Önskebrunn

di formerly_known_as_A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Traum(a) ***
Capitolo 2: *** Två ***



Capitolo 1
*** Traum(a) ***


Nota: questa storia è scritta a quattro mani da ViolaNera e la sottoscritta. Se trovate cose che non vi piacciono è probabilmente colpa mia.



Finita la riunione, Norvegia raccoglie le proprie cose con una certa fretta, per poi rallentare il ritmo, immerso nei pensieri.

Affrettarsi a casa, perché? Non è come se qualcuno lo stesse aspettando.

La sua casa nel centro di Oslo è bella, ordinata, accogliente, ma a tratti troppo silenziosa. Certe volte sente il peso delle mura spoglie.

Si guarda intorno, osservando le altre nazioni che si fermano a parlare allegramente tra loro, in piccoli gruppi.

Norge!”

La voce acuta, troppo alta e fastidiosa di Dan gli sfonda un timpano, mentre il solito, dannatissimo braccio lo strapazza.

Vieni al bar con noi?!”

Ho da fare.”

Dai, ti prego! Puoi sederti vicino a me e mangiare quello che ordino mentre fingo di non notarti!”

... Passo.”

Che noia! Noioso! Noioso! Come Sve!”

Incredibilmente, Dan cede e gli mostra un broncio.

Si lascia pazientemente strapazzare ancora un po' da lui, prima di vederlo andare incontro a Fin, fissandolo con indulgenza. Sve, lì vicino, raccoglie le sue cose molto tranquillamente.

Si ferma a guardarlo, ammirando la cura con la quale ripone nella valigetta ogni singolo oggetto. Metodico, ordinato.

Ha mani grandi, non perfette e non curate come le proprie, ma lo ha sempre affascinato il modo in cui maneggia le cose. Deve essere una delle peculiarità di chi ama il fai-da-te.

Aah, forse dovrebbe fare due passi. Non che non abbia da fare quasi ogni singolo giorno, non che sia insoddisfatto della propria vita, ma...

Ma.

Vorrebbe capire cosa gli manca, solo che a pensarci troppo non pensa di risolvere qualcosa, perciò ignora la sensazione -già da tempo- e tira avanti.

Non è nemmeno solitudine, la sua. Se volesse parlare con qualcuno gli basterebbe andare da uno qualsiasi di loro, anche se la prima scelta, per vicinanza o abitudine, sarebbe Dan. Sa di poterci contare, di poter far affidamento su di lui e confidarsi, senza sentirsi troppo in imbarazzo se svela una parte nascosta di sé. Vuole bene a quella testa vuota, anche se è troppo rumoroso.

Sospira e si dirige verso l'uscita della sala, con quel senso di disagio che gli aleggia in fondo al cuore.

Nor...?”, lo chiama indietro lo svedese, non appena gli passa accanto.

Si arresta e si volta a guardarlo da sopra la spalla, in attesa.

Come mai non sei andato con loro?”

Danimarca sembra più esaltato del solito, mi farebbe venire mal di testa”, ribatte, pacato.

Sve annuisce, serio, e gli si affianca.

Hai fretta?”

Non proprio.”

Si incamminano insieme.

Sve è una persona che ammira. È capace, equilibrato, rassicurante. Gli piace passare del tempo insieme a lui e il silenzio sembra qualcosa di naturale, quando si trovano vicini. Lo apprezzano e non pesa mai.

Devo comprare il regalo di compleanno per Fin”, gli spiega, dopo essere usciti dall'edificio ed aver attraversato parte di un parco immerso nel verde.

Hai già in mente qualcosa?”

Sì, più o meno.”


Dentro il negozio di articoli per la casa, Nor osserva l'esposizione senza fine di grembiuli e guanti da forno di ogni colore e fantasia.

È molto: 'hey, sono una brava casalinga', Sve.”

A lui piace cucinare. Forse potrei regalargli le formine dei biscotti... ci sono tantissimi disegni... mh...”

Nor si ritrova a fissarlo di nuovo, quell'uomo alto e imponente, imbarazzato e indeciso per un regalo. È... premuroso. Dolce.

Solleva una mano e gliela posa sul braccio avvolto nel cappotto scuro. Sve si volta a guardarlo, le lenti un po' appannate a causa del riscaldamento del negozio. Nor sorride impercettibilmente.

Gli piacerà. È qualcosa che hai pensato appositamente per lui, Sverige. Scegli con calma, io mi guardo intorno.”

Si allontana un pochino, sbirciando tra gli articoli. Sve deve comprare un regalo, preferisce non influenzarlo troppo con i propri consigli, sebbene gli abbia chiesto compagnia.

C'è una bambina, poco avanti, che sta giocando con un utensile da cucina apparentemente poco sicuro. Si irrigidisce e fissa la schiena di colei che -ritiene- debba essere la madre, intenta a chiacchierare col commesso. Sospira e toglie l'oggetto pericoloso dalle mani della piccola di sì e no sette anni, mettendolo a posto.

Stai attenta”, sussurra, vedendola arrossire e tirarsi il vestitino. Nota i fiocchetti che le fermano i codini e si china un po', studiandoli.

Quello è un puffin”, mormora, indicandone uno.

No, è un pinguino!”, protesta, per poi diventare ancora più rossa.

Ah... davvero. Bel pinguino.”

La bambina cerca di sorridere, quasi cianotica, e pensa che sia terribilmente timida proprio come lui. È strano che si sia messo a parlarle, normalmente non è a suo agio a scambiare parole con gli sconosciuti.

Beh, è solo una bambina.

Torna vicino a tua mamma”, le consiglia, rimettendosi diritto.

Si gira per controllare a che punto sia Sve, il quale sembra leggergli nella mente e si volta nello stesso momento agitando debolmente delle formine molto strane. Nor annuisce, ignaro della loro funzione, quando un grido lo fa rivoltare di scatto.

La bambina fissa in aria con gli occhi sgranati e le manine davanti alla faccia.

Nor alza il mento in tempo per vedere che un'enorme lastra con alcuni faretti per l'illuminazione artificiale si sta staccando velocemente dal soffitto.

Non riesce a fare molto, se non buttarsi d'istinto sulla bambina con l'intenzione di prenderla e allontanarsi.

Ma non ci riesce. La lastra lo colpisce in pieno, schiacciandolo sul pavimento, e il colpo alla testa gli fa perdere i sensi quasi immediatamente.

Ha ancora davanti agli occhi l'espressione seria, ma in fondo contenta, di Sve che ha trovato il suo regalo per Fin.



Riapre gli occhi, sentendosi riposato e rilassato. Si mette a sedere, modulando un piccolo sbadiglio. Gli sembra di aver dormito moltissimo.

Scende dal letto e si stiracchia, massaggiandosi il collo e subito dopo la testa. Mh, strano. Quella fa un pochino male. Dev'essere stato per la botta che...

Botta...?”, sussurra, inclinando la testa e rendendosi conto finalmente di dove si trova.

Non conosce quella stanza, non è mai stato lì prima d'ora.

In allarme, posa lo sguardo sopra i mobili e le pareti, velocemente, cercando di capire che posto sia, a chi appartenga quella camera da letto.

Corre alla finestra per guardare fuori, con entrambe le mani sulle tende per tenerle scostate.

C'è un bel giardino molto curato ed alti alberi subito oltre un recinto di legno bianco.

Dove. Diavolo. È. Finito.

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Capitolo 2
*** Två ***


Sente un rumore, poi la porta si apre ed il respiro -lo stava veramente trattenendo?- riparte vedendo qualcuno di familiare. Qualcuno della famiglia, anzi.
Svezia. Che gli fa un piccolo sorriso, scuotendo la testa e prendendolo per il pigiama per farlo rimettere a letto, sotto le coperte.

Cos'è quel sorriso? Perché ha l'impressione che l'ultima volta in cui ha avuto l'occasione di vederlo in quel modo sia stata un centinaio di vite fa?

Ti sei fatto male alla testa, non è salutare muoversi subito”, mormora lo svedese lanciando un'occhiata dietro di sé e tendendo una mano verso la porta, aperta solo per uno spiraglio di luce. “Vieni a vedere, pappa non si è fatto nulla!” esclama, dolcemente.

Lo fissa con occhi seri e un po' confusi, chiedendosi di cosa stia parlando. Pappa? Non sarà di nuovo Islanda con quella vecchia storia, vero?

Il sollievo nel vedere Sve dura pochi secondi, perché si accorge immediatamente che c'è qualcosa di diverso nel suo atteggiamento e che, pur sembrando a conoscenza della situazione, non dubiti proprio che per Norvegia sia tutto strano.

Apre e chiude la bocca, indeciso su cosa chiedere per cominciare, poi rimane immobile a guardare una bambina fare capolino dalla porta. Lo osserva con occhi grandi, occhi pieni di curiosità e preoccupazione, occhi che gli ricordano qualcuno.

Sve...”, comincia, cercando di non badarle troppo per poter chiedere spiegazioni all'uomo.

Cosa ci faccio qui. Che posto è. Chi è lei. Ho preso davvero una botta in testa?

Sì, ricorda un negozio e una bambina -non quella che sta pian piano entrando e non gli stacca gli occhi di dosso, mordicchiandosi una ciocca lunghissima di capelli chiari- ed un regalo da comprare.

Ha perso i sensi? E per quanto tempo è rimasto incosciente? La bambina non è quella del negozio. Ne è sicuro?

Torna a guardarla ed in quel preciso momento lei sorride come se non stesse aspettando altro che un segnale, lanciando dietro la spalla la ciocca e salendo sul letto per gattonare fino a lui. Apre le braccina e lo avvolge, premendogli il viso contro il petto e ondeggiando piano.

Pappa!”, piagnucola con la voce ovattata. “Ho avuto tanta paura! Stai bene adesso, pappa?”

Pa... pap... EH?! A-anche Svezia prima lo ha chiamato...

Allontana le braccia, tenendole alzate ai lati del corpo e la fissa senza parole per qualche lungo momento di silenzio, mentre lei si agita e si struscia come un cucciolo in cerca d'affetto.

Guarda Sve, interrogativo, sbattendo le palpebre un paio di volte, senza sfiorarla.

Chi... chi è questa bambina”, sussurra, nel suo particolare tono di domanda senza vera intonazione interrogativa, sperando che possa aiutarlo a capire meglio.

La bambina spalanca gli occhi e Svezia si affretta ad accoglierla tra le braccia, perché sembra sconvolta, singhiozzante nel suo petto.

Mi dispiace, pappa! Mi dispiace, non dovevo dirgli di prendere la mia palla, potevo anche stare senza!” esclama rapidamente, con le lacrime agli occhi.

L'uomo le accarezza la testa, cullandola, rivolgendole parole dolci e rassicuranti, per poi guardare, preoccupato, l'uomo sul letto.

Sei caduto da un albero e credo che tu abbia battuto la testa. Hai perso i sensi e ti ho riportato qui... Ma...” spiega, allungando un braccio e sfiorando la sua fronte fredda. “Non ti ricordi di lei?” chiede, assumendo un'espressione strana, che stona con il suo solito modo di essere.

Sembra triste e ferito, quello Svezia.

Tiene ancora la bambina tra le braccia -sarebbe impossibile staccarla- e recupera un tomo dalla libreria, porgendoglielo con sguardo preoccupato. Ricorda di averlo visto ben poco con quell'espressione, riservata ai momenti veramente seri.

Non sono caduto da un albero”, obietta, debolmente, prendendo il libro che gli sta porgendo, salvo poi accorgersi che non è altro che un album di foto.

Non è caduto da un albero e non ha idea di cosa stia succedendo né per quale motivo quella bambina li chiami entrambi pappa. Che diavolo...

Sospira interiormente, comandandosi di stare calmo e rilassato, isolandosi dal pianto furioso della piccola ed aprendo il tomo.

Fotografie, come aveva intuito. Fotografie mai viste prima e che non dovrebbero nemmeno esistere.

Lui e Sve, seduti accanto su una panchina. Niente di strano. A parte il braccio dello svedese che gli circonda le spalle e la propria testa posata, quasi casualmente, contro di lui.

Avvicina l'album, guardando la propria espressione completamente diversa dal normale. È imbarazzato? Sta sorridendo sotto i baffi? Cosa significa?

Va avanti a sfogliare e deve trattenersi per non lanciare l'album.

Matrimonio.

Si sono sposati? C-c-c...

Cosa...”, sbuffa, senza fiato, mettendosi l'album sotto il naso, inclinato verso la luce.

Svezia e lui vestiti di bianco, le mani destre intrecciate e quegli anelli che non possono non notarsi.

Si guarda immediatamente l'anulare e vede che la indossa, quella fede nuziale, proprio come nella foto. Lo stupore è talmente tanto che non ha nemmeno la forza di sfilarsela, chiedendo spiegazioni.

Un matrimonio tra loro completamente differente dal primo. È per amore, a giudicare dalle espressioni: sottili particolari, non evidenti ad un occhio esterno, forse, ma palesi ai propri.

Non posso crederci”, commenta, quasi tra sé, accorgendosi vagamente della mano della bambina che gli sta sfiorando la testa, passandogli le minuscole dita tra i capelli.

Sfoglia, sfoglia, sfoglia, solo per vedere estratti di una vita che non conosce, ma sembra la sua vita, sembrano eventi che dovrebbe ricordare e, diavolo, sono decisamente importanti.

È tua figlia”, sussurra, indicando il pancione di Svezia in una delle foto successive.

Si volta a guardarla, incrociando quegli occhi immensi, pieni di lacrime, accorgendosi della forma e del colore. Viola, con un tocco di blu. Vede se stesso e vede Svezia, in lei.

Pappa. Matrimonio. Pappa.

... È nostra figlia?”

Per poco non soffoca. La voce si spegne sulla fine e deve distogliere gli occhi da lei, che nel frattempo ha ritirato la manina esitante e si è accoccolata nuovamente tra le braccia di Svezia.

Foto al mare. Foto a Natale, scartando dei regali. Foto al parco. La bambina in quasi ognuna di esse, prima minuscola, una cosina infagottata in abiti microscopici e poi sempre più simile ad ora.

Si ferma su una foto in particolare, decidendo che ha esaurito il coraggio di andare oltre.

C'è lui stesso sul divano con un libro aperto abbandonato contro la spalla. La mano col quale lo reggeva ha allentato la presa sulla copertina con l'avanzare del sonno profondo.

C'è la bambina, che dorme allo stesso modo, stesa accanto a lui, protetta da un eventuale volo giù dal bordo del divano grazie al suo braccio destro che l'avvolge dietro le spalle.

Lei non si vede in viso, è sepolta nella sua maglia e ha solo una manina, evidente, che si tiene all'altra sua manica. Il volto di Norvegia, però, è sereno, le labbra dischiuse, completamente in pace.

È una foto semplice e bellissima, che esprime tanto di quel benessere e di quell'amore che rimane stordito a fissarla per moltissimi minuti.

Sembra lui, ma non è lui. Non è... lui. Non è la sua vita.

Non la sua normale, monotona, perfetta, impegnata, incompleta esistenza.

Chiude l'album e lo tiene sulle gambe, rivolgendo a Svezia uno sguardo serio, il più controllato possibile.

Voglio tornare a casa mia. Questo scherzo non è divertente.”

Lo sguardo dello svedese, però, è dannatamente serio.

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