Flashback di una vita di clylar (/viewuser.php?uid=107362)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aquiloni ***
Capitolo 2: *** Una birra fresca ***
Capitolo 3: *** Flashback 1 - Un gesto inconcludente ***
Capitolo 4: *** Flashback 2 - Ospiti indesiderati ***
Capitolo 5: *** Flashback 3 - Cose da perdere, cose da vincere ***
Capitolo 6: *** Flashback Peter - trasmissioni interessanti ***
Capitolo 1 *** Aquiloni ***
Titolo: FLASHBACK DI UNA VITA
Capitolo 1 – Aquiloni
Stava inginocchiato, sedere sui
talloni, ginocchia che
affondavano un po’ nell’erba, mani a lato del corpo
e appoggiate a terra. Era
lì da mezz’ora e continuava a fissare le due
lastre di marmo che aveva davanti:
identiche, legate da un filo di parentela e accomunate dallo stesso
nome che le
identificava. Ciò che le distingueva era la data sotto i
nomi e il disegno di
un aquilone che decorava la lapide più recente.
“Papà
mi piacciono
tanto gli aquiloni”
La data della lapide con il disegno
era quella odierna, solo
due anni più indietro.
“Già due
anni”.
Continuava a chiedersi come avevano
fatto a passare due anni
. . .già due anni.
Naturalmente . . . se il primo lo
passi da strafatto di ogni
droga possibile ed immaginabile . . .
“Cazzo!”.
Quando era stato lì
l’anno scorso per il primo anniversario.
. .
“Cazzo, neanche me lo
ricordo!”
Avevano dovuto portarcelo a forza
perché lui non stava
neanche in piedi, ma aveva perso il funerale l’anno prima e
pur di andarci
aveva fatto e detto tanto che, alla fine, avevano ceduto. Naturalmente
per
evitare che combinasse casini lo avevano drogato fin sopra i capelli,
tanto era
normale amministrazione per loro.
Continuava a fissare la lastra
bianca: “Chi è quel deficiente
che ha detto che il tempo guarisce ogni dolore? Di sicuro non ha perso
un
figlio!”
Poteva ancora vedere con gli occhi
della mente il suo
sorriso mentre giocava, cinque minuti prima che si scatenasse
l’inferno.
“Papà,
papà ho paura”
le sue ultime parole.
Poi solo
quel corpo a
terra, inerme, ricoperto da pezzi di mobili frantumati, continuava a
chiamarlo
perché non poteva credere che non ci fosse più,
era il suo bambino, ancora
caldo, ancora roseo, aveva solo un rivolo di sangue che scendeva a lato
della
bocca. Ma quando l’aveva
preso in
braccio e aveva visto la manina cadere lungo il fianco si era reso
conto: “Me
l’hai ammazzato!”.
Oggi, come allora, sentì
la rabbia fluire come fuoco liquido
nelle vene, stava letteralmente ardendo; ma oggi non voleva cedere e
combatteva
con tutte le sue forze per imporre il controllo sul suo potere,
però, con gli
occhi chiusi e le mani affondate nel terreno, non si era accorto che
nel
crepuscolo di quella sera di fine estate ormai la sua pelle riluceva.
Da lui si
irradiavano ondate di calore sempre più forti, le immagini
di un passato ancora
troppo recente continuavano a scorrere nei suoi occhi.
Qualcosa in
casa aveva
cominciato a bruciare, qualcuno gli stava dicendo di fermarsi, di
riprendere il
controllo, ma come poteva, suo figlio era lì ai suoi piedi,
morto. Vedeva di
minuto in minuto precipitare la situazione: esplodevano i vetri, si
incendiavano i frammenti di mobili attorno a lui, già
avevano iniziato a
bruciare anche i suoi vestiti. E poi quella voce:
“Fermati,
fermati
Gabriel”.
La SUA
voce.
“Tu
non vuoi questo,
altre persone soffriranno, vuoi uccidere altre persone
innocenti?”
“No,
no, non lo
voglio, ma non si ferma, non riesco a fermarlo” avrebbe
voluto dirle, ma il suo
cervello era come bloccato. Poi sentì la puzza di bruciato,
di carne bruciata e
di capelli che andavano a fuoco e dopo ancora, due braccia lo
circondarono:
“Sono
qui, con te, non
te lo lascerò fare, non ti permetterò di far del
male perché so che neanche tu
lo vuoi”.
Si
sentì stringere ancora
più forte e cercò di concentrare tutto su quella
voce, su quelle braccia, su
quella donna.
“Non
lo farai Gabriel,
lo sai controllare, ne sei capace, io lo so. Mi fido di te, io ho
fiducia in te
Gabe”.
Sylar respirò a fondo e
aprì gli occhi, le lapidi erano
ancora lì, la sua pelle era rosea e lui aveva mantenuto il
controllo. Allentò
la presa dei palmi e li liberò del terriccio che aveva
involontariamente
raccolto, ora piuttosto bruciacchiato. Si rimise in piede e con una
mano sfiorò
la lapide con l’aquilone: “Ciao, Noah”.
E se ne andò.
Camminava con gli occhi bassi,
sommerso dai ricordi di due
anni fa, per la verità da quel ricordo: il calore di
quell’abbraccio, il suono della
sua voce e la fiducia che lei aveva riposto in lui;
quell’emozione riverberava
ancora nel suo cervello e sapeva che era stata quella cosa a fermarlo,
a
salvarlo, in tutti i sensi.
All’improvviso, tra i
ricordi passati avvertì un profumo,
anch’esso che faceva parte del passato, ma presente
lì, ora; alzò gli occhi e
la vide, al fondo del vialetto che portava alle tombe: capelli
raccolti, jeans
e maglietta. Stava venendo verso di lui.
Che storie! Non si vedevano da due
anni e ora . . .che
tempismo!
“Ciao Claire, ti trovo
bene”
Complimenti
che
originalità, ti sei proprio lambiccato il cervello per
tirare fuori questa
frase!
“Beh! Dalla tua performance
di due minuti fa direi che
invece tu stai da schifo, Sylar. Dovresti rimetterti in cura . . . se
loro
sapessero che perdi così facilmente il controllo . .
.”
“Lo sanno, lo sanno, loro
sanno sempre tutto”
Claire rispose con una smorfia:
“Seh! Ciao”.
Ma lui allungò un braccio
quando gli fu al fianco: “E’ bello
che tu sia qui, l’anno scorso mi hanno detto che non
c’eri”
Lei sottrasse il braccio al suo tocco
in modo stizzoso: “Ah!
Già, anche la tua performance dell’anno scorso era
sensazionale, me l’ha detto
Peter”.
“Claire, dobbiamo
parlare” e tentò di nuovo di afferrarla
per un braccio.
“Non mi toccare. Non ho
niente da dirti e di sicuro non sono
qui per te” e tentò di andare verso le tombe.
“Claire non ti ho
più visto, sono due anni che cerco di
parlarti”
Continuando a camminare lo
interruppe: “ E hai solo perso
tempo, te l’ho detto non ho niente da dirti”.
“Sono io quello che deve
parlare” e l’afferrò per le spalle
girandola verso di sé, stavolta, dalla ragazza, nessuna
reazione.
“Mi dispiace Claire, per
quello che è successo, per quello
che ho fatto, perché lo so che è anche colpa mia,
erano venuti per me, è stata
colpa mia.
Ma
non l’avrei mai
messo in pericolo.
Gli
volevo bene.
Tu
lo sai.
Mi
dispiace”.
“Hai finito? Ora stai
meglio? Bene, buona giornata!” e
riprese la sua direzione.
“Claire non fare
così, Claire lo so cosa tenti di
nascondere, sento cosa provi, sento la tristezza, la nostalgia, il
vuoto che. .
.”
“FINISCILA!”. Si
voltò come una furia e lo spintonò
indietro.
“FUORI DALLA MIA TESTA,
fuori dalla mia vita! Io sto bene e
di te e delle tue scuse non ne ho bisogno, non so che
farmene”.
“Non puoi dire che stai
bene Claire, non ti credo”
“La tristezza e la
nostalgia cono cose di tutti i giorni
Sylar, non mi fanno paura. E quella laggiù”,
indicando la fila di tombe, “Non è
la prima cosa a cui tengo che poi perdo nella mia vita”.
“La prima cosa?”
Lui non poteva crederci.
“Claire , QUELLA non era
una cosa, era Noah, era nostro
figlio!”.
Claire strinse i denti, la mascella
tesa disse: “Era un
esperimento, solo un esperimento oltretutto riuscito anche male, se no
laggiù
ci sarebbe una tomba sola. E, Sylar, fammi un piacere, girami al largo!
Ok?”.
Si girò nuovamente e proseguì.
Quando lo aveva visto si era
ripromessa che non gli avrebbe
parlato, che lo avrebbe ignorato. In quegli ultimi due anni aveva fatto
molta
pratica: indifferenza e freddezza.
Erano il suo antidoto contro. . .
alzò gli occhi e li puntò
sulle lapidi: “Contro tutto quello che voi avete
portato nella mia vita”.
Suo padre, suo figlio, morti a
distanza di pochi anni.
Quello che aveva detto a Sylar era
vero, tristezza e
nostalgia non le facevano più paura: si ha paura del sole?
No, lo vedi sorgere
tutti i giorni; hai paura del buio? No, se ogni notte ti fa compagnia.
E lei non aveva bisogno di visitare
un cimitero e
inginocchiarsi davanti ad una tomba
per
sentirsi improvvisamente invadere da rabbia, odio, dolore, sofferenza,
tristezza, nostalgia: tutti i giorni teneva dentro di se quei
sentimenti, aveva
imparato a conviverci, a sopportare.
Ce l’aveva fatta due anni
fa, e ancora riusciva a farlo.
Ciao
a tutti ho in
testa questa storia da un po’. Purtroppo non ho molta
esperienza con le
fanfiction per cui il mio modo di scrivere lascia molto a desiderare e
inoltre
la storia nella mia testa non è conclusa perciò
potrà succedere che sul più
bello perdo il filo e ciao ... Chiedo scusa fin da ora!
L’idea per questa storia mi
è venuta riguardando il quarto
episodio della terza stagione di heroes (se non si era capito!),
però sono
stata ispirata anche da alcune storie lette sul sito EPF,
perciò se qualcuno si
dovesse sentire offeso e defraudato dell’idea me lo dica
subito che la finiamo
qua!
I personaggi probabilmente sono molto
più come io li vorrei
che piuttosto come dovrebbero essere, ma siccome sono io a scrivere e
voi a
leggere in caso non piacessero, cambiate lettura! (Senza offesa). Il
rating
giallo è solo per qualche parola un po’
più carica.
Ciao al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Una birra fresca ***
Capitolo
2 – Una birra fresca
Sylar
scese dalla moto lasciandola ordinatamente nel posteggio. Se si metteva
a
contare i chilometri fatti in giro, “a vanvera”,
neanche ci riusciva.
A volte un giorno è più complicato di un altro,
ma quello passato era proprio
stato uno schifo totale.
“Dio
se ho sete, se ci fosse una birra, bella fresca.”
Arrivato
davanti all’appartamento usò il suo mazzo di
chiavi per entrare e si diresse in
cucina. Dopo che il tormento dei ricordi passati si era a poco a poco
smorzato
aveva continuato a pensare a Claire, e ancora lo stava facendo: come
l’aveva
vista, come l’aveva “sentita”:
“Sylar”, disse con una smorfia, “A quanto
pare
si è dimenticata il mio nome.”
E
mentre chiudeva il frigo e apriva il tappo della tanto desiderata birra
fresca,
arrivò la botta, vicino all’osso occipitale
e lo spedì a sbattere contro
l’anta di acciaio del frigo, spaccandogli il naso.
Poi
più niente.
“Ma
porca miseria, Gabriel”, Peter mollò di botto la
mazza che aveva in mano
e cercò di mettere l’amico in posizione sdraiata.
“Peter,
cosa succede?”
“Niente
Emma, torna a dormire.”
Naturalmente
Emma sentendo il trambusto era corsa in cucina:
“Ma
è Gabriel, Peter ma cosa gli hai fatto? Mio Dio quanto
sangue, è pallido,
davvero tanto pallido, ma respira?
Non
sarà ...”
“Emma
stai tranquilla, adesso si rimette.”
Sempre
se non gli ho beccato il punto giusto
“Adesso
lo tiro su, verso il divano.”
Cavolo
se pesi amico!
“Ti
aiuto” si offrì la ragazza.
“No,
non fare sforzi, non va bene.”
“Dai
Peter, lo so cosa posso fare”, e continuando a rimproverare
il marito per quel
che aveva fatto, lo aiutò a mettere il malcapitato sul
divano.
E
rimasero lì a guardarlo.
“Ghiaccio?”
chiese Emma.
“Eh!,
mi sa che ormai non gli servirà poi a molto. Ce la
farà da solo... credo” e con
due dita gli raddrizzò il naso rotto e storto.
Che
cazzo! Ma quante birre mi sono fatto per avere un mal di testa del
genere?
Aspetta
un attimo, la birra non mi fa più effetto da un bel
po’!
Aprì
gli occhi e scoprì che anche la vista era andata, ci vedeva
male, tipo come
quando doveva usare gli occhiali: era tutto offuscato.
Tentò di alzarsi, ma una mano lo spinse giù.
“Sta
fermo, tra un po’ ti passa, hai preso una bella
botta!”
“Ho
preso? Sono caduto?” Aveva riconosciuto la voce di Peter.
“Più
o meno.”
“Cosa
vuol dire più o meno?”
“E
dai Gabriel. Sono le quattro del mattino, entri scassinando la porta
d’ingresso! Cosa avrei dovuto fare? Potevi essere chiunque:
un ladro, un
maniaco. Ti ho atterrato con la mia mazza!” disse infine
tutto gongolante.
Sylar
riuscì a mettere a fuoco la mazza che gli veniva sventolata
davanti: si andava
un po’ meglio.
“Ho
usato le chiavi, non ho scassinato.”
“Le
chiavi? Quali chiavi?”
“Quelle
dell’appartamento” e si tirò su a sedere.
“Giuda
... che male! Ce le ho le chiavi Peter, vivevo anch’io qui
una volta, non ti
ricordi? Hai preso una botta in
testa anche tu?
“Ah
Già, è vero, ma cosa saranno . . . quattro anni
che non vieni più qui. E poi
sono mesi che non ti fai più sentire!”
“Ma
cosa centra? Avevi detto: Vieni quando vuoi, la porta
è sempre aperta per
te!” disse guardando il suo quasi fratello in faccia. E in
quel momento si
accorse di Emma, prima riusciva a vedere solo una figura indistinta,
ora la
vista gli era tornata quasi del tutto e vide che effettivamente i mesi
trascorsi avevano, come dire, lasciato il segno.
“Ciao
Emma, a quanto pare mi devo congratulare.”
Lei
sorrise e lui si stupì, come sempre, delle emozioni positive
che emanava tutte
le volte che gli stava vicino: era il suo salvatore e lo sarebbe stato
per
sempre.
“Già”,
si mise una mano sulla pancia “volevamo che lo sapessi ma non
riuscivamo a
rintracciarti.”
“Di
quanti mesi sei?”
“Sei,
e va tutto bene” e senza preavviso gli prese una mano e
gliela appoggiò sulla
pancia.
Sylar
da prima si irrigidì, gli sembrava un gesto così
poco adatto a uno come lui ma
poi sentì il bambino scalciare, e gli mancò il
fiato.
“E’
speciale, è come noi, ne sento già il
potere” disse assorto.
“Visto
Peter, ha riconosciuto subito il suo padrino!”
“Emma
...”
“E
dai, con Claire non ha mai fatto così.”
Sylar
guardò interrogativamente Peter.
“Io
vorrei che fosse Claire la madrina, anche perché ci tiene
TANTO anche lei” e
caricò la frase guardando verso la moglie.
“E
io, invece, voglio che sia tu il padrino” disse Emma di
ricambio guardando con
occhi pieni di speranza Gabriel “se non fosse per te, io non
sarei neanche
qui.”
“Senti
non ti sentire costretto” iniziò Peter per
alleggerire la richiesta “anch’io lo
vorrei, ma so che non vuoi pressioni e”
“O.k.”
fu la risposta e mise giù le gambe dal divano.
Padrino,
io? Se sta bene a loro avere per padrino del proprio figlio un serial
killer io
non mi faccio problemi
Emma
e Peter si scambiarono un’occhiata un po’
perplessa: era stato più facile del
previsto.
Claire
ci rimarrà male, ma le parlerà Emma, tra donne si
intendo meglio.
E
per Peter la questione era risolta.
Sylar
tese la mano e si alzò aiutato dall’altro ragazzo,
lo abbracciò e fece le
congratulazioni a entrambi.
“O.k.
avete già scelto il nome?
“Nathan
se è maschio, Gabrielle se è femmina”
disse Emma sempre con un dolce sorriso.
“Ottimo”,
Sylar si guardò intorno “C’è
niente da mangiare? Perché se no mi sa che mi
tocca morire sul serio stavolta.”
Dopo
mezz’ora stavano tutti e tre al tavolo in cucina: Peter e
Gabriel con una buona
tazza di caffè e Emma con una camomilla.
“Oggi
sono andato al cimitero” disse di punto in bianco.
“Lo
immaginavo, sono due anni giusto?”
“Si.”
“Mi
dispiace Gabriel”, disse il ragazzo, Emma allungò
semplicemente una mano e
l’appoggiò sul suo braccio, ma tutto il calore che
riuscì a trasmettergli
valeva più di mille parole.
La
guardò negli occhi: perché non si era innamorata
di lui invece che di Peter? In
fin dei conti era il suo salvatore, sarebbe potuto andare benissimo
così e, magari,
lui si sarebbe potuto innamorare di lei, era la
“damigella”, quella in pericolo
ed indifesa, quella da salvare.
Di
colpo gli tornò in mente l’immagine di Claire come
l’aveva vista in cimitero.
Strinse
la mano di Emma, disse “Grazie, sto bene” a Peter,
poi:
“Ho
visto Claire, era lì.”
Peter
si irrigidì subito: “Strano aveva detto che non ci
sarebbe andata, mi ero
offerto di accompagnarla” e prese la sua tazza e la
portò al lavello.
“Ha
bisogno di aiuto Peter” continuò.
“Non
mi pare proprio, abbiamo cenato insieme la settimana scorsa, stava
bene” e
mentre continuava a lavare la tazza guardò la moglie come
per cercare conferma.
Emma abbassò gli occhi.
“Sta
cedendo Peter, è tirata come una corda di violino, ha
bisogno di aiuto.”
Sbattendo
la tazza sul lavello il ragazzo si voltò:
“Non
del tuo!” disse alzando la voce.
“Peter
io sento cosa prova, so cosa prova” e prese in mano la tazza
che aveva davanti
solo per tenere fra le mani qualcosa. “Voglio
aiutarla.”
“No”
“Posso
farlo Peter”
“No”
“Lo
sai che posso farlo”
“Ho
detto di no!”
Sylar
sorrise e strinse la tazza.
“Dillo,
avanti Peter, dillo.” Emma si alzò e
andò verso il marito “Ti sta solo
provocando, non dargli retta”
“Dai
Peter, lo sento cosa provi, sei deluso, sei arrabbiato, dai dimmelo,
avanti,
dimmi il perché non vuoi che
l’aiuti”
Peter
trattenne il fiato, contò fino a cinque e poi
urlò:
“Perché,
cazzo, è colpa tua! Perché hai rovinato
tutto” e si avvicinò a Sylar
mentre Emma tentava di fermarlo.
“E’
colpa tua se tutto è andato a puttane, le hai tolto
l’unica cosa che contava
davvero per lei, l’hai spazzata via e non le hai
neanche lasciato dei
resti su cui piangere. Quella tomba è vuota lo sai vero
Sylar! E adesso che ti
rode la coscienza vuoi fare il buon samaritano, adesso che lei si
è trovata un
suo modo di sopravvivere, vuoi di nuovo mandare tutto per aria per
aiutarla?”
Peter
era quasi senza fiato.
Me
lo ha urlato in faccia, finalmente!
In
fin dei conti se gli era rimasto lontano dopo quel che era successo
c’era un
motivo. Eppure, se già sapeva, perché sentirselo
dire faceva così male?
“Smettetela
di fare gli idioti. Stiamo parlando di cose serie” disse Emma
“Peter urlare a
squarcia gola non gli farà più male di quello che
le tue parole gli hanno già
fatto.”
Peter
guardò la moglie: era arrabbiata. Quello stronzo di Sylar
riusciva sempre a
tirare fuori il peggio di lui.
Si
sedette sulla sedia.
“Se
vuoi dirmi che ti scusi, che non le pensavi davvero le cose che hai
detto,
lascia perdere. Mi faresti solo incazzare di più”,
finalmente era riuscito a
lasciare la presa sulla tazza.
“Claire
non sta bene”, disse Emma tenendo le mani sulle spalle del
marito.
“Perché
tu?”, chiese lui stavolta con voce rassegnata. “E
non dirmi perché sei empatico
perché ti spacco la faccia con queste mani, Gabriel
Gray.”
Gabriel
guardò Peter negli occhi: quell’uomo che era stato
un suo nemico, che aveva
creduto un fratello e che ora era il suo unico amico;
quell’uomo che lo odiava
eppure lo amava come un fratello al tempo stesso. Poteva raccontargli
tutto?.
“Perché
è mancato tanto così" e strinse indice e pollice
quasi a toccarsi,
“tanto così”, ripeté con
rabbia stringendo i denti, “che io e Claire ci
mettessimo insieme e se credi che fosse perché
c’era Noah ti sbagli di grosso:
c’era qualcosa tra di noi ed era serio.”
Come
faccio a parlare del passato se fa male solo pensarci.
Lui,
uno sfigato, uno psicopatico, un serial killer senza
possibilità di redenzione,
aveva creduto di trovare il suo piccolo pezzo di paradiso qui, sulla
terra, con
il suo bambino e la sua mamma: ci aveva sperato, ci aveva creduto.
E
ho perso tutto.
Ecco il secondo capitolo, volevo
solo precisare una
cosa: Emma ci sente e parla senza problemi, consideratelo un regalino
di nozze
di Sylar!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Flashback 1 - Un gesto inconcludente ***
Flashback 1 - Un gesto inconcludente
Chiuse gli occhi e pensò a quando tutto era cominciato: la
colpa? Chiaro che la colpa era di una ragazzina che si credeva sola al
mondo e che da quel mondo era spaventata a morte; così aveva
fatto il gesto più idiota ed inconcludente che si potesse
pensare: un salto mortale dalla sommità di una ruota
panoramica.
Da quel gesto il mondo era cambiato: isteria di massa.
Persone con Poteri (venivano etichettati così ora, o meglio
PCP) che si autodichiaravano come funghi solo per emulare la loro
eroina che per prima lo aveva fatto, persone che erano terrorizzate dai
PCP e persone che ne erano ammaliate.
Cominciarono a nascere i "gruppi di aiuto ai PCP" o, dall'altra parte,
i gruppi di "PCP non ti vogliamo qui!".
Insomma, anche se loro rappresentavano solo una minima percentuale di
tutto il genere umano erano riusciti, in qualche modo, a creare non
solo divisioni attriti e conflitti a livello familiare o cittadino, ma
anche a livello nazionale ed intercontinentale.
In tutto questo, coloro che erano stati i primi protagonisti
se ne erano tenuti alla larga: non credevano a chi vedeva in
loro "un passo avanti dell'umanità" e avevano
timore di coloro che li tacciavano come Diversi.
Gabriel e Peter avevano continuato la loro vita nell'anonimato: il
primo faceva l'orologiaio e il secondo il paramedico, condividevano
l'appartamento e qualche volta anche i timori e le poche speranze da
riporre nel futuro.
Nonostante la posizione di Peter, fratello di un ex candidato alla
presidenza, lo portasse a rivalutare o a riconsiderare il suo ruolo in
tutta questa storia, l'apprensione per le persone care che potevano
finire schiacciate in questa confusione di idee era più
grande. A quell'epoca, infatti, aveva cominciato a vedersi con Emma in
modo più serio e non aveva nessuna intenzione di buttarla in
pasto ai pescecani.
Gabriel dal canto suo aveva già scelto una vita anonima da
quando aveva rinunciato ai suoi poteri: non che non li usasse
più ... qualcuno era molto comodo in tempi di crisi, ma a
lui piaceva una vita silenziosa, taciturna, senza scossoni che gli
infondeva quel senso di serenità che cercava da tempo.
E poi cosa ci avrebbe guadagnato a manifestarsi?
Chi lo aveva fatto non aveva ottenuto proprio niente, anzi, il
più delle volte aveva perso tutto: libertà,
famiglia, salute e in alcuni casi anche se stesso.
Questo era toccato a quella insulsa ragazzina: prelevata dal circo
quella notte stessa da un gruppo di "non meglio precisati" Agenti, che
intendevano chiedere solo spiegazioni e chiarimenti circa l'accaduto e
che in tempi brevi ma "non meglio precisati" l'avrebbero lasciata
andare.
Di lei più nessuna traccia: non una chiamata, nessuna
e-mail, nessuna lettera, niente di niente.
Era stato Peter a dirglielo perchè era rimasto in contatto
con Noah Bennet.
A Gabriel non importava.
Lei aveva fatto la sua scelta: sbagliata. Ma ogni volta che Gabriel ne
aveva fatta una di sbagliata aveva pagato con gli interessi rischiando
quasi di perdersi.
Aveva pagato e ora era convinto di avere più chiaro in che
direzione mandare la sua vita.
Probabilmente per Claire avrebbe funzionato allo stesso modo. E poi non
erano fatti suoi di dove fosse finita, per quello c'erano Peter e Noah
ad occuparsene.
Viveva la sua vita, piatta ma serena nonostante la bufera che si
scatenava per il mondo, fino alla sera in cui, otto mesi dopo il famoso
salto dalla ruota panoramica, Noah Bennet si presentò al
loro appartamento.
O.k.: a volte ritornano! Mi dispiace! Problemi con il pc e
con il mio tempo!
Chiedo scusa e se qualcuno ancora si ricorda la storia e non si
è offeso per l'interruzione infinita può
riconìminciare a leggere. Metterò in
velocità tre capitoli e poi . . .
chissà. Speriamo bene!
Da qui in poi è quasi tutto un grosso Flashback
ecco svelato il perchè del titolo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Flashback 2 - Ospiti indesiderati ***
Flashback 2 - Ospiti indesiderati
Fu Gabriel ad aprire la porta e si
stupì dell'uomo che si
trovò davanti: sembrava invecchiato di quindici anni nel
giro di
pochi mesi.
Ma non voleva avere niente a che fare con quel figlio di puttana
che gli aveva incasinato la vita per cui chiamò Peter e li
lasciò
da soli.
Dopo venti minuti Peter lo richiamò dalla cucina.
Quando entrò si stupì di trovare Noah ancora
lì.
Guardò entrambi alzando un sopracciglio come a chiedere:
cosa
volete?
A parlare fu solo Noah:
"Ho bisogno di aiuto, devo tirarla fuori di lì".
Gabriel fu colpito anche dalla voce dell'uomo: fiacca, fragile come se
gli costasse fatica parlare.
Poi Peter spiegò la situazione.
Claire, come tanti altri PCP, era tenuta in CENTRI DI CONTROLLO che
venivano spacciati al resto del mondo per strutture confortevoli, dove
i
PCP venivano "monitorati" per un pò di tempo e poi lasciati
andare.
In realtà erano LABORATORI-STUDIO dove venivano condotti
esperimenti per analizzare, sfruttare e magari imbrigliare i poteri dei
PCP.
Naturalmente da queste strutture, a scadenza stabilita, partiva
l'avviso della "dimissione" degli ospiti; peccato che mai nessuno era
stato visto uscire fisicamente dalla strutture, che erano isolate dal
resto del mondo da barriere fisiche elettroniche e, da fonti sicure,
anche magnetiche ed elettriche.
Per di più Claire era tenuta in un Laboratorio di massima
sicurezza e per individuarlo e sfruttare un contatto all'interno Noah
ci aveva impiegato un sacco di tempo.
Solo negli ultimi due mesi era riuscito ad ottenere qualche
documentazione.
Ma da due settimane il suo contattto gli aveva riferito che avevano
spostato Claire in una sezione più isolata e non c'era modo
di
avere notizie ulteriori.
"Prima di essere spostata la mia fonte ha detto che giravano voci sul
fatto che Claire era crollata, depressa, che pareva avesse tentato
più
volte di ...suicidarsi" quasi sussurrò quella parola, "senza
risultato, naturalmente, ma se è
così allora noi...."
"Non mi imteressa", disse Gabriel che era rimasto in piedi ad ascoltare
tutta la bella storiella ma non aveva nessuna intenzione di farsi
coinvolgere: ognuono aveva i suoi problemi, ognuno se li doveva
risolvere.
"Siediti e guarda le foto".
Gabriel guardò Peter, sapeva cosa avrebbe dovuto dirgli come
risposta: "Vaffanculo!" voltarsi e tornarsene in camera.
Ma aveva già commesso l'errore che lo avrebbe incastrato:
anche
se per poco aveva guardato entrambi e qualcosa nella loro espressione
lo bloccò.
Tentò appena di sondarli e sentì rabbia e paura
da Peter, da Noah solo disperazione.
E si sedette.
E guardò le foto.
Erano sicuramente fatte di nascosto, sgranate, fatte da angolature
strane, ma erano ugualmente chiarissime. Ce ne erano un bel
pò:
- nella
prima foto si vedeva Claire che camminava lungo un
corridoio, usava un paio di stampelle perchè la gamba
sinistra
era stata mozzata da metà coscia;
- nella
seconda Claire aveva di nuovo tutte e due le gambe ma una
benda sull'occhio destro e la parte destra del cranio completamente
rasata e camminava di nuovo lungo un corridoio;
- nella
terza probabilmente era in una specie di mensa, mangiava
con la mano sinistra perchè il braccio destro era stato
mozzato
dalla spalla;
- nella
quarta era messa di spalle, indossava un paio di pantaloni
corti e aveva tutta una serie di fasciature sulle gambe, tipo da
ustionati.
Sylar smise di guardare le foto.
Quella sera iniziarono a mettere in moto un meccanismo che dopo tre
anni e mezzo avrebbe portato alla liberazione di Claire Bennet.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Flashback 3 - Cose da perdere, cose da vincere ***
Cominciarono con l'attirare l'attenzione
della gente sulle
fatidiche strutture e sul fatto che mai nessuno usciva, o mai nessun
poteva avere contatti con le persone all'interno.
Fecero serpeggiare le voci di esperimenti, di torture, di sevizie.
Non presero mai di mira la struttura dove Claire era rinchiusa, solo
per paura che la spostasssero e ne perdessero le tracce.
La risposta della gente fu dapprima incerta, a volte incredula e
indifferente poi, man mano che le voci filtravano, l'animo indignato si
riscaldò fino a avere e proprie mobilitazioni con
manifestazioni, nelle quali si chiedeva che il governo prendesse
posizione e chiarisse, definitivamente, cosa erano effetivamente queste
strutture.
Ad un certo punto, l'ultima cosa che i tre fecero insieme, fu riportare
l'attenzione su quella ragazzina che un anno e mezzo fa era stata presa
in custodia mentre era in un circo e poi di lei non si era
più
saputo niente.
Organizzarono un evento: Noah Bennet partecipò di persona ad
un talk
show molto famoso, parlò di Claire, del magnifico dono che
era
stata per lui e per sua moglie, delle difficoltà di Claire
quando aveva scoperto di essere diversa, dell'impossibilità
di
creare dei veri legami con le persone.
Raccontò, chiedendole
scusa in diretta, di tutte le volte che l'aveva tradita, le aveva
mentito o le aveva nascosto la verità, alla fine mentre
implorava il suo perdono e confessava di nuovo tutto il suo amore di
padre, fece il suo appello disperato affinchè lei e tutte le
persone nella sua stessa situazione fossero rilasciate o ci fosse
almeno la possibillità di mettersi in contatto con loro.
Fu una puntata con uno share incredibile, sembrava che tutti si fossero
fermati davanti alla televisione a seguire il racconto di questo padre
disperato. Naturalmente, anche la conduttrice aveva dato prova della
sua bravura continuando a ricordare per tutta la puntata, in modo
esplicito o cortesemente velato, che il Sig. Bennet era un uomo ormai
con un piede nella fossa!
Ma lo scopo era stato ottenuto.
Improvvisamente Claire divenne la persona da liberare, la martire che
tutti avevano dimenticato e che ora tutti volevano salvare.
La gente spingeva per la sua liberazione, ma il governo non prendeva
posizione. Il tempo passava ma la situazione non mutava.
E Noah Bennet tornò all'appartamento dei due ragazzi.
Erano passati due anni e mezzo dalla prima visita e lui era peggiorato
ancora.
Era malato, cancro, aveva già effettuato diversi cicli di
chemio, senza risultati se non di indebolirlo ulteriormente.
Il padre di Claire era preoccupato: la faccenda era "bloccata", tutto
era in stallo.
Anche se la gente chiedeva a gran voce, il governo non rispondeva, e
lui non poteva permettersi di perdere tempo.
"Quelli del Governo non si muovono perchè non hanno niente
da perdere.
In fin dei conti, quelli che dirigono le strutture gli stanno
facendo un favore: fanno il lavoro sporco e, a tempo debito, il Governo
bloccherà tutto e terrà per se tutti i frutti
senza sporcarsi le mani.
Non hanno niente da perdere e non si muoveranno mai". Questo fu
ciò che disse ai due ragazzi.
Peter non aveva saputo ribattere: Noah aveva ragione, le cose potevano
andare per le lunghe e loro non avevano voce in capitolo.
Stavolta doverlo salutare senza potergli dare un aiuto
concreto
per Peter fu una vera sofferenza. Forse per Claire non era stato il
migliore dei padri, ma la stava pagando davvero cara.
A Gabriel non fregava tanto di Noah Bennet, prima o poi ti tocca fare i
conti, che sia presto o tardi, tocca a tutti.
Quello che non riusciva a togliersi dalla testa erano le foto di
Claire.
Erano finite sul suo comodino, chissà poi come, e tutte le
sere o quasi, finiva per buttargli gli occhi addosso.
Ogni sera si ripetava: "Domani le butto via, un buon utilizzo della
telecinesi e finiscono direttamente nel cestino."
E, invece anche quella sera si ritrovò a guardarle, a
studiare
Claire, le sue espressioni, le sue posture. E pensava alle parole di
Noah.
"Non hanno niente da perdere .... niente da perdere ..."
Buttò le foto sul comodino e si sdraiò, le mani
allacciate sopra la testa:
"Bisognerebbe dar loro qualcosa da vincere".
Poi si girò e si mise a dormire.
Sei mesi dopo il padre di Claire morì, senza rivedere la sua
amata figlia libera.
Ma lui ormai non ci contava più, quella speranza era morta e
sepolta da tempo ormai; tutta la sua serenità
nell'affrontare
gli ultimi istanti di vita stava in una e-mail che teneva tra le mani e
che Peter gli aveva girato una settimana prima.
Era la dichiarzione del Presidente degli Stati Uniti
d'America,
resa valida anche da molti altri Stati del mondo, nella quale
tutti i Centri di Controllo venivano dichiarati ILLEGALI,
ANTICOSTITUZIONALI E CONTRO OGNI DIRITTO UMANO e
perciò ne
veniva imposto il possesso da parte delle autorità federali
con
conseguente chiusura di ogni attività e rilascio
di tutti
gli ospiti al loro interno.
Altri sei mesi e, dopo una detenzione durata più di quattro
anni, Claire fu liberata.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Flashback Peter - trasmissioni interessanti ***
CAPITOLO 6
Flashback Peter - Trasmissioni interessanti
Peter gli diede una botta sul gomito con il suo.
"Oh! Dormi?".
Gabriel aprì gli occhi, era ancora seduto a tavola, Peter ed
Emma di fronte che lo guardavano. La tazza con il caffè
ancora
tra le mani, ora tiepida.
Poi Peter si mosse sulla sedia.
"Senti, io c'ero quando è uscita da quell'incubo, c'ero
quando vi siete accordati e me lo ricordo bene!
Tu stai esagerando sulla storia del "mettersi insieme"
Forse le cose tra voi due erano migliorate ma . . . "
E fu Peter stavolta a ricordare.
Lui e Gabriel erano seduti sul divano, davanti alla tv a guardare lo
show mediatico del momento. Era stato lui ad autoinvitarsi:
l'appartamento di Gabriel era piccolo ma funzionale e posto giusto
sopra il negozio, viveva lì da quasi un anno.
Peter sapeva che se lo avesse invitato a casa sua a vedere
quell'importante trasmissione, avrebbe tirato un bel bidone e il
fatto che ora viveva con Emma non centrava niente; LUI ERA UN
ORSO, era fatto così.
Ma doveva costringerlo a vederla, in fin dei conti era merito suo se
finalmente . . .
"Che palle sono quaranta cinque minuti che continuano a filmare
cancelli chiusi, porte sprangate e quel corridoio scuro."
Gabriel si alzò e andò in cucina.
"Vuoi una birra?"
"Si grazie"
"Emma sta bene?"
"Si, tutto ok, mi ha detto di salutarti, ti aspetta a cena, quando
puoi."
"Si, si, una di queste sere" disse chiudendo il frigo "Ma tra voi va
bene? La convivenza intendo".
"Beh sono ormai un bel po' di mesi che vive da me, te l'avrei anche
detto se non funzionava giusto?!"
Prese la birra che Gabriel gli offriva mentre lo guardava sedersi sul
divano con un bicchiere di succo.
Poi furono entrambi catturati dallo speaker: annunciava in esclusiva,
il rilascio di tutti gli ospiti della struttura INIX129, ovvero il
rilascio di Claire Bennet.
"Secondo te riusciranno a filmare davvero qualcosa?"
"Secondo me un dispiego così di mezzi vuol dire solo una
cosa:
hanno superato il problema della quarantena e sanno che faranno un
servizio con i fiocchi."
Gli ospiti delle strutture, infattti,
erano
stati dichiarati potenzialmente pericolosi, perchè ancora
sotto
l'influsso delle organizzazioni che li avevano imprigionati. Per
questo motivo, la liberazione non era altro che l'uscita dalla
struttura in un tunnel vetrato e protetto, per poi entrare in
un'altra struttura mobile. Da lì avrebbero raggiunto il
luogo
dove trascorre la quarantena, e solo allora, finalmente, sarebbero
stati liberi di vivere di nuovo una vita vera.
Tenendo il bicchiere di succo in mano Gabriel cambiò la sua
versione: "Vedremo solo un corridoio pieno di gente, non vedremo niente
di quello che ci aspettiamo" .
Senza saperlo stavolta ci avrebbe preso in pieno.
"Volevo essere lì, con lei" disse Peter, "ma non me l'hanno
permesso".
Nello spostarsi da una struttura all'altra, infatti, gli ospiti avevano
la possibilità di vedere un solo parente: tra vetri e filtri
ma
sempre meglio che l'isolamento a cui erano stati sottoposti fino ad
allora.
"Sandra" disse Gabriel.
"Già"
Ma presto sarebbe stata fuori e a Peter batteva forte il cuore, non
vedeva l'ora di rivederla, di abbracciarla, di dirle che adesso le cose
sarebbero andate meglio, che lui le avrebbe sistemate per lei, che gli
dispiaceva per suo padre.
"Chissà se sa di Noah" disse ad alta voce.
Ma Gabriel non rispose era intento a guardare: nel corridoio
inquadrato si vedevano sfilare in modo ordinato uomini, donne, vecchi,
giovani, persone che erano state rinchiuse, segregate e a volte
maltrattate, separate dagli affetti e dal mondo solo
perchè diversi: tutto così assurdo!
E poi Peter la vide: "Eccola lì" richiamando l'attenzione
anche di Gabriel.
La telecamera la inquadrò in modo più
preciso:
capelli biondi, lunghi e diritti, occhi celesti, incarnato color del
miele, camminava lungo il corridoio.
"E' sempre uguale" disse Peter con la gola stretta dall'emozione e il
cuore fuori giri.
Poi Claire scomparve,
probabilmente si era chinata o fermata all'improvviso e tra la folla si
era persa l'immagine di lei.
Ora la telecamera continuava a muoversi per cercarla.
Qualche minuto dopo Claire era di nuovo sullo schermo, un po'
più
avanti sul corridoio, e stavolta con un bimbo in braccio.
Quando non l'aveva più vista a Peter per un attimo era
mancato il fiato, aveva pensato chissà cosa!
"E' sempre uguale, sempre che vuole aiutare tutti" la voce, ora, aveva
un tono orgoglioso "scommetto che quel bimbo nella confusione ha perso
. . "
Poi il bimbo girò la testa e guardò,
inconsapevole,
diritto verso l'obiettivo, allo stesso tempo Gabriel schizzò
in
piedi, Peter vide chiaramente il succo di frutta schizzare
sul
pavimento.
"Porca puttana", Gabriel aveva la voce così strozzata che
quasi non si sentiva.
"Cosa c'è? Gabriel? Ehi!"
Gabriel si stava allontanando dal televisore, a cui prima si era
avvicinato senza volerlo, poi le sue gambe trovarono il divano e si
ritrovò di botto seduto senza neanche sapere come, con
più succo sui pantaloni che nel bicchiere.
Peter non capiva cosa gli stava succedendo, non riusciva a . . .
"Sono io, quello lì sono io, si . . . a 3 anni, sono io"
"Gabriel non dire stronzate!"
"Sono io!, Cioè mi assomiglia, come tiene la testa, come
stringe
gli occhi, la bocca . . . Ho un vecchio video, io e mia mamma e sono
così!" e indicò ancora con
la mano il bambino
inquadrato, "Sono come quello lì".
"Ma sei fuori?! Non sei tu Gabriel! Ma guardalo e dai! I capelli? La
bocca? Ma hai visto gli occhi? Sono azzurri! Tu ce li hai scuri, quelli
sono azzurri, sembrano più quelli di Claire che i tuoi"
concluse
ridendo.
"Porca puttana", di nuovo quelle due parole.
Gabriel si è
impiantato su quelle due parole, pensò e poi si
rese conto:
"Volevo dire che assomigliano di più agli occhi di Claire".
"Tanto di più".
"Cioè".
"Sono quasi uguali" .
Ora le parole gli uscivano più lente e gli occhi non si
staccavono da quelli del bambino.
"Anche tu la pensi così, ci assomigliano parecchio" e
improvvisamente il bambino accostò la faccia al
viso di
Claire e la somiglianza fu chiara ad entrambi.
Gabriel saltò di nuovo su dal divano e stavolta il bicchiere
che
era qusi abbandonato nella sua mano rotolò per terra
perdendo
quel poco di succo che c'era rimasto dentro.
"E' mio", non riuscì a dire altro, le parole incastrate,
proprio come il suo stesso respiro.
Peter continuava a far passare lo sguardo dallo schermo all'amico:
schermo-amico, amico-schermo.
Il cervello girava, girava, girava e si bloccava sempre allo stesso
punto: occhi uguali e viso diverso, occhi uguali e viso diverso.
"E' mio figlio!", finalmente Gabriel era riuscito a dirlo, gli
tremavano le mani, la voce e anche le gambe.
"Mio figlio", la voce
aveva acquistato più sicurezza.
"Mio e di
Claire, non so come, non ho idea, ma è così!"
Peter era completamente scioccato, c'era arrivato anche lui a quella
conclusione ma, come poteva essere?
Come fisicamente poteva essere successo?
Gabriel e Claire non si era incrociati prima che fosse portata via,
oppure. . .
Guardò l'amico che teneva le mani sulla testa e tenteva di
respirare normalmente:
"Sei spaventato e sorpreso quanto me, quindi tu e Claire non . . "
Gabriel tenne le mani in testa ma lo guardò storto:
"Non vedo Claire da quella sera al circo"
"Ho un sacco di poteri ma mettere incinta con un bacio, quello ancora
non ce l'ho!"
La televisone aveva cambiato soggetto e ora le persone continuavano a
sfilare davanti ai loro occhi, altre persone, altre storie,
altre
vite.
Peter faceva andare il cervello a tutto gas: Claire, figlio, Gabriel,
bacio, Bacio? Bacio!?
Sempre con le mani in testa lo guardò di nuovo storto: "Non
farti
strane idee, il bacio l'ho dato per tutto un altro motivo." E poi
tirò un forte respiro, fece scendere le mani e se le mise ai
fianchi.
"Non-so-come-sia-successo! Non ne ho la minima idea, ma quello" e
puntò il dito sullo schermo con il fotogramma del bimbo e
Claire, "è mio figlio!"
Peter lo vide girarsi e puntargli gli occhi addosso, lo sguardo a
metà tra la supplica e la minaccia, con una punta di terrore
sommerso:
"Tu mi devi aiutare!".
Beh! A volte ritornano. Non credo sia rimasto nessuno
a leggere questa storia ma . . .
Scusate è un ritardo imperdonabile, e vi dò anche
un
consiglio: è meglio che non leggiate perchè non
so se
andrò mai avanti.
Pazienza, sono così.
Siete avvisati. Fate la vostra scelta.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1038309
|