Obliviosa Black: un viaggio nel proprio mondo.

di Obliviosa Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio. ***
Capitolo 2: *** Obliviosa Black e il mentore ***
Capitolo 3: *** Obliviosa Black ad Hogwarts ***



Capitolo 1
*** L'inizio. ***


Quando avevo quindici anni avevo qualcosa contro la mia vita. Non posso dire che la odiassi a tal punto da incidermi il braccio con le lametta da barba del papà; semplicemente l’avrei preferita ad altre vite.
Appena avevo l’opportunità di stare da sola – quando i miei uscivano di casa per il lavoro o per farsi una passeggiata o quando mia sorella usciva la sera lasciandomi con la taverna tutta per me – abbandonavo la mia esistenza per incontrare quelle che preferivo.
Da piccola, probabilmente, lo facevo quando giocavo con le barbie e con i pokémon; ora che ero adolescente mi muovevo, camminavo, a volte saltavo, senza però mettermi a ballare malgrado ci fosso della musica in sottofondo. Con la mente vagavo in un universo composta dalle galassie delle suggestioni, nelle quali trovavo sistemi fatti di storie, dentro le quali orbitavano personaggi e aiutanti.
Io viaggiavo come un’autostoppista galattico, toccando ogni singolo atomo dell’universo, ogni residuo di antimateria dal Big Bang della mia fantasia, da quel grande botto dopo il quale avevo iniziato a fantasticare.
La mia fantasia tendeva come l’energia all’entropia: prima fantasticavo su una cosa, poi un’altra idea s’insinuava tra noi due, volendo partecipare anche lei al mio viaggio. Questo era però un bene: era come se le idee continuassero a ricrearsi, garantendomi un’infinita quantità di fantasia.
Era come se producessi i miei sostentamenti, visto che il mio animo si nutriva di fantasia; gli umani hanno bisogno di cibo e acqua per vivere, lui aveva bisogno di idee.
Senza di esse era perduto, destinato alla denutrizione e poi alla morte.
La mancanza di fantasia nella mia mente non faceva che acuire la mia insoddisfazione.
Niente mi isolava meglio da quella vita che non apprezzavo, che fantasticare: le gocce calmanti e le sigarette occupavano posti molto più in basso nella mia classifica di “ Strategie per allontanarsi dalla vita”. Quale era però il problema che sussisteva? Rimanevi chiuso in un mondo tutto tuo, che poteva essere fatto di una sensazione di pace interiore artificiale, di intontimenti e giramenti di testa o di viaggi mentali. Ritornavi dal tuo viaggio e non capivi più il filo del discorso del prof.
Estraniarsi dalla propria vita aveva i suoi bei guai, soprattutto quando eri sempre stata una brillante studentessa. Eri. All’imperfetto.
Tuttavia non potevo fare a meno della fantasia: a differenza della bravura scolastica era una dote, un’energia che non mi aveva abbandonato con l’inizio delle superiori.
Così annoiata, incerta, dubbiosa, e molto arrabbiata senza neanche sapere bene il motivo, con la mia vita, fantasticavo e fantasticavo, facevo un viaggio dopo l’altro manco fossi Mark Renton di Trainspotting con i suoi trip causati dall’eroina.
Più fantasticavo, rubando tempo che avrei dovuto dedicare allo studio, più mi perdevo per strada.
In questo esatto momento, dopo tutto quello che ho passato, visto e provato, so perfettamente che arrivai a quella precisa situazione perdendomi per strada.

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Capitolo 2
*** Obliviosa Black e il mentore ***


Arriva una zaffata di vento improvvisa. I capelli si gonfiano, mi volano in faccia e restano ad oscillare sulla fronte, sul naso e sul mento come le foglie secche impigliate tra i rami. Davanti a me vedo un tumulto di colori: il bianco che scema nel rosso per poi passare al grigio.
È così che immagino qualcosa che viaggia ad una velocità troppo elevata per l’occhio umano. In realtà se un oggetto viaggiasse alla velocità della luce non lo vedrei affatto ma per reazione ho sempre pensato di poter vedere un minimo accenno del colore dell’oggetto comparire nella mia visuale. Come un pittore che schizza della tempera sulla tela.
Sento un frastuono, un rimbombo che entra da un’ orecchia per poi uscire dall’altra, lasciando un suo ricordo nel cervello. Dopo qualche secondo anche se è ritornata la calma continuo a sentirlo.
Allora i capelli smettono di ondeggiare sopra il mio viso e si sgonfiano come un palloncino, gli schizzi di rosso, di bianco e di grigio spariscono lasciando la mia visuale pulita come prima.
È come la vita che correre veloce, sfuggendo ai tuoi programmi per il sabato sera, per le vacanze, per il ragazzo che vorresti invitare ad uscire; scappa in una zaffata di colori lanciata da un pittore sulla tavola, lasciandoti frastornata.
O più semplicemente è come un treno ad alta velocità.
Sono a King’s Cross e Rat-Man, che si dondola seduto al mio fianco su una panchina, conviene con la mia conclusione.
-Certi scrittori sono proprio bravi- dice- Riescono a descrivere il mondo in modo che sia romantico quando in realtà, in realtà è solo il mondo.
Annuisco greve – Forse certa gente vede la vita fantastica, fica, piena di amore ed emozioni. In realtà è semplicemente quotidianità, semplice e noiosa quotidianità.
C’è un momento di silenzio e un altoparlante strilla un annuncio : “Mind the gap,between the train and the platform… Attenzione, avvisiamo i gentili passeggeri che il treno Trenitalia con destinazione Hogwarts è in ritardo di ventiquattro ore scolastiche. Ci scusiamo dell’eventuale disagio."
Il messaggio non fa nemmeno tempo a finire che un ragazzo seduto su una panca poco distante dalla mia e quella di Rat-Man si alza, pesta i piedi e alla fine se ne va con al valigia in spalla e imprecando contro Trenitalia come solo ogni pedolare sulla linea Milano-Venezia sa fare.
-Cosa sono le ore scolastiche?- chiedo a Rat-Man.
-Le ore scolastiche sono quelle che passi a scuola. No, non intendo le ore da cinquanta minuti o stronzate simili ma il lunghissimo lasso di tempo dell’ora di matematica: sembra che non finisca… mai.
Annuisco; in poche parole dovrò aspettare ancora molto per il treno.
Rat-Man riprese a parlare mentre le sue orecchie giravano avanti e indietro mentre muoveva la testa per scrutare il binario:- Sai, sei proprio depressa. Sei sicura di essere Obliviosa Black e non Bella Swan?
è uno degli insulti peggiori di tutta la mia vita; una volta la mia amica mi ha giudicato truzza perché canticchiavo Pitbull. Non era nemmeno colpa mia, i miei compagni di classe mi avevano fatto il lavaggio del cervello e lei mi definì truzza. Tuttavia non è stato così brutto come essere paragonata a Bella Swan.
-Ti sembra che corra dietro a fatine dei boschi luccicanti e  a montanari che hanno mangiato le super crocchette per pastori tedeschi made in Chernobyl?- replico nel tentativo di difendermi da quella calunnia.
-Era per dire…- Rat-Man mette davanti a sé le mani che Leo Ortolani gli aveva donato per farsi cenno di calmarmi- In effetti adesso hai l’aria di una offesa piuttosto di una che ha fallito miseramente nella vita.
Rat-Man mi ricorda con la sua spietata stupidità chi sono e cosa faccio: sono ai ferri corti con la mia attuale vita e perciò mi rifugio altrove, prendo una valigia che tengo sempre a portata di mano sotto il letto e prendo il primo treno per il mondo della mia fantasia.
Purtroppo la gestione è passata in mano a Trenitalia e riesco soltanto a passare brevi momenti di immaginazione tra la colazione, la strada per andare a scuola, le interminabili ore di latino e l’intervallo.
-Lo so come ti senti, lo so-  dice and un tratto Rat Man, picchiandomi sulla spalla con  quelle stesse mani che volevano calmarmi; per farlo si è dovuto mettere in piedi sulla panchina e lo apprezzo.-Quando andai a New York pe rincontrare Capitan Battaglia e gli altri supereroi ero agitato ed ansioso- dice – Pensa che mi dimenticai persino sul treno il guinzaglio che mi aveva dato Brakko- Rat Man singhiozza, ricordando il momento più triste di Io e i supereroi più forti del mondo (era nella Nerd Top Ten dei momenti più commuoventi di sempre) – Era l’unico legame con un mio amico!
Ora sono io che picchio sulla spalla di Rat-Man e cerco di consolarlo. Gli porgo un fazzoletto perché mi sono accorta che dalle fessure per gli occhi sulla maschera iniziano a sgorgare delle lacrime.
-Grazie- mormora prima di affondare il viso nel fazzoletto, abbandonando la tristezza, le lacrime e una grande quantità di muco.
-Ma vedi- continua – Devi ricordare che la  verità, la conosci bene la verità.
Ancora ad infierire :- Che non sono altro un’adolescente problematica che si trova più a suo agio nelle storie che legge che nel mondo reale?
-No- Rat-Man scuote la testa, le grosse orecchie da topo che ondeggiano – La verità è che io e che tu…
-Siamo dei prodotti di due menti italiane demenziali che ci usano per le loro parodie?
-No! Poi cavolo io ho i superpoteri e una serie, tu sei al tuo secondo capitolo su EFP.
-Hai ragione- ammetto rassegnata a deprimermi; con un po’ di fortuna il treno arriverà prima che sarò morta.
-Fammi finire- prosegue  Rat-Man – Stavo parlando della verità che ci accomuna. Dunque, avevo fatto questo discorso al giudizio finale davanti ai supereroi quando ero andato a New York ma adesso mi sfugge proprio dalla mente. Non è che avresti qua quel numero?
Scuoto la testa:- Non c’era spazio per tutti i miei fumetti nella valigia, dovevo fare spazio per quegli stupidi libri di scuola magica.
Rat-Man si acciglia per un secondo, con un’espressione che potrebbe quasi sembrare intelligente. Poi ritorna il solito superstupido.
-Fai bene: usali quei libri e non fare come me che quando sono andato ad Hogwarts ho dovuto compiere un’impresa per farmi promuovermi- mi raccomanda – Sapessi che fatica con la Sgnaccamaroni!
Annuisco greve – Senti Rat- Man, Hogwarts ti è stata veramente così utile? Voglio dire, poi sei riuscito ad essere veramente in grado di combattere le ombre del tuo passato?
Lo sguardo di Rat-Man è perso davanti sé, sullo sbuffo di fumo che esce da una locomotiva vermiglia, agganciata ad una serie di carrozze che sembrano infinite: giurerei che l’ultimo vagone sia fuori da King’s Cross.
Il supereroe si gira verso di me che sto ancora contemplando i vagoni del treno, la loro superficie lucida sotto le luci che illuminano la stazione e penso che se il Golden Bridge fosse un automezzo sarebbe quello che sto fissando adesso.
Rat-Man si alza in piedi e mi poggia le sue mani sulle spalle, inclina un poco la testa in modo da guardarmi perfettamente negli occhi attraverso le fessure della maschera.
-Fidati di me Obliviosa, devi andare ad Hogwarts per scoprire la tua vera identità.
Metto le mie mani sulle sue spalle così sottili, apparentemente gracili ma so che sono spalle che hanno portato il peso delle spade come altri 299 spartani, sono spalle che sono state in contatto con la tunica di Piettrepaolo nelle Star Rats, sono spalle che hanno dovuto sopportare i rifiuti della Sgnaccamaroni mentre Valdifass avanzava.
-Grazie.
È l’unica cosa che riesco a dire, poi abbraccio la creatura di Leo Ortolani.
Sono le spalle del mio mentore.
Mi ritraggo improvvisamente, spaventata da un rumore sotto le mie braccia: Rat-Man alza la testa, trascinandosi fili di muco che dal naso giungono fino a mio fazzoletto.
-Scusa, ma era un momento così commuovente- e affonda ancora la testa nel fazzoletto.
Ora sento un’altra zaffata di vento, le ciocche di capelli ondeggiano contro i miei occhi, ponendosi come primo piano del tumulto di rosso, bianco, grigio e nero che si muovono davanti a me.
È la vita che corre veloce ma che a volte smette di fare la stronza e si ferma ad aspettarti.
È come il mio Frecciarossa Trenitalia per Hogwarts che viene a prendermi.
È come il Frecciarossa che corre dietro il cancello della ferrovia, ignorando la stazione del mio paese che ho superato pochi minuti fa. 
Ho i capelli ancora svolazzanti che ritorno frastornata nel mio corpo, nel mio paese, nella mi vita.

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Capitolo 3
*** Obliviosa Black ad Hogwarts ***


Eccoci al terzo capitolo del mio viaggio mentale. 
Non ho avuto l'occasione di dirlo in precedenza ma scrivo essenzialmente per divertemnto e 
sfrutto EFP per  mostrare ciò che scrivo agli altri in modo da ottenere pareri e migliorarmi mediante le critiche.
Detto questo non ho stronzate migliori da rifilarvi prima di lasciarvi al terzo capitolo : Obliviosa ad Hogwarts con una guest stare che manco vi sognate.



Il mio più grande terrore con i viaggi mentali, è quello di perdere le spiegazioni dei professori.
Solitamente fantastico quando sono a casa, ma è una cosa che non sempre posso controllare con il buonsenso.
Mettiamo che ti viene sete durante la lezione. Cerchi di bere, chiedi a qualcuno se ha un goccio d’acqua oppure ne approfitti per andare in bagno e bere dal lavandino. Se sei impossibilitato, inizierai a pensare a quando sia secca la tua gola, a quanto tu voglia dell’acqua.
La situazione è simile con la voglia di fantasticare.
V di V for Vendetta arriva però a ricordarmi una cosa. Compare dietro di me, nel suo mantello nero e mi fa un cenno toccandosi la tesa del cappello. Una volta avuta la mia attenzione mi guarda con il sorriso ambigua di Guy Fawkes e inizia a parlare. L’unica parte che sento è quella essenziale: “L’idee sono a prova di proiettile”.
V scompare nel buio della mia mente come un prestigiatore, come se si stesse inoltrando in un qualsiasi vicolo di Londra. La morale è una sola: potrò sparare alle mie idee per tenerle lontano da me mentre la prof spiega la protasi e l’apodosi, ma loro non si faranno nulla.
Posso resistere, aspettando l’intervallo se ho sete, ma quando penso anche per un nanosecondo a fantasticare è molto più difficile allontanare questa idea.
 
Ok, mi sono persa a fantasticare. Stavo seguendo il professore di diritto ed economia attraverso il reddito nazionale lordo e il pil pro capite, quando ho notato una farfalla. L’ho seguita, ricorrendola come il migliori dei bambini idioti ed ho perso la strada di ritorno.
Sono in una stradina piena di sassi; attorno scendono dolci i pendii delle colline di un verde malsano come se soffrissero la nausea che si gettano nella nebbia.
Fantastico, nebbia, penso. Potrei quasi sentirmi a casa nella mia stramaledetta pianura padana.
Con l’unica eccezione che non so dove sia e non ho idea di come fare ad orientarmi. Provoi a frugarmi tre le tasche, nella speranza di avere una di quelle cartine che ti rifilano quando fai orientiring con la scuola. Chiudo le mani all’interno delle tasche della giaccia e l’unica cosa che afferro è il fazzoletto di Rat-Man e una carta di caramelle. Faccio qualche passo in avanti e sempre memore delle mie esperienze di orientiring e sui sentieri di montagna so che deve esserci qualche cartello.
Appena avanzo ho però però la sensazione di essere inghiottita dalla nebbia. era densa, bianca e somigliava più alle nuvole a bassa quota che trovi quando sei in cima ad un monte.
Mentre incespico lungo il sentiero, m’imbatto in  un bambino biondo, sui sette anni che da mangiare ad un passerotto delle briciole. Lui si volta, mi guarda e mi fa un gran sorriso, gli occhi azzurri che luccicano.
-Ciao!
Noto che sulla salopette sgualcita e piena di toppe aveva ricamato il nome Pollicino.
-Ciao, Pollicino. Perché dai da mangiare le briciole di pane agli uccellini? Dovresti usarle per segnare la strada di ritorno!
Il bambino mi sorride ancora e poi sospira, come solitamente fanno per trattare con superiorità quelli più piccoli.
-Ma io non ho bisogno delle briciole! – fruga nella tasca della salopette ed estrae un cellulare- Ho il gps integrato nel mio nuovo cellulare. Tieni.
Prendo il cellulare e guardo Pollicino chiedendomi se sia idiota o se mi stia prendendo per il culo. Quando gli altri fanno una gentilezza verso di me sono sempre sospettosa, perché dubito che vogliano veramente essere carini con me.
-Ti sei persa giusto?- dice- Allora usalo per tornare a casa. Tanto a forza di perdermi a causa di questi passerotti l’ho imparata la strada di ritorno.
Ringrazio Pollicino e mi avvio continuando a mormorare “grazie” di stupore e scompaio nella nebbia.
 
Così riesco a tornare indietro. Ora sono di nuovo seduta ad un banco, con in mano una penna e un quaderno aperto.
La solita noia mortale.
Tuttavia bastano pochi secondi per capire che non è la solita rottura di coglioni. C’era qualcosa di diverso nell’aula, nei miei compagni di classe, nel professore e nelle cose che spiegava.
-Potter, la prego ci faccia il piacere di stare zitto.
 Punto primo: non è la solita voce del mio insegnante di diritto ed economia, con quell’accento toscano caratterizzato dell’erre moscia. Questo professore ha ogni singola lettera moscia, non sola la erre. Parla con lentezza, quasi stia spiegando a degli andicappati e pronuncia le parole con durezza non solo quando deve rimproverare.
Infatti riprende con lo stesso identico tono e dice:-Girate a pagina trecento-novanta-quattro.
Venti ragazzi si chinano sui loro libri per girare le pagine, chi velocemente, chi tenendo le pagine per le orecchie come se siano fatte di merda, chi spostandole con una flemma degna di un bradipo.
Tutti e venti si trovarono davanti all’argomento scelto dal prof.
-Fenomeni ottici? Professore ma questo argomento fa parte del programma di terza; noi siamo solo in prima.
Il professore osserva la ragazza che ha parlato con i suoi occhi scuri ed impenetrabili: -è colpa del nuovo programma di fisica secondo la riforma scolastica della Gelmini. Girate a pagina trecento-novanta-quattro.
-Ma professore il nostro laboratorio non è adibito a…
-Il programma è così per tutti. Girate a pagina trecento-novanta-quattro.
Nel frattempo ho continuato ad osservare l’insegnante: ha qualcosa di familiare, di molto familiare ma non riesco a capire chi mi ricordi. Quando ripete per l’ennesima volta di girare a pagina trecento-novanta-quattro mi rendo conto di non avere toccato il libro.
Così sfoglio affannosamente il tomo di fisica e per essere sicura della pagina sbircio sul banco del mio vicino.
Punto secondo: a meno che non mi abbiano cambiata di posto e sia finita vicino ad un nuovo alunno, quello non può essere il mio vicino i banco visto che ha i capelli biondo dorati raccolti in una treccia e non castani e acconciati in una cresta.
Nel guardare il suo libro gli urto il gomito, così si gira verso di me chiedendomi se mi serva qualcosa.
-No, nulla volevo solo controllare la pagina- rispondo mentre lo osservo meglio dall’altro del mio metro e settanta rispetto al suo… metro sessanta scarso?
Rimasi imbambolata a fissarlo mentre lui mi agita una mano guantata davanti al viso:- Hei? Ci sei?
-Certo che ci sono… Ma, ma tu…
Corrugò un sopracciglio chiaro.
-Tu sei..
-Oh, no ancora un’altra che mi scambia per quello dell’Unicredit!
-No, non intendevo questo. Tu non c’entri nulla con l’Unicredit banca e nemmeno con il Monte dei Paschi di Siena.
-Ah, meno male- allarga le braccia con fare sollevato- Quella stupida pubblicità mi torna ancora in mente a volte. Poi tutti che si divertivano a copiarli per farti degli scherzi: solo quando scambiano mio fratello per me è più irritante.
-Bé ci credo! - dico confortandolo. Poi il suo ultimo commento mi fa ricordare con chi sto parlando ed esclamo degna delle gruopie dei Bealtes, degna delle fan di Leonardo di Caprio messe assieme:- Tu sei Edward Elric!
Edward Elric sospira come l’avevo visto fare tante volte sullo schermo della mia vecchia televisione, si porta la mano guantata dietro la quale sapevo esistevano i tendini in acciaio delle sue dita ed esclama: - Prof Zero, le è successo un’altra volta!
L’insegnante dall’aria familiare alza lentamente la testa dal proiettore e fissò i suoi occhi neri come il petrolio prima su Ed e poi su di me.
-Elric, gentilmente porta la tua compagna in infermeria visto che non si sente bene.
-Hei, aspetti io sto benissimo- provo a protestare ma l’alchimista si è già alzato e mi ha afferrato un braccio.
-Black faccia silenzio, si calmi- continua il professore Zero con la solita flemma – Ha avuto un attacco di panico, deve calmarsi.
Capisco che vedere il proprio eroe dell’infanzia, il personaggio che volevi sposare nonostante fosse biondo e basso quando snobbavi i coetanei biondi e li sovrastavi tutti di dieci centimetri buoni, possa emozionare ma attacco di panico mi sembra un termine esagerato alla mia reazione.
Provo a protestare ma Edward mi trascina alla porta, forte del suo braccio meccanico potenziato e dei muscoli che si era fatto a forza di prendersi a scazzottate con gli humunculus.
L’ultima cosa  che vedo fu il profilo del naso adunco di zero che contrasta con la luce prodotta dal proiettore e lo sguardo indagatorio di Potter; poi Ed chiude la porta dietro di me e rimango a guardare le viti in ferro incastonate sulla porta fino a quando il mio professore di diritto mi chiede se avevo capito la differenza tra prodotto interno lordo e reddito nazionale lordo.

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