli effetti sono ormai scomparsi del tutto e che…
-Dovrebbe ormai essere vigile e cosciente già dalle 8 di questa sera. Possibile che gli Auror non ci abbiano avvisati?- disse rabbiosamente Blaise, svoltando repentinamente verso le scale che dal terzo piano li avrebbero condotti al settimo.
-Beh, intorno alle 19.30, quando sono scesa a contattare Ron dalla reception, uno dei due Auror stava andando via…
Blaise si arrestò all’improvviso, contrariato:
-Come sarebbe a dire andando via? Significa che c’è un solo Auror a sorvegliarlo in questo momento?
Hermione annuì brevemente, poi Blaise la guardò sbigottito per un’istante. Repentinamente la afferrò per il braccio e si mise a correre, il cuore in gola. Mentre con la mano libera cercava disperatamente di raggiungere il badge per contattare Dixon.
Correndo su per le scale, Blaise riuscì a stabilire una connessione con Dixon, e quando sentì il badge vibrare lievemente, senza lasciar possibilità a Dixon di rispondere disse d’un fiato:
-Medimago Dixon, il paziente al settimo piano…- sentiva i polmoni bruciargli, e l’ansimare stremato di Hermione dietro di lui, mentre il sangue gli pompava nelle orecchie, ed il cuore sembrava volergli balzare fuori dal petto: - Credo che sia cosciente, signore. Credo che sia sveglio…l’Auror è in pericolo!
Blaise non ricevette risposta, nonostante il badge del suo supervisore avesse stabilito un legame magico con il proprio, che continuava a vibrare incessante. Poi sentì un respiro spezzato, e senza smettere di correre su per le scale, tirò fuori dalla tasca il badge per osservarlo.
Aveva un pessimo, pessimo presentimento.
 
***
 
Draco sentì sotto le dita porzioni bollenti di pelle, quando insinuandosi dispettose sotto la maglia di Harry, avevano preso a distribuire generose e gentili carezze su quell’addome che palpitava sotto un respiro sempre più veloce. La mano sinistra di Harry strinse la presa sulla sua nuca, mentre la lingua di Draco frenetica lottava contro il palato dell’altro. Le labbra di Malfoy erano state dapprima tentennanti e timide, ma ben presto Harry era riuscito ad investirlo con quel suo sapore ed i baci si erano fatti sempre più audaci, famelici ed era tornata quella familiare fretta. Come se non ci fosse abbastanza tempo per poter sentirsi del tutto, come se entrambi non riuscissero più a trattenere quel febbrile bisogno di entrare in contatto, quanto più in profondità possibile. Erano trasportati da un’urgenza senza nome, disfatti e tremuli, l’uno contro l’altro, in uno scontro senza esclusione di colpi. Harry se lo era trascinato addosso, stendendosi sul divano, e serrando i suoi fianchi tra le proprie gambe. Le mani di Draco vagavano frenetiche ora stringendo, carezzando e graffiando l’addome di Harry, spingendosi sempre un po’ più su, mentre Potter lo invogliava muovendosi quietamente, e stuzzicando la sua lingua. Lo aveva sentito gemere piano, quando la punta delle dita lo aveva sfiorato lungo il fianco, lì al confine con il bordo dei pantaloni, e poi mugugnare soddisfatto, mentre con la lingua percorreva il contorno delle sue labbra. Sentiva un calore diffuso provenire dal proprio petto, e rivaleggiare con quello di Potter, come se si trattasse dell’ennesima sfida fra loro. Anche Harry era ormai dimentico dei dubbi, e di quel leggero velo di imbarazzo che tendeva a renderlo immotivatamente impacciato, e adesso faceva scorrere le mani tra le sue spalle, come a tirarselo più vicino possibile, come se non fosse mai abbastanza. Ad ogni carezza serrava di più le cosce contro i fianchi di Draco, e seguiva il percorso delle sue dita inarcandosi ferocemente, mentre il profilo della sua eccitazione andava ad incastonarsi contro l’inguine di Draco. Harry interruppe il bacio, respirando ansante sulle sue labbra, prima di sussurrare, con voce roca:
-Draco…
Non seppe mai come si sarebbe conclusa quella frase, anche se sospettava ne seguissero parole sconclusionate, perché tornò a coprire la bocca di Potter con la propria, mentre repentino faceva collidere le loro erezioni, guadagnandosi un gemito più acuto dei precedenti. Dimentico del mondo circostante e beandosi di quel contatto, Draco succhiò docilmente la lingua di Potter tra le sue labbra, e sentì la mano dell’altro scivolargli sul fondo schiena, e spingerselo contro, preda di un bisogno lacerante.
Continuando a baciarlo lascivamente, e muovendosi ad un ritmo leggero contro di lui, Draco portò una mano sul petto dell’altro, sentendo un battito veloce e spezzato. Poi, all’improvviso, una mano di Potter sembrò come spingerlo indietro, mentre inspiegabilmente sentiva una voce disperata, come rotta dal pianto, giungere da lontano:
-Harry! Harry! Per la miseria…dimmi che ci sei! Her-Hermione è…c’è stata u-una…Harry ti prego, rispondi!
Era una chiamata via camino, e d’improvviso, alzando la testa, Draco scorse il viso di Weasley che sembrava sul punto di scoppiare a piangere. 

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