Amarcord

di TwinStar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Udito ***
Capitolo 2: *** Lavanda ***
Capitolo 3: *** Vista e Olfatto ***
Capitolo 4: *** Lupini Ornamentali ***
Capitolo 5: *** Tatto e Gusto ***
Capitolo 6: *** Robinia Pseudoacacia ***
Capitolo 7: *** Memory ***



Capitolo 1
*** Udito ***


Note doverose di Inizio Fan Fic: A parte i soliti (noiosi) ringraziamenti a chi ha la tempra morale di seguirmi e apprezzare quello che scrivo (ma soprattutto ha chi ha la forza di comprenderlo! XD), ci sono un paio di noticine doverose. Noiose anche queste, so che non vedete proprio l’ora di tuffarvi in sta storia deprimente, scalpitate!!!

Ma abbiate pazienza! XD

 

Uno: Amarcord è il titolo di un famoso film di Federico Fellini targato 1973, con dialoghi di Tonino Guerra (quello di "Gianni, l'ottimismo!". E' lui. Si, lo, so, lo so, ma vi assicuro che prima era bravo! XDDD). In dialetto romagnolo significa "Mi ricordo". Per cui se trovate l'eccessivo ripetersi di questa parola una volta tanto io non ho colpe. Sono Nostra Signora delle Ripetizioni fino a un certo punto! XD

 

Due: Non è che ho messo le BGM per sport o per far vedere che ho una cultura musicale figa (decisamente no! XD), hanno un senso e soprattutto un significato! ^_^ Sentimentale perché sono bellissime e meritano di essere ascoltate. Ma anche perché sia per la melodia (ritmo, sonorità eccetera) che per il testo (di cui riporto sempre qualche passaggio) si legano al capitolo a cui si riferiscono. L’ideale sarebbe leggere il capitolo con la musica di sottofondo.

 

Tre: A quanti trovino il mio azzurro-grigio fastidioso…. Stavolta l’uso del colore non è casuale, per cui posso dirvi solo una cosa… RESISTETE!!! (E qui chi coglie la citazione è un genio del male)

 

Volevo poi approfittare dell'inizio di una nuova storia per dire una cosa a GeorgiaLupin che mi ha commentato "La casa Storta": io faccio anche storie puccie, sei te che ha sfiga e prende solo quelle tristi! XD

Lo scrivo qui perchè visto che è triste la leggerà di sicuro! XD

 

 

AMARCORD.

 

 Ma se la morte è così… Non è mica un bel lavoro.

Amarcord. Federico Fellini (1973)

(Tonino Guerra)

 

 

 Bgm: Poe – Control

 

I was taking control[1]

 

***

Quando hai cominciato ad arrenderti alla notte che seducente ti blandiva con voce d’argento? Ricordi l’istante in cui il mortale bisbiglio si è fatto pacato sussurro di madre?

Ti chiama.

Taci e ascolta.

Là, oltre il sibilare del vento tra i rami, tra le pieghe di un’eco indistinta e cupa.

E’ come tendere l’orecchio a una gelida musica di silenzi.

Col tempo scandito dai battiti di un cuore fiacco.

Dall’ansimo roco di un respiro rappreso.

Che non è mai stato così calmo.

Dietro le palpebre strette a forza c’è un’intera realtà che aspetta solo d’essere vista con occhi nuovi. 

 


 

[1] Traduzione: Stavo prendendo il controllo

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Capitolo 2
*** Lavanda ***


AMARCORD

 

 Bgm: Barlow girl – Never Alone

I cry out with no reply and
I can't feel You by my side
So I'll hold tight to what I know
You're here and I'm never alone.
[1]

 

Nota: Sapevate che nel linguaggio dei fiori la LAVANDA (che dà il titolo a questo capitolo) simboleggia la diffidenza?

 

 

***

 

Se aprisse gli occhi non vedrebbe nulla davanti a sé.

Solo il buio impenetrabile che tiene intrappolato nelle palpebre, con la luce della notte al di là delle persiane chiuse sotto l’oppressione della cappa asfissiante di una calda estate londinese.

Eppure gli è parso d’aver abbassato le ciglia solo un momento, per riposare un istante le pupille incandescenti.

Ora è più stanco di prima.

Neanche gli è stata data la consolazione di un temporaneo oblio, ma la cosa invece d’irritarlo lo conforta. Perché le notti di riposo fanno parte di un passato talmente remoto che sembra non appartenergli nemmeno.

Eppure ricorda ancora il calore delle coperte bianche, e il moto pigro delle tende scarlatte che filtrano i raggi di un caldo sole di primavera tarda, e un sorriso gli squarcia il viso come una ferita amara perché soltanto fino a ieri il rosso non gli ha rammentato altro che la consistenza densa e dolciastra del sangue.

Persino gli odori hanno smesso di tormentarlo. Forse le narici, spossate dalla prolungata mancanza di sonno, hanno semplicemente smesso di catalogare insistenti la realtà marcia e sporca in cui si confonde: non si avverte che un lieve sentore di polvere sopraffatto da un prepotente, stomachevole aroma zuccherino.

La bocca gli si storce sua sponte in una smorfia nauseata.

“Hai esagerato con l’acqua di colonia, appesterai tutta la casa.”

Non c’è risposta alla sua affermazione, cade nel vuoto echeggiante di una casa spoglia in un istante stupito e carico d’attese. Poi dalle sue spalle, soffocata dal fine tessuto di un lenzuolo che gli copre le forme troppo magre, una risata bassa e roca dai toni sguaiati gli vibra contro la guancia attraverso la federa calda del cuscino, così tenera e familiare da sembrar prodotta da se stesso.

“Non è così male.”, risponde una voce carica di compiaciuta, sensuale malizia mentre un anelito diaccio che sa dell’odore piacevole e pungente che già gli risveglia i sensi sale a soffiargli molesto contro l’orecchio, seguendo quel brivido appagante che scivola giù lungo il collo e la schiena.

Non apre gli occhi, lasciandosi guidare dal profumo che ora lo impregna tutto e dai ricordi della prima volta che l’ha sentito che gli si affollano dentro: nella mente uno spicchio di luna sottile, appena un accenno ridente, digrada lenta all’orizzonte gocciolando latte sulla superficie di velluto di un lago nero puntellato di stelle. Fatica a riconoscere in sé quel giovane serio e astuto con gli occhi a splendere vivi dietro le ciglia abbassate e le labbra protese, anelanti.

E’ vero, non è poi così male.

“Cos’è, lavanda?”, sospira appagato.

“No.”, è la replica annoiata. “Qualcos’altro.”

 


[1] Traduzione becera a cura di una che aveva 5 in inglese al liceo: “Ho gridato senza ottenere una risposta e / non riesco a sentirti al mio fianco. / Allora mi aggrapperò con forza a ciò che conosco. / Tu sei qui e io non sono mai sola.”

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Capitolo 3
*** Vista e Olfatto ***


Nuova pagina 1

Breve nota di inizio fan fic: Mi rendo conto della difficoltà di recensire una fic del genere. Voglio solo ringraziare setitamente le anime care che si sobbarcano quest'onere, conscia della fatica che questo comporta (ma sono di una squisitezza aulica che spaventa oggi, che è? XD).

Un grazie quindi particolare a sara e lemonade! ^_^

 

AMARCORD

 

 Bgm: Cold – It’s All Good

 

You were my hope,
My God, my love,
My fear, my god it's over,
But it was all good...’til the world came crumblin' down.

 

Well, now it’s all good [1]

 

***

 

Al mondo c’è un colore per ogni cosa.

Tranne che per la neve.

Perché la neve non è bianca, lo sai?

E’ il giallo dei tuoi occhi di bestia che penetrano indiscreti la notte impregnata di una nebbia fine e irreale; si mescola col grigio tuo respiro, col rosso del sangue e della carne viva che le tue labbra scure anelano, col bruno della terra imbrigliata tra le unghie. E’ il nero degli alberi spogli volti gementi al cielo con dita artritiche tutto intorno a te.

La neve è tutti i colori del mondo.

Adesso riflette la luce gonfia di una luna languida: odora di un mondo offuscato di lacrime scosse, della promessa di una notte di sesso, o di una lieve carezza concessa nel sonno. E’ di un blu incantevole nel suo pallore

Ma la luna non è blu, lo sai?

Né di perla, d’oro, o color dell’argento.

La luna è tutti i colori di un mondo intriso d’azzurro.


 

[1] Traduzione scorreggiona del brano: Eri la mia speranza / il mio Dio, il mio amore / la mia paura. Mio dio, è finita. / Ma era tutto bello… Finchè il mondo non è finito per crollare / … Ecco, adesso è tutto bello.

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Capitolo 4
*** Lupini Ornamentali ***


Nuova pagina 1

AMARCORD

 

 Bgm: Mariah Carey – All I want for Christmas is you

 

There is just one thing I need
I don't care about the presents
Underneath the Christmas tree
I just want you for my own

More than you could ever know[1]

(no, non sono impazzita

E continuo a detestare le canzoni di Natale! XD)

 

***

Qualcosa gli fa spalancare gli occhi.

Il fruscio di foglie verdi che infrangono il vento.

Ci sono dei fiori sul basso tavolinetto che ha accanto.

L’uomo li fissa con lo sguardo incredulo poi sbatte le palpebre, stringe e strizza le ciglia velate di sonno: una, due, tre, quattro volte. Tante quanti i fiori. All’inizio è solo verde cupo imbevuto dell’argento lattiginoso della notte e una macchia indistinta d’indaco chiaro, ma poi si strofina pian piano gli occhi con le dita, a cancellarne via il torpore come il sudiciume da una finestra, e i contorni si fanno più netti, le forme reali.

E’ la sua casa, quella.

Ma nel dormiveglia gli è estranea.

Scorre con gli occhi l’ambiente che lo circonda, soppesando ogni ombra, scorrendo ogni contorno.

Quattro muri vecchi e un tetto.

C’è una stufa nell’angolo: è in ombra, spenta, triste e inutile senza la sua bocca di fuoco ardente a far capolino dallo sportello. E’ appena lambita dalle tende di un tenue turchese baciato da frangibili raggi di luna. Lì accanto c’è un tavolo con una bottiglia di vino quasi vuota e un solo bicchiere, due sedie di pioppo grezzo e nodoso con la corteggia sfregiata in tre punti dalle unghiate rabbiose del tempo. Ci sono quattro mobili da rigattiere a riempire uno spazio asettico: oltre al tavolo la credenza e l’armadio.

Il divano fa anche da letto se ci si poggia sopra un materasso.

L’uomo artiglia le coperte tra le dita.

E poi i fiori.

Sono sempre lì.

Continuativamente quattro.

Irremovibili e ostinati a ondeggiare pigri su steli carnosi alla mercè di un rivolo fresco di brezza che entra dalla finestra lasciata aperta, nel loro vaso sottile e arricciolato di vetro che infrange bagliori contro la parete danneggiata in un liquore oltremare.

Perchè di notte tutto è blu.

Le foglie, i gambi, i bei petali gonfi.

Persino il cuore bianco è intinto di turchese.

Conosce quei fiori, li ricorda anche troppo bene.

L’uomo si volta e sorride, ma di un’affettuosità un poco recitata, in direzione di quegli occhi di un grigio metallico innaturalmente caldo che lo fissano beffardamente ridenti da dietro quei capelli scuri, serici e ridicolmente lunghi come quelli delle donne.

Trova in qualche maniera ironico che i fiori vengano regalati a lui.

“Lupini Ornamentali, Sirius?”, mormora carezzevole, strappando all’altro un ghigno sornione. E’ un modo di ridere strano, segreto, che tira le labbra piene lasciando appena scoperti i canini bianchi.

Atipico per lui, sempre chiassoso.

“Davvero appropriato.”, aggiunge ridendo mentre dà le spalle all’uomo che gli sta accanto, e torna a rimirare i fiori, con le sopracciglia sottili contratte in una smorfia di acuta concentrazione.

Sirius, dongiovanni impenitente, ha sempre creduto di poter sistemare ogni cosa spiacevole con un mazzo di fiori, come in un litigio tra innamorati. La chiamava la sua “deformazione professionale”.

Ognuno aveva il suo personale “mi dispiace”.

Dopo uno dei suoi ordinari scontri con Lily, ad esempio, si presentava a casa sua a chiedere perdono con enormi mazzi di innocenti gigli bianchi e turgidi fiori di cedro belli e capricciosi avvolti nel raso forato dei bouquet da sposa.

Per James Corbezzoli e Glicini rossi tra le saggine della scopa.

Una Bocca di leone per Peter.

A lui invece il perdono è sempre stato domandato sotto forma di Lupini Ornamentali: splendidi fiori nel pieno della fioritura in una prigione di vetro fredda e lucente, del colore del cielo che va ad imbrunirsi e dal cuore pallido come la luna, con le foglie a forma di mano tesa.

Li ha veduti tante volte.

La prima al quinto anno di scuola.

Erano stati la prima cosa che aveva scorto una volta risvegliatosi in dormitorio, la mattina dopo la sua luna piena più agghiacciante. Gli erano stati sistemati accanto con ossequiosa tenerezza, sulla federa del cuscino. Uno dei petali era stato chiazzato di sangue.

Il suo.

Aveva sorriso anche allora.

Finché lo squarcio sulle labbra non si era riaperto e il sangue non si era impastato con le lacrime secche; finché non aveva visto la squallida realtà vermiglio cupo che lo circondava liquefarsi dietro occhi inumiditi di pianto nuovo; finché la sostanza letale dell’ultimo di quei fiori non era schizzata via dai petali annientati dalla furia cieca delle sue dita tremanti e violente.

Ecco quanto valeva la sua vita messa in gioco per noia.

E’ un sussurro roco contro l’orecchio a riportarlo alla placida realtà di una notte insonne ed irreale, a sciacquargli via gli ultimi lordumi di una rabbia antica.

“Mi piacciono.”, soffia languido, e l’uomo avverte la tensione agghiacciante di un corpo nudo a sovrastare il suo, senza toccarlo. Basta la presenza a farlo fremere d’attesa. C’è solo una ciocca di capelli a ciondolargli a pochi centimetri dagli occhi e dalle guance lattescenti.

A solleticarlo da lontano.

Sirius e i suoi capelli da femmina.

“Sono fiori che ho sempre visto adatti a te.”

“Davvero?”, chiede distratto, in un vano tentativo di nascondere l’irritazione che gli storce le labbra in un sogghigno amaro e gli elettrizza la sottile peluria alla base del collo. Sindacare sull’ovvio non gli è mai piaciuto.

C’è dell’ironia in quel fiore che reca il suo nome.

Come lui nasconde dietro un’apparenza placida un veleno mortale.

Annoiato, segue con gli occhi quella mano scarna dalle lunghe dita nocchiute e i dorsi cosparsi di cicatrici più o meno evidenti che si allunga in direzione dei boccioli, prendendone uno nel palmo, soppesandolo come una cosa rara, in quel modo gentile e attento che si riserva alle cose belle.

L’uomo resta in serena attesa.

Tanto non ha fretta.

Si lascia cullare dal sorriso segreto che spezza l’incanto di un viso disteso, lasciando ondeggiare i pensieri al ritmo di una ciocca d’inchiostro mossa dal vento e dall’indaco incerto e sbiadito dei fiori.

Tutto è silenzio e immobilità senza fine, ma non riesce a fare a meno di pensare al tempo che passa comunque incessante. Lo sguardo si posa su un petalo nascosto e affranto il cui bianco già comincia a ingiallirsi.

Sente una tenerezza nuova invaderlo piano.

“Stanno morendo.”, sussurra affettuoso allungando le dita verso le corolle piene e la mano protesa dell’altro, la quale viene scostata con stizza brusca e violenta dal suo tocco amorevolmente incerto.

Solleva appena lo sguardo verso quella maschera nera e infantilmente imbronciata per individuare finalmente quel folle lucore così familiare che lo rassicura, e le labbra tese si scoperchiano nel ghigno pauroso e infelice di giornate passate nel silenzio teso di un’ignavia aberrante tra i quattro corridoi di Grimmauld Place.

“Sei deprimente come tuo solito.”

E’ un brontolio basso e cupo come un tuono lontano, un insulto infantile e sciocco nella sua giustezza, che rassicura.

Ecco il vero Sirius.

Permaloso e irritabile.

Quell’instabile, evanescente tenerezza cominciava ad inquietarlo.

“E’ una tua impressione o stai cercando di adularmi?”, domanda compiaciuto.

Sirius getta la testa all’indietro in una sguaiata, chiassosa risata canina, mostrando il collo e il pomo d’Adamo prominente in un involontario gesto di sottomissione, mentre l’altro non riesce a fare a meno di chiedersi quanto deve essere caldo il sangue che gli scorre sotto la pelle ispida.

Ingolla a fatica il pensiero.

Appartiene a una bestia che non è.

“Non ho bisogno di sviolinare, ho già scopato.”, ghigna Sirius piegandosi su di lui a nereggiargli cupamente addosso: adesso c’è solo l’argento mortale degli occhi a brillare in un’ombra liquida che tutto ammanta, persino i fiori e la morte che ha sconsacrato quell’istante d’attesa immutabile, ed è così reale ora che ha timore di toccarlo per scoprire null’altro che un inganno caliginoso e inconsistente.

Avvolto languidamente nel buio da quelle parole scortesi piega le labbra in un sorriso stanco, sentendosi avviluppare dal folto intorpidimento della reminiscenza.

Non importa più quanto forte vi si ribelli.

Ecco di nuovo i ricordi voraci.

Avidi più del lupo lo agguantano nell’ombra a rudi zannate scandite al ritmo di un tremulo ondeggiare di ombre: danzano lente e fini, abbracciate su tessuti spessi e pareti al suono di una luce velata, ingoiate dall’inchiostro di palpebre serrate strette.

Chiude il suo corpo al mondo come le cortine del letto.

Non la logica.

Stringe le labbra tra i denti, gli occhi tra le palpebre e rifugge i pensieri mentre la mente, indocile e incauta, si sporge verso quei respiri seducenti e i bisbigli segreti donati al buio impenetrabile come volesse caderci dentro.

Quasi lo anela.

Ma il baratro dentro la testa è colmo oltre misura: di ansimi strozzati e carezze acute, impregnato di sudore e sesso che ad ogni respiro gli invade dispotico le narici.

La notte è un paio di cosce stretto viscidamente ai fianchi.

Sono affondi frenetici e profondi.

Braccia ad artigliare il collo.

Dita seppellite in lunghi capelli.

Lingue intrecciate e morse tra labbra gonfie.

Odora di Lupini Ornamentali morti e di sogni stantii.

Ma non c’è modo di cadere nella dolce incoscienza liquida della follia.

Si resta sempre a galla. Persino l’orgasmo che trascina via con sé ha il retrogusto amaro del seme rappreso sullo stomaco, dopo un piacere manchevole che ci si è donati. Sa di una frase indelicata e rozza ripetuta all’infinito.

Di una risata levata nel buio.

Leggera e sordida.

Sgradevole.

Ansante.

Quattro parole.

“Non ne hai bisogno.”

Un vibrato armonico accolto in un seno sodo.

Si pianta a fondo nella carne, riempie le vene di lava bollente.

E poi è un tintinnio di campanelli quando fuori scroscia piano la pioggia, un sommesso cinguettio di allodole ai primi albori. Il fruscio di una foglia che cade, il silenzio infranto di un fiocco di neve. Tutto scortato da promesse di amore eterno pronunciate da una bocca colma di bugie.

Ancora e ancora.

E supinamente subisce.

Perché è lui a sentirne il bisogno.

La notte è un singulto spezzato di pianto lungo quattro anni.

 

 

 

Note floreali di Fine Fantiction: E’ necessario che dia qualche coordinata per quanto riguardo l’uso che faccio dei fiori in questo capitolo. Per cui farò un piccolo prontuario dei fiori che utilizza Sirius per chiedere scusa a tutti i suoi amici. E dei Lupini Ornamentali che danno il titolo a questo capitolo, naturalmente. Metto un link su ogni nome, cosicché possiate anche vedere la forma di questi fiori. Che sono molto belli. ^_^

 

Bocca di Leone: La tradizione lo considera da sempre il fiore del capriccio; nel medioevo, infatti, le ragazze erano solite ornarsi i capelli con questi fiori per rifiutare i corteggiatori non desiderati. Per questo la valenza generalmente riconosciuta alla Bocca di leone è l'indifferenza ed il disinteresse.

 

Cedro: E’ il simbolo della bellezza capricciosa.

 

Corbezzolo: Anche chiamato ceraso marino o albatro. Il nome botanico, Arbutus unedo (= ne mangio uno solo), gli fu assegnato da Plinio il Vecchio, facendo una chiara allusione alla scarsa gustosità dei suoi frutti. In Algeria e in Corsica dai frutti si ricava il vino detto “di corbezzolo”. I romani gli attribuivano poteri magici. Virgilio, nell’Eneide, dice che sulle tombe i parenti del defunto erano soliti depositare rami di corbezzolo. Il significato di questa pianta è la stima.

 

Giglio: La tradizione vuole che il giglio, in origine, fosse un fiore bianco e candido, proprio per questo per i cristiani il Giglio è simbolo della purezza e della castità.

 

Glicine: Per i cinesi ed i giapponesi il Glicine rappresenta l'amicizia, tenera e reciproca; si narra, infatti, che gli Imperatori giapponesi, durante i lunghi viaggi di rappresentanza, portassero con sé bonsai di glicine; quando giungevano in luoghi stranieri si facevano precedere dagli uomini del seguito, che sostenevano alberelli di Glicine fiorito, al fine di rendere note le proprie intenzioni, amichevoli e di riguardo, per gli abitanti di quelle terre. Il significato che il dono del Glicine ha conservato è quello di segno di disponibilità ed anche prova di amicizia.

 

Lupino Ornamentale: Questa pianta, come spiego anche nella fic, è tossica: i suoi fiori infatti contengono alcaloidi velenosi, e i suoi semi devono essere bolliti a lungo prima di poter essere utilizzati per infusi medicinali. Ha avuto molti significati nel corso degli anni. Indica l’immaginazione, la voracità bestiale, ma anche abbattimento, depressione e avvilimento.

 

Passiamo ai commenti individuali! ^_^

 

Sibil: Ti ringrazio molto, sono contenta di ricevere una recensione così carina da una persona che a quanto ho capito non ama molte Sirius/Remus (solita accozzaglia di banalità mi fa pensare che tu la maggior parte delle volte sia sfortunata con questo tipo di storie! XD Capita, io ho sfortuna con le James/Lily, ahimè! XD)! Devi essere un’odiatrice di puccio! XD Mi imbarazzo un po’ perché sta storia era nata per essere puccia (devo riuscirci, prima o poi ce la farò! XD). Che dire? Arrossisco per i complimenti, ti ringrazio anche a nome di tutti gli altri miei lavori letti e spero che continuerai a seguirmi! ^_^

 

Chii: Non ti preoccupare, Chii, sta fic manderebbe ai pazzi pure me se dovessi recensirla (no, lo ammetto, sto dicendo cavolate ma solo perché io la fic la sto scrivendo quindi per me è tutto chiaro e cristallino! XD). Che devo dire? Che ti ringrazio da morire per i complimenti, e per averti emozionato tanto da non riuscire a darti modo di fare una recensione eccessivamente lunga (ma è molto sentita e lo apprezzo comunque, davvero, e tanto! ^_^). Ti ha fatta emozionare, e questo è abbastanza per me (forse però è un po’ troppo poetica, mi sa che non la leggeranno in tanti! XD)

Una cosa però te la devo dire. Questa sarebbe una oneshot suddivisa in capitoli, la graforrea non l’ho abbandonata affatto! XD

Andava detto, sia mai che qualcuno pensi l’inverso! XDDD

Un bacione pure a te! ^_-

 

Sara: Ti ringrazio molto per i complimenti sulla poesia. Non amando molto il genere mi fa sempre un po’ strano quando mi apprezzano per qualcosa di poetico, però mi fa anche piacere da morire! XD E son contenta anche che sia uscito romantico (alèèèèèè! Volevo provarci almeno un po’ ma per il resto credo di essere partita male da subito! XD).

 

Ale: Mamma mia che coraggio che hai avuto, ma io ti devo erigere statue tutti i giorni. Guarda, anche se non ci avessi preso per niente, posterei solo una versione alternativa che si confaccia ai tuoi gusti e alle tue teorie per farti felice (poi ovviamente nel segreto del mio pc posterò e ghignerò tipo Gollum, hu hu hu! XDD

 

 

Capitolo 1 – Udito: Lo so, lo so che ti butti sempre in imprese difficilissime, mica la sto affrontando io la bestiality (non ti erigerò mai statue abbastanza! E’ troppo, sei troppo carina!!! E sei pure troppo brava quella fic verrà una vera figata! *ç*). Certo, un harem sarebbe meglio, ma ci accontentiamo delle reccy. E le mie rispy sono piede d’amore per te! XD

E per nulla divaganti. XD

(Immaginare a questo punto la stading ovation di riconoscenza tipo in Robin Hood di Mel Brooks! XD)

In effetti la citazione è leggermente deprimente, non le mando a dire. Morte, morte, morte… XDDD Senza dubbio un significato vuole anche rimandare qlla morte (idiota. Ammettiamolo! XD) di Sirius dietro al velo. Inciampato, maledizione, inciampato come un idiota! XDDD Non mi va giù. Potrebbe poi riferirsi ad un ipotetico Sirius che dietro il velo pensa al nulla che lo avviluppa. Potrebbe essere la morte del buongusto e della coerenza di questa fic! XD

Potrebbe essere qualunque cosa! XD

Senza dubbio mi ha sconvolta. Senza dubbio io metto l’opprimente velo in tutto, anche nelle fic ambientate a scuola. Per cui non mi stupirei di un rimando a questo avvenimento anche se non fosse una fic post velo. Insomma, non diamo per scontato! ^_-

Oppure sì, chi lo sa? Mary danza con leggiadria! XD

Le SM… Giuro che avevo dimenticato che erano e pensavo fosse SadoMaso! XDDDDDDD

Aiuto, trovate mi un uomo! XD

Accidenti, che dire? Mi fai sempre troppi complimenti, io arrossisco. Poi detto da te che fai delle parole/immagini un po’ il tuo cavallo di battaglia… Aaaah, arrossisco davvero! XDDD Mi chiedi quando Remus si sia arreso alla bestia (se si è arreso! XD), quando abbia smesso di essere nemico della luna (diciamo così). Ecco, quando. Una buona domanda. Non ti do la risposta, si capirà poi! XD

Spero si capisca.

E spero che piangerai perché devo piangere solo io per le storie tue? XDDDDDDD

 

Capitolo 2 – Lavanda: Io amo le tue insistenti fissazioni, ti darei ragione su tutta la linea solo per il coraggio grifondoresco che c’hai di buttarti così a capofitto in una storia dai toni parecchio criptici tentando di dare un senso agli elementi che solo io ho chiari nella testa.

Sei un mito, ti plaudo. ^_^

In effetti no, ho il brutto vizio di soppesare ogni parola e ogni elemento inserito (e pure se non è così, ci pensano le recensioni a darvi un senso e io annuisco e dico “sì sì, intendevo proprio quello che brava, ci hai preso”! XDDDDDD): per cui alla fine, spero che tutti questi piccoli elementi che non ti tornano acquistino un senso.

Sarebbe fantastico che lo acquisissero.

Perché io in testa c’ho tutto chiaro e cristallino ma mi rendo conto che questa sarà la storia dei non detti e che quindi molti si spaventeranno (ma non tu, te sei una roccia! XDDD)! XD Questo Sirius evanescente in parte penso (pochetto pochetto) sia dovuto anche al fatto che affronto pochi sensi alla volte. Viene cioè percepito ogni volta parzialmente. Per esempio non l’ha mai toccato. Ma non penso sia quello, non solo. Ci ho un po’ marciato su questa cosa (la voce nel cuscino, l’atmosfera un po’ vaga in generale… Tutte le cose che saggiamente hai notato), hu hu hu, lieta di vedere che fa effetto in qualche modo strano e anche un po’ spaventoso! XDDD

C’è una frase che hai detto che mi è piaciuta un sacco! ^_^ “E' come se attraverso i sensi Remus imprigioni il ricordo di Sirius ripercorrendo e rivivendo momenti eterni, presenti in questa casa vuota, polverosa, eccheggiante.” M’è troppo piaciuta, è così evocativa, veramente te l’ho fatta venire in mente io con sto pezzettino piccino picciò?

Sono lusingatissima!!!!!! O che allegrien, o che allegrien! XD

Remus, dico la verità, a me fa una pena infinita. A prescindere da quello che sarà la storia, leggendo in queste righe e basta, c’è veramente un uomo molto solo e molto diffidente, se percepisce l’uomo che ama come un qualcosa di evanescente, di cui non si fida. Certo potrebbe essre come dici tu e Sirius è morto davvero. Ma un Remus che non si abbandona nemmeno per un istante alla speranza… Ecco, è triste. E perduto, irrimediabilmente.

E non credo che la licantropia c’entri qualcosa, stavolta, è tutto frutto dell’umanissimo Remus J Lupin. Sperando che questa storia ti soddisfi sempre glisso qui questo commento e ti ringrazio da morire per le tue attenzioni.

I complimenti fatti da te sono sempre una gioia! ^_^

 

Capitolo 3 – Olfatto e Vista: Non so veramente se gongolare della tua confusione o gemere affranta gridando “mio dio cos’ho fatto ho creato un mostro pippomane mentale”! XDDDD Giuro, veramente non so che fare a sto punto! XD Diciamo che gongolo e alla fine si tireranno le somme, anche se con la chiacchierata che abbiamo fatto un po’ di Background ce l’hai e FORSE (ma dico forse) qualcosa è stato compreso! Su luna, colori e licantropia (pare il titolo di una commedia all’italiana? XD) ^_- Il corsivo più che altro è Remus uomo che conversa con Remus lupo, e c’è, diciamo, un conflitto di interessi sul modo di vedere le cose (colori, in bianco e nero). E’ una cosa che dovrebbe apparire più chiara nel prossimo capitolo (speriamo! ^_-). Dove tra l’altro mi sa che dovrò spiegare una cosa legata a una leggenda sui licantropi che credo di conoscere solo io e forse chi se l’è inventata! XDDDDD

E se non capisci credo che mi accascerò al suolo e piangerò! XD

Ma poi resusciterò per vedere il nuovo commento a questo capitolo! XDDDD


 

[1] Traduzione becera per chi non ha imparato l’inglese sulle yaoi come la sottoscritta (che è il modo migliore per prendere trenta all’esame, notoriamente! XD): “C’è solo una cosa di cui ho bisogno. / Non m’importa dei regali / sotto l’albero di Natale. / Voglio solo che tu mi appartenga, / più di quanto potresti immaginare.”

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Capitolo 5
*** Tatto e Gusto ***


Perchè Mary si diverte con poco?

Tra le altre cose, a pasticciare con gli allineamenti di pagina e con i corsivi perdendo inevitabilmente tempo quando un semplice giustificato sarebbe più che sufficiente ma lei vuole fare la figa?

Non ci è dato modo di sapere.

Gli scienziati di Discovery Channel ci stanno lavorando.

E già che ci sono spiegheranno un altro mistero arcano.

Perché Squall Leonheart è così bono?

 

Sperando che qualcosa sia ancor meno comprensibile dopo questo capitolo (bisognerebbe sapere una cosa che credo sappiamo solo io e quello che se l’è inventata! XD Spiegherò tutto alla fine, promesso! ^_^ E’ che ora non voglio rovinare nulla), vi lascio alla lettura.

TwinStar

 

AMARCORD

 

Bgm: Trio Lescano – Il Pinguino Innamorato

Quatto, quatto, quatto
il bel pinguino innamorato
con il cuor trafitto
s'allontana disperato...
Poi nella notte s'ode un click.
sopra il pack che ha fatto crack
s'è sparato il bel pinguino in frac.

 

***

Che fai disteso in quel gelido candore?

Mi imbriglio al cielo.

E la luna?

La più dolce, tenera delle compagne.

Che fa?

Stanca della sua danza giocosa e dell’ondeggiare pigro e stanco di leggere vesti azzurre, in ginocchio ha intessuto i fili d’oro bianco e argento dei capelli in trecce da collegiale che sfiorano e vellicano la pelle.

Ora canta, ma non odo un suono.

Ha premuto i palmi gelidi sulle orecchie.

Piega la testa in una mossa vivace e sorride.

Ma non vedo. Un velo nasconde ciglia sfiancate.

Ma percepisco ogni cosa come mai ho fatto prima.

La luna è una bimba tenera e birbante senza odore e senza età.

Non è fredda come la neve?

E’ calda come Burrobirra nella pancia.

Non sa di vecchio e di amaro come la terra?

Nient’altro che un sapore piacevole e astratto, come d’acqua.

 

Ed è tua.

 

Che fai disteso in quel gelido candore?

Maledico le stelle.

E la luna?

La più sudicia delle puttane.

Che fa?
Con le cosce oscenamente spalancate, le vesti tutte pieghe e arzigogoli tirate su fino a mostrare l’inguine, si preme contro di me e spinge vogliosa, mai sazia, leccando lasciva le labbra vermiglie.

Grugnisce e ringhia.

Sbava e bestemmia.

Preme  con le zampe al suolo bianco  di neve lasciando righe sporche e brune, gemelle di squarci rossi che scavano il petto.

Un  ghigno  sfatto  deforma  il  viso cadente oltre il buio impenetrabile degli occhi cavati da luridi  artigli mentre famelica  ulula un tacito grido che non giunge all’orecchio, straziato da zanne rabbiose e aguzzate.

Coi capelli ardenti arruffati dal vento.

Col fetore immondo che tutto ammanta.

La luna è una lurida troia volgare e slabbrata.

Non è fredda come la neve?

Arde come fuoco vivo, ustiona la pelle e accartoccia i nervi.

Non sa di vecchio e di amaro come la terra?

L’odore è dolciastro, di fiori stantii.

 

Finalmente tua.

 

Non la luna.

Megera immonda e falsa.

Eterna gravida madre di mostri.

Fuggevole e incerta come luce liquida.

Astro vezzoso e mortale che ai figli si nega.

 

 

Non la neve.

Stretta a fatica tra dita narcotizzate.

Imprigionata da palmi nudi ghiaccia e muore.

Neppure adesso è bianca, ma incrostata e sporca.

Imbrattata del rosso dolce e corposo di sangue nuovo e vivo.

 

 

La pace che tutto d’azzurro ammanta.

 

***

 

Rispondo alle Recensioni col cuore colmo di gratitudine! XDDD

 

Sibil: Ti ringrazio molto, spero che resti affascinante ed emozionante (waaah, arrossisco!) fino alla fine questa storia! ^_^ Anche a me le storie dolci piacciono abbastanza, a patto che non scadano nel puccio (cosa che, dico la verità ho temuto per questa fic per un po'! XDDD)

 

Boll: Accidenti ale, che signora recensione! XDDDD
Vabbè che questo capitolo è un po' più lungo degli altri, ma.... Caspita. Posso gongolare? Posso? Credo che lo farò! XDDDD E un po', dopo essermi stancata per il troppo ballare e gongolare, penso che nutrirò il profondo desiderio di picchiarti fortemente con un mazzo di Lupini per certe uscite della presentazione autore. Come sarebbe a dire "incredibilmente hanno un inizio e una fine"? XDDDD
E' vero, per inciso, ma che pubblicità mi fai? XDDD

Sulle tue convinzioni...
Beh, quando ti risponderò tu avrai già letto la fine della storia, quindi non c'è bisogno che ti dica nè sì ne no. Poi spoileriamo alla moltitudine di gente che legge questa fic! XDDDDDD Che tu ci abbia preso o no, è meraviglioso il modo in cui ti sei buttata co nle tue convinzioni. Sul serio, apprezzo molto! ^_^
Per cui anche se non dovessi averci preso per niente, non importa! Ti amo tanto comunque! *_* Anche perchè solletichi la mia vanità definendo questa storia capolavoro (nah, è solo finta modestia, con le bestemmie che ci sono dietro, è il minimo definirla così! XDDDDD)

Sulla recensione in sè, che dire?
Che mi mancano i faccini coi cuori di skype!!! XD A parte il fatto che pur facendo le note principalmente per il mio amore per i particolari, mi fa sempre un sacco piacere quando qualcun altro nota e apprezza quello che faccio. E' veramente una soddisfazione. ^_^ E anche la cura che metti TU nel notare le cose giuste. Il bicchiere, il fruscio... Il seno, ma quello ti picchiavo se non lo notavi! XDDDDDDDD
Accidenti, nomino un seno quando si parla di uomini...
Certo che non è un errore, ma che ci stai pure a pensare?! XDDD
Vergogna!!!
XD
Sì, è una donna.
C'è una donna in questo ricordo.
Il suo ruolo ormai lo sai ma manteniamo una suspance di facciata! XDDD

Mi piace da matti la tua lettura di quel ricordo dei lupini! ^_^ Anche perchè penso sia la mia parte preferita, ci ho tanto riflettuto su che c'è un mondo dietro sta scena che non dirò mai nella fic perchè non sono importanti. Per esempio, il motivo per cui Sirius sceglieva i fiori rossi per James era perchè le saggine della scopa sono gialle, e rosse e giallo faceva grifondoro (o la squadra della Roma o del Ravenna, ma soffermiamoci sui Grifondoro! XDDDD).
Era anche esteticamente patriottico il nostro signorino di buona famiglia (e figlio di buona donna! XDDDD). E in effetti è proprio come dici tu, Sirius a Remus fa delle scuse molto crudeli con quei lupini. E' come se in quel caso pecifico gli dicesse "io mi scuso, ma resti un animale pericoloso. Se tu non fossi stato un lupo mannaro io avrei potuto mandare Piton a venirti dietro e non sarebbe successo niente. Sei tu il pericolo, non io."
Anche adesso si scusa.
Resta solo da vedere per cosa, e quanto crudelmente.

Sulla voce... Le quattro parole NON sono pronunciate da Sirius. La frase di Sirius è quella precedente! ^_- Le quattro parole sono una risposta a quella frase di Siriu. Lo ribadisco spiegato meglio, magari ci siamo fraintese. Sulla realisticità di Sirius non mi pronuncio, si vedrà! XD

Ma spero davvero che la fine non sia banale e scontata, per quanto tu ci abbia o non ci abbia preso. ^_^

Sulla canzone, dirotti che l'apprezzo tanto che me la sono messa come sottofondo mentre ti scrivevo questa risposta geniale! ^_- E non ci sta nemmeno troppo malvagiamente con la storia, ma mi saprai dire meglio alla fine, no? ^_-

Grazie a te per la tua presenza e le tue recensioni sempre stupende.
Grazie anche per le tue storie, è sottinteso! XDDD

 

Nykyo: Rispondo alle tre recensioni! ^_^

    Capitolo 1: Innanzitutto, non c'è bisogno di chiedermi di essere pietosa per questa fic. Se me la ritrovassi davanti io, sarei disperata, dovessi recensirla! XDD Dico sul serio, non scherzo. Io so che succede e quindi mi pare tutto chiaro ma a leggerla obiettivamente mi rendo conto sia assurda.
Spero che alla fine sia tutto chiaro! ^_^ Lo spero davvero, non riuscirci lo vedrei come un fallimento bruttino (diciamo bruttone! XDDD).
Per la fic, che posso dirti senza spoilerare? XDDDD Accidenti, nemmeno questa risposta ha granchè senso! XD Chi è a parlare. Non si sa. Di sicuro è Remus il protagonista di questa storia. Lo è sempre, non v'è altri protagonisti. Ci ho provato, ed è stata una faticaccia immane. Con Sirius mi viene facile. Con Remus è un trauma! XD
Sulle tue impressioni, sono le stesse di Ale, ma che vi copiate le recensioni? XDDD Brave, fate bene, il barare è l'animo dell'italiano! XDDDDD Non so se finirai strozzata di rabbia. Quel che è certo è che alla fine secondo me sentirò echeggiare dei gran F**K YOU per tutta italia! XDDDD

Capitolo 2: Ammetto di non ricordare di aver fatto accenni alla magrezza! XDDDD Ma io sono una che le cose le scrive non tanto per condividerle quanto per non dimenticarsele, per cui può benissimo essere che l'ho scritto e non mi ricordo! XD Comunque, il dubbio non si dovrebbe porre (anche se ammetto che in una fic del genere dove non si capisce assolutamente niente le poche certezze sembrano degli inganni! XDDD): è Remus il protagonista. ^_- Almeno penso. Perchè mi sa che sto cambiando idea per la frustrazione di non riuscire a finirlo sto capitolo, hu hu hu hu! XD
Sirius immateriale? Insomma, sei DIFFIDENTE sul fatto che quello lì presente sia un vero Sirius. XD Ancora una volta ho fatto una cosa metatestuale, alè! XD Adesso sì che puoi invidiarmi, non ti faccio fidare di niente di quello che scrivo! XD
Speriamo piuttosto che alla fine sia davver otutto più chiaro! T_T

Capitolo 3: Po' esse! XD Non garantisco. Io ti direi anche di sì, ma forse non lo è perchè l'ho cambiato, o forse il cambiamento è proprio il fatto che si tratta di Remus.... Ma perchè rispondo se devo essere così criptica? XD E soprattutto, sto riuscendo nel mio intento di farti dare di matto definitivamente?
Solo gli scienziati potranno dirci di più! XD
Sul blu una cosa la devo dire... A parte i significati psicologici del colore azzurro-blu ce n'è un altro molto più terra terra che spiegherò alla fine. E' davvero terra terra, una cosa scemissima, niente a che vedere con roba di cromoterapia et similia! XD Però mi è parsa molto carina. Diciamo che gli altri significati sono un di più. Io l'azzurro l'ho messo principalmente per un'altra cosa.
Hahahahahahahahaha ho paura dele minacce ma poetica non lo sono, sei te che dai significati a quello che scrivo! XDDDD

Sara: Hahahahaha no, decisamente Remus non è sfruttato da Sirius, diciamo che è più che consenziente e non aspettava altro (ma cosa mi fai dire! XD). Un Sirius duro? Mhmmm, sono sincera, io lo vedo abbastanza normale rispetto ai miei standard (in altre mie fic ne son successe talmente tante da far gridare pietà anche a un masochista! XDDD). Anzi, lo trovo anche dolce a modo suo (sempre considerando il fatto non indifferente che Sirius sta al romanticismo come io sto alla laurea... XD). Son contenta che tu abbia apprezzato i fiori e la canzone! ^_^

Bellatrix1991: Grazie dei complimenti, mi fanno molto piacere! ^_^

Chii: Azz, qui le risposte si fanno complicate da dare. Come rispondere senza spoilerare? Proviamoci. Intanto... Ti chiedi del bicchiere sul tavolo (se lo sono chiesto un po' tutte), ma non è che abbia poi tutta st'importanza! XD Diciamo che ricorda molto una conta infantile. Un bicchiere, DUE sedie con TRE graffi, QUATTRO mobili.
Sono semplicemente gli averi di Remus snocciolati quasi con disinteresse di un bambino che fa la conta da uno a quattro. Perlomeno, io significati dietro non ce ne ho messi! XD
I fiori sono notati prima di Sirius per il non indifferente fatto che Remus è voltato di schiena rispetto a Sirius e ha i fiori davanti! XD Quindi, o ha gli occhi sulla nuca, o è normale che veda prima quello che ha davanti e poi Sirius che è dietro! XDDD
Sul seno è un po' criptica ma si spiegherà alla fine, spero! XD
Oppure resterete tutti col dubbio che in realtà le Sirius/Remus siano storie etero! XDDDD
Mi piace molto la tua degressione sul perchè Sirius usi il linguaggio dei fiori per chiedere scusa agli amici! XDDD In realtà la spiegazione a cui avevo pensato io era molto più terra terra. In genere i fiori a chi fanno molto piacere? Alle donne. Specie alle fidanzate. Il linguaggio dei fiori sono quelle vaccatine che in genere imparano i fidanzati per fare squittire di piacere le proprie donnine. Visto che io Sirius lo vedo donnaiolo impenitente, non mi stupisce che si sia imparato il linguaggio dei fiori per fare il figo con le femmine. XD
Fare il galante, insomma, affascinare.
E poi lo sfrutta anche con gli amici per chiedere scusa.
Per questo gli faccio dire che è la sua "deformazione professionale". ^_-
Che poi non sappiamo se in effetti Remus sia l'unico infastidito da questo suo atteggiamento un po' facilone (chiedere scusa coi fiori, bella mossa, e intanto non l'hai chiesto a voce. E' un po' una fuga, a me non darebbe affatto soddisfazione per dirne una). Potrebbero esserlo tutti. Questo non lo spiego.
Remus di sicuro non li ama molto.
In effetti sono scuse un po' bastarde. E' come se in quel caso specifico che ricorda, per esempio, gli dicesse "io mi scuso, ma resti un animale pericoloso. Se tu non fossi stato un lupo mannaro io avrei potuto mandare Piton a venirti dietro e non sarebbe successo niente. Sei tu il pericolo, non io."
Eccetera eccetera! XD
Grazie mille per i complimenti e per la recensione, la graforrea è sempre bella da affrontare! ^_-

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Capitolo 6
*** Robinia Pseudoacacia ***


Nuova pagina 1

Nota iniziale: Un paio di parole sul titolo di questo capitolo. Dopo Lavanda e Lupini Ornamentali, il fiore che dà il nome a questo penultimo capitolo è la Robinia Pseudoacacia (in inglese Locust Tree). Nel linguaggio dei fiori questa pianta (e i suoi fiori) ha il significato un po' triste dell'amore che va oltre la morte.

 

Grazie a sara che ha recensito.

 

 

AMARCORD

 

Bgm: The Icicles – Sugar Sweet

Oh baby you're sugar sweet
and your loving knocks me off my feet

 

***

Non è facile alzarsi quando si ha ancora tempo per poltrire.

Anche per chi ricorda di non aver mai amato tanto l’idea di restare a crogiolarsi nella mollezza delle lenzuola calde, con le loro promesse carnali, fasulle, di un oblio intervallato da sogni, intervallato da niente.

Non l’hanno mai sedotto cose simili.

Ricorda invece l’oscurità più nera della barriera delle ciglia serrate di notti insonni, talami inviolati e cortine scostate appena per non insospettire. C’è un intero cielo commosso con le stelle a luccicargli negli occhi che lo sormonta.

Tutto è silenzio e attesa immobile.

La notte amica potrebbe durare in eterno.

L’uomo ha tutto il tempo del mondo per accendersi una sigaretta.

Un’abitudine orribile, rimugina disgustato, dovrei decidermi a smettere.

Ma è un vizio segreto che si porta dietro da anni e fa parte di lui: dai tempi della scuola, quando la notte, di nascosto, ne prelevava una o due dalla giacca di Sirius per poi restare ore davanti alla finestra spalancata a dosare ogni boccata per far durare quanto più possibile quei piccoli tesori.

Gli è sempre piaciuto sentire il fresco della sera sulla pelle accaldata dalla vampa soffocante di un’umida sera d’estate. Il vento a scompigliare i capelli e a rincorrere il fumo, in bocca il sapore amaro e deciso del tabacco.

Allora c’era il cornicione di pietra a grattare piacevolmente i gomiti.

Ora solo il gelo della ringhiera di ferro corroso dalla ruggine a grattare via la pelle ruvida.

E’ vecchia e pericolante, non dovrebbe appoggiarvisi con tutto il peso.

Prima o poi dovrei decidermi a fare qualcosa, pensa ancora.

Poi ovviamente procrastinerà all’infinito.

Una voce lo risucchia dove ancora gli orologi cadenzano i secondi.

“Dovremmo andare.”, sbadiglia una voce roca e impastata di sonno da qualche parte alle sue spalle. L’uomo si volta appena in direzione del giaciglio.

“No.”, si ribella seccato. “Abbiamo ancora tempo.”

“Ma io non ce la faccio più ad aspettare.”

E’ un gemito capriccioso, da bambino.

“Ho detto non ancora, Sirius.”

L’altro tace, sgomento.

Non è abituato a simili rifiuti.

Ha sempre avuto una fretta del diavolo, Sirius.

Amici, vita o donne. Ha sempre corso da qualche parte, senza sapere esattamente dove fosse diretto.

Non che importasse.

Bastava solo avanzare.

E tutti si sono sempre lasciati trascinare dalla sua furia impenitente.

Tranne lui. A lui è sempre piaciuto fermarsi e attendere.

Per poter riflettere e ricordare.

Per un’ultima boccata.

La prima la ricorda ancora: aveva quattordici anni e una smorfia disgustata a deformargli la bocca come una cicatrice storta. La sigaretta, stretta tra l’indice è il medio come aveva visto fare a Sirius di nascosto, ma non con la stessa baldanza, aveva un sapore sporco di cenere e putredine.

Ma era bello inspirare a fondo dal filtro e sentirsi invadere i polmoni infiammati da uno sgradevole calore nocivo.

E poi espellerlo ridendo piano.

Lo osservava salire in alto come inebetito.

Assieme al fumo se ne andavano anche tutti i pensieri.

Persi in quel cielo sostenuto da stelle tremule e velato di nebbia.

L’uomo lascia al di là delle palpebre calate, come intrusi, il cielo che ammicca ambiguo e la luna che allatta di luce una città assopita; le forme sfocate delle case di mattoni e la strada che splende, spennellata di pietre scure e impregnate di bruma. Non c’è più neppure il lago nero a scintillare d’argento nei suoi ricordi, né le chiome piene degli alberi scuri a nereggiare nella foresta in lontananza.

Neppure gli ansimi o i singulti soffocati.

O il lieve sospiro d’amore che segue.

“Ti amo.”

L’uomo nemmeno si volta.

Sono ricordi, non parole per lui.

Nella testa il suono di cortine tirate e chiuse.

Lo schiocco di un bacio, poi passi rapidi e pesanti.

Accoglie con stranito stupore quelle braccia forti a cingerlo da dietro: una mano scende a strofinarsi lungo la vita, con i polpastrelli a premere sullo stomaco, a giocherellare con la fine peluria bionda sotto i vestiti, poi a vellicare con le unghie il bordo rappreso di qualche cicatrice antica che solca la pelle fresca, mentre l’altra a tradimento da sopra la spalla abbranca la cicca storta che stringe tra le labbra e la getta oltre la finestra con uno schiocco esperto delle dita dopo averla finita in fretta con un tiro lungo e veloce.

Nemmeno il rude frusciare di una guancia non rasata contro il viso o il tanfo insopportabile di cenere che gli viene soffiato rozzamente sul viso riescono a strappare dalla mente i ricordi di quel Sirius giovane ed impudente.

Coi suoi capelli scomposti, gli occhi brillanti.

Col sorriso sornione e soddisfatto nell’osservarlo ogni volta con la sigaretta accesa tra le dita l’istante prima di scippargliela. La sola idea di aver “sporcato” il perfetto, angelico Remus con uno dei suoi turpi vizi da poco di buono sembrava riempirlo ogni volta di un’esultanza folle.

L’uomo apre gli occhi e ricambia il ghigno che gli viene rivolto sul viso sbrindellato quando il ragazzo che era al solo sentirlo accanto avrebbe distolto lo sguardo con la scusa di aver qualcosa da vedere oltre le sagome scure delle colline, avvinto da tutta quella sciocca, infantile melanconia. Qualcosa che lui non avrebbe potuto capire, perché era un “normale”. Benché la parola lo facesse sempre sorridere un po’, specie se associata a Sirius.

Avrebbe fissato la notte.

Un abisso annebbiato di fumo e nebbia.

Lo compatisce, adesso, quel povero bimbo dagli occhi tristi, e non può far altro che scuotere la nuca con inopportuna indulgenza.

E’ di se stesso che ha pena, in fondo.

Sirius poggia il mento nell’incavo della spalla sobbarcandolo di tutto il suo peso al punto da fargli cedere le gambe un istante e preme la bocca sul collo sottile, le labbra piegate verso alto in un riso sazio.

“Sono esausto.”

L’uomo lo fissa un istante.

Il ragazzo avrebbe annuito piano, indifferente.

L’uomo sospira piano e stringe gli occhi in un sogghigno comprensivo e una mano sale a scardassargli i bei capelli neri, lasciando che le dita penetrino nell’intrico d’inchiostro della chioma sciogliendo i nodi con materna tenerezza mentre l’altro si abbandona al suo tocco con un lamento appagato.

Le labbra aperte appena.

Le ciglia socchiuse come al culmine dell’orgasmo.

Aveva perso il conto di quante volte aveva sognato di farlo in gioventù.

Però sapeva che Sirius non gliel’avrebbe permesso, allora.

Non ha mai concepito simili effusioni tra maschi.

Ricorda la brutale malizia del ragazzo.

Il sarcasmo crudelmente imposto.

Persino l’adulto logoro e sfilacciato che gli aveva restituito Azkaban non si era risparmiato frecciate tra le righe, a volte.

Ora null’altro che amabilità struggente mentre si piega verso di lui per poi sfiorargli le labbra gelide e pallide con le proprie, calde e ardenti. L’uomo si tira immediatamente indietro con un sobbalzo atterrito, mentre una mano sale istintiva a pulirsi dalla bocca le tracce di quel bacio.

E’ inaspettato.

E freddo.

“Che succede?”, domanda Sirius piegando appena la testa di lato, assumendo un’aria di stranita preoccupazione.

Le dita congelano le loro premurose carezze.

Con gli occhi castani innaturalmente spalancati e la bocca schiusa in una O di muto stupore, con le mani che tremano appena e la voce surgelata in gola l’uomo torna il ragazzo colto la prima volta sul fatto in quella fredda sera di inizio primavera del quarto anno: quando Sirius, alzatosi per chiudere la finestra del dormitorio borbottando maledizioni in direzione dell’ “idiota che l’ha lasciata aperta”, senza nemmeno avere la decenza di mettersi qualcosa addosso, se l’era ritrovato davanti con una delle sue sigarette accesa tra le labbra, lo sguardo sfuggente e le guance paonazze di vergogna.

Non era sembrato stupito quanto avrebbe dovuto di quella tacita presenza.

Si sarebbe quasi detto lusingato.

“Hai ascoltato qualcosa di tuo gusto?”, aveva ghignato davanti al suo disagio, la voce roca stemperata di volgare compiacimento di sé, mentre l’altro non aveva potuto far altro che tacere deglutendo una boccata di fumo disgustoso, e pregare di trovare la forza di non strappargli dalla faccia quella stupida espressione orgogliosa.

Di non lasciarsi annientare da un amore disperato.

Da parole ironiche e sprezzanti.

“Va tutto bene?”

L’uomo scuote la testa.

“Certo. Perché non dovrebbe?”

Il sorriso che gli gela la bocca è studiato, frutto di anni di finzioni.

Era sempre stato facile per lui. Persino quel patetico ragazzo ci riusciva.

Bastava stirare e stendere i muscoli del viso fino al punto di rottura, fino a sentire lo strappo sotto la pelle, piegare in alto gli angoli delle labbra lasciando appena scoperti i denti (solo un po’) e arricciare il naso. Riusciva addirittura a far brillare gli occhi di una luce gaia, quando le lacrime vi premevano forte agli spigoli.

Allora Sirius gli posava una mano sulla spalla.

Lo stringeva a sé con tenerezza paterna.

Poi lo guardava di sottecchi.

“Sei davvero carino.”

E rideva.

Rideva piano.

Beffardo come la luna.

Scotendo appena le spalle e il petto robusto.

Stringendo la bocca in una linea esangue a trattenere il fiato.

Perché solo Sirius poteva scambiare l’amore per santocchieria.

Un’improvvisa folata di vento gelida cristallizza quell’istante e lo lascia scivolare via lungo la spina dorsale come il brivido che lo scuote in interezza e gli fa sfuggire di bocca un’imprecazione mentre si cinge le braccia con le mani.

L’uomo chiude gli occhi sentendoseli pizzicare.

Stringe i denti per non ascoltarli battere.

Merlino, sta gelando dentro e fuori.

Di ardente c’è solo il sussurro ardente che preme contro l’orecchio e quelle mani che lo stringono ancora, dolci.

“Non preoccuparti. Passerà presto.”

L’uomo annuisce a fatica scosso dai brividi, ma sa che non è vero.

E sorride ancora, ed è un sorriso diaccio, al ricordo delle stesse identiche parole pronunciate da una ragazza dai capelli fini e dallo sguardo brillante: ricorda le mani e i gomiti poggiati fermamente sul tavolo, le dita sottili intrecciate strette come nodi di una corda bagnata, allentate solo per rigirarsi il bell’anello all’anulare sinistro; c’è quel sorriso teso sulle labbra sottili che elargiscono tè e parole di conforto a poco prezzo, e lo sguardo chiazzato di efelidi rade a verdeggiare fuggevole e lontano.

La voce è l’unica cosa che non ricorda.

Eppure parlavano per ore.

Quando si trovavano da soli gli dispensava consigli e tempo prezioso, e la testa scarlatta si protendeva languidamente in avanti con fare intimo di confidenza schietta, ma non l’ha mai ascoltata.

Annuiva meccanicamente.

Perché gli chiedeva di dimenticare.

Di aspettare che il tempo liquefacesse il dolore.

“Innamorarsi di una persona come Sirius significa irrimediabilmente soffrire.”, sentenziava affranta, e le sopracciglia naturalmente tendenti al broncio si accartocciavano in una mossa pia di dispiacere che non faceva altro che tingergli la lingua del sapore amaro della vergogna.

Si sentiva falso, e insulto.

Lily aveva ragione, almeno un po’.

Ma innamorarsi di Sirius non era solo quello.

Significava anche passare notti insonni davanti a una finestra aperta a contaminarsi i polmoni col fumo delle sigarette babbane e ad ascoltare notte dopo notte, anno dopo anno, i gemiti soffocati di piacere delle sue amanti, mordersi le labbra fino a sentire la pelle tenera del labbro spezzarsi tra i denti acuminati in preda a una furia cieca.

Lanciare occhiate fugaci in direzione del letto e delle cortine malamente tirate a scorgere brandelli di lunghe chiome brillare alla luce della luna, di seni tondi e forme morbide intrecciate a muscoli guizzanti.

Torcersi le mani fino a spezzarsi le unghie, graffiarsi le falangi nel disperato tentativo di non cedere al desiderio che suo malgrado lo avvinceva assieme all’invidia e al disgusto per se stesso per poi arrendersi agli impulsi quando alla fine, inevitabilmente, avevano la meglio.

Era rapido.

Triste e penoso.

Come un mare senza onde.

Come un bosco ammantato di neve.

Un’ombra si intromette tra quel quadro immaginario mortalmente vivido e la squallida stradina inondata di luce notturna che gli si para innanzi con l’innaturale silenzio di quegli istanti di notte profonda e quieta. L’uomo dischiude lento le ciglia e quel Sirius tenero e attento è ancora lì, a piegare la testa di lato stringendo gli occhi in un sorriso compiaciuto. Si abbandonerebbe contro quel corpo vivo col singulto strozzato che il ragazzo e l’adulto si sono sempre negati; affonderebbe le dita informicolite nel tessuto delle sue vesti calde, conficcandoli come spille fino a spingere e pungere la carne sotto di esse, con una disperazione istintiva che aveva sempre creduto appartenere al lupo e soltanto ad esso; si concederebbe la pace stucchevole e melensa che brama.

Ma c’è questa tetra melanconia che lo raggela.

Gli ha ingolfato le membra.

Agghiacciato la voce e condensato quella logica petulante ed ostinata in soffici sbuffi di fiato cagliato.

E poi c’è la luna.

Non è mai stata così bella.

Nascosta dietro stracci di nuvole nere e viola, sottili come rami d’albero.

Con la sua luce azzurra e muta.

Ignobilmente gravida.

Gonfia. Piena.

“Remus…”

Lo chiama.

L’uomo non si volta.

Incerto di ciò che vedrà.

Ma dita rudi e ruvide sono fatte solo per stringere e graffiare, non per concedere carezze e la dolce consolazione dell’incertezza: si sente afferrare per il mento e incivilmente torto di lato, a incontrare un altro paio d’occhi.

Hanno qualcosa di spudorato che lo indispone, quelle iridi grigie e ardite di chi non ha niente da temere o da perdere, a cui nulla importa se non di loro stesse, ma allo stesso tempo lo tranquillizzano con la loro familiarità.

“Non voglio restare qui un secondo di più”, sogghigna minaccioso, con le labbra piegate in un ghigno compunto e teatrale mentre la presa si fa forte, quasi a far male. All’uomo fa stringere il cuore ricordare il folle scoramento di quelle parole pronunciate dalla stessa bocca, e quasi ride al pensiero di quella giovane e limpida donna che sbattendosi la porta alle spalle per l’ultima volta gli aveva gridato tutt’altro, solo poche sere fa.

Ce l’ha un cuore, allora.

E’ un cuore un po’ triste e strano che non gioisce al ritmo degli altri, che resta immoto e mutolo nel trionfo e scoppia di esultanza nel riflesso pallido di ricordi sbrecciati e malinconici.

Però c’è.

Così come c’era di fronte al lampo sconfortato sul viso pallido, illuminato dalla tenue luce di un turchese artificiale della bacchetta, e davanti alle ciocche nere e pesanti dei capelli scivolare sulle guance ad ogni scatto furibondo del capo, rigandole d’inchiostro. Davanti alle labbra trasfigurate in una smorfia spiacevole e acre.

Davanti alla voglia infantile di sentirsi utile.

E alla sua folle corsa verso la fine.

Adesso come allora, avvinto, l’uomo annuisce stanco.

"Va bene, andiamo."

Poi accoglie quell’abbraccio contento che improvviso l’avvolge come l’arrivo dell’alba da ragazzo.

Quando solo assisteva alla morte ingloriosa della notte, lasciata sola dietro finestre opportunamente chiuse, soffocata da un tenue, implacabile ammantarsi di rosa e lilla; quando coi polpastrelli scabri seguiva quei primi tiepidi fili scarlatti di sole lungo la superficie del vetro, stupendosi ogni volta del bizzarro contrasto tra il fuoco di quel globo di luce ardente e il gelo freddo sotto le dita.

Adesso invece non è più così strano.

L’uomo sorride in quell’abbraccio.

Ricorda quel giovane triste e patetico che volgeva lo sguardo a quel letto estraneo, non la prigione da cui fuggire, ma il rifugio in cui ripararsi. Tra le cortine scostate appena, nei guizzi fumosi di una luce timida del primo giorno, avrebbe visto un giovane dai tratti armoniosi riverso di gusto sulle lenzuola: sdraiato supino coi capelli neri e mossi selvaggiamente intrecciati al bianco della federa, a spandere le membra nude sul materasso.

Il ragazzo arrossiva sentendosi sciocco.

Sapeva che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo, magari tornare a letto prima che qualcun altro si svegliasse e lo vedesse lì, ma una curiosità sconosciuta e incontrollabile, che nei pensieri arrivava a volte a giudicare oscena, l’attraeva verso la visione proibita: allora tornava a spiare quel viso che scorgeva appena tra le increspature di stoffa vermiglia screziata di calda luce color arancio.

Oltre le ciglia nere a nascondere gli occhi alteri e gli zigomi alti, il naso sottile un po’ ingobbito al centro arrogantemente teso all’insù e le labbra piene e rosse appena socchiuse in una piega dolce.

Con tenerezza si soffermava sulla mano stretta a pugno intorno all’aria, come i bambini, e segue la linea morbida dell’arto fino a quel punto tra spalla e clavicola che tanto l’attrae, e lo sguardo si imbronciava alla vista dei segni scuri di un possesso ingannevole e illusorio di una donna che era niente.

Fuggita prima del levarsi di Venere.

Come le altre prima di lei e quelle che sarebbero seguite.

Come la luna ghignante che oltre l’orizzonte ogni notte annega.

Allora il ragazzo distoglieva lo sguardo.

Poggiava la fronte al vetro e fissava il cielo.

“Non sentirà la tua mancanza.”, soffiava ridendo.

“Il mondo non si ferma solo perché tu non ci sei più.”

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Capitolo 7
*** Memory ***


Fine della fan fiction

 

AMARCORD

 

Bgm: Cat Power - The Werewolf Song

Oh the werewolf, oh the werewolf
Comes stepping along

He don’t even break the branches where he’s gone
Once I saw him in the moonlight, when the bats were a flying

I saw the werewolf, and the werewolf was crying 

 

***

 

Non ti sei mai arreso.

Non eri piccolo e non eri fragile.

Non eri dolcemente arrendevole o debole.

Non eri il “piccolino” di nessuno né mai lo saresti stato.

Con questi pensieri correvi nel bosco, i passi liquefatti sulla neve fragile in un galoppo di bestia, fendendo l’aria con le zanne aguzzate. La sagoma a scivolare dietro le forme snelle di alberi cupi e rugosi e gli occhi imbevuti d’argento antico.

Sereno.

Libero e folle.

Poi ti sei fermato.

Eri solo curioso di vedere la luna gentile.

Volevi dare un volto a dolci blandizie.

Così hai alzato il muso al cielo.

Hai preso un respiro fondo.

Hai aperto gli occhi.

E hai visto una realtà infinita.

E’ come spiare attraverso un buco nella parete.

E la parete è fatta di una luce azzurra tiepida e abbagliante..

Una luce così nella realtà non esiste, ma avresti voluto che ci fosse.

Così come vorresti una luna nel bosco a sussurrarti dolci blandizie, o un uomo a confortarti nel letto della tua povera casa di Brick Lane. A volte vorresti persino quegli stupidi Lupini Ornamentali, e quella donna a condividere il tuo segreto col suo maglioncino bianco e l’anello all’anulare sinistro, a guardarti con occhi compassionevolmente umani.

Non sono che vecchi ricordi che riecheggiano nell’ultimo battito di un cuore inutile e stanco.

Ma mai arreso.

 

Finché il mondo si spegne, finalmente in pace.

 

=Fine=

 

 

Nota finale: Il titolo si rifà alla canzone del musical "Cats", interpretata da Barbra Streisand, il cui testo era parecchio adatto a questa fic (l'ho scoperto ieri, non me n'ero accorta finora).
Poi... Esiste una leggenda che riguarda i lupi mannari, conosciuta più che altro nelle zone del sud Italia. Secondo quanto detto da essa i lupi mannari sarebbero creature del demonio, e in quanto tali impossibilitati a guardare il cielo, quindi Dio. Questo si traduce in un fatto: se un licantropo, trasformato, alza lo sguardo e vede la luna piena, muore.

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